Ho sempre avuto in elevata considerazione la libertà individuale, anche quella imprenditoriale. La considero senza dubbio un valore da preservare. Soprattutto se e quando si sviluppa in maniera armonica, nel rispetto dell'ambiente entro cui va ad insediarsi. Diverso è il mio parere quando per raggiungere i suoi fini, questa libertà impone le sue regole e tende a deprimere i territori e comprimere le libertà e le convenienze delle comunità.
Non vi è libertà nell'aggressione dell'ambiente, se non quella sterile di chi ama circondarsi dei miasmi putrescenti della morte. Però nessuno può pretendere che la massa segua la libera scelta di chi amerebbe vivere in mezzo ai cadaveri. Chi ama i deserti può benissimo salire sul più elevato ed isolato pennone di roccia e vocarsi ad una vita da anacoreta.
Ci sono casi, anche non sporadici, in cui l'imprenditoria e l'industrializzazione non hanno consumato suolo uccidendo il territorio, ma pretendere che l'industria chimica o quella di trasformazione non abbiano alcun impatto sull'ambiente naturale circostante è davvero pura follia.
Più frequentemente accade che le élite industriali e capitaliste, in massima parte, non abbiano alcun rispetto dell'ambiente che ospita le loro fabbriche ed imprese. È noto: il capitale non ha olfatto, e i miasmi della morte che le ciminiere eruttano nell'aria o sversano nei terreni mai potranno offendere il suo delicato nasino, troppo avvezzo a ben altri profumi.
D'altronde, pecunia non olet!
Novello Erisittone, il capitalismo è massimamente autoreferenziale, proprio perché si nutre di sé stesso e tende a nutrire esclusivamente sé stesso. Non per nulla un antico detto, per nulla popolare, recita: il denaro va dove c'è denaro e ricchezza. Ma la ricchezza non si genera per partenogenesi. Il suo accumulo è sempre, a livello planetario, una sottrazione di mezzi economici e finanziari ad altre parti del mondo. Ricchezze che in quelle zone magari fungono da mero sostentamento. Per questo motivo, sostanzialmente, l'aggressione capitalistica priva di freni e controllo tende a desertificare le aree ove poggia i propri voluttuosi sguardi.
Ciò che il liberismo sfrenato, alleato del capitale, non può comprendere e non potrà mai accettare è che le regole del mercato non sono dettate semplicemente e solo dalla dinamica domanda/offerta. Il mercato, e con esso l'economia, è un ingrediente imprescindibile della comunità umana. Con essa entra necessariamente in contatto. La troppo spesso mortifera ed onnivora liason domanda-offerta tende sovente ad entrare in conflitto proprio con la comunità umana. Infatti, se e quando si viene a creare un vistoso disequilibrio fra questi due poli (e ciò accade assai spesso), si vengono a determinare conseguenze assai cruente. Ciò ha più volte messo in crisi questa dinamica autoreferenziale, rendendo indispensabile un governo superiore delle forme di economia che al capitalismo, per un verso o per l'altro, fanno riferimento. In sintesi, la variabile umana, folle e mai pienamente governabile, indipendente sia dal mercato sia dalla volontà del capitale, ha in buona misura condizionato la libera e sfrenata espressione proprio del capitale, spesso imbrigliandolo e asservendolo ai bisogni della comunità (soviettismo, per dirla alla Gramsci?). Più sì che no, questo è avvenuto, quando è avvenuto, allorché il liberismo senza vincoli è stato soggiogato alle urgenze umane ed alla necessità di riscatto di vaste frange della popolazione, soprattutto proletaria e contadina.
Il Capitale ha sottoscritto un accordo di reciproca collaborazione con il potere. Vivono in una condizione di osmosi. Si autosostentano. L'espansione dell'uno significa quasi sempre la crescita dell'altro. Il Capitale si è sempre appoggiato al potere, di solito il più becero e cruento, per alimentare se stesso. La storia dell'uomo è ridondante di questa evidenza. La si veda un po' alla stregua di un quadro eseguito con la tecnica del puntinismo. Non v'è alcuna necessità di dover corredare questa tesi con citazioni, basta aprire un qualsiasi libro di storia, di sociologia, di antropologia per averne piena contezza.
Lo stesso Colombo poté varcare l'Oceano su tre meravigliose barche in grazia e virtù della voluttuosa prospettiva di dar maggior espansione alle brame di ricchezza dei governanti di Spagna. Così fu che popolazioni intere (incivili, cruente etc...) furono sterminate (c'è necessità di qualche citazione?). La conquista del West fu anch'essa opera sua. La tratta degli schiavi fu una conseguenza della protervia del Capitale. Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare, che se non imbrigliato ed opportunamente asservito rischia oggi, ancora una volta, ma stavolta in maniera definitiva, di soffocare per eccessiva brama l'uomo e la sua umanità.
Certo, fu inoculato in quelle terre selvagge il germe della civiltà. Ma qualcuno è mai andato a domandare se avessero necessità e avvertissero il bisogno di questa nostra civiltà? L'uomo ha esigenze che il Capitale non può e non potrà mai soddisfare. Potrà forse fornire dei surrogati (come un fiore di plastica), ma mai potrà dare risposte ed indicare la strada verso l'unico vero desiderio umano: quello della felicità.
Le attività umane, sono, giustappunto, attività dell'uomo. Questi non può essere visto e considerato alla stregua di una monade: sufficiente a se stesso, essere a se stesso. È, come prima sua caratteristica essenziale, un essere relazionale. La primissima relazione che instaura una volta che viene al mondo è con l'ambiente circostante. Da questo rapporto polemico (da polemos), quindi spesso conflittuale ed assai dinamico, non può mai prescindere. Può vivere isolato, come un eremita, ma con l'ambiente che lo accoglie e circonda deve pur sempre fare i conti.
La Natura non è sempre una madre benigna, sovente si mostra nelle sue acre vesti di mater matrigna - interessantissime a tal proposito le lezioni di Leopardi -. Da qui la necessità di governarla, modificarla, rimodularla per adattarla alle condizioni genetiche del suo ospite. L'uomo è l'unico essere del creato che nasce totalmente privo di difese naturali: "la scimmia nuda".
Essendo la Natura colei che offre asilo a questa scimmia nuda, è gioco forza che, nel riadattarla alle sue esigenze, l'uomo debba necessariamente portarle assoluto rispetto. Tale rispetto si concretizza nel trovare il giusto equilibrio (il kata metron dell'antica saggezza greca) fra le trasformazioni antropiche e le ragionevoli e ben misurabili capacità di assorbimento che l'ambiente mostra di possedere.
Diversamente, se si eccede, si cade nel peccato che sempre una saggezza che precedette quella di Cristo definiva 'tracotanza' (hybris).
L'uomo per vivere ha necessità assoluta di usare l'ambiente, ma senza eccessi ed evitando di apportare modificazioni tali da ridurre a macerie la casa che lo ospita.
Abbiamo e siamo innamorati (me compreso, ovvio) di un unico modello di civiltà. Lo abbiamo brevettato e lo esportiamo convinti che sia l'unico universalmente valido. Abbiamo così soppiantato altri esempi di convivenza fra umani. Sotto l'insegna della croce e della pecunia abbiamo irriso le civiltà del vicino e lontano Oriente - per riscoprirle solo quando il nostro modello ha mostrato vistose crepe ed incrinature -; cancellato quella precolombiana; reso sterile quella paleocristiana; disintegrato quelle animistiche del centro Africa. Senza rispetto e senza ritegno, le abbiamo quasi tutte cancellate. Mai che alla pecunia ed alla mitra sia venuto in mente di affiancare e non sostituire, accostare e non soverchiare, integrare e non assimilare.
Il Capitale e il potere hanno un vocabolario assai ridotto, purtroppo.
Da sempre quest'entità acefala si è servita del potere e il potere di lei. La storia del colonialismo è una storia d'amore fra potere e Capitale. E quest'ultimo conserva in sé, nel proprio Dna proprio il sentore e il sapore di quelle calde e voluttuose notti in cui poté, senza remore e senza freni, addirittura con il consenso festoso della più alta autorità morale del tempo, consumare l'amplesso col suo amato. Ne serba il ricordo e tende a perpetuare questa sua vocazione, prescindendo dall'uomo e dalla Natura, che in questa sarabanda ditirambica sovente appaiono come freni – lacci e lacciuoli -.
Il Capitale ragiona in termini di colonialismo. Quando non lo fa è giusto perché la politica, quindi l'uomo, non glielo consente – a tal proposito gli esempi sarebbero ridondanti -. Se fino a ieri assumeva volto e sembianze piuttosto rozze, senza curarsi dell'estetica, oggi, epoca in cui anche l'occhio ha le sue pretese, si ammanta delle candide vesti del progresso. Anche quando a questo progresso sarebbe meglio e più saggio rinunciare . Ma il suo volto è sempre arcigno e il suo sorridere scopre denti aguzzi, come quelli delle fiere pronte all'assalto.
Questa naturale alleanza impone che quanti permangono ai suoi margini o relegati oltre il suo perimetro debbano sottostare alle sue ferree regole, che statuiscono l'imperio delle élites sulle masse. La dittatura del Capitale si estrinseca e realizza con la sottrazione alle masse delle opportunità di sviluppo organico ed armonico. È sufficiente dare una scorsa alla storia della Sardegna. Cercare di comprendere cosa sia accaduto con la grande industrializzazione dell'isola - capitale, potere e, purtroppo in quel caso, anche cieco, se non addirittura venduto sindacalismo, uniti all'insegna del progresso -. Una visita guidata a Sarroch, Ottana, Porto Torres, Portovesme è sempre assai didattica. Lì, in quei deserti, fra quelle cattedrali, potranno essere reperite le dotte citazioni che io non includo in questo testo. Se per un solo attimo si ha avuto la sensazione che stia filosofeggiando in maniera astratta, una visita al museo della morte di Porto Torres rasserenerebbe chiunque sulla veridicità di quanto affermo.
Non vi è naturalità nell'operare del Capitale, solo un'inesausta ricerca del profitto. Ciò va a danno, troppo spesso, di tutto quel che entra in conflitto con le sue mire. La Natura non è un'entità amorfa del complesso ecosistema definito terra. Ne è parte viva e pulsante. L'ambiente, intendendo terra, acqua e cielo, elementi primordiali che rinnovano e celebrano ogni giorno i fasti e la sacralità della vita, è elemento vivente. Come tale esposto anche al rischio di essere sopraffatto dalla morte: tutto ciò che vive è esposto alla morte (cit. U. Galimberti e mille altri ancora, ma soprattutto il buon senso).
L'uomo, intendendo con questo termine l'intera umanità, in esso (ambiente) è immerso, da questo è circondato e con questo deve convivere, pena la scomparsa di entrambi.
La Natura, quindi l'ambiente, ha un'enorme capacità di assorbimento delle attività antropiche. La Natura è resiliente. Questo afferma la scienza. In un rapporto osmotico, si modella, modula, adatta e conforma alle modificazioni apportate dall'attività umana. Così è sempre stato. È questo che ha consentito il progredire della tecnica e la crescita del livello e della qualità della vita della comunità umana. Altro che Capitale. Una Natura rigida non avrebbe mai potuto consentire l'antropizzazione del pianeta. Merito assai più elevato rispetto a quello ascrivibile al mercato e al Capitale. Se le cose sono andate in un verso favorevole all'uomo, non è detto che domani possa essere così. O per meglio dire, così è sempre stato fino all'avvento della rivoluzione tecnologica, quella dei tempi coevi... Di oggi.
Dicevo, l'ambiente ha un'immensa capacità di adattamento. Certo, è risaputo e comprovato, ma è anche scientificamente provato che questa adattabilità ai mutamenti, soprattutto quando indotti in maniera eccessivamente repentina, non è infinita, bensì definita e, mi si passi la tautologia, quindi anche limitata. Il che significa, senza meno, che vi è una soglia (altra sgraditissima tautologia, ma serve per comprendersi), un confine oltre il quale il sempre labile diaframma che separa il rigoglio della vita dal tanfo della morte e del disfacimento si lacera e non sarà più rammendabile con interventi tampone come gli accordi di Kyoto (tali sono, servirebbe ben altro per mettere in sicurezza il bene più prezioso che abbiamo, ovverosia la vita futura nostra, in quanto specie e del pianeta, in quanto ecosistema globale).
Il capitale è figlio di un sistema imprenditoriale che si è sempre nutrito attingendo linfa vitale dall'eco coloniale dei secoli trascorsi. Non si è mai abbeverato ad una fonte che non scaturisse dalla silicea roccia della necessità di rincorrere se stesso. Avendo come unico obiettivo quello di potersi sempre superare (accumulo, in economia), non si è mai nutrito dell'esigenza di operare per un bene più elevato e meno autoreferenziale: quello, per esempio, delle comunità entro cui è andato ad insinuare le sue voraci membra. Ha stretto un patto serrato e pare inscindibile con l'autoremunerazione.
È così diventato alieno alle tematiche di più elevato profilo etico e sociale (se ne fotte, in un francesismo assai più esplicativo). È refrattario a misurarsi in termini di eco-sostenibilità (tutto ciò che entra in contatto con il termine ambiente o ecosistema, assume per lui i connotati dei no global, scordando e non volendo vedere che a Genova nel 2001, per esempio, sfilavano madri di famiglia, padri con prole al seguito, sfilavano pacificamente inseguendo l'utopia di pacificare la Natura con l'umanità che il capitale tende a disumanizzare). Recalcitrante ad ascoltare le voci dissennate (certo, lo sono, tutte le utopie sono dissennate) e dissonanti che pongono sulla linea dell'orizzonte del guadagno fine a se stesso la necessità di espandere le possibilità per costruire i presupposti di un'esistenza migliore, che non sia dunque esclusivo appannaggio di già pingui capitalisti.
Non avendo a cuore altri che se stesso e la sua spiraliforme remunerazione, ha in uggia tutto ciò che tendenzialmente o anche potenzialmente possa recare con sé un gradiente o una screziatura di pericolosità al suo eterno, vano e vacuo indefinito espandersi
Parte 2/2
Nel passato i mutamenti erano scanditi da tempi lunghi, non improvvisi e mai eccessivamente invasivi. Compatibili con i tempi di rigenerazione. Gli ecosistemi trovavano il tempo indispensabile per adattarsi e fagocitare, assimilare e metabolizzare i cambiamenti. L'uomo e le sue attività prosperavano (quando prosperavano) e la Natura proseguiva il suo corso.
Mai come oggi abbiamo gli strumenti tecnologici per modificare in maniera repentina ed irrimediabile lo status della Natura. Mai come oggi abbiamo in mano i dispositivi ed i congegni sufficienti per distruggere l'intero pianeta, con noi dentro. Poco rileva che le aspettative di vita siano cresciute fin oltre gli 80 anni, se poi la vera prospettiva rischia di essere solo quella di sopravvivere in un deserto. Questa è la vera unica novità rispetto al passato. Noi siamo in condizione di distruggere il pianeta, abbiamo a disposizione gli strumenti per farlo. E la grande preoccupazione è legata al fatto che questi strumenti siano in massima parte in mano a personaggi come Trump, Putin, Netanyahu o al pazzo nordcoreano di turno.
In Lombardia, nel triangolo industriale Brescia-Bergamo-Milano, il consumo del suolo ha raggiunto e forse superato il punto di non ritorno. Quella è la zona geografica più antropizzata d'Europa. La Natura soffre, non ha il tempo di assimilare e di rigenerarsi e s'impregna della putredine che le cattedrali del progresso riversano indisturbate in foggia di materiali di scarto delle lavorazioni, vuoi di derivazione chimica, oppure organica. Non si tratta di qualche industrialotto che inquina e non rispetta le leggi, si tratta di eccesso antropico.
Il modello di sviluppo che il capitale (soprattutto finanziario) ha imposto al potere (perché nel binomio potere/capitale il soccombente e l'asservito è il primo dei due poli), e di riflesso alle comunità, è sbagliato. Eccessivamente aggressivo, eccessivamente mortifero. Per perpetuare se stesso e sostentarsi sottrae spazi alle attività più naturali e congeneri al territorio. Basti un esempio preclaro ed eclatante (ma ce ne sono migliaia, non quindi casi sporadici): il termodinamico di Gonnosfanadiga è ipotizzato in un'area ad elevata vocazione agricola. La sua realizzazione sottrarrebbe suolo alle attività produttive di specie che quei territori sono in grado di esprimere. Nondimeno, nonostante le resistenze mostrate dalle popolazioni del luogo, non vi è una chiusura preconcetta contro il termodinamico, ma solo limitata alla sua localizzazione.
Il buon senso, non la filosofia radical chic, non l'ideologismo che fa rima con psicologismo, vorrebbe ed imporrebbe che per la sua realizzazione sia individuata un'altra ben diversa area geografica. Diversamente, qualora la spoliazione divenisse un dato di fatto, quelle colture sarebbero destinate a sparire o migrare in altre aree, magari meno fertili.
Buon senso, cribbio! Non altro. Non comunismo, non ecologismo, non terrorismo. Purtroppo la volontà acefala del Capitale e del potere ad esso asservito impone altre scelte. Il territorio e le sue comunità insorgono. Mi si spieghi, chi in questo malaugurato esemplificativo caso ha più ragioni? Il Capitale che se ne fotte delle reali esigenze umane o il territorio che chiede gli spazi che più gli si confanno?
Altra caratteristica, forse la più inquietante: il Capitale tende naturalmente e caratterialmente ad soggiogare l'uomo alle sue brame, e per far ciò piega la Natura al suo imperio. Utilizza per i suoi fini il potere, spesso in armi. La Natura, invece, chiede all'uomo il rispetto dei suoi ritmi di vita ed in cambio offre i suoi prodotti, utilizzando per questo fine anche il capitale e l'imprenditoria. Ora, sarà pure un pensiero da soviet, ma credo ed immagino che il bene delle comunità, quindi dell'uomo, risieda proprio in questo rapporto simbiotico, di interscambio: rispetto contro frutti.
Se non adeguatamente governati, i modelli di sviluppo portati ed offerti dal Capitale e dal mercato sono tesi ad ottenere la massimizzazione dei profitti: in pratica sortiscono l'effetto di uccidere la mucca che da' loro il latte, la carne e le pelli, senza attendere che questa si riproduca per perpetuare il ciclo produttivo. Credo che si abbia necessità di nuovi modelli che utilizzino il capitale, la tecnica, la tecnologia, l'imprenditoria e il mercato e che evitino che siano questi a direzionare ed istituire l'organizzazione sociale e i bisogni delle genti. Che siano quindi l'uomo e la comunità umana a dettare le regole e non il Capitale ed il potere.
Il pensiero espresso dal capitale è acefalo e retrogrado. Non porta ad un progresso sociale, se per progresso s'intende crescita armonica della qualità della vita. Porta ad una necrotizzazione dell'ambiente, e il percorso che traccia è contrappuntato da un pullulare di morbilità, che se ben osservata (la morbilità) rappresenta il marchio e la cifra del progressivo divenire della morte.
Bisogna imparare a leggerli questi segnali.
Complimenti, Visechi, per l'ennesima dissertazione di stampo vetero marxista.
Il mondo di oggi ha tanti problemi, ma per nessuno di questi il pensiero Marxiano offre una minima accettabile spiegazione o soluzione. Continua a vivere nel tuo mondo, e a non vedere la realtà.
Le economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.
Il sistema capitalista ha molti aspetti positivi dal punto di vista economico e sociale, alcuni degli aspetti negativi sono tipici di qualunque economia.
Qualunque attività economica, indipendentemente dal sistema, è basata su processi entropici, il cui risultato finale è la produzione di scarti, rifiuti, inquinamento. Il sistema capitalistico accentua questi processi perchè è dinamico in modo esponenziale grazie al progresso tecnico.
Le guerre, le colonie, la schiavitù, lo sfruttamento non sono un'invenzione del capitalismo, ma dei sistemi economici e sociali in generale. Che il capitalismo abbia bisogno per sussistere delle colonie o della guerra sono sciocchezze marxiste.
Un aspetto profondamente negativo tipico del sistema capitalistico è la sua strutturale incapacità di assistenza economica e sociale verso la popolazione che lo adotta, perciò favorisce le disuguaglianze economiche e sociali.
Il compito dello Stato è di porvi rimedio.
Per me il problema principale attuale non è il capitalismo ma la sovrappopolazione umana, all'origine di molti altri problemi economici e sociali che hai elencato.
Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 17:22:01 PMComplimenti, Visechi, per l'ennesima dissertazione di stampo vetero marxista.
Il mondo di oggi ha tanti problemi, ma per nessuno di questi il pensiero Marxiano offre una minima accettabile spiegazione o soluzione. Continua a vivere nel tuo mondo, e a non vedere la realtà.
Tranquillo, vedrai che se rileggi riuscirai a capire qualcosa anche tu.
Citazione di: baylham il 24 Novembre 2024, 19:01:40 PMLe economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.
Il sistema capitalista ha molti aspetti positivi dal punto di vista economico e sociale, alcuni degli aspetti negativi sono tipici di qualunque economia.
Qualunque attività economica, indipendentemente dal sistema, è basata su processi entropici, il cui risultato finale è la produzione di scarti, rifiuti, inquinamento. Il sistema capitalistico accentua questi processi perchè è dinamico in modo esponenziale grazie al progresso tecnico.
Le guerre, le colonie, la schiavitù, lo sfruttamento non sono un'invenzione del capitalismo, ma dei sistemi economici e sociali in generale. Che il capitalismo abbia bisogno per sussistere delle colonie o della guerra sono sciocchezze marxiste.
Un aspetto profondamente negativo tipico del sistema capitalistico è la sua strutturale incapacità di assistenza economica e sociale verso la popolazione che lo adotta, perciò favorisce le disuguaglianze economiche e sociali.
Il compito dello Stato è di porvi rimedio.
Per me il problema principale attuale non è il capitalismo ma la sovrappopolazione umana, all'origine di molti altri problemi economici e sociali che hai elencato.
Scrivevo che il capitale, se non governato (anche per questo esistono i governi), pur di conseguire il suo unico fine, cioè accrescere sé stesso per soddisfare i suoi possessori posseduti, non si perita di saccheggiare il territorio. Non avverte i morsi degli scrupoli. È amorale e autoreferenziale. Che lo Stato abbia il compito di incanalarne le 'mortifere' potenzialità (mortifere sé lasciato a sé stesso) è un qualcosa che sottoscrivo pienamente; che non si possa comunque prescindere dal capitale per far crescere un territorio, è un'altra di quelle tautologie che non mi sogno di negare.
Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 21:47:51 PMScrivevo che il capitale, se non governato (anche per questo esistono i governi), pur di conseguire il suo unico fine, cioè accrescere sé stesso per soddisfare i suoi possessori posseduti, non si perita di saccheggiare il territorio. Non avverte i morsi degli scrupoli. È amorale e autoreferenziale.
Non c'é nulla da capire in questi discorsi assurdi e metafisici. Nella "tua" concezione il "capitale" sarebbe un'entità volontaristica che ha dei fini e non ha morale. Ma il "capitale" non é un'entità personale, queste cose, aver dei fini, rispettare o no una morale le fanno gli uomini.
Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 22:26:47 PMNon c'é nulla da capire in questi discorsi assurdi e metafisici. Nella "tua" concezione il "capitale" sarebbe un'entità volontaristica che ha dei fini e non ha morale. Ma il "capitale" non é un'entità personale, queste cose, aver dei fini, rispettare o no una morale le fanno gli uomini.
Certo, certo concordo pienamente. Davvero un commento dirimente.
Citazione di: baylham il 24 Novembre 2024, 19:01:40 PMLe economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.
Perché mi fai notare questo aspetto della storia del capitale, peraltro più che noto?
In quale punto del mio intervento rilevi confusioni storiche?
Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 13:51:42 PMCredo che si abbia necessità di nuovi modelli che utilizzino il capitale, la tecnica, la tecnologia, l'imprenditoria e il mercato e che evitino che siano questi a direzionare ed istituire l'organizzazione sociale e i bisogni delle genti. Che siano quindi l'uomo e la comunità umana a dettare le regole e non il Capitale ed il potere.
Nella mia ignoranza, è la prima volta che sentendo parlare del capitale, sentendolo personalizzare ancora una volta , si, ma con la piena coscienza di farlo per necessità narrativa, non mi sento respinto da questo tipo di discorsi.
E' la prima volta che sentendo parlare di capitale non percepisco la volontà di scaricare su altri da se le responsabilità che sono di tuti, e senza tirare quindi in ballo complottismi vari.
Mi rincuora che vi siano ancora persone come te capaci di leggere la realtà in modo si appassionato, si, ma senza che questa passione si trasformi in una lente distorcente della realtà.
O forse è solo che l'essere sardi è un punto privilegiato di osservazione?
Se è così allora viva la Sardegna e viva i sardi, per quanto strani a volte possano sembrare. :)
Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 17:22:01 PMComplimenti, Visechi, per l'ennesima dissertazione di stampo vetero marxista.
Il mondo di oggi ha tanti problemi, ma per nessuno di questi il pensiero Marxiano offre una minima accettabile spiegazione o soluzione. Continua a vivere nel tuo mondo, e a non vedere la realtà.
Condividendo con te in generale questa opinione, però mi pare di individuare nel nostro Visechi una notevole eccezione.
Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 13:51:42 PMIl pensiero espresso dal capitale è acefalo e retrogrado. Non porta ad un progresso sociale, se per progresso s'intende crescita armonica della qualità della vita. Porta ad una necrotizzazione dell'ambiente, e il percorso che traccia è contrappuntato da un pullulare di morbilità, che se ben osservata (la morbilità) rappresenta il marchio e la cifra del progressivo divenire della morte.
Bisogna imparare a leggerli questi segnali.
E infatti le regole le fanno gli uomini, e fanno anche le istituzioni, come quelle che presiedono al libero mercato. Queste istituzioni hanno prodotto crescita e qualità della vita iperdimostrate soprattutto se viste a confronto con quei paesi che si sono affidati alle ideologie collettiviste, i quali, come la Russia, anche dopo aver superato l'errore del comunismo, si ritrovano comunque a pagare un grandissimo tributo di morte e sofferenza come effetto residuale di quella cultura di odio e di violenza che é stata instillata dall'ideologia marxiana del conflitto sociale.
Citazione di: anthonyi il 25 Novembre 2024, 06:48:52 AME infatti le regole le fanno gli uomini,
A che serve questa inutile pedanteria? Perché insistere nel farmi notare una cosa lapalissiana?
Saresti altrettanto pedante se un sociologo sostenesse che "Internet ha imposto un modello di relazione...". Salteresti sulla sedia per redarguire il conferenziere contestandogli il fatto che internet non impone nulla, caso mai sono gli uomini...
Così via se si discutesse del Male, della Chiesa... insomma un confronto impossibile quando ci si limita a focalizzare cose inutili.
Citazione di: Visechi il 25 Novembre 2024, 08:46:24 AMA che serve questa inutile pedanteria? Perché insistere nel farmi notare una cosa lapalissiana?
Saresti altrettanto pedante se un sociologo sostenesse che "Internet ha imposto un modello di relazione...". Salteresti sulla sedia per redarguire il conferenziere contestandogli il fatto che internet non impone nulla, caso mai sono gli uomini...
Così via se si discutesse del Male, della Chiesa... insomma un confronto impossibile quando ci si limita a focalizzare cose inutili.
Internet è una struttura reale, il concetto di "capitalismo" invece rappresenta un'ipotesi di rappresentazione dei meccanismi della società. Oltretutto nel tuo esempio tu assegni una causa effetto ad internet, ma non un'azione volontaristica.
Proprietà privata e libero mercato sono strutture reali, l'agire di convenienza individuale tipico degli operatori economici è una struttura di comportamento umana. Tutte queste cose, reali se considerate nella loro specificità, diventano metafisica quando le si ipotizza come organizzate in un'unica struttura volontaristica e decisionale che poi voi chiamate "capitalismo".
Oltretutto si tratta di strutture che non sono specifiche dei periodi storici e delle civiltà alle quali viene assegnato l'attributo di "capitalista", per cui non esistono attributi specifici tramite i quali la si possa identificare.
Lasciami fare comunque una confessione, a me da un sottile piacere decostruire le costruzioni ideologiche marxiane con gli stessi strumenti filosofici del costruttore.
Come si può definirsi materialisti e poi centrare il proprio discorso su una costruzione ideale e metafisica come un concetto di "capitalismo" al quale vengono addirittura attribuite potenzialità finalistiche, volontaristiche e atteggiamenti morali?
Caspita! Faccio ammenda, ora è davvero tutto chiaro.
Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 22:54:06 PMPerché mi fai notare questo aspetto della storia del capitale, peraltro più che noto?
In quale punto del mio intervento rilevi confusioni storiche?
"Lo stesso Colombo poté varcare l'Oceano su tre meravigliose barche in grazia e virtù della voluttuosa prospettiva di dar maggior espansione alle brame di ricchezza dei governanti di Spagna. Così fu che popolazioni intere (incivili, cruente etc...) furono sterminate (c'è necessità di qualche citazione?). La conquista del West fu anch'essa opera sua. La tratta degli schiavi fu una conseguenza della protervia del Capitale. Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare, che se non imbrigliato ed opportunamente asservito rischia oggi, ancora una volta, ma stavolta in maniera definitiva, di soffocare per eccessiva brama l'uomo e la sua umanità."
Non puoi creare un'artificiosa diretta correlazione, se non addirittura una forzata coincidenza, fra capitale e società capitalista. Il primo è causa della seconda, il che significa che il capitale precedette la formazione di comunità asservite alla sua protervia, ovverosia nazioni capitaliste quali l'Inghilterra.
Ad ogni buon conto, accolgo il tuo rilievo e t'invito a leggere il periodo da te stralciato in maniera più sfumata, forse magari mutando pure la causa: da capitale (che indiscutibilmente giocò il suo ruolo) a potere.
Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 13:49:43 PMNovello Erisittone, il capitalismo è massimamente autoreferenziale, proprio perché si nutre di sé stesso e tende a nutrire esclusivamente sé stesso. Non per nulla un antico detto, per nulla popolare, recita: il denaro va dove c'è denaro e ricchezza. Ma la ricchezza non si genera per partenogenesi. Il suo accumulo è sempre, a livello planetario, una sottrazione di mezzi economici e finanziari ad altre parti del mondo. Ricchezze che in quelle zone magari fungono da mero sostentamento. Per questo motivo, sostanzialmente, l'aggressione capitalistica priva di freni e controllo tende a desertificare le aree ove poggia i propri voluttuosi sguardi.
Ciò che il liberismo sfrenato, alleato del capitale, non può comprendere e non potrà mai accettare è che le regole del mercato non sono dettate semplicemente e solo dalla dinamica domanda/offerta. Il mercato, e con esso l'economia, è un ingrediente imprescindibile della comunità umana. Con essa entra necessariamente in contatto. La troppo spesso mortifera ed onnivora liason domanda-offerta tende sovente ad entrare in conflitto proprio con la comunità umana.
Cito solo queste poche righe della tua lunga e, per moltissimi aspetti condivisibile, disamina sulla stretta, strettissima relazione tra capitale e morte. Sia fisica che spirituale!
Mi viene in mente quando, tempo fa, per un relativamente breve periodo (pochi anni) svolsi un ruolo sindacale all'interno (e anche all'esterno) della mia Azienda. Ricordo, con una punta di amarezza, la mia strenua difesa della possibilità di sottrarsi alla tirannia del mercato. Ma non ci fu praticamente nulla da fare: erano tutti d'accordo sul fatto che la domanda/offerta generava una catena di causa/effetto inarrestabile, immodificabile, immutabile. O meglio mutabile per effetto di nuovi elementi introdotti dal mercato stesso. Qualcuno osò, con invidiabile coraggio, chiamare questa dinamica "evoluzione".
Eppure il mio ragionamento era molto semplice, lineare: il mercato non è una cosa espressa dalla natura bensì dagli uomini. E dunque quest' ultimi potevano modificarlo, correggerlo. Addirittura migliorarlo :D argomentavo. Il mercato non è assimilabile ad una catastrofe naturale, non è un terremoto, un'eruzione vulcanica, etc.
Il mio modo di vedere non raccolse condivisioni sufficienti a dare gambe alle idee che erano conseguenti a questa prospettiva. Niente da fare. L'unica chance che restava al sindacato (e, ovviamente, ai lavoratori) era di lenire le sofferenze ingenerate dal, a questo punto non credo di esagerare, dal, stavo dicendo, dio mercato.
Perdonami questo lungo incipit ma serve a sostenere il mio punto di vista e cioè che anche il capitale (anche se storicamente successivo al mercato) non è una entità e basta ma un'espressione di esseri umani. Potrà anche auto alimentarsi (ciò è evidente nel mondo finanziario) e, per certi aspetti, sembra addirittura vivere di vita propria ma resta una produzione dell'uomo. Poi, lo dichiaro candidamente, non ho letto (se non pochi stralci) del Capitale di K. Marx anche se ho letto alcune sue cose (Il manifesto per es.). Ma cerco di ragionare appoggiandomi al buon senso e alla mia esperienza.
Vado dunque a bomba ad argomentare il focus che mi preme mettere in evidenza: il capitalismo non è un altro che uno dei tanti sistemi di sfruttamento del pianeta a tutto tondo (quindi nel meccanismo ci stanno dentro anche gli esseri viventi). Non penso nemmeno che durerà in eterno, altri sistemi più appropriati lo sostituiranno. E' dagli antichi egizi che va così, passando dalle forme di schiavitù più disparate, arrivando ai servi della gleba e ai.......proletari. Oggi poi, non certo grazie all'illuminazione delle classi dirigenti, bensì come conseguenza dell'avanzamento tecnologico (che non è casuale ma diretto con ogni evidenza da chi comanda) lo sfruttamento si è fatto leggermente più raffinato e, laddove è possibile, meno sanguinario. Laddove ciò è possibile!
E qual è dunque il punto? Che è dentro l'animo umano il problema! Possiamo chiamarlo avidità, paura, egoismo tout court ma secondo me è fuor di dubbio che non esiste e non può esistere un sistema che risolva queste contraddizioni in virtù della "perfezione" del sistema stesso. Sono convinto che sia dentro il cuore e la mente dell'essere umano che è necessario mettere le mani.
Son stato sindacalista per lunghi anni ed ho riscontrato più volta l'enorme difficoltà da te segnalata.
Tempo fa, a proposito di questo tema – mercato – scrissi uno sproposito presentato ad un convegno, riguardante tematiche di interesse regionale.
PROGRAMMARE IL FUTURO PER NON MORIRE.
Euroallumina! (Forse puoi anche leggere Ilva di Taranto, Monsanto di Brescia etc...)
Leggevo un commento: "Se non ci fosse il problema del lavoro". Mi è venuto spontaneo pensare che invece c'è! Ed essendo questo dramma incombente, anzi conclamato, il problema deve essere affrontato con grano salis. La chiusura di una qualsiasi attività, se non compensata da altre iniziative che garantiscano l'assorbimento dei lavoratori e purché queste non rappresentino un palliativo temporaneo per tacitare animi esacerbati, è sempre, qui in Sardegna, un autentico dramma, e di questa tragedia non si può non tener conto.
Io sto con gli operai!
Sto con gli operai significa semplicemente che per quelle persone e per le loro famiglie parteggio. In questo senso sono partigiano. Il lavoro è sacro.
Una volta dichiaratomi partigiano e guardatomi attorno, mi viene anche da pensare se il diritto sacrosanto di questi uomini possa essere considerato prioritario rispetto all'altrettanto sacrosanto diritto alla salute del territorio che ospita quelle attività e a quella degli altri abitanti presenti e futuri.
Nel bordeggiare fra queste due sacralità non è certo semplice propendere per l'una o l'altra soluzione: lavoro o salute (delle persone e del territorio)? La politica – non molto quella sindacale che è sicuramente e, aggiungo io, sovente insensatamente schierata a prescindere - è sempre stata preda di questo dilemma: preservare il territorio o dar momentanea soddisfazione alle disperate paure dei lavoratori?
Come uscire da questa impasse?
Forse provando ad immaginare quale dei due possa essere il diritto più sacro, quello che sopravanzi la sacralità dell'altro, o quale dei due sia più durevole e guardi al futuro con un respiro da maratoneta e non con quello da centometrista. Se si tiene presente la storia dell'industria in Italia e, soprattutto in Sardegna, si ottiene con immediatezza un elemento di riflessione.
L'industria e i suoi sistemi di produzione sono transeunti. Un tempo si modificavano e bruciavano nell'arco di mezzo secolo, oggi, con l'avanzare della tecnologia, variano (se non addirittura muoiono) nell'arco di pochi anni, forse un decennio, ma neppure.
Le speranze di vita di una tecnologia o di un processo produttivo sono sempre più destinate a ridursi, per cui ciò che vediamo oggi sarà completamente diverso un prossimo domani; qui in Sardegna quel che è disponibile oggi è già morto e sepolto in altre zone d'Europa (un tempo l'attitudine a scaricare attrezzature obsolete e processi produttivi desueti verso le estreme periferie dell'Impero era tipico del colonialismo, ma oggi mica si può parlare di quella vetusta ed anacronistica era geologica).
Nessuno può scordare quanto fossero definitive le installazioni dell'industria chimica a Portotorres e nelle altre aree geografiche dell'isola. Esisteva un detto: "entri alla Sir e ti sistemi per tutta la vita!". Le stesse cose le abbiamo sentite anche per l'ex Fiat, e, in tempi assai più recenti, per le banche. Poi abbiamo deciso di scuoterci dal torpore ed abbiamo visto che Sir licenziava, Fiat chiudeva stabilimenti e le banche soffrono di serissimi dissesti finanziari e strutturali. Il risveglio è stato amaro e triste e ci ha avvertito che niente è più labile e fugace delle certezze fondate sugli auspici e sui desiderata.
Ebbene, se i processi produttivi e le fabbriche sono provvisori, è sensato immaginare che anche l'occupazione a questi collegati lo sia in grado direttamente proporzionale. Ma se l'occupazione è fuggevole e caduca, i danni correlati e rivenienti non son tali: danni alla salute delle persone e dei territori. Ora, fra una perenne condizione di precarietà lavorativa sempre incombente e una permanenza del danno, suppongo che, gioco forza, anche il meno accorto dei nostri amministratori dovrebbe propendere per evitare il secondo dei due termini di confronto, anche se ciò dovesse comportare il sacrificio del primo.
Ma non si era detto che anche il lavoro fosse sacro? Certo! Lo confermo. Io, infatti, sto con i lavoratori, e, conseguentemente, con il lavoro. Ma quale lavoro? Non certo quello che, pur precario, assicura guasti permanenti.
Come la giriamo la frittata adesso?
Premetto che in assenza di attività industriale sarebbe logico programmare il risanamento dell'ambiente ed in questa attività occupare i lavoratori in CIG.
Esistono due termini, anzi un'unica locuzione che fornisce una risposta al quesito, secondo me più che adeguata. "Programmazione sostenibile" significa semplicemente voler finalmente rinunciare a fare la guardia al 'bidone vuoto', per impiegare risorse, energie intellettuali, esperienze professionali e tempo per fare seria programmazione avendo cura di non infierire sull'ambiente circostante.
Altro vuoto che si aggiunge al parlare arioso dei politicanti succedutisi in questi decenni sugli scranni di Palazzo Chigi e di via Roma?
NO! E lo asserisco in maniera più che perentoria.
Cosa vuol dire fare programmazione seria?
Cercherò di essere il più sintetico possibile, perché il tema è vasto e complesso... giusto un'infarinatura.
Siamo abituati a vedere l'Ente regionale distribuire contributi, incentivi, sussidi, risorse economiche e finanziarie senza un vero e proprio discernimento, senza discrimine e senza aver prima programmato che fare di quelle risorse. Si dice, in questi casi, 'contribuzioni a pioggia'. Questo modus operandi, alla lunga, oltre a fornire un minimo e transitorio riparo economico alle aziende beneficiate dalla 'pioggia', agevola ed incentiva quella che è nota essere l'economia assistita, che tanti danni ha prodotto e continua a produrre nei territori in cui si fa ancora affidamento su questo tipo d'intervento pubblico: la Sardegna, senza dubbio, è proprio uno di questi territori.
Come ovviare al problema e iniziare ad investire i fondi pubblici in iniziative che siano produttive? Non è un lavoro semplice, ma, se e quando ben organizzato, non tarda a dare i suoi frutti.
Una preventiva analisi del territorio, anche circoscritto per aeree geografiche, se ben condotta, dovrebbe far emergere non tanto e non solo quali siano le necessità e le istanze che da lì promanano, quanto, invece, le potenzialità di sviluppo economico/produttivo dello stesso.
Non tutte le zone geografiche sono adatte per il turismo, come non tutte lo sono per l'agricoltura e non tutte si adattano bene ai distretti agroalimentari. Mille e uno fattori concorrono a fornire il segno e la cifra delle potenzialità. Difficilmente una zona geografica priva o con carenti comunicazioni interne può essere proficuamente sviluppata dal punto di vista turistico, anche se fosse ricca e traboccante di bellezze naturali.
In questo caso le cose da fare potrebbero essere due, anche in combinazione fra loro: programmare a lungo termine la realizzazione di moderne vie di comunicazione interne, al fine di prospettare in un futuro non troppo prossimo un modello di sviluppo a vocazione turistica, e, nel frattempo sviluppare altri modelli a più immediata 'cantierazione': agroindustriali, artigianali e di allevamento, per esempio.
In ambito agroindustriale, un'oculata e preventiva analisi di mercato (locale, nazionale ed estero) dovrebbe consentire di presagire un equilibrato sbocco ed assorbimento delle produzioni, perché non è più ammissibile confidare esclusivamente sui consumi interni.
La predetta analisi di mercato potrebbe far emergere grandi potenzialità d'espansione per una coltura o un tipo di allevamento a scapito di altre iniziative imprenditoriali. Una conseguente analisi merceologica dovrebbe fornire, sempre in anticipo rispetto al piano di realizzazione degli investimenti, un buon livello di certezze circa l'economicità dell'investimento produttivo.
Sarà stato, infatti, analizzato l'impatto dei costi fissi e di quelli variabili sul costo finale per ogni singola unità di prodotto, e determinato quale debba essere il break even point (fa figo - il punto di pareggio produttivo, al disotto del quale si lavora in perdita e oltre cui si inizia a guadagnare qualcosa) per massa di prodotto (sia monocolturale o genericamente inteso come prodotto orticolo).
Contestualmente sarà stata valutata l'incidenza dei costi di produzione, raccolta, trasformazione, trasporto e della fiscalità. Per ciascuno di questi componenti sarà stato pure stabilito il livello percentuale di contribuzione al costo. Non mancheranno neppure gli studi adeguati sulle capacità di assorbimento da parte della domanda interna, nazionale ed estera, anche se queste valutazioni sono fortemente interferite da fattori contingenti dovuti alla stagionalità ed altre questioni che sarebbe troppo lungo e tedioso trattare qui.
L'analisi complessiva sarà dunque in condizione di stabilire quante unità di prodotto dovranno essere messe in vendita per ottenere la giusta remunerazione dell'investimento; quante di queste potranno essere assorbite dalla domanda e quanta forza lavoro si dovrà impiegare per raggiungere i livelli previsti. In definitiva, quante aziende possono sostentarsi grazie a questa attività.
Avuta nozione di tutti questi elementi imprescindibili, si potrà così stimare quali risorse (come modularle) e investitori attivare (consorzi di comuni, regione, stato e/o fondi comunitari), in concorso con i capitali privati e con il sistema delle banche private (noi pare ci siamo giocate prima 'La banca di casa che cresce con te', ora pure quella 'Ovunque nell'isola', non so se si potrà rimediare). Se l'investimento vale il risultato ipotizzato, si procede con il processo attuativo, diversamente è necessario un ripensamento complessivo che preveda un combinato di iniziative.
Ovviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata in maniera tale da mettere in campo più strumenti, che, in combinato fra loro, diano il giusto respiro all'intera iniziativa: agenzie di tuttoraggio, incentivazione all'associazionismo, formazione, informazione e comunicazione, leva fiscale e contributiva, riduzione della burocrazia, incentivazione al reinvestimento di quote di utili, pressione nei confronti degli altri protagonisti del processo (anche e soprattutto in direzione comunitaria) affinché si riconosca all'isola uno status che affranchi l'intervento pubblico dalle stringenti maglie delle complesse e cogenti norme esistenti in materia di aiuti di stato.
Evidente che a questo punto una buona programmazione dovrà aver ben chiaro come strutturare gli interventi: finanziamenti per la gestione, per gli investimenti, per le start up e/o un mix dei tre; a fondo perduto, in conto interessi o sempre un mix dei due.
In pratica, a grandi linee, invece di limitarsi alla valutazione, spesso interessata, di un business plan (anche questo fa figo... piano d'impresa) di una singola o più aziende valutate sempre singolarmente, l'ente pubblico dovrà mettere in cantiere la progettazione di un vero e proprio 'piano economico di zona', avendo particolare cura di tener conto anche dei vincoli comunitari in materia (De minimis, ESL).
Lo stesso processo, con le varianti che le molteplici e differenti condizioni esigono, potrà essere replicato anche per altre attività produttive.
Bravo! Hai scoperto l'acqua calda.
So bene di non aver proposto alcunché di nuovo.
In soldoni è questa la metodologia utilizzata dalle grandi banche d'investimenti per sviluppare i propri affari: una preventiva analisi settoriale per comparti merceologici intrecciata con una del mercato locale, di quello internazionale, della capacità di assorbimento da parte della domanda (in questo caso non spontanea, bensì spesso indotta artificiosamente) e della remunerazione dell'investimento complessivo, è in grado di fornire agli istituti di credito un ottimo livello di conoscenza circa le prospettive commerciali del prodotto da immettere su quel mercato.
Ma se è tutto così facile perché la Regione non ci ha ancora pensato? Io credo che la Regione sappia bene che gli interventi che per comodità chiamiamo a pioggia (non tutti sono tali) non assolvono al compito per cui sono erogati... non fanno rinascere il tessuto produttivo della regione. Credo, invece, che non siano attrezzati sia culturalmente che professionalmente a pensare in termini di programmazione economica a lungo respiro.
Una cosa c'è da dire: il sistema economico che per sopravvivere si basi prioritariamente sull'assistenza pubblica è destinato a permanere in una condizione di sudditanza (mi stava scappando schiavitù) nei confronti di chi quell'assistenza la somministra e fintanto che la Sardegna non sarà in condizione di camminare sulle proprie gambe, i mali atavici che l'affliggono continueranno a perpetuarsi, con buona pace delle velleità indipendentiste, autonomiste e di qualsivoglia altro contenitore cui volessimo far riferimento.
Parafrasanfo il titolo: Il capitale è lavoro morto. Il suo verbo è il profitto. L'imperialismo è solo un mezzo per ottenerlo a buon mercato anche con la guerra come quelle del petrolio iracheno e siriano. Della tutela ambientale gliene frega solo quando può diventare un business, dopo avere avvelenato tanto territori e salute umana.
Citazione di: baylham il 25 Novembre 2024, 12:03:55 PM Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare,
Ma non scordiamo neanche che quelli prima in teoria non c'entravano niente col capitalismo. Il topic è troppo denso e non saprei dove iniziare a rispondere ma mi ha colpito l'immagine dei tentacoli, perché sono invisibili, un po' come la famosa mano. Solo che la mano è la strumento dell'ingegno, il tentacolo l'arma della avidità. Chissà che invece non sia una coscia di pollo invisibile a governare il mondo..
Ovviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata....tu scrivi Visechi, cosciente al contempo del fatto che una programmazione è possibile solo in un mercato che , messa nero su bianco la programmazione , non si già mutato, per la velocità con cui si susseguono le innovazioni tecnologiche, il cui impatto non si può più far finta di non vedere, presentandosi come una cambiale a sempre più breve scadenza.
Il problema è che la corta visuale di sopravvivenza del lavoratore in un sistema democratico diventa assenza di programmazione, finché l'alluvione non diventa un problema di sopravvivenza più pressante della mancanza di lavoro.
La non lungimirante ottica del ''tengo famiglia'', dispiace dirlo, solo le catostefofi ambientali può scuotere, se l'alluvione ogni anno rischia di portartela via la famiglia.
Forse è arrivato dunque il momento di capire che la ristretta ottica del ''tengo famiglia'' è sempre più incompatibile con una economia sempre più globalizzata, dove perfino l'attaccamento al proprio territorio, sempre in un ottica ristretta, può diventare un problema.
Oggi la migrazione è un problema, quando una volta l'essere nomadi era la normailtà, una normalità forse da riscoprire.
Se questo mondo è globalizzato è a questa terra intera che dovremmo estendere il nostro attaccamento, superando lo steccato dell'orto familiare.
Il localismo e la richiesta crescente di autonomia potrebbero essere solo la disperata difesa ad oltranza di una famiglia costretta comunque ad allargare i suoi confini al paese o alla regione, sopratutto in un Italia che storicamente non è comunque riuscita mai a portarla a una dimensione nazionale.
Una cosa è che una nazione sia fatta di famiglie, altro è che su di esse si fondi costituzionalmente, perchè l'interesse della famiglia non coincide con quello della nazione.
La globalizzazione è stata una lente di ingrandimento su questa contraddizione che ha impattato di più su un Italia che nazione non è mai stata.
Quindi se nella sostanza siamo stati fin qui un accocchino di famiglie, le rivendicazioni di autonomia paradossalmente potrebbero essere una tensione delle famiglie a farsi per gradi nazione, piuttosto che la negazione di una dimensione nazionale che non vi è mai stata.
Non vorrei con ciò che mi scambiasse per un leghista, per carità.
E' solo la proposta di un diverso punto di vista sui problemi vecchi e nuovi che ci affliggono, laddove alcuni dei nuovi potrebbero essere solo quelli. vecchi messi sotto una lente di ingrandimento, da farli apparire una novità.
Citazione di: iano il 27 Novembre 2024, 23:17:45 PMOvviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata....tu scrivi Visechi, cosciente al contempo del fatto che una programmazione è possibile solo in un mercato che , messa nero su bianco la programmazione , non si già mutato, per la velocità con cui si susseguono le innovazioni tecnologiche, il cui impatto non si può più far finta di non vedere, presentandosi come una cambiale a sempre più breve scadenza.
Il problema è che la corta visuale di sopravvivenza del lavoratore in un sistema democratico diventa assenza di programmazione, finché l'alluvione non diventa un problema di sopravvivenza più pressante della mancanza di lavoro.
Mi permetto di dissentire. Una società solidale è consapevole del valore di scambio dei valori d'uso e riesce a programmare tale necessità sia in rapporto al consumo umano, che alle infrastrutture e tutela ambientale necessarie per conservare e trasferire i prodotti del lavoro. Non è necessario un padrone capitalista, il cui unico obbiettivo è il profitto per comprendere ed attuare queste misure. Qualunque produttore e amministratore di beni comuni lo può fare meglio del capitalista avendo come obbiettivo non il lucro individuale, ma il benessere sociale il quale comporta anche innovzione tecnologica che restituisce tempo di vita e non perdita di mezzi di sussistenza come in un sistema capitalistico.
Citazione di: Ipazia il 28 Novembre 2024, 09:10:20 AMMi permetto di dissentire. Una società solidale è consapevole del valore di scambio dei valori d'uso e riesce a programmare tale necessità sia in rapporto al consumo umano, che alle infrastrutture e tutela ambientale necessarie per conservare e trasferire i prodotti del lavoro.
Non ho detto il contrario, una società solidale e consapevole possiede la giusta visuale.
Citazione di: Ipazia il 28 Novembre 2024, 09:10:20 AMMi permetto di dissentire. Una società solidale è consapevole del valore di scambio dei valori d'uso e riesce a programmare tale necessità sia in rapporto al consumo umano, che alle infrastrutture e tutela ambientale necessarie per conservare e trasferire i prodotti del lavoro. Non è necessario un padrone capitalista, il cui unico obbiettivo è il profitto per comprendere ed attuare queste misure. Qualunque produttore e amministratore di beni comuni lo può fare meglio del capitalista avendo come obbiettivo non il lucro individuale, ma il benessere sociale il quale comporta anche innovzione tecnologica che restituisce tempo di vita e non perdita di mezzi di sussistenza come in un sistema capitalistico.
una perfetta sintesi,sono d'accordo!
Da ognuno secondo le sue capacità,a ognuno secondo i suoi bisogni come disse Marx.
"Io dico che l'idea statale leninista è stata la migliore del novecento."
così disse Cossiga, il noto presidente Italiano, a una esterefatta conferenza stampa molti anni fa!
E aveva ragione: siccome era il migliore poteva essere usato nel modo peggiore e cosi accadde come succede spesso sulla Terra.
Ve lo dico subito io ero di sinistra, ma avevo una lettura molto romantica della cosa.
Ora francamente mi sono rotto le scatole di farmi prendere per i fondelli.
In questo momento storico sto con le posizioni di Anthony, ossia su posizioni liberali.
Sto cercando dei riferimenti intellettuali ma non ve ne sono.
La sinistra ha fatto un ottimo lavoro di distruzione del pensiero.
Basta vedere i casi Cina e Russia.
A me non interessa come a Antonhy difendere il sistema del libero scambio.
Rimane il fatto che è così che funziona.
La sinistra e i suoi discorsi ampollosi, lacunosi, ignorante non dico dell'opera complessiva, ma almeno delle prime pagine di Marx.
Avevo già aperto topic. Ne discutiamo là.
Che senso ha parlare di capitalismo se non si capisce cosa è il mercato?
Direi di partire da qui.
Anzi vi aiuto perchè sennò è inutile (anche se penso sia inutile lo stesso, perchè voi siete i radical chic, è inutile che vogliate sbolognare l'evidenza dando la colpa a qualcun altro).
Numero uno non avete ancora risposto alla obiezione di Anthony: il capitalismo per voi è un entità?
Secondo il mercato lo dice la domanda dell'offerta e della domanda, e ci siente.
Ma di cosa santo cielo? Suggerimento: andate a leggere le prime pagine di Marx....
vabbè non lo farete mai, e nemmeno recuperate il mio topic.
Ve lo dico io: la merce.
L'uomo è libero di viaggiare o no?
L'uomo è libero di conoscere il valore delle cose, che altri popoli non vogliono o non sanno conoscere?
Come lo volete chiamare questa cosa qui?
Colonialismo?
Voi fate una gran confusione, trattate il capitale manco fosse un Dio, gli affibiate doti mortifere, che invece sono semplici accordi commerciali, LIBERI.
Perchè almeno in occidente dovete farmi capire esattamente dove stiamo rubando?
Il petrolio iracheno lo rubiamo?
Per i sindacalisti faccio veramente fatica molta fatica a parlare con voi, che mi avete rovinato la vita.
Oh no! il mondo è cattivo, e allora io firmo per il male minore nevvero?
Miserabili, avete capito o no che avete VOTATO per il male? che fosse minore lo avete deciso poi voi! Lo capite o no che mi avete rovinato la vita?
Siete ridicoli, siete l'incarnazione stessa del tutto parole e zero fatti. Radical Chic.
E avete anche la presunzione di parlare di NOI, di società, di decidere VOI cosa devono o non devono fare i LIBERI PRIVATI, e le LIBERE BANCHE?
Abbiamo visto cosa è successo in Russia. E' caduta per vostra informazione.
E' bastato l'errore di un organismo (l'unico) ossia lo stato stalinista, non dissimile da quello leninista, eh voilà con il culo per terra, e in più con la distruzione totale di una delle culture più giovani e fiorenti come era quella della russia dell'800 che ha surclassato la produzione europea.
Dove sono finiti questi grandi autori? Nei Gulag!
Buttate giù la maschera: voi siete contro l'individuo.
Siete voi la morte nera, e il neo-feudalesimo cinese che sta distruggendo le capacità amministrative della nostra cara vecchia Europa.
Il sangue futuro, e per quel che vale, quello delle migliaia di poveracci, a cui mi onoro di aver appartenuto per un pò nella vita, è sulle vostre mani.
Mi è bastato vedere nelle anime abbruttite dal lavoro umiliante che facevamo, il disprezzo per qualsiasi parola che non attenesse al loro miserabile interesse.
Provo ribrezzo, e insieme disperazione per le loro vite.
La società :))
Voi non sapete moderarvi.
Purtroppo per voi, qui c'è gente che risponde per le rime.
Ho fatto le domande, le ho fatte anche nei forum comunisti: risposte? ZERO.
Voi sapete tutto voi.
Almeno mi son sfogato.
Bè ho quasi finito il turno.
Saluti.
Citazione di: Ipazia il 26 Novembre 2024, 21:12:04 PMParafrasanfo il titolo: Il capitale è lavoro morto. Il suo verbo è il profitto.
Sono d'accordo, però non il profitto in sè perchè sennò non ci sarebbe la ridistribuzione, bensì la
massimizzazione del profitto che si ottiene o aumentando i prodotti, magari obbligandone l'acquisto, tipo le macchine elettriche e i vaccini, così tanto per iniziare.
Oppure abbassando o fissando gli stipendi rispetto all'inflazione.
Avevo scritto molto di più, mi si è cancellato tutto :D
Va bene così, la mia vena polemica si è spenta poco fa ;) .
Ecco una critica era quella di dire, magari invece che sull'ambientalismo radical chic, che favorisce la vendita di macchine cinesi (i geni dell'economia europea non sapevano ci fosse il libero mercato? :D ), di fare proteste su queste cose reali, come la scala mobile o tipo la scala mobile.
Ma il discorso è lungo, lascio i comunisti a parlare a favore dei capitalisti: siete troppo accecati dall'odio.
Al di là delle farneticazioni...
È evidente che una programmazione economica ben calibrata, che produca benefici effetti nei riguardi di un'area geografica o un territorio più o meno vasto (questo è il mio angolo di visuale, la collettività, la comunità prima dell'individuo) possa sviluppare al meglio le sue potenzialità di sostegno allo sviluppo economico e sociale se il contesto ambientale e giuridico è il più favorevole e vantaggioso possibile. Questa è a dir poco una tautologia. Non si costruisce alcunché in un deserto. Ma quale può essere questo contesto, che caratteristiche deve avere, quali aspetti deve curare con maggior attenzione? Può, infine, esistere un methodos codificabile e che sia valido in tutte le situazioni? Il tema della corretta collocazione del methodos e della sua strutturazione è assolutamente dirimente. Va anche considerato che sebbene la politica rappresenti certamente uno degli attori principali della messa in scena, poiché a lei è richiesta la predisposizione di un coerente quadro normativo imprescindibile per i diversi players che si avvicenderanno sul terreno di gioco, da sola non può creare le condizioni. Ma chi sono questi players?
Parliamo prima di tutto del contesto generale. L'esperienza ed il buon senso tendono ad escludere che il liberismo puro possa offrire le giuste coordinate per lo sviluppo armonico di un territorio. Il Capitalismo, se lasciato agire senza regole o parametri ferrei da rispettare, tende all'ipertrofia solipsistica, ovverosia a gonfiarsi avendo come unico fine quello della remunerazione, sempre crescente, dei possessori del capitale. Massimizzazione del profitto, questo è il suo must. Tende all'ipertrofismo omnifagocitante, uccidendo qualsiasi altra possibilità di iniziativa economica. Le leggi antitrust son nate per ovviare a questo rischio. Nel libero mercato non può dunque essere il liberismo il basamento su cui possa poggiare un'efficace programmazione economico, dovere imprescindibile di chi governa. Però, osservata dall'altro versante, neppure la programmazione declinata in stile sovietico, con i suoi piani quinquennali che tanto danno hanno prodotto, può rappresentare il modello da adottare. Entrambe, liberismo e pianificazione statale (non scrivo comunismo perché di fatto quella sovietica fu tutto tranne che applicazione delle dottrine marxiste), tendono a inaridire il territorio, soffocando la libera imprenditoria e dissanguando l'ambiente. Il libero mercato non può dunque essere declinato nella formula del liberismo, come pure non può svilupparsi in un contesto di assoluta totalizzazione statale.
Se lo Stato ha il precipuo compito di predisporre le necessarie infrastrutture, svolgere pienamente il proprio ruolo d'indirizzo (anche attraverso la leva fiscale e contributiva) e di mettere a punto un quadro normativo fruibile (regole anti duping ed anti trust, per esempio), l'imprenditoria privata deve svolgere appieno il ruolo che più gli si attaglia: convogliare il capitale privato – liquido o finanziario - in attività economiche 'autosostentanti', intendendo con ciò attività che siano armoniche rispetto al mercato ed all'ambiente in cui vanno ad inserirsi, senza che siano prefigurate, fin dal piano d'impresa, situazioni e condizioni in cui il sostentamento dell'attività economica sia affidato all'aiuto pubblico. Ad ognuno il suo ruolo. Stato ed imprenditoria privata, in concorso fra loro, piaccia o meno, rappresentano i due principali players che entrano in gioco in un progetto di sviluppo economico di un'area geografica. Il terzo giocatore è impersonato dal complesso sistema distributivo che affianca la produzione.
Il discorso è lungo e complesso. Non intendo esaurire tutti gli argomenti in un unico post.
Citazione di: Visechi il 30 Novembre 2024, 19:36:48 PMl'imprenditoria privata deve svolgere appieno il ruolo che più gli si attaglia: convogliare il capitale privato – liquido o finanziario - in attività economiche 'autosostentanti', intendendo con ciò attività che siano armoniche rispetto al mercato ed all'ambiente in cui vanno ad inserirsi, senza che siano prefigurate, fin dal piano d'impresa, situazioni e condizioni in cui il sostentamento dell'attività economica sia affidato all'aiuto pubblico. Ad ognuno il suo ruolo. Stato ed imprenditoria privata, in concorso fra loro, piaccia o meno, rappresentano i due principali players che entrano in gioco in un progetto di sviluppo economico di un'area geografica.
A me non pare di aver farneticato.
E comunque stando a quanti dici vi sono cose che mi devi dire esattamente come pensi di fare.
1) l'imprenditoria privata deve svolgere appieno il ruolo che più gli si attaglia
Deve? E chi obbliga questo privato a fare quello che deve fare?
2) convogliare il capitale privato – liquido o finanziario - in attività economiche 'autosostentanti', intendendo con ciò attività che siano armoniche rispetto al mercato ed all'ambiente in cui vanno ad inserirsi
Mercato? Ma non avevi detto che il liberismo NON può essere una strada?
E quali sono queste regole di mercato "armoniche"? Sentiamo.
E pure sull'ambiente: di quale armonia stiamo parlando? Non inquinare? Cosa?
3) senza che siano prefigurate, fin dal piano d'impresa, situazioni e condizioni in cui il sostentamento dell'attività economica sia affidato all'aiuto pubblico.
E chi finanzia allora? A me risulta che l'impresa venga finanziata dalle banche che vengono sostenute dallo Stato, e lo Stato è il pubblico giusto?
Come pensi di ovviare a questa forma di circolazione del capitale?
4) Ad ognuno il suo ruolo. Stato ed imprenditoria privata, in concorso fra loro, piaccia o meno, rappresentano i due principali players che entrano in gioco in un progetto di sviluppo economico di un'area geografica.
In concorso su cosa scusa?
Nella realtà delle cose invece Stato e Privati sono complementari (all'arricchimento della Nazione).
Non so visto che parlavi di farneticazione, forse un esercizio di umiltà, per rendere serio come implementare il marxismo oggi.
Che poi era il motivo per cui avevo aperto la discussione su Marx, ossia chiedersi, chiedermi se possa esistere una economia socialista.
Siccome la discussione è tua però non farebbe bene anche parlare di cosa l'economia di oggi progetta?
Per capire se il tuo progetto sia veramnete antagonista al capitalismo senza cervello contemporaneo.
Sono d'accordo cioè sulle premesse, meramente economiche, la massimizzazione del profitto sta oggi portando l'Europa verso sacche di povertà inimmaginabili.
Non so quale partito politico se ne possa accollare la responsabilità, ma intanto avere una discussione pubblica su questo a me interessa.
A mio modo di vedere liberalismo e socialismo economico devono trovare una quadra molto alla svelta.
Le politiche di austerity di Draghi su cui l'Europa si sta tenendo in piedi da almeno un trentennio, non vengono ormai più recepite, è ovvio che le aziende, quelle tedesche, stanno in una crisi vera.
Però io su questo non ci sto pensando tanto, quindi dicci tu.
Salve.
Citazione di: Visechi il 30 Novembre 2024, 19:36:48 PMAd ognuno il suo ruolo. Stato ed imprenditoria privata, in concorso fra loro, piaccia o meno, rappresentano i due principali players che entrano in gioco in un progetto di sviluppo economico di un'area geografica. Il terzo giocatore è impersonato dal complesso sistema distributivo che affianca la produzione.
Ma è sempre stato così, sin dai più antichi insediamenti umani, piazza del tempio e piazza del mercato sono lo yin e lo yan di una comunità umana, in perpetua tensione alla ricerca di un migliore equilibrio. Fantasmagorici tempi andati dove uno prevaleva sull'altro, o fantasiose profezie su quando uno dei due avrà distrutto l'altro, sono estremi politici che tendono alla mutua limitazione in un processo democratico e assembleare, l'altruismo e l'egoismo manifesti. Il problema della tesi capitalistica è non solo che vede il capitale come un ente, ma che racconta il periodo attuale come una straordinarietà destinata a finire, mentre le evidenze dimostrano che è una banalità destinata a continuare, perlomeno nei canoni invisi ai marxisti (proprietà privata etc). E' piuttosto tragicomico come molti ancora abbiano fiducia nelle doti dei dirigente pubblici, probabilmente se li immaginano molto intelligenti, invece suggerisco di immaginarli particolarmente stupidi, e vedere se l'idea di dargli tutto in mano è ancora allettante. Nobili le lotte sindacali, tra le altre cose hanno anche prodotto i baby pensionati che i very "Baby", i giovani italiani, pagano oggi e ancora per molto tempo, a dimostrazione che le risorse non sono illimitate e anche le migliori intenzioni devono confrontarsi con l'etorogenesi dei fini. Sono trent'anni che Alitalia non produce un bilancio in positivo, il dirigismo italiano questo è, la domanda che ai "marxisti" andrebbe posta sarebbe: immaginate gli stessi coglioni ma con più potere e spiegatemi perchè sarete felici.
Ma è sempre stato così, sin dai più antichi insediamenti umani, piazza del tempio e piazza del mercato sono lo yin e lo yan di una comunità umana, in perpetua tensione alla ricerca di un migliore equilibrio.
No! Non sempre è stato così. Esistono due scuole di pensiero predominanti: l'una ipotizza l'autoregolazione affidata al mercato, senza che lo Stato governi alcunché in materia economica. È la filosofia che nutre il liberismo puro. L'altra ipotizza l'intervento diretto dello Stato anche in ambito produttivo, non solo giuridico ed organizzativo. Entrambe sono mortifere: l'una tende all'ipertrofia, soffocando qualsiasi altra iniziativa che non riesca a sostentarsi attraverso economie di scala. È il problema del trust e del dumping, per esempio. L'altra, sostituendosi all'iniziativa privata, tende a deresponsabilizzare e disincentivare la partecipazione emotiva del singolo. Sono entrambe da evitare.
E' piuttosto tragicomico come molti ancora abbiano fiducia nelle doti dei dirigente pubblici...
No, non intravedo grandi manager pubblici: non li abbiamo proprio perché il manager pubblico è diventato tale non per doti professionali ma in virtù di un ombrello protettivo offerto loro dalla politico. Mancano quelli pubblici, ma difettano ancor più quelli privati: troppo abituati a far propri i guadagni, negandoli agli investimenti produttivi, e a socializzare le perdite attraverso cassa integrazione e iniezioni di pubblico denaro. Così non può nascere e neppure crescere un'adeguata imprenditoria privata.
Nobili le lotte sindacali,
In fesi congiunturali complesse e di riflusso il lavoro del sindacalista (spesso una vera passione espletata con assoluto spirito di servizio) è complesso, difficile e difficilmente premiante. Negli anni di lotta il sindacato ha comunque costruito una rete di diritti e garanzie che copre una quota preponderante del mondo del lavoro subordinato, ed ha opposto la propria forza collettiva ai reiterati tentativi di smantellarla. Poi si capisce... criticare è sempre più facile che costruire.
tra le altre cose hanno anche prodotto i baby pensionati che i very "Baby
Questa dei baby pensionati è una favola che va sfatata. No, il sindacato non ha prodotto i baby pensionati, e neppure le pensioni d'oro, che sono un parto della politica in un'epoca in cui le condizioni complessive del mondo del lavoro permetteva lussi che oggi non ci possiamo più permettere. Mi puoi, invece, dire che il sindacato ha cercato di perpetuare un regime pensionistico che oggi avrebbe determinato il fallimento dell'ente pensionistico... vista corta e difficoltà a gestire il malumore. Il sindacato ha smesso da qualche decennio a pensare che 'il salario sia una variabile indipendente rispetto alla produzione" (cit.). Più spesso, fra battaglie di retroguardia, ha imparato – forse ob torto collo – ad assumersi anch'esso la piena responsabilità della vita del Paese e della singola azienda.
Citazione di: Visechi il 01 Dicembre 2024, 21:24:35 PMMa è sempre stato così, sin dai più antichi insediamenti umani, piazza del tempio e piazza del mercato sono lo yin e lo yan di una comunità umana, in perpetua tensione alla ricerca di un migliore equilibrio.
No! Non sempre è stato così. Esistono due scuole di pensiero predominanti: l'una ipotizza l'autoregolazione affidata al mercato, senza che lo Stato governi alcunché in materia economica. È la filosofia che nutre il liberismo puro. L'altra ipotizza l'intervento diretto dello Stato anche in ambito produttivo, non solo giuridico ed organizzativo. Entrambe sono mortifere: l'una tende all'ipertrofia, soffocando qualsiasi altra iniziativa che non riesca a sostentarsi attraverso economie di scala. È il problema del trust e del dumping, per esempio. L'altra, sostituendosi all'iniziativa privata, tende a deresponsabilizzare e disincentivare la partecipazione emotiva del singolo. Sono entrambe da evitare.
Questi sono e due estremi dello spettro politico attuale, quello che intendevo dire è che sono manifestazione di un dualismo che è sempre esistito ma manifestato diversamente in passato. Sono d'accordo che siano entrambi da evitare, esistono per essere messi in discussione più che per essere attuati, nessuno riuscirebbe a gestire un paese comunista o anarcocapitalista, sono posizioni più teoriche e di bandiera che realistiche, ogni comunità ragionerà a sé stante partendo dalla sua condizione attuale in che direzione è meglio andare. Quello che intendevo dire con gli esempi che ho fatto è che trovo sempre abbastanza curioso trovare critici del liberismo in Italia, perchè sebbene siamo certamente una nazione capitalista non siamo certamente tra le più liberiste in termini economici, più familistici che liberisti. Eppure secondo alcuni il problema in italia sarebbero i "liberisti". Magari in america o in Uk ma sono anche sistemi diversi.. oppure sono tutti "capitalismo" e a tutti va data la stessa ricetta per guarire? Purtroppo ciò che sta invecchiando male non è il "capitalismo" che invece va alla grande e ha commodificato ogni cosa, ma la democrazia parlamentare che dovrebbe regolarlo, centocinquamila discussioni sul problema del capitalismo, nessuna sulla democrazia, siamo destinati al fallimento.
Citazione di: InVerno il 02 Dicembre 2024, 08:26:02 AMQuesti sono e due estremi dello spettro politico attuale, quello che intendevo dire è che sono manifestazione di un dualismo che è sempre esistito ma manifestato diversamente in passato. Sono d'accordo che siano entrambi da evitare, esistono per essere messi in discussione più che per essere attuati, nessuno riuscirebbe a gestire un paese comunista o anarcocapitalista, sono posizioni più teoriche e di bandiera che realistiche, ogni comunità ragionerà a sé stante partendo dalla sua condizione attuale in che direzione è meglio andare. Quello che intendevo dire con gli esempi che ho fatto è che trovo sempre abbastanza curioso trovare critici del liberismo in Italia, perchè sebbene siamo certamente una nazione capitalista non siamo certamente tra le più liberiste in termini economici, più familistici che liberisti. Eppure secondo alcuni il problema in italia sarebbero i "liberisti". Magari in america o in Uk ma sono anche sistemi diversi.. oppure sono tutti "capitalismo" e a tutti va data la stessa ricetta per guarire? Purtroppo ciò che sta invecchiando male non è il "capitalismo" che invece va alla grande e ha commodificato ogni cosa, ma la democrazia parlamentare che dovrebbe regolarlo, centocinquamila discussioni sul problema del capitalismo, nessuna sulla democrazia, siamo destinati al fallimento.
Il problema qui in Italia è essenzialmente dovuto ad incapacità manageriale, sia pubblica che privata.
Peccato che nell'agire di convenienza sia incluso nel capitalismo, con tutela giuridica e militare da parte dello stato, anche lo sfruttamento umano e di beni comuni privatizzati.
Citazione di: Ipazia il 03 Dicembre 2024, 18:22:11 PManche lo sfruttamento umano e di beni comuni privatizzati.
Tra l'altro privatizzano ciò che non dovrebbe MAI essere privatizzato, come i beni comuni (acqua, gas, luce, case), e statalizzano ciò che deve essere privato e basta(auto,banche private, giornali etc...etc...). :D