CitazioneViator scrive:
Salve. Cinismo mio solito.
Non deve avere alcuna importanza quali e quanti lutti ha provocato l'imputato.
La psicologia è tenuta a giustificarlo qualsiasi cosa abbia fatto (giudizio clinico).
La morale vigente all'interno della società al cui interno egli ha agito deve censurarlo od approvarlo (giudizio sociale).
I credenti dovranno moralmente assolverlo se egli si pentirà, lasciandolo poi nelle mani di Dio (giudizio divino).
I congiunti delle vittime potranno chiedere vendetta o perdonarlo (giudizio emotivo).
IL DIRITTO (la cosiddetta Giustizia) dovrà occuparsi SOLAMENTE di tutelare la società dagli eventuali comportamenti futuri del soggetto e di RECUPERARE, nella misura del possibile, IL DANNO PURAMENTE PATRIMONIALE da questi generato nei confronti dei singoli e della comunità (giudizio legale e di prassi).
Hai ucciso "n" persone ? Eri e sei capace di intendere e di volere ? Quante possibilità abbiamo che tu replichi i tuoi comportamenti una volta tornato in libertà?
A questo punto la Corte, valutate attenuanti ed aggravanti, sceglierà tra il minmo ed il massimo della pena.
Stabilita le pena il reo verrà recluso e tale resterà - indipendentemente dalla durata della condanna penale irrogata - almeno sino al termine della causa civile (intentata automaticamente dallo Stato e/o dalle parti civili) che stabilisca QUANTI SOLDI IL REO DEVE CACCIARE !! (Altro che lutti, sbeffeggiamento delle Leggi, pessimo esempio sociale, pericolo di reiterazione, danni patrimoniali enormi, mantenimento in carcere a spese della società, pacchi di provviste recapitate in carcere, sconti di pena........il tutto senza RESTITUIRE, almeno simbolicamente, una parte del danno patrimoniale provocato !!).
Dopo di ciò, verrà calcolato attraverso appositi parametri quali AGGRAVI di pena andranno aggiunti nel caso il reo si rifiuti di dedicarsi (concretamente, materialmente, produttivamente) ad attività produttive penintenziarie (in regime di confino - questa parola non mi turba minimamente - in strutture realmente inviolabili).
Naturalmente ciò nel caso il reo risulti in condizioni fisiche adatte alla produttività.
La pena di morte ? Ci deve essere per i casi più gravi in cui il reo si rifiuti di "redimersi" attraverso l'impegno produttivo. In pratica sarà egli stesso ad infliggersela attraverso le proprie scelte passate e presenti.
Ho spostato l'intervento di Viator in questa nuova discussione perchè effettivamente il tema ha molte prospettive ma questa aperta da Viator è più sociale e culturale che spirituale.
Guarda caso in questi giorni, fra le altre cose, studiavo la base culturale del diritto e nello specifico il diritto romano.
Nella cultura greca si separò la "zoè", vita nutritiva vegetale e animale, dal "bios" vita umana superiore.
La pena, anche senza la morte, è lasciare al condannato la zoè, la vita vegetativa e nutritiva, ma togliergli qualunque diritto
alla vita "superiore"umana.
Lo Stato incarna il "boia" avendo introiettato la dualità dei due concetti.E' famoso che ai condannati a morte, prima della messa a morte sia consentita una lauta cena, appunto quel diritto vegetativo nutritivo.
La bio-politica ,termine utilizzato da Foucoult nei tempi attuali è l'intervento dello Stato su tutto ciò che concerne il termine vita: dall'eutanasia, all'obbligo dei vaccini. staminali, vari tipi di fecondazione,ecc.
La sanità pubblica è un termine "obliquo" quanto lo furono i lager.
Il concetto base è che la "nuda vita" stà alla declinazione dell"essere" nella metafisica:assai difficoltose.
Agamben ha speso anni a studiare l'homo sacer del diritto latino, questa sacralità della vita appartiene allo Stato o Dio, non all'individuo singolo.Ma il paradosso è che in realtà non appartiene a nessuno per questo rimane "sacro".
La pena di morte è quindi prima una eliminazione del bios di colui che è condannato, poi la zoè con la soppressione fisica.
Ma il fatto che nonostante tutto lo stesso Stato compianga il morte in quanto il rito prevede una confessione religiosa(se lo desidera il condannato), e la salma non viene "disprezzata", fa capire che quella sacralità è "intoccabile,"rimane inviolabile persino per un condannato a morte.
Ma il concetto di vita già ingloba anche quello di morte. Durante quella che noi chiamiamo vita, quante cose in noi muoiono mentre noi rimaniano in vita? Quante cellule, quanti ricordi, quanti compagni di viaggio! È la natura l'organo supremo che ha instaurato la pena di morte. Ma in realtà è stata molto onesta, non l'ha nascosta a nessuno sin dalla nascita. Ciò che per noi è morte poi, per la natura è traformazione. Il fatto se debba o no esserci la pena di morte nel nostro diritto riguarda il rapporto società/individuo. Se la società debba curare i propri tumori asportandoli chirurgicamente o se debba utopicamente curarli pur dell'incapacità di farlo ma salvaguardando le sue buone intenzioni al proposito: la questione è tutta qui. La prima ipotesi mette in primo piano la società, la seconda l'individuo. La grande domanda è secondo me se per prendere decisioni di questo tipo si possano scindere società e individuo, se esiste un bene che sia bene al tempo stesso per l'una e per l'altro.
Citazione di: cvc il 16 Agosto 2018, 08:23:47 AM
Ma il concetto di vita già ingloba anche quello di morte. Durante quella che noi chiamiamo vita, quante cose in noi muoiono mentre noi rimaniano in vita? Quante cellule, quanti ricordi, quanti compagni di viaggio! È la natura l'organo supremo che ha instaurato la pena di morte. Ma in realtà è stata molto onesta, non l'ha nascosta a nessuno sin dalla nascita. Ciò che per noi è morte poi, per la natura è traformazione. Il fatto se debba o no esserci la pena di morte nel nostro diritto riguarda il rapporto società/individuo. Se la società debba curare i propri tumori asportandoli chirurgicamente o se debba utopicamente curarli pur dell'incapacità di farlo ma salvaguardando le sue buone intenzioni al proposito: la questione è tutta qui. La prima ipotesi mette in primo piano la società, la seconda l'individuo. La grande domanda è secondo me se per prendere decisioni di questo tipo si possano scindere società e individuo, se esiste un bene che sia bene al tempo stesso per l'una e per l'altro.
Il problema è che un ente che non ha nulla di fisico ed è impersonale per sua natura,quale lo Stato, decide di un essere e della sua "nuda vita".
Il diritto ha già implicitamente scisso l'ente di derivazione metafisica quale è lo Stato, come derivazione storica della comunità e del "patto sociale" a sua volta implicito(sono nato nello stato italiano e non mi hanno chiesto appena nato se volevo accettare i miei diritti e quelli sociali ::)), dalla " nuda vita" e nello stesso tempo parte sociale del patto costituente i diritti di una società di persone denominato Stato.
Lo Stato agisce e può farlo "solo" sul bios e non sulla zoè, proprio perchè la vita è un "mistero".
Lo Stato può interdire, ma non sopprimere e anche quando lo facesse rimane comunque l'homo sacer, il sacro mistero della vita.Quindi lo Stato compie un atto di violenza sull'individuo violento,non ne è superiore come diritto, ma solo come potenza e monopolio della violenza.Lo Stato può uccidere, l'individuo no.
Citazione di: paul11 il 15 Agosto 2018, 23:01:17 PM
Agamben ha speso anni a studiare l'homo sacer del diritto latino, questa sacralità della vita appartiene allo Stato o Dio, non all'individuo singolo.Ma il paradosso è che in realtà non appartiene a nessuno per questo rimane "sacro".
Curiosando ho trovato che l'etimologia di "sacro" può essere ricollegata anche all'accadico "
sakaru" e alla radice indoeuropea "
sak": interdire, sbarrare, recintare, separare ciò che è altro (il sacro dal profano, la spazio sacro del tempio dalla terra volgare della coltivazione, i giusti dai peccatori, etc.).
Proprio il citato Foucault, se non erro, accomunava "sociologicamente" (al netto delle ovvie differenze) istituti detentivi e comunità residenziali di tipo religioso: dove c'è costrizione da parte di un potere "centripeto", dove vige un legame (re-
ligio) con regole coercitive o immodificabili "dal basso", dove il
bios è recintato da paletti che affondano nella
zoè (non puoi uscire, e se esci, oltre ad acquisire uno status iniquo e deprecabile, dovrai occuparti personalmente della tua
zoè, mentre "dentro" i bisogni primari sono garantiti dall'Istituzione che governa il tuo
bios), tale potere centrale non può che (auto)imporsi come sacro e inviolabile (e i tentativi di violazione saranno perseguiti secondo le norme pertinenti).
La sacralità dell'Istituzione confligge solo apparentemente con la sacralità della vita individuale, poiché è la prima a legittimare (e strumentalizzare) la seconda: ogni sacralità va sancita, e per sancirla è necessaria una sacralità superiore, verticale (sia la verticalità della gerarchia politico-sociale o la verticalità del Cielo). La vita del senza-dio che vivesse lontano dalla società, sarebbe sacra come quella di una zanzara (agli occhi di molti, non di tutti); non a caso la dignità dell'eremita è sempre connotata religiosamente: eremiti sufi, cristiani, buddisti, etc. ad un passo dalla santità, mentre l'eremita che non si richiama a un'Istituzione è ritenuto spesso un selvaggio, un passo indietro rispetto alla civiltà
istituzionale.
Citazione di: paul11 il 15 Agosto 2018, 23:01:17 PM
Ma il fatto che nonostante tutto lo stesso Stato compianga il morte in quanto il rito prevede una confessione religiosa(se lo desidera il condannato), e la salma non viene "disprezzata", fa capire che quella sacralità è "intoccabile,"rimane inviolabile persino per un condannato a morte.
Più che l'intoccabilità, ci vedrei proprio il toccare, l'"impugnare" il
bios (oltre che la
zoè) del condannato a morte: prima e dopo la sua esecuzione, egli resta costantemente nella salda presa dell'Istituzione che ha deciso della sua vita; l'Istituzione gli fornisce conforto spirituale e "ultima cena", l'Istituzione lo sopprime e l'Istituzione si occupa del suo cadavere. La sacralità della vita (e della morte) del condannato, è subordinata e inglobata da quella omnipervasiva dell'Istituzione.
Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 10:46:23 AM
Il problema è che un ente che non ha nulla di fisico ed è impersonale per sua natura,quale lo Stato, decide di un essere e della sua "nuda vita".
Eppure senza la
zoè dei suoi cittadini, e senza il loro
bios culturale, il Leviatano sarebbe solo un fantasma... come quelli che vogliamo tener lontani e che ci spaventano al punto da rispettare anche il cadavere del più deplorevole fra i condannati a morte ;)
Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 10:46:23 AM
Quindi lo Stato compie un atto di violenza sull'individuo violento,non ne è superiore come diritto, ma solo come potenza e monopolio della violenza.Lo Stato può uccidere, l'individuo no.
La sacralità dello Stato, in quanto sublimazione della sacralità di tutti i suoi membri
possibili (non solo attuali), per essere davvero sacra deve dominare quella individuale di ogni singolo possibile, almeno dentro il recinto ("
sak") dei confini "sacri" dello Stato (a scanso di equivoci: sto solo descrivendo, non valutando né approvando...).
Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 10:46:23 AM
Il problema è che un ente che non ha nulla di fisico ed è impersonale per sua natura,quale lo Stato, decide di un essere e della sua "nuda vita".
Il diritto ha già implicitamente scisso l'ente di derivazione metafisica quale è lo Stato, come derivazione storica della comunità e del "patto sociale" a sua volta implicito(sono nato nello stato italiano e non mi hanno chiesto appena nato se volevo accettare i miei diritti e quelli sociali ::)), dalla " nuda vita" e nello stesso tempo parte sociale del patto costituente i diritti di una società di persone denominato Stato.
Lo Stato agisce e può farlo "solo" sul bios e non sulla zoè, proprio perchè la vita è un "mistero".
Lo Stato può interdire, ma non sopprimere e anche quando lo facesse rimane comunque l'homo sacer, il sacro mistero della vita.Quindi lo Stato compie un atto di violenza sull'individuo violento,non ne è superiore come diritto, ma solo come potenza e monopolio della violenza.Lo Stato può uccidere, l'individuo no.
Lo stato è una creazione dell'uomo. Vita e morte sono concetti che l'uomo usa per indicare qualcosa di cui percepisce l'esistenza, ma non sono sue creazioni in senso stretto. Quindi l'uomo ha creato lo stato per questioni legate alla propria conservazione. La parola stato si differnzia dalla categoria di popolo, perché qui si intende un etnia che si costituisce sotto le insegne di abitudini culturali e sociali tramandate di generazione in generazione. Lo stato si distingue in quanto è più strettamente codificato da leggi e da una costituzione. Ciò significa soprattutto che il popolo di uno stato non è proprietà del suo sovrano, ma si identifica nelle leggi che lo governano. Le città stato dell'antica Grecia erano già piccoli esempi di stati, poi dissolti dalla globalizzazione ellenista Roma era una città ma credo si possa definire anche uno stato, e difatti gli stati europei derivano le loro leggi dal codice romano, persino quelli di derivazione ottomana tramite Bisanzio.
Vero è che in una prospettiva globale noi oggi diamo il nome di stato a molti paesi che magari non sono dei veri e propri stati secondo il senso che noi diamo a tale parola. E magari queati paesi sono arretrati proprio perché non hanno l'organizzazione e gli strumenti per poter prendere le decisioni adeguate per esempio in materia economica. Perché non esiste li una categorizzazione di leggi e competenze che permetta di dire ad esempio: se questa è una questione economica, allora osserviamola dal punto di vista dell'economia. Invece di pretendere di poter prendere qualsiasi decisione consultando il Corano.
cia cvc,
il problema è se lo Stato può permettersi, nella pura forma del diritto e non come monopolista della violenza, di uccidere scientemente un uomo colpevole a sua volta di efferate violenze.
Lo Stato appunto perchè "non è piovuto dal cielo" si costituisce ,da una parte per esigenze difensive prima di tutto ,di una comunità, e poi si costruisce come concetto filosofia politica e quindi morale e del diritto.
Personalmente sono contrario alla pena di morte.Ma proprio perchè non sappiamo nulla della vita, sia come zoè, naturale di ogni essere vivente , sia come bios, la parte intellegibile specificatamente umana.
Detto in altri termini lo Stato pratica ciò che nemmeno nel diritto fondamentale è conosciuto.Sopprime in nome della comunità un membro della comunità colpevole di un efferato atto gravissimo per la comunità.
Quindi si ritene che per pratica ,in quanto è infondata qualunque teoria sulla vita, tant'è che appunto a fondamento del diritto romano si costituì l'homo sacer che non è e non da confondere con il diritto canonico di ascendenze cristiane.
Lo Stato sopprime perchè gli conviene: e basta.
In quel "conviene" sta la fuoriuscita da una regola, ma nemmeno le regole sono istituti eterni o imperituri, sono "convenevoli opportunità" costituite da regole di convivialità fra individui e opportuna difesa della comunità stessa da parte dello Stato.
Tant'è che l'ergastolo è togliere il bios, ma mantenere la zoè,vale a dire recludere e togliere ogni diritto individuale e sociale al reo,interdirlo nei diritti e quindi isolarlo fisicamente, ma tenendolo in vita come zoè.
La pena di morte va oltre , è lo Stato che decide anche la zoè e questo è molto pericoloso come concetto prima culturale e poi come filosofia morale o del diritto o politica.
L'evoluzione storica è che negli Stati cosiddetti repubblicani e democratici che non siano quindi dispotici o tirannici, la pena di morte vine automaticamente soppressa.L'eccezione eclatante sono gli USA, almeno in alcuni Stati federati.Ma perchè il concetto nel rapporto fra individuo e Stato nella tradizione USA è diverso, si accetta che il singolo individuo possa essere armato.
Le scienze moderne hanno addirittura creato confusione e niente affatto chiarito i fondamenti di bios, zoè, volontà conscia, psicologia,ecc. Non abbiamo una definizione chiara e definitiva del concetto ontologico di mente e la relazione con il cervello ,ma intanto mandiamo a morte nell'anonimato dello Stato una persona che invece ha un nome e un cognome?
Si esplica chiaramente che quì la legge del taglione non è superata, per incapacità a sua volta ontologica di definire e chiarire i termine di zoè e bios, che nè Platone e neppure Aristotele nell'Etica Nicomachea, definirono, così come l' "essere".
L'evoluzione della regola del "taglione" è stata di togliere agli individui, clan, famiglie, la possibilità di perdonare o chiedere giustizia per il maltorto vendicandosi. Lo Stato toglie questa possibilità negandola, sottraendola e monopolizzando la violenza.
Quindi il concetto di violenza è solo traslato, passato ad altro ente, non sparito ,ma accumulato dallo Stato come molto più potente e monopolizzatore della giustizia.
Gli istituti di denuncia e querela sono diversi, così come in alcuni Stati occidentali, vedi ancora USA, sono diversi concettualmente o addirittura eliminati( come la denuncia).
Perchè lo Stato si fa parte civile e/o penale indipendentemente dalla volontà individuale di colui che ha subito un maltorto.
A conferma dell'accentramento dello Stato come ente super partes e quindi della divisione a sua volta (per me ancora contraddittoria) fra diritto pubblico e diritto privato.
Perchè tutta la teoria moderno dello Stato e delle sue funzioni è nel rapporto pubblico e privato,dal rapporto economico a quello politico e sociale, dal bios come attività sanitaria pubblica che va oltre la zoè come concetto puramente medico e naturale,alla scuola come attività formativa e istruttiva del bios, alla giustizia appunto nel rapporto fra bios e zoè.
Bisogna stare attenti ai dispositivi culturali
Ciao Paul. Dal punto di vista pratico il tutto si riduce ad una contabilità della morte, o al male minore se si vuole. Uccidere uno per risparmiarne tanti. Dal punto di vista etico ciò che fa lo stato è ciò che gli uomini che ne esercitano il potere in effetti fanno. Se non ci fossero gli stati non è che per questo non si ucciderebbero gli assassini per evitare un numero maggiori di morti o che non si dichiarerebbero guerre se non ci fossero stati preposti a prendere tali decisioni. Semmai lo stato fa si l'eleminazione del serial killer o di colui che compie gravi delitti (nessuno dice che si debba impiccare il ladro di mele) sia applicata secondo criteri possobilmente oggettivi. E sulle difficoltà dell'oggettivare il diritto si spalanca una voragine dalla quale mi sento io stesso risucchiato. Ciò che può e non può decidere lo stato in merito al comportamento di un individuo è poi anche legato alla stima riguardo alla sanità mentale del soggetto, e qui si apre un' voragine non meno spaventosa della precedente. Del resto.che il tema non è semplice lo dimostra anche il problema dell'autanasia. Quand'è che si può decretare legittimamente la morte di un individuo? Secondo alcuni nemmeno nei casi disperati. Quindi credo ancora che siamo al male minore. Ucciedere uno per salvarne tanti. Per preservare la società. Se poi non è morte fisica ma morte sociale (isolamento a vita), sempre di morte si tratta.
Citazione di: cvc il 16 Agosto 2018, 14:44:26 PM
Ciao Paul. Dal punto di vista pratico il tutto si riduce ad una contabilità della morte, o al male minore se si vuole. Uccidere uno per risparmiarne tanti. Dal punto di vista etico ciò che fa lo stato è ciò che gli uomini che ne esercitano il potere in effetti fanno. Se non ci fossero gli stati non è che per questo non si ucciderebbero gli assassini per evitare un numero maggiori di morti o che non si dichiarerebbero guerre se non ci fossero stati preposti a prendere tali decisioni. Semmai lo stato fa si l'eleminazione del serial killer o di colui che compie gravi delitti (nessuno dice che si debba impiccare il ladro di mele) sia applicata secondo criteri possobilmente oggettivi. E sulle difficoltà dell'oggettivare il diritto si spalanca una voragine dalla quale mi sento io stesso risucchiato. Ciò che può e non può decidere lo stato in merito al comportamento di un individuo è poi anche legato alla stima riguardo alla sanità mentale del soggetto, e qui si apre un' voragine non meno spaventosa della precedente. Del resto.che il tema non è semplice lo dimostra anche il problema dell'autanasia. Quand'è che si può decretare legittimamente la morte di un individuo? Secondo alcuni nemmeno nei casi disperati. Quindi credo ancora che siamo al male minore. Ucciedere uno per salvarne tanti. Per preservare la società. Se poi non è morte fisica ma morte sociale (isolamento a vita), sempre di morte si tratta.
ciao cvc,
ma quale oggettività esercita lo Stato se non nel proprio diritto formulato?
Quello che forse non ho fatto capire, è l'ambiguità del rapporto individuo e Stato.
Se è lo Stato che accentra su di sè esercitando il monopolio della giustizia ,toglie la responsabilità al singolo persino del perdono se lo volesse.Il processo è deresponsabilizzazione individuale e passaggio di tutti i concetti di vita, giustizia, legge, e persino dei sentimenti alla "rappresentanza" anonima dello Stato.
Provocatoriamente farei così: il signor x ha ucciso y.Chi ritiene di volere la pena di morte, in questo caso i famigliari di y, si piglia una pistola e compie lui in prima persona l'atto di vendicarsi uccidendo, secondo ovviamente un "rito" legale. Finalmente vedremmo la responsabilità tornare al reale e non come forma rappresentativa dell'anonimato., come il boia incappucciato.
Troppo facile mandare in guerra per uno Stato vite e non concetti astratti come popolo o società.Uno perde la vita in guerra per chi? per che cosa? Cosa si racconta ad un parente che è stato un eroe...di guerra?
E' tempo che ognuno si assuma davvero le proprie responsabilità e non alle forme rappresentate da procure, notai, avvocati, banche, Stato, società per azioni, suggellate dalla etericità di "enti" e traspaiano chiaramente nella realtà, uomini e non forme astratte, vite e passioni, non teatralità da commedianti.
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 12:31:42 PMCuriosando ho trovato che l'etimologia di "sacro" può essere ricollegata anche all'accadico "sakaru" e alla radice indoeuropea "sak": interdire, sbarrare, recintare, separare ciò che è altro (il sacro dal profano, la spazio sacro del tempio dalla terra volgare della coltivazione, i giusti dai peccatori, etc.).
Guarda caso la radice indoeuropea "sak" ha il significato opposto a quello citato, come si può vedere qui Il significato di sacro come "separato" si deve a Durkheim (e al suo allievo Galimberti) ed è direttamente discendente dal pregiudizio positivista che lo portava a considerare il latino "profano" come sinonimo di "reale", e dunque il sacro era per contrapposizione ciò che era separato dalla realtà (che per un positivista era solo ciò che poteva cadere sotto i suoi sensi). Una dimostrazione d'ignoranza che sarebbe bene venisse superata. Studi antropologici seri (tipo quelli di Claude Levi Strauss) confermano che «è sacro ciò che attiene all'ordine dei mondi, ciò che garantisce questo ordine», e inoltre che «le cose sacre devono stare al loro posto e ciò che le rende sacre è il fatto che stiano al loro posto». Questo significa che il sacro attiene all'ordine, è qualcosa che nel suo ambito deve essere inamovibile ed evocare un ordine superiore, assoluto, divino. Non per caso le cose più sacre delle culture primitive e antiche erano spesso i monti e le rocce, proprio perché rimanevano inalterate per milioni di anni ed erano simboli ideali dell'immutabilità divina.
Tale concetto è stato quindi elaborato a partire dalla comprensione di un ordine immutabile e trascendente che si è cercato di simboleggiare nel mondo del divenire attraverso l'attribuzione dell'aura di sacro ad enti, concetti, riti e a volte anche persone. Dunque se relativizziamo il concetto e lo trasponiamo in un ambito più limitato come quello statale si può comprendere come lo stato, in quanto entità superiore ad ogni appartenente al medesimo, abbia il potere di vita e di morte sui suoi cittadini in analogia al potere divino che detiene tale diritto sulla vita di ognuna delle creature, ed entrambi i poteri tendono al mantenimento dell'ordine, dell'equilibrio e dell'armonia, ognuno nel proprio ambito. Poi certo si può prendere in considerazione il fatto che lo Stato moderno non è certo l'entità ideale per armonizzare la vita dei popoli ma è al contrario una enorme fucina di conflitti, ma questo è un discorso diverso.
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 15:19:09 PM
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 12:31:42 PMCuriosando ho trovato che l'etimologia di "sacro" può essere ricollegata anche all'accadico "sakaru" e alla radice indoeuropea "sak": interdire, sbarrare, recintare, separare ciò che è altro (il sacro dal profano, la spazio sacro del tempio dalla terra volgare della coltivazione, i giusti dai peccatori, etc.).
Guarda caso la radice indoeuropea "sak" ha il significato opposto a quello citato, come si può vedere qui
Le spiegazioni etimologiche a cui mi riferivo (non a caso introdotte da "anche" ;) ) le ho trovate:
per "
sakaru" qui
http://www.etimoitaliano.it/2014/05/sacro.html
e per "
sak" qui
http://semioweb.msh-paris.fr/corpus/scc/IT/_EncycloPubByThema.asp?motCle=&theme=ae2824a22-17ce-4892-8f5e-e600425f3e6e&nom=&video=Etimologia+del+sacro&src=1356_4175_formel_it&id=a7bf97fed-8624-486b-ab68-1f2a041f7f90
mi sono fidato perché non sono un linguista e mi sembrano tuttora pertinenti :)
Ad esempio il fatto che
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 15:19:09 PM
Studi antropologici seri (tipo quelli di Claude Levi Strauss) confermano che «è sacro ciò che attiene all'ordine dei mondi, ciò che garantisce questo ordine», e inoltre che «le cose sacre devono stare al loro posto e ciò che le rende sacre è il fatto che stiano al loro posto». Questo significa che il sacro attiene all'ordine, è qualcosa che nel suo ambito deve essere inamovibile
mi sembra pertinente e compatibile con quanto dicevo: lo "stare al proprio posto"(cit.) comporta anche l'essere "confinato" e separato da altro, il posto del sacro è un posto preciso ben distinto dagli altri (per topologia e, soprattutto, per "valore").
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 15:53:50 PMAd esempio il fatto che
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 15:19:09 PMStudi antropologici seri (tipo quelli di Claude Levi Strauss) confermano che «è sacro ciò che attiene all'ordine dei mondi, ciò che garantisce questo ordine», e inoltre che «le cose sacre devono stare al loro posto e ciò che le rende sacre è il fatto che stiano al loro posto». Questo significa che il sacro attiene all'ordine, è qualcosa che nel suo ambito deve essere inamovibile
mi sembra pertinente e compatibile con quanto dicevo: lo "stare al proprio posto"(cit.) comporta anche l'essere "confinato" e separato da altro, il posto del sacro è un posto preciso ben distinto dagli altri (per topologia e, soprattutto, per "valore").
Il secondo link che hai riportato rimanda all'etimo che ho citato io (e che afferma l'opposto del significato di "separato") e anche, guarda caso e contradditoriamente, proprio a Galimberti. L'equivoco sta nel fatto che se ai tempi dei romani (che erano già una cultura in decadenza) e poi ai nostri (che siamo una cultura già ampiamente decaduta) esisteva sia pur per ragioni diverse una distinzione fra sacro e profano, nelle culture che si possono ancora definire "vive" questa differenza non sussiste perchè tutto è sacro, e ciò che per qualche motivo non lo è ancora vi deve essere ricondotto e quindi deve rientrare in un ordine armonico ed equilibrato. Non esiste uno spazio "separato" in cui vigano norme differenti, ma tutto ciò che fa parte di una comunità (dall'azione, o persona, o luogo, spiritualmente e simbolicamente più elevati a quelli più semplici e consueti) deve rientrare in un unico ordine che sia coerente e simbolicamente evocativo dell'ordine universale. La moderna etica protestante ben descritta da Weber, che assegna "sacralità" alle leggi degli uomini come fossero diretta emanazione del divino, è significativamente paradigmatica perchè caratterizza le società moderne come dominate da un ordine "umano" (quindi profano) che però non prevede alcuno spazio in cui queste leggi possano essere impunemente violate in nome del "sacro", dunque queste permeano di sé ogni aspetto della società e sostituiscono di fatto il sacro di un tempo. Non ti sfuggirà certo il fatto che il richiamo alla "legge" (che attualmente è sempre una costruzione umana e fungibile) è presente ovunque e non derogabile, quindi l'ordine profano ha preso il sopravvento attribuendosi indebitamente l'attributo di sacro, di fatto relegando quest'ultimo nell'ambito della pura superstizione senza alcun intervento concreto nell'ordine sociale.
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
Il secondo link che hai riportato rimanda all'etimo che ho citato io (e che afferma l'opposto del significato di "separato")
Cito dal secondo link:
"Il termine sacro deriva dal latino dotto, sac-ru(m), che a sua volta viene dalla radice sac- o sak-, della lingua indoeuropea e che ha il significato di separazione, recinto."
Non che l'appoggio etimologico sia necessario o confortante, ma se c'è, non mi dispiace :)
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
L'equivoco sta nel fatto che se ai tempi dei romani (che erano già una cultura in decadenza) e poi ai nostri (che siamo una cultura già ampiamente decaduta)
La storia del decadimento culturale, per quanto ormai pilastro del senso comune, non mi vede fra i suoi sostenitori: per me, una cultura non decade mai, semplicemente cambia; se si resta nella cultura precedente con il cuore, la testa giudicherà spesso l'attuale come decadente, ma solo perché si appella a criteri inattuali; è come usare un vecchio telecomando su una nuova televisione e lamentarsi se non funziona... solitamente l'età dell'oro è sempre alle spalle, e la nostra cultura è forse meglio di altre contemporanee, ma mai di quelle passate; forse si dice così ormai da secoli, eppure, guardandomi intorno, non ci giurerei...
Soprattutto: in base a quali indicatori metaculturali possiamo valutare se una cultura decade o fiorisce? Useremo paradossalmente i criteri di un'altra cultura? Oppure ricorreremo a indici quantitativi?
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
diverse una distinzione fra sacro e profano, nelle culture che si possono ancora definire "vive" questa differenza non sussiste perchè tutto è sacro, e ciò che per qualche motivo non lo è ancora vi deve essere ricondotto e quindi deve rientrare in un ordine armonico ed equilibrato. Non esiste uno spazio "separato" in cui vigano norme differenti, ma tutto ciò che fa parte di una comunità (dall'azione, o persona, o luogo, spiritualmente e simbolicamente più elevati a quelli più semplici e consueti) deve rientrare in un unico ordine che sia coerente e simbolicamente evocativo dell'ordine universale.
Se penso alle tribù aborigene, mi viene in mente lo stereotipo dello sciamano (ben distinto dagli altri membri del gruppo), con i suoi oggetti sacri e magari la sua sacra dimora o sacro luogo a cui gli altri non accedono liberamente; anche nel buddismo zen è "sacro" spazzare le foglie, tuttavia, esistono comunque i templi ben distinti dalle case, senza che ci si possa confondere fra le due; nell'induismo mi viene in mente il fiume sacro o altri templi... nelle culture laiche, la sacralità ha inevitabilmente valore solo metaforico: la terra è "sacra" per i contadini come il profitto è "sacro" per i banchieri, etc.... culture in cui il sacro non si identifichi e (auto)tuteli con i suoi confini, per quanto aperti, ammetto che, nel mio piccolo, non me ne vengono in mente... puoi farmi qualche esempio?
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
La moderna etica protestante ben descritta da Weber, che assegna "sacralità" alle leggi degli uomini come fossero diretta emanazione del divino, è significativamente paradigmatica perchè caratterizza le società moderne come dominate da un ordine "umano" (quindi profano) che però non prevede alcuno spazio in cui queste leggi possano essere impunemente violate in nome del "sacro", dunque queste permeano di sé ogni aspetto della società e sostituiscono di fatto il sacro di un tempo. Non ti sfuggirà certo il fatto che il richiamo alla "legge" (che attualmente è sempre una costruzione umana e fungibile) è presente ovunque e non derogabile, quindi l'ordine profano ha preso il sopravvento attribuendosi indebitamente l'attributo di sacro, di fatto relegando quest'ultimo nell'ambito della pura superstizione senza alcun intervento concreto nell'ordine sociale.
Concordo con questa analisi, oggi il "sacro laico" è il profano dominante (o maggioritario: la sacra volontà del popolo).
Comunque il sacro religioso-spirituale non lo inquadrerei come "senza alcun intervento concreto nell'ordine sociale"(cit.); certo, in passato era ben più rilevante, ma d'altronde siamo pur sempre in tempi di decadenza, no?
Si scherza ;D
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 22:37:13 PM
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PMIl secondo link che hai riportato rimanda all'etimo che ho citato io (e che afferma l'opposto del significato di "separato")
Cito dal secondo link: "Il termine sacro deriva dal latino dotto, sac-ru(m), che a sua volta viene dalla radice sac- o sak-, della lingua indoeuropea e che ha il significato di separazione, recinto." Non che l'appoggio etimologico sia necessario o confortante, ma se c'è, non mi dispiace :)
Sotto alla descrizione c'è un link che rimanda al dizionario etimologico che ho citato nel mio messaggio precedente: come si spiega che tale dizionario traduce "sak" con "unito" e non con "separato" e quindi smentisce in pieno la descrizione di quella pagina?
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 22:37:13 PMLa storia del decadimento culturale, per quanto ormai pilastro del senso comune, non mi vede fra i suoi sostenitori: per me, una cultura non decade mai, semplicemente cambia; se si resta nella cultura precedente con il cuore, la testa giudicherà spesso l'attuale come decadente, ma solo perché si appella a criteri inattuali; è come usare un vecchio telecomando su una nuova televisione e lamentarsi se non funziona... solitamente l'età dell'oro è sempre alle spalle, e la nostra cultura è forse meglio di altre contemporanee, ma mai di quelle passate; forse si dice così ormai da secoli, eppure, guardandomi intorno, non ci giurerei... Soprattutto: in base a quali indicatori metaculturali possiamo valutare se una cultura decade o fiorisce? Useremo paradossalmente i criteri di un'altra cultura? Oppure ricorreremo a indici quantitativi?
Più semplicemente si utilizzano criteri validi sempre e ovunque, anche confrontandoli con quelli di altre culture. Se una cultura è una struttura di pensiero che unisce un popolo intorno a valori condivisi e poi si esprime in una organizzazione sociale che in ogni sua manifestazione evoca tali principi allora si può tranquillamente affermare che se una collettività non si organizza in tal modo oppure i valori di riferimento sono valori che dividono e non uniscono allora è una cultura decadente o una non-cultura. Lo studio di Tonnies sulla differenza fra comunità e società è un'ottima base per valutare queste differenze, ma se affermiamo che i concetti cambiano col tempo e dunque quel che per secoli è stata chiamata "mela" oggi si può con disinvoltura chiamare "pera" (come "sacro" che da "unito" diventa "separato") allora non si comprende come mai questa "cultura" attuale dia così tanta importanza alla storia che evidentemente confonde solo le idee. In qualunque modo si giudichi una cultura questa dovrebbe avere come minimo la caratteristica della coerenza interna.
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 22:37:13 PM
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PMdiverse una distinzione fra sacro e profano, nelle culture che si possono ancora definire "vive" questa differenza non sussiste perchè tutto è sacro, e ciò che per qualche motivo non lo è ancora vi deve essere ricondotto e quindi deve rientrare in un ordine armonico ed equilibrato. Non esiste uno spazio "separato" in cui vigano norme differenti, ma tutto ciò che fa parte di una comunità (dall'azione, o persona, o luogo, spiritualmente e simbolicamente più elevati a quelli più semplici e consueti) deve rientrare in un unico ordine che sia coerente e simbolicamente evocativo dell'ordine universale.
Se penso alle tribù aborigene, mi viene in mente lo stereotipo dello sciamano (ben distinto dagli altri membri del gruppo), con i suoi oggetti sacri e magari la sua sacra dimora o sacro luogo a cui gli altri non accedono liberamente; anche nel buddismo zen è "sacro" spazzare le foglie, tuttavia, esistono comunque i templi ben distinti dalle case, senza che ci si possa confondere fra le due; nell'induismo mi viene in mente il fiume sacro o altri templi... nelle culture laiche, la sacralità ha inevitabilmente valore solo metaforico: la terra è "sacra" per i contadini come il profitto è "sacro" per i banchieri, etc.... culture in cui il sacro non si identifichi e (auto)tuteli con i suoi confini, per quanto aperti, ammetto che, nel mio piccolo, non me ne vengono in mente... puoi farmi qualche esempio?
Se il sacro (come conferma Levi Strauss e tutti coloro che ne hanno ancora una nozione corretta) attiene all'ordine significa che se lo sciamano aborigeno ha un suo ruolo e suo suo luogo "sacri" lo stesso è per i cacciatori, o le donne che curano i bimbi, o per i costruttori di villaggi, o per gli intagliatori del legno, o per chiunque svolga una particolare attività che sia funzionale all'ordine comunitario. Se lo sciamano è "separato" dal cacciatore allo stesso modo le donne sposate sono "separate" da quelle nubili e via elencando, ma tutto rimanda ad un ordine "sacro" in cui ognuno sta al proprio posto e svolge il proprio ruolo, ed è proprio questo che rende una comunità "sacra" nel suo complesso. Nelle società "profane" invece ognuno, come hai detto tu, definisce "sacro" ciò che ritiene più importante per lui, e dunque non vi è un ordine superiore condiviso a cui fare riferimento ma solo confusione, e solo in tali società "sacro" può significare "separato" perchè ciò che è sacro per qualcuno non è riconosciuto da tutti gli altri ma solo da lui stesso (il denaro, la terra, la salute, la vita umana, la democrazia, i confini eccetera) e oltretutto ognuno può attribuire "sacralità" (quindi importanza) a oggetti o concetti diversi nel corso della propria vita, negando quelli precedenti.
Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 15:05:49 PM
Citazione di: cvc il 16 Agosto 2018, 14:44:26 PM
Ciao Paul. Dal punto di vista pratico il tutto si riduce ad una contabilità della morte, o al male minore se si vuole. Uccidere uno per risparmiarne tanti. Dal punto di vista etico ciò che fa lo stato è ciò che gli uomini che ne esercitano il potere in effetti fanno. Se non ci fossero gli stati non è che per questo non si ucciderebbero gli assassini per evitare un numero maggiori di morti o che non si dichiarerebbero guerre se non ci fossero stati preposti a prendere tali decisioni. Semmai lo stato fa si l'eleminazione del serial killer o di colui che compie gravi delitti (nessuno dice che si debba impiccare il ladro di mele) sia applicata secondo criteri possobilmente oggettivi. E sulle difficoltà dell'oggettivare il diritto si spalanca una voragine dalla quale mi sento io stesso risucchiato. Ciò che può e non può decidere lo stato in merito al comportamento di un individuo è poi anche legato alla stima riguardo alla sanità mentale del soggetto, e qui si apre un' voragine non meno spaventosa della precedente. Del resto.che il tema non è semplice lo dimostra anche il problema dell'autanasia. Quand'è che si può decretare legittimamente la morte di un individuo? Secondo alcuni nemmeno nei casi disperati. Quindi credo ancora che siamo al male minore. Ucciedere uno per salvarne tanti. Per preservare la società. Se poi non è morte fisica ma morte sociale (isolamento a vita), sempre di morte si tratta.
ciao cvc,
ma quale oggettività esercita lo Stato se non nel proprio diritto formulato?
Quello che forse non ho fatto capire, è l'ambiguità del rapporto individuo e Stato.
Se è lo Stato che accentra su di sè esercitando il monopolio della giustizia ,toglie la responsabilità al singolo persino del perdono se lo volesse.Il processo è deresponsabilizzazione individuale e passaggio di tutti i concetti di vita, giustizia, legge, e persino dei sentimenti alla "rappresentanza" anonima dello Stato.
Provocatoriamente farei così: il signor x ha ucciso y.Chi ritiene di volere la pena di morte, in questo caso i famigliari di y, si piglia una pistola e compie lui in prima persona l'atto di vendicarsi uccidendo, secondo ovviamente un "rito" legale. Finalmente vedremmo la responsabilità tornare al reale e non come forma rappresentativa dell'anonimato., come il boia incappucciato.
Troppo facile mandare in guerra per uno Stato vite e non concetti astratti come popolo o società.Uno perde la vita in guerra per chi? per che cosa? Cosa si racconta ad un parente che è stato un eroe...di guerra?
E' tempo che ognuno si assuma davvero le proprie responsabilità e non alle forme rappresentate da procure, notai, avvocati, banche, Stato, società per azioni, suggellate dalla etericità di "enti" e traspaiano chiaramente nella realtà, uomini e non forme astratte, vite e passioni, non teatralità da commedianti.
Secondo me quello che dici si applicherebbe bene ad una realtà dove tutti gli individui fossero in grado di andare con le proprie gambe e tutti i rapporti fossero paritetici. Ma c'è chi non ce la fa da solo, chi va meglio se è rappresentato da altri e quindi viene categoriźato e collocato in una scacchiera burocraticizzata. Ci sarebbe se no il rischio di un darwinismo sociale poiché solo i più forti sarebbero veramente autonomi, e gli altri non riuscirebbero a ritagliarsi il loro spazio da soli.
Non tutti gli individui sono autonomi nelle loro capacità di esercitare i propri diritti e rispettare i doveri. Giusto secondo me che ci sia uno stato che cerchi di equilibrare le cose senza infrangere la libertà degli individui.
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 22:37:13 PM
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PMIl secondo link che hai riportato rimanda all'etimo che ho citato io (e che afferma l'opposto del significato di "separato")
Cito dal secondo link: "Il termine sacro deriva dal latino dotto, sac-ru(m), che a sua volta viene dalla radice sac- o sak-, della lingua indoeuropea e che ha il significato di separazione, recinto." Non che l'appoggio etimologico sia necessario o confortante, ma se c'è, non mi dispiace :)
Sotto alla descrizione c'è un link che rimanda al dizionario etimologico che ho citato nel mio messaggio precedente: come si spiega che tale dizionario traduce "sak" con "unito" e non con "separato" e quindi smentisce in pieno la descrizione di quella pagina?
Onestamente non lo so; come dicevo, non sono un linguista :)
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Più semplicemente si utilizzano criteri validi sempre e ovunque, anche confrontandoli con quelli di altre culture.
"Criteri validi
sempre e
ovunque" per valutare una cultura, che non siano anch'essi culturali, non riesco ad immaginarli (limite mio?).
Ad esempio, affermare che
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
se una collettività non si organizza in tal modo oppure i valori di riferimento sono valori che dividono e non uniscono allora è una cultura decadente o una non-cultura.
presuppone una visione della cultura come collante sociale che non considera quanto tali valori di riferimento siano necessariamente basati sulla discriminazione (in senso logico): la cultura tende ad unificare, ma la coesione interna è proprio ciò che forza la denotazione delle differenze che essa stessa (im)pone. La cultura decide e divide giusto/sbagliato, sano/malato, bello/brutto, sacro/profano, etc. e tutte le altre discriminazioni su cui fonda la sua stessa identità. Oggi non accade forse lo stesso, soltanto in modo più rapido e complesso?
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
se affermiamo che i concetti cambiano col tempo e dunque quel che per secoli è stata chiamata "mela" oggi si può con disinvoltura chiamare "pera"
"Mela" e "pera" sono oggetti, non concetti sociali: la cultura tende a cambiare questi ultimi (la storia
docet) più che i primi.
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
(come "sacro" che da "unito" diventa "separato")
Al di là dell'etimologia, concettualmente, mi sembra che il sacro richieda divisione (come ho cercato di argomentare in precedenza e in seguito).
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
In qualunque modo si giudichi una cultura questa dovrebbe avere come minimo la caratteristica della coerenza interna.
Quella di oggi è una coerenza dinamica che, letta con le categorie più statiche del (recente) passato, può risultare inintelligibile; la sfida del contemporaneo è tutta qui.
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Se il sacro (come conferma Levi Strauss e tutti coloro che ne hanno ancora una nozione corretta) attiene all'ordine significa che se lo sciamano aborigeno ha un suo ruolo e suo suo luogo "sacri" lo stesso è per i cacciatori, o le donne che curano i bimbi, o per i costruttori di villaggi, o per gli intagliatori del legno, o per chiunque svolga una particolare attività che sia funzionale all'ordine comunitario. Se lo sciamano è "separato" dal cacciatore allo stesso modo le donne sposate sono "separate" da quelle nubili e via elencando, ma tutto rimanda ad un ordine "sacro" in cui ognuno sta al proprio posto e svolge il proprio ruolo, ed è proprio questo che rende una comunità "sacra" nel suo complesso.
Eppure il sacro dello sciamano non è il sacro del cacciatore; l'ordine complessivo è fondato proprio su quelle
divisioni e de
limitazioni: di ruoli, di spazi, etc.... e se tutto è considerato sacro, il concetto di sacro si "inflaziona" sino a quasi perdere di senso.
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Nelle società "profane" invece ognuno, come hai detto tu, definisce "sacro" ciò che ritiene più importante per lui, e dunque non vi è un ordine superiore condiviso a cui fare riferimento ma solo confusione, e solo in tali società "sacro" può significare "separato" perchè ciò che è sacro per qualcuno non è riconosciuto da tutti gli altri ma solo da lui stesso (il denaro, la terra, la salute, la vita umana, la democrazia, i confini eccetera) e oltretutto ognuno può attribuire "sacralità" (quindi importanza) a oggetti o concetti diversi nel corso della propria vita, negando quelli precedenti.
Si, attualmente il sacro è una categoria perlopiù
metaforica e
narrativa, molto meno
metafisica e
spirituale che in passato; già considerare questo è un inizio per tentare di decifrare la nostra cultura.
P.s.
Grazie per la segnalazione su Tonnies, cercherò qualche compendio
online.
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 12:31:42 PM
Citazione di: paul11 il 15 Agosto 2018, 23:01:17 PM
Agamben ha speso anni a studiare l'homo sacer del diritto latino, questa sacralità della vita appartiene allo Stato o Dio, non all'individuo singolo.Ma il paradosso è che in realtà non appartiene a nessuno per questo rimane "sacro".
Curiosando ho trovato che l'etimologia di "sacro" può essere ricollegata anche all'accadico "sakaru" e alla radice indoeuropea "sak": interdire, sbarrare, recintare, separare ciò che è altro (il sacro dal profano, la spazio sacro del tempio dalla terra volgare della coltivazione, i giusti dai peccatori, etc.).
Proprio il citato Foucault, se non erro, accomunava "sociologicamente" (al netto delle ovvie differenze) istituti detentivi e comunità residenziali di tipo religioso: dove c'è costrizione da parte di un potere "centripeto", dove vige un legame (re-ligio) con regole coercitive o immodificabili "dal basso", dove il bios è recintato da paletti che affondano nella zoè (non puoi uscire, e se esci, oltre ad acquisire uno status iniquo e deprecabile, dovrai occuparti personalmente della tua zoè, mentre "dentro" i bisogni primari sono garantiti dall'Istituzione che governa il tuo bios), tale potere centrale non può che (auto)imporsi come sacro e inviolabile (e i tentativi di violazione saranno perseguiti secondo le norme pertinenti).
La sacralità dell'Istituzione confligge solo apparentemente con la sacralità della vita individuale, poiché è la prima a legittimare (e strumentalizzare) la seconda: ogni sacralità va sancita, e per sancirla è necessaria una sacralità superiore, verticale (sia la verticalità della gerarchia politico-sociale o la verticalità del Cielo). La vita del senza-dio che vivesse lontano dalla società, sarebbe sacra come quella di una zanzara (agli occhi di molti, non di tutti); non a caso la dignità dell'eremita è sempre connotata religiosamente: eremiti sufi, cristiani, buddisti, etc. ad un passo dalla santità, mentre l'eremita che non si richiama a un'Istituzione è ritenuto spesso un selvaggio, un passo indietro rispetto alla civiltà istituzionale.
Citazione di: paul11 il 15 Agosto 2018, 23:01:17 PM
Ma il fatto che nonostante tutto lo stesso Stato compianga il morte in quanto il rito prevede una confessione religiosa(se lo desidera il condannato), e la salma non viene "disprezzata", fa capire che quella sacralità è "intoccabile,"rimane inviolabile persino per un condannato a morte.
Più che l'intoccabilità, ci vedrei proprio il toccare, l'"impugnare" il bios (oltre che la zoè) del condannato a morte: prima e dopo la sua esecuzione, egli resta costantemente nella salda presa dell'Istituzione che ha deciso della sua vita; l'Istituzione gli fornisce conforto spirituale e "ultima cena", l'Istituzione lo sopprime e l'Istituzione si occupa del suo cadavere. La sacralità della vita (e della morte) del condannato, è subordinata e inglobata da quella omnipervasiva dell'Istituzione.
Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 10:46:23 AM
Il problema è che un ente che non ha nulla di fisico ed è impersonale per sua natura,quale lo Stato, decide di un essere e della sua "nuda vita".
Eppure senza la zoè dei suoi cittadini, e senza il loro bios culturale, il Leviatano sarebbe solo un fantasma... come quelli che vogliamo tener lontani e che ci spaventano al punto da rispettare anche il cadavere del più deplorevole fra i condannati a morte ;)
Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 10:46:23 AM
Quindi lo Stato compie un atto di violenza sull'individuo violento,non ne è superiore come diritto, ma solo come potenza e monopolio della violenza.Lo Stato può uccidere, l'individuo no.
La sacralità dello Stato, in quanto sublimazione della sacralità di tutti i suoi membri possibili (non solo attuali), per essere davvero sacra deve dominare quella individuale di ogni singolo possibile, almeno dentro il recinto ("sak") dei confini "sacri" dello Stato (a scanso di equivoci: sto solo descrivendo, non valutando né approvando...).
non avevo visto precedentemente questo post.
Il dibattito sembra allargarsi oltre il contenuto di questa discussione e sarei tentato di seguirne i meandri, ma tento
di seguire una disciplina interna al forum.
Il primo aspetto è che pensatori contemporanei, filosofi e non scienziati, vedendo contraddizioni nella forma dello Stato contemporaneo, hanno creduto e anche in maniera originale, di cercare di capire dove potessero esservi delle ambiguità di fondo che poi storicamente si sono rese evidenti.Una fra queste, come dicevo è la biopolitica.
Il concetto stesso di politica emerge assumendo un ruolo fondamentale nella società e nel governo dello Stato, proprio perchè vi sono fondamenti prima di pensiero e poi giuridici ad esso collegato che sostengono l'impalcatura del diritto che potremmo definire come il rapporto fra individui e fra individuo e sovranità.
Fino al nomos di Pindaro ,il sovrano era ritenuto colui che stava fra cielo e terra e avrebbe dovuto portare l'ordine cosmico e della natura dentro l'organizzazione umana.In realtà e storicamente avviene proprio l'opposto, che sono i fatti umani, indipendentemente se ritenuti etici o morali, attraverso le transazioni economiche, attraverso il concetto di proprietà .
Il sacro che era nell'ordine superiore all'uomo si sposta all'interesse privato storicamente, alla "domus" famigliare.
Quel che rimane di quel sacro è il solo un termine metafisico spoglio del concetto teoretico e della prassi.
Questo non vale solo nei cicli di ascesa e decadenza delle singole potenze, imperi, Stati susseguitesi negli ultimi due millenni, è dentro le fondamenta giuridiche dello Stato, dentro i codici. Oggi sono in crisi valori ,ma soprattutto termini come Stato, autonomia, volontà, democrazia, e passano le generazioni e non si riesce a mutare ciò che essendo costruito e creato ormai dall'uomo ,soprattutto con l'avvento del pensiero moderno che si affranca, o ne desidererebbe, da quel sacro antico, per dare più potenza alla creazione umana ,proprio a iniziare dalle organizzazioni sociali.
Ma veniamo al dunque: se il bios fu definito dalla cultura greca, la zoè (e lo dimostra la disputa sulle teorie dell'evoluzione naturale umana, a iniziare dal darwinismo) non è mai stata definita: è nel mistero.
L'"homo sacer" è un colpevole che la comunità mette al bando.Non è sacrificabile, in quanto era l'innocenza pura( e non la "nuda vita") che gli dei anelavano. Ma perchè allora è "sacer"? perchè mai ad un colpevole bandito dalla comunità diventa sacro?
Perchè era in mano al destino degli dei, gli uomini della comunità potevano ucciderlo, senza avere ritorsioni legali, o farne schiavo.
Il concetto è che l'homo sacer dimostra il complementare negativo della legge che per definizione diventa "positiva" come viene ritenuta giuridicamente anche oggi.
L'eccezionalità lo diventa anche per la sovranità; il condannato a morte, o se vogliamo l'homo sacer antico, poteva essere graziato solo dal sovrano(il governatore dello stato in USA); da noi in italia solo il Presidente della Repubblica può graziare un ergastolano.
Quì riappare la grazia divina e quindi il sacro originario, come elemento di eccezionalità, ma dentro un contesto che di sacro non ha più nulla. Significa allora che è l'elemento propriamente politico e niente affatto sacro, che emerge nel rapporto fra zoè e sovranità.Intendo dire che la decisione segue una regola di opportunità non più di sacralità, ma proprio a seguito del mutamento culturale in cui le utilità ,gli interessi umani, diventano superiori e spodestano l'ordine sacro.
Con questo tipo di temi, l'off topic è dietro l'angolo, eppure, secondo me, il discorso sul sacro (e quindi sulla eventuale sacralità della vita) è logicamente un punto di partenza prioritario rispetto alla tematizzazione diretta della pena di morte.
Se il sacro è un "espediente narrativo" della (post)modernità (ovvero una metafora sull'importanza di qualcosa, una copertura di alcuni dispositivi non-sacri) che nondimeno convive con le differenti tradizioni religiose e se la pena di morte è contemplata dal diritto di paesi in cui il sacro non è solo metaforico, è lecito chiedersi perché lo stato non debba decidere anche della vita di cittadini che hanno a loro volta deciso della vita di altri cittadini...
Se non c'è una sacralità della vita che prescinde dalla colpa e dai reati, se non c'è un'ordalia che rende superfluo il giudizio della legge umana (e nemmeno un capro espiatorio ad interrompere il ciclo della violenza, come ben osserva Kobayashi altrove), se l'essenza dello stato è essere approvato dai cittadini per poi poter disporre dei cittadini (secondo ciò che dovrebbe essere giusto e saggio) come conclude il condannato a morte la frase "no, non dovete uccidermi perché..."?
Se scardiniamo i concetti religiosi di "sacro", "colpa" e "perdono", il discorso sulla pena di morte diventa una questione fra giurisprudenza (pena proporzionale al reato) e sociologia (rieducazione sempre possibile?)... e non è detto sia un male ;)
Citazione di: Phil il 17 Agosto 2018, 14:30:36 PM
Con questo tipo di temi, l'off topic è dietro l'angolo, eppure, secondo me, il discorso sul sacro (e quindi sulla eventuale sacralità della vita) è logicamente un punto di partenza prioritario rispetto alla tematizzazione diretta della pena di morte.
Se il sacro è un "espediente narrativo" della (post)modernità (ovvero una metafora sull'importanza di qualcosa, una copertura di alcuni dispositivi non-sacri) che nondimeno convive con le differenti tradizioni religiose e se la pena di morte è contemplata dal diritto di paesi in cui il sacro non è solo metaforico, è lecito chiedersi perché lo stato non debba decidere anche della vita di cittadini che hanno a loro volta deciso della vita di altri cittadini...
Se non c'è una sacralità della vita che prescinde dalla colpa e dai reati, se non c'è un'ordalia che rende superfluo il giudizio della legge umana (e nemmeno un capro espiatorio ad interrompere il ciclo della violenza, come ben osserva Kobayashi altrove), se l'essenza dello stato è essere approvato dai cittadini per poi poter disporre dei cittadini (secondo ciò che dovrebbe essere giusto e saggio) come conclude il condannato a morte la frase "no, non dovete uccidermi perché..."?
Se scardiniamo i concetti religiosi di "sacro", "colpa" e "perdono", il discorso sulla pena di morte diventa una questione fra giurisprudenza (pena proporzionale al reato) e sociologia (rieducazione sempre possibile?)... e non è detto sia un male ;)
Se il sacro fosse un espediente narrativo, ma io direi più propriamente una metamorfosi, dove la sovranità ha mantenuto la forma del sacro per essere "al di sopra delle parti" come giustizia ,ma svuotandola di significato in quanto non riflette assolutamente più il nomos i Pindaro ovvero l'ordine sacro fra cielo terra, fra natura e umanità.
Ora è davvero il capro espiatorio chi subisce la pena di morte, per semplice esempio, indipendentemente che meriti la morte.Quindi la sovranità commina la pena per opportunità di "ordine pubblico" non certo per sacralità o meno della vita.
Già S.Paolo diceva che la pena esiste perchè esiste la legge.Ma la legge in quale ordine , in quale contesto è riferita?
Daccapo, al nomos ,all'armonizzazione fra cosmo e homo, oppure all'interesse del sovrano e lle transazioni economiche e interessi pubblici e privati? Se è quest'ultima, come storicamente è avvenuto, tutto diventa politica, in quanto è tutto interesse e utilità personale o di gruppi sociali.
Quindi se scardiniamo il concetto di sacro il "re è nudo",perchè la sovranità come è costantemente e storicamente data proprio nella modernità e soprattutto ai nostri tempi attuali, vive di "eccezionalità", perchè ormai tutto è emergenza.
L'eccezionalità della sovranità è porsi "in sospensione", " fuori" dalla legge.
Lo stato di eccezione è simile guridicamente all'homo sacer, nessuno dei due dipende più dalla legge, uno è bandito e l'altro si pone fuori dalla legge "ordinaria" , per costruire atti di emergenza richiamando l'eccezionalità degli eventi che possono essere
di guerra , economici , cataclismi.
A me quindi sta bene Phil la tua ultima argomentazione, ma allora coerentemente discorsi di legalità e legittimità sarebbero a loro volta semplici ritualità laiche perchè è un eccezione qualunque forma di privilegio, di inviolabilità verso la sovranità.Quindi lo Stato coerentemente si spogli della vestigia del sacro, di aleggiare fingendo di essere al di sopra delle parti, e finalmente vedremo chiaramente che lo stato è solo un punto di equilibrio fra poteri economici, sociali, interessi privati e pubblici, dove persino la pena di morte sarebbe solo una deterrenza esemplificativa del potere monopolistico armato dello stato contro il singolo, ma soprattutto dove la vita è "nulla", un semplice dato anagrafico, non ha più assolutamente nulla di sacro.
Pena proporzionale al reato, scrive Phil... e che dire dei mezzi per "prevenirlo"? Mi par siano questioni collegate, la parte mancante di questa discussione (... dimmi come previeni e ti dirò come punisci e viceversa).http://www.repubblica.it/esteri/2018/08/17/news/taser-204283525/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P2-S1.4-F4Qual crudeltà, poi, assassinare i pacifici denti di leone... o davvero la squadra di ben 3 agenti temeva per la propria incolumità nell'incrociar la vecchietta armata di pericolosissimo coltello, magari da cucina? Attenti a voi ch'andate per erbe, funghi e more... farlo rigorosamente a mani nude... (ma in Italia per i funghi vien prescritto il coltello, per pulirli prima di metterli nel cesto). Un cordiale salutoJean