Proposizione: la probabilità che il lancio di un dado non truccato a sei facce dia come risultato "sei" è 1/6. Domanda: è corretta?
Risposta breve: sì.
Risposta ragionata: la proposizione in realtà è problematica perchè è sia "indimostrabile", "infalsificabile" e per certi versi "insensata"! Infatti è indimostrabile: per provare che davvero sia così dovremo provare un'infinità di volte il lancio del dado oppure dovremmo conoscere totalmente l'universo. Siccome ciò non è possibile allora la proposizione è indimostrabile.
Infalsificabile: se anche mi venissero 1000000000000 cinque, 10000 tre, 5 quattro, 100000000000000 due, dodici uno e mai una volta un sei in realtà non ho falsificato la proposizione. Infatti pur essendo un "caso rarissimo" se si assume che il dado sia truccato in realtà non ho falsificato un bel niente.
Insensata: la probabilità è un concetto matematico e forse lo è anche il dado (figuriamoci il "dado non truccato"). Per cui se la proposizione ritiene parla di qualcosa di reale allora non è né vera e nemmeno falsa ma insensata perchè appunto vuole dare alla realtà proprietà che esistono solo nella nostra testa.
Qui dunque si vede come lo spirito distruttivo della critica - se si agisce con la coerenza assoluta del filosofo - ci mostra che anche una proposizione così innocente e così "plausibile" in realtà è problematica. Motivo? Il motivo è che parla di una regolarità intrinseca dei fenomeni. Tale regolarità però non la si può ricavare dall'esperienza ("Hume") e nemmeno da un ragionamento aprioristico ("Wittgenstein"). In realtà la proposizione "ci sono regolarità" non è né scientifica e nemmeno razionale ma è una sorta di "misticismo", un'intuizione che logicamente non potremo avere dalla nostra esperienza e dal nostro razionicinio.
Quindi lo scopo del thread è un'opinione su queste domande
1)secondo voi la domanda iniziale è problematica e perché?
2)qual è la ragione per cui diciamo che la "realtà è regolare"? Come è possibile che noi abbiamo un tale concetto se non possiamo derivarlo da nulla?
1) E' errato il punto di partenza: quella che tu fai non è una proposizione, ma il risultato di un calcolo probabilistico. Semmai chiediti se è problematico il sistema formale nel quale tu formuli il problema e se sono specificate le condizioni al contorno (ad esempio il fatto che ogni faccia del dado è equiprobabile è assunto vero, ma nel caso reale, fisico, non è detto che sia così).
2) Nessun misticismo nel ritenere che il mondo che ci circonda è "regolare" e che si comporti "razionalmente", è la nostra rappresentazione interna della realtà esterna: il mondo ci appare in questo modo, composto da enti reali separati nello spazio e nel tempo, che possono interagire tra loro solo quando sono sufficientemente vicini. E questo non ci deriva né dal semplice empirismo, né da una deduzione logica (forse un'intuizione apriori?). Ma se non fosse così sarebbe impossibile indagare la natura.
In un altro post tu dici che la scienza non scopre leggi di natura, ma elabora "modelli predittivi": e cosa è un modello predittivo se non una legge?
Anzitutto grazie della rapida risposta ;)
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 16:43:57 PM1) E' errato il punto di partenza: quella che tu fai non è una proposizione, ma il risultato di un calcolo probabilistico. Semmai chiediti se è problematico il sistema formale nel quale tu formuli il problema e se sono specificate le condizioni al contorno (ad esempio il fatto che ogni faccia del dado è equiprobabile è assunto vero, ma nel caso reale, fisico, non è detto che sia così). 2) Nessun misticismo nel ritenere che il mondo che ci circonda è "regolare" e che si comporti "razionalmente", è la nostra rappresentazione interna della realtà esterna: il mondo ci appare in questo modo, composto da enti reali separati nello spazio e nel tempo, che possono interagire tra loro solo quando sono sufficientemente vicini. E questo non ci deriva né dal semplice empirismo, né da una deduzione logica (forse un'intuizione apriori?). Ma se non fosse così sarebbe impossibile indagare la natura. In un altro post tu dici che la scienza non scopre leggi di natura, ma elabora "modelli predittivi": e cosa è un modello predittivo se non una legge?
1) è vero il punto di partenza ha un assunzione molto forte, ossia quella dell'equiprobabilità. Tuttavia per quanto scriverò nel punto "2" è diretta conseguenza del fatto che
per analizzare i dati dobbiamo prima fare delle assunzioni, ossia dobbiamo assumere che ci sia una regolarità. Assunto questo facciamo una predizione. Il fare una predizione è del tutto indipendente dal fatto che la natura sia effettivamente regolare. Potrebbe essere "un caso" che ad esempio il mio modello predittivo sia efficace oppure potrebbe proprio essere che la natura sia intrinsecamente fatta così. Tu dici che la realtà è regolare perchè è la tua rappresentazione.
2) Ma tu
assumi che la rappresentazione sia regolare. Non hai modo di provarlo da "principi primi". L'ho definito "misticismo" proprio perchè in fondo è un'assunzione che non deriva da niente, ma piuttosto ci viene come "di istinto"
assumere che sia così.Un modello predittivo è un sistema formale che mi serve per
tentare di fare una predizione. Una regolarità dei fenomeni è una regolarità "intrinseca" ad essi, un modello predittivo è una legge che "impongo" io. Se anche fosse confermato per tutta la storia dell'umanità non saprei comunque distinguere se "è una regolarità dai fenomeni" o se è una mera generalizzazione accidentale.
Riformulando la 2) Le leggi della fisica quindi sono generalizzazioni accidentali?
L'assunzione per cui la natura sia regolare è indipendente dalla mia possibilità di fare modelli che tentano di prevedere i fenomeni.
P.S. Per fare un esempio un modello predittivo potrebbe essere: "dato che c'è vento da ovest allora domani arriverà una perturbazione atlantica". Posso fare questa predizione anche se in realtà non c'è nessuna regolarità naturale.
1) No, la risposta non è corretta se si accetta, come faccio, l'impostazione soggettivistica della probabilità. La probabilità dipende dal grado di fiducia e dallo stato dell'informazione individuale.
2) la regolarità è presente nella realtà: da un lancio del dado ottieni comunque un dado, indipendentemente dalla faccia del dado, non una sedia o altro. Quando otterrò altro rivedrò i miei postulati sulla realtà.
Credo che la domanda stessa vada disambiguata: se lancio sempre lo stesso dado con la stessa forza, la stessa traiettoria, sullo stesso piano d'atterraggio, etc. il risultato sarà sempre lo stesso. Pensiamo sia "casuale" (modo in cui l'ignoranza delle cause ci fa leggere la parola "causale"), e quindi tiriamo in gioco la probabilità, solo perché non riusciamo a calcolare tutte le varianti coinvolte nel lancio e, anche se fosse, non riusciremmo facilmente a ripeterle per confermarne l'esito (è un "dado eracliteo", non si fa due volte lo stesso lancio ;D , anche se i risultati possibili sono, inevitabilmente, solo sei).
Non sono affatto esperto di calcolo delle probabilità, ma ad occhio, per parlare di probabilità, tale lancio andrebbe contestualizzato: è il primo lancio di una serie? Se è così l'incidenza statistica dei lanci precedenti credo sia un fattore da considerare... quale numero è uscito al lancio precedente? Anche questo credo possa orientare le probabilità dell'esito successivo... etc.
Sul rapporto fra le "leggi" e la regolarità o ricorrenza di risultati prevedibili, sarei piuttosto pragmatico: la legge di gravità ci dice che sulla terra i corpi cadono in un certo modo (se escludiamo ambienti con gravità artificiale), direi che la casistica attuale è piuttosto unanime nel darle ragione... e molte altre leggi scientifiche o matematiche (per quanto siano sempre formalizzazioni basate su un linguaggio convenzionale) sembrano essere state, per ora, al riparo da falsificazioni e forniscono una prevedibilità decisamente affidabile (i calcoli per far galleggiare una nave o far volare un aereo, etc.).
L'induzione, per quanto biasimata, non è dunque misticismo, proprio perché il misticismo manda in vacanza la ragione (quindi anche la probabilità, la dimostrabilità, la falsificabilità, etc.), mentre l'induzione, se non radicalizzata fideisticamente, fornisce dei parametri indicativi, la cui "tolleranza" di errore è inversamente proporzionale all'esattezza dei dati che si possiedono (sempre lasciando fuori concetti metafisici come "eternità", "assolutezza", "verità assoluta", etc. in favore di una contestualizzazione concreta, seppur limitata). Proposizioni come "tutti i corvi sono neri" (suonerà familiare a qualcuno ;) ) sono verificabili se si parla del contesto attuale (avendo modo per monitorare tutti i corvi del mondo adesso); la proposizione "tutti i corvi sono stati e saranno sempre neri" è infalsificabile (poiché non possiamo verificare facilmente il passato, e di sicuro non possiamo predire il futuro con il 100% di esattezza), quindi apre le porte al suddetto misticismo...
Sintetizzando:
1) Si, è problematica, ma perché è troppo povera di informazioni sul contesto...
2) la realtà è regolare se presenta una ricorrenza verificata, ma tale verifica non deve illudersi di poter coprire la totalità dei casi possibili, ma solo gran parte di quelli osservabili (magari da domani la forza di gravità non funzionerà più, ma il fatto che abbia funzionato per secoli, rende probabile, o meglio, "regolare" che funzioni anche domani...).
Citazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 17:22:35 PM
Un modello predittivo è un sistema formale che mi serve per tentare di fare una predizione. Una regolarità dei fenomeni è una regolarità "intrinseca" ad essi, un modello predittivo è una legge che "impongo" io. Se anche fosse confermato per tutta la storia dell'umanità non saprei comunque distinguere se "è una regolarità dai fenomeni" o se è una mera generalizzazione accidentale.
Riformulando la 2) Le leggi della fisica quindi sono generalizzazioni accidentali?
L'assunzione per cui la natura sia regolare è indipendente dalla mia possibilità di fare modelli che tentano di prevedere i fenomeni.
P.S. Per fare un esempio un modello predittivo potrebbe essere: "dato che c'è vento da ovest allora domani arriverà una perturbazione atlantica". Posso fare questa predizione anche se in realtà non c'è nessuna regolarità naturale.
Il modello predittivo NON TENTA di fare predizioni, FA predizioni: è una bella differenza (anche quando fa predizioni probabilistiche). Se l'astrofisico ti dice che il giorno X al tempo T tu osserverai la luna nel punto P della volta celeste (al netto da errori di approssimazione nel calcolo) tu puoi star certo al 100% che sarà così, mentre non potrai avere questa certezza se l'astrologo ti predice che tra un mese tu vincerai il primo premio al superenalotto.
Se la natura non fosse regolare non si potrebbero fare predizioni (forse nemmeno probabilistiche), non si potrebbe fare scienza, comprese le previsioni meteorologiche.
Sarebbe strano che una legge che "impongo" io coincide poi con l'evoluzione (misurabile sperimentalmente) di un sistema fisico, non credi?
il punto fondamentale della questione mi pare sia quello di mantenere una coerenza tra un certo modello metodologico di ricerca nello svolgere le previsioni e la pretesa di scientificità (o razionalità) dei risultati a cui si ritiene di pervenire. L'induzione non solo, sulla base della celebre argomentazione del tacchino, è secondo me impossibilitata a fondare verità apodittiche, ma neanche probabilistiche. Per parlare di probabilità è necessario raffrontare una misura di casi in cui la probabilità si verifica e una "totalità", una serie FINITA di casi che effettivamente sono realizzabili nel contesto della previsione. Se ho di fronte un sacchetto con 100 cioccolatini di cui 90 alla nocciola, ha senso dire che razionalmente ho il 90% di possibilità che scegliendo a caso dal sacchetto di prendere un cioccolatino alla nocciola. Posso farlo perché la totalità dei casi possibili ha un limite ben definito, i 100 cioccolatini totali del sacchetto. Non è il caso del lancio dei dadi, nel quale l'induzione presume di ricavare previsioni, ma in modo del tutto irrazionale, perché nel caso del lancio dei dadi non esiste una totalità conclusa, ma per compiere previsioni è necessario ripetere in continuazione all'infinito l'esperienza del lancio dei dadi. L'esperienza non è un sistema chiuso ma infinitamente aperto, e non si arriverà mai a concepire una serie chiusa, un 100% da cui ricavare una percentuale vicina o lontana. Sono dunque d'accordo con il primo post di Apeiron. La vera razionalità non può che essere deduttiva, perché se razionale un discorso lo è in quanto giustificato da argomenti che hanno in loro stessi la loro validità fondativa epistemica, allora solo la razionalità che parte da un'evidenza stabile, un punto fermo di cui si è riconosciuta l'indubitabilità (come nel dubbio metodico cartesiano o nella riduzione fenomenologica) può fondare la pretesa di verità dei discorsi, non l'ingenua osservazione induttiva dei casi particolari dell'esperienza, metodo adeguato e vincolato alla contingenza dei contesti empirici verso cui si rivolge, e tale contingenza si rispecchia inevitabilmente nei risultati. Senza l'apodissi si perde anche la probabilità, dato che questa è solo un'approssimazione verso la certezza indubitabile, tolta questa cade anche l'altra. Non è certo un caso che nella modernità razionalismo ed empirismo erano visti, mi sembra, come fra loro contrapposti
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2017, 18:39:18 PM... l'incidenza statistica dei lanci precedenti credo sia un fattore da considerare... quale numero è uscito al lancio precedente? Anche questo credo possa orientare le probabilità dell'esito successivo...
No, i lanci precendenti non hanno alcuna rilevanza. Su questo malinteso si basano le previsioni dei numeri del lotto, che richiamano l'attenzione sul fatto che un certo numero non esce da mesi o da anni e quindi sarebbe probabilissmo che esca nell'immediato futuro. Questo è falso. Una volta che i numeri vengono sempre rimescolati, in modo da ricreare una situazione probabilistica di partenza sempre identica, non c'è alcuna ragione per cui un numero che non esce da lungo tempo debba avere maggiori probabilità di spuntare fuori.
Citazione
Secondo me ci si deve intendere sui termini del discorso (il significato delle parole).
E' un affermazione che è vera alla condizione indimostrabile (Hume!) che il divenire naturale sia ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti; perché in questo caso se il dado non è truccato (ovvero le facce sono perfettamente regolari, il materiale di cui è fatto perfettamente omogeneo, ecc.) e se i lanci sono fatti "a caso" (in un' "infinità" di maniere simili e non calcolate in determinati modi) in un numero sufficientemente elevato di lanci i fattori causali tendenti a farlo cadere su ciascuna faccia si equilibrano.
Tuttavia è un' affermazione alquanto imprecisa, in particolare per quanto riguarda i numerosi concetti che ho evidenziato in grassetto, i quali sono decisamente vaghi e non realistici (in realtà non esiste la perfezione!).
Cosicché (in linea teorica, di principio) in un numero "ulteriormente sufficientemente elevato di lanci" ci si dovrebbe aspettare qualche pur minima differenza della distribuzione statistica dei risultati di ciascun dado concreto (costante per ciascun dato in un numero sufficientemente elevato di lanci, ma diversa fra i diversi dadi, nessuno dei quali, per quanto non deliberatamente "truccato", può essere perfetto).
Ma a parte questo mi sembra che Apeiron intenda suggerire un problema più di fondo nel concetto di probabilità, che io stesso credo di aver colto per conto mio in precedenti riflessioni.
Un divenire (della realtà fisica materiale) ordinato secondo leggi universali e costanti di tipo "deterministico - meccanicistico" mi sembra un concetto del tutto sensato, privo di contraddizioni: ogni singolo evento è determinato da "ciò che lo precede e circonda" e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile).
Invece un divenire probabilistico - statistico (non ogni singolo evento è universalmente e costantemente e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile, ma sono invece universali e costanti e dunque in lenea di principio prevedibili, calcolabili, i rapporti fra -le frequenze di- diversi eventi che possono accadere ed accadono alternativamente gli uni agli altri a seconda dei singoli casi dipendentemente da "ciò che li precede e circonda" purché si consideri un numero sufficientemente grande di osservazioni) mi sembra problematico, mi sembra implicare inevitabili paradossi insolubili, che hanno a che fare con la questione infinito potenziale/infinito attuale.
Innanzitutto: quando è che un numero di casi può essere considerato "sufficientemente grande"? Quale significato potrebbe mai avere tutto l' assunto sulla distribuzione dei casi reciprocamente alternativi in proporzioni universali e costanti nel caso di serie "sufficientemente numerose" di essi? Quanto numerose? E' possibile stabilirlo in una qualche maniera? Può darsi un qualche senso a questo concetto di "sufficientemente numerose"?
Inoltre -sia pure- all' infinito (nel tempo e/o nello spazio) anche le cose più improbabili possono accadere (e tendono ad accadere; e forse accadono): per esempio anche in un numero "grande" (?) di casi (grande quanto si vuole?) le proporzioni delle osservazioni (dei casi) reciprocamente alternativi possibili possono talvolta, prima o poi (per quanto "rarissimamente" -?-), discostarsi da quelle previste dalla rispettiva legge probabilistica (nella fattispecie 1/6 per ciascun numero da 1 a 6).
Fra un "numero sufficientemente grande" di casi -per quanto elevato esso sia- ed "infiniti" (un "numero infinito" di) casi c' è sempre inevitabilmente un abisso incolmabile (o solo potenzialmente, concettualmente e mai attualmente, effettivamente colmabile), il quale inficia (destituisce di significato) il concetto di "numero (sufficientemente) grande (di casi, osservazioni, rilievi)": qualsiasi numero, per quanto grande (o piccolo) sia, è (sempre insuperabilmente) infinitamente piccolo (o infinitamente grande) relativamente all' infinito (in confronto al numero "infinitamente grande" o "infinitamente piccolo").
Nel caso di frequenze probabilistiche-statistiche del divenire, al tendere all' infinito dei casi (osservati) le proporzioni delle alternative possibili tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori (per esempio a 1/6 la frequenza di ciascun esito possibile nel nostro caso del lancio di un dado non truccato); ma anche serie sempre più improbabili tendono sempre più ad accadere (per esempio serie ininterrotte sempre più numerose di "6" consecutivi: queste ultime al crescere dei casi osservati tendono sia ad essere sempre più numerose e lunghe in assoluto, sia a essere sempre più rare relativamente alle altre serie più probabili.
Dal momento che il concetto (umano, di fatto considerabile) di "(numero) infinito" comporta necessariamente una infinità inesauribile di (numeri) infiniti "di ordini successivi" come sue "parti", nella "infinità inesauribile dell' infinito" numero di casi, anche infinite sequenze di casi "anomali" (improbabili: contraddicenti la probabilità considerata), ognuna delle quali di lunghezza infinita (sic!), possono (e anzi tendono ad) accadere, per quanto le proporzioni complessive fra la totalità degli infiniti casi che accadono siano comunque quelle determinate proporzioni probabilistiche (1/6 per ciascun numero da 1 a 6): non è questo contraddittorio?
E' questa un' aporia del concetto di "infinito", ovvero che "tendendo (le osservazioni de-) i casi all' infinito, le loro proporzioni tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori probabili (1/6 nella fattispecie), per quanto inevitabilmente tendano anche sempre più ad accadere casi di discostamenti sempre più grandi da tali valori.
L' infinito in quanto concetto (umano: in quanto oggetto di considerazione teorica, eventualmente di predicazione, eventualmente di conoscenza umana) non può mai essere attuale (potrebbe esserlo solo nella mente di Dio, se esistesse), bensì è sempre, inevitabilmente potenziale dal momento che qualsiasi considerazione teorica è finita (non continua all' infinito ma prima o poi si arresta). Laddove l' infinto in quanto reale (in quanto caratteristica della realtà) può benissimo essere in atto.
MI sento in dovere di aggiungere il mio accordo con quanto acutamente ha scritto Davintro (soprattutto che il dubbio -humeiano- insuperabile circa l' induzione non lo é nemmeno attraverso il concetto di "probabilità", che può oggettivamente significare unicamente "frequenza statistica" la quale, per quante volte sia stata confermata, é sempre altrettanto e anzi più degna di dubbio della costanza "univoca" dell' induzione "deterministica - meccanicistica".
Citazione di: davintro il 20 Febbraio 2017, 20:25:11 PMPer parlare di probabilità è necessario raffrontare una misura di casi in cui la probabilità si verifica e una "totalità", una serie FINITA di casi che effettivamente sono realizzabili nel contesto della previsione. Se ho di fronte un sacchetto con 100 cioccolatini di cui 90 alla nocciola, ha senso dire che razionalmente ho il 90% di possibilità che scegliendo a caso dal sacchetto di prendere un cioccolatino alla nocciola. Posso farlo perché la totalità dei casi possibili ha un limite ben definito, i 100 cioccolatini totali del sacchetto. Non è il caso del lancio dei dadi, nel quale l'induzione presume di ricavare previsioni, ma in modo del tutto irrazionale, perché nel caso del lancio dei dadi non esiste una totalità conclusa, ma per compiere previsioni è necessario ripetere in continuazione all'infinito l'esperienza del lancio dei dadi.
Non vedo differenza tra situazione dei dadi e situazione dei cioccolatini: anche nei dadi c'è una serie finita, costituita dal numero di facce del dado: 6. Anche nei cioccolatini hai una possibilità di infinito, perché ogni volta puoi rimettere il cioccolatino nel sacchetto, rimescolare il tutto e ripetere la pesca.
Nei due esempi, quindi, il numero di cioccolatini corrisponde al numero delle facce del dado. Gettare il dado sul tavolo equivale a rimettere il cioccolatino nel sacchetto e ripescare. Così come puoi gettare il dado sul tavolo infinite volte, allo stesso modo puoi infinite volte riporre il cioccolatino nel sacchetto e ripescare.
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Febbraio 2017, 21:15:07 PMCitazione di: davintro il 20 Febbraio 2017, 20:25:11 PMPer parlare di probabilità è necessario raffrontare una misura di casi in cui la probabilità si verifica e una "totalità", una serie FINITA di casi che effettivamente sono realizzabili nel contesto della previsione. Se ho di fronte un sacchetto con 100 cioccolatini di cui 90 alla nocciola, ha senso dire che razionalmente ho il 90% di possibilità che scegliendo a caso dal sacchetto di prendere un cioccolatino alla nocciola. Posso farlo perché la totalità dei casi possibili ha un limite ben definito, i 100 cioccolatini totali del sacchetto. Non è il caso del lancio dei dadi, nel quale l'induzione presume di ricavare previsioni, ma in modo del tutto irrazionale, perché nel caso del lancio dei dadi non esiste una totalità conclusa, ma per compiere previsioni è necessario ripetere in continuazione all'infinito l'esperienza del lancio dei dadi.
Non vedo differenza tra situazione dei dadi e situazione dei cioccolatini: anche nei dadi c'è una serie finita, costituita dal numero di facce del dado: 6. Anche nei cioccolatini hai una possibilità di infinito, perché ogni volta puoi rimettere il cioccolatino nel sacchetto, rimescolare il tutto e ripetere la pesca. Nei due esempi, quindi, il numero di cioccolatini corrisponde al numero delle facce del dado. Gettare il dado sul tavolo equivale a rimettere il cioccolatino nel sacchetto e ripescare. Così come puoi gettare il dado sul tavolo infinite volte, allo stesso modo puoi infinite volte riporre il cioccolatino nel sacchetto e ripescare.
sì, me ne ero già accorto. Mi ero più concentrato sul rapporto fra induzione e giudizio probabilistico, che comunque nel corso della discussione era anch'esso emerso come problema. Chiedo venia! Comunque almeno per ora confermo le mie idee sulla parte epistemologica dell'induzione...
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Febbraio 2017, 21:07:36 PM
No, i lanci precendenti non hanno alcuna rilevanza. Su questo malinteso si basano le previsioni dei numeri del lotto, che richiamano l'attenzione sul fatto che un certo numero non esce da mesi o da anni e quindi sarebbe probabilissmo che esca nell'immediato futuro. Questo è falso. Una volta che i numeri vengono sempre rimescolati, in modo da ricreare una situazione probabilistica di partenza sempre identica, non c'è alcuna ragione per cui un numero che non esce da lungo tempo debba avere maggiori probabilità di spuntare fuori.
Avevo detto che non sono pratico di calcolo delle probabilità... e non mi sono smentito ;D
Grazie della correzione!
Citazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 15:45:35 PMRisposta ragionata: la proposizione in realtà è problematica perchè è sia "indimostrabile", "infalsificabile"
Mi sembra che la proposizione ti risulti problematica perché la tratti come proposizione di scienza empirica, piuttosto che come affermazione puramente matematica.
Le leggi di probabilità non consentono dimostrazioni empiriche perché esse sono matematica pura, così come è matematica pura il concetto di numero immaginario. Matematica pura significa che fa parte delle regole del gioco stabilite da noi e non richiede riscontri nell'esperienza.
Ora, le leggi matematiche di probabilità non richiedono alcun riscontro sperimentale per essere valide. Infatti, il fatto che ci sia 1 probabilità su 6 che uscirà un certo numero del dado non condiziona minimamente ciò che c'è da aspettarsi nella sperimentazione. Sappiamo benissimo infatti che un certo numero del dado potrebbe anche non uscire mai, proprio mai, e ciò non inficerebbe in alcun modo la validità della legge di probabilità che abbiamo stabilito.
Ciò significa che le leggi di probabilità non contengono nessuna informazione riguardo alla realtà.
A questo punto nasce la domanda: come mai allora tali leggi spesso si realizzano?
Qui azzardo la mia seguente risposta, che sarebbe tutta da verificare.
Infatti non è vero che all'atto pratico si realizzano. Non è vero che, se davvero getteremo un dado un milione di volte, ciascun numero sarà uscito un numero di volte in proporzione di 1 a 6 rispetto agli altri. In teoria dovrebbe essere così, ma nella pratica ciò non succede.
Da quanto ho appena detto consegue qualcosa che potrà sembrare strano, ma forse non lo è: possiamo benissimo stabilire che, al lancio di un dado a 6 facce, il numero 1 ha 1 possibilità su 2 di uscire. Questa regola può essere stabilita senza alcun problema, poiché, sia che diciamo 1 su 2, sia che diciamo 1 su 6, si tratta comunque di un'affermazione che non richiede e non può avere alcuna conferma sperimentale.
Forse mi sono espresso male col termine "misticismo". Questo termine non lo intendo come denigratorio, bensì in un certo senso ritengo che esso sia la chiave per una conoscenza di cose che né empiricamente né aprioristicamente possiamo conoscere. Questo "misticismo" lo collegherei all'"intuizione". Noi intuiamo che ci sono regolarità nella natura ma non possiamo veramente dimostrarlo né induttivamente né deduttivamente. Anzi: visto che spesso i nostri concetti sono nostre "imposizioni" sulla realtà si finisce per avere l'illusione di capire cosa sono queste regolarità. Ora rispondo.
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 18:57:07 PMIl modello predittivo NON TENTA di fare predizioni, FA predizioni: è una bella differenza (anche quando fa predizioni probabilistiche). Se l'astrofisico ti dice che il giorno X al tempo T tu osserverai la luna nel punto P della volta celeste (al netto da errori di approssimazione nel calcolo) tu puoi star certo al 100% che sarà così, mentre non potrai avere questa certezza se l'astrologo ti predice che tra un mese tu vincerai il primo premio al superenalotto. Se la natura non fosse regolare non si potrebbero fare predizioni (forse nemmeno probabilistiche), non si potrebbe fare scienza, comprese le previsioni meteorologiche. Sarebbe strano che una legge che "impongo" io coincide poi con l'evoluzione (misurabile sperimentalmente) di un sistema fisico, non credi?
Appunto è strano. D'altronde: "l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità" (Einstein). Il punto è che non c'è nessuna ragione (che posso ricavare tramite l'esperienza o tramite un ragionamento aprioristico) per cui anche la previsione dell'astrofisico vale. Tu stai assumendo che la regolarità dei fenomeni non sia dovuta a mera accidentalità. Ma non hai davvero un modo per dimostrarlo. All'atto pratico concordo con te che un astrofisico ci azzecca sempre (d'altronde se non la pensassi così avrei sprecato una parte rilevante della mia esistenza ;D ).
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2017, 18:39:18 PMCredo che la domanda stessa vada disambiguata: se lancio sempre lo stesso dado con la stessa forza, la stessa traiettoria, sullo stesso piano d'atterraggio, etc. il risultato sarà sempre lo stesso. Pensiamo sia "casuale" (modo in cui l'ignoranza delle cause ci fa leggere la parola "causale"), e quindi tiriamo in gioco la probabilità, solo perché non riusciamo a calcolare tutte le varianti coinvolte nel lancio e, anche se fosse, non riusciremmo facilmente a ripeterle per confermarne l'esito (è un "dado eracliteo", non si fa due volte lo stesso lancio ;D , anche se i risultati possibili sono, inevitabilmente, solo sei). Non sono affatto esperto di calcolo delle probabilità, ma ad occhio, per parlare di probabilità, tale lancio andrebbe contestualizzato: è il primo lancio di una serie? Se è così l'incidenza statistica dei lanci precedenti credo sia un fattore da considerare... quale numero è uscito al lancio precedente? Anche questo credo possa orientare le probabilità dell'esito successivo... etc. Sul rapporto fra le "leggi" e la regolarità o ricorrenza di risultati prevedibili, sarei piuttosto pragmatico: la legge di gravità ci dice che sulla terra i corpi cadono in un certo modo (se escludiamo ambienti con gravità artificiale), direi che la casistica attuale è piuttosto unanime nel darle ragione... e molte altre leggi scientifiche o matematiche (per quanto siano sempre formalizzazioni basate su un linguaggio convenzionale) sembrano essere state, per ora, al riparo da falsificazioni e forniscono una prevedibilità decisamente affidabile (i calcoli per far galleggiare una nave o far volare un aereo, etc.). L'induzione, per quanto biasimata, non è dunque misticismo, proprio perché il misticismo manda in vacanza la ragione (quindi anche la probabilità, la dimostrabilità, la falsificabilità, etc.), mentre l'induzione, se non radicalizzata fideisticamente, fornisce dei parametri indicativi, la cui "tolleranza" di errore è inversamente proporzionale all'esattezza dei dati che si possiedono (sempre lasciando fuori concetti metafisici come "eternità", "assolutezza", "verità assoluta", etc. in favore di una contestualizzazione concreta, seppur limitata). Proposizioni come "tutti i corvi sono neri" (suonerà familiare a qualcuno ;) ) sono verificabili se si parla del contesto attuale (avendo modo per monitorare tutti i corvi del mondo adesso); la proposizione "tutti i corvi sono stati e saranno sempre neri" è infalsificabile (poiché non possiamo verificare facilmente il passato, e di sicuro non possiamo predire il futuro con il 100% di esattezza), quindi apre le porte al suddetto misticismo... Sintetizzando: 1) Si, è problematica, ma perché è troppo povera di informazioni sul contesto... 2) la realtà è regolare se presenta una ricorrenza verificata, ma tale verifica non deve illudersi di poter coprire la totalità dei casi possibili, ma solo gran parte di quelli osservabili (magari da domani la forza di gravità non funzionerà più, ma il fatto che abbia funzionato per secoli, rende probabile, o meglio, "regolare" che funzioni anche domani...).
Questo è più o meno il mio pensiero "pratico". Ma in una discussione
filosofica si deve cercare di porre in dubbio le certezze (con ciò concordo anche se non proprio totalmente con Angelo Cannata ). Motivo per cui in questa discussione devi partire dall'idea che non sai assolutamente niente del fenomeno in questione. Per il "misticismo" come ho già detto non intenderlo come l'assoluto rifiuto di ragionare. Tuttavia è semplicemente la realizzazione che le certezze che abbiamo non hanno un completo fondamento.
Citazione di: davintro il 20 Febbraio 2017, 20:25:11 PMil punto fondamentale della questione mi pare sia quello di mantenere una coerenza tra un certo modello metodologico di ricerca nello svolgere le previsioni e la pretesa di scientificità (o razionalità) dei risultati a cui si ritiene di pervenire. L'induzione non solo, sulla base della celebre argomentazione del tacchino, è secondo me impossibilitata a fondare verità apodittiche, ma neanche probabilistiche. Per parlare di probabilità è necessario raffrontare una misura di casi in cui la probabilità si verifica e una "totalità", una serie FINITA di casi che effettivamente sono realizzabili nel contesto della previsione. Se ho di fronte un sacchetto con 100 cioccolatini di cui 90 alla nocciola, ha senso dire che razionalmente ho il 90% di possibilità che scegliendo a caso dal sacchetto di prendere un cioccolatino alla nocciola. Posso farlo perché la totalità dei casi possibili ha un limite ben definito, i 100 cioccolatini totali del sacchetto. Non è il caso del lancio dei dadi, nel quale l'induzione presume di ricavare previsioni, ma in modo del tutto irrazionale, perché nel caso del lancio dei dadi non esiste una totalità conclusa, ma per compiere previsioni è necessario ripetere in continuazione all'infinito l'esperienza del lancio dei dadi. L'esperienza non è un sistema chiuso ma infinitamente aperto, e non si arriverà mai a concepire una serie chiusa, un 100% da cui ricavare una percentuale vicina o lontana. Sono dunque d'accordo con il primo post di Apeiron. La vera razionalità non può che essere deduttiva, perché se razionale un discorso lo è in quanto giustificato da argomenti che hanno in loro stessi la loro validità fondativa epistemica, allora solo la razionalità che parte da un'evidenza stabile, un punto fermo di cui si è riconosciuta l'indubitabilità (come nel dubbio metodico cartesiano o nella riduzione fenomenologica) può fondare la pretesa di verità dei discorsi, non l'ingenua osservazione induttiva dei casi particolari dell'esperienza, metodo adeguato e vincolato alla contingenza dei contesti empirici verso cui si rivolge, e tale contingenza si rispecchia inevitabilmente nei risultati. Senza l'apodissi si perde anche la probabilità, dato che questa è solo un'approssimazione verso la certezza indubitabile, tolta questa cade anche l'altra. Non è certo un caso che nella modernità razionalismo ed empirismo erano visti, mi sembra, come fra loro contrapposti
Su questo sono d'accordo. Razionalismo ed empirismo erano opposti, oggi si tende a dire che il razionalismo è l'empirismo ma io usavo i termini nel senso seicentesco. Il problema è che entrambe le posizioni in realtà sono fallimentari in quello che si ripromettono ossia quello di giustificare la scienza.
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Febbraio 2017, 22:04:26 PMCitazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 15:45:35 PMRisposta ragionata: la proposizione in realtà è problematica perchè è sia "indimostrabile", "infalsificabile"
Mi sembra che la proposizione ti risulti problematica perché la tratti come proposizione di scienza empirica, piuttosto che come affermazione puramente matematica. Le leggi di probabilità non consentono dimostrazioni empiriche perché esse sono matematica pura, così come è matematica pura il concetto di numero immaginario. Matematica pura significa che fa parte delle regole del gioco stabilite da noi e non richiede riscontri nell'esperienza. Ora, le leggi matematiche di probabilità non richiedono alcun riscontro sperimentale per essere valide. Infatti, il fatto che ci sia 1 probabilità su 6 che uscirà un certo numero del dado non condiziona minimamente ciò che c'è da aspettarsi nella sperimentazione. Sappiamo benissimo infatti che un certo numero del dado potrebbe anche non uscire mai, proprio mai, e ciò non inficerebbe in alcun modo la validità della legge di probabilità che abbiamo stabilito. Ciò significa che le leggi di probabilità non contengono nessuna informazione riguardo alla realtà. A questo punto nasce la domanda: come mai allora tali leggi spesso si realizzano? Qui azzardo la mia seguente risposta, che sarebbe tutta da verificare. Infatti non è vero che all'atto pratico si realizzano. Non è vero che, se davvero getteremo un dado un milione di volte, ciascun numero sarà uscito un numero di volte in proporzione di 1 a 6 rispetto agli altri. In teoria dovrebbe essere così, ma nella pratica ciò non succede.
Risposta interessante. In fin dei conti il problema che ho alzato in realtà è doppio: non solo non abbiamo
certezza fondata che la regolarità che vediamo non sia accidentale ma anche se tale regolarità è essenziale i nostri concetti che usiamo sono
fallibili ossia non possono descrivere perfettamente tale regolarità.
Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 21:12:04 PMCitazioneSecondo me ci si deve intendere sui termini del discorso (il significato delle parole). E' un affermazione che è vera alla condizione indimostrabile (Hume!) che il divenire naturale sia ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti; perché in questo caso se il dado non è truccato (ovvero le facce sono perfettamente regolari, il materiale di cui è fatto perfettamente omogeneo, ecc.) e se i lanci sono fatti "a caso" (in un' "infinità" di maniere simili e non calcolate in determinati modi) in un numero sufficientemente elevato di lanci i fattori causali tendenti a farlo cadere su ciascuna faccia si equilibrano. Tuttavia è un' affermazione alquanto imprecisa, in particolare per quanto riguarda i numerosi concetti che ho evidenziato in grassetto, i quali sono decisamente vaghi e non realistici (in realtà non esiste la perfezione!). Cosicché (in linea teorica, di principio) in un numero "ulteriormente sufficientemente elevato di lanci" ci si dovrebbe aspettare qualche pur minima differenza della distribuzione statistica dei risultati di ciascun dado concreto (costante per ciascun dato in un numero sufficientemente elevato di lanci, ma diversa fra i diversi dadi, nessuno dei quali, per quanto non deliberatamente "truccato", può essere perfetto). Ma a parte questo mi sembra che Apeiron intenda suggerire un problema più di fondo nel concetto di probabilità, che io stesso credo di aver colto per conto mio in precedenti riflessioni. Un divenire (della realtà fisica materiale) ordinato secondo leggi universali e costanti di tipo "deterministico - meccanicistico" mi sembra un concetto del tutto sensato, privo di contraddizioni: ogni singolo evento è determinato da "ciò che lo precede e circonda" e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile). Invece un divenire probabilistico - statistico (non ogni singolo evento è universalmente e costantemente e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile, ma sono invece universali e costanti e dunque in lenea di principio prevedibili, calcolabili, i rapporti fra -le frequenze di- diversi eventi che possono accadere ed accadono alternativamente gli uni agli altri a seconda dei singoli casi dipendentemente da "ciò che li precede e circonda" purché si consideri un numero sufficientemente grande di osservazioni) mi sembra problematico, mi sembra implicare inevitabili paradossi insolubili, che hanno a che fare con la questione infinito potenziale/infinito attuale. Innanzitutto: quando è che un numero di casi può essere considerato "sufficientemente grande"? Quale significato potrebbe mai avere tutto l' assunto sulla distribuzione dei casi reciprocamente alternativi in proporzioni universali e costanti nel caso di serie "sufficientemente numerose" di essi? Quanto numerose? E' possibile stabilirlo in una qualche maniera? Può darsi un qualche senso a questo concetto di "sufficientemente numerose"? Inoltre -sia pure- all' infinito (nel tempo e/o nello spazio) anche le cose più improbabili possono accadere (e tendono ad accadere; e forse accadono): per esempio anche in un numero "grande" (?) di casi (grande quanto si vuole?) le proporzioni delle osservazioni (dei casi) reciprocamente alternativi possibili possono talvolta, prima o poi (per quanto "rarissimamente" -?-), discostarsi da quelle previste dalla rispettiva legge probabilistica (nella fattispecie 1/6 per ciascun numero da 1 a 6). Fra un "numero sufficientemente grande" di casi -per quanto elevato esso sia- ed "infiniti" (un "numero infinito" di) casi c' è sempre inevitabilmente un abisso incolmabile (o solo potenzialmente, concettualmente e mai attualmente, effettivamente colmabile), il quale inficia (destituisce di significato) il concetto di "numero (sufficientemente) grande (di casi, osservazioni, rilievi)": qualsiasi numero, per quanto grande (o piccolo) sia, è (sempre insuperabilmente) infinitamente piccolo (o infinitamente grande) relativamente all' infinito (in confronto al numero "infinitamente grande" o "infinitamente piccolo"). Nel caso di frequenze probabilistiche-statistiche del divenire, al tendere all' infinito dei casi (osservati) le proporzioni delle alternative possibili tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori (per esempio a 1/6 la frequenza di ciascun esito possibile nel nostro caso del lancio di un dado non truccato); ma anche serie sempre più improbabili tendono sempre più ad accadere (per esempio serie ininterrotte sempre più numerose di "6" consecutivi: queste ultime al crescere dei casi osservati tendono sia ad essere sempre più numerose e lunghe in assoluto, sia a essere sempre più rare relativamente alle altre serie più probabili. Dal momento che il concetto (umano, di fatto considerabile) di "(numero) infinito" comporta necessariamente una infinità inesauribile di (numeri) infiniti "di ordini successivi" come sue "parti", nella "infinità inesauribile dell' infinito" numero di casi, anche infinite sequenze di casi "anomali" (improbabili: contraddicenti la probabilità considerata), ognuna delle quali di lunghezza infinita (sic!), possono (e anzi tendono ad) accadere, per quanto le proporzioni complessive fra la totalità degli infiniti casi che accadono siano comunque quelle determinate proporzioni probabilistiche (1/6 per ciascun numero da 1 a 6): non è questo contraddittorio? E' questa un' aporia del concetto di "infinito", ovvero che "tendendo (le osservazioni de-) i casi all' infinito, le loro proporzioni tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori probabili (1/6 nella fattispecie), per quanto inevitabilmente tendano anche sempre più ad accadere casi di discostamenti sempre più grandi da tali valori. L' infinito in quanto concetto (umano: in quanto oggetto di considerazione teorica, eventualmente di predicazione, eventualmente di conoscenza umana) non può mai essere attuale (potrebbe esserlo solo nella mente di Dio, se esistesse), bensì è sempre, inevitabilmente potenziale dal momento che qualsiasi considerazione teorica è finita (non continua all' infinito ma prima o poi si arresta). Laddove l' infinto in quanto reale (in quanto caratteristica della realtà) può benissimo essere in atto. MI sento in dovere di aggiungere il mio accordo con quanto acutamente ha scritto Davintro (soprattutto che il dubbio -humeiano- insuperabile circa l' induzione non lo é nemmeno attraverso il concetto di "probabilità", che può oggettivamente significare unicamente "frequenza statistica" la quale, per quante volte sia stata confermata, é sempre altrettanto e anzi più degna di dubbio della costanza "univoca" dell' induzione "deterministica - meccanicistica".
Sì c'era anche questo aspetto per cui un divenire probabilistico è problematico. Il problema è che lo stesso determinismo non è per nulla "dimostrabile", nemmeno se avessimo un tempo infinito per vivere. Il punto è che tra l'altro le generalizzazioni accidentali possono "durare" un'infinità di tempo. Sempre con l'esempio del dado. Se faccio un'infinità di lanci e trovo che il 6 esce con frequenza relativa 1/6 non possono a rigore nemmeno in questo caso dire che la probabilità è 1/6. Allo stessso modo se verifico che un'infinità di volte un oggetto lasciato cadere dal tavolo arriva al pavimento non posso dire che vi è una necessità che lo "costringe" a cadere. Posso solo dire che "è sempre caduto".
In ogni caso non riusciamo mai a distinguere una generalizzazione accidentale da una vera regolarità (e qui il mio scetticismo va oltre Hume e segue WIttgenstein). Infatti con l'induzione, anche se essa disponesse di un numero infinito di prove non potrebbe dimostrare una "legge", o meglio non può distinguere tra una "legge" e una mera "generalizzazione accidentale".
Se la varibile è una funzione X con un dado a sei facce la probabilità di uscita di ciascun numero è 1/6.
I lanci dei dadi costruiscono una successione di dati storici, in cui ogni ciclo è 6 e più il dato storico contemplato è ampio e più la distribuzione diventa normale.
Significa che se lancio 6 volte il dado può esserci un numero che esce 2 volte e un'altro 0, perchè il ciclo chiude la serie.Ma se considero ad esempio 6 esponente 2= 36 ho un dato storico di 6 cicli e più aumento l'ampiezza del dato e più la distribuzione ha meno discrepanze distributive fra i numeri.
Allora significa che più si analizza un' ampiezza di serie numeriche piccole è più si notano le anomalie distributive, più è ampio il ciclo e queste anomalie tendono ad appiattirsi,a essere meno evidenti.
Ancora, se nel lotto vi sono 90 numeri il dato storico da analizzare è molto ampio perchè novanta numeri usciti costituiscono un ciclo , Se alla roulette sono 37 ,compreso lo zero, diciamo che è medio fra il dado e il lotto.
Ma proprio perchè la logica della funzione della probabilità e della distribuzione non è alterata dalla caratteristica,
ha una regola e delle funzioni per determinarla. Quindi ha una induzione se si tiene conto per ogni numero quante volte è uscito(analisi di una variabile discreta) e deduzione in quanto ha una regola generale distributiva e probabilistica.
Non è quindi tanto il ritardo in sè e per sè da tener conto, perchè quel numero in ritardo può essersi ripetuto in continuità aumentando la sua frequenza di uscita in un momento precedente.,quindi ha avuto un'anomalia e poi "sparisce", ma le uscite dei numeri sotto la distribuzione normale.
Io direi che la legge dei grandi numeri alla fine conta, che esistono cicli anche nelle serie numeriche la cui lunghezza è data dalle variabili in gioco (nel dado è 6) e che tutto torna alla fine.
Non è proprio così......ma comunque.
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2017, 00:53:33 AM
Io direi che la legge dei grandi numeri alla fine conta
Mi sono incuriosito e ho trovato in rete gli esperimenti di Buffon e Pearson nel fare testa o croce: i risultati dell'esperienza si avvicinano alle probabilità teoriche di 1/2, cioè allo 0,5 perfetto, con l'aumentare del numero di lanci: con 4040 lanci ottennero una frequenza di 0,5069; con 12000 lanci 0,50158; con 24000 lanci 0,5005.
Mi sembra che questi esperimenti diano però anche una misura di quanto sia davvero probabile che al lotto esca un numero troppo assente: dobbiamo infatti tener presente che il lancio della moneta prevede solo due possibilità, mentre nel lotto abbiamo 90 numeri. Se, per ottenere con due sole possibilità, una frequenza di 0,5069, furono necessari 4040 lanci, con le 90 possibilità del lotto, a tre uscite a settimana, immagino che la probabilità che un numero molto assente esca davvero cominci ad essere seria soltanto dopo qualche miliardo di secoli.
Quindi si pùo pensare che la legge dei grandi numeri conta sì, ma devono essere numeri di grandezze stratosferiche. Inoltre, per quanto grandi essi siano, si tratterà sempre di avvicinamento allo 0,5 perfetto e mai di raggiungimento.
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Febbraio 2017, 01:51:39 AMCitazione di: paul11 il 21 Febbraio 2017, 00:53:33 AMIo direi che la legge dei grandi numeri alla fine conta
Mi sono incuriosito e ho trovato in rete gli esperimenti di Buffon e Pearson nel fare testa o croce: i risultati dell'esperienza si avvicinano alle probabilità teoriche di 1/2, cioè allo 0,5 perfetto, con l'aumentare del numero di lanci: con 4040 lanci ottennero una frequenza di 0,5069; con 12000 lanci 0,50158; con 24000 lanci 0,5005. Mi sembra che questi esperimenti diano però anche una misura di quanto sia davvero probabile che al lotto esca un numero troppo assente: dobbiamo infatti tener presente che il lancio della moneta prevede solo due possibilità, mentre nel lotto abbiamo 90 numeri. Se, per ottenere con due sole possibilità, una frequenza di 0,5069, furono necessari 4040 lanci, con le 90 possibilità del lotto, a tre uscite a settimana, immagino che la probabilità che un numero molto assente esca davvero cominci ad essere seria soltanto dopo qualche miliardo di secoli. Quindi si pùo pensare che la legge dei grandi numeri conta sì, ma devono essere numeri di grandezze stratosferiche. Inoltre, per quanto grandi essi siano, si tratterà sempre di avvicinamento allo 0,5 perfetto e mai di raggiungimento.
Sì , per certi versi è come se ogni legge abbia con sè mai una perfezione assoluta, ma un'anomalia(si dice allora che l'eccezione conferma la regola), infatti la statistica utilizza studi di variabili discrete che applica in tutti campi, dalla fisica alla biologia alla sociologia.nel nostro caso essendo 1/6 la probabilità di uscita teorica di ogni numero di un dado a sei facce, il primo ciclo di sei lanci, in realtà non dà quasi mai il risultato che ogni numero sia uscito. Cè un numero che invece è uscito due volte e un'altro ,per compensazione non è uscito per niente. ma se ripeto questo ciclo di sei lanci tenendo conto dei rapporti di uscita di ciascun numero, tanti più cicli vi saranno di lanci e tanto più le differenze scemano, ma rimangono comunque..Diciamo allora che la probabilità abbassa il rischio, ma non lo toglie del tutto.La probabilità relazionata quindi alla distribuzione, fa emergere le anomalie di chi è uscito di più e di chi è uscito meno di quella probabilità teorica iniziale , ma dove la "normalità" è rappresentata dalla media della distribuzione che "taglia" se proiettiamo la matematica in un disegno statistico (istogrammi, linea, ecc.) le frequenze dei numeri.
Coi dadi non c'entra niente credo..mi sarebbe venuto in mente la pressoché perfetta proporzione quando si viene al mondo; 50xcento maschi e 50xcento femmine.
Curioso no?!
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Febbraio 2017, 01:51:39 AM
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2017, 00:53:33 AM
Io direi che la legge dei grandi numeri alla fine conta
Mi sono incuriosito e ho trovato in rete gli esperimenti di Buffon e Pearson nel fare testa o croce: i risultati dell'esperienza si avvicinano alle probabilità teoriche di 1/2, cioè allo 0,5 perfetto, con l'aumentare del numero di lanci: con 4040 lanci ottennero una frequenza di 0,5069; con 12000 lanci 0,50158; con 24000 lanci 0,5005.
Mi sembra che questi esperimenti diano però anche una misura di quanto sia davvero probabile che al lotto esca un numero troppo assente: dobbiamo infatti tener presente che il lancio della moneta prevede solo due possibilità, mentre nel lotto abbiamo 90 numeri. Se, per ottenere con due sole possibilità, una frequenza di 0,5069, furono necessari 4040 lanci, con le 90 possibilità del lotto, a tre uscite a settimana, immagino che la probabilità che un numero molto assente esca davvero cominci ad essere seria soltanto dopo qualche miliardo di secoli.
Quindi si pùo pensare che la legge dei grandi numeri conta sì, ma devono essere numeri di grandezze stratosferiche. Inoltre, per quanto grandi essi siano, si tratterà sempre di avvicinamento allo 0,5 perfetto e mai di raggiungimento.
Ragionamento sbagliato.
La probabilità, sempre soggettiva, che un numero del lotto esca ad una estrazione rimane 1/90. Come hai giustamente rilevato in precedenza nel gioco del lotto un sorteggio non dipende in alcun modo dal risultato del sorteggio precedente, quindi non varia la mia valutazione soggettiva della probabilità. Non c'è alcuna probabilità oggettiva da raggiungere.
Citazione di: baylham il 21 Febbraio 2017, 11:25:02 AM
Ragionamento sbagliato.
La probabilità, sempre soggettiva, che un numero del lotto esca ad una estrazione rimane 1/90. Come hai giustamente rilevato in precedenza nel gioco del lotto un sorteggio non dipende in alcun modo dal risultato del sorteggio precedente, quindi non varia la mia valutazione soggettiva della probabilità. Non c'è alcuna probabilità oggettiva da raggiungere.
Infatti il mio non è un ragionamento: ho descritto esperimenti che sono stati effettuati.
Cerchiamo di fare un poco di chiarezza sulle questioni sollevate in questa discussione.
1) Lancio dei dadi, con il dado inteso come ente astratto, matematico.
Una volta definita cosa sia la "probabilità di un evento" e stabilite le condizioni al contorno, in questo caso facce del dado equiprobabili e nessuna correlazione tra un lancio e il successivo, allora la probabilità che esca una certa faccia è pari a 1/6 e questa è una deduzione e non un'induzione, e non è legata a nessuna presunta regolarità: il fatto che ad ogni lancio possa uscire solo una delle 6 facce, in modo disgiunto tra loro e in modo disgiunto da tutti i lanci precedenti, è una condizione imposta al problema.
2) Lancio dei dadi come evoluzione di un sistema fisico reale.
Se io conosco il materiale con cui è fatto il dado (supposto un cubo regolare), la sua massa, i suoi momenti di inerzia rispetto ai vari assi di simmetria, se conosco densità, pressione e temperatura dell'aria nell'ambiente, se conosco il coefficiente di attrito del piano su cui il dado rotolerà, se conosco la posizione iniziale del dado nella mano del lanciatore, l'impulso con il quale si lancia il dado, la direzione verso la quale si effettua il lancio, l'altezza della mano dal piano, una volta individuato un opportuno sistema di riferimento, una volta cioè stabilite le condizioni al contorno, si possono scrivere le equazioni del moto del dado rispetto al sistema di riferimento. Una volta risolte queste equazioni imponendo la condizione che la velocità del dado rispetto al sistema di riferimento sia nulla, allora troveremo la posizione del dado (in quiete) rispetto al sistema di riferimento e l'istante di tempo al quale si raggiunge la condizione di quiete, e anche il modo con il quale il dado si trova in quiete (appoggiato su una delle 6 facce, oppure in equilibrio su uno dei 12 lati del cubo, oppure su uno degli 8 spigoli). E' quindi possibile prevedere (teoricamente) l'evoluzione del sistema, ed è possibile (teoricamente) imporre le condizioni al contorno sufficienti a garantire che un lancio del dado dia il risultato voluto.
Non c'è nessun calcolo probabilistico in questo caso.
Riguardo alla questione della solita "induzione" (sempre sul banco degli imputati) e delle presunte regolarità, conviene fare un salto temporale nella Londra di metà '600. Newton conosceva gli esperimenti di Galilei sulla caduta libera dei corpi ed il dato sperimentale dell'accelerazione di un corpo in caduta libera sulla terra, e conosceva le 3 leggi empiriche del moto dei pianeti formulate da Keplero. Conosceva il raggio terrestre con buona approssimazione (calcolato dagli antichi greci) e conosceva con approssimazione la distanza terra-luna pari circa a 60 raggi terrestri (calcolata durante le eclissi grazie all'ombra della terra proiettata sulla luna). Egli calcolò l'accelerazione centripeta della luna rispetto alla terra (conoscendo il periodo di rivoluzione della stessa attorno alla terra) e si accorse che il rapporto tra accelerazione di una "mela" in caduta libera sulla superficie terrestre e accelerazione centripeta della luna era pari circa a 3600, ovvero pari al quadrato del rapporto tra la distanza luna-terra (centro) e mela-terra (centro). Pura coincidenza o questa proporzione nascondeva un segreto? A questo punto ebbe la presunzione di estendere questa legge proporzionale all'inverso del quadrato della distanza (ecco la malefica induzione all'opera) al sistema solare, ed elaborò un modello teorico che descrivesse l'universo e comprendesse le 3 leggi empiriche di Keplero (deduzione), con verifica a posteriori della coerenza del modello stesso con i dati sperimentali.
Non ci si affida quindi né al solo dato empirico (le 3 leggi di Keplero) né alla sola induzione-deduzione (una forza centrale inversamente proporzionale al quadrato della distanza).
Se parliamo di un dado, nell'ambito di un'estrazione a sorte, parliamo di matematica pura e non applicata.
Quì il problema è l'aleatorietà e non quanto sia la probabilità che domani sorga di nuova il sole che è data da studi fisici come premessa. Diversamente dovremmo inserirci il battito d'ali della farfalla o lo starnuto: certo se tutte le variabili fisiche fossero sotto controllo e ponderate sia ognuna che fra loro passiamo ad un determinismo togliendo la casualità, quindi i lcaso diventa causa che genera un effetto.
Dire che sai soggettivo si tratterebbe di pura "fortuna" senza alcun ragionamento, c'è chi lo fa e guadagna una volta, ma chissà come mai alla fine la sommatoria algebrica i avvicina a zero? Non ci credono nemmeno quelli che giocano per fare soldi che si scervellano in sistemi , ma soprattutto lo sanno quelle aziende che campano sulle scommesse che a loro volta per abbassare la probabilità di perdita loro, utilizzano dati storici e statistici..
La soggettività cade nel momento in cui si lanciano innumerevole volte i dadi, si hanno così dati storici , lo si compie più volte e compaiono così leggi matematiche, Il risultato è spesso non un numero certo, ma un'ampiezza statistica in cui molto probabilmente
un evento accade. Ribadisco, la probabilità non dà certezze, ma restringe le possibilità di scelte, taglia quindi in poco probabile, in molto probabile, ecc.
E' una forma di conoscenza approssimata, inteso come avvicinamento ad un obbiettivo sapendo che è impossibile determinarlo.
Diversamente, si sogna e si legge la "smorfia".
Citazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 22:37:25 PMPer il "misticismo" come ho già detto non intenderlo come l'assoluto rifiuto di ragionare. Tuttavia è semplicemente la realizzazione che le certezze che abbiamo non hanno un completo fondamento.
CitazioneBeh, questo mi pare razionalismo, critica razionale, e non misticismo (ma quasi il contrario di esso).
Citazione di: davintro il 20 Febbraio 2017, 20:25:11 PMil punto fondamentale della questione mi pare sia quello di mantenere una coerenza tra un certo modello metodologico di ricerca nello svolgere le previsioni e la pretesa di scientificità (o razionalità) dei risultati a cui si ritiene di pervenire. L'induzione non solo, sulla base della celebre argomentazione del tacchino, è secondo me impossibilitata a fondare verità apodittiche, ma neanche probabilistiche. Per parlare di probabilità è necessario raffrontare una misura di casi in cui la probabilità si verifica e una "totalità", una serie FINITA di casi che effettivamente sono realizzabili nel contesto della previsione. Se ho di fronte un sacchetto con 100 cioccolatini di cui 90 alla nocciola, ha senso dire che razionalmente ho il 90% di possibilità che scegliendo a caso dal sacchetto di prendere un cioccolatino alla nocciola. Posso farlo perché la totalità dei casi possibili ha un limite ben definito, i 100 cioccolatini totali del sacchetto. Non è il caso del lancio dei dadi, nel quale l'induzione presume di ricavare previsioni, ma in modo del tutto irrazionale, perché nel caso del lancio dei dadi non esiste una totalità conclusa, ma per compiere previsioni è necessario ripetere in continuazione all'infinito l'esperienza del lancio dei dadi. L'esperienza non è un sistema chiuso ma infinitamente aperto, e non si arriverà mai a concepire una serie chiusa, un 100% da cui ricavare una percentuale vicina o lontana. Sono dunque d'accordo con il primo post di Apeiron. La vera razionalità non può che essere deduttiva, perché se razionale un discorso lo è in quanto giustificato da argomenti che hanno in loro stessi la loro validità fondativa epistemica, allora solo la razionalità che parte da un'evidenza stabile, un punto fermo di cui si è riconosciuta l'indubitabilità (come nel dubbio metodico cartesiano o nella riduzione fenomenologica) può fondare la pretesa di verità dei discorsi, non l'ingenua osservazione induttiva dei casi particolari dell'esperienza, metodo adeguato e vincolato alla contingenza dei contesti empirici verso cui si rivolge, e tale contingenza si rispecchia inevitabilmente nei risultati. Senza l'apodissi si perde anche la probabilità, dato che questa è solo un'approssimazione verso la certezza indubitabile, tolta questa cade anche l'altra. Non è certo un caso che nella modernità razionalismo ed empirismo erano visti, mi sembra, come fra loro contrapposti
Su questo sono d'accordo. Razionalismo ed empirismo erano opposti, oggi si tende a dire che il razionalismo è l'empirismo ma io usavo i termini nel senso seicentesco. Il problema è che entrambe le posizioni in realtà sono fallimentari in quello che si ripromettono ossia quello di giustificare la scienza.
CitazioneCome già scritto concordo anch' io.
Ma l' empirista settecentesco David Hume é proprio colui che prima e meglio di tutti l' ha capito; e accettato come una conquista (filosofica) di verità e non come un fallimento!
Citazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 22:47:14 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 21:12:04 PM
Citazione
Secondo me ci si deve intendere sui termini del discorso (il significato delle parole). E' un affermazione che è vera alla condizione indimostrabile (Hume!) che il divenire naturale sia ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti; perché in questo caso se il dado non è truccato (ovvero le facce sono perfettamente regolari, il materiale di cui è fatto perfettamente omogeneo, ecc.) e se i lanci sono fatti "a caso" (in un' "infinità" di maniere simili e non calcolate in determinati modi) in un numero sufficientemente elevato di lanci i fattori causali tendenti a farlo cadere su ciascuna faccia si equilibrano. Tuttavia è un' affermazione alquanto imprecisa, in particolare per quanto riguarda i numerosi concetti che ho evidenziato in grassetto, i quali sono decisamente vaghi e non realistici (in realtà non esiste la perfezione!). Cosicché (in linea teorica, di principio) in un numero "ulteriormente sufficientemente elevato di lanci" ci si dovrebbe aspettare qualche pur minima differenza della distribuzione statistica dei risultati di ciascun dado concreto (costante per ciascun dato in un numero sufficientemente elevato di lanci, ma diversa fra i diversi dadi, nessuno dei quali, per quanto non deliberatamente "truccato", può essere perfetto). Ma a parte questo mi sembra che Apeiron intenda suggerire un problema più di fondo nel concetto di probabilità, che io stesso credo di aver colto per conto mio in precedenti riflessioni. Un divenire (della realtà fisica materiale) ordinato secondo leggi universali e costanti di tipo "deterministico - meccanicistico" mi sembra un concetto del tutto sensato, privo di contraddizioni: ogni singolo evento è determinato da "ciò che lo precede e circonda" e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile). Invece un divenire probabilistico - statistico (non ogni singolo evento è universalmente e costantemente e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile, ma sono invece universali e costanti e dunque in lenea di principio prevedibili, calcolabili, i rapporti fra -le frequenze di- diversi eventi che possono accadere ed accadono alternativamente gli uni agli altri a seconda dei singoli casi dipendentemente da "ciò che li precede e circonda" purché si consideri un numero sufficientemente grande di osservazioni) mi sembra problematico, mi sembra implicare inevitabili paradossi insolubili, che hanno a che fare con la questione infinito potenziale/infinito attuale. Innanzitutto: quando è che un numero di casi può essere considerato "sufficientemente grande"? Quale significato potrebbe mai avere tutto l' assunto sulla distribuzione dei casi reciprocamente alternativi in proporzioni universali e costanti nel caso di serie "sufficientemente numerose" di essi? Quanto numerose? E' possibile stabilirlo in una qualche maniera? Può darsi un qualche senso a questo concetto di "sufficientemente numerose"? Inoltre -sia pure- all' infinito (nel tempo e/o nello spazio) anche le cose più improbabili possono accadere (e tendono ad accadere; e forse accadono): per esempio anche in un numero "grande" (?) di casi (grande quanto si vuole?) le proporzioni delle osservazioni (dei casi) reciprocamente alternativi possibili possono talvolta, prima o poi (per quanto "rarissimamente" -?-), discostarsi da quelle previste dalla rispettiva legge probabilistica (nella fattispecie 1/6 per ciascun numero da 1 a 6). Fra un "numero sufficientemente grande" di casi -per quanto elevato esso sia- ed "infiniti" (un "numero infinito" di) casi c' è sempre inevitabilmente un abisso incolmabile (o solo potenzialmente, concettualmente e mai attualmente, effettivamente colmabile), il quale inficia (destituisce di significato) il concetto di "numero (sufficientemente) grande (di casi, osservazioni, rilievi)": qualsiasi numero, per quanto grande (o piccolo) sia, è (sempre insuperabilmente) infinitamente piccolo (o infinitamente grande) relativamente all' infinito (in confronto al numero "infinitamente grande" o "infinitamente piccolo"). Nel caso di frequenze probabilistiche-statistiche del divenire, al tendere all' infinito dei casi (osservati) le proporzioni delle alternative possibili tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori (per esempio a 1/6 la frequenza di ciascun esito possibile nel nostro caso del lancio di un dado non truccato); ma anche serie sempre più improbabili tendono sempre più ad accadere (per esempio serie ininterrotte sempre più numerose di "6" consecutivi: queste ultime al crescere dei casi osservati tendono sia ad essere sempre più numerose e lunghe in assoluto, sia a essere sempre più rare relativamente alle altre serie più probabili. Dal momento che il concetto (umano, di fatto considerabile) di "(numero) infinito" comporta necessariamente una infinità inesauribile di (numeri) infiniti "di ordini successivi" come sue "parti", nella "infinità inesauribile dell' infinito" numero di casi, anche infinite sequenze di casi "anomali" (improbabili: contraddicenti la probabilità considerata), ognuna delle quali di lunghezza infinita (sic!), possono (e anzi tendono ad) accadere, per quanto le proporzioni complessive fra la totalità degli infiniti casi che accadono siano comunque quelle determinate proporzioni probabilistiche (1/6 per ciascun numero da 1 a 6): non è questo contraddittorio? E' questa un' aporia del concetto di "infinito", ovvero che "tendendo (le osservazioni de-) i casi all' infinito, le loro proporzioni tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori probabili (1/6 nella fattispecie), per quanto inevitabilmente tendano anche sempre più ad accadere casi di discostamenti sempre più grandi da tali valori. L' infinito in quanto concetto (umano: in quanto oggetto di considerazione teorica, eventualmente di predicazione, eventualmente di conoscenza umana) non può mai essere attuale (potrebbe esserlo solo nella mente di Dio, se esistesse), bensì è sempre, inevitabilmente potenziale dal momento che qualsiasi considerazione teorica è finita (non continua all' infinito ma prima o poi si arresta). Laddove l' infinto in quanto reale (in quanto caratteristica della realtà) può benissimo essere in atto. MI sento in dovere di aggiungere il mio accordo con quanto acutamente ha scritto Davintro (soprattutto che il dubbio -humeiano- insuperabile circa l' induzione non lo é nemmeno attraverso il concetto di "probabilità", che può oggettivamente significare unicamente "frequenza statistica" la quale, per quante volte sia stata confermata, é sempre altrettanto e anzi più degna di dubbio della costanza "univoca" dell' induzione "deterministica - meccanicistica".
Sì c'era anche questo aspetto per cui un divenire probabilistico è problematico. Il problema è che lo stesso determinismo non è per nulla "dimostrabile", nemmeno se avessimo un tempo infinito per vivere. Il punto è che tra l'altro le generalizzazioni accidentali possono "durare" un'infinità di tempo. Sempre con l'esempio del dado. Se faccio un'infinità di lanci e trovo che il 6 esce con frequenza relativa 1/6 non possono a rigore nemmeno in questo caso dire che la probabilità è 1/6. Allo stessso modo se verifico che un'infinità di volte un oggetto lasciato cadere dal tavolo arriva al pavimento non posso dire che vi è una necessità che lo "costringe" a cadere. Posso solo dire che "è sempre caduto".
In ogni caso non riusciamo mai a distinguere una generalizzazione accidentale da una vera regolarità (e qui il mio scetticismo va oltre Hume e segue WIttgenstein). Infatti con l'induzione, anche se essa disponesse di un numero infinito di prove non potrebbe dimostrare una "legge", o meglio non può distinguere tra una "legge" e una mera "generalizzazione accidentale".
CitazioneSecondo me che fare un'in finità di lanci e trovare che il 6 esce con frequenza relativa 1/6 é precisamente la definizione di "probabilità 1/6".
Perfettamente d' accordo con il resto (secondo quanto insegnatomi dal grande David Hume; salvo il fatto che che però non trovo sia stato superato in questo da Wittgenstein: già il mio amato scozzese criticava il concetto di causalità argomentando che -cito a memoria ma credo del tutto fedelmente- "non é contraddittorio pensare che la prossima volta ad "A" non seguirà "B" anche se finora immancabilmente ogni volta che é accaduto "A" ne é seguito "B", per quante siano le constatazioni finora effettuate"= fossero pure infinite).
Nel copiare-incollare precedenti considerazioni svolte in altre sedi nell' intervento precedente avevo fatto dei tagli errati (per "amore di brevità").
In realtà avrei voluto sostenere che, per quanto indimostrabile (Hume! E va beh, anche Wittgenstein!), un divenire ordinato di tipo deterministico - meccanicistico é comunque non contraddittorio, sensato, così come un divenire ordinato di tipo ontologicamente deterministico - meccanicistico ma conosciuto (gnoseologicamente o epistemicamente) in maniera probabilistica statistica (per limiti di completezza e precisione nella conoscenza di fatto possibile delle leggi generali astratte del divenire e delle condizioni particolari concrete a un determinato istante di tempo "iniziale"); mentre pone insuperabili aporie un divenire ordinato di tipo ontologicamente probabilistico - statistico (come quello invocato dalle interpretazioni prevalenti o "conformistiche" della meccanica quantistica).
Infatti, contrariamente alle leggi umane (statali) e a generiche "regole" che ammettessero eccezioni (e magari ne venissero "confermate"), se si danno leggi universali e costanti del divenire naturale, queste non potrebbero presentare alcuna "eccezione" (alcun "miracolo"), pena la loro confutazione (o meglio: falsificazione empirica): in questo caso si tratterebbe di (sarebbe da considerarsi come) un caso, per quanto "stranissimo" di "mutamento caotico, assoluto-integrale, del tutto privo di aspetti fissi, universali e costanti astraibili dai particolari concreti (e dunque incompatibile con la possibilità di conoscenza scientifica); sarebbe come se (cosa improbabilissima ma in linea teorica, di principio -non di fatto!- non impossibile) in una serie di di 100 lanci di un dado non truccato si ottenessero 100 esiti "6": regolarità meramente apparente, fortuita, non reale.
Ma questo ha senso nel caso di divenire ontologicamente meccanicistico-deterministico (magari conoscibile solo sotto forma di divenire probabilistico statistico meramente epistemologico); mentre invece in caso di divenire ontologicamente probabilistico statistico le considerazioni esposte nel precedente intervento su arbitrarietà e vaghezza del concetto di "numero sufficientemente elevato di casi" e sulla dialettica infinito in atto/infinito in potenza, con in particolare l' inevitabilità di sequenze di lunghezza indefinita di casi contravvenienti le proporzioni statistiche pretese "universali e costanti", imporrebbero addirittura come necessarie (non solo possibili!) "eccezioni alla regola" ovvero deroghe dalle (pretese, a questo punto) leggi probabilistiche statistiche del divenire; deroghe che le destituirebbero di senso facendo della (pretesa) ipotesi di divenire considerato in realtà qualcosa da intendersi come un muutamento autenticamente caotico, non ordinato, per quanto di fatto con sequenze di eventi "stranissime", del tipo dei cento "6" consecutivi nel lancio del dado non truccato.
Senza falsa modestia credo che il ragionamento sia sottile, ma ovviamente del tutto alla portata della tua finezza di ragionamento e di quella di tanti altri; per questo mi interesserebbe una tua esplicita valutazione critica (e anche di altri, ovviamente!).
Grazie.
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2017, 10:17:19 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Febbraio 2017, 01:51:39 AM
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2017, 00:53:33 AMIo direi che la legge dei grandi numeri alla fine conta
Mi sono incuriosito e ho trovato in rete gli esperimenti di Buffon e Pearson nel fare testa o croce: i risultati dell'esperienza si avvicinano alle probabilità teoriche di 1/2, cioè allo 0,5 perfetto, con l'aumentare del numero di lanci: con 4040 lanci ottennero una frequenza di 0,5069; con 12000 lanci 0,50158; con 24000 lanci 0,5005. Mi sembra che questi esperimenti diano però anche una misura di quanto sia davvero probabile che al lotto esca un numero troppo assente: dobbiamo infatti tener presente che il lancio della moneta prevede solo due possibilità, mentre nel lotto abbiamo 90 numeri. Se, per ottenere con due sole possibilità, una frequenza di 0,5069, furono necessari 4040 lanci, con le 90 possibilità del lotto, a tre uscite a settimana, immagino che la probabilità che un numero molto assente esca davvero cominci ad essere seria soltanto dopo qualche miliardo di secoli. Quindi si pùo pensare che la legge dei grandi numeri conta sì, ma devono essere numeri di grandezze stratosferiche. Inoltre, per quanto grandi essi siano, si tratterà sempre di avvicinamento allo 0,5 perfetto e mai di raggiungimento.
Sì , per certi versi è come se ogni legge abbia con sè mai una perfezione assoluta, ma un'anomalia(si dice allora che l'eccezione conferma la regola), infatti la statistica utilizza studi di variabili discrete che applica in tutti campi, dalla fisica alla biologia alla sociologia.
nel nostro caso essendo 1/6 la probabilità di uscita teorica di ogni numero di un dado a sei facce, il primo ciclo di sei lanci, in realtà non dà quasi mai il risultato che ogni numero sia uscito. Cè un numero che invece è uscito due volte e un'altro ,per compensazione non è uscito per niente. ma se ripeto questo ciclo di sei lanci tenendo conto dei rapporti di uscita di ciascun numero, tanti più cicli vi saranno di lanci e tanto più le differenze scemano, ma rimangono comunque..
Diciamo allora che la probabilità abbassa il rischio, ma non lo toglie del tutto.La probabilità relazionata quindi alla distribuzione, fa emergere le anomalie di chi è uscito di più e di chi è uscito meno di quella probabilità teorica iniziale , ma dove la "normalità" è rappresentata dalla media della distribuzione che "taglia" se proiettiamo la matematica in un disegno statistico (istogrammi, linea, ecc.) le frequenze dei numeri.
CitazionePerfettamente d' accordo (in pratica).
Ma i filosofi tendono a cercare sempre "il pelo teorico (il pelo in linea di principio) nell' uovo".
Un grosso "pelo teorico" trovato da David Hume (e anche da Wittgenstein e probabilmente altri) é che qualsiasi induzione, anche di tipo probabilistico-statistico, é in linea di principio degna di dubbio, come ha osservato Davintro: col fatto che con 4040 lanci di una moneta non truccata lanci si sia ottenuta una frequenza di 0,5069 "testa"; con 12000 lanci 0,50158; con 24000 lanci 0,5005 non é in contraddizione con l' ipotesi che altre volte in analoghe serie di lanci si ottengano frequenze anche molto diverse.
Un altro é il fatto che al crescere all' infinito dei casi considerati prima o poi tendono ad accadere, per quanto con strabiliante infrequenza, anche i fatti più improbabili.
A scanso di equivoci preciso che, pur essendo "un filosofo che ama cercare i peli teorici di principio nelle uova, non sono un pazzo e in pratica non ho dubbi nel seguire ciò che la scienza ci dice, in termini apodittici e (molto più frequentemente e in modo molto più difficile da interpretarsi) probabilisticamente - statisticamente.
Citazione di: acquario69 il 21 Febbraio 2017, 10:26:05 AM
Coi dadi non c'entra niente credo..mi sarebbe venuto in mente la pressoché perfetta proporzione quando si viene al mondo; 50xcento maschi e 50xcento femmine.
Curioso no?!
CitazioneDirei ovvio: la distribuzione statistica delle combinazioni possibili dei due cromosomi sessuali di ciascun gamete é esattamente 50% come nel lancio di una moneta non truccata.
....speciificherei, c'è sempre una certa soggettività, in parte nella scelta perchè la matematica ci porta fino ad un ceto punto, ad abbassare il rischio, ma alla fine ,come nel poker c'è la componente "'azzardo". Il problema è riuscire a tenerlo nell'ambito razionale per quanto possibile.
Ritornando alla domanda iniziale di Aperion, la matematica è una metafisica costruita dall'uomo.
Ha sue regole interne, ma si regola con l'esperienza. Quì c'è quella componente induttivo, deduttivo che si relazionano per perfezionare la regola stessa. Significa allora che la matematica direi che sia una mediatrice conoscitiva fra il nostro mentale e il mondo e ci permette di leggerlo di codificarlo e ricodificare un fenomeno dentro un nostro linguaggio, dei simboli matematici, logici, argomentarlo a parole, costruirne una legge sempre in simboli.
Se poi poni il fatto che cosa sia una realtà, quì difficilmente ne usciamo se non un modello rappresentazionale.
la reiterazione avvalora la lettura relazionata fra la nostra mente e la realtà e diventa convenzionale nel momento in cui non è solo un soggetto, ma è tutta l'umanità, diciamo così, che applica la stessa modalità raggiungendo lo stesso risultato.
Quanto, perchè questo è il problema, sia una convenzione razionale della nostra mente e quanto sia davvero realtà, a prescindere quindi dalla nostra mente, penso sia impossibile da definire.
Perchè ritengo che in fondo le sofisticate tecnologie, come radiotelescopi, microscopi elettronici, sono in fondo protesi che estendono i nostri sensi, ma comunque interfacciano con noi, sono dentro il nostro linguaggio, ci informano e comunicano.
Non credo quindi alla netta divisione fra oggettivo e soggettivo, siamo comunque noi agenti conoscitivi che oltre a strumenti sensoriali utilizziamo quelli mentali. La realtà è restituita a noi da una cultura che ci dà un modello relazionale linguistico in qualunque forma di relazione,dalla matematica alla società.
Per quello che conosco, nella remota antichità è proprio la regolarità che incide, prima ancora che fosse scienza era osservazione di regolarità cicliche, osservavano cielo e natura e ovviamente la rappresentavano nella natura.Ciò che ha sempre temuto l'umanità dai tempi più remoti ad oggi è proprio l'irregolarità, ciò che sfugge al cosiddetto razionale diremmo oggi: un terremoto, un alluvione fino alla siccità o alluvione, o la malattia.
La fortuna o la sfortuna è l'inspiegabile percezione di una realtà che non è tangibile dal linguaggio umano, o comunque sconosciuto.
Citazione di: Eretiko il 21 Febbraio 2017, 12:16:36 PM
Riguardo alla questione della solita "induzione" (sempre sul banco degli imputati) e delle presunte regolarità, conviene fare un salto temporale nella Londra di metà '600. Newton conosceva gli esperimenti di Galilei sulla caduta libera dei corpi ed il dato sperimentale dell'accelerazione di un corpo in caduta libera sulla terra, e conosceva le 3 leggi empiriche del moto dei pianeti formulate da Keplero. Conosceva il raggio terrestre con buona approssimazione (calcolato dagli antichi greci) e conosceva con approssimazione la distanza terra-luna pari circa a 60 raggi terrestri (calcolata durante le eclissi grazie all'ombra della terra proiettata sulla luna). Egli calcolò l'accelerazione centripeta della luna rispetto alla terra (conoscendo il periodo di rivoluzione della stessa attorno alla terra) e si accorse che il rapporto tra accelerazione di una "mela" in caduta libera sulla superficie terrestre e accelerazione centripeta della luna era pari circa a 3600, ovvero pari al quadrato del rapporto tra la distanza luna-terra (centro) e mela-terra (centro). Pura coincidenza o questa proporzione nascondeva un segreto? A questo punto ebbe la presunzione di estendere questa legge proporzionale all'inverso del quadrato della distanza (ecco la malefica induzione all'opera) al sistema solare, ed elaborò un modello teorico che descrivesse l'universo e comprendesse le 3 leggi empiriche di Keplero (deduzione), con verifica a posteriori della coerenza del modello stesso con i dati sperimentali.
Non ci si affida quindi né al solo dato empirico (le 3 leggi di Keplero) né alla sola induzione-deduzione (una forza centrale inversamente proporzionale al quadrato della distanza).
CitazioneL' induzione per un filosofo razionalista non é per niente "malefica" (concetto etico; e casomai é benefica, almeno se ne fa un uso assennato nell' interesse dell' umanità presente e futura; ma in realtà benefico o malefico é casomai l' uso che se ne fa).
Per un filosofo razionalista é semplicemente da sottoporre a critica razionalistica.
E questa ci dice che in linea di principio é dubitabile, che la sua validità non é né logicamente deducibile a priori né dimostrabile empiricamente a posteriori; che se si vuole essere razionalisti fino in fondo ci si deve rendere conto che la si crede (o per lo meno ci si comporta come se la si credesse) arbitrariamente, letteralmente "per fede".
Citazione di: sgiombo il 21 Febbraio 2017, 19:06:23 PM
Per un filosofo razionalista é semplicemente da sottoporre a critica razionalistica (l'induzione, nota mia).
E questa ci dice che in linea di principio é dubitabile, che la sua validità non é né logicamente deducibile a priori né dimostrabile empiricamente a posteriori; che se si vuole essere razionalisti fino in fondo ci si deve rendere conto che la si crede (o per lo meno ci si comporta come se la si credesse) arbitrariamente, letteralmente "per fede".
Singolare che tu credi alla scienza pur ritenendo razionalmente infondati i principi base del metodo scientifico, come tu dici in un altro post (dove critichi non solo l'induzione, ma anche la causalità).
Se hai assimilato la storiella che ho raccontato su Newton ti renderai conto che egli procede innanzitutto da certi effetti (osservati in natura o in esperimenti) alle possibili cause (induzione), per poi generalizzare queste cause ed assumere queste come ragione di tutti i possibili fenomeni che né derivano (deduzione), per poi verificarne la coerenza (verifica sperimentale). L'aspetto induttivo è parte di questo complesso procedimento, ma non né è l'unica componente e nemmeno la puoi isolare.
Citazione di: Eretiko il 21 Febbraio 2017, 20:15:33 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Febbraio 2017, 19:06:23 PM
Per un filosofo razionalista é semplicemente da sottoporre a critica razionalistica (l'induzione, nota mia).
E questa ci dice che in linea di principio é dubitabile, che la sua validità non é né logicamente deducibile a priori né dimostrabile empiricamente a posteriori; che se si vuole essere razionalisti fino in fondo ci si deve rendere conto che la si crede (o per lo meno ci si comporta come se la si credesse) arbitrariamente, letteralmente "per fede".
Singolare che tu credi alla scienza pur ritenendo razionalmente infondati i principi base del metodo scientifico, come tu dici in un altro post (dove critichi non solo l'induzione, ma anche la causalità).
Se hai assimilato la storiella che ho raccontato su Newton ti renderai conto che egli procede innanzitutto da certi effetti (osservati in natura o in esperimenti) alle possibili cause (induzione), per poi generalizzare queste cause ed assumere queste come ragione di tutti i possibili fenomeni che né derivano (deduzione), per poi verificarne la coerenza (verifica sperimentale). L'aspetto induttivo è parte di questo complesso procedimento, ma non né è l'unica componente e nemmeno la puoi isolare.
CitazioneNon vedo proprio nulla di singolare.
Credo fideisticamente in alcune conditiones sine qua non della conoscenza scientifica (come l' intersoggettività dei fenomeni materiali e il divenire ordinato dell' universo fisico), però non acriticamente, bensì rendendomi anche ben conto, da razionalista conseguente, del loro essere né dimostrabili logicamente, né verificabili empiricamente: Tutto qui!
Le generalizzazioni induttive delle proprie osservazioni da parte di Newton e di chiunque altro, come ha dimostrato il grande David Hume, non sono logicamente dimostrabili né empiricamente constatabili con certezza essere vere; possono solo essere credute tali (e per la cronaca tutte le persone comunemente considerate sane di mente lo fanno) solo arbitrariamente, letteralmente "per fede".
Non rendersene conto, ritenere razionalmente fondati i principi base del metodo scientifico, per usare le tue parole, significa cadere in illusioni irrazionalistiche; mentre rendersi conto dei limiti della razionalità (e dei limiti, delle condizioni, dell' autentico valore delle conoscenze scientifiche) significa essere più conseguentemente razionali che ignorarli.
E infatti ogni verifica sperimentale riguarda determinati fatti concreti (in numero finito), mentre le generalizzazioni dell' induzione (che ovviamente non sono tutto ciò che fa lo scienziato: bella scoperta! E irrilevante per la questione che discutiamo!) affermano la validità generale universale e costante, indefinita nel tempo e nello spazio di modalità del divenire che determinano il ripetersi universale indefinito di fatti simili in condizioni simili; per questo Popper, più correttamente, piuttosto che di verifica parla di falsificazione possibile.
Eretiko uno può credere nella validità del metodo scientifico anche se ritiene che in ultima analisi tale validità sia "indimostrabile" e quindi "infondata". In una discussione puramente filosofica si deve mettere in dubbio quanto più possibile. Il problema è che siccome non si può vivere di soli dubbi si devono giorno dopo giorno fare "atti di fede" più o meno ragionevoli. Personalmente ho fiducia nella scienza e per quanto mi è possibile combatto le pseudo-scienze. Ma il problema è che i sostenitori delle pseudoscienze non chiariscono mai il metodo utilizzato nelle loro analisi. Invece la forza della scienza è proprio dovuta al metodo e alla peer-review.
Esempio scemo: la Terra è piatta o no? Visto che le osservazioni satellittari, le osservazioni della curvatura dell'orizzonte e altre sostengono chiaramente che la Terra non è piatta allora dico che la Terra non è piatta. Un sostenitore della Terra piatta invece vive nel suo mondo e non accetta alcun argomento diverso. Con lui non è possibile stabilire un metodo di ricerca comune. Così come non è possibile stabilire un metodo di ricerca in comune con l'astrologo e simili.
Tutto questo però non significa che da un punto di vista filosofico non si possa mettere in dubbio la fondatezza di un metodo di ricerca. In un contesto come questa discussione si è invece invitati a verificare se l'esperienza giustifica certe asserzioni che si fanno sulla realtà o no. Oppure ci si deve chiedere se il ragionamento aprioristico può dare questo "servizio". Per me no e mi pare che già Hume abbia dimostrato che l'induzione è problematica. Wittgenstein è andato oltre e ha "dimostrato" che nemmeno un numero infinito di prove può distinguere una generalizzazione accidentale da una regolarità essenziale dei fenomeni. Inoltre mi pare ben chiaro che da quando è nato l'empirismo che il razionalismo è insufficiente.
In ogni caso alla scienza e al metodo scientifico non interessa la distinzione tra generalizzazioni accidentali e leggi. La scienza va avanti indipendentemente dal fatto che questo mondo sia "materialistico" o "idealistico" ecc. Tutto questo è fuori dal suo campo.
@sgiombo. Avere certezze infondate in realtà è proprio una forma di "misticismo". La ragione pretende la dimostrazione (ossia il fondamento) di tali certezze. Dire ad esempio che la Terra esiste da più di mille anni è fare un'affermazione indimostrabile e quindi a rigore "infondata". Tuttavia è una certezza ragionevole (ma NON razionale!) vista la quantità di indizi che abbiamo per tale affermazione. Anzi "la Terra esiste da più di mille anni" è una pseudo-proposizione empirica sulla quale poi fondiamo molti nostri comportamenti, abitudini...
Consiglio comunque il capolavoro di Wittgenstein "Della Certezza", il suo ultimo libro.
@paul11, concordo con quello che dici. La matematica è di per sé a priori ma la sua espressione è invece condizionata dall'esperienza (d'altronde nasciamo in un contesto sociale e non in completa solitudine). La sua applicazione alla natura è ragionevole, ma dire che con la scienza si è dimostrata una "regolarità essenziale" è dire una cosa falsa.
Citazione di: Apeiron il 22 Febbraio 2017, 12:31:44 PM
Eretiko uno può credere nella validità del metodo scientifico anche se ritiene che in ultima analisi tale validità sia "indimostrabile" e quindi "infondata". In una discussione puramente filosofica si deve mettere in dubbio quanto più possibile. Il problema è che siccome non si può vivere di soli dubbi si devono giorno dopo giorno fare "atti di fede" più o meno ragionevoli. Personalmente ho fiducia nella scienza e per quanto mi è possibile combatto le pseudo-scienze. Ma il problema è che i sostenitori delle pseudoscienze non chiariscono mai il metodo utilizzato nelle loro analisi. Invece la forza della scienza è proprio dovuta al metodo e alla peer-review.
Esempio scemo: la Terra è piatta o no? Visto che le osservazioni satellittari, le osservazioni della curvatura dell'orizzonte e altre sostengono chiaramente che la Terra non è piatta allora dico che la Terra non è piatta. Un sostenitore della Terra piatta invece vive nel suo mondo e non accetta alcun argomento diverso. Con lui non è possibile stabilire un metodo di ricerca comune. Così come non è possibile stabilire un metodo di ricerca in comune con l'astrologo e simili.
Tutto questo però non significa che da un punto di vista filosofico non si possa mettere in dubbio la fondatezza di un metodo di ricerca. In un contesto come questa discussione si è invece invitati a verificare se l'esperienza giustifica certe asserzioni che si fanno sulla realtà o no. Oppure ci si deve chiedere se il ragionamento aprioristico può dare questo "servizio". Per me no e mi pare che già Hume abbia dimostrato che l'induzione è problematica. Wittgenstein è andato oltre e ha "dimostrato" che nemmeno un numero infinito di prove può distinguere una generalizzazione accidentale da una regolarità essenziale dei fenomeni. Inoltre mi pare ben chiaro che da quando è nato l'empirismo che il razionalismo è insufficiente.
In ogni caso alla scienza e al metodo scientifico non interessa la distinzione tra generalizzazioni accidentali e leggi. La scienza va avanti indipendentemente dal fatto che questo mondo sia "materialistico" o "idealistico" ecc. Tutto questo è fuori dal suo campo.
@sgiombo. Avere certezze infondate in realtà è proprio una forma di "misticismo". La ragione pretende la dimostrazione (ossia il fondamento) di tali certezze. Dire ad esempio che la Terra esiste da più di mille anni è fare un'affermazione indimostrabile e quindi a rigore "infondata". Tuttavia è una certezza ragionevole (ma NON razionale!) vista la quantità di indizi che abbiamo per tale affermazione. Anzi "la Terra esiste da più di mille anni" è una pseudo-proposizione empirica sulla quale poi fondiamo molti nostri comportamenti, abitudini...
Consiglio comunque il capolavoro di Wittgenstein "Della Certezza", il suo ultimo libro.
@paul11, concordo con quello che dici. La matematica è di per sé a priori ma la sua espressione è invece condizionata dall'esperienza (d'altronde nasciamo in un contesto sociale e non in completa solitudine). La sua applicazione alla natura è ragionevole, ma dire che con la scienza si è dimostrata una "regolarità essenziale" è dire una cosa falsa.
CitazioneConcordo su tutto tranne sul fatto che Wittgenstein avrebbe superato Hume (circa l' infondabilità dell' induzione) e sul concetto di "misticismo".
Avere certezze infondate essendo consapevoli della loro infondatezza é (in una certa misura), volendo essere rigorosi, una forma di irrazionalismo (o di razionalismo non conseguente; si potrebbe forse dire di "ragionevolezza", posto che il razionalismo conseguente secondo me coincide con lo scetticismo, il quale non é conseguentemente compatibile con azioni finalizzate che si servano di mezzi ritenuti efficace, ma condannerebbe chi volesse essere conseguente all' inerzia pratica).
Misticismo per me é avere certezze infondate acriticamente, nell' inconsapevolezza del loro essere infondate, e inoltre "non naturalistiche", "soprannaturalistiche", "paranormali" e così via.
Citazione di: Apeiron il 22 Febbraio 2017, 12:31:44 PM@paul11, concordo con quello che dici. La matematica è di per sé a priori ma la sua espressione è invece condizionata dall'esperienza (d'altronde nasciamo in un contesto sociale e non in completa solitudine). La sua applicazione alla natura è ragionevole, ma dire che con la scienza si è dimostrata una "regolarità essenziale" è dire una cosa falsa.
Guarda che alla fine, non la penso poi tanto diversamente da te.
La scienza, come dicevo con l'esempio dadi,si "approssima", ma non arriva ad une certezza e questo riguarda tutto
La regolarità, la ripetizione ciclica temporale di un fenomeno è la prima forma di costruzione analogica fra nostra mente e mondo e prima di tutto è intuitiva.
L'essenza non è un termine scientifico è filosofico. E a mio modo personale di vedere implica la coscienza e la relazione che non si arresta all'induzione/deduzione scientifica, ma va oltre ,arriva a quello che si definisce meta-fisica.
Citazione di: sgiombo il 21 Febbraio 2017, 18:30:49 PM
Citazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 22:47:14 PM
In ogni caso non riusciamo mai a distinguere una generalizzazione accidentale da una vera regolarità (e qui il mio scetticismo va oltre Hume e segue WIttgenstein). Infatti con l'induzione, anche se essa disponesse di un numero infinito di prove non potrebbe dimostrare una "legge", o meglio non può distinguere tra una "legge" e una mera "generalizzazione accidentale".
CitazioneRiprendo questa affermazione per un chiarimento (che potrebbe forse avere a che fare con le differenze fra le tesi di Hume e di Wittgenstein).
Secondo me per Hume l'induzione, anche se essa disponesse di un numero infinito di prove nel senso dell' infinito in potenza non potrebbe dimostrare una "legge", o meglio non può distinguere tra una "legge" e una mera "generalizzazione accidentale".
"Nel senso dell' infinito in potenza", cioé intendendosi con queste frasi che per quante siano (illimitatamente nel passato e presente) le osservazioni che puntualmente rispettano la presunta legge non é né sarà mai contraddittorio pensare che (= é e sarà sempre possibile che) la prossima volta (in futuro) non la rispetteranno.
Fin qui Hume.
Ma se invece consideriamo (ipoteticamente, e per assurdo, da uomini quali siamo; sarebbe casomai possibile a un -a sua volta ulteriormente ipotetico- dio infinito onnisciente) un' "induzione -?-" che disponesse di un numero infinito di prove nel senso dell' infinito in atto, cioé che disponesse della conoscenza di tutte le infinite osservazioni possibili dei fatti reali, allora potrebbe discernere se vige una "legge" o se invece siano accadute solo eventuali mere "generalizzazione accidentale"; peraltro non si tratterebbe più propriamente di induzione ma di constatazione empirica diretta.
Infatti il motivo dell' infondatezza (o meglio infondabilità) "humeiana" dell' induzione sta nell' incompletezza delle osservazioni (per quanto infinite in potenza siano): sempre indefinitamente verso il futuro (infinitamente in potenza) ogni prossima volta ciò che é stato immancabilmente osservato potrebbe non accadere più in quei termini;
Ma invece in caso (sempre ipotetico; ammesso e non concesso da parte nostra di uomini) di completezza delle osservazioni (finite o infinite in atto che siano) discernere sarebbe possibile.
Nel senso che se nel 100%, nella totalità senza eccezioni dei casi (finiti qualora l' universo avesse un inizio e una fine -una durata; nonché un' estensione spaziale- finita, o infiniti che siano ad "A" succede" "B" allora ciò significa (per questo si intende) che esiste la legge fisica per cui ad "A" segue "B"; mentre se vi sono eccezioni (anche una sola), allora ciò significa (con ciò si intende) che non c' é legge ma invece eventuali mere generalizzazioni accidentali.
Citazione di: Apeiron il 22 Febbraio 2017, 12:31:44 PM
Tutto questo però non significa che da un punto di vista filosofico non si possa mettere in dubbio la fondatezza di un metodo di ricerca. In un contesto come questa discussione si è invece invitati a verificare se l'esperienza giustifica certe asserzioni che si fanno sulla realtà o no. Oppure ci si deve chiedere se il ragionamento aprioristico può dare questo "servizio". Per me no e mi pare che già Hume abbia dimostrato che l'induzione è problematica. Wittgenstein è andato oltre e ha "dimostrato" che nemmeno un numero infinito di prove può distinguere una generalizzazione accidentale da una regolarità essenziale dei fenomeni. Inoltre mi pare ben chiaro che da quando è nato l'empirismo che il razionalismo è insufficiente.
In ogni caso alla scienza e al metodo scientifico non interessa la distinzione tra generalizzazioni accidentali e leggi. La scienza va avanti indipendentemente dal fatto che questo mondo sia "materialistico" o "idealistico" ecc. Tutto questo è fuori dal suo campo.
Si continua a puntare il dito sull'induzione quando il vero imputato qui è la "causalità", più precisamente la sua necessità. Mi limito alle scienze naturali: se la causalità non è necessaria allora non potremmo mai elaborare alcuna teoria fisica sul mondo, perché un qualsiasi evento che osservo potrebbe essere causato da chissà quali e quante cause che hanno origine in chissà quale parte remota dell'universo, con la conseguenza che tutto quello che usiamo quotidianamente funziona solo per un caso fortuito o per magia. Ma se la scienza funziona, il filosofo, convinto che non ci sia magia, potrebbe anche chiedersi "come mai funziona se il metodo che segue sembra non avere fondamento né razionale né empirico?" invece di dubitare eternamente sul metodo.
Citazione di: Eretiko il 22 Febbraio 2017, 17:33:59 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Febbraio 2017, 12:31:44 PMTutto questo però non significa che da un punto di vista filosofico non si possa mettere in dubbio la fondatezza di un metodo di ricerca. In un contesto come questa discussione si è invece invitati a verificare se l'esperienza giustifica certe asserzioni che si fanno sulla realtà o no. Oppure ci si deve chiedere se il ragionamento aprioristico può dare questo "servizio". Per me no e mi pare che già Hume abbia dimostrato che l'induzione è problematica. Wittgenstein è andato oltre e ha "dimostrato" che nemmeno un numero infinito di prove può distinguere una generalizzazione accidentale da una regolarità essenziale dei fenomeni. Inoltre mi pare ben chiaro che da quando è nato l'empirismo che il razionalismo è insufficiente. In ogni caso alla scienza e al metodo scientifico non interessa la distinzione tra generalizzazioni accidentali e leggi. La scienza va avanti indipendentemente dal fatto che questo mondo sia "materialistico" o "idealistico" ecc. Tutto questo è fuori dal suo campo.
Si continua a puntare il dito sull'induzione quando il vero imputato qui è la "causalità", più precisamente la sua necessità. Mi limito alle scienze naturali: se la causalità non è necessaria allora non potremmo mai elaborare alcuna teoria fisica sul mondo, perché un qualsiasi evento che osservo potrebbe essere causato da chissà quali e quante cause che hanno origine in chissà quale parte remota dell'universo, con la conseguenza che tutto quello che usiamo quotidianamente funziona solo per un caso fortuito o per magia. Ma se la scienza funziona, il filosofo, convinto che non ci sia magia, potrebbe anche chiedersi "come mai funziona se il metodo che segue sembra non avere fondamento né razionale né empirico?" invece di dubitare eternamente sul metodo.
Se posso,,Eretiko.
Gli umani vivevano tranquillamente anche pensando che la terra fosse piatta e finisse alle colonne d'Ercole.
Per loro "funzionava" così come oggi pensiamo che "funzioni" in altro modo e chissà fra mille anni come si pensa che "funzionerà".
Loro pensavano ad altre cause che non sono le nostre, ma vedevano gli effetti, i risultati
Citazione di: Eretiko il 22 Febbraio 2017, 17:33:59 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Febbraio 2017, 12:31:44 PM
Tutto questo però non significa che da un punto di vista filosofico non si possa mettere in dubbio la fondatezza di un metodo di ricerca. In un contesto come questa discussione si è invece invitati a verificare se l'esperienza giustifica certe asserzioni che si fanno sulla realtà o no. Oppure ci si deve chiedere se il ragionamento aprioristico può dare questo "servizio". Per me no e mi pare che già Hume abbia dimostrato che l'induzione è problematica. Wittgenstein è andato oltre e ha "dimostrato" che nemmeno un numero infinito di prove può distinguere una generalizzazione accidentale da una regolarità essenziale dei fenomeni. Inoltre mi pare ben chiaro che da quando è nato l'empirismo che il razionalismo è insufficiente.
In ogni caso alla scienza e al metodo scientifico non interessa la distinzione tra generalizzazioni accidentali e leggi. La scienza va avanti indipendentemente dal fatto che questo mondo sia "materialistico" o "idealistico" ecc. Tutto questo è fuori dal suo campo.
Si continua a puntare il dito sull'induzione quando il vero imputato qui è la "causalità", più precisamente la sua necessità. Mi limito alle scienze naturali: se la causalità non è necessaria allora non potremmo mai elaborare alcuna teoria fisica sul mondo, perché un qualsiasi evento che osservo potrebbe essere causato da chissà quali e quante cause che hanno origine in chissà quale parte remota dell'universo, con la conseguenza che tutto quello che usiamo quotidianamente funziona solo per un caso fortuito o per magia. Ma se la scienza funziona, il filosofo, convinto che non ci sia magia, potrebbe anche chiedersi "come maio che segue sembra non avere fondamento né razionale né empirico?" invece di dubitare eternamente sul metodo.
funziona se il metod
CitazioneMi sembra che a te interessi la scienza ma per nulla la filosofia (non ti poni certi problemi "filosofici"): niente male, puoi tranquillamente continuare a credere (vivendo più che bene, in base alle tue esigenze di conoscenza) che l' induzione, la quale consente alla scienza di stabilire leggi generali del divenire naturale in base alle quali é possibile ragionare circa rapporti causa-effetto fra gli eventi, sia stata dimostrata da Newton e non renderti conto che invece non é né dimostrabile logicamente a priori né constatabile empiricamente a posteriori (il che non impedisce a nessuno di crederla veritiera e certa, nè tantomeno di comportarsi come se fosse certo che é veritiera).
Però allo stesso modo noi filosofi, che abbiamo (anche) altri interessi, fra cui quello di sottoporre a critica razionale conseguente "tutto", compresa la conoscenza scientifica che crediamo vera, possiamo rilevare (innanzitutto con David Hume) che la conoscenza scientifica stessa si regge (anche) su alcune conditiones sine qua non razionalmente infondate e infondabili.
Ti chiedo: e perché mai la scienza non dovrebbe funzionare per il semplice fatto che la veridicità dell' induzione, che ne é una coniditio sine qua non, non ha fondamento razionale (né logico né empirico) e dunque é in linea teorica, di principio dubbia?
Dal fatto che non ha fondamento razionale, che é dubbia in linea teorica o di principio non consegue affatto la necessità logica che non funzioni! Ergo: può benissimo funzionale, come tutti i non-pazzi di fatto credono o per lo meno si comportano come se lo credessero.
Citazione di: sgiombo il 22 Febbraio 2017, 21:33:27 PM
Però allo stesso modo noi filosofi, che abbiamo (anche) altri interessi, fra cui quello di sottoporre a critica razionale conseguente "tutto", compresa la conoscenza scientifica che crediamo vera, possiamo rilevare (innanzitutto con David Hume) che la conoscenza scientifica stessa si regge (anche) su alcune conditiones sine qua non razionalmente infondate e infondabili.
Proprio per questo suggerivo che la riflessione filosofica potesse essere ribaltata, ma la sfida non è stata raccolta. Visto che tu conosci molto bene Hume dovresti sapere che la sua critica all'induzione è subalterna alla sua critica sulla presunta "causalità" dei fenomeni naturali. Perché se ammetti che la causalità è necessaria allora l'induzione non è più un problema (fermo restando che uno riesca a trovare il nesso causale e ad estenderlo), altrimenti tutto diventa ipotetico e con le ipotesi non si mandano a spasso per l'universo i nostri manufatti, né si può costruire quel dispositivo che stiamo utilizzando qui per inserire messaggi in un forum, né si possono fare predizioni attendibili. Allora la riflessione (razionale) dovrebbe spostarsi ad un altro livello: da dove deriva la nostra certezza (o credenza) che in natura la causalità è necessaria, se questo non è razionalmente ed empiricamente dimostrabile ma nemmeno indimostrabile?
Citazione di: Eretiko il 23 Febbraio 2017, 09:34:27 AM
Citazione di: sgiombo il 22 Febbraio 2017, 21:33:27 PM
Però allo stesso modo noi filosofi, che abbiamo (anche) altri interessi, fra cui quello di sottoporre a critica razionale conseguente "tutto", compresa la conoscenza scientifica che crediamo vera, possiamo rilevare (innanzitutto con David Hume) che la conoscenza scientifica stessa si regge (anche) su alcune conditiones sine qua non razionalmente infondate e infondabili.
Proprio per questo suggerivo che la riflessione filosofica potesse essere ribaltata, ma la sfida non è stata raccolta. Visto che tu conosci molto bene Hume dovresti sapere che la sua critica all'induzione è subalterna alla sua critica sulla presunta "causalità" dei fenomeni naturali. Perché se ammetti che la causalità è necessaria allora l'induzione non è più un problema (fermo restando che uno riesca a trovare il nesso causale e ad estenderlo), altrimenti tutto diventa ipotetico e con le ipotesi non si mandano a spasso per l'universo i nostri manufatti, né si può costruire quel dispositivo che stiamo utilizzando qui per inserire messaggi in un forum, né si possono fare predizioni attendibili. Allora la riflessione (razionale) dovrebbe spostarsi ad un altro livello: da dove deriva la nostra certezza (o credenza) che in natura la causalità è necessaria, se questo non è razionalmente ed empiricamente dimostrabile ma nemmeno indimostrabile?
CitazioneProprio non capisco: proprio perché noi filosofi sottoponiamo tutto, anche la scienza al vaglio della critica razionale tu suggerivi che la riflessione filosofica potesse essere ribaltata nell' accettazione acritica e irrazionale di dogmi (cioé nel suo contrario)?
Comunque noi amanti e cultori della filosofia (se posso permettermi di parlare anche per altri) abbiamo raccolto -eccome!- la tua sfida argomentando razionalmente circa l' infondabilità (e dunque infondatezza) razionale dell' induzione (e dunque la sua non certezza ovvero dubitabilità in linea teorica o di principio). E infatti qui sono costretto a ripetermi (niente di male, o faccio volentieri).
Io ammetto solo che la causalità, che necessita, per essere reale (perché il crederla sia vero) della veridicità dell' induzione la quale non é razionalmente fondabile e dunque in linea teorica o di principio dubitabile, é necessaria come conditio sine qua non perché la conoscenza scientifica (vera) sia possibile; e non che sia vera necessariamente in linea teorica o di principio (cioé sicuramente, in maniera razionalmente fondata, per deduzione logica o per constatazione empirica): é invece solo infondatamente, irrazionalmente, per fede credibile (e ovviamente da me creduta) essere vera.
Infatti David Hume ci ha insegnato che la causalità é indimostrabile logicamente e non constatabile empiricamente e dunque in linea di principio, teorica degna di dubbio proprio perché lo é la verità dell' induzione.
Mi piacerebbe riuscire a farti capire che in linea teorica, di principio infatti tutto diventa ipotetico, ma a quanto pare con le ipotesi (con determinate ipotesi, fra le quali la veridicità dell' induzione) di fatto, credendole infondatamente, arbitrariamente, fideisticamente vere, si mandano a spasso per l'universo i nostri manufatti, si può costruire quel dispositivo che stiamo utilizzando qui per inserire messaggi in un forum, si possono fare predizioni attendibili (ritenute tali in ultima analisi fideisticamente, ma dalla fondatezza incomparabile con quelle della magia, superstizioni, astrologia, ecc., che infatti a quanto pare invece non funzionano affatto se non rarissimamente e per puro caso).
Già David Hume stesso, con la tesi dell' "abitudine", aveva cominciato a dare una risposta razionale (e naturalistica) alla domanda "da dove deriva la nostra certezza (o credenza) che in natura la causalità è necessaria, se questo non è razionalmente ed empiricamente dimostrabile ma nemmeno indimostrabile?".
E la scienza biologica, con la teoria dell' evoluzione delle specie per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, ha potuto sviluppare e chiarire molto bene quest' altra geniale intuizione humeiana: (se, come é in ultima analisi indimostrabile ma credo la conoscenza scientifica é vera, allora) in una natura che diviene secondo modalità o leggi universali e costanti possono sopravvivere solo animali che, se scarsamente sviluppati filogeneticamente si comportano come se credessero che (e comunque conformemente al fatto che) così stanno le cose e non invece a prescinderne, mentre a un sufficiente grado di sviluppo evolutivo si comportano così credendo che così stiano le cose (per una tendenza comportamentale istintiva geneticamente determinata che si é rivelata non in contrasto -anzi!-* con la sopravvivenza e riproduzione di chi la presenta; tendenza istintiva che, a un grado di ulteriore sofisticazione evolutiva -unicamente umano a quanto pare- può anche essere razionalmente criticata e messa in dubbio e dimostrata essere in linea teorica, di principio effettivamente non razionalmente fondabile con certezza).
__________________
* Ma, alla faccia di un certo antiscientifico "fondamentalismo selettivo" a mio parere di origine "dawkinsiana" molto efficacemente criticato e confutato fra gli altri dal grande (e compianto) Stephen Jay Gould, bastava che non fosse troppo in contrasto, senza necessariamente essere esasperatamente "iperadattativa" in seguito a presunte "pressioni evolutive" di inaudita violenza: al vaglio, alquanto "a maglie larghe", della selezione naturale non passa solo il "perfettamente adattativo" (non solo "i supercampionisssimi alla Eddy Merckx"), ma anche il "non troppo inadattativo" (tutti, tranne "i superbrocchi alla Daniel Pedrosa o alla Riccardo Paterse"); e per fortuna, poiché variando continuamente l' ambiente i "troppo adatti" a come l' ambiente é per un determinato periodo tendono ad essere inesorabilmente eliminati dalla selezione naturale al primo inevitabile serio cambiamento e sopravvivono solo le specie dai geni "non troppo egoisti ma anzi piuttosto altruisti", che non hanno "nazisticamente" eliminato completamente quelli relativamente meno adatti all' ambiente di allora.
Mi scuso per la digressione polemica: sono un provocatore istintivo, amante (oltre che della filosofia, anche) della polemica.
Prenderei in considerazione la "sfida" di Eretiko, a mio modesto parere ha ragione di porselo, tutto poggia su un principio tautologico che per definizione non informa e rende il ragionamento circolare. Ma è un' evidenza PER NOI umani da cui iniziamo a costruire il castello della conoscenza. Un sasso non mi informa se non per onde elettromagnetiche che colpiscono gli organi sensoriali: il sasso è passivo è il mio cervello semmai che è attivo a elaborare e trasmutare nei neuroni e sinapsi.Ma questo vuol dire che linguisticamente noi "accomodiamo" secondo il nostro organismo, la nostra materia organica. allora significa che vedo, percepisco, ascolto ,"sento" ciò che è percepibile da me e dai miei simili (questo è importante affinchè possiamo comunicare a nostra volta fra noi umani e costruire almeno una convenzione di base da cui iniziare). E' quindi impossibile scindere soggetto e oggetto , realtà a prescindere da noi e realtà percepita da noi, ma ancora di più ciò che la mente elabora dalle informazioni del cervello.
Non esiste una verità a prescindere ,se non metafisicamente ed ecco appunto l'approssimazione al caso dei dadi per cercare di razionalizzarli, vale a dire dargli un percorso leggibile che noi definiamo causa-effetto tradotto nei simboli matematici.
Noi cerchiamo di appropriarci del senso , del percorso fra la causa prima e l'effetto finale per avere sotto controllo l'intero processo. E' sicuramente induttivo/deduttivo, perchè continuiamo a relazionare i particolari alla legge che sintetizza e di nuovo se quella legge che dovrebbe essere universale per una categoria di fenomeni mantenga quel processo sotto controllo.
Quindi, il sasso non mi dice la sua composizione fisico/chimica, da dove proviene, ecc. E' il patrimonio della conoscenza che correla relazionando fra loro più conoscenze (fisica, geologia,chimica ecc.)
** scritto da Eretiko:
CitazioneAllora la riflessione (razionale) dovrebbe spostarsi ad un altro livello: da dove deriva la nostra certezza (o credenza) che in natura la causalità è necessaria, se questo non è razionalmente ed empiricamente dimostrabile ma nemmeno indimostrabile?
...risposta di
sgiombo:
Citazioneé invece solo infondatamente, irrazionalmente, per fede credibile (e ovviamente da me creduta) essere vera.
Sono commosso :'( ...e poi qualcuno sostiene che: Cu' nasci tunnu un po' moriri pisci spata! ;D ;D ;D
Citazione di: Duc in altum! il 23 Febbraio 2017, 14:52:38 PM
Sono commosso :'( ...e poi qualcuno sostiene che: Cu' nasci tunnu un po' moriri pisci spata! ;D ;D ;D
O anche, con tono meno poetico: chi nasce quadrato non può morire rotondo.
@Eretiko (ma rispondo un po' a tutti notando la somiglianza della mia posizione con la posizione di paul11 e sgiombo),
direi che per risolvere la questione possiamo dividerla in vari livelli.
Livello 1: da dove deriva la certezza che la natura sia regolare? Può essere l'esperienza/induzione o la riflessione razionale/deduzione a-prioristica?
Livello 2: supponendo che la natura (meglio: il "corso" dei fenomeni) sia regolare in qualche modo ci è assicurato che possiamo conoscere tali regolarità?
Livello 3: supponendo che riusciamo a conoscere tali regolarità qual è il rapporto con le nostre teorie? In alternativa: i nostri concetti potranno un giorno darci una completa spiegazione delle cose? Ossia potremo dire su qualsiasi fenomeno un'affermazione sicura come lo è "2+2=4"?
Livello 4 (e qui si passa alla probabilità): cosa significa che un evento è casuale? Come fa ad esserci un evento davvero casuale se ad esempio l'evento non è esattamente ripetibile? E questo ci porta alla seguente domanda: ci sono davvero eventi ripetibili?
In ogni caso comunque la mia domanda è appunto: perchè la scienza (o il metodo scientifico) funziona? Nemmeno io dubito sul metodo, tuttavia riconosco quanto non sia ovvio tale "miracolo" :)
Mie risposte:
Livello 1: né l'esperienze, né la pura riflessione aprioristica ci possono dare le risposte cercate. Tuttavia un "istinto naturale", una "fede credibile" (sì Duc concordo con te che credere in qualcosa è necessario ;D ), un "misticismo ragionevole" ci suggeriscono che è così. Tuttavia l'origine di questa certezza è non-razionale, quindi è una posizione strettamente parlando "infondata". Perciò una proposizione come "i fenomeni della natura presentano una certa regolarità" non è una vera proposizione empirica ma ne ha solo la forma: su di essa basiamo tutto il nostro agire.
Livello 2: Nuovamente no e questo ce lo ha insegnato Hume. Tuttavia nuovamente ho molta reticenza a dire che oggi la Relatività Generale non sia più vicina alla verità sulla gravità della teoria di Newton. Nuovamente però visto che il futuro è imprevedibile e visto che abbiamo una quantità enorme ma comunque finita di dati "filosoficamente" non potremo nemmeno dare questa conclusione. Vista però la mole di indizi a favore di questa sua posizione la riteniamo vera.
Livello 3: Questa posizione ricorda il "demone" di Laplace, però è una versione più "sofisticata". In questo caso infatti si potrebbe anche dire: potremo mai avere una teoria - anche solo ipoteticamente - che possa fornire una (attenzione: una, non l'unica!!!!!) spiegazione di ogni fenomeno? Ossia è possibile fare un "ritratto perfetto" della natura? Ma in realtà questo segue dalla 2, ammesso ad esempio di parlare appunto di intelligenze superiori alla nostra umana. Se è vero che ad esempio la Relatività Generale è più vicina alla verità di quella di Newton allora ne segue direttamente che ci sono gerarchie tra le teorie. Ergo non è impossibile pensare che questa gerarchia abbia un limite, oltre che una direzione. Questo è un altro argomento che mi da un convincimento che concetti come "vera realtà", "conoscenza perfetta" ecc non siano mere invenzioni dei filosofi ma che siano autentiche possibilità. Sul fatto che esistano queste "oggettività", "verità"o anche addirittura "menti superiori" ecc si è liberi di credere. Personalmente ritengo che una tale "verità" ci sia ma per noi è inacessibile (oracolo di Delfi: "ragiona come un mortale!").
Livello 4: Qui in realtà si arriva all'ultimo livello della questione. Ci sono davvero eventi ripetibili? In meccanica quantistica, almeno nell'interpretazione usuale, l'assunzione che tali eventi siano una realtà è ancora più forte che in meccanica classica, altrimenti il discorso della probabilità non ha senso. Questo è un motivo per cui alcuni hanno ad esempio appoggiato l'interpretazione deterministica di Bohm. D'altronde almeno macroscopicamente l'universo è in continua mutazione ed è veramente impossibile dire che due eventi siano esattamente identici a questo livello. Perchè dovrebbe esserlo a livello microscopico? Davvero la freccia del tempo non da alcun effetto? Personalmente questo è un problema che mi attanaglia da molto. A mio giudizio la casualità degli eventi microscopici non è reale ma non è nemmeno reale il determinismo. Secondo il mio parere entrambi sono falsi (non possiamo davvero credere che tutto sia determinato, anche il determinista d'altronde guarda prima di attraversare la strada ;D ).
Pensare che la risposta breve alla domanda iniziale era di una riga. In sostanza è stato come aprire il vaso di Pandora!
P.S. sgiombo la tua osservazione sulla distinzione degli infiniti merita una risposta migliore di quella che potrei darti ora. Comunque è un discorso interessantissimo.
Citazione di: Duc in altum! il 23 Febbraio 2017, 14:52:38 PM
** scritto da Eretiko:
CitazioneAllora la riflessione (razionale) dovrebbe spostarsi ad un altro livello: da dove deriva la nostra certezza (o credenza) che in natura la causalità è necessaria, se questo non è razionalmente ed empiricamente dimostrabile ma nemmeno indimostrabile?
...risposta di sgiombo:
Citazioneé invece solo infondatamente, irrazionalmente, per fede credibile (e ovviamente da me creduta) essere vera.
Sono commosso :'( ...e poi qualcuno sostiene che: Cu' nasci tunnu un po' moriri pisci spata! ;D ;D ;D
CitazioneNon capisco a cosa alluda la metafora, ed essendo eridaneo (nato sulla riva sinistra del Po nel bel mezzo del suo decorso; avrei scritto "padano" se i leghisti, abusandone indegnamente, non mi avessero reso del tutto indigesto questo aggettivo di cui da bambino andavo giustamente e non sciovinisticamente fiero) non sono sicuro di aver capito il dialetto (che più che napoletano mi sembrerebbe siciliano).
Ma se, come credo, significa che chi é nato tonno non può morire pesce spada ne dubito assai: sono nato in una famiglia cattolica molto convinta e praticante ma mi stupirei tantissimo se non morissi ateo - "mangiapreti" quale sono diventato da quando ho cominciato a ragionare con la mia testa.
Ti saluto comunque con sincera simpatia!
Citazione di: Apeiron il 23 Febbraio 2017, 20:24:09 PM
Livello 4: Qui in realtà si arriva all'ultimo livello della questione. Ci sono davvero eventi ripetibili? In meccanica quantistica, almeno nell'interpretazione usuale, l'assunzione che tali eventi siano una realtà è ancora più forte che in meccanica classica, altrimenti il discorso della probabilità non ha senso. Questo è un motivo per cui alcuni hanno ad esempio appoggiato l'interpretazione deterministica di Bohm. D'altronde almeno macroscopicamente l'universo è in continua mutazione ed è veramente impossibile dire che due eventi siano esattamente identici a questo livello. Perchè dovrebbe esserlo a livello microscopico? Davvero la freccia del tempo non da alcun effetto? Personalmente questo è un problema che mi attanaglia da molto. A mio giudizio la casualità degli eventi microscopici non è reale ma non è nemmeno reale il determinismo. Secondo il mio parere entrambi sono falsi (non possiamo davvero credere che tutto sia determinato, anche il determinista d'altronde guarda prima di attraversare la strada ;D ).
CitazioneL' unico mio motivo di perplessità da tutto il tutto discorso (soprattutto da ciò che ne ho tagliato, con cui concordo in pieno) sta nell' ultima affermazione.
O meglio, forse ho capito ma ho bisogno di un chiarimento.
Secondo me per definizione, analiticamente a priori, indipendentemente da come é di fatto la realtà, come mera ipotesi su di essa, se la realtà stessa muta, allora può darsi:
o divenire ordinato, relativo, parziale nel quale siano astraibili caratteristiche fisse, immutabili, universali e costanti (rendendo possibile la conoscenza scientifica e valutazioni etiche degli agenti intenzionali; una sorta di sintesi dialettica fra fissità integrale-assoluta, "parmenidea"-tesi- e mutamento integrale assoluto, caotico, antitesi);
oppure mutamento caotico, casuale:
tertiun non datur.
A meno che per il "teritum" non si intenda un divenire "ordinato in senso debole", cioé probabilistico - statistico (anziché forte, meccanicistico - deterministico: costanza, prevedibilità e calcolabilità, necessità non di ciascun singolo evento ma delle proporzioni fra più eventi reciprocamente alternativi in serie sufficientemente numerose di casi.
E questo é forse ciò che intendi dire.
Mi fa comunque molto piacere che le mie considerazioni sulla "problematicità logica" (diciamo così) di questa variante lasca di divenire ordinato (che del tutto soggettivamente può altrettanto a buon diritto anche essere considerata una variante lasca di indeterminismo), sulle quali io stesso non ho le idee del tutto chiare e sono quindi molto interessato alle osservazioni tue, di Paul11, Phil e degli, altri ti inducano ad ulteriorim riflessioni.
Una domanda curiosa, non ingenua, che applica lo scetticismo allo stesso scetticismo:
con quali tecniche, principi logici, verifiche empiriche, Hume o Wittgenstein possono dimostrare a chi invece sostiene la certezza contraria che la realtà non è regolare oppure che il principio dell'induzione è fallace?
Non stanno anch'essi ricorrendo all'induzione? Oppure hanno inventato una nuova tecnica logica?
Citazione di: paul11 il 23 Febbraio 2017, 13:30:57 PM
E' quindi impossibile scindere soggetto e oggetto , realtà a prescindere da noi e realtà percepita da noi, ma ancora di più ciò che la mente elabora dalle informazioni del cervello.
Questo è vero quando indaghiamo il mondo microscopico dove l'interazione di uno strumento di misura con l'oggetto dell'osservazione non può essere trascurato ma nel mondo macroscopico la questione diventa (o può diventare) irrilevante, nel senso che se ad esempio tu usi fotocellule per rilevare il tempo impiegato da un'auto che compie un giro durante una gara puoi tranquillamente trascurare l'effetto del raggio di luce che colpisce l'auto (il raggio di luce incidente trasferirà parte della sua quantità di moto all'auto).
E per lo stesso motivo non sperimenti l'interazione di un raggio laser dell'autovelox con la tua auto se non a posteriori quando ti arriva la multa a casa.
Citazione di: sgiombo il 23 Febbraio 2017, 12:04:15 PM
CitazioneProprio non capisco: proprio perché noi filosofi sottoponiamo tutto, anche la scienza al vaglio della critica razionale tu suggerivi che la [/size]riflessione filosofica potesse essere ribaltata nell' accettazione acritica e irrazionale di dogmi (cioé nel suo contrario)?
Comunque noi amanti e cultori della filosofia (se posso permettermi di parlare anche per altri) abbiamo raccolto -eccome!- la tua sfida argomentando razionalmente circa l' infondabilità (e dunque infondatezza) razionale dell' induzione (e dunque la sua non certezza ovvero dubitabilità in linea teorica o di principio). E infatti qui sono costretto a ripetermi (niente di male, o faccio volentieri).
Non suggerisco alcuna accettazione dogmatica, ma non mi sembra accettabile nemmeno il fideismo cui tu ti affidi per il semplice motivo che "così funziona".
E proprio perché la legge di causalità non è razionalmente né vera né falsa, mi interessa capire il motivo per il quale noi la crediamo vera, con l'ovvia constatazione, ma a posteriori, che essa funziona per ottenere una descrizione del mondo.
Citazione di: Apeiron il 23 Febbraio 2017, 20:24:09 PM
In ogni caso comunque la mia domanda è appunto: perchè la scienza (o il metodo scientifico) funziona? Nemmeno io dubito sul metodo, tuttavia riconosco quanto non sia ovvio tale "miracolo" :)
Indubbiamente la legge causale non è né dimostrabile né confutabile per via logica, non è quindi né vera né falsa; possiamo assumere che essa è un principio euristico, una guida per orientarci nel groviglio degli eventi?
Oppure potremmo accettare la spiegazione di Kant che proprio sulla base dello scetticismo di Hume proponeva di porre la causalità tra quelle categorie "a priori" che non possono essere dimostrate con la logica e che sono plasmate nel nostro intelletto pur non derivando dall'esperienza (come ad esempio i concetti di spazio e tempo)?
Di sicuro possiamo dire che se l'universo non fosse "razionale" noi non potremmo indagarlo, forse nemmeno in modo probabilistico, e forse una spiegazione potrebbe essere appunto il fatto che noi siamo esseri razionali parte di un universo razionale e quindi la causalità, per dirla alla Kant, è innata nel nostro intelletto.
Citazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 12:08:30 PMCitazione di: Apeiron il 23 Febbraio 2017, 20:24:09 PMIn ogni caso comunque la mia domanda è appunto: perchè la scienza (o il metodo scientifico) funziona? Nemmeno io dubito sul metodo, tuttavia riconosco quanto non sia ovvio tale "miracolo" :)
Indubbiamente la legge causale non è né dimostrabile né confutabile per via logica, non è quindi né vera né falsa; possiamo assumere che essa è un principio euristico, una guida per orientarci nel groviglio degli eventi? Oppure potremmo accettare la spiegazione di Kant che proprio sulla base dello scetticismo di Hume proponeva di porre la causalità tra quelle categorie "a priori" che non possono essere dimostrate con la logica e che sono plasmate nel nostro intelletto pur non derivando dall'esperienza (come ad esempio i concetti di spazio e tempo)? Di sicuro possiamo dire che se l'universo non fosse "razionale" noi non potremmo indagarlo, forse nemmeno in modo probabilistico, e forse una spiegazione potrebbe essere appunto il fatto che noi siamo esseri razionali parte di un universo razionale e quindi la causalità, per dirla alla Kant, è innata nel nostro intelletto.
E' istintiva... :)
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 08:51:15 AMCitazione di: Apeiron il 23 Febbraio 2017, 20:24:09 PMLivello 4: Qui in realtà si arriva all'ultimo livello della questione. Ci sono davvero eventi ripetibili? In meccanica quantistica, almeno nell'interpretazione usuale, l'assunzione che tali eventi siano una realtà è ancora più forte che in meccanica classica, altrimenti il discorso della probabilità non ha senso. Questo è un motivo per cui alcuni hanno ad esempio appoggiato l'interpretazione deterministica di Bohm. D'altronde almeno macroscopicamente l'universo è in continua mutazione ed è veramente impossibile dire che due eventi siano esattamente identici a questo livello. Perchè dovrebbe esserlo a livello microscopico? Davvero la freccia del tempo non da alcun effetto? Personalmente questo è un problema che mi attanaglia da molto. A mio giudizio la casualità degli eventi microscopici non è reale ma non è nemmeno reale il determinismo. Secondo il mio parere entrambi sono falsi (non possiamo davvero credere che tutto sia determinato, anche il determinista d'altronde guarda prima di attraversare la strada ;D ). CitazioneL' unico mio motivo di perplessità da tutto il tutto discorso (soprattutto da ciò che ne ho tagliato, con cui concordo in pieno) sta nell' ultima affermazione. O meglio, forse ho capito ma ho bisogno di un chiarimento. Secondo me per definizione, analiticamente a priori, indipendentemente da come é di fatto la realtà, come mera ipotesi su di essa, se la realtà stessa muta, allora può darsi: o divenire ordinato, relativo, parziale nel quale siano astraibili caratteristiche fisse, immutabili, universali e costanti (rendendo possibile la conoscenza scientifica e valutazioni etiche degli agenti intenzionali; una sorta di sintesi dialettica fra fissità integrale-assoluta, "parmenidea"-tesi- e mutamento integrale assoluto, caotico, antitesi); oppure mutamento caotico, casuale: tertiun non datur. A meno che per il "teritum" non si intenda un divenire "ordinato in senso debole", cioé probabilistico - statistico (anziché forte, meccanicistico - deterministico: costanza, prevedibilità e calcolabilità, necessità non di ciascun singolo evento ma delle proporzioni fra più eventi reciprocamente alternativi in serie sufficientemente numerose di casi. E questo é forse ciò che intendi dire. Mi fa comunque molto piacere che le mie considerazioni sulla "problematicità logica" (diciamo così) di questa variante lasca di divenire ordinato (che del tutto soggettivamente può altrettanto a buon diritto anche essere considerata una variante lasca di indeterminismo), sulle quali io stesso non ho le idee del tutto chiare e sono quindi molto interessato alle osservazioni tue, di Paul11, Phil e degli, altri ti inducano ad ulteriorim riflessioni.
Provo a spiegarmi meglio sgiombo, però temo che in un certo senso ripeterò esattamente le stesse cose (e ciò purtroppo non significa chiarirle). Anche a me fa piacere di scrivere osservazioni che possono essere interssanti.
Supponiamo che l'universo sia completamente deterministico. Ne consegue che la nostra libertà è completamente illusoria, proprio come diceva Spinoza. Ora se tutta la libertà è illusoria allora le nostre decisioni sono completamente predeterminate (indipendentemente dal fatto che ci sia un fine negli eventi...) e quindi ogni cosa che facciamo non potrebbe essere fatta in modo diverso. Ma questa è la morte dell'etica e di noi come
persone : d'altronde se tutto è determinato allora ogni nostra azione non fa differenza (curiosamente l'"Etica" di Spinoza era la completa accettazione di ogni libertà). Non si può dimostrare che questa posizione è falsa ma in fin dei conti per "istinto" non è così.
Supponiamo ora che l'universo sia completamente accidentale e caotico: in tal caso il futuro potrebbe essere completamente diverso dal passato e non avrebbe alcun senso fare previsioni. Nuovamente in questo caso regnerebbe il Caos e quindi ancora una volta la nostra libertà sarebbe ancora una mera illusione. Ma nuovamente non ci "sembra" una descrizione corretta della realtà.
Ora supponiamo che tutto vada probabilisticamente. Ebbene se fosse così allora saremo alla mercé del "caso" e il mondo non sarebbe molto diverso dal caso precedente. Tuttavia questa situazione è a dir poco bizzarra: si può parlare di "probabilità" se magari per un singolo evento? Certamente sì se pensiamo che la probabilità sia soggettiva. Ma se è oggettiva l'evento in questione deve in principio potersi ripetere, il che significa per esempio che in un esperimento dobbiamo riuscire, in linea di principio, a riportare le condizioni sperimentali esattamente identiche di volta in volta. Nel mondo macroscopico di persone, pianeti e dadi non è possibile. Il secondo lancio del dado avverrà in una configurazione diversa dal primo. Ma l'assunzione che si fa in meccanica quantistica, mi pare, è che si possa davvero
isolare completamente un sistema sperimentale in modo da riportarlo a nostro piacimento alle condizioni di una prova precedente. Questa è una assunzione fondamentale se si vuole dire che il mondo è probabilistico: ancor più che un mondo deterministico il mondo probabilistico richiede che un evento sia ripetibile esattamente. Questo ha sempre creato problemi: ad esempio dove è la "barriera" tra il mondo macroscopico soggetto all'irreversibilità e quello microscopico soggetto alla ripetibilità? In un sistema in continua evoluzione si possono trovare "leggi" probabilistiche? Secondo me no!
Ecco il tertium: un mondo che ha regolarità ma che non sia né una "macchina" perfetta e nemmeno che sia completamente casuale (la casualità comunque è una regolarità) nei suoi fondamenti. Non possiamo capire un mondo che non sia uno di quei due casi, ma possiamo intuire che è qualcosa di simile. Come? Semplice: il libero arbitrio qui ci aiuta. Non possiamo "scegliere che la mela non cada dall'albero" ma possiamo segliere di attraversare o no la strada. Possiamo decidere di fare una cosa o non farla. Questa
certezza nuovamente non è razionale (ossia non è né dimostrabile a priori e nemmno per induzione), tuttavia è così "centrale" in noi che non possiamo davvero negarle: se la neghiamo con la ragione, "riappare" ogni volta che ci chiediamo "cosa devo fare adesso?". Ma anche questa è una regolarità e sinceramente credo che non sia una regolarità esprimibile matematicamente.
Citazione di: Sariputra il 24 Febbraio 2017, 12:31:26 PMCitazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 12:08:30 PMCitazione di: Apeiron il 23 Febbraio 2017, 20:24:09 PMIn ogni caso comunque la mia domanda è appunto: perchè la scienza (o il metodo scientifico) funziona? Nemmeno io dubito sul metodo, tuttavia riconosco quanto non sia ovvio tale "miracolo" :)
Indubbiamente la legge causale non è né dimostrabile né confutabile per via logica, non è quindi né vera né falsa; possiamo assumere che essa è un principio euristico, una guida per orientarci nel groviglio degli eventi? Oppure potremmo accettare la spiegazione di Kant che proprio sulla base dello scetticismo di Hume proponeva di porre la causalità tra quelle categorie "a priori" che non possono essere dimostrate con la logica e che sono plasmate nel nostro intelletto pur non derivando dall'esperienza (come ad esempio i concetti di spazio e tempo)? Di sicuro possiamo dire che se l'universo non fosse "razionale" noi non potremmo indagarlo, forse nemmeno in modo probabilistico, e forse una spiegazione potrebbe essere appunto il fatto che noi siamo esseri razionali parte di un universo razionale e quindi la causalità, per dirla alla Kant, è innata nel nostro intelletto.
E' istintiva... :)
Il problema è che secondo me non è né istintiva e nemmeno innata. Tuttavia è una "certezza" che ci è necessaria per vivere (non so se questo sia "istinto"...). Non è innata perchè non ci è chiaro cosa significa "regolarità" perchè d'altronde impariamo cosa significa tale termine con l'esperienza e con la riflessione. Non direi che è istintiva perchè semmai è così profonda che essa stessa regola gli istinti. Supponendo infatti che noi non avessimo tale certezza non potremo nemmeno mangiare quando abbiamo fame, perchè d'altronde non ci verrebbe l'istinto di andare a mangiare (perchè inconsciamente in questo caso "sappiamo" che mangiando eliminiamo il problema). Forse in un certo senso si può dire che è innata, perchè tale certezza è nota a tutti i viventi. Eppure in un certo senso è
prima di ogni esperienza e ogni riflessione ma
non è prima dello stesso "vivere". Ritengo che tale certezza sia "connaturata" alla vita stessa.
Citazione di: baylham il 24 Febbraio 2017, 11:22:55 AMUna domanda curiosa, non ingenua, che applica lo scetticismo allo stesso scetticismo: con quali tecniche, principi logici, verifiche empiriche, Hume o Wittgenstein possono dimostrare a chi invece sostiene la certezza contraria che la realtà non è regolare oppure che il principio dell'induzione è fallace? Non stanno anch'essi ricorrendo all'induzione? Oppure hanno inventato una nuova tecnica logica?
Entrambi ti direbbero che l'induzione e la certezza della regolarità e le loro negazioni non possono davvero essere dimostrate. Ad esempio nel caso più semplice dell'induzione il dubbio parte dal principio. Ossia ti sfidano in questo modo: che senso ha usare l'induzione? In sostanza entrambi ti dicono che la usiamo per la pratica ma non è un metodo che possiamo prendere come infallibile.
Per la certezza della regolarità allo stesso modo non si può davvero sapere che la realtà è regolare. Eppure ne siamo certi anche nei nostri istinti più profondi. La certezza nella regolarità si riflette quindi da come si vive, è il "fondamento" delle nostre azioni. Tuttavia come "certezza" essa stessa è senza fondamento. Ma a questo punto lo stesso Wittgenstein, che in un certo senso si è fatto lo stesso problema tuo, ti sfida e dice: puoi dubitare una certezza senza fondamento? Ha senso il dubbio quando il dubbio stesso non ha fondamento (ossia quando non puoi dare un metodo per dubitare)? Puoi davvero mettere in dubbio che il "mondo sia regolare" quando non ha ragione per accettare che lo sia? In sostanza a questi livelli sospetto anche io che lo scetticismo non sia falso ma insensato. Non ha senso d'altronde mettersi a dubitare su cose che non potremo mai dimostrare che siano vere o false. Eppure in certi ambiti non facciamo altro che dubitare. Davvero curiosa è la nostra "natura umana" ;D dubitiamo anche quando il dubbio non ha senso avercelo
Citazione di: baylham il 24 Febbraio 2017, 11:22:55 AM
Una domanda curiosa, non ingenua, che applica lo scetticismo allo stesso scetticismo:
con quali tecniche, principi logici, verifiche empiriche, Hume o Wittgenstein possono dimostrare a chi invece sostiene la certezza contraria che la realtà non è regolare oppure che il principio dell'induzione è fallace?
Non stanno anch'essi ricorrendo all'induzione? Oppure hanno inventato una nuova tecnica logica?
CitazioneHume e Wittgenstein non dimostrano che la realtà non è regolare né che il principio dell' induzione è fallace, bensì che non sono certi (se ne può dubitare) in linea teorica o di principio (non sto a ripeterne le argomentazioni).
Infatti lo scetticismo, in un certo senso "applicandosi conseguentemente anche a se stesso", non è affermazione (che sarebbe inevitabilmente autocontraddittoria, paradossale) che (con certezza) tutto ciò che si crede è falso, bensì è sospensione del giudizio, dubbio (=/= negazione certa, oltre che =/= affermazione certa) su ogni possibile conoscenza.
Citazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 11:44:43 AM
Citazione di: sgiombo il 23 Febbraio 2017, 12:04:15 PM
CitazioneProprio non capisco: proprio perché noi filosofi sottoponiamo tutto, anche la scienza al vaglio della critica razionale tu suggerivi che la [/size]riflessione filosofica potesse essere ribaltata nell' accettazione acritica e irrazionale di dogmi (cioé nel suo contrario)?
Comunque noi amanti e cultori della filosofia (se posso permettermi di parlare anche per altri) abbiamo raccolto -eccome!- la tua sfida argomentando razionalmente circa l' infondabilità (e dunque infondatezza) razionale dell' induzione (e dunque la sua non certezza ovvero dubitabilità in linea teorica o di principio). E infatti qui sono costretto a ripetermi (niente di male, o faccio volentieri).
Non suggerisco alcuna accettazione dogmatica, ma non mi sembra accettabile nemmeno il fideismo cui tu ti affidi per il semplice motivo che "così funziona".
E proprio perché la legge di causalità non è razionalmente né vera né falsa, mi interessa capire il motivo per il quale noi la crediamo vera, con l'ovvia constatazione, ma a posteriori, che essa funziona per ottenere una descrizione del mondo.
CitazioneMi affido a una sorta di "ragionevolezza limitata, relativa" (come anche già Hume, per lo meno come secondo me giustamente lo intendono Ayer e altri; e anche in questo credo concordemente con Apeiron) la quale implica la credenza in quel minimo di indimostrabile né constatabile che è ammesso, almeno "in pratica" (cioè nel senso che si comportano come se vi credessero) da tutti coloro che comunemente sono ritenuti "sani di mente" ed è indispensabile per essere logicamente coerenti (che ce se ne renda conto o meno) nel credere alla conoscenza scientifica e anche solo al "senso comune" (sostanzialmente: 1 - l' esistenza di altre esperienze fenomeniche coscienti oltre alla "propria" immediatamente esperita e corrispondenti agli altri cervelli vivi e funzionanti in stato di veglia, nei sogni ed eventualmente le allucinazioni; 2 - all' intersoggettività delle rispettive componenti materiali non oniriche e allucinatorie; e -3- al loro divenire ordinato secondo leggi universali e costanti).
"Ragionevolezza" e che mi consente di sottrarmi alla passività pratica alla quale inevitabilmente mi condannerebbe un razionalismo conseguente, che a mio parere non può non coincidere con lo scetticismo; e tutto ciò nella piena consapevolezza di queste credenze razionalmente infondate ed infondabili (che è ciò che intendo per crederlo "non dogmaticamente").
Il motivo per cui le persone comunemente ritenute "sane di mente" (e probabilmente in qualche accezione "elementare" o "rudimentale" ed inconsapevolmente anche animali non umani dal comportamento discretamente complesso e modificabile dall' esperienza) tendono a credere vera lacausalità (malgrado non sia razionalmente dimostrabile né constatabile essere vera né falsa), o per lo meno tendono a comportarsi come se la credessero vera, penso stia nell' evoluzione biologica, secondo quanto accennato in un precedente intervento (come ben dice Sariputra, si tratta di un istinto comportamentale).
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:27:46 PM
Ora supponiamo che tutto vada probabilisticamente. Ebbene se fosse così allora saremo alla mercé del "caso" e il mondo non sarebbe molto diverso dal caso precedente. Tuttavia questa situazione è a dir poco bizzarra: si può parlare di "probabilità" se magari per un singolo evento? Certamente sì se pensiamo che la probabilità sia soggettiva. Ma se è oggettiva l'evento in questione deve in principio potersi ripetere, il che significa per esempio che in un esperimento dobbiamo riuscire, in linea di principio, a riportare le condizioni sperimentali esattamente identiche di volta in volta. Nel mondo macroscopico di persone, pianeti e dadi non è possibile. Il secondo lancio del dado avverrà in una configurazione diversa dal primo. Ma l'assunzione che si fa in meccanica quantistica, mi pare, è che si possa davvero isolare completamente un sistema sperimentale in modo da riportarlo a nostro piacimento alle condizioni di una prova precedente. Questa è una assunzione fondamentale se si vuole dire che il mondo è probabilistico: ancor più che un mondo deterministico il mondo probabilistico richiede che un evento sia ripetibile esattamente. Questo ha sempre creato problemi: ad esempio dove è la "barriera" tra il mondo macroscopico soggetto all'irreversibilità e quello microscopico soggetto alla ripetibilità? In un sistema in continua evoluzione si possono trovare "leggi" probabilistiche? Secondo me no!
Secondo me tu non hai ben chiaro il ruolo della probabilità nella meccanica quantistica e la differenza sostanziale con la probabilità della fisica classica.
Faccio un esempio semplice e che tutti possiamo comprendere. Il vecchio "tubo catodico" utilizzato un tempo nei televisori e nei monitor del PC è un dispositivo nel quale viene emesso un fascio di elettroni, fortemente accelerato da un campo elettrico e deflesso da un campo magnetico, che colpisce lo schermo in una piccola zona chiamata "pixel". Variando il campo magnetico si può indirizzare il fascio di elettroni in qualsiasi zona dello schermo, che funziona essenzialmente da "rivelatore di elettroni", illuminandosi.
Tale dispositivo si può studiare con la fisica classica, con gli elettroni "immaginati" come sferette, e si può determinare esattamente dove dirigere il fascio di elettroni agendo opportunamente sul campo magnetico: tutto deterministico, anche se studiato statisticamente.
Il fisico classico ti dirà: il fascio di elettroni emesso dalla sorgente segue una precisa traiettoria fino a colpire lo schermo nel pixel.
Se tu lo studi secondo la meccanica quantistica, hai un sistema composto da una sorgente di elettroni e da un rivelatore (lo schermo), descritto da una funzione d'onda: ovviamente il fascio continuerà ad illuminare un solo pixel, ma il fisico quantistico ti dirà: io non so cosa fa il fascio di elettroni tra la sorgente e lo schermo, ma per un assegnato campo magnetico, il fascio colpirà sempre lo stesso pixel con probabilità del 100%.
La sostanziale differenza consiste nel fatto che la fisica classica pretende di assegnare una ben definita traiettoria, mentre la fisica quantistica non ha questa pretesa e dirà che prima di arrivare allo schermo l'elettrone sarà un poco onda e un poco corpuscolo, chissà dove e come sparpagliato nello spazio-tempo.
** scritto da Eretiko:
CitazioneE proprio perché la legge di causalità non è razionalmente né vera né falsa, mi interessa capire il motivo per il quale noi la crediamo vera, con l'ovvia constatazione, ma a posteriori, che essa funziona per ottenere una descrizione del mondo.
Perché è l'alternativa a chi decide di non voler credere che la causalità è forse una Dio-incidenza.
CitazioneDi sicuro possiamo dire che se l'universo non fosse "razionale" noi non potremmo indagarlo, forse nemmeno in modo probabilistico, e forse una spiegazione potrebbe essere appunto il fatto che noi siamo esseri razionali parte di un universo razionale e quindi la causalità, per dirla alla Kant, è innata nel nostro intelletto.
Forse, ma visto che la causalità è sostituibile con la "grazia divina", si necessita la fede, nei due casi, per accettare l'effetto causato dall'origine dell'inizio della causa.
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:27:46 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 08:51:15 AM
Citazione di: Apeiron il 23 Febbraio 2017, 20:24:09 PMLivello 4: Qui in realtà si arriva all'ultimo livello della questione. Ci sono davvero eventi ripetibili? In meccanica quantistica, almeno nell'interpretazione usuale, l'assunzione che tali eventi siano una realtà è ancora più forte che in meccanica classica, altrimenti il discorso della probabilità non ha senso. Questo è un motivo per cui alcuni hanno ad esempio appoggiato l'interpretazione deterministica di Bohm. D'altronde almeno macroscopicamente l'universo è in continua mutazione ed è veramente impossibile dire che due eventi siano esattamente identici a questo livello. Perchè dovrebbe esserlo a livello microscopico? Davvero la freccia del tempo non da alcun effetto? Personalmente questo è un problema che mi attanaglia da molto. A mio giudizio la casualità degli eventi microscopici non è reale ma non è nemmeno reale il determinismo. Secondo il mio parere entrambi sono falsi (non possiamo davvero credere che tutto sia determinato, anche il determinista d'altronde guarda prima di attraversare la strada ;D ).
CitazioneL' unico mio motivo di perplessità da tutto il tutto discorso (soprattutto da ciò che ne ho tagliato, con cui concordo in pieno) sta nell' ultima affermazione. O meglio, forse ho capito ma ho bisogno di un chiarimento. Secondo me per definizione, analiticamente a priori, indipendentemente da come é di fatto la realtà, come mera ipotesi su di essa, se la realtà stessa muta, allora può darsi: o divenire ordinato, relativo, parziale nel quale siano astraibili caratteristiche fisse, immutabili, universali e costanti (rendendo possibile la conoscenza scientifica e valutazioni etiche degli agenti intenzionali; una sorta di sintesi dialettica fra fissità integrale-assoluta, "parmenidea"-tesi- e mutamento integrale assoluto, caotico, antitesi); oppure mutamento caotico, casuale: tertiun non datur. A meno che per il "teritum" non si intenda un divenire "ordinato in senso debole", cioé probabilistico - statistico (anziché forte, meccanicistico - deterministico: costanza, prevedibilità e calcolabilità, necessità non di ciascun singolo evento ma delle proporzioni fra più eventi reciprocamente alternativi in serie sufficientemente numerose di casi. E questo é forse ciò che intendi dire. Mi fa comunque molto piacere che le mie considerazioni sulla "problematicità logica" (diciamo così) di questa variante lasca di divenire ordinato (che del tutto soggettivamente può altrettanto a buon diritto anche essere considerata una variante lasca di indeterminismo), sulle quali io stesso non ho le idee del tutto chiare e sono quindi molto interessato alle osservazioni tue, di Paul11, Phil e degli, altri ti inducano ad ulteriorim riflessioni.
Provo a spiegarmi meglio sgiombo, però temo che in un certo senso ripeterò esattamente le stesse cose (e ciò purtroppo non significa chiarirle). Anche a me fa piacere di scrivere osservazioni che possono essere interssanti.
Supponiamo che l'universo sia completamente deterministico. Ne consegue che la nostra libertà è completamente illusoria, proprio come diceva Spinoza. Ora se tutta la libertà è illusoria allora le nostre decisioni sono completamente predeterminate (indipendentemente dal fatto che ci sia un fine negli eventi...) e quindi ogni cosa che facciamo non potrebbe essere fatta in modo diverso. Ma questa è la morte dell'etica e di noi come persone :
Citazione(Oh, finalmente un motivo di disaccordo, che generalmente è molto più interessante e proficuo dell' accordo).
Infatti io credo invece che il determinismo sia necessario per considerare (realisticamente) l' etica.
Cioé secondo me perché una scelta, un' azione abbia valenza etica è necessario che sia libera da condizionamenti estrinseci (se sono costretto con la forza a fare del male responsabile non ne sono certo io; ma casomai chi mi ha costretto).
Ma credo che sia necessario anche che non sia liberoarbitraria nel senso in cui comunemente si intende il libero arbitrio, cioè indeterminstica, cioè in ultima analisi casuale, fortuita, bensì che debba essere intrinsecamente determinata da come sono (buona se sono buono, malvagia se sono malvagio); infatti se faccio del male o del bene perché il mio agire è del tutto simile al ("funziona" come il) lancio di una moneta, di modo che se esce "testa" scelgo il bene, se esce "croce" scelgo il male, allora le mie scelte non potranno essere condizionate dal (conseguenti al; e dunque non potranno dimostrare il) mio essere eticamente buono o malvagio rispettivamente, bensì sono del tutto fortuite, casomai conseguenti al (e dunque dimostrerebbero il) mio essere fortunato o sfortunato rispettivamente.
In caso di determinismo, resta naturalmente il fatto che uno non è come decide di essere, ma come non per sua scelta si trova ad essere (e di conseguenza agisce come decide di agire: più o meno eticamente bene): non per sua libera scelta, ma in ultima istanza comunque per fortuna (o meno); e anche se uno sceglie a un certo punto di cambiare, di essere come da se stesso scelto, ciò dipende comunque da come si era trovato ad essere senza averlo deciso al momento di questa scelta.
Ma questo mi sembra in pratica del tutto irrilevante: non per questo chi si trovasse ad essere per sua fortuna più o meno buono non continuerebbe tranquillamente a comportarsi più o meno eticamente bene e chi si trovasse per sua sfortuna ad essere più o meno malvagio non continuerebbe tranquillamente a comportarsi più o meno eticamente male.
d'altronde se tutto è determinato allora ogni nostra azione non fa differenza (curiosamente l'"Etica" di Spinoza era la completa accettazione di ogni libertà). Non si può dimostrare che questa posizione è falsa ma in fin dei conti per "istinto" non è così.
Supponiamo ora che l'universo sia completamente accidentale e caotico: in tal caso il futuro potrebbe essere completamente diverso dal passato e non avrebbe alcun senso fare previsioni. Nuovamente in questo caso regnerebbe il Caos e quindi ancora una volta la nostra libertà sarebbe ancora una mera illusione. Ma nuovamente non ci "sembra" una descrizione corretta della realtà.
Ora supponiamo che tutto vada probabilisticamente. Ebbene se fosse così allora saremo alla mercé del "caso" e il mondo non sarebbe molto diverso dal caso precedente. Tuttavia questa situazione è a dir poco bizzarra: si può parlare di "probabilità" se magari per un singolo evento? Certamente sì se pensiamo che la probabilità sia soggettiva. Ma se è oggettiva l'evento in questione deve in principio potersi ripetere, il che significa per esempio che in un esperimento dobbiamo riuscire, in linea di principio, a riportare le condizioni sperimentali esattamente identiche di volta in volta. Nel mondo macroscopico di persone, pianeti e dadi non è possibile. Il secondo lancio del dado avverrà in una configurazione diversa dal primo. Ma l'assunzione che si fa in meccanica quantistica, mi pare, è che si possa davvero isolare completamente un sistema sperimentale in modo da riportarlo a nostro piacimento alle condizioni di una prova precedente. Questa è una assunzione fondamentale se si vuole dire che il mondo è probabilistico: ancor più che un mondo deterministico il mondo probabilistico richiede che un evento sia ripetibile esattamente. Questo ha sempre creato problemi: ad esempio dove è la "barriera" tra il mondo macroscopico soggetto all'irreversibilità e quello microscopico soggetto alla ripetibilità? In un sistema in continua evoluzione si possono trovare "leggi" probabilistiche? Secondo me no!
Citazione(Beh, però nel concordare, specialmente se su tesi anticonformistiche, si prova invece una grande soddisfazione).
E molto volentieri concordo con queste altre tue considerazioni critiche delle interpretazioni (filosofiche) "conformistiche" della meccanica quantistica.
Ecco il tertium: un mondo che ha regolarità ma che non sia né una "macchina" perfetta e nemmeno che sia completamente casuale (la casualità comunque è una regolarità) nei suoi fondamenti. Non possiamo capire un mondo che non sia uno di quei due casi, ma possiamo intuire che è qualcosa di simile. Come? Semplice: il libero arbitrio qui ci aiuta. Non possiamo "scegliere che la mela non cada dall'albero" ma possiamo segliere di attraversare o no la strada. Possiamo decidere di fare una cosa o non farla. Questa certezza nuovamente non è razionale (ossia non è né dimostrabile a priori e nemmno per induzione), tuttavia è così "centrale" in noi che non possiamo davvero negarle: se la neghiamo con la ragione, "riappare" ogni volta che ci chiediamo "cosa devo fare adesso?". Ma anche questa è una regolarità e sinceramente credo che non sia una regolarità esprimibile matematicamente.
CitazioneE qui torna il dissenso da parte mia per i motivi cui accennavo brevemente più sopra.
(Questa è proprio una delle discussioni per me più interessanti e di soddisfazione di questo magnifico forum).
Citazione di: Sariputra il 24 Febbraio 2017, 12:31:26 PM
Citazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 12:08:30 PM
Citazione di: Apeiron il 23 Febbraio 2017, 20:24:09 PMIn ogni caso comunque la mia domanda è appunto: perchè la scienza (o il metodo scientifico) funziona? Nemmeno io dubito sul metodo, tuttavia riconosco quanto non sia ovvio tale "miracolo" :)
Indubbiamente la legge causale non è né dimostrabile né confutabile per via logica, non è quindi né vera né falsa; possiamo assumere che essa è un principio euristico, una guida per orientarci nel groviglio degli eventi? Oppure potremmo accettare la spiegazione di Kant che proprio sulla base dello scetticismo di Hume proponeva di porre la causalità tra quelle categorie "a priori" che non possono essere dimostrate con la logica e che sono plasmate nel nostro intelletto pur non derivando dall'esperienza (come ad esempio i concetti di spazio e tempo)? Di sicuro possiamo dire che se l'universo non fosse "razionale" noi non potremmo indagarlo, forse nemmeno in modo probabilistico, e forse una spiegazione potrebbe essere appunto il fatto che noi siamo esseri razionali parte di un universo razionale e quindi la causalità, per dirla alla Kant, è innata nel nostro intelletto.
E' istintiva... :)
Il problema è che secondo me non è né istintiva e nemmeno innata. Tuttavia è una "certezza" che ci è necessaria per vivere (non so se questo sia "istinto"...). Non è innata perchè non ci è chiaro cosa significa "regolarità" perchè d'altronde impariamo cosa significa tale termine con l'esperienza e con la riflessione. Non direi che è istintiva perchè semmai è così profonda che essa stessa regola gli istinti. Supponendo infatti che noi non avessimo tale certezza non potremo nemmeno mangiare quando abbiamo fame, perchè d'altronde non ci verrebbe l'istinto di andare a mangiare (perchè inconsciamente in questo caso "sappiamo" che mangiando eliminiamo il problema). Forse in un certo senso si può dire che è innata, perchè tale certezza è nota a tutti i viventi. Eppure in un certo senso è prima di ogni esperienza e ogni riflessione ma non è prima dello stesso "vivere". Ritengo che tale certezza sia "connaturata" alla vita stessa.
CitazioneSecondo me é una tendenza comportamentale innata, come tutte le altre (ma fra le altre alquanto "fondamentale") dovuta al suo essersi rivelata ottimamente adattativa (ma sarebbe bastato che fosse non troppo "inadattativa") nel corso dell' evoluzione biologica.
Citazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 19:11:11 PM
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:27:46 PM
Ora supponiamo che tutto vada probabilisticamente. Ebbene se fosse così allora saremo alla mercé del "caso" e il mondo non sarebbe molto diverso dal caso precedente. Tuttavia questa situazione è a dir poco bizzarra: si può parlare di "probabilità" se magari per un singolo evento? Certamente sì se pensiamo che la probabilità sia soggettiva. Ma se è oggettiva l'evento in questione deve in principio potersi ripetere, il che significa per esempio che in un esperimento dobbiamo riuscire, in linea di principio, a riportare le condizioni sperimentali esattamente identiche di volta in volta. Nel mondo macroscopico di persone, pianeti e dadi non è possibile. Il secondo lancio del dado avverrà in una configurazione diversa dal primo. Ma l'assunzione che si fa in meccanica quantistica, mi pare, è che si possa davvero isolare completamente un sistema sperimentale in modo da riportarlo a nostro piacimento alle condizioni di una prova precedente. Questa è una assunzione fondamentale se si vuole dire che il mondo è probabilistico: ancor più che un mondo deterministico il mondo probabilistico richiede che un evento sia ripetibile esattamente. Questo ha sempre creato problemi: ad esempio dove è la "barriera" tra il mondo macroscopico soggetto all'irreversibilità e quello microscopico soggetto alla ripetibilità? In un sistema in continua evoluzione si possono trovare "leggi" probabilistiche? Secondo me no!
Secondo me tu non hai ben chiaro il ruolo della probabilità nella meccanica quantistica e la differenza sostanziale con la probabilità della fisica classica.
Faccio un esempio semplice e che tutti possiamo comprendere. Il vecchio "tubo catodico" utilizzato un tempo nei televisori e nei monitor del PC è un dispositivo nel quale viene emesso un fascio di elettroni, fortemente accelerato da un campo elettrico e deflesso da un campo magnetico, che colpisce lo schermo in una piccola zona chiamata "pixel". Variando il campo magnetico si può indirizzare il fascio di elettroni in qualsiasi zona dello schermo, che funziona essenzialmente da "rivelatore di elettroni", illuminandosi.
Tale dispositivo si può studiare con la fisica classica, con gli elettroni "immaginati" come sferette, e si può determinare esattamente dove dirigere il fascio di elettroni agendo opportunamente sul campo magnetico: tutto deterministico, anche se studiato statisticamente.
Il fisico classico ti dirà: il fascio di elettroni emesso dalla sorgente segue una precisa traiettoria fino a colpire lo schermo nel pixel.
Se tu lo studi secondo la meccanica quantistica, hai un sistema composto da una sorgente di elettroni e da un rivelatore (lo schermo), descritto da una funzione d'onda: ovviamente il fascio continuerà ad illuminare un solo pixel, ma il fisico quantistico ti dirà: io non so cosa fa il fascio di elettroni tra la sorgente e lo schermo, ma per un assegnato campo magnetico, il fascio colpirà sempre lo stesso pixel con probabilità del 100%.
La sostanziale differenza consiste nel fatto che la fisica classica pretende di assegnare una ben definita traiettoria, mentre la fisica quantistica non ha questa pretesa e dirà che prima di arrivare allo schermo l'elettrone sarà un poco onda e un poco corpuscolo, chissà dove e come sparpagliato nello spazio-tempo.
CitazioneQuella che esponi é l' interpretazione "corrente" (maggioritaria, fra i ricercatori e i profani, "conformstica") "di Copenhagen - Gottinga", mai accetta da scienziati che hanno dato contributi determinanti non meno di quelli di Heisenberg e Bohr alla meccanica quantistica stessa (Plank, Einstein, de Broglie e Schroedinger); ma ne esiste per lo meno (a mia conoscenza) una ottimamente formalizzata da Bohm che consente di considerarla in termini deterministici (altrettanto compatibile con le osservazioni di quella "danese"; e che fra l' altro é stata di fatto particolarmente feconda di sviluppi -peraltro altrettanto compatibili con quella corrente- in particolare a proposito di non-località o entanglement)
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 20:00:04 PM
Quella che esponi é l' interpretazione "corrente" (maggioritaria, fra i ricercatori e i profani, "conformstica") "di Copenhagen - Gottinga", mai accetta da scienziati che hanno dato contributi determinanti non meno di quelli di Heisenberg e Bohr alla meccanica quantistica stessa (Plank, Einstein, de Broglie e Schroedinger); ma ne esiste per lo meno (a mia conoscenza) una ottimamente formalizzata da Bohm che consente di considerarla in termini deterministici (altrettanto compatibile con le osservazioni di quella "danese"; e che fra l' altro é stata di fatto particolarmente feconda di sviluppi -peraltro altrettanto compatibili con quella corrente- in particolare a proposito di non-località o entanglement)
Certo, infatti la maggioranza dei fisici quantistici segue questa scuola di pensiero (forse ce ne è qualcuno eretico, nascosto in qualche sgabuzzino di qualche istituto, ma dubito che parla...), quindi ho esposto semplicemente quello che dice la maggioranza. Oltretutto questa "interpretazione" piace molto ai divulgatori di ogni specie e fattezza, sempre felici di far irrompere un po' di irrazionalità là dove non dovrebbe avere domicilio (a proposito: una teoria che va "interpretata" è qualcosa che mi suona strano). La teoria di Bohm è molto bella e spiega tutto in modo rigidamente causale, ma nessuno l'ha mai presa in considerazione (forse per via del potenziale quantico che trasmette istantaneamente informazione), e comunque su questo aspetto non-locale ci andrei cauto anche se indubbiamente l'entanglement dimostra quantomeno che particelle che hanno interagito nel passato quando erano vicine continuano misteriosamente ad interagire anche quando sono separate (o forse non è una vera interazione, ma una proprietà che si portano dietro).
Citazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 20:24:09 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 20:00:04 PM
Quella che esponi é l' interpretazione "corrente" (maggioritaria, fra i ricercatori e i profani, "conformstica") "di Copenhagen - Gottinga", mai accetta da scienziati che hanno dato contributi determinanti non meno di quelli di Heisenberg e Bohr alla meccanica quantistica stessa (Plank, Einstein, de Broglie e Schroedinger); ma ne esiste per lo meno (a mia conoscenza) una ottimamente formalizzata da Bohm che consente di considerarla in termini deterministici (altrettanto compatibile con le osservazioni di quella "danese"; e che fra l' altro é stata di fatto particolarmente feconda di sviluppi -peraltro altrettanto compatibili con quella corrente- in particolare a proposito di non-località o entanglement)
Certo, infatti la maggioranza dei fisici quantistici segue questa scuola di pensiero (forse ce ne è qualcuno eretico, nascosto in qualche sgabuzzino di qualche istituto, ma dubito che parla...), quindi ho esposto semplicemente quello che dice la maggioranza. Oltretutto questa "interpretazione" piace molto ai divulgatori di ogni specie e fattezza, sempre felici di far irrompere un po' di irrazionalità là dove non dovrebbe avere domicilio (a proposito: una teoria che va "interpretata" è qualcosa che mi suona strano). La teoria di Bohm è molto bella e spiega tutto in modo rigidamente causale, ma nessuno l'ha mai presa in considerazione (forse per via del potenziale quantico che trasmette istantaneamente informazione), e comunque su questo aspetto non-locale ci andrei cauto anche se indubbiamente l'entanglement dimostra quantomeno che particelle che hanno interagito nel passato quando erano vicine continuano misteriosamente ad interagire anche quando sono separate (o forse non è una vera interazione, ma una proprietà che si portano dietro).
CitazioneCredi per caso che le verità filosofiche (e anche scientifiche) si decidano democraticamente a maggioranza?
Quella di Bohm non é affatto un' "interpretazione" fra virgolette ma un' interpretazione -tanto di cappello!- non meno valida scientificamente di quella conformistica corrente.
Ed é molto più razionalistica (ovviamente secondo il mio punto di vista).
E comunque fra chi prende in seria considerazione le tesi di Bohm ci sono Franco Selleri e ultimamente Jean Bricmont (quello di "Imposture intellettuali").
Non mi sembrano proprio "eretici nascosti in qualche sgabuzzino di qualche istituito"!!!
Evidentemente se credi che "nessuno l' ha mai presa in considerazione" sei male informato.
La filosofia "interpreta" lecitamente tutto, più o meno criticamente a seconda se si tratta di filosofia più o meno buona (ovviamente secondo me); e così fanno, più o meno bene, anche quegli scienziati che si pongono problemi filosofici (non credo sia vietato, almeno esplicitamente, da nessuna senato accademico).
No, guarda che i divulgatori, specialmente i meno ferrati in materia, generalmente spacciano (malamente; e acriticamente) proprio le tesi più conformistiche (in tutti i campi di cui si occupano); infatti ignorano Bohm (questo "primo" Bohm teorico quantistico degli anni '50; e parlano poco perfino della deriva irrazionalistiche che a mio parere -alcuni nel forum non sono certamente d' accordo- ha subito negli anni '60 - '70; che é tutto dire circa la sua impopolarità fra i divulgatori).
Apprezzo moltissimo (questa volta senza ironia) l' ipotesi (che io stesso ho considerato ma non avevo mai letto in nessun libro od articolo) che l' entanglement quantistico non sia realmente dovuto a interazioni a distanza ma a caratteristiche di già presenti ab origine fra le particelle che lo presentano.
Ti sarei molto grato se mi facessi sapere dove l' hai letto!
sgiombo
Forse è meglio che rileggi il mio ultimo post (magari non mi esprimo in un italiano corretto), ma io contestavo proprio la tesi corrente e maggioritaria dei meccanici quantistici che aderiscono a questa strana interpretazione probabilistica. E se rileggi bene forse ti renderai conto che io ho appunto parlato di "una bellissima teoria" di Bohm (teoria appunto, e non interpretazione).
E a proposito dei "cattivi divulgatori" mi riferivo appunto a quelli che la fanno tanto lunga sia sulle ipotesi "olistiche" (come quella del Bohm maturo, ma qui lo capisco, lui voleva giustamente salvare il localismo), sia su questa storia dell'entanglement quantistico con tutte le implicazioni mistiche che si porta dietro, sia su quelli che addirittura invocano l'interazione della coscienza o universi paralleli.
Riguardo al presunto non-localismo sembrerebbe strano che una teoria che con Dirac ha integrato la relatività ristretta con la meccanica quantistica possa prevedere veramente che esistano informazioni istantanee, e credo che siamo di fronte allo stesso problema che ebbe Newton con la forza di gravità che si propagava istantaneamente.
Inoltre la teoria della relatività è una delle più solide e verificate della storia della fisica, quindi non sembra proprio ragionevole pensare che ci siano informazioni istantanee. Infine da notare che il grado di correlazione esistente nell'entanglement è un poco superiore al grado di correlazione (statistico) che ci sarebbe se le particelle fossero considerate "classiche", il che mi fa pensare sia che forse è la teoria classica della probabilità che potrebbe essere rivista perlomeno a velocità relativistiche, sia che questa correlazione a livello quantistico è una proprietà intrinseca delle particelle.
Citazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 23:13:00 PM
sgiombo
Forse è meglio che rileggi il mio ultimo post (magari non mi esprimo in un italiano corretto), ma io contestavo proprio la tesi corrente e maggioritaria dei meccanici quantistici che aderiscono a questa strana interpretazione probabilistica. E se rileggi bene forse ti renderai conto che io ho appunto parlato di "una bellissima teoria" di Bohm (teoria appunto, e non interpretazione).
E a proposito dei "cattivi divulgatori" mi riferivo appunto a quelli che la fanno tanto lunga sia sulle ipotesi "olistiche" (come quella del Bohm maturo, ma qui lo capisco, lui voleva giustamente salvare il localismo), sia su questa storia dell'entanglement quantistico con tutte le implicazioni mistiche che si porta dietro, sia su quelli che addirittura invocano l'interazione della coscienza o universi paralleli.
Riguardo al presunto non-localismo sembrerebbe strano che una teoria che con Dirac ha integrato la relatività ristretta con la meccanica quantistica possa prevedere veramente che esistano informazioni istantanee, e credo che siamo di fronte allo stesso problema che ebbe Newton con la forza di gravità che si propagava istantaneamente.
Inoltre la teoria della relatività è una delle più solide e verificate della storia della fisica, quindi non sembra proprio ragionevole pensare che ci siano informazioni istantanee. Infine da notare che il grado di correlazione esistente nell'entanglement è un poco superiore al grado di correlazione (statistico) che ci sarebbe se le particelle fossero considerate "classiche", il che mi fa pensare sia che forse è la teoria classica della probabilità che potrebbe essere rivista perlomeno a velocità relativistiche, sia che questa correlazione a livello quantistico è una proprietà intrinseca delle particelle.
CitazioneForse ti avevo frainteso, ma non avevo colto, soprattutto nella tua risposta ad Apeiron, un tono distaccato (o addirittura critico, come mi sembra ora di capire) nel tuo accenno all' atteggiamento nettamente prevalente fra i fisici che si occupano di meccanica quantistica; e anche a proposito di Bohm mi era sembrato, con tutta evidenza erroneamente, di rilevare un certo sarcasmo.
Anche sui cattivi divulgatori e le loro propensioni verso olismo e misticismi vari ti avevo evidentemente frainteso e ora mi sembra di essere in pieno accordo.
Credo di condividere in sostanza il tuo atteggiamento fondamentalmente razionalistico (ovviamente del tutto tollerante e rispettoso verso l' irrazionalismo; questa pleonastica precisazione perché di fatto molti irrazionalisti tendono a insinuare che così non sia).
E forse potrebbe essere proprio il tuo atteggiamento positivo verso la scienza (non mi stupirei se ti occupassi professionalmente di fisica, e naturalmente piuttosto di fisica relativistica che quantistica) a renderti sospette le critiche di filosofi come Hume (e Wittgenstein e probabilmente altri) al causalismo, ben diverse, direi anzi dettate da un atteggiamento di fondo diametralmente opposto, a quello che ispira le valutazioni di Heisenberg e Bohr circa il causalismo stesso nei fenomeni quantistici.
Se posso permettermi una valutazione personale, credo che le critiche humeiana e di altri filosofi all' induzione e al causalismo siano espressione di un razionalismo (relativamente) ancora più conseguente in quanto più consapevole anche dei limiti del razionalismo stesso (comunque "relativamente" perché a mio parere un razionalismo conseguente fino in fondo, "assoluto", per usare un ossimoro, porterebbe inevitabilmente allo scetticismo).
Citazione di: Eretiko il 24 Febbraio 2017, 19:11:11 PM
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:27:46 PMOra supponiamo che tutto vada probabilisticamente. Ebbene se fosse così allora saremo alla mercé del "caso" e il mondo non sarebbe molto diverso dal caso precedente. Tuttavia questa situazione è a dir poco bizzarra: si può parlare di "probabilità" se magari per un singolo evento? Certamente sì se pensiamo che la probabilità sia soggettiva. Ma se è oggettiva l'evento in questione deve in principio potersi ripetere, il che significa per esempio che in un esperimento dobbiamo riuscire, in linea di principio, a riportare le condizioni sperimentali esattamente identiche di volta in volta. Nel mondo macroscopico di persone, pianeti e dadi non è possibile. Il secondo lancio del dado avverrà in una configurazione diversa dal primo. Ma l'assunzione che si fa in meccanica quantistica, mi pare, è che si possa davvero isolare completamente un sistema sperimentale in modo da riportarlo a nostro piacimento alle condizioni di una prova precedente. Questa è una assunzione fondamentale se si vuole dire che il mondo è probabilistico: ancor più che un mondo deterministico il mondo probabilistico richiede che un evento sia ripetibile esattamente. Questo ha sempre creato problemi: ad esempio dove è la "barriera" tra il mondo macroscopico soggetto all'irreversibilità e quello microscopico soggetto alla ripetibilità? In un sistema in continua evoluzione si possono trovare "leggi" probabilistiche? Secondo me no!
Secondo me tu non hai ben chiaro il ruolo della probabilità nella meccanica quantistica e la differenza sostanziale con la probabilità della fisica classica. Faccio un esempio semplice e che tutti possiamo comprendere. Il vecchio "tubo catodico" utilizzato un tempo nei televisori e nei monitor del PC è un dispositivo nel quale viene emesso un fascio di elettroni, fortemente accelerato da un campo elettrico e deflesso da un campo magnetico, che colpisce lo schermo in una piccola zona chiamata "pixel". Variando il campo magnetico si può indirizzare il fascio di elettroni in qualsiasi zona dello schermo, che funziona essenzialmente da "rivelatore di elettroni", illuminandosi. Tale dispositivo si può studiare con la fisica classica, con gli elettroni "immaginati" come sferette, e si può determinare esattamente dove dirigere il fascio di elettroni agendo opportunamente sul campo magnetico: tutto deterministico, anche se studiato statisticamente. Il fisico classico ti dirà: il fascio di elettroni emesso dalla sorgente segue una precisa traiettoria fino a colpire lo schermo nel pixel. Se tu lo studi secondo la meccanica quantistica, hai un sistema composto da una sorgente di elettroni e da un rivelatore (lo schermo), descritto da una funzione d'onda: ovviamente il fascio continuerà ad illuminare un solo pixel, ma il fisico quantistico ti dirà: io non so cosa fa il fascio di elettroni tra la sorgente e lo schermo, ma per un assegnato campo magnetico, il fascio colpirà sempre lo stesso pixel con probabilità del 100%. La sostanziale differenza consiste nel fatto che la fisica classica pretende di assegnare una ben definita traiettoria, mentre la fisica quantistica non ha questa pretesa e dirà che prima di arrivare allo schermo l'elettrone sarà un poco onda e un poco corpuscolo, chissà dove e come sparpagliato nello spazio-tempo.
No, l'assunzione che la natura quantistica sia intrinsecamente probabilistica è essenziale all'interpretazione di Copenhagen in tutte le sue varianti. Se prendi l'esperimento della doppia fenidtura ti accorgi sicuramente che esso deve essere ripetibile, altrimenti ogni predizione statistica non ha senso ma per motivi diversi dall'uso che si fa della statistica in meccanica classica. In meccanica classica l'uso della statistica è dovuto al fatto che non sappiamo precisamente il comportamento di ogni grado di libertà del sistema. In meccanica quantistica di Copenhaghen non possiamo fare di meglio che appunto predizioni probabilistiche (lo stesso demone di Laplace dovrebbe accontentarsi di questo). Il punto è che nell'interpretazione di Copenhaghen (da qui in poi "IC") gli strumenti di misura sono trattati classicamente https://plato.stanford.edu/entries/qm-copenhagen/#MeaProClaQuaDis. Il problema è che in ultima analisi questa assunzione è errata se si ritiene che l'Universo sia fondamentalmente quantistico. Ad ogni modo non c'è davvero un consenso su come interpretare la IC:
1)Secondo Bohr gli "oggetti" quantistici sono sconosciuti, ossia dobbiamo accontentarci di quello che vediamo e non potremo mai sapere cosa "davvero" siano le "particelle" quantistiche;
2)Secondo Heisenberg noi vediamo esattamente la realtà.
3)Secondo il neopositivismo i concetti di "posizione", "quantità di moto" e simili hanno senso solo mentre si fa la misura. Per questo motivo chiedersi "qual è la traiettoria dell'elettrone quando non lo misuro?" non è né vera né falsa ma insensata.
E potrei citartene delle altre. In ogni caso se prendi la posizione di Bohr o quella neopositivistica vedi che IC è una teoria abbastanza minimalistica, ossia segue il detto "shut up and calculate!". Non ha pretese di dire cosa c'è "oltre" gli esperimenti. Motivo per cui
filosoficamente non è completa ma
fisicamente sì. La filosofia si occupa del "perchè", la fisica no! In ogni caso per verificare l'ipotesi secondo la quale l'output dell'esperimento segue una legge probabilistica
in modo essenziale (e NON solo per la nostra ignoranza) devi ammettere che gli esperimenti siano esattamente ripetibili.
L'interpretazione di Bohm (IB) è considerata interpretazione perchè le sue previsioni sono esattamente le stesse della IC. Il problema di IB è che in realtà è non-locale ("olistica" significa appunto "non-locale") ma la sua non-località non è come quella Newtoniana. In fisica newtoniana l'effetto di un'interazione cala con la distanza, in IB la distanza non gioca alcun ruolo. In sostanza la funzione d'onda di tutto l'universo la puoi vedere come semplicemente allo stesso livello dell'Hamiltoniana in meccanica classica. Serve solo per calcolarsi le equazioni del moto delle particelle. Il problema è che appunto l'equazione del moto di una particelle dipende da
tutte le particelle dell'Universo, quasi che l'intero Universo "evolva" in completa sintonia. Per spiegare questo paradosso t'Hooft ha introdotto il superdeterminismo: l'intera evoluzione dell'universo era pre-determinata all'istante iniziale. Solo in questo modo non c'è correlazione a lunga distanza proprio perchè d'altronde tutto va come era prestabilito che andasse. Inoltre si sa già che appaiono infiniti in essa e la cosa è "sospetta" per un fisico. https://plato.stanford.edu/entries/qm-bohm/
Per evitare tutti questi paradossi si è anche introdotta l'Interpretazione a Molti Mondi (IMM). I problemi di IMM sono due: non spiega l'esistenza della regola di Born (ossia non spiega perchè la distribuzione di probabilità osservate sono quelle e non altre) e non spiega da dove "nasce" il nostro punto di vista classico. Oltre ad essere orrenda dal punto di vista filosofico (tutto ciò che può accadere accade ;D ). https://plato.stanford.edu/entries/qm-manyworlds/
Poi c'è Rovelli con la sua Interpretazione Relazionale (IR). In questo caso ogni osservatore ha un ruolo intrinseco nel risultato sperimentale. In sostanza questa interpretazione fonde la "verità" della parte positivistica della IC (ossia che posizioni, velocità ecc "ci sono" all'atto dell'osservazione. Non a caso Rovellli apprezza il Tractatus di Wittgenstein) e la "verità" della IMM, nel senso che la meccanica quantistica è vista come teoria completa. Problema: ci avviciniamo al solipsismo. https://plato.stanford.edu/entries/qm-relational/
In sostanza ogni intepretazione ha i suoi problemi. Secondo me si dovrà andare oltre alla meccanica quantistica visto che trovo ogni interpretazione insoddisfacente per un motivo o per l'altro.
P.S. Una volta ero un convinto Bohmiano, oggi protendo di più per un "qualcosa" compreso tra l'interpretazione di Rovelli e quella di stampo neo-positivistico ma ho fortissime reticenze sul fatto che la natura sia inerentemente probabilistica. Tutto il "quantum mysticism" nasce da una interpretazione errata delle teorie di Bohm e di Heisenberg. Nel primo caso l'"olismo" è stato ridicolizzato ed è stato accostato al new-age mentre nel secondo caso si è arrivati a dire che la "coscienza crea la realtà". Spesso si vede che le due cose sono state fuse.
Visto che comunque non si può ancora falsificare le varie intepretazioni si deve scegliere filosoficamente.
Citazione di: Apeiron il 25 Febbraio 2017, 11:41:46 AM
No, l'assunzione che la natura quantistica sia intrinsecamente probabilistica è essenziale all'interpretazione di Copenhagen in tutte le sue varianti. Se prendi l'esperimento della doppia fenidtura ti accorgi sicuramente che esso deve essere ripetibile, altrimenti ogni predizione statistica non ha senso ma per motivi diversi dall'uso che si fa della statistica in meccanica classica.
Non intendevo certo aprire una discussione sull' "interpretazione" (peraltro trovo singolare che una teoria vada interpretata) della m.q.: tutti la usano religiosamente perché funziona e le sue predizioni hanno permesso altri impensabili sbocchi teorici e pratici; basta pensare alla teoria delle giunzioni di semiconduttori e al suo massiccio uso in tutta l'elettronica allo stato solido e quindi al suo impatto sulle moderne tecnologie.
Non ritengo corretta la comparazione che tu fai tra l'evento casuale nel macrocosmo (lancio del dado) e l'aspetto probabilistico nella m.q., perché stiamo parlando di cose diverse. La doppia fenditura produce sempre la stessa figura di interferenza per determinate condizioni al contorno e questo lo spiega perfettamente anche la fisica classica riguardo alla luce (non interviene nessuna probabilità), e nel caso dell'interferenza dell'elettrone banalmente è lo stesso se tu ammetti che l'elettrone è un'onda: è nel momento della rilevazione dell'elettrone (come corpuscolo) che entra in gioco la probabilità. Per il resto se l'elettrone non ha modo di passare attraverso una fenditura di opportune dimensioni non darebbe luogo a fenomeni di diffrazione e/o di interferenza, come a dire che la descrizione statistica che ne farebbe la fisica classica è ancora valida (entro certe condizioni).
Tu non potresti fare lo stesso esperimento con palle di cannone per l'ovvio motivo che la palla avrebbe associata un'onda con lunghezza d'onda talmente piccola da non poter fisicamente creare fenditure comparabili con tale lunghezza d'onda, tantomeno la palla la potrebbe attraversare. In sostanza, nel mondo microscopico le particelle (qualunque cosa esse siano) hanno un'onda associata che permette di farle passare attraverso fenditure compatibili (ad esempio possono attraversare la struttura atomica di un reticolo), ma ciò è impossibile nel macrocosmo, e infatti tanto più le strutture diventano complesse tanto più diventa difficile costringerle ad interferire (l'interferenza è stata sperimentata anche con atomi ed opportune strutture molecolari), segno evidente che quel dualismo onda/particella dal quale non possiamo liberarci nel microcosmo, magicamente scompare nel macrocosmo (a causa delle dimensioni e della massa).
Ah ok! :) ora ho capito e accolgo la tua obiezione e cerco di integrarla nel mio pensiero. Sì hai ragione nel dire che i fenomeni non si possono davvero paragonare. Tuttavia il mio discorso era un po' diverso. Nel caso classico non c'è davvero in linea di principio bisogno di parlare di "probabilità". Ci serve quando nella pratica abbiamo troppi gradi di libertà: in sostanza ambiti del sapere come la meccanica statistica e lo studio del lancio dei dadi usano il concetto di probabilità perchè ci manca la conoscenza che in linea di principio sarebbe accessibile (vedi demone di Laplace).
In MQ (meccanica quantistica) specialmente nell'IC le cose non stanno esattamente così: qui nemmeno in linea di principio si può andare oltre a previsioni probabilistiche. Perchè? Rispondendo a questa domanda si entra nella filosofia.
Ma cosa significa che un evento è probabilistico? significa che segue le "leggi" della probabilità. Supponiamo che ad esempio ci sia un evento che segue una distribuzione gaussiana. Se siamo in questa situazione mi pare chiaro che per dire una cosa del genere si deve considerare il sotto-sistema considerato come una identità indipendente dall'esterno. In meccanica classica non puoi davvero isolare niente (se non approssimando...) emntre in meccanica quantistica non puoi far altro che considerare sotto-sistemi che sono per così dire "universi a parte", uno dei chiami per brevità lo chiamo S. Ora S è da considerarsi un'entità a parte. Ma a questo punto sorge il dilemma: se considero un sistema più grande G, che contiene S, come sistema quantistico? Ora S non è più visto come indipendente ma come parte di G. A G ora posso associare una funzione d'onda. Che ne è di S? S ora non è più indipendente! E in sostanza qui troviamo il paradosso: per dire che un sistema S segue una determinata legge probabilistica caratteristica dobbiamo considerarlo indipendente, ma mi è bastato considerare un sistema G che contiene S per mostrare che S in realtà non è più il sistema ma solo una parte. Questo è l'entanglement. Il problema è che c'è sempre un'arbitrarietà nel definire il sistema, tant'è che volendo posso pensare all'intero universo! Ma perchè noi nella pratica vediamo sotto-sistemi? Possiamo rispondere in due modi: o la meccanica quantistica non la si può applicare a tutto l'universo oppure in qualche modo dobbiamo spiegare "la nostra vita" anche se in realtà l'unico sistema indipendente è l'intero universo. Questo argomento credo che basti nel mostrare che la meccanica quantistica è incompleta: non la si può applicare a tutto l'universo se non si vuole cadere nella non-località e nell'assoluto determinismo (IB), nel solipsismo (IR) o nel predeterminismo (t'Hooft).
Cosa c'entra questo discorso con i dadi? Beh anche là per parlare di probabilità dovevo isolare il sistema. E qui torniamo a quanto diceva sgiombo. Non si può parlare di un evento che segue leggi probabilistiche se non "staccandolo" dal resto. Ma siccome io non credo che esistano davvero "sistemi isolati" (ossia che non interagiscono con niente!) e non credo che il mondo sia deterministico ma lo ritengo regolare, secondo me la sua regolarità non potrà mai essere capita con i concetti odierni. Dovremo trovare una regolarità che vada oltre il determinismo e il probabilismo (chi nega il libero arbitrio d'altronde è convinto che o tutto sia random o che tutto sia determinato). Ma la regolarità non significa questo...
Eretiko:
(peraltro trovo singolare che una teoria vada interpretata) della m.q.: tutti la usano religiosamente perché funziona e le sue predizioni hanno permesso altri impensabili sbocchi teorici e pratici; basta pensare alla teoria delle giunzioni di semiconduttori e al suo massiccio uso in tutta l'elettronica allo stato solido e quindi al suo impatto sulle moderne tecnologie.
Sgiombo:
Esponendo (al fine di comprenderci reciprocamente) mere valutazioni soggettive circa "ciò che è più e ciò che è meno interessante considerare, fare oggetto di attenzione" da parte di ciascuno, ed essendone ben consapevole (e dunque non pretendendo assolutamente che i miei interessi debbano essere anche gli interessi degli altri), mi sembra di rilevare di nuovo un tuo (assolutamente insindacabile da chiunque, a cominciare da me: e ci mancherebbe altro!) essere relativamente disinteressato rispetto alle considerazioni filosofiche.
Invece per parte mia (e mi pare di rilevare di molti altri frequentatori del forum; il che, oltre che una mia personalissima valutazione soggettiva che potrebbe rivelarsi del tutto errata, ovviamente non inficia in alcun modo l' insindacabilità del tuo atteggiamento in proposito, né di quello di chiunque alto), oltre all' interesse pratico circa il fatto che la meccanica quantistica funziona benissimo e le sue applicazioni tecniche sono utilissime, provo anche e forse soprattutto un interesse più "speculativo" o filosofico a cercare la verità (teorica; aggettivo pleonastico) come fine (e fonte di soddisfazione nella misura in cui è conseguito) a se stesso.
Quello che scrivono e pensano i cultori "conformisti" della meccanica quantistica serve in pratica egregiamente, non meno bene di quanto ne dice Bohm (e anche di quanto ne dicono Schroedinger, ed Einstein, e de Broglie; e anche gli altri autori citati da Apeiron che personalmente non conosco, nonché altri ancora).
Bene; però a me personalmente questo non basta. A me piace fare giri in bicicletta o in moto (mentre ad altri può altrettanto legittimamente piacere il calcio o il tennis), piacciono le donne (mentre ad altri possono del tutto legittimamente piacere quelli del loro stesso sesso o di entrambi), piace la buona cucina (in qualità di buongustaio; mentre altri possono preferire ascoltare musica o fruire delle arti figurative o letterarie; cose che peraltro non dispiacciono nemmeno a me; oppure preferiscono coltivare un giardino o dedicarsi ad altri hobby ancora), piace parlare di politica (non con tutti; e non in questo forum); e inoltre, forse più di qualsiasi altra cosa, mi piace cercare di capire come e perché è il mondo in cui vivo, come e perché sono io, come e perché sarebbe auspicabile che diventasse il mondo, come e perché sarebbe auspicabile che mi comportassi io (anche indipendentemente dalle eventuali applicazioni pratiche, come mezzi, delle conoscenze che cerco di conseguire come scopi).
Apeiron:
Non si può parlare di un evento che segue leggi probabilistiche se non "staccandolo" dal resto. Ma siccome io non credo che esistano davvero "sistemi isolati" (ossia che non interagiscono con niente!) e non credo che il mondo sia deterministico ma lo ritengo regolare, secondo me la sua regolarità non potrà mai essere capita con i concetti odierni. Dovremo trovare una regolarità che vada oltre il determinismo e il probabilismo (chi nega il libero arbitrio d'altronde è convinto che o tutto sia random o che tutto sia determinato). Ma la regolarità non significa questo...
Sgiombo:
Ciò mi induce a rilevare che il tuo non credere che il mondo (fisico materiale; personalmente credo esista pure un mondo mentale ad esso non riducibile né da esso emergente) sia non deterministico ma regolare è un' atto di fede indimostrabile né constatabile empiricamente (come anche il credere che non esistano davvero "sistemi isolati"; personalmente condivido quest' ultima credenza, e almeno per quanto mi riguarda credo anche che l' universo materiale – naturale sia infinito nel tempo e nello spazio e dunque che non può esso stesso complessivamente essere considerato di fatto realisticamente un sistema isolato -infinito in potenza- mentre lo potrebbe essere per assurdo solo se esistesse Dio: infinito in atto).
Esattamente come il mio credere che sia deterministico.
In entrambi i casi (mio: determinismo; e tuo: regolarità) la rispettiva credenza arbitraria è (per lo meno anche, fra l' altro) una conditio sine qua non per essere conseguenti nel credere nella possibilità della conoscenza scientifica (vera; oltre che, unicamente da parte mia, dell' etica): negare l' uno o l' altro assunto indimostrabile implicherebbe necessariamente (se ne sia consapevoli o meno) la possibilità della conoscenza scientifica (vera).
Però mi è ben chiaro che cosa significhi "determinismo", mentre una regolarità che vada oltre il determinismo e il probabilismo è tutta da trovare (ovviamente non nel senso di rilevarla empiricamente ma di stabilire assiomaticamente a priori di che cosa si tratti; per poi sottoporla a confronto con quanto empiricamente rilevabile, nel caso e nella misura in cui ciò fosse possibile: mera valutazione di un suo eventuale non contraddirlo e non di un impossibile suo esserne dimostrata, esattamente come anche nel caso del determinismo).
Ma i paradossi da te stesso rilevati di una concezione ontologicamente probabilistica – statistica del divenire naturale mi sembra inducano a concludere che necessariamente (verità logica, analitica a priori e dunque indubitabile, malgrado le pretese di certi relativisti) o tutto é random o tutto é determinato (peraltro personalmente considero il divenire probabilistico statistico una variante "debole" di determinismo, inteso in senso "lato" come "divenire ordinato o relativo o parziale"; potendo peraltro essere parimenti considerata una variante "debole" di indeterminismo, inteso in senso lato come "divenire non deterministico in senso stretto").
Inoltre la chiusura causale del mondo fisico, che a mio parere è pure una conditio sine qua non di una reale conoscenza veramente scientifica (e non di un mero "malinteso da strane, improbabili circostanze" come potrebbero essere cento lanci consecutivi di un dado tutti con esito "6") della realtà naturale - materiale, sembrerebbe escludere la possibilità del libero arbitrio.
Citazione di: sgiombo il 26 Febbraio 2017, 10:34:29 AM
Esponendo (al fine di comprenderci reciprocamente) mere valutazioni soggettive circa "ciò che è più e ciò che è meno interessante considerare, fare oggetto di attenzione" da parte di ciascuno, ed essendone ben consapevole (e dunque non pretendendo assolutamente che i miei interessi debbano essere anche gli interessi degli altri), mi sembra di rilevare di nuovo un tuo (assolutamente insindacabile da chiunque, a cominciare da me: e ci mancherebbe altro!) essere relativamente disinteressato rispetto alle considerazioni filosofiche.
Invece sono molto interessato alle considerazioni filosofiche, ci mancherebbe altro, proprio perche' ritengo che c'e' una reazione continua tra le concezioni filosofiche e scienze naturali, una influenza inevitabilmente l'altra. La mia osservazione era appunto volta a riflettere sullo strano modo di procedere di molti fisici di oggi, che da una parte seguono religiosamente un insieme di regole solo perche' "funzionano", dall'altra si contraddicono azzardando ipotesi spesso prive di buon senso (e penso che conoscerai benissimo quanti fisici si avventurino in ipotesi mistiche riguardo al mondo microscopico).
Quando ho studiato meccanica quantistica la diseguaglianza di Bell era solo una questione matematica e i primi esperimenti di Aspect a Parigi erano ancora a venire, quindi puoi immaginare che effetto abbiano avuto gli sviluppi successivi sulla mia visione del mondo incentrata sulla causalita', il realismo e il localismo. Peraltro riguardo allo scetticismo di Hume avevo gia' detto che secondo me era superato sia da Kant, con la sua concezione sui giudizi sintetici a priori, centrati soprattutto sulla concezione innata dello spazio e del tempo pur non derivando essa da considerazioni empiriche. E se questo Kant lo poteva asserire in base al successo della meccanica newtoniana, ancora di piu' sembrava vero alla luce della teoria della relativita' e in base al modo di procedere di Einstein.
L'aspetto paradossale della meccanica quantistica e' che essa e' stata sviluppata con i metodi della fisica classica, e che l'equazione d'onda e' sostanzialmente l'evoluzione causale di qualcosa che viene considerato allo stesso tempo "onda" (ma onda di che?) e corpuscolo di una certa massa, cosi' da incorporare automaticamente le relazioni di incertezza di Heisemberg (io preferisco chiamarle cosi'), fatto che ha fatto dire ad Heisemberg e a tutti suoi seguaci che questo e' un aspetto intrinseco della natura. Ecco perche' si parla di interpretazione: perche' tutta la meccanica quantistica sembra una teoria della "misura" piu' che una teoria sul funzionamento del mondo; peraltro si puo' anche accettare questa interpretazione, alla luce della banale osservazione che a livello microscopico ogni interazione puo' essere vista come una "misura", contrariamente al mondo macroscopico dove, sensatamente, si puo' immaginare di riuscire sempre a separare gli enti per non disturbarli e dove si puo' sempre immaginare,sensatamente, di effettuare misure non invadenti e di arbitraria precisione.
Peraltro una certa "inseparabilita'" nell'universo era gia' emersa prepotentemente nella relativita' generale, dove l'inerzia di un corpo in qualche misura dipende da tutto l'universo, e dove l'effetto reciproco di reazione tra la distribuzione di energia e la struttura dello spazio-tempo e' il nucleo della teoria.
Ma il realismo e il localismo, seppure si puo' dire che siano state un'assunzione metafisica della realta' da parte di Einstein (e di tutta la fisica del mondo macroscopico) ci permettono di vedere ancora un mondo causale e determinato, perche' possiamo ignorare l'effetto di tutto quello che puo' essere provocato da enti che si trovano "lontani" dal sistema in esame.
Dopo la conferma sperimentale delle diseguaglianze di Bell gli integralisti mistici della meccanica quantistica si sono affrettati ad affermare che il mondo microscopico viola il "realismo locale", ma si potrebbe invece supporre che violi solo il realismo, oppure solo il localismo (difficile pero', visto che la relativita' e' ampiamente verificata), e non necessariamente entrambi. Ma si sa, la maggior parte dei fisici contemporanei si esalta all'idea di poter confutare completamente Einstein, fermo restando che, come succede ad esempio nell'antanglement, mi debbono spiegare in che modo pensano di sfruttarlo per inviare "informazioni", visto che i famosi stati quantici teletrasportati altro non sono che la conseguenza ad esempio della conservazione del momento angolare, ovvero conseguenza di un concetto della fisica classica!
Posso allora concludere, per salvare la causalita', che alla natura microscopica non posso applicare ingenuamente il principio di realta', e che la posso studiare solo probabilisticamente perche' non ho ancora la possibilita' di un modello soddisfacente per farmene un'immagine (anche perche' in tanti anni ancora non ho capito cosa sia un'onda di probabilita' se non un nostro modo di vedere); e ripeto ancora l'esempio del tubo catodico, che "quantisticamente" si comporta esattamente come in fisica classica, ma con l'inquietante differenza che la probabilita' che il fascio si diffonda solo in una circoscritta zona dello schermo (in questo caso pari al 100%) e' determinata da tutto lo spazio-tempo, anche dove gli elettroni sensatamente non potrebbero stare, perche' sembra insensato che in quel fascio ci siano elettroni che vanno sulla Luna, altri su Marte, ritornino e vadano tutti a colpire lo schermo proprio nello stesso intorno (statistico).
Grazie, Eretiko, per il chiarimento (é evidente che intenderci non é facile e richiede qualche "sforzo supplementare di spiegazione", essendo comunque ben possibile) e per le ulteriori interessanti considerazioni e informazioni (quanto dici circa le diseguaglianze di Bell e le successive, non facili verifiche sperimentali fino ad Aspect mi ricorda moltissimo l' atteggiamento in proposito del compianto Franco Selleri, da me sempre apprezzatissimo).
Mi scuso inoltre per un certo indebito -alla luce di quanto ho compreso poi- sarcasmo da parte mia nei precedenti interventi (precisazione per tutti: non accetto di essere per questo considerato "buonista", che considero un epiteto alquanto ingiurioso; casomai corretto e magari anche alquanto pignolo, con me stesso e con gli altri, che considero un difetto decisamente più "veniale").
@sgiombo certo che la mia è una "credenza"! Tornando al problema del determinismo vediamo che in tutte le sue forme ci "dice" che l'universo è un unico "oggetto" che lavora tutto in sintonia. In meccanica classica ad esempio dove i range di interazione sono infiniti e dove l'interazione si propaga a velocità infinita effettivamente l'universo è un Uno-Tutto. La cosa "strana" è appunto che questo Uno-Tutto ha "in sé" delle "parti" altamente "specializzate" come lo sono gli esseri viventi. Il problema è che il determinismo non può mai essere compatibilista perchè il determinismo asserisce che la causa e l'effetto sono sempre legati secondo una necessità. Da notare che in meccanica classica effettivamente la suddivisione in sotto-sistemi è meramente utile, perchè esiste solo un sistema, l'universo stesso.
In relatività invece la velocità limite fa in modo che in questo Uno-Tutto le parti non interagiscono tutte tra di loro e in questo modo si ha la località e quindi si possono formare "sottosistemi". Tuttavia nuovamente il determinismo fa in modo che gli individui non solo sono interdipendenti ma sono semplici illusioni, semplici inganni dell'intelletto. L'assurdità è che in questo caso la nostra illusione di essere un "io", la nostra illusione di essere liberi sono veramente degli scherzi della natura.
Se invece il mondo fosse probabilistico si aprono nuovi orizzonti. Affinché si possa parlare di sistemi che si comportano secondo leggi probabilistiche è necessario che abbia senso "isolarli" dall'esterno. Infatti oltre che avere una identità propria devono essere anche completamente indipendenti dal resto del mondo ("indipendenza statistica"). Il punto è che nuovamente la suddivisione in sotto-sistemi completamente indipendenti è solo una convenzione pratica. Non si possono osservare particelle libere, perchè già il solo atto di osservazione è un'interazione. Inoltre differenti osservatori osservano sistemi diversi (vedi il paradosso dell'amico di Wigner). Inoltre nuovamente anche qui si arriva ad assumere una posizione fatalistica: se tutto "va a caso" non posso fare nulla.
Nel mio caso parlo semplicemente di regolarità (che è una generalizzazione del determinismo e del probabilismo). Ma una regolarità che riesce a "produrre" sia individui dotati di propria identità e di libertà limitata ma non indipendenti o liberi. In sostanza determinismo e probabilismo mi paiono semplificazioni troppo esagerate. Possiamo fare di meglio con le nostre ipotesi.
P.S. All'università non hanno mai nominato Bell e hanno accennato l'entanglement un paio di volte. Purtroppo è un argomento di ricerca da dottorato per chi si specializza in fondamenti di meccanica quantistica. Ergo la mia conoscenza di queste cose è veramente ridotta. In ogni caso concordo con Eretiko che troppi fisici hanno abbandonato la riflessione filosofica solo perchè la teoria "funziona". Ma la natura è molto, ma molto più misteriosa delle nostre teorie (alcune delle quali sono assurdamente complicate).
Citazione di: Apeiron il 26 Febbraio 2017, 15:11:04 PMNel mio caso parlo semplicemente di regolarità (che è una generalizzazione del determinismo e del probabilismo). Ma una regolarità che riesce a "produrre" sia individui dotati di propria identità e di libertà limitata ma non indipendenti o liberi. In sostanza determinismo e probabilismo mi paiono semplificazioni troppo esagerate. Possiamo fare di meglio con le nostre ipotesi.
Considera che il rigido determinismo e' stato abbandonato, ancor prima della teoria dei quanti, all'interno della stessa meccanica newtoniana, grazie al lavoro di Poincare' nel famoso problema dei "tre corpi", del quale e' sicuramente interessante leggere le considerazioni filosofiche sul "caos".
Non dimentichiamo che noi conosciamo le leggi "causali" sempre in forma differenziale, valide su una infinitesima porzione di spazio-tempo piccola a piacere, e che pretendiamo di estendere a una porzione finita di spazio-tempo (o addirittura a tutto l'universo) quando si cerca una soluzione particolare (con opportune condizioni al contorno) e che spesso e volentieri non riusciamo ad esprimere in forma chiusa (come nel caso dei tre corpi isolati nello spazio o nel caso apparentemente semplice del pendolo). Detto in parole povere: pur continuando a vedere la "regolarita'" occorre accettare una forma debole di determinismo perche' la complessita' della natura non ci consente di ridurre un sistema oltre un certo limite, soprattutto in un sistema biologico sottoposto da una parte ad eventi casuali (variazioni genetiche) e dall'altra filtrato da un processo deterministico (l'ambiente).
Anche se la parola "caos" e' fuorviante perche' sembra connessa a processi casuali, in realta' essa deriva proprio dal rigido determinismo, e la conclusione e' che di fatto piu' aumenta la complessita' piu' si riduce la possibilita' di fare previsioni a lungo termine.
Citazione di: Eretiko il 26 Febbraio 2017, 18:55:13 PMCitazione di: Apeiron il 26 Febbraio 2017, 15:11:04 PMNel mio caso parlo semplicemente di regolarità (che è una generalizzazione del determinismo e del probabilismo). Ma una regolarità che riesce a "produrre" sia individui dotati di propria identità e di libertà limitata ma non indipendenti o liberi. In sostanza determinismo e probabilismo mi paiono semplificazioni troppo esagerate. Possiamo fare di meglio con le nostre ipotesi.
Considera che il rigido determinismo e' stato abbandonato, ancor prima della teoria dei quanti, all'interno della stessa meccanica newtoniana, grazie al lavoro di Poincare' nel famoso problema dei "tre corpi", del quale e' sicuramente interessante leggere le considerazioni filosofiche sul "caos". Non dimentichiamo che noi conosciamo le leggi "causali" sempre in forma differenziale, valide su una infinitesima porzione di spazio-tempo piccola a piacere, e che pretendiamo di estendere a una porzione finita di spazio-tempo (o addirittura a tutto l'universo) quando si cerca una soluzione particolare (con opportune condizioni al contorno) e che spesso e volentieri non riusciamo ad esprimere in forma chiusa (come nel caso dei tre corpi isolati nello spazio o nel caso apparentemente semplice del pendolo). Detto in parole povere: pur continuando a vedere la "regolarita'" occorre accettare una forma debole di determinismo perche' la complessita' della natura non ci consente di ridurre un sistema oltre un certo limite, soprattutto in un sistema biologico sottoposto da una parte ad eventi casuali (variazioni genetiche) e dall'altra filtrato da un processo deterministico (l'ambiente). Anche se la parola "caos" e' fuorviante perche' sembra connessa a processi casuali, in realta' essa deriva proprio dal rigido determinismo, e la conclusione e' che di fatto piu' aumenta la complessita' piu' si riduce la possibilita' di fare previsioni a lungo termine.
Concordo con tutto ciò che hai detto ;) il famoso lancio del dado iniziale dipende da una quantità tremenda di fattori: da come scelgo di lancirarlo, da dove cade, da come è l'ambiente in cui cade... Troppi fattori. E il risultato è che tutti questi fattori fanno sì che "assomigli" ad un evento casuale ma d'altronde non lo è perchè appunto dipende da "fattori esterni" che non ne garantiscono l'"indipendenza statistica". Sì anche io favorisco un determinismo debole ma un determinismo così debole da lasciare una, seppur parziale, autonomia ai suoi ingranaggi non è più un determinismo. In ogni caso secondo me la citata teoria del caos (su cui in questa discussione avevo sorvolato, ma che c'entrava molto di più della MQ ;D ) ha dimostrato appunto che la realtà non è né deterministica né probabilistica. Determinismo e probabilismo sono utili "strumenti" d'indagine. Ma niente di più.
Citazione di: Apeiron il 26 Febbraio 2017, 15:11:04 PM
@sgiombo certo che la mia è una "credenza"! Tornando al problema del determinismo vediamo che in tutte le sue forme ci "dice" che l'universo è un unico "oggetto" che lavora tutto in sintonia. In meccanica classica ad esempio dove i range di interazione sono infiniti e dove l'interazione si propaga a velocità infinita effettivamente l'universo è un Uno-Tutto. La cosa "strana" è appunto che questo Uno-Tutto ha "in sé" delle "parti" altamente "specializzate" come lo sono gli esseri viventi. Il problema è che il determinismo non può mai essere compatibilista perchè il determinismo asserisce che la causa e l'effetto sono sempre legati secondo una necessità. Da notare che in meccanica classica effettivamente la suddivisione in sotto-sistemi è meramente utile, perchè esiste solo un sistema, l'universo stesso.
In relatività invece la velocità limite fa in modo che in questo Uno-Tutto le parti non interagiscono tutte tra di loro e in questo modo si ha la località e quindi si possono formare "sottosistemi". Tuttavia nuovamente il determinismo fa in modo che gli individui non solo sono interdipendenti ma sono semplici illusioni, semplici inganni dell'intelletto. L'assurdità è che in questo caso la nostra illusione di essere un "io", la nostra illusione di essere liberi sono veramente degli scherzi della natura.
Se invece il mondo fosse probabilistico si aprono nuovi orizzonti. Affinché si possa parlare di sistemi che si comportano secondo leggi probabilistiche è necessario che abbia senso "isolarli" dall'esterno. Infatti oltre che avere una identità propria devono essere anche completamente indipendenti dal resto del mondo ("indipendenza statistica"). Il punto è che nuovamente la suddivisione in sotto-sistemi completamente indipendenti è solo una convenzione pratica. Non si possono osservare particelle libere, perchè già il solo atto di osservazione è un'interazione. Inoltre differenti osservatori osservano sistemi diversi (vedi il paradosso dell'amico di Wigner). Inoltre nuovamente anche qui si arriva ad assumere una posizione fatalistica: se tutto "va a caso" non posso fare nulla.
Nel mio caso parlo semplicemente di regolarità (che è una generalizzazione del determinismo e del probabilismo). Ma una regolarità che riesce a "produrre" sia individui dotati di propria identità e di libertà limitata ma non indipendenti o liberi. In sostanza determinismo e probabilismo mi paiono semplificazioni troppo esagerate. Possiamo fare di meglio con le nostre ipotesi.
P.S. All'università non hanno mai nominato Bell e hanno accennato l'entanglement un paio di volte. Purtroppo è un argomento di ricerca da dottorato per chi si specializza in fondamenti di meccanica quantistica. Ergo la mia conoscenza di queste cose è veramente ridotta. In ogni caso concordo con Eretiko che troppi fisici hanno abbandonato la riflessione filosofica solo perchè la teoria "funziona". Ma la natura è molto, ma molto più misteriosa delle nostre teorie (alcune delle quali sono assurdamente complicate).
CitazioneLe leggi di natura (da postularsi arbitrariamente perché possa darsi di essa conoscenza scientifica, in accordo con Hume e con Wittgenstein, sono "per definizione" o "per postulazione" universali e costanti.
Ma secondo me è del tutto evidente che non v' è nulla di "strano" nel fatto che l' universo materiale – naturale comprenda in sé parti "altamente specializzate" (termine che mi sembra possa dare adito a fraintendimenti in qualche senso antropomorfistici o finalistici, per cui preferirei dire "complesse") e in particolare la vita (la materia vivente) il cui divenire ritengo perfettamente riducibile senza dubbio o problema alcuno a quello della materia in generale (la biologia alla fisica – chimica; non così il pensiero al cervello o la mente alla materia – natura trattandosi in questo caso non di fenomeni facenti parte di un unico, medesimo insieme di eventi integrati, reciprocamente interferenti, divenienti secondo le stesse leggi di natura astratte universali e costanti, le quali nel caso della materia vivente si manifestano o si "applicano" o "funzionano" -e ne sono astraibili dalla conoscenza scientifica- in condizioni particolari e concrete di peculiare complessità; mentre invece materia e mente sono due diversi ordini di eventi reali, entrambi fenomenici, reciprocamente separati, trascendenti, non interferenti, assolutamente incomunicanti, per la ineludibile chiusura causale del mondo fisico, anche se divenienti per così dire necessariamente "in parallelo", in corrispondenza biunivoca; non si danno determinati eventi mentali senza determinati eventi cerebrali e non altri e viceversa).
Ritengo inoltre il determinismo non solo compatibile con l' etica ma anzi addirittura ad esso necessario, come già brevemente accennato, perché l' etica necessita sì dell' assenza di determinazioni estrinseche, ma non invece di determinazioni intrinseche (non del libero arbitrio) che farebbe dell' agire umano un fatto meramente fortuito.
Non vedo perché, in che senso, gli "individui", per il fatto di essere integrati in un tutto in divenire deterministico regolato dalle medesime leggi universali e costanti e dunque interdipendenti con il "resto del tutto" non possano essere che "semplici illusioni, semplici inganni dell'intelletto": qualsiasi arbitrario "ritaglio mereologico" di enti ed eventi nell' insieme dell' universo naturale – materiale è lecito (possibile sensatamente; anche se solo certi determinati "ritagli" e non qualsiasi possibile ne consentono la conoscenza scientifica permettendo di identificare leggi universali e costanti del suo divenire; concordo che si tratti di "convenzioni", pratiche ma anche teoriche, ma non per questo illusorie, non riferibili alla realtà).
Inoltre (di fatto e anche in linea teorica, di principio) non è affatto vero che il determinismo porti al fatalismo (cioè all' accettazione passiva degli eventi): il sapere che il mio agire è deterministico, dovuto non al caso ovvero al libero arbitrio ma alle mie "virtù" -e/o vizi- per dirlo alla maniera degli stoici (virtù o vizi che non merito in alcun modo ma ho avuto la fortuna o sfortuna di trovarmi ad avere non per mia libera -ovvero casuale- scelta) non mi fa né caldo né freddo a proposito dei miei ideali, aspirazioni, desideri, e della mia determinazione a lottare per essi.
In caso di determinismo ciascuno ha i vizi o le virtù che ha non per sua libera scelta in ultima analisi, dal momento che ci deve essere necessariamente -per necessità logica- un "prima" di qualsiasi scelta, dunque non scelto ma subito, che determina la scelta stessa.
Ma questa è appunto una necessità logica (varrebbe perfino per un dio onnipotente, se esistesse): non può essere che così per il semplice fatto che negarlo sarebbe autocontraddittorio e dunque senza senso, non significherebbe alcunché non sarebbe qualcosa su cui ragionare.
Concordo anch' io che troppi fisici hanno abbandonato la riflessione filosofica solo perchè la teoria "funziona". Ma la natura è molto, ma molto più misteriosa delle nostre teorie (alcune delle quali sono assurdamente complicate).
Già Friederich Engels nella Dialettica della natura aveva evidenziato l' illusorietà e la dannosità di questo atteggiamento positivistico:
"Gli scienziati credono di liberarsi della filosofia ignorandola od insultandola. Ma poichè senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero, essi accolgono queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte, dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po' di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all' Università (che è non solo frammentaria, ma un miscuglio delle concezioni delle persone appartenenti alle più diverse, e spesso peggiori, scuole), o dalla lettura acritica ed asistematica di scritti filosofici di ogni specie; pertanto essi non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte, purtroppo, della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della paggiore filosofia...".
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:27:46 PM
Entrambi ti direbbero che l'induzione e la certezza della regolarità e le loro negazioni non possono davvero essere dimostrate. Ad esempio nel caso più semplice dell'induzione il dubbio parte dal principio. Ossia ti sfidano in questo modo: che senso ha usare l'induzione? In sostanza entrambi ti dicono che la usiamo per la pratica ma non è un metodo che possiamo prendere come infallibile.
Il problema è che la certezza del dubbio ("che l'induzione e la regolarità e le loro negazioni non possono essere dimostrate") si basa proprio sull'induzione, questa è una contraddizione dello scetticismo.
Citazione di: Eretiko il 26 Febbraio 2017, 18:55:13 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Febbraio 2017, 15:11:04 PMNel mio caso parlo semplicemente di regolarità (che è una generalizzazione del determinismo e del probabilismo). Ma una regolarità che riesce a "produrre" sia individui dotati di propria identità e di libertà limitata ma non indipendenti o liberi. In sostanza determinismo e probabilismo mi paiono semplificazioni troppo esagerate. Possiamo fare di meglio con le nostre ipotesi.
Considera che il rigido determinismo e' stato abbandonato, ancor prima della teoria dei quanti, all'interno della stessa meccanica newtoniana, grazie al lavoro di Poincare' nel famoso problema dei "tre corpi", del quale e' sicuramente interessante leggere le considerazioni filosofiche sul "caos".
Non dimentichiamo che noi conosciamo le leggi "causali" sempre in forma differenziale, valide su una infinitesima porzione di spazio-tempo piccola a piacere, e che pretendiamo di estendere a una porzione finita di spazio-tempo (o addirittura a tutto l'universo) quando si cerca una soluzione particolare (con opportune condizioni al contorno) e che spesso e volentieri non riusciamo ad esprimere in forma chiusa (come nel caso dei tre corpi isolati nello spazio o nel caso apparentemente semplice del pendolo). Detto in parole povere: pur continuando a vedere la "regolarita'" occorre accettare una forma debole di determinismo perche' la complessita' della natura non ci consente di ridurre un sistema oltre un certo limite, soprattutto in un sistema biologico sottoposto da una parte ad eventi casuali (variazioni genetiche) e dall'altra filtrato da un processo deterministico (l'ambiente).
Anche se la parola "caos" e' fuorviante perche' sembra connessa a processi casuali, in realta' essa deriva proprio dal rigido determinismo, e la conclusione e' che di fatto piu' aumenta la complessita' piu' si riduce la possibilita' di fare previsioni a lungo termine.
Apeiron:
Concordo con tutto ciò che hai detto. il famoso lancio del dado iniziale dipende da una quantità tremenda di fattori: da come scelgo di lancirarlo, da dove cade, da come è l'ambiente in cui cade... Troppi fattori. E il risultato è che tutti questi fattori fanno sì che "assomigli" ad un evento casuale ma d'altronde non lo è perchè appunto dipende da "fattori esterni" che non ne garantiscono l'"indipendenza statistica". Sì anche io favorisco un determinismo debole ma un determinismo così debole da lasciare una, seppur parziale, autonomia ai suoi ingranaggi non è più un determinismo. In ogni caso secondo me la citata teoria del caos (su cui in questa discussione avevo sorvolato, ma che c'entrava molto di più della MQ) ha dimostrato appunto che la realtà non è né deterministica né probabilistica. Determinismo e probabilismo sono utili "strumenti" d'indagine. Ma niente di più.
Secondo me bisogna distinguere fra -rigidissimo- determinismo (oppure probabilismo) ontologico e determinismo oppure indeterminismo (relativo: probabilistico statistico, non caotico) gnoseologico (o epistemico).
Citazione
Secondo me bisogna distinguere fra -rigidissimo- determinismo (oppure probabilismo) ontologico e determinismo oppure indeterminismo (relativo: probabilistico statistico, non caotico) gnoseologico (o epistemico).
In fisica, anche newtoniana, vige incontrastato un rigido determinismo ontologico, senza il quale non avrebbe senso l' indeterminismo epistemico largamente prevalente (per l' appunto nella conoscenza che di fatto se ne può avere): solo questo a mio parere può significare l' affermazione, che condivido pienamente, che "la parola "caos" e' fuorviante perché sembra connessa a processi casuali, in realtà essa deriva proprio dal rigido determinismo [ontologico, N.d.R.], e la conclusione e' che di fatto piu' aumenta la complessita' piu' si riduce la possibilita' di fare previsioni a lungo termine [più si è costretti nei limiti del relativo indeterminismo epistemico, N.d.R.]".
Se "un determinismo così debole da lasciare una, seppur parziale, autonomia ai suoi ingranaggi non è più un determinismo" (affermazione su cui concordo pienamente), allora perché possa darsi conoscenza scientifica, essendo necessario il determinismo, occorre che questo determinismo sia adeguatamente forte.
Secondo me la teoria del caos (deterministico!) dimostra che di fatto non si può andare oltre un indeterminismo relativo (probabilistico statistico) epistemico, che però esige necessariamente di postulate un "sottostante" (reale anche se non conoscibile esaurientemente) determinismo ontologico.
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2017, 10:12:12 AMSecondo me la teoria del caos (deterministico!) dimostra che di fatto non si può andare oltre un indeterminismo relativo (probabilistico statistico) epistemico, che però esige necessariamente di postulate un "sottostante" (reale anche se non conoscibile esaurientemente) determinismo ontologico.
Era proprio quello che intendevo dire, ma dato che la parola "caos" (secondo me potevano anche scegliere un termine piu' appropriato) genera sempre una moltitudine di fraintendimenti soprattutto in coloro che sperano di cancellare la parola "causalita'" (e dunque "determinismo") dal vocabolario, credo sia bene approfondire il discorso.
E qui di nuovo vale la pena sottolineare lo stretto legame tra scienze naturali e filosofia: perche' "isolare" e "ridurre" la complessita' e' tipico almeno della filosofia occidentale analitica (contrapposta all'olismo delle filosofie orientali e alla filosofia occidentale continentale) ed ha appunto permesso lo sviluppo ad esempio della fisica, fatto evidentemente impossibile se il pensiero si concentra sull' "Uno" (con la U maiuscola, indivisibile).
E queste distinzioni filosofiche si ripercuotono inevitabilmente sulla scienza: non e' infatti un caso che mentre Zeilinger (austriaco) si interessa solo ad esperimenti sull'entanglement quantistico (fatto ormai sperimentalmente accertato da anni), laddove e' piu' forte la filosofia analitica Frank Wilczek (americano) spiega come sia possibile che un protone abbia una massa notevolmente superiore alla somma aritmetica dei 3 quark che lo compongono rispondendo in qualche modo alla domanda di come possa emergere la materia sensibile dal "vuoto quantistico" (il nulla dei mistici).
Sulla questione del libero arbitrio, e se esso sia compatibile o meno con il determinismo debole, credo che in qualche modo abbiano gia' risposto ad esempio gli studi sulla "teoria della decisione". Se infatti da un lato e' possibile costruire modelli matematici in base ai quali si deducono le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi (esempio: criteri di utilita'), dall'altro esperimenti scientifici (come quelli di Kahneman e Tversky) hanno euristicamente dimostrato che nella realta' gli uomini, in condizioni di stress e di rischio, tendono a comportarsi irrazionalmente, segno evidente che non siamo "automi". E forse, ritornando al tema della discussione, questo e' anche il segno che esistono vari livelli di probabilita' non coincidenti tra loro, come gia' avevano notato D'Alambert e Laplace: non solo probabilita' matematiche astratte, ma anche probabilita' di ordine fisico (non necessariamente quantistiche) e probabilita' di ordine psicologico.
A tal proposito si veda ad esempio l'argomento di D'Alambert sul lancio della moneta (per molto tempo ritenuto assurdo), ripreso poi da Bose riguardo a certe statistiche sui fotoni, e che fu preso sul serio solo da Einstein (il solito bastian contrario) per formulare quella che poi e' divenuta nota come "statistica di Bose-Einstein" e spiega ad esempio il funzionamento del laser.
Citazione di: Eretiko il 27 Febbraio 2017, 11:39:53 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2017, 10:12:12 AMSecondo me la teoria del caos (deterministico!) dimostra che di fatto non si può andare oltre un indeterminismo relativo (probabilistico statistico) epistemico, che però esige necessariamente di postulate un "sottostante" (reale anche se non conoscibile esaurientemente) determinismo ontologico.
Era proprio quello che intendevo dire, ma dato che la parola "caos" (secondo me potevano anche scegliere un termine piu' appropriato) genera sempre una moltitudine di fraintendimenti soprattutto in coloro che sperano di cancellare la parola "causalita'" (e dunque "determinismo") dal vocabolario, credo sia bene approfondire il discorso.
E qui di nuovo vale la pena sottolineare lo stretto legame tra scienze naturali e filosofia: perche' "isolare" e "ridurre" la complessita' e' tipico almeno della filosofia occidentale analitica (contrapposta all'olismo delle filosofie orientali e alla filosofia occidentale continentale) ed ha appunto permesso lo sviluppo ad esempio della fisica, fatto evidentemente impossibile se il pensiero si concentra sull' "Uno" (con la U maiuscola, indivisibile).
E queste distinzioni filosofiche si ripercuotono inevitabilmente sulla scienza: non e' infatti un caso che mentre Zeilinger (austriaco) si interessa solo ad esperimenti sull'entanglement quantistico (fatto ormai sperimentalmente accertato da anni), laddove e' piu' forte la filosofia analitica Frank Wilczek (americano) spiega come sia possibile che un protone abbia una massa notevolmente superiore alla somma aritmetica dei 3 quark che lo compongono rispondendo in qualche modo alla domanda di come possa emergere la materia sensibile dal "vuoto quantistico" (il nulla dei mistici).
CitazioneFin qui sono completamente e direi, scadendo forse deplorevolmente (ma credo "venialmente") nel "sentimentale" (o emotivo), d' accordo!
Sulla questione del libero arbitrio, e se esso sia compatibile o meno con il determinismo debole, credo che in qualche modo abbiano gia' risposto ad esempio gli studi sulla "teoria della decisione". Se infatti da un lato e' possibile costruire modelli matematici in base ai quali si deducono le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi (esempio: criteri di utilita'), dall'altro esperimenti scientifici (come quelli di Kahneman e Tversky) hanno euristicamente dimostrato che nella realta' gli uomini, in condizioni di stress e di rischio, tendono a comportarsi irrazionalmente, segno evidente che non siamo "automi". E forse, ritornando al tema della discussione, questo e' anche il segno che esistono vari livelli di probabilita' non coincidenti tra loro, come gia' avevano notato D'Alambert e Laplace: non solo probabilita' matematiche astratte, ma anche probabilita' di ordine fisico (non necessariamente quantistiche) e probabilita' di ordine psicologico.
A tal proposito si veda ad esempio l'argomento di D'Alambert sul lancio della moneta (per molto tempo ritenuto assurdo), ripreso poi da Bose riguardo a certe statistiche sui fotoni, e che fu preso sul serio solo da Einstein (il solito bastian contrario) per formulare quella che poi e' divenuta nota come "statistica di Bose-Einstein" e spiega ad esempio il funzionamento del laser.
CitazioneNon conosco (purtroppo!) la teoria della decisione.
Tuttavia dubito molto sia possibile costruire realistici (che "funzionano" effettivamente) modelli matematici in base ai quali si possano dedurre le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi, anche in linea di principio (a parte le risultanze empiriche che trovo sostanzialmente "prevedibili"; e comunque non per queste inutili e non interessanti).
E questo per le mie convinzioni (sulle quali credo dissentirai; il che confido renderà la discussione decisamente più interessante e proficua) sull' irriducibilità della "res cogitans" alla "res extensa" (per dirla a la Descartes; anche se sostengo un dualismo del tutto diverso da quello cartesiano che con tutta evidenza non si regge in piedi, senza nulla togliere alla grandezza di Cartesio ovviamente, e contrariamente a questo "non interazionista").
Infatti le scelte che si prendono (da parte nostra di uomini), anche ammesso -e non concesso- che possano essere sempre del tutto conseguentemente razionali, implicano valutazioni mentali (circa la res cogitans), oltre che materiali (circa la res extensa).
E se già il "caos deterministico" (absit iniuria verbis), e anche più banalmente la ovvia fallibilità umana, fanno sì che pure nel valutare razionalmente e scientificamente (per quanto effettivamente possibile) il mondo materiale – naturale ci siano evidenti limiti e possibilità di errore, le cose stanno decisamente ancor peggio per quanto riguarda la mente (pensieri, sentimenti, desideri, propensioni comportamentali, ecc.) per il fatto che res cogitans, contrariamente alla res extensa, non è letteralmente "misurabile" attraverso rapporti espressi da numeri: mentre posso pesare (letteralmente) un corpo materiale massivo (e in generale misurare la materia), posso tutt' al più "soppesare" o "ponderare" -ben diversa e più vaga cosa!- desideri, aspirazioni, soddisfazioni, insoddisfazioni. ecc.; per esempio che una certa aspirazione sia più forte (e dunque la sua soddisfazione foriera di più felicità, l' insoddisfazione di infelicità) di un' altra (per esempio mantenere un ottimo rapporto -per quanto umanamente possibile- con mia moglie e mio figlio più che avere rapporti sentimentali e carnali con una donna più giovane e bella e magari anche più intelligente e colta che "ci starebbe") lo posso ben stabilire (ma neanche sempre); ma di quanto è più forte? Cento volte? Il doppio? Una volta e mezzo? Del 5%?
E poiché non è possibile soddisfare tutte le aspirazioni (avere "la botte piena e la moglie ubriaca") ma si deve sempre valutare quale insieme di soddisfazioni realistiche e oggettivamente compatibili fra loro è preferibile cercare di soddisfare rinunciando ad altre incompatibili (senza poter misurare e calcolare la "somma algebrica" delle une e delle altre), le decisioni umane saranno sempre inevitabilmente soggette a qualche incertezza e rischio di rivelarsi sbagliate, per quanti progressi la scienza (che a mio modo di vedere in senso stretto è possibile solo della res extensa, misurabile, e non della res cogitans, tutt' al più vagamente e incertamente "ponderabile") possa fare, anche ammesso ed evidentissimamente non concesso che la scienza possa mai darci un completo e perfetto "dominio" del mondo materiale - naturale (che è una penosa illusione di quella forma di irrazionalismo che è costituita dallo "scientismo: un' altra forma di irrazionalistico simmetrico a quello dei misticismi, "olismi", ecc.).
Con tutto ciò non nego il determinismo ontologico dovuto al fatto che il corpo umano (e il suo cervello, che è altra cosa dalla coscienza in generale e dalla mente in particolare) è "perfettamente" inserito nel divenire materiale – naturale (N.B.: questo aggettivo NON significa che ritenga la mente o il pensiero "soprannaturali" ma solo non riducibili al né emergenti dal naturalissimo cervello; e nemmeno in alcun modo interagenti con esso, bensì solo necessariamente in corrispondenza biunivoca con esso nel loro divenire).
Sul libero arbitrio (dico questo soprattutto ad Apeiron) credo che sia compatibile con un indeterminismo debole e meramente epistemico (si tratterebbe di un "libero arbitrio unicamente, meramente epistemico"!), ma non con il determinismo ontologico forte che é conditio sine qua non della conoscenza scientifica (ma secondo il mio modo divedere ciò vale anche in realtà per l' etica, la valutabilità morale dell' agire umano).
Citazione di: baylham il 27 Febbraio 2017, 10:10:05 AM
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:27:46 PM
Entrambi ti direbbero che l'induzione e la certezza della regolarità e le loro negazioni non possono davvero essere dimostrate. Ad esempio nel caso più semplice dell'induzione il dubbio parte dal principio. Ossia ti sfidano in questo modo: che senso ha usare l'induzione? In sostanza entrambi ti dicono che la usiamo per la pratica ma non è un metodo che possiamo prendere come infallibile.
Il problema è che la certezza del dubbio ("che l'induzione e la regolarità e le loro negazioni non possono essere dimostrate") si basa proprio sull'induzione, questa è una contraddizione dello scetticismo.
CitazioneNo, la certezza del dubbio circa l' induzione é una "verità" analitica a priori (e non induttivamente stabilita a posteriori), dunque logicamente indubitabile, certa perché, come tutte le "verità" analitiche a priori (logiche e matematiche) non dice nulla su come é la realtà ma solo su come si deve pensare correttamente (non veracemente: propriamente non é nemmeno una "verità", un predicato vero -circa il mondo- ma solo un predicato corretto nel sistema assiomatico della logica classica, comunemente praticata nel ragionare).
Lo scetticismo evita i paradossi e le contraddizioni del tipo "io mento" perché non giudica ma invece sospende il giudizio.
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2017, 17:44:05 PM
Tuttavia dubito molto sia possibile costruire realistici (che "funzionano" effettivamente) modelli matematici in base ai quali si possano dedurre le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi, anche in linea di principio (a parte le risultanze empiriche che trovo sostanzialmente "prevedibili"; e comunque non per queste inutili e non interessanti).
E questo per le mie convinzioni (sulle quali credo dissentirai; il che confido renderà la discussione decisamente più interessante e proficua) sull' irriducibilità della "res cogitans" alla "res extensa" (per dirla a la Descartes; anche se sostengo un dualismo del tutto diverso da quello cartesiano che con tutta evidenza non si regge in piedi, senza nulla togliere alla grandezza di Cartesio ovviamente, e contrariamente a questo "non interazionista").
Infatti le scelte che si prendono (da parte nostra di uomini), anche ammesso -e non concesso- che possano essere sempre del tutto conseguentemente razionali, implicano valutazioni mentali (circa la res cogitans), oltre che materiali (circa la res extensa).
Ovvio che non tutte le scelte debbano (e possano) essere razionali, ma cio' di cui si occupano teoria della decisione o anche teoria dei giochi sono proprio campi in cui sono richieste soluzioni razionali (ad esempio in campo economico) in condizioni di rischio, per questo si studiano matematicamente, e quando si afferma che spesso si scelgono soluzioni irrazionali si intende "irrazionale" in modo letterale, nel senso di fare errate valutazioni, spesso in base a criteri di "probabilita' psicologica" che sicuramente non hanno carattere razionale. Fermo restando che uno puo' fare la scelta migliore pur sbagliando le sue valutazioni, oppure affidandosi genericamente al proprio istinto.
Non so quanto questo abbia attinenza con il libero arbitrio, ma per certo noi non siamo semplicemente "macchine che elaborano dati", e per questo motivo tutti quelli che credono che si possa creare "intelligenza artificiale" semplicemente stanno nel mondo dei sogni e della fantasia, almeno se si intende in modo forte. Anche perche', contrariamente a quello che pensava Cartesio, siamo stati in grado di simulare e riprodurre (con una macchina) la nostra parte razionale (intesa come la nostra parte logica), mentre e' impossibile riprodurre la nostra parte "animale" (brutta parola, non possiamo scinderci in questo modo ovviamente).
Citazione di: Eretiko il 27 Febbraio 2017, 19:49:59 PM
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2017, 17:44:05 PM
Tuttavia dubito molto sia possibile costruire realistici (che "funzionano" effettivamente) modelli matematici in base ai quali si possano dedurre le possibili scelte razionali per soddisfare certi obiettivi, anche in linea di principio (a parte le risultanze empiriche che trovo sostanzialmente "prevedibili"; e comunque non per queste inutili e non interessanti).
E questo per le mie convinzioni (sulle quali credo dissentirai; il che confido renderà la discussione decisamente più interessante e proficua) sull' irriducibilità della "res cogitans" alla "res extensa" (per dirla a la Descartes; anche se sostengo un dualismo del tutto diverso da quello cartesiano che con tutta evidenza non si regge in piedi, senza nulla togliere alla grandezza di Cartesio ovviamente, e contrariamente a questo "non interazionista").
Infatti le scelte che si prendono (da parte nostra di uomini), anche ammesso -e non concesso- che possano essere sempre del tutto conseguentemente razionali, implicano valutazioni mentali (circa la res cogitans), oltre che materiali (circa la res extensa).
Ovvio che non tutte le scelte debbano (e possano) essere razionali, ma cio' di cui si occupano teoria della decisione o anche teoria dei giochi sono proprio campi in cui sono richieste soluzioni razionali (ad esempio in campo economico) in condizioni di rischio, per questo si studiano matematicamente, e quando si afferma che spesso si scelgono soluzioni irrazionali si intende "irrazionale" in modo letterale, nel senso di fare errate valutazioni, spesso in base a criteri di "probabilita' psicologica" che sicuramente non hanno carattere razionale. Fermo restando che uno puo' fare la scelta migliore pur sbagliando le sue valutazioni, oppure affidandosi genericamente al proprio istinto.
Non so quanto questo abbia attinenza con il libero arbitrio, ma per certo noi non siamo semplicemente "macchine che elaborano dati", e per questo motivo tutti quelli che credono che si possa creare "intelligenza artificiale" semplicemente stanno nel mondo dei sogni e della fantasia, almeno se si intende in modo forte. Anche perche', contrariamente a quello che pensava Cartesio, siamo stati in grado di simulare e riprodurre (con una macchina) la nostra parte razionale (intesa come la nostra parte logica), mentre e' impossibile riprodurre la nostra parte "animale" (brutta parola, non possiamo scinderci in questo modo ovviamente).
CitazioneMi permetto di insistere che teorie dei giochi e affini non funzionano, o per lo meno non danno i risultati sperati (da chi si era fatto illusioni prevedibilmente fallaci; come anche da te rilevato: esperimenti scientifici (come quelli di Kahneman e Tversky) hanno euristicamente [penso sia un lapsus per "empiricamente"] dimostrato che nella realta' gli uomini, in condizioni di stress e di rischio, tendono a comportarsi irrazionalmente), e questo era prevedibile, a mio parere non tanto perché c' é (anche) un razionalismo irriducibile nel comportamento umano, quanto e sopratutto perché, anche cercando di essere il più razionalisti possibili, non si può misurare e sottoporre a calcoli la res cogitans (pensieri, sentimenti, aspirazioni, soddisfazioni, ecc.).
Non siamo "macchine che elaborano dati", ma, in quanto oggetti fenomenici materiali (i nostri corpi, i nostri cervelli), siamo perfettamente inseriti in un determinismo oggettivo "ferreo" non compatibile con il libero arbitrio (e proprio per questo compatibile con l' etica).
Penso che in linea di principio (non certo di fatto, contrariamente ai deliri di onnipotenza dello scientismo!) sia possibile riprodurre artificialmente un uomo.
** scritto da sgiombo:
CitazionePenso che in linea di principio (non certo di fatto, contrariamente ai deliri di onnipotenza dello scientismo!) sia possibile riprodurre artificialmente un uomo.
E che uomo sarebbe senza anima (l'animale che giustamente, per me, propone
@Eretiko)? Non esistono già i robot?
** scritto da Eretiko:
CitazioneFermo restando che uno puo' fare la scelta migliore pur sbagliando le sue valutazioni, oppure affidandosi genericamente al proprio istinto.
Ma il libero arbitrio, dal mio punto di vista cattolico, non è stato donato per fare la scelta migliore, ma quella vera, ossia, quella che sia coerente 100% con la supposta Verità Assoluta che ci satura di dignità.
Solo osservandola così, ossia,
non siamo qui per essere migliori ma veri, questa facoltà, può essere distinta come qualcosa di unico nell'Universo, giacché innanzi a essa si stoppa anche l'eventuale onnipotenza trascendente.
Citazione di: Duc in altum! il 28 Febbraio 2017, 14:07:23 PM
** scritto da sgiombo:
CitazionePenso che in linea di principio (non certo di fatto, contrariamente ai deliri di onnipotenza dello scientismo!) sia possibile riprodurre artificialmente un uomo.
E che uomo sarebbe senza anima (l'animale che giustamente, per me, propone @Eretiko)? Non esistono già i robot?
CitazioneBeh, dovrebbe essere qualcosa di ben più sofisticato degli attuali robot, qualcosa che solo i deliri di onnipotenza dello scientismo possono illudersi sia di fatto realizzabile.
E l' esistenza di una "loro" esperienza cosciente (come quella di qualsiasi altra umana diversa dalla "propria" immediatamente esperita non sarebbe dimostrabile (e secondo me il principio etico "di prudenza" imporrebbe (ammesso e non concesso che si dia di fatto il caso) di comportarsi verso di essi per lo meno come se fossero realmente coscienti).