A Roma, dal 19 settembre al 12 gennaio 2025, nel Tempio di Romolo e Remo e nelle Uccellerie Farnesiane, all'interno del Parco Archeologico del Colosseo, c'è la mostra dedicata a Penelope, il personaggio omerico. Sono esposti dipinti, sculture e oggetti che ripercorrono l'iconografia e l'interpretazione della figura di Penelope nei secoli.
Questa esposizione è la prima di una trilogia sulle figure femminili, seguiranno quelle dedicate ad Antigone e a Saffo.
La mitologia greca narra di Penelope, moglie di Ulisse (Odisseo) e cugina di Elena di Troia, detta anche Elena di Sparta, per le città a cui è associata. Infatti Elena è la moglie del re di Sparta, Menelao. Durante un'assenza di questo giunge a Sparta il principe troiano Paride, al quale la dea Afrodite aveva promesso la più bella delle donne.
Elena cede al corteggiamento di Paride e con lui fugge a Troia, abbandonando Menelao e la piccola figlia Ermione.
Menelao convince il fratello Agamennone, re di Micene, a formare un imponente esercito per assediare la potente città di Troia e liberare Elena. Ed inizia la guerra tra Greci e Troiani.
Dopo la vittoria della Grecia, Elena, icona della bellezza e della seduzione, torna in patria con Menelao, però diventa una figura disprezzata nel mondo antico per la sua infedeltà al marito.
Ma Elena fu davvero "colpevole" dell'abbandono del "tetto coniugale" ? Omero pone in rilievo il convincimento suscitato da Afrodite: è la dea dell'amore a spingerla tra le braccia del principe troiano.
Anche la poetessa greca Saffo (630 a.C. circa – 570 a.C. circa) sembra giustificare il suo comportamento: Afrodite la travolse, ed Elena scelse in Paride "la cosa più bella: ciò che si ama".
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/0f/Helene_Paris_Louvre_K6.jpg/260px-Helene_Paris_Louvre_K6.jpg)
Elena e Paride. Particolare di un cratere del IV sec. a. C., Museo del Louvre, Parigi
Il filosofo sofista Gorgia (V – IV sec. a. C.) scrisse "Encomio di Elena" per dimostrare la forza delle parole per ribaltare il convincimento popolare. Per discolparla presenta una serie di implicazioni logiche secondo le quali essa non è realmente colpevole del conflitto tra Greci e Troiani.
Dante Alighieri nella "Commedia" colloca Elena nel cerchio dei lussuriosi.
(https://lh3.googleusercontent.com/proxy/rmMUQv8DMxbrM7ZXJTmhUm1iJZMQgj4I_M6GZwlf4JkAnf3wCP7x0AXTo_pRjeCsa0DNAH4yaXXQFRB9P_wDWLSUFJmlN6Q_y5n0ltVM_QInVHxfMnSS)
Elena e Penelope (?)
Invece Penelope, regina di Itaca, simboleggia la sposa fedele, anche se la parola fedeltà a lei riferita non c'è nell'Odissea.
La sua storia è davvero una vicenda di fedeltà e di lungimirante conservazione del talamo coniugale ? Un'altra versione del mito la vuole lussuriosa, pronta a concedersi ai Proci che la vogliono insidiare.
Francesco Petrarca considera Penelope la "casta mogliera"; anche lo scrittore Giovanni Boccaccio non crede alle sue infedeltà e la inserisce tra le donne famose nel suo "De mulieribus claris".
Penelope attese per vent'anni il ritorno di Ulisse: dieci anni per la "guerra di Troia" ed altri dieci anni errabondo per il ritorno a casa, crescendo da sola il piccolo Telemaco, evitando di scegliere uno tra i Proci nobili pretendenti alla sua mano.
Odisseo voleva tornare agli affetti familiari e alla nativa Itaca dopo i dieci anni guerreschi a Troia, ma l'odio verso di lui da parte del dio Poseidone glielo impedì. Ulisse fu costretto da varie peripezie a rimanere lontano da Itaca. Soltanto con l'aiuto della dea Atena riuscì a tornare a casa.
Penelope è il polo verso cui tende il racconto di Odisseo, e filo conduttore dell'intera Odissea, poiché tutte le avventure del marito sono motivate dalla volontà di tornare a Itaca. Il rapporto che lega Odisseo a Penelope è di integrazione, ma anche di distanziamento:
integrazione, perché durante gli anni d'assenza da casa non lo abbandona mai la nostalgia;
distanziamento perché a differenza di Penelope, lui non le resta fedele.
L'infedeltà di Odisseo, però, serve a far risaltare ancora di più il suo amore nei confronti della moglie nel momento in cui, per esempio, rifiuta da Calipso il dono dell'immortalità.
(https://www.repstatic.it/content/localirep/img/rep-roma/2024/09/18/200420207-152d318b-304c-4a5a-a594-f1fb00ef59fd.jpg?webp)
Skyphos (coppa per bere nella forma di un vaso attico con due anse orizzontali) a figure rosse, 440-435 a.C., prestato dal museo etrusco di Chiusi per la mostra nel parco archeologico del Colosseo.
in dettaglio:
(https://i.pinimg.com/736x/83/36/07/83360713d8e132d24af6dbe89a3240ae.jpg)
Penelope è di fronte al figlio Telemaco. La donna siede accanto al telaio, la guancia poggiata sulla mano chiusa a pugno, lo sguardo dolente. E' una posa che allude alle virtù femminili, riprodotta in molti sigilli degli anelli nuziali di epoca ellenistica.
Le gambe incrociate, la postura che s'inclina verso il basso sono i segnali di una personalità chiusa in sé stessa, in protezione. E' la Penelope dolente che ricorre nella storia dell'arte, dalla statuaria e dai bassorilievi d'epoca romana.
Non tutte le versioni del mito sostengono la castità e la fedeltà di Penelope verso il marito.
Nell'Odissea la regina di Itaca ha un comportamento ambiguo nei confronti dei Proci.
Un'interpretazione vuole Penelope desiderosa di risposarsi ma non prende questa decisione perché teme il giudizio del popolo.
Un'altra narrazione sostiene che lei cedette al proco Anfinomo; un'altra ancora la vuole amante del proco Antinoo.
(https://ep00.epimg.net/elpais/imagenes/2018/02/26/album/1519649002_373020_1519649059_album_normal.jpg)
Bernardino di Betto Betti, detto Pinturicchio (= "piccolo pintor"), soprannome derivante dalla sua piccola corporatura.
L'immagine rappresenta il "Ritorno di Ulisse": è un affresco realizzato tra il 1508 e il 1509. Misura cm 125 x 152. Era a Siena su una parete nel salone del Palazzo del Magnifico, all'epoca Pandolfo Petrucci. Il dipinto appartiene alla National Gallery di Londra.
La scena: nella camera di Penelope intenta a tessere la tela entra Telemaco (in primo piano) seguito dai Proci e dal padre, Ulisse, ancora sulla soglia.
Sullo sfondo c'è una grande finestra dalla quale si vede il paesaggio esterno: sono accennate simbolicamente alcune peripezie del viaggio di Ulisse.
L'episodio è una metafora che allude alla vita politica senese in quel tempo, con le insidie e i pericoli causati alla città dalle truppe di Cesare Borgia in procinto di conquistarla. Ulisse simboleggia Pandolfo Petrucci, reduce dall'esilio nel 1503.
Omero nell'Odissea attribuisce ad Ulisse l'epiteto "polytropos" per definirlo di ingegno multiforme e astuto.
In quest'altra rappresentazione lo vediamo insieme a Penelope.
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/31/Francesco_Primaticcio_002.jpg/520px-Francesco_Primaticcio_002.jpg)
Francesco Primaticcio, Ulisse e Penelope, olio su tela, 1560 circa, Museo d'arte della città statunitense di Toledo (in inglese: Toledo Museum of Art), è un istituto museale universitario d'arte internazionale situato nel quartiere Old West End.
La scena è ispirata dal XXIII canto dell'Odissea
[...]Ma ora vieni, sposa, moviamo al giaciglio, ché infine
possa trovar conforto nel dolce sopore del sonno.
E a lui queste parole rispose Penelope scaltra:
'Il letto pronto sempre per te sarà, quando lo brami,
ora che t'hanno i Numi d'Olimpo concesso il ritorno
alla tua casa bene costrutta, alla terra materna' [...] (versi 244 - 249)
"Ora, poi ch'ebbero i due godute le gioie d'amore,
si giocondâr parlando, scambiando parole" (versi 290 - 291)
Nel dipinto l'immagine di Ulisse e Penelope dopo il rapporto sessuale. La parte inferiore dei loro corpi è coperta da un drappo. Si guardano mentre la mano dell'uomo carezza il volto della donna, che in questo caso ha i capelli biondi.
Nell'oscuro sfondo si vede sulla destra un'alta porta e due ancelle nella penombra che vigilano affinché nessuno possa disturbare l'intimità dei due amanti.
Il dipinto è generalmente considerato uno dei bozzetti eseguiti da Primaticcio per la decorazione della "Galleria di Ulisse" nella reggia di Fontainebleau, durante il regno di Francesco I, dal 1515 al 1547, anno della sua morte.
Mecenate delle arti, il re di Francia chiamò nel castello di Chambord numerosi artisti italiani, tra i quali Leonardo da Vinci.
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/fa/Dante_Gabriel_Rossetti_-_Penelope.jpg/460px-Dante_Gabriel_Rossetti_-_Penelope.jpg?20160516121652)
Dante Gabriel Rossetti, Penelope, 1869 Andrew Lloyd Webber Collection
Penelope, figlia del re Icario di Sparta, come figura letteraria ha attraversato i secoli ed ha ispirato poeti e scrittori che hanno riscritto il suo mito.
L'epopea di Ulisse è anche quella di Penelope, segnata dalla speranza e dall'attesa di un ricongiungimento con la persona amata.
La moglie del protagonista viene presentata nell'Odissea come la sposa fedele e pudìca che attende il ritorno del marito e trasforma il proprio letto in "una fortezza inespugnabile".
Omero nell'Odissea la definisce "sophrosyne" (= prudente).
Ovidio negli "Amores" sostiene che essa restò "incontaminata". Nelle "Heroides" lo scrittore dà la parola a Penelope, che si strugge per l'assenza dell'amato consorte.
Invece nel manuale di mitografia titolato "Biblioteca", suddiviso in tre libri, attribuito ad Apollodoro di Atene (180 a. C. – 120 circa a. C.), convenzionalmente indicato con il nome di "Pseudo Apollodoro", questo autore riscrisse il finale dell'Odissea: Ulisse scopre Penelope insieme a uno dei Proci: Antinoo, il capo dei pretendenti, che viene ucciso per primo.
Se Penelope fosse nata nel nostro tempo cosa direbbe lei stessa delle versioni mitiche che la riguardano ?
Il mito, "demitizzato", evidenzia Penelope non come una donna sottomessa e passiva, infatti riesce a governare Itaca per vent'anni e a tenere lontani dal trono 108 giovani pretendenti.
Nel poema omerico più volte compare nei suoi confronti gli epiteti "perifron" (= scaltra) e "metis" (= astuta") come il marito.
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/bf/JohnWilliamWaterhouse-PenelopeandtheSuitors%281912%29.jpg/640px-JohnWilliamWaterhouse-PenelopeandtheSuitors%281912%29.jpg)
John William Waterhouse, Penelope e i corteggiatori, olio su tela, 1912, Aberdeen Art Gallery & Museums, Regno Unito
Il dipinto raffigura alcuni corteggiatori; quello al centro tenta di offrirle un mazzo di fiori, ma lei, in compagnia delle sue ancelle, continua a lavorare al telaio. Quel suo voltare le spalle ai pretendenti evidenzia l'atteggiamento della donna nei loro confronti.
(https://i.pinimg.com/736x/59/5c/4b/595c4b74c3273e07efbd9a4c4c3c5079--greece-islands-tourist-map.jpg)
Itaca: in lingua greca Ithaki. E'un'isola nel Mar Ionio, nota per essere stata la patria di Ulisse , antico re dell'isola.
La piccola città portuale di Vathy è il capoluogo, con case in stile veneziano.
L'isola è composta da una parte nord e una parte sud, collegate dall'istmo di Aetos largo appena 600 m nel punto più stretto.
Gli scavi archeologici hanno rilevato che nel XXII sec. a. C. Itaca era già abitata.
I Romani la occuparono nel II sec. a. C., in seguito divenne parte dell'impero bizantino.
Itaca è anche il titolo della poesia scritta da Konstantinos Petrou Kavafis, noto in Italia come Costantino Kavafis. La scrisse nel 1911 pensando al viaggio di Ulisse-Odisseo. Il poeta afferma che non bisogna avere fretta di giungere a destinazione, l'importante è il viaggio non la meta, per vedere, conoscere, apprendere, fare esperienze durante il percorso. E se il punto di arrivo sarà deludente non si dovrà essere tristi, perché la metaforica Itaca ci ha motivati ad intraprendere il viaggio.
"Itaca"
Se cerchi la tua strada verso Itaca spera in un viaggio lungo, avventuroso e pieno di scoperte. I Lestrigoni e i Ciclopi non temerli, non temere l'ira di Poseidone. [...] Pensa a Itaca, sempre, il tuo destino ti ci porterà. Non hai bisogno di affrettare il viaggio; fa' che esso duri anni, bellissimi, e che tu arrivi all'isola ormai vecchio, ricco di insegnamenti appresi in via. Non sperare ti giungano ricchezze: il regalo di Itaca è il bel viaggio, senza di lei non lo avresti intrapreso. Di più non ha da darti. E se ti appare povera all'arrivo, non t'ha ingannato. Con la saggezza e l'esperienza avrai capito un'Itaca cos'è.
Quando penso a Penelope me la raffiguro soltanto nelle sembianze dell'attrice greca Irene Papas (1926 – 2022), forse perché l'ho vista nel 1968 nell'Odissea, film a colori e a puntate trasmesse dalla Rai. Secondo me la defunta Irene aveva il viso adatto per quel ruolo.
(https://spettacolo.periodicodaily.com/wp-content/uploads/2022/09/Irene-Papas.png)
Il ruolo di Ulisse era interpretato dall'attore serbo-croato Bekim Fehmiu
(https://programma.sorrisi.com/guidatv/uploads/media/cache/epg_program_large/uploads/epg/images/programseries/0/0/originale/271087.jpg)
(https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2022/09/14/113542981-eaaf9b6f-fcc9-4b49-8b0f-dfb876b222e3.jpg)
Bekim Fehmiu (Ulisse) e Irene Papas (Penelope)
Il poema omerico ci racconta del ritorno di Odisseo ad Itaca, della sua vendetta contro i Proci e del ricongiungimento con Penelope.
Invece la grecista Maria Grazia Ciani nel suo libro titolato "La morte di Penelope" ci propone una storia diversa. Essa infatti riprende quanto riportato da Apollodoro di Atene nel libro "Biblioteca", nel quale racconta che la regina di Itaca fu sedotta da Antinoo e che Odisseo la rimandò a Sparta da suo padre, il re Icario.
Nell'antica Grecia le donne erano di proprietà dei padri e dei mariti. Odisseo sposò Penelope dopo essersela aggiudicata ad una gara di corsa indetta da Icario per scegliere un compagno per la figlia.
Nel testo della Ciani, Ulisse tornato ad Itaca, si accorge della tresca tra Penelope ed Antinoo e uccide entrambi, riservando alla moglie l'ultima freccia del suo arco. In pratica uno scenario opposto a quello prospettato da Omero.
Dante Alighieri nella "Commedia", canto XXVI dell'Inferno, narra l'episodio post-omerico del viaggio di Ulisse. Il poeta fiorentino immagina che l'astuto re di Itaca, dopo aver concluso le sue avventure narrate nell'Odissea, intraprenda un'ultima fatale spedizione.
Ulisse, motivato dal desiderio di conoscenza e di esplorazione, persuade i suoi anziani compagni a navigare oltre le Colonne d'Ercole, confine tradizionale del mondo conosciuto, per scoprire ciò che giace oltre. Questo viaggio simboleggia la voglia di sapere dell'individuo, ma anche la sua hybris, la presunzione di superare i limiti imposti dalla divinità, che nell'antichità era considerata una grave colpa.
L'audace viaggio di Ulisse si conclude con una severa punizione, che riflette la visione medievale della giustizia divina. Dopo un lungo viaggio, Ulisse e i suoi compagni scorgono una montagna imponente, che si rivela essere il monte del Purgatorio, ma prima che possano approdare, un vortice divino colpisce la loro nave, facendola naufragare. Questo epilogo tragico sottolinea il concetto di giustizia divina che pervade l'opera di Dante: nessun uomo può sfuggire al castigo se osa sfidare l'ordine stabilito da Dio.
Ciao doxa, avevo quindi dieci anni quando ascoltavo la cupa voce di Ungaretti che precedeva le vicende di Ulisse ... tra divinità e avventure, non c'è che dire, storie incantevoli e incantanti. Insomma, tra Apollodoro e la nostra grecista ci troviamo quasi in una situazione da "Rachomon". Vicende strane quelle che passano tra donna e uomo, non trovi? Non dico che si potrebbe riscrivere la storia sotto la luce di questo rapporto, però ... C'è un'espressione attribuita a Emiliano Zapata che urla "¡Que viva Mexico, hijos de la chingada!". A prescindere dalle identificazioni zapatiste, per taluni la "chingada" sarebbe Malintzin, Malinche, doña Marina, alias l'amante e interprete di Cortés. Volendo comunque andare oltre il velo della sfera sessuale, lessi a suo tempo che in Messico stava una forma di spettacolo che metteva in scena le figure del "chingón" e del "chingado", l'uno sicuro di sé e l'altro diciamo remissivo. Con lazzi, prese in giro e ammiccamenti al pubblico, farebbe da canovaccio a questa tenzone una contesa verbale che trova radici tra vari contesti della vita quotidiana, anche quella politica ... Capita pure che ad avere la meglio sia il "chingado", il remissivo, che diverrebbe quindi "chingón"
Ciao doxa, come sempre complimenti per i tuoi post! Apprezzo questo, in particolare, perchè tratta di una figura fondamentale dei poemi omerici, a me carissimi: Penelope, che anch'io identifico nel volto e nella figura di Irene Papas, in quanto spettatore bambino della serie televisiva originale (a me Ungaretti che recitava i versi del canto faceva paura...). Non ho nulla da aggiungere a quanto hai scritto e documentato, come al solito in modo sublime. Vado un attimo ot per proporti, se ne avrai voglia e tempo, l'analisi di un altro personaggio omerico: Polifemo. Perchè leggendo e rileggendo l'Odissea, mi sono fatto l'idea che il famoso ciclope sia stato un po' troppo bistrattato. Vabè, era bruttarello e abbastanza scorbutico, ma in fondo Ulisse e i suoi compagni erano dei ladri, altro che ospitalità...Poseidone, suo padre, era giustamente arrabbiato, secondo me. Che ne dici? A presto.
Buongiorno Daniele,
hai citato "Rashomon", il titolo del film diretto dal regista giapponese Akira Kurosawa nel 1951.
Mi hai incuriosito e tramite Internet ho letto la complicata storia che potrebbe anche evocare la riflessione circa la fedeltà o infedeltà di Penelope.
Nel film nessuno degli interpreti mente, ma la verità può avere diversi punti di vista ?
Qual è la verità ?
Accade di essere in disaccordo con le esperienze condivise con altre persone. La propria versione dei fatti non coincide con quelli degli altri. Allora ci si domanda se la verità è assoluta o relativa.
Nell'effetto Rashomon la soggettività induce i testimoni a raccontare la stessa storia ma in modo diverso. Questo non significa che una delle versioni sia falsa, ma semplicemente che viene filtrata dalla percezione individuale.
Hai scritto:
CitazioneCon lazzi, prese in giro e ammiccamenti al pubblico, farebbe da canovaccio a questa tenzone una contesa verbale che trova radici tra vari contesti della vita quotidiana, anche quella politica
Docet il recente caso Sangiuliano – Boccia. :) ???
Gentile Sapa, per quanto riguarda il poeta Ungaretti condivido la tua opinione. Il suo modo di leggere poesie non era piacevole, né gradevole lui come aspetto. A volte i suoi occhi sembravano luciferini.
Il ciclope Polifemo, il gigante pastore con un solo occhio, bel tema, se capiterà l'occasione elaborerò un topic a lui dedicato.
Nel frattempo ti offro due immagini a lui riferite
(https://www.ancient-origins.es/sites/default/files/Polifemo-Tischbein.jpg)
(https://usercontent.one/wp/xaviercadalso.lavozdelsocio.com/wp-content/uploads/2017/03/Portada-legendarios-ciclopes.jpg?media=1713352192)
Chiaramente, o poco chiaramente, ognuno filtra. Certo è che le avventure di Ulisse e Penelope, diversamente che nella vicenda di Rashomon, non sarebbero state narrate da testimoni.
Ho abbandonato lo spettacolo Sangiuliano-Boccia ... forse lui sarebbe un chingado.
Un saluto
Il confronto tra Penelope e Elena proposto da doxa è davvero interessante e si presta a diverse letture e dall'alto della mia ignoranza provo a darne una, tra le possibili, in chiave psicologica.
Con riferimento alla visione classica dei due personaggi (Penelope che virtuosamente attende Odisseo e Elena che invece, spinta da Afrodite, cede a Paride) desidero richiamare il concetto di locus of control.
In psicologia questo termine indica il punto in cui l'agito del soggetto è interno o esterno ad esso. Nel primo caso il soggetto è lui l'agente (nel bene e nel male) che decide del proprio destino; nel secondo invece il soggetto lascia che siano fattori esterni, altre persone incluse, a condizionare in maniera decisiva il suo vissuto e il suo futuro.
Va da se, come in tutte le cose, che necessita un punto di equilibrio in ciascuna persona. Come mi insegnate, Aristotele sosteneva che le virtù si misurano su tre dimensioni (troppo, troppo poco, il giusto). In maniera più grezza, non c'è solo il nero e il bianco ma anche un'infinità di grigi nel mezzo ed a ciascuno viene chiesto di trovare la propria "tonalità", quella che meglio ci consente di vivere serenamente.
Le opere di Omero ci propongono pertanto due modelli: quello di Penelope e quello di Elena.
Sta poi a noi capire a quale dei due ci avviciniamo maggiormente.
Io ho da poco iniziato l'Iliade, vorrei leggerla di pari passo con l'Odissea.
Ma anche nell'Iliade si inizia proprio tirando in ballo gli dei.
Ora lungi da me di poter pensare di raggiungere cosa quell'antico dialetto greco volesse effettivamente comunicare.
Ma ciò nondimeno, visto che Omero compare in Platone, sono costretto a ripensare l'intera facenda dell'epica greca (e latina?).
Purtroppo sono stato studente liceale di scientifico, di greco non so nulla.
E già questo pone problemi perchè i termini greci di astuzia e quant'altro, vengono in italiano a perdere una gamma assai più ampia di senso e signficato.
Ma doxa io continuo a non capire bene il significato del dio.
Nel senso che io non lo leggo come una semplice storiellina un pò didascalica su cui ragionare della donna.
Anzitutto manca proprio la visione che forse ma forse Penelope sta proteggendo Telemaco.
Probabilmento essendo "metis" la figa l'ha data a qualche Proclo.
D'altronde avendo visto qualche rivisitazione storica in tv, ulisse non partecipa ai giochi per stabilire a chi va in moglie penelope?
Dunque alla fine oltre ad averla data per ben spegnere qualche bollente spirito, perchè la Papas me la vorrei fare pure io, alla fine aveva deciso di accettare qualche sostituto d'ulisse.
Mi piace avere una visione psicanalitica dell'intera faccenda.
Ma prima vorrei capire a cosa ambisce questa epica, questa narrazione.
Perchè nella Grecia assurge ad un livelllo così importante?
Altre domande che mi sono care, perchè la Grecia era anni avanti rispetto alla nostra ridicola società di serfi.
Per ora una grande confusione a cui le visioni di brava madre-brava sposa- puttana, a me non dicono niente.
Mi chiedevo se tu ne avessi qualche consocenza meno manichea?
Te ne sarei grato! ;)
Citazione di: Bruno P il 02 Ottobre 2024, 18:59:24 PMIl confronto tra Penelope e Elena proposto da doxa è davvero interessante e si presta a diverse letture e dall'alto della mia ignoranza provo a darne una, tra le possibili, in chiave psicologica.
Con riferimento alla visione classica dei due personaggi (Penelope che virtuosamente attende Odisseo e Elena che invece, spinta da Afrodite, cede a Paride) desidero richiamare il concetto di locus of control.
In psicologia questo termine indica il punto in cui l'agito del soggetto è interno o esterno ad esso. Nel primo caso il soggetto è lui l'agente (nel bene e nel male) che decide del proprio destino; nel secondo invece il soggetto lascia che siano fattori esterni, altre persone incluse, a condizionare in maniera decisiva il suo vissuto e il suo futuro.
Va da se, come in tutte le cose, che necessita un punto di equilibrio in ciascuna persona. Come mi insegnate, Aristotele sosteneva che le virtù si misurano su tre dimensioni (troppo, troppo poco, il giusto). In maniera più grezza, non c'è solo il nero e il bianco ma anche un'infinità di grigi nel mezzo ed a ciascuno viene chiesto di trovare la propria "tonalità", quella che meglio ci consente di vivere serenamente.
Le opere di Omero ci propongono pertanto due modelli: quello di Penelope e quello di Elena.
Sta poi a noi capire a quale dei due ci avviciniamo maggiormente.
Ma al di là delle pretese della psicologia contemporanea.
Penelope si trova in una situazione drammatica.
Di fatto reggente di un regno, accerchiata dalla fame di potere (e quindi di sesso) dei pretendenti al trono.
Non è nemmeno questione del piacere, ma forse dell'impossibile godimento.
Infatti altri fantasmi accerchiano la libertà di Penelope.
Mi pare in fin dei conti Penelope anche passibile di eroismo, quel suo tener a bada, quel suo posticipare continuo, fino all'ossessione (se ho ben capito sono passati vent'anni!!!)
Insomma di cibo da analizzare la materia letteraria ce ne lascia in abbondanza, curioso il manicheismo che ha accompagnato queste storie...fino all'impoverimento fino all'imbarazzo dei nostri tempi.
salve Bruno! E ci voleva uno psicologo tra noi ;)
Gentile green demetr
Innanzitutto desidero precisare che non sono uno psicologo. Una laura triennale non mi assurge a tale titolo.
Hai perfettamente ragione nel momento in cui affermi che la traduzione dell'epica dal greco antico perde una miriade di significati: neanch'io conosco il greco ma da quel pochissimo che so è come guardare un'immagine in bianco e nero che in origine era a colori.
In ogni caso i testi pervenutici ci danno ampissimo spazio per letture diverse dei significati sottesi, indipendentemente dalla volontà dell'autore di inserirli. Farei però un passo indietro riguardo le possibili distorsioni intercorse nei secoli che ci separano da Omero che hanno fatto si che il modo di pensare odierno si trascini gravi pregiudizi. Mi riferisco alla figura della Donna. Già Platone la poneva ben al di sotto del maschio. Infatti egli prevedeva che nello Stato modello la Donna non avesse diritto di voto, al pari degli schiavi. Mi insegnate poi che la Materia, sede del divenire, era da lui considerata corruttibile e incapace di entrare nella Phisis se non grazie all'intervento del Demiurgo che la fecondava. Poi, secoli di cristianesimo (beninteso sono credente) hanno ben concorso a modellare i pregiudizi che gravano il nostro attuale pensiero. Ma verosimilmente già Omero, collocandolo nel suo spazio-tempo, non era immune da questa visione del mondo.
Rimane il fatto che i testi omerici, in questo caso nelle figure di Penelope e Elena, ci propongono delle interpretazioni in cui specchiare il nostro pensiero con riferimento alla società in cui viviamo.
Ciao a Bruno e un benvenuto nel forum.
Visione ingenua e molto sintetica: a me sembra che più la donna si rende "indipendente" più il maschio perde la testa e dirotta verso altro la sua frustrazione; infine, dovrà pur farsene una ragione
Buongiorno Daniele e grazie per il tuo benvenuto in questo salotto.
La tua osservazione mi apre ad un altro tema, il rapporto tra uomo e donna, ma ho il timore di andare completamente fuori tema rispetto a quanto inizialmente proposto da doxa.
Provo solo ad accennarlo (non è facile) e mi scuso per il fuori-campo.
In un rapporto tra Uomo e Donna, questa la mia visione, il primo, ancor prima della seconda, deve avere coscienza che le sue esigenze/gratificazioni vengono dopo quelle della partner. A maggior ragione se ci sono figli: il padre viene per ultimo; sempre. Il mancato abbandono di una sorta di narcisismo primario maschile in età adulta porta inevitabilmente a una rottura, a un fallimento della coppia e della famiglia. Necessita quindi una struttura psichica adeguata, forte, capace di posticipare il "piacere", anche di rinunciare.
Prima di indirizzarmi verso Freud mi fermo.
Saluti
Un paese ci vuole, per potersene andare, come scriveva Pavese.
Ma non è propriamente da un paese che ce ne andiamo, ma da convenzioni sociali a quel paese funzionali, e che una volta relativizzate dal confronto con altre, dovremmo consapevolmente accettare, quando le davamo per scontate, ritornando.
Allora si realizzerà che non c'è più un paese per noi, perchè un paese per noi vale ormai potenzialmente l'altro, per cui ci troviamo nelle condizione di poter scegliere il paese in cui rinascere, non avendo potuto scegliere dove nascere.
Mettendomi nei panni di Ulisse, fingerò davanti a Penelope che nulla per me sia cambiato, ma non potendo reggere a lungo la finzione, dovrò rimettermi in viaggio in cerca di una nuova Penelope che mi accetti per quel che adesso sono, senza. avere aspettative si di me che non posso più soddisfare, se non a costo di una insostenibile finzione, che io sia ancora io e non altro, che io fossi colui che lei attendeva che tornasse.
Non è Itaca quella a cui Ulisse torna, o non è Ulisse a tornarvi.
La condizione di Penelope, prima ancora che l'esser donna, è quella di chi da Itaca non è mai uscita, ed è perciò che Ulisse ritrova la stessa fedele Penelope che aveva lasciata, eppur si sente tradito, perchè sente tradite tutte le sue aspettative.
Il problema in un rapporto di coppia non è quanta libertà reciproca si concedono i partners l'un l'altro, e se sia giusto o sbagliato a priori, ma il problema sorge quando questa libertà volenti o nolenti si ritratta, e quando viene ritrattata è più facile che ciò vada favore della donna, visto che mediamente per ragioni storiche è quella che più ne difetta.
Nel momento in cui un uomo accetta che tale ritrattazione avvenga, la donna assume la parte di Ulisse che sentendo la sua terra ormai straniera, l'abbandonerà.
Questa è dunque di fatto la prova d'amore più grande di un uomo verso la sua donna, lasciarla salpare per nuovi lidi dalla quale non la vedrà più tornare, o non riconoscendola se tornasse.
Citazione di: Bruno P il 03 Ottobre 2024, 08:28:58 AMRimane il fatto che i testi omerici, in questo caso nelle figure di Penelope e Elena, ci propongono delle interpretazioni in cui specchiare il nostro pensiero con riferimento alla società in cui viviamo
Si certo, e lo trovo problematico, una società che non sa più coltivare il senso, potrà anche avere idee cosmologiche più corrette, ma rispetto al vivere quotidiano è come se si fosse tolta le basi che si era faticosamente costruita.
D'altronde lo stesso Freud chiamava con urgenza una rilettura dell'erotica nella grecia e nella roma antica, nel senso che una maggiore aderenza ad esso porterebbe a miglioramenti sostanziali anche nell'ambito delle relazioni.
Certo nell'età post-moderna, ossia nell'età del depensamento assoluto, la cosa risulta assai più difficile, pur avendo per i soliti paradossi della storia, una competenza filologica infinitamente maggiore rispetto al passato.
@Bruno P
In effetti ho deviato io dal tema. A dirla tutta il tema segnalava una mostra, così come spesso si diletta fare doxa. Fintanto comunque che non senti una scossa psico-midollare anafasica, se ben memorizzai, effetto dell'utilizzo di un'arma potentissima misteriosa assai in uso ai nostri vigilanti osservandissimi moderatores, non preoccuparti moltissimo ... ma stai attento, sembra che l'anno scorso....uuh! tutto vapore, tutto vapore. Scherzi a parte, un saluto
Citazione di: iano il 03 Ottobre 2024, 16:13:35 PMUn paese ci vuole, per potersene andare, come scriveva Pavese.
Ma non è propriamente da un paese che ce ne andiamo, ma da convenzioni sociali a quel paese funzionali, e che una volta relativizzate dal confronto con altre, dovremmo consapevolmente accettare, quando le davamo per scontate, ritornando.
Allora si realizzerà che non c'è più un paese per noi, perchè un paese per noi vale ormai potenzialmente l'altro, per cui ci troviamo nelle condizione di poter scegliere il paese in cui rinascere, non avendo potuto scegliere dove nascere.
Mettendomi nei panni di Ulisse, fingerò davanti a Penelope che nulla per me sia cambiato, ma non potendo reggere a lungo la finzione, dovrò rimettermi in viaggio in cerca di una nuova Penelope che mi accetti per quel che adesso sono, senza. avere aspettative si di me che non posso più soddisfare, se non a costo di una insostenibile finzione, che io sia ancora io e non altro, che io fossi colui che lei attendeva che tornasse.
Non è Itaca quella a cui Ulisse torna, o non è Ulisse a tornarvi.
La condizione di Penelope, prima ancora che l'esser donna, è quella di chi da Itaca non è mai uscita, ed è perciò che Ulisse ritrova la stessa fedele Penelope che aveva lasciata, eppur si sente tradito, perchè sente tradite tutte le sue aspettative.
Il problema in un rapporto di coppia non è quanta libertà reciproca si concedono i partners l'un l'altro, e se sia giusto o sbagliato a priori, ma il problema sorge quando questa libertà volenti o nolenti si ritratta, e quando viene ritrattata è più facile che ciò vada favore della donna, visto che mediamente per ragioni storiche è quella che più ne difetta.
Nel momento in cui un uomo accetta che tale ritrattazione avvenga, la donna assume la parte di Ulisse che sentendo la sua terra ormai straniera, l'abbandonerà.
Questa è dunque di fatto la prova d'amore più grande di un uomo verso la sua donna, lasciarla salpare per nuovi lidi dalla quale non la vedrà più tornare, o non riconoscendola se tornasse.
Gentile iano
con il tuo post mi inviti a diverse letture. Laddove dici
"Mettendomi nei panni di Ulisse, fingerò davanti a Penelope che nulla per me sia cambiato, ma non potendo reggere a lungo la finzione, dovrò rimettermi in viaggio" interpreto Ulisse come la Scienza che si allontana dalla Filosofia in un viaggio infinito. E' certo che l'Ulisse che ritorna a Itaca non è il medesimo di quando era partito: ha intrapreso un viaggio verso la conoscenza empirica, conoscenza che lo ha profondamente cambiato. Per contro Penelope rappresenta la conoscenza a priori, da non confondere con un immobilismo a priori. E quando Ulisse si confronta con Penelope rimane frustrato perché comprende come le sue poche e brevi esperienze lo hanno si portato lontano da Itaca ma non ha la capacità di misurare questa sua distanza: tanta, poca, .... non lo sa ma rimane comunque convinto che da Itaca doveva uscire.Poi, "Nel momento in cui un uomo accetta che tale ritrattazione avvenga, la donna assume la parte di Ulisse che sentendo la sua terra ormai straniera, l'abbandonerà." Penelope intraprende anch'essa la via della Scienza, si emancipa. E la Filosofia? E l'episteme? Come ci insegna la storia della Filosofia contemporanea, l'episteme è stata abbandonata, ricacciata, negata, a favore della Scienza.Infine "... lasciarla salpare per nuovi lidi dalla quale non la vedrà più tornare, o non riconoscendola se tornasse." E' la frantumazione della conoscenza umana in infiniti rivoli che si allontanano tra di loro perdendo completamente l'Unità che invece è propria dell'episteme.
Citazione di: Bruno P il 04 Ottobre 2024, 08:28:23 AME' la frantumazione della conoscenza umana in infiniti rivoli che si allontanano tra di loro perdendo completamente l'Unità che invece è propria dell'episteme.
La cosa in se, se non esistesse bisognerebbe inventarla, e di fatti è una inconsapevole invenzione.
Essendo una cosa in se, non occorre affermarla, così come non occorre dire che l'evidenza è evidente.
Quindi è significativo che si senta l'esigenza di affermarlo, perchè affermarlo è il passo necessario per poterlo poi negare, quando pure lo si affermava nel tentativo di trattenerlo.
Ma una volta negato, non potendone comunque fare a meno, in quanto costituente del mondo in cui viviamo, occorrerà riaffermarlo consapevolmente, di modo che torni a nuova esistenza, ma in tal modo non potrà più essere quel che era.
Questo è propriamente il dramma di Ulisse, il prendere coscienza dell'impossibilità di un ritorno, e che la vita è un viaggio non circolare, senza meta.
Citazione di: iano il 04 Ottobre 2024, 15:34:27 PMma in tal modo non potrà più essere quel che era
Gentile Iano
premettendo il fatto che sono un ignorante, considero, nei miei limiti, la "cosa in sé" immutabile, altrimenti non sarebbe tale e farebbe parte del divenire. Amo Kant.
La cosa in sé rimane l'asintoto cui tendere e Ulisse, che verrebbe definito come arguto, non ha consapevolezza dell'irraggiungibilità dell'episteme. Egli è l'archetipo dell'Uomo che naviga nella sua esistenza e ritiene di aver ottenuto una verità ad ogni infinitesimale scoperta, scientifica o meno, perdendo di vista - e non potrebbe essere diversamente - l'orizzonte che si pone all'infinito. Dove si situa l'episteme.