Perchè Hegel e non Kant.
Questo domande che ci facevamo al bar dell'università di Milano, fra gli sguardi increduli delle bariste.
Ma come non ripetono la lezioncina, come facevano alla tavolata poco distante da noi 2?
Eravamo in 5 siamo rimasti in 2.
Ora sono rimasto solo soletto. Come al solito.
Hegel si, Kant no.
Kant molto bene, ma no.
Il fatto è che l'imperativo categorico, mi pare proprio un cascame del più ampio problema del suo carattere ossessivo.
Hegel sì, perchè sebbene lo critichi, è comunque sulla scia di Kant.
Certo chiama Ragione quello che Kant chiama intelletto, e chiama Intelletto quello che Kant chiama ragione.
Sinceramente sono d'accordo con Hegel, la ratio, come dice la radice latina, è la capacitò di divisione, una qualità più che una sostanza dell'uomo.
Ma a bocce ferme, stanno dicendo la stessa cosa.
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.
Noi non siamo filosofi, noi lo diventiamo, cosi raccontava la sfinge ai suoi ricercatori.
Ma la sfinge va comprensa non guardata. Non ci si guarda allo specchio, se no, si finisce impietriti, e si diventa dei somari e non dei filosofi.
Così non si guarda in volto la Sfinge, la si comprende.
E così è il domandare, il domandare va domandato.
La biblioteca non serve a niente se non la si domanda.
Credere ciecamente nella biblioteca è rimanere impietriti dalla sfinge.
E il domandare che si domanda, richiede il pensiero che si pensa.
E il pensiero pensante è la FILOSOFIA. Pensiero di pensiero.
Pensiero al quadrato.
La fenomenologia è il massimo prolegomena a questo pensante.
(mi pare) Io non l'ho mai letta (tutta).
Leggiamola insieme!! 8)
Fenomenologia dello spirito di Hegel è forse il testo più difficile di filosofia che abbia studiato.
Un anno di studio, 17 pagine di fronte e retro di appunti sul testo.
Per capire bene il testo bisognerebbe studiarsi quanto meno la logica dialettica di Hegel ,che è una sua "invenzione", una sua caratteristica ( senza la quale è poi impossible capire in profondità Severino che utilizza anch'esso la logica dialettica anche se con caratteristiche ancora diverse).
E' stato edito alle stampe nel 1807. E' scritto male, e questo lo rende infatti traduttivamente dal tedesco all'italiano ancora più difficoltoso, poiché Hegel quando lo scrisse era in ristrettezze economiche e doveva sbrigarsi per avere denaro dall'editore.
Originariamente il titolo sarebbe dovuto essere "Scienza dell'esperienza e della coscienza".
La via che conduce alla meta è il ricordo degli spiriti così come essi sono in se stessi e compiono l'organizzazione del loro regno. La loro conservazione, secondo il lato della loro esistenza libera che si manifesta nella forma dell'accidentalità, è la storia ; secondo il lato della loro organizzazione concettuale ,invece, tale conservazione è la scienza del sapere fenomenico, tutt'e due insieme,cioè la storia compresa concettualmente, formano il Calvario dello Spirito assoluto, formano, la realtà, la verità, al certezza del suo trono,senza il quale vige la solitudine priva di vita.
Pur non essendo il sistema scientifico della verità la fenomenologia dello Spirito è la scienza dell'esperienza della coscienza, è il sistema dell'esperienza dello Spirito.
La coscienza , l'essere consapevole, non è altro che l'esistenza immediata dello Spirito e dunque essa è sempre coscienza dello Spirito secondo le due direzioni – oggettiva e soggettiva- dal genitivo.
Citazione di: paul11 il 03 Dicembre 2021, 23:17:42 PM
Fenomenologia dello spirito di Hegel è forse il testo più difficile di filosofia che abbia studiato.
Un anno di studio, 17 pagine di fronte e retro di appunti sul testo.
Per capire bene il testo bisognerebbe studiarsi quanto meno la logica dialettica di Hegel ,che è una sua "invenzione", una sua caratteristica ( senza la quale è poi impossible capire in profondità Severino che utilizza anch'esso la logica dialettica anche se con caratteristiche ancora diverse).
E' stato edito alle stampe nel 1807. E' scritto male, e questo lo rende infatti traduttivamente dal tedesco all'italiano ancora più difficoltoso, poiché Hegel quando lo scrisse era in ristrettezze economiche e doveva sbrigarsi per avere denaro dall'editore.
Originariamente il titolo sarebbe dovuto essere "Scienza dell'esperienza e della coscienza".
La via che conduce alla meta è il ricordo degli spiriti così come essi sono in se stessi e compiono l'organizzazione del loro regno. La loro conservazione, secondo il lato della loro esistenza libera che si manifesta nella forma dell'accidentalità, è la storia ; secondo il lato della loro organizzazione concettuale ,invece, tale conservazione è la scienza del sapere fenomenico, tutt'e due insieme,cioè la storia compresa concettualmente, formano il Calvario dello Spirito assoluto, formano, la realtà, la verità, al certezza del suo trono,senza il quale vige la solitudine priva di vita.
Pur non essendo il sistema scientifico della verità la fenomenologia dello Spirito è la scienza dell'esperienza della coscienza, è il sistema dell'esperienza dello Spirito.
La coscienza , l'essere consapevole, non è altro che l'esistenza immediata dello Spirito e dunque essa è sempre coscienza dello Spirito secondo le due direzioni – oggettiva e soggettiva- dal genitivo.
Yes sir.
Oggi lo tradurrei sistema della conoscenza dall'esperienza e dell'evenienza.
Sulla prefazione di Hegel si sono soffermati molti corsi di università, in generale è famoso l'assunto per cui questa prefazione si dice essere piuttosto una postfazione, in quanto ogni cosa viene vista sempre a posteriori e giammai apriori.
In particolare leggiamo questo passo, su cui il filosofo novizio dovrà poi passare la vita a meditare in caso di incomprensione.
La versione che utilizziamo è quella consigliata dal filosofo Bodei, ossia quella di Negri, l'unica che non ha fatto pasticci con l'impaginazione. Anche se la più difficile da intendere.
Ma come diceva Bodei se lo capivano i ragazzi degli anni 70 perchè non dovrebbero capirla i ragazzi millenials?
(la versione che si usa nelle università è quella einaudi che semplifica ancora di più i concetti).
(https://i.imgur.com/4JOTvUN.png)
Il nostro cioè ci sta avvisando del compito del filosofo e della sua intellettualità (scienza), ossia non tanto la comprensione analitica dell'oggetto (la differenza) quanto piuttosto della sua destinalità (la comprensione, in quanto saggezza, integrale, dove finiscono le differenze).
Ossia lo scartamento metodico dell'intera filosofia analitica americana.
Compito del filosofo è allora la religione, in quanto comprensione dell'eternità e dell'amore, ossia della bellezza del sentimento (sacralità, qui usata impropriamente, rispetto alle ricerche di Agamben).
Qua Hegel ci fa capire che il compito dell'uomo non è capire l'essenza, ma la destinalità dell'essenza.
Temi che Heidegger riprenderà evidentemente, pari passo.
Andando più oltre e saltando i passaggi che criticano la filosofia analitica americana, ossia la sostituzione dell'orizzonte abissale, con l'orizzonte superficiale, ossia la collezione di oggetti in misura estesa verso una universalità vacua, rispetto all'estrinsecazione della ricerca verso se stessa, ossia l'uscita dalla collezione degli oggetti, per capire la finalità della raccolta degli oggetti.
In maniera che con piacere vedo essere agile e precisa leggiamo questo passo.
(https://i.imgur.com/mkEVBeM.png)
In cui senza esitazione si afferma come la saggezza si ottiene non tramite la conoscenza della sostanza, quanto piuttosto del soggetto.
Come già ripetuto da me (e da Heidegger) all'infinito, ossia il problema del soggetto.
Se ragioniamo (ma nessuno lo fa) abbiamo già le chiavi, per effettuare dunque la ricerca di noi stessi, rimane un mistero perchè nessuno abbia mai iniziato il lavoro.
E' chiaro che il soggetto, che non è un apriori, è sempre il lavoro paziente di una comprensione che vada sempre più a fondo nella sua estrinsecazione, ossia nel suo progressivo inabissamento nelle sue forme di datità del cosciente.
Non è tanto la questione della comprensione storica orizzontale (appunto la sua storiografia, la sua biografia) quanto la comprensione della propria relazione a questa storicità, a questo perenne rivolgersi dietro di sè, per capire dove egli è ora, e perchè, ossia ci si rivolge dietro per andare ancora più a fondo, ossia per estrinsecarsi.
E ciò che sentiamo (conosciamo per differenza) è l'abisso dell'anima, ossia l'eco dell'integralità, di cui noi sempre siamo la sua vallata, ossia il mezzo tramite cui quella Voce (D-o) si esprime.
Coincide per esempio con la fine dei tempi che stiamo tutti noi vivendo, e che d'altronde ogni uomo verifica, in ogni tempo storico.
Infatti ogni uomo è sempre alla fine dei tempi.
Nel caso Hegeliano, parliamo della rivoluzione francese.
Mi fa ridere che tanti studiosi perdano il tempo a chiedersi quanto la rivoluzione francese abbia inciso nel pensiero hegeliano.
Evidentemente non sanno leggere, e soprattutto non sanno sentire. Ossia fanno filosofia senza sapere nulla di filosofia.
Il che è una cosa ignobile. In sintonia con questi tempi volgari, ossia con tutti i tempi in cui il filosofo vive (suo malgrado) presenti e (forse) futuri.
In questo senso nel prosieguo della lettura è utile capire tutto ciò che finora i filosofi (pretesi tali, i cattedratici e i ricercatori) sembra non abbiano capito.
Mi parrebbe veramente strano che Hegel non abbia fatto il lavoro di cui dicevo sopra.
E cioè la domanda è "Quale è il nostro destino?".
NB
Stavo pensando al numero impressionante di persone che ritengono la filosofia di Hegel una riflessione sull'autocoscienza.....
Ma ma...c'è scritto l'esatto opposto!!!!
:D
E' proprio vero che manca il lavoro sui testi.
Per Husserl l'oggetto della scienza fenomenologica è considerato esclusivamente sul piano eidetico trascendentale. Hegel invece intende il fenomeno come il manifestare di ciò che è in sé come il lato concreto dell'esistenza dell'essenza. Per Kant il fenomeno è semplicemente, dal lato oggettivo, l'oggetto indeterminato di una intuizione empirica, mentre dal lato soggettivo, è rappresentazione sensibile; l'esperienza costituisce la connessione sintetica delle intuizioni, la conoscenza dei fenomeni in generale. Per Hegel è lo spirito che si relaziona al fenomeno e all'esperienza,ciò che per Kant è confinato nel noumenico.
Il fenomeno, l'apparire, il movimento del nascere e del morire che non perisce e neppure nasce esso stesso, ma che costituisce il movimento della vita e della verità.
La fenomenologia per Hegel è l'insieme delle manifestazioni dello Spirito nella sfera dell'esistenza concreta , della coscienza e della storia universale. LA "Fenomenologia dello Spirito" è quindi l'automanifestazione dello Spirito esistente a se stesso. Questa automanifestazione dà luogo all'esperienza che è il movimento dialettico che la coscienza esercita in se stessa. Fino a l punto in cui lo Spirito giunge a sapersi come Spirito.
Lo Spirito ,essendo Dio, è trino, per cui nella dialettica hegeliana sia ha: In sè=Padre; Per sè=Figlio;
In sé e per sè= Spirito Santo.
Il motore che regge è il negativo. La differenza assoluta.Lo Spirito deve guardare il negativo e soggiornarvi; è questo soggiorno che converte il negativo nell'essere, quindi viene rivelata la radice speculativa della sua dialettica, vale a dire il il Dio Padre che si incarna come Figlio che muore e risorge e che ridiscende nella sua comunità come Spirito Santo.
La morte di Cristo come autonegazione assoluta di Dio, mostra l'immane potenza del negativo che è l'energia del pensiero.
Il tema di fondo, l'automanifestazione storico concettuale dello Spirito assoluto, viene tradotto su due piani: a) il piano della coscienza naturale nel progressivo movimento dialettico verso il sapere assoluto; b) il piano della coscienza filosofica che Hegel dice "in sé o per noi", in cui si situa l'esposizione vera della coscienza naturale (lo Spirito come soggetto della fenomenologia).
Salve Paul11. Il tuo ultimo intervento mi ha permesso - credo presuntuosamente - di capire la differenza tra :
- lo scrivere di filosofia (il filosofeggiare)
- lo scrivere circa la storia della filosofia (esaminare i precedenti cardinali delle dottrine filosofiche)
- il dedicarsi alla critica filosofica (commentare il filosofare altrui, trascorso od attuale che sia).
..............è quindi da tale mia soggettiva constatazione che capisco finalmente l'origine della mia avversione per le letture filosofiche !!. Io preferisco (anzi, a dire il vero - risulto in grado) limitarmi allo scrivere di filosofia (ovviamente casereccia e spesso troppo fantasticata).
Grazie comunque per il tuo gratuito benchè involontario "suggerimento". Saluti.
Ci sono due coscienze ,quella naturale e quella filosofica. La coscienza naturale diviene Spirito che sa se stesso. Quindi la coscienza filosofica che è l'Io narrante, rispetto alla coscienza naturale pura che è l'IO narrato, conduce l'esposizione della Fenomenologia dello Spirito, che non è altro che la coscienza naturale giunta al sapere assoluto, attraverso due itinerari, quello storico fenomenico della coscienza naturale e quello concettuale fenomenologico della coscienza filosofica.
Nella religione lo Spirito che sa se stesso è immediatamente la sua autocoscienza pura. Nel loro insieme le figure spirituali-lo spirito vero, lo spirito estraniato da sé e lo spirito certo di se stesso- costituiscono invece lo Spirito nella sua coscienza, che si contrappone al suo mondo e non vi si riconosce. Quando però assoggetta a sé tanto il suo mondo oggettivo in generale, quanto la sua rappresentazione e i suoi concetti determinati, allora lo Spirito è autocoscienza essente presso sé.
Lo spirito è coscienza in generale, è ciò che abbraccia al suo interno certezza sensibile, percezioni e intelletto, nella misura in cui esso si considera come realtà oggettiva essente e astrae dal fatto che questa realtà è il suo essere per sé, allora lo spirito è autocoscienza. In quanto coscienza immediata dell'essere in sé e dell'essere per sé, in quanto unità della coscienza e dell'autocoscienza, lo spirito è la coscienza che ha la ragione.
Quando lo spirito che ha la ragione si intuisce finalmente come coscienza che è ragione, quando la ragione è nello spirito stesso come realtà e costituisce il suo mondo , allora esso è nella sua verità. A questo punto lo spirito è lo spirito, l'essenza etica reale. Nella misura in cui è la verità immediata , lo spirito è la vita etica di un popolo: l'individuo che costituisce un mondo. Lo spirito deve raggiungere mediante una serie di figure il sapere di se stesso.
Il tema di "Fenomenologia dello Spirito" è il movimento dialettico dell'automanifestazione dello Spirito assoluto nell'esistenza concreta.
yes sir Paul!
grazie dell'intervento sulla trinità-
Ci devo pensare sopra.
Per spezzare una freccia a favore di Kant bisogna ricordare che però la sua ultima opera è la critica dei costumi (che sarebbe poi il quarto tomo della sua ricerca monumentale).
Dunque non è che la storia sia completamente dentro il noumeno, come asserisce Paul.
Trovo molto difficile la questione dello stare dentro la negatività.
continuiamo la lettura sommaria dell'introduzione
(https://i.imgur.com/xHGexUl.png)
La forma non è la sostanza in quanto tale, data e poi adottata come certa, bensì è la sua Ex-Factualitas.
Effettualità, traduce Negri, anche se oggi, se dico effetto, intendo una causa sostanziale, e non trascendente.
Ma il punto è che Hegel intende chiaramente che la sostanzialità è trascendenza, pensiero di pensiero, interezza in tal senso. E il pensiero di pensiero è la forma della sostanzialità che si dà una forma, in quanto soggetto.
Ancora recentemente, sul sito migliore di filosofia su Youtube (per distacco) ossia l'istituto degli altri studi di Napoli, mi sono accorto, che il problema del sostanzialismo, sia rimasto ancora oggi.
Galli nell'intervento postato recentemente, ha sottolineato come il problema della dialettica è quello del realismo.
Ma non il realismo come analitica, come studio della sostanza che in quanto pensata (Cartesio: penso dunque sono) è reale.
Bensì sulla critica alla pretesa fattualità del soggetto, e di conseguenza nel pensiero sottosopra degli analitici di oggi (e come abbiamo visto anche di ieri, anche se i loro nomi non li conosco) che pensano l'oggetto come base della fattualità.
E invece il soggetto è già oggetto di critica, in quanto effettualità, originaria, trascendente.
Rispetto ai primi 15 minuti della lezione intervista, addentriamoci nei problemi della critica della dialettica, che poi è la cosa che mi interessa di più.
I problemi che sono emersi da Hegel fino ad oggi sono 3.
Il fattualismo normativo, o normale, per cui la dialettica arriva ad ammettere un soggetto, normale, ossia così come è.
Vale a dire che sostiene la posizione cartesiana, che seppure non si domandava del pensiero dietro il pensiero, accettava comunque che il pensiero fosse normale, appunto assertivo.
Questo tipo di dialettica, mi pare, oltre che fuori strada, anche fuori luogo, non si capisce infatti come tale posizione possa giustificarsi.
Scrive infatti Hegel più sopra, che il pensiero pensato, è soltanto il frutto di una levigazione ben lontana da intaccare il suo centro, la sua origine, il suo fondamento come diciamo rispettivamente Paul ed io.
E dunque ciò che il pensante, che è puro pensiero, ottiene come pensiero di se stesso, è solo un fantasma.
E' impossibile perciò ogni normativismo (o normalismo), che poi è ovvio che finiscano negli infiniti formalismi della filosofia analitica (la filosofia che non pensa, la filosofia mathema, la filosofia algebra).
Il secondo problema è invece quello corretto, infatti la dialettica che accetta il soggetto, solo come storico, è la dialettica che critica il fantasma, assumendone un ruolo politico (di guida dice Galli, una volta, precisa però, che si è capito di cosa si tratta).
La politica è dunque la politica del soggetto storico, e della sua forma più alta, ossia quella di popolo.
Il popolo è nella storia, annota il Dr.Divago, un videoblogger che stimo tantissimo, è la cattiva politica della modernità che non intende le forme del suo dispiegamento, e perciò la spinge fuori della storia, senza più pensiero di chi eravamo, non mai chi saremo.
Ma anche in questo caso, i cani dell'impero, i think tank dell'ingiustizia, e dell'antidemocrazia (ancora Dr.Divago: Platone ce l'ha insegnato, il tiranno è la forma dell'anti-filosofia, in quanto la filosofia è solo nella democrazia) intervengono a fianco del padrone.
Il problema che con stupore immenso vedo interessare l'accademia napoletana, è quello della frase fatta: tutto ciò che reale è razionale.
Ossia il problema della giustificazione del reale.
Vale a dire che il reale è tutto ciò che riguarda il soggetto. Ossia (Galli è un filosofo politico, ma come già detto, oggi la filosofia deve per forza essere politica anzitutto, e quindi va bene così) che il discorso politico supporti il discorso scientifico, in parole povere, se vedo a, allora è a.
Quello che mi sconcerta è perchè porsi in tale ambasce, per tali affermazioni senza senso dei think-tanker, o dei filosofi continentali che vogliono fare amicizia per forza con quelli analitici.
Mi pare che basterebbe la prefazione, quella che stiamo leggendo su e giù, per capire che tale posizione è ridicola.
Infatti Hegel usa il termine scienza, nel senso di saggezza, non certo in termini di analitica della sostanza.
Ma anche se fosse, se volessimo partire dalla fattualità, come vorrebbero questi manigoldi del pensiero, se fossimo critici, diremmo subito che si tratta sempre di una effettualità. Ossia qualcosa che è in essere, ma essendo diviene perpetuamente.
L'effettualità è quindi certo nella storia.
Possiamo certo pensare forse in maniera storicista, a pensare ad un pensiero politico, sulla relazione della fattualità nella storia (appunto delle effettualità).
Ma faremmo un torto ad Hegel, che invece pone la critica non sul piano del politico, ma su quello del metafisico.
Il piano politico va ripensato, una volta che questo periodo di tirannia sarà finito (catastrofi escluse),e finirà, come sempre sono cadute le tirannie, che vivendo di continue contraddizioni alla fine rovinano su se stesse.
Nel ripensamento, sarebbe da pensare il politico, ossia la fattualità storica (o effettualità), come critica secondaria, a quella principale, che come abbiamo già visto riguarda il soggetto.
Prima di fare politica mi devo chiedere: CHI SONO?
E' sempre stato quello il problema del mio dissentire, purtroppo parlo nel deserto, ma noi infatti parliamo DAL DESERTO come dice Nietzche, la cui lettura dobbiamo ancora iniziare.
Dunque il problema della scuola storicista della (critica) dialettica, non è affatto se la effettualità sia da considerare una fattualità (anche perchè appunto sarebbe una effettualità, con buona pace degli analitici e degli amici del tiranno) bensì come questa effettualità riguarda il soggetto, appunto il problema del soggetto, prima ancora del soggetto storico.
Il che mi sorprende sempre come anche persone intelligenti e colte, si facciano sempre cogliere impreparate su questo.
Il terzo problema della dialettica (ad oggi) è quella del totale disconoscimento di qualsiasi effettualità come rappresentazione dell'intero.
Questa posizione nella sua radicalità è valida, ma nella sua forma critica, ossia politica, è ridicola.
Infatti se diciamo che il reale è il fantasma, o meglio se neghiamo alla realtà la possibilità di arrivare al fantasma ( e di condurlo, perchè quella è la politica), stiamo dicendo, come anche Galli, non manca di dire, che ogni cosa vale, e infatti da queste file si arriva all'occasionalismo, una forma della negazione della storia, tanto più ridicola, quanto essendo noi tutti dentro lo spazio e il tempo, dice di come sia poi impossibile fare politica, ma poichè l'occasionalista fa politica, ossia pone il soggetto che lui è in relazione con gli oggetti, può al massimo arrivare a posizioni ciniche (ponendosi il problema del soggetto come errato in partenza), ma nella maggior parte dei casi si arriva a posizione che di fatto fanno comodo al tiranno.
Ma ponendosi il problema del soggetto come errato, o come impossibilità di raggiungimento del fantasma(origine fondamento intero etc...), così nega il soggetto che lui è.
Non tanto la posizione cinica in cui il soggetto si conosce come tale, ma proprio la negazione del cinismo come condizione di un soggetto, e quindi di inveramento di una parte del fantasma che noi siamo.
D'altra parte il cinismo è una forma politica e se pensato, porta in fin dei conti a delle forme della cura del sè.
Ma il cinismo de-pensato è ovviamente un occasionalismo, un de-pensamento del reale, più che una sua critica.
Infatti la critica parte sempre dal soggetto che noi siamo.
Come dicevo sempre ai miei giovani amici: chi sta parlando?
Insomma 3 problematiche di una critica che evidentemente o non legge Hegel (forse leggono quello che gli amici analitici scrivono di Hegel), o, e questo è assurdo per me, che proprio non lo capisce.
(https://i.imgur.com/GF82n5d.png)
(https://i.imgur.com/JGlQ9Qt.png)
Hegel si preoccupa in questi primi passaggi di assicurare che la nostra attenzione sia sulla problematica del soggetto.
Perciò assume la serietà del compito critico, rispetto alla svogliata indifferenza rispetto al sè.
L'io scrive ha orrore di pensarsi incapace di stare nell'assoluto, in quanto verrebbe meno la certezza assoluta dello starci.
Nasce dunque dallo psicologismo, il sè come previamente dato, l'intera genealogia della filosofia analitica.
In particolare il passaggio riportato, testimonia di una tematica a me carissima, evidentemente tra grandi pensatori ci si capisce al volo.
La pretesa posizione che la realtà coincida con la natura, mette (addirittura secondo il nostro) al bando la posizione estetica (come dice Nietzche nei suoi aforismi ogni etica è già una estetica), discreditando la "forma del fine".
Ossia la sua politica.
Nella parte su Aristotele, invece comincia a introdurre alcuni parallelismi possibili.
Mi pare che radicalizzi la posizione aristoteliana, dando nome al motore immobile, di soggetto.
Qua non si capisce se la traduzione sia adeguata.
Un motore immobile non può infatti riconoscersi.
Tenendo a mente la sequenza del ragionamento, probabilmente Hegel vede nella storia, una sorta di disvelamento dell'immobile nel suo motore.
Ossia il soggetto che si conosce come tale è motore è la storia.
Ma la storia è certamente il fine della forma, e dunque la forma si conosce come soggetto motore.
Ora dovremmo pensare alla forma come immobile?
Se nel senso di forma dell'immobile certamente sì.
Ma andrei piano con questi parallelismi.
Ricordiamoci l'errore che si esporrebbe una critica, che non pensando la sequenza del ragionamento hegeliano, e prendendo la frase a sè stante, potrebbe anche suonare come Dio è la Storia.
Mentre Dio è dentro la storia, ossia ne è la sua coscienza (critica).
Se Dio fosse la Storia torneremmo alle forme pan-salvifiche, che tanto contraddistinguono ciascuna fase storica.
Ossia forme di giustificazione del potere in atto, dentro la Storia, contro Dio, il Dio ascondito, naturalmente.
Ricordiamoci le avvisaglie sul problema del criticismo avanzate da Galli Carlo, nel post precedente!
Divagando un attimo (mica tanto un attimo ;) ), mi vengono diverse intuizioni.
Che anzitutto Dio non sia il Dio che crediamo: dovremmo ripensare alla letteratura ebraica, e alla letteratura che ne derivo, personalmente, e su cui rimando, con un parallelismo fortissimo, a mio parere (vedi il mio topic lettura della bibbia).
Che il problema della storia sia legato anzitutto, e questa è la mia proposta, al problema del soggetto, e secondariamente alla saggezza che i popoli determinano dalle loro miserie.
E come le miserie sono il frutto dell'incapacità di vedere la forma come esito morale.
Sto pensando ad alcuni gruppi della mistica ebraica per cui il dovere sociale, è il dovere che Dio ha dato al mondo.
Ma il dovere sociale, non è il procrastinamento della miseria e dell'ignoranza, ma dovrebbe essere un ripensamento non solo del sè, ma anche di dove il sè, si trova.
Certamente all'interno di quell'universo segnico-simbolico che si fa chiamare soggetto, ma anche rispetto alla finalità di quell'universo segnico-simbolico che chiamiamo oggetto.
E nella fattispecie, per portare a passo spedito la discussione, l'aspetto storico.
E' la relazione che si dispiega come consapevolezza della nostra miseria, fra ciò che siamo (e dunque non siamo) e ciò che è (e dunque non è).
Questa relazione che si dispiega come fine, è il fine di essere un pò di più ciò che siamo, e ciò che può diventare un pochino di più di quello che è (per noi, non per le macchine, sempre per stare dentro al nostro tempo apocalittico) appunto di dipanare la storia.
La storia non deve essere un modello salvifico, ma il conto dei nostri fallimenti.
E con storia dunque intendo anzitutto la storia personale di ciascuno rispetto alle storie degli altri.
Un lavoro sulla collezione di oggetti, colossale, che richiederebbe altro che Marx, che comunque ha pensato un modello di guida politica.
Ma la collezione di oggetti, oggi detta anche natura, non è reale.
Reale è la storia, e forse la sua apocalissi.
Ma rispetto all'apocalisse, se questo, e lo è stato sin dalla notte dei tempi, è il filo rosso della storia, cosa possiamo fare noi?
E' per questo che avevo mollato.
In un mondo che non riesce più a vedere l'invisibile, a che pro darsi da fare a pensare.
O meglio il darsi da fare a pensare, comporta thanatos, l'implosione del sè e della sua raccolta di oggetti.
Con un esito nefasto, la depressione, detta anche disperazione.
Senza più orizzonte, non esiste più motivo.
Ecco che ritorna l'eterogenesi dei fini, di cui Platone, Aristotele, Hegel parlano.
Ossia come dice il vlogger Dr.Divago, senza l'orizzonte democratico dell'agire, e del pensare, sopratutto, insieme, a che pro indagare l'invisibile (da soli, e non come dovrebbe essere insieme).
Forse come dice Severino, la fine dell'umanità come la conosciamo, è un esito spiacevole, ma inesorabile.
Eppure il pensiero religioso, non è questo.
Infatti il pensiero antico che ragionava dell'invisibile, con ben altra capacità e destrezza rispetto alla micragnosa miopia attuale, pensava ad una etica, perfettamente razionale, che imponeva al bene di dover essere, e al male di cessare.
Ecco quello che sembra essersi fermato è proprio questa domanda sull'invisibile.
Naturalmente farò i salti mortali per iniziare almeno, la lettura di Severino (anche se non si potrebbe, cercheremo di fare poche citazioni e stare alla sostanza dei testi).
Severino che pur segue il pensiero dialettico Hegeliano, ma che ne disconosce la negatività.
Per Severino l'essere non può che essere, perciò anche ciò che sembra male, è una mera illusione da poter fermare.
Il male è il male.
Ma infatti è il rapporto con il male il luogo dell'indagine.
Il male come nella teologia più ottusa, esiste davvero.
Il fine dell'eterogenesi dei fini (del soggetto e dell'oggetto, e dei loro fantasmi dei soggetti e degli oggetti), è la saggezza fra ciò che è bene e ciò che è male.
In fin dei conti se togliessimo queste categorie, che appartengono al vocabolario della bigotteria, non riusciremmo a intenderle veramente, ossia il contrario di ciò che pensa la bigotteria (senza arrivare all'estreimismo gnostico, che guida i potenti della terra, che Dio è cattivo).
Dunque sto dicendo che questi gruppi di lettura, sono un tentativo, o comunque un atto etico da fare, come molti lo stanno facendo per mostrare le contradizioni del tiranno platonico, nonostante tanti sanno benissimo che non c'è niente da fare.
Sono d'accordo non c'è niente da fare, ma forse questo atto etico era da fare prima, chi lo sà, forse non ero così solo a capire.
E invece no, sono il solo che potrebbe (e sottolineo mille volte potrebbe) capire qualcosa (non dico tutto, ormai siamo troppo lontani da quelle cime che erano i pensatori greci o ebraici del tempo che fu, tragico sì, ma drammatico nel suo titanico scontro con questa tragedia).
E certamente mi vengono in mente quali pensieri e intuizioni avrei potuto avere pensando a Sofocle o persino Euripide.
Ahimè lo sconforto ormai mi assale, la voglia di vivere è al minimo, e c'è e c'era (e ci sarà) così tanto da fare.
Riprendiamo la lettura del Negri.
Siamo al paragrafo 22 e seguenti.
In questo momento Hegel sta cercando di dare delle definizioni sommarie, cercando anche di fare esempi, come il parallelo possibile con il motore immobile aristoteliano.
Ciò che a Hegel interessa è distinguere il soggetto dal suo oggetto, ovvero far capire che è l'oggetto ad avere il suo soggetto.
Questo oggetto originario, lo prova a chiamare come "sè per sè", "pura negatività", "auto-movimento".
Ma queste sono solo definizioni approssimative di quello che invece per Hegel è l'assoluto.
Ossia l'assolutamente altro rispetto al soggetto e i suoi oggetti annoterei a latere io.
In questo senso la frase "Dio è l'assoluto" è senza senso, infatti prevedrebbe un Dio che diventa soggetto (come nella tradizione cristiana), e questo non ha alcun senso, anzi è l'esatto opposto della verità che è contenuta unicamente nel verbo essere. Dunque annotiamo a latere l'unica frase con senso è "l'essere è".
Annotiamo come questo sia il vero principio di non contraddizione (da Aristotele a Severino, stendendo il solito velo pietoso sui formalisti).
Nel paragrafo 25 continua nel tentativo di essere il più possibile esplicativo al riguardo di questo oggetto.
Aggiunge che questa modalità del negativo, si realizza essenzialmente in noi (soggetti) come sistema.
Il sistema è dunque la scienza del negativo, dell'assolutamente altro costituentesi etc...
Che cos'è lo spirito di cui la scienza è la fenomenologia?
E' appunto il nome che diamo per comodità a tutto quanto detto fino ad ora riguardo quell'oggetto.
Annotiamo per non lasciare indietro nessuno (sebbene Hegel sembra più interessato agli attributi dell'essere) che questo oggetto non è l'oggetto dell'analisi del soggetto.
Non esiste un soggetto che analizzi lo spirito, in quanto lo spirito è un sistema.
Per ragioni personali non userò mai l'attribuzione di auto-conoscenza e altre automatiche cose in quanto vi è un alto pericolo che la gente pensi questo automatico come qualcosa di oggettivo, e dunque indagabile.
L'assoluto non ha attributi in realtà: è la scienza che si compie come atto umano (e dunque soggettivo), e questa scienza si chiama fenomenologia.
Possiamo ben dire che anche oggi la fenomenologia è l'unica disciplina che si possa dire filosofia.
Ma fenomenologia del sistema, e non formalmente come purtroppo oggi continuano a fraintendere i giovani accademici, collezione di oggetti.
Il sistema altro non è che la dimensione temporale dell'essere, come dirà più avanti Heidegger è il Dasein, tradotto genialmente da Chiodi con Esserci.
L'Esserci non è l'esserci del soggetto, ma l'esserci è il sistema stesso, in perenne movimento come il tempo.
Severino andando oltre lo stesso Hegel ci spiegherà poi che questo dimensione temporale, è la dimensione della follia, ossia della necessaria contraddizione (a che si formi il sistema stesso).
Per conto mio e qui dò la mia opinione, non mi sembra sensato tanto perdere tempo sulle attribuzioni, quanto sullo spostarsi rapidamente sul problema del soggetto, che come abbiamo già visto, lo stesso Hegel ha già indicato come compito futuro della filosofia.
Certamente capisco anche Hegel, soprattutto vedendo come tanta gente, si areni subito su queste attribuzioni di circostanza, e peggio ancora come queste attribuzioni di circostanza vengano assunte come assunzioni certe.
Nel paragrafo 26 abbiamo la famosa sentenza che l'in sè deve dare conto del suo essere per sè.
Il dare conto è al soggetto.
Ma come tra le righe scrive, il soggetto è una delle forme con cui si dà il sistema. Ma appunto l'avevamo già detto prima! in quanto l'essente è, e dunque ogni essente è, e quel particolare essente che è il soggetto non deve dare conto a nessuno per davvero (nemmeno a se stesso, ammesso che esista un sè stesso, invero no, se abbiamo già capito)
Questo è per sottolineare ancora come la ricerca di attributi finisca solo per creare confusione nel lettore meno smaliziato, e addirittura veri e propri non-sensi letterari da chi è un lettore "professionista", ma che non riesce a capire assolutamente nulla del Nostro.
Dunque l'in sè e per sè di romanzesca memoria dai licei, sarebbe da riscrivere come dimensione temporale del negativo, o dimensione perennemente altra dal suo manifestarsi fenomenologico.
Sebbene preferisca per me l'ultima, per far capire il lettore meno attrezzato useremo l'espressione "dimensione temporale del negativo" piuttosto che "l'in sè e per sè", che ha scelto Hegel.
Nel paragrafo 29 specifica che la ricerca è il modo in cui procede la memoria del dispiegamento del negativo (l'in sè che diventa per sè), in quanto il negativo si dà fuori dalla sua forma originaria (ossia nella sua essenza) solo come memoria. Ossia decade a memoria, e solo come tale può essere inteso il suo procedere, e dunque come memoria diventa storia, detto in altra maniera più chiara.
L'originario si invera solo nella studio del processo della memoria, in quanto critica, aggiungerei io.
Nel paragrafo 30 chiama questo modo, rispetto al soggetto che noi siamo, rappresentazione.
L'originario lo conosciamo dunque come toglimento, e il resto, ciò che rimane, rimane solo come rappresentazione e non più come attribuzione.
Introduce inoltre il concetto di sapere: il sapere è ciò che va contro la rappresentazione, in quanto la rappresentazione non intende minimamente il sistema (ne è solo la traccia come abbiamo già detto).
Aggiungo io come intuizione personale del momento: il sapere è il sapere di non sapere, dunque!
O meglio il sapere che Hegel intende come modalità totale del sistema, non può venire rappresentato.
D'altronde in nuce questo si capisce immediatamente quando parliamo piuttosto che del'in sè (en sich, consiglia Negri), della modalità del negativo.
La rappresentazione è quel negativo, ossia la caduta dell'originario nella sua dimensione mnemonica.
Rimane da capire se è l'unico negativo individuato da Hegel, o se ve ne sono di più (ovviamente per me ne esistono di più pensiamo ai demoni o al male o agli angeli).
Nel paragrafo 31 abbiamo una critica della fenomenologia che tollera o accetta la rappresentazione come fondamento: questo non permette alcun passo in avanti nel sapere.
Come anche su questo forum spesso ho scritto, il fondamento è la rovina del fondamento, il resto, ora forse meglio identificato nel suo costituirsi come idea.
Nel paragrafo 32 troviamo una espressione decisiva che poi Severino renderà famosa (pensavo fosse una sua invenzione, ma non lo è a quanto parte, ndr):cit "Il circolo che riposa in sè chiuso e che tiene, come sostanza, i suoi momenti, è la relazione immediata, che non suscita, dunque, meraviglia, alcuna.". Dirà Severino molto similmente il circolo della terra chiusa, è il sotterraneo che abita l'occidente", che nulla sà della gloria, ossia della terra senza il cielo: è la terra separata.
E' l'intelletto che ha la forza di questa separazione dall'originario.
E chiamiamo spirito quella forza che è in grado di sostenere la cosa che più deprechiamo la morte, lo spirito è in grado cioè di guardare oltre la morte.
Se l'intelletto separa la vita dalla morte, potremmo dire noi, compito dello spirito è quello di riunirli.
Anche questo tema fondamentale in Severino. Tutto nella capacità di lettura a fondo di un semplice paragrafo, seminale.
Il paragrafo 33 è una critica ai tempi formali in cui siamo, dove la rappresentazione è conosciuta solo astrattamente come universale e non viene usata come invece era solito nell'antichità per conoscere tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Nei paragrafi successivi Hegel si sofferma una voltà di più sugli attributi dell'oggetto.
Insistendo sulla metafora del per sè che ritorna nel in sè.
Ma appunto poi ricordandosi lui stesso che stiamo parlando semplicemente del negativo. (possiamo aggiungere il toglimento, la separazione, è uguale!).
Nel 38esimo paragrafo fa una breve considerazione sul formalismo che forse ha paura o scambia il negativo con il falso, il che metterebbe a rischio il punto fondamentale della filosofia che è la verità (tutte sciocchezze ndr!).
Spiega poi come il negativo sia solo un movimento, e di come sia il dogmatismo (nel 40esimo) ad attribuire la verità meramente agli oggetti, ma appunto pre-supposti oggetti.
Dunque la verità è un attributo (formalismo) e non una ricerca (che come abbiamo già detto pensa l'oggetto come mera traccia).
Nei paragrafi successivi continua le critiche al formalismo, ricordo solo come "la dimostrazione per assurdo", diremmo oggi noi, dei greci sarebbe impossibile senza uscire dal formalismo dell'oggetto preso in considerazione.
Dobbiamo saltare fino al 54paragrafo per tornare di nuovo a parlar degli attributi dell'oggetto.
Qui si introduce il pensiero: il pensiero è l'oggetto per cui il soggetto può darsi il suo oggetto.
Ossia dico io: è il toglimento necessario per diventare il soggetto tale quale noi ci conosciamo.
Nel paragrafo 55 specifichiamo meglio il concetto:
il pensiero è (dunque) il soggetto.
Questo intelletto che si determina come pensiero è dunque in quanto traccia razionalità.
Ossia l'intellettualità è il pensiero e la razionalità è l'atto della separazione formale tra soggetto e oggetto conosciuto. (come già detto il ribaltamento del pensiero kantiano, che invece formalizza il pensiero ponendo la razionalità prima del pensiero).
Ricordiamoci che il pensiero è il toglimento delle forme ottenute dal razionalismo.
Il pensiero essendo la forma per eccellenza della negatività, ossia come il soggetto la esperisce.
Il soggetto si esperisce come effetto di un toglimento, e questo toglimento è il suo stesso pensiero.
Nel 56esimo paragrafo ricorda come questo razionalismo sia necessario, infatti lo speculativismo è la forma dell'essente.
Direi di sorvolare su questo tecnicismo logicista.
(infatti riguarda i nostri oggetti, e non il soggetto, che in tutto questa ridda di attributi forse scordiamo essere la vera ricerca futura).
Nel 57 torniamo ad una critica del formalismo, in quanto la detenzione della verità è sempre una questione politica, io stato detengo una verità che tu stato nemico non hai etc..
Ma appunto la verità non si detiene essendo invece come già detto parecchi paragrafi sopra un sistema, la cui nostra ricerca è la sua semplice modalità progressiva (la traccia).
Nessuno sa del sistema, ma ognuno sa del pensiero.
Nel 58 paragrafo Hegel fa una strana dichiarazione: l'attribuzione è l'anima, salvo poi smentirsi subito dopo (l'anima è qualcosa di superiore).
In effetti è abbastanza evidente la pena con cui il Nostro eroe procede nel voler illustrare quello che per lui è il lavoro massimo dell'attribuzione, che lui chiama qui infine concetto.
Per lui l'attribuzione (in sè e per sè, pensiero negativo, alterità assoluta) è il concetto. E i concetti vanno assolutamente saputi a memoria.
Sinceramente non capisco questo accanimento: chi vuol capire, capisce già, gli altri a casa a fare altro.
Ma ognuno esperisce una modalità diversa di conoscere la propria sapienza, Hegel la conosce tramite sofferenza evidentemente.
Un inciso.
Per capire la filosofia, la vera filosofia bisogna entrare nei fondamenti del problema umano:
1) che ci facciamo qui? Perché esistiamo?
2) perché la nostra condizione è di essere ignoranti, ma con una facoltà che è la ragione che ha come fine togliere l'ignoranza e quindi acquisire conoscenza.
3) l'universo, il mondo la realtà, rispecchia la contraddizione fra condizione di ignoranza da una parte e dall'altra possibilità di conoscere e togliere ignoranza.
Questi punti sono essenziali per capire qualunque filosofia " seria".
Se noi con la facoltà intellettiva togliamo il velo dell'ignoranza, significa che il senso, o almeno un senso ,dell'esistenza è acquisire conoscenza, elevandosi di livello.
Il procedimento dialettico è togliere il negativo dell'ignoranza per acquisire il positivo della conoscenza e adatto che questo è il moto universale, poiché tutto si muove per opposti, per contrari, per contraddizioni, in quanto la verità è immobile e il divenire è la contraddizione appunto, diventa quanto meno più chiaro che il soggetto umano, inteso come coscienza ,per elevarsi deve sapere relazionare la ragione con la realtà per togliere ignoranza contraddittoria negativa.
Elevarsi al punto di saper corrispondere il concetto con lo Spirito che permea l'universo.
E' un movimento emancipativo.
E' uno scontro dialettico tra forze che determinano una realtà possibili fra tante, come lo è la storia.
Il problema di qualunque forma di conoscenza e filosofia è che non c'è il giudizio assoluto per cui dovremmo sapere se il nostro evolversi dall'ignoranza ad una presunta conoscenza sia davvero un moto emancipatovi. Se le religioni dichiarano un Dio ,se Aristotele dichiara di un motore immobile, al di là di una origine assoluta come verità, cioè la relazione che se esisto da qualche parte qualcosa o qualcuno ha voluto questa esistenza o comunque l'ha permessa e quindi riporta ad una formulazione di senso dell'esistenza, tutto il resto è un ragionamento speculativo come lo è anche quello di Hegel: questo è il punto debole. Nessuna storia porta necessariamente ad uno Spirito, perché le strade della storia sono innumerevoli possibilità e quindi se vi è un successo vi è anche un fallimento. La strada del ragionamento concettuale può comprendere, ma comprendere non è ancora vivere significativamente .Semmai si sa che dialetticamente ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze, ma dire che la strada è giusta o sbagliata significherebbe avere il giudizio universale "in tasca". Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità.
La contraddizione fondamentale umana è credere che la verità sia interna all'uomo, questo errore lo compie una certa spiritualità, lo compie in parte la modernità culturale e filosofica quando si pone come soggettivista e solo dopo riconosce che la relazione fra uomo e mondo, fra io e Dio, fra soggetto ed oggetto, fra umanità e realtà, è il punto di vista dell'essere umano rispetto all'universo, non essendovi un giudizio "oggettivo" reale, universale, assolutamente vero e certo.
Noi "scommettiamo" su noi stessi e sulla storia e l'intera narrazione, fra nefandezze e saggezze.
in BLU PAUL
" La strada del ragionamento concettuale può comprendere, ma comprendere non è ancora vivere significativamente .Semmai si sa che dialetticamente ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze, ma dire che la strada è giusta o sbagliata significherebbe avere il giudizio universale "in tasca". Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità."
Vivere significativamente è una espressione molto densa.
Credo che Hegel che è l'impersonificazione stessa della filosofia, la filosofia seria, ci accompagna sul terreno che poi porta al ragionamento sul significato della vita.
Io non avendolo letto non posso dirti come lo raggiungeremo, ma a buon senso deduco già che la filosofia ci accompagna alle soglie della religione, ma è poi la religione che decide dei quella significazione di cui tu parli.
Il punto è però capire l'apparato concettuale che si riferisce al negativo, o come ormai tutti hanno studiato all'assoluto (ma come ho già scritto sopra, questa parola rischia di travisare proprio questo apparato concettuale, che va inteso nella sua costellazione negativa e non positiva).
quando tu dici cit "Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità" mescolato insieme a quanto pur dici correttamente poco prima cit "Semmai si sa che dialetticamente ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze".
Non stai dando forse una accezione positiva alla speculazione sulla verità?
Credo di sì, infatti prima dicevi correttamente: cit"Il procedimento dialettico è togliere il negativo dell'ignoranza per acquisire il positivo della conoscenza e adatto che questo è il moto universale, poiché tutto si muove per opposti, per contrari, per contraddizioni, in quanto la verità è immobile e il divenire è la contraddizione appunto, diventa quanto meno più chiaro che il soggetto umano, inteso come coscienza ,per elevarsi deve sapere relazionare la ragione con la realtà per togliere ignoranza contraddittoria negativa."
Quello che voglio dire è che la dissipazione dell'ignoranza, lo vedi come un moto positivo.
In quanto vedi la contraddittorietà non nella dissipazione, ma nell'ignoranza della verità.
Forse è una sottigliezza da poco conto, ma se ci ragioni meglio su, vedrai che è una sottigliezza i cui esiti sono totalmente opposti a quelli che tu poi indichi come critica:
"Il problema di qualunque forma di conoscenza e filosofia è che non c'è il giudizio assoluto per cui dovremmo sapere se il nostro evolversi dall'ignoranza ad una presunta conoscenza sia davvero un moto emancipativo."
Ossia muovi a Hegel la critica che ne fa un Leopardi:
"Dipinte in queste rive
son dell'umana gente 50
le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti 55
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e procedere il chiami."
Ma Hegel non è così sprovveduto, e infatti come ho già detto nel tentativo di delucidare la negatività assoluta, si spinge a dipingere concetti, che negano qualsiasi passo avanti.
L'assoluto non è un procedimento veritativo.
L'assoluto è il concetto che diamo alla relazione che unisce l'uomo a Dio.
E questa relazione è una contraddizione permanente.
Dunque l'unica verità è questa contraddizione, se non fosse che non è una contraddizione (questa sarebbe la tematica severiniana), bensì questa relazione stessa, che viene chiamata, e compresa solo come movimento assoluto del negativo.
Eppure prima di affrontare questo apparato concettuale, che lascia incomprensioni a iosa,Hegel era stato chiaro su quale fosse il compito della filosofia: studiare il soggetto!
Il soggetto va ri-compreso (e in tale ri-comprensione risiede la scienza o saggezza come meglio chiamo io la cosa).
Per ricomprendere questo soggetto va anzitutto inteso quale sia il nodo distintivo tra esso e la sua relazione (di dipendenza, subordinazione) con Dio.
Questo nodo è la negatività, la relazione tra uomo e dio è dunque la negatività. L'uomo e Dio si danno negandosi.
Si da soggetto come negazione della subordinazione della relazione uomo-Dio, e parimenti si da Dio come negazione della subordinazione di Dio alla relazione.
(il pensiero severiniano è totalmente diverso perciò).
La critica che i formalisti fanno ad Hegel è che questa subordinazione è una mera fantasia dell'autore.
Ma la subordinazione è semplicemente il nucleo del movimento negativo, inteso dal soggetto come concetto.
E' dunque ovvio che questa subordinazione non è dell'ordine del reale! (e qui i formalisti vanno a farfalle).
Il reale ossia la necessità che esista un Dio, poichè vi è un soggetto, si da non come reale, bensì come negazione del reale.
Appunto come soggetto!
La veritatività è dell'ordine negativo del soggetto (e di conseguenza dell'ordine negativo del Dio, che dunque è un semplice corollario di nessuna rilevanza filosofica).
In quanto è il soggetto che concettualizza Dio come ordine negativo rispetto a se stesso.
Ma il soggetto non è il concetto del negativo che invece lo precede.
Ossia il concetto del negativo è l'universo fenomenico, e dunque veritativo, della relazione fra il soggetto come resto della relazione della negazione di Dio.
Ma il resto della relazione con Dio, NON è DIO!
E' invece appunto il soggetto stesso.
Il soggetto non può sapere la verità se non nella forma di quello che appare al soggetto stesso, di se stesso.
E il soggetto appare a se stesso, come un resto, ossia il soggetto appare a se stesso come falsità.
La falsità essendo relazionata al resto, e dunque al fenomeno dell'apparire di un resto.
Se sono un resto, quale la verità che mi ha portato a essere resto?
La veritatività è dunque proprio la negazione della verità, è dunque l'assoluto essere altro, il continuo cangiamento della verità nel suo opposto, continua menzogna, male.
Come può il soggetto sapere di essere un resto? è questa la fenomenologia! l'indagine di ciò che rimane, e ciò che rimane è ciò che appare della negazione, ossia la storia stessa.
L'apparire della storia, e dunque l'apparire del male, è esattamente il compito che spetta alla filosofia.
La filosofia è l'interrogazione dell'apparie del male, al resto che già noi siamo.
Va dunque da sè che la relazione che esemplificata chiamiamo uomo-dio, ma che appunto non ha nulla a che fare nè con l'uomo nè con dio, pone due problematiche fondanti o dette originarie.
Chi sono io? e Dove sto andando?
Vale a dire quale è il nesso tra la traccia che io sono e il male (che è anch'esso una traccia) in cui sono calato?
Per capire la traccia va intesa dunque la fenomenologia.
Ma la fenomenologia non è la verità!!!!
E' l'esatto opposto!!!
La verità infatti appare come chiaramente il nodo della relazione tra negativo e soggetto.
E la relazione tra negativo e soggetto è il male.
Non solo il soggetto non raggiunge mai questo nucleo relazionale, ne è anzi perennemente forcluso, ma questa forclusione poi procede nella relazione con l'altra traccia, che per convenzione chiamiamo natura, e che coincide con il male assoluto, in quanto ciò che appare, appare sempre come contro l'uomo, e mai a favore.
Il soggetto perciò affronta il male della sua impermanenza dal nuclero originario, anzi della sua totale forclusione, deve anche affrontare il male che ha nome natura.
In questo senso il resto dal nodo relazionale originario, che noi siamo, necessita di costruire delle astrazioni, anzi le astrazioni sono esattamente il ponte certo che questo nodo esista.
Nel momento che il nostro pensiero si attiva, si attiva anche il nodo originario forcludente, negativo.
Noi ci conosciamo solo tramite questo doppio movimento che va verso Dio, e rimbalaza indietro come soggetto.
Il soggetto si conosce solo tramite la consapevolezza che il pensiero si attiva e si riconosce nel movimento che rimbalza dal nodo originario al resto che noi siamo.
La differenza fondamentale tra il soggetto formale, e quello metafisico, è che il soggetto formale non ammette un nodo originario, ma al massimo una teoria sul nodo originario, il soggetto metafisico invece si riconosce prima di qualsiasi gioco linguistico, come esistente.
Ed esiste solo come pensiero, dunque come astrazione.
E' per questo che Hegel si sofferma così tanto sulla costruzione di un apparato concettuale.
Maggiori sono le istanze astrattive concettuali CONSAPEVOLI che il soggetto altro non è che la differenza ontologica, tra ciò che è esistente, e ciò che invece è (ma in realtà NON è) ossia tra ciò che esiste in quanto partecipe della stessa sostanza (che concettualmente chiamiamo DIO).
Il pensiero altro non è che Dio.
Si può capire come mai la trinità valga una affinità e una compatibilità simbolico-concettuale, che ad Hegel non deve essere sfuggita.
Ma la trinità dice cosa sia il soggetto, non dice niente invece della relazione forclusiva.
Su questa forclusività è il sentimento che decide.
Non la ragione.
La ragione costruisce concetti, ossia mezzi di conoscenza, ossia di interpretazione di questa forclusione.
Lo stesso termine forclusione, con cui i lacaniani intercettano il termine assoluto, sistema negativo e tutti quelli riportati sopra da me, sono altrettanti sinonimi, ma ogni sinonimo scolpisce per intero le infinite erosioni che l'astrazione carpisce dall'intero (assoluto, forclusione, negatività etc...e come capiamo possiamo benissimo ampliare il lavoro di Hegel! anzi probabilmente questo è il compito del filosofo, ampliare al massimo grado intellettivo e immaginario i sinonimi concettuali)
Perchè è proprio il carpimento del sinonimo concettuale, che il soggetto arrichisce il resto che egli comunque è.
Un conto è il soggetto semplice che forcluso da se stesso, si immagina vero, e un conto il soggetto forclusoa che sa di se stesso gli infiniti concetti cha scaturiscono dal pensiero che rimbalza indietro, che riflette, che si incurva etc...
In questo senso capiamo anche Deleuze per cui il compito del filosofo era quello di costruire concetti.
Egli affermava, a questo punto correttamente (non credevo devo essere sincero) che i concetti non sono costruzioni che aspettano passive nell'empireo che l'uomo le colga, anzi esse sono il pane quotidiano del filosofo, una costante manipolazione e creazione, proprio a partire da questa relazione col negativo.
Il concetto che si piega alla positività che non pensa la forclusione, non è un concetto filosofico, ma una semplice affermazione linguistica.
Questo non decide ancora della critica che hai mosso riguardo la pregnanza del vivere.
Ma decide del fatto che confondi il formale, con l'assoluta alterità (di qualsiasi verità formale, in quanto la verità è semplicemente un atto formale).
La galassia concettuale di Hegel nasce sotto la cattiva stella dell'impossibilità cognitiva dell'originario.
Ma essa studia l'uomo e giammai l'originario, essendo l'uomo tutto ciò che il pensiero ricava dall'erosione di quel blocco granitico che chiamiamo intero, uno, Dio etc..etc...ogni sinonimo concettuale richiama una galassia di metafore, essendo la metafora (e in particolare la metonimia) lo strumento principe di ogni conoscenza.
Dunque è più grande la poesia e la letteratura che la filosofia.
La filosofia è quel sottosuolo che permette la comprensione della Ginestra di Leopardi, e questo sottosuolo ha una ricchezza tematica tutta sua e ancora da approfondire.
Intanto dobbiamo imparare a memoria la concettualità che ereditiamo da Hegel, avevo in mente di porre uno specchietto riassuntivo, mi rendo conto che in effetti il dolore di Hegel era dominato da questa necessità di iniziare il lavoro. Purtroppo se già all'epoca il formalismo era un gran problema da risolvere, figuriamoci oggi!!!!
cit " Se le religioni dichiarano un Dio ,se Aristotele dichiara di un motore immobile, al di là di una origine assoluta come verità, cioè la relazione che se esisto da qualche parte qualcosa o qualcuno ha voluto questa esistenza o comunque l'ha permessa e quindi riporta ad una formulazione di senso dell'esistenza, tutto il resto è un ragionamento speculativo come lo è anche quello di Hegel: questo è il punto debole. Nessuna storia porta necessariamente ad uno Spirito, perché le strade della storia sono innumerevoli possibilità e quindi se vi è un successo vi è anche un fallimento. La strada del ragionamento concettuale può comprendere, ma comprendere non è ancora vivere significativamente .Semmai si sa che dialetticamente ci si muove fra verità e menzogna fra contraddizioni e conoscenze, ma dire che la strada è giusta o sbagliata significherebbe avere il giudizio universale "in tasca". Quindi anche Hegel scommette speculativamente sulla verità."
Abbiamo dunque compreso anche aiutati da Paul, che non si può dire cit "al di là di una idea assoluta come verità", in quanto la verità appunto non esiste, ossia non esiste una verità che chiamo assoluto, ma un assoluto con cui io soggetto mi distinguo pur appartenendogli come astrazione ed essendone un prodotto come fenomenologia.
L'assoluto è il concetto veritativo del soggetto, non della verità o dell'origine come abbiamo già visto (l'origine è la relazione tra il soggetto che si riconosce immediatamente tale, in quanto pensante, i suoi concetti complementari, che invece interrogano di cosa consista la relazione con l'oggetto originario, premesso, ma impossibile da conoscere, conosciamo solo i suoi effetti, e i suoi effetti sono il nostro stesso pensare e soprattutto i concetti che riusciamo ad elaborare, per una comprensione maggiore del nostro essere resto di qualcosa, e delle sue conseguenza sentimentali, repetita juvant).
Capiamo anche sebbene la cosa si infittisca di mistero, come anche la cit" Nessuna storia porta necessariamente ad uno Spirito, perché le strade della storia sono innumerevoli possibilità e quindi se vi è un successo vi è anche un fallimento " sia impropria.
Infatti non solo la storia non porta allo spirito, ma le strade non sono affatto innumerevoli, ma ciò che appare, appare sempre come male, malvagità, distruzione.
La storia è anch'essa il resto di una relazione fra due oggetti inconoscibili, la storia come entità, e il male come entità, sono totalmente irrelati alla nostra entità.
Ma noi entriamo in contatto con queste entità, e ovviamente esattamente come per noi stessi, ci entriamo in contatto negativo, in questo caso doppiamente negativo, infatti notiamo come la natura ci distrugga invece che curarci.
Il che rende la comprensione del nostro desiderio di curarci, assai complicato.
Infatti quale è la relazione tra ciò che appare essere l'uomo e ciò che appare essere la storia?
Necessitano ulteriori concetti. Che appunto è ciò che più appassiona Paul, il rapporto uomo-natura.
infatti il nostro Paul conclude nonostante le premesse errate in maniera perfetta: "La contraddizione fondamentale umana è credere che la verità sia interna all'uomo, questo errore lo compie una certa spiritualità, lo compie in parte la modernità culturale e filosofica quando si pone come soggettivista e solo dopo riconosce che la relazione fra uomo e mondo, fra io e Dio, fra soggetto ed oggetto, fra umanità e realtà, è il punto di vista dell'essere umano rispetto all'universo, non essendovi un giudizio "oggettivo" reale, universale, assolutamente vero e certo.
Noi "scommettiamo" su noi stessi e sulla storia e l'intera narrazione, fra nefandezze e saggezze."
Esatto caro Paul, l'uomo scommette su se stesso, ma Hegel mette sotto critica proprio questa scommessa, dimostrando che questa scommessa come dici tu è pura follia.
L'uomo che invece rifugge dalla verità, o meglio che capisce che la verità ha a che fare con l'originario, e dunque non appartiene all'uomo, studia non la verità, ma il rapporto che intercorre tra ciò che indaga e ciò che di rimando ottiene in maniera negativa come sentimento.
L'uomo studia se stesso, e non capisco proprio come fai a vederlo come debolezza, infatti pure essendo debolezza, è comunque costitutiva dell'essere uomo.
l'essere umano cade dal paradiso terrestre e si immerge nella storia, una potente metafora per indicare sia la cacciata dall'originario sia il tema del male "dovrai irrigare i terreni col sudore della fronte etc...etc..."
La bibbia non è scema. 8)
Riprendiamo dall'inizio vediamo di aggiungere elementi e di ragionare con me stesso.
cit "Quanto più rigidamente l'opinione concepisce il vero e il falso come entità contrapposte, tanto più poi, in rapporto a un diverso sistema filosofico, si aspetta unicamente un'approvazione o riprovazione, e soltanto o l'una o l'altra sa vedere in una presa di posizione rispetto a quel diverso sistema stesso."
In questa frase il buon Giorgio sembra già provvidamente indicare alcuni dei problemi che la PNL comporta.
Naturalmente il nostro eroe sta costruendo un sistema di pensiero adatto all'accoglimento di quello che l'idealismo e il romanticismo chiamano Spirito.
La cibernetica e la sua logica infame ancora non esisteva.
Nell'inizio della prefazione alla sua opera massima, vi è un preoccupazione costante, come abbiamo già visto, tesa a distanziarsi da qualsiasi costrutto logico-matematico.
cit "Per di più, in un tale aggregato di nozioni che non a buon diritto porta il nome di scienza (formale), una conversazione intorno al fine e a simili generalità suole non esser differente da quel modo d'indagine meramente storico e non ancora concettuale, nel quale si parla anche del contenuto stesso, dei nervi, dei muscoli ecc. Nella filosofia invece sorgerebbe questo squilibrio : che farebbe uso di un tal modo di indagine, mentre essa stessa lo dichiarerebbe incapace a cogliere la verità."
Per Hegel la costruzione del sistema che accolga lo spirito, è da ricercarsi nella congiunzione impossibile tra scienza e spirito.
Lo spirito che di dica scientifico non è spirito e la scienza che si dica spirituale non è scienza.
Eppure è l'esistenza stessa di questa contraddittorietà, che ci porterà sulle tracce dello spirito.
Abbiamo già detto che questa contraddittorietà viene concettualizzata come Negazione.
Hegel sembra ossessionato da questa esigenza di costruzione para-logica.
Nella prefazione alla edizione della nuova Italia, si davano alcuni indizi o strade di lettura. Ne riporto 2.
1) Per prima cosa si recuperavano gli scritti teologici del giovane Hegel ritrovati e pubblicati solo nel 1909.
In essi la necessita di combinare il sentimento religioso, con un logos razionale erano già evidenti.
2) Così nel romanticismo il "geist" lo spirito si caricava dello stesso peso razionale.
3) in Hegel la fine coincide con l'ironica presa di distanza da se stessi. In quanto logicamente ci è sempre negato il contatto con lo spirito.
4) per Hegel l'ideale è di cogliere la rosa dentro il crocifisso, ossia trovare un modo dell'accoglienza dello spirito senza passare per la sofferenza cristica.
Aggiungo a corollario del 4 (ma vedremo se è così o meno) che la condizione cristica dell'uomo abbandonato al suo destino, si sposa bene con la fine.
Ma la fine che cosa è? è la costante presa di negazione della nostra essenza. Ogni volta che noi seguiamo le tracce dello spirito, infine ci ritroviamo sempre negati.
Unendo le strade consigliate del 3 con il 4, possiamo immaginare come l'autocoscienza sia questo processo infinito a cui noi siamo chiamati fino a consumarci.
Infatti Dio (Cristo) muore.
Proviamo a riferirci invece a Nereo Villa: il cristo è una entita sinderetica.
Dunque non può essere uccisa. E' piuttosto lei che accoglie il soggetto a essere quello che deve essere.
Rispetto a queste visioni armoniche (probabilmente riprese da Steiner, il teosofo) non sono in disaccordo totale, il punto è che noi partiamo da un soggetto, e la filosofia costruisce sistemi a partire da esso, se noi instaurassimo un sistema a volo d'uccello, un occhio di falco, come la ghematria ci insegna a proposito del genesi 1:1, noi presupporremmo una forza che ci anticipa.
Questa visione religiosa supponga che sia contenuta in Hegel, e la studieremo meglio quando la paragoneremo con la teosofia di Bohme.
Si capisce l'urgenza di hegel proprio a partire da queste problematiche di ordine superiore.
Hegel come ogni grande pensatore, non parte dall'alto, ma dal basso. Proprio perchè nel suo pensiero egli parte dal basso, e sentendo già, ciò che parte dall'alto, necessita di una sistemazione a doppia mandata. A doppia elica, o meglio spirale.
Ciò che è basso è anche alto, recita l'antica sapienza gnostica.
Hegel non pensa ai pensatori religiosi, semplicemente perchè li dà per acquisiti, il suo problema massimo è invece l'eterno nemico: la scienza analitica, formale, senza fine e senza anima.
Domani proviamo a riscriverlo in forma ridotta.
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AMIl fatto è che l'imperativo categorico, mi pare proprio un cascame del più ampio problema del suo carattere ossessivo.
Mi permetto di fare un appunto che riguarda il motivo per cui Kant ha introdotto la nozione di "imperativo categorico" lo ha fatto perchè semplicemente non poteva fondare l'etica sulla sola ragione . volle , invece, giungere a fondare un etica non più solo eteronoma (bisogna fare il bene perchè lo dice il Papa , perchè lo dice il genitore , perchè lo dice chissa chi) ma autonoma , bisogna fare il bene per il bene stesso che si impone, per rispetto verso il dovere. Ebbene , kant, nella morale autonoma non può che fondare questa morale su due cose che non hanno a che fare con la ragione , 1 "il sentimento e secondo "l'imperativo categorico" non c'è etica senza l'emozione vitale di un uomo di trovarsi al cospetto di qualcosa di più grande e importante di sè. L'etica nasce da questa percezione di dovere , imperativo categorico. tanto la morale eteronama tanto la morale autonoma sono sotto questa dimensione imperativa. ..che non viene dalla ragione. finito.
Citazione di: Alberto Knox il 12 Marzo 2022, 20:59:31 PMCitazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AMIl fatto è che l'imperativo categorico, mi pare proprio un cascame del più ampio problema del suo carattere ossessivo.
Mi permetto di fare un appunto che riguarda il motivo per cui Kant ha introdotto la nozione di "imperativo categorico" lo ha fatto perchè semplicemente non poteva fondare l'etica sulla sola ragione . volle , invece, giungere a fondare un etica non più solo eteronoma (bisogna fare il bene perchè lo dice il Papa , perchè lo dice il genitore , perchè lo dice chissa chi) ma autonoma , bisogna fare il bene per il bene stesso che si impone, per rispetto verso il dovere. Ebbene , kant, nella morale autonoma non può che fondare questa morale su due cose che non hanno a che fare con la ragione , 1 "il sentimento e secondo "l'imperativo categorico" non c'è etica senza l'emozione vitale di un uomo di trovarsi al cospetto di qualcosa di più grande e importante di sè. L'etica nasce da questa percezione di dovere , imperativo categorico. tanto la morale eteronama tanto la morale autonoma sono sotto questa dimensione imperativa. ..che non viene dalla ragione. finito.
Ma in sè la cosa non mi dispiace, possiamo dire che la libertà porta alla necessità dell'azione.
Il punto è che un azione all'interno dei soggetti, devo dire che mi manca la terza parte di kant, la critica dei costumi, quindi forse il lavoro sulla comunità viene meglio dispiegato là.
Altrimenti rimane il problema di un soggetto che si crede inviolabile.
Non mentire, fare la pace perpetua, e altre amenità del genere per quanto sono e forse siamo d'accordo che siano cose meritevoli, ma rimangono del tutto ingenue e soprattutto avulse dal reale, che è una cosa molto più complessa, la libertà la gente di solito la usa per fare del male piuttosto che del bene, per schiacciare il prossimo più che aiutarlo, solo per accennare ad alcune considerazioni a latere del nostro metronomo umano.
Il carattere ossessivo, io temo, fa rimanere kant all'interno di un circolo vizioso, che molti leggono addirittura come solipsista (non io).
Senza arrivare a tanto, rimane il fatto che Kant non trascenda mai il soggetto, non lo indaghi, ma ne mostri "semplicemente" i limiti (ma nel farlo rivoluziona la filosofia sia chiaro!).
Quindi questa fondazione dell'etica di che genere sarebbe? come spiega il mondo in cui viviamo? questa è la domanda basica che mi allontana da lui, non tanto teoricamente, quanto proprio eticamente.
Citazione di: green demetr il 14 Marzo 2022, 13:13:21 PMMa in sè la cosa non mi dispiace, possiamo dire che la libertà porta alla necessità dell'azione.
Il punto è che un azione all'interno dei soggetti, devo dire che mi manca la terza parte di kant, la critica dei costumi, quindi forse il lavoro sulla comunità viene meglio dispiegato là.
Altrimenti rimane il problema di un soggetto che si crede inviolabile.
Non mentire, fare la pace perpetua, e altre amenità del genere per quanto sono e forse siamo d'accordo che siano cose meritevoli, ma rimangono del tutto ingenue e soprattutto avulse dal reale, che è una cosa molto più complessa, la libertà la gente di solito la usa per fare del male piuttosto che del bene, per schiacciare il prossimo più che aiutarlo, solo per accennare ad alcune considerazioni a latere del nostro metronomo umano.
Il carattere ossessivo, io temo, fa rimanere kant all'interno di un circolo vizioso, che molti leggono addirittura come solipsista (non io).
Senza arrivare a tanto, rimane il fatto che Kant non trascenda mai il soggetto, non lo indaghi, ma ne mostri "semplicemente" i limiti (ma nel farlo rivoluziona la filosofia sia chiaro!).
Quindi questa fondazione dell'etica di che genere sarebbe? come spiega il mondo in cui viviamo? questa è la domanda basica che mi allontana da lui, non tanto teoricamente, quanto proprio eticamente.
ma guarda la morale kantiana alla fine si risove con la regola aurea "non fare agli altri quello non vuoi che gli altri facciano a te" . Per agire in conformità con questa morale bisogna che quando faccio qualcosa , devo poter desiderare che altri , in una situazione analoga , facciano lostesso. Tu come desideri che gli altri agiscano sul prossimo?
ah ma poi mi dicono che questo è moralismo, è buonismo , la vita è un altra cosa. Devi avere il coraggio di dire...
No, questo non è, moralismo, questo non è buonismo. Perchè tu che leggi cosa vuoi dal prossimo se non essere trattato con umanità bontà e gentilezza? sei un moralista perchè vuoi questo? sei un buonista? risponditi.
E se il prossimo, come spesso accade, non ha letto Kant ?
Citazione di: Ipazia il 14 Marzo 2022, 21:37:13 PME se il prossimo, come spesso accade, non ha letto Kant ?
accade che non dobbiamo essere come loro se vogliamo che il mondo sia migliore. E agire perseguendo quel fine. A volte , fa male, richiede coraggio...da cui deriva la parola "cuore"
E se l'unica possibilità per non essere come loro è non essere tout court ?
Citazione di: Ipazia il 15 Marzo 2022, 16:30:21 PME se l'unica possibilità per non essere come loro è non essere tout court ?
bhè ognuno segue il passo che la propia gamba gli consente , forse le tue sono lunghe quindi
Quindi vale la citazione di Einstein postata da Jacopus. L'etica è materia complessa e le soluzioni semplici sono solitamente semplicistiche.
Citazione di: Ipazia il 15 Marzo 2022, 19:57:33 PMQuindi vale la citazione di Einstein postata da Jacopus. L'etica è materia complessa e le soluzioni semplici sono solitamente semplicistiche.
non conosco questa citazione , quando si tratta di Einstein bisogna verificare bene le fonti, girano troppe false citazioni su di lui.
Citazione di: Jacopus il 14 Marzo 2022, 19:47:39 PMPer Mariano: "tutto dovrebbe essere reso il più semplice possibile ma non semplice". Questa frase (deliziosa) di Einstein può aiutarci ad inquadrare il problema.
Dalla "tua" discussione su "logos" ...
Citazione di: Alberto Knox il 14 Marzo 2022, 21:28:02 PMah ma poi mi dicono che questo è moralismo, è buonismo , la vita è un altra cosa. Devi avere il coraggio di dire...
No, questo non è, moralismo, questo non è buonismo. Perchè tu che leggi cosa vuoi dal prossimo se non essere trattato con umanità bontà e gentilezza? sei un moralista perchè vuoi questo? sei un buonista? risponditi.
Io dall'altro non voglio niente, come abbiamo già detto sul concetto di logos, ciò che è in ballo è il medium, che usiamo come strumento per relazionarci, per te è la parola, per me è il discorso.
A me non interessa essere trattato bene, se questo "bene" non serve a farmi diventare qualcosa di diverso da quello che io sono già.
In quanto come afferma Nietzche, l'uomo è una corda verso l'oltre-umano, ovvero non il post-umano, ma l'essenza stessa dell'umano ( e l'uomo è un discorso come direbbe habermas...di cui poi diremo).
In una visione metafisica, significa un progresso morale che è di tipo spirituale, un sapere guardare oltre me e oltre te, insieme.(e lo stare insieme è la comunità)
Quali sono le parti dell'empatia umana? E' una questione come tu pensi di mera parola, ossia di mera scienza? Eppure lo gerarchia morale prima ancora che politica è fissata nelle teste del soggetto occidentale? (per me ovviamente è buona solo la seconda domanda)
I grandi classici sono ancora attuali, proprio perchè il loro sforzo verso un ripensamento della comunità, parte non da considerazioni semplicistiche e decisamente da morale del popolo, bensì dalla sforzo individuale di ciascuno verso nuovi orizzonti e lidi.
Se leggiamo la morale di Kant mi pare rimaniamo all'interno di una ontologia morale pregressa, come se esistesse questa morale.
Kant la ricostruisce dentro le ceneri del soggetto distrutto.
Lo fa utilizzando la scienza, e cade in sospetto di solipsismo.
Hegel invece riparte da Kant, ossia dal soggetto distrutto, e prova a ripensare le categorie del bene, come se fossero categorie del male.
Qua vi è una scelta di morale che parte da un etica diversa, la prima quella scientifica-scientista è quella del post-kantismo che arriva alle sciocchezze di habermas, la seconda è quella che sfocia nel pensiero degli studi culturali, che continuano a sposare un pensiero pessimista e che per quanto mi riguarda vorrei approfondire nel pensiero lacaniano marxista, dello stesso lacan.
Il soggetto è il problema dice in ouverture Hegel, invece nei sussidiari scolastici ci si ferma sulla relazione padrone-servo.
Come se il soggetto padrone e il soggetto servo possano relazionarsi come soggetti liberi di fare scienza.
Vedi secondo me è un errore madornale.
Nessuno è libero, il nostro pensiero è costantemente contaminato dalla situazione storica che viviamo, con tutte le sue contraddizioni e semplificazioni.
Diciamo che invece che stare lì a pulire il pensiero kantiano di tutti i suoi problemi, preferisco di gran lunga il versante opposto. (e questo prima ancora che poi questo punti al pensiero metafisico, che comunque è la mia meta).
Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2022, 22:03:11 PMCitazione di: Alberto Knox il 14 Marzo 2022, 21:28:02 PMah ma poi mi dicono che questo è moralismo, è buonismo , la vita è un altra cosa. Devi avere il coraggio di dire...
No, questo non è, moralismo, questo non è buonismo. Perchè tu che leggi cosa vuoi dal prossimo se non essere trattato con umanità bontà e gentilezza? sei un moralista perchè vuoi questo? sei un buonista? risponditi.
Io dall'altro non voglio niente, come abbiamo già detto sul concetto di logos, ciò che è in ballo è il medium, che usiamo come strumento per relazionarci, per te è la parola, per me è il discorso.
A me non interessa essere trattato bene, se questo "bene" non serve a farmi diventare qualcosa di diverso da quello che io sono già.
la domanda non era rivolta alla tua individualità soggettiva. Era rivolta all umanità intera, in questo caso a chiunque legge la domanda. Cosa vogliamo dal prossimo, ricevere abusi ? venire sfruttati? venire umiliati? credo che la risposta sia no. Ed è precisamente in questo che si trova l essenza della legge morale "non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te" Notare che questa regola d'oro la si ritirova nella legge morale Kantiana , nel Cristianesimo , come sappiamo bene ma poi anche nel :
_Induismo; non bisognerebbe comportarsi con gli altri in un modo che non è gradito a noi stessi: Questa è l'essenza della morale
_Giainismo ; L'uomo dovrebbe comportarsi con indifferenza verso le cose mondane e trattare tutte le creature del mondo come egli stesso vorrebbe essere trattato
_Religione Cinese; Quello che non desideri per te, non farlo neppure ad altri uomini.
_Buddhismo; Una condizione, che non è gradita o piacevole per me , non lo deve essere neppure per lui; e una condizione che non è gradevole per me come posso imporla io a un altro?
_Ebraismo ; Non fare ad altri ciò che non vuoi che essi facciano a te
_ Cristianesimo; Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi , anche voi fatelo a loro
_Islam; Nessuno di voi è credente fintanto che non desidera per il propio fratello quello che desidera per se stesso
è solo una banale coincidenza che tutte le piùgrandi tradizioni spirituali del mondo abbiano in comune questa regola morale ? oppure mette in evidenza la possibilità dell uomo di uscire dai sui vincoli di egocentrinsmo, di interesse personale, di volontà di potere ? e come si esce? Qual'è la condizione trascendentale che rende possibili queste affermazioni e questi comportamenti? quella che vedo come risposta è l'aver legato se stessi a qualcosa di più grande di sè, è l'aver trasceso il semplice interesse naturale dove regnerebbe "il gene egoista"
Salve Alberto. La tua interpretazione della giustificazione del "gene egoista" è del tutto soggettiva poichè ne esiste anche un'altra, opposta, speculare ed altrettanto logica, nonchè dimostratrice dell'esistenza del relativismo etico.
Considerare sè - la propria individualità - qualcosa da subordinare a ciò che ci è "più grande", significa accettare che noi si sia delle cellule prive di individualità poichè soggette alla esistenza e funzione di un insieme (l'organo) svolgente una funzione superiore a quella della cellula stessa. Purtroppo non è possibile stabilire se sia più nobile ed importante - per non dire poi utile ed indispensabile, e poi ancora SUPERIORE OD INFERIORE - la funzione della cellula (mancando la quale mancherà tutto quanto la "sovrasta") piuttosto che la funzione dell'organo, del corpo, della mente......per finire con lo spirito (non mi dirai che il puro spirito, disconnesso da ogni e qualsiasi cellula, sia in grado di svolgere una qualsiasi funzione, vero?).
Il "gene egoistico" a parer mio è ciò che geneticamente (appunto !) ha consentito l'evoluzione della individualità personale ed il sorgere della coscienza umana, e la mancanza di una indispensabile forma di egoismo connaturato avrebbe per prima conseguenza impedito lo sviluppo - nel viventi - di ciò che è ben più fondamentale delle nostre convinzioni culturali, fideistiche o filosofiche : L'ISTINTO DI SOPRAVVIVENZA. Saluti.
Citazione di: viator il 19 Marzo 2022, 17:16:10 PMIl "gene egoistico" a parer mio è ciò che geneticamente (appunto !) ha consentito l'evoluzione della individualità personale ed il sorgere della coscienza umana, e la mancanza di una indispensabile forma di egoismo connaturato avrebbe per prima conseguenza impedito lo sviluppo - nel viventi - di ciò che è ben più fondamentale delle nostre convinzioni culturali, fideistiche o filosofiche : L'ISTINTO DI SOPRAVVIVENZA. Saluti.
ok , hai perfettamente ragione, il gene egoista può essere interpretato come l'istinto di sopravvivenza e tutti noi lo possediamo . Anche gli animali allora hanno il gene egoista . Ma lo avevano anche i magistrati uccisi dalla Mafia? Falcone , borsellino , Antonino Saetta , Rosario Livatino, Antoni Scopelliti e tanti altri senza dimenticare i 29 carabinieri e polizziotti morti per la difesa di questi magistrati. Fra questi ricorderei Rosario Livatino , il quale si rifiutò di avere la sua scorta personale , egli sosteneva che "se quelli mi vogliono ammazzare, lo faranno con o senza scorta, e se mi uccidono con la socrta saranno 4 o più le famiglie che dovranno piangere le propie perdite" aveva l'istinto di sopravvivenza? sì , cosa gli ha fatto venir meno a quell istinto fondamentale di cui parli ?
La "regola aurea" è un modello di comportamento idealistico che, a partire da tutte le religioni citate, è stato sovente contraddetto, con le giustificazioni più pittoresche, la principale delle quali è la demonizzazione dell'avversario, pertanto non meritevole di applicazione della regola suddetta.
Non si tratta solo di ipocrisia e falsa coscienza, ma tale regola, calata nella realtà delle relazioni umane, è semplicemente inapplicabile in molte circostanze.
Tralasciando i fin troppo facili esempi dei conflitti politici, economici, di classe,...basti pensare all'innamorato non contraccambiato che si strugge di dolore, mentre il concupito, suo malgrado, deve violare la regola aurea, non provando il medesimo sentimento.
Salve Alberto. Una delle funzioni mentali superiori (una delle numerose evoluzioni e complicazioni della biologia ulteriore all'istinto di sopravvivenza= IdS).
In principio (della vita) c'era la vita, il cui scopo consisteva nel riprodurre sè stessa (attraverso la specie nel suo insieme) quindi poi lasciar morire l'individuo diventato incapace di riprodursi.
Sinchè fertile, occorreva dotare l'individuo di strumenti di sopravvivenza onde permettergli appunto di riprodursi (di creare il nuovo sempre uguale e sempre diverso dal vecchio - il concetto freudiano dell'archetipo prototipo).
Lo IdS venne insediato all'interno dei sistemi nervosi, ovvero rappresentò il seme della dimensione psichica.
Ovviamente ora sto per semplificare un pochetto, ma fortunatamente sto colloquiando con uno che capisce, indipendentemente dal condividere.
Il percorso (attraverso l'evoluzione, ma per tappe rigorosamente successive).....si compie dalla sensorialità allo IdS, poi verso psiche, memoria, coscienza, intelletto, mentalismo, ragione, ideatività, capacità di astrazione (eccola, la chiave dell'esempio da te portato), capacità di trascendere la realtà materiale (la chiave comincia a girare nella serratura), EVENTUALE spiritualità, EVENTUALE spirito di ABNEGAZIONE (tutte le tappe di questo percorso sono invero eventuali, poichè l'esperienza clinica dimostra che esistono esseri (ad esempio i minus habens) la cui PERSONALE, INDIVIDUALE evoluzione psicomentalspirituale ha un percorso incompleto rispetto a quello da me descritto).........comunque, nei casi "completi", hai voglia quanti giri farà la chiave psichica all'interno della serratura cranica !!.
Ecco quindi poi il miracolo ! Un vivente il quale è sì dotato di IdS, ma si è talmente complicata la vita (la causa sarebbe la sua avvenuta acquisizione di una coscienza individuale) da riuscire a produrre (A proprio beneficio ? A proprio danno?) ciò che può opporsi allo stesso IdS !!
Abbiamo voluto la bicicletta ? (o almeno vogliamo sfoggiarla alle altre specie) ?. Allora pedaliamo !!.
Ti saluto.
Citazione di: Ipazia il 19 Marzo 2022, 19:14:53 PMLa "regola aurea" è un modello di comportamento idealistico che, a partire da tutte le religioni citate, è stato sovente contraddetto, con le giustificazioni più pittoresche, la principale delle quali è la demonizzazione dell'avversario, pertanto non meritevole di applicazione della regola suddetta.
Non si tratta solo di ipocrisia e falsa coscienza, ma tale regola, calata nella realtà delle relazioni umane, è semplicemente inapplicabile in molte circostanze.
è stato detto "homo, homini , lupus" Lo dicava Plauto, è in latino, per quell uno o due che non l han capito; "l'uomo per l'altro uomo è un lupo" che cos'è l'uomo? un lupo e quindi di fronte a un lupo cosa defi fare? difenderti! e quindi l'atteggiamente più giusto nei confronti degli esseri umani è la diffidenza, la difesa, a volte anche l aggressione perchè la miglior difesa è l attacco.. 30 anni dopo, circa, un altro commediografo che si chiamava Cecilio Stazio in risposta a Plauto, scrisse.." homo , homini, Deus" l'uomo, per l altro uomo, è un Dio...chi ha ragione? bhè ci sono argomenti a fovare del pensare all uomo come i peggiori nemici e ci sono elementi per pensare all uomo come la fonte della consolazione . Certo sono consapevole degli amori non corrisposti ma non abbiamo da andare da nessuna parte se non nell altro per difenderci , per curarci per sentire il calore del sentimento, l'abbraccio , l amore. Certo a volte è causa di dolore e non vogliamo vedere nessuno e ci ritiriamo dal consorzio umano , ma è solo per rigenerarsi e poi tornare ad essere abbracciato ad abbracciare..
la vita è movimento, un modo per dire morte è "equilibrio termodinamico" la vita per poter essere ha bisogno di dis-equilibrio perciò occorre muoversi! non rimanre inchiodati nella contraddizione che ho palrlato all inzio , uscire dallo stallo che ci fa chiudere a riccio di fronte al fenomeno umano. Ma dice sei ingenuo Alberto? che parli di amore, di umanità , di gentilezza , di relazione armoniosa col prossimo, non vedi come gira il mondo? non vedi che devi difenderti, che devi farti valere,che ha volte devi anche passare sull altro se vuoi vivere? A questa domanda io rispondo no, non sono un ingenuo , sono fisicamente fondato. E so che ogni ente è un isieme di relazioni armoniose che a loro volta si relazionano con altri sistemi e se questa relazione non avviene in modo armonioso può diventare un problema fisico, psichico, e spirituale. Più riesco a introdurre armonia nel sistema più il sistema di cui io sono una parte ne trarrà beneficio. Ed è per questo che quello di cui stiamo parlando non è moralismo , questa è..fisica.
L'uomo inteso come "homo sapiens" è egoista oppure no? Individualista o collettivista? A guardare la storia di ognuno di noi ed anche quella che si studia a scuola, direi entrambe. In realtà credo che il successo biologico di homo sapiens ( un dato oggettivo) derivi più dalla sua socievolezza che dal suo individualismo, che non ha a che fare con l'istinto di sopravvivenza, visto che si sopravvive sicuramente di più se agiamo in modo cooperativo.
Partirei però da più lontano ovvero da qui:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Apocrita
L'ordine degli insetti "apocrita", come si può constatare è uno degli ordini con più specie del regno animale. Si è diversificato da una vespa arcaica e annovera fra i suoi discendenti tutti quegli insetti con il "vitino di vespa". La cosa interessante è che 50 milioni di anni fa, questa vespa ancestrale era estremamente individualista e parassitaria. Infilava le sue uova dentro il corpo di un altro insetto e le uova diventavano altre vespe mangiando il corpo dell'insetto ospitante. Esistono ancora vespe del genere. Ma la cosa interessante è che, nel corso di questi 50 milioni di anni, si sono sviluppate da quella vespa altre specie estremamente "prosociali" come le api, le formiche o le termiti. Un progenitore comune per specie individualiste e collettiviste. Per questa evoluzione sono però serviti 50 milioni di anni. Inoltre vi è un altro limite. Se a una vespa parassita venisse in mente di diventare altruista, non avrebbe vita facile. Idem per una eventuale ape egoista. La loro vita è infatti strutturata in modo molto netto da modelli comportamentali genetici che possono essere modificati (come appunto è avvenuto) solo nel corso di milioni di anni e attraverso evoluzioni di nuove specie.
L'uomo invece, come dice Viator, ha voluto la bicicletta...e la bicicletta consiste nella possibilità di agire in modo non strettamente genetico. Il SNC dell'uomo con circa 100 miliardi di neuroni è unico ed è il prerequisito da cui partire per comprendere come mai l'uomo può essere demone, angelo o semplice impiegato di banca. Questa complessità neurologica si sviluppa, specularmente, nella complessità delle scelte possibili da parte dell'uomo. Senza giungere all'uomo moderno, sono state studiate tribù amazzoniche ferocissime, nelle quali chi aveva ammazzato più uomini è al massimo gradino della stima altrui e tribù inuit che offrono allo straniero la loro moglie in segno di ospitalità ed altruismo. Pertanto, discutere di egoismo innato dell'uomo è stupido, allo stesso modo di affermare, alla Rousseau, che l'uomo è buono ma poi sono arrivate le società a rovinare tutto. In realtà sono vere entrambe le definizioni.
Detto in altri modi, l'uomo è una scimmia, la scimmia più intelligente possibile e cosa fanno le scimmie? Apprendono ed imitano. Se vivrete fra le tribù degli Yamoami sarà per voi un onore spaccare teste e adornarvi con collane fatte con i denti delle vostre vittime. Lo avete appreso. Siete un Inuit da quando siete nati. Allora la stessa felicità la proverete donando vostra moglie al primo straniero di passaggio.
Questo è il quadro biologico e neuroscientifico più oggettivo possibile, che spiega anche perché i nostri mutamenti comportamentali avvengono nell'arco di poche generazioni, senza bisogno di mutamenti genetici.
A questo quadro però va aggiunto un ulteriore rumore di fondo che è la struttura di potere esistente nelle varie società umane, la quale avrà tutto l'interesse per esaltare il lato egoistico dell'uomo piuttosto che quello solidaristico. Ed è questa la scelta fatta generalmente, con le dovute eccezioni, dal capitalismo (comprensivo di Putin e Cina, detto per inciso, il capitalismo ormai è un pensiero unico). Invece, a mio parere, basterebbero una mezza dozzina di generazioni educate alla solidarietà per cambiare radicalmente il mondo delle relazioni umane. Finché questo non avverrà continueremo a vivere in questa "terra di mezzo", stregati sia dalla voce di Sauron che da quella di Gandalf.
Citazione di: viator il 19 Marzo 2022, 19:34:42 PMIl percorso (attraverso l'evoluzione, ma per tappe rigorosamente successive).....si compie dalla sensorialità allo IdS, poi verso psiche, memoria, coscienza, intelletto, mentalismo, ragione, ideatività, capacità di astrazione (eccola, la chiave dell'esempio da te portato), capacità di trascendere la realtà materiale (la chiave comincia a girare nella serratura)
La chiave girerà meglio se ci mettiamo un pò d'olio , nelle sensiorialità psichiche da te elencate manca l'insorgere delle emozioni. Mi rifaccio quindi agli scritti di Antonio Damasio il quale è un neuroscienziato, psicologo e saggista , e nei suoi scritti svela appunto che ci sono 6 emozioni universali che ogni essere umano, esattamente nella misura in cui è umano, prova, che voglia.. o non voglia. la prima di queste è la paura , la rabbia, la felicità e la tristezza e poi il disgusto e la sorpresa. Lui non lo dice Damasio ma io queste 6 emozione penso che si debbano interpretare a coppie , come polarità , perchè riproducono l atteggiamento di apertura e di chiusura. La paura dice chiusura, la rabbia dice apertura. di fatti la maniera in cui si vince la paura è esattamente quella di generare rabbia, altrimenti no, altrimenti si fugge come sencoda opzione e se non si può fuggire ci si blocca ci si chiude in difesa , come i ricci , anche noi un pò come loro ci raggomitoliamo a volte , alla nostra maniera. La stessa cosa vale per la felicità (apertura) tristezza (chiusura) la stessa cosa vale per il disgusto (chiusura) e la sorpresa (apertura) immaginate la vostra espressione quando provate disgusto? viene da chiudere gli occhi e la bocca e invece immaginatela mentre provate sorpresa , gli occhi si aprono. si apre a volte anche la bocca dalla sorpresa e si sgrana gli occhi. cioè la vita psitica riproduce i due movimenti base della vita fisica , sistole e diastole. Aspirazione e ispirazione , chiusura/apertura del cuore e dei polmoni. E perchè la psiche non dovrebbe avere un battito anche lei esattamente come gli organi vitali? Ma se la paura è un emozione il coraggio che cos'è? è un emozione? no, il coraggio non è un emozione , è una virtù. LE virtù da dove vengono? ci sono? esistono?
Citazione di: Jacopus il 19 Marzo 2022, 20:33:41 PMDetto in altri modi, l'uomo è una scimmia, la scimmia più intelligente possibile e cosa fanno le scimmie?
Le sciemmie, come ogni altro animale selvatico , agiscono per impulsi istintuali, tutti gli impulsi istintuali di un animale selvatico sono congeniati in modo da volgersi infine a vantaggio suo e della specie a cui appartiene. Nello spazio vitale di un animale selvatico non esiste conflitto fra le sue inclinazione e un certo "dovere" , tutti gli impulsi interiori, cioè, sono "buoni" . Per l uomo è andata perduta questa armonia paradisiaca, e le funzioni specificamente umane , come il linguaggio e il pensiero concettuale , hanno permesso la l accumolazione e la trasmissione di un sapere comune. Di consegnuenza, l'evoluzione storico culturale dell umanità segue un ritmo enormemente più veloce dell evoluzione puramente organica, filogenetica,di tutti gli altri esseri viventi. Però gli istinti, cioè le modalità innate di azione e di reazione, rimangono legati anche nell uomo al ritmo evolutivo degli organi , che è molto più lento, e non riescono a tenere il passo con la sua evoluzione storico culturale .Quindi le tendenze naturali non sono più perfettamente sincronizzate con le condizioni di civiltà in cui l 'uomo è venuto a trovarsi ad opera delle sue attività mentali. Questa è la differenza fra noi e le scimmie. Secondo me
Salve Alberto. Hai voglia quante centinaia di aspetti e contenuti psicomentali umani e non umani non ho elecato. Che facciamo ? Io devo fare elencazioni e possibilmente descrizioni ed ipotesi esaustive.......mentre tu o qualcun altro replicano aggiungendo voci mancanti e che io sarei chiamato di volta in volta a dover giustificare all'inquisitore di turno ?
Le emozioni (le quali ovviamente esistono anche all'interno di molte psiche non umane) altro non sono che la reazione psichicamente (e poi - se del caso - anche mentalmente e sentimentalmente etc. etc.) interpretata dei segnali sensoriali.
La psiche è la prima e la sovrana interprete del significato dei messaggi sensoriali, cioè rappresenta la funzione che deve valutare il significato (vantaggioso, nocivo, utile, pericoloso etc.) dei segnali sensoriali nei confronti dell'autotutela che l'IdS impone al singolo. La psiche è tra l'altro - e conseguentemente - la sede delle reazioni automatiche (riflessi automatici che precedono ogni e qualsiasi nostra decisione ragionata - vedi il ritrarre la mano dalla fiamma etc.) poichè non è previsto che, in situazioni estreme, la nostra incolumità sia in balia della eventuale immaturità e della comunque estrema fallacia e lentezza del nostro raziocinio deliberato.
Per quanto poi infine riguarda le virtù, mi dispiace vedere che ti sei dedicato alla cucina reggimentale ed ai suoi minestroni. Le virtù fan parte dei valori sociali, (in particolare, delle morali) e non si capisce che c'entrino con le dotazioni biologiche, con quelle psicomentali, con quelle spirituali (la Bibbia considera virtù anche diversi comportamenti oscenamente sanguinari che in essa sono descritti e prescritti.......semplicemente tali comportamenti facevano parte della morale corrente ed auspicabile in certi tempi e luoghi, non certamente della loro spiritualità). Saluti.
CitazioneLe sciemmie, come ogni altro animale selvatico , agiscono per impulsi istintuali, tutti gli impulsi istintuali di un animale selvatico sono congeniati in modo da volgersi infine a vantaggio suo e della specie a cui appartiene. Nello spazio vitale di un animale selvatico non esiste conflitto fra le sue inclinazione e un certo "dovere" , tutti gli impulsi interiori, cioè, sono "buoni" . Per l uomo è andata perduta questa armonia paradisiaca, e le funzioni specificamente umane , come il linguaggio e il pensiero concettuale , hanno permesso la l accumolazione e la trasmissione di un sapere comune. Di consegnuenza, l'evoluzione storico culturale dell umanità segue un ritmo enormemente più veloce dell evoluzione puramente organica, filogenetica,di tutti gli altri esseri viventi. Però gli istinti, cioè le modalità innate di azione e di reazione, rimangono legati anche nell uomo al ritmo evolutivo degli organi , che è molto più lento, e non riescono a tenere il passo con la sua evoluzione storico culturale .Quindi le tendenze naturali non sono più perfettamente sincronizzate con le condizioni di civiltà in cui l 'uomo è venuto a trovarsi ad opera delle sue attività mentali. Questa è la differenza fra noi e le scimmie. Secondo me
Alberto. Scrivi una cosa su cui sono molto d'accordo ed una invece che, secondo me, non è vera. Partiamo dal disaccordo. Ovvero sul fatto che in natura le scimmie e specialmente quelle che vengono definite "ominine", proprio per sottolineare la vicinanza specistica con homo sapiens, non sono assolutamente solo istintuali. Hanno una individualità e un carattere, che puoi notare in mammiferi molto più semplici degli scimpanzè e dei gorilla, come i cani ed i gatti. Sono portatori di quelle stesse emozioni che abbiamo noi, emozioni che condividiamo non solo con i mammiferi ma anche con gli uccelli e probabilmente anche con i pesci (su mammiferi e uccelli vi è una letteratura ormai solida, sulla presenza delle emozioni). La differenza quindi fra noi e il mondo animale più vicino a noi (non parliamo di protozoi o funghi ovviamente) è una differenza quantitativa non qualitativa. Un senso del dovere lo hanno anche gli scimpanzè e laddove si palesano soggetti crudeli, prepotenti, sono documentate alleanze fra i soggetti meno forti proprio per scacciare o mettere al suo posto il soggetto prepotente (queste dinamiche sono state registrate sulle scimmie bonobo, ad esempio). Ma che dire di alcune specie di scimmie che sono state osservate mentre fingevano il richiamo di allarme per la presenza di predatori, solo per mangiare senza dover dividere il cibo con gli altri membri del suo gruppo? Non ci vedi già una configurazione di certi comportamenti umani? Per non parlare degli omicidi intraspecifici ancora fra gli scimpanzè, ma anche fra i felini o i pesci tropicali. La natura non è un luogo paradisiaco.
https://it.wikipedia.org/wiki/Leucochloridium_paradoxum
Questo è un esempio famoso proprio per non considerare la natura un idillio.
Invece sono d'accordo che il nostro sapere tecnico-culturale ha creato uno scompenso fra quello siamo in grado di fare e la capacità di controllare questo immenso potere, proprio perchè a livello profondo ancora rispondiamo a comportamenti di vantaggio a breve termine, a favore di noi stessi, della nostra famiglia e della nostra tribù, visto che per millenni abbiamo vissuto in gruppi di massimo 50-100 componenti. La filosofia, in realtà, probabilmente, è proprio un modo per affrontare questo problema.
Citazione di: Alberto Knox il 19 Marzo 2022, 14:06:20 PMè solo una banale coincidenza che tutte le piùgrandi tradizioni spirituali del mondo abbiano in comune questa regola morale ?
Non è una coincidenza infatti tutte le grandi tradizioni spirituali puntualmente pongono l'uomo all'interno di una gerarchia dove il più forte spezza il più debole.
Attraverso la menzogna creano i luoghi dell'orrore.
Queste non sono comunità, ma prigioni d'acciaio.
A testimonianza della tua visione superficiale, che al massimo posso dirti ideale.
Oggi a parte l'India, tutte le religioni sono solo un mezzo della propaganda, hanno persino dismesso la pretesa o la menzogna della spiritualità.
Che poi uno non si accorga di essere nelle prigioni d'acciaio o non le veda, questo è il problema filosofico dell'educazione, che continua a girare a vuoto nei secoli.
Il 3d infatti dovrebbe essere un luogo di lavoro, ma nessuno vuole lavorare. Punto e a capo. (ma continuerò lo stesso, piano piano, così! a vuoto, così! per questione etica).
Citazione di: viator il 19 Marzo 2022, 19:34:42 PMAbbiamo voluto la bicicletta ? (o almeno vogliamo sfoggiarla alle altre specie) ?. Allora pedaliamo !!.
Viator l'uomo non è un animale, né tantomeno dunque un robot.
Hegel si sgola nella introduzione proprio cercando di fare capire alla gente come te, di quanto vi sbagliate.
Ma come al solito non si vuol lavorare. E va bene così.
(sul serio ma non abbiamo già tante e troppe volte parlato delle teorie alla Dworkin che portano al darwinismo sociale? Incredibile!)
Citazione di: Alberto Knox il 19 Marzo 2022, 20:13:41 PMCitazione di: Ipazia il 19 Marzo 2022, 19:14:53 PMLa "regola aurea" è un modello di comportamento idealistico che, a partire da tutte le religioni citate, è stato sovente contraddetto, con le giustificazioni più pittoresche, la principale delle quali è la demonizzazione dell'avversario, pertanto non meritevole di applicazione della regola suddetta.
Non si tratta solo di ipocrisia e falsa coscienza, ma tale regola, calata nella realtà delle relazioni umane, è semplicemente inapplicabile in molte circostanze.
è stato detto "homo, homini , lupus" Lo dicava Plauto, è in latino, per quell uno o due che non l han capito; "l'uomo per l'altro uomo è un lupo" che cos'è l'uomo? un lupo e quindi di fronte a un lupo cosa defi fare? difenderti! e quindi l'atteggiamente più giusto nei confronti degli esseri umani è la diffidenza, la difesa, a volte anche l aggressione perchè la miglior difesa è l attacco.. 30 anni dopo, circa, un altro commediografo che si chiamava Cecilio Stazio in risposta a Plauto, scrisse.." homo , homini, Deus" l'uomo, per l altro uomo, è un Dio...chi ha ragione? bhè ci sono argomenti a fovare del pensare all uomo come i peggiori nemici e ci sono elementi per pensare all uomo come la fonte della consolazione . Certo sono consapevole degli amori non corrisposti ma non abbiamo da andare da nessuna parte se non nell altro per difenderci , per curarci per sentire il calore del sentimento, l'abbraccio , l amore. Certo a volte è causa di dolore e non vogliamo vedere nessuno e ci ritiriamo dal consorzio umano , ma è solo per rigenerarsi e poi tornare ad essere abbracciato ad abbracciare..
la vita è movimento, un modo per dire morte è "equilibrio termodinamico" la vita per poter essere ha bisogno di dis-equilibrio perciò occorre muoversi! non rimanre inchiodati nella contraddizione che ho palrlato all inzio , uscire dallo stallo che ci fa chiudere a riccio di fronte al fenomeno umano. Ma dice sei ingenuo Alberto? che parli di amore, di umanità , di gentilezza , di relazione armoniosa col prossimo, non vedi come gira il mondo? non vedi che devi difenderti, che devi farti valere,che ha volte devi anche passare sull altro se vuoi vivere? A questa domanda io rispondo no, non sono un ingenuo , sono fisicamente fondato. E so che ogni ente è un isieme di relazioni armoniose che a loro volta si relazionano con altri sistemi e se questa relazione non avviene in modo armonioso può diventare un problema fisico, psichico, e spirituale. Più riesco a introdurre armonia nel sistema più il sistema di cui io sono una parte ne trarrà beneficio. Ed è per questo che quello di cui stiamo parlando non è moralismo , questa è..fisica.
Non puoi rimbalzare come una pallina da ping pong da considerazioni piatte e senza argomentazione del tipo lo slogan (calcistico, ovviamente, visto il livello intellettuale di tali pensieri) l'attacco è la migliore difesa (che poi è la propaganda guarda caso dell'imperialismo americano) a posizioni ancora più gravi e appiattenti che siccome sei un robot (ma Hegel ti sta spiegando che sbagli) allora abbisogni di armonia interna.
Non vi sono connessioni ed è pieno di luoghi comuni e frasi fatte, e posizioni anti-hegeliane.
Siccome stai rispondendo dentro una discussione su Hegel, sei pregato di rimanere in tema.
Di 3d imbecilli (a mio parere) dell'uomo macchina, ce ne sono parecchi qui sul forum, andate su quelli. Quindi o vi è un ragionamento legato ad Hegel, o lasciatemi ragionare fra me e me (tanto so già che è così) e forse un giorno qualcuno di buona leva, potrà ragionare con me in futuro.
Citazione di: Jacopus il 19 Marzo 2022, 20:33:41 PML'uomo inteso come "homo sapiens" è egoista oppure no? Individualista o collettivista? A guardare la storia di ognuno di noi ed anche quella che si studia a scuola, direi entrambe. In realtà credo che il successo biologico di homo sapiens ( un dato oggettivo) derivi più dalla sua socievolezza che dal suo individualismo, che non ha a che fare con l'istinto di sopravvivenza, visto che si sopravvive sicuramente di più se agiamo in modo cooperativo.
Partirei però da più lontano ovvero da qui:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Apocrita
L'ordine degli insetti "apocrita", come si può constatare è uno degli ordini con più specie del regno animale. Si è diversificato da una vespa arcaica e annovera fra i suoi discendenti tutti quegli insetti con il "vitino di vespa". La cosa interessante è che 50 milioni di anni fa, questa vespa ancestrale era estremamente individualista e parassitaria. Infilava le sue uova dentro il corpo di un altro insetto e le uova diventavano altre vespe mangiando il corpo dell'insetto ospitante. Esistono ancora vespe del genere. Ma la cosa interessante è che, nel corso di questi 50 milioni di anni, si sono sviluppate da quella vespa altre specie estremamente "prosociali" come le api, le formiche o le termiti. Un progenitore comune per specie individualiste e collettiviste. Per questa evoluzione sono però serviti 50 milioni di anni. Inoltre vi è un altro limite. Se a una vespa parassita venisse in mente di diventare altruista, non avrebbe vita facile. Idem per una eventuale ape egoista. La loro vita è infatti strutturata in modo molto netto da modelli comportamentali genetici che possono essere modificati (come appunto è avvenuto) solo nel corso di milioni di anni e attraverso evoluzioni di nuove specie.
L'uomo invece, come dice Viator, ha voluto la bicicletta...e la bicicletta consiste nella possibilità di agire in modo non strettamente genetico. Il SNC dell'uomo con circa 100 miliardi di neuroni è unico ed è il prerequisito da cui partire per comprendere come mai l'uomo può essere demone, angelo o semplice impiegato di banca. Questa complessità neurologica si sviluppa, specularmente, nella complessità delle scelte possibili da parte dell'uomo. Senza giungere all'uomo moderno, sono state studiate tribù amazzoniche ferocissime, nelle quali chi aveva ammazzato più uomini è al massimo gradino della stima altrui e tribù inuit che offrono allo straniero la loro moglie in segno di ospitalità ed altruismo. Pertanto, discutere di egoismo innato dell'uomo è stupido, allo stesso modo di affermare, alla Rousseau, che l'uomo è buono ma poi sono arrivate le società a rovinare tutto. In realtà sono vere entrambe le definizioni.
Detto in altri modi, l'uomo è una scimmia, la scimmia più intelligente possibile e cosa fanno le scimmie? Apprendono ed imitano. Se vivrete fra le tribù degli Yamoami sarà per voi un onore spaccare teste e adornarvi con collane fatte con i denti delle vostre vittime. Lo avete appreso. Siete un Inuit da quando siete nati. Allora la stessa felicità la proverete donando vostra moglie al primo straniero di passaggio.
Questo è il quadro biologico e neuroscientifico più oggettivo possibile, che spiega anche perché i nostri mutamenti comportamentali avvengono nell'arco di poche generazioni, senza bisogno di mutamenti genetici.
A questo quadro però va aggiunto un ulteriore rumore di fondo che è la struttura di potere esistente nelle varie società umane, la quale avrà tutto l'interesse per esaltare il lato egoistico dell'uomo piuttosto che quello solidaristico. Ed è questa la scelta fatta generalmente, con le dovute eccezioni, dal capitalismo (comprensivo di Putin e Cina, detto per inciso, il capitalismo ormai è un pensiero unico). Invece, a mio parere, basterebbero una mezza dozzina di generazioni educate alla solidarietà per cambiare radicalmente il mondo delle relazioni umane. Finché questo non avverrà continueremo a vivere in questa "terra di mezzo", stregati sia dalla voce di Sauron che da quella di Gandalf.
Sinceramente mi fa senso far notare anche al moderatore, che Hegel non parla in alcuna maniera di uomo come animale o come robot.
Perciò o lo legate in maniera critica, facendo notare quali sarebbero gli errori di Hegel, oppure, scrivete di queste sciocchezze su altri 3d.
Già Hegel è difficile di per sè, mettiamoci che non ho voglia di lavorare più di tot, mettiamo che i miei contributi sono sporadici, se poi ci mettiamo anche pensieri random nel mezzo, la cosa si fa ancora più confusa.
Ripeto per poter dire che l'uomo è un robot o un animale, dovete prima spiegare cosa è la mente.
In Kant ed Hegel la mente non esiste proprio.
E' soltanto il tessuto connettivo che permette al logos di poter darsi come soggetto raziocinante.
In tale guisa, Kant ed Hegel ragionano dunque sul soggetto. Ossia ragionano sulle idee, e non certo sull'uomo materiale.
Ossia ragionano
dal vostro punto di vista in maniera funzionale (linguistico) dal corpo materiale: dove la vostra attenzione e critica può darsi solo dal lato funzionale sia chiaro!!!
Ma la questione è sulla ragione e non sul corpo! Questo è un caveat enorme!
Capisco che il grande reset e la filosofia post-umanista, trans-umanista vi stia spingendo in una direzione opposta.
Ma è intollerabile per me continuare a rispondere alle vostre manchevolezze gravi.
Quindi questa "tranche" volgare verrà accettata ma le seguenti avranno come esito la fine della mia argomentazione in questo forum.
Ripeto di temi tran-umanisti il forum è pieno, andate là ve ne prego. :D ;)
Non posso che darti ragione, Green. Mi sono lasciato prendere la mano, mentre invece avrei dovuto fare quello che hai fatto tu, ovvero mantenere il topic nei suoi binari. Quindi riprendiamo qui con Hegel.
Citazione di: Alberto Knox il 19 Marzo 2022, 20:56:10 PMCitazione di: viator il 19 Marzo 2022, 19:34:42 PMIl percorso (attraverso l'evoluzione, ma per tappe rigorosamente successive).....si compie dalla sensorialità allo IdS, poi verso psiche, memoria, coscienza, intelletto, mentalismo, ragione, ideatività, capacità di astrazione (eccola, la chiave dell'esempio da te portato), capacità di trascendere la realtà materiale (la chiave comincia a girare nella serratura)
La chiave girerà meglio se ci mettiamo un pò d'olio , nelle sensiorialità psichiche da te elencate manca l'insorgere delle emozioni. Mi rifaccio quindi agli scritti di Antonio Damasio il quale è un neuroscienziato, psicologo e saggista , e nei suoi scritti svela appunto che ci sono 6 emozioni universali che ogni essere umano, esattamente nella misura in cui è umano, prova, che voglia.. o non
E figuriamoci se non entrava in gioco Damasio, anzi mi chiedo come mai non sia ancora entrato nel pantheon del nuovo ordine globale (forse perchè è italiano :D )
La lettura del suo libro è stata una delle esperienze più avvilenti e disumane che mi sia capitato di avere.
Ma uno che alla fine del libro finisce col dire che vi sono 2 tipi di uomini, uno buono e uno cattivo.....MA PUO' santo cielo avere ALCUNA RILEVANZA nel mondo accademico filosofico? (e invece ce l'ha ??? 8) )
va bene, mi riitiro dalla discussione.
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AMPerchè Hegel e non Kant.
Questo domande che ci facevamo al bar dell'università di Milano, fra gli sguardi increduli delle bariste.
Ma come non ripetono la lezioncina, come facevano alla tavolata poco distante da noi 2?
Eravamo in 5 siamo rimasti in 2.
Ora sono rimasto solo soletto. Come al solito.
Hegel si, Kant no.
Kant molto bene, ma no.
Il fatto è che l'imperativo categorico, mi pare proprio un cascame del più ampio problema del suo carattere ossessivo.
Hegel sì, perchè sebbene lo critichi, è comunque sulla scia di Kant.
Certo chiama Ragione quello che Kant chiama intelletto, e chiama Intelletto quello che Kant chiama ragione.
Sinceramente sono d'accordo con Hegel, la ratio, come dice la radice latina, è la capacitò di divisione, una qualità più che una sostanza dell'uomo.
Ma a bocce ferme, stanno dicendo la stessa cosa.
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.
Noi non siamo filosofi, noi lo diventiamo, cosi raccontava la sfinge ai suoi ricercatori.
Ma la sfinge va comprensa non guardata. Non ci si guarda allo specchio, se no, si finisce impietriti, e si diventa dei somari e non dei filosofi.
Così non si guarda in volto la Sfinge, la si comprende.
E così è il domandare, il domandare va domandato.
La biblioteca non serve a niente se non la si domanda.
Credere ciecamente nella biblioteca è rimanere impietriti dalla sfinge.
E il domandare che si domanda, richiede il pensiero che si pensa.
E il pensiero pensante è la FILOSOFIA. Pensiero di pensiero.
Pensiero al quadrato.
La fenomenologia è il massimo prolegomena a questo pensante.
(mi pare) Io non l'ho mai letta (tutta).
Leggiamola insieme!! 8)
Io posso concordare fino a un certo punto sull'affermazione che:
l'uomo venga da categorie a priori,
e la credo vera quantomeno per quanto riguarda l'uomo attuale, per come esso si e' storicamente determinato.
Ma credo anche che l'uomo sia un ente volente, e identificabile con una volonta' piuttosto che con una coscienza; quindi non accetto il "venire da categorie a priori" come un "destino", e penso che l'uomo venga si' da categorie a priori, ma (solo) perche' egli VUOLE, da esse provenire, perche' questa e' la sua volonta'.
Dunque sprofondare nella retrospezione, o sprofondare nella datita' del cosciente e' sprofondare in un proggetto dell'uomo che (liberamente) vuole, e sceglie, per se stesso, di essere coscienza, e quindi, nel contemplare il realizzarsi del suo stesso proggetto, e' sempre piu' immemore e inconscio della verita' soggiacente di essere (invece) volonta'.
Avendo la coscienza in se' tutte le emozioni positive e negative, tutti i sentimenti di cui si vorrebbe spiegare la bellezza, l'identificazione con la coscienza e' cio' che incatena l'uomo a se stesso; perche' non ci sara' mai un motivo reale di superare nel tempo e nel divenire l'identificazione, diciamo cosi', parmenidea, di essere e coscienza, in quanto essa si propone come la possibilita' e la fonte unica del bene: possibilita' del sentimento e dell'esperimento umano del bene, un sentire il bene che sia insieme anche essere, ed esser vero.
Cio' che puo' provare, il bene e il male, e dunque la coscienza umana, ha in se' tutti i fini, e cio' che ha in se' tutti i fini, non puo' mai servire ad altro, non puo' mai diventare mezzo.
Insomma un paradigma dell'uomo come fine si presta a rimodulazioni infinite di se stesso, ma non mai a nessun superamento, di se stesso.
Invece, se si riuscisse a contemplare la retrospezione del passato, o la primigeneita' e superiorita' "gerarchica" del dato di coscienza sul soggetto come un voluto, ovvero come un effetto e un appagamento della volonta' si potrebbe forse "esaurire" quel tipo di esperienza e voluzione, e iniziare a volere altro.
Premesso che non so un accidente di Hegel, proprio per questo chiedo lumi non avendo alcuna intenzione di mettermi a studiarlo.
Per come la vedo, io pongo da una parte la sensazione. Dall'altra faccio tutto un fascio tra ragione, intelletto, mente, e coscienza. Tralascio la conoscenza a priori per un eventuale dopo e tralascio ingenuamente forse la dimensione onirica. Io vi chiedo come mai i due tedeschi tengano in piedi una differenza tra intelletto e ragione?
Salve. Differenza tra intelletto e ragione.
Non so cosa ne pensassero i Grandi Maestri. Leggerli genera solo confusione e mai chiarezza.
L'intelletto serve a comprendere i concetti e le nozioni.
La ragione serve a decidere quale debba essere - in conclusione - la scelta più utile o meno dannosa tra tutto ciò che si è compreso o creduto di aver compreso.
Le tre righe sovrastanti potrebbero tranquillamente permettere di evitare la lettura di intere biblioteche di filosofia. Saluti.
Citazione di: niko il 20 Marzo 2022, 13:10:57 PMCitazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AM....
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.
Io posso concordare fino a un certo punto sull'affermazione che:
l'uomo venga da categorie a priori,
e la credo vera quantomeno per quanto riguarda l'uomo attuale, per come esso si e' storicamente determinato.
Ma credo anche che l'uomo sia un ente volente, e identificabile con una volonta' piuttosto che con una coscienza; quindi non accetto il "venire da categorie a priori" come un "destino", e penso che l'uomo venga si' da categorie a priori, ma (solo) perche' egli VUOLE, da esse provenire, perche' questa e' la sua volonta'.
Dunque sprofondare nella retrospezione, o sprofondare nella datita' del cosciente e' sprofondare in un proggetto dell'uomo che (liberamente) vuole, e sceglie, per se stesso, di essere coscienza, e quindi, nel contemplare il realizzarsi del suo stesso proggetto, e' sempre piu' immemore e inconscio della verita' soggiacente di essere (invece) volonta'.
Avendo la coscienza in se' tutte le emozioni positive e negative, tutti i sentimenti di cui si vorrebbe spiegare la bellezza, l'identificazione con la coscienza e' cio' che incatena l'uomo a se stesso; perche' non ci sara' mai un motivo reale di superare nel tempo e nel divenire l'identificazione, diciamo cosi', parmenidea, di essere e coscienza, in quanto essa si propone come la possibilita' e la fonte unica del bene: possibilita' del sentimento e dell'esperimento umano del bene, un sentire il bene che sia insieme anche essere, ed esser vero.
Cio' che puo' provare, il bene e il male, e dunque la coscienza umana, ha in se' tutti i fini, e cio' che ha in se' tutti i fini, non puo' mai servire ad altro, non puo' mai diventare mezzo.
Insomma un paradigma dell'uomo come fine si presta a rimodulazioni infinite di se stesso, ma non mai a nessun superamento, di se stesso.
Invece, se si riuscisse a contemplare la retrospezione del passato, o la primigeneita' e superiorita' "gerarchica" del dato di coscienza sul soggetto come un voluto, ovvero come un effetto e un appagamento della volonta' si potrebbe forse "esaurire" quel tipo di esperienza e voluzione, e iniziare a volere altro.
Intanto vi ringrazio perchè siamo tornati sui binari giusti, purtroppo sto avendo una involuzione che mi sta cominciando a preoccupare, perciò mi prendo un pò di tempo per gestire quella che chiamo la questione intellettuale.
Il tuo intervento Niko è come al solito ricco di spunti.
Mi fa piacere che riecheggi non solo i motivi di Hegel e Kant, ma anche quelli di altri autori a me cari, tirando in ballo il destino (Heidegger) e il superamento del sè (Nietzche).
Mi pare che tu metta nel mix la questione sollevata da Schopenauer.
Schopenauer non segue il modello Hegeliano, ma quello Kantiano, cercando di superare il pericolo di solipsismo latente del Kant.
Introducendo la dimensione della volontà e del suo carattere drammatico e conflittuale, che rende l'inanimato della materia come se fosse cosa vivente.
Naturalmente come sai, questa dimensione viene riadattata da Nietzche proprio in chiave di superamento del sè, cosa che non avviene in Schopenauer, che si ferma ad una noluntas universale.
Quindi mi piace la tua idea di un soggetto che sceglie di essere cento, mille volte cosciente del proprio sè, riadattandolo potenzialmente all'infinito.
Il punto di queste filosofie vitaliste è però che poi si spengono proprio a contatto con la realtà, il loro soggetto, è un soggetto che perisce.
Ora ricostruire questa strada è faticoso. A livello di intuito rozzo te la dico così: queste filosofie sono animate dalla volontà di collassare su se stesse.
Ecco rispetto alla tua filosofia e al netto del suo esito, non mi dispiace.
Diverso però è la questione del soggetto, che in fin dei conti è un pò il banco di prova, a cui la filosofia non ha mai più saputo rispondere dopo.
Infatti tu parli del soggetto come uomo.
Ma l'idea di uomo è un costrutto del soggetto.
Dunque dire soggetto e dire uomo non è la medesima cosa.
Come dire che la tua filosofia non si interroga sulla costruzione che tu sei, che noi siamo.
Il concetto di uomo (e tutte le sue declinazioni filosofanti o scientiste che siano) è un esito.
Di questo esito si tratta di capire le forme di composizione.
Come ci ha spiegato Kant sono le categorie di spazio e tempo, regolate dalla ragione.
La critica contemporanea è destabilizzante, perchè la ragione fruisce delle datità sensibili: e oggi come oggi si è aggiunta la categoria di propriocezione.
Ma se vi fosse la propriocezione come i neo-kantiani suppongono (e i transumanisti seguono, perchè si tratta di neo-kantiani, neo-cartesiani) allora l'intero edificio kantinao imploderebbe.
Perchè se il soggetto è una categoria, e non l'esito di categorie, allora a che servirebbero le categorie?
Lo Hegel va oltre il kant, e si chiede quale sia la funzione della categorie, rispetto all'entità che oggi potremmmo chiamare per estrema semplificazione DIO.
Mentre il Kant non ammette logicamente DIO, lo Hegel lo premette.
Ma appunto entrambi usando categorie fuori dal tempo e fuori dallo spazio e ammettendo invece che l'uomo sia il frutto del pensiero (che poi uno lo chiami ragione e l'altro intelletto non ha per me importanza nessuna).
Rispetto al tuo discorso è vero che la categoria storica nei nostri 2 eroi è secondaria.
Ci sta fare una critica serrata su questo punto.
Ma se la si fa a livello di datità umana, è a mio avviso un errore di metodo. Non si tratta di fare sociologia ( o, come molti sentono il bisogno, di pensare una nuova antropologia), ma di chiedersi da dove veniamo. Mi paiono esigenze differenti non trovi?
Citazione di: daniele22 il 20 Marzo 2022, 14:33:26 PMPremesso che non so un accidente di Hegel, proprio per questo chiedo lumi non avendo alcuna intenzione di mettermi a studiarlo.
Per come la vedo, io pongo da una parte la sensazione. Dall'altra faccio tutto un fascio tra ragione, intelletto, mente, e coscienza. Tralascio la conoscenza a priori per un eventuale dopo e tralascio ingenuamente forse la dimensione onirica. Io vi chiedo come mai i due tedeschi tengano in piedi una differenza tra intelletto e ragione?
La differenza che si pongono è proprio per la riflessione sulla sensazione.
Prima di Kant ed Hegel, la filosofia partiva dalle sensazioni, all'università si fanno i nomi di locke hume e berkley.
Il pensiero era un di più: un costrutto delle sensazioni.
Ma le riflessioni dei 3 erano tutt'altro che banali rispetto al transumanesimo moderno.
Al netto del mio giudizio personale, però si parla di rivoluzione kantiana, proprio perchè per la prima volta si ammette che è il pensiero che decide delle sensazioni.
I livelli di percezione sono indagati rispetto a dei livelli di astrazione il primo che possiamo dire riguarda l'organizzazione delle sensazioni, e il secondo che riguarda l'organizzazione stessa.
Quindi una organizzazione delle organizzazioni, potremmo dire con un brutto giro di parole.
Prima di Kant questa esigenza non vi era, il primo a insinuare il dubbio sulla organizzazione delle organizzazioni fu Cartesio invero, da cui Kant prende spunto senza dubbio.
La domanda di cartesio infatti era e se l'organizzazione delle organizzazioni fosse un demone maligno cosa succederebbe? ;)
Diciamo che queste cose Hegel le spazza via all'inizio della fenomenologia, dicendo che queste cose (sul percetto) non gli interessano.
Quindi effettivamente al giorno d'oggi Hegel è poco interessante per i più (meglio kant come ho già detto sopra a niko)
Hegel è interessante per la questione della relazione fra DIO e SOGGETTO, laddove si DEVE capire che nessuno sa cosa sia DIO e cosa sia il SOGGETTO. Entrambi i concetti sono "eventualità in fieri".
Cose lontanissime dal dibattito contemporaneo. ;)
Citazione di: viator il 20 Marzo 2022, 14:59:50 PMSalve. Differenza tra intelletto e ragione.
Non so cosa ne pensassero i Grandi Maestri. Leggerli genera solo confusione e mai chiarezza.
L'intelletto serve a comprendere i concetti e le nozioni.
La ragione serve a decidere quale debba essere - in conclusione - la scelta più utile o meno dannosa tra tutto ciò che si è compreso o creduto di aver compreso.
Le tre righe sovrastanti potrebbero tranquillamente permettere di evitare la lettura di intere biblioteche di filosofia. Saluti.
Bè ma le biblioteche sono solo degli strumenti per aiutarci nella riflessione, anche semplicemente mettendoci la curiosità delle cose.
Si l'intelletto (la ragione per kant) serve a organizzare i concetti.
Più che la ragione (o l'intelletto) è la morale che deciderà poi della bontà di tale organizzazione.
I nostri 2 eroi danno un peso specifico altissimo alla morale dunque, in quanto è un passaggio ancora superiore rispetto ai primi due (intelletto e ragione).
Certo oggi facciamo fatica a capire cosa fosse per loro l'intelletto (o la ragione) ossia il secondo livello di riflessione, figuriamoci il terzo livello (la morale).
A ognuno la sua biblioteca. ;)
Citazione di: green demetr il 28 Marzo 2022, 06:46:41 AMCitazione di: daniele22 il 20 Marzo 2022, 14:33:26 PMPremesso che non so un accidente di Hegel, proprio per questo chiedo lumi non avendo alcuna intenzione di mettermi a studiarlo.
Per come la vedo, io pongo da una parte la sensazione. Dall'altra faccio tutto un fascio tra ragione, intelletto, mente, e coscienza. Tralascio la conoscenza a priori per un eventuale dopo e tralascio ingenuamente forse la dimensione onirica. Io vi chiedo come mai i due tedeschi tengano in piedi una differenza tra intelletto e ragione?
La differenza che si pongono è proprio per la riflessione sulla sensazione.
Prima di Kant ed Hegel, la filosofia partiva dalle sensazioni, all'università si fanno i nomi di locke hume e berkley.
Il pensiero era un di più: un costrutto delle sensazioni.
Ma le riflessioni dei 3 erano tutt'altro che banali rispetto al transumanesimo moderno.
Al netto del mio giudizio personale, però si parla di rivoluzione kantiana, proprio perchè per la prima volta si ammette che è il pensiero che decide delle sensazioni.
I livelli di percezione sono indagati rispetto a dei livelli di astrazione il primo che possiamo dire riguarda l'organizzazione delle sensazioni, e il secondo che riguarda l'organizzazione stessa.
Quindi una organizzazione delle organizzazioni, potremmo dire con un brutto giro di parole.
Prima di Kant questa esigenza non vi era, il primo a insinuare il dubbio sulla organizzazione delle organizzazioni fu Cartesio invero, da cui Kant prende spunto senza dubbio.
La domanda di cartesio infatti era e se l'organizzazione delle organizzazioni fosse un demone maligno cosa succederebbe? ;)
Diciamo che queste cose Hegel le spazza via all'inizio della fenomenologia, dicendo che queste cose (sul percetto) non gli interessano.
Quindi effettivamente al giorno d'oggi Hegel è poco interessante per i più (meglio kant come ho già detto sopra a niko)
Hegel è interessante per la questione della relazione fra DIO e SOGGETTO, laddove si DEVE capire che nessuno sa cosa sia DIO e cosa sia il SOGGETTO. Entrambi i concetti sono "eventualità in fieri".
Cose lontanissime dal dibattito contemporaneo. ;)
Cosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi
Citazione di: green demetr il 28 Marzo 2022, 06:30:25 AMCitazione di: niko il 20 Marzo 2022, 13:10:57 PMCitazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AM....
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.
Io posso concordare fino a un certo punto sull'affermazione che:
l'uomo venga da categorie a priori,
e la credo vera quantomeno per quanto riguarda l'uomo attuale, per come esso si e' storicamente determinato.
Ma credo anche che l'uomo sia un ente volente, e identificabile con una volonta' piuttosto che con una coscienza; quindi non accetto il "venire da categorie a priori" come un "destino", e penso che l'uomo venga si' da categorie a priori, ma (solo) perche' egli VUOLE, da esse provenire, perche' questa e' la sua volonta'.
Dunque sprofondare nella retrospezione, o sprofondare nella datita' del cosciente e' sprofondare in un proggetto dell'uomo che (liberamente) vuole, e sceglie, per se stesso, di essere coscienza, e quindi, nel contemplare il realizzarsi del suo stesso proggetto, e' sempre piu' immemore e inconscio della verita' soggiacente di essere (invece) volonta'.
Avendo la coscienza in se' tutte le emozioni positive e negative, tutti i sentimenti di cui si vorrebbe spiegare la bellezza, l'identificazione con la coscienza e' cio' che incatena l'uomo a se stesso; perche' non ci sara' mai un motivo reale di superare nel tempo e nel divenire l'identificazione, diciamo cosi', parmenidea, di essere e coscienza, in quanto essa si propone come la possibilita' e la fonte unica del bene: possibilita' del sentimento e dell'esperimento umano del bene, un sentire il bene che sia insieme anche essere, ed esser vero.
Cio' che puo' provare, il bene e il male, e dunque la coscienza umana, ha in se' tutti i fini, e cio' che ha in se' tutti i fini, non puo' mai servire ad altro, non puo' mai diventare mezzo.
Insomma un paradigma dell'uomo come fine si presta a rimodulazioni infinite di se stesso, ma non mai a nessun superamento, di se stesso.
Invece, se si riuscisse a contemplare la retrospezione del passato, o la primigeneita' e superiorita' "gerarchica" del dato di coscienza sul soggetto come un voluto, ovvero come un effetto e un appagamento della volonta' si potrebbe forse "esaurire" quel tipo di esperienza e voluzione, e iniziare a volere altro.
Intanto vi ringrazio perchè siamo tornati sui binari giusti, purtroppo sto avendo una involuzione che mi sta cominciando a preoccupare, perciò mi prendo un pò di tempo per gestire quella che chiamo la questione intellettuale.
Il tuo intervento Niko è come al solito ricco di spunti.
Mi fa piacere che riecheggi non solo i motivi di Hegel e Kant, ma anche quelli di altri autori a me cari, tirando in ballo il destino (Heidegger) e il superamento del sè (Nietzche).
Mi pare che tu metta nel mix la questione sollevata da Schopenauer.
Schopenauer non segue il modello Hegeliano, ma quello Kantiano, cercando di superare il pericolo di solipsismo latente del Kant.
Introducendo la dimensione della volontà e del suo carattere drammatico e conflittuale, che rende l'inanimato della materia come se fosse cosa vivente.
Naturalmente come sai, questa dimensione viene riadattata da Nietzche proprio in chiave di superamento del sè, cosa che non avviene in Schopenauer, che si ferma ad una noluntas universale.
Quindi mi piace la tua idea di un soggetto che sceglie di essere cento, mille volte cosciente del proprio sè, riadattandolo potenzialmente all'infinito.
Il punto di queste filosofie vitaliste è però che poi si spengono proprio a contatto con la realtà, il loro soggetto, è un soggetto che perisce.
Ora ricostruire questa strada è faticoso. A livello di intuito rozzo te la dico così: queste filosofie sono animate dalla volontà di collassare su se stesse.
Ecco rispetto alla tua filosofia e al netto del suo esito, non mi dispiace.
Diverso però è la questione del soggetto, che in fin dei conti è un pò il banco di prova, a cui la filosofia non ha mai più saputo rispondere dopo.
Infatti tu parli del soggetto come uomo.
Ma l'idea di uomo è un costrutto del soggetto.
Dunque dire soggetto e dire uomo non è la medesima cosa.
Come dire che la tua filosofia non si interroga sulla costruzione che tu sei, che noi siamo.
Il concetto di uomo (e tutte le sue declinazioni filosofanti o scientiste che siano) è un esito.
Di questo esito si tratta di capire le forme di composizione.
Come ci ha spiegato Kant sono le categorie di spazio e tempo, regolate dalla ragione.
La critica contemporanea è destabilizzante, perchè la ragione fruisce delle datità sensibili: e oggi come oggi si è aggiunta la categoria di propriocezione.
Ma se vi fosse la propriocezione come i neo-kantiani suppongono (e i transumanisti seguono, perchè si tratta di neo-kantiani, neo-cartesiani) allora l'intero edificio kantinao imploderebbe.
Perchè se il soggetto è una categoria, e non l'esito di categorie, allora a che servirebbero le categorie?
Lo Hegel va oltre il kant, e si chiede quale sia la funzione della categorie, rispetto all'entità che oggi potremmmo chiamare per estrema semplificazione DIO.
Mentre il Kant non ammette logicamente DIO, lo Hegel lo premette.
Ma appunto entrambi usando categorie fuori dal tempo e fuori dallo spazio e ammettendo invece che l'uomo sia il frutto del pensiero (che poi uno lo chiami ragione e l'altro intelletto non ha per me importanza nessuna).
Rispetto al tuo discorso è vero che la categoria storica nei nostri 2 eroi è secondaria.
Ci sta fare una critica serrata su questo punto.
Ma se la si fa a livello di datità umana, è a mio avviso un errore di metodo. Non si tratta di fare sociologia ( o, come molti sentono il bisogno, di pensare una nuova antropologia), ma di chiedersi da dove veniamo. Mi paiono esigenze differenti non trovi?
Io mi vedo abbastanza costretto a "fare della sociologia", anche se certo non sogno una nuova antropologia, poiché per me c'è una commutabilità e una riflessività -che attende solo di essere disvelata- tra l'intrapsichico e l'interpersonale; intrapsichico e interpersonale che sono due livelli possibili dell'organizzazione dell'umano e del discorso, che, nel profondo, tornano ad essere uno. E direi che c'è anche una priorità ontologica, dell'interpersonale sull'intrapsichico; insomma la genesi del soggetto secondo me non solo è storica, ma è anche politica.
Quello che avviene tra parti, o luoghi, o livelli, della cosiddetta anima, insomma l'auriga platonico alle prese con i suoi cavalli, per fare un esempio celebre, è sempre già avvenuto da qualche parte, o sta avvenendo, o avverrà, allo stesso "livello" di realtà, ma tra persone in carne ed ossa: qualcuno in carne ed ossa farà quello che nella mitica metafora è l'auriga, e a qualcun altro toccherà il ruolo di cavallo.
Insomma, io penso di provenire dal modo in cui gli uomini hanno organizzato il loro vissuto e la loro convivenza, non riesco ad avvertire quel senso di "mistero" che mi sembra avverti tu per concetti come
soggetto, o
Dio.
Non sono molto socratico nell'atteggiamento in merito, perché penso di sapere.
Il mistero, semmai, me lo suscita solo la natura, di cui penso di essere solo una minima, minimissima parte, e per di più destinata a rimanere tale, a rimanere parte, al di là di ogni ricongiungimento mistico o morale.
Citazione di: daniele22 il 28 Marzo 2022, 09:54:30 AMCosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi
Si è così come dici. Ad Hegel non interessa il ruolo della sensazione come questione, che per esempio dà vita al dibattito contemporaneo sul fatto se le sensazioni siano vere o false, di primo o secondo tipo.
Per Hegel la sensazione è reale, e dunque taglia i ponti con tutti i formalismi che dibattono appunto se la realtà sia tale o meno.
E dunque dici molto bene quando parli del fenomeno come relazione tra soggetto-sensazione.
Siamo anche d'accordo sulla prima parte delle tue considerazioni, l'evento e il discorso sono in uno spazio tempo.
Il fenomeno (ciò che appare, ciò che emerge) è dunque categoricamente qualcosa legato alla storia.
Citazione di: niko il 28 Marzo 2022, 14:37:38 PMIo mi vedo abbastanza costretto a "fare della sociologia", anche se certo non sogno una nuova antropologia, poiché per me c'è una commutabilità e una riflessività -che attende solo di essere disvelata- tra l'intrapsichico e l'interpersonale; intrapsichico e interpersonale che sono due livelli possibili dell'organizzazione dell'umano e del discorso, che, nel profondo, tornano ad essere uno. E direi che c'è anche una priorità ontologica, dell'interpersonale sull'intrapsichico; insomma la genesi del soggetto secondo me non solo è storica, ma è anche politica.
Quello che avviene tra parti, o luoghi, o livelli, della cosiddetta anima, insomma l'auriga platonico alle prese con i suoi cavalli, per fare un esempio celebre, è sempre già avvenuto da qualche parte, o sta avvenendo, o avverrà, allo stesso "livello" di realtà, ma tra persone in carne ed ossa: qualcuno in carne ed ossa farà quello che nella mitica metafora è l'auriga, e a qualcun altro toccherà il ruolo di cavallo.
Insomma, io penso di provenire dal modo in cui gli uomini hanno organizzato il loro vissuto e la loro convivenza, non riesco ad avvertire quel senso di "mistero" che mi sembra avverti tu per concetti come soggetto, o Dio.
Non sono molto socratico nell'atteggiamento in merito, perché penso di sapere.
Il mistero, semmai, me lo suscita solo la natura, di cui penso di essere solo una minima, minimissima parte, e per di più destinata a rimanere tale, a rimanere parte, al di là di ogni ricongiungimento mistico o morale.
Per me Dio è una certezza, lo è sempre stato, in quanto il pensiero mi abita fin dall'infanzia.
Diversa è la questione del soggetto, che tu leghi alle relazioni interpersonali.
Ma d'altronde cosa sarebbe questo intra-psichico che dici?
La natura non c'entra niente, essendo essa stessa un esito di categorie del pensiero.
Probabilmente quello che ti manca è proprio la questione della relazione tra sensazione e soggetto.
Per te il soggetto è un soggetto naturale, ma questo non indica nulla di preciso è semplicemente un punto di partenza non pensato, non indagato.
Come dire è il solito pensiero naturalista che infesta l'occidente e che tanti grattacapi mi dà.
Comunque non è che Hegel poi non pensi in termini interpersonali e intrapsichici, è che lo fa da una particolare angolatura metafisica.
Citazione di: green demetr il 30 Marzo 2022, 21:00:35 PMCitazione di: niko il 28 Marzo 2022, 14:37:38 PMIo mi vedo abbastanza costretto a "fare della sociologia", anche se certo non sogno una nuova antropologia, poiché per me c'è una commutabilità e una riflessività -che attende solo di essere disvelata- tra l'intrapsichico e l'interpersonale; intrapsichico e interpersonale che sono due livelli possibili dell'organizzazione dell'umano e del discorso, che, nel profondo, tornano ad essere uno. E direi che c'è anche una priorità ontologica, dell'interpersonale sull'intrapsichico; insomma la genesi del soggetto secondo me non solo è storica, ma è anche politica.
Quello che avviene tra parti, o luoghi, o livelli, della cosiddetta anima, insomma l'auriga platonico alle prese con i suoi cavalli, per fare un esempio celebre, è sempre già avvenuto da qualche parte, o sta avvenendo, o avverrà, allo stesso "livello" di realtà, ma tra persone in carne ed ossa: qualcuno in carne ed ossa farà quello che nella mitica metafora è l'auriga, e a qualcun altro toccherà il ruolo di cavallo.
Insomma, io penso di provenire dal modo in cui gli uomini hanno organizzato il loro vissuto e la loro convivenza, non riesco ad avvertire quel senso di "mistero" che mi sembra avverti tu per concetti come soggetto, o Dio.
Non sono molto socratico nell'atteggiamento in merito, perché penso di sapere.
Il mistero, semmai, me lo suscita solo la natura, di cui penso di essere solo una minima, minimissima parte, e per di più destinata a rimanere tale, a rimanere parte, al di là di ogni ricongiungimento mistico o morale.
Per me Dio è una certezza, lo è sempre stato, in quanto il pensiero mi abita fin dall'infanzia.
Diversa è la questione del soggetto, che tu leghi alle relazioni interpersonali.
Ma d'altronde cosa sarebbe questo intra-psichico che dici?
La natura non c'entra niente, essendo essa stessa un esito di categorie del pensiero.
Probabilmente quello che ti manca è proprio la questione della relazione tra sensazione e soggetto.
Per te il soggetto è un soggetto naturale, ma questo non indica nulla di preciso è semplicemente un punto di partenza non pensato, non indagato.
Come dire è il solito pensiero naturalista che infesta l'occidente e che tanti grattacapi mi dà.
Comunque non è che Hegel poi non pensi in termini interpersonali e intrapsichici, è che lo fa da una particolare angolatura metafisica.
la corrispondenza dell'intrapsichico con l'interpersonale vuol dire semplicemente che i rapporti tra le "parti" che compongono un individuo, in senso fisico ma anche mentale, rimandano a un mondo politico e artificiale di sottostanti rapporti tra individui.
Il corpo fisico è il corpo sociale, come nella metafora di Menenio Agrippa, per dire e per fare un esempio, senza necessariamente accettare e condividere i dettagli o i fini di tale metafora.
Si può non ben accettare questo mio pensiero, mentre invece è abbastanza innegabile che per indagare l'unità che appare essere l'individuo, dobbiamo in qualche modo suddividerla in parti, e osservare i rapporti tra tali parti, e appare abbastanza innegabile che la società sia composta da individui, da cui la mia idea, che si configura come una sorta di
sospetto, nel senso filosofico del termine.
Solo così, secondo me, l'uomo si smarca e si differenzia dalla natura, con la produzione dell'artificio e dell'artificiale nel suo io e nelle sue relazioni; natura che non è certo un prodotto delle categorie del pensiero, se non appunto secondo Hegel, come decisione dell'idea assoluta.
Se non abbiamo la fortuna/sfortuna di essere Hegel, ci appare a (quasi) tutti abbastanza ovvio, che il pensiero deriva dalla natura e non il contrario.
La relazione tra la sensazione e il soggetto è mediata socialmente, non mi convince molto indagare la relazione tra la sensazione e il soggetto in modo primigenio e non contestualizzato, come se la società non esistesse, come mi sembra che faccia Hegel, e poi da tutte le complicazioni della relazione tra la sensazione e il soggetto considerate inizialmente in astratto e in assoluto, dedurre a posteriori la concretezza della società.
Se Dio è tutto, come dici in un altro argomento, noi siamo la minima parte di Dio, ovvero la minima parte del tutto, e non ci sarà un destino di
riunione o di
ritorno all'uno, tra noi e il tutto che è Dio, separati siamo, e separati resteremo, da cui la mia personale, di sensazione di mistero, tranne che ovviamente al posto del Dio-tutto, in cui non credo, io considero la natura-tutto.
Citazione di: green demetr il 30 Marzo 2022, 20:53:22 PMCitazione di: daniele22 il 28 Marzo 2022, 09:54:30 AMCosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi
Si è così come dici. Ad Hegel non interessa il ruolo della sensazione come questione, che per esempio dà vita al dibattito contemporaneo sul fatto se le sensazioni siano vere o false, di primo o secondo tipo.
Per Hegel la sensazione è reale, e dunque taglia i ponti con tutti i formalismi che dibattono appunto se la realtà sia tale o meno.
E dunque dici molto bene quando parli del fenomeno come relazione tra soggetto-sensazione.
Siamo anche d'accordo sulla prima parte delle tue considerazioni, l'evento e il discorso sono in uno spazio tempo.
Il fenomeno (ciò che appare, ciò che emerge) è dunque categoricamente qualcosa legato alla storia.
Resta da chiedersi dove e come Hegel collochi spazialmente e temporalmente la sensazione rispetto alle facoltà della ragione. Quando Kant parla di sensibilità di cosa parla? Parla di cose esperibili nell'ambiente tramite i sensi o di cose che provocano una sensazione?
Da cosa è determinato il tempo secondo il punto di vista dell'individuo? A mio giudizio è determinato dal suo assoggettarsi ad un ordine di attenzione che può durare da un secondo fino a tutta la sua vita. Nell'arco di una giornata, quale intreccio di ordini di attenzione subisce l'individuo nel suo procedere? A mio vedere tutti questi ordini di attenzione sarebbero di natura psichica soprattutto perché spesso li abbattiamo (tipo l'animalista che ammazza una zanzara). Sarebbero cioè dovuti dalla sensazione più che dalla ragione.
Mi sembra che i due filosofi, per quel poco che ricordo di loro, partano dal presupposto per me errato che le cose esistano e siano indagabili, quando invece sarebbero per me subite e successivamente indagabili. Nel senso, che per esistere esse debbano imporsi attraverso la sensazione e non attraverso la ragione. Pertanto, se Hegel colloca la sensazione temporalmente a valle della comprensione si troverebbe di sicuro in errore, sempre per come la vedo io
Sono numerose le considerazioni che sorgono dalla Fenomenologia dello spirito di Hegel.
Vi sono problematiche sia di contenuti che di metodi.
Se la modernità pone il problema della soggettività e oggettività, dividendole, separandole, in Hegel la triade dialettica che nasce da tesi-antitesi-e arriva alla sintesi è applicabile a tutte le triadi che Hegel espone in Fenomenologia.
Ma cosa contraddistingue Hegel è la fiducia nel pensiero. Quel pensiero che Anassagora per primo pose come Nous, a fondamento della verità.
In Hegel vi è la fiducia che il pensiero soggettivo e l'oggetto del pensiero siano per intrinseca verità del fondamento certa ed assoluta, in quanto a fondamento degli universali vi è il pensiero. Per questo Hegel venne definito anche come "l'ultimo dei greci". Nella modernità invece prima si separa il soggetto dall'oggetto, entrando nel psicologismo soggettivo che contribuisce a individualizzare la conoscenza e ponendo direttamente o indirettamente nell'agone politico culturale uno dei principi di separazione fra individui e società, cioè ogni umano è un pensiero diverso e diviso e anche lontano da una verità oggettiva. Questo nichilismo moderno devastante negando qualunque forma di verità, diventa un piatto freddo nel formalismo logico che non si esaurisce quando si lega alle determinazioni naturali , finendo con negare di fatto qualunque fondamento e creando e proliferando nel paradosso e aporie i fondamenti delle scienze che sono privi di fondamenta, come palafitte prive di fondamenta nel terreno .
Hegel è una particolarità come pensiero filosofico culturale e per quanto il suo pensiero dialettico negativo quando ritiene di giungere ad una certezza di verità, si pone in una ingenua allegoria della realtà, poiché non è chiaro come e perché il risultato delle triadi debbano essere la verità; ma quanto meno ha capito che il pensiero non può nascere disancorato da una oggettività chiamata realtà. Il pensiero è necessariamente adeguato all'oggetto, diversamente non si capisce a cosa ci servirebbe. Le determinazioni della logica quindi sono già adeguate al passaggio fra intenzione e natura nella costruzione delle logiche. In Hegel quindi vi è un il pensiero primordiale e fondante di tutta la creazione naturale e questo rapporto fra pensiero e materia fisica naturale è tradotta nel metodo della logica dialettica, come esplorazione scientifica di tesi e antitesi , di processi di confronto per giungere ad una sintesi di verità. In altri termini la logica dialettica negativa di Hegel arriva alle sintesi della ragione attraverso il moto della coscienza umana che pone l'lemto concreto della materia fisica insieme al pensiero nei procedimenti deduttivi ,fino a giungere in Fenomenologia allo Spirito, come verità assoluta.
Ben ritrovato Paul11 ... dall'aforisma 291 è passata un po' d'acqua sotto i ponti ... Se ho ben inteso il senso del tuo discorso Hegel mise in luce la soggettività del pensiero senza chiedersi se l'oggetto del pensiero, pur trovando riscontri sensibili tali da definirlo oggettivo, fosse esso stesso soggettivo. Per come la vedo io invece, l'oggetto tangibile, sia esso un tavolo, o la "guerra del Vietnam", può produrre pensieri soggettivi che emergono da preoccupazioni interiori altrettanto soggettive. Cioè il soggetto realizza mentalmente l'oggetto senza che ciò comporti necessariamente che altri debbano, vogliano, o possano compiere lo stesso atto di realizzazione. Ovvio che ci sono molte cose che tutti realizziamo, i maestri della pubblicità ben sanno questa cosa.
Si negava all'epoca il fondamento emotivo della conoscenza, come del resto ancor oggi, almeno in stretto ambito filosofico
La soggettività e in quanto tale la divisione fra soggetto e oggetto, fra agente conoscitivo e ciò che dovrebbe essere appreso per conoscenza, sono separazioni che avvengono in epoca moderna da Cartesio in poi fino allo psicologismo soggettivo.
Hegel invece è fuori da questa divisione . E' assurdo che l'uomo conosca e attraverso la tecnica modella la realtà fisica e naturale e allo stesso tempo pensare che soggetto ed oggetto siano divisi.
La fenomenologia di Husserl tenterà questa ricostituzione fra analitica gnoseologica fino allo psicologismo e logica.
Se funziona nella realtà il pensiero che trasforma il fisico naturale, significa che il pensiero, il NOUS di Anassagora è colui che modella la fisica e la natura e l'accompagna, come forma e sostanza dirà Aristotele. La decostruzione che avviene nella modernità da parte dei filosofi, tranne una minoranza, fallisce teoricamente e praticamente.
Non è una questione meramente emotiva e in quanto tale psicologica, è una questione fra logica e metafisica, fra realtà e logica, il pensiero razionale.
Hegel essenzialmente dice che la il pensiero umano non può che nascere da una natura e a sua volta da un fondamento universale, diversamente da dove mai verrebbe il pensiero?
Il pensiero umano quindi è la forma conoscitiva della realtà.
Fra i numerosi errori dei moderni vi è l'interpretazione sulla metafisica che verrà abiurata e distorta.
Le idee di Platone, tanto per essere chiari, sono e appartengono al dominio del sensibile, non sono oltre, non sono pura astrattezza che non esiste, questa è l'interpretazione falsa dei moderni.
Il pensiero è necessariamente legato alla realtà e la realtà appartiene all'universo sensibile.
Ciò che dicevano i greci e in fondo anche Hegel ,è che le forme, che sono le idee, sono l'essere, sono l'ontologia metafisica, se tutto ciò viene annullato culturalmente, rimane solo l'involucro materiale che ha perso il pensiero, la forma che lo accompagna.
Tanto per capirci, un sasso, un albero, un animale, sono prima di tutto un pensiero e poi la sostanza fisica e materiale. Dividere il pensiero dal sensibile significa non sapere più collegare e riunire la forma e la sostanza, il pensiero e la realtà. Per questo lo spirito di Hegel in Fenomenologia corrisponde alla ragione assoluta.
La scienza sperimentale galileana, per indagare la realtà usa la ragione e non solo le mani, gli occhi, le orecchie. E quando scriviamo in simboli matematici una formula fisica e naturale, abbiamo sintetizzato nel pensiero logico un fenomeno fisico.
Quindi per capire Hegel bisogna prima di tutto sapere che era convinto che l'universo fosse fondato sulla ragione. Se tolgo la forma del pensiero, rimane la solo materia che diviene e sparisce, priva di senso. E' la forma, è il pensiero che costruisce gli eterni.
La logica dialettica scelta da Hegel e costituita da triadi (tesi-antitesi fino alla sintesi) tenta di superare la logica analitica che era aristotelica , ai tempi di Hegel non c'era ancora la logica moderna proposizionale di Frege, Russell, ecc.. Hegel ritiene che i contrari (tesi e antitesi), o si potrebbe dire un pensiero e la negazione di quel pensiero (l'antitesi come negazione della tesi),sono la metafora del mondo sensibile, dove tutto tende al contrasto, allo scontro fra contrari .
Hegel ritiene che la logica dialettica, con la sua negatività antitetica, sia superiore alla logica analitica: il contrario di quanto pensava Aristotele.
Paul11, citandoti:
La soggettività e in quanto tale la divisione fra soggetto e oggetto, fra agente conoscitivo e ciò che dovrebbe essere appreso per conoscenza, sono separazioni che avvengono in epoca moderna da Cartesio in poi fino allo psicologismo soggettivo.
Hegel invece è fuori da questa divisione . E' assurdo che l'uomo conosca e attraverso la tecnica modella la realtà fisica e naturale e allo stesso tempo pensare che soggetto ed oggetto siano divisi.
Non capisco come Hegel abbia potuto esser fuori da tale divisione quando la nostra stessa lingua sta dentro a questa separazione tra soggetto e oggetto. Non esiste lingua umana che sfugga a tale legge, mi sembra che almeno in questo Chomsky sia chiaro. A meno che Hegel non si sia posto dal punto di vista di Dio che tutto comprende in un'unica unità "del conoscente il quale conosce". Ma noi non siamo Dio, posto che esista. Il nostro pensiero non può permettersi di tenere uniti conoscente e conosciuto, altrimenti scivola nella metafisica. E che ce ne facciamo della metafisica al giorno d'oggi?
Husserl, per quel po' che ricordo forse aveva visto giusto, ma forse non è riuscito ad analizzare in modo fecondo l'idea delle "cose così come ci appaiono"
Il linguaggio è quella innanzitutto forma in cui il pensiero costruisce simboli significanti, semantiche, dentro regole sintattiche formali. Vale a dire che le forme conoscitive astratte, oltre alla logica inserirei matematiche e geometrie , hanno regole che almeno apparentemente sembrerebbero fuori dall'ambito fisico e naturale .
Separare e dividere il soggetto dall'oggetto significa ritenere che vi sono due origini e fondamenti distinti: due nature diverse. Hegel non pensa affatto a questo , è di tutt'altro e contrario pensiero.
Filosoficamente non ha senso, se non un riduzionismo tipicamente fisicalista moderno e postmoderno. Il problema non è essere o non essere "Dio" e conoscere o meno il "suo" punto di vista. Il problema è se logica geometria e matematica hanno partecipato a concreti fatti di conoscenze, se costituiscono e costruiscono un sapere e questo nessuno può negarlo, per cui è ovvia la conseguenza che fra soggetto ed oggetto viè una data corrispondenza.
Cosa è la metafisica? Hegel risponde in maniera totalmente diversa ed opposta rispetto ai moderni. Semmai i moderni hanno volutamente falsificato la metafisica filosofica per poter far credere tesi utilitaristiche ,più che onestamente filosofiche.
Che cosa è il pensiero in sé ? E' forse riconducibile alla fisica? Lo puoi vedere, toccare, appartiene al dominio del sensibile? No, affatto. Quindi .....?
Ma Chomsky pensa quando sostiene il contrario dell'evidenza che presuppone il suo pensiero di negare la relazione fra soggetto ed oggetto? Quando un fisicalista ,un riduzionista, nega ad esempio la coscienza come esistente, quel suo stesso asserto come è costruito e da dove nasce? E' come dire che Tizio pensa ,parla e dice di conoscere e nega la propria coscienza e il proprio dire seppur affermando? Un assurdo, prima ancora di essere un paradosso, un'aporia. Una coscienza che nega la sua stessa esistenza? A questa è arrivata l'analitica pseudofilosofica(perchè non è filosofia, è esercizio puramente formalistico della logica).
Se non è la coscienza cosa costruisce il pensiero? La coscienza è il soggetto dell'intera opera hegeliana della Fenomenologia. Cosa dice in proposito Chomsky, afferma senza sapere la natura del pensiero? Pensa senza sapere di pensare o peggio non sa cosa sia ontologia del pensiero.
Quando è il LOGOS che muove l'intero pensiero filosofico è chiaro che nella modernità e spesso nell'analitica che troviamo l'antifilosofia. Filosofia(tesi)-antifilosofia(antitesi)- Sintesi (?).
Sintetizzando.
Hegel ritiene la logica aristotelica analitica non all'altezza per la filosofia, e ritiene la logica dialettica superiore all'analitica (sillogistica ).
Il soggetto fondamentale conoscitivo in Hegel è la coscienza che diverrà autocoscienza.
Soggetto e oggetto non sono così distinti, bensì sono intimamente connessi.
Sintetizzando.
Hegel ritiene la logica aristotelica analitica non all'altezza per la filosofia, e ritiene la logica dialettica superiore all'analitica (sillogistica ).
Il soggetto fondamentale conoscitivo in Hegel è la coscienza che diverrà autocoscienza.
Soggetto e oggetto non sono così distinti, bensì sono intimamente connessi.
Citazione di: paul11 il 21 Aprile 2022, 23:50:28 PMIl linguaggio è quella innanzitutto forma in cui il pensiero costruisce simboli significanti, semantiche, dentro regole sintattiche formali. Vale a dire che le forme conoscitive astratte, oltre alla logica inserirei matematiche e geometrie , hanno regole che almeno apparentemente sembrerebbero fuori dall'ambito fisico e naturale .
Separare e dividere il soggetto dall'oggetto significa ritenere che vi sono due origini e fondamenti distinti: due nature diverse. Hegel non pensa affatto a questo , è di tutt'altro e contrario pensiero.
Sono intervenuto in questo topic per curiosità, non conoscendo Hegel. Green Demetr aveva cercato di darmi qualche nozione introducendo la questione della "sensazione". Ho voluto semplicemente inquadrare la "sensazione" per come questa debba collocarsi temporalmente rispetto all'intelletto per quel che riguarda il fenomeno dell'apprendimento di qualsiasi nozione.
Ho citato Chomsky solo per evidenziare quali siano le strutture generali delle lingue umane. Non condivido affatto la sua sentenza che pone il linguaggio umano come qualcosa di diverso dalle lingue animali.
Il linguaggio, secondo me sarebbe innanzitutto un sistema comunicativo e non un qualcosa (una forma) che costruisce simboli. Quello che fa il linguaggio è il servirsi di generalizzazioni che noi umani percepiamo nel mondo riversandole nel mondo in forma di parole e discorsi. La forma "lingua", nella sua sintassi e morfologia risulterebbe del tutto spontanea e non un'emersione intruppata da grammatiche imposte da noi. Logica, matematica e geometria sono invece tentativi di intruppamento, utili a conseguire dei risultati come si vede, ma le loro pretese a volte sconfinano nella metafisica, ovvero corrispondono ad una pretesa di conoscere ciò che risulta essere a noi incomprensibile, e a volte tale pretesa è addirittura fuorviante. La similitudine che io vedo è quella che una cosa è parlare, quindi usare concetti astratti come "albero", altra cosa è parlare in riferimento a tali termini introducendo concezioni che fanno uso di termini "astratti" astraendoli da astrazioni, come il termine "albero" appunto, che fanno riferimento a oggetti più squisitamente sensibili ... Esempio: "albero" che genera "botanica", oppure "regno vegetale" etc etc.
Coscienza. Il termine è sicuramente problematico, però esistono dei contesti in cui tutti accettano in modo pienamente condiviso il senso di tale parola. Si parla infatti di essere coscienti, di agire secondo coscienza .... e fin qui mi sembra che tra individui non vi siano incomprensioni. Questi modi di dire si rifanno certamente alla coscienza come a qualcosa che ha a che fare con la consapevolezza o conoscenza. Come si costituirebbe dunque questo spirito, questa coscienza? Solo in un assemblaggio di parole, dato che il nostro pensiero attivo, ovvero quello che si contrappone al ricordo si forma solo tramite le parole. Da dove nascono le parole? Dalla "sensazione" dico io, la quale ci permette tramite la ragione (capacità conferita dalla conoscenza) e i sensi di trovare ciò che la produce. Una generalizzazione di quel che si è trovato a giustificazione di una "sensazione" può appoggiarsi al gradino di una parola già esistente oppure può produrre una nuova parola
Le lingue: italiano e quindi latino, cinese e giapponese, così come pittogrammi, parole con i fonemi, geroglifici, ecc. sono diverse forme di costruzione di lingue . La sintassi dell'inglese è più semplice delle lingue latine. E le parole specifiche differiscono nelle lingue per la loro profondità. Ad esempio vi sono termini in tedesco intraducibili in italiano con una sola parola.
Il linguaggio è qualcosa di più di innatezza e razionalità, è qualcosa di più di un fonema che deriva da un suono, è qualcosa di più di informazione e comunicazione, pur essendo tutto questo, perché è malleabile, nel senso che vi sono neologismi, termini arcaici che non si usano più, sinergie con altre lingue, dialetti, ecc. E in più vi è la gestualità.
Comunque, tutto ciò è complesso e meriterebbe una discussione a parte.
Ritornando ad Hegel ,ritiene quindi l'induzione e la deduzione, come l'analitica aristotelica "vecchia", pensando che la dialettica sia la vera forma e il metodo più razionale.
Il ragionamento sillogistico si origina da una proposizione iniziale che si presume vera, da proposizioni medie che specificano alcune relazioni con il soggetto argomentato nella proposizione iniziale ,per arrivare ad una conclusione. Informaticamente diremmo che il sillogismo si riassume negli istruzioni IF-Then cioè in SE-Allora .C'è una iniziale condizione che apre un ragionamento, altri dati che ne sono attinenti e possono anche essere falsi e infine si deduce una conclusione.
Qual è il problema? Che tutte le leggi, ribadisco tutte, sono tautologie, assiomi, enunciati, postulati che dovrebbero essere in teoria primitivi, cioè non si può argomentare oltre in quanto dovrebbero essere EVIDENZE e in quanto tale riconosciute dalla comunità come assodate, come dimostrate vere dall'esperienza. E questa è la scienza moderna nel dominio del sensibile.
Ma non è altrettanto vero che i primitivi che formano la base della geometria ,della matematica ,della logica sono vere, evidenti, dimostrate. Semplicemente perché sono astrazioni che non sono nel dominio del sensibile. Per essere chiari la costruzione di una figura geometrica e quindi le proporzioni fra angoli e lati, ecc, o i numeri della matematica e le regole della somma e della moltiplicazione, ecc, o le parole e le regole sintassiche , fuoriescono completamente dal dominio naturale e fisico, quindi da quel sensibile che EVIDENZA che DIMOSTRA visivamente con la prova dell'esperimento, ecc.
Questo è l'assurdo. Le forme conoscitive umane non hanno, almeno in apparenza, a che fare direttamente con il dominio naturale e fisico che determina, che evidenza, che prova, che è esperienza. Invece le figure geometriche, i simboli numerici, i segni delle parole, che grazie a loro hanno costruito e costituito la cultura e le pratiche della tecnica, delle invenzioni, delle scoperte scientifiche, da sole non provano ,non evidenziano, non dimostrano.
E' allora in questa differenza che la cultura fa compromessi e scelte irrazionali.
Che senso ha dire che un fenomeno, una meteora, un pianeta, un cometa, è calcolabile nella sua traiettoria e si può desumere il suo peso massa, ecc. ma non posso parlare di Dio perché sarebbe metafisica? Un esopianeta, un pianeta visibile solo da strumentistica astrofisica può dimostrare, ma la parola umana non può parlare di Dio? L'esopianeta è astrofisica e quindi scienza ,mentre Dio è teologia e metafisica?
Mi sovviene allora un dubbio. Non è che perché tutto è calcolabile geometricamente e matematicamente così come l'analitica della parola calcola secondo le tavole della verità di Wittgenstein le proposizioni se sono vere o false, mentre le cose incalcolabili sono metafisica?
Hegel fa un ragionamento simile al mio quando boccia la razionalità costruita sull'analitica.
L'analitica fa calcoli di evidenza ,dimostrazione, di vero o falso, di cose solo calcolabili, riconducibili a quantità. Tutto ciò che è fuori dal calcolo, l'incalcolabile o non esiste per la cultura del calcolo, o non si può parlarne: assurdo.
Una guerra è ponderabile o appartiene all'imponderabile? La meccanica quantistica ha esaltato il calcolo delle probabilità, come se le cose che accadono, gli eventi, fossero date da un Dio che gioca a dadi (come disse Einstein).
Bisogna riflettere attentamente queste cose se si vuol fare filosofia "vera".
La scienza moderna con il calcolo ha potere poiché dovrebbe predire gli eventi attraverso il calcolo ,non certo attraverso l'arte divinatoria degli antichi indovini.
Ma che cosa predice la scienza? Ciò che è solo evidenza naturale e fisica, anzi sbagliando e continuamente affinandosi nei calcoli; ma ben poco o nulla nel mondo della cultura umana. Chi sa predire gli andamenti finanziari e borsistici, gli andamenti politici, ecc. Entriamo nel campo dell'imponderabile in cui infatti la scienza, non capendoci molto di scienza umana, definendo l'uomo come irrazionale nel suoi comportamenti ,cerca di giustificare la sua mancanza di poter calcolare e predire un comportamento.
I termini psiche, coscienza, anima che un tempo erano nobili, con la modernità sono diventati uno zerbino per pulirci la lingua.
Citazione di: daniele22 il 28 Marzo 2022, 09:54:30 AMLa differenza che si pongono è proprio per la riflessione sulla sensazione.
Prima di Kant ed Hegel, la filosofia partiva dalle sensazioni, all'università si fanno i nomi di locke hume e berkley.
Il pensiero era un di più: un costrutto delle sensazioni.
Ma le riflessioni dei 3 erano tutt'altro che banali rispetto al transumanesimo moderno.
Al netto del mio giudizio personale, però si parla di rivoluzione kantiana, proprio perchè per la prima volta si ammette che è il pensiero che decide delle sensazioni.
I livelli di percezione sono indagati rispetto a dei livelli di astrazione il primo che possiamo dire riguarda l'organizzazione delle sensazioni, e il secondo che riguarda l'organizzazione stessa.
Quindi una organizzazione delle organizzazioni, potremmo dire con un brutto giro di parole.
Prima di Kant questa esigenza non vi era, il primo a insinuare il dubbio sulla organizzazione delle organizzazioni fu Cartesio invero, da cui Kant prende spunto senza dubbio.
La domanda di cartesio infatti era e se l'organizzazione delle organizzazioni fosse un demone maligno cosa succederebbe? ;)
Diciamo che queste cose Hegel le spazza via all'inizio della fenomenologia, dicendo che queste cose (sul percetto) non gli interessano.
Quindi effettivamente al giorno d'oggi Hegel è poco interessante per i più (meglio kant come ho già detto sopra a niko)
Hegel è interessante per la questione della relazione fra DIO e SOGGETTO, laddove si DEVE capire che nessuno sa cosa sia DIO e cosa sia il SOGGETTO. Entrambi i concetti sono "eventualità in fieri".
Cose lontanissime dal dibattito contemporaneo. ;)
Cosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi
E' il contrario, ad Hegel interessa l'evento del fenomeno, non la sua genesi sensibile come pare piace a te (e per cui la società n..ista contemporanea ti trascinerebbe verso il transumano, con buona pace della fede).
Citazione di: niko il 30 Marzo 2022, 23:19:17 PMPer me Dio è una certezza, lo è sempre stato, in quanto il pensiero mi abita fin dall'infanzia.
Diversa è la questione del soggetto, che tu leghi alle relazioni interpersonali.
Ma d'altronde cosa sarebbe questo intra-psichico che dici?
La natura non c'entra niente, essendo essa stessa un esito di categorie del pensiero.
Probabilmente quello che ti manca è proprio la questione della relazione tra sensazione e soggetto.
Per te il soggetto è un soggetto naturale, ma questo non indica nulla di preciso è semplicemente un punto di partenza non pensato, non indagato.
Come dire è il solito pensiero naturalista che infesta l'occidente e che tanti grattacapi mi dà.
Comunque non è che Hegel poi non pensi in termini interpersonali e intrapsichici, è che lo fa da una particolare angolatura metafisica.
la corrispondenza dell'intrapsichico con l'interpersonale vuol dire semplicemente che i rapporti tra le "parti" che compongono un individuo, in senso fisico ma anche mentale, rimandano a un mondo politico e artificiale di sottostanti rapporti tra individui.
Il corpo fisico è il corpo sociale, come nella metafora di Menenio Agrippa, per dire e per fare un esempio, senza necessariamente accettare e condividere i dettagli o i fini di tale metafora.
Si può non ben accettare questo mio pensiero, mentre invece è abbastanza innegabile che per indagare l'unità che appare essere l'individuo, dobbiamo in qualche modo suddividerla in parti, e osservare i rapporti tra tali parti, e appare abbastanza innegabile che la società sia composta da individui, da cui la mia idea, che si configura come una sorta di sospetto, nel senso filosofico del termine.
Solo così, secondo me, l'uomo si smarca e si differenzia dalla natura, con la produzione dell'artificio e dell'artificiale nel suo io e nelle sue relazioni; natura che non è certo un prodotto delle categorie del pensiero, se non appunto secondo Hegel, come decisione dell'idea assoluta.
Se non abbiamo la fortuna/sfortuna di essere Hegel, ci appare a (quasi) tutti abbastanza ovvio, che il pensiero deriva dalla natura e non il contrario.
La relazione tra la sensazione e il soggetto è mediata socialmente, non mi convince molto indagare la relazione tra la sensazione e il soggetto in modo primigenio e non contestualizzato, come se la società non esistesse, come mi sembra che faccia Hegel, e poi da tutte le complicazioni della relazione tra la sensazione e il soggetto considerate inizialmente in astratto e in assoluto, dedurre a posteriori la concretezza della società.
Se Dio è tutto, come dici in un altro argomento, noi siamo la minima parte di Dio, ovvero la minima parte del tutto, e non ci sarà un destino di riunione o di ritorno all'uno, tra noi e il tutto che è Dio, separati siamo, e separati resteremo, da cui la mia personale, di sensazione di mistero, tranne che ovviamente al posto del Dio-tutto, in cui non credo, io considero la natura-tutto.
Quando Hegel parla della natura come prodotto dell'assoluto, intende dire dell'assolutamente altro.
Questo punto che abbiamo già letto nella discussione, è invero quello che la filosofia contemporanea non riesce a leggere.
La natura tutto, che descrivi, è comunque indagabile, Dio è un tutto non indagabile.
Da qui la differenza sulla questione dell'uomo, questione per i transumanisti di organizzazione politica di subalternità e neo-feudalesimo (indagabile scientificamente), per gli umanisti invece è questione di senso (indagabile umanamente).
Non vi può essere alcuna pax, per inciso, come invece massimi filosofi come Cacciari o Sini credono.
Citazione di: daniele22 il 31 Marzo 2022, 09:28:47 AMSi è così come dici. Ad Hegel non interessa il ruolo della sensazione come questione, che per esempio dà vita al dibattito contemporaneo sul fatto se le sensazioni siano vere o false, di primo o secondo tipo.
Per Hegel la sensazione è reale, e dunque taglia i ponti con tutti i formalismi che dibattono appunto se la realtà sia tale o meno.
E dunque dici molto bene quando parli del fenomeno come relazione tra soggetto-sensazione.
Siamo anche d'accordo sulla prima parte delle tue considerazioni, l'evento e il discorso sono in uno spazio tempo.
Il fenomeno (ciò che appare, ciò che emerge) è dunque categoricamente qualcosa legato alla storia.
Resta da chiedersi dove e come Hegel collochi spazialmente e temporalmente la sensazione rispetto alle facoltà della ragione. Quando Kant parla di sensibilità di cosa parla? Parla di cose esperibili nell'ambiente tramite i sensi o di cose che provocano una sensazione?
Da cosa è determinato il tempo secondo il punto di vista dell'individuo? A mio giudizio è determinato dal suo assoggettarsi ad un ordine di attenzione che può durare da un secondo fino a tutta la sua vita. Nell'arco di una giornata, quale intreccio di ordini di attenzione subisce l'individuo nel suo procedere? A mio vedere tutti questi ordini di attenzione sarebbero di natura psichica soprattutto perché spesso li abbattiamo (tipo l'animalista che ammazza una zanzara). Sarebbero cioè dovuti dalla sensazione più che dalla ragione.
Mi sembra che i due filosofi, per quel poco che ricordo di loro, partano dal presupposto per me errato che le cose esistano e siano indagabili, quando invece sarebbero per me subite e successivamente indagabili. Nel senso, che per esistere esse debbano imporsi attraverso la sensazione e non attraverso la ragione. Pertanto, se Hegel colloca la sensazione temporalmente a valle della comprensione si troverebbe di sicuro in errore, sempre per come la vedo io
Non lo abbiamo ancora letto, ma l'avevo letto io tempo prima, Hegel parte, come però già detto all'infinito, proprio dalla sensazione, non ha bisogno di indagarla come invece astutamente la filosofia contemporanea cincischia a soffermarsi (senza ovviamente trovare il bandolo della matassa, se non tramite la supposizione scientifica).
La vera partenza sia di Kant che di Hegel è invece la temporalità, per Kant essa è un pre-categorico, Hegel invece ne fa una problematica, a cui noi rispondiamo tramite le categorie universali, come hai detto giustamente anche tu, il soggetto è a valle.
Dunque ricordi male, Kant e Hegel sono d'accordo con te ;)
Citazione di: paul11 il 21 Aprile 2022, 00:31:13 AMSono numerose le considerazioni che sorgono dalla Fenomenologia dello spirito di Hegel.
Vi sono problematiche sia di contenuti che di metodi.
Se la modernità pone il problema della soggettività e oggettività, dividendole, separandole, in Hegel la triade dialettica che nasce da tesi-antitesi-e arriva alla sintesi è applicabile a tutte le triadi che Hegel espone in Fenomenologia.
Ma cosa contraddistingue Hegel è la fiducia nel pensiero. Quel pensiero che Anassagora per primo pose come Nous, a fondamento della verità.
In Hegel vi è la fiducia che il pensiero soggettivo e l'oggetto del pensiero siano per intrinseca verità del fondamento certa ed assoluta, in quanto a fondamento degli universali vi è il pensiero. Per questo Hegel venne definito anche come "l'ultimo dei greci". Nella modernità invece prima si separa il soggetto dall'oggetto, entrando nel psicologismo soggettivo che contribuisce a individualizzare la conoscenza e ponendo direttamente o indirettamente nell'agone politico culturale uno dei principi di separazione fra individui e società, cioè ogni umano è un pensiero diverso e diviso e anche lontano da una verità oggettiva. Questo nichilismo moderno devastante negando qualunque forma di verità, diventa un piatto freddo nel formalismo logico che non si esaurisce quando si lega alle determinazioni naturali , finendo con negare di fatto qualunque fondamento e creando e proliferando nel paradosso e aporie i fondamenti delle scienze che sono privi di fondamenta, come palafitte prive di fondamenta nel terreno .
Hegel è una particolarità come pensiero filosofico culturale e per quanto il suo pensiero dialettico negativo quando ritiene di giungere ad una certezza di verità, si pone in una ingenua allegoria della realtà, poiché non è chiaro come e perché il risultato delle triadi debbano essere la verità; ma quanto meno ha capito che il pensiero non può nascere disancorato da una oggettività chiamata realtà. Il pensiero è necessariamente adeguato all'oggetto, diversamente non si capisce a cosa ci servirebbe. Le determinazioni della logica quindi sono già adeguate al passaggio fra intenzione e natura nella costruzione delle logiche. In Hegel quindi vi è un il pensiero primordiale e fondante di tutta la creazione naturale e questo rapporto fra pensiero e materia fisica naturale è tradotta nel metodo della logica dialettica, come esplorazione scientifica di tesi e antitesi , di processi di confronto per giungere ad una sintesi di verità. In altri termini la logica dialettica negativa di Hegel arriva alle sintesi della ragione attraverso il moto della coscienza umana che pone l'lemto concreto della materia fisica insieme al pensiero nei procedimenti deduttivi ,fino a giungere in Fenomenologia allo Spirito, come verità assoluta.
Non è che la verità è allegorica, è che la verità ossia sintesi, è semplicemente un passaggio intermedio del vero procedere della realtà ossia la sua continua negazione, ossia la sua continua dissipazione nel tempo.
Questo punto come abbiamo già letto nelle prime pagine dell'introduzione, è fonte di continui fraintendimenti, a mio parere Hegel nel tentativo di superare i formalismi di ieri (come di oggi, perchè niente è cambiato) crea lo strumento del concetto dell'assoluto, che ho criticato immediatamente, perchè era ovvio che avrebbe portato guai infiniti, finora abbiamo visto quattro concetti che sono sostanzialmente dei sinonomi, e l'unico che mi sembra corretto è quello del negativo).
Ma non è l'assoluto religioso certo, bensì l'assolutamente altro da sè.
Citazione di: daniele22 il 21 Aprile 2022, 10:31:24 AMBen ritrovato Paul11 ... dall'aforisma 291 è passata un po' d'acqua sotto i ponti ... Se ho ben inteso il senso del tuo discorso Hegel mise in luce la soggettività del pensiero senza chiedersi se l'oggetto del pensiero, pur trovando riscontri sensibili tali da definirlo oggettivo, fosse esso stesso soggettivo. Per come la vedo io invece, l'oggetto tangibile, sia esso un tavolo, o la "guerra del Vietnam", può produrre pensieri soggettivi che emergono da preoccupazioni interiori altrettanto soggettive. Cioè il soggetto realizza mentalmente l'oggetto senza che ciò comporti necessariamente che altri debbano, vogliano, o possano compiere lo stesso atto di realizzazione. Ovvio che ci sono molte cose che tutti realizziamo, i maestri della pubblicità ben sanno questa cosa.
Si negava all'epoca il fondamento emotivo della conoscenza, come del resto ancor oggi, almeno in stretto ambito filosofico
Riprendo la buona risposta di Paul, aggiungendo che la logica che arriva al logos, ossia pensiero di pensiero (come nella metafisica aristotele indica), non è di tipo dialattico, bensì inferenziale.
Come ha spiegato molto bene Sini, nello stesso momento in america e europa, si arrivava alle stesse conclusioni, tramite Peirce ed Hegel.
Noi possiamo pensare il mondo, non tramite visioni a posteriori del soggetto, perchè quelle visioni sottostanno alla dialettica (o all'analitica nel tuo caso), bensì proprio nel fatto che si è costretti ad ammettere qualcosa prima di ogni-cosa.
Se io penso in una data maniera vuol dire che quel pensiero esiste (Cartesio).
Citazione di: paul11 il 21 Aprile 2022, 13:27:53 PMLa soggettività e in quanto tale la divisione fra soggetto e oggetto, fra agente conoscitivo e ciò che dovrebbe essere appreso per conoscenza, sono separazioni che avvengono in epoca moderna da Cartesio in poi fino allo psicologismo soggettivo.
Hegel invece è fuori da questa divisione . E' assurdo che l'uomo conosca e attraverso la tecnica modella la realtà fisica e naturale e allo stesso tempo pensare che soggetto ed oggetto siano divisi.
La fenomenologia di Husserl tenterà questa ricostituzione fra analitica gnoseologica fino allo psicologismo e logica.
Se funziona nella realtà il pensiero che trasforma il fisico naturale, significa che il pensiero, il NOUS di Anassagora è colui che modella la fisica e la natura e l'accompagna, come forma e sostanza dirà Aristotele. La decostruzione che avviene nella modernità da parte dei filosofi, tranne una minoranza, fallisce teoricamente e praticamente.
Non è una questione meramente emotiva e in quanto tale psicologica, è una questione fra logica e metafisica, fra realtà e logica, il pensiero razionale.
Hegel essenzialmente dice che la il pensiero umano non può che nascere da una natura e a sua volta da un fondamento universale, diversamente da dove mai verrebbe il pensiero?
Il pensiero umano quindi è la forma conoscitiva della realtà.
Fra i numerosi errori dei moderni vi è l'interpretazione sulla metafisica che verrà abiurata e distorta.
Le idee di Platone, tanto per essere chiari, sono e appartengono al dominio del sensibile, non sono oltre, non sono pura astrattezza che non esiste, questa è l'interpretazione falsa dei moderni.
Il pensiero è necessariamente legato alla realtà e la realtà appartiene all'universo sensibile.
Ciò che dicevano i greci e in fondo anche Hegel ,è che le forme, che sono le idee, sono l'essere, sono l'ontologia metafisica, se tutto ciò viene annullato culturalmente, rimane solo l'involucro materiale che ha perso il pensiero, la forma che lo accompagna.
Tanto per capirci, un sasso, un albero, un animale, sono prima di tutto un pensiero e poi la sostanza fisica e materiale. Dividere il pensiero dal sensibile significa non sapere più collegare e riunire la forma e la sostanza, il pensiero e la realtà. Per questo lo spirito di Hegel in Fenomenologia corrisponde alla ragione assoluta.
La scienza sperimentale galileana, per indagare la realtà usa la ragione e non solo le mani, gli occhi, le orecchie. E quando scriviamo in simboli matematici una formula fisica e naturale, abbiamo sintetizzato nel pensiero logico un fenomeno fisico.
Quindi per capire Hegel bisogna prima di tutto sapere che era convinto che l'universo fosse fondato sulla ragione. Se tolgo la forma del pensiero, rimane la solo materia che diviene e sparisce, priva di senso. E' la forma, è il pensiero che costruisce gli eterni.
La logica dialettica scelta da Hegel e costituita da triadi (tesi-antitesi fino alla sintesi) tenta di superare la logica analitica che era aristotelica , ai tempi di Hegel non c'era ancora la logica moderna proposizionale di Frege, Russell, ecc.. Hegel ritiene che i contrari (tesi e antitesi), o si potrebbe dire un pensiero e la negazione di quel pensiero (l'antitesi come negazione della tesi),sono la metafora del mondo sensibile, dove tutto tende al contrasto, allo scontro fra contrari .
Hegel ritiene che la logica dialettica, con la sua negatività antitetica, sia superiore alla logica analitica: il contrario di quanto pensava Aristotele.
L'analitica aristoteliana dovrebbe interessare l'uso degli universali, quindi è a valle.
Non penso Aristotele la usi diversamente da Hegel, infatti per il mondo greco il Logos è una legge "naturale". O sbaglio?
Citazione di: daniele22 il 21 Aprile 2022, 14:52:17 PMPaul11, citandoti:
La soggettività e in quanto tale la divisione fra soggetto e oggetto, fra agente conoscitivo e ciò che dovrebbe essere appreso per conoscenza, sono separazioni che avvengono in epoca moderna da Cartesio in poi fino allo psicologismo soggettivo.
Hegel invece è fuori da questa divisione . E' assurdo che l'uomo conosca e attraverso la tecnica modella la realtà fisica e naturale e allo stesso tempo pensare che soggetto ed oggetto siano divisi.
Non capisco come Hegel abbia potuto esser fuori da tale divisione quando la nostra stessa lingua sta dentro a questa separazione tra soggetto e oggetto. Non esiste lingua umana che sfugga a tale legge, mi sembra che almeno in questo Chomsky sia chiaro. A meno che Hegel non si sia posto dal punto di vista di Dio che tutto comprende in un'unica unità "del conoscente il quale conosce". Ma noi non siamo Dio, posto che esista. Il nostro pensiero non può permettersi di tenere uniti conoscente e conosciuto, altrimenti scivola nella metafisica. E che ce ne facciamo della metafisica al giorno d'oggi?
Husserl, per quel po' che ricordo forse aveva visto giusto, ma forse non è riuscito ad analizzare in modo fecondo l'idea delle "cose così come ci appaiono"
Non ho idea se Hegel affronti il tema del linguaggio (ma Heidegger si per esempio).
Comunque è ovvio che noi siamo Dio (ossia il logos che ci abita, e che mai intendiamo).
E dunque se noi siamo Dio, Dio esiste, queste sono considerazioni elementari, mi stupisco Daniele22 detto da te.
Comunque sia Heidegger prosegue ( e sulla scia di Nietzche) e trova nella poesia, il modello del linguaggio che avanza nella giusta direzione, ossia la comprensione del sè è una comprensione del linguaggio che ci abita, e che noi siamo, come giustamente fai notare tu).
Husserl non c'entra niente per me, non capisco perchè tutti lo considerino superiore a tutti i filosofi del 900....mistero! ???
Citazione di: paul11 il 21 Aprile 2022, 23:50:28 PMIl linguaggio è quella innanzitutto forma in cui il pensiero costruisce simboli significanti, semantiche, dentro regole sintattiche formali. Vale a dire che le forme conoscitive astratte, oltre alla logica inserirei matematiche e geometrie , hanno regole che almeno apparentemente sembrerebbero fuori dall'ambito fisico e naturale .
Separare e dividere il soggetto dall'oggetto significa ritenere che vi sono due origini e fondamenti distinti: due nature diverse. Hegel non pensa affatto a questo , è di tutt'altro e contrario pensiero.
Filosoficamente non ha senso, se non un riduzionismo tipicamente fisicalista moderno e postmoderno. Il problema non è essere o non essere "Dio" e conoscere o meno il "suo" punto di vista. Il problema è se logica geometria e matematica hanno partecipato a concreti fatti di conoscenze, se costituiscono e costruiscono un sapere e questo nessuno può negarlo, per cui è ovvia la conseguenza che fra soggetto ed oggetto viè una data corrispondenza.
Cosa è la metafisica? Hegel risponde in maniera totalmente diversa ed opposta rispetto ai moderni. Semmai i moderni hanno volutamente falsificato la metafisica filosofica per poter far credere tesi utilitaristiche ,più che onestamente filosofiche.
Che cosa è il pensiero in sé ? E' forse riconducibile alla fisica? Lo puoi vedere, toccare, appartiene al dominio del sensibile? No, affatto. Quindi .....?
Ma Chomsky pensa quando sostiene il contrario dell'evidenza che presuppone il suo pensiero di negare la relazione fra soggetto ed oggetto? Quando un fisicalista ,un riduzionista, nega ad esempio la coscienza come esistente, quel suo stesso asserto come è costruito e da dove nasce? E' come dire che Tizio pensa ,parla e dice di conoscere e nega la propria coscienza e il proprio dire seppur affermando? Un assurdo, prima ancora di essere un paradosso, un'aporia. Una coscienza che nega la sua stessa esistenza? A questa è arrivata l'analitica pseudofilosofica(perchè non è filosofia, è esercizio puramente formalistico della logica).
Se non è la coscienza cosa costruisce il pensiero? La coscienza è il soggetto dell'intera opera hegeliana della Fenomenologia. Cosa dice in proposito Chomsky, afferma senza sapere la natura del pensiero? Pensa senza sapere di pensare o peggio non sa cosa sia ontologia del pensiero.
Quando è il LOGOS che muove l'intero pensiero filosofico è chiaro che nella modernità e spesso nell'analitica che troviamo l'antifilosofia. Filosofia(tesi)-antifilosofia(antitesi)- Sintesi (?).
Sintetizzando.
Hegel ritiene la logica aristotelica analitica non all'altezza per la filosofia, e ritiene la logica dialettica superiore all'analitica (sillogistica ).
Il soggetto fondamentale conoscitivo in Hegel è la coscienza che diverrà autocoscienza.
Soggetto e oggetto non sono così distinti, bensì sono intimamente connessi.
Sintetizzando.
Hegel ritiene la logica aristotelica analitica non all'altezza per la filosofia, e ritiene la logica dialettica superiore all'analitica (sillogistica ).
Il soggetto fondamentale conoscitivo in Hegel è la coscienza che diverrà autocoscienza.
Soggetto e oggetto non sono così distinti, bensì sono intimamente connessi.
Siamo d'accordo come al solito.
Per il proseguio del lavoro, continuo a rimanere in una fase di regressione massima, chiedo scusa per questi buchi nel discorso:comunque che Hegel si sia complicato la vita, e non di poco è già certo, da queste prime pagine che stiamo leggendo della prefazione.
Infatti la questione della sintesi (sto per esempio ascoltando delle lezioni sul diritto hegeliano) porta inevitabilmente a far credere che esista un punto di vista finale, che potrebbe apparire come quello del "giusto mezzo" aristoteliano.
Ma nella visione Hegeliana questo è impossibile, in quanto tutto è negativo.
In fin dei conti come anche Zizek ha fatto notare, in Hegel non esiste proprio alcuna sintesi.
Direi così che il nostro punto di vista sulla morale, è un punto di vista che è perenemmente in contrasto con la realtà che si dipana storicamente.
Il nostro prof di filosofia all'università ammicando (come fanno gli ultimi uomini) diceva che Hegel alla fine della sua vita affermò di non aver capito niente del suo tempo storico.
Ma in fin dei conti era la frase giusta da dire se intesa in manierà assoluta.
Il senso morale, è dunque questo contrasto continuo con le forme finite.
Questo non vuol dire che non si possa dare un giudizio morale sui fatti storici, ma rispetto al senso dell'esistenza è un giudizio secondario e probabilmente fallace.
Il vero giudizio morale è mio parere proprio sull'esistenza, e non sul fine oggettuale, sulle norme ossia, bensì sul comportamento e le sue leggi morali di carattere sentimentale.
Non è da trovare il senso finale sintetico (della storia) ma il senso finale dell'esistente (nella storia).
Nietzche ci arrivò subito adolescente, mi chiedo se Hegel sia mai stato capace di pensare questa ulteriorità morale.
Rimane il lavoro da fare. Scusate la digressione.
Citazione di: daniele22 il 22 Aprile 2022, 09:20:53 AMSono intervenuto in questo topic per curiosità, non conoscendo Hegel. Green Demetr aveva cercato di darmi qualche nozione introducendo la questione della "sensazione". Ho voluto semplicemente inquadrare la "sensazione" per come questa debba collocarsi temporalmente rispetto all'intelletto per quel che riguarda il fenomeno dell'apprendimento di qualsiasi nozione.
Ho citato Chomsky solo per evidenziare quali siano le strutture generali delle lingue umane. Non condivido affatto la sua sentenza che pone il linguaggio umano come qualcosa di diverso dalle lingue animali.
Il linguaggio, secondo me sarebbe innanzitutto un sistema comunicativo e non un qualcosa (una forma) che costruisce simboli. Quello che fa il linguaggio è il servirsi di generalizzazioni che noi umani percepiamo nel mondo riversandole nel mondo in forma di parole e discorsi. La forma "lingua", nella sua sintassi e morfologia risulterebbe del tutto spontanea e non un'emersione intruppata da grammatiche imposte da noi. Logica, matematica e geometria sono invece tentativi di intruppamento, utili a conseguire dei risultati come si vede, ma le loro pretese a volte sconfinano nella metafisica, ovvero corrispondono ad una pretesa di conoscere ciò che risulta essere a noi incomprensibile, e a volte tale pretesa è addirittura fuorviante. La similitudine che io vedo è quella che una cosa è parlare, quindi usare concetti astratti come "albero", altra cosa è parlare in riferimento a tali termini introducendo concezioni che fanno uso di termini "astratti" astraendoli da astrazioni, come il termine "albero" appunto, che fanno riferimento a oggetti più squisitamente sensibili ... Esempio: "albero" che genera "botanica", oppure "regno vegetale" etc etc.
Coscienza. Il termine è sicuramente problematico, però esistono dei contesti in cui tutti accettano in modo pienamente condiviso il senso di tale parola. Si parla infatti di essere coscienti, di agire secondo coscienza .... e fin qui mi sembra che tra individui non vi siano incomprensioni. Questi modi di dire si rifanno certamente alla coscienza come a qualcosa che ha a che fare con la consapevolezza o conoscenza. Come si costituirebbe dunque questo spirito, questa coscienza? Solo in un assemblaggio di parole, dato che il nostro pensiero attivo, ovvero quello che si contrappone al ricordo si forma solo tramite le parole. Da dove nascono le parole? Dalla "sensazione" dico io, la quale ci permette tramite la ragione (capacità conferita dalla conoscenza) e i sensi di trovare ciò che la produce. Una generalizzazione di quel che si è trovato a giustificazione di una "sensazione" può appoggiarsi al gradino di una parola già esistente oppure può produrre una nuova parola
Faccio una considerazione a latere della tua domanda a Paul: come credo ci siamo capiti, la differenza tra te e Hegel non è tanto la questione del partire a valle, quanto il fatto che entrambi partite dalla foce, ma poi tu prosegui analiticamente (come fa aristotele negli analitica e poi in quel marasma di pensiero che è il suo Organon, ossia costruendo un edificio di logica) mentre Hegel si interroga proprio sulla categoria di tempo e dunque costruisce una dialettica.
sintesi: tu sei un analitico ed hegel un dialettico, tu accetti la nozione di tempo (strumentale se ho ben capito), hegel no.
Citazione di: paul11 il 23 Aprile 2022, 00:58:45 AMI termini psiche, coscienza, anima che un tempo erano nobili, con la modernità sono diventati uno zerbino per pulirci la lingua.
:D
Hai ragione, d'altronde per rendere il discorso all'altezza di questi infami tempi bisogna anche dire che il livello di ingegneria sociale è diventato così complesso proprio per stare dietro al livello di complessità della produzione economica, che proprio a livello di sopravvivenza, siamo o saremo di nuovo punto e a capo rispetto ai tempi in cui si poteva pensare a partire da quella aurea mediocritas che la democrazia aveva ritagliato per sè.
Una involuzione che sta a spiegare più di mille libri, quello che Hegel intendeva come negatività.
Questi tempi sembra quasi che impediscano il pensiero sulla metafisica speciale (come la chiamava kant).
Io credo sia per via del livello di angoscia a cui l'umanità, a furia di non pensare a se stessa, ma ai suoi oggetti, è arrivata a soffrire.
Questo vuol dire che Dio è sommamente lontano (il silenzio di Dio rispetto ad Auschwitz, ci lascia ancora più attoniti oggi di ieri, perchè il primo lo abbiamo conosciuto, e come è possibile che ne stiamo progettando un altro? ??? )
Anche questi tempi (o futuri prossimi) chiedono di essere pensati (forse come non mai, ma è l'angoscia che parla, dovremmo diventare più stoici, più zen etc...).
Citazione di: green demetr il 24 Aprile 2022, 15:10:32 PMQuando Hegel parla della natura come prodotto dell'assoluto, intende dire dell'assolutamente altro.
Questo punto che abbiamo già letto nella discussione, è invero quello che la filosofia contemporanea non riesce a leggere.
La natura tutto, che descrivi, è comunque indagabile, Dio è un tutto non indagabile.
Da qui la differenza sulla questione dell'uomo, questione per i transumanisti di organizzazione politica di subalternità e neo-feudalesimo (indagabile scientificamente), per gli umanisti invece è questione di senso (indagabile umanamente).
Non vi può essere alcuna pax, per inciso, come invece massimi filosofi come Cacciari o Sini credono.
Quando parlavo di corrispondenza tra interpersonale ed intrapsichico, intendevo che faccio mia la tendenza, che già fu platonica, a politicizzare l'anima, e, per opposto complementare, a psicologizzare la città.
Le componenti animiche di un dialogo o di un conflitto intrapsichico sono anche politiche, sono anche componenti politiche, e le componenti sociali di una città sono anche animiche.
Al posto della città, potrei intendere anche la natura, che dall'uomo è tendenzialmente vissuta come una "prima", primaria e primeva città da abitare, e non come un assolutamente altro.
Non c'è niente di assolutamente altro, perché noi siamo parte di un tutto, di cui ci è dato di conoscere una (piccola) parte.
L'assoluto, il tutto, inizia presso la conoscenza e la coscienza, e poi, solo in un "momento" successivo, liminalmente la supera.
Tutto è mondo, tutto è parte del mondo, anche noi, anche il nostro pensiero, il nostro sentimento.
Non vedo minimamente l'utilità concettuale di un tutto non indagabile, non supererebbe il rasoio di Occam; ok ci potrebbe anche ben essere un tutto non indagabile, eliminiamo l'ipotesi, e... non cambia niente! Sempre all'interno di un tutto di cui almeno una parte è indagabile, ci ritroviamo.
Ciao Green,
Premetto che Hegel ha scritto dei testi sulla logica che spiega la sua posizone dialettica e non analitica.
Aristototele scrisse un corpus di logica formidabile,appunto l'Organon che ho letto tutto, soprattutto se si pensa che sia stato scritto più di duemila anni fa, tanto da essere considerato, insieme a Godel, il più grande logico.
L'analitica di Aristotele è fondata soprattutto sul sillogisma e l'autore fa numerosi esempi di come venga costruita la predicazione del sillogisma, con premesse, medi e conclusione.
Hegel fa una battuta a mio parere perspicace: Aristotele per poter esprimere il suo pensiero filosofico non ha avuto bisogno di sillogismi e ha ragione. Nessun filosofo ragiona solo per logica, spesso lo fa con dialettica e soprattutto retorica. La maieutica socratica e il pensiero di Platone vengono espressi con dialoghi dove i partecipanti esprimono idee contrastanti, la dialettica è appunto lo scontro fra tesi e antitesi che porta ad una sintesi, ad un livello maggiore all'originario in termine di verità e daccapo riapre un processo di tesi ,antitesi, sintesi eccetera ,sempre ad un livello maggiore,
Hegel quindi crede ad un processo storico di crescita culturale.
Le categorie aristoteliche sono importanti per la costruzione della logica, per la sua applicazione. In fondo anche Kant utilizza delle sue categorie soprattutto per analizzare il processo del pensiero. Hegel non utilizza affatto la logica analitica, utilizza la logica dialettica .
Logos è un termine ambiguo, può significare e indicare alcune cose diverse fra loro.
Se a logos dessimo il significato di ragionamento, la relazione della ragione con il pensiero fondativo di un filosofo, lo può portare a pensare sul mondo, sull'universo.
Hegel dà una importanza fondamentale alla ragione, essendo l'universo tutto "creato" da questa ragione; per cui il procedimento dialettico della ragione, dei ragionamenti ,cerca di arrivare alla "ragione" originaria che in fondo è lo spirito. Il movimento della ragione dentro la dialettica è la fenomenologia hegeliana.
Sono d'accordo che anche la dialettica di Hegel , ma direi la dialettica in generale non garantisce che il procedimento tesi-antitesi porti ad una sintesi con una verità superiore ,dipende dalla qualità delle proposizioni e chi garantisce la qualità dei ragionamenti se non lo stesso filosofo, cioè in fondo l'uomo? Non si sa perché una persona è "più" intelligente di un'altra, "più" perspicace. Penso che alla fine decida la retorica ,più che l'analitica, più che la dialettica e infatti la pratica politica è retorica è uso di immagini retoriche nei media. Cosa fa convincere(la retorica è persuasione, la dialettica è contendere) un ragionamento piuttosto di un altro? Questo vale molto di più del meccanismo logico analitico o dialettico. Allora quel "logos" come e cosa colpisce nelle conversazioni?
Green, sono d'accordo con te che alla fine c'è relazione fra logos e la morale e oserei dire che sono anche qui le qualità fra logos e morale, il contrasto che nasce che mette in gioco la cultura e alla fin fine quindi la politica.
Penso che il giudizio storico sia proprio relazionato con l'esistenza. L'essere che esiste, cioè l'essente è dentro la storia e se vuol cercare significazioni, ritengo che lo scontro fra morale e mondo esistente, inteso come enti, come essere, come "cose" esistenti tutte, sia di primaria importanza e lo diventerà sempre più con l'avanzare del mondo tecnico.
Penso di esser d'accordo con te quindi nella relazione/scontro fra morale ed esistenza.
Arrivo a pensare che forse è necessario questo contrasto, è nella regola dell'universo (semmai non so il perché, ma è così).
Citazione di: green demetr il 24 Aprile 2022, 16:02:45 PMFaccio una considerazione a latere della tua domanda a Paul: come credo ci siamo capiti, la differenza tra te e Hegel non è tanto la questione del partire a valle, quanto il fatto che entrambi partite dalla foce, ma poi tu prosegui analiticamente (come fa aristotele negli analitica e poi in quel marasma di pensiero che è il suo Organon, ossia costruendo un edificio di logica) mentre Hegel si interroga proprio sulla categoria di tempo e dunque costruisce una dialettica.
sintesi: tu sei un analitico ed hegel un dialettico, tu accetti la nozione di tempo (strumentale se ho ben capito), hegel no.
Ho preso l'ultimo tuo post Green ... dopo aver letto le tue risposte mi sembra che vi sia tra me e te una certa incomprensione. Mi spiego, almeno in parte, citando un mio post al quale nel giro di un mese mi offri due risposte che non riesco ad interpretare:
Autocitazione:
"Cosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi."
Tua risposta del 30 marzo:
"Sì è così come dici. Ad Hegel non interessa il ruolo della sensazione come questione, che per esempio dà vita al dibattito contemporaneo sul fatto se le sensazioni siano vere o false, di primo o secondo tipo. Per Hegel la sensazione è reale, e dunque taglia i ponti con tutti i formalismi che dibattono appunto se la realtà sia tale o meno.
E dunque dici molto bene quando parli del fenomeno come relazione tra soggetto-sensazione.
Siamo anche d'accordo sulla prima parte delle tue considerazioni, l'evento e il discorso sono in uno spazio tempo.
Il fenomeno (ciò che appare, ciò che emerge) è dunque categoricamente qualcosa legato alla storia."
Tua risposta del 25 aprile:
"E' il contrario, ad Hegel interessa l'evento del fenomeno, non la sua genesi sensibile come pare piace a te (e per cui la società n..ista contemporanea ti trascinerebbe verso il transumano, con buona pace della fede). "
Tralascio quindi tutte le altre risposte successive essendomi poco chiaro il tutto fin qui. Dico solo che a me interessa il fenomeno e l'esistenza di una possibile risposta a questo, ma non la sua genesi sensibile sebbene questa possa essere da me espressa in formula di pura doxa.
Ho come l'idea, anche se non riesco ad inquadrarla bene, che vi sia una incomprensione tra me e te per quel che attiene al fenomeno "sensazione" e pure, leggendo gli altri post successivi, sul metodo di indagine sulla o su una benedetta realtà. Tralasciando quest'ultima, ritorno pertanto al fenomeno "sensazione". Puntualizzo quindi che per me non esistono sensazioni di primo tipo e secondo tipo che avevi menzionato successivamente, o meglio, non trovo corretto che sussista tale distinzione nella critica di quel che si considera come essere di pertinenza del reale. La sensazione è per me di un solo tipo (comprensiva di tutti i sottotipi che vuoi, se vuoi ne parliamo), ed è per me fondamentale (la pietra angolare) nella costituzione di una particolarità della realtà del momento che sta vivendo l'individuo. Tale sensazione particolare del momento, valutatane la più probabile causa qualora ci si riesca, si integra naturalmente in un meno effimero modello di realtà presente sempre nell'individuo, e tale sensazione lo farà agire da ultimo in un certo modo. Detto in altri termini, la sensazione è veicolata dai sensi, oppure dal pensiero stesso, ma non sono i sensi a produrla, bensì il corpo/mente per differenziazione (tramite la memoria probabilmente) ... nel senso cioè che il corpo/mente ha la possibilità/capacità di farmi percepire la presenza di una sensazione perturbante partendo da un istante (o un periodo) anteriore in cui non c'era o era già presente sotto altra forma. In successione, il corpo/mente mi farà compiere un gesto razionale più o meno calcolato/spontaneo che pretende di allontanare o di abbracciare la sensazione perturbante. Non sempre c'azzecca però ... il corpo/mente
P.s. Non mi sento per nulla trascinato nel nichilismo, anzi
Citazione di: paul11 il 23 Aprile 2022, 00:58:45 AMLe lingue: italiano e quindi latino, cinese e giapponese, così come pittogrammi, parole con i fonemi, geroglifici, ecc. sono diverse forme di costruzione di lingue . La sintassi dell'inglese è più semplice delle lingue latine. E le parole specifiche differiscono nelle lingue per la loro profondità. Ad esempio vi sono termini in tedesco intraducibili in italiano con una sola parola.
Il linguaggio è qualcosa di più di innatezza e razionalità, è qualcosa di più di un fonema che deriva da un suono, è qualcosa di più di informazione e comunicazione, pur essendo tutto questo, perché è malleabile, nel senso che vi sono neologismi, termini arcaici che non si usano più, sinergie con altre lingue, dialetti, ecc. E in più vi è la gestualità.
Comunque, tutto ciò è complesso e meriterebbe una discussione a parte.
Ritornando ad Hegel ,ritiene quindi l'induzione e la deduzione, come l'analitica aristotelica "vecchia", pensando che la dialettica sia la vera forma e il metodo più razionale.
Il ragionamento sillogistico si origina da una proposizione iniziale che si presume vera, da proposizioni medie che specificano alcune relazioni con il soggetto argomentato nella proposizione iniziale ,per arrivare ad una conclusione. Informaticamente diremmo che il sillogismo si riassume negli istruzioni IF-Then cioè in SE-Allora .C'è una iniziale condizione che apre un ragionamento, altri dati che ne sono attinenti e possono anche essere falsi e infine si deduce una conclusione.
Qual è il problema? Che tutte le leggi, ribadisco tutte, sono tautologie, assiomi, enunciati, postulati che dovrebbero essere in teoria primitivi, cioè non si può argomentare oltre in quanto dovrebbero essere EVIDENZE e in quanto tale riconosciute dalla comunità come assodate, come dimostrate vere dall'esperienza. E questa è la scienza moderna nel dominio del sensibile.
Ma non è altrettanto vero che i primitivi che formano la base della geometria ,della matematica ,della logica sono vere, evidenti, dimostrate. Semplicemente perché sono astrazioni che non sono nel dominio del sensibile. Per essere chiari la costruzione di una figura geometrica e quindi le proporzioni fra angoli e lati, ecc, o i numeri della matematica e le regole della somma e della moltiplicazione, ecc, o le parole e le regole sintassiche , fuoriescono completamente dal dominio naturale e fisico, quindi da quel sensibile che EVIDENZA che DIMOSTRA visivamente con la prova dell'esperimento, ecc.
Questo è l'assurdo. Le forme conoscitive umane non hanno, almeno in apparenza, a che fare direttamente con il dominio naturale e fisico che determina, che evidenza, che prova, che è esperienza. Invece le figure geometriche, i simboli numerici, i segni delle parole, che grazie a loro hanno costruito e costituito la cultura e le pratiche della tecnica, delle invenzioni, delle scoperte scientifiche, da sole non provano ,non evidenziano, non dimostrano.
E' allora in questa differenza che la cultura fa compromessi e scelte irrazionali.
Che senso ha dire che un fenomeno, una meteora, un pianeta, un cometa, è calcolabile nella sua traiettoria e si può desumere il suo peso massa, ecc. ma non posso parlare di Dio perché sarebbe metafisica? Un esopianeta, un pianeta visibile solo da strumentistica astrofisica può dimostrare, ma la parola umana non può parlare di Dio? L'esopianeta è astrofisica e quindi scienza ,mentre Dio è teologia e metafisica?
Mi sovviene allora un dubbio. Non è che perché tutto è calcolabile geometricamente e matematicamente così come l'analitica della parola calcola secondo le tavole della verità di Wittgenstein le proposizioni se sono vere o false, mentre le cose incalcolabili sono metafisica?
Hegel fa un ragionamento simile al mio quando boccia la razionalità costruita sull'analitica.
L'analitica fa calcoli di evidenza ,dimostrazione, di vero o falso, di cose solo calcolabili, riconducibili a quantità. Tutto ciò che è fuori dal calcolo, l'incalcolabile o non esiste per la cultura del calcolo, o non si può parlarne: assurdo.
Una guerra è ponderabile o appartiene all'imponderabile? La meccanica quantistica ha esaltato il calcolo delle probabilità, come se le cose che accadono, gli eventi, fossero date da un Dio che gioca a dadi (come disse Einstein).
Bisogna riflettere attentamente queste cose se si vuol fare filosofia "vera".
La scienza moderna con il calcolo ha potere poiché dovrebbe predire gli eventi attraverso il calcolo ,non certo attraverso l'arte divinatoria degli antichi indovini.
Ma che cosa predice la scienza? Ciò che è solo evidenza naturale e fisica, anzi sbagliando e continuamente affinandosi nei calcoli; ma ben poco o nulla nel mondo della cultura umana. Chi sa predire gli andamenti finanziari e borsistici, gli andamenti politici, ecc. Entriamo nel campo dell'imponderabile in cui infatti la scienza, non capendoci molto di scienza umana, definendo l'uomo come irrazionale nel suoi comportamenti ,cerca di giustificare la sua mancanza di poter calcolare e predire un comportamento.
I termini psiche, coscienza, anima che un tempo erano nobili, con la modernità sono diventati uno zerbino per pulirci la lingua.
La tua posizione nei confronti del linguaggio è secondo me obsoleta, ma trattiamola come un'opinione. Una cosa però la posso dire. Che se uno pensa che la parola ce l'abbia data Dio, essendo agnostico mi sono formato un'idea per cui la lingua possieda una natura terrena, e non casuale come certi danno ad intendere. Mi sembra di avere da tempo criticato in modo corretto questa faccenda, ma forse in maniera ancora insufficiente. Per me la questione diventa quindi ciò che dico io, agnostico, e quel che dici tu, credente, e tutto quel che io e te diciamo è subordinato a tale fede. Se non pensi sia così sarebbe opportuno che me lo facessi sapere.
Tu dici: Qual è il problema? Che tutte le leggi partono da assiomi etc. Giusto. Dici inoltre che dovrebbero essere in teoria primitivi ... cioè non si può argomentare oltre. Giusto. Sostieni pertanto che queste sono mappe, le quali in ragione del metodo scientifico debbono essere potenzialmente falsificabili, ma ogni falsificazione produrrà pur sempre una mappa. Concordo ... Ci troviamo fin qui in un ambito descrittivo della natura.
Aggiungi poi: Ma non è altrettanto vero che i primitivi che formano la base di geometria, matematica e logica siano veri, dimostrati.
Perfetto, hai ragione. Questa pretesa di verità, erronea e forse inconsapevole per come la vedo io, non so per te, ci porta da questo istante in avanti nei territori della prescrizione umana in seno alla natura. Si parla non a caso di essere e dover essere. Pretendere che i fondamenti delle scienze, non solo matematica etc, siano veri corrisponde al "dover essere". Tacere su questa cosa offre pure irragionevoli spazi di mercato delle idee.
Tu dici invece perché non sono nel dominio del sensibile. Non può essere questo il motivo giacché il dominio del sensibile per la nostra mente è divenuto pure ogni parola che ciascuno di noi tramite i sensi trova nel testo dei manuali scientifici e pure dei libri sacri. O almeno, tutta la società umana è regolamentata in questo senso.
Arriviamo quindi al parlare di Dio e della scienza. Questo è il dilemma per te, figurati per me che son pure anarcoide. Dal mio punto di vista queste vie corrisponderebbero a due stili di vita che ci riportano alla faccenda dell'essere rispetto al dover essere. Tutteddue sembrano imporci un "dover essere" corrispondendo, per come la vedo io, a nulla più che un'imposizione su quel che riguarda il mio personale senso della vita. Qualcuno potrà dire che la scienza non impone nulla ... si può parlare anche di questo
Ciao daniele22,
Francamente non riesco a capire la tua posizione.
Prima asserisci ritenendo ciò che penso del linguaggio come "obsoleto", poi continui a darmi ragione sugli esempi: non mi è chiaro su cosa costruisci il tuo giudizio.
Se non spieghi ciò che pensi è difficile dialogare.
Anche il proseguio mi risulta ermetico.
Spiegati meglio e argomentando la tua posizione e i giudizi.
Non ti è chiaro cosa sia natura e cosa sia cultura: non sono la stessa cosa. L'uomo può benissimo fare contro natura pur essendone parte ,questa è l'arma in dotazione all'uomo: il potere della mente.
Citazione di: paul11 il 26 Aprile 2022, 23:56:05 PMCiao daniele22,
Francamente non riesco a capire la tua posizione.
Prima asserisci ritenendo ciò che penso del linguaggio come "obsoleto", poi continui a darmi ragione sugli esempi: non mi è chiaro su cosa costruisci il tuo giudizio.
Se non spieghi ciò che pensi è difficile dialogare.
Anche il proseguio mi risulta ermetico.
Spiegati meglio e argomentando la tua posizione e i giudizi.
Non ti è chiaro cosa sia natura e cosa sia cultura: non sono la stessa cosa. L'uomo può benissimo fare contro natura pur essendone parte ,questa è l'arma in dotazione all'uomo: il potere della mente.
Ciao Paul11, cercherò di spiegarmi almeno un po' partendo dal finale del tuo intervento citandoti:
"Non ti è chiaro cosa sia natura e cosa sia cultura: non sono la stessa cosa. L'uomo può benissimo fare contro natura pur essendone parte ,questa è l'arma in dotazione all'uomo: il potere della mente".
Prima dell'avvento di Copernico non è che non fossimo in grado di predire l'apparire degli astri nel cielo. Pertanto noi due possiamo avere benissimo un pensiero simile per quel che riguarda molti aspetti della realtà. Premesso quindi che secondo me l'essere umano non potrebbe per forza di cose andare contro natura, nel topic "Decadenza" (tematiche sociali e culturali) evidenziai una certa sinonimia tra economia e sociologia per procedere in modo a mio avviso corretto circa la problematica di cui si discuteva. Altrettanto faccio ora tra natura e cultura. Il fare dighe da parte dei castori è per me natura e cultura, corrispondendo quest'ultima semplicemente ad una abitudine della specie che si prende in esame. Le costruzioni mentali umane invece possono essere diaboliche semplicemente perché a livelli di massimi sistemi ci si ostina a considerare distinti termini della nostra lingua che dovrebbero invece essere equiparati a sinonimi.
Per quel che attiene al linguaggio, affermo allora che se è vero che il nostro comportamento nel mondo produce una logica coerente alla nostra conoscenza, questo stesso comportamento produrrà pure il nostro pensiero esistenziale e la sua espressione verbale. Le costruzioni mentali sarebbero illusioni spessissimo fallaci. Per gli altri animali questa cosa sembra non costituire un problema, ma per noi umani sembra non essere altrettanto. Bisognerebbe pertanto abbandonare Tolomeo ed abbracciare Copernico rinunciando una volta per tutte a presunti epicicli non dimostrati.
Il fatto che io ti dia ragione, fino a un certo punto immagino, deriva forse dal fatto che tu sei un credente onesto. Dal mio punto di vista di agnostico l'idea di Dio può benissimo continuare ad esistere. Mi disturba però l'azione che essa produce in terra, tanto che presso altri cuori si è generato l'ateismo. In sintesi, fintanto che il credente si dà ad opere di bene e condotte rispettose nei confronti della vita del prossimo, eccezion fatta che possa cadere di tanto in tanto in peccato, tutto va bene.
Caricato quindi del senso di responsabilità nei confronti dei comportamenti e rigettando l'idea del concetto di proprietà privata, la mia posizione di onesto anarchico e agnostico (anarchico consapevole del fatto che finché perduri la cultura, l'abitudine del nemico, l'anarchia non può realizzarsi), è simile a quella del credente. Forse i nostri comportamenti sono simili Paul11.
Arriviamo ora al punto in cui tu non puoi certo dire che puoi trovarti d'accordo con me nonostante sembri che io ti dia ragione.
Autocitazione:
"Perfetto, hai ragione. Questa pretesa di verità, erronea e forse inconsapevole per come la vedo io, non so per te, ci porta da questo istante in avanti nei territori della prescrizione umana in seno alla natura. Si parla non a caso di essere e dover essere. Pretendere che i fondamenti delle scienze, non solo matematica etc, siano veri corrisponde al "dover essere". Tacere su questa cosa offre pure irragionevoli spazi di mercato delle idee.
Tu dici invece perché non sono nel dominio del sensibile. Non può essere questo il motivo giacché il dominio del sensibile per la nostra mente è divenuto pure ogni parola che ciascuno di noi tramite i sensi trova nel testo dei manuali scientifici e pure dei libri sacri. O almeno, tutta la società umana è regolamentata in questo senso."
Il disaccordo nasce nel momento in cui contesto la tua motivazione mettendo in evidenza i libri sacri, i quali, per quel che mi riguarda, offrono le stesse lacune messe in luce dalla scienza, ovverosia la verità della conoscenza fondata sulla parola o sui suoi derivati, per la scienza, matematica e logica soprattutto. Sei disposto a rinunciare alla verità dei libri sacri magari allineandoti al Dio di Spinoza oppure no? Immagino che per te possa esser duro tutto questo, ma questa è la via alternativa al disastro nichilista, sempre che non sia una bomba atomica
ciao daniele22,
La diga dei castori, l'alveare delle api, non sono cultura. Ogni essere umano si potrebbe dire e a sé, cioè è individualizzato. Ognuno di noi costruirebbe la diga e l'alveare almeno un po' diverso .
Questa è la premessa della cultura, ogni umano è diverso per qualcosa e particolare, cosa che non è affatto presente nel resto del regno animale. C'è una innatezza naturale, ma c'è anche una forma di innatezza culturale che non è spiegabile solo naturalisticamente.
Il tuo ragionamento è inverso: le costruzioni mentali non sono da abbandonare per ridiventare animali istintivi naturali. Sono la premessa e se si vuole la contraddizione su cui poggiano le culture diverse che abitano il mondo: dall'eskimese, all' aborigeno australiano, all'occidentale in giacca e cravatta.
Hegel sostiene che proprio perché la natura è intellegibile, allora l'universo è ragione, diversamente la ragione umana non avrebbe mai potuto sviluppare tecnica e cultura, poiché non avrebbe potuto produrre conoscenze.
Per questo per Hegel , le costruzioni mentali, che potrebbero essere paragonate alle idee, sono poggianti sul fondamento della ragione: Hegel assomiglia filosoficamente a Platone.
I fondamenti delle scienze, e delle matematiche e geometrie, non sono un "dover essere", un dovere essere poi che cosa? Non sono "veri", sono enunciati, postulati, assiomi. Sono paradigmi di concetti elementari, non appartenenti al regno sensibile: a titolo di esempio la retta geometrica e la regola dell'addizione non sono ascrivibili, né induttivamente né deduttivamente al dominio naturale del sensibile.
Il dominio del sensibile e lo dice la parola stessa è guidato dai sensi che tutti gli animali hanno, non dalla ragione. Semmai è l'interpretazione umana nella relazione natura-cultura che a sua volta genera contraddizioni culturali. Se un pensatore dicesse che la coscienza non esiste in quanto non è verificabile sensibilmente ,cade lui stesso in una contraddizione: dove poggia il suo giudizio? Non sono gli occhi ,non è l'udito o il tatto ,ecc. a decidere, diversamente anche i vegetali forse e gli animali sicuramente avrebbero una cultura, una ragione, una coscienza, un giudizio.
Chi ritiene che la parola sia nel dominio del sensibile, a parte il fonema, il suono, non è vero.
La parola deriva dal pensiero e daccapo il pensiero non è natura, non è fatto di atomi e molecole.
Non confondiamo la rivelazione religiosa con la ragione razionale filosofica o teologica: sono diverse per costituzione. La rivelazione deriva da Scritti Sacri , da cui si ritiene siano ascrivibili verità. Non è affatto necessario essere credenti a rivelazioni religiose per poter pensare filosoficamente che l'universo poggi sulla ragione, perché il ragionamento filosofico è deduttivo e non una rivelazione da scrittura sacra. Così come l'una non scarta l'altra. Si può essere credenti alla rivelazione e altrettanto pensare filosoficamente deduttivamente se si ritengono coerentemente compatibili i concetti.
Il "dio" di Spinoza è panteista: non c'entra niente e non è un caso che Spinoza è di moda.
Il nichilismo, per me, è la decadenza imposta da falsi paradigmi della cultura moderna, tra cui il materialismo. Sono anarchico, ma non materialista.
Ciao Paul11. Allora secondo te un castoro non sarebbe un individuo tra i castori, un gatto un individuo tra i gatti. Non avrebbero personalità? Mi sembra che la tua posizione sia fuori dalla realtà, non solo per quel che attiene al senso comune, ma pure scientifica. Io ben ricordo come si trattavano gli animali cinquant'anni fa. C'è voluta l'etologia per risvegliare l'ottundimento mentale al quale eravamo soggiogati dal Dio giudaico, tanto che ancor oggi certe persone si stupiscono ancora del fatto che anche un animale possa avere dei sentimenti. In pratica tieni in piedi una separazione tra umani e altri senza alcuna autorizzazione che non sia quella di un Dio antropocentrato, oppure di un progetto genetico a cura di marziani, oppure rifugiandoti sul fatto che fino ad oggi l'arcano non è stato svelato. Per forza non è stato svelato, perché non fa comodo a nessuno. Noi agiamo mentalmente attribuendo colpe a qualcuno, pretendendo cioè che se le cose non vanno per il verso che fa comodo a noi è senz'altro colpa di qualcuno. Siamo infine vigliacchi e opportunisti per non avere il coraggio di stroncare i conflitti sul nascere e abbandonandoli alla loro perpetuazione fino a farne una cultura. L'innatezza culturale di cui parli, che in questo ambito risulta essere un'innatezza al conoscere, o una spontaneità al conoscere, sarebbe pia illusione, una forzatura culturale, spiegabilissima dal mio punto di vista, solo che il mio punto di vista si scontra pure con quello della la scienza ... fatalità. La nostra cultura umana è in realta un culto alla professione terrena alla quale sacrifichiamo volentieri il Dio metafisico. Come vuoi che si pongano le schiere di scienziati, professori, uomini di legge, vescovi e preti, di fronte a certe imbarazzanti idee? Oltre che qui in questo topic mi sembra di avere argomentato abbastanza i passaggi attraverso i quali l'essere umano entra nella cosiddetta cultura dell'autoconsapevolezza. Ripeto: La sensazione scatena potenzialmente la ragione, asservandola e ribadisco asservandola qualora si voglia esercitare tale potenzialità direi quasi istintiva e quindi ineluttabile. Quella è la porta di ingresso che mette eventualmente in moto un processo conoscitivo di tipo razionale. Senza sensazione non può esservi conoscenza, ma se alla sensazione (che si afferma per differenziazione come detto) che viene veicolata dai sensi non si applica una corretta analisi può succedere che la comprensione razionale sia errata. Pertanto cerca di contestare questo che dico con argomenti un poco più fondati, oppure di che parliamo? Di quel che disse uno che è morto? Parliamo con un interprete col quale non si può dialogare? Parla invece con le tue parole, sii tu l'interprete .... L'universo è intelligibile, dice forse questo Hegel? Sì è intelligibile, ma per scelta personale. Si smetta quindi di continuare a dire che le cose esistono anche se non le vedi ... che infruttuosa ovvietà ... le cose esistono solo se le fai esistere nel tuo sistema di vita, e allora sì che esistono anche se non le vedi. E' una scelta dunque, ma una scelta IMPOSTA dalla sensazione (un dover essere spontaneo, innato appunto). E invece qui oggi è un dovere ... già la registrazione all'anagrafe quando nasci è il presupposto del nostro dover essere, l'obbligo scolare la sua continuazione. Se non studi sei un emarginato, almeno a livello di soldi. E' giusto così? Chiaro che tutto può essere giusto, dato che esiste una democrazia. Chiaro che nella comunità si debba decidere e imporre, ma almeno ci si renda conto, questo è quello che chiedo. Si conosca cioè quel che è dentro di noi, piuttosto che quello che è fuori di noi, già che l'abbiamo studiato abbastanza e male evidentemente. Mi verrebbe quasi da dire hypothesis non fingo.
E' infine per tutto questo che vedo Dio come natura e noi come un suo parto ... per nulla distinti dagli altri se non per la nostra caparbia capraggine ... a ciascuno il suo talento ... Buona giornata e l'importante è la salute
Citazione di: niko il 24 Aprile 2022, 17:23:42 PMNon vedo minimamente l'utilità concettuale di un tutto non indagabile, non supererebbe il rasoio di Occam; ok ci potrebbe anche ben essere un tutto non indagabile, eliminiamo l'ipotesi, e... non cambia niente! Sempre all'interno di un tutto di cui almeno una parte è indagabile, ci ritroviamo.
Come ti ho già detto è parte del problema che riguarda l'incapacità di leggere l'assoluto come negativo.
Per poterlo approfondire dovremmo immergerci in discussioni più profonde di quella attuale.
La riacutizzazione dei miei annosi problemi con la vista, si è di nuovo fatta sentire, sembra come un rintocco di campana a morte.
Sto concentrando tutto me stesso per recuperare quella parte morale che riguarda il dialogo con gli antichi come direbbe il grande Leopardi.
Un discorso tra me e loro (ovvero da solo) che mi ha portato non solo all'acquisto dei quaderni neri heideggeriani post guerra, ma anche a confrontarmi finalmente con il secondo heidegger, quello a me più vicino.
La nostra vicinanza è totale, e sorprendente.
Laddove tu parli di natura, "noi" parliamo di pensiero.
Laddove tu parli di qualcosa del tutto, noi parliamo solo del pensiero.
Il problema greco non era semplicemente l'indagine della "phisis" come se fosse un oggetto (appunto ontologico) quanto e meglio del rapporto tra l'oggetto e l'io.
Dobbiamo aspettare Kant, e poi meglio Hegel, e finalmente Heidegger, per capire che l'io è una finzione.
Ma non devi "raggiungerci", puoi rimanere nell'infanzia della filosofia, e comunque è un pensiero che ti supera mille e cento volte.
Infatti dire che qualcosa è parte del tutto, significa dire semplicemente qualcosa. E dunque essendo "qualcosa", del "tutto" te ne freghi altamente, e sei pronto e impacchettato per l'uso politico che oggi si fa di quel "qualcosa" che tu dici (ossia l'uso scientifico dell'oggetto, infatti la scienza non parla di qualcosa, ma di questo qualcosa preciso, appunto l'oggetto).
E dunque almeno nel tuo caso, possiamo a rebours capire il tuo problema esistenziale: la necessità di poter dire di conoscere qualcosa, ossia "avere" oggetti, questione invero sentimentale, di un sentimento malato, perchè come già diceva ingenuamente ma in fin dei conti di cuore Fromm, è meglio essere che avere.
Ecco a questo punto generalizziamo la cosa e prendiamo la questione di Niko non come un problema personale, ma bensì come una politica, come sempre è, del soggetto.
Naturalmente per chi vi scrive il soggetto non sceglie di essere tale, bensì è oggetto della sua soggettivazione, in parole povere siamo misere marionette, meri pappagalli.
Dunque al di là delle mie considerazioni, il ruolo di chi vuole essere intellettuale (e non un mero argomentatore, un sofista) è quello di capire il problema.
Anzitutto se vi è un problema o meno.
Abbiamo detto che il soggetto che pensa di conoscere un oggetto è il soggetto moderno.
Ma abbiamo detto che il greco pensa diversamente: che l'oggetto è il correlato dell'io.
Dire che un io possiede (conosce) un oggetto, e dire che l'io indaga la relazione di un oggetto (senza poterla mai conoscere), si rivelano due affermazioni non solo diverse, ma anche abissalmente diverse.
Eppure entrambe sono la presentazione al qualsiasi discorso (politica) successivo.
Il problema se esiste è di natura dunque radicale.
Ma un problema non è mai dell'oggetto, è sempre dell'io che lo ricerca, o pretendendo di poterlo conoscere, o pretendelo di non poterlo conoscere.
Il problema sostanzialmente se esiste, è sempre all'interno dell'io.
Dunque il problema è all'interno della modernità.
Nell'antichità, la frase io posso conoscere qualcosa, non aveva alcun senso.
Nella modernità la frase se io posso conoscere, non solo è un problema in sè, ma se confrontato è un problema drammatico rispetto all'incapacità di pensarsi diversamente da un io omni-conoscente.
Il problema è di ordine psicologico non solo politico.
Compito della sociologia e del giuridico è quello di vietare di pensarlo.
Da lì la sua gravità e drammaticità.
Ed è il primo passo verso una complessità ancora da venire per chi si accinge a fare il primo passo verso essa.
(come già detto dopo l'antichità viene kant e subito dopo hegel, e si chiude con heidegger, il resto è fuffa).
Citazione di: niko il 24 Aprile 2022, 17:23:42 PMQuando parlavo di corrispondenza tra interpersonale ed intrapsichico, intendevo che faccio mia la tendenza, che già fu platonica, a politicizzare l'anima, e, per opposto complementare, a psicologizzare la città.
Le componenti animiche di un dialogo o di un conflitto intrapsichico sono anche politiche, sono anche componenti politiche, e le componenti sociali di una città sono anche animiche.
Al posto della città, potrei intendere anche la natura, che dall'uomo è tendenzialmente vissuta come una "prima", primaria e primeva città da abitare, e non come un assolutamente altro.
In questo senso l'errore nel porsi il problema è quello di voler sostituire città con natura.
La città è una questione umana e la natura è l'assolutamente altro.
Far passare la città come se fosse una seconda natura, si indebita di quello che vuole violentare, ovvero far passare la natura come se fosse una città.
Naturalmente queste poche righe, esigono di nuovo una critica feroce, infatti la città moderna è come la città antica?
Tra l'altro questa critica ci porterebbe ampiamente fuori tema, infatti il tema della città non è nemmeno lontanamente assimilabile alla questione della scienza.
Come Pensava Leibniz la città è la proiezione dei sogni e dei desideri di una comunità e per metafora dell'intera umanità.
La scienza ne riveste un ruolo meramente strumentale.
Cambiare lo strumento con il fine è infine come diceva già Kant il prodromo di future catastrofi : e il progetto delle smart-cities, con la loro violenta giurisprundenza, non è appunto il folle progetto di menti dissenate che voglio far coincidere la natura con la città? In qualche modo lo stringante e asfitico pensare di Niko, non è esattamente l'opposto di quello che si dice essere importante nella prima parte? appunto lo scontro inevitabile tra psichico individuale e sociale? che richiede ben altri strumenti e indirizzi culturali.
Il depensamento porta alla implosione del mondo, inevitabile e razionalmente perseguito (se non che perseguitato, come meglio sarebbe dire).
Poche righe aprono orizzonti di problema assai più ampi.
Ed è proprio oltre questi orizzonti ampi, che la negatività hegeliana si costituisce e si proietta come "problema del soggetto".
Il soggetto che è avulso dalle problematicità storiche, politiche e sociali, non sarà mai in grado neppure di vedere questo pensiero superiore.
Citazione di: daniele22 il 25 Aprile 2022, 21:33:30 PMHo preso l'ultimo tuo post Green ... dopo aver letto le tue risposte mi sembra che vi sia tra me e te una certa incomprensione. Mi spiego, almeno in parte, citando un mio post al quale nel giro di un mese mi offri due risposte che non riesco ad interpretare:
Autocitazione:
"Cosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi."
Tua risposta del 30 marzo:
"Sì è così come dici. Ad Hegel non interessa il ruolo della sensazione come questione, che per esempio dà vita al dibattito contemporaneo sul fatto se le sensazioni siano vere o false, di primo o secondo tipo. Per Hegel la sensazione è reale, e dunque taglia i ponti con tutti i formalismi che dibattono appunto se la realtà sia tale o meno.
E dunque dici molto bene quando parli del fenomeno come relazione tra soggetto-sensazione.
Siamo anche d'accordo sulla prima parte delle tue considerazioni, l'evento e il discorso sono in uno spazio tempo.
Il fenomeno (ciò che appare, ciò che emerge) è dunque categoricamente qualcosa legato alla storia."
Tua risposta del 25 aprile:
"E' il contrario, ad Hegel interessa l'evento del fenomeno, non la sua genesi sensibile come pare piace a te (e per cui la società n..ista contemporanea ti trascinerebbe verso il transumano, con buona pace della fede). "
Tralascio quindi tutte le altre risposte successive essendomi poco chiaro il tutto fin qui. Dico solo che a me interessa il fenomeno e l'esistenza di una possibile risposta a questo, ma non la sua genesi sensibile sebbene questa possa essere da me espressa in formula di pura doxa.
Ho come l'idea, anche se non riesco ad inquadrarla bene, che vi sia una incomprensione tra me e te per quel che attiene al fenomeno "sensazione" e pure, leggendo gli altri post successivi, sul metodo di indagine sulla o su una benedetta realtà. Tralasciando quest'ultima, ritorno pertanto al fenomeno "sensazione". Puntualizzo quindi che per me non esistono sensazioni di primo tipo e secondo tipo che avevi menzionato successivamente, o meglio, non trovo corretto che sussista tale distinzione nella critica di quel che si considera come essere di pertinenza del reale. La sensazione è per me di un solo tipo (comprensiva di tutti i sottotipi che vuoi, se vuoi ne parliamo), ed è per me fondamentale (la pietra angolare) nella costituzione di una particolarità della realtà del momento che sta vivendo l'individuo. Tale sensazione particolare del momento, valutatane la più probabile causa qualora ci si riesca, si integra naturalmente in un meno effimero modello di realtà presente sempre nell'individuo, e tale sensazione lo farà agire da ultimo in un certo modo. Detto in altri termini, la sensazione è veicolata dai sensi, oppure dal pensiero stesso, ma non sono i sensi a produrla, bensì il corpo/mente per differenziazione (tramite la memoria probabilmente) ... nel senso cioè che il corpo/mente ha la possibilità/capacità di farmi percepire la presenza di una sensazione perturbante partendo da un istante (o un periodo) anteriore in cui non c'era o era già presente sotto altra forma. In successione, il corpo/mente mi farà compiere un gesto razionale più o meno calcolato/spontaneo che pretende di allontanare o di abbracciare la sensazione perturbante. Non sempre c'azzecca però ... il corpo/mente
P.s. Non mi sento per nulla trascinato nel nichilismo, anzi
"L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà" cit daniele
Mi spiace che non ci capiamo, ma sinceramente non capisco neppure io come tu possa far arrivare a coincidere un discorso con un dato sensibile.
Il discorso riguarda la parola umana, il significante e il significato, il dato sensibile riguarda solo quello che indicano il singnificante e il significato, ossia l'oggetto.
Vedi politica e oggetto non sono la stessa cosa, sinceramente mi pare evidente.
Quando si parla di evento entriamo in linguaggio tecnico della filosofia, siccome lo avevi richiamato (senza dargli però il significato corretto) pensavo che ne davamo un senso comune.
Ma se mi dici che la sensazione è un evento, direi che siamo agli antipodi.
Infatti l'evento va oltre anche il significato e il significante, e rientra in un fenomeno psicologico che è molto vicino a quello dell'epifania, addensandosi con il concetto di destino.
Siamo direi ad un livello molto elevato di filosofia, e direi che non ci siamo ancora caro amico, d'altronde mi pare che tu nemmeno ci pensi a queste cose.
Se uno vuole evolvere un passo alla volta, io e paul aiutiamo.
Dunque tornando a bomba, sarebbe bello che ci intendessimo almeno al livello base per poter capire poi hegel, ossia un livello (comunque alto rispetto alla massa ingnorante) in cui distinguiamo bene bene, cosa è un oggetto sensibile e cosa è un oggetto semiotico (per dirla con Sini), ossia quale è oggetto di indagine scientica e quale di indagine intellettuale.
Questa suddivisione sebbene apparentemente facile, è in realtà assai insidiosa a quanto pare.
Citazione di: paul11 il 25 Aprile 2022, 11:28:21 AMCiao Green,
Premetto che Hegel ha scritto dei testi sulla logica che spiega la sua posizone dialettica e non analitica.
Aristototele scrisse un corpus di logica formidabile,appunto l'Organon che ho letto tutto, soprattutto se si pensa che sia stato scritto più di duemila anni fa, tanto da essere considerato, insieme a Godel, il più grande logico.
L'analitica di Aristotele è fondata soprattutto sul sillogisma e l'autore fa numerosi esempi di come venga costruita la predicazione del sillogisma, con premesse, medi e conclusione.
Hegel fa una battuta a mio parere perspicace: Aristotele per poter esprimere il suo pensiero filosofico non ha avuto bisogno di sillogismi e ha ragione. Nessun filosofo ragiona solo per logica, spesso lo fa con dialettica e soprattutto retorica. La maieutica socratica e il pensiero di Platone vengono espressi con dialoghi dove i partecipanti esprimono idee contrastanti, la dialettica è appunto lo scontro fra tesi e antitesi che porta ad una sintesi, ad un livello maggiore all'originario in termine di verità e daccapo riapre un processo di tesi ,antitesi, sintesi eccetera ,sempre ad un livello maggiore,
Hegel quindi crede ad un processo storico di crescita culturale.
Le categorie aristoteliche sono importanti per la costruzione della logica, per la sua applicazione. In fondo anche Kant utilizza delle sue categorie soprattutto per analizzare il processo del pensiero. Hegel non utilizza affatto la logica analitica, utilizza la logica dialettica .
Logos è un termine ambiguo, può significare e indicare alcune cose diverse fra loro.
Se a logos dessimo il significato di ragionamento, la relazione della ragione con il pensiero fondativo di un filosofo, lo può portare a pensare sul mondo, sull'universo.
Hegel dà una importanza fondamentale alla ragione, essendo l'universo tutto "creato" da questa ragione; per cui il procedimento dialettico della ragione, dei ragionamenti ,cerca di arrivare alla "ragione" originaria che in fondo è lo spirito. Il movimento della ragione dentro la dialettica è la fenomenologia hegeliana.
Sono d'accordo che anche la dialettica di Hegel , ma direi la dialettica in generale non garantisce che il procedimento tesi-antitesi porti ad una sintesi con una verità superiore ,dipende dalla qualità delle proposizioni e chi garantisce la qualità dei ragionamenti se non lo stesso filosofo, cioè in fondo l'uomo? Non si sa perché una persona è "più" intelligente di un'altra, "più" perspicace. Penso che alla fine decida la retorica ,più che l'analitica, più che la dialettica e infatti la pratica politica è retorica è uso di immagini retoriche nei media. Cosa fa convincere(la retorica è persuasione, la dialettica è contendere) un ragionamento piuttosto di un altro? Questo vale molto di più del meccanismo logico analitico o dialettico. Allora quel "logos" come e cosa colpisce nelle conversazioni?
Green, sono d'accordo con te che alla fine c'è relazione fra logos e la morale e oserei dire che sono anche qui le qualità fra logos e morale, il contrasto che nasce che mette in gioco la cultura e alla fin fine quindi la politica.
Penso che il giudizio storico sia proprio relazionato con l'esistenza. L'essere che esiste, cioè l'essente è dentro la storia e se vuol cercare significazioni, ritengo che lo scontro fra morale e mondo esistente, inteso come enti, come essere, come "cose" esistenti tutte, sia di primaria importanza e lo diventerà sempre più con l'avanzare del mondo tecnico.
Penso di esser d'accordo con te quindi nella relazione/scontro fra morale ed esistenza.
Arrivo a pensare che forse è necessario questo contrasto, è nella regola dell'universo (semmai non so il perché, ma è così).
Nell'affrontare Hegel ho sempre il dubbio di trovare troppo presto l'errore hegeliano, ossia questa incrollabile fede nel progresso umano.
Mi chiedo come sia stato possibile, e provo angoscia nel dover andare avanti a leggerlo.
Certamente Hegel procede in maniera dialettica, ma allo stesso tempo è molto legato alle forme, e perciò costruisce anche una analitica, che poi dovrebbe essere il coronamento della parte finale della sua indagine intellettuale, appunto come hai già detto tu, la scienza della logica.
Devo dire che avevo letto le prime pagine di questa opera massima.
Ma è un opera poco citata, e le critiche che ho sentita su di essa mi paiono infantili.
Per questo volevo una visione introduttoria ad essa, che poi è appunto questa fenomenologia dello spirito, che non è l'opera massima di Hegel, ma semplicemente la prefazione alla scienza della logica.
D'altronde quando si inizia a parlare sul serio, si inizia subito a parlare del costrutto del linguaggio.
Ma il costrutto del linguaggio è insieme il contraltare e il contrappunto con la strutturazione del sè, ossia dell'io all'interno del soggetto.
Questa costruzione corale, dovrebbe essere fatta dall'arte intellettuale, che coincide con la somma del pensiero filosofico, letterario e artistico.
Penso che questa scala verso Dio, come direbbe il pensiero giudaico, è stata ben costruita dal pensiero europeo, peccato che ci è arrivata la trave americana nell'occhio.
Ora chissà più quando recupereremo i primi vagiti, perchè di questo si tratta da parte della comunità intellettuale "connessa", rispetto ai giganti del passato.
E' un vero peccato perchè quei primi vagiti davano poi la premessa per un costruzione politica, e non solo intellettuale, del progetto di comunità, a cui tanto tenevo.
divagazione:
Comunque sono tornato a vedere i vecchi amici, il livello di dissipazione dei legami umani ha raggiunto in poco tempo un livello sinceramente infernale, per potersi lamentare (come ho fatto in questi 2 anni).
Ora ho chiaramente diviso il sociale dall'intellettuale (cosa da non fare in chiave comunitaria, ma questi tempi non lasciano alternativa).
Sento che questa è la cosa giusta da fare. E di certo come annoti anche tu, anche questi sono gli effetti di quel negativo (a cui non sapremo mai dare risposta finale, ma solo storica, di volta in volta, costruendo una morale di risposta).
In attesa di affondare con la società tutta sia chiaro ;) (ormai è troppo evidente che sarà così).
Non so se hai mai visto il film Nosferatu, di Herzog, un film amato dalla mia prof di filosofia dell'epoca, le scene finali della gozzoviglia in mezzo alla peste, erano come un sinistro avviso a questi tempi materiali, come lo erano a quei tempi spirituali [subito dopo l'uccisione di Moro (oggi è l'anniversario come al solito glorificato dai suoi stessi nemici) , che metto come spaccatura tra un prima di lotta intellettuale, e un dopo di lotta per la sopravvivenza].
Citazione di: green demetr il 09 Maggio 2022, 23:43:14 PMCome ti ho già detto è parte del problema che riguarda l'incapacità di leggere l'assoluto come negativo.
Per poterlo approfondire dovremmo immergerci in discussioni più profonde di quella attuale.
La riacutizzazione dei miei annosi problemi con la vista, si è di nuovo fatta sentire, sembra come un rintocco di campana a morte.
Sto concentrando tutto me stesso per recuperare quella parte morale che riguarda il dialogo con gli antichi come direbbe il grande Leopardi.
Un discorso tra me e loro (ovvero da solo) che mi ha portato non solo all'acquisto dei quaderni neri heideggeriani post guerra, ma anche a confrontarmi finalmente con il secondo heidegger, quello a me più vicino.
La nostra vicinanza è totale, e sorprendente.
Laddove tu parli di natura, "noi" parliamo di pensiero.
Laddove tu parli di qualcosa del tutto, noi parliamo solo del pensiero.
Il problema greco non era semplicemente l'indagine della "phisis" come se fosse un oggetto (appunto ontologico) quanto e meglio del rapporto tra l'oggetto e l'io.
Dobbiamo aspettare Kant, e poi meglio Hegel, e finalmente Heidegger, per capire che l'io è una finzione.
Ma non devi "raggiungerci", puoi rimanere nell'infanzia della filosofia, e comunque è un pensiero che ti supera mille e cento volte.
Infatti dire che qualcosa è parte del tutto, significa dire semplicemente qualcosa. E dunque essendo "qualcosa", del "tutto" te ne freghi altamente, e sei pronto e impacchettato per l'uso politico che oggi si fa di quel "qualcosa" che tu dici (ossia l'uso scientifico dell'oggetto, infatti la scienza non parla di qualcosa, ma di questo qualcosa preciso, appunto l'oggetto).
E dunque almeno nel tuo caso, possiamo a rebours capire il tuo problema esistenziale: la necessità di poter dire di conoscere qualcosa, ossia "avere" oggetti, questione invero sentimentale, di un sentimento malato, perchè come già diceva ingenuamente ma in fin dei conti di cuore Fromm, è meglio essere che avere.
Ecco a questo punto generalizziamo la cosa e prendiamo la questione di Niko non come un problema personale, ma bensì come una politica, come sempre è, del soggetto.
Naturalmente per chi vi scrive il soggetto non sceglie di essere tale, bensì è oggetto della sua soggettivazione, in parole povere siamo misere marionette, meri pappagalli.
Dunque al di là delle mie considerazioni, il ruolo di chi vuole essere intellettuale (e non un mero argomentatore, un sofista) è quello di capire il problema.
Anzitutto se vi è un problema o meno.
Abbiamo detto che il soggetto che pensa di conoscere un oggetto è il soggetto moderno.
Ma abbiamo detto che il greco pensa diversamente: che l'oggetto è il correlato dell'io.
Dire che un io possiede (conosce) un oggetto, e dire che l'io indaga la relazione di un oggetto (senza poterla mai conoscere), si rivelano due affermazioni non solo diverse, ma anche abissalmente diverse.
Eppure entrambe sono la presentazione al qualsiasi discorso (politica) successivo.
Il problema se esiste è di natura dunque radicale.
Ma un problema non è mai dell'oggetto, è sempre dell'io che lo ricerca, o pretendendo di poterlo conoscere, o pretendelo di non poterlo conoscere.
Il problema sostanzialmente se esiste, è sempre all'interno dell'io.
Dunque il problema è all'interno della modernità.
Nell'antichità, la frase io posso conoscere qualcosa, non aveva alcun senso.
Nella modernità la frase se io posso conoscere, non solo è un problema in sè, ma se confrontato è un problema drammatico rispetto all'incapacità di pensarsi diversamente da un io omni-conoscente.
Il problema è di ordine psicologico non solo politico.
Compito della sociologia e del giuridico è quello di vietare di pensarlo.
Da lì la sua gravità e drammaticità.
Ed è il primo passo verso una complessità ancora da venire per chi si accinge a fare il primo passo verso essa.
(come già detto dopo l'antichità viene kant e subito dopo hegel, e si chiude con heidegger, il resto è fuffa).
In questo senso l'errore nel porsi il problema è quello di voler sostituire città con natura.
La città è una questione umana e la natura è l'assolutamente altro.
Far passare la città come se fosse una seconda natura, si indebita di quello che vuole violentare, ovvero far passare la natura come se fosse una città.
Naturalmente queste poche righe, esigono di nuovo una critica feroce, infatti la città moderna è come la città antica?
Tra l'altro questa critica ci porterebbe ampiamente fuori tema, infatti il tema della città non è nemmeno lontanamente assimilabile alla questione della scienza.
Come Pensava Leibniz la città è la proiezione dei sogni e dei desideri di una comunità e per metafora dell'intera umanità.
La scienza ne riveste un ruolo meramente strumentale.
Cambiare lo strumento con il fine è infine come diceva già Kant il prodromo di future catastrofi : e il progetto delle smart-cities, con la loro violenta giurisprundenza, non è appunto il folle progetto di menti dissenate che voglio far coincidere la natura con la città? In qualche modo lo stringante e asfitico pensare di Niko, non è esattamente l'opposto di quello che si dice essere importante nella prima parte? appunto lo scontro inevitabile tra psichico individuale e sociale? che richiede ben altri strumenti e indirizzi culturali.
Il depensamento porta alla implosione del mondo, inevitabile e razionalmente perseguito (se non che perseguitato, come meglio sarebbe dire).
Poche righe aprono orizzonti di problema assai più ampi.
Ed è proprio oltre questi orizzonti ampi, che la negatività hegeliana si costituisce e si proietta come "problema del soggetto".
Il soggetto che è avulso dalle problematicità storiche, politiche e sociali, non sarà mai in grado neppure di vedere questo pensiero superiore.
Il capolavoro della spocchia, ma ti leggi, prima di inviare?
O sei diventato cieco pure in questo senso?
E io che perdo pure tempo a parlarci, con uno che si sente superiore a tutti, e a ripetere qualche concetto al solo scopo di essere capito...
per tua norma e regola, io di solito, quando parlo intendo quello che intendo, non ho chissà quali sottintesi o allusioni, quindi se scrivo:
----------------------------------------------
"Non vedo minimamente l'utilità concettuale di un tutto non indagabile, non supererebbe il rasoio di Occam; ok ci potrebbe anche ben essere un tutto non indagabile, eliminiamo l'ipotesi, e... non cambia niente! Sempre all'interno di un tutto di cui almeno una parte è indagabile, ci ritroviamo"-------------------------------------------------------
puoi considerare altamente probabile, se non quasi certo, che sto rispondendo a te, non ad Hegel attraverso l'abisso dei secoli, che io non faccio le sedute spiritiche, quindi sei tu, semmai, che devi argomentare a favore dell'utilità della postulazione di un tutto inconoscibile, argomentare per la tua tesi, o, cosa altrettanto perfettamente legittima, soprassedere e ignorare, ma avere reazioni scomposte e non argomentate da complesso di superiorità con l'interlocutore ti rende solo ridicolo...
e se scrivo:
-----------------------------------------------------
"Quando parlavo di corrispondenza tra interpersonale ed intrapsichico, intendevo che faccio mia la tendenza, che già fu platonica, a politicizzare l'anima, e, per opposto complementare, a psicologizzare la città.Le componenti animiche di un dialogo o di un conflitto intrapsichico sono anche politiche, sono anche componenti politiche, e le componenti sociali di una città sono anche animiche."Al posto della città, potrei intendere anche la natura, che dall'uomo è tendenzialmente vissuta come una "prima", primaria e primeva città da abitare, e non come un assolutamente altro"----------------------------------------------------------------------Magari voglio solo riprendere brevemente un mio concetto già detto prima al solo scopo di farmi comprendere e non essere oscuro.
Su cosa, di grazia, trasecoli?
E' chiaro che io non mi interesso dell'assolutamente altro (la natura secondo me è plurima ma composta da enti tutti relazionabili tra di loro, nessuno "assolutamente altro" e non c'è niente, al di fuori della natura) del concetto di un pensiero che non derivi dalla natura (da dove altro mai dovrebbe derivare ?!), della questione del soggetto come disappartenenza al mondo come totalità. Il soggetto secondo me sta nel mondo, per provocare i metafisici della domenica potrei dire che ci "sta", nel mondo, come una mela sta su un tavolo.
Per giunta non mi interessa nessun kantismo dell'uomo come fine, tantomeno nella progettazione delle città, perché sono per il superamento dell'uomo.
In tutto questo ho diritto alle mie opinioni e non voglio sulla mia strada maestrini del grado adulto della filosofia che insinuano che io sarei il bambino, né tantomeno rivoluzionari pseudointellettuali da poltrona che credono che il loro punticino di visita metafisico ed hegeliano li renda chissà come politicamente coscienti, e socialmente liberi, in confronto al sottoscritto.
Tranquillo, nessuno di assennato ti vuole raggiungere, perché tra gli assennati non sei e non sei stato di esempio per nessuno, quanto meno come tracotanza e immodestia.
Ma guarda un po'.
Citazione di: niko il 10 Maggio 2022, 02:09:25 AMIl capolavoro della spocchia, ma ti leggi, prima di inviare?
O sei diventato cieco pure in questo senso?
E io che perdo pure tempo a parlarci, con uno che si sente superiore a tutti, e a ripetere qualche concetto al solo scopo di essere capito...
per tua norma e regola, io di solito, quando parlo intendo quello che intendo, non ho chissà quali sottintesi o allusioni, quindi se scrivo:
"Non vedo minimamente l'utilità concettuale di un tutto non indagabile, non supererebbe il rasoio di Occam; ok ci potrebbe anche ben essere un tutto non indagabile, eliminiamo l'ipotesi, e... non cambia niente! Sempre all'interno di un tutto di cui almeno una parte è indagabile, ci ritroviamo"
puoi considerare altamente probabile, se non quasi certo, che sto rispondendo a te, non ad Hegel attraverso l'abisso dei secoli, che io non faccio le sedute spiritiche, quindi sei tu, semmai, che devi argomentare a favore dell'utilità della postulazione di un tutto inconoscibile, argomentare per la tua tesi, o, cosa altrettanto perfettamente legittima, soprassedere e ignorare, ma avere reazioni scomposte e non argomentate da complesso di superiorità con l'interlocutore ti rende solo ridicolo...
e se scrivo:
"Quando parlavo di corrispondenza tra interpersonale ed intrapsichico, intendevo che faccio mia la tendenza, che già fu platonica, a politicizzare l'anima, e, per opposto complementare, a psicologizzare la città.
Le componenti animiche di un dialogo o di un conflitto intrapsichico sono anche politiche, sono anche componenti politiche, e le componenti sociali di una città sono anche animiche."
Al posto della città, potrei intendere anche la natura, che dall'uomo è tendenzialmente vissuta come una "prima", primaria e primeva città da abitare, e non come un assolutamente altro"
Magari voglio solo riprendere brevemente un mio concetto già detto prima al solo scopo di farmi comprendere e non essere oscuro.
Su cosa, di grazia, trasecoli?
E' chiaro che io non mi interesso dell'assolutamente altro (la natura secondo me è plurima ma composta da enti tutti relazionabili tra di loro, nessuno "assolutamente altro" e non c'è niente, al di fuori della natura) del concetto di un pensiero che non derivi dalla natura (da dove altro mai dovrebbe derivare ?!), della questione del soggetto come disappartenenza al mondo come totalità. Il soggetto secondo me sta nel mondo, per provocare i metafisici della domenica potrei dire che ci "sta", nel mondo, come una mela sta su un tavolo.
In tutto questo ho diritto alle mie opinioni e non voglio sulla mia strada maestrini del grado adulto della filosofia che insinuano che io sarei il bambino, né tantomeno rivoluzionari pseudointellettuali da poltrona che credono che il loro punticino di visita metafisico ed hegeliano li renda chissà come politicamente coscienti, e socialmente liberi, in confronto al sottoscritto.
Tranquillo, nessuno di assennato ti vuole raggiungere, perché tra gli assennati non sei e non sei stato di esempio per nessuno, quanto meno come tracotanza e immodestia.
Ma guarda un po'.
Ma non voleva essere un attacco personale, il mio intervento idealmente sarebbe dovuto essere diviso in 2, la prima parte quella a cui ti rispondevo, e la seconda quella in cui opino che, non la tua, ma in generale, quelle opinioni secondo cui, similarmente alla tua, si oppongono alla visione relativa del mondo.
Che succede non si possono più avere opinioni generali senza scaldare gli animi?
Ti ripeto se tu dici che qualcosa del tutto si conosce come qualcosa, cosa c'entra il tutto? e infatti tu dici che la mela è sul tavolo....e allora? 8)
La tua non è un argomentazione è una semplice frase... non dà adito ad ulteriori risposte, è sconnessa.
Per questo faccio seguire una seconda parte, che non è indirizzata a te, ma ad un modo simile di procedere, ossia dicendo frasi senza contesto.
Inoltre cosa c'entra la politica dell'anima (?) con la mela che sta sul tavolo...faccio veramente fatica. ???
Quindi non capisco se sto facendo un errore come nella discussione su Dio, in cui non ti ho dato una risposta soddisfacente, oppure questa volta sei tu che non mi riesci a far capire bene cosa intendi.
Citazione di: green demetr il 10 Maggio 2022, 02:24:19 AMMa non voleva essere un attacco personale, il mio intervento idealmente sarebbe dovuto essere diviso in 2, la prima parte quella a cui ti rispondevo, e la seconda quella in cui opino che, non la tua, ma in generale, quelle opinioni secondo cui, similarmente alla tua, si oppongono alla visione relativa del mondo.
Che succede non si possono più avere opinioni generali senza scaldare gli animi?
Ti ripeto se tu dici che qualcosa del tutto si conosce come qualcosa, cosa c'entra il tutto? e infatti tu dici che la mela è sul tavolo....e allora? 8)
La tua non è un argomentazione è una semplice frase... non dà adito ad ulteriori risposte, è sconnessa.
Per questo faccio seguire una seconda parte, che non è indirizzata a te, ma ad un modo simile di procedere, ossia dicendo frasi senza contesto.
Inoltre cosa c'entra la politica dell'anima (?) con la mela che sta sul tavolo...faccio veramente fatica. ???
Quindi non capisco se sto facendo un errore come nella discussione su Dio, in cui non ti ho dato una risposta soddisfacente, oppure questa volta sei tu che non mi riesci a far capire bene cosa intendi.
Io non mi oppongo, alla visione relativa del mondo, anche se preferisco una visione prospettica, piuttosto che relativa, del mondo.
Io faccio una metafora di appartenenza e composizione semplice, apposta, provocatoriamente, per indicare una appartenenza e una composizione non semplice, tale per cui ci possono essere varie opinioni in merito, e per indicare come mi schiero io in riguardo alla questione:
secondo me, il soggetto sta nel mondo, come una mela sta, su un tavolo.
Puoi capire perché la visione che ne risulta è prospettica, piuttosto che relativa.
La parte di mondo che noi conosciamo, è la parte di mondo che siamo, con cui ci sovrapponiamo, come una cornice che, cadendo su un quadro molto più grande di essa, ne va ad evidenziare una parte.
Il soggetto è dunque un essere, non un avere, ma un essere figurale: il soggetto è parte e frammento di mondo, non ultramondano, per me.
Quindi piuttosto che un grande mondo sconosciuto, mi immagino un grande mondo di cui si conosce minima ed infima parte.
Ma parte importante per noi. Che quella parte siamo, e non solo conosciamo.
Citazione di: green demetr il 09 Maggio 2022, 23:57:27 PM"L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà" cit daniele
Mi spiace che non ci capiamo, ma sinceramente non capisco neppure io come tu possa far arrivare a coincidere un discorso con un dato sensibile.
Il discorso riguarda la parola umana, il significante e il significato, il dato sensibile riguarda solo quello che indicano il singnificante e il significato, ossia l'oggetto.
Vedi politica e oggetto non sono la stessa cosa, sinceramente mi pare evidente.
Quando si parla di evento entriamo in linguaggio tecnico della filosofia, siccome lo avevi richiamato (senza dargli però il significato corretto) pensavo che ne davamo un senso comune.
Ma se mi dici che la sensazione è un evento, direi che siamo agli antipodi.
Infatti l'evento va oltre anche il significato e il significante, e rientra in un fenomeno psicologico che è molto vicino a quello dell'epifania, addensandosi con il concetto di destino.
Siamo direi ad un livello molto elevato di filosofia, e direi che non ci siamo ancora caro amico, d'altronde mi pare che tu nemmeno ci pensi a queste cose.
Se uno vuole evolvere un passo alla volta, io e paul aiutiamo.
Dunque tornando a bomba, sarebbe bello che ci intendessimo almeno al livello base per poter capire poi hegel, ossia un livello (comunque alto rispetto alla massa ingnorante) in cui distinguiamo bene bene, cosa è un oggetto sensibile e cosa è un oggetto semiotico (per dirla con Sini), ossia quale è oggetto di indagine scientica e quale di indagine intellettuale.
Questa suddivisione sebbene apparentemente facile, è in realtà assai insidiosa a quanto pare.
Ciao Green, partiamo dai fondamentali, dato che i linguaggi tecnici hanno generato molta confusione. Io parlo come mangio, linguaggio del popolo. La nascita di un bambino è un evento e la sensazione è un evento. Hai in un certo senso ragione ... la sensazione non la vede nessuno se non chi la prova. Perché dunque io la considero un evento? Essenzialmente perché la considero qualcosa (fenomeno? evento? fatto? manifestazione interiore? non sento la necessità di ingabbiare) che incide sul divenire del mondo. A mio giudizio sarebbe addirittura fondante rispetto al mondo in divenire, ma questa cosa non viene evidentemente accettata, detenendo a tutt'oggi la ragione tale primato. Resta pertanto la mia nulla più che una doxa che si oppone ad una certa visione.
I dati sensibili. Se fosse vero che il tempo tuo personale è determinato dagli ordini di attenzione che tu tieni a mente fin che ti muovi nel tuo quotidiano vivere, è altrettanto vero che tali ordini di attenzione non sono tutti permanenti ... esempio: "Non uccidere" è un ordine di attenzione permanente stabilito da una determinata norma giuridica ... a te è dato di assecondarla oppure no. "Lavarsi i denti" può costituire un altro ordine di attenzione ... permanente o effimero? Pure a questo ti è dato di seguirlo oppure no. Un discorso sarebbe pure lui un ordine di attenzione ... effimero o permanente?, e pure in relazione a questo ti è data la possibilità di assecondarlo oppure no. Ma il discorso rientra senz'altro nei campi di ciò che è percepibile dai sensi e non vedo come si possa mettere in dubbio questa cosa.
Non vedo pertanto alcun motivo legittimo per cui si debba escludere l'esternazione linguistica dai campi della ricerca filosofica escludendola dal fenomeno ... se vuoi pure dall'evento ... "momento in cui si manifesta pubblicamente". Scrivendo questo post sto compiendo di fatto tale "momento" ponendoti un ordine di attenzione ... e nel frattempo ti chiedo: si tratta di dialettica o di fuffa?
Ho visto che citi Sini. Per quel che mi riguarda Sini è un ottimo pensatore, ma si è fermato ad un certo punto. E lo dice pure. E mette in evidenza questo fatto ... Nelle sue lezioni reperibili su you tube, ora non ricordo se fosse quella su Derrida oppure quella sulla Lebenswelt egli dice che la filosofia ha in un certo senso risolto la sua domanda, ma al tempo stesso mette in evidenza che una domanda sia rimasta comunque in sospeso, sottolineando pure che sarebbe la più importante. A tal proposito si scusa dicendo ... "Cos'è che ci è sfuggito?". La domanda riguarda naturalmente il linguaggio e Sini offre pure un'ipotetica via per risolvere tale domanda ... che sarebbe secondo lui da ricercarsi nei meandri della psicologia. Non posso altro che confermare che la sua "sensazione" fosse corretta, ma attendo ora una risposta da te ... non preoccuparti che rivarem a baita. L'hai letto "l'amante dell'orsa maggiore"? Quella di arrivare a baita era una delle preoccupazioni particolari di uno tra i personaggi delle avventure di una banda di contrabbandieri
Citazione di: niko il 10 Maggio 2022, 02:51:15 AMIo non mi oppongo, alla visione relativa del mondo, anche se preferisco una visione prospettica, piuttosto che relativa, del mondo.
Io faccio una metafora di appartenenza e composizione semplice, apposta, provocatoriamente, per indicare una appartenenza e una composizione non semplice, tale per cui ci possono essere varie opinioni in merito, e per indicare come mi schiero io in riguardo alla questione:
secondo me, il soggetto sta nel mondo, come una mela sta, su un tavolo.
Puoi capire perché la visione che ne risulta è prospettica, piuttosto che relativa.
La parte di mondo che noi conosciamo, è la parte di mondo che siamo, con cui ci sovrapponiamo, come una cornice che, cadendo su un quadro molto più grande di essa, ne va ad evidenziare una parte.
Il soggetto è dunque un essere, non un avere, ma un essere figurale: il soggetto è parte e frammento di mondo, non ultramondano, per me.
Quindi piuttosto che un grande mondo sconosciuto, mi immagino un grande mondo di cui si conosce minima ed infima parte.
Ma parte importante per noi. Che quella parte siamo, e non solo conosciamo.
Il problema in Hegel è il soggetto, evidentemente dunque non tu non sei all'altezza del suo pensiero.
Non si tratta di essere superiori o meno.
Infatti tu dai per scontato che il soggetto sia nel mondo come una mela sta nel mondo.
A latere di questa tua visione la politica non è un problema psicologico, e non vi è una una riflessione sulle menzogne della politica, infatti come insiste la propaganda di questi tempi (ministero della verità in america), esistono solo fatti e nessuna interpretazione (casomai bandita).
Una mela non può mai essere una pera giusto? In quel mai vi sono tutti i problemi dell'universalità, che pretende una mela laddove vi è proprio una pera, solo che non è davanti ai tuoi occhi.
Il prospettivismo che adotti è così facilmente catturato dalla menzogna.
Invece una dimensione psicologica, del perchè tu pensi che una mela sia una mela, è la questione della filosofia del '900 da Husserl in poi.
Non è questione di superiorità, è una questione di visioni del mondo (che io chiamo all'altezza di un tale filosofo, o di un altro).
Le nostre divergono, ma non si può dire che la tua sia minimamente avvicinabile a quella di Hegel.
Dunque devi fare uno sforzo tu e chiunque altro entri nel mondo della filosofia, di prendere il punto di vista che non sia il proprio.
Senza questo esercizio non si va da nessuna parte.
Infatti puoi polemizzare ma in maniera educata, e provando a dire quale sia il problema di partire da una visione relativa piuttosto che prospettica.
Citazione di: daniele22 il 10 Maggio 2022, 09:22:54 AMCiao Green, partiamo dai fondamentali, dato che i linguaggi tecnici hanno generato molta confusione. Io parlo come mangio, linguaggio del popolo. La nascita di un bambino è un evento e la sensazione è un evento. Hai in un certo senso ragione ... la sensazione non la vede nessuno se non chi la prova. Perché dunque io la considero un evento? Essenzialmente perché la considero qualcosa (fenomeno? evento? fatto? manifestazione interiore? non sento la necessità di ingabbiare) che incide sul divenire del mondo. A mio giudizio sarebbe addirittura fondante rispetto al mondo in divenire, ma questa cosa non viene evidentemente accettata, detenendo a tutt'oggi la ragione tale primato. Resta pertanto la mia nulla più che una doxa che si oppone ad una certa visione.
I dati sensibili. Se fosse vero che il tempo tuo personale è determinato dagli ordini di attenzione che tu tieni a mente fin che ti muovi nel tuo quotidiano vivere, è altrettanto vero che tali ordini di attenzione non sono tutti permanenti ... esempio: "Non uccidere" è un ordine di attenzione permanente stabilito da una determinata norma giuridica ... a te è dato di assecondarla oppure no. "Lavarsi i denti" può costituire un altro ordine di attenzione ... permanente o effimero? Pure a questo ti è dato di seguirlo oppure no. Un discorso sarebbe pure lui un ordine di attenzione ... effimero o permanente?, e pure in relazione a questo ti è data la possibilità di assecondarlo oppure no. Ma il discorso rientra senz'altro nei campi di ciò che è percepibile dai sensi e non vedo come si possa mettere in dubbio questa cosa.
Non vedo pertanto alcun motivo legittimo per cui si debba escludere l'esternazione linguistica dai campi della ricerca filosofica escludendola dal fenomeno ... se vuoi pure dall'evento ... "momento in cui si manifesta pubblicamente". Scrivendo questo post sto compiendo di fatto tale "momento" ponendoti un ordine di attenzione ... e nel frattempo ti chiedo: si tratta di dialettica o di fuffa?
Ho visto che citi Sini. Per quel che mi riguarda Sini è un ottimo pensatore, ma si è fermato ad un certo punto. E lo dice pure. E mette in evidenza questo fatto ... Nelle sue lezioni reperibili su you tube, ora non ricordo se fosse quella su Derrida oppure quella sulla Lebenswelt egli dice che la filosofia ha in un certo senso risolto la sua domanda, ma al tempo stesso mette in evidenza che una domanda sia rimasta comunque in sospeso, sottolineando pure che sarebbe la più importante. A tal proposito si scusa dicendo ... "Cos'è che ci è sfuggito?". La domanda riguarda naturalmente il linguaggio e Sini offre pure un'ipotetica via per risolvere tale domanda ... che sarebbe secondo lui da ricercarsi nei meandri della psicologia. Non posso altro che confermare che la sua "sensazione" fosse corretta, ma attendo ora una risposta da te ... non preoccuparti che rivarem a baita. L'hai letto "l'amante dell'orsa maggiore"? Quella di arrivare a baita era una delle preoccupazioni particolari di uno tra i personaggi delle avventure di una banda di contrabbandieri
"Nei meandri della psicologia"...è vero piuttosto il contrario, chi non ragiona sulla psicologia cade nei meandri del linguaggio.
Ma un passo per volta, in Hegel il dato sensibile non è "relativo", una mela è sempre una mela, non diventa una pera, ma lo è rispetto ad un soggetto.
Tu menzioni l'attenzione, ma questa attenzione avviene detro un tempo, e il tempo da husserl in poi è psicologia dell'oggetto.
Ovvero un ulteriore approfondimento rispetto ad Hegel che invece lascia cadere questo assunto.
Ma sul fatto che sia il tempo a determinare le visioni del tempo non vi è dubbio (non è su questo che dissentiamo).
Dunque la polemica (mia ed hegeliana come ci siamo trovati a rimanere bloccati rispetto alla introduzione hegeliana) è piuttosto sulla correlazione.
La mela è sempre dentro una relazione con te che la vedi e la riconosci come tale.
Dunque nel concetto di mela ci DEVE essere anche il concetto dell'osservatore e del conoscitore.
Lasciare andare uno dei due capi, significa avere una visione del mondo diversa da Hegel.
Ma come dicevo a Niko, una visione che conteggi solo la mela, non conteggia il fatto che il linguaggio della mela è di tipo universale, atemporale, e dunque facilmente catturabile dalla menzogna della politica.
Ragionare sul tempo catturato dalla menzogna della politica, diventa un esercizio, a mio avviso sterile, non mi è mai interessato a livello filosofico, ma solo politico (ovviamente in polemica con esso) ma appunto questo discussione è filosofica.
Questa è la risposta personale. 8)
Apro qui sotto una considerazione generale che stia sul pezzo coi tempi, non necessariamente riferita a te
Per quanto riguarda Sini, noto ancora una volta che pur parlando come mangia, Daniel22 avuto una incredibile intuizione, riguardo al fatto che Sini, pur sembrando uno degli amici della metafisica hegeliana, è invece un nemico.
Il suo fermarsi politico, che egli si illude da attribuire al linguaggio, è invece proprio legato al sui fermarsi psicologico, pur continuando a sostenere che sia il nostro massimo filosofo (per via dei suoi contributi alle premesse della semiotica, che per me rimangono semiotica), ho notato con grande sofferenza che la sua prosa è piena di paura, di mancamenti di passaggi a vuoto, di inciampi.
Cosa che in un periodo oscuro come il nostro lo ha decisamente relegato in una posizione del tutto marginale.
Oggi Sini vale solo come un antico tempio di pensiero in attesa di essere arso con tutto il resto.
No! direi che il filosofico che sa di non poter che esser politico oggi trae la sua essenza dal politico.
Pensatori come Hegel e Heidegger, rimangono gli unici in grado di fornire un decisa contrapposizione all'ordine vigente della menzogna.
Devo ancora leggere gli ultimi due libri di Agamben (soprattutto) e di Esposito, che insieme all'ultima lectio magistralis di Cacciari alla Accademia Filosofica di Napoli, forniscono nella ontologia politica, il nuovo nucleo centrale di questa riflessione politica (che attinge dal filosofico), non a caso i massimi pensatori convergono sulle tematiche calde del nostro tempo.
Sinceramente a naso, mi pare una resa delle armi rispetto appunto a quello che stiamo dicendo di Hegel.
Se infatti il politico si illude di essere un ontologico, allora i ministeri della verità si espanderanno in tutto l'occidente, portando nel baratro l'ultimo avamposto del pensiero critico (che è appunto la germania e l'italia e per certi versi la stessa america che sembra nel suo dissenso interno la più battagliera, sono ancora scettico sui contributi francesi, le altre nazioni non sono sufficientemente sponsorizzate dall'industria culturale, che sia chiaro è però il problema dentro il problema).
Naturalmente non avendoli letti i libri, e dovendo finire di ascoltare la lectio di Cacciari, forse si tratta di una preoccupazione senza fondamento vedremo (di certo Sini non conta più, lo dico con rammarico).
Come dire che la lettura di Hegel, per quanto possa sembrare remota, è invece attualissima, perchè ci dà l'humus da cui poi partire col pensiero dissenziente ossia semplicemente critico (anche se giammai dissidente, per quello servono grandi cambiamenti sociali, e quelli in atto sono nella direzione opposta, capisco dunque che nessuno vuole raggiungere certi punti di vista opposti e forse pericolosamente opposti, capisco ma non approvo, anzi mi incazzo proprio ;) ).
Citazione di: green demetr il 12 Giugno 2022, 13:50:17 PM"Nei meandri della psicologia"...è vero piuttosto il contrario, chi non ragiona sulla psicologia cade nei meandri del linguaggio.
Ma un passo per volta, in Hegel il dato sensibile non è "relativo", una mela è sempre una mela, non diventa una pera, ma lo è rispetto ad un soggetto.
Tu menzioni l'attenzione, ma questa attenzione avviene detro un tempo, e il tempo da husserl in poi è psicologia dell'oggetto.
Ovvero un ulteriore approfondimento rispetto ad Hegel che invece lascia cadere questo assunto.
Ma sul fatto che sia il tempo a determinare le visioni del tempo non vi è dubbio (non è su questo che dissentiamo).
Dunque la polemica (mia ed hegeliana come ci siamo trovati a rimanere bloccati rispetto alla introduzione hegeliana) è piuttosto sulla correlazione.
La mela è sempre dentro una relazione con te che la vedi e la riconosci come tale.
Dunque nel concetto di mela ci DEVE essere anche il concetto dell'osservatore e del conoscitore.
Lasciare andare uno dei due capi, significa avere una visione del mondo diversa da Hegel.
Ma come dicevo a Niko, una visione che conteggi solo la mela, non conteggia il fatto che il linguaggio della mela è di tipo universale, atemporale, e dunque facilmente catturabile dalla menzogna della politica.
Ragionare sul tempo catturato dalla menzogna della politica, diventa un esercizio, a mio avviso sterile, non mi è mai interessato a livello filosofico, ma solo politico (ovviamente in polemica con esso) ma appunto questo discussione è filosofica.
Questa è la risposta personale. 8)
Apro qui sotto una considerazione generale che stia sul pezzo coi tempi, non necessariamente riferita a te
Ciao Green, lasciamo il professor Sini al suo corso, forse hai toccato un tasto particolare, quindi dovrei chiederti che tipo di distinzione attui tra osservatore e conoscitore. Per come la penso, non vi sarebbe alcuna distinzione tra questi soggetti. Nel senso che tu non potresti realizzare qualcosa fintanto che questo qualcosa non venga armonizzato nel divenire. Per essere realizzato (ovvero armonizzato) questo qualcosa dovrebbe compiere almeno qualcosa nel tempo (o nello spazio, che è lo stesso). Dato questo principio, nel momento in cui tu realizzi sei osservatore e conoscitore, poiché conosci quel che fa il qualcosa. Al contrario tu non potresti realizzare qualcosa partendo da una semplice immagine immota. In sintesi, il processo della conoscenza non è posto in atto prima da un osservare e poi da un conoscere. Osservazione e conoscenza partono dal medesimo punto temporale che si dà nel notare ... notare quel che fa una cosa a prescindere che quel che si nota sia l'informazione più adeguata o condivisa per quella cosa. Tu citi la mela, è pur vero che una mela è sempre una mela, ma nella realtà diveniente un conto è una mela che stai per addentare, altro è una mela che ti sta giungendo nel muso scagliata da qualcuno. Una mela per un operaio, o un dirigente della Melinda non è la mela per uno che vive a cento km da un albero di mele e magari se ne va a spasso tutto il giorno col suo gregge. Nel mondo del divenire il concetto diviene molto fluido, sicuramente storico, ma sempre effimero nel suo presentarsi ad un dato istante al cospetto del tuo presente
Citazione di: daniele22 il 15 Giugno 2022, 20:34:21 PMCiao Green, lasciamo il professor Sini al suo corso, forse hai toccato un tasto particolare, quindi dovrei chiederti che tipo di distinzione attui tra osservatore e conoscitore. Per come la penso, non vi sarebbe alcuna distinzione tra questi soggetti. Nel senso che tu non potresti realizzare qualcosa fintanto che questo qualcosa non venga armonizzato nel divenire. Per essere realizzato (ovvero armonizzato) questo qualcosa dovrebbe compiere almeno qualcosa nel tempo (o nello spazio, che è lo stesso). Dato questo principio, nel momento in cui tu realizzi sei osservatore e conoscitore, poiché conosci quel che fa il qualcosa. Al contrario tu non potresti realizzare qualcosa partendo da una semplice immagine immota. In sintesi, il processo della conoscenza non è posto in atto prima da un osservare e poi da un conoscere. Osservazione e conoscenza partono dal medesimo punto temporale che si dà nel notare ... notare quel che fa una cosa a prescindere che quel che si nota sia l'informazione più adeguata o condivisa per quella cosa. Tu citi la mela, è pur vero che una mela è sempre una mela, ma nella realtà diveniente un conto è una mela che stai per addentare, altro è una mela che ti sta giungendo nel muso scagliata da qualcuno. Una mela per un operaio, o un dirigente della Melinda non è la mela per uno che vive a cento km da un albero di mele e magari se ne va a spasso tutto il giorno col suo gregge. Nel mondo del divenire il concetto diviene molto fluido, sicuramente storico, ma sempre effimero nel suo presentarsi ad un dato istante al cospetto del tuo presente
Si concordo, come già detto la dimensione armonica eveniente non interessa tanto hegel, quanto quella dei due funtori della correlazione.
Il tempo della conoscenza di questa correlazione è lasciato cadere in una domanda, a cui credo Hegel appunto non può rispondere.
Nel senso che la correlazione è anzitutto istantanea, l'oggetto conosce te, solo quanto tu conosci l'oggetto.
E' proprio per via della impossibilità temporale di conoscere quel quid che permette la correlazione che porta Hegel in direzione spirituale.
La dimensione successiva a quella istantanea diviene così proprio per via del mistero di quel quid qualcosa a cui si dedica la ricerca dialettica ossia storica.
Ossia noi conosciamo solo dopo, perciò tutte le considerazioni che hai fatto sono valide.
Mancherebbe la questione avanzata da Hegel sulla radicalità di quel quid istantaneo.
In questo senso l'oggetto di Hegel diviene l'oggetto conoscitore del dopo, ossia il soggetto.
La filosofia indaga la nascita del soggetto come soggetto del dopo, e infin dei conti come fine della storia. A partire dalla fine della storia.
Ma questo sarà oggetto successivo al nostro dialogo. Ciao!!
Citazione di: green demetr il 17 Giugno 2022, 15:06:47 PMSi concordo, come già detto la dimensione armonica eveniente non interessa tanto hegel, quanto quella dei due funtori della correlazione.
Il tempo della conoscenza di questa correlazione è lasciato cadere in una domanda, a cui credo Hegel appunto non può rispondere.
Nel senso che la correlazione è anzitutto istantanea, l'oggetto conosce te, solo quanto tu conosci l'oggetto.
E' proprio per via della impossibilità temporale di conoscere quel quid che permette la correlazione che porta Hegel in direzione spirituale.
La dimensione successiva a quella istantanea diviene così proprio per via del mistero di quel quid qualcosa a cui si dedica la ricerca dialettica ossia storica.
Ossia noi conosciamo solo dopo, perciò tutte le considerazioni che hai fatto sono valide.
Mancherebbe la questione avanzata da Hegel sulla radicalità di quel quid istantaneo.
In questo senso l'oggetto di Hegel diviene l'oggetto conoscitore del dopo, ossia il soggetto.
La filosofia indaga la nascita del soggetto come soggetto del dopo, e infin dei conti come fine della storia. A partire dalla fine della storia.
Ma questo sarà oggetto successivo al nostro dialogo. Ciao!!
Ciao Green e buon relax, mi riposerò pure io almeno fintanto che non si torni ad un clima accettabile. Speriamo pure che gli eventi bellici giungano a soluzione adesso che Draghi pensa di essere il presidente degli Usa. Purtroppo non conosco il pensiero hegeliano se non per brandelli di ricordi scolastici, pur tuttavia mi son tuffato nel mucchio ben sapendo che alla fine si arriva sempre al nodo irrisolto di chi noi si sia, che è il punto cruciale del mio pensiero. E' per me palese che questo nodo, semmai potesse essere sciolto, giungerà infine ad esprimere una teoria linguistica ecumenica ... perché di fatto tale teoria non c'è. Tralasciando ... Siccome a me interessa l'etica reputerei ozioso parlare del nulla, ma forse tu stai seguendo un percorso di cui non conosco il fine.
Forse io reputo interessante il nodo irrisolto perché a mio giudizio l'avrei risolto, ma purtroppo, e sarebbe bello poterlo ricordare, non ricordo come io pensassi prima di risolverlo. Certo so che ero vicinissimo allo scetticismo, ma non ricordo il nascere di un mio pensiero dell'epoca nel momento in cui esprimevo un'opinione. E questa dimenticanza l'addebito tutta al fatto che uno stato interiore non lo riproduci se non a parole, ma sarebbe proprio quel momento, all'interno di una interiorità più o meno sedimentata, a far emergere il bisogno di esprimere un'opinione ... e sarebbe questo a muovere il mondo. Comunque il vero problema che a me interessava riguardava l'etica e mi ricordo che ero pure giunto alla conclusione che l'unica etica sana doveva non ricorrere al solito ritornello "bisognerebbe agire in questo o quell'altro modo", e giù poi con leggi che fissano paletti. Voglio quindi dire che la soluzione del nodo irrisolto doveva risolvere pure la questione dell'etica, altrimenti il nodo irrisolto avrei potuto gettarlo tranquillamente alle ortiche. E penso ora, col senno di poi, che una teoria del linguaggio ecumenica sia necessaria allo svolgimento di un'etica corretta che dovrebbe autoimporsi a fronte di una nuova consapevolezza generata dalle evidenze di cui già abbiamo notizia in modo un poco distorto.
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Per quel che riguarda il tuo intervento riprendo queste due righe:
"Nel senso che la correlazione è anzitutto istantanea, l'oggetto conosce te, solo quanto tu conosci l'oggetto.
E' proprio per via della impossibilità temporale di conoscere quel quid che permette la correlazione che porta Hegel in direzione spirituale."
Non so cosa tu intenda, o cosa Hegel intenda con: "l'oggetto conosce te solo quanto tu conosci l'oggetto". L'oggetto può senz'altro modificarmi, ma per me è difficile pensare che l'oggetto conosca me, essendo per me più spontaneo pensare invece che l'oggetto mi chieda di essere conosciuto. L'atto di conoscenza lo faccio io, mica l'oggetto. Nel senso che tu accetti l'esistere dell'oggetto nel tuo mondo perché hai accettato la sua richiesta. E sono propenso a pensare che il fatto che l'oggetto ti ponga tale richiesta non sia del tutto irrisolvibile, anzi sarebbe vero il contrario
Ciao
Citazione di: daniele22 il 29 Giugno 2022, 12:25:31 PMCiao Green e buon relax, mi riposerò pure io almeno fintanto che non si torni ad un clima accettabile. Speriamo pure che gli eventi bellici giungano a soluzione adesso che Draghi pensa di essere il presidente degli Usa. Purtroppo non conosco il pensiero hegeliano se non per brandelli di ricordi scolastici, pur tuttavia mi son tuffato nel mucchio ben sapendo che alla fine si arriva sempre al nodo irrisolto di chi noi si sia, che è il punto cruciale del mio pensiero. E' per me palese che questo nodo, semmai potesse essere sciolto, giungerà infine ad esprimere una teoria linguistica ecumenica ... perché di fatto tale teoria non c'è. Tralasciando ... Siccome a me interessa l'etica reputerei ozioso parlare del nulla, ma forse tu stai seguendo un percorso di cui non conosco il fine.
Forse io reputo interessante il nodo irrisolto perché a mio giudizio l'avrei risolto, ma purtroppo, e sarebbe bello poterlo ricordare, non ricordo come io pensassi prima di risolverlo. Certo so che ero vicinissimo allo scetticismo, ma non ricordo il nascere di un mio pensiero dell'epoca nel momento in cui esprimevo un'opinione. E questa dimenticanza l'addebito tutta al fatto che uno stato interiore non lo riproduci se non a parole, ma sarebbe proprio quel momento, all'interno di una interiorità più o meno sedimentata, a far emergere il bisogno di esprimere un'opinione ... e sarebbe questo a muovere il mondo. Comunque il vero problema che a me interessava riguardava l'etica e mi ricordo che ero pure giunto alla conclusione che l'unica etica sana doveva non ricorrere al solito ritornello "bisognerebbe agire in questo o quell'altro modo", e giù poi con leggi che fissano paletti. Voglio quindi dire che la soluzione del nodo irrisolto doveva risolvere pure la questione dell'etica, altrimenti il nodo irrisolto avrei potuto gettarlo tranquillamente alle ortiche. E penso ora, col senno di poi, che una teoria del linguaggio ecumenica sia necessaria allo svolgimento di un'etica corretta che dovrebbe autoimporsi a fronte di una nuova consapevolezza generata dalle evidenze di cui già abbiamo notizia in modo un poco distorto.
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Per quel che riguarda il tuo intervento riprendo queste due righe:
"Nel senso che la correlazione è anzitutto istantanea, l'oggetto conosce te, solo quanto tu conosci l'oggetto.
E' proprio per via della impossibilità temporale di conoscere quel quid che permette la correlazione che porta Hegel in direzione spirituale."
Non so cosa tu intenda, o cosa Hegel intenda con: "l'oggetto conosce te solo quanto tu conosci l'oggetto". L'oggetto può senz'altro modificarmi, ma per me è difficile pensare che l'oggetto conosca me, essendo per me più spontaneo pensare invece che l'oggetto mi chieda di essere conosciuto. L'atto di conoscenza lo faccio io, mica l'oggetto. Nel senso che tu accetti l'esistere dell'oggetto nel tuo mondo perché hai accettato la sua richiesta. E sono propenso a pensare che il fatto che l'oggetto ti ponga tale richiesta non sia del tutto irrisolvibile, anzi sarebbe vero il contrario
Ciao
Ma alla fine stai capendo più tu che io il buon Hegel! ;)
Il mio fine è quello di capire fino in fondo la questione del soggetto, ossia in che maniera esso viene a determinarsi rispetto a quello che io chiamo originario e Hegel dovrebbe chiamare Dio. E' pura finzione o possiamo trovare una verità in esso?
Mi piace la tua idea di ecumenismo linguistico, mi pare un progetto che richiede grande serietà.
Non ho però idea di quale sia l'etica di Hegel (fino ad oggi ho sentito solo critiche su di essa :D), io lo leggo sopratutto per la parte iniziale.
Forse andano avanti troverai degli spunti a te utili.
Bentornati,
dopo un paio di settimane per riabituarmi ai miasmi della città milanese, sono tornato al lavoro, più deciso che mai (inutile dire che sento una forte spinta di contranalisi...si stava bene in montagna ;), se non fosse andato tutto storto..ma questioni personali ;))
Riprendiamo la lettura aiutati dal dottor Gregory B. Sadler.
Ho deciso di saltare per l'ennesima volta sia prefazione che introduzione, e andare dritti al sodo.
Rimangono i contributi passati, che naturalmente riprenderemo, in altre forme.
Sono una trecentina di contributi ancora in progress...faccio un pò di pressione sulla netiquette, tenderei a fare un post al giorno (se possibile), dimodo che tra un anno e qualcosa possiamo dirci contenti del lavoro fatto.
Purtroppo è un periodo di crisi nerissimo e servono risposte il più veloci possibili, essendo Hegel la pietra d'angolo per ogni futuro contributo che sia psicanalitico (vedi 3d che apro oggi stesso) o che sia marxiano (ancora in attesa di essere aperto).
Gregory B. Sadler ci aiuta a continuare nella lettura di Hegel.
(le lezioni non sono ancora finite e sono già passati 7 anni...con calma guys!)
Saltiamo la prefazione e l'introduzione (per ora).
E ripartiamo con l'inizio vero e proprio della fenomenologia dello spirito.
I paragrafi che vanno dal 90 al 110 (abbiamo già detto che questi paragrafi sono stati messi per mera esigenza didattica) riguardano il primo capitolo del libro che si concentra sulla certezza sensibile.
90.
Per Hegel è importante porre un inizio che sia il più basico possibile.
Abbiamo imparato che dobbiamo imparare ad usare la fenomenologia come un analisi di come le cose ci si presentano (Prefazione e Introduzione).
E le cose si presentano dunque come un oggetto, di cui la nostra analisi sarebbe il senso, ovvero gli oggetti di senso (percettivo).
La nostra analisi essendo la coscienza del sapere della relazione fra la nostra coscienza e l'oggetto.
Dunque il sapere della relazione tra coscienza e oggetto.
Le cose si presentano nella loro IMMEDIATEZZA e in questa modalità la coscienza le riceve, e le riceve come senso percettivo, ossia tramite un medium. Ma senza medium esse sono quello che sono, ossia mero essere qualcosa, mero oggetto ontologico.
Questa distinzione fra in-medium (in mediatezza) e ontologia, è anche la distinzione con cui la coscienza sà, tramite l'apprendimento e la comprensione rispettivamente, termini chiave nel lessico del nostro tedesco, ossia AUFFASEN e BEGREIFEN.
91.
La certezza della sensorialità è la più ricca e la più vera.
La più ricca perchè essa dermina nel tempo e nello spazio il più gran numero di oggetti che affluiscono alla nostra coscienza.
L'oggetto contiene in sè inoltre la possibilità di incontrare ulteriori oggetti dentro di sè, e la possibilità di utilizzi sempre diversi.
Ma in quanto pura astrazione è anche la più vera perchè contiene in sè spogliato di ogni medium, nient'altro che se stesso, pura essenza.
L'oggetto è tale dunque solo in quanto medium di qualità e quantità, ma in realtà è pura essenza a livello fenomenologico.
Vi sono infinite essenze. A livello fenomenologico dunque ogni ESSENZA è qualcosa, è oggetto.
D'altro canto la coscienza a livello fenomenologico (ossia comprensivo) è soltanto un "puro io", un mero contenitore vuoto, e dunqe spogliato della sua qualità (ossia nel medium quella di ricevere) più correttamente un mero qualcosa, un mero oggetto, di nuovo mera ESSENZA.
Sintetizzando la coscienza sensibile è la forma di conoscenza più basica in quanto la più astratta e vuota di concetti.
92.
La certezza pura è però contraddistinta non tanto dal carattere relazionale di due essenze ma dalla determinazione di un io e un non io (essenza oggetto-io ed essenza oggetto-qualcosa).Questo continua determinazione è ciò che chiamiamo IMMEDIATEZZA.
La certezza sensibile è dunque l'immediatezza della MEDIAZIONE delle essenze.
(nota del redattore):
Potremmo dire che l'auffasen è la certezza sensibile, mentre la begriefen è la mediazione di qualcos'altro, rispetto al qualcosa esperito.
93.
Rispettando quello che abbiamo detto dovremmo capire che dunque l'io si determina da qualcosa che involve qualcos'altro, e di cui noi siamo COINVOLTI.
L'io è perciò inessenziale e si rivela in quanto sapere di qualcosa da parte di qualcuno (in realtà di qualcosa, se abbiamo capito, che poi noi chiamiamo io).
Questo sapere, questa conoscenza è inessenziale esso stesso, al puro e semplice esistere (delle cose, che in realtà sono essenze appunto).
La fenomenologia cioè attesta dell'ESSERE in quanto ESSERE.
(nota del redattore):
La comprensione (begriefen) originaria è quella dell'ESSERE.
L'apprendimento (auffasen) è quello dell'immediatezza, ossia che qualcos'altro che ci coinvolge, ci viene sottratto: è dunque una falsa rappresentazione (o semplicemente una rappresentazione) e dunque PER NULLA ORIGINARIA.
L'io monolitico è una invenzione del pensiero che NON PENSA.
Citazione di: green demetr il 08 Ottobre 2022, 18:22:30 PMMa alla fine stai capendo più tu che io il buon Hegel! ;)
Il mio fine è quello di capire fino in fondo la questione del soggetto, ossia in che maniera esso viene a determinarsi rispetto a quello che io chiamo originario e Hegel dovrebbe chiamare Dio. E' pura finzione o possiamo trovare una verità in esso?
Mi piace la tua idea di ecumenismo linguistico, mi pare un progetto che richiede grande serietà.
Non ho però idea di quale sia l'etica di Hegel (fino ad oggi ho sentito solo critiche su di essa :D), io lo leggo sopratutto per la parte iniziale.
Forse andano avanti troverai degli spunti a te utili.
Grazie Green per l'apprezzamento, ma soprattutto per sostenere questo dialogo.
Per quel che riguarda l'idea dell'ecumenismo naturalmente mi riferisco ad una teoria del linguaggio, non ad un ecumenismo linguistico. La mia idea, per la quale non trovo alcun riscontro, corrisponde a che il linguaggio sia sostanzialmente un fenomeno di natura emotiva e che sia evoluto attraverso l'ambiente ad una forma che oggi riterremmo razionale (pretenziosamente a mio modo di vedere, o meglio, tale esercizio di razionalità si attuerebbe entro determinati confini) attraverso l'incontro col fuoco. In breve, si tratterebbe di una evoluzione che si attuò per disambiguazione di eventi e non di oggetti. Tali disambiguazioni (producenti gesti e/o fonazioni) si sarebbero attuate attraverso due linee: sia per distinzione che si rivolge ai nuovi eventi entrati nella vita comune, sia per la gestione del tempo dell'evento (l'evento è rivolto a un passato da ripetere, o lo si deve porre in atto). Tanto per dare esempio: si deve prendere la legna oppure bruciarla, oppure, c'è bisogno di un oggetto che era qui da qualche parte, dobbiamo ricostruirne un altro? ... Nuovi eventi e dimensione temporale quindi. La complessità del nostro vivere avrebbe infine stimolato le nostre preoccupazioni dirigendole ad affrontare le problematiche dell'ipotesi.
Per quel che riguarda la domanda che poni mi rivolgo alla proposizione nr. 90 nel tuo ultimo post.
Penso vi sia una necessità che, per i nostri fini, richiede una disambiguazione. Per come la vedo io l'oggetto si presenta alla nostra coscienza come storia e non come oggetto, ed è per tale motivo che la nostra coscienza lo tratterrebbe mentalmente realizzandolo tramite il processo dell'apprendimento che è già comprensione. Questo accadrebbe in armonia con l'atavica evoluzione linguistica, quando cioè era ancora palese che noi si è vincolati nel nostro pensare dall'evento più che all'oggetto protagonista. Il medium affinché questa storia dell'oggetto si produca (per quanto anche fuorviante in principio) sarebbe dato dalla nostra interiorità di natura emotiva. Se quindi tale storia mostra il significato/senso in nuce dell'oggetto, tale significato corrisponderebbe nel suo nascere (essendo legato all'evento che lo accompagna in scena) ad un mi piace o non mi piace con tutti i gradi compresi tra le due polarità.
Pertanto, per quel che riguarda la domanda che poni a me all'inizio potrei rispondere riprendendo questa esternazione di niko estrapolata dal tema "La forza del lavoro per il bene dell'uomo":
Cit. " E il nostro giudizio funziona per le due polarità estreme di piacere e dolore come quello di tutte le altre bestie e così continua a funzionare, non abbiamo il potere di alterare la nostre e altrui natura al punto di alterare anche quello."
Un saluto
Citazione di: daniele22 il 10 Ottobre 2022, 10:59:43 AMGrazie Green per l'apprezzamento, ma soprattutto per sostenere questo dialogo.
Per quel che riguarda l'idea dell'ecumenismo naturalmente mi riferisco ad una teoria del linguaggio, non ad un ecumenismo linguistico. La mia idea, per la quale non trovo alcun riscontro, corrisponde a che il linguaggio sia sostanzialmente un fenomeno di natura emotiva e che sia evoluto attraverso l'ambiente ad una forma che oggi riterremmo razionale (pretenziosamente a mio modo di vedere, o meglio, tale esercizio di razionalità si attuerebbe entro determinati confini) attraverso l'incontro col fuoco. In breve, si tratterebbe di una evoluzione che si attuò per disambiguazione di eventi e non di oggetti. Tali disambiguazioni (producenti gesti e/o fonazioni) si sarebbero attuate attraverso due linee: sia per distinzione che si rivolge ai nuovi eventi entrati nella vita comune, sia per la gestione del tempo dell'evento (l'evento è rivolto a un passato da ripetere, o lo si deve porre in atto). Tanto per dare esempio: si deve prendere la legna oppure bruciarla, oppure, c'è bisogno di un oggetto che era qui da qualche parte, dobbiamo ricostruirne un altro? ... Nuovi eventi e dimensione temporale quindi. La complessità del nostro vivere avrebbe infine stimolato le nostre preoccupazioni dirigendole ad affrontare le problematiche dell'ipotesi.
Per quel che riguarda la domanda che poni mi rivolgo alla proposizione nr. 90 nel tuo ultimo post.
Penso vi sia una necessità che, per i nostri fini, richiede una disambiguazione. Per come la vedo io l'oggetto si presenta alla nostra coscienza come storia e non come oggetto, ed è per tale motivo che la nostra coscienza lo tratterrebbe mentalmente realizzandolo tramite il processo dell'apprendimento che è già comprensione. Questo accadrebbe in armonia con l'atavica evoluzione linguistica, quando cioè era ancora palese che noi si è vincolati nel nostro pensare dall'evento più che all'oggetto protagonista. Il medium affinché questa storia dell'oggetto si produca (per quanto anche fuorviante in principio) sarebbe dato dalla nostra interiorità di natura emotiva. Se quindi tale storia mostra il significato/senso in nuce dell'oggetto, tale significato corrisponderebbe nel suo nascere (essendo legato all'evento che lo accompagna in scena) ad un mi piace o non mi piace con tutti i gradi compresi tra le due polarità.
Pertanto, per quel che riguarda la domanda che poni a me all'inizio potrei rispondere riprendendo questa esternazione di niko estrapolata dal tema "La forza del lavoro per il bene dell'uomo":
Cit. " E il nostro giudizio funziona per le due polarità estreme di piacere e dolore come quello di tutte le altre bestie e così continua a funzionare, non abbiamo il potere di alterare la nostre e altrui natura al punto di alterare anche quello."
Un saluto
Ah e pensare che credevo parlassi di ecumenismo religioso!
No dissentiamo in tutto, l'uomo non è un animale.
Andando avanti con la lettura del testo hegeliano hai anche la risposta, è il linguaggio che è universale, che dà conto del particolare, sia esso l'apprendimento del piacere e del dolore.
Ma come tu dici sopra, l'apprendimento è già parte della comprensione.
In effetti Hegel mi aveva teso una trappola, come sarà evidente andando avanti, in effetti all'apparenza il soggetto è inessenziale, ma in realtà è il soggetto che si esplicita come pure pensiero, non come puro sentimento come invece tu asserisci.
Certamente il linguaggio prende forma dal sentire, ma questo sentire è già presente in una forma di pre-comprensione (quindi siamo in accordo ma partendo da prospettive diametralmente opposte, anche se tu non le hai espresse, purtroppo il relegare l'uomo ad animale è il principale SINTOMO nell'insensatezza del vivere moderno).
Approfondendo:
E' il pensiero che pensa il linguaggio, e che dà in apparenza un io monolitico, che la modernità fatta di bio-potere vuole chiamare animalità.
Naturalmente qui apriamo uno squarcio troppo ampio che va fuori tema, e che solo leggendo Agamben possiamo capire (intendo dire che sto leggendo Agamben, in maniera privata, probabilmente aprirò 3d di materiali vari che guardano ad una fratellanza comunitaria, penso che la unirò ai materiali di sinistra, troppi stimoli da raccogliere in maniera sistematica).
continuiamo...
94.
Il sensibile è veramente così certo?
95.
Rispetto al qui, se ora è notte, e la verità è che questa è la notte, a mezzogiorno è giorno, e dunque questa verità (della notte) non è più.
E cioè questa verità deve spiegare sempre il dove e quando, per essere tale.
96.
Poichè soltanto l'istanza del qui ed ora è veritiera, dunque ciò che rimane vero non è tanto il questo o quello, ma l'universalità dell'assunto di questo qui ed ora (dell'immediatezza) ossia che può essere sia questo che quello.
97.
In questo risiede la verità del sapere, ossia nell'universalità del linguaggio che viene specificata dalla particolarità del sensibile riguardo qualcosa che noi riconosciamo come l'essere-in-generale.
98.
Il famoso passaggio su cui medito da anni:
Se io vedo un albero, so che quell'albero è lì, ma se io mi giro, l'albero non è più e invece c'è una casa (un non albero).
Cosa mi garantisce che l'albero è sempre lì, nel frattempo?
Infatti noi viviamo sempre nell'immediatezza (ma nell'attesa e nella procrastinazione).
99.
Dot. Sadler ci fa capire che l'essenza della certezza sensibile è un puro essere (qualcosa). E questo qualcosa è sempre frutto di una mediazione linguistica rispetto al negativo di ciò che c'è e non c'è allo stesso tempo.
L'universale è ciò che può essere pensato e detto, ma non sentito e reso particolare.
L'essenza del Essere è dunque l'esatto opposto dell'essenza del sensibile che viene conosciuta sempre come particolare, e si conosce tramite negazione di essa.
Un albero diventa una casa, e viceversa.
L'essenza è una astrazione, e l'essenza del particolare è quell'essenza mediata.
(Nota del redattore)
Capovolgendo l'inferenza del sapere da cui desumo una (essenza) astrazione, è il pensiero che è pura astrazione! Molto più semplicemente!
Probabilmente qui Hegel, volendo costruire una scienza del pensiero, potrebbe essere qui contra-detto da se stesso, perchè questa essenza generale di cui parla, potrebbe benissimo essere altro.
E dunque pensiero reificato. Naturalmente questo errore è tipico della scienze ridicole della neuroscienza, del mentalismo e della psicologia dell'io, compresa la sua forma medica psichiatrica.
(Nota del redattore)
Il pensiero è L'Essere (così pari pari in Heidegger, che però non ragiona sul negativo, ma parte subito dall'essente come mera mediazione).
100.
La trasformazione dialettica prende qui un verso deferente rispetto a quello inferente che abbiamo analizzato sopra.
Infatti a questo punto è chiaro che laddove apparentemente è l'oggetto a far saper (certezza sensibile) al soggetto della sua esistenza, ora possiamo bene dire, che fin dall'inizio è il soggetto (in quanto puro pensiero) che tramite il linguaggio conosce l'oggetto.
Dunque quello che prima sembrava essere inessenziale, ossia il soggetto, è ora invece dalla fenomenologia dialettica completamente capovolto.
(Nota del redattore)
Possiamo tranquillamente vedere qui la teoria del feticcio decostruita, e implentata correttamente vede la soluzione nel rafforzamento del pensiero piuttosto che il depensamento della modernità.
Ossia passare da una teoria dell'io (collezionatore di oggetti, inessenziale) ad una del soggetto, ossia scelta politica del pensare a scapito dell'oggetto (inessenziale) ovvero il "Meinen" (il MIO oggetto) che si proietta nell'Aufgehoben (ossia nella riduzione della realtà, riduzionismo gnoseologico).
Conclude Hegel che la realtà (percezione sensibile) è questo "Meinen".
101.
Dot. Sadler analizza ora l'io (il soggetto) che pre-conizza il qui della certezza sensibile, tramite un attesa, una pre-cognizione, un aspettare che la cosa diventi (quello che il soggetto VUOLE che sia).
Ma non il tempo, l'ora (cosa che appunto mi aveva fermato nel quindicennio precedente).
Per Sadler questo viene spiegato più tardi nel concetto dell'auto-coscienza.
Ossia il riconoscimento dell'Altro (soggetto).
In fatti l'io che vede l'albero, non è lo stesso io (vi sono migliaia di soggetti) che vede invece la casa. Stessa cosa per il giorno e la notte.
In effetti forse bastava andare avanti :P
Salve. Citando qualcuno : " Il famoso passaggio su cui medito da anni:
Se io vedo un albero, so che quell'albero è lì, ma se io mi giro, l'albero non è più e invece c'è una casa (un non albero).
Cosa mi garantisce che l'albero è sempre lì, nel frattempo?
Infatti noi viviamo sempre nell'immediatezza (ma nell'attesa e nella procrastinazione)".
Chi medita da anni chi non riesce a snidare il significato e la definizione del verbo "essere".
L'albero "è" (esiste) soggettivamente in quanto e sinchè la sua esistenza è causa dell' effetto di impressionare la retina oculare di chi lo osservi (o di produrre altri fenomeni che coinvolgano chi lo osserva).
Girandovi la spalle, l'albero cessa di esistere soggettivamente (per noi soggetti valutanti la sua esistenza) ma magari continua ad esistere per altri sguardi (anch'essi però soggettivi) che lo osservino.
In mancanza di osservatori, nulla esiste oggettivamente.
L'ESSERE E' IL FRUTTO DELLE CAUSE CHE LO GENERANO ED IL SEME DEGLI EFFETTI CHE L'ESSERE STESSO GENERERA'.
Nessun osservatore, dicevo,.............nessuna causa osservabile e nessun effetto osservabile.Saluti.
Viator ,molto bella l'analisi pero'..... immagina che quello stesso albero sia l'unica forma di vita rimasta sulla terra dopo la guerra termonucleare totale che sarah connor non e' riuscita ad evitare , nessuno per anni se lo potra' rappresentare , quindi secondo la tua ( non originale ) teoria in sé l'albero non esiste ( non e' ), poniamo pero' che una missione aliena decida di dare un'occhiata alle condizioni del ns pianeta compatibilmente con le loro tecnologie e che trovino quell'unico albero ancora in vita e quindi rappresentandoselo e , magari toccandolo o tamponandolo con l'astronave............ nel periodo "buio" evidentemente l'albero e' comunque esistito ... o no ?
Grazie per chiarire
Salve atomista. Vedi, dovrei spiegare che il verbo "essere" è termine il cui significato è significato ineludibile sia che si affrontino temi fisicistici sia si voglia parlare di metafisica.
La sua presenza mostra come tale termine sia la "cerniera" che collega appunto l'ambito fisico a quello metafisico. Il suo significato - appunto -include tali due ambiti mostrando che essi sono i due aspetti confinanti e nient'affatto contradditori - bensì compensativi - dell'"esistente".
L'esistente è quindi la monade, l'unicità consistente nel tutto, che noi umani (ma anche eventuali alieni - hai mai riflettuto sul fatto che Dio - se esistente - è anch'esso definibile come Entità aliena al genere umano ??).
Gli umani sono costretti a vivere confrontandosi solamente con il relativo, il soggettivo, mentre sono costretti - nel confrontarsi con "l'esterno non soggettivo" - a trattare separatamente delle due "metà" del Tutto-Assoluto.
Chiamano "mondo fisico" l'insieme di tutto ciò che riescono a percepire come proveniente dall'esterno del proprio cervello (quindi appunto la fisica del proprio corpo e del Mondo) mentre sono sempre costretti a chiamare "metafisico" (oltre la fisica) ciò che a loro sembra provenire dal mondo del "sentire interiore", cioè da ciò che sembra proprio venga generato dal proprio sè (quindi dalla propria coscienza, identità, anima, spirito, intelletto, capacità di astrazione......o come preferiscono chiamarlo).
Fisica e metafisica solo solamente le due metà della mela. La FISICA E' IL NOTO convenzionale, mentre la METAFISICA E' L'IGNOTO che forse in futuro diventerà noto o che magari è destinato a restare ignoto (il noto avrà sempre dei limiti, l'ignoto non ne avrà mai).
Dal punto di vista umano quindi "esiste fisicamente" solo ciò che noi possiamo percepire attraverso i sensi, mentre ciò che possiamo solamente "sentire interiormente" esiste anch'esso ma solo in via immateriale, non fisico (appunto, metafisico, ideale, concettuale, emozionale, sentimentale, spirituale etc. etc.).
Purtroppo tali distinzioni non verranno capite (ed il capirle,comunque, non significa certo doverle condividere) a causa della estrema imprecisione e confusione culturale regnante circa i termini che ho qui sopra chiamato in causa. Saluti.
Gli esperimenti sulla deprivazione sensoriale hanno confermato che LA MENTE umana senza stimoli esterni e' prossima all'implosione in tempi molto brevi ( e la totale assenza di stimolo e' impossibile quindi sarebbe ancora piu' evidente il risultato) tuttavia questo non significa che "fuori" non continuasse ad esistere UNA realta' fisica che e'........ in quanto esiste...... in quanto "dasein". Il resto mi pare un seppur utile sofisma.
Citazione di: atomista non pentito il 14 Ottobre 2022, 14:29:45 PMGli esperimenti sulla deprivazione sensoriale hanno confermato che LA MENTE umana senza stimoli esterni e' prossima all'implosione in tempi molto brevi ( e la totale assenza di stimolo e' impossibile quindi sarebbe ancora piu' evidente il risultato) tuttavia questo non significa che "fuori" non continuasse ad esistere UNA realta' fisica che e'........ in quanto esiste...... in quanto "dasein". Il resto mi pare un seppur utile sofisma.
Salve atomista. Gli "esperimenti" circa la deprivazione sensoria non possono confermare alcunchè, dal momento che è impossibile "sperimentare" o "far sperimentare" tale condizione.
Il colloquio sensoriale tra organi (tutti gli organi posti al di fuori del cervello fanno parte del "fuori di sè - fuori del soggetto", e l'encefalo stesso può venir eliminato solamente la cessazione del colloquio stesso, cioè LA MORTE.
Tieni presente : le informazioni scientifiche non valgono nulla se ad esse non si affianca la logica filosofica che sappia ricondurle ad una migliore interpretazione. Infatti - allo scopo - esiste la "filosofia della scienza". Saluti.
@Green: penso sia necessario, almeno per me, sintetizzare quel che scorgo nella polemica tra il mio pensiero e il tuo (o quello di Hegel). Nel tuo post 90 del dodici giugno tu dici:
"La mela è sempre dentro una relazione con te che la vedi e la riconosci come tale.
Dunque nel concetto di mela ci DEVE essere anche il concetto dell'osservatore e del conoscitore.
Lasciare andare uno dei due capi, significa avere una visione del mondo diversa da Hegel. "
Al punto in cui ci si trova oggi col nostro dialogo penso sia ancora in piedi la questione e quindi torno a questo nodo per vedere se ne esce qualcosa di più chiaro. Dal mio punto di vista, come già ti risposi, osservatore e conoscitore sarebbero temporalmente coincidenti, nel senso che non vi sarebbe un intervallo temporale che dia vita a due figure temporalmente in successione (osservare e conoscere). In pratica significa che esiste solo il conoscere. Questo accadrebbe perché il concetto (generalizzazione) di mela giungerebbe alla nostra mente (e trattenuto) non in quanto oggetto percepito dai sensi (la mela), ma in quanto la mela compie un'azione significativa dal punto di vista del conoscitore. Tale fenomeno che si compie sarebbe determinato dall'attenzione rivolta al significato (o senso) per la mela nell'imminenza del suo apparire in scena, non all'immagine, restando pertanto l'immagine dell'oggetto semplicemente una traccia mnemonica per poterlo in seguito riconoscere e quindi eventualmente manipolare.
Tutto questo corrisponde a sostenere che l'oggetto si presenta al soggetto come "storia di un oggetto", e sarebbe a partire da questa storia che si sviluppano potenzialmente altre storie all'interno di altre esperienze con l'oggetto anche contradditorie tra loro (ampliamento della conoscenza).
Mi sembra infine che le due posizioni siano antitetiche e forse valide entrambi, sempre che il mio pensiero non rechi con sé un errore (mi sembra improbabile che possa averlo compiuto Hegel). C'è però da dire che le due visioni danno un'idea della realtà nettamente contrapposta. In una ci viene detto che noi siamo in un certo senso costretti a conoscere per vivere, cioè che la nostra azione intelligente si determina più che altro come reazione alla pressione ambientale (difensiva), nell'altra che vi sia arbitrarietà da parte dell'intelligenza nel condurre il gioco (offensiva)
Non vorrei "spoilerare" sviluppi post-hegeliani sul tema, ma, passando da una fenomenologia all'altra, la questione assumerà anche i panni della sintesi passiva in Husserl (v. ad esempio
qui).
E quella bombardata dal sonoro ...all'esplosione!
C'è anche una terza cosa: il cervello.umano non riesce a capire più di 7 bit contemporanei,quindi è "scemo" dal punto di vista logico matematico ,razionale.
Per il resto sorvolo,ma io dico che la maggior parte dell'intelligenza umana viene da altrove e non è umana.
La prova di questo è la quasi totale mancanza di intelligenza emotiva e affettiva negli esseri umani:l'altrove che fornisce l'input se ne fotte di emozioni e sentimenti mentre l'umanità, senza un input di intelligenza emotiva,mostra di essere ignorante in materia
Citazione di: viator il 14 Ottobre 2022, 11:31:36 AMSalve. Citando qualcuno : " Il famoso passaggio su cui medito da anni:
Se io vedo un albero, so che quell'albero è lì, ma se io mi giro, l'albero non è più e invece c'è una casa (un non albero).
Cosa mi garantisce che l'albero è sempre lì, nel frattempo?
Infatti noi viviamo sempre nell'immediatezza (ma nell'attesa e nella procrastinazione)".
Chi medita da anni chi non riesce a snidare il significato e la definizione del verbo "essere".
L'albero "è" (esiste) soggettivamente in quanto e sinchè la sua esistenza è causa dell' effetto di impressionare la retina oculare di chi lo osservi (o di produrre altri fenomeni che coinvolgano chi lo osserva).
Girandovi la spalle, l'albero cessa di esistere soggettivamente (per noi soggetti valutanti la sua esistenza) ma magari continua ad esistere per altri sguardi (anch'essi però soggettivi) che lo osservino.
In mancanza di osservatori, nulla esiste oggettivamente.
L'ESSERE E' IL FRUTTO DELLE CAUSE CHE LO GENERANO ED IL SEME DEGLI EFFETTI CHE L'ESSERE STESSO GENERERA'.
Nessun osservatore, dicevo,.............nessuna causa osservabile e nessun effetto osservabile.Saluti.
Si ma chi "osserva non è il percepiente, bensì il pensiero".
Altrimenti non vi sarebbe alcuna mediazione.
Citazione di: atomista non pentito il 14 Ottobre 2022, 11:45:41 AMViator ,molto bella l'analisi pero'..... immagina che quello stesso albero sia l'unica forma di vita rimasta sulla terra dopo la guerra termonucleare totale che sarah connor non e' riuscita ad evitare , nessuno per anni se lo potra' rappresentare , quindi secondo la tua ( non originale ) teoria in sé l'albero non esiste ( non e' ), poniamo pero' che una missione aliena decida di dare un'occhiata alle condizioni del ns pianeta compatibilmente con le loro tecnologie e che trovino quell'unico albero ancora in vita e quindi rappresentandoselo e , magari toccandolo o tamponandolo con l'astronave............ nel periodo "buio" evidentemente l'albero e' comunque esistito ... o no ?
Grazie per chiarire
Ti rubo una risposta: il buion non è dell'oggetto, ma dell'osservatore, ossia il pensiero.
Citazione di: atomista non pentito il 14 Ottobre 2022, 14:29:45 PMGli esperimenti sulla deprivazione sensoriale hanno confermato che LA MENTE umana senza stimoli esterni e' prossima all'implosione in tempi molto brevi ( e la totale assenza di stimolo e' impossibile quindi sarebbe ancora piu' evidente il risultato) tuttavia questo non significa che "fuori" non continuasse ad esistere UNA realta' fisica che e'........ in quanto esiste...... in quanto "dasein". Il resto mi pare un seppur utile sofisma.
E no! il sofisma è di quello che pensano (e sottolineo pensano) che noi siamo cervelli in una vasca da bagno.
Citazione di: daniele22 il 15 Ottobre 2022, 22:03:05 PM@Green: penso sia necessario, almeno per me, sintetizzare quel che scorgo nella polemica tra il mio pensiero e il tuo (o quello di Hegel). Nel tuo post 90 del dodici giugno tu dici:
"La mela è sempre dentro una relazione con te che la vedi e la riconosci come tale.
Dunque nel concetto di mela ci DEVE essere anche il concetto dell'osservatore e del conoscitore.
Lasciare andare uno dei due capi, significa avere una visione del mondo diversa da Hegel. "
Al punto in cui ci si trova oggi col nostro dialogo penso sia ancora in piedi la questione e quindi torno a questo nodo per vedere se ne esce qualcosa di più chiaro. Dal mio punto di vista, come già ti risposi, osservatore e conoscitore sarebbero temporalmente coincidenti, nel senso che non vi sarebbe un intervallo temporale che dia vita a due figure temporalmente in successione (osservare e conoscere). In pratica significa che esiste solo il conoscere. Questo accadrebbe perché il concetto (generalizzazione) di mela giungerebbe alla nostra mente (e trattenuto) non in quanto oggetto percepito dai sensi (la mela), ma in quanto la mela compie un'azione significativa dal punto di vista del conoscitore. Tale fenomeno che si compie sarebbe determinato dall'attenzione rivolta al significato (o senso) per la mela nell'imminenza del suo apparire in scena, non all'immagine, restando pertanto l'immagine dell'oggetto semplicemente una traccia mnemonica per poterlo in seguito riconoscere e quindi eventualmente manipolare.
Tutto questo corrisponde a sostenere che l'oggetto si presenta al soggetto come "storia di un oggetto", e sarebbe a partire da questa storia che si sviluppano potenzialmente altre storie all'interno di altre esperienze con l'oggetto anche contradditorie tra loro (ampliamento della conoscenza).
Mi sembra infine che le due posizioni siano antitetiche e forse valide entrambi, sempre che il mio pensiero non rechi con sé un errore (mi sembra improbabile che possa averlo compiuto Hegel). C'è però da dire che le due visioni danno un'idea della realtà nettamente contrapposta. In una ci viene detto che noi siamo in un certo senso costretti a conoscere per vivere, cioè che la nostra azione intelligente si determina più che altro come reazione alla pressione ambientale (difensiva), nell'altra che vi sia arbitrarietà da parte dell'intelligenza nel condurre il gioco (offensiva)
No il tuo ragionamento fila perfettamente, non trovo errori per quanto possa trovarli.
All'inizio devo dire che avevo grossi problemi con la parola conoscenza, non ho un buon rapporto con la gnoseologia.
Però ero io che non ero in grado di pensare correttamente, la conoscenza è diversa dalla cognizione (sensoriale, nel caso dei riduzionisti, o psichica, come nel caso mio, prima di essere investito da Hegel ;) ).
Non posso parlare di una coscienza, senza presuppore una conoscenza.
Rimane il gap della temporalità, da pensare più approfonditamente, perchè il sentimento del tempo esiste, non è una semplice delegazione agli altri.
Ne ha parlato Agamben nel suo ultimo meraviglioso libro (di pura teoresi), che rimanda ad un approfondimento che sfonda nella metafisica più abissale di Dante Alighieri, e dell'opera postuma di Kant, che evidentemente era andato oltre i primi suoi lavori.
Ma questo è forse troppo ;) sentieri solitari di vita.
Citazione di: Phil il 16 Ottobre 2022, 10:08:54 AMNon vorrei "spoilerare" sviluppi post-hegeliani sul tema, ma, passando da una fenomenologia all'altra, la questione assumerà anche i panni della sintesi passiva in Husserl (v. ad esempio qui).
Dammi il tempo di leggerlo, vanno benissimo anche altri autori, siamo qui per pensarci su in fin dei conti ;) .
Citazione di: hystoricum il 16 Ottobre 2022, 13:08:57 PME quella bombardata dal sonoro ...all'esplosione!
C'è anche una terza cosa: il cervello.umano non riesce a capire più di 7 bit contemporanei,quindi è "scemo" dal punto di vista logico matematico ,razionale.
Per il resto sorvolo,ma io dico che la maggior parte dell'intelligenza umana viene da altrove e non è umana.
La prova di questo è la quasi totale mancanza di intelligenza emotiva e affettiva negli esseri umani:l'altrove che fornisce l'input se ne fotte di emozioni e sentimenti mentre l'umanità, senza un input di intelligenza emotiva,mostra di essere ignorante in materia
La presenza di una relazione con Dio (o alieno che dir si voglia, ma così facendo si dò conto di una materialità che dovremmo conoscere immediatamente) è fondamentale.
Il sentimento si costruisce ampliando la conoscenza, meno ne abbiamo, meno evoluti siamo e saremo.
Citazione di: viator il 14 Ottobre 2022, 16:15:25 PMSalve atomista. Gli "esperimenti" circa la deprivazione sensoria non possono confermare alcunchè, dal momento che è impossibile "sperimentare" o "far sperimentare" tale condizione.
Il colloquio sensoriale tra organi (tutti gli organi posti al di fuori del cervello fanno parte del "fuori di sè - fuori del soggetto", e l'encefalo stesso può venir eliminato solamente la cessazione del colloquio stesso, cioè LA MORTE.
Tieni presente : le informazioni scientifiche non valgono nulla se ad esse non si affianca la logica filosofica che sappia ricondurle ad una migliore interpretazione. Infatti - allo scopo - esiste la "filosofia della scienza". Saluti.
Sei , come usuale molto "tranchant" , anche nel contraddire una parte del mio intervento che tendeva a condividere parzialmente la tua visione precedentemente espressa , devi capire che personalmente non ho nemmeno lontanamente i mezzi culturali per essere cosi' astrattamente esaustivo come molta parte di chi interviene su questo forum. Tuttavia la sostanza , molto semplicemente e' : anche se non c'e' nessuno che se lo rappresenta , l'albero esiste lo stesso in quanto tale , in continua mutazione , ma esiste. Ne e' la prova il fatto che noi verifichiamo l'esistenza del mondo sebbene i piu' l'abbiamo percepito e poi abbiano smesso di farlo essendo passati a miglior vita. Ossia questa accozzaglia di materia che si aggrega in forme piu' o meno ordinate esiste. Non penso che ci siano dubbi. Pensare che spegnandomi io da percettore debba scomparire tutto il resto mi pare una bella forzatura . In ogni caso e' possibile che io non abbia capito la sostanza del tuo intervento.
Salve atomista. Sai già quanto io sia sofista. Ciascuno si diverte come può e vuole. Altro che cercare la Verità filosofico-esistenziale.
E-sistere significa "stare (essere) fuori".
Fuori de che ? fuori di chi osserva o percepisce.
L'albero sta fuori di chi lo osserva/percepisce..........sinchè costui può osservarlo o percepirlo.
Quindi l'albero funge da oggetto/ente/contenuto esterno, mentre chi osserva/percepisce funge da contenitore (della capacità di osservare e percepire).
Quando muoio (ma anche quando non guardo o non percepisco), io - come contenitore della E-SISTENZA dell'albero - non ci sono più.
Quindi l'albero cessa di E-SISTERE (per me, della cui esistenza io sono il contenitore) poichè, sparendo il "dentro di me/contenitore".........l'albero perde (PER ME) la propria connotazione di oggetto posto FUORI cioè E-SISTENTE.
Venendo a mancare il "me" ovviamente quindi cade il presupposto dell' e-sistenza del "fuori di me".
L'albero quindi non e-siste in mancanza di me, intendendosi che esso non potrà più fare parte della mia REALTA' SOGGETTIVA.
Però, per far quadrare le cose, è sufficiente cambiare verbo.
Infatti L'ALBERO E' (questo è il verbo giusto che occorre usare quando si vuole trattare di REALTA' OGGETTIVA) anche quando si possa affermare che esso NON ESISTE.
Perdona le mie esagerate acrobazie dialettiche ed abbiti i miei migliori saluti.
Citazione di: green demetr il 17 Ottobre 2022, 00:54:08 AMRimane il gap della temporalità, da pensare più approfonditamente, perchè il sentimento del tempo esiste, non è una semplice delegazione agli altri.
Ciao Green, mi piacerebbe che tu ampliassi un poco questo pezzetto del tuo pensiero.
Dopodiché, quando parlo di primato della sensazione nel fenomeno dell'apprendere una novità, col termine sensazione non mi riferisco certo alla percezione dei sensi, bensì a sensazioni che hanno a che fare con le polarità per noi ascrivibili ai concetti di bene e male in tutte le loro estensioni sempre riferiti a noi stessi. Tali sensazioni sarebbero dunque le protagoniste atte a fondare un significato pre-logico per un oggetto ignoto (sempre che noi si riesca ad individuare l'oggetto che produce la nostra sensazione); pre-logico in quanto l'azione che compie l'oggetto su di noi non rivela in modo osservabile la gradazione della sensazione che noi si vive nell'azione di sperimentarlo. Questo fondamento pre-logico fonderebbe in successione (anche istantanea, ma non sempre) l'analisi razionale dell'azione osservabile che l'oggetto compie producendo la sensazione. E di conseguenza tale fondamento pre-logico porrebbe contestualmente il limite alle alle possibilità della nostra conoscenza.
Per inciso, poi: le conseguenze di quel che dico potrebbero sollevare una problematicità nell'eguagliare il dolore prodotto da un taglio ad un dolore psichico. Ovviamente, per me, tale problematicità non sussiste. Qualora fosse rilevata, attendo opinioni in merito.
Azzarderei infine Green, che probabilmente è proprio la sensazione a generare qualsiasi tipologia di credo (di spirito)
@Phil. Perdona Phil, ma non scorgo il nesso
Citazione di: paul11 il 11 Dicembre 2021, 23:43:34 PMCi sono due coscienze ,quella naturale e quella filosofica. La coscienza naturale diviene Spirito che sa se stesso. Quindi la coscienza filosofica che è l'Io narrante, rispetto alla coscienza naturale pura che è l'IO narrato, conduce l'esposizione della Fenomenologia dello Spirito, che non è altro che la coscienza naturale giunta al sapere assoluto, attraverso due itinerari, quello storico fenomenico della coscienza naturale e quello concettuale fenomenologico della coscienza filosofica.
Nella religione lo Spirito che sa se stesso è immediatamente la sua autocoscienza pura. Nel loro insieme le figure spirituali-lo spirito vero, lo spirito estraniato da sé e lo spirito certo di se stesso- costituiscono invece lo Spirito nella sua coscienza, che si contrappone al suo mondo e non vi si riconosce. Quando però assoggetta a sé tanto il suo mondo oggettivo in generale, quanto la sua rappresentazione e i suoi concetti determinati, allora lo Spirito è autocoscienza essente presso sé.
Lo spirito è coscienza in generale, è ciò che abbraccia al suo interno certezza sensibile, percezioni e intelletto, nella misura in cui esso si considera come realtà oggettiva essente e astrae dal fatto che questa realtà è il suo essere per sé, allora lo spirito è autocoscienza. In quanto coscienza immediata dell'essere in sé e dell'essere per sé, in quanto unità della coscienza e dell'autocoscienza, lo spirito è la coscienza che ha la ragione.
Quando lo spirito che ha la ragione si intuisce finalmente come coscienza che è ragione, quando la ragione è nello spirito stesso come realtà e costituisce il suo mondo , allora esso è nella sua verità. A questo punto lo spirito è lo spirito, l'essenza etica reale. Nella misura in cui è la verità immediata , lo spirito è la vita etica di un popolo: l'individuo che costituisce un mondo. Lo spirito deve raggiungere mediante una serie di figure il sapere di se stesso.
Il tema di "Fenomenologia dello Spirito" è il movimento dialettico dell'automanifestazione dello Spirito assoluto nell'esistenza concreta.
Ma cosa dici...?Lo Spirito è Autocoscienza???
Non hai capito nulla della riflessione filosofica dell'800 tedesco.Devi studiare Heidegger per capire la scempiaggine che sostieni, quanto sia indefinibile.
La prima parte di quella che avrebbe dovuto essere il secondo tomo di "Sein und Zeit" affronta proprio il senso della Metafisica in Kant.
STUDIARE!!!
Possibilmente: capire.
Le cose essenziali, almeno, il minimo che è al di sopra dell'afasia dell'intelletto puro, poiché ha perduto la riflessione fondamentale: quella che si riferisce allo Schematismo.
La Critica dell'81 è assolutamente più pregnante, secondo me.
Bitte, studieren und versuchen sie sich in der deutsche Sprache die Lehre zu verstehen.
Citazione di: daniele22 il 19 Ottobre 2022, 09:17:41 AMCiao Green, mi piacerebbe che tu ampliassi un poco questo pezzetto del tuo pensiero.
Dopodiché, quando parlo di primato della sensazione nel fenomeno dell'apprendere una novità, col termine sensazione non mi riferisco certo alla percezione dei sensi, bensì a sensazioni che hanno a che fare con le polarità per noi ascrivibili ai concetti di bene e male in tutte le loro estensioni sempre riferiti a noi stessi. Tali sensazioni sarebbero dunque le protagoniste atte a fondare un significato pre-logico per un oggetto ignoto (sempre che noi si riesca ad individuare l'oggetto che produce la nostra sensazione); pre-logico in quanto l'azione che compie l'oggetto su di noi non rivela in modo osservabile la gradazione della sensazione che noi si vive nell'azione di sperimentarlo. Questo fondamento pre-logico fonderebbe in successione (anche istantanea, ma non sempre) l'analisi razionale dell'azione osservabile che l'oggetto compie producendo la sensazione. E di conseguenza tale fondamento pre-logico porrebbe contestualmente il limite alle alle possibilità della nostra conoscenza.
Per inciso, poi: le conseguenze di quel che dico potrebbero sollevare una problematicità nell'eguagliare il dolore prodotto da un taglio ad un dolore psichico. Ovviamente, per me, tale problematicità non sussiste. Qualora fosse rilevata, attendo opinioni in merito.
Azzarderei infine Green, che probabilmente è proprio la sensazione a generare qualsiasi tipologia di credo (di spirito)
@Phil. Perdona Phil, ma non scorgo il nesso
Scusate una ondata di depressione mi ha investito: sono i primi effetti del lavorare (intellettualmente) sul serio.
Daniele interessante la questione del sapere che unisci (radicalmente) alla questione del bene e del male.
Devo ancora capirne la portata.
Per quanto riguarda il tempo come sentimento, di cui mi pare condividiamo l'essenza elevatrice, mi riferivo al suggerimento di Sadler, che ancora dobbiamo affrontare sull'autoscoscienza come punto di vista polifonico.
Se il tempo è un mero discorso mi chiedo: "cosa sarebbe il discorso del sentimento del tempo?".
Leibnicht1 non ho capito.
Capisco la voglia di andare subito al punto finale (lo spirito), ma pazientiamo.
Provo a tentare una chiarificazione (per quanto prematura): stai rimporverando a Paul di aver dato una intepretazione dello spirito come autocoscienza?
Citazione di: green demetr il 24 Ottobre 2022, 22:10:13 PM
Scusate una ondata di depressione mi ha investito: sono i primi effetti del lavorare (intellettualmente) sul serio.
Daniele interessante la questione del sapere che unisci (radicalmente) alla questione del bene e del male.
Devo ancora capirne la portata.
Per quanto riguarda il tempo come sentimento, di cui mi pare condividiamo l'essenza elevatrice, mi riferivo al suggerimento di Sadler, che ancora dobbiamo affrontare sull'autoscoscienza come punto di vista polifonico.
Se il tempo è un mero discorso mi chiedo: "cosa sarebbe il discorso del sentimento del tempo?".
Ciao Green, lasciamo perdere quell'ampliamento di stralcio di pensiero che ti avevo chiesto giacché di fatto mi hai buttato giù un pensiero altrettanto incomprensibile.Ora però tu dici che sarebbe interessante la mia idea di una conoscenza, che io definirei a mio modo "a priori", il cui contenuto si dà in una gamma di sensazioni riconoscibili individualmente in modi tripolari (bene indifferenza male, utile indifferenza inutile etc) e, soggiungo, che tale conoscenza costituirebbe in successione attraverso l'esperienza l'edificio della ragione umana manifesta, cioè quella ragione che noi umani mettiamo in piazza tramite la lingua, quella visibile da tutti. Naturalmente le sensazioni (la conoscenza a priori) determinerebbero pure il campo di esistenza della nostra ragione. Green, questo è il nocciolo di tutta la filosofia checché se ne possa dire. O stai di qua, o stai di là, e se si dà un tertium, questo si dà solo se non ti poni il problema, ma allora è meglio tacere.
Pertanto, se il tuo fine in questo topic è quello di sbrogliare una matassa che ormai già brucia nelle nostre mani forse sarebbe meglio direzionarci su quello che ha tirato in ballo tempo fa Ipazia quando parlò del passaggio dalla cosa "in se" alla "cosa per noi" suggerito da Wittgenstein. Per me non fu un passaggio del tutto lecito, anche se parzialmente lo fu
Citazione di: daniele22 il 30 Ottobre 2022, 20:37:22 PMCiao Green, lasciamo perdere quell'ampliamento di stralcio di pensiero che ti avevo chiesto giacché di fatto mi hai buttato giù un pensiero altrettanto incomprensibile.
Ora però tu dici che sarebbe interessante la mia idea di una conoscenza, che io definirei a mio modo "a priori", il cui contenuto si dà in una gamma di sensazioni riconoscibili individualmente in modi tripolari (bene indifferenza male, utile indifferenza inutile etc) e, soggiungo, che tale conoscenza costituirebbe in successione attraverso l'esperienza l'edificio della ragione umana manifesta, cioè quella ragione che noi umani mettiamo in piazza tramite la lingua, quella visibile da tutti. Naturalmente le sensazioni (la conoscenza a priori) determinerebbero pure il campo di esistenza della nostra ragione. Green, questo è il nocciolo di tutta la filosofia checché se ne possa dire. O stai di qua, o stai di là, e se si dà un tertium, questo si dà solo se non ti poni il problema, ma allora è meglio tacere.
Pertanto, se il tuo fine in questo topic è quello di sbrogliare una matassa che ormai già brucia nelle nostre mani forse sarebbe meglio direzionarci su quello che ha tirato in ballo tempo fa Ipazia quando parlò del passaggio dalla cosa "in se" alla "cosa per noi" suggerito da Wittgenstein. Per me non fu un passaggio del tutto lecito, anche se parzialmente lo fu
Lo scopo di questo 3d è leggere Hegel, non Ipazia o quei 2 dementi di kant e wittgenstein.
Ma di quale conoscenza a priori stai (s)parlando?
Kant è un mentecatto, ma almeno aveva un oggetto fantasma in mente (una mente deviata certo), ma witgenstei quello è il peggiore di tutti, perchè per lui non esiste oggetto, solo parole :D :D seeee seeeeee vallo dire agli ebrei!
"la cosa per noi" daniele! ...e ma come fai a sapere cosa è per noi, se non sai nemmeno cosa è per te?
No siamo fuori strada, e fuori tempo massimo.
Qua ormai la si può buttare solo sul ridanciano...Hegel lo porto avanti comunque ;)
Citazione di: green demetr il 28 Dicembre 2022, 04:34:45 AMLo scopo di questo 3d è leggere Hegel, non Ipazia o quei 2 dementi di kant e wittgenstein.
Ma di quale conoscenza a priori stai (s)parlando?
Kant è un mentecatto, ma almeno aveva un oggetto fantasma in mente (una mente deviata certo), ma witgenstei quello è il peggiore di tutti, perchè per lui non esiste oggetto, solo parole :D :D seeee seeeeee vallo dire agli ebrei!
"la cosa per noi" daniele! ...e ma come fai a sapere cosa è per noi, se non sai nemmeno cosa è per te?
No siamo fuori strada, e fuori tempo massimo.
Qua ormai la si può buttare solo sul ridanciano...Hegel lo porto avanti comunque ;)
Ciao Green, sei sicuro di stare bene? Non volevo farti del male l'altra sera quando ti ho spaccato in testa quella preziosissima bottiglia di Amarone della Valpolicella, ma te la sei proprio cercata perché stavi per fare del male a Sempronio. Poi si sa, il paese è piccolo e la gente moromora. Pensa che stamattina ho trovato prima Tizio che mi ha chiesto se era vero che ti avevo spaccato una bottiglia in testa e poi ho trovato Caio che mi ha chiesto se era vero che avevo buttato via quella bottiglia di Amarone d'annata che avevo. Green, sono l'unico in questo forum, almeno ufficialmente, che nega sia le cose che i fatti. Pertanto, rientra nel sistema, sempre che tu sia in grado, e riprendi il dialogo in modi un po' più conformi ad una sana dialettica
Perché dai più importanza al valore soggettivo che noi diamo alle cose e hai fatti e non ai fatti e alle cose nude e crude? Se da un treno in stazione scendono 300 persone e fra quelle c è la mia ragazza che non vedo da mesi allora le restanti 299 persone diventano irrilevanti , uno sfondo neutro dietro i passi e il rumore del trolley e la figura della mia ragazza che si avvicina e quando parla sento solo la sua voce e quella degli altri brusio incomprensibile.
Ma questa è una realtà relativa del mio punto di vista cHe focalizza ciò che per me è importante. Ma perchè è più importante la mia percezione relativa e non ii fatto che a parlare alla stazione eravamo in 300 e non solo noi due? La realtà è ciò che è indipendente dalla nostra percezione relativa , Non il contrario.
O per dirla alla Hegel , il vero sta nell intero. Questo significa cHe se noi peschiamo un fenomeno isolato dall intero (io alla stazione con la mia percezione della realtá) e diciamo "questo é vero" stiamo commettendo un errore .
Citazione di: Alberto Knox il 28 Dicembre 2022, 13:51:44 PMPerché dai più importanza al valore soggettivo che noi diamo alle cose e hai fatti e non ai fatti e alle cose nude e crude? Se da un treno in stazione scendono 300 persone e fra quelle c è la mia ragazza che non vedo da mesi allora le restanti 299 persone diventano irrilevanti , uno sfondo neutro dietro i passi e il rumore del trolley e la figura della mia ragazza che si avvicina e quando parla sento solo la sua voce e quella degli altri brusio incomprensibile.
Ma questa è una realtà relativa del mio punto di vista cHe focalizza ciò che per me è importante. Ma perchè è più importante la mia percezione relativa e non ii fatto che a parlare alla stazione eravamo in 300 e non solo noi due? La realtà è ciò che è indipendente dalla nostra percezione relativa , Non il contrario.
O per dirla alla Hegel , il vero sta nell intero. Questo significa cHe se noi peschiamo un fenomeno isolato dall intero (io alla stazione con la mia percezione della realtá) e diciamo "questo é vero" stiamo commettendo un errore .
Perché è l'unica realtà certa. Se vuoi dire qualcosa di sensato riferisciti al dialogo che ebbi con Paul11 e con Green Demetr, dato che pure quest'ultimo fa il furbo. Il vero sta nell'intero. Giusto, solo che l'intero sono io e dopo viene l'altro intero che è la specie umana. E non il contrario. Accontentati che Dio possa esistere
Non è che puoi sballottarmi da una disputa all altra che hai avuto con altri interlocutori solo perché non ti piace quello che dico.
il vero sta nell intero e l intero non può che essere uno , non due , uno! Che è infine la totalità della natura. Io non sono un intero , faccio parte dell intero
Dire che io sia l intero lo considero un non senso in quanto la mia mente riflette ciò che già c era prima di me e anche prima dell umanità intera . Del resto nemmeno l umanitá intera è l intero di cui parla Hegel.
Capisco che per te la tua percezione sia l unica davvero certa e che quindi fai dell intero un autoreferenzialità ma la tua percezione diventa contraddizione non appena si relaziona con le altre allora la contraddizione è davvero la regola del vero e la non contraddizione ,del falso.
Citazione di: Alberto Knox il 28 Dicembre 2022, 15:48:15 PMNon è che puoi sballottarmi da una disputa all altra che hai avuto con altri interlocutori solo perché non ti piace quello che dico.
il vero sta nell intero e l intero non può che essere uno , non due , uno! Che è infine la totalità della natura. Io non sono un intero , faccio parte dell intero
Dire che io sia l intero lo considero un non senso in quanto la mia mente riflette ciò che già c era prima di me e anche prima dell umanità intera . Del resto nemmeno l umanitá intera è l intero di cui parla Hegel.
Capisco che per te la tua percezione sia l unica davvero certa e che quindi fai dell intero un autoreferenzialità ma la tua percezione diventa contraddizione non appena si relaziona con le altre allora la contraddizione è davvero la regola del vero e la non contraddizione ,del falso.
Sei tu che mi sballotti con le tue goffe argomentazioni, ma è l'ultima volta; pertanto se vuoi un consiglio, ma certo non lo vorrai, segui l'insegnamento con cui ti firmi:
Noli foras ire , in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas
Certo che finisce qui ,sarebbe stupido continuare su questa linea , ho voluto solo confutare la tua teoria nella speranza di dargli forza, non per abbatterla . te saludi
Citazione di: Alberto Knox il 28 Dicembre 2022, 23:42:30 PMCerto che finisce qui ,sarebbe stupido continuare su questa linea , ho voluto solo confutare la tua teoria nella speranza di dargli forza, non per abbatterla . te saludi
Tu sai se è vero quel che dici. Grazie comunque
Il problema è Knox che l'intero di cui parla Hegel, non è l'intero della natura, ma della fenomenologia dello spirito, di cui certo la natura fa parte.
Il soggetto non è cioè un soggetto solitario, ma un soggetto che aderisce alla propria fenomenologia, che si compone delle proprie sensazioni e dell'altro, inteso sia a livello di estensione spaziale, come dici tu la stazione, che sensitivo e sentimentale, la tua ragazza.
Io percepisco la stazione solo grazie al fatto che essa completa la mia ragazza.
Ma rispetto alla ragazza e alla stazione io sono convinto di entrambi perchè essi permangono nel tempo dentro la mia fenomenologia.
L'intero per Hegel, dovrebbe quindi, a logica, essere la storia. Vedremo in seguito.
Naturalmente in un dialogo fra noi possiamo soffermarci sulla parte per noi più rilevante, chi come me e daniele cerca la chiave del senso di questa fenomenologia, e chi come te che non so bene cosa stai cercando, se stai cercando, invece preferisce l'aspetto per cosi dire superficiale, esteriore, reale, o non so che parole usi per indicare quel particolare segmento a cui Hegel fa riferimento.
Riprendo il tema autocitandomi (15/10/2022):
@Green: penso sia necessario, almeno per me, sintetizzare quel che scorgo nella polemica tra il mio pensiero e il tuo (o quello di Hegel). Nel tuo post 90 del dodici giugno tu dici:
"La mela è sempre dentro una relazione con te che la vedi e la riconosci come tale.
Dunque nel concetto di mela ci DEVE essere anche il concetto dell'osservatore e del conoscitore.
Lasciare andare uno dei due capi, significa avere una visione del mondo diversa da Hegel. "
Al punto in cui ci si trova oggi col nostro dialogo penso sia ancora in piedi la questione e quindi torno a questo nodo per vedere se ne esce qualcosa di più chiaro. Dal mio punto di vista, come già ti risposi, osservatore e conoscitore sarebbero temporalmente coincidenti, nel senso che non vi sarebbe un intervallo temporale che dia vita a due figure temporalmente in successione (osservare e conoscere). In pratica significa che esiste solo il conoscere. Questo accadrebbe perché il concetto (generalizzazione) di mela giungerebbe alla nostra mente (e trattenuto) non in quanto oggetto percepito dai sensi (la mela), ma in quanto la mela compie un'azione significativa dal punto di vista del conoscitore. Tale fenomeno che si compie sarebbe determinato dall'attenzione rivolta al significato (o senso) per la mela nell'imminenza del suo apparire in scena, non all'immagine, restando pertanto l'immagine dell'oggetto semplicemente una traccia mnemonica per poterlo in seguito riconoscere e quindi eventualmente manipolare.
Tutto questo corrisponde a sostenere che l'oggetto si presenta al soggetto come "storia di un oggetto", e sarebbe a partire da questa storia che si sviluppano potenzialmente altre storie all'interno di altre esperienze con l'oggetto anche contradditorie tra loro (ampliamento della conoscenza).
Mi sembra infine che le due posizioni siano antitetiche e forse valide entrambi, sempre che il mio pensiero non rechi con sé un errore (mi sembra improbabile che possa averlo compiuto Hegel). C'è però da dire che le due visioni danno un'idea della realtà nettamente contrapposta. In una ci viene detto che noi siamo in un certo senso costretti a conoscere per vivere, cioè che la nostra azione intelligente si determina più che altro come reazione alla pressione ambientale (difensiva), nell'altra che vi sia arbitrarietà da parte dell'intelligenza nel condurre il gioco (offensiva)
Tua risposta:
No il tuo ragionamento fila perfettamente, non trovo errori per quanto possa trovarli.
All'inizio devo dire che avevo grossi problemi con la parola conoscenza, non ho un buon rapporto con la gnoseologia.
Però ero io che non ero in grado di pensare correttamente, la conoscenza è diversa dalla cognizione (sensoriale, nel caso dei riduzionisti, o psichica, come nel caso mio, prima di essere investito da Hegel ;) ).
Non posso parlare di una coscienza, senza presuppore una conoscenza.
Rimane il gap della temporalità, da pensare più approfonditamente, perchè il sentimento del tempo esiste, non è una semplice delegazione agli altri.
Ne ha parlato Agamben nel suo ultimo meraviglioso libro (di pura teoresi), che rimanda ad un approfondimento che sfonda nella metafisica più abissale di Dante Alighieri, e dell'opera postuma di Kant, che evidentemente era andato oltre i primi suoi lavori.
Ma questo è forse troppo ;) sentieri solitari di vita.
Allora: la conoscenza a priori, tralasciando spazio e tempo, non dipende dai sensi (percezione sensoriale) dipendendo invece dal nostro sentire interiormente le cose in modi dualistici (bene male - utile inutile etc).
Questo giustifica tutte le lecite opposizioni alle quali assistiamo ad esempio nel nostro forum. Quando però una persona si rende conto di questa realtà dovrebbe prenderne atto per ridurre tali opposizioni. Quello che invece fa è di voler sopprimere la posizione dell'antagonista imponendo il proprio punto di vista ritenendolo incontrovertibilmente vero. Tutto ciò a casa mia si chiama autoritarismo del cazzo, il quale si manifesta per varie vie una delle quali corrisponde al prendere in giro le persone.
Concludendo, a me non basta come hai detto nel topic dell'identità di sinistra che tu mi dica che non prendi in giro nessuno. Questo non prendere in giro deve evidenziarsi nella coerenza di pensiero, pertanto cerca di riflettere prima di rispondere a questo post sempre qualora tu lo voglia fare. Un saluto
Citazione di: daniele22 il 24 Febbraio 2023, 09:59:57 AMQuesto non prendere in giro deve evidenziarsi nella coerenza di pensiero, pertanto cerca di riflettere prima di rispondere a questo post sempre qualora tu lo voglia fare. Un saluto
Tu affermi:
"Dal mio punto di vista, come già ti risposi, osservatore e conoscitore sarebbero temporalmente coincidenti, nel senso che non vi sarebbe un intervallo temporale che dia vita a due figure temporalmente in successione (osservare e conoscere)."
Chiamiamola posizione 1
E' la stessa che penso io.
Abbiamo dunque un conoscitore (soggetto o S) e un conosciuto (oggetto o O).
Il tempo di questi 2 oggetti è un tempo con 0.
Tu affermi:
"Questo accadrebbe perché il concetto (generalizzazione) di mela giungerebbe alla nostra mente (e trattenuto) non in quanto oggetto percepito dai sensi (la mela), ma in quanto la mela compie un'azione significativa dal punto di vista del conoscitore."
Mi spiace ma questa io la chiamo posizione 2.
Ed è quella che a mi parere segue Husserl.
Infatti nel mio schemino non sarebbe più un S con 0 e un O con 0.
Bensì un S con 0 che si conosce solo come S con 1 e un O con 0 che si fa conosere come O con 1, ossia temporalmente (tu dici azione significativa della mela).
Questa posizione non solo è contradditoria rispetto alla 1 ma a mio avviso è anche folle, infatti non esiste alcuna mela che mi si impone, ma sono io che conosco la mela, la mela è irrelata con me, non esiste un S con 1, mentre in Husserl l'oggetto determina il soggetto, e anzi è il vero motore universale del mondo. Direi quasi che O con 1 (nella notazione di Husserl infinito -1, ossia la spirale) determina l'infinito progressione di un soggetto alla ricerca di cià che non puoi mai raggiungere, ossia l'oggetto originario, quello vero l'O con 0, che altro non è che il noumeno. In questo caso S con 1 = la ricerca di ciò che lo ha determinato infatti ogni S con 1, cercherà se stesso nel S con 2 etc...etc....
Un ribaltamento delirante fatto da una persona che aveva chiaramente problemi compulsivi.
Tu affermi:
"Tutto questo corrisponde a sostenere che l'oggetto si presenta al soggetto come "storia di un oggetto", e sarebbe a partire da questa storia che si sviluppano potenzialmente altre storie all'interno di altre esperienze con l'oggetto anche contradditorie tra loro (ampliamento della conoscenza)."
Come già detto sopra è ovvio che è così, sei sempre nella posizione che abbiamo chiamato 2.
Tu affermi:
"Mi sembra infine che le due posizioni siano antitetiche e forse valide entrambi, sempre che il mio pensiero non rechi con sé un errore (mi sembra improbabile che possa averlo compiuto Hegel)."
Esatto, infatti sei la prima persona che "conosco" che si accorge della contrapposizione insanabile tra Hegel e Husserl.
Tu affermi :
"In una ci viene detto che noi siamo in un certo senso costretti a conoscere per vivere, cioè che la nostra azione intelligente si determina più che altro come reazione alla pressione ambientale (difensiva), nell'altra che vi sia arbitrarietà da parte dell'intelligenza nel condurre il gioco (offensiva)"
Possiamo dire certamente così, in una (Husserl) vi è una visione tecnocratica dove l'uomo perisce (e non me ne frega niente che Husserl si accorga di aver sbagliato in fin di vita),nell'altra vi è una visione dove l'uomo attiva il suo intelletto attivo.
Tu affermi:
"Allora: la conoscenza a priori, tralasciando spazio e tempo, non dipende dai sensi (percezione sensoriale) dipendendo invece dal nostro sentire interiormente le cose in modi dualistici (bene male - utile inutile etc)."
Questa posizione non capisco come si possa spiegare nè con la posizione 1, nè con la posizione 2.
Ti ripeto, sgangiamoci da Hegel per un attimo, e parliamo di una tua posizione originale, che forse ha più a che vedere con l'imperativo categorico kantiano.
Tu affermi:
"Questo giustifica tutte le lecite opposizioni alle quali assistiamo ad esempio nel nostro forum. Quando però una persona si rende conto di questa realtà dovrebbe prenderne atto per ridurre tali opposizioni. Quello che invece fa è di voler sopprimere la posizione dell'antagonista imponendo il proprio punto di vista ritenendolo incontrovertibilmente vero. Tutto ciò a casa mia si chiama autoritarismo del cazzo, il quale si manifesta per varie vie una delle quali corrisponde al prendere in giro le persone. "
Tu dici "questa realtà", ma non hai specificato quale. Tu stesso hai detto che vi sono due posizioni contrapposte, non possono essere uguali.
Non vedo posizione ecumenica, o si sta col bene (hegel) o si sta col male (husserl).
Detto questo continuo a non capire cosa vuol dire "prenderti in giro": sto ancora cercando di capire la tua posizione, come posso prendere in giro qualcosa che non ho ancora capito? Mah!
Citazione di: green demetr il 24 Febbraio 2023, 15:15:32 PMTu affermi:
"Dal mio punto di vista, come già ti risposi, osservatore e conoscitore sarebbero temporalmente coincidenti, nel senso che non vi sarebbe un intervallo temporale che dia vita a due figure temporalmente in successione (osservare e conoscere)."
Chiamiamola posizione 1
E' la stessa che penso io.
Abbiamo dunque un conoscitore (soggetto o S) e un conosciuto (oggetto o O).
Il tempo di questi 2 oggetti è un tempo con 0.
Tu affermi:
"Questo accadrebbe perché il concetto (generalizzazione) di mela giungerebbe alla nostra mente (e trattenuto) non in quanto oggetto percepito dai sensi (la mela), ma in quanto la mela compie un'azione significativa dal punto di vista del conoscitore."
Mi spiace ma questa io la chiamo posizione 2.
Ed è quella che a mi parere segue Husserl.
Infatti nel mio schemino non sarebbe più un S con 0 e un O con 0.
Bensì un S con 0 che si conosce solo come S con 1 e un O con 0 che si fa conosere come O con 1, ossia temporalmente (tu dici azione significativa della mela).
Questa posizione non solo è contradditoria rispetto alla 1 ma a mio avviso è anche folle, infatti non esiste alcuna mela che mi si impone, ma sono io che conosco la mela, la mela è irrelata con me, non esiste un S con 1, mentre in Husserl l'oggetto determina il soggetto, e anzi è il vero motore universale del mondo. Direi quasi che O con 1 (nella notazione di Husserl infinito -1, ossia la spirale) determina l'infinito progressione di un soggetto alla ricerca di cià che non puoi mai raggiungere, ossia l'oggetto originario, quello vero l'O con 0, che altro non è che il noumeno. In questo caso S con 1 = la ricerca di ciò che lo ha determinato infatti ogni S con 1, cercherà se stesso nel S con 2 etc...etc....
Un ribaltamento delirante fatto da una persona che aveva chiaramente problemi compulsivi.
Tu affermi:
"Tutto questo corrisponde a sostenere che l'oggetto si presenta al soggetto come "storia di un oggetto", e sarebbe a partire da questa storia che si sviluppano potenzialmente altre storie all'interno di altre esperienze con l'oggetto anche contradditorie tra loro (ampliamento della conoscenza)."
Come già detto sopra è ovvio che è così, sei sempre nella posizione che abbiamo chiamato 2.
Tu affermi:
"Mi sembra infine che le due posizioni siano antitetiche e forse valide entrambi, sempre che il mio pensiero non rechi con sé un errore (mi sembra improbabile che possa averlo compiuto Hegel)."
Esatto, infatti sei la prima persona che "conosco" che si accorge della contrapposizione insanabile tra Hegel e Husserl.
Tu affermi :
"In una ci viene detto che noi siamo in un certo senso costretti a conoscere per vivere, cioè che la nostra azione intelligente si determina più che altro come reazione alla pressione ambientale (difensiva), nell'altra che vi sia arbitrarietà da parte dell'intelligenza nel condurre il gioco (offensiva)"
Possiamo dire certamente così, in una (Husserl) vi è una visione tecnocratica dove l'uomo perisce (e non me ne frega niente che Husserl si accorga di aver sbagliato in fin di vita),nell'altra vi è una visione dove l'uomo attiva il suo intelletto attivo.
Tu affermi:
"Allora: la conoscenza a priori, tralasciando spazio e tempo, non dipende dai sensi (percezione sensoriale) dipendendo invece dal nostro sentire interiormente le cose in modi dualistici (bene male - utile inutile etc)."
Questa posizione non capisco come si possa spiegare nè con la posizione 1, nè con la posizione 2.
Ti ripeto, sgangiamoci da Hegel per un attimo, e parliamo di una tua posizione originale, che forse ha più a che vedere con l'imperativo categorico kantiano.
Tu affermi:
"Questo giustifica tutte le lecite opposizioni alle quali assistiamo ad esempio nel nostro forum. Quando però una persona si rende conto di questa realtà dovrebbe prenderne atto per ridurre tali opposizioni. Quello che invece fa è di voler sopprimere la posizione dell'antagonista imponendo il proprio punto di vista ritenendolo incontrovertibilmente vero. Tutto ciò a casa mia si chiama autoritarismo del cazzo, il quale si manifesta per varie vie una delle quali corrisponde al prendere in giro le persone. "
Tu dici "questa realtà", ma non hai specificato quale. Tu stesso hai detto che vi sono due posizioni contrapposte, non possono essere uguali.
Non vedo posizione ecumenica, o si sta col bene (hegel) o si sta col male (husserl).
Detto questo continuo a non capire cosa vuol dire "prenderti in giro": sto ancora cercando di capire la tua posizione, come posso prendere in giro qualcosa che non ho ancora capito? Mah!
Ciao Green ... direi di lasciar perdere Husserl. All'inizio del post dici di essere d'accordo con me in relazione a quello che tu inquadri nella "posizione 1". Poi però contesti quella che per me è un'implicazione della posizione 1. Tutto ciò per me assume il significato che tu abbia inteso male la posizione 1. Infatti dici: "Abbiamo dunque un conoscitore (soggetto o S) e un conosciuto (oggetto o O).Il tempo di questi 2 oggetti è un tempo con 0.".
Ti chiedo allora: cosa significa "Il tempo di questi 2 oggetti è un tempo con zero"? La mia domanda vorrebbe cioè svelare il fatto che tu non possa essere d'accordo con la posizione 1 ... oppure, in alternativa, che tu non ne abbia compreso la portata.
Un saluto
Citazione di: daniele22 il 25 Febbraio 2023, 09:39:40 AMCiao Green ... direi di lasciar perdere Husserl. All'inizio del post dici di essere d'accordo con me in relazione a quello che tu inquadri nella "posizione 1". Poi però contesti quella che per me è un'implicazione della posizione 1. Tutto ciò per me assume il significato che tu abbia inteso male la posizione 1. Infatti dici: "Abbiamo dunque un conoscitore (soggetto o S) e un conosciuto (oggetto o O).Il tempo di questi 2 oggetti è un tempo con 0.".
Ti chiedo allora: cosa significa "Il tempo di questi 2 oggetti è un tempo con zero"? La mia domanda vorrebbe cioè svelare il fatto che tu non possa essere d'accordo con la posizione 1 ... oppure, in alternativa, che tu non ne abbia compreso la portata.
Un saluto
Le posizioni con 0 (zero) sono le posizioni senza tempo, originarie.
Le posizioni con 1 (temporale) sono tutte le posizioni che vengono conosciute dopo.
Nel primo caso abbiamo immediatamente un soggetto e un oggetto, completamente separati.(Che poi Hegel ricucirà dentro alla sua concezione di conoscenza).
Nel secondo caso abbiamo tutte le posizioni di un oggetto che conosce se stesso tramite un soggetto.
Ma come può un oggetto conoscere se stesso?
E' chiaro per me che è sempre il soggetto che conosce, e si riconosce (dimensione storica del soggetto) originariamente, nella divisione tra sè (corpo, anima, dio) e l'oggetto (noumeno alias idealità dell'oggetto nelle posizioni con 1).
L'oggetto è cioè sempre ricucito, non abbiamo idea dell'albero se non che con una ricucitura continua di come conosciamo.
Le posizioni con 1 invece riconoscono all'albero la proprietà, possibilità di farsi conoscere(Spinoza e company).
Il che non può essere.
Citazione di: green demetr il 27 Febbraio 2023, 09:27:24 AMLe posizioni con 0 (zero) sono le posizioni senza tempo, originarie.
Le posizioni con 1 (temporale) sono tutte le posizioni che vengono conosciute dopo.
Nel primo caso abbiamo immediatamente un soggetto e un oggetto, completamente separati.(Che poi Hegel ricucirà dentro alla sua concezione di conoscenza).
Nel secondo caso abbiamo tutte le posizioni di un oggetto che conosce se stesso tramite un soggetto.
Ma come può un oggetto conoscere se stesso?
E' chiaro per me che è sempre il soggetto che conosce, e si riconosce (dimensione storica del soggetto) originariamente, nella divisione tra sè (corpo, anima, dio) e l'oggetto (noumeno alias idealità dell'oggetto nelle posizioni con 1).
L'oggetto è cioè sempre ricucito, non abbiamo idea dell'albero se non che con una ricucitura continua di come conosciamo.
Le posizioni con 1 invece riconoscono all'albero la proprietà, possibilità di farsi conoscere(Spinoza e company).
Il che non può essere.
Ecco dunque svelato l'arcano. Il soggetto non è zero, solo l'oggetto lo è. Il soggetto sta dentro il tempo, l'oggetto sta fuori dal tempo. Prova a riflettere su questo stralcio di dialogo farlocco che ho postato ancora l'altr'anno:
... Per cercare di darti un'idea del nostro abbaglio considera intanto che la nostra mente è umana, una mente che può spaziare attraverso paesaggi linguistici inimmaginabili per una mente arcaica. Facilito quindi immaginando una scena in cui la nostra mente, pur contaminata dalla lingua, contatta per la prima volta un'esistenza in modo inaspettato e non linguistico. Un po' come accadrebbe se sapendo poco o nulla di erbe ti inoltrassi in un prato. Uscito dal prato, quante ne ricorderesti? Di quante sapresti appunto dir qualcosa? Forse eri un po' distratto, ma in ogni caso potresti ricordare solo quelle che conosci ... anche se non per nome ... ma le altre? Come non esistessero ... Le hai viste senza vederle in realtà ... appunto, la realtà della tua testa ... Dirai magari, da essere umano che sei, che hai visto un prato con delle erbe. Insomma avresti visto solo quelle poche cose che sai, prato, erba, a meno che non si sia tracciata una relazione tra un'erba qualsiasi e te, tale che tu possa averla distinta ... Che accadde? Forse che ti ha punto? Un profumo irresistibile?- Vuoi dire che così la distinguerei dalle altre poche che conosco?- No. Intendo che in primo luogo la distingueresti dalle altre spoglie mentali in cui si trovava prima che tu la distinguessi, in questo caso potrebbe essere erba ... ma dipende da cosa conosce, ovvero distingue, la tua testa. Se sei cieco ad esempio, quale sarà la fonte primaria di cui si avvale la tua mente per distinguere? O forse un gatto non distingue una panca da una sedia. Del resto, pure uno scarafaggio per sapere dove nascondersi categorizzerà in qualche modo i rifugi
Citazione di: daniele22 il 27 Febbraio 2023, 14:04:06 PMEcco dunque svelato l'arcano. Il soggetto non è zero, solo l'oggetto lo è. Il soggetto sta dentro il tempo, l'oggetto sta fuori dal tempo. Prova a riflettere su questo stralcio di dialogo farlocco che ho postato ancora l'altr'anno:
... Per cercare di darti un'idea del nostro abbaglio considera intanto che la nostra mente è umana, una mente che può spaziare attraverso paesaggi linguistici inimmaginabili per una mente arcaica. Facilito quindi immaginando una scena in cui la nostra mente, pur contaminata dalla lingua, contatta per la prima volta un'esistenza in modo inaspettato e non linguistico. Un po' come accadrebbe se sapendo poco o nulla di erbe ti inoltrassi in un prato. Uscito dal prato, quante ne ricorderesti? Di quante sapresti appunto dir qualcosa? Forse eri un po' distratto, ma in ogni caso potresti ricordare solo quelle che conosci ... anche se non per nome ... ma le altre? Come non esistessero ... Le hai viste senza vederle in realtà ... appunto, la realtà della tua testa ... Dirai magari, da essere umano che sei, che hai visto un prato con delle erbe. Insomma avresti visto solo quelle poche cose che sai, prato, erba, a meno che non si sia tracciata una relazione tra un'erba qualsiasi e te, tale che tu possa averla distinta ... Che accadde? Forse che ti ha punto? Un profumo irresistibile?
- Vuoi dire che così la distinguerei dalle altre poche che conosco?
- No. Intendo che in primo luogo la distingueresti dalle altre spoglie mentali in cui si trovava prima che tu la distinguessi, in questo caso potrebbe essere erba ... ma dipende da cosa conosce, ovvero distingue, la tua testa. Se sei cieco ad esempio, quale sarà la fonte primaria di cui si avvale la tua mente per distinguere? O forse un gatto non distingue una panca da una sedia. Del resto, pure uno scarafaggio per sapere dove nascondersi categorizzerà in qualche modo i rifugi
Capisco che per te questa intuizione risuona molto di più che in me, la visione mito-poietica è molto bella.
La mia risposta è molto più arida: si assolutamente si.
Dimmi se sbaglio, per te il fatto che l'oggetto con 0 ossia fuori dal tempo esista è di gran lunga superiore al fatto che esistea anche un soggetto con 0, ossia l'IO complimenti! siamo d'accordo!
Quindi a te interessa più di come il soggetto storico (soggetto con 1) sia "formato" da tutti gli oggetti fuori dal tempo ( e perciò ne cerchi una matematica).
La differenza fra noi credo sia invece che per me quella matematica non esiste, perchè l'unico oggetto fuori dal tempo che ci forma è proprio qull'io di cui prima parlavi e che è in contatto a sua volta con qualcosa fuori dal tempo, e che però non è un oggetto, o al massimo ha caratteristiche speciali di oggetto (kant la chiamava metafisica speciale, la ricerca di Dio-oggetto, e su cui si basa la mia mito-poiesi).
Citazione di: green demetr il 28 Febbraio 2023, 12:50:19 PMCapisco che per te questa intuizione risuona molto di più che in me, la visione mito-poietica è molto bella.
La mia risposta è molto più arida: si assolutamente si.
Dimmi se sbaglio, per te il fatto che l'oggetto con 0 ossia fuori dal tempo esista è di gran lunga superiore al fatto che esistea anche un soggetto con 0, ossia l'IO complimenti! siamo d'accordo!
Quindi a te interessa più di come il soggetto storico (soggetto con 1) sia "formato" da tutti gli oggetti fuori dal tempo ( e perciò ne cerchi una matematica).
La differenza fra noi credo sia invece che per me quella matematica non esiste, perchè l'unico oggetto fuori dal tempo che ci forma è proprio qull'io di cui prima parlavi e che è in contatto a sua volta con qualcosa fuori dal tempo, e che però non è un oggetto, o al massimo ha caratteristiche speciali di oggetto (kant la chiamava metafisica speciale, la ricerca di Dio-oggetto, e su cui si basa la mia mito-poiesi).
Grazie Green, io sono uno a cui è caro l'essere umano e reputo importante la mia visione poiché è antitetica non solo a quella di Hegel, bensì alla visione comune comprensiva della narrazione che si da dell'umanità. Ma strucca strucca quella che io metto in mostra è a mio giudizio una mappa migliore di quella in uso poiché spiega meglio le evidenze che l'essere umano ha prodotto da sempre. Corrisponde infine alla più che giusta rivincita dell'individuo, legittimato dalla sua ragione pura, nei confronti delle vessazioni da parte dello stato (del più forte).
A mio vedere, proseguendo nel tuo intervento, non esiste proprio il soggetto con zero. L'IO è già presente nell'individuo in forma latente sin dal suo venire al mondo e penso che l'istinto del linguaggio lo metta in evidenza. Praticamente il neonato parla da subito pure se inconsapevole e incomprensibile per la madre almeno in parte. E si può andare oltre con la storia giungendo all'impronta genetica, cioè tutta la storia compressa che sta dentro ogni cellula del nostro corpo. Noi siamo storia e gli oggetti, tutti i sostantivi del nostro lessico e le cose a cui riferiscono, sono lo zero in quanto creazioni mentali. Tali creazioni mentali non sono però gratuite, come tutti intenderebbero, bensì necessitate, in un certo senso costrette. Il compito quindi della nostra filosofia di serie B è quello di scegliere tra una promozione o una permanenza. La permanenza, a mio vedere, porterebbe all'annullamento della volontà e ad una società a caste, attori principali compresi forse ... magari non proprio da subito.
Per finire, io non cerco alcuna matematica ... lascio ai matematici tali divertimenti ... cerco solo una consapevolezza condivisa che ci aiuti a mettere in pratica un'etica umana condivisa
Citazione di: daniele22 il 28 Febbraio 2023, 18:36:53 PMGrazie Green, io sono uno a cui è caro l'essere umano e reputo importante la mia visione poiché è antitetica non solo a quella di Hegel, bensì alla visione comune comprensiva della narrazione che si da dell'umanità. Ma strucca strucca quella che io metto in mostra è a mio giudizio una mappa migliore di quella in uso poiché spiega meglio le evidenze che l'essere umano ha prodotto da sempre. Corrisponde infine alla più che giusta rivincita dell'individuo, legittimato dalla sua ragione pura, nei confronti delle vessazioni da parte dello stato (del più forte).
A mio vedere, proseguendo nel tuo intervento, non esiste proprio il soggetto con zero. L'IO è già presente nell'individuo in forma latente sin dal suo venire al mondo e penso che l'istinto del linguaggio lo metta in evidenza. Praticamente il neonato parla da subito pure se inconsapevole e incomprensibile per la madre almeno in parte. E si può andare oltre con la storia giungendo all'impronta genetica, cioè tutta la storia compressa che sta dentro ogni cellula del nostro corpo. Noi siamo storia e gli oggetti, tutti i sostantivi del nostro lessico e le cose a cui riferiscono, sono lo zero in quanto creazioni mentali. Tali creazioni mentali non sono però gratuite, come tutti intenderebbero, bensì necessitate, in un certo senso costrette. Il compito quindi della nostra filosofia di serie B è quello di scegliere tra una promozione o una permanenza. La permanenza, a mio vedere, porterebbe all'annullamento della volontà e ad una società a caste, attori principali compresi forse ... magari non proprio da subito.
Per finire, io non cerco alcuna matematica ... lascio ai matematici tali divertimenti ... cerco solo una consapevolezza condivisa che ci aiuti a mettere in pratica un'etica umana condivisa
Preferisco un etica comune a una condivisa perchè la prima rispetta la mia libertà di pensare ad un io fuori dal tempo, la seconda di solito di solito porta a prevaricazioni.
Infatti tu parli di società fatta di caste, un pò come quella indiana moderna e antica, o greca antica, che di fatto sono altrettante forme di dominazione teologica, a capo i sacerdoti con le loro metafisiche storiche, personalizzate, ieri, o quelle ideologiche dei nuovi vati, oggi.
Sono d'accordo che il soggetto storico è storico fin dal grido dell'infante, e così il suo inverarsi che non può che passare che dal linguaggio diventa necessariamente politico.
Bisogna vedere se sufficientemente all'altezza della sua espressione più alta dell'etica.
Una ricerca che mi pare sia difficoltosa, ma ti fa onore averla in mente.
E perchè chiamarla filosofia di serie B? i maestri del passato possono tranquillamente diventare solo degli strumenti, la filosofia che conta è quella che si invera in carne e ossa nella vita quotidiana di ognuno, prima ancora che in ciascuno (visione comunitaria)
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2023, 12:12:55 PMPreferisco un etica comune a una condivisa perchè la prima rispetta la mia libertà di pensare ad un io fuori dal tempo, la seconda di solito di solito porta a prevaricazioni.
Infatti tu parli di società fatta di caste, un pò come quella indiana moderna e antica, o greca antica, che di fatto sono altrettante forme di dominazione teologica, a capo i sacerdoti con le loro metafisiche storiche, personalizzate, ieri, o quelle ideologiche dei nuovi vati, oggi.
Sono d'accordo che il soggetto storico è storico fin dal grido dell'infante, e così il suo inverarsi che non può che passare che dal linguaggio diventa necessariamente politico.
Bisogna vedere se sufficientemente all'altezza della sua espressione più alta dell'etica.
Una ricerca che mi pare sia difficoltosa, ma ti fa onore averla in mente.
E perchè chiamarla filosofia di serie B? i maestri del passato possono tranquillamente diventare solo degli strumenti, la filosofia che conta è quella che si invera in carne e ossa nella vita quotidiana di ognuno, prima ancora che in ciascuno (visione comunitaria)
Mi sembra che il tuo pensiero sia totalmente fuorviato rispetto a quello che intendo dire.
Non c'è alcuna differenza tra visione comune e condivisa quando la visione condivisa risulti ecumenica. Altra questione è la libertà dell'individuo che viene negoziata democraticamente davanti alle spontanee opposizioni naturali che si formino in relazione a questa visione comune. Il mio pensiero è portatore di pace, da intendersi questa come contenimento del conflitto a tutti i livelli in cui il conflitto si esprime nel quotidiano, dal nostro amico, compagno, figlio, fino alla siccità che è in corso. E' una necessità statistica. E' un pensiero che vuole stappare quel che per troppo tempo è stato contenuto e che oggi più non può essere contenuto. E' una di quelle cose che è nell'aria, che la si percepisce, ma non è ancora manifesta ... E' un'incubazione in corso.
Filosofia di serie B? Filosofia che è nata grande fino a Parmenide. Con il dovuto rispetto per i singoli protagonisti, una filosofia che è diventata piccola dedicandosi per più di duemila anni a borbottare su Dio o sull'Essere senza cavarne un ragno dal buco. Alla faccia del conosci te stesso che è la sola cosa da farsi e che tutti non fanno pur predicandola spesso; infatti tale ricerca alla fine ti dovrebbe dare la visione comune. E non aggiungo altro se non un saluto
Citazione di: daniele22 il 01 Marzo 2023, 14:49:33 PMMi sembra che il tuo pensiero sia totalmente fuorviato rispetto a quello che intendo dire.
Non c'è alcuna differenza tra visione comune e condivisa quando la visione condivisa risulti ecumenica. Altra questione è la libertà dell'individuo che viene negoziata democraticamente davanti alle spontanee opposizioni naturali che si formino in relazione a questa visione comune. Il mio pensiero è portatore di pace, da intendersi questa come contenimento del conflitto a tutti i livelli in cui il conflitto si esprime nel quotidiano, dal nostro amico, compagno, figlio, fino alla siccità che è in corso. E' una necessità statistica. E' un pensiero che vuole stappare quel che per troppo tempo è stato contenuto e che oggi più non può essere contenuto. E' una di quelle cose che è nell'aria, che la si percepisce, ma non è ancora manifesta ... E' un'incubazione in corso.
Filosofia di serie B? Filosofia che è nata grande fino a Parmenide. Con il dovuto rispetto per i singoli protagonisti, una filosofia che è diventata piccola dedicandosi per più di duemila anni a borbottare su Dio o sull'Essere senza cavarne un ragno dal buco. Alla faccia del conosci te stesso che è la sola cosa da farsi e che tutti non fanno pur predicandola spesso; infatti tale ricerca alla fine ti dovrebbe dare la visione comune. E non aggiungo altro se non un saluto
Non siamo minimamente d'accordo, l'unica pace possibile è la pace armata.
Lascio alle anime belle e ai lamenti ridicoli di Crotone e della Schlein l'idea del siamo tutti amici, sulla base delle idee, e non sulla base dei fatti.
Vorrei proprio vedere tutti quei buffoni a protestare senza i loro stupidi indumenti presi a spese proprio di quei morti. Ma lasciamo stare e ti saluto anch'io.
I vati borbottano di Dio, i filosofi lo ascoltano.
Citazione di: green demetr il 02 Marzo 2023, 12:48:38 PMNon siamo minimamente d'accordo, l'unica pace possibile è la pace armata.
Lascio alle anime belle e ai lamenti ridicoli di Crotone e della Schlein l'idea del siamo tutti amici, sulla base delle idee, e non sulla base dei fatti.
Vorrei proprio vedere tutti quei buffoni a protestare senza i loro stupidi indumenti presi a spese proprio di quei morti. Ma lasciamo stare e ti saluto anch'io.
I vati borbottano di Dio, i filosofi lo ascoltano.
Green, ti rispondo solo perché mi sei simpatico ricordando la prima volta che comunicai con te a proposito del tuo vestirti in vesti ebraiche. "L'unica pace possibile è la pace armata". Sembri il consulente filosofico del ministro della difesa ... ironicamente. Certo che l'unica pace possibile è quella armata, almeno ai giorni nostri e ancora per un bel lasso di tempo. Infatti io parlo di contenimento dei conflitti, non di eliminazione. Per quel che riguarda la Schlein mi sembra proprio che non abbia il pedigree per svolgere il grande ruolo assegnatoci più volte dalla storia, ovvero quello dei traditori. A complicare le cose v'è è pure che è di origine Ucraina. E di fatto non si tratterebbe neppure di un grande tradimento se facesse l'unica cosa sensata da farsi nel conflitto in corso, ovvero schierarsi contro l'invio di armi. Craxi fece una cosa del genere a suo tempo, un po' più in piccolo e non c'entravano le armi. Da ultimo dico che la tua posizione filosofica fa acqua in abbondanza, e lo si vede fin dal primo intervento che hai fatto dopo la pausa vacanze estive ... Un saluto
Da materialista ho poco da dire in una discussione sul sommo vate della metafisica idealista. Lascio che a dibattere siano coloro che pensano che bastino le idee per cambiare il mondo. E mi pare che anche gli idealisti del forum partecipino poco. Forse sono materialisti pure loro, a loro insaputa.
Io la penso come quel filosofo milanese morto qualche anno fa: Un'idea un concetto un'idea finché resta un'idea è soltanto un'astrazione.Se potessi mangiare un'idea, avrei fatto la mia rivoluzione...
Citazione di: Ipazia il 04 Marzo 2023, 16:06:58 PMDa materialista ho poco da dire in una discussione sul sommo vate della metafisica idealista. Lascio che a dibattere siano coloro che pensano che bastino le idee per cambiare il mondo. E mi pare che anche gli idealisti del forum partecipino poco. Forse sono materialisti pure loro, a loro insaputa.
Io la penso come quel filosofo milanese morto qualche anno fa: Un'idea un concetto un'idea finché resta un'idea è soltanto un'astrazione.Se potessi mangiare un'idea, avrei fatto la mia rivoluzione...
Non so chi sia il vate del materialismo, ma sempre di cieca ideologia si tratta. Questo ti sarebbe chiaro se fossi stata sincera in quel post(o) in cui mi hai detto di stare dalla mia parte. Non so se quella parentesi fosse una delle tue solite ambiguità e non so nemmeno chi sia quel filosofo milanese che citi, ma mi sembra un pochino sempliciotto quello stupido slogan ad effetto "se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione". Ad effetto per i creduloni appunto. La verità è che la sinistra è andata allo sbando perché ha la pretesa di essere la più alta espressione in campo dell'intellighenzia, ha la pretesa di sapere quello che sia giusto fare a livello etico/morale proprio perché è l'intelligenza fatta simbolo. Ha la pretesa che il colto sia depositario del senso della giustizia. E invece non ha capito una mazza perché cavalca ancora, senza saperlo e proditoriamente a mio vedere, una mentalità hegeliana, materialismo compreso quindi giacché questi si sviluppa al suo interno e non si cura certo di confutarla ... ovvio non si è nemmeno posta il problema tanto è così imbevuta di se stessa. Mentalità appunto che io disprezzo al punto di dichiararla una mentalità/intelligenza scaduta. Quel che conta infine è solo avere un'idea buona e dopo stai pure certa che il popolo bue, etichetta assegnata sempre dall'intellighenzia, saprà riconoscerla e farà senz'altro sì che venga messa in pratica, ma senza un'idea non vai da nessuna parte ... e infatti si vedono i risultati
Citazione di: daniele22 il 04 Marzo 2023, 09:10:33 AMGreen, ti rispondo solo perché mi sei simpatico ricordando la prima volta che comunicai con te a proposito del tuo vestirti in vesti ebraiche. "L'unica pace possibile è la pace armata". Sembri il consulente filosofico del ministro della difesa ... ironicamente. Certo che l'unica pace possibile è quella armata, almeno ai giorni nostri e ancora per un bel lasso di tempo. Infatti io parlo di contenimento dei conflitti, non di eliminazione. Per quel che riguarda la Schlein mi sembra proprio che non abbia il pedigree per svolgere il grande ruolo assegnatoci più volte dalla storia, ovvero quello dei traditori. A complicare le cose v'è è pure che è di origine Ucraina. E di fatto non si tratterebbe neppure di un grande tradimento se facesse l'unica cosa sensata da farsi nel conflitto in corso, ovvero schierarsi contro l'invio di armi. Craxi fece una cosa del genere a suo tempo, un po' più in piccolo e non c'entravano le armi. Da ultimo dico che la tua posizione filosofica fa acqua in abbondanza, e lo si vede fin dal primo intervento che hai fatto dopo la pausa vacanze estive ... Un saluto
Per poter dire che fa acqua lo devi dimostrare, ma non è il tuo caso, nè quello di alcun altro.
Citazione di: Ipazia il 04 Marzo 2023, 16:06:58 PMDa materialista ho poco da dire in una discussione sul sommo vate della metafisica idealista. Lascio che a dibattere siano coloro che pensano che bastino le idee per cambiare il mondo. E mi pare che anche gli idealisti del forum partecipino poco. Forse sono materialisti pure loro, a loro insaputa.
Io la penso come quel filosofo milanese morto qualche anno fa: Un'idea un concetto un'idea finché resta un'idea è soltanto un'astrazione.Se potessi mangiare un'idea, avrei fatto la mia rivoluzione...
Il problema del materialismo è proprio quello di non avere una metafisica che lo accompagni nelle scelte, fintanto che sarà cieco, sarà facile investimento della manipolazione di massa, nel suo contrario rispetto alle idealità di partenza.
Rispetto al fatto di imporre l'uguaglianza marciando sulla libera scelta di pensiero, e sopratutto sulla libertà individuale, come si sta inverando in maniera irrazionale, e a perdicollo (laddove non vi sia già l'obtortocollo).
Non vedo differenza tra il materialismo di matrice di sinistra che si ostina in un pacifisimo senza guardare che le proprie ricchezze sono proprio frutto di qulle guerre che poi vorrebbero evitare.
Puro idealismo, sì, ma irrazionale.
Come diceva Nietzche il socialismo se mai si invererà, sarà in una elevazione del pensiero, e non nel suo contrario, tale per cui, Nietzche era scarsamente interessato alla politica come fatto notare da Galli e Preterossi.
Naturalmente non ho mai visto il nichilismo di quella posizione, ma se di materialismo si vuol parlare, intanto si ragoni sullo stato delle cose, che dice in geopolitica che siamo una colonia, e quindi in evidente contraddizione con il nostro statuto costituzionale, che come già fatto notare da Agamben ormai, in questo tempo, dove la cecità si paga con la povertà, è diventato altra cosa.
Non vedo proprio come si possa incollare il divario tra l'intellettualità alta, e la neo-plebe, foss'anco neo-con.
La continuazione di Hegel è solo un atto di amore per il pensiero alto, e niente più cara Ipazia.
Citazione di: green demetr il 06 Marzo 2023, 16:40:29 PMIl problema del materialismo è proprio quello di non avere una metafisica che lo accompagni nelle scelte, fintanto che sarà cieco, sarà facile investimento della manipolazione di massa, nel suo contrario rispetto alle idealità di partenza.
Materialismi ce ne sono molti e l'evoluzione politica del materialismo marxista grondava di idealità da tutti i pori. A partire dai quaderni filosofici del '44 del padre fondatore. Il quale, e i suoi epigoni, erano ferrei nel rifiuto del "materialismo volgare" della borghesia illuminista e del liberal-liberismo ottocentesco. La metafisica materialista è, mutuando e rovesciando Spinoza, "Natura sive Deus" che ben si sposa con la fede nella terra di FN.
CitazioneRispetto al fatto di imporre l'uguaglianza marciando sulla libera scelta di pensiero, e sopratutto sulla libertà individuale, come si sta inverando in maniera irrazionale, e a perdicollo (laddove non vi sia già l'obtortocollo).
Non vedo differenza tra il materialismo di matrice di sinistra che si ostina in un pacifisimo senza guardare che le proprie ricchezze sono proprio frutto di qulle guerre che poi vorrebbero evitare.
Puro idealismo, sì, ma irrazionale.
Se intendi contrapporre lo sballo liberal liberista al progressismo di sinistra targato Davos alla Schlein, proprio non ci siamo. Nulla da spartire col materialismo marxista e la sua filosofia della prassi.
CitazioneCome diceva Nietzche il socialismo se mai si invererà, sarà in una elevazione del pensiero, e non nel suo contrario, tale per cui, Nietzche era scarsamente interessato alla politica come fatto notare da Galli e Preterossi.
Non so. Forse percepiva più gli aspetti omologativi acefali della lotta di classe, un po' alla Pasolini. E la cosa non gli piaceva. La storia pare aver dato loro ragione.
CitazioneNaturalmente non ho mai visto il nichilismo di quella posizione, ma se di materialismo si vuol parlare, intanto si ragoni sullo stato delle cose, che dice in geopolitica che siamo una colonia, e quindi in evidente contraddizione con il nostro statuto costituzionale, che come già fatto notare da Agamben ormai, in questo tempo, dove la cecità si paga con la povertà, è diventato altra cosa.
Non vedo proprio come si possa incollare il divario tra l'intellettualità alta, e la neo-plebe, foss'anco neo-con.
Il materialismo storico lascia parlare le contraddizioni del reale e non si illude che l'ideologia, per quanto illuminata, vi si possa sostituire. Trascorso è il tempo delle avanguardie. Hanno avuto la loro occasione e l'hanno bruciata. Senza fargliene una colpa: si vede che doveva andare così; per formare avanguardie meno ingenue, consoliamoci.
CitazioneLa continuazione di Hegel è solo un atto di amore per il pensiero alto, e niente più cara Ipazia.
Come pensava il nostro, il pensiero alto è roba per elite dello spirito. Che solitamente non scrivono la storia, per cui aveva pure ragione ad interessarsi poco di politica. Salvo i pizzini finali agli imperatori. Ma era già collassato.
Citazione di: Ipazia il 06 Marzo 2023, 18:22:45 PMMaterialismi ce ne sono molti e l'evoluzione politica del materialismo marxista grondava di idealità da tutti i pori. A partire dai quaderni filosofici del '44 del padre fondatore. Il quale, e i suoi epigoni, erano ferrei nel rifiuto del "materialismo volgare" della borghesia illuminista e del liberal-liberismo ottocentesco. La metafisica materialista è, mutuando e rovesciando Spinoza, "Natura sive Deus" che ben si sposa con la fede nella terra di FN.
Se intendi contrapporre lo sballo liberal liberista al progressismo di sinistra targato Davos alla Schlein, proprio non ci siamo. Nulla da spartire col materialismo marxista e la sua filosofia della prassi.
Non so. Forse percepiva più gli aspetti omologativi acefali della lotta di classe, un po' alla Pasolini. E la cosa non gli piaceva. La storia pare aver dato loro ragione.
Il materialismo storico lascia parlare le contraddizioni del reale e non si illude che l'ideologia, per quanto illuminata, vi si possa sostituire. Trascorso è il tempo delle avanguardie. Hanno avuto la loro occasione e l'hanno bruciata. Senza fargliene una colpa: si vede che doveva andare così; per formare avanguardie meno ingenue, consoliamoci.
Come pensava il nostro, il pensiero alto è roba per elite dello spirito. Che solitamente non scrivono la storia, per cui aveva pure ragione ad interessarsi poco di politica. Salvo i pizzini finali agli imperatori. Ma era già collassato.
Naturalmente conosco la teoria delle contraddizioni del capitalismo.
Lo stesso La Grassa, sta tentando di formare una classe di tecnici che siano in grado di ipotizzare e quindi di essere pronti a quando il cambio di sistema avverà.
E avverà per forza storica non c'è dubbio.
Ecco il nostro si lamenta che la gente non è però ancora pronta e si attarda alle cose storiche, che lui vorrebbe giò acquisite.
E invece io di storia non so un bel niente, perciò mi ha cestinato prontamente! :D ;)
Certo che da come parli di capitalismo, ossia solo male, come la mettiamo con la teoria che vuole il capitalismo venga accompagnato alla sua fine, ossia inverato nel socialismo? Si domanda un pò OT, ma siccome il 3d è mio sei autorizzata ;)
Un accompagnatore così automatico che i marxisti posero ben presto l'alternativa:
socialismo o barbarie. Fatto subito proprio da Lenin. Per ora teniamoci la barbarie, a cui anche il socialismo reale ha dato il suo doppio contributo: in conto proprio ed a legittimazione dell'altrui.
Citazione di: green demetr il 06 Marzo 2023, 16:30:12 PMPer poter dire che fa acqua lo devi dimostrare, ma non è il tuo caso, nè quello di alcun altro.
Ciao Green, buongiorno, oggi è martedì il giorno della guerra, ma il fatto è che non trovi più i pezzi nuovi da sostituire con quelli deteriorati per far sì che la tua nave di Teseo possa ancora navigare. Non mi ci è voluto tanto tempo per distruggerli e ora ti trovi aggrappato all'asta con la bandiera, e di questo devi ringraziare Hegel stesso e le sue giustissime pretese sul primato della dialettica per la conquista di una qualsiasi verità. Per quel che mi riguarda tu non accetti contro ogni evidenza e con questo ti salvi la vita attaccandoti al salvagente, la bandiera. Stai attento, che dentro alle bandiere vi troverai pure i pescicani che ti mangiano, sempre che non sia tu il pescecane. Vai pure e comunque per la tua via Green, che non è per certo la mia .... e un altro di meno ... naturalmente scherzo, ma su questo Topic sarà molto difficile che intervenga ancora, almeno per quello che dici tu. Un saluto
Citazione di: daniele22 il 07 Marzo 2023, 15:10:42 PMCiao Green, buongiorno, oggi è martedì il giorno della guerra, ma il fatto è che non trovi più i pezzi nuovi da sostituire con quelli deteriorati per far sì che la tua nave di Teseo possa ancora navigare. Non mi ci è voluto tanto tempo per distruggerli e ora ti trovi aggrappato all'asta con la bandiera, e di questo devi ringraziare Hegel stesso e le sue giustissime pretese sul primato della dialettica per la conquista di una qualsiasi verità. Per quel che mi riguarda tu non accetti contro ogni evidenza e con questo ti salvi la vita attaccandoti al salvagente, la bandiera. Stai attento, che dentro alle bandiere vi troverai pure i pescicani che ti mangiano, sempre che non sia tu il pescecane. Vai pure e comunque per la tua via Green, che non è per certo la mia .... e un altro di meno ... naturalmente scherzo, ma su questo Topic sarà molto difficile che intervenga ancora, almeno per quello che dici tu. Un saluto
Hegel si occupa di metafisica, la dialettica è un invenzione di quelli che non c'hanno capito niente del Nostro.
Ti invito a ripartire da zero con la lettura del 3d.
Un pò come Nietzche e chissà quanti altri autori.
Purtroppo la congiunzione storica mi sta condannando a pochi anni, forse mesi di mediocrità, da cui sola può nascere l'intellettualità, se sei ricco ti lascio ai tuoi piccoli piaceri sadici, frutto di una mente chiaramente confusa (passi di palo in frasca ogni 2 per 3, peccato c'erano cose molto originali), se sei povero, bè ti lascio alla nuova sudditanza delle politiche Green, che con me non c'entrano veramente niente, anzi sono l'esatto opposto.
Saluti.
PS.
La metafisica si occupa dell'Essere non dell'ente, come Cacciari va cianciando inspiegabilmente.
Buonasera la primavera è alle porte, tra poco riprenderemo dunque le letture della fenomenologia.
https://youtu.be/r1uXYtT71e0
Frattanto Paolo Vinci mi sorprende, visto che lo annoveravo tra gli analitici, invece scopro con sopresa che lui sarebbe invero dalla nostra parte (più o meno metafisici).Per ora ho visto solo la prima conferenza di 3, ma il materiale messo sul fuoco è vastissimo e interessantissimo.Anzitutto mi scuso per l'ignoranza mia sul fatto che forse ho scritto (visto che lo pensavo) che la fenomenologia è il preambolo alla scienza della logica, e anzi la sua degna conclusione in un ribaltamento della consecutio temporum.Pensavo che la fenomenologia e la scienza dello spirito fossero la stessa cosa :-[Ascoltando attentamente Paolo invece pare prorpio che la fenomenologia sia una scheggia impazzita all'interno del logicismo hegeliano, oggi, chissà perchè :D, quest'ultimo studiato con attenzione (si è colpa degli analitici).Ecco a parte questo direi che quindi questa lettura diventa ancora più importante e complicata, infatti Paolo ci fa una carrellata veloce, ma intrisa di rimandi e problemi sull'intera fenomenologia, penso che ci terrà occupati a lungo.Comincio quindi con le considerazioni a latere, quelle che più mi sono venute in mente, poi pian piano, faremo una sorta di lettura scolastica, con tanto di punti e didascalie varie, in approfondimento, che sento dovuto, e nella giusta direzione.Quello che mi è piaciuto: mi pare la cosa più banale, ossia che la fenomenologia tratti del problema del soggetto.Paolo però non adotta il mio metodo, infatti non pone il probela del soggetto in sè, ma della relazione tra soggetto sensibile/determinato e soggetto assoluto.A mio avviso è un modo errato di proseguire, perchè invece che derimere alcune problematiche le moltiplica, e infatti gli inciampi nel duo discorso sono diversi.Direi dunque di creare un doppio binario, per indicarne uno solo.Laddove Paolo parla di soggetto assoluto, io parlo di problema del soggetto tout court.Come il soggetto sensibile è ciò che Paolo legge come ciò che guarda dietro, ossia determinato dall'oggetto, così legge in una prospettiva nuova il soggetto assoluto come ciò che guarda avanti, ossia nell'azione storica che va in direzione dell'Intero.
In questo credo che le nostre letture si distanzino, proprio per via dei casini che Hegel fa, infatti il Negativo assoluto come farebbe ad essere Intero? se non come appunto costante sottrazione, movimento dialettico, così ri-letto.
D'altronde il problema dell'autofondazione dell'Essere, che la critica moderna e contemporanea fa contro Hegel, relegandolo a comprimario, è completamente fuori di testa, come dice Paolo basta leggere Hegel! (e lui afferma ironicamente "per 30 anni, come ho fatto io") per capire che la fondazione non è di carattere logico ma storico, laddove lo storico è la società, io direi meglio gli altri, più che la storia, un particolare non da poco, cosa che avevano capito benissimo Chiaragin e Severino.
Riassumo per chi si trovasse a leggere solo ora: il problema dell'autofondazione, non è il problema del soggetto (determinato o assoluto che sia) che si auto-leggitima, ma del soggetto che è costretto ad avere che fare con l'altro (il nostro prossimo, la società etc.) e con l'Altro (ossia con la nostra irriducibile discontuità, mancanza rispetto all'ESSERE in quanto tale). Non a caso l'Altro rischia sempre di diventare teologia, predestinazione etc. che è poi quello che si imputa ad Hegel, quando invece Hegel problematizza qualsiasi teologia e quindi (suppongo) anche quella rivelata cristiana.
Ossia il suo esatto contrario! (ma questo lo avevo già capito da me, ed era il tema degli anni scorsi).
La linea Chiareggin è ben consapevole di questa differenza.
Paolo la contrappone in particolare a quella di Heidegger, in particolare a quella dell'Heidegger che pone Hegel e Nietzche nel solco di chi è rimasto metafisico.Francamente dubito che sia realmente così.Ma lo faremo quandomai parleremo - leggeremo Heidegger il sommo Maestro.
Di fatto sono in concordia col Vinci.
La cosa che meno, molto meno mi è piaciuta, è la totale assenza della critica alla scienza, Paolo si limita appunto a parlare di formalismi.
Poco chiari anche sulla distinzione tra scienza formale e scienza della co-scienza, ossia la conoscenza storica del soggetto, che non ha nulla a che vedere colla scienza moderna.
Quello che non colgo è invece il riferimento al corpo a copro con Kant, e addirittura al collegamento tra Hegel e Husserl (che disprezzo).
Purtroppo stranamente i kantiani sono scomparsi su questo forum, bizzarro.Quindi faremo uno sforzo per capire qualcosa di questo corpo a corpo man mano che leggeremo appunto gli autori che si sono occupati del Nostro, e che appunto Paolo continuerà nelle prossime conferenze.
Naturalmente questo è solo una presentazione generale, vedremo poi come coniugare le parti della scrittura con i discutenti esterni da questo forum.
Appunto in realtà nessuno discute di niente, siamo ridotti al discorso con gli antichi. Ci provo a mantenerlo pubblico.
Citazione di: green demetr il 08 Marzo 2023, 11:49:59 AMHegel si occupa di metafisica, la dialettica è un invenzione di quelli che non c'hanno capito niente del Nostro.
...
Ma come ? Togli ad Hegel l'unica parte del suo pensiero feconda ed attuale ! La metafisica idealistica capace di smuovere dal torpore le fisse categorie kantiane, insufflando vita al trascendentale.
Voi (vetero)metafisici avete la sindrome del paracarro in forma di 1. Il Tutto che può convivere solo col Nulla, ovvero 0, rimanendo sempre se stesso, nella sua immobile autoreferenzialità, inguardabile dall'esterno.
Avete perfino coinvolto la buonanima di Parmenide che voleva dire tutt'altra cosa con la sua affermazione ontologica, ma voi metafisici, cacciatori di chimere in iperurani matematici (1 e 0, in perfetta sobrietà come il loden di Monti) ci avete costruito sopra la saga del nichilismo.
La dialettica hegeliana invece ha germogliato nella
pluralità del reale, portando finalmente avanti la metafisica fino a 3. L'avevano fatto anche i cristiani, ma in maniera caotica, azzuffandosi assai, con risultati da covax.
Invece Hegel, o i giovani hegeliani, ci azzeccano:
tesi, antitesi, sintesi. Si farà casino anche su questo bel risultato, certamente migliore della sillogistica manichea che si ferma a 2 (tertium non datur) di Aristotele e degli scientisti, ma il diabolus in philosophia anche in questo caso è la metafisica, di fronte alla quale anche i fenomenologi ed empiristi che ti stanno...fanno bella figura.
Magari una bella metafisica dell'avvenire potrebbe risanare la situazione, ma non potrebbe che essere dialettica, come lo è la
sintesi aquila-serpente dell'ineguagliabile Nicce.
Citazione di: Ipazia il 12 Marzo 2023, 16:10:40 PMMa come ? Togli ad Hegel l'unica parte del suo pensiero feconda ed attuale ! La metafisica idealistica capace di smuovere dal torpore le fisse categorie kantiane, insufflando vita al trascendentale.
Voi (vetero)metafisici avete la sindrome del paracarro in forma di 1. Il Tutto che può convivere solo col Nulla, ovvero 0, rimanendo sempre se stesso, nella sua immobile autoreferenzialità, inguardabile dall'esterno.
Avete perfino coinvolto la buonanima di Parmenide che voleva dire tutt'altra cosa con la sua affermazione ontologica, ma voi metafisici, cacciatori di chimere in iperurani matematici (1 e 0, in perfetta sobrietà come il loden di Monti) ci avete costruito sopra la saga del nichilismo.
La dialettica hegeliana invece ha germogliato nella pluralità del reale, portando finalmente avanti la metafisica fino a 3. L'avevano fatto anche i cristiani, ma in maniera caotica, azzuffandosi assai, con risultati da covax.
Invece Hegel, o i giovani hegeliani, ci azzeccano: tesi, antitesi, sintesi. Si farà casino anche su questo bel risultato, certamente migliore della sillogistica manichea che si ferma a 2 (tertium non datur) di Aristotele e degli scientisti, ma il diabolus in philosophia anche in questo caso è la metafisica, di fronte alla quale anche i fenomenologi ed empiristi che ti stanno...fanno bella figura.
Magari una bella metafisica dell'avvenire potrebbe risanare la situazione, ma non potrebbe che essere dialettica, come lo è la sintesi aquila-serpente dell'ineguagliabile Nicce.
Come già detto all'infinito con metafisica non intendo la vecchia metafisica dell'uno (che finisce col tertium non datur, di aristotile memoria, come giustamente dici tu), bensì quella dialettica, o negativa che pensa Hegel (e ne vedremo le conseguenze) e sopratutto Heidegger.
Lo stesso Paolo Vinci nella terza conferenza su Hegel (già sul canale dell'accademia di Napoli) parla proprio della ricezione marxista dello stesso.
Anche Platone, a cui mi sto timidamente avvicinando, in fin dei conti parla di dialettica, discussione, discorso.
Certo che è strano che nell'epoca della massima disponibilità ai discorsi, i discorsi sono quelli su facebook, con pezzi di 1 massimo 2 righe, o twitter, dove però è il regno del solipsismo, al massimo del re-tweet, mentre i forum languiscono.
Bizzarro, perchè ok, la vecchia metafisica non ci piace più, ma non mi pare che qualcuno ancora creda in Dio. Quindi non capisco nemmeno poi così tanto l'accanimento sullo stesso.
Comunque ripeto, altri lidi vado contemplando, cose molto più vicine alla poesia, e spero che basti.