In proseguimento al tema di discussione nella sezione filosofica "Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?", apro questa riflessione su come le neuroscienze affrontano la questione della coscienza e in particolare quella del sé, proponendo per iniziare questa presentazione di Antonio Damasio (neurologo di fama mondiale e autore di importanti libri di divulgazione come "L'errore di Cartesio", "Emozione e coscienza"...) a TED.
http://www.ted.com/talks/antonio_damasio_the_quest_to_understand_consciousnessTrovo molto interessante come la coscienza viene qui descritta a mezzo di meccanismi ciclici reiterativi e l'identità permanente del sé come il risultato rappresentativo dell'esigenza di un mantenimento quanto più costante possibile (e costantemente ripetuto) della biostaticità dei parametri fisiologici dell'organismo vivente.
Quali sono, a vostro parere, le possibilità, gli agganci transdisciplinari e i limiti che questo modello neurologico presenta per una migliore comprensione del sé e della coscienza di sé?
Citazione di: maral il 19 Maggio 2016, 10:09:01 AMIn proseguimento al tema di discussione nella sezione filosofica "Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?", apro questa riflessione su come le neuroscienze affrontano la questione della coscienza e in particolare quella del sé, proponendo per iniziare questa presentazione di Antonio Damasio (neurologo di fama mondiale e autore di importanti libri di divulgazione come "L'errore di Cartesio", "Emozione e coscienza"...) a TED. http://www.ted.com/talks/antonio_damasio_the_quest_to_understand_consciousness Trovo molto interessante come la coscienza viene qui descritta a mezzo di meccanismi ciclici reiterativi e l'identità permanente del sé come il risultato rappresentativo dell'esigenza di un mantenimento quanto più costante possibile (e costantemente ripetuto) della biostaticità dei parametri fisiologici dell'organismo vivente. Quali sono, a vostro parere, le possibilità, gli agganci transdisciplinari e i limiti che questo modello neurologico presenta per una migliore comprensione del sé e della coscienza di sé?
adesso il rischio è che nel forum di filosofia sia stato preso per un "scientifico" o peggio un scentista e che ora nel forum di scienze per un filosofo.Il transdisciplinare è la filosofia della mente che è neuroscienza e cognitivismo .L'una tratta la fisicità del cervello ,direi l'harware se lo paragoniamo al computer, l'altra il come l'informazione viene elaborata ,quindi il software.Viene ovvio a sua volta proprio perchè la macchina elaboratrice di calcoli algoritmici nasca dalle teorie dei sistemi e dalla cibernetica , pensare a nostra volta un parallelismo con l'evoluzione dei computer.Teniamo presente che il computer è divenuta condizisione di computer attraverso de iserver, il cervello e il suo funzionamneto con annessa elaborazione cognitiva mostra anche con le imaging del cervello che la similiutine al network è la più vicina dove la corteccia cerebrale, la parte evolutivamente direi 2più umana" intesa come caratteristica, ha la capcità di ricevere da più parti de lcervello, da localizzazione fra loro relativamente lontane dati di memorie emozionali, memorie a breve termine ,memorie a lungo termine ( le malattie , ischemie, ictus, problematiche legate alla senilità.Non posso che ribadire alcuni concetti espressi altrove.IL materiale organico ha una plasticità, una malleabilità, una reattività, che gli permette di "autogestirsi".Un esempio: se le sinapsi nascono e muioino e nascono come collegamenti neuronali dove l'input è un'informazione, significa che l'energia elettromagnetica che riceve il nostro occhio, trasportata dal nervo aottico nel momento in cui deposita nel cervello fisico l'informazione, provoca una reazione biochimica per costruire quella sinapsi e uinire dei neuroni :ha archiviato un'informazione dentro il database. Così come si creano le sinapsi così si "dissolvono".Basta che non venga reiterata l'informazione, vale a dire il sistema operativo non utilizza quell'informazione divenuta fisicamente una sinapsi, che quella sinapsi si dissolve dopo un certo periodo di tempo. Il cervello è in grado guidi di "autopulirsi" dove la reiterazione intesa come ripetitività veicola una formazione gerarchica di un'informazione/sinapsi.Si tratta di capire, questo non lo so, se la rete neuronale e ad esempio una singola sinapsi è in grado di gestire una sola informazione o quante di più. Personalmente ritengo un numero incredibile perchè la parte "inconscio" è un dimenticatoio della sfera della volontà, ma se sollecitata da ipnosi una informazione apparentemente persa riemerge dopo decenni.Pesno, siamo sempre nelle ipotesi personali, che il cervello stesso lavori in manier molto più plastica e non meccanicisticamente. Come si sta scrivendo nella sezione dell'arte, noi vediamo con il cervello/mente e non con gli occhi, perchè la nostra formazione mentale media gli input, di una intera immagine che arriva la cervello focalizza solo parti e decide di "buttare" il resto, perchè lavora su associazioni, su pezzi di informazioni e per ricostruirne e associarle con numerosi altre. L'idea che mi sono fatto è ch eil cervello fisico si può studiare per aree localizzate, ma il funzionamento ,psichico, logico, sfera automatica, sfera della volontà è estremamente plastico, interdisciplinare direi che gl ipermette grandi velocità, ma anche di prendere cantonate, come le illusioni ottiche.Intendo dire che il nostro cervello non è altamente specializzato nelle sue parti funzionali, noi non batteremo mai in velocità e precisione un calcolatore elettronico , il nostro requisito è una forma di totalità funzionale in cui si mischia razionale e irrazionale, intuito e logica, immaginazione, fantasia. Abbiamo tutto il corredo linguistico delle specializzazioni ,ma non eccelliamo probabilmente in nulla, m sappiamo problematizzare e inventarci soluzioni con ragionamenti "laterali" e intuizioni che nessun calcolatore è attualmente in grado di fare.Il secondo aspetto è l'elettromagnetismo, cioè come l'informazione fisica entra e viene elaborata.Faccio un parallelismo, non so avete presente come funziona biochimicamente la sintesi clorofilliana dei vegetali superiori.L'energia viene presa dal sole, quindi è una radiazione elettromagnetica che colpisce un cloroplasto e dove la cellula della clorofilla è sorprendentemente identica a quella dell'emoglobina nel sangue, l'unica differenza è che lo schema configurativo della molecola vede al centro un atomo di magnesio (che dà la colorazione verde alle piante) mentre l'emoglobina ha la centro il ferro( che dà colorazione rossa al sangue). il bello è la funzione, cioè la sintesi serve per trasformare la linfa "grezza" che arriva dall'assorbimento osmotico delle radici con il liquido circolante nel terreno e trasformarla in linfa "elaborata".il nostro cervello ,con ovvie differenze, fa la stessa cosa con la percezione sensoriale visiva e uditiva.Fin quando arriva l'energia elettrognetica a imprimere sulla retina l'immagine e trasmessa dal nervo ,forse (perchè non sono sicuro) il segnale dell'informazione è ancora diciamo originario alla fisoiilogia dell'occhio umano, ma quando entra nel cervello c'è una reazione biochimica sicuramente e quel segna le non sarà esattamente identico a prima.Il terzo aspetto è come nasce la coscienza.A volte penso che la conoscenza dei computer e delle relative discipline connesse, forse proprio perchè sono progettazione ecostruzione umana, sia nettamente superiore alle conoscenze del nostro cervello/mente.Abbiamo presente il termine "cloud" del computer, ebbene io penso che possa (sono di nuovo ipotesi del tutto personali, forse anche fantasia) esserci "una nuvola " elettromagnetica" prodotta fisicamente dal cervello dentro la scatola cranica.
Forse la coscienza di sè non è un network delle aree, parti del cervello, ma è una sovrastruttura del cervello , fisicamente un'ulteriore stato energetico prodotto da tutte le elaborazioni biochimiche. Potrebbe essere qualcosa di quantistico, o chissà cos'altro., ma di una cosa sono convinto la coscienza è qualcosa anche di fisico , fosse anche solo una forma di energia .
Ricordo da vecchi studi che la trasmissione sinaptica è comunque regolata dal trasporto di ioni e che tra le sinapsi vi è in genere uno spazio vuoto in cui vengono rilasciate le molecole dei neurotrasmettitori che attivano il recettore "accendendolo" (anche se vi sono anche delle sinapsi collegate che trasmettono segnali solo elettrici molto più rapidamente, come nei riflessi automatici).
(http://i65.tinypic.com/359zbtf.jpg)
Difficile dire cosa configura la rete sinaptica, di sicuro (come per la rete dei capillari) il DNA non contiene un messaggio così specifico e dettagliato, sicuramente intervengono fattori chimici, condizionati in qualche modo da aspetti ambientali di contesto rispetto al cervello e dalle sollecitazioni che producono. Probabilmente lo sviluppo dell'intelligenza è determinata ben di più da questi fattori, piuttosto che preordinata dal genoma, anche se è questo che stabilisce l'hardware della struttura generale con lo sviluppo delle aree mediane e corticali che, interagendo reiterativamente con le zone più primitive dell'encefalo, permettono l'apparire della coscienza fondata su un'immagine stabile del sé. In fondo la coscienza prende avvio dall'emozione, l'emozione è già coscienza in potenza, il suo materiale primigenio.
Certamente non è una questione topografica, anche se inquadrarla topograficamente aiuta a chiarirne i meccanismi.
Pensare a una sorta di nube elettromagnetica che alberga nel cervello mi pare piuttosto azzardato e che aiuta poco a comprenderne i meccanismi effettivi. Credo che per capire la coscienza andrebbero studiati i meccanismi con cui si crea una memoria a partire dalle emozioni più semplici, senza memoria non può esservi coscienza.
Citazione di: maral il 19 Maggio 2016, 22:21:03 PMRicordo da vecchi studi che la trasmissione sinaptica è comunque regolata dal trasporto di ioni e che tra le sinapsi vi è in genere uno spazio vuoto in cui vengono rilasciate le molecole dei neurotrasmettitori che attivano il recettore "accendendolo" (anche se vi sono anche delle sinapsi collegate che trasmettono segnali solo elettrici molto più rapidamente, come nei riflessi automatici). (http://i65.tinypic.com/359zbtf.jpg) Difficile dire cosa configura la rete sinaptica, di sicuro (come per la rete dei capillari) il DNA non contiene un messaggio così specifico e dettagliato, sicuramente intervengono fattori chimici, condizionati in qualche modo da aspetti ambientali di contesto rispetto al cervello e dalle sollecitazioni che producono. Probabilmente lo sviluppo dell'intelligenza è determinata ben di più da questi fattori, piuttosto che preordinata dal genoma, anche se è questo che stabilisce l'hardware della struttura generale con lo sviluppo delle aree mediane e corticali che, interagendo reiterativamente con le zone più primitive dell'encefalo, permettono l'apparire della coscienza fondata su un'immagine stabile del sé. In fondo la coscienza prende avvio dall'emozione, l'emozione è già coscienza in potenza, il suo materiale primigenio. Certamente non è una questione topografica, anche se inquadrarla topograficamente aiuta a chiarirne i meccanismi. Pensare a una sorta di nube elettromagnetica che alberga nel cervello mi pare piuttosto azzardato e che aiuta poco a comprenderne i meccanismi effettivi. Credo che per capire la coscienza andrebbero studiati i meccanismi con cui si crea una memoria a partire dalle emozioni più semplici, senza memoria non può esservi coscienza.
Ho visto su Ted la relazione di Damasio che hai indicato,Maral..Fra l'altro lo indicherei davvero di seguirlo per chi fosse scevro
di queste conoscenze,Ted ha una efficace facilitazione per chi non riuscisse a seguire l'inglese parlato,c'è la possibilità di scelta della lingua compreso l'italiano sia come sottotitolo che come testo separato ma che segue in sincronia il filmato,
Per studiare il meccanismo della memoria e del funzionamento biochimico vi sono parecchi testi e penso che anche in internet ci siano diverse e interessanti informazioni. Le imaging anche di Damasio mostrano i collegamenti colorati, una sorta di nube elettromagnetica con diversi colori di enormi quantità di lineee che uniscono e relazioni parti localizzate.
E' ovvio che Damasio essendo un autorevole scienziato in materia dica non più di tanto di quello che osserva,
Paul11 non è certo Damasio e si permette degli azzardi.
Credo poco ad un luogo singolo come localizzazione della coscienza, del SE',che per Damasio è il tronco encefalico.Ma adatto che non scarto nessuna ipotesi e mi piace indagare vorrei capire il motivo.Se fosse solo perchè come mostrano le frecce nel disegno illustrativo, è il centro fisico, una sorta di baricentro dei punti del cervello, ma anche perchè è un punto importante in cui si può essere completamente paralizzati, ma essere in piena coscienza, beh non mi soddisfa.Questo è il punto di flusso del sistema centralle e quello periferico che scende per la colonna vertebrale,è un punto chiave "meccanicamente" se immaginassimo un elettricista che deve far pssare tutti i fili elettrici per collegare l'impianto del corpo umano, ma la coscienza per me nonè direttamente cervello rimango dell'idea che sia ovviamente il substrato necessario fisico, ma la coscienza è ancora fisica ma come il plasma di una lampadina accesa.Mi sbaglierò, come detto il mio è un azzardo.
Oltretutto la sua definizione fisica di coscienza nonmi soddisfa, Damasio dice che nel sonno profondo senza sogno e nel coma non c'è coscienza. nel
sonno ci sono periodi stabiliti ,un metabolismo del sonno,e hanno durata abbastanza precisa in cui le onde alfa,beta, teta e gamma si alternano.E' ristoratore il sonno proprio perchè l'onda elettromagnetica cambia forme. Damasio mi sembra ancora troppo "locale"Ci sono studi che dimostrano non solo come lui ha illustrato con le attivazioni percettive di vista, in alcune aree, tattile in altre e uditive in altre ancora, che concentrazione meditazione e contemplazione attivano altre aree ancora.
In breve, a me interessa relativamente sapere dove è localizzato lo stomaco o il polmone come posizioni dentro un corpo umano perchè non spiega nulla del metabolismo e dei rapporti ad esempio con il sistema circolatorio doppio e completo che arriva ovunque. Cercano il tesoro fisicamente dentro una mappa, io penso che invece non è nella mappa, ma emerge come correlato.
Siamo alle solite, le singole parti funzionali degli apparati compongono il sistema, mi sta bene studiarlo per capire le funzionalità ma se si, dovesse progettare un automobile, un computer, fino ad un corpo umano sono il concetto di insieme innanzitutto che deve funzionare poi i particolari saranno importanti ,ma quel progetto funziona se l'insieme esiste.,
Temo che come studiano ora la coscienza, vale a dire il cervello non ci arriveranno al correlato. Devono azzardare, rischiare un passo avanti per focalizzare le ricerche.Se fossi un ricercatore punterei a tutti i fenomeni correlati dei principi fisici dell'elettromagnetismo dentro larete neurale e sinapsi. Un circuito elettronico di un computer è modellazione dell'onda che passa per diodi raddrizzatori, resistenze, condensatori, , transistor , e ognuno ha delle specificità in funzione di come deve trattare i passaggi del circuito e dove il chip non è altro che innumerevoli di questi elementi nella microcircuitazione,
, è non solo per modulare amperaggio, voltaggio e wattaggio, ci sono induttanze,ecc. e quì è invece applicato a materiale organico.Loro non fanno altro che togliere il coperchio del computer collegare un oscilloscopio e osservare il risultato, Mi rendo conto che farlo su cellule vive di un cervello forse è attualmente impossibile.Ci sono limiti di analisi insomma.
Noi conosciamo molto meglio la fisica applicata all'inorganico e troppo poco di quella organica che ha altre complessità ed enormi potenzialità.
CitazioneOltretutto la sua definizione fisica di coscienza nonmi soddisfa, Damasio dice che nel sonno profondo senza sogno e nel coma non c'è coscienza. nel sonno ci sono periodi stabiliti ,un metabolismo del sonno,e hanno durata abbastanza precisa in cui le onde alfa,beta, teta e gamma si alternano.E' ristoratore il sonno proprio perchè l'onda elettromagnetica cambia forme. Damasio mi sembra ancora troppo "locale"
In questa definizione negativa della coscienza (la coscienza è quello che non c'è nel sonno profondo o sotto anestesia totale), evidentemente Damasio parte da una posizione fenomenologica soggettiva del tutto evidente (e peraltro appropriata al fenomeno coscienza che di base è un fenomeno di pertinenza esclusiva del soggetto che lo oggettivizza proiettandolo in altri soggetti a lui simili, applicando senza saperlo, il test di Turing).
Durante il sonno profondo la mancanza di coscienza è data da una discrepanza evidente nella consequenzialità temporale tra gli stati di coscienza, una sorta di inspiegabile lacuna di memoria che non dà ragione del tempo oggettivamente trascorso. L'associazione coscienza-memoria si mostra così fondamentale. Sarebbe interessante vedere per imaging (certamente sarà già stato fatto) e studiare quali percorsi restano attivi nel cervello durante il sonno profondo, quali aree cerebrali si trovano ancora in comunicazione e quali no (quelle della memoria ad esempio, ammesso che ve ne sia una localizzazione precisa, o quelle della rielaborazione percettiva). In quegli stadi, che la mente cosciente interpreta come assenza della propria coscienza, il corpo continua a reagire in automatico, quindi l'attività dei neuroni continua a sussistere pur non "accendendo" alcuna coscienza. Credo comunque che una localizzazione topografica del fenomeno sia indispensabile per darne una lettura scientifica. Questo ovviamente non significa che il fenomeno sia riducibile a una topografia, ma che occorre partire da una topografia per poterlo scientificamente descrivere localizzando le parti che entrano in gioco e il ruolo che svolgono.
La posizione del tronco encefalico (che mi ricorda un po' quello della ghiandola pineale di Cartesio: il punto fisico ove il corpo incontra l'anima) è significativo nell'ipotesi di Damasio, perché da lì passano tutte le afferenze che provengono da ogni parte del corpo e che nel complesso garantiscono che esso sta mantenendo invariante la propria costante e unitaria omeostasi. E' interessante, perché in questo senso il sé altro non sarebbe che immagine di questa omeostasi corporea per come trova proiezione a livello corticale. Il protagonista che dà senso unitario al filmato che la corteccia cerebrale produce continuamente non sarebbe allora altro che la raffigurazione virtuale dell'omeostasi biochimica del corpo che mantiene stabile i parametri essenziali della propria unità pur mutando continuamente e la coscienza di sé risulterebbe la rilevazione di questa costanza rispetto al mantenimento su base mnestica della sua raffigurazione.
Non sono d'accordo, questa tipologia di coscienza è per un calcolatore elettronica non s'addice all'uomo e c'è una lampante contraddizione. Se le memorie come amigdala e ippocampo sono emotive si dimentica tutta la parte dell'iceberg sommersa, il mondo psichico che fa la differenza con il concetto cognitivo e di calcolo razionale tipicamente della scienza. L'errore ancora una volta della scienza è osservare quello che la loro mente vuole vedere, la superficie dei fenomeni.
Nel sonno si dimentica che il simbolo psichico sostituisce il tipico simbolo logico razionale e questo non è un contrasto fra le due parti, ma semplicemente noi codifichiamo l'informazione come emozione e come logica, sono connaturati e non separabili ed è per questo che noi siamo razionali e irrazionali persino nella sfera della volontà.
La definizione di coscienza che dà la scienza è quella della volontà, mentre ritengo che sia nel sonno profondo che nel coma noi "siamo presenti" in modalità non osservabile dagli attuali strumenti medici.
Se si studiano i cicli del sonno i cambiamenti della forma d'onda elettromagnetica mostrano l'auto manutenzione del cervello .La coscienza non svanisce, non può farlo fin quando l'intero metabolismo automatico del corpo sincronizza tute le parti fisiologiche. I neuroscienziati oggi ,osservano l'emergere dell emergere,.
Un esempio è la medicina orientale che è esattamente il contrario concettualmente, Studiano prima ilflusso energetico e poi scoprono i collegamenti anche lontanissimi come localizzazione del corpo.Per loro un organo malato è dato da un blocco energetico .La coscienza, a mio parere che sono Nessuno ,è più vicina a questa concezione, vale a dire la coscienza è un flusso energetico causato da stati sinaptici e dalla rete dei neuroni. Il campo magnetico non è limitato al corpo materiiale e questa è scienza fisica.
Volevo riprendere la "nuvola" elettromagnetica. Adatto che le neuroscienze sono una disciplina relativamente giovane, un esempio più lampante ci viene dai sistemi informatici, Il cloud, i server i wi-fi, il wireless, tutti concetti e pratiche che sono ormai dentro le nostre case dimostrano che i segnali trasmessi e ricevuti non hanno necessità di continuità fisica materiale di un solido se un fluido come l'aria si "fa passare"Ho la netta impressione che se teorie dei sistemi, cibernetica furono le premesse per la teoria e poi pratica dell'informatica e dei computer, le neuroscienze sono ancora più arretrate, e questo è da una parte paradossale ed è giustificabile dal fatto che è penso difficile se non impossibile attualmente andare oltre le imaging .
Ma questa assunzione che fai di una coscienza di cui non siamo coscienti implicherebbe che qualsiasi meccanismo (o programma che lavora in un computer) è coscienza e le cose si confondono parecchio. Sarebbe cosciente una pianta di quanto avviene nelle sue radici e nelle sue foglie, semplicemente perché vi sono dei meccanismi in atto per la sua autoconservazione, come c'è una coscienza durante la fase del sonno profondo (senza sogni, dunque senza produzioni simboliche di alcun tipo con i significati che ad essi competono nel soggetto), ci sarebbe coscienza in ogni singola cellula del mio corpo che proprio in questo momento sta attuando meccanismi autoconservativi di cui pur tuttavia non sono per nulla cosciente, ma in virtù della mia coscienza posso immaginare e presupporre. E' chiaro che noi parlando di sonno profondo parliamo dal punto di vista della nostra coscienza, ma ne possiamo parlare, ne possiamo essere coscienti, solo da desti, ossia solo in quanto ora non ci troviamo immersi in un sonno profondo ed, essendo desti, lo consideriamo e lo immaginiamo nel suo significato dalla nostra posizione di persone deste che, solo in quanto deste, sono coscienti.
Quando si esce da un'anestesia totale, mi è stato detto, ciò di cui si ha coscienza è solo un vuoto temporale. Certo, capita anche che, in fase di risveglio, si presentino delle immagini, come di una realtà diversa, ma queste sono già proprie di uno stato aurorale di coscienza, non si tratta più di un coma profondo che esprime solo (all'individuo tornato vigile) una totale assenza, poiché in essa nessun significato si presenta, nemmeno allo stato primario di pura emozione, esattamente come, possiamo ritenere, in una macchina algoritmicamente programmata fosse pure per il suo solo funzionare del tutto autoreferente (per il suo mantenersi accesa).
La coscienza è ciò che presenta la cosa come significato di modo che essa possa apparire. Come questo possa accadere la scienza tenta di spiegarlo a partire da ciò che a sua volta interpreta come significativamente osservabile nei suoi termini, ossia alla luce della forma di coscienza che essa instaura a partire dal substrato emotivo originario, prima che dai neuroni.
Mi permetto di rilevare, dal momento che si fa un gran parlare sulla coscienza, che parlarne come di un processo isolato, secondo la prassi scientifica, è un puro atto riduzionista. La coscienza non è un elemento della natura osservabile, è uno stato del nostro essere, della nostra psiche. Trovo singolare che sull'onda dello straordinario ed entusiasmante progresso scientifico si finisca poi col ridurre la coscienza ad un mero oggetto. Non importa da che punto di vista la scienza inquadri il problema, non è un problema scientifico. Non ho tutte queste conoscenze scientifiche, però si sa che l'attività cosciente è circa un decimo dell'attività psichica totale, e per quanto la si possa esplorare rimane sempre un 90% di territorio oscuro che ride di noi mentre tentiamo di illuminare la notte con un fiammifero. Nella mia ignoranza, il tentativo di svelare i segreti della coscienza da un punto di vista puramente neurologico mi pare assai simile a quello di Cesare Lombroso, che voleva individuare i criminali osservandone la forma del cranio. Oppure a quello degli psicometristi di inizio secolo, che volevano misurare le attività psichiche. Questo modo di considerare la coscienza si concentra sull'uomo passivo, come un cadavere da sezionare. A me interessa più l'uomo dal punto di vista attivo, più che indagare le cause della coscienza m'interessa sapere come avere una buona coscienza. Qual'è l'effetto delle nostre azioni sul nostro stato fi coscienza, che azioni produce un certo stato di coscienza, come si possano compiere azioni terribili e comportarsi come se non se ne avesse coscienza, come si perde coscienza, come la si acquista, qual'è l'importanza di avere coscienza, che differenza c'è fra la nostra coscienza e quella dei viventi a noi più simili. Ciò mi parrebbe un parlare sulla coscienza, e non un'autopsia ad un uomo considerato cadavere ancor prima di morire. Anche se in un certo senso un po' lo siamo, si muore ogni giorno un po', vivere è anche un po' morire. Ecco un altro tema: la coscienza della morte.
Chiedo scusa di questa mia intrusione nel mondo scientifico che si era intruso nella mia coscienza.
Maral,
hai un concetto di cooscienza che è quello scientifico, vale adire osservano di un iceberg nemmeno l'emerso, ma a malapena la superficie dell'emerso.
Perchè la psiche si manifesta nel sonno? Perchè la sfera dell'essere desti e vigili implica il ragionamento e la volontà, per il semplice fatto che deambuliamo fisicamente e compiamo degli atti. Se abbiamo memorie anche emotive signiifca che l'informazione esterna viene codificata in forma razionale e in simboli psichici, questi ultimi riemergono quando la sfera della volontà e della ragione è in stand-by. nel sonno profondo senza sogni c'è solo stand-by, o pensiamo che la coscienza appare e sparisce come per incanto?
Anche il nostro metabolismo cambia nel sonno, non solo nel cervello/coscienza e il sonno ha una funzionalità metabolica oppure pensiamo che sia un accidente?
Autoregolazione non equivale a coscienza, L'autoregolazione è la capacità di materiali organici di sintetizzarsi e costruire evolutivamente da un virus all'uomo delle funzionalità Ci vuole un cervello umano con quindi determinate caratteristiche affinchè emerga una coscienza .
CVC
Fai l'errore opposto, non si capisce ontologicamente allora cosa sia coscienza, come se fosse nel retaggio della dicotomia della nostra cultura che divide corpo materiale da spirito.
Da credente io non penso ad un Dio che ogni volta che nasce un uomo deve dispensargli una coscienza "esterna" al corpo materiale, la coscienza è già dentro nell'atto creativo, nella cosmogonia, ovvero è una potenzialità che può emergere dalla materia in determinate condizioni, quindi credo ad una coscienza universale che permea il creato (attenzione a non scambiarmi per animista o panteista).
Io non sostengo che la coscienza è solo materia, semmai emerge dalla materia, ma non credo affatto che sia esterna all'uomo, che"piova dal cielo",perchè se così fosse come fisicamente potremmo relazionarla e utilizzarla?
Non è pensiero, semmai la coscienza produce pensiero, non è cervello, ma emerge da questo, quindi è uno stato materiale energetico che si pone da ponte.
Citazione di: paul11 il 21 Maggio 2016, 16:13:12 PM
CVC
Fai l'errore opposto, non si capisce ontologicamente allora cosa sia coscienza, come se fosse nel retaggio della dicotomia della nostra cultura che divide corpo materiale da spirito.
Da credente io non penso ad un Dio che ogni volta che nasce un uomo deve dispensargli una coscienza "esterna" al corpo materiale, la coscienza è già dentro nell'atto creativo, nella cosmogonia, ovvero è una potenzialità che può emergere dalla materia in determinate condizioni, quindi credo ad una coscienza universale che permea il creato (attenzione a non scambiarmi per animista o panteista).
Io non sostengo che la coscienza è solo materia, semmai emerge dalla materia, ma non credo affatto che sia esterna all'uomo, che"piova dal cielo",perchè se così fosse come fisicamente potremmo relazionarla e utilizzarla?
Non è pensiero, semmai la coscienza produce pensiero, non è cervello, ma emerge da questo, quindi è uno stato materiale energetico che si pone da ponte.
Non intendo spiegare ontologicamente la coscienza che è un'intuizione, se non c'è riuscito nessun filosofo perché dovrei provarci io? Ne tanto meno mi pongo il problema di un Dio che debba dispensare la coscienza ad ogni uomo che nasce. Dico solo che non dovremmo continuare a chiederci cos'è la coscienza mentendo a noi stessi: lo sappiamo benissimo. Qualsiasi spiegazione razionale avviene a posteriori, spiega ciò che è già avvenuto. Nessuna spiegazione razionale potrà mutare ciò che abbiamo appreso intuitivamente la prima volta che abbiamo scoperto di avere una coscienza. Potrà reinterpretarlo, riorganizzarlo, ma non mutare la natura intuitiva di tale apprendimento.
paul11
Non so, mi pare evidente che l'attività cosciente non è in atto nel sonno profondo (mentre lo è nel fase in cui si sogna), questo non significa che il corpo non continui a funzionare e non mantenga la possibilità di essere cosciente una volta che si sveglia o che si comincia a sognare. C'è un mare di cose del nostro corpo di cui non siamo coscienti e che pur tuttavia sussistono continuamente: i globuli rossi che circolano nel sangue, gli scambi osmotici delle cellule, tutta l'attività cellulare, compresa la morte continua delle nostre cellule e la produzione di nuove, la stessa trasmissione degli impulsi nervosi... noi vediamo solo il risultato di tutto questo e a partire da questo risultato interpretiamo tutto il resto, siamo sempre solo sulla superficie dell'iceberg, quando ci siamo.
La coscienza è un particolare tipo di attività che necessita di un cervello, di un corpo e di un ambiente in cui quel corpo vive e di cui partecipa in un certo modo, come camminare che è un altro tipo di attività che non si effettua quando si sta seduti. Definire la coscienza come ciò che viene a mancare nel sonno profondo è come definire il camminare come ciò che non accade quando si sta seduti, il che non comporta che quando ci si rialza non ci si possa rimettere in cammina, semplicemente quell'attività resta latente.
CVC
La coscienza è perfettamente osservabile, è la cosa che osserviamo come continua presenza di noi stessi. Questo non significa che sia comprensibile o definibile dall'attuale neurologia, ma non esclude che la neurologia non ne possa dare interpretazione. La coscienza non è un oggetto, ma un'attività soggettiva di cui il neurologo tenta di descrivere il meccanismo con il suo linguaggio che necessita di una topografia. La cosa eccezionale è che qui il neurologo non prende un cadavere per esplorare l'attività cosciente, non fa nessuna autopsia, ma può vederla proprio mentre questa è in atto, lo può fare su un corpo vivente e cosciente e descriverla di conseguenza. Ed è molto interessante che venga a descriverla nei termini di un'interazione reiterata che ha per oggetto di riferimento costante la biostasi del corpo preso come un intero, l'immagine del mantenimento invariato della biostasi corporea per come essa viene a raffigurarsi a livello corticale. Questa descrizione ha un significato profondo (anche in termini filosofici) che ricollega, nella coscienza, l'attività neurale fino alla corteccia cerebrale all'attività di tutto il corpo nell'ambiente in cui vive e alla sua storia vissuta.
Certo, il tipo di linguaggio è riduttivo, la topologia che il neurologo adotta è riduttiva, non può non esserlo, ma questo vale per qualsiasi linguaggio con il quale si tenti di descrivere il fenomeno, a meno di non mantenersi in un ambito di termini del tutto vaghi e generali.
Citazione di: maral il 22 Maggio 2016, 09:44:50 AMpaul11
Non so, mi pare evidente che l'attività cosciente non è in atto nel sonno profondo (mentre lo è nel fase in cui si sogna), questo non significa che il corpo non continui a funzionare e non mantenga la possibilità di essere cosciente una volta che si sveglia o che si comincia a sognare. C'è un mare di cose del nostro corpo di cui non siamo coscienti e che pur tuttavia sussistono continuamente: i globuli rossi che circolano nel sangue, gli scambi osmotici delle cellule, tutta l'attività cellulare, compresa la morte continua delle nostre cellule e la produzione di nuove, la stessa trasmissione degli impulsi nervosi... noi vediamo solo il risultato di tutto questo e a partire da questo risultato interpretiamo tutto il resto, siamo sempre solo sulla superficie dell'iceberg, quando ci siamo.
La coscienza è un particolare tipo di attività che necessita di un cervello, di un corpo e di un ambiente in cui quel corpo vive e di cui partecipa in un certo modo, come camminare che è un altro tipo di attività che non si effettua quando si sta seduti. Definire la coscienza come ciò che viene a mancare nel sonno profondo è come definire il camminare come ciò che non accade quando si sta seduti, il che non comporta che quando ci si rialza non ci si possa rimettere in cammina, semplicemente quell'attività resta latente.
CVC
La coscienza è perfettamente osservabile, è la cosa che osserviamo come continua presenza di noi stessi. Questo non significa che sia comprensibile o definibile dall'attuale neurologia, ma non esclude che la neurologia non ne possa dare interpretazione. La coscienza non è un oggetto, ma un'attività soggettiva di cui il neurologo tenta di descrivere il meccanismo con il suo linguaggio che necessita di una topografia. La cosa eccezionale è che qui il neurologo non prende un cadavere per esplorare l'attività cosciente, non fa nessuna autopsia, ma può vederla proprio mentre questa è in atto, lo può fare su un corpo vivente e cosciente e descriverla di conseguenza. Ed è molto interessante che venga a descriverla nei termini di un'interazione reiterata che ha per oggetto di riferimento costante la biostasi del corpo preso come un intero, l'immagine del mantenimento invariato della biostasi corporea per come essa viene a raffigurarsi a livello corticale. Questa descrizione ha un significato profondo (anche in termini filosofici) che ricollega, nella coscienza, l'attività neurale fino alla corteccia cerebrale all'attività di tutto il corpo nell'ambiente in cui vive e alla sua storia vissuta.
Certo, il tipo di linguaggio è riduttivo, la topologia che il neurologo adotta è riduttiva, non può non esserlo, ma questo vale per qualsiasi linguaggio con il quale si tenti di descrivere il fenomeno, a meno di non mantenersi in un ambito di termini del tutto vaghi e generali.
L'interpretazione neurologica della coscienza è un osservare dal di fuori, ma la coscienza è un qualcosa che agisce dal di dentro. Per me la cosa importante della coscienza è il contenuto: pensieri, sentimenti, sensazioni, emozioni. E' questa la parte interessante della coscienza, non il suo manifestarsi fisicamente. Se l'uomo è libero lo è nella misura in cui può interagire col proprio mondo interiore consapevolizzando le proprie aspirazioni e le proprie avversioni, realizzando a cosa deve aspirare e cosa deve evitare. Che si possa studiare tutta la struttura del cervello ed il comportamento neurologico per poi magare trovare farmaci che rendano l'uomo sempre felice o sempre tranquillo e comunque sempre nello stato ideale, questo potrà essere possibile. E' come nel film "Arancia meccanica", la "cura lodovico" fa diventare buoni i cattivi. Poi interviene il prete chiedendo: "Sì, ma che ne è della libertà?"
Per carità è giusto che ognuno abbia un suo parere e che quindi la coscienza venga argomentata anche da un punto di vista filosofico(anzi è doveroso).ma dobbiamo sapere che è limitato discuterne solo da un punto di vista.
La filosofia non può estraniarsi dalla conoscenza in generale che acquisisce l'umanità dentro la storia.
Possiamo esser ignoranti quando pigiamo un tasto della tastiera di un computer e non sapere che esistono codic ascii fin al linguaggio macchina ,fino al fatto "materiale" che ogni lettera corrispondente ad un tasto apre e chiude dei circuiti elettronici.
Possiamo anche essere ignoranti come emerga la vita: insomma il mondo va avanti lo stesso.. c'è vita e c'è coscienza.
Personalmente invece sono affascinato e incuriosito da come emerga vita umana da due gameti organici, da come emerga coscienza da materaiale cerebrale, dalle forme di codificazione e decodifcazione della materia/energia
Ma dobbiamo anche sapere che se filosofia e scienza non ne parlano, non dobbiamo stupirci che ne parlino da sempre esoterismo e dottrine ermetiche, perchè la domanda sulle "trasmutazioni" è antica quanto l'uomo e l'alchimia prima della chimica ne cercava a suo modo e con un suo linguaggio i segreti.
Le parole di Damasio, nel documento linkato da maral, sono interessanti.
Riporto in particolare qualche passo.
Innanzitutto, un chiaro riconoscimento dei limiti della ricerca in campo neurologico:
CitazioneDopo la meraviglia, passiamo al mistero. Questo è un mistero che è stato estremamente difficile chiarire.Fin dagli albori della filosofia e certamente attraverso la storia della neuroscienza, è stato un mistero che ha sempre resistito ai chiarimenti, e ha creato enormi controversie. Sono in molti a ritenere che non dovrebbe nemmeno essere toccato; dovremmo lasciarlo irrisolto poiché tale deve rimanere. Io non sono d'accordo e credo che le cose stiano cambiando. Sarebbe ridicolo affermare che noi sappiamo come si forma la coscienza all'interno del cervello, ma possiamo certamente studiare la questione e cominciare a intravvedere una soluzione.
Intravedere una soluzione, dice Damasio, e più avanti individua esattamente qual è il nodo cruciale: l'esistenza e la formazione del
Sé.
CitazioneMa c'è qualcos'altro che tutti stiamo vivendo in questa stanza. Noi non gestiamo passivamente le immagini visive, uditive e tattili. Noi abbiamo un sé. Noi abbiamo un Me, che è automaticamente presente nella nostra mente, proprio ora. Siamo padroni della nostra mente, e percepiamo che ognuno di noi sta vivendo questo fenomeno - non la persona seduta di fianco a voi. Quindi, per avere una mente cosciente, dobbiamo avere un sé dentro la mente cosciente. Una mente cosciente possiede un sé al proprio interno. Il sé introduce nella mente il punto di vista soggettivo, e noi siamo completamente coscienti solo quando riconosciamo il sé. Ciò che dobbiamo sapere per iniziare a studiare questo mistero è, prima di tutto, come è formata la mente all'interno del cervello e, seconda cosa, come è formato il sé.
[...]
Ma cosa possiamo dire del sé? Il sé è il vero problema inafferrabile. E per molto tempo la gente si rifiutava di affrontarlo perché diceva: "Come puoi avere il punto di riferimento, la stabilità, che è necessaria a mantenere la continuità del sé, un giorno dopo l'altro?" Io ho pensato a una soluzione a questo problema. E' la seguente: noi generiamo mappe del cervello, dell'interno del corpo, e le usiamo come referenti per tutte le altre mappe.
Condivido il ragionamento seguito da Damasio fino al riconoscimento del Sé che sta "all'interno della nostra mente".
Trovo invece che la soluzione, quella delle mappe registrate nel tronco encefalico, benché sia molto interessante, non riesca a spiegare la formazione del Sé, cioè il problema dei problemi.
Una mappa è solo una mappa.
Una mappa non è il territorio, innanzitutto. La mappa è un'astrazione del territorio, il quale muta costantemente, anche se la mappa mantiene una certa stabilità. Ad esempio una mappa di Roma può restare la stessa per anni, benché la città reale muti istante per istante...
In secondo luogo, una mappa richiede un soggetto che la legga e la interpreti.
Una mappa non si legge da sola, non ha la consapevolezza di essere ciò che rappresenta, una mappa di Roma non pensa di essere Roma...Pertanto, sarebbe un circolo vizioso affermare che le mappe registrate nel tronco encefalico formino quel Sé che è proprio il soggetto capace di leggerle...
Ripeto, non intendo sminuire il lavoro di Damasio che invece mi sembra interessante, ma vedo nelle sue idee forse la soluzione non per la formazione del Sé, ma di
come il Sé si interfacci con il cervello e con il corpo.
Perché anche se, come io credo,
il Sé sta altrove, un'interfaccia deve pur esserci, problema che già Cartesio si poneva e che pensava di averlo risolto con la ghiandola pineale.
A meno che il Sé non sia appunto una mappa... capace di leggere se stessa.
In realtà mi pare che comunque Damasio instauri un dualismo per spiegare il Sé: nel tronco encefalico c'è la mappa, ma la rappresentazione avviene nella corteccia che la riceve e la riflette al corpo attraverso il tronco encefalico (dunque a ciò che la mappa rappresenta) come "me stesso" da mantenere. E' proprio questa continua interazione reiterata tra la mappa e la sua rappresentazione corticale che costituisce il me stesso. In questo senso il Sé non è un qualcosa di reificabile, ma una sorta di relazione continua e costante tra tronco e corteccia. Se questa costanza viene a cadere il corpo agisce per recuperarla (recuperare se stessi) e, se non ci riesce, l'organismo muore.
Gli scienziati seri comunque sanno sempre ben vedere e riconoscere i limiti delle loro discipline, a differenza degli apprendisti stregoni (anche se di successo) che si vogliono far credere scienziati, ma sono spesso solo scientisti.
Citazione di: maral il 01 Giugno 2016, 23:58:52 PM
A meno che il Sé non sia appunto una mappa... capace di leggere se stessa.
In realtà mi pare che comunque Damasio instauri un dualismo per spiegare il Sé: nel tronco encefalico c'è la mappa, ma la rappresentazione avviene nella corteccia che la riceve e la riflette al corpo attraverso il tronco encefalico (dunque a ciò che la mappa rappresenta) come "me stesso" da mantenere. E' proprio questa continua interazione reiterata tra la mappa e la sua rappresentazione corticale che costituisce il me stesso. In questo senso il Sé non è un qualcosa di reificabile, ma una sorta di relazione continua e costante tra tronco e corteccia. Se questa costanza viene a cadere il corpo agisce per recuperarla (recuperare se stessi) e, se non ci riesce, l'organismo muore.
Gli scienziati seri comunque sanno sempre ben vedere e riconoscere i limiti delle loro discipline, a differenza degli apprendisti stregoni (anche se di successo) che si vogliono far credere scienziati, ma sono spesso solo scientisti.
Anche altre volte hai espresso chiaramente questo concetto, ossia che la coscienza possa sorgere dalle interazioni continue e reiterate delle diverse aree del cervello etc. Capisco che questa possa essere la migliore delle soluzioni congetturabili in un'ottica riduzionista, ma sinceramente non è che mi convinca molto. Faccio fatica a comprendere come dalla reiterazione di determinati processi fisici possa sorgere qualcosa di completamente diverso, come il fenomeno cosciente. Per dirla con una metafora, che non vuol essere irrisoria, sarebbe come mettere di fronte due specchi con un oggetto nel mezzo, e pensare che oltre alle infinite riflessioni di quell'oggetto possa spuntare qualche altra immagine...
Ma c'è un'altra questione irrisolta, ed è irrisolta non solo per la soluzione che proponi tu, ma anche per qualunque altra soluzione che preveda la nascita della coscienza dal nulla. Anche per la tradizionale concezione dell'anima creata da Dio.
Mi riferisco al mistero dell'individuazione. Immaginiamo gli esseri umani che escono dalla catena di montaggio della Natura (o di Dio): uno, due, tre... N...
Ecco, arrivati a N, quello sono io. Non uno, o dieci o cento prima, e neanche dopo. Proprio N.Non c'è nessun rapporto di necessità fra l'ennesimo corpo prodotto dalla natura e il mio io. Potevo nascere prima, o dopo, o in un corpo d'animale, o anche mai, che anzi sarebbe la cosa più "naturale". Eppure ci sono.Ecco, è questa la domanda a cui io sento (tormentosamente) di dover rispondere. Tutto il resto, interessa ben poco.
CitazioneContrariamente a quanto sostiene Damasio (che fra l' altro secondo me confonde coscienza ed autocoscienza) il sé non è "dentro" la mente; invece dentro la mente ci sono (ovvero la mente è costituita da sensazioni interiori di) sentimenti, "stati d' animo, ricordi, pensieri, predicati, credenze, desideri, speranze, paure, ecc.
Tutte queste cose non sono il "sé" (me, nel caso della mia propria coscienza), ma invece esperienze mentali che possono essere considerate (non dimostrate) essere proprie del sé, essere esperite dal sè.
Il sé (l' io, nel caso della esperienza cosciente mia propria) come soggetto delle sensazioni "interiori" o mentali (e anche di quelle materiali o "esteriori") può essere (se c'è, come credo; ma non può essere dimostrato a partire dalle esperienze coscienti; né men che meno mostrato al loro "interno") un 'entità ulteriore non fenomenica (non costituita da sensazioni, mentali o materiali) e reale anche allorché sensazioni non accadono, non vi sono (nel sonno senza sogno non esiste la "mia propria" esperienza cosciente, ma se io esisto come suo soggetto, allora bisogna che continui ad esistere anche nel sonno senza sogni, perché altrimenti non esisterebbe l' esperienza cosciente "mia propria" in quanto un "unicum", per quanto "spezzettato" dal sonno senza sogni, bensì esisterebbero tante distinte, separate e incomunicanti, reciprocamente trascendenti esperienze coscienti quanti sono gli intervalli ininterrotti fra un sonno senza sogni e l' altro: se il "sé" fosse, come sostiene Damasio, contenuto nell' esperienza cosciente, allora ve ne sarebbero tanti reciprocamente separati e distinti -"sé Tizio", "sé Caio", sé Sempronio", ecc.- quanti sono tali intervalli coscienti.
L' omeostasi intorno a (non troppo lontano da) determinati valori medi di vari parametri fisici e chimici vitali, allontanandosi eccessivamente dai quali ci si ammala o addirittura si muore, regolata da certi determinati centri nervosi ubicati nel tronco encefalico, di cui parla Damasio identificandola con il sé é sostanzialmente identica in ogni persona umana (e in molti individui di tantissime altre specie animali), mentre il "sè" di ciascuno di noi è molto diverso da quello di ciascun altro: la sua spiegazione manca completamente il bersaglio!
Per la "chiusura causale del mondo fisico" la corteccia cerebrale (o il sistema tronco-corteccia considerato da Damasio), che è un oggetto fisico, è in interazione causale unicamente con il resto del mondo fisico e non esercita né subisce effetti in relazione alla (da o sulla) nostra mente (la quale corrisponde nel divenire suo proprio -mentale- al suo -cerebrale- funzionamento): è condizionata unicamente dagli eventi del mondo in cui viviamo tramite gli impulsi nervosi che le arrivano dagli organi di senso (e in parte da quelli che le derivano da essa stessa o da altre parti del cervello precedentemente "condizionati" dall' esperienza esterna: ricordi, abitudini, tendenze comportamentali, "vizi", "virtù", ecc.) e condiziona unicamente il nostro comportamento tramite gli impulsi nervosi che invia ai muscoli somatici (e in qualche caso alle ghiandole): non produce in alcun modo la nostra coscienza, ma solo movimenti muscolari (e secrezioni ghiandolari).
La neurologia può solo studiare il funzionamento del cervello e le correlazioni fra esso e l' esperienza cosciente: è molto, è interessante ed è importante per le ragioni illustrate da Damasio, ma non è la spiegazione della natura "ontologica" del nesso esistente fra mente cosciente e cervello; questo è un problema non scientifico (neurologico) bensì filosofico, "eccedente la scienze naturali", letteralmente "metafisico".
Infatti le interazioni da Damasio descritte fra tronco encefalico e corteccia (e fra essi e recettori sensoriali ed effettori muscolari), le "mappe" di cui parla sono tutt' altra cosa dall' esperienza cosciente (che pure non può accadere se non "in maniera determinatamente correlata ad esse", ma senza identificarvisi in alcun modo o in alcun senso).
Non può accadere il fatto che uno sia innamorato di una certa persona o che pensi alla dimostrazione di un teorema di geometria (nell' ambito della sua propria esperienza cosciente di potenziale o attuale, per lo più indirettamente, "osservato") senza che accadano certi determinati eventi neurologici (ben diversi in ciascuno dei due casi considerati) e solo quelli nel "suo" cervello (nell' ambito di altre esperienze coscienti diverse dalla sua, di "osservatori" almeno potenziali ed eventualmente attuali, per lo più indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale di cui Damasio ha fornito qualche esemplificazione); ma si tratta di eventi ben diversi: l' amore o un ragionamento matematico (o filosofico) nell' ambito della coscienza di un innamorato o di un ragionatore sono certe "cose"; le attivazioni di determinate vie nervose percorse da potenziali d' azione e i determinati insiemi di trasmissioni trans-sinaptiche che vi corrispondono necessariamente nei cervelli (dell' innamorato e del ragionatore; esperiti nell' ambito di altre coscienze, di "osservatori") sono tutt' altre, diversissime "cose", che all' amore e al ragionamento rispettivamente non assomigliano manco per niente!
Quelle suggestive immagini di fRM mostrate da Damasio erano tutt' altra cosa da ciò che sentiva e/o pensava il soggetto scansionato: forse amore? Forse ricordi del suo passato? Forse un calcolo matematico o un altro ragionamento? Forse la soddisfazione per una recente vittoria del suo sportivo preferito? Forse una preoccupazione per il suo lavoro? Forse ecc.?)!
Sono sostanzialmente d'accordo con le osservazioni contenute nell'ultimo intervento di Sgiombo.
L'unica cosa che mi differenzia, e sulla quale abbiamo già discusso "accanitamente" altrove (per cui non vale la pena tornarci sopra qui) è il Sé. Io ritengo che non si possano dare esperienze coscienti senza il Sé: io intendo il Sé come il substrato della coscienza su cui si proiettano le esperienze coscienti. Per usare un'immagine, il Sé è come un foglio bianco su cui si "scrivono" parole, simboli, disegni etc che sono appunto le esperienze coscienti. Senza quel foglio bianco, non ci sarebbe il supporto per il verificarsi delle esperienze coscienti.
A mio avviso la coscienza è un substrato che pervade l'intero universo (forse potremmo dire che è la vera e propria "materia prima" dell'universo) e che si individualizza in maniera diversa a seconda dei diversi corpi materiali in cui si "incarna". L'individualizzazione è molto spinta nel caso dell'uomo, e lo è molto meno nel caso degli animali, e sempre meno via via che si scende nella gerarchia. Per gli animali inferiori (insetti, ad esempio) l'individualizzazione è pressoché nulla, ma esiste una sorta di coscienza collettiva di specie o di gruppo; e nell'uomo, l'ancestrale coscienza di gruppo si manifesta come inconscio collettivo.
Citazione di: Loris Bagnara il 06 Giugno 2016, 11:21:54 AM
Sono sostanzialmente d'accordo con le osservazioni contenute nell'ultimo intervento di Sgiombo.
L'unica cosa che mi differenzia, e sulla quale abbiamo già discusso "accanitamente" altrove (per cui non vale la pena tornarci sopra qui) è il Sé. Io ritengo che non si possano dare esperienze coscienti senza il Sé: io intendo il Sé come il substrato della coscienza su cui si proiettano le esperienze coscienti. Per usare un'immagine, il Sé è come un foglio bianco su cui si "scrivono" parole, simboli, disegni etc che sono appunto le esperienze coscienti. Senza quel foglio bianco, non ci sarebbe il supporto per il verificarsi delle esperienze coscienti.
CitazioneCredo anch' io che concordiamo almeno su gran parte della "pars destruens" (destruens dell' "ideologia corrente", come la potremmo considerare, del materialismo della stragrande maggioranza dei neurologi e cultori di scienze cognitive, nonché di non pochi filosofi della mente).
Per precisare meglio le mie convinzioni devo dire che anch' io ritengo reale il "sè", soggetto delle sensazioni fenomeniche coscienti (sia esteriori o materiali che interiori o mentali; ed insieme anche oggetto di quelle mentali), nonché gli oggetti di esse (diversi dal "sé" nel caso di quelle materiali), entrambi in quanto "cose in sé" o "noumeno".
Solo ci tengo a precisare che la loro esistenza reale la si può credere immotivatamente, per fede e non dimostrare né tantomeno mostrare.
Colgo l' occasione per fare un' altra precisazione.
Nel precedente intervento scrivevo:
Infatti le interazioni da Damasio descritte fra tronco encefalico e corteccia (e fra essi e recettori sensoriali ed effettori muscolari), le "mappe" di cui parla sono tutt' altra cosa dall' esperienza cosciente (che pure non può accadere se non "in maniera determinatamente correlata ad esse", ma senza identificarvisi).
Non può accadere il fatto che uno sia innamorato di una certa persona o che pensi alla dimostrazione di un teorema di geometria (nell' ambito della sua propria esperienza cosciente di potenziale o attuale, per lo più indirettamente, "osservato") senza che accadano certi determinati eventi neurologici (ben diversi in ciascuno dei due casi considerati) e solo quelli nel "suo" cervello (nell' ambito di altre esperienze coscienti diverse dalla sua, di "osservatori" almeno potenziali ed eventualmente attuali, per lo più indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale di cui Damasio ha fornito qualche esemplificazione); ma si tratta di eventi ben diversi: l' amore o un ragionamento matematico (o filosofico) nell' ambito della coscienza di un innamorato o di un ragionatore sono certe "cose"; le attivazioni di determinate vie nervose percorse da potenziali d' azione e i determinati insiemi di trasmissioni trans-sinaptiche che vi corrispondono necessariamente nei cervelli (dell' innamorato e del ragionatore; esperiti nell' ambito di altre coscienze, di "osservatori") sono tutt' altre, diversissime "cose", che all' amore e al ragionamento rispettivamente non assomigliano manco per niente!
Quelle suggestive immagini di fRM mostrate da Damasio erano tutt' altra cosa da ciò che sentiva e/o pensava il soggetto scansionato: forse amore? Forse ricordi del suo passato? Forse un calcolo matematico o un altro ragionamento? Forse la soddisfazione per una recente vittoria del suo sportivo preferito? Forse una preoccupazione per il suo lavoro? Forse ecc.?)!
Ad affermazioni come questa qualcuno ha obiettato che mente e cervello sarebbero la stessa cosa conosciuta "rozzamente" (secondo il "senso comune") e "con raffinatezza scientifica" rispettivamente, nello stesso senso nel quale sono la stessa cosa fulmini e scariche elettriche.
In realtà l' obiezione non é pertinente.
Infatti:
a) nell' ambito della realtà fisica - materiale non può darsi scarica elettrica nell' atmosfera senza che si dia (essendo la stessa cosa) un fulmine (o un lampo), mentre nell' ambito della realtà fisica si dà cervello senza mente (che dalla realtà fisica "esula", non ne fa parte per la chiusura causale del mondo fisico): la scienza fisica sarebbe falsa se ogni fulmine non coincidesse, non si identificasse con una scarica elettrica, mentre sarebbe perfettamente vera se -per assurdo- qualcuno di noi fosse una sorta di zombi privo di coscienza, cioé se ci fossero cervelli senza che ci siano esperienze coscienti ad essi correlate;
b) mentre fulmini e scariche elettriche nell' atmosfera, essendo "la stessa cosa", accadono come oggetti di sensazione nell' ambito delle medesime esperienze fenomeniche coscienti (tutte le volte che chiunque vede un fulmine, egli vede una scarica elettrica nell' atmosfera), invece cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti, essendo "cose diverse", avvengono nell' ambito di esperienze fenomeniche coscienti diverse: il mio cervello nell' ambito della tua esperienza cosciente, le mie sensazioni al mio cervello puntualmente ed univocamente corrispondenti (n.b.: e non identiche), come dimostrato dalle neuroscienze, nell' ambito della mia esperienza cosciente.
Citazione di: Loris Bagnara il 02 Giugno 2016, 14:53:33 PM
Ma c'è un'altra questione irrisolta, ed è irrisolta non solo per la soluzione che proponi tu, ma anche per qualunque altra soluzione che preveda la nascita della coscienza dal nulla. Anche per la tradizionale concezione dell'anima creata da Dio.
Mi riferisco al mistero dell'individuazione. Immaginiamo gli esseri umani che escono dalla catena di montaggio della Natura (o di Dio): uno, due, tre... N... Ecco, arrivati a N, quello sono io. Non uno, o dieci o cento prima, e neanche dopo. Proprio N.
Non c'è nessun rapporto di necessità fra l'ennesimo corpo prodotto dalla natura e il mio io. Potevo nascere prima, o dopo, o in un corpo d'animale, o anche mai, che anzi sarebbe la cosa più "naturale". Eppure ci sono.
Ecco, è questa la domanda a cui io sento (tormentosamente) di dover rispondere. Tutto il resto, interessa ben poco.
Io questa domanda la metterei in un altro modo, non perché io in questo corpo, ma semplicemente perché io. Infatti se io fossi in un altro degli innumerevoli esistenti di questo mondo, semplicemente non sarei io. Dunque la vera domanda è perché invece io ci sono e, per quanto si possa tentare di farsene una ragione, temo che, proprio in quanto ci sono, la risposta non posso vederla. La mia esistenza è il punto da cui mi muovo, non posso mai essere fuori di essa da poterla vedere e se la considero è solo dal punto di vista della mia esistenza dalla quale, per sapere il perché c'è dovrei esserne fuori.
CitazioneL' omeostasi intorno a (non troppo lontano da) determinati valori medi di vari parametri fisici e chimici vitali, allontanandosi eccessivamente dai quali ci si ammala o addirittura si muore, regolata da certi determinati centri nervosi ubicati nel tronco encefalico, di cui parla Damasio identificandola con il sé é sostanzialmente identica in ogni persona umana (e in molti individui di tantissime altre specie animali), mentre il "sè" di ciascuno di noi è molto diverso da quello di ciascun altro: la sua spiegazione manca completamente il bersaglio!
Non mi trovo d'accordo con questa obiezione: perché mai la coscienza dovrebbe essere identica nell'ipotesi di Damasio? E' identica nel meccanismo generale e di base in cui si attua, ma è ben diversa nel contenuto specifico e concreto, dato che diversa è sempre la situazione e la condizione biochimica di quel corpo (afferito come informazione nel tronco encefalico), come sempre diversa è la condizione in cui si trova la corteccia nel contesto biochimico in cui quel corpo la esprime. E' cioè diverso sia il modo di allontanarsi dal punto di equilibrio omeostatico, sia di riflettere questo allontanamento in ogni particolare situazione per tentare diversamente di recuperarlo, mentre è identica solo la necessità di doverlo mantenere. Dire che dovrebbe essere sempre identica è come dire che tutte le fotografie dovrebbero essere identiche giacché in fin dei conti il modo per scattare una foto è sempre quello.
La questione fondamentale che entrambi ponete resta comunque il rapporto mente (intesa come facoltà di pensarsi) - corpo (inteso come funzionalità biologica). E' certamente un problema, ma si può non vederlo come un problema, come fa Searle (con il quale per certi versi mi trovo abbastanza d'accordo) che dice che il problema mente - corpo è come quello della liquidità dell'acqua, ossia lo si risolve pensandolo come un'emergenza dei fenomeni neuronici e in fondo mente e corpo sono lo stesso fenomeno descritto in due modi diversi, dunque non c'è nessuna difficoltà ad ammettere che la coscienza è un fenomeno assolutamente irriducibile e del tutto biologico. Ovviamente a questo punto il filosofo (e forse anche il neurologo) dovrebbe chiedersi perché mai c'è questa duplicità descrittiva e non solo come accade (cosa di cui la scienza si occupa, senza avere ancora comunque del tutto risolto). Ossia dovrebbe chiedersi perché e in base a che cosa un fenomeno del tutto biologico può vedere (immaginare) se stesso, come se fosse in grado di porsi fuori da se stesso, dal suo reale biologico accadere. Da dove salta fuori l'osservatore che osserva la sua biologia a partire da nient'altro che la sua biologia e fermo restando che è la sua biologia (perché se fosse qualcos'altro, tipo anima immateriale, sarebbe sicuramente, sono d'accordo, una faccenda paradossale)?
E' questo mi suona sconvolgente e su questo mi sembra che Searle, vittima forse del suo punto di vista pragmatico, passi troppo tranquillamente oltre, non vedendolo per nulla come un problema.
Comunque lascio parlare il filosofo, che così si esprime sulla coscienza nel suo intervento a TED:
http://www.ted.com/talks/john_searle_our_shared_condition_consciousnessAnche questo intervento è molto interessante (e pure brillante, come sanno sempre essere i pragmatisti).
Citazione di: maral il 07 Giugno 2016, 22:46:21 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 02 Giugno 2016, 14:53:33 PM
Ma c'è un'altra questione irrisolta, ed è irrisolta non solo per la soluzione che proponi tu, ma anche per qualunque altra soluzione che preveda la nascita della coscienza dal nulla. Anche per la tradizionale concezione dell'anima creata da Dio.
Mi riferisco al mistero dell'individuazione. Immaginiamo gli esseri umani che escono dalla catena di montaggio della Natura (o di Dio): uno, due, tre... N... Ecco, arrivati a N, quello sono io. Non uno, o dieci o cento prima, e neanche dopo. Proprio N.
Non c'è nessun rapporto di necessità fra l'ennesimo corpo prodotto dalla natura e il mio io. Potevo nascere prima, o dopo, o in un corpo d'animale, o anche mai, che anzi sarebbe la cosa più "naturale". Eppure ci sono.
Ecco, è questa la domanda a cui io sento (tormentosamente) di dover rispondere. Tutto il resto, interessa ben poco.
Io questa domanda la metterei in un altro modo, non perché io in questo corpo, ma semplicemente perché io. Infatti se io fossi in un altro degli innumerevoli esistenti di questo mondo, semplicemente non sarei io. Dunque la vera domanda è perché invece io ci sono e, per quanto si possa tentare di farsene una ragione, temo che, proprio in quanto ci sono, la risposta non posso vederla. La mia esistenza è il punto da cui mi muovo, non posso mai essere fuori di essa da poterla vedere e se la considero è solo dal punto di vista della mia esistenza dalla quale, per sapere il perché c'è dovrei esserne fuori.
CitazioneL' omeostasi intorno a (non troppo lontano da) determinati valori medi di vari parametri fisici e chimici vitali, allontanandosi eccessivamente dai quali ci si ammala o addirittura si muore, regolata da certi determinati centri nervosi ubicati nel tronco encefalico, di cui parla Damasio identificandola con il sé é sostanzialmente identica in ogni persona umana (e in molti individui di tantissime altre specie animali), mentre il "sè" di ciascuno di noi è molto diverso da quello di ciascun altro: la sua spiegazione manca completamente il bersaglio!
Non mi trovo d'accordo con questa obiezione: perché mai la coscienza dovrebbe essere identica nell'ipotesi di Damasio? E' identica nel meccanismo generale e di base in cui si attua, ma è ben diversa nel contenuto specifico e concreto, dato che diversa è sempre la situazione e la condizione biochimica di quel corpo (afferito come informazione nel tronco encefalico), come sempre diversa è la condizione in cui si trova la corteccia nel contesto biochimico in cui quel corpo la esprime. E' cioè diverso sia il modo di allontanarsi dal punto di equilibrio omeostatico, sia di riflettere questo allontanamento in ogni particolare situazione per tentare diversamente di recuperarlo, mentre è identica solo la necessità di doverlo mantenere. Dire che dovrebbe essere sempre identica è come dire che tutte le fotografie dovrebbero essere identiche giacché in fin dei conti il modo per scattare una foto è sempre quello.
La questione fondamentale che entrambi ponete resta comunque il rapporto mente (intesa come facoltà di pensarsi) - corpo (inteso come funzionalità biologica). E' certamente un problema, ma si può non vederlo come un problema, come fa Searle (con il quale per certi versi mi trovo abbastanza d'accordo) che dice che il problema mente - corpo è come quello della liquidità dell'acqua, ossia lo si risolve pensandolo come un'emergenza dei fenomeni neuronici e in fondo mente e corpo sono lo stesso fenomeno descritto in due modi diversi, dunque non c'è nessuna difficoltà ad ammettere che la coscienza è un fenomeno assolutamente irriducibile e del tutto biologico. Ovviamente a questo punto il filosofo (e forse anche il neurologo) dovrebbe chiedersi perché mai c'è questa duplicità descrittiva e non solo come accade (cosa di cui la scienza si occupa, senza avere ancora comunque del tutto risolto). Ossia dovrebbe chiedersi perché e in base a che cosa un fenomeno del tutto biologico può vedere (immaginare) se stesso, come se fosse in grado di porsi fuori da se stesso, dal suo reale biologico accadere. Da dove salta fuori l'osservatore che osserva la sua biologia a partire da nient'altro che la sua biologia e fermo restando che è la sua biologia (perché se fosse qualcos'altro, tipo anima immateriale, sarebbe sicuramente, sono d'accordo, una faccenda paradossale)?
E' questo mi suona sconvolgente e su questo mi sembra che Searle, vittima forse del suo punto di vista pragmatico, passi troppo tranquillamente oltre, non vedendolo per nulla come un problema.
Comunque lascio parlare il filosofo, che così si esprime sulla coscienza nel suo intervento a TED:
http://www.ted.com/talks/john_searle_our_shared_condition_consciousness
Anche questo intervento è molto interessante (e pure brillante, come sanno sempre essere i pragmatisti).
Citazione
Forse ho capito male Damasio attribuendogli la tesi che la coscienza si identificerebbe con i valori dei parametri fisico-chimici vitali che l' omeostasi organica regolata (anche) dal tronco dell' encefalo tende a preservare (e che sono gli stessi in tutti gli uomini e animali simili vivi); forse intende invece determinati eventi neurofisiologici coinvolgenti tronco dell' encefalo e corteccia dipendentemente dall' oscillare dei valori di tali parametri fisico-chimici nell' intervallo compatibile con la sopravvivenza dell' organismo (eventi neurofisiologici che invece variano fra i diversi individui e nel corso delle esperienze coscienti dei singoli individui).
MI convincono comunque di più quei neurologi che la identificano unicamente con eventi neurofisiologici corticali o al massimo coinvolgenti corteccia e nuclei della base e talamici (che l' imaging neurologico dimostra essere necessariamente correlati con gli eventi di coscienza, mentre i nuclei bulbari regolanti l' omeostasi, la respirazione e l' attività cardiocircolatoria possono funzionare regolarmente anche in stato di incoscienza -coma- se la corteccia non funziona regolarmente; il regolare funzionamento del tronco encefalico è condizione necessaria e sufficiente dell' omeostasi e dunque della vita ma non è condizione sufficiente, contrariamente al regolare funzionamento della corteccia e probabilmente dei nuclei della base e talamici, della coscienza).
Ma il punto per me fondamentale è che non di identificazione si tratta (gli eventi neurofisiologici pertinenti, quali che siano, non sono gli eventi di coscienza, ma solo sono inevitabilmente presenti (però in altre esperienze coscienti, di "osservatori") perché accadano gli eventi di coscienza (di "osservati"): gli eventi fenomenici della mia coscienza (per esempio: ragionare, amare, vedere una rosa rossa) sono una cosa molto diversa da quegli eventi nel mio cervello che tu o altri diversi da me, nell' ambito della vostra -non della mia- coscienza, dovete poter vedere, rilevare, constatare (potenziali di azione lungo fasci di neuroni, trasmissioni trans-sinaptiche, ecc.), che non possono non accadere se accadono i miei stati coscienti e viceversa: non si danno gli uni senza gli altri, ma gli uni non sono gli altri, gli uni non si identificano con gli altri, e viceversa (al contrario di fulmini e scariche elettriche nell' atmosfera o liquidità dell' acqua e legami fisico-chimici fra le molecole di H2O, tutti accadenti nell' ambito delle medesime esperienze coscienti: le stesse cose -queste ultime- descritte in due modi diversi, l' uno più rozzo e superficiale, l' altro con maggiore discernimento scientifico; e questo è anche affermato con forza da Searle a un certo punto dell' intervento da da te proposto; anche se poi afferma che invece lo stesso evento ha due diversi "livelli di descrizione", uno biologica e l' altro mentale; però attribuendo la cosa all' inadeguatezza od obsolescenza del linguaggio che comunemente usiamo; in questo secondo punto del discorso mi sembra un po' oscuro).
Searle mi sembra, anche nei non pochi libri tradotti in italiano che ne ho letto, decisamente condivisibile "nella pars destruens" nel demolire i miti "scientisti-materialisti" così come quelli "spiritualisti-soprannaturalisti".
Un fenomeno del tutto biologico, come quelli neurofisiologici, non vede nulla: può essere visto (non nell' ambito dell' esperienza cosciente a cui necessariamente corrispondono determinati eventi neurofisiologici bensì di altre, diverse esperienze coscienti), ed è necessario che, almeno potenzialmente siano constati determinati eventi neurofisiologici perché accada un' esperienza cosciente ad essi corrispondente, ma l' unica cosa che "fa" un fenomeno del tutto biologico (gli unici affetti che può determinare) sono effetti fisico-chimici, come contrazioni muscolari o secrezioni ghiandolari (nelle esperienze coscienti di attuali o per lo meno potenziali osservatori, e non in quella "dell' osservato" ad essi necessariamente correlata o corrispondente.
Dalla "biologia (e in generale dalla fisica)" può "saltar fuori" unicamente biologia (e in generale fisica)", contenute attualmente o potenzialmente in esperienze fenomeniche coscienti (esse est percipi), e non un' (altra, ulteriore) esperienza fenomenica cosciente, anche se non può darsi (per lo meno potenzialmente) l' una senza che si dia l' altra e viceversa.
Citazione di: sgiombo il 08 Giugno 2016, 18:36:46 PM
Piccola correzoione al precedente intervento:
Un fenomeno del tutto biologico, come quelli neurofisiologici, non vede nulla: può essere visto (non nell' ambito dell' esperienza cosciente a cui necessariamente corrispondono determinati eventi neurofisiologici bensì di altre, diverse esperienze coscienti), ed è necessario che, almeno potenzialmente siano constati determinati eventi neurofisiologici perché accada un' esperienza cosciente ad essi corrispondente, ma l' unica cosa che "fa" un fenomeno del tutto biologico (gli unici affetti che può determinare) sono effetti fisico-chimici, come contrazioni muscolari o secrezioni ghiandolari (nelle esperienze coscienti di attuali o per lo meno potenziali osservatori ED ANCHE IN QUELLA DELL' OSSERVATO, IL QUALE NON PUO' VEDERE, PER LO MENO DIRETTAMENTE, IL PRPRIO CERVELLO, MA VEDE BENE DIRETTAMENTE I PROPRI MOVIMENTI CORPOREI DALL' ATTIVITA' DEL PROPRIO CERVELLO CAUSATI).
CitazioneIo questa domanda la metterei in un altro modo, non perché io in questo corpo, ma semplicemente perché io. Infatti se io fossi in un altro degli innumerevoli esistenti di questo mondo, semplicemente non sarei io. Dunque la vera domanda è perché invece io ci sono e, per quanto si possa tentare di farsene una ragione, temo che, proprio in quanto ci sono, la risposta non posso vederla. La mia esistenza è il punto da cui mi muovo, non posso mai essere fuori di essa da poterla vedere e se la considero è solo dal punto di vista della mia esistenza dalla quale, per sapere il perché c'è dovrei esserne fuori.
Si certo, la prima domanda è perché "io esisto". Ma la seconda è, posto che esisto, "perché esisto in questo modo". Infatti, non c'è solo un modo in cui posso esistere. Se intendo l'io-sono come puro soggetto auto-senziente, senza alcuno specifico contenuto, è chiaro che io potrei esistere in infinite altre forme concrete diverse da quella presente.
Ma a parte questo, non sono d'accordo sul fatto che a queste domande non sia possibile rispondere, e che sia legittimo sentirsi esentati dal rispondervi.
il punto è questo: ammettere o meno la validità del principio di causalità. Se non il principio "forte" (assoluto determininismo), almeno il principio "debole" lo si deve ammettere, altrimenti abbiamo già finito di fare scienza e filosofia. Altrimenti basterebbe dire "le cose sono come sono", e saremmo già a posto...
Una formulazione del principio di causalità "debole" potrebbe essere questa: ogni fenomeno rappresenta uno stato che è
condizionato da un altro fenomeno (stato) localmente
contiguo e
preesistente.
La mia esistenza soggettiva è indubbiamente un fenomeno, e se il principio di causalità è valido, deve esistere un fenomeno preesistente e contiguo che ha condizionato la mia esistenza soggettiva. Questo fenomeno preesistente e contiguo, che sto cercando, è la "causa" della mia esistenza come soggetto autocosciente.
Dove si trova questa causa?
Se credo nell'esistenza della realtà oggettiva, materiale, allora si deve trovare lì: si deve trovare in questo universo, e quindi la posso trovare come posso trovare la causa di qualunque altro fenomeno.
Se invece non credo nell'esistenza della realtà oggettiva, allora la causa della mia esistenza soggettiva si trova all'interno della mia stessa coscienza. Non devo uscire da me, pormi in una prospettiva esterna, per trovarla: si trova dentro di me, dunque è alla mia portata.
in definitiva, qualunque sia la posizione assunta non credo sia legittimo sentirsi esentati dal rispondere alle domande di cui sopra.
Anche perché la risposta c'è, ed è semplicissima.
Una volta constatato che è impossibile rendere conto della mia apparizione dal nulla, come soggetto autocosciente, ogni difficoltà sparisce se ammetto che
la coscienza NON sorge dal nulla, ma è
irriducibile,
increata,
eterna, e che assume
infinite manifestazioni soggettive.
Aggiungo che le stesse considerazioni fatte per la coscienza, si possono applicare anche alle domande:
perché esiste qualcosa anziché niente? E posto che qualcosa esiste,
perchè si manifesta in questo modo (universo) anziché in un altro modo?
Queste sono domande che mettono in imbarazzo molti scienziati, quelli che vanno alla ricerca del cosiddetto "
principio unico", cioè quel principio che, rendendo innanzitutto conto di se stesso, è capace di rendere conto di tutte le leggi e caratteristiche dell'universo osservato. E dove si troverebbe questo principio? Ma dentro l'universo stesso, è ovvio, perché se fosse fuori dell'universo allora l'universo non sarebbe tale, ci sarebbe un altrove che condiziona l'universo osservato. Se non si vuole ammettere questo altrove, bisogna ammettere che il principio unico è dentro, e se è dentro, lo si può trovare, e se lo si può trovare, quelle domande di cui sopra possono avere una risposta.
Quindi, anche in questo caso, quelle domande non possono essere eluse, perché solo rispondendovi posso
considerare l'universo completamente "spiegato"; diversamente, l'universo sarebbe zoppo, puntellato da qualcosa che sta altrove...Ora, per me è chiaro che il principio unico, come lo stanno cercando ora, non lo troveranno mai. Sarebbe come dire che il nostro universo è l'unico universo possibile. Ma è ovvio che questo non è l'unico universo possibile: oltre agli infiniti universi diversi che potremmo pensare, ci sarebbero ancora tutti quelli che nemmeno riusciamo a immaginare...L'unica soluzione, il solo principio unico, allora, è questo: esiste TUTTO. L'universo osservabile è solo l'infinitesima parte di un TUTTO infinito. Perché solo l'infinito può includere tutte le cause, e dunque anche le cause di tutto. Viceversa, ciò che è finito è necessariamente contingente, incompleto incapace di rendere conto della propria esistenza.
Mi intrometto in questa interessante discussione con qualche osservazione.
Citazione di: Loris Bagnara il 09 Giugno 2016, 12:22:20 PM
Si certo, la prima domanda è perché "io esisto". Ma la seconda è, posto che esisto, "perché esisto in questo modo". Infatti, non c'è solo un modo in cui posso esistere. Se intendo l'io-sono come puro soggetto auto-senziente, senza alcuno specifico contenuto, è chiaro che io potrei esistere in infinite altre forme concrete diverse da quella presente.
La prima cosa da chiedersi non è perché "io esisto" bensì
se esiste un perché "io esisto". La mia esistenza è un fatto generato causalmente e casualmente da mia madre e mio padre, se fosse questo l'unico perché?
Non credo poi che si possa chiedersi neppure "perché esisto in questo modo" perché non esiste un modo persistente di me, in ogni momento cambio e il nostro essere persone non è mai definitivo. E' esistito un me in molte altre forme concrete diverse da quella presente ed esisterà in molte altre forme.
Citazione di: Loris Bagnara il 09 Giugno 2016, 12:22:20 PM
il punto è questo: ammettere o meno la validità del principio di causalità. Se non il principio "forte" (assoluto determininismo), almeno il principio "debole" lo si deve ammettere, altrimenti abbiamo già finito di fare scienza e filosofia. Altrimenti basterebbe dire "le cose sono come sono", e saremmo già a posto...
Una formulazione del principio di causalità "debole" potrebbe essere questa: ogni fenomeno rappresenta uno stato che è condizionato da un altro fenomeno (stato) localmente contiguo e preesistente.
La mia esistenza soggettiva è indubbiamente un fenomeno, e se il principio di causalità è valido, deve esistere un fenomeno preesistente e contiguo che ha condizionato la mia esistenza soggettiva. Questo fenomeno preesistente e contiguo, che sto cercando, è la "causa" della mia esistenza come soggetto autocosciente.
Dove si trova questa causa?
Se credo nell'esistenza della realtà oggettiva, materiale, allora si deve trovare lì: si deve trovare in questo universo, e quindi la posso trovare come posso trovare la causa di qualunque altro fenomeno.
Se invece non credo nell'esistenza della realtà oggettiva, allora la causa della mia esistenza soggettiva si trova all'interno della mia stessa coscienza. Non devo uscire da me, pormi in una prospettiva esterna, per trovarla: si trova dentro di me, dunque è alla mia portata.
in definitiva, qualunque sia la posizione assunta non credo sia legittimo sentirsi esentati dal rispondere alle domande di cui sopra.
Sembrerebbe che un principio di causalità non si possa negare. La stessa intuizione del tempo è una nostra categoria mentale generata dalla causalità.
Citazione di: Loris Bagnara il 09 Giugno 2016, 12:22:20 PM
Anche perché la risposta c'è, ed è semplicissima.
Una volta constatato che è impossibile rendere conto della mia apparizione dal nulla, come soggetto autocosciente, ogni difficoltà sparisce se ammetto che la coscienza NON sorge dal nulla, ma è irriducibile, increata, eterna, e che assume infinite manifestazioni soggettive.
Aggiungo che le stesse considerazioni fatte per la coscienza, si possono applicare anche alle domande: perché esiste qualcosa anziché niente? E posto che qualcosa esiste, perchè si manifesta in questo modo (universo) anziché in un altro modo?
Queste sono domande che mettono in imbarazzo molti scienziati, quelli che vanno alla ricerca del cosiddetto "principio unico", cioè quel principio che, rendendo innanzitutto conto di se stesso, è capace di rendere conto di tutte le leggi e caratteristiche dell'universo osservato. E dove si troverebbe questo principio? Ma dentro l'universo stesso, è ovvio, perché se fosse fuori dell'universo allora l'universo non sarebbe tale, ci sarebbe un altrove che condiziona l'universo osservato. Se non si vuole ammettere questo altrove, bisogna ammettere che il principio unico è dentro, e se è dentro, lo si può trovare, e se lo si può trovare, quelle domande di cui sopra possono avere una risposta.
Quindi, anche in questo caso, quelle domande non possono essere eluse, perché solo rispondendovi posso considerare l'universo completamente "spiegato"; diversamente, l'universo sarebbe zoppo, puntellato da qualcosa che sta altrove...
Ora, per me è chiaro che il principio unico, come lo stanno cercando ora, non lo troveranno mai. Sarebbe come dire che il nostro universo è l'unico universo possibile. Ma è ovvio che questo non è l'unico universo possibile: oltre agli infiniti universi diversi che potremmo pensare, ci sarebbero ancora tutti quelli che nemmeno riusciamo a immaginare...
L'unica soluzione, il solo principio unico, allora, è questo: esiste TUTTO. L'universo osservabile è solo l'infinitesima parte di un TUTTO infinito. Perché solo l'infinito può includere tutte le cause, e dunque anche le cause di tutto. Viceversa, ciò che è finito è necessariamente contingente, incompleto incapace di rendere conto della propria esistenza.
Certo o esiste il divenire o esiste l'eternità di qualcosa, non esiste una terza via.
L'esistenza del TUTTO come principio è senza senso, è auto-contradditorio. Non puoi abbracciare il tutto perché mancheresti sempre tu che dall'esterno lo abbracci. Non può esistere un linguaggio che descriva se stesso, occorre operare ad un livello di sovra-linguaggio ma non si può uscire da questa contraddizione.
Sono piuttosto convinto che esista l'eternità di qualcosa, le forme però, le intenzionalità di questo qualcosa non sono accessibili alla mente umana. Dal mio piccolo cantuccio la definitiva irrazionalità del qualcosa di eterno è palese:
lo stesso principio di causalità potrebbe dissolversi per ragioni misteriose.Il qualcosa di eterno però deve garantire la molteplicità, deve appoggiarsi almeno al suo contrasto, è forse l'eterna lotta tra una parvenza di yin e yang.
Citazione
OBIEZIONI RADICALI A LORIS BAGNARA (su una questione che forse meriterebbe una discussione a parte)
Analizziamo le domande che poni:
Perché io esisto ed esisto in questo modo?
Perché esiste qualcosa anziché niente? E posto che qualcosa esiste, perchè si manifesta in questo modo (universo) anziché in un altro modo?
Si può considerare il problema del perché qualcosa (per esempio io o l' universo intero) accade realmente solo se si presuppone che sia possibile e non necessario (solo ciò che é possibile abbisogna di un "motivo" per passare, per "trasformarsi" o "tradursi" da "possibile" a "reale"; invece ciò che é necessariorio non abbisogna di nient' altro -che sè e la prorpia necessità- per esssere reale).
Ma che significa "possibile"?
Non sono d' accordo che "Sarebbe come dire che il nostro universo è l'unico universo possibile. Ma è ovvio che questo non è l'unico universo possibile: oltre agli infiniti universi diversi che potremmo pensare, ci sarebbero ancora tutti quelli che nemmeno riusciamo a immaginare".
Tutti questi universi "ci sono", esistono unicamente nei nostri pensieri, nella nostra immaginazione.
Poiché per definizione (di "negazione", di "essere", "non essere", "accadere" e "non accadere") ciò che é reale (o accade realmente) non può non essere reale (o non accadere realmente) e ciò che non é reale non può non essere reale (o non accadere realmente), il contrario essendo autocontraddttorio, insensato, nulla é possibile (essere o accadere realmente o non essere o non accadere realmente), ma tutto é necessario (essere o accadere realmente o non essere o non accadere realmente:
tutto é necessario in quanto é reale o in quanto non é reale.
"Possibile" può significare unicamente "pensabile correttamente, coerentemente, non autocontraddittoriamente, sensatamente".
"Questo" universo, poiché é reale, non può non essere reale (per il significato di "negazione", "realtà", "irrealtà); e qualsiasi altro universo immaginabile che non sia reale non può essere reale (quanto a quelli inimmaginabili, anche ammesso che le parole che ne parlano o meglio pretendono di parlarne significhino qualcosa, non credo valga la pena prenderli in considerazione).
Al massimo si può correttamente, sensatamente pensare all' ipotesi teorica, al "dato di pensiero" (o di immaginazione) della non realtà di questo universo di fatto reale e/o della realtà di altri da esso diversi di fatto non reali: questo é l' unico significato sensato, logicamente corretto del concetto, della nozione di "possibilità".
E dunque non si pone il problema del perché di noi stessi e dell' universo intero dal momento che tutto ciò, giacché accade, non può che accadere, non richede alcuna motivazione per farlo passare da "possibile" a "reale".
Si pone casomai il problema della -mera- pensabilità dell' essere reale di ciò che non é reale e del non essere reale di cò che lo é.
Ma questa spiegazione sta semplicemente nel concetto di "pensare" (o "essere pensato", "essere pensabile"), il quale non si identifica necessariamente con quello di "accadere realmente" (o "accadente realmente") ma si estende a, si può applicare anche a (include anche) il "non accadere realmente" (o "non accadente realmente"): questo semplicemente é ciò che di fatto si intende con tali ternmini, per tali concetti.
D' altra parte (in un altro senso di spiegazione) una spiegazione di un ente o evento può darsi solo relativamente, nell' ambito di un insieme di enti o eventi, se questo insieme é ordinato secondo regole (universali e costanti) del' essere o del divenire; ed é costituiita per l' apunto dall' applicazione delle regole universali e costanti a una "condizione particolare data" ("condizione iniziale"; iniziale in senso logico, non ontologico o cronologico).
Ma ogni insieme "totale" di enti o eventi che si consideri, in qualto tale non può essere spiegato, dal momento che oltre ad esso per definizione non può darsi alcunché che lo possa spiegare.
In altre parole un "perché" si può sensatamente cercare (ed eventualmente trovare) di uno o più enti od eventi particolari in un insieme ordinato, ma non dell' insieme "totalità", per quanto ordinato possa essere. Per esempio si può spiegare con le leggi della gravità -che ne é il "perché"- la rivoluzione dei pianeti intorno alle stelle; ma non si possono spiegare -non ha senso chiedersene il "perché- le leggi della gravità. E infatti il grande Newton in proposito affermò "Hypoheses non fingo [in sede scientifica, fisica, cioé nel campo in cui si manifestò pienamente il suo genio; mentre ne cercò vanamente ed erroneamete in sede metafisica, teologica, perfino alchemica e astrologica, campi nei quali mi permetto di affermare non si dimostrò affatto altrettanto geniale]".
Inoltre mi sembra che le risposte che in concreto dai a queste domande siano fondate su un presupposto infondato e infondabile (indimostrabile logicamente, né mostrabile empiricamente), quello di un determinismo o causalismo per lo meno "debole": come genialmente rilevato da David Hume, nulla dimostra che le regolarità finora rilevate negli eventi non siano semplicemente apparenti, mere coincidenze fortuite, che i mutamenti della realtà non siano in verità casuali (e che questo non possa anche palesemente manifestarsi alla prossima osservazione empirica del reale: sempre alla "prossima", quante che siano state le precedenti che suggeriscano una invero apparente, fortuita regolarità causale dei mutamenti della realtà stessa).
Parli inoltre di "principio unico, cioè quel principio che, rendendo innanzitutto conto di se stesso, è capace di rendere conto di tutte le leggi e caratteristiche dell'universo osservato", ma logicamente di ogni evento o sequenza di eventi si può trovare una spiegazione (una dimostrazione logica), e ontologicamente ogni concatenazione causale di eventi (indimostrabile) può essere fondata:
o su una circolarità (B spiega logicamente o causa ontologicamente A; C spiega o causa B; A spiega o causa C);
oppure su un regresso all' infinito.
Qualsiasi spiegazione logica o causazione ontologica "iniziale" (di quel che le consegue logicamente o le segue ontologicamente nel tempo) sarebbe per definizione a sua volta inspiegata o incausata, e dunque non sarebbe la risposta adeguata alla domanda della spiegazione logica o della causazione ontologica: rappresenterebbe semplicemente un inutile, assolutamente irrilevate spostamento e non una effettiva soluzione del problema posto (quello della speigazione logica o della causabione ontologica del fatto che io esisto ed esisto in questo modo e che esiste qualcosa anziché niente: se la pretesa spiegazione a sua volta non é spiegata tanto vale farne a meno e lasciare direttamente, immediatamente inspiegata l' esistenza).
La soluzione del problema da te proposta, "L'universo osservabile è solo l'infinitesima parte di un TUTTO infinito. Perché solo l'infinito può includere tutte le cause, e dunque anche le cause di tutto. Viceversa, ciò che è finito è necessariamente contingente, incompleto incapace di rendere conto della propria esistenza" mi sembra identificarsi con quella del regresso all' infinito: l' infinito può effettivamente includere tutte le cause (e le spiegazioni e dimostrazioni logiche).
Ma regredendo all' infinito non si raggiunge mai alcun "fondamento causale" di quanto si postula essere causato (ovvero, sul piano logico, alcuna dimostrazione di quanto si pretenderebbe dedotto, dimostrato, spiegato ma invece é un ultima analisi arbitrariamente postulato).
Ultima obiezione (non é per un insensato "accanimento polemico"; è che i problemi che poni sono realmenrte stimolanti e assai degni di essere affrontati; fra l' atro me li sono posti da sempre anch' io).
Non sono d' accordo che sia "impossibile rendere conto della mia apparizione dal nulla, come soggetto autocosciente", che "la coscienza NON sorga dal nulla, ma sia irriducibile, increata, eterna, e che assuma infinite manifestazioni soggettive": non vi é nulla di contraddittorio, ovvero assurdo, nell' ipotesi che io e chiunque altro come soggetto autocosciente non sia esistente per sempre, che inizi ad esistere (appaia dal nulla), e anche che finisca completamente, definitivamente di esistere (ritorni nel nulla); e dunque é correttamente pensabilissima come ipotesi alternativa e altrettanto plausibile a quella dell' eternità della coscienza e dell' autocoscienza.
E d' altra parte non vi é alcuna evidenza empirica in tal senso: i ricordi dell' esperienza di ciascuno risalgono fino alla prima infanzia e non vanno oltre a ritroso nel tempo.
Citazione di: sgiombo il 08 Giugno 2016, 18:36:46 PM
Forse ho capito male Damasio attribuendogli la tesi che la coscienza si identificerebbe con i valori dei parametri fisico-chimici vitali che l' omeostasi organica regolata (anche) dal tronco dell' encefalo tende a preservare (e che sono gli stessi in tutti gli uomini e animali simili vivi); forse intende invece determinati eventi neurofisiologici coinvolgenti tronco dell' encefalo e corteccia dipendentemente dall' oscillare dei valori di tali parametri fisico-chimici nell' intervallo compatibile con la sopravvivenza dell' organismo (eventi neurofisiologici che invece variano fra i diversi individui e nel corso delle esperienze coscienti dei singoli individui).[/font][/color]
MI convincono comunque di più quei neurologi che la identificano unicamente con eventi neurofisiologici corticali o al massimo coinvolgenti corteccia e nuclei della base e talamici (che l' imaging neurologico dimostra essere necessariamente correlati con gli eventi di coscienza, mentre i nuclei bulbari regolanti l' omeostasi, la respirazione e l' attività cardiocircolatoria possono funzionare regolarmente anche in stato di incoscienza -coma- se la corteccia non funziona regolarmente; il regolare funzionamento del tronco encefalico è condizione necessaria e sufficiente dell' omeostasi e dunque della vita ma non è condizione sufficiente, contrariamente al regolare funzionamento della corteccia e probabilmente dei nuclei della base e talamici, della coscienza).
Anche Damasio intende la coscienza come eventi neurofisiologici corticali evidenziabili da tecniche di imaging, il discorso del tronco encefalico entra un ballo per spiegare l'autocoscienza (che pertanto Damasio distingue chiaramente nell'ambito del fenomeno coscienza). L'autocoscienza presuppone il "sé": da dove salta fuori questo sé, si chiede Damasio. Ipotizza allora che salti fuori appunto dall'attività del tronco encefalico da dove passano tutte le afferenze nervose del corpo che trasmettono tutte le attività che servono a mantenere l'omeostasi (e non chiaramente i valori di omeostasi, ma le attività, comprese quelle che avvengono in automatico). Questo complesso di attività, preso nella sua unità funzionale, mediato dal cervello limbico ché dà luogo alle reazioni emotive che ne danno la qualità di ente profondamente emozionale, dà luogo a una situazione corticale rappresentativa unitaria che la corteccia rappresenta come "io", più o meno come i pixel danno luogo a un'immagine sul computer. L'io sarebbe quindi l'insieme unitario, rappresentato a livello corticale, dei segnali di tutte le attività corporee finalizzate a mantenere l'omeostasi per come esse si trovano tutte trasmesse nel tronco encefalico.
Quando lessi la prima volta il libro di Damasio "Emozione e coscienza" ricordo che rimasi piuttosto deluso, perché in realtà lui non spiega per nulla perché quell'insieme di attività neurofisiologiche diano luogo ai significati di noi stessi e del mondo che conosciamo, spiega solo da dove si può ipotizzare il senso unitario del sé in termini neurofisiologici. Non solo, ma sembra ignorare il fatto che, come tu rilevi, anche la lettura fisiologica della coscienza è ancora solo una rappresentazione cosciente del fenomeno. Il fatto che alterando in modo chimico o fisico certi parametri fisiologici si verifichino alterazioni di coscienza abbastanza riproducibili, non spiega ancora nulla, semplicemente mostra qualcosa del come e non del perché quel fenomeno accade.
Searle passa oltre al problema, in sostanza ci dice che non c'è alcun perché, solo funziona così e solo questo ha rilevanza (come si dice che l'acqua appare liquida pur non essendoci nulla che restituisca il senso della sua liquidità in una descrizione molecolare dell'acqua): gli eventi della coscienza (e in particolare dell'autocoscienza) e l'attività neurofisiologica sono la stessa cosa vista e descritta con linguaggi diversi, dice Searle. Ma , ad esempio, perché esistono questi due linguaggi diversi che dicono la stessa cosa, in cosa consiste questa stessa cosa e soprattutto il fatto che anche il linguaggio scientifico è frutto di una rappresentazione della coscienza (e dunque perché questa particolare rappresentazione dovrebbe avere di per sé sempre un fondamento maggiore), pare non lo tenga minimamente in considerazione.
Il punto è che noi possiamo vedere sempre e solo il risultato finale dell'evento coscienza e ci spieghiamo questo evento sempre e solo in ragione del risultato finale che esso produce, ponendo uno di questi risultati finali come causa determinante per l'evento stesso.
Come vedi in questo discorso mi pare di essere perfettamente d'accordo con te.
Citazione di: Loris Bagnara il 09 Giugno 2016, 12:22:20 PM
Si certo, la prima domanda è perché "io esisto". Ma la seconda è, posto che esisto, "perché esisto in questo modo". Infatti, non c'è solo un modo in cui posso esistere. Se intendo l'io-sono come puro soggetto auto-senziente, senza alcuno specifico contenuto, è chiaro che io potrei esistere in infinite altre forme concrete diverse da quella presente.
Ma questa seconda domanda non ha senso, non ha senso in quanto se io non fossi questo che sono, non sarei questo io che sono, sarei qualcos'altro. A meno appunto di ammettere che io ci sia prima di essere io e questo è assurdo. Io sono io perché sono questa forma, se fossi ad esempio un cane, non sarei io, ma quel cane.
CitazioneMa a parte questo, non sono d'accordo sul fatto che a queste domande non sia possibile rispondere, e che sia legittimo sentirsi esentati dal rispondervi.
Non è che possiamo sentirci esentati dal rispondere, ma che pur cercando in tutti i modi di rispondere alla domanda "perché io", non è possibile avere risposta, perché io lo siamo sempre. Come dice anche Searle nel video, nella coscienza ci siamo sempre, dunque non possiamo in alcun modo uscirne per guardarla da fuori e dire cos'è, non possiamo accedervi, perché ci siamo sempre dentro e qualsiasi spiegazione ne diamo, anche la più profonda e obiettiva possibile non può rendere la coscienza per come è. Non posso spiegare il mio esserci, proprio perché ci sono.
Mi ricordo una metafora che lessi tempo fa che mostra bene la faccenda: è come se un pittore fosse incaricato di rappresentare una stanza dipingendola da dentro la stanza. Per quanto esattamente la volesse riprodurre, mancherebbe poi nel quadro il pittore (lui stesso) mentre disegna la stanza, e se anche si raffigurasse nella stanza mentre la disegna, nel quadro mancherebbe ancora lui nella stanza che rappresenta se stesso mentre la disegna e così via all'infinito. Per rappresentare com'è veramente la stanza al suo interno il pittore dovrebbe uscire e guardarla da fuori, ma per la coscienza, come per la nostra esistenza, questo non è possibile: se usciamo per vedere com'è la cosa che ci comprende sempre, non ci siamo più e nulla possiamo rappresentare. Il "perché ci sono" rientra in quel tipo di domande della cui risposta Wittgenstein diceva che è necessario tacere, anche se comunque non possiamo non volerla cercare (come sempre Wittgenstein riconosceva). Cerchiamo sempre la risposta definitiva e sicura senza poterla mai trovare per cui forse, si potrebbe pensare, che la risposta è appunto nel cercare questa risposta passando da una risposta inadeguata a un'altra ancora inadeguata. E per questo, nonostante l'impossibilità di una risposta definitiva (o forse proprio per questa impossibilità), non finiremo mai di fare scienza o filosofia: non possono essere concluse, proprio in quanto la risposta che le terminerebbe è impossibile.
Per dire in concreto (e non come una postulazione astratta da prendere in termini generalissimi) che esiste una coscienza universale che ci comprende bisognerebbe uscire da questa coscienza, ma se essa ci dà la coscienza in quanto ne siamo parti, non potremo mai effettivamente trovarla. Tutto ciò che possiamo dire è che è il nostro significato individuale che sempre ci accompagna in ogni nostro sentire e descrivere (anche quando descriviamo uno stato di non coscienza) siamo sempre, eternamente, irriducibilmente presenti.
Maral ha scritto:
Searle passa oltre al problema, in sostanza ci dice che non c'è alcun perché, solo funziona così e solo questo ha rilevanza (come si dice che l'acqua appare liquida pur non essendoci nulla che restituisca il senso della sua liquidità in una descrizione molecolare dell'acqua): gli eventi della coscienza (e in particolare dell'autocoscienza) e l'attività neurofisiologica sono la stessa cosa vista e descritta con linguaggi diversi, dice Searle. Ma , ad esempio, perché esistono questi due linguaggi diversi che dicono la stessa cosa, in cosa consiste questa stessa cosa e soprattutto il fatto che anche il linguaggio scientifico è frutto di una rappresentazione della coscienza (e dunque perché questa particolare rappresentazione dovrebbe avere di per sé sempre un fondamento maggiore), pare non lo tenga minimamente in considerazione.
Il punto è che noi possiamo vedere sempre e solo il risultato finale dell'evento coscienza e ci spieghiamo questo evento sempre e solo in ragione del risultato finale che esso produce, ponendo uno di questi risultati finali come causa determinante per l'evento stesso.
Come vedi in questo discorso mi pare di essere perfettamente d'accordo con te.
RISPONDO:
Secondo me non si tratta della stessa cosa detta con parole diverse ma di due diverse cose, reciprocamente altre, anche se non può esistere/accedere l' una se non esiste/accade l' altra e viceversa (sono reciprocamente conditiones sine qua non l' una adell' altra).
Liquidità dell' acqua alle temperature e pressioni atmosferiche correnti (alle nostre latitudini) e disposizione e certe determinate interazioni (e non altre) delle molecole dell' acqua sono la stessa cosa detta in modi diversi.
Ma il mio cervello funzionante in un certo determinato modo (certi determinari perocessi neurofisiologici nel mio cervello) come possono accadere nell' ambito della tua esperienza fenomenica cosciente (e non nella mia) sono altre, diverse cose che la mia (e non la tua) esperienza fenomenica cosciente, che pure ad essi necessariamente coesiste ed é correlata biunivocamente, anche se non può esistere/accedere l' una se non esistono/accadono anche gli altri e viceversa (sono reciprocamente conditiones sine qua non l' una degli altri).
Nel mondo fisico (fenomenico) non potrebbe esistere acqua liquida senza che esistano le molecole di H2O in deternìminati rapporti: se non c' é l' una non c' é l' altra e il mondo fisico é diverso nei due casi (di esistenza o non esistenza delle molecole di H2O in determinate condizioni: nel primo caso comprende l' acqua, nel secondo no).
Ma invece il mondo fisico (fenomenico), come può ad esempio essere esperito da te (compreso il mio cervello), potrebbe benissimo continuare ad essere esattamente lo stesso, senza alcuna diferenza (nel mondo fisico stesso) anche se la mia esperienza cosciente, che del mondo fisico non fa parte (al contrario, ne può casomai far parte il mondo fisico), non esistesse, anche se io fossi uno zombi del tutto privo di coscienza.
Quindi, alcontrario della liquidità dell' acqua e dei rapporti e interazioni fra le sue molecole, non si tratta delle "stesse cose dette con parole diverse", bensì di "cose diverse"; casomai in un certo senso delle "stesse cose viste da prospettive diverse".
In che senso?
Nel senso che esse possono essere (e senza poterlo dimostrale lo credo, in quanto mi sembra l' unica spiegazione sensata dei fatti osservabili) diverse manifestazioni fenomeniche coscienti (nell' ambito di diverse esperienze fenomeniche) delle stesse entità/eventualità in sé (di un unico, del medesimo ente/evento o insieme di enti/eventi nell' ambito del noumeno): gli stessi determinati eventi "in sé" in quanto si manifestano fenomenicamente nella mia esperienza cosciente si manifestano come ("sono") certe mie determinate sensazioni (interiori o mentali ed esteriori o materiali), proprio e solo quelle, mentre in quanto si manifestano nell' esperienza fenomenica cosciente di altri soggetti di sensazioni (per esempio nella tua) si manifestano come ("sono") certe loro (per esempio tue) determinate sensazioni (esteriori o meteriali), proprio e solo quelle, di determinati eventi neurofisiologici nell' ambito del mio cervello, proprio e solo di quelli.
Senza gli uni fenomeni ("miei") non si danno gli altri ("altrui", ad esempio "tuoi"), ma ciononostante non sono gli stessi enti/eventi bensì enti/eventi diversi, reciprocamente altri (come il polo positivo e il polo negativo di un magnete non possono darsi se non entrambi insieme e non l' uno senza l' altro, ma non per questo sono la medesima cosa, bensì invece sono due diverse, reciprocamente altre cose).
@Hollyfabius
CitazioneNon credo poi che si possa chiedersi neppure "perché esisto in questo modo" perché non esiste un modo persistente di me, in ogni momento cambio e il nostro essere persone non è mai definitivo. E' esistito un me in molte altre forme concrete diverse da quella presente ed esisterà in molte altre forme.
@maral
CitazioneMa questa seconda domanda non ha senso, non ha senso in quanto se io non fossi questo che sono, non sarei questo io che sono, sarei qualcos'altro. A meno appunto di ammettere che io ci sia prima di essere io e questo è assurdo. Io sono io perché sono questa forma, se fossi ad esempio un cane, non sarei io, ma quel cane.
Hollyfabius propone una concezione più "indefinita" dell'esistere, mentre maral una più "definita". Non abbiate da ridire su questa mia inevitabile schematizzazione, è solo per intenderci.
Io rispondo a entrambi invitandovi a cogliere un concetto un po' più sottile.
Immaginate, come accade nella fantascienza, un'apparecchiatura che trasferisca la coscienza da una persona all'altra. Supponiamo così che io-maral si trasferisca in corpo-hollyfabius, e io-hollyfabius in corpo-maral
: ciascuno di voi due sentirà di essere sempre se stesso, soggettivamente, ma si troverà in una condizione differente da prima, oggettivamente. Non so dirlo altrimenti. Cercate di cogliere il fatto che il vostro io-sono avrebbe potuto manifestarsi entro condizioni differenti da quelle attuali, pur voi restando voi stessi. E attenzione alla parola "manifestarsi", perché ci tornerò sopra in seguito.@hollyfabius
CitazioneL'esistenza del TUTTO come principio è senza senso, è auto-contradditorio. Non puoi abbracciare il tutto perché mancheresti sempre tu che dall'esterno lo abbracci. Non può esistere un linguaggio che descriva se stesso, occorre operare ad un livello di sovra-linguaggio ma non si può uscire da questa contraddizione.
Nessuno pretende, infatti, di comprendere o descrivere l'infinito, o assoluto, o il TUTTO: tre sinonimi a cui potremmo affiancarne un quarto, cioé Dio, termine che invece io preferisco evitare perché richiama troppo il Dio personale delle religioni storiche.
Per conoscere il TUTTO dovremmo essere il TUTTO, cosa evidentemente impossibile per una creatura che è solo parte del TUTTO. Ma non è questo che si chiede.
Il TUTTO lo si postula come necessità logica e ontologica, come condizione affinché esista un senso; ma non vi è nessuna pretesa di cogliere analiticamente e razionalmente questo senso. E' sufficiente sapere che esiste, e fa già una bella differenza dal sapere che non esiste un senso. E ciò che è finito, limitato, un senso non ce l'ha, non è autosufficiente. Questo la filosofia l'ha già stabilito da qualche migliaio di anni.
Semmai, il TUTTO lo si può rappresentare, anche se molto parzialmente, solo in negativo, dicendo ciò che non è; oppure lo si può intuire utilizzando facoltà sovrarazionali. Ma certamente non comprenderlo, su questo siamo d'accordo.
@maral
CitazionePer dire in concreto (e non come una postulazione astratta da prendere in termini generalissimi) che esiste una coscienza universale che ci comprende bisognerebbe uscire da questa coscienza, ma se essa ci dà la coscienza in quanto ne siamo parti, non potremo mai effettivamente trovarla.
Vedi sopra, la risposta è identica. Non c'è bisogno di descrivere la coscienza universale, che ovviamente resta inaccessibile ad ogni coscienza limitata come siamo noi esseri umani.
Ma è sufficiente sapere che esiste, che essa è la sorgente di ogni coscienza particolare, perché se non postulassi una coscienza universale ed eterna non vi sarebbe alcuna possibile spiegazione per la mia (vostra) presenza qui, ora.E' già una grandissima differenza, rispetto al non-senso che deriva dal non postularla.E' la differenza che vi è fra sapere che la risposta non esiste, oppure sapere che la risposta invece esiste, anche se non la conosciamo.Aggancio a questo punto anche una risposta a Sgiombo:CitazioneNon sono d' accordo che sia "impossibile rendere conto della mia apparizione dal nulla, come soggetto autocosciente", che "la coscienza NON sorga dal nulla, ma sia irriducibile, increata, eterna, e che assuma infinite manifestazioni soggettive": non vi é nulla di contraddittorio, ovvero assurdo, nell' ipotesi che io e chiunque altro come soggetto autocosciente non sia esistente per sempre, che inizi ad esistere (appaia dal nulla), e anche che finisca completamente, definitivamente di esistere (ritorni nel nulla); e dunque é correttamente pensabilissima come ipotesi alternativa e altrettanto plausibile a quella dell' eternità della coscienza e dell' autocoscienza.
Cerco di farti capire la difficoltà che avverto io.Immagina il sacchetto con i 90 numeri della tombola, e un persona che estrae i numeri ad uno ad uno. Quei numeri sono individui autocoscienti. Tu, supponiamo, sei il numero 3. Ad un certo punto esce proprio il 3, e la tua coscienza "apre gli occhi": si manifesta. Nel sacchetto, era solo una possibilità; ora, è una manifestazione.Immagina ora che il sacchetto sia vuoto: dentro non c'è neanche un numero. Però arriva un mago, prende il sacchetto, ci mette la mano dentro, la tira fuori, e cos'ha in mano? Il numero 3.E nemmeno esisteva come possibilità!A me, questo secondo caso, prova un fortissimo disagio intellettuale. Ti prego di coglierlo (non dico di accettarlo) perché non saprei spiegarlo con altre parole.@hollyfabius
CitazioneSono piuttosto convinto che esista l'eternità di qualcosa, le forme però, le intenzionalità di questo qualcosa non sono accessibili alla mente umana. Dal mio piccolo cantuccio la definitiva irrazionalità del qualcosa di eterno è palese: lo stesso principio di causalità potrebbe dissolversi per ragioni misteriose.
Il qualcosa di eterno però deve garantire la molteplicità, deve appoggiarsi almeno al suo contrasto, è forse l'eterna lotta tra una parvenza di yin e yang.
E' così, quell'eternità inaccessibile di cui parli è quel che intendo per il TUTTO.
E nel TUTTO è compreso il passato, il presente e il futuro di tutte le infinite manifestazioni. Il TUTTO non evolve, perché dovrebbe evolvere in qualcosa di diverso da se stesso, ma allora non sarebbe il TUTTO. Dunque il TUTTO è in una sorta di eterno presente senza tempo, e se non c'è tempo, non c'è causalità. Come tu dici, nell'infinito il principio di causalità si dissolve perché ogni causa è compresente con i suoi effetti.Ma il TUTTO, in sé, non è manifestato (ecco il concetto di "manifestazione"): solo delle parzializzazioni del TUTTO possono manifestarsi.Immaginiamo un database infinito da cui posso estrarre infiniti differenti insiemi di dati, ordinati in un'infinità di modi differenti: questi insiemi sono come gli universi osservabili, mentre il database, in sé, resta inaccessibile e incomprensibile.Ecco gli infiniti possibili universi che possono derivare dal TUTTO. In tal modo, il TUTTO è al tempo stesso assolutamente inaccessibile e trascendente rispetto alle manifestazioni, ma al tempo stesso è immanente ad esse essendone la "radice", benché inattingibile e inconoscibile.
Citazione di: Loris Bagnara il 11 Giugno 2016, 14:21:15 PM
CitazioneLoris Bagnara:
Il TUTTO lo si postula come necessità logica e ontologica, come condizione affinché esista un senso; ma non vi è nessuna pretesa di cogliere analiticamente e razionalmente questo senso. E' sufficiente sapere che esiste, e fa già una bella differenza dal sapere che non esiste un senso. E ciò che è finito, limitato, un senso non ce l'ha, non è autosufficiente. Questo la filosofia l'ha già stabilito da qualche migliaio di anni.
CitazioneSgiombo:
Per me è vero proprio il contrario: in un tutto in divenire ordinato una parte (un evento particolare, singolare) può avere un senso (= il suo accadere si spiega per dei motivi, costituiti dalle condizioni "iniziali" precedenti-circostanti la parte considerata -ovvero il singolo evento- e dalle leggi generali astratte, universali e costanti del divenire); mentre il tutto per definizione non è incluso in qualcosa di più ampio di cui possa costituire una parte analogamente dotata di senso (= il cui accadere si spiega per dei motivi).
CitazioneLoris Bagnara:
Immagina il sacchetto con i 90 numeri della tombola, e un persona che estrae i numeri ad uno ad uno. Quei numeri sono individui autocoscienti. Tu, supponiamo, sei il numero 3. Ad un certo punto esce proprio il 3, e la tua coscienza "apre gli occhi": si manifesta. Nel sacchetto, era solo una possibilità; ora, è una manifestazione.
Immagina ora che il sacchetto sia vuoto: dentro non c'è neanche un numero. Però arriva un mago, prende il sacchetto, ci mette la mano dentro, la tira fuori, e cos'ha in mano? Il numero 3.
E nemmeno esisteva come possibilità!
A me, questo secondo caso, prova un fortissimo disagio intellettuale. Ti prego di coglierlo (non dico di accettarlo) perché non saprei spiegarlo con altre parole.
CitazioneSgiombo:
La vita è bella perché è diversa: a me il fatto che come Sgiombo dotato di una sua esperienza cosciente ho cominciato ad esistere (prima non c' ero) e finirò di esistere (dopo non ci sarò) non da proprio nessun disagio intellettuale (per cui mi è anche difficile immaginarmi il tuo; che peraltro non dubito esistere e che non mi permetto di giudicare: non pretendo certo di essere migliore di te, anche se sono contento di me stesso come lo sarai certamente anche tu).
Citazione di: sgiombo il 11 Giugno 2016, 11:08:27 AM
Secondo me non si tratta della stessa cosa detta con parole diverse ma di due diverse cose, reciprocamente altre, anche se non può esistere/accedere l' una se non esiste/accade l' altra e viceversa (sono reciprocamente conditiones sine qua non l' una adell' altra).
Ma questo pensarle come 2 cose distinte ripropone quel dualismo cartesiano che Damasio vuole superare in quanto irrisolvibile nella concezione unitaria della realtà (che è una). Se sono due cose diverse non è sufficiente dire che sono diverse ma si implicano, occorre dire in quali termini si implicano, dove e come vengono a implicarsi e in questo, la scienza, come la filosofia trova irrisolvibili difficoltà. Il mito (cristiano) risolve la cosa rappresentandole in una sorta di rapporto tra contenitore e contenuto, ma questa rappresentazione mostra tutta la sua debolezza quando si va a cercare scientificamente il contenuto che non si mostra, poiché tutto ciò che si mostra nel soggetto oggettivamente preso è sempre e solo il contenitore, un contenitore che si può dunque ritenere senza altro contenuto che se stesso, ovvero i propri oggettivi processi neurofisiologici.
Quando però dici che sono in un certo senso
la stessa cosa viste da due prospettive diverse, ripristini quell'unità, ponendo il "certo senso" in una soggettività diversa che comunque partecipa di un'unità che va oltre le nostre prospettive di osservazione (un "noumeno" trascendentale non altrimenti definibile che corrisponde all'unità sovrastante che determina la molteplicità esperita).
Però non capisco a questo punto la differenza che poni con il rapporto tra la liquidità dell'acqua come comunemente descrivibile sulla base della percezione e la sua rappresentazione in termini fisico chimici. Qui ritieni che l'unità sarebbe garantita dalla natura fisica dell'acqua, quella che c'è sempre anche in assenza di qualsiasi osservatore, ma quella quale? Il problema è che, esattamente come per la coscienza, anche l'acqua è sempre una descrizione data dall'osservatore, sia che la descriva nei termini in cui la percezione ne dà conto, sia che la descriva nei termini in cui la chimica ne dà conto, ossia nei termini in cui colloca la sua prospettiva il noumeno "acqua". Questo non significa assolutamente che l'acqua è solo ciò che vede l'osservatore, ma che, al pari della coscienza, i modi in cui si manifesta (come appare) dipendono dalla prospettiva in cui si colloca l'osservatore e quindi dai linguaggi che a queste prospettive risultano appropriati per darne conto, l'uno che considera primario l'aspetto sensibile diretto e soggettivo, l'altro che considera primario ciò che la strumentazione e il metodo scientifico consentono a tutti oggettivamente di vedere nel momento in cui li si è imparati a usare. Il primo è diretto e immediato, l'altro è indiretto e mediato. La stessa tecnica di imaging che Damasio presenta è questa mediazione, ne più né meno che se usassi uno spettrofotometro per riconoscere la presenza di molecole di acqua.
Citazione di: Loris BagnaraSupponiamo così che io-maral si trasferisca in corpo-hollyfabius, e io-hollyfabius in corpo-maral: ciascuno di voi due sentirà di essere sempre se stesso, soggettivamente, ma si troverà in una condizione differente da prima, oggettivamente. Non so dirlo altrimenti. Cercate di cogliere il fatto che il vostro io-sono avrebbe potuto manifestarsi entro condizioni differenti da quelle attuali, pur voi restando voi stessi. E attenzione alla parola "manifestarsi", perché ci tornerò sopra in seguito.
Ma questo è diverso rispetto alla questione posta da Hollyfabius. Qui l'io-maral (ossia la mente di Maral per come si era venuta determinando dalle tracce lasciate nel cervello dal corpo senziente di Maral) e l'io-hollyfabius pre esistevano prima dello scambio e per questo il problema identitario ha senso, poiché un pre esistente si trova improvvisamente in un corpo che determina tracce diverse e in cui le precedenti mappe non funzionano più. E' probabile una crisi di rigetto. Il discorso invece non ha più senso se riferito a una coscienza pensata come qualcosa che può nascere in un corpo anziché in un altro, perché è chiaro che è quel corpo in cui essa nasce che a determinarla come tale, non un io già esistente che gli viene trapiantato da fuori.
CitazioneNon c'è bisogno di descrivere la coscienza universale, che ovviamente resta inaccessibile ad ogni coscienza limitata come siamo noi esseri umani. Ma è sufficiente sapere che esiste, che essa è la sorgente di ogni coscienza particolare, perché se non postulassi una coscienza universale ed eterna non vi sarebbe alcuna possibile spiegazione per la mia (vostra) presenza qui, ora.
E' già una grandissima differenza, rispetto al non-senso che deriva dal non postularla.
E' la differenza che vi è fra sapere che la risposta non esiste, oppure sapere che la risposta invece esiste, anche se non la conosciamo.
Però questa posizione corrisponde a una soluzione ad hoc: ossia mi serve una coscienza universale per risolvere il problema dell'esistenza delle coscienze particolari che altrimenti resterebbe irrisolvibile, quindi la postulo. Da un punto di vista logico le soluzioni ad hoc (che postulano ciò che risolve il problema) sono una fallacia, per quanto comode e largamente impiegate (spesso anche nel discorso scientifico, mantenute in attesa di verificarle).
Per quanto riguarda il discorso di una coscienza che non può nascere dal nulla né tramontare nel nulla sono perfettamente d'accordo (è del tutto illogico pensare che qualcosa esca dal nulla e vi ritorni, ossia torni a essere quel nulla che era prima di essere ciò che è, ed è illogico in quanto nessuna cosa può mai essere il nulla di quella cosa, né prima né dopo). Ma è anche illogico che la coscienza individuale entra ed esca in una coscienza universale, perché per farlo sarebbe la sua individualità a dover sorgere dal nulla e finire nel nulla, dunque il paradosso resta lo stesso: se si conviene che nulla può nascere dal nulla e finire nel nulla (ossia se solo il nulla può farlo) nemmeno l'individualità della coscienza può sorgere dal nulla e tramontare nel nulla. Ma qui il discorso (di sapore severiniano) si fa troppo filosofico per l'ambito di questa sezione.
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 22:48:43 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Giugno 2016, 11:08:27 AM
Secondo me non si tratta della stessa cosa detta con parole diverse ma di due diverse cose, reciprocamente altre, anche se non può esistere/accedere l' una se non esiste/accade l' altra e viceversa (sono reciprocamente conditiones sine qua non l' una adell' altra).
Ma questo pensarle come 2 cose distinte ripropone quel dualismo cartesiano che Damasio vuole superare in quanto irrisolvibile nella concezione unitaria della realtà (che è una). Se sono due cose diverse non è sufficiente dire che sono diverse ma si implicano, occorre dire in quali termini si implicano, dove e come vengono a implicarsi e in questo, la scienza, come la filosofia trova irrisolvibili difficoltà. Il mito (cristiano) risolve la cosa rappresentandole in una sorta di rapporto tra contenitore e contenuto, ma questa rappresentazione mostra tutta la sua debolezza quando si va a cercare scientificamente il contenuto che non si mostra, poiché tutto ciò che si mostra nel soggetto oggettivamente preso è sempre e solo il contenitore, un contenitore che si può dunque ritenere senza altro contenuto che se stesso, ovvero i propri oggettivi processi neurofisiologici.
Quando però dici che sono in un certo senso la stessa cosa viste da due prospettive diverse, ripristini quell'unità, ponendo il "certo senso" in una soggettività diversa che comunque partecipa di un'unità che va oltre le nostre prospettive di osservazione (un "noumeno" trascendentale non altrimenti definibile che corrisponde all'unità sovrastante che determina la molteplicità esperita).
Però non capisco a questo punto la differenza che poni con il rapporto tra la liquidità dell'acqua come comunemente descrivibile sulla base della percezione e la sua rappresentazione in termini fisico chimici. Qui ritieni che l'unità sarebbe garantita dalla natura fisica dell'acqua, quella che c'è sempre anche in assenza di qualsiasi osservatore, ma quella quale? Il problema è che, esattamente come per la coscienza, anche l'acqua è sempre una descrizione data dall'osservatore, sia che la descriva nei termini in cui la percezione ne dà conto, sia che la descriva nei termini in cui la chimica ne dà conto, ossia nei termini in cui colloca la sua prospettiva il noumeno "acqua". Questo non significa assolutamente che l'acqua è solo ciò che vede l'osservatore, ma che, al pari della coscienza, i modi in cui si manifesta (come appare) dipendono dalla prospettiva in cui si colloca l'osservatore e quindi dai linguaggi che a queste prospettive risultano appropriati per darne conto, l'uno che considera primario l'aspetto sensibile diretto e soggettivo, l'altro che considera primario ciò che la strumentazione e il metodo scientifico consentono a tutti oggettivamente di vedere nel momento in cui li si è imparati a usare. Il primo è diretto e immediato, l'altro è indiretto e mediato. La stessa tecnica di imaging che Damasio presenta è questa mediazione, ne più né meno che se usassi uno spettrofotometro per riconoscere la presenza di molecole di acqua.
Citazione
Il dualismo cartesiano (facile e comodo bersaglio polemico di tutti i monisti, soprattutto dei materialisti; con particolare enfasi da parte di Damasio) è un monismo "interazionista" che presuppone un interazione causale fra mondo fisico e coscienza (e in particolare nel suo ambito pensiero, mente), la quale è palesemente insostenibile per la chiusura causale del mondo fisico (non c' è ghiandola pineale che tenga).
Ma il dualismo che sostengo da parte mia è un dualismo "parallelista": materia e coscienza (e in particolare nel suo ambito pensiero, mente) divengono in maniera "correlata", biunivocamente corrispondente "su piani ontologici reciprocamente distinti, incomunicanti, trascendenti" (quando, con Searle, voglio alzare il mio braccio in realtà non è il mio pensiero cosciente costituito dalla "volontà di alzarlo" la causa del movimento, bensì i corrispondenti eventi neurofisiologici accadenti nell' ambito della mia corteccia cerebrale).
Lo sbaglio (ironicamente si potrebbe dire "l' errore"...) di Damasio come di tutti gli altri neurologi (e anche di non pochi filosofi della mente) è appunto quello di cercare la coscienza (e in particolare la mente, il pensiero) nel cervello (come suoi "contenuti"): nel cervello ci sono solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc. a loro volta costituiti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc. (tutt' altro genere di cose della coscienza ad essi correlata, della coscienza del "titolare del cervello considerato": per esempio visioni di arcobaleni, sentimenti, ragionamenti).
Come ci ha insegnato George Berkeley, è invece il cervello (i cervelli) ad essere "contenuto" nella coscienza: sono convinto che fin che non ci si rende conto di ciò, fin che non si compie questa "rivoluzione copernicana" il problema dei rapporti mente-cervello o pensiero-materia non può essere efficacemente affrontato.
Quando dico che coscienza e cervello sono in un certo senso la stessa cosa dico che sono (possono essere considerate, e per poter avere una soddisfacente comprensione dei termini osservati del reale devono esserlo) diverse manifestazioni fenomeniche ("intrinseca" ed "estrinseca" rispettivamente) degli stessi enti ed eventi "in sé", dello stesso noumeno. Intendo dunque solo metaforicamente la loro "identità", letteralmente (in realtà) come necessaria corrispondenza biunivoca fra eventi (entrambi fenomenici, di coscienza: anche i processi neurofisiologici nell' ambito della materia cerebrale) differenti, reciprocamente altri in esperienze fenomeniche differenti, reciprocamente altre (in quanto manifestazioni fenomeniche diverse, sia pure degli stessi, medesimi, unici enti/eventi in sé).
Ciò che è denotato dall' espressione "una massa d' acqua (allo stato liquido)" è la stessa, medesima, identica cosa (materiale, intersoggettiva, rilevabile nell' ambito materiale – naturale delle esperienze fenomeniche coscienti) che è denotata dall' espressione "un insieme di molecole di H2O in determinati rapporti e interazioni fra loro".
Invece ciò che è denotato dall' espressione "il cervello di Sgiombo attualmente (nel quale sono in corso determinati eventi neurofisiologici: roba molliccia roseo-grigiastra costituita da neuroni a loro volta costituiti da particelle/onde e campi di forza)" è tutt' altra "cosa" da ciò che è denotato dall' espressione "l' attuale esperienza fenomenica cosciente di Sgiombo (pensieri filosofici in atto circa i rapporti mente-cervello, visione del computer, audizione dei ticchettii delle sue dita sui tasti della tastiera, ecc.)"; anche se la seconda ben diversa "cosa" è necessariamente con la prima biunivocamente correlata, divenendo entrambe "parallelamente su piani ontologici diversi e reciprocamente trascendenti", in quanto differenti manifestazioni fenomeniche dei medesimi eventi nell' ambito della realtà in sé o noumeno.
Solo in questo senso possono essere considerate "la stessa cosa osservata da punti di vista diversi" ("intrinseco" nel caso dell' esperienza fenomenica di Sgiombo: soggetto di percezione coincidente con oggetto di percezione; "estrinseco" nel caso del cervello di Sgiombo nell' ambito -almeno potenzialmente- dell' esperienza cosciente di "osservatori" di Sgiombo": soggetto di percezione diverso, altro dall' oggetto di percezione; ma in teoria anche nella stessa esperienza cosciente di Sgiombo, però solo indirettamente, cioè in qualità di eventi causati del cervello di Sgiombo: non sarebbe impossibile in linea di principio per me osservare la fRM del mio cervello o anche l' immagine del mio cervello riflessa in uno specchio; comunque non direttamente il mio cervello).
Poiché esse est percipi, non può esserci acqua (ovvero molecole di H2O) se non nell' ambito delle coscienze di osservatori.
L'acqua è sempre una descrizione della medesima "cosa" data dall'osservatore, sia che la descriva nei termini in cui la percezione ne dà immediatamente conto, sia che la descriva nei termini in cui la chimica ne dà conto più "sofisticatamente", mediatamente (sono lo stesso insieme di eventi fenomenici in entrambi i casi diversamente descritti, come il "fratello del padre" e "lo zio": connotazioni diverse del medesimo denotato).
Invece il mio cervello è un' altra, ben diversa "cosa" che la mia coscienza (diversi eventi entrambi fenomenici nell' ambito di diverse esperienze fenomeniche, per quanto corrispondenti al, in quanto "manifestazioni sensibili del", medesimo insieme di eventi in sé: diversi denotati fenomenici, per quanto correlati alle stesse cose in sé).
@Sgiombo:
CitazioneNon sono d' accordo che "Sarebbe come dire che il nostro universo è l'unico universo possibile. Ma è ovvio che questo non è l'unico universo possibile: oltre agli infiniti universi diversi che potremmo pensare, ci sarebbero ancora tutti quelli che nemmeno riusciamo a immaginare".
Tutti questi universi "ci sono", esistono unicamente nei nostri pensieri, nella nostra immaginazione.
Poiché per definizione (di "negazione", di "essere", "non essere", "accadere" e "non accadere") ciò che é reale (o accade realmente) non può non essere reale (o non accadere realmente) e ciò che non é reale non può non essere reale (o non accadere realmente), il contrario essendo autocontraddttorio, insensato, nulla é possibile (essere o accadere realmente o non essere o non accadere realmente), ma tutto é necessario (essere o accadere realmente o non essere o non accadere realmente: tutto é necessario in quanto é reale o in quanto non é reale.
Sintetizzato in una breve formula, tu in pratica sostieni:
Solo ciò che accade è reale | Solo ciò che è reale accade
Uno ha naturalmente tutto il diritto di ritenerla soddisfacente, ma io no:
non solo per l'evidente circolarità (tautologicità), ma anche per il fatto che non getta luce né su cosa sia l'accadere né su cosa sia il reale.E non solo è una posizione insoddisfacente da un punto di vista filosofico, ma è anche in contrasto con la visione offerta dalla scienza moderna.
Per la fisica quantistica, i fenomeni
"possibili" sono reali quanto quelli osservati. Sappiamo infatti che ogni fenomeno fisico (e quindi al limite l'intero universo) resta in uno stato indefinito finché non avviene l'osservazione compiuta da un individuo cosciente: solo a quel punto, l'onda "collassa", le innumerevoli alternative possibili svaniscono e resta l'unica alternativa effettivamente osservata. A quest'ultima, diamo comunemente il nome di "realtà", ma la verità è che le alternative non osservate sono reali quanto quella osservata. Sono tutte reali, benché una sola si manifesti.Se vogliamo fare un esempio più terra terra, potremmo immaginare di essere alla guida di un'auto, e a un bivio ci si propone la scelta se svoltare a destra o a sinistra. Svoltare a destra è lo scenario (universo) A, svoltare a sinistra è lo scenario (universo) B. Se in effetti poi svolto a destra e quindi si verifica lo scenario (universo) A, è assurdo per questo dire che lo scenario (universo) B non si è verificato perché "non reale". E' evidente che lo scenario (universo) B è reale quanto l'altro (o anche immaginario quanto l'altro, potremmo dire). Peraltro, se così non fosse, a quel bivio non ci sarebbe nemmeno scelta: avremmo solo l'illusione di scegliere liberamente la strada, quando invece sarebbe stato l'unico scenario (universo) reale a verificarsi da sé. Francamente trovo anche questo del tutto insoddisfacente.Stephen Hawking è giunto ad affermare che l'intero universo si è trovato in uno stato indefinito (cioè una sovrapposizione di infiniti universi) fino a quando il primo essere cosciente non ha compiuto un'osservazione sull'universo stesso. Solo a quel punto, l'onda dell'universo è collassata, manifestando quell'universo che ora osserviamo, con tutta la sua storia dalle origini ad oggi. In altre parole, la storia dell'universo si è costruita a posteriori, al momento dell'osservazione cosciente. Questo poi significa che altri eventuali (probabili) esseri coscienti nell'universo, coi quali non siamo in comunicazione, potrebbero osservare un universo diverso da quello che osserviamo noi, perché il modo in cui collassa l'onda quantistica non è deterministico, ma probabilistico.Insomma, esistono realmente, per la fisica moderna, infiniti universi; non sono solo nell'immaginazione.@Sgiombo:CitazioneMa ogni insieme "totale" di enti o eventi che si consideri, in qualto tale non può essere spiegato, dal momento che oltre ad esso per definizione non può darsi alcunché che lo possa spiegare.
C'è differenza fra una totalità e l'infinito vero e proprio. L'infinito non richiede di essere definito, ma una totalità si.A meno che non si parli di infinito, ogni totalità è solo una delimitazione arbitraria all'interno di un insieme più ampio. Pertanto richiede una spiegazione. La totalità dei mammiferi, ad esempio, nasce da una definizione, come tale arbitraria; ed eccome se necessita di spiegazione...Ma anche l'universo osservato non è un infinito, è solo una totalità, definibile arbitrariamente appunto come la totalità dei fenomeni osservati. Ma tale definizione è solo temporanea e contingente, tant'è vero che nuove teorie e nuovi strumenti potrebbero allargare il perimetro della totalità universale. Finché non siamo nemmeno certi del perimetro di questa totalità, come si può affermare che l'universo non necessita di qualcosa che lo spieghi? E d'altronde, se anche fossimo certi del perimetro di questa totalità, l'universo resterebbe un'entità finita, non un infinito. Seguendo a ritroso la catena delle cause ad un certo punto mi ritroverei necessariamente di fronte ad un fenomeno che non avrebbe una causa. Non sarebbe questo un motivo di forte perplessità? Perché tutti i fenomeni dell'universo avrebbero una causa, tranne uno? Allora dovrei pensare, piuttosto, che il principio di causalità è un'illusione, che i fenomeni avvengono per caso. Ma questo significa negare alla radice l'intelligibilità del mondo che ci circonda. Se uno si ritiene soddisfatto lo può fare, certo. Io, no.@Sgiombo:CitazioneInoltre mi sembra che le risposte che in concreto dai a queste domande siano fondate su un presupposto infondato e infondabile (indimostrabile logicamente, né mostrabile empiricamente), quello di un determinismo o causalismo per lo meno "debole": come genialmente rilevato da David Hume, nulla dimostra che le regolarità finora rilevate negli eventi non siano semplicemente apparenti, mere coincidenze fortuite, che i mutamenti della realtà non siano in verità casuali (e che questo non possa anche palesemente manifestarsi alla prossima osservazione empirica del reale: sempre alla "prossima", quante che siano state le precedenti che suggeriscano una invero apparente, fortuita regolarità causale dei mutamenti della realtà stessa).
Come detto sopra, uno deve scegliere fra intelligibilità e inintelligibilità del mondo che ci circonda. Io scelgo l'intelligibilità, e dunque il principio di causalità. E più ancora che causalità in senso fisico (spazio-temporale), la causalità in senso ontologico: cioé ogni cosa deve avere una spiegazione che la rende necessaria, ontologicamente. Questa è la mia posizione, che ho più volte ribadito.@Sgiombo:CitazioneParli inoltre di "principio unico, cioè quel principio che, rendendo innanzitutto conto di se stesso, è capace di rendere conto di tutte le leggi e caratteristiche dell'universo osservato", ma logicamente di ogni evento o sequenza di eventi si può trovare una spiegazione (una dimostrazione logica), e ontologicamente ogni concatenazione causale di eventi (indimostrabile) può essere fondata:
o su una circolarità (B spiega logicamente o causa ontologicamente A; C spiega o causa B; A spiega o causa C);
oppure su un regresso all' infinito.
Premetto il "principio unico" non è una mia invenzione, ma ci sono realmente numerosi scienziati che si trovano in imbarazzo di fronte all'arbitrarietà delle leggi fisiche e pertanto sono alla ricerca di una Teoria del Tutto, da cui appunto tutto possa discendere come necessità.Detto questo, hai ragione: la soluzione secondo me sta proprio in una circolarità di cause, in cui l'ultima è effetto della prima, per così dire. Ovviamente ciò può essere vero se si ritiene, come io ritengo, il tempo un'illusione.O meglio, secondo me, il TUTTO non manifestato contiene infinite sequenze (infinite) di questo genere, e la manifestazione di una di queste sequenze è la manifestazione di un universo.@Sgiombo:CitazioneLa soluzione del problema da te proposta, "L'universo osservabile è solo l'infinitesima parte di un TUTTO infinito. Perché solo l'infinito può includere tutte le cause, e dunque anche le cause di tutto. Viceversa, ciò che è finito è necessariamente contingente, incompleto incapace di rendere conto della propria esistenza" mi sembra identificarsi con quella del regresso all' infinito: l' infinito può effettivamente includere tutte le cause (e le spiegazioni e dimostrazioni logiche).
Ma regredendo all' infinito non si raggiunge mai alcun "fondamento causale" di quanto si postula essere causato (ovvero, sul piano logico, alcuna dimostrazione di quanto si pretenderebbe dedotto, dimostrato, spiegato ma invece é un ultima analisi arbitrariamente postulato).
L'assurdità del regresso all'infinito sparisce se ti poni nell'ottica del vero Infinito, quel TUTTO come sopra descritto, che è in un eterno presente senza tempo.
@maral:
CitazioneIl discorso invece non ha più senso se riferito a una coscienza pensata come qualcosa che può nascere in un corpo anziché in un altro, perché è chiaro che è quel corpo in cui essa nasce che a determinarla come tale, non un io già esistente che gli viene trapiantato da fuori.
Provo a dire così. In ottica materialista, il corpo-maral appena nato comincia a dare vita ad una coscienza. così come il corpo-Loris appena nato comincia a dare vita ad un'altra coscienza.
Poiché, in ottica materialista, né il mio io né il tuo io esisteva prima della nascita, non c'era alcun rapporto di necessità fra io-maral e la coscienza in formazione nel corpo-maral, tanto che nulla vieta di pensare che invece io-maral potesse "aprire gli occhi" nella coscienza formatasi dal corpo-Loris, e viceversa, io-Loris nella coscienza del corpo-maral.Insomma, io avrei potuto aprire gli occhi trovandomi nel tuo corpo, e tu nel mio ( ??? ), perché non vi è nulla di necessario in ciò che invece si è effettivamente verificato: tu, là dove sei, e io, qui dove sono.E' questa considerazione, la nascita di una coscienza dal nulla, a lasciarmi profondamente perplesso.@maral:CitazionePerò questa posizione corrisponde a una soluzione ad hoc: ossia mi serve una coscienza universale per risolvere il problema dell'esistenza delle coscienze particolari che altrimenti resterebbe irrisolvibile, quindi la postulo. Da un punto di vista logico le soluzioni ad hoc (che postulano ciò che risolve il problema) sono una fallacia, per quanto comode e largamente impiegate (spesso anche nel discorso scientifico, mantenute in attesa di verificarle).
Postulare qualcosa è inevitabile. Sappiamo forse cosa sono, in sé, la materia e l'energia? No, le postuliamo come entità, benché siano indimostrabili e inattingibili. Perché non fare altrettanto con la coscienza?@maral:CitazionePer quanto riguarda il discorso di una coscienza che non può nascere dal nulla né tramontare nel nulla sono perfettamente d'accordo (è del tutto illogico pensare che qualcosa esca dal nulla e vi ritorni, ossia torni a essere quel nulla che era prima di essere ciò che è, ed è illogico in quanto nessuna cosa può mai essere il nulla di quella cosa, né prima né dopo). Ma è anche illogico che la coscienza individuale entra ed esca in una coscienza universale, perché per farlo sarebbe la sua individualità a dover sorgere dal nulla e finire nel nulla, dunque il paradosso resta lo stesso: se si conviene che nulla può nascere dal nulla e finire nel nulla (ossia se solo il nulla può farlo) nemmeno l'individualità della coscienza può sorgere dal nulla e tramontare nel nulla. Ma qui il discorso (di sapore severiniano) si fa troppo filosofico per l'ambito di questa sezione.
Le coscienze particolari non entrano ed escono dalla coscienza universale. Potremmo dire che sono punti di vista all'interno della coscienza universale. In qualche modo, illusioni. Modi di esplorare se stessa, che la coscienza universale impiega, creando infiniti punti di vista all'interno di sé e ponendoli in un'illusoria cornice spazio-temporale. Lo spazio e il tempo in effetti non esisterebbero.E' chiaro che una visione del genere si può solo tentare di intuirla, poiché un essere umano non può uscire dallo spazio-tempo in cui è "ingabbiato".
Rispondo a Loris Bagnara
Cerchiamo di non fermarci all' (esteticamente) soddisfacente o meno ma di avvicinarsi, se appena possibile al vero o falso. *** "Solo ciò che accade è reale, solo ciò che è reale accade" è una banale tautologia.Ma non è ciò che sostengo io.Io sostengo che tutto ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario, mentre "possibile" può soltanto significare "pensabile (correttamente, non autocontraddittoriamente, sensatamente)".E questo non empiricamente "a posteriori" ma logicamente "a priori".Non confondiamo comunque le interpretazioni filosofiche irrazionalistiche, prevalenti fra gli scienziati, della meccanica quantistica con la scienza.Esiste per lo meno una rispettabilissima e seria interpretazione (non da "ciarlatani new age" o da "dilettanti allo sbaraglio") della meccanica quantistica "a variabili nascoste" deterministica e realistica, oggettivistica circa gli enti ed eventi fisici, quella di David Boehm.Se immaginiamo di essere alla guida di un'auto, e a un bivio ci si propone la scelta se svoltare a destra o a sinistra, se svoltare a destra è lo scenario (universo) A, svoltare a sinistra è lo scenario (universo) B e se in effetti poi svoltiamo a destra e quindi si verifica lo scenario (universo) A, allora è bensì pensabile ma non possibile che accada lo scenario (universo) B, affermazione, quest' ultima, contraddittoria -e dunque incompatibile- con l' altra che abbiamo assunto che si si verifica lo scenario (universo) A. Hawking (ancor più di altri scienziati quando tentano di fare della filosofia) non è nuovo a farneticazioni irrazionalistiche, ciò che ne racconti non mi stupisce affatto. *** Ogni totalità è per definizione (ovviamente arbitraria; e come tale non necessita di alcuna spiegazione) qualcosa oltre cui non esiste altro (tutt' altro che "qualcosa di esistente all'interno di un insieme più ampio").Ergo: oltre a una totalità (che sia finita oppure infinita non fa alcuna differenza!) per definizione non può esistere altro, Ergo: non può esistere (fra l' altro anche) nulla che la possa spiegare, giustificare, che ne possa dare ragione (spiegazioni, giustificazioni, ragioni possono darsi unicamente "all' interno" di una totalità, di sue parti). *** Dal fatto che uno si ritenga o meno soddisfatto della assenza (o presenza; veramente reale) dell' intelligibilità del mondo che ci circonda non ne consegue che ve ne sia (o rispettivamente non ve ne sia) una (posso anche essere insoddisfatto di non essere un grande tombeur de femmes, ma se non lo sono mi devo per forza accontentare di quel poco che riesco ad ottenere in materia).L' intelligibilità o meno del mondo, la "causalità in senso fisico o in senso ontologico" (qualsiasi cosa siano), proprio come il saperci fare o meno con le donne, non è che si possa "scegliere" che sia reale (o meno) ad libitum, solo perché ci piacerebbe che lo fosse. *** Una "Teoria del Tutto, da cui appunto tutto possa discendere come necessità" è uno pseudoconcetto autocontraddittorio: "tutto" non può discendere da alcunché, non esistendo altro da cui possa discendere *** "Una circolarità di cause, in cui l'ultima è effetto della prima" non spiega proprio nulla. *** Mentre un "tutto" può essere benissimo finito e non infinito, un infinito non può che essere "tutto", ma ciò non toglie che anche una regressione all' infinito non spiega proprio nulla- "Causalità" e "fissità senza tempo" sono concetti reciprocamente contraddittori, incompatibili l' uno con l' altro.
@Sgiombo:
CitazioneNon confondiamo comunque le interpretazioni filosofiche irrazionalistiche, prevalenti fra gli scienziati, della meccanica quantistica con la scienza.
Esiste per lo meno una rispettabilissima e seria interpretazione (non da "ciarlatani new age" o da "dilettanti allo sbaraglio") della meccanica quantistica "a variabili nascoste" deterministica e realistica, oggettivistica circa gli enti ed eventi fisici, quella di David Boehm.
[...]
Hawking (ancor più di altri scienziati quando tentano di fare della filosofia) non è nuovo a farneticazioni irrazionalistiche, ciò che ne racconti non mi stupisce affatto.
Mi limito a replicare a questo, e tralascio tutto il resto, perché su questo proprio non se ne può fare a meno.
Quel che ho detto sul collasso della funzione d'onda è la più normale fra le interpretazioni date della meccanica quantistica: l'interpretazione di Copenaghen.
Invece, proprio l'interpretazione di David Bohm è una di quelle più originali ed "esotiche", e meno diffuse fra gli scienziati. Fra l'altro, David Bohm ha avuto un intenso rapporto intellettuale con Jiddu Krishnamurti, un grandissmo maestro spirituale e, in gioventù, teosofo. La teoria di Bohm nasce anche dalla sua conoscenza della visione orientale, e se la studi bene vedrai che difficilmente può portare, come si dice, "acqua al tuo mulino", ma molto più probabilmente al mio.
Quanto al qualificare "irrazionalista" Hawking, direi che la farneticazione, più che sua, è tua.
In ogni caso le interpretazioni della meccanica quantistica sono tante, nessuno sa quale sia quella giusta, ma ti assicuro che nessuna delle interpretazioni che conosco avalla la tua affermazione che
Citazione[...] ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario, mentre "possibile" può soltanto significare "pensabile (correttamente, non autocontraddittoriamente, sensatamente)".
Citazione di: Loris Bagnara il 12 Giugno 2016, 22:16:16 PM
@Sgiombo:
CitazioneSgiombo:
Non confondiamo comunque le interpretazioni filosofiche irrazionalistiche, prevalenti fra gli scienziati, della meccanica quantistica con la scienza.
Esiste per lo meno una rispettabilissima e seria interpretazione (non da "ciarlatani new age" o da "dilettanti allo sbaraglio") della meccanica quantistica "a variabili nascoste" deterministica e realistica, oggettivistica circa gli enti ed eventi fisici, quella di David Boehm.
[...]
Hawking (ancor più di altri scienziati quando tentano di fare della filosofia) non è nuovo a farneticazioni irrazionalistiche, ciò che ne racconti non mi stupisce affatto.
LORIS BAGNARA:
Mi limito a replicare a questo, e tralascio tutto il resto, perché su questo proprio non se ne può fare a meno.
Quel che ho detto sul collasso della funzione d'onda è la più normale fra le interpretazioni date della meccanica quantistica: l'interpretazione di Copenaghen.
Invece, proprio l'interpretazione di David Bohm è una di quelle più originali ed "esotiche", e meno diffuse fra gli scienziati. Fra l'altro, David Bohm ha avuto un intenso rapporto intellettuale con Jiddu Krishnamurti, un grandissmo maestro spirituale e, in gioventù, teosofo. La teoria di Bohm nasce anche dalla sua conoscenza della visione orientale, e se la studi bene vedrai che difficilmente può portare, come si dice, "acqua al tuo mulino", ma molto più probabilmente al mio.
Quanto al qualificare "irrazionalista" Hawking, direi che la farneticazione, più che sua, è tua.
In ogni caso le interpretazioni della meccanica quantistica sono tante, nessuno sa quale sia quella giusta, ma ti assicuro che nessuna delle interpretazioni che conosco avalla la tua affermazione che
Citazione[...] ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario, mentre "possibile" può soltanto significare "pensabile (correttamente, non autocontraddittoriamente, sensatamente)". (Sgiombo)
Citazione
RISPOSTA DI SGIOMBO:
Non ha senso qualificare come più o meno "normali" le interpretazioni (filosofiche) della meccanica quantistica.
Tutte sono lecite (più o meno fondate a seconda dei casi; questo é discutibile) ma quella di David Bohm é secondo me l' unica conseguentemente razionalistica.
So bene (avendone letto tutto ciò che ne ho trovato tradotto in italiano) che David Boehm a un certo punto ha subito un' involuzione irrazionalistica (per me inspiegabile; ma non assurda: può capitare "nelle migliori famiglie" come si suol dire); ma non vedo come questo possa portare acqua al tuo mulino: la sua interpretazione razionalistica della m. q. degli anni '40 -'50 (ben prima che aderisse a teosofia e filosofie orientali, dalle quali non credo proprio che nasca manco per nulla) non ne viene minimamente scalfita nel suo oggettivismo e determinismo, né nella sua perfetta "rispettabilità" filosofica e scientifica.
Prendo atto delle nostre profondamente diverse e direi contrarie valutazioni di Stephen Hawking.
Mi sembrava di avere chiaramente e inequivocabilmente precisato che la mia tesi che ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario, mentre "possibile" può soltanto significare "pensabile (correttamente, non autocontraddittoriamente, sensatamente) non deriva affatto dalla mia interpretazione della m. q. (che comunque non contraddice affatto, con la quale é perfettamente compatibile) bensì é puramente logica.
@Sgiombo:CitazioneNon ha senso qualificare come più o meno "normali" le interpretazioni (filosofiche) della meccanica quantistica.
Il significato di "normale" era, ovviamente, quello di "opinione più diffusa". Io credo che il
consensus abbia la sua importanza, quando non vi sono elementi per stabilire con sicurezza quale interpretazione sia la più valida. Non mi pare sia corretto, come fai tu, prendere una delle interpretazioni più originali e personali, come quella di Bohm, e di questa neppure tutto, perché di essa prendi (a tuo arbitrario) ciò che tu giudichi razionalista e scarti ciò che giudichi irrazionalista. Eppure il tardo Bohm è lo stesso pensatore di prima, e ciò che il tardo Bohm afferma non è che il compimento delle prime intuizioni colte in precedenza.
E cos'ha a che fare l'
Universo, mente e materia descritto da Bohm, con il tuo universo? Piuttosto, la concezione di Bohm è ad un passo dalla coscienza universale, dal TUTTO di cui parlo io, non certo vicino alle
rei extensa/cogitans più
noumeno di cui parli tu.
Riporto un passo da Wikipedia:
CitazioneNel suo libro Universo, mente e materia[1], Bohm teorizza l'esistenza nell'universo di un ordine implicito (implicate order), che non siamo in grado di percepire, e di un ordine esplicito (explicate order), che percepiamo come risultato dell'interpretazione che il nostrocervellodà alleonde (o pattern) di interferenzache compongono l'universo.
Bohm paragona l'ordine implicito a un ologramma, la cui struttura complessiva è identificabile in quella di ogni sua singola parte: il principio di località risulterebbe perciò falso. Poiché Bohm riteneva che l'universo fosse un sistema dinamico in continuo movimento, mentre il termine ologramma solitamente si riferisce a un'immagine statica, Bohm preferiva descrivere l'universo utilizzando il termine, da lui creato, di Olomovimento.[2]
Dopo l'esperimento del 1982, in cui il teorema di John Stewart Bell viene confutato da Alain Aspect, rivelando una comunicazione istantanea fra fotoni a distanze infinitamente grandi, Bohm, che si era già confrontato con lo stesso problema durante la sua riformulazione del paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, ribadì come non vi fosse alcuna propagazione di segnale a velocità superiori a quella della luce, bensì che si trattasse di un fenomeno non riconducibile a misurazione spaziotemporale.
Il legame tra fotoni generati da una medesima particella sarebbe dovuto all'ordine implicito, nel quale ogni particella non è separata o "autonoma", ma fa parte di un ordine atemporale e aspaziale universale, cioè l'Olomovimento, il cui modello matematico implica un insieme di variabili nascoste. Bohm scrisse che «dobbiamo imparare a osservare qualsiasi cosa come parte di un'Indivisa Interezza» (Undivided Wholeness),[3] cioè che tutto è uno.
Quanto alla tua affermazione "ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario", non è logica, come tu dici, ma tautologica, una pura banalità, se non la agganci alla realtà fisica:
"cio che accade deve accadere" - "perché deve accadere?" - "perché accade" - "ma perché accade" - "perché deve accadere" - ...
Invece, se la agganci alla realtà fisica, t'invito a riflettere, tale affermazione è valida solo in un'ottica di assoluto e rigido determinismo. Solo in questo caso è lecito qualificare il "possibile" come "pensabile", cioè come dici tu. Ma in un'ottica "probabilistica", non posso non considerare tutte le possibilità come altrettanto reali, se voglio essere coerente; altrimenti di che probabilità si parla? Si tratterebbe solo di un puro artificio matematico.
E poiché la m.q. è essenzialmente probabilistica (nell'opinione della stragrande maggioranze dei fisici), è assolutamente in contrasto con la tua affermazione di cui sopra, non vedo come le si possa conciliare.
A questo proposito, non mi è a ancora chiara la tua posizione riguardo alla causalità, perché spesso oscilli fra il metterla in dubbio (citando Hume) e il sostenerla (citando Bohm).
Citazione di: Loris Bagnara il 13 Giugno 2016, 09:46:49 AM
@Sgiombo:
CitazioneNon ha senso qualificare come più o meno "normali" le interpretazioni (filosofiche) della meccanica quantistica.
Il significato di "normale" era, ovviamente, quello di "opinione più diffusa". Io credo che il consensus abbia la sua importanza, quando non vi sono elementi per stabilire con sicurezza quale interpretazione sia la più valida. Non mi pare sia corretto, come fai tu, prendere una delle interpretazioni più originali e personali, come quella di Bohm, e di questa neppure tutto, perché di essa prendi (a tuo arbitrario) ciò che tu giudichi razionalista e scarti ciò che giudichi irrazionalista. Eppure il tardo Bohm è lo stesso pensatore di prima, e ciò che il tardo Bohm afferma non è che il compimento delle prime intuizioni colte in precedenza.
CitazioneLa verità non si stabilisce convenzionalmente per consenso e tantomeno "democraticamente a maggioranza".
E' perfettamente corretto e legittimo seguire qualsiasi interpretazione dei fatti che con i fatti sia compatibile.
Una stessa persona può nel corso della sua vita compiere scelte pratiche e aderire a teorie diversissime e contrarissime.
E' mia convinzione che il secondo sia il caso (fra gli altri) di David Bohm (mi scuso per il precedente ripetuto lapsus: non Boehm!).
Ripeto che di lui seguo -a mio legittimissimo arbitrio- le teorie razionalistiche (e anticonformistiche) degli anni '40 – '50 sulla meccanica quantistica ma per niente affatto quella che ho tutto il diritto di ritenere la deriva irrazionalistica successiva (che non mi sembra affatto il compimento di quelle).
E cos'ha a che fare l'Universo, mente e materia descritto da Bohm, con il tuo universo? Piuttosto, la concezione di Bohm è ad un passo dalla coscienza universale, dal TUTTO di cui parlo io, non certo vicino alle rei extensa/cogitans più noumeno di cui parli tu.
CitazioneInfattil Universo, mente e materia del "tardo Bohm" (per me) irrazionalista (al contrario delle teorie quantistiche degli anni '40 – '50) non ha nulla a che fare con le mie convinzioni razionalistiche.
Quanto alla tua affermazione "ciò che accade non può non accadere = deve accadere = è necessario", non è logica, come tu dici, ma tautologica, una pura banalità, se non la agganci alla realtà fisica:"cio che accade deve accadere" - "perché deve accadere?" - "perché accade" - "ma perché accade" - "perché deve accadere" - ...Invece, se la agganci alla realtà fisica, t'invito a riflettere, tale affermazione è valida solo in un'ottica di assoluto e rigido determinismo. Solo in questo caso è lecito qualificare il "possibile" come "pensabile", cioè come dici tu. Ma in un'ottica "probabilistica", non posso non considerare tutte le possibilità come altrettanto reali, se voglio essere coerente; altrimenti di che probabilità si parla? Si tratterebbe solo di un puro artificio matematico.
CitazioneLa deduzione logica è fatta di giudizi analitici a priori, dunque è esplicitazione di verità implicite nelle premesse (arbitrariamente assunte come assiomi o stabilite come definizioni); dunque in un certo senso non può che essere "tautologica" (nel senso di non dire nulla in più di quanto già compreso nelle premesse, però esplicitandolo).
Determinismo (di cui peraltro non ho affatto paura né tantomeno orrore o schifo!) significa che, date determinate condizioni iniziali particolari concrete e delle leggi generali astratte universali e costanti del divenire, non è possibile che (=non si può pensare correttamente che) un' unica evoluzione nel tempo (tutte le altre ipotizzabili risultando contraddittorie rispetto alle premesse costituite dalle condizioni iniziali e le leggi del divenire: questo significa che sono "impossibili". Mentre in caso di indeterminismo ne sarebbero possibili del tutto analogamente -id est: pensabili non contraddittoriamente rispetto alle premesse- più di una).
Ma ciò che realmente accade è necessario comunque, e lo sarebbe anche se fossero realmente pensabili correttamente (ma non realmente possibili) più future evoluzioni nel tempo reciprocamente alternative: "possibilità" = "(mera) pensabilità (logicamente corretta, sensata)".
E poiché la m.q. è essenzialmente probabilistica (nell'opinione della stragrande maggioranze dei fisici), è assolutamente in contrasto con la tua affermazione di cui sopra, non vedo come le si possa conciliare.
A questo proposito, non mi è a ancora chiara la tua posizione riguardo alla causalità, perché spesso oscilli fra il metterla in dubbio (citando Hume) e il sostenerla (citando Bohm).
CitazioneLa stragrande maggioranza dei fisici (ma negli ultimi tempi si fanno sempre più frequenti autorevoli interventi di ricercatori che vanno per la maggiore, fra gli altri l' ottimo Bricmont, quello del geniale "imposture intellettuali", che ripropongono l' interpretazione "alternativa" sulla scia di Plank, Einstein, Schroedinger e de Broglie e Bohm; il "primo Bohm") dovrebbe convincermi con argomenti (e non "a maggioranza" o per la loro pretesa "autorevolezza") della correttezza e della esclusiva compatibilità con i dati scientificamente confermati dell' interpretazione conformistica "di Copenhagen" e della scorrettezza e falsificazione empirica delle teorizzazioni del "primo Bohm".
La causalità non è dimostrabile (Hume!); ma per credere vera la conoscenza scientifica deve essere ritenuta ugualmente vera (letteralmente: per fede), essendone una conditio sine qua non; ed è compatibilissima con la meccanica quantistica (Bohm, 1952)
Repliche a @Sgiombo:
CitazioneLa causalità non è dimostrabile (Hume!); ma per credere vera la conoscenza scientifica deve essere ritenuta ugualmente vera (letteralmente: per fede)
Mi era parso che criticassi la mia scelta in favore della intelligibilità dell'universo; ma vedo che anche tu fai lo stesso, e giustamente.
CitazioneLa deduzione logica è fatta di giudizi analitici a priori, dunque è esplicitazione di verità implicite nelle premesse (arbitrariamente assunte come assiomi o stabilite come definizioni); dunque in un certo senso non può che essere "tautologica" (nel senso di non dire nulla in più di quanto già compreso nelle premesse, però esplicitandolo).
Il problema del metodo deduttivo, come riconosci, è che non fa altro che esplicitare le verità contenute nelle premesse.
Ma le premesse le sceglie il pensatore, e a meno che non si tratti di premesse generalissime e irrinunciabili, il rischio con il metodo deduttivo è che il ragionamento finisca semplicemente per confermare il pre-giudizio del pensatore.
Nel caso specifico, non riesco a vedere da quale premessa generalissima e irrinunciabile possa discendere logicamente la verità dell'affermazione "cio che accade non può non accadere".
Ma faccio un passo oltre.
Chiarito che anche per te è valido il principio di causalità, ti prego di seguire questo ragionamento.
Una premessa. Suppongo che per te l'universo sia un insieme finito di fenomeni; lo suppongo perché ti sei espresso più volte contro il concetto di infinito. Se non è così, mi correggerai.
Quindi, assumo che per te l'universo sia finito nel tempo e nello spazio, e che pertanto abbia un'origine e una fine: prima dell'universo, non c'era nulla, e dopo l'universo, ci sarà il nulla.
Questa semplice considerazione mostra che l'universo esisterebbe in palese violazione di una delle sue leggi più fondamentali, quella della conservazione dell'energia e della materia. L'universo viola questa legge quando appare, la rispetta quando esiste, e la viola di nuovo quando scompare. A me questo pare insoddisfacente, e quando dico "insoddisfacente" non è per un mero senso estetico, ma perché si tratta di una colossale incongruenza che non si può semplicemente accettare per il semplice fatto che esiste.
Ma c'è altro da dire.
L'insieme dei fenomeni dell'universo si può allineare in una catena causale che regredisce nel tempo, fino ad un fenomeno primo (ad esempio il Big Bang, secondo la teoria prevalente) che, non avendo altri fenomeni precedenti, risulta necessariamente non-causato.
Anche questa è un'inaccettabile incongruenza: per quale motivo tutti i fenomeni dell'universo dovrebbero avere la loro causa, tranne uno?
E' il problema della causa incausata, del motore immobile di aristotelica memoria; ma nessun fenomeno finito, contingente, può essere ritenuto il motore immobile di un universo. Occorre altro. Conosci bene anche tu quali soluzioni ha proposto la filosofia, nella storia, per risolvere questo problema.
Si potrebbe ammettere una sequenza circolare di cause-effetti, dove la "prima" causa è effetto dell'ultima; ma tu hai detto di rifiutare le sequenze circolari (e anche a me non soddisferebbe l'idea di una singola catena causale finita).
Oppure ci vorrebbe un regresso all'infinito delle cause, ma ti sei espresso contro anche a questa idea.
Quindi, quale sarebbe per te la soluzione?
Citazione di: Loris Bagnara il 13 Giugno 2016, 23:44:21 PM
Repliche a @Sgiombo:
CitazioneLa causalità non è dimostrabile (Hume!); ma per credere vera la conoscenza scientifica deve essere ritenuta ugualmente vera (letteralmente: per fede)
Mi era parso che criticassi la mia scelta in favore della intelligibilità dell'universo; ma vedo che anche tu fai lo stesso, e giustamente.
CitazioneNon so cosa si possa intendere per "intelligibilità dell' universo".
Comunque iI divenire ordinato (indimostrabile) é necessario per la sua conoscibilità scientifica.
CitazioneLa deduzione logica è fatta di giudizi analitici a priori, dunque è esplicitazione di verità implicite nelle premesse (arbitrariamente assunte come assiomi o stabilite come definizioni); dunque in un certo senso non può che essere "tautologica" (nel senso di non dire nulla in più di quanto già compreso nelle premesse, però esplicitandolo).
Il problema del metodo deduttivo, come riconosci, è che non fa altro che esplicitare le verità contenute nelle premesse.
Ma le premesse le sceglie il pensatore, e a meno che non si tratti di premesse generalissime e irrinunciabili, il rischio con il metodo deduttivo è che il ragionamento finisca semplicemente per confermare il pre-giudizio del pensatore.
Nel caso specifico, non riesco a vedere da quale premessa generalissima e irrinunciabile possa discendere logicamente la verità dell'affermazione "cio che accade non può non accadere".
CitazioneMi sembra che i concetti (arbitrariamente definiti) di "negazione", "essere reale" e "non essere reale", "essere pensato (pensabile)", "non essere pensato (pensabile)" "possibile", "impossibile", "necessario" siano premesse (più che) sufficientemente generalissime e necessarie per ragionare di ciò che accade e ciò che non accade (realmente).
Ma faccio un passo oltre.
Chiarito che anche per te è valido il principio di causalità, ti prego di seguire questo ragionamento.
Una premessa. Suppongo che per te l'universo sia un insieme finito di fenomeni; lo suppongo perché ti sei espresso più volte contro il concetto di infinito. Se non è così, mi correggerai.
Quindi, assumo che per te l'universo sia finito nel tempo e nello spazio, e che pertanto abbia un'origine e una fine: prima dell'universo, non c'era nulla, e dopo l'universo, ci sarà il nulla.
Citazione
Per me (con Kant) non é possibile stabilire se l' universo fisico sia finito o infinito.
Ma in quanto più razionalistica propendo (arbitrariamente) per l' ipotesi infinitistica.
Questa semplice considerazione mostra che l'universo esisterebbe in palese violazione di una delle sue leggi più fondamentali, quella della conservazione dell'energia e della materia. L'universo viola questa legge quando appare, la rispetta quando esiste, e la viola di nuovo quando scompare. A me questo pare insoddisfacente, e quando dico "insoddisfacente" non è per un mero senso estetico, ma perché si tratta di una colossale incongruenza che non si può semplicemente accettare per il semplice fatto che esiste.
CitazioneSu questo sono pefettamente e convintamente d' accordo!
E' in sostanza quanto intendevo affermare dicendo che l' ipotesi infinitistica (nel tempo e nello spazio) é più razionalistica di quella finitistica.
Ma c'è altro da dire.
L'insieme dei fenomeni dell'universo si può allineare in una catena causale che regredisce nel tempo, fino ad un fenomeno primo (ad esempio il Big Bang, secondo la teoria prevalente) che, non avendo altri fenomeni precedenti, risulta necessariamente non-causato.
Anche questa è un'inaccettabile incongruenza: per quale motivo tutti i fenomeni dell'universo dovrebbero avere la loro causa, tranne uno?
CitazioneAnche su questo sono pefettamente e convintamente d' accordo!
E' il problema della causa incausata, del motore immobile di aristotelica memoria; ma nessun fenomeno finito, contingente, può essere ritenuto il motore immobile di un universo. Occorre altro. Conosci bene anche tu quali soluzioni ha proposto la filosofia, nella storia, per risolvere questo problema.
Si potrebbe ammettere una sequenza circolare di cause-effetti, dove la "prima" causa è effetto dell'ultima; ma tu hai detto di rifiutare le sequenze circolari (e anche a me non soddisferebbe l'idea di una singola catena causale finita).
Oppure ci vorrebbe un regresso all'infinito delle cause, ma ti sei espresso contro anche a questa idea.
Quindi, quale sarebbe per te la soluzione?
CitazioneEvidentememnte mi hai frainteso: sono per la durata infinita (oltre che per l' estensione spaziale infinita) dell' universo fisico: c' é sempre stato e sempre ci sarà (ovvero gli eventi costituiscono una catena infinita sia verso il passato che verso il futuro (e in tutte le direzioni dello spazio) di cause - effetti.
Solo che in questo modo non si ha una impossibile spiegazione del tutto infinito (bisognerebbe autocontraddittoriamente inquadrarlo in qualcosa di più ampio in divenire ordinato); si possono solo sensatamente cercare (e magari trovare) nel suo ambito spiegazioni di "parti", singoli eventi o singoli insiemi di eventi.
Repliche a Sgiombo:
CitazioneNon so cosa si possa intendere per "intelligibilità dell' universo".
Comunque iIl divenire ordinato (indimostrabile) é necessario per la sua conoscibilità scientifica.
Be' intendevo proprio quello: divenire ordinato, causalità, e quindi la possibilità per l'intelletto umano di descrivere l'universo.
CitazioneMi sembra che i concetti (arbitrariamente definiti) di "negazione", "essere reale" e "non essere reale", "essere pensato (pensabile)", "non essere pensato (pensabile)" "possibile", "impossibile", "necessario" siano premesse (più che) sufficientemente generalissime e necessarie per ragionare di ciò che accade e ciò che non accade (realmente).
Sì, certo, sono generalissimi e irrinunciabili, ma il loro significato non è per nulla scontato, altrimenti non staremmo qui a discuterne. Tu a quelle parole dai un significato; io un altro; e un'altra persona, un altro ancora. E cambiando il significato attribuito alle premesse, cambiano completamente le deduzioni che ne discendono.
Il significato di "essere reale" non è per nulla scontato: si pensi a Parmenide, a Epicuro, ad Aristotele, e poi ai Veda, al buddismo etc
Quel che intendevo, allora, era la necessità di premesse generali e il cui significato fosse il medesimo per tutti. Altrimenti, uno può porre le proprie premesse e tirare le proprie deduzioni, ma non può pretendere che la sua verità così ottenuta sia più razionale o più vera di altre. E' semplicemente la sua.
Citazione[...] sono per la durata infinita (oltre che per l' estensione spaziale infinita) dell' universo fisico: c' é sempre stato e sepre ci sarà (ovvero gli eventi costituiscono una catena infinita sia verso il passato che verso il futuro (e in tutte le direzioni dello spazio) di cause - effetti.
Solo che in questo modo non si ha una impossibile spiegazione del tutto infinito (bisognerebbe autocontraddittoriamente inquadrarlo in qualcosa di più ampio in divenire ordinato); si possono solo sensatamente cercare (e magari trovare) nel suo ambito spiegazioni di "parti", singoli eventi o singoli insiemi di eventi.
Ok, ora ci siamo capiti. Sul fatto che sia necessario postulare l'infinito, vedo che siamo d'accordo.
Ora, però, ti propongo quest'ulteriore considerazione.
Nulla garantisce che un osservatore abbia la facoltà di osservare la totalità di ciò che esiste. Ci potrebbero essere porzioni dell'esistente che non sono osservabili (e anzi pare che per la fisica sia proprio così). Quando dico "non osservabili" intendo dire "non causalmente legati" alla nostra porzione di esistente.
Chiamiamo allora l'"Esistente" l'insieme di ciò che è osservabile (cioè l'Universo comunemente detto) e di ciò che non è osservabile.
Non possiamo escludere che l'inosservabile esista, adducendo il fatto che non lo posso osservare, perché appunto, per definizione, l'inosservabile non può essere osservato, e pertanto non può essere né provato né escluso.
Dunque, non possiamo razionalmente escludere che l'Esistente sia un insieme maggiore dell'universo.
Ma allora non possiamo razionalmente escludere nemmeno che l'Esistente sia a sua volta infinito: cioè, un insieme infinito di universi infiniti, ciascuno nel loro tempo e nel loro spazio, ciascuno trascendente rispetto all'altro.
Questo, comincia ad avvicinarsi al TUTTO di cui ho più volte parlato, e che come vedi è una generalizzazione perfettamente razionale della visione che tu stesso hai del nostro universo.
Concludo però segnalando quello che è un grosso problema per la plausibilità di un universo infinito nel tempo e nello spazio (e omogeneo):
il paradosso di Olbers, che appunto esclude questa possibilità in quanto incompatibile con l'osservazione.
Citazione di: Loris Bagnara il 14 Giugno 2016, 12:07:27 PM
Be' intendevo proprio quello: divenire ordinato, causalità, e quindi la possibilità per l'intelletto umano di descrivere l'universo.
CitazionePerò mi sembrava che all' inizio ponessi un alto problema, quello di una pretesa spiegazione dell' universo in toto e non di sue "parti" (eventi nel suo ambito spiegabili appunto mediante il divenire ordinato o causale che lo caratterizza).
CitazioneMi sembra che i concetti (arbitrariamente definiti) di "negazione", "essere reale" e "non essere reale", "essere pensato (pensabile)", "non essere pensato (pensabile)" "possibile", "impossibile", "necessario" siano premesse (più che) sufficientemente generalissime e necessarie per ragionare di ciò che accade e ciò che non accade (realmente).
Sì, certo, sono generalissimi e irrinunciabili, ma il loro significato non è per nulla scontato, altrimenti non staremmo qui a discuterne. Tu a quelle parole dai un significato; io un altro; e un'altra persona, un altro ancora. E cambiando il significato attribuito alle premesse, cambiano completamente le deduzioni che ne discendono.
Il significato di "essere reale" non è per nulla scontato: si pensi a Parmenide, a Epicuro, ad Aristotele, e poi ai Veda, al buddismo etc
Quel che intendevo, allora, era la necessità di premesse generali e il cui significato fosse il medesimo per tutti. Altrimenti, uno può porre le proprie premesse e tirare le proprie deduzioni, ma non può pretendere che la sua verità così ottenuta sia più razionale o più vera di altre. E' semplicemente la sua.
CitazionePersonalmente sono convinto che l'unico senso che può avere il concetto di "possibilità" sia quello di "pensabilità logicamente corretta, sensata", che sia una caratteristica unicamente del pensiero (circa la realtà), e che invece la realtà sia caratterizzata unicamente dalla necessità (che sia ciò che é o accade e non sia ciò che non é o non accade).
Se si accetta questo, allora non ha senso domandarsi perché si esiste anziché non esistere e perché si é così come si é e perché esiste tutto ciò che esiste e diviene e perché é o diviene così com' é o diviene e non altrimenti.
Semplicemente non può che essere e accadere tutto ciò che esiste ed accade ("per questo" esiste e accade) e null' altro; e altro può solo essere pensato, non realmente accadere (e dunque non ci si può sensatamente chiedere: "perché, potendo -e infatti non può!- realmente esistere/accadere anche altro, realmente esiste/accade proprio ciò che esiste/accade?".
Ok, ora ci siamo capiti. Sul fatto che sia necessario postulare l'infinito, vedo che siamo d'accordo.
Ora, però, ti propongo quest'ulteriore considerazione.
Nulla garantisce che un osservatore abbia la facoltà di osservare la totalità di ciò che esiste. Ci potrebbero essere porzioni dell'esistente che non sono osservabili (e anzi pare che per la fisica sia proprio così). Quando dico "non osservabili" intendo dire "non causalmente legati" alla nostra porzione di esistente.
Chiamiamo allora l'"Esistente" l'insieme di ciò che è osservabile (cioè l'Universo comunemente detto) e di ciò che non è osservabile.
Non possiamo escludere che l'inosservabile esista, adducendo il fatto che non lo posso osservare, perché appunto, per definizione, l'inosservabile non può essere osservato, e pertanto non può essere né provato né escluso.
Dunque, non possiamo razionalmente escludere che l'Esistente sia un insieme maggiore dell'universo.
CitazioneSono d' accordo.
Penso infatti che onde spiegare la corrispondenza poliunivoca intersoggettiva fra le componenti esteriori - materiali (reciprocamente trascendenti) delle diverse esperienze fenomeniche coscienti (indimostrabile ma necessaria come conditio sine qua non se si vuole credere alla conoscenza scientifica) e il divenire biunivocamente corrispondente fra materia (cerebrale) e coscienza (che sono cose ben diverse, reciprocamente trascendenti) sia necessario postulare l' esistenza di una "cosa in sé o noumeno" che fenomenicamente "si manifesta" (non sto a ripetere i dettagli di questa mia teoria filosofica che ho illustrato più volte nel frorum).
Ma allora non possiamo razionalmente escludere nemmeno che l'Esistente sia a sua volta infinito: cioè, un insieme infinito di universi infiniti, ciascuno nel loro tempo e nel loro spazio, ciascuno trascendente rispetto all'altro.
Questo, comincia ad avvicinarsi al TUTTO di cui ho più volte parlato, e che come vedi è una generalizzazione perfettamente razionale della visione che tu stesso hai del nostro universo.
CitazionePerò il noumeno é necessario per spiegare gi aspetti della realtà constatabile (e in parte postulabile arbitrariamente) di cui appena qui sopra.
Altro no.
E da razionalista applico il rasoio di Ockam: "entia non sunt multiplicanda praeter necesitatem" (quelli necessari per le spiegazioni di cui sopra li ammetto, su altri "gratuiti" sospendo il giudizio).
Concludo però segnalando quello che è un grosso problema per la plausibilità di un universo infinito nel tempo e nello spazio (e omogeneo): il paradosso di Olbers, che appunto esclude questa possibilità in quanto incompatibile con l'osservazione.
Citazionelo conosco bene e mi sembra un' obiezione facilmente superabile.
Innanzitutto se usando telescopi sempre più potenti si vedono sempre più stelle e galassie sempre più lontane che non davano alcun segno di sé nel firmamento senza questi mezzi artificiali, nulla vieta che aumentando le potenze dei telescopi all' infinito si continui all' infinito a vederne sempre di più (ergo che siano infinite): si vede che la loro densità media, potenza radiante media e il loro rapporto quantitativo medio con altra materia "opaca" (per esempio comunissima, ordinarissima "polvere cosmica" o comunissimi, ordinarissimi "gas interstellari e intergalattici, senza bisogno di postulare ad hoc la fantomatica "materia oscura" "esotica" delle teorie conformistiche) in grado di trasformare in diversa materia (massiva e/o energetica) la luce che la incontra provenendo verso di noi da regioni più lontane dell' universo é tale che solo in parte finita (tanto maggiormente rilevabile quanto più potenti sono i mezzi tecnici impiegati a coglierla) la radiazione luminosa infinita diretta verso di noi da tutte le direzioni riesce a superare gli ostacoli e a raggiungerci.
Inoltre la "radiazione cosmica di fondo", che secondo le teorie cosmologiche conformistiche sarebbe un residuo del "B.b", per me inspiegabilmente ancora in arrivo verso di noi da tutte le parti e isotropicamente, anziché essere ormai "in viaggio" lontanissimo da noi e da ogni altro corpo massivo (la cui velocità di allontanamento dal "sito del B.b" non può che essere di gran lunga minore di quella delle radiazioni elettromagnetiche (inoltre non vedo come potrebbe arrivarcene dalla parte "periferica" dell' universo verso la quale tutto -noi e a velocità molto maggiore la radiazione di fondo- dovrebbe essere diretta, e non provenirne), (questa radiazione cosmica di fondo) potrebbe benissimo essere ciò che resta, dopo un lunghissimo percorso e conseguente notevole perdita di energia, della luce proveniente da tutti i punti del firmamento: data la distanza percorsa e l' energia persa, la luce simile a quella del sole e delle stelle che secondo Olbers in caso di infinità dell' universo dovrebbe riempire senza discontinuità il firmamento in tutti i punti, in tutte le direzioni potrebbe benissimo esser (-si ridotta a-) -la radiazione di fondo a microonde.
Citazione di: sgiombo il 14 Giugno 2016, 19:03:44 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 14 Giugno 2016, 12:07:27 PM
Citazionelo conosco bene e mi sembra un' obiezione facilmente superabile.
Innanzitutto se usando telescopi sempre più potenti si vedono sempre più stelle e galassie sempre più lontane che non davano alcun segno di sé nel firmamento senza questi mezzi artificiali, nulla vieta che aumentando le potenze dei telescopi all' infinito si continui all' infinito a vederne sempre di più (ergo che siano infinite): si vede che la loro densità media, potenza radiante media e il loro rapporto quantitativo medio con altra materia "opaca" (per esempio comunissima, ordinarissima "polvere cosmica" o comunissimi, ordinarissimi "gas interstellari e intergalattici, senza bisogno di postulare ad hoc la fantomatica "materia oscura" "esotica" delle teorie conformistiche) in grado di trasformare in diversa materia (massiva e/o energetica) la luce che la incontra provenendo verso di noi da regioni più lontane dell' universo é tale che solo in parte finita (tanto maggiormente rilevabile quanto più potenti sono i mezzi tecnici impiegati a coglierla) la radiazione luminosa infinita diretta verso di noi da tutte le direzioni riesce a superare gli ostacoli e a raggiungerci.
Inoltre la "radiazione cosmica di fondo", che secondo le teorie cosmologiche conformistiche sarebbe un residuo del "B.b", per me inspiegabilmente ancora in arrivo verso di noi da tutte le parti e isotropicamente, anziché essere ormai "in viaggio" lontanissimo da noi e da ogni altro corpo massivo (la cui velocità di allontanamento dal "sito del B.b" non può che essere di gran lunga minore di quella delle radiazioni elettromagnetiche (inoltre non vedo come potrebbe arrivarcene dalla parte "periferica" dell' universo verso la quale tutto -noi e a velocità molto maggiore la radiazione di fondo- dovrebbe essere diretta, e non provenirne), (questa radiazione cosmica di fondo) potrebbe benissimo essere ciò che resta, dopo un lunghissimo percorso e conseguente notevole perdita di energia, della luce proveniente da tutti i punti del firmamento: data la distanza percorsa e l' energia persa, la luce simile a quella del sole e delle stelle che secondo Olbers in caso di infinità dell' universo dovrebbe riempire senza discontinuità il firmamento in tutti i punti, in tutte le direzioni potrebbe benissimo esser (-si ridotta a-) -la radiazione di fondo a microonde.
Ti dico solo questo come contributo, se può esserti utile (e magari a altri), non voglio innescare una discussione cosmologica qui, che sarebbe anche fuori luogo.
Pare che la soluzione di ipotizzare l'assorbimento della luce da parte di materia opaca non funzioni, perché poi la materia opaca dovrebbe riemetterla come radiazione (non può trattenersela e accumularla). Inoltre, i calcoli danno che ogni punto dell'universo, come la Terra, dovrebbe essere investito da un flusso infinito di luce, e se la soluzione dell'assorbimento non funziona, quest'energia infinita in qualche modo o forma deve arrivare, in ogni punto dell'universo...
Riguardo alla radiazione di fondo e alla tua giusta obiezione che anche a me è venuta alla mente, io me la sono spiegata così.
La struttura dell'universo, come emerge dalla relatività, includendo la quarta dimensione, è uno spazio tridimensionale avvolto intorno alla quarta dimensione, come la superficie di una sfera è uno spazio bidimensionale avvolto intorno alla terza dimensione. Se allora pensi alla superficie di un pianeta coperto da un immenso mare, nessun punto della superficie è il centro di questo mare, e un meteorite caduto in un qualunque punto di questo mare produrrebbe delle onde che tornerebbero verso di sé (fatto il giro della terra). In poche parole, la radiazione di fondo viaggia sulla superficie di quello steso mare in cui siamo anche noi, e per questo non può oltrepassarci e uscire dalla sfera.
Questa, almeno, è l'immagine che mi sono fatta io per capirci qualcosa...
Citazione di: Loris Bagnara il 14 Giugno 2016, 19:54:33 PM
Ti dico solo questo come contributo, se può esserti utile (e magari a altri), non voglio innescare una discussione cosmologica qui, che sarebbe anche fuori luogo.
Pare che la soluzione di ipotizzare l'assorbimento della luce da parte di materia opaca non funzioni, perché poi la materia opaca dovrebbe riemetterla come radiazione (non può trattenersela e accumularla). Inoltre, i calcoli danno che ogni punto dell'universo, come la Terra, dovrebbe essere investito da un flusso infinito di luce, e se la soluzione dell'assorbimento non funziona, quest'energia infinita in qualche modo o forma deve arrivare, in ogni punto dell'universo...
CitazioneMa non é detto che l' energia luminosa debba essere per forza riemessa come altra radiazione elettromagnetica e non possa invece essere trasformata (più o meno indirettamente, attraverso vari passaggi intermedi) in energia cinetica "macroscopica" (senza aumentare sensibilmente la temperatura) o addirittura in massa.
Inoltre la radiazione elettromagnetica diminuisce di intensità secondo il quadrato delle distanze percorse: basta che la densità media delle fonti sia inferiore a un determinato limite perché questa diminuzione risulti maggiore dell' incremento dovuto all' emissione da fonti più lontane.
Riguardo alla radiazione di fondo e alla tua giusta obiezione che anche a me è venuta alla mente, io me la sono spiegata così.
La struttura dell'universo, come emerge dalla relatività, includendo la quarta dimensione, è uno spazio tridimensionale avvolto intorno alla quarta dimensione, come la superficie di una sfera è uno spazio bidimensionale avvolto intorno alla terza dimensione. Se allora pensi alla superficie di un pianeta coperto da un immenso mare, nessun punto della superficie è il centro di questo mare, e un meteorite caduto in un qualunque punto di questo mare produrrebbe delle onde che tornerebbero verso di sé (fatto il giro della terra). In poche parole, la radiazione di fondo viaggia sulla superficie di quello steso mare in cui siamo anche noi, e per questo non può oltrepassarci e uscire dalla sfera.
Questa, almeno, è l'immagine che mi sono fatta io per capirci qualcosa...
CitazioneConstato tre dimensioni spaziali (e casomai una quarta temporale).
E che la radiazione di fondo ci perviene da tutte le direzioni quasi isotropicamente nello spazio tridimensionale direttamente constatabile intorno a noi.
Citazione di: Loris Bagnara il 12 Giugno 2016, 16:57:12 PM
Provo a dire così. In ottica materialista, il corpo-maral appena nato comincia a dare vita ad una coscienza. così come il corpo-Loris appena nato comincia a dare vita ad un'altra coscienza. Poiché, in ottica materialista, né il mio io né il tuo io esisteva prima della nascita, non c'era alcun rapporto di necessità fra io-maral e la coscienza in formazione nel corpo-maral, tanto che nulla vieta di pensare che invece io-maral potesse "aprire gli occhi" nella coscienza formatasi dal corpo-Loris, e viceversa, io-Loris nella coscienza del corpo-maral.
Insomma, io avrei potuto aprire gli occhi trovandomi nel tuo corpo, e tu nel mio ( ??? ), perché non vi è nulla di necessario in ciò che invece si è effettivamente verificato: tu, là dove sei, e io, qui dove sono.
E' questa considerazione, la nascita di una coscienza dal nulla, a lasciarmi profondamente perplesso.
Non so in un'ottica materialista. ma dalla mia ottica non vedo come se nessun io può esistere prima della nascita ci possa essere un mio io che nasce nel tuo corpo e vicerversa. Quello che si produce con il corpo di Maral sarà sempre e solo l'io di Maral e mai l'io di Loris Bagnara.
Citazione
Postulare qualcosa è inevitabile. Sappiamo forse cosa sono, in sé, la materia e l'energia? No, le postuliamo come entità, benché siano indimostrabili e inattingibili. Perché non fare altrettanto con la coscienza?
Sì, ma postulare ad hoc suona falso, un po' come si fa in fisica quando si introduce una costante ad hoc per far tornare i conti. Prima o poi quella costante va dimostrata non ad hoc (ossia non solo perché i conti devono comunque tornare), ma dimostrare una coscienza universale sarà mai possibile a una coscienza particolare in essa inclusa come parte?
CitazioneLe coscienze particolari non entrano ed escono dalla coscienza universale. Potremmo dire che sono punti di vista all'interno della coscienza universale. In qualche modo, illusioni. Modi di esplorare se stessa, che la coscienza universale impiega, creando infiniti punti di vista all'interno di sé e ponendoli in un'illusoria cornice spazio-temporale. Lo spazio e il tempo in effetti non esisterebbero.
E' chiaro che una visione del genere si può solo tentare di intuirla, poiché un essere umano non può uscire dallo spazio-tempo in cui è "ingabbiato".
Ipotesi certamente interessante e suggestiva, ma difficile, dato che fa appello a un tentativo di intuizione, da sostenere.
Citazione di: maral il 14 Giugno 2016, 23:29:03 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 12 Giugno 2016, 16:57:12 PM
Provo a dire così. In ottica materialista, il corpo-maral appena nato comincia a dare vita ad una coscienza. così come il corpo-Loris appena nato comincia a dare vita ad un'altra coscienza. Poiché, in ottica materialista, né il mio io né il tuo io esisteva prima della nascita, non c'era alcun rapporto di necessità fra io-maral e la coscienza in formazione nel corpo-maral, tanto che nulla vieta di pensare che invece io-maral potesse "aprire gli occhi" nella coscienza formatasi dal corpo-Loris, e viceversa, io-Loris nella coscienza del corpo-maral.
Insomma, io avrei potuto aprire gli occhi trovandomi nel tuo corpo, e tu nel mio ( ??? ), perché non vi è nulla di necessario in ciò che invece si è effettivamente verificato: tu, là dove sei, e io, qui dove sono.
E' questa considerazione, la nascita di una coscienza dal nulla, a lasciarmi profondamente perplesso.
Non so in un'ottica materialista. ma dalla mia ottica non vedo come se nessun io può esistere prima della nascita ci possa essere un mio io che nasce nel tuo corpo e vicerversa. Quello che si produce con il corpo di Maral sarà sempre e solo l'io di Maral e mai l'io di Loris Bagnara.
Citazione
Postulare qualcosa è inevitabile. Sappiamo forse cosa sono, in sé, la materia e l'energia? No, le postuliamo come entità, benché siano indimostrabili e inattingibili. Perché non fare altrettanto con la coscienza?
Sì, ma postulare ad hoc suona falso, un po' come si fa in fisica quando si introduce una costante ad hoc per far tornare i conti. Prima o poi quella costante va dimostrata non ad hoc (ossia non solo perché i conti devono comunque tornare), ma dimostrare una coscienza universale sarà mai possibile a una coscienza particolare in essa inclusa come parte?
CitazioneLe coscienze particolari non entrano ed escono dalla coscienza universale. Potremmo dire che sono punti di vista all'interno della coscienza universale. In qualche modo, illusioni. Modi di esplorare se stessa, che la coscienza universale impiega, creando infiniti punti di vista all'interno di sé e ponendoli in un'illusoria cornice spazio-temporale. Lo spazio e il tempo in effetti non esisterebbero.
E' chiaro che una visione del genere si può solo tentare di intuirla, poiché un essere umano non può uscire dallo spazio-tempo in cui è "ingabbiato".
Ipotesi certamente interessante e suggestiva, ma difficile, dato che fa appello a un tentativo di intuizione, da sostenere.
Il concetto è molto sottile ed è difficile da cogliere per un individuo di mentalità occidentale, che è abituato a identificare se stesso con il proprio corpo.
Se ti soffermi ad analizzare le funzioni della tua mente, ti accorgi che esiste un senso di sé (chiamiamolo brevemente Sé) che è indipendente dai processi psichici (pensieri, ricordi, emozioni, sensazioni etc). I processi psichici possono cambiare e cambiano continuamente, ma il senso di sé è sempre quello. Io sento di essere me stesso qualunque sia il contenuto della mia mente. Al limite, potrebbero anche intervenire amnesie totali, e profondi cambiamenti della personalità a causa di traumi o altro, ma il Sé resta quello.
Potrei suggerire questa immagine: il Sé è una bottiglia di vetro, la psiche è l'acqua, il corpo-cervello è il rubinetto che eroga l'acqua riempiendo la bottiglia. La bottiglia unifica e trattiene l'acqua, che altrimenti si disperderebbe; e permette che la luce del sole la illumini (coscienza universale), aggiungo infine.
Io affermo che la "bottiglia" (Sé) preesiste, tu affermi invece che si forma al momento in cui si forma il rubinetto (corpo-cervello) e si apre cominciando a erogare acqua (psiche).
Ma anche accogliendo la tua assunzione, è chiaro che quella specifica "bottiglia" (che non preesisteva) non ha alcun rapporto di necessità con quello specifico rubinetto, né con quello specifico flusso d'acqua. Non essendoci un rapporto di necessità, quella bottiglia avrebbe potuto apparire sotto a un altro rubinetto e riempirsi di altra acqua. In tal caso, il medesimo Sé avrebbe raccolto e trattenuto un'altra psiche dipendente da un altro corpo...
Riguardo al "postulare ad hoc", se postulare la coscienza universale suona falso, perché non suona falso postulare materia ed energia, e in generale un mondo oggettivo, che potrebbe essere più semplicemente il sogno di una coscienza soggettiva? Se è arbitrario l'uno è arbitrario anche l'altro...
Quanto alle costanti fisiche ad hoc o inesplicate, la fisica è piena. Ho letto recentemente un articolo dove un fisico si lamentava del fatto che è prassi corrente introdurre fino a quattro costanti ad hoc per far quadrare i dati sperimentali con le previsioni delle equazioni quanto-meccaniche; e il bello è che questo viene poi sbandierato come una conferma della teoria, quando al contrario almeno qualche dubbio dovrebbe sorgere sulla sua validità.
Ma non è solo questo. Anche le costanti osservate sperimentalmente dovrebbero essere (e lo sono per molti scienziati) fonte di imbarazzo. Come la
costante di struttura fine: un numero puro, 137. Perché 137, e non un qualsiasi altro numero? E questo vale per moltissime altre costanti: la costante gravitazionale, la velocità della luce etc. Le abbiamo misurate, e tutto quel che possiamo dire è che sono così, ma perché sono così resta un mistero che si risolve, si fa per dire, solo facendo finta di nulla.
E poi, chi la detto che sono davvero costanti? Chi ci garantisce che la costante gravitazionale è rimasta invariata in tutta la storia dell'universo? Nulla, semplicemente lo postuliamo, perché è più semplice per noi.
Peraltro, pare che la velocità della luce non sia costante nemmeno in tempi storici, poiché dai primi esperimenti di un secolo e mezzo fa, ad oggi, si è riscontrato una chiara "deriva" verso il basso, non ricordo quanto ora, ma di qualche metro al secondo, un valore comunque maggiore dell'errore sperimentale. Anche su questo, tutto tace...
Citazione di: Loris Bagnara il 15 Giugno 2016, 12:00:56 PM
Il concetto è molto sottile ed è difficile da cogliere per un individuo di mentalità occidentale, che è abituato a identificare se stesso con il proprio corpo.
Direi semmai che sono i concetti separabili di anima e corpo (spirito e materia) che sono di chiara ascendenza occidentale: l'idea di anima, come essenza ideale autosussistente comincia con Platone per essere poi assunta dal cristianesimo in contrasto con la concezione originaria di anima come vita, respiro.
CitazioneIo sento di essere me stesso qualunque sia il contenuto della mia mente.
Certo, questo è il problema che pone anche Damasio e propone di risolverlo identificando questa costanza di riferimento del sé con il complesso delle informazioni corporee afferenti nel midollo allungato volte al mantenimento biostatico vitale, unico, ma da ogni individuo esperito in modo diverso. Certamente è una posizione che si può considerare troppo riduttivistica e inadeguata, ma che comunque credo interessante nella sua esplorabilità scientifica.
CitazioneNon essendoci un rapporto di necessità, quella bottiglia avrebbe potuto apparire sotto a un altro rubinetto e riempirsi di altra acqua. In tal caso, il medesimo Sé avrebbe raccolto e trattenuto un'altra psiche dipendente da un altro corpo...
Non c'è un rapporto di necessità in quanto tu continui a considerare l'esperienza del sé pre esistente alla corporeità, appunto come una sorta di contenuto (acqua) che può essere versato o meno in un certo contenitore o in un altro, senza necessità di versarlo in quello in cui lo si trova versato. Ma se abbandoni questa metafora del contenuto/contenitore e consideri il corpo-Sé come unità non c'è alcuna possibilità che il "sé stesso" si trovi in un corpo diverso da quello che è, poiché il sé è quel corpo che lo esprime e viceversa, anche se è possibile considerarli a mezzo di linguaggi diversi che considerano l'unità incindibile e sempre coesistente di io-corpo secondo modalità di descrizioni diverse. Non c'è quindi l'acqua contenuta in una bottiglia, ma qualcosa che è contemporaneamente acqua e bottiglia a seconda di come la descrivi (proprio come l'acqua è l'elemento liquido che conosciamo e insieme molecola chimica)
CitazioneRiguardo al "postulare ad hoc", se postulare la coscienza universale suona falso, perché non suona falso postulare materia ed energia, e in generale un mondo oggettivo, che potrebbe essere più semplicemente il sogno di una coscienza soggettiva? Se è arbitrario l'uno è arbitrario anche l'altro...
Sì, anche i termini materia ed energia sono delle pure astrazioni che cercano di tradurre in modo del tutto astratto le esperienze che abbiamo di noi stessi e del mondo. Possiamo parlare invece di "coscienza universale" e vedere come questo presupposto aiuta a vedere le cose, nel punto di vista di chi lo assume, senza però dimenticarsi che anche questo è un punto di vista che nasce comunque da un sentire particolare da cui trae il proprio universale per dare ragione al proprio particolare.
Su tutte le costanti introdotte ad hoc in fisica hai perfettamente ragione: non hanno motivazione razionale, ma solo funzionale: funzionano per fare previsioni ripetibilmente esatte, ma rappresentano un buco dal punto di vista teorico, ossia indicano che la teoria, come formulata, in qualche misura non è comunque corretta in termini logici, per quanto pragmaticamente funzionale.
Citazione di: maral il 20 Giugno 2016, 12:33:05 PM
Su tutte le costanti introdotte ad hoc in fisica hai perfettamente ragione: non hanno motivazione razionale, ma solo funzionale: funzionano per fare previsioni ripetibilmente esatte, ma rappresentano un buco dal punto di vista teorico, ossia indicano che la teoria, come formulata, in qualche misura non è comunque corretta in termini logici, per quanto pragmaticamente funzionale.
Ma le costanti della fisica si constatano empiricamente a posteriori (e dalle previsioni ripetibilmente esatte che consentono sono confermate).
Non si può pretendere che vengano conosciute a priori (saremmo simili a dei onniscienti se ci fosse possibile) o dedotte logicamente da qualche principio a priori.
malgrado ciò le teorie fisiche sono con tutta evidenza corrette in termini logici (se fossero aurtocontraddittorie o assurde nemmeno sarebbero prendibili in considerazione e sottoponibili a controllo empirico); inoltre sono sottoposte a falsificazione empirica.
Citazione di: maral il 20 Giugno 2016, 12:33:05 PM
CitazioneIo sento di essere me stesso qualunque sia il contenuto della mia mente.
Certo, questo è il problema che pone anche Damasio e propone di risolverlo identificando questa costanza di riferimento del sé con il complesso delle informazioni corporee afferenti nel midollo allungato volte al mantenimento biostatico vitale, unico, ma da ogni individuo esperito in modo diverso. Certamente è una posizione che si può considerare troppo riduttivistica e inadeguata, ma che comunque credo interessante nella sua esplorabilità scientifica.
CitazioneNon essendoci un rapporto di necessità, quella bottiglia avrebbe potuto apparire sotto a un altro rubinetto e riempirsi di altra acqua. In tal caso, il medesimo Sé avrebbe raccolto e trattenuto un'altra psiche dipendente da un altro corpo...
Non c'è un rapporto di necessità in quanto tu continui a considerare l'esperienza del sé pre esistente alla corporeità, appunto come una sorta di contenuto (acqua) che può essere versato o meno in un certo contenitore o in un altro, senza necessità di versarlo in quello in cui lo si trova versato. Ma se abbandoni questa metafora del contenuto/contenitore e consideri il corpo-Sé come unità non c'è alcuna possibilità che il "sé stesso" si trovi in un corpo diverso da quello che è, poiché il sé è quel corpo che lo esprime e viceversa, anche se è possibile considerarli a mezzo di linguaggi diversi che considerano l'unità incindibile e sempre coesistente di io-corpo secondo modalità di descrizioni diverse. Non c'è quindi l'acqua contenuta in una bottiglia, ma qualcosa che è contemporaneamente acqua e bottiglia a seconda di come la descrivi (proprio come l'acqua è l'elemento liquido che conosciamo e insieme molecola chimica)
[,,,]
Replico non per convincere nessuno, ma solo per chiarire meglio il mio pensiero.
Non posso abbandonare la metafora contenitore/contenuto perché il corpo non è un'unità, ma un'entità sfuggente quanto una nuvola nel cielo. Se volessimo descrivere un singolo corpo umano, non sapremmo nemmeno definire i suoi limiti. La flora batterica intestinale fa parte del mio corpo oppure no? Il cibi che ho nello stomaco? Quella parte del cibo che è passata nel sangue? L'aria che ho nei polmoni? L'ossigeno che è passato nel sangue? etc
Ciò che non è unità non può darsi unità da sé, perché per farlo dovrebbe essere ciò che non è: unità.
Nemmeno le "mappe corporee" di Damasio possono realizzare quell'unità che il corpo non è, perché una mappa non può dare a se stessa unità: una mappa è solo un insieme di informazioni che vengono interpretate globalmente da un soggetto cosciente. La mappa riceve unità dal soggetto, non può essere la mappa a creare il soggetto che legge la mappa stessa (circolarità). La mappa prodotta dall'accostamento di pixel su un monitor, può farsi soggetto capace di leggere se stessa come mappa? Mi pare evidente che no.
Infine, concludo con questo esperimento mentale. Supponiamo che due individui vengano generati "in vitro" perfettamente identici in tutti gli aspetti fisici. I due individui saranno forse una sola coscienza? No, ogni corpo avrà la sua coscienza, e ciò dimostra che due basi materiali perfettamente identiche possono essere animate da due coscienze distinte. Il che significa che la coscienza non può essere generata dalla base materiale, ma in qualche modo esiste un ventaglio di possibili (infinite) coscienze che preesistono alla formazione del corpo; almeno come possibilità, se non nel senso concreto di "anime parcheggiate in attesa di incarnarsi"...
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Giugno 2016, 12:59:27 PM
Replico non per convincere nessuno, ma solo per chiarire meglio il mio pensiero.
Non posso abbandonare la metafora contenitore/contenuto perché il corpo non è un'unità, ma un'entità sfuggente quanto una nuvola nel cielo. Se volessimo descrivere un singolo corpo umano, non sapremmo nemmeno definire i suoi limiti. La flora batterica intestinale fa parte del mio corpo oppure no? Il cibi che ho nello stomaco? Quella parte del cibo che è passata nel sangue? L'aria che ho nei polmoni? L'ossigeno che è passato nel sangue? etc
Ciò che non è unità non può darsi unità da sé, perché per farlo dovrebbe essere ciò che non è: unità.
Nemmeno le "mappe corporee" di Damasio possono realizzare quell'unità che il corpo non è, perché una mappa non può dare a se stessa unità: una mappa è solo un insieme di informazioni che vengono interpretate globalmente da un soggetto cosciente. La mappa riceve unità dal soggetto, non può essere la mappa a creare il soggetto che legge la mappa stessa (circolarità). La mappa prodotta dall'accostamento di pixel su un monitor, può farsi soggetto capace di leggere se stessa come mappa? Mi pare evidente che no.
Loris, l'unità del corpo (del corpo vivente che si riconosce come soggetto) qui non è data da una sorta di topografia in cui ci sta dentro questo o quest'altro oggetto come dentro ai confini tracciati in una mappa, ma da tutto quell'insieme di attività che hanno come
unico scopo il mantenimento di quei parametri biofisici che consento l'omeostasi vitale costante. Si tratta pertanto di un'unità funzionale che corrisponde a un'autopoiesi complessa, ossia un'attività che continuamente e reiterativamente si costruisce e ricostruisce in modo continuo e costante ed è prodotta da diverse unità funzionali tutte volte a quel medesimo unico scopo che definisce il sistema all'osservatore come unitario. Il soggetto non è inteso come una cosa, ma come un'attività unitaria capace di autorappresentarsi, del tutto finalizzata a se stessa, che comprende ogni sua parte funzionale nell'attività ad essa specifica (e che comprende certamente quindi l'attività dei polmoni, dell'intestino, dei batteri che partecipano al processo digestivo e dei neuroni del sistema cerebrale che la traducono nell'immagine di un'identità, un me stesso).
CitazioneInfine, concludo con questo esperimento mentale. Supponiamo che due individui vengano generati "in vitro" perfettamente identici in tutti gli aspetti fisici. I due individui saranno forse una sola coscienza? No, ogni corpo avrà la sua coscienza, e ciò dimostra che due basi materiali perfettamente identiche possono essere animate da due coscienze distinte. Il che significa che la coscienza non può essere generata dalla base materiale, ma in qualche modo esiste un ventaglio di possibili (infinite) coscienze che preesistono alla formazione del corpo; almeno come possibilità, se non nel senso concreto di "anime parcheggiate in attesa di incarnarsi"...
No, non avranno la stessa coscienza (anche se magari vivranno certe esperienze di coscienza comune come accade talvolta nei gemelli omozigoti), e non l'avranno perché la coscienza è sempre adattamento ai contesti diversamente variabili in cui gli individui vengono diversamente a trovarsi, costantemente volti a mantenere dinamicamente l'unità funzionale di se stessi, ossia la propria fondamentale e assolutamente unica autopoiesi.
Citazione di: sgiombo il 21 Giugno 2016, 09:51:39 AM
Ma le costanti della fisica si constatano empiricamente a posteriori (e dalle previsioni ripetibilmente esatte che consentono sono confermate).
Non si può pretendere che vengano conosciute a priori (saremmo simili a dei onniscienti se ci fosse possibile) o dedotte logicamente da qualche principio a priori.
malgrado ciò le teorie fisiche sono con tutta evidenza corrette in termini logici (se fossero aurtocontraddittorie o assurde nemmeno sarebbero prendibili in considerazione e sottoponibili a controllo empirico); inoltre sono sottoposte a falsificazione empirica.
Il problema delle costanti ad hoc in realtà da un punto di vista logico è piuttosto complesso e filosoficamente (oltre che scientificamente) molto interessante, ma qui ci porterebbe fuori tema. Sicuramente le costanti che si introducono in fisica, essendo espresse da un valore numerico, per quanto arbitrarie sono verificabili a posteriori (e varranno finché le si misurerà empiricamente costanti, anche se non c'è alcuna ragione per cui devono essere tali, semplicemente funzionano), diversa è l'idea di una coscienza universale introdotta ad hoc per risolvere il problema dell'unità di ogni coscienza individuale. In che modo si potrà mai verificare una simile ipotesi? Per quanto l'idea sia affascinante assomiglia un po' a quella proprietà dormitiva che i medici sapienti di una famosa commedia di Moliere tiravano in ballo per spiegare come mai l'oppio avesse proprietà sedative: chiaro, l'oppio possiede la proprietà dormitiva e così tutto si spiega.
Citazione di: maral il 25 Giugno 2016, 22:47:10 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Giugno 2016, 09:51:39 AM
Ma le costanti della fisica si constatano empiricamente a posteriori (e dalle previsioni ripetibilmente esatte che consentono sono confermate).
Non si può pretendere che vengano conosciute a priori (saremmo simili a dei onniscienti se ci fosse possibile) o dedotte logicamente da qualche principio a priori.
malgrado ciò le teorie fisiche sono con tutta evidenza corrette in termini logici (se fossero aurtocontraddittorie o assurde nemmeno sarebbero prendibili in considerazione e sottoponibili a controllo empirico); inoltre sono sottoposte a falsificazione empirica.
Il problema delle costanti ad hoc in realtà da un punto di vista logico è piuttosto complesso e filosoficamente (oltre che scientificamente) molto interessante, ma qui ci porterebbe fuori tema. Sicuramente le costanti che si introducono in fisica, essendo espresse da un valore numerico, per quanto arbitrarie sono verificabili a posteriori (e varranno finché le si misurerà empiricamente costanti, anche se non c'è alcuna ragione per cui devono essere tali, semplicemente funzionano), diversa è l'idea di una coscienza universale introdotta ad hoc per risolvere il problema dell'unità di ogni coscienza individuale. In che modo si potrà mai verificare una simile ipotesi? Per quanto l'idea sia affascinante assomiglia un po' a quella proprietà dormitiva che i medici sapienti di una famosa commedia di Moliere tiravano in ballo per spiegare come mai l'oppio avesse proprietà sedative: chiaro, l'oppio possiede la proprietà dormitiva e così tutto si spiega.
Ma è esattamente la stessa cosa anche con le proprietà fisiche che si dicono "scientificamente verificabili".
Perché una mela cade?
Perché la terra e ogni massa possiede un campo gravitazionale.
E che cos'è un campo gravitazionale?
E' un campo di forze che attira verso il centro di quella massa...
Mi pare che la proprietà "attrattiva" del campo gravitazionale sia l'analogo della proprietà "dormitiva" dell'oppio...
Citazione di: maral il 25 Giugno 2016, 22:05:26 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Giugno 2016, 12:59:27 PM
Replico non per convincere nessuno, ma solo per chiarire meglio il mio pensiero.
Non posso abbandonare la metafora contenitore/contenuto perché il corpo non è un'unità, ma un'entità sfuggente quanto una nuvola nel cielo. Se volessimo descrivere un singolo corpo umano, non sapremmo nemmeno definire i suoi limiti. La flora batterica intestinale fa parte del mio corpo oppure no? Il cibi che ho nello stomaco? Quella parte del cibo che è passata nel sangue? L'aria che ho nei polmoni? L'ossigeno che è passato nel sangue? etc
Ciò che non è unità non può darsi unità da sé, perché per farlo dovrebbe essere ciò che non è: unità.
Nemmeno le "mappe corporee" di Damasio possono realizzare quell'unità che il corpo non è, perché una mappa non può dare a se stessa unità: una mappa è solo un insieme di informazioni che vengono interpretate globalmente da un soggetto cosciente. La mappa riceve unità dal soggetto, non può essere la mappa a creare il soggetto che legge la mappa stessa (circolarità). La mappa prodotta dall'accostamento di pixel su un monitor, può farsi soggetto capace di leggere se stessa come mappa? Mi pare evidente che no.
Loris, l'unità del corpo (del corpo vivente che si riconosce come soggetto) qui non è data da una sorta di topografia in cui ci sta dentro questo o quest'altro oggetto come dentro ai confini tracciati in una mappa, ma da tutto quell'insieme di attività che hanno come unico scopo il mantenimento di quei parametri biofisici che consento l'omeostasi vitale costante. Si tratta pertanto di un'unità funzionale che corrisponde a un'autopoiesi complessa, ossia un'attività che continuamente e reiterativamente si costruisce e ricostruisce in modo continuo e costante ed è prodotta da diverse unità funzionali tutte volte a quel medesimo unico scopo che definisce il sistema all'osservatore come unitario. Il soggetto non è inteso come una cosa, ma come un'attività unitaria capace di autorappresentarsi, del tutto finalizzata a se stessa, che comprende ogni sua parte funzionale nell'attività ad essa specifica (e che comprende certamente quindi l'attività dei polmoni, dell'intestino, dei batteri che partecipano al processo digestivo e dei neuroni del sistema cerebrale che la traducono nell'immagine di un'identità, un me stesso).
"L'unità del corpo", come l'hai definita qui sopra, è un concetto che si potrebbe applicare pari pari anche a qualunque macchina o apparato artificiale progettato per mantenere una determinata condizione di equilibrio funzionale interno ed esterno. Ad esempio, un impianto di condizionamento, o un drone col pilota automatico. Ma queste macchine non sono dotate di coscienza, e soprattutto non ne hanno alcun bisogno: la loro funzione la possono svolgere tranquillamente senza coscienza, proprio perché quel che fanno lo fanno automaticamente.
Anche le funzioni del corpo umano, e il mantenimento di quei parametri biofisici che dicevi, avvengono in maniera automatica, o meglio, si dovrebbe dire in questo caso, avvengono a livello inconscio. Ma proprio perché avvengono a livello inconscio, senza che l'individuo ne sia consapevole, trovo che sia irragionevole attribuire a questo processo
inconscio, di mantenimento dell'equilibrio, il sorgere della
coscienza, cioè di una "funzione" (chiamiamola così) che non serve a nulla ai fini di quel processo di riequilibrio. Non serve a nulla avere una funzione che unifichi le varie attività di un processo che funziona tranquillamente per conto suo.
La spiegazione data è, mi pare, un "wishful thinking": ci dice come le cose devono andare in un'ottica riduttivista che esclude una coscienza come entità autonoma; ma non ci dice nulla proprio sul nocciolo della questione, cioè su come faccia questo processo ad autorappresentarsi.
Il mistero è proprio in quell'
autorappresentarsi.
E, aggiungo, il mistero è anche nell'
individuazione. Nulla vieta di pensare a due corpi che posseggano esattamente gli stessi parametri biofisisici e messi nello stesso ambiente.
Ma come si spiegherebbe in tal caso che i due corpi siano animati da coscienze distinte? La spiegazione che mi hai dato non mi convince:Citazione[...] la coscienza è sempre adattamento ai contesti diversamente variabili [...]
La coscienza è il contrario dell'adattamento: è ciò che resta
costante nella mutevolezza dei processi psichici.
Citazione di: Loris Bagnara il 26 Giugno 2016, 13:14:09 PM
Ma è esattamente la stessa cosa anche con le proprietà fisiche che si dicono "scientificamente verificabili".
Perché una mela cade?
Perché la terra e ogni massa possiede un campo gravitazionale.
E che cos'è un campo gravitazionale?
E' un campo di forze che attira verso il centro di quella massa...
Mi pare che la proprietà "attrattiva" del campo gravitazionale sia l'analogo della proprietà "dormitiva" dell'oppio...
No è diverso, infatti si chiama forza gravitazionale, non semplicemente "proprietà attrattiva dei corpi che si attraggono". E' diverso in quanto dall'osservazione che due corpi si attraggono si intende spiegare il fenomeno cercando le relazioni costanti che in esso si ripetono per esprimerle nella forma rigorosa di una legge matematica che consente di verificarne esattamente la predicibilità (e si noti che la stessa legge gravitazionale regola verificabilmente sia la caduta di una pietra che le orbite dei pianeti e degli astri, una faccenda davvero sorprendente se non incredibile). La proprietà dormitiva dell'oppio invece non spiega né predice nulla, semplicemente prende la domanda e la ripete negli stessi termini, ma formulandola come risposta. Infatti, grazie dalla legge gravitazionale posso progettare e costruire un razzo che mi porti sulla luna, dalla proprietà dormitiva dell'oppio non posso progettare né predire alcun altro farmaco che goda della stessa proprietà né di quella opposta.
Citazione"L'unità del corpo", come l'hai definita qui sopra, è un concetto che si potrebbe applicare pari pari anche a qualunque macchina o apparato artificiale progettato per mantenere una determinata condizione di equilibrio funzionale interno ed esterno. Ad esempio, un impianto di condizionamento, o un drone col pilota automatico. Ma queste macchine non sono dotate di coscienza, e soprattutto non ne hanno alcun bisogno: la loro funzione la possono svolgere tranquillamente senza coscienza, proprio perché quel che fanno lo fanno automaticamente.
Certo, ma la differenza è che, nel caso del cervello, il meccanismo di questa regolamentazione diventa input per il cervello stesso (per il termostato nel tuo esempio). La regolazione omeostatica vitale funziona in modo del tutto automatico, ma questa regolamentazione dell'omeostasi viene rappresentata a livello corticale e ritorna come input per il meccanismo automatico di regolazione che a sua volta viene di nuovo rappresentato nella corteccia e così via all'infinito. La cosa è rappresentata ad esempio da Hofstadter in "Anelli dell'io" con la metafora degli specchi che si rispecchiano l'un l'altro. Ovviamente questo non significa che due specchi che si riflettono costituiscano un sistema cosciente, poiché non costituiscono un sistema autopoietico, ovvero non costituiscono un sistema in grado di produrre e mantenere se stesso in autonomia. In questo senso la ricerca sta andando verso sistemi operativi progettati in informatica per reiterare continuamente se stessi accrescendo a ogni ciclo la propria memoria e capacità operativa.
La scintilla della coscienza resta comunque la capacità di poter apparire nel sistema di una prima emozione autonoma riconoscibile dall'osservatore e finora non mi pare che si sia mai verificata per nessun sistema operativo, anche se in grado di dare prestazioni certamente stupefacenti.
Citazione di: maral il 26 Giugno 2016, 18:38:11 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 26 Giugno 2016, 13:14:09 PM
Ma è esattamente la stessa cosa anche con le proprietà fisiche che si dicono "scientificamente verificabili".
Perché una mela cade?
Perché la terra e ogni massa possiede un campo gravitazionale.
E che cos'è un campo gravitazionale?
E' un campo di forze che attira verso il centro di quella massa...
Mi pare che la proprietà "attrattiva" del campo gravitazionale sia l'analogo della proprietà "dormitiva" dell'oppio...
No è diverso, infatti si chiama forza gravitazionale, non semplicemente "proprietà attrattiva dei corpi che si attraggono". E' diverso in quanto dall'osservazione che due corpi si attraggono si intende spiegare il fenomeno cercando le relazioni costanti che in esso si ripetono per esprimerle nella forma rigorosa di una legge matematica che consente di verificarne esattamente la predicibilità (e si noti che la stessa legge gravitazionale regola verificabilmente sia la caduta di una pietra che le orbite dei pianeti e degli astri, una faccenda davvero sorprendente se non incredibile). La proprietà dormitiva dell'oppio invece non spiega né predice nulla, semplicemente prende la domanda e la ripete negli stessi termini, ma formulandola come risposta. Infatti, grazie dalla legge gravitazionale posso progettare e costruire un razzo che mi porti sulla luna, dalla proprietà dormitiva dell'oppio non posso progettare né predire alcun altro farmaco che goda della stessa proprietà né di quella opposta.
Se il "mal di testa" lo chiamo "emicrania", sempre mal di testa è, anche se il termine dotto "emicrania" dà l'illusione di saperne qualcosa di più.
Se io non conosco l'espressione dotta "forza gravitazionale" e ti chiedo di definirmela, di illustrarmela, tu riesci a farlo senza dire qualcosa di simile alla "proprietà che hanno i corpi dotati di massa di
attrarsi reciprocamente"? Non credo.
La realtà è che se anche sappiamo calcolare la forza gravitazionale e utilizzarla per costruire macchine, non sappiamo assolutamente nulla di cosa realmente essa sia; e lo attesti tu stesso quando citi la sorprendente equivalenza fra massa inerziale e massa gravitazionale (un fatto per l'appunto inspiegato, e semplicemente da prendere come tale). Aggiungo che, pare, la costante gravitazionale non sia per nulla costante, e che in tempi storici le misurazioni effettuate danno valori troppo diversi perché ciò sia dovuto all'errore sperimentale. Se la costante G non è costante, allora si deve credere che essa vari secondo una legge che ci è totalmente sconosciuta al momento; ciò significa anche che la gravitazione non è una forza fondamentale, ma la manifestazione di una forza ancora più fondamentale, che al momento sfugge alle nostre equazioni...
Saper calcolare non significa conoscere la realtà di ciò che si calcola. Il sistema tolemaico era perfettamente in grado di calcolare e predire i movimenti degli astri con il grado di precisione allora raggiungibile, eppure quel sistema non descriveva la realtà del nostro universo. i modelli matematici possono funzionare perché nascono proprio per far tornare i conti; ma non dobbiamo commettere l'errore di credere che i modelli siano rappresentazioni "ontologiche" dei fenomeni.
Concludo osservando che non è vero che con la "proprietà dormitiva" (o analoghe bizzarrie) non si può progettare nulla: gli esseri umani lo hanno sempre fatto, da secoli, anche senza conoscere la chimica, tutte quelle volte che hanno fabbricato pozioni e medicamenti raccogliendo erbe e altre sostanze rinvenibili in natura. Semplicemente osservando i fenomeni e i loro effetti, con attenzione e precisione, puoi realizzare tramite essi qualcosa di cui puoi predire il comportamento, anche se ti sfugge il perché. E quando dico "perché", non intendo il perché fornito dalle equazioni (quello non è un "perché"), ma intendo l'essenza del fenomeno.
Citazione di: maral il 26 Giugno 2016, 18:38:11 PM
Citazione"L'unità del corpo", come l'hai definita qui sopra, è un concetto che si potrebbe applicare pari pari anche a qualunque macchina o apparato artificiale progettato per mantenere una determinata condizione di equilibrio funzionale interno ed esterno. Ad esempio, un impianto di condizionamento, o un drone col pilota automatico. Ma queste macchine non sono dotate di coscienza, e soprattutto non ne hanno alcun bisogno: la loro funzione la possono svolgere tranquillamente senza coscienza, proprio perché quel che fanno lo fanno automaticamente.
Certo, ma la differenza è che, nel caso del cervello, il meccanismo di questa regolamentazione diventa input per il cervello stesso (per il termostato nel tuo esempio). La regolazione omeostatica vitale funziona in modo del tutto automatico, ma questa regolamentazione dell'omeostasi viene rappresentata a livello corticale e ritorna come input per il meccanismo automatico di regolazione che a sua volta viene di nuovo rappresentato nella corteccia e così via all'infinito. La cosa è rappresentata ad esempio da Hofstadter in "Anelli dell'io" con la metafora degli specchi che si rispecchiano l'un l'altro. Ovviamente questo non significa che due specchi che si riflettono costituiscano un sistema cosciente, poiché non costituiscono un sistema autopoietico, ovvero non costituiscono un sistema in grado di produrre e mantenere se stesso in autonomia. In questo senso la ricerca sta andando verso sistemi operativi progettati in informatica per reiterare continuamente se stessi accrescendo a ogni ciclo la propria memoria e capacità operativa.
La scintilla della coscienza resta comunque la capacità di poter apparire nel sistema di una prima emozione autonoma riconoscibile dall'osservatore e finora non mi pare che si sia mai verificata per nessun sistema operativo, anche se in grado di dare prestazioni certamente stupefacenti.
In tutte le macchine che funzionano con logica "fuzzy" l'output della macchina ritorna nel flusso di input della macchina stessa. Il cervello umano non avrebbe nulla di differente, in tal senso.
Piuttosto, se si crede di poter far nascere la coscienza tramite una reiterazione infinita di questi cicli, credo che si debbano placare gli entusiasmi, poiché in un cervello umano quanti cicli potranno avvenire, realisticamente? Se vedo una mela e sono consapevole di vedere una mela, quanti cicli reiterativi possono avvenire nel tempo che passa fra l'istante in cui cui comincio a vedere la mela e l'istante in cui ne sono consapevole? Diciamo che passa un decimo di secondo. Quanti cicli ci possono stare in un decimo di secondo, considerando la velocità dei segnali neurali? Dieci? Facciamo anche cento. Cento cicli reiterativi sarebbero dunque sufficienti per far nascere in
me la coscienza di quella mela?
E soprattutto, chi è quel
me che con cento giri di giostra neurali viene misteriosamente strappato al nulla in cui beatamente se ne stava?
Il "me" non è qui il luogo in cui accade la coscienza di qualcosa (ad esempio una mela), ma è (come io, ossia come soggetto) la coscienza di quel qualcosa che appare a se stessa (il me appare come coscienza dell'essere cosciente di quella mela) e il tempo ha senso solo a partire da questo momento (se il "me" infatti non è il luogo della coscienza essendo esso la coscienza, è però il luogo del tempo, poiché il tempo si trova solo nella coscienza della coscienza di qualcosa).
In realtà l'obiezione che può essere mossa a Damasio, come a qualsiasi discorso che intenda spiegare la coscienza, è che la sua spiegazione non può che partire dall'essere coscienti, ossia parte da ciò di cui si intende spiegare l'origine, quindi ciò che non si può vedere.
Salve. Lo sapete, vero, che stiamo tutti parlando di questo argomento perché ci piace, abbiamo il tempo di farlo e - qualcuno - è pure solleticato dalla possibilità di apparire dotato, colto, profondo ed intelligente. Lo sappiamo,,, no??.
La coscienza che si interroga sulla propria natura. Dal tosacani cui mi reco ogni tanto (non possiedo cani né accompagno cani altrui) mi si fa accomodare su una vecchia poltrona davanti ad una parete occupata da un immenso specchio. In cui vedo il riflesso del mio volto.
Anche la parete alle mie spalle ospita uno specchio. Identico e perfettamente perpendicolare al primo.
Quindi, davanti a me, io vedo, in secondo piano, ancora il mio volto un poco più piccolo ed un poco più buio (tutti gli specchi assorbono un poco della luce). E' il riflesso numero 3 proveniente dallo specchio alle mie spalle (quello numero 2 e poi nr. 4, 6, 8,.....stanno nello specchio alle spalle).
Davanti, oltre ancora, il fenomeno si ripete, con i riflessi 5,7,9, 11, 13...................
Immagini del mio volto sempre più piccole, lontane, scure........che affondano infine nel buio.
Come mai davanti a me non vedo anche - magari in alternanza con il volto, anche la mia schiena la cui immagine viene certo riflessa dallo specchio alle mie spalle e dovrebbe venir anch'essa inviata a specchiarsi davanti a me? Semplice, comunque io mi muova, l'immagine della mia schiena risulterà sempre coperta da quella del mio "davanti".
Una metà di me mi sarà sempre ignota (la mia coscienza - so che ci deve essere ma non riesco a vederla), l'altra metà mi si presenterà eternamente (la mia mente - ciò che io credo di essere ma non sono completamente).
Io vengo dal buio dietro di me e sono destinato a venir ingoiato dal buio davanti a me, ed è inutile chiedere ad uno specchio chi sono.
E non sono tanto sciocco da chiedergli se io sia per caso il vertice della Creazione. dell'Evoluzione, dell'Intelligenza e non possa mai magari anche aspirare all'Immortalità. Come invece molti fanno, rispondendosi positivamente con la più noncurante naturalezza, come appunto qualcun altro ha insegnato loro a rispondersi dopo aver atteso inutilmente la risposta di un muto specchio. Buona serata a tutti.
Citazione di: viator il 15 Novembre 2017, 23:24:32 PM
Salve. Lo sapete, vero, che stiamo tutti parlando di questo argomento perché ci piace, abbiamo il tempo di farlo e - qualcuno - è pure solleticato dalla possibilità di apparire dotato, colto, profondo ed intelligente. Lo sappiamo,,, no??.
La coscienza che si interroga sulla propria natura. Dal tosacani cui mi reco ogni tanto (non possiedo cani né accompagno cani altrui) mi si fa accomodare su una vecchia poltrona davanti ad una parete occupata da un immenso specchio. In cui vedo il riflesso del mio volto.
Anche la parete alle mie spalle ospita uno specchio. Identico e perfettamente perpendicolare al primo.
Quindi, davanti a me, io vedo, in secondo piano, ancora il mio volto un poco più piccolo ed un poco più buio (tutti gli specchi assorbono un poco della luce). E' il riflesso numero 3 proveniente dallo specchio alle mie spalle (quello numero 2 e poi nr. 4, 6, 8,.....stanno nello specchio alle spalle).
Davanti, oltre ancora, il fenomeno si ripete, con i riflessi 5,7,9, 11, 13...................
Immagini del mio volto sempre più piccole, lontane, scure........che affondano infine nel buio.
Come mai davanti a me non vedo anche - magari in alternanza con il volto, anche la mia schiena la cui immagine viene certo riflessa dallo specchio alle mie spalle e dovrebbe venir anch'essa inviata a specchiarsi davanti a me? Semplice, comunque io mi muova, l'immagine della mia schiena risulterà sempre coperta da quella del mio "davanti".
Una metà di me mi sarà sempre ignota (la mia coscienza - so che ci deve essere ma non riesco a vederla), l'altra metà mi si presenterà eternamente (la mia mente - ciò che io credo di essere ma non sono completamente).
Io vengo dal buio dietro di me e sono destinato a venir ingoiato dal buio davanti a me, ed è inutile chiedere ad uno specchio chi sono.
E non sono tanto sciocco da chiedergli se io sia per caso il vertice della Creazione. dell'Evoluzione, dell'Intelligenza e non possa mai magari anche aspirare all'Immortalità. Come invece molti fanno, rispondendosi positivamente con la più noncurante naturalezza, come appunto qualcun altro ha insegnato loro a rispondersi dopo aver atteso inutilmente la risposta di un muto specchio. Buona serata a tutti.
...e cosa sarebbe ,quella tal entità, che ti fa porre domande e pur anche giudizi, dianzi a cotal inutile sistema di specchi?
Salve Paul 11 e a tutti gli altri. Ciò che fa porre domande ed esprimere condiserazioni io la chiamo funzione. Una delle funzioni cerebrali, cioè la mente.Tu, penso, la chiamerai coscienza, che io considero essere una diversa funzione posta "a cavallo" tra la funzione psichica e quella mentale. Essa è secondo me il tramite tra l'istinto e la capacità di volere.
Citazione di: viator il 18 Novembre 2017, 17:31:48 PM
Salve Paul 11 e a tutti gli altri. Ciò che fa porre domande ed esprimere condiserazioni io la chiamo funzione. Una delle funzioni cerebrali, cioè la mente.Tu, penso, la chiamerai coscienza, che io considero essere una diversa funzione posta "a cavallo" tra la funzione psichica e quella mentale. Essa è secondo me il tramite tra l'istinto e la capacità di volere.
Quello che ho notato storicamente è come i termini mutano definizioni e significati, per cui capisco che oggi sono ambigui.
Ad esempio quando si dice che una persona "è cosciente" si definisce uno stato di veglia e volizione.
In termini morali "incosciente" è sinonimo di irresponsabile
La psiche nell'antica Grecia era scritta "psuche" e definiva qualcosa di diverso di quello che fuoriesce dagli studi della psicologia, psicanalisi e psichiatria. E così via.........
Se per te la mente fosse "solo" funzione del cervello, significa che ontologicamente non esiste in sè e per sè, ma come dinamica di reazioni biochimiche .Così, mi sembra di capire, per te sarebbero funzioni la psiche, la coscienza, l'istinto,ecc.
Il mio parere è che potrebbe anche essere che sia così, ma non è allora ancora chiaro come la materia del e nel cervello lo esplichi, di come i nostri pensieri, la nostra consapevolezza si correlino nelle reazioni biochimiche divenedo materia.
Perchè l problema ,a mio parere, è che noi umani siamo mentali, ma non cervello, e mi spiego.
Se io ingerisco il cibo, ho consapevolezza almeno fino ad un certo punto del passaggio fisico dalla bocca all'ano del metabolismo dell'alimento, la stessa cosa nella respirazione dell'altro "alimento", l'ossigeno..
Il problema mentale è che noi siamo consapevoli del solo mentale e parecchio meno di ciò che avverrebbe biochimicamnte nel meccanismo che dalla percezione sensoriale passa all'elaborazione di un pensiero, all'inserimento in memorie, e di nuovo al ripescare un pensiero, un'informazione che dovrebbe essere racchiusa ina combinazione biochimica così come il DNA racchiude quattro basi di acidi nucleici contendo tutta la nostra informazione fisica.
Non so se riesco a spiegarmi........
Vorrebbe dire che le disposizioni spaziali di sinapsi dovrebbero signifcare un pensiero, perchè da qualche parte nel mio cervello, un mio pensiero mentale corrisponde totalmente ad una formulazione biochimica o di disposizioni sinaptiche.
Quindi ,a mio parere, deve esserci una corrispondenza ontologica(fisicamente c'è, non solo astrattamente) della propria consapevolezza( sinonimo di coscienza?),dei propri pensieri, delle informazioni, per cui il mentale dovrebbe essere l'attività, più o meno volitiva,(perchè comunque anche nel sogno senza volontà noi lì attingiamo) che presiede alla volontà e che linguisticamnte si esprime nella ragione.
Salve. Per Paul11: Capisco il problema del dover individuare un nesso tra l'immaterialità della coscienza e del pensiero ed il tessuto materiale della sede cerebrale che dovrebbe ospitarli.
E' perché i processi e le FUNZIONI cerebrali non sono esclusivamente materiali e biochimiche.
La chimica, ovviamente anche bio-, consiste in una variazione di potenziali elettrochimici che provocano la dinamica atomica e molecolare.
Lo spostamento di atomi e la trasformazione delle molecole generano il metabolismo organico in generale ed ovviamente anche - a livello ancora più sofisticato - quello neurologico in particolare.
In esso abbiamo della materia che si sposta e si trasforma, ma può farlo solo se c'è anche dell'energia che la muova. L'energia elettrochimica. E l'energia - elettrica, elettrochimica o di qualsiasi altro genere, al contrario della materia non è un ingrediente sostanziale, bensi IMMATERIALE e FORMALE.
Le radiazioni infatti (tutte le radiazioni sono un fenomeno energetico) sono immateriali poiché altrimenti, per il principio di inerzia, non potrebbero raggiungere la velocità della luce. Di esse fanno parte anche le correnti elettriche a livello neuronale, le quali influiscono sulla "stato" e sulla struttura dei componenti materiali cerebrali pur senza possedere una propria materialità.
E perché le chiamo anche FORMALI ? Ma perché un qualsiasi grumo di materia potrà avere proprietà e svolgere FUNZIONI diverse - A PARITA' DI DIMENSIONI, DI PESO, DI TIPO E NUMERO DI ATOMI CHE LO COMPONGONO - a seconda del suo stato o del suo livello energetico.
In generale e sia nel più remoto ganglio nervoso come all'interno della più colossale galassia, esistono solo la materia intesa come SOSTANZA e l'energia, che rappresenta come la trama, cioè LA FORMA di quella materia. E guarda caso, sia SOSTANZA che FORMA sono termini appropriatamente filosofici !!
E trasferendoci infine verso una interpretazione spiritualistica e fideistica (per chi vi crede) lo sai qual'è il rapporto tra Dio ed il Mondo fisico ?? DIO è la sostanza del Mondo (cioè il completo assieme di tutto ciò che è), mentre il Mondo è la forma di Dio (cioè il modo in cui Dio è configurato, è disposto). Nessuna SOSTANZA (materia) può esistere in mancanza di una FORMA (energia) che la animi......e viceversa. Statemi bene tutti.
Rispondo all'ultimo posto di viator.
Dal punto di vista della scienza, anche l'energia è materia e la materia è energia: si tratta di un'affermazione che, da Einstein in poi, è diventata quasi ovvia...
Ma parte di quel che dici, viator, è comunque condivisibile perfino dal punto di vista esoterico.
L'esoterismo ammette l'esistenza di una sola sostanza radice, che si manifesta in due polarità: materia ed energia (o spirito: è la stessa cosa dal punto di vista esoterico).
Allora, basta ammettere che quell'energia di cui tu parli, viator, corrisponda alla coscienza universale di cui parla l'esoterismo: quella sorgente (eternamente esistente) da cui tutte le coscienze individuali provengono.
Allora anche il resto del tuo discorso fila.
Salve. Per Loris Bagnara: Ecco fatto! Siamo giunti al dunque dell'apparente contraddizione tra materialismo e spiritualismo.
Contraddizione inesistente poiché il rapporto tra queste due visioni del mondo secondo me è semplicemente sinergico una volta che si attribuisca alla materialità il ruolo di SOSTANZA ed alla spiritualità quello di FORMA.
Una qualsiasi costruzione materiale ha un senso solo se possiede una forma. Una qualsiasi costruzione spirituale vive solo se viene attribuita ad una sostanza.
Ed oceani di coglioni passano la vita a battersi per sostenere il primato e la primogenitura di uno di questi aspetti sull'altro !!!
La bruta e sterile materia ha la stessa dignità di funzione e contenuto della più trascendente spiritualità, altro che balle !!!
L'uomo invece è talmente stupido da giungere a considerarsi superiore a ciò che l'ha generato e lo fa vivere.
Infine una osservazione su scienza e fede. O, se si preferisce, tra materialismo e spiritualismo. Percorsi che coprono lo stesso identico tragitto, solo lo fanno partendo ciascuno da una estremità diversa. Ed il percorso è quello che dovrebbe portare dal relativo all'assoluto.
La scienza parte dall'ignoranza volendo (vanamente) giungere alla certezza. La fede parte da una certezza (filosoficamente vana) la quale, presumendo di essere già la risposta definitiva, lascia nell'ignoranza chi la coltiva.
chiedo venia, viator
ho visto solo ora che avevi risposto ad un "vecchio" post.
Niente male la tua tesi, ma non sono sicuro che il mentale sia energia elettromagnetica.
E' energia, ma non saprei di quale tipo.
Eppure noi ci percepiamo mentalmente non con il cervello,noi sappiamo specchiarci(vederci allo specchio e sapere che siamo noi il riflesso sullo specchio, gli animali no).La mente guida il cervello e a mio parere sono ontologicamente diversi, ma comunicanti.
Sul rapporto forma e materia ritengo che tu sia sulla strada giusta
Salve. Per Paul11: Il funzionamento del cervello, consistente nelle relazione tra le sue funzioni (psichica, coscenziale, mentale, intellettuale e razionale) è basato secondo me (e non sono né originale né solitario, nel pensarlo) su impulsi elettrochimici. Naturalmente la chimica è a sua volta basata sulla fisica, e quindi l'elettrochimica non è altro che l'insieme degli effetti chimici dello svolgersi dei fenomeni elettromagnetici.
Circa poi lo specchio, l'incapacità animale di stabilire collegamenti tra il sé individuale e la propria immagine è semplicemente dovuta al diverso gradino evolutivo al quale si trova un cervello: gli animali non hanno maturato una coscienza e men che meno una mente quindi non possono autoriconoscersi guardando in sé (la coscienza è una specie di specchio interiore nel quale la mente si riflette, riuscendo a distinguere se stessa da tutto quanto la circonda. La nostra immagine e persino il nostro corpo, e persino tutti i componenti del cervello diversi ed evolutivamente inferiori (precedenti) alla funzione mentale sono infatti FUORI dalla nostra mente).
Ovvio quindi che, non essendo in grado di riconoscersi guardando in sé, men che meno potranno riconoscersi in uno specchio fisico ed extracorporale.