Penso che sia nota a tutti la storia dell'Antigone di Sofocle, la quale infranse apertamente la legge della propria città, per obbedire a quella che le dettava la sua coscienza, e per questo fu condannata a morte; io ebbi a che fare con tale tragedia sia quando presi il Diploma al Liceo Classico, sia quando presi la Laurea con una Tesi sul "DIRITTO NATURALE" in Filosofia del Diritto.
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Ed infatti non c'è dubbio alcuno che Antigone possa considerarsi l'eroina del GIUSNATURALISMO, intendendo tale termine in senso molto "lato"; e, cioè che, al di sopra della legge scritta dello Stato, c'è la legge della propria coscienza, a cui l'uomo deve sempre e comunque prestare ottemperanza anche a scapito della prima.
A tale concezione, si oppone quella del POSITIVISMO GIURIDICO, per la quale l'unica legge a cui cui l'uomo deve sempre e comunque prestare ottemperanza è quella dello Stato, anche se è in contrasto con quello che gli detta la sua coscienza.
Ho semplificato al massimo, perchè, a seconda dei luoghi, dei vari periodi storici e dei diversi contesti culturali, tali due concenzioni hanno assunto aspetti e contenuti molto diversi (e molto più articolati di come li ho sintetizzati qui io); però, nella sostanza, mi sembra che le mie definizioni siano abbastanza congrue.
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In primo luogo, però, occorre evitare un equivoco:
- il giusnaturalismo non significa violare la legge scritta, per fare quello che ci pare e che ci risulta più "comodo" e conveniente (per esempio, non pagare le tasse, perchè ci sembrano troppo alte);
- significa invece disattendere quello che prescrive la legge scritta, per obbedire ad un'altra legge, non scritta, che, a torto o a ragione, noi riteniamo superiore (per esempio, come è accaduto, sottrarre ebrei in fuga alla polizia, a rischio della propria stessa vita.)
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A questo punto, però, bisogna evitare di cadere in un altro equivoco; quello, cioè, per il quale, in uno "Stato democratico" non potrebbe mai accadere che vengano emanate leggi inique come quelle razziali.
Per cui il problema non si pone, e la legge scritta andrebbe sempre rispettata.
Ma le cose non stanno affatto così!
Ed infatti, semmai bisognerebbe parlare di "Stato liberal-democratico" (costituzionale); ed invero, in uno "Stato democratico" allo stato puro, senza freni "liberal-costituzionali", una assembea di cinquecento volpi e quattrocento polli potrebbe promulgare leggi sostanzialmente non troppo "EQUE".
Ed infatti, non sempre la maggioranza, solo perchè è maggioranza, ha necessariamente ragione!
(http://i68.tinypic.com/2mjmsm.jpg)
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Per non parlare delle "Democrature" in stile Putin, che sono soltanto della Dittature Mascherate.
Ma, anche a voler prendere in considerazione la più illuminata delle Democrazie Liberali (ammesso che ne esistano), non necessariamente le leggi da essa emanate potranno sempre corrispondere all'idea di giustizia di ogni singolo cittadino.
Per cui il problema si porrà sempre, sebbene in minor misura.
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Ciò premesso:
1)
A FAVORE DEL POSITIVISMO GIURIDICO, in generale si può dire che, in qualunque tipo di Stato e di Regime, per quanto criticabile esso possa essere, se ogni cittadino rispettasse solo le leggi che ritiene giuste e disobbedisse a quelle che reputa ingiuste, si potrebbe cadere nel caos più completo...con un inevitabile danno per l'intera collettività.
2)
A FAVORE DEL GIUSNATURALISMO, invece, si può dire che, se si ritiene PER PRINCIPIO "giusto" obbedire sempre e comunque alla legge scritta di uno Stato a prescindere dal suo contenuto, in tal modo si finirebbe per ritenere giustificata anche l'obbedienza alle leggi più inique, come quelle RAZZIALI, ed considerare un crimine dare rifugio ai fuggitivi dai lager (o cose simili).
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Ciò detto, peraltro, occorre tenere presente che la legge scritta, più che sul CONSENSO, è basata sulla FORZA; per cui, a prescindere dal fatto che un cittadino condivida o meno una certa legge, se la infrange, incorre in una sanzione. Come, appunto, Antigone...che pagò con la vita la sua disobbedienza civile.
Ne consegue che il rischio del CAOS di cui al punto 1), normalmente non si pone; e, nei casi in cui storicamente esso si è posto, è stato chiamato RIVOLUZIONE. La quale è inevitabile nel caso in cui lo "iato" tra legge scritta e legge non scritta diventa troppo "stridente".
In uno Stato liberaldemocratico, però, "di solito" la cosa si risolve molto più semplicemente con "nuove elezioni".
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A livello individuale, invece, almeno personalmente, io ritengo di dover sempre e comunque obbedire a quello che mi detta la mia coscienza (giusto o sbagliato che esso sia), a prescindere da quello che impone la legge scritta; però, ovviamente, in determinati casi devo essere anche disposto a subire le conseguenze legali che derivano dalla mia violazione della legge scritta.
A mio parere, però, è molto meglio subire queste ultime, che non le sanzioni morali della mia coscienza.
Ma questa è solo la mia personale opinione!
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Salve Eutidemo : Citandoti: "A livello individuale, invece, almeno personalmente, io ritengo di dover sempre e comunque obbedire a quello che mi detta la mia coscienza (giusto o sbagliato che esso sia), a prescindere da quello che impone la legge scritta; però, ovviamente, in determinati casi devo essere anche disposto a subire le conseguenze legali che derivano dalla mia violazione della legge scritta".
Bravo. Quindi saresti un asociale (non tieni conto dell'interesse della società) presuntuoso (consideri la tua capacità di giudizio ETICO migliore di quella della società) ma coerente (decidendo comunque di affrontare - se del caso - le tue responsabilità MORALI e di DIRITTO).
Vedi bene che da qui salta ancora una volta fuori la distinzione tra ETICA PERSONALE e MORALE COLLETTIVA (espressa dal DIRITTO).
Perchè infatti il giusnaturalismo non è altro che l'espressione dell'ETICA, mentre il DIRITTO non è altro che l'espressione della MORALE. Saluti.
Antigone é stata contrapposta a Socrate. Socrate infatti accettò la sentenza di morte anche se era consapevole che fosse ingiusta perché era la decisione "etica" della collettività ateniese, a cui doveva sottomettersi il soggetto singolo.
Se il discorso di Eutidemo ha una sua validità, vorrei aggiungere un altro argomento, grazie a Socrate: il diritto ad opporsi alle regole positive (leggi) è sicuramente legittimato se le leggi sono state promulgate da un governo autoritario o dittatoriale. Nel caso di un governo eletto democraticamente, le giustificazioni scemano grandemente. Ci si può impegnare a cambiare quelle leggi, opporre vizi da eccepire in sede di giudizio, ma la legge dovrebbe essere rispettata, nei limiti in cui quella legge non va contro una legge superiore e la legge massima in Italia è la Costituzione.
Citazione di: Jacopus il 03 Luglio 2019, 18:14:37 PM
Antigone é stata contrapposta a Socrate. Socrate infatti accettò la sentenza di morte anche se era consapevole che fosse ingiusta perché era la decisione "etica" della collettività ateniese, a cui doveva sottomettersi il soggetto singolo.
Se il discorso di Eutidemo ha una sua validità, vorrei aggiungere un altro argomento, grazie a Socrate: il diritto ad opporsi alle regole positive (leggi) è sicuramente legittimato se le leggi sono state promulgate da un governo autoritario o dittatoriale. Nel caso di un governo eletto democraticamente, le giustificazioni scemano grandemente. Ci si può impegnare a cambiare quelle leggi, opporre vizi da eccepire in sede di giudizio, ma la legge dovrebbe essere rispettata, nei limiti in cui quella legge non va contro una legge superiore e la legge massima in Italia è la Costituzione.
In realtá ritengo che esista anche una comunanza tra Socrate e Antigone : entrambi si scontrano con una legge è un potere costituito in forza di una legge di giustizia (ritenuta) più cogente rispetto a quella della città. Entrambi, pur consapevoli di andare incontro alla morte, è a una legge di coscienza che danno voce e non rinunciano, una legge che sfida il potere ed è e resta più importante della propria esistenza e di ogni tentativo di censura.
Citazione di: Jacopus il 03 Luglio 2019, 18:14:37 PM
Antigone é stata contrapposta a Socrate. Socrate infatti accettò la sentenza di morte anche se era consapevole che fosse ingiusta perché era la decisione "etica" della collettività ateniese, a cui doveva sottomettersi il soggetto singolo.
Se il discorso di Eutidemo ha una sua validità, vorrei aggiungere un altro argomento, grazie a Socrate: il diritto ad opporsi alle regole positive (leggi) è sicuramente legittimato se le leggi sono state promulgate da un governo autoritario o dittatoriale. Nel caso di un governo eletto democraticamente, le giustificazioni scemano grandemente. Ci si può impegnare a cambiare quelle leggi, opporre vizi da eccepire in sede di giudizio, ma la legge dovrebbe essere rispettata, nei limiti in cui quella legge non va contro una legge superiore e la legge massima in Italia è la Costituzione.
Concordo col ragionamento. Alla costituzionalità di una legge ci pensi la Corte Costituzionale e finchè non viene cassata deve valere erga omnes senza fantasiose interpretazione di qualche magistrato/a immaginifici.
La contrapposizioni tra giusnaturalismo e diritto positivo è assai asimmetrica, per non dire su piani diversi. Il "diritto naturale" intendendo le leggi di natura così come il darwinismo e l'etologia ce le hanno insegnate, può essere fonte di diritto positivo ma altrettanto il diritto positivo può esserne negazione, tanto nell'ampliamento che nella riduzione della libertà che lo stato naturale concede. Pertanto vedrei il diritto positivo come una evoluzione razionale e storicamente determinata del diritto naturale piuttosto che come un'alternativa contrapponibile in toto.
Antigone non contrappone il diritto naturale della sepoltura al diritto statale della punizione del reo, perchè anche la sepoltura, e il rispetto dei morti, sono dati positivi, innaturali, per quanto più vicini, nella relazione di sangue tra fratelli, alla natura rispetto al castigo dell'autorità a chi la sfida.
Va anche detto che la religione greca attribuiva una continuità tra vita e morte, per cui l'ostinazione di Creonte va inserita nell'idea del castigo che deve funzionare anche dopo la morte di Polinice. Tal quale la visione cristiana del peccato e del castigo eterno :) Mentre Antigone invoca le
àgrapta nòmima, la saggia pietas consuetudinaria che impone il rispetto dei cadaveri fin dalla notte dei tempi. Insomma di giusnaturalismo veramente poco.
Ciao Eutidemo.
Il mio problema oggi è che vengo invitato continuamente al non rispetto delle leggi nell'ambiente di lavoro , dove si crea un sistema , chiamiamolo andazzo , che gli altri colleghi stessi ti invitano a seguire .
Infatti non seguire l'andazzo non solo mette in forse il tuo quieto vivere , ma anche il loro , e sono loro i tuoi primi censori.
Mi chiedo se gli antichi Greci vivessero anche questa tragedia fra le tante.
Se dovessi scrivere io questa nuova tragedia la intitolerei SCHETTINO.
O forse è stata già scritta?
Citazione di: viator il 03 Luglio 2019, 17:34:58 PMSalve Eutidemo : Citandoti: "A livello individuale, invece, almeno personalmente, io ritengo di dover sempre e comunque obbedire a quello che mi detta la mia coscienza (giusto o sbagliato che esso sia), a prescindere da quello che impone la legge scritta; però, ovviamente, in determinati casi devo essere anche disposto a subire le conseguenze legali che derivano dalla mia violazione della legge scritta". Bravo. Quindi saresti un asociale (non tieni conto dell'interesse della società) presuntuoso (consideri la tua capacità di giudizio ETICO migliore di quella della società) ma coerente (decidendo comunque di affrontare - se del caso - le tue responsabilità MORALI e di DIRITTO). Vedi bene che da qui salta ancora una volta fuori la distinzione tra ETICA PERSONALE e MORALE COLLETTIVA (espressa dal DIRITTO). Perchè infatti il giusnaturalismo non è altro che l'espressione dell'ETICA, mentre il DIRITTO non è altro che l'espressione della MORALE. Saluti.
anteporre un proprio personale ideale di giustizia all'obbedienza alle leggi dello stato può considerarsi un atto asociale solo ritenendo che ogni legge dello stato sia sempre benefica all'interesse collettivo, e che dunque ciò che motiverebbe l'infrazione sia sempre l'interesse meramente individuale di chi infrange. Cosa non sempre necessariamente vera. A meno di restringere il significato di "società" al complesso delle istituzioni, distinguendolo da quello di "popolo", del complesso degli interessi dei cittadini in carne e ossa, istituzioni che sarebbero "ferite" dall'infrazione, in questo caso l'antisocialità di quest'ultima sarebbe una verità tautologica, ma ciò consisterebbe in un conflitto tra individuo e istituzioni, non riguardante l'interesse collettivo, che non potrebbe che essere avvantaggiato dal fatto che un'eventuale legge sbagliata o dannosa venga disattesa. Se poi l'individuo in questione accetta serenamente le conseguenze legali del suo atto, a maggior ragione la sua azione rientra in una logica di rispetto dell'ordine sociale/istituzionale, che nel prefigurare un sistema di pene già mostra di ammettere la possibilità dell'infrazione ed escogitare le contromisure, di modo che le infrazioni non mettano realmente a rischio la stabilità del sistema, riuscendo a sopportarle. Per quanto riguarda la presunzione, direi che ogni azione liberamente scelta esprime una personale scala di valori che il soggetto deve per forza di cose ritenere "migliore" rispetto a quella degli altri, altrimenti, se la ritenesse di egual valenza, cesserebbe di essere un modello di riferimento, e nessuna azione possibile avrebbe una motivazione da cui scaturire. Si cadrebbe in un totale indifferentismo, impossibilitato a legittimare qualunque tipo di azione, sia essa di rispetto che di infrazione della legge. Si potrebbe parlare di presunzione illegittima solo nel caso in cui si pretendesse di fondare in modo del tutto oggettivo e razionale i propri valori fondamentali, operando un'arbitraria deduzione dal riconoscimento fattuale di un "essere"all'assunzione etica, conseguente, di un "dover essere", ma fintanto che si riconosce che la propria scala di valori può essere vista come "migliore" solo da un punto di vista soggettivo-sentimentale, allora tale giudizio di "migliore" è del tutto corretto e lecito. Peraltro, anche il positivista giuridico che antepone la fedeltà alle leggi dello stato a eventuali scrupoli interiori che spingerebbero in senso contrario e che vengono dunque repressi, agisce sulla base di una soggettiva scala di valori, nella quale l'obbedienza alla legge viene posto sul gradino più alto, scala che, lecitamente dal suo punto di vista, deve per forza riconoscere come migliore o più valida rispetto a quella del giusnaturalista, che invece si riserva la possibilità della disobbedienza civili a certe condizioni, ma non per questo è meno o più presuntuoso di quest'ultimo
Per Lou. Fra Socrate ed Antigone vi sono ovviamente affinità e diversità. Entrambi si oppongono al potere ed entrambi sono sconfitti ed offerti in sacrificio. Entrambi sono ricordati in eterno, anche se l'uno è un personaggio storico e l'altra un personaggio di una tragedia di Sofocle.
La vicenda di Socrate è quella di una condanna contro un uomo che osava troppo, perchè insegnava agli ateniesi ad essere liberi e a dubitare in modo critico di ogni avvenimento del mondo, fino a dubitare di se stessi come metodo principe della filosofia maieutica (γνῶθι σαυτόν).
La condanna proviene da un potere legittimo, ma già corrotto ed in decadenza, che tende a cristallizzarsi dentro regole vuote, piuttosto che rinnovarsi. In modo paradossale la morte di Socrate richiama un mondo che vorrebbe rinnovarsi, perchè è innovativo l'insegnamento di Socrate ma è anche un tentativo sacrificale per riscoprire le antiche virtù greche, per le quali la vita di un singolo può tranquillamente essere sacrificata per il bene di tutti.
Socrate, ci dice Platone, ha sempre professato la necessità di non violare mai la legge, al punto che preferisce morire, piuttosto che evadere, possibilità che gli era stata offerta dagli stessi carcerieri.
Socrate è quindi una freccia verso il futuro, con una punta fatta di antiche virtù.
Antigone ci dice altro. Il suo messaggio è ambiguo ed è per questo molto più immortale di quello della morte di Socrate. Intanto è la figlia di Edipo. Una parentela scomoda e la sua storia ricalca per certi versi quella del padre. La storia è nota, lei preferisce la legge degli dei (ἄγραπτα νόμιμα) "agrapta nomina" alla legge degli uomini, il (νόμος ) "nomos". E la legge degli dei si scatenerà su tutta la città di Tebe, con la furia delle Erinni, allorquando Creonte, detentore del potere della legge positiva, non vorrà scendere a patti con la legge degli dei. Morirà Antigone, morirà il figlio di Creonte e morirà la moglie di Creonte. Creonte resterà solo, raffigurando così nel modo migliore la solitudine del potere. Creonte è il vero antagonista di Edipo, ma come lui soffre la perdita dei suoi cari a seguito di proprie azioni. Edipo perchè ha sete di conoscenza, Creonte perchè ha sete di potere. Edipo perderà volontariamente il potere, Creonte lo manterrà.
In Socrate il conflitto viene sublimato e superato dalla morte ben accettata dal filosofo, che ribadisce la superiorità della legge alla sua vita. In Antigone, le morti si moltiplicano e la superiorità della legge viene pagata non da un sacrificio festoso, come con Socrate, ma da una vendetta divina.
Antigone è quindi una freccia rivolta al passato, con una punta fatta di antiche maledizioni.
Siamo a cavallo tra trascendente ed immanente in una affascinante cavalcata polisemantica, rispetto alla quale, il Critone, che racconta la morte di Socrate è un semplice quadretto appena abbozzato.
ciao Eutidemo.
E' normale la dialettica interiore e la prassi fra quelle che sinteticamente definisci nel giusnaturalismo e nel positivismo giuridico.
Entrambi hanno dei difetti, per cui è la dialettica sociale che di volta in volta costruisce equilibri, mai stabili per contraddizioni interne, fra individuo e società.
Il diritto di natura dovrebbe a mio parere fondarsi su un sentimento a priori relazionato ad una norma comportamentale. Ad esempio: preferisco aiutare gli ebrei fuggire ,seppure rischioassi io stesso di persona una sanzione. L'appagamento interiore segue un desiderio più forte della sanzione, un desiderio sociale al di sopra delle leggi.
C'è qualcosa che è a monte della morale/etica, è qualcosa molto simile ad un sentimento di piacere che non è un oggetto di appropriamento, di consumo.
Il problema storico di filosofia morale e politica è che può allora essere soggettivo.
Il positivismo giuridico, viceversa, nasce dalla necessità di costruire una etica/morale(utilizzo tutti i due termini per non creare fraintesi) che tenga unita l'identità comunitaria, qualcosa al di sopra dei soggetti e delle visoni e sentimenti individuali. Una struttura di compatibilità , in costante equilibrio/squilibrio, definita legge. Una caratteristica del positivismo giuridico è che "la legge costruisce il popolo", poichè i comportamenti vengono indirizzati dentro i limiti prescrittivi dei diritti e obblighi. L'una nasce dal basso, il soggetto individuale, l'altra nasce dall'alto, dalla comunità, società, stato.
Penso che sia giusto, per questo ho esordito come "normale", il processo storico in cui la visone individuale e soggettiva si scontra dialetticamente con la normativa generale della società esistente.
Perchè la società vive, è vita, muta, cambia cultura, tecniche, organizzazioni, visioni.
Ma non è detto che sia progressiva, diciamo in senso evolutivo sempre migliore.
E' un processo che tenderebbe verso quei valori, che ribadisco, nascono fra sentimento e ragion d'essere e di praticarli, per poter costruire interiormente un'armonia nella propria coscienza individuale.
Il rapporto fra coscienza soggettiva e coscienza sociale è storicamente dialettica e sposta l'asse del diritto (più o meno verso l'individuo, come più o meno verso la comunità sociale) spostando le gerarchie nelle costruzioni delle priorità dei valori etico-morali (pensiamo ai rapporti diversi nelle relazioni fra loro di libertà-eguaglianza- giustizia), nelle diverse tradizioni culturali così come mutano storicamente con la cultura che l'accompagna.
Ciao Viator. :)
Circa le tue accuse, osservo quanto segue:
1)
Non è vero che io sia un "asociale", perchè, seguendo la mia coscienza, io ritengo di dover disattendere determinate leggi, proprio perchè le ritengo socialmente dannose o inique, in via di principio, per tutti, non solo per me; questo mi sembrava di averlo spiegato molto bene.
2)
E' invece vero che sono un "presuntuoso", in quanto, ovviamente, non posso che agire in base a ciò che io "presumo" sia giusto; non posso mica agire in base a quello che "presumi" sia giusto tu o la società!
Ritengo, infatti, che il mio giudizio etico non possa essere che individuale ed "autonomo"; non "eteronomo" e demandato ad un ente sociale, ideologico o religioso esterno alla mia coscienza.
In questo modo, ovviamente, mi può anche capitare di sbagliare; però preferisco sbagliare seguendo quello che mi detta la mia coscienza (e la mia ragione), che essere nel giusto solo perchè mi sono accodato al gregge.
3)
Ti ringrazio per avermi riconosciuto il pregio della "coerenza"; ma forse, in questo, sei stato troppo generoso nei miei confronti.
Ed infatti, sebbene io mi sia sempre ripromesso, in tutte le situazioni, di mantenere la mia coerenza...purtroppo non sempre è stato così; me ne vergogno, ma quello che è vero è vero!
Un saluto :)
Citazione di: Jacopus il 03 Luglio 2019, 18:14:37 PM
Antigone é stata contrapposta a Socrate. Socrate infatti accettò la sentenza di morte anche se era consapevole che fosse ingiusta perché era la decisione "etica" della collettività ateniese, a cui doveva sottomettersi il soggetto singolo.
Se il discorso di Eutidemo ha una sua validità, vorrei aggiungere un altro argomento, grazie a Socrate: il diritto ad opporsi alle regole positive (leggi) è sicuramente legittimato se le leggi sono state promulgate da un governo autoritario o dittatoriale. Nel caso di un governo eletto democraticamente, le giustificazioni scemano grandemente. Ci si può impegnare a cambiare quelle leggi, opporre vizi da eccepire in sede di giudizio, ma la legge dovrebbe essere rispettata, nei limiti in cui quella legge non va contro una legge superiore e la legge massima in Italia è la Costituzione.
Correttissime e condivisibilissime considerazioni, a cui non ho nulla da aggiungere o eccepire :)
Ciao Iano. :)
Ho perfettamente compreso la natura del tuo problema, che, purtroppo, è comune in molti luoghi di lavoro.
Al riguardo, molti anni fa, uscì un bellissimo film di Sidney Lumet, interpretato da Al Pacino e dedicato a SERPICO, circa il quale (non più in distribuzione), posso segnalarti solo il seguente LINK documentaristico.
https://www.youtube.com/watch?v=kNXrLqZ9ijM
Un saluto. :)
ciao Paul11 :)
Trovo la tua esposizione molto perspicua ed intrigante, soprattutto quando scrivi che: "C'è qualcosa che è a monte della morale/etica, è qualcosa molto simile ad un sentimento di piacere che non è un oggetto di appropriamento, di consumo.".
Mi sembra quasi un approccio epicureo alla soddisfazione che si prova quando si obbedisce alla propria coscienza; che, però, essendo io un seguace di Seneca, posso capire, ma non approvare del tutto.
***
Molto interessante è anche la tua osservazione che "il rapporto fra coscienza soggettiva e coscienza sociale è storicamente dialettica e sposta l'asse del diritto (più o meno verso l'individuo, come più o meno verso la comunità sociale) spostando le gerarchie nelle costruzioni delle priorità dei valori etico-morali (pensiamo ai rapporti diversi nelle relazioni fra loro di libertà-eguaglianza- giustizia), nelle diverse tradizioni culturali così come mutano storicamente con la cultura che l'accompagna."
Rispetto al mio, il tuo è un approccio molto più "storicistico", che però ritengo del tutto CONDIVISIBILE!
***
Basti pensare a come l'OLOCAUSTO ed il conseguente PROCESSO DI NORIMBERGA, abbiano spostato l'asse della concezione giuridica da una "Weltanschauung" positivistica kelseniana basata sul legalismo giusformalistico ("gesetz ist gesetz"), ad una visione di tipo costituzionalistico-giusnaturalistico, fino ad ammettere, in talune Costituzioni, persino il "DIRITTO DI RESISTENZA".
Tale diritto-dovere, per esempio, è previsto dall'art.20 della Costituzione Tedesca, mentre, purtroppo, non nella nostra; ed infatti, durante i lavori dell'Assemblea costituente, fu respinto l'emendamento di Giuseppe Dossetti, volto ad introdurre nella Costituzione Italiana un articolo secondo cui "La resistenza individuale e collettiva nei confronti dei pubblici poteri che vìolino le libertà fondamentali, rappresenta, un diritto ed un dovere di ogni cittadino".
Peccato!
Un saluto!
Citazione di: paul11 il 03 Luglio 2019, 23:54:35 PM
Il diritto di natura dovrebbe a mio parere fondarsi su un sentimento a priori relazionato ad una norma comportamentale. Ad esempio: preferisco aiutare gli ebrei fuggire ,seppure rischioassi io stesso di persona una sanzione. L'appagamento interiore segue un desiderio più forte della sanzione, un desiderio sociale al di sopra delle leggi.
L'esempio mi pare un po' forzato e poco giusnaturalistico. Di più lo sarebbe: preferisco rubare le mele che spaccarmi la schiena a coltivarle pur sapendo che è illegale e corro dei rischi, il quale è ...
CitazioneC'è qualcosa che è a monte della morale/etica, è qualcosa molto simile ad un sentimento di piacere che non è un oggetto di appropriamento, di consumo.
... associazione di un sentimento di piacere, ma pure di appropriamento e consumo
CitazioneIl problema storico di filosofia morale e politica è che può allora essere soggettivo.
Il positivismo giuridico, viceversa, nasce dalla necessità di costruire una etica/morale(utilizzo tutti i due termini per non creare fraintesi) che tenga unita l'identità comunitaria, qualcosa al di sopra dei soggetti e delle visoni e sentimenti individuali. Una struttura di compatibilità , in costante equilibrio/squilibrio, definita legge. Una caratteristica del positivismo giuridico è che "la legge costruisce il popolo", poichè i comportamenti vengono indirizzati dentro i limiti prescrittivi dei diritti e obblighi. L'una nasce dal basso, il soggetto individuale, l'altra nasce dall'alto, dalla comunità, società, stato.
L'origine dell'etica/morale non può essere che soggettiva, ma io non ci vedo, ab origine, una contrapposizione netta col diritto positivo. La prima fase del quale è piuttosto di tipo contrattualistico, intersoggettivo, che contrappositivo. La contrapposizione avviene successivamente quando qualcuno diventa "più uguale degli altri" e ha forza sufficiente per crearsi un contratto a sua misura (di clan, casta, classe, stato) che allarga la forbice con lo
stato di natura sociale umana che ha dato origine al contratto originario presumibilmente egualitario e agganciato alle condizioni etologiche date. Quello stato di natura a cui, nella sua semantica mitologica, si richiama anche Antigone nel contestare il diritto positivo "statale" asimmetrico di Creonte.
Salve. Per Eutidemo : "Accuse ???". Non mi sembra che Codici Penali, Civili o di altro genere prevedano che egoismo e presunzione siano reati.
Le mie erano osservazioni di carattere logico-ironico (la logica si presta assai all'ironia, secondo me, perchè è spesso produttrice di paradossi).
Comunque anch'io sono egoista e presuntuoso, se ciò ti può sollevare. Succede un paio di volte al giorno : quando mangio.
Mica lo faccio per altruismo, e poi scelgo piatti che presumo possano piacermi mentre mia moglie vorrebbe darmi quelli che mi facciano bene alla salute !! Salutoni.
Citazione di: viator il 04 Luglio 2019, 13:01:06 PM
Salve. Per Eutidemo : "Accuse ???". Non mi sembra che Codici Penali, Civili o di altro genere prevedano che egoismo e presunzione siano reati.
Le mie erano osservazioni di carattere logico-ironico (la logica si presta assai all'ironia, secondo me, perchè è spesso produttrice di paradossi).
Comunque anch'io sono egoista e presuntuoso, se ciò ti può sollevare. Succede un paio di volte al giorno : quando mangio.
Mica lo faccio per altruismo, e poi scelgo piatti che presumo possano piacermi mentre mia moglie vorrebbe darmi quelli che mi facciano bene alla salute !! Salutoni.
Lo avevo capito benissimo che le tue erano "
accuse"
di carattere logico-ironico; come, di conseguenza, sono state anche le mie "comparse difensive".Non ti preoccupare, non mi adonto tanto facilmente!Salutoni. :)
Citazione di: Jacopus il 03 Luglio 2019, 23:34:37 PM
Per Lou. Fra Socrate ed Antigone vi sono ovviamente affinità e diversità. Entrambi si oppongono al potere ed entrambi sono sconfitti ed offerti in sacrificio. Entrambi sono ricordati in eterno, anche se l'uno è un personaggio storico e l'altra un personaggio di una tragedia di Sofocle.
La vicenda di Socrate è quella di una condanna contro un uomo che osava troppo, perchè insegnava agli ateniesi ad essere liberi e a dubitare in modo critico di ogni avvenimento del mondo, fino a dubitare di se stessi come metodo principe della filosofia maieutica (γνῶθι σαυτόν).
La condanna proviene da un potere legittimo, ma già corrotto ed in decadenza, che tende a cristallizzarsi dentro regole vuote, piuttosto che rinnovarsi. In modo paradossale la morte di Socrate richiama un mondo che vorrebbe rinnovarsi, perchè è innovativo l'insegnamento di Socrate ma è anche un tentativo sacrificale per riscoprire le antiche virtù greche, per le quali la vita di un singolo può tranquillamente essere sacrificata per il bene di tutti.
Socrate, ci dice Platone, ha sempre professato la necessità di non violare mai la legge, al punto che preferisce morire, piuttosto che evadere, possibilità che gli era stata offerta dagli stessi carcerieri.
Socrate è quindi una freccia verso il futuro, con una punta fatta di antiche virtù.
Antigone ci dice altro. Il suo messaggio è ambiguo ed è per questo molto più immortale di quello della morte di Socrate. Intanto è la figlia di Edipo. Una parentela scomoda e la sua storia ricalca per certi versi quella del padre. La storia è nota, lei preferisce la legge degli dei (ἄγραπτα νόμιμα) "agrapta nomina" alla legge degli uomini, il (νόμος ) "nomos". E la legge degli dei si scatenerà su tutta la città di Tebe, con la furia delle Erinni, allorquando Creonte, detentore del potere della legge positiva, non vorrà scendere a patti con la legge degli dei. Morirà Antigone, morirà il figlio di Creonte e morirà la moglie di Creonte. Creonte resterà solo, raffigurando così nel modo migliore la solitudine del potere. Creonte è il vero antagonista di Edipo, ma come lui soffre la perdita dei suoi cari a seguito di proprie azioni. Edipo perchè ha sete di conoscenza, Creonte perchè ha sete di potere. Edipo perderà volontariamente il potere, Creonte lo manterrà.
In Socrate il conflitto viene sublimato e superato dalla morte ben accettata dal filosofo, che ribadisce la superiorità della legge alla sua vita. In Antigone, le morti si moltiplicano e la superiorità della legge viene pagata non da un sacrificio festoso, come con Socrate, ma da una vendetta divina.
Antigone è quindi una freccia rivolta al passato, con una punta fatta di antiche maledizioni.
Siamo a cavallo tra trascendente ed immanente in una affascinante cavalcata polisemantica, rispetto alla quale, il Critone, che racconta la morte di Socrate è un semplice quadretto appena abbozzato.
Trovo molto interessante questo tuo approfondimendo, tuttavia non ritengo dirimente, stando al senso greco della temporalità, la direzione della freccia del tempo:il passato può essere null'altro che futuro anteriore e il futuro un passato prossimo. Forse, applicare il nostro senso della temporalità, svia da messaggi dove il confine tra immanenza e trascendenza si confonde, poichè entrambi i soggetti è nell'immanenza del simbolo e nella trascendenza della storicità che comunicano e testimoniano messaggi di cui forse il senso è ancora in buona parte da comprendere.
Ritorno dopo anni e vedo tanto migliorato questo sito, con immenso conforto e con una sincera commozione. Era molto interessante, ma alquanto scivoloso nel "naif" 15-20 anni fa, ora no. Ho letto tanto e, con grandissimo interesse, ho trascorso la serata con questi vostri, ancora "nostri", dialoghi. Leggere di tanti giovani intelligenti che si confrontano, razionalmente e con spirito critico, con dovizia di cultura e fornendo stimoli davvero interessanti, credetemi, ragazzi, mi riempie il cuore. E che sia fatto in questa nostra lingua italiana, così immensamente ricca da poter ospitare quasi ogni espressione dell'animo dentro pensieri che si possono articolare nel nostro linguaggio... Ineffabile.
Detto questo vengo al tema. Non c'è dubbio che la figura di Antigone si contrapponga a quella di Socrate, per le perfette ragioni che avete tutti citato.
Il vaglio della "critica consapevole" unito al vaglio del "tempo" storico, tuttavia, ci consegna Antigone come "persona" da rappresentarsi all'interno di un "descritto" umano che si svolge in una "esemplarità": essa è la forma della Tragedia.
Socrate, invece, si inscrive nella Storia, ossia quella che, prescritta nel Fato, può non scriversi affatto, in quanto il sacrificio estremo la disabilita. Socrate, detto in altri modi, "sconvolge" il Fato obbedendo alla Legge e questo fa di lui il possibile "musico col flauto" che Nietzsche suggeriva negli ultimi passi della "Nascita della Tragedia", mi pare intorno al 1870, forse un po' prima.
Antigone, invece, sta dentro il percorso immutabile dell'oblio, il quale, per rinnovarsi, non può che "ripetersi". E' il corso dell'Acheronte, quello infernale che consegna l'oblio alle anime perdute... Antigone sta lì.
La "scrittura". Socrate, infatti, non risulta "scrivere" nulla. Non dovete sorprendervi, questo è coerente.
Socrate rifiuta il ruolo di "persona", ossia di "individuo connotabile" e, quindi, descrivibile e rappresentabile in un qualsiasi scenario.
Bentornato Leibnicht. :)
Secondo me hai scelto un "nick name" molto appropriato, perchè, in effetti, in questo FORUM siamo tutti "non corpi"; dialoghiamo solo anonimaMENTE!
Cioè, velati dietro uno pseudonimo, colloquiamo con la sola mente, il che ci priva del "linguaggio del corpo"; e questo costituisce un vantaggio ed uno svantaggio nello stesso tempo.
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Venendo al tema, non c'è dubbio alcuno che la figura di Antigone si contrapponga a quella di Socrate, almeno nella "lettura filosofica" che tutti ne danno (me compreso); però, secondo me, in fondo la loro scelta era "coscienzialmente" identica.
Al riguardo, rammento che nella sua prima lezione in aula, il nostro Professore di Filosofia del Diritto (Sergio Cotta), ci espose la differenza tra Giuspositivismo e Giusnaturalismo; il suo fu un discorso molto complesso ed articolato (anche se non lo rammento tutto molto bene).
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e gli chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia "giusto" osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia "giusto" osservare soprattutto la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza, (dalla Natura, da Dio, dalla Ragione, ecc.)?"
Lui rispose: "Semplicizzando all'estremo, in effetti, si potrebbe anche dire così!".
"Ma allora", feci io "In effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" (allora andava in voga tale brutta espressione) della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un "giudizio valoriale"; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale.
MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
Il Professore si fece una risata, obiettando che il mio era un assunto un po' semplicistico.
Tuttavia, anche dopo avere approfondito l'argomento nella mia Tesi di Laurea sul Giusnaturalismo, a distanza di più di quaranta anni sono sempre rimasto della stessa opinione; alla stregua della quale in fondo, tra Antigone e Socrate non c'era poi una gran differenza, in quanto entrambi hanno fatto quello che la coscienza indicava loro come "giusto":
- in un caso violare la legge scritta;
- nell'altro osservarla in ogni caso, "a prescindere" (come direbbe Totò).
Ed infatti Socrate rispettava le leggi scritte della sua Città, non per paura della sanzione, ma perchè "per principio" riteneva che fosse "giusto" fare così.
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Ed infatti, Socrate (in sintesi) dice che le leggi della sua Città, sicuramente lo criticherebbero e lo accuserebbero se egli cercasse di sfuggire alla sua pena, in quanto esse sono state come dei genitori per lui, hanno garantito alla sua vita un sistema di controllo cui sempre affidarsi; trasgredirle significherebbe quasi ricusare l'ordine che la sua vita ha avuto.
Però, secondo me, nel suo caso specifico, tale ragionamento è alquanto fallace.
Ed infatti, in soldoni, esistono due tipi di leggi, ad esempio:
a) Prescrizione: "Non uccidere".
b) Sanzione: "Chi ha ucciso verra giustiziato".
Per cui, se venisse giustiziata, per un errore processuale, una persona che, in effetti, non ha mai commesso alcun omicidio, la legge che sanziona con la morte gli assassini (e solo loro), verrebbe "trasgredita".
Ne consegue che:
- se Socrate era consapevole di essere colpevole, accettare la pena corrispondente al reato commesso, sarebbe stato effettivamente conforme alla sua proclamata obbedienza delle leggi;
- se, invece, Socrate era consapevole di essere del tutto innocente (come lo era), subire passivamente una pena che la legge prevedeva solo per i colpevoli, sarebbe stato contrario alla sua proclamata obbedienza delle leggi, perchè in tal modo avrebbe contribuito a violarle anche lui.
In realtà, a ben vedere, il discorso di Socrate ha un senso solo con riguardo:
- non alle leggi "sostanziali";
- bensì esclusivamente a quelle "processuali" (anzi, neanche questo, nel suo caso, perchè esse esse furono applicate male).
Quindi, secondo Socrate, sarebbe comunque giusto subire una pena ingiusta, solo perchè i giudici si sono sbagliati, oppure erano in mala fede, nell'applicare le norme processuali, e nell'emettere la conseguente sentenza; ma questo è un discorso diverso!
Un saluto! :)
Grazie della cortese e intelligente (molto) risposta. Innanzitutto mi conforta che tu abbia compreso il senso del mio nickname: questo implica una conoscenza della lingua tedesca, che mi è molto cara. Soggiungo soltanto che, in quel nick del 2001, vi è anche un doppio senso celato: ossia il riferimento a Leibnitz, il filosofo che più amo e con il quale avverto affinità particolari.
Detto questo, ammetto di concordare in massima parte con quanto tu osservi riguardo alla dialettica Socrate-Antigone e ti confermo che, anche a mio giudizio, tale dialettica in quanto "contrapposizione" assomiglia ad una petizione di principio.
L'identità dissociata di due idealismi che, nella forma e nell'intensità coincidono, si ribatte e si proietta nel territorio finito della Legge Umana.
Tuttavia rimarco il fatto che quello di Socrate si cala nella Storia, quello di Antigone nella tragedia.
La Tragedia è prima di tutto Rappresentazione. Come tale essa ha una sorta di fissità mitica, la quale non può che riprodursi nella "ripetizione" di un uguale. Un uguale assoluto no, mai, è chiaro... Benjamin è remoto ancora.
Un "uguale" più aenlich, prossimo alla rassomiglianza che vuole però essere fedele all'originale.
Soprattutto nella forma.
La Storia nella quale viene calato Socrate, invece, è il corso di Eraclito: il divenire, quello in cui "non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua dello stesso fiume".
Io non entro ancora, penso tu l'abbia ben compreso, nel discorso dialettico, ben più concreto, relativo al rapporto tra giusnaturalismo e positivismo giuridico: mi sembra che, però, la tua osservazione rivolta al docente fosse di quelle che toccano un nervo...
Un nervo scoperto, in entrambi i sensi...!
Penso che la dialettica Rappresentazione/Fattualità storica debba essere chiarita prima di qualsiasi analisi di quella che si pone tra Socrate e Antigone.
Ciao Leibnicht.
Il riferimento a Leibnitz, che pure non mi sarebbe dovuto sfuggire, non lo avevo colto affatto; come vedi, non sono poi così "intelligente"! :(
Leibnitz non è il filosofo che amo di più, ma, sicuramente, è tra quelli che amo di più; anche considerando che, oltre ad essere un "grandissimo" filosofo, era anche "un sacco di altre cose" (matematico, storico, giurista ecc.).
Tra le sue innumerevoli intuizioni c'è anche quella dell'"anticipazione" della logica binaria con la quale funzionano gli attuali computer, per mezzo dei quali stiamo comunicando adesso, facendo a meno del postino.
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Molto pregnante trovo poi la tua descrizione della "dicotomia" tra "giusnaturalismo" e "giuspositivismo", come una sorta di "...identità dissociata di due idealismi che, nella forma e nell'intensità coincidono, e che si riflette e si proietta nel territorio finito della Legge Umana."
Fermo restando, comunque, che si tratta di due approcci giuridico-filosofici che divergono eclatantemente nella "praxis"; come il Processo di Norimberga sta a dimostrare.
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E' peraltro fuori dubbio che Socrate si cala nella "Storia", mentre Antigone nella "Tragedia".
Al riguardo, è interessante rilevare la diversa definizione di tale differenza, data da un "filosofo" e da uno "storico" (quella di un "tragediografo", al momento, non mi sovviene):
1)
Quanto al "filosofo", se non ricordo male, nella "Poetica", Aristotele prospetta una distinzione tra "vero" e "verosimile", che descrive le cose non come accadono ma come potrebbero accadere ovvero come potrebbero essere accadute, e così, in un certo senso, fonda in radice la differenza tra storia e tragedia.
2)
Quanto allo "storico", Polibio scrisse molto icasticamente: "Τό τέλος ιστορίας καί τραγωδίας ου τουτον, αλλα τουναντίον"
Cosa intendeva dire?
Voleva dire che "il fine della storia e quello della tragedia non è lo stesso, bensì è addirittuta opposto", in quanto: "...colà infatti bisogna, mediante i discorsi più persuasivi, fare impressione e secondo la circostanza presente guidare gli ascoltatori, qui invece mediante i fatti veri e i discorsi bisogna per tutto l'avvenire informare e persuadere gli studiosi, dal momento che in quelli signoreggia l'elemento persuasivo, anche se sia menzognero, per la suggestione visiva, in questi invece domina il vero in grazia all'utilità di coloro che vogliono imparare."
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Circa la tua affermazione per la quale: "La tragedia è prima di tutto <<rappresentazione>>," secondo me essa è senz'altro congrua laddove l'autore abbia voluto <<rappresentare>> fatti realmente avvenuti (o, quantomeno, che si presume che si siano effettivamente verificati) , <<interpretandoli>> secondo il suo estro poetico e drammaturgico; come nel caso, ad esempio, della tragedia del "Giulio Cesare", nella quale Shakespeare "rappresenta" un fatto storico, anche con dettagli di relativa accuratezza, ma precipuamente per esprimere la sua visione poetica della tragedia dell'ambizione personale (Cesare), e del conflitto interiore tra l'onore, il patriottismo e l'amicizia (Bruto)...tanto per non allargarci troppo nel commento.
Diversamente, nel "Prometeo in catene", Eschilo, in effetti, non <<rappresenta>> alcun fatto realmente accaduto, ma si limita semplicemente ad <<re-immaginare>> drammaticamente un mito; laddove la sua visione consiste nell'interpretare simbolicamente l'inesistente personaggio di Prometeo, come portatore di luce e di progresso, anche a costo di sfidare la volontà di Zeus.
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Però hai ragione nell'osservare che, in entrambi i casi, la tragedia ha comunque: "una sorta di fissità mitica, la quale non può che riprodursi nella "ripetizione" di un uguale."
Tuttavia occorre anche tenere conto della "esecuzione" di una determinata "tragedia", che può variare a seconda:
- dei vari registi che la mettono in scena;
- dei vari attori che interpretano i diversi personaggi.
Ad esempio, da giovane, nell'interpretare il famoso monologo dell'Amleto (che ancora rammento a memoria), io lo sviluppavo imperniandolo sulla estrazione e sul successivo "reinguainamento" di uno stiletto, seguendo, in parte, l'esempio Laurence Olivier; mentre invece ho avuto modo di assistere, da spettatore, alle interpretazioni più svariate, pur restando sempre identico e fisso il testo (che può però essere essere recitato in modo più o meno enfatico, come nel caso di Vittorio Gassman).
Per cui, almeno se ho correttamente compreso quello che intendi, direi che la tua successiva definizione di un "uguale" più "ähnlich", cioè prossimo alla rassomiglianza, che vuole però essere fedele all'originale, sia pressochè PERFETTA. ;)
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Quanto alla "storia", nella quale viene calato Socrate, invece, sono d'accordo con te nell'omologarla, almeno "fenomenologicamente" nel "corso" di Eraclito: cioè quel "divenire" in cui "non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua dello stesso fiume".
Sotto il profilo, per così dire "noumenologico", io ho però una visione molto più affine a quella di Parmenide.
Ed infatti:
- è vero che "non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua dello stesso fiume";
- ma, se si tratta della immagine cinematrografica della corrente di un fiume proiettata sul uno schermo bianco, a scorrere è solo l'immagine, ma lo schermo bianco su cui scorre, resta sempre immobile.
Ma questo è un altro discorso.
***
Lo stesso dicasi per il rapporto tra giusnaturalismo e positivismo giuridico e la dialettica Rappresentazione/Fattualità storica, che, indubbiamente, andrebbe chiarita prima di qualsiasi analisi di quella che si pone tra Socrate e Antigone.
Un saluto! :)
Trovo bellissima e tanto stimolante questa conversazione. L'aspetto noumenologico sottostante alla preferenza per Parmenide nella struttura storiografica non mi è chiaro. Cosa diresti di aprire un nuovo topic relativo a questo tema? Io penso che il "parricidio" di Parmenide immaginato da Platone, sia un tema immensamente ricco.
Non certo di temi nuovi e di impreviste possibili interpretazioni... Ma di quello scoprire, per poi scoprire, e ancora, ogni volta di più, ritrovare ciò che mille volte fu perso e ritrovato.
Alla fine, tutto è novità piena di forme e colori strani e tutto è monotonia, allo stesso modo.
Chiedo compassione per il lirismo.
Citazione di: leibnicht1 il 09 Agosto 2019, 04:04:36 AM
Trovo bellissima e tanto stimolante questa conversazione. L'aspetto noumenologico sottostante alla preferenza per Parmenide nella struttura storiografica non mi è chiaro. Cosa diresti di aprire un nuovo topic relativo a questo tema? Io penso che il "parricidio" di Parmenide immaginato da Platone, sia un tema immensamente ricco.
Non certo di temi nuovi e di impreviste possibili interpretazioni... Ma di quello scoprire, per poi scoprire, e ancora, ogni volta di più, ritrovare ciò che mille volte fu perso e ritrovato.
Alla fine, tutto è novità piena di forme e colori strani e tutto è monotonia, allo stesso modo.
Chiedo compassione per il lirismo.
Buona idea quella di di aprire un nuovo topic sul "tessuto" della realtà, per cercare di distinguerne l'"ordito" dalla "trama"...e soprattutto dal "telaio"; ma è molto impegnativo.Ci penserò! ;)
Ritorno al tema e riattizzo il fuoco. Antigone è un archetipo, direbbe Jung, a causa delle inummerevoli interpretazioni. Una é particolarmente profonda, quella di Lacan del seminario VII.
Antigone qui viene vista come desiderio eroico di morte. Opponendosi alla Legge, Antigone sfonda il limite e lo sfonda con rigore, accettando il suo destino e in questa accettazione eroica ripete il gesto del padre Edipo, che decise di "sapere" anche se ciò lo portò alla rovina. Ma il fondamento della scelta di Antigone ed Edipo alla fine é la stessa: l'affermazione della soggettività contro una potenza irresistibile e distruttiva. Edipo, padrone di sé, causa il suo male, di cui però in fondo è innocente. Il tema é la ruota del fato, dell'ananke a cui anche gli dei si devono piegare.
In Antigone il tema é la legge che ha preso il posto dell'Ananke.
In entrambi vi é il seme irrisolto dell'illuminismo come scopriranno più di duemila anni dopo, Adorno e Horckheimer.
A quel seme che è il desiderio "deciso" si contrappone il discorso post-illuministico, anticipato da Sartre e poi da Deleuze, per cui non decidiamo più il desiderio, ma il desiderio decide per noi (ricordate Nietzsche e la sua "vogliuzza al giorno" dell'uomo comune).
Il discorso di Lacan diventa ancora più interessante quando contrappone Antigone a Sade.
Entrambi sono uniti dal superamento traumatico della legge del padre. Entrambi perseguono un desiderio di trionfo della soggettività sugli "Altri/o". Antigone però lo fa nel nome di un padre tradizionale, quello dei costumi familiari, Sade nel nome del padre pre-totemico, di cui parla Freud, quello che godeva delle figlie e sottometteva i figli. In entrambi i casi e per vie diverse la Legge é sotto scacco. In un caso però (Antigone) è la particolarità ad essere sostenuta (la difesa del corpo del fratello). Nell'altro la generalità del desiderio che diventa godimento assoluto e nel cui nucleo già risiede il totalitarismo del mondo moderno.
Per vie diverse, quindi, per Lacan, Antigone e Sade, descrivono l'inscindibilita' fra desiderio, vita e morte, per dirci ancora una volta che la vita umana non può mai essere descritta attraverso una interpretazione lineare. Ogni dimensione ha il suo lato oscuro, riconnettendosi così alla psicologia di Jung (che comunque aveva il suo predecessore ideale nello stesso Freud, basti pensare al concetto di unheimlich, il perturbante).
Ciao Jacopus. :)
Ho molto apprezzato il tuo bellissimo e molto interessante intervento, che esamina la tematica in questione sotto un profilo eminentemente "psicologico".
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Non sono molto esperto in tale materia, tuttavia lo struggente rimpianto con il quale Antigone si avvia ad abbandonare "l'adorata luce del sole", mi lascia molto dubbioso sul fatto che la sua scelta di Giustizia fosse ispirata da quella che Freud chiamava "Destrudo" o "θάνατος", cioè, l'"Istinto di Morte"; pulsione, questa, che attualmente mi pare non troppo condivisa dalla maggior parte degli psicanalisti.
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Antigone, in realtà, desiderava vivere, ma si è rassegnata a morire per rispettare una legge che riteneva superiore a quella scritta della sua città; così come fu di quel soldato tedesco che si rifiutò di partecipare alla strage delle Fosse Ardeatine, e che per questo fu soppresso con un colpo alla nuca insieme alle altre vittime.
Più che l'affermazione della loro soggettività "ribelle", mi sembra che il comportamento di entrambi fosse ispirato semplicemente dall'obbedienza ad una legge non scritta, da loro ritenuta superiore a quella scritta, e per la quale valeva la pena di morire; cioè, da un contrasto normativo "coscienziale", più che meramente "psicologico".
Ovviamente, salvo a voler assimilare le due cose; il che è senz'altro lecito e possibile, sotto una prospettiva strettamente riduzionista.
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Circa il fatto, poi, che Antigone e de Sade siano uniti dal superamento traumatico della legge del padre, in quanto entrambi perseguono un desiderio di trionfo della soggettività sugli "Altri/o", solo che Antigone lo fa nel nome di un padre tradizionale, quello dei costumi familiari, mentre Sade nel nome del padre pre-totemico, di cui parla Freud, quello che godeva delle figlie e sottometteva i figli, sinceramente, mi sembra una elucubrazione molto arzigogolata e poco convincente.
Però non mi azzardo ad aggiungere molto altro sotto tale aspetto, essendo io del tutto profano in tale ambito.
Un saluto! :)