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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Donalduck il 30 Marzo 2018, 11:16:43 AM

Titolo: Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 30 Marzo 2018, 11:16:43 AM
È difficile trovare termini che diano adito a confusione e a discorsi sospesi in aria come questi tre.
Credo che uno dei motivi per cui ci si confonde è che si fa affidamento sull'intuitività di concetti che in effetti vengono interpretati in modo molto diverso da soggetti diversi.


D'altra parte, dato che si tratta di concetti fondamentali, che più fondamentali non si può, siamo ai limiti dell'esprimibile con le limitate risorse del linguaggio. Teniamo presente che il linguaggio in sé è autoreferenziale, e che trova un collegamento (mappatura) con i dati dell'esperienza solo grazie a un atto soggettivo e volontario che va ogni volta riconfermato.

Quindi rinuncio subito a qualunque tentativo di dare definizioni rigorose e inappellabili, accontentandomi di stimolare l'intuizione utilizzando l'unico vero punto di riferimento che ho: la mia esperienza vissuta e vivente.

Partirei da una considerazione sulla "non esistenza". Non solo nel linguaggio più comune, ma anche in quello filosofico, capita spesso di imbattersi in disquisizioni sull'esistenza o meno di qualcosa. Nella mia visione, qualora il contesto sia ontologico, ossia riguardi gli aspetti più fondamentali dell'"essere", si tratta a priori di discussioni senza senso.

Cosa dovrebbe distinguere una "cosa che non esiste" da una "cosa che esiste"? Per me l'unico criterio possibile per definire l'esistenza è stabilire se abbia una qualche relazione con la coscienza, col "flusso esperienziale" attraverso cui essa si manifesta. Ma qualunque "cosa" a cui ci si possa riferire in un discorso ha per forza qualche relazione con la coscienza. Se anche non ne avesse, questa relazione si instaura nel momento stesso in cui si fa riferimento ad essa.

Quindi non ci sono "cose che non esistono", ma diverse modalità di esistenza. Ontologicamente parlando, alle domande: Esiste il mio corpo? Esiste Parigi? Esiste quello che ho sognato stanotte? Esiste Babbo Natale? Esiste un cerchio quadrato? ...devo rispondere sempre sì. Ma le modalità di esistenza degli oggetti delle mie domande sono molto diversi tra loro:


Per chiarire meglio il significato comune di "esistenza" bisogna considerare, oltre al flusso diretto dei dati che si presentano alla coscienza, anche le rappresentazioni interne che costituiscono la sintesi delle esperienze vissute e memorizzate, le mappe della realtà che si formano nella coscienza e assumono un carattere relativamente stabile. Quello che comunemente si intende con "qualcosa esiste" è se questo qualcosa trova un posto nella propria rappresentazione del "mondo esterno", rappresentazione che, partendo dalla percezione diretta, si arricchisce di altri elementi di natura inferenziale (quelli dotati di ciò che ho chiamato "evidenza logica o concettuale").

Ma dal punto di vista ontologico, tutto ciò che si presenta in un modo o nell'altro alla coscianza esiste e quella che viene chiamata illusione consiste nel confondere una modalità di esistenza con un'altra: scambiare un sogno o un'allucinazione per la realtà esterna, oggettiva "di veglia", scambiare un prodotto dell'immaginazione per un'evidenza logica, e così via.

Quindi domande come "esiste la coscienza" o "esiste il tempo", che danno origine a fiumi di disquisizioni che non approdano mai da nessuna parte, le considero fuorvianti e sostanzialmente prive di senso.

La prima anche perché sostengo che la coscienza è il fondamento stesso di qualunque possibile esistenza, di qualunque "realtà", la soggettività inscindibile dall'oggettività (due facce inscindibili della stessa moneta).
Per il tempo bisogna intanto capire a cosa ci si riferisce. Ad essere rigorosi, il tempo della fisica non è affatto la stessa cosa del tempo dell'esperienza. Di quest'ultimo abbiamo una percezione diretta che non può essere messa in discussione, mentre nella fisica ha un suo significato variabile a seconda del sistema teorico in cui si inserisce.
E in ogni caso poi la domanda sarebbe "qual è la sua modalità di esistenza?" e non "esiste o non esiste?".

Ci sarebbe molto altro da dire e precisare, ma il discorso rischierebbe di diventare troppo prolisso e dispersivo.

Mi piacerebbe conoscere il vostro parere su quanto ho scritto e avere, da coloro che non si troveranno d'accordo sul mio tentativo di definizione dell'esistenza, una loro definizione alternativa, corredata da criteri utilizzabili per distinguere ciò che esiste da ciò che non esiste.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 30 Marzo 2018, 12:42:26 PM
La differenza fondamentale secondo me va posta (considerata) fra ciò che esiste-accade realmente, anche indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure -realmente- oggetto di considerazione teorica (pensiero, ipotesi, credenza, eventualmente conoscenza) da una parte e ciò che esiste-accade unicamente in quanto ("oggetto" o "contenuto" di) considerazione teorica, pensiero, unicamente in quanto concetto (con una sua connotazione) indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure ente-evento reale (cioé che realmente esista-accada anche una denotazione reale del concetto stesso) o meno dall' altra parte.

Anche i concetti di enti-eventi non reali realmente esistono-accadono (ma solo in quanto concetti), senza che esistano-accadano inoltre anche gli enti-eventi pretesi (o immaginati, ipotizzati, magari -falsamente- creduti...) reali che essi connotano (ma non denotano, secondo la terminologia della semantica di Frege).
Ma ciò é ben diverso dal reale esistere-accadere di enti-eventi reali (in quanto tali), che esistano-accadano realmente o meno anche, inoltre eventuali concetti che li connotano (e anche denotano).
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 30 Marzo 2018, 13:12:28 PM
Salve, caro Donalduck. Fai bene a non azzardarti in definizione rigorose ed univoche di ESSERE, ESISTERE, REALTA'. Il cercare di farlo sarebbe rigorosamente vano. D'altra parte l'evitare di farlo permette di riempire gli spazi di questo Forum.
Io, che sono invece un vecchio sfrontato e senza pudore alcuno, non ho problemi nello sputare definzioni a raffica di quasi tutto, sapendo perfettamente che si tratta solo di giochetti logico-linguistici. A costo di ripetere quanto già da me detto qui e là (vedo che tu sei nuovo dell'ambiente), ti passo quindi quelle che io considero definizioni NON IRRAGIONEVOLI dei tre concetti da te citati :

ESSERE (verbo) : la condizione per la quale le cause producono i loro effetti.

ESISTENZA (in termini generali ed universali) : la condizione che impedisce la presenza del nulla.
ESISTENZA (a livello di ente od entità singoli) : l'insieme delle cause e degli effetti prodotti dall'essere.

REALTA' : L'insieme delle cause, degli effetti, delle entità e degli enti non influenzati dalla nostra interpretazione di essi.

Come vedi, io sono uno che preferisce profferire castronerie che tirarla per lunghe.

Benvenuto ed auguri.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 30 Marzo 2018, 15:41:23 PM
La prima considerazione che vorrei fare riguardo ai "qualcosa", è che con il loro stesso esserci rendono possibile che io ci sia.
Io ci sono solo perché vi è pure altro da me.
Il mio stato è esser-ci. Ossia la contemporanea presenza di me stesso e di qualcosa. Che è qualcosa proprio in quanto non è me stesso.
 
Se l'altro non ci fosse, non potrei esserci.
 
E se io non ci fossi, l'altro potrebbe continuare ad esserci?

Non in questo attuale "esserci", venendo a mancare uno dei poli, ossia il soggetto che sono io.
 
Potrebbe però "essere", perché indipendente dal soggetto. A prescindere cioè dal suo eventuale esserci con un diverso soggetto.
E' un'ipotesi plausibile, visto che i qualcosa del mondo paiono non dipendere da me.
 
Tuttavia in che termini questi qualcosa sarebbero?
Quale caratteristica, quale attributo potrebbero mai avere senza più esserci?
Insomma, cosa può significare essere invece che esserci?
 
Questo "essere", slegato dall'esserci, non è forse lo stesso "esser vero"? Ossia la Verità?
E anch'io, smettendo di esserci, non potrei allora essere?
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 31 Marzo 2018, 00:11:07 AM
@Donald
Non ci sono cose che non esistono ,dici , ma diverse modalità di esistenza.
La prima parte della frase mi piace , la,seconda meno.
Direi che ci sono sicuramente diversi modi di percepire l'esistente , ma non necessariamente diverse modalità di esistenza.
Dunque se qualcosa può essere anche solo ipotizzato allora esiste, anche solo nella modalità di ipotesi.OK.
Diciamo che se la modalità di esistenza  fosse unica , fra le sue tante manifestazioni, sceglierei l'ipotesi come rappresentante sostanziale .Infatti.....
è più ragionevole dire che un tavolo sia una ipotesi , e in effetti lo si può trattare come tale , anche se normalmente non lo si fa'.
Mentre è meno ragionevole dire che una ipotesi sia un tavolo , perché sarebbe intrattabile in questa veste.
Il tempo è qualcosa che percepiamo diversamente da un tavolo forse perché dal tempo  fa' meglio capolino la sua natura di ipotesi , che non dal tavolo.
Così non ci viene naturale fare a meno del tavolo , come ipotesi , mentre col tempo lo facciamo.
Ciò dipende dunque dalla nostra diversa percezione dell'esistente , e non dalla sua sostanza , io credo.
La diversa percezione potrebbe dipendere da quanto siamo lontani dall'ipotesi fatta , dalla quale possiamo essere così lontani dall'averne perso coscienza e notizia.Per questo percepiamo il tavolo in modo diverso , come qualcosa di non ipotetico , dandogli sostanza concreta.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 31 Marzo 2018, 00:50:33 AM
Salve. Per Iano e Donalduck : perdonatemi ma il mio senso dell'ironia talvolta sfugge al mio stesso controllo.

Dunque "Non ci sono cose che non esistono....."

A) Si sostiene che le cose inesistenti non ci sono ? OK, applauso......ma c'era bisogno di chiarircelo ??

B) Si sostiene che tutte le cose esistono ? OK OK OK allora ! Pensate che oggi in un momento d'ozio, ho concepito di avere accanto una gnoccona che stava per farmi ciò che nessuna donna ha mai fatto a nessun uomo........mi dite dove sta quella tipa che ho concepito? Oppure non esiste la cosa (in questo caso la gnoccona) ma ciò che è esistito in questo caso è L'IDEA di aver accanto la gnoccona ?

Urgono chiarimenti. Cordialmente.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 31 Marzo 2018, 10:08:19 AM
😄Qualunque cosa esiste, almeno in una particolare forma.
Se penso qualcosa , quel qualcosa al minimo esiste sotto forma di pensiero.
Naturalmente ciò è possibile se si ammettono diverse modalità di esistenza, cosa non necessaria a mio parere .
Se ipotizzò un tavolo il tavolo esiste almeno come ipotesi.
Se ipotizzò un non tavolo , il non tavolo esiste come esclusione dall'ipotesi precedente.
Rispetto al senso comune , per dare concreta esistenza ad una ipotesi , che normalmente si intende non l'abbia , si può ammettere diverse forme di esistenza, come fa' Donald , oppure considerare le diverse forme come le diverse apparenze della stessa sostanza esistenziale , come suggerisco io.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 31 Marzo 2018, 12:31:40 PM
Ma fra l' esistenza reale della gnoccona in carne (soprattutto...) e ossa di cui parlava Viator e l' esistenza reale dell' idea della gnoccona c' é una bella differenza ! ! !

Se così non fosse sarei un formidabile (reale e non immaginario: non un "talento sprecato" in materia) tombeur de femmes (...e chi non lo sarebbe, fra gli eterosessuali almeno?).
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 31 Marzo 2018, 12:51:47 PM
Citazione di: sgiombo il 31 Marzo 2018, 12:31:40 PM
Ma fra l' esistenza reale della gnoccona in carne (soprattutto...) e ossa di cui parlava Viator e l' esistenza reale dell' idea della gnoccona c' é una bella differenza ! ! !

Se così non fosse sarei un formidabile (reale e non immaginario: non un "talento sprecato" in materia) tombeur de femmes (...e chi non lo sarebbe, fra gli eterosessuali almeno?).
😄 Se parliamo di sesso sai bene che è sufficiente immaginare la causa per avere l'effetto.😄
Quindi forse l'esempio della gnoccona non è così felice😅
Una cosa  ,e l'idea di quella cosa , sono distinte, infatti , è solo accidentalmente possono generare lo stesso effetto.😅
Tutto ciò che percepiamo possiamo dividerlo in diverse categorie ,quali ideale , concreto etc....  ma ciò non comporta che ci sia necessariamente una diversa sostanza in quelle cose , ma semmai nel processo che le produce , e inoltre non è desiderabile che ci sia una diversità di sostanza da un punto di vista di economia della conoscenza , economia alla quale là percezione sottosta' in natura , ma non necessariamente in questo forum , dove si ha l'impressione a volte di voler moltiplicare l'uso dei termimi usati , come fosse un puro esercizio in se' , magari molto utile in tal senso.
In effetti considero questo forum come una palestra dove esercitare la mia mente.
Ma anche cercare di ridurre i termini che non sembrano strettamente necessari è un buon esercizio.
Fare un lungo elenco di tutte le possibili categorie della percezione e poi dire che ad ognuna corrisponde una diversa sostanza dell'essere , essendo una operazione moltiplicatrice di termini ed antieconomica, dovrebbe avere una giustificazione forte , che io non vedo.
Per ogni cosa che ci pare esistere , l'essere una ipotesi , è il minimo comun denominatore , quindi è da considerare un buon candidato , se vogliamo trovare la sostanza unica dell'essere , ai fini di una economia della conoscenza. Non è superfluo ricordare che da questa economia dipende la sopravvivenza delle specie .
Naturalmente legare l'essenza dell'essere ad una percezione ,che parte da una ipotesi più o meno conscia,  signica rinunciare ad un accesso diretto alla concreta realtà.
Che si possa avere un accesso diretto è una idea ingenua , e la sua conseguenza è la percezione di un tasso variabile di concretezza nelle cose .
Ma ciò che fa' la differenza e' solo il processo percettivo il cui risultato è ciò che per noi esiste.
Confondere ciò che per noi esiste con la realtà può portare oppure no a dei paradossi o anche solo ad anti economie.
Se questa confusione fino a un certo punto non ha prodotto problemi , dandoci al contrario la piacevole sensazione di vivere a contatto diretto con la realtà , è comprensibile che non si voglia cambiare questo mondo con un mondo popolato da esseri ipotetici.
Ed in effetti lo si dovrebbe fare solo se ci fosse una forte contropartita in cambio.
Se si vuole maneggiare meglio le nuove teorie fisiche allora potrebbe essere utile.
Diversamente no.
Non credo però che si possa rinunciare a lunga scadenza a ciò , se la conoscenza è una delle irrunciabili nature dell'uomo.
In effetti anche chi rinuncia non sembra felice di doverlo fare.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 31 Marzo 2018, 14:21:46 PM
Una ipotesi può essere fatta disfatta , interrotta e ripresa e non sono pochi i vantaggi che derivano dalla perdita di concretezza dell'essere , nel senso che ho cercato di spiegare.
La MQ , la relatività diventano favole, ma favole che comprendiamo , perché in se' sono comprensibili , senza restare psicologicamente bloccati dal rispondere alla domanda di quale esistenza concreta occorra dare ad esempio alla funzione d'onda e senza che crolli il palazzo deterministico.
Il determinismo in se' è il risultato di una percezione, come lo è il tempo , lo spazio e un tavolo. , ai quali ci piace dare , quando ci riusciamo , carattere di concretezza.
In genere il considerare la  natura ipotetica rende tutto più semplice , ma meno concreto nella nostra percezione.
Ma cos'è alla fine questa percezione di concretezza alla quale non vogliamo rinunciare , tanto che siamo disposti a forzare la natura di una funzione d'onda , sforzandoci di darle concretezza, piuttosto che rinunciare alla rassicurante concretezza di un tavolo , la quale viene percepita in modo così ovvio , che non è pensabile appunto rinunciarvi.
Così come si fa' per l'essere , anche le ipotesi potrebbero essere divise in categoria.
Ci sono ad esempio ipotesi deboli e ipotesi forti , che perdurano nel tempo , e forse da queste ultime deriva la percezione di concretezza.
Ma al di là' delle accidentali categorizzazioni un ipotesi è un ipotesi e basta.
Un essere che sembra moltiplicarsi in tanti diversi esseri , come da sua propria natura in fondo.
Se la concretezza in se' ha una funzione può essere quella che ricordare continuamente a se' stessi di vivere in mezzo a ballerine ipotesi può non essere utile.
Ed in effetti questa sensazione fino a un certo punto non l'abbiamo avuta.
La percezione però cambia e si evolve con noi e noi stiamo vivendo uno di questi frangenti.
Sebbene stiamo parlando di un processo che a noi, comuni fra i comuni , appena ci sfiora , è tuttavia elettrizzante sentirsene partecipi , seppur non necessariamente piacevole , come non deve essere piacevole cambiar pelle per un serpente , con una inevitabile dose di agitazione e contorsione mentale.
Una bella scossa in ogni caso  , se anche l'essere ne esce ammaccato.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 31 Marzo 2018, 15:43:35 PM
CitazioneSgiombo:
Ma fra l' esistenza reale della gnoccona in carne (soprattutto...) e ossa di cui parlava Viator e l' esistenza reale dell' idea della gnoccona c' é una bella differenza ! ! !
Citazione
Se così non fosse sarei un formidabile (reale e non immaginario: non un "talento sprecato" in materia) tombeur de femmes (...e chi non lo sarebbe, fra gli eterosessuali almeno?).

Iano:
Se parliamo di sesso sai bene che è sufficiente immaginare la causa per avere l'effetto.😄
Quindi forse l'esempio della gnoccona non è così felice

Sgiombo:
Questa proprio non la capisco.

Fra rapporto (etero- nel mio caso; ma anche omo-, per coloro che lo preferiscono) sessuale e masturbazione c' é sicuramente una differenza (che poi possa essere valutata più o meno grande é soggettivo e arbitrario, ma non che ci sia meno).

Peraltro il sesso é un aspetto della realà (o dell' immaginazione) come qualsiasi altro.




Iano:
Una cosa  ,e l'idea di quella cosa , sono distinte, infatti , è solo accidentalmente possono generare lo stesso effetto.😅
Tutto ciò che percepiamo possiamo dividerlo in diverse categorie ,quali ideale , concreto etc....  ma ciò non comporta che ci sia necessariamente una diversa sostanza in quelle cose , ma semmai nel processo che le produce , e inoltre non è desiderabile che ci sia una diversità di sostanza da un punto di vista di economia della conoscenza , economia alla quale là percezione sottosta' in natura , ma non necessariamente in questo forum , dove si ha l'impressione a volte di voler moltiplicare l'uso dei termimi usati , come fosse un puro esercizio in se' , magari molto utile in tal senso.

Sgiombo:
Non é che Tutto ciò che percepiamo possiamo dividerlo ad libitum in diverse categorie ,quali ideale , concreto etc....; é invece che Tutto ciò che percepiamo si divide indipendentemente dalla nostra volontà in diverse categorie ,quali ideale , concreto etc...., altrimenti sai quante gnoccone (reali e non immagianarie) mi sarei fatto?

Cioé la natura ("sostanza"?) immaginaria di una cosa é ben diversa dalla natura ("sostanza") reale, il senso in cui una cosa é immaginaria é ben diverso dal senso in cui é reale. indipendentemente dal (quale che sia il) processo (rispettivamente immaginario oppure reale) che le produce.
Ed é desiderabilissimo poter distinguere la natura immaginaria oppure reale delle varie cose se si vuole conoscere la verità e conseguentemente sperare di agire adeguatamente, di raggiungere i propri scopi (salvo sempre possibili errori, per lo meno spesso, se non sempre, consistenti nel confondere cose immaginarie con cose reali o viceversa).




Iano:
In effetti considero questo forum come una palestra dove esercitare la mia mente.
Ma anche cercare di ridurre i termini che non sembrano strettamente necessari è un buon esercizio.

Sgiombo:
Ridurre le nozioni di "reale" e di "immaginario" é un ottimo esercizio per finire nei guai.



Iano:
Fare un lungo elenco di tutte le possibili categorie della percezione e poi dire che ad ognuna corrisponde una diversa sostanza dell'essere , essendo una operazione moltiplicatrice di termini ed antieconomica, dovrebbe avere una giustificazione forte , che io non vedo.

Sgiombo:
Quindi non vedi la differenza fra uscire da una finestra al 100° piano di un grattacielo essendoci un' immaginaria scala che da lì ti porta comodamente a terra (precipitando realmente e sfracellandoti realmente al suolo) e uscire da una porta oltre la quale c' é una scala reale (non nel senso del popker, ovviamente)?
Se é così, sinceri (ma pessimistici) auguri per la tua incolumità!




Iano:
Per ogni cosa che ci pare esistere , l'essere una ipotesi , è il minimo comun denominatore , quindi è da considerare un buon candidato , se vogliamo trovare la sostanza unica dell'essere , ai fini di una economia della conoscenza.

Sgiombo:
Economia della conoscenza" =/= ignoranza.
Non sapere quello che non ci interessa o non ci serve può essere inteso come economia della conoscenza (o meglio del tempo, onde impiegarlo meglio), invece sapere poco anziché molto di ciò ci interessa o che ci serve dicesi "ignoranza".



Iano:
Non è superfluo ricordare che da questa economia dipende la sopravvivenza delle specie .

Sgiombo:
No, casomai dipende dalla conoscenza (e non affatto dell' ignoranza) dei termini reali (e non affatto di termini immaginari) relativi alle nicchie ecologiche abitate e delle risorse naturali necessarie alla sopravvivenza e riproduzione degli individui della specie stessa!



Iano:
Naturalmente legare l'essenza dell'essere ad una percezione ,che parte da una ipotesi più o meno conscia,  signica rinunciare ad un accesso diretto alla concreta realtà.
Che si possa avere un accesso diretto è una idea ingenua , e la sua conseguenza è la percezione di un tasso variabile di concretezza nelle cose .
Ma ciò che fa' la differenza e' solo il processo percettivo il cui risultato è ciò che per noi esiste.
Confondere ciò che per noi esiste con la realtà può portare oppure no a dei paradossi o anche solo ad anti economie.

Sgiombo:
Può anche portare a conseguenze tragiche confondere ciò che per noi falsamente esiste in quanto non é reale ma immaginario con ciò che esiste realmente e indipendentemente dalle nostre eventuali credenze.



Iano:
Se questa confusione fino a un certo punto non ha prodotto problemi , dandoci al contrario la piacevole sensazione di vivere a contatto diretto con la realtà , è comprensibile che non si voglia cambiare questo mondo con un mondo popolato da esseri ipotetici.
Ed in effetti lo si dovrebbe fare solo se ci fosse una forte contropartita in cambio.
Se si vuole maneggiare meglio le nuove teorie fisiche allora potrebbe essere utile.
Diversamente no.
Non credo però che si possa rinunciare a lunga scadenza a ciò , se la conoscenza è una delle irrunciabili nature dell'uomo.
In effetti anche chi rinuncia non sembra felice di doverlo fare.

Sgiombo:
Confondere "esseri" (enti ed eventi) reali con "esseri" ipotetici e non reali (se non solo concettualmente) e viceversa non ampia la conoscenza ma invece l' ignoranza e le credenze false, indipendentemente dalle impressioni più o meno piacevoli che le credenze possono darci immediatamente (ma spesso, se sono false, ben presto il piacere lascia il posto a grossi dolori, come quando si crede falsamente che oltre una certa soglia c' é una scala reale che ci può far scendere realmente incolumi a terra dal 100° piano di un grattacielo, mentre realmente c' é solo aria.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 31 Marzo 2018, 15:58:11 PM
Citazione di: iano il 31 Marzo 2018, 14:21:46 PM
Una ipotesi può essere fatta disfatta , interrotta e ripresa e non sono pochi i vantaggi che derivano dalla perdita di concretezza dell'essere , nel senso che ho cercato di spiegare.
La MQ , la relatività diventano favole, ma favole che comprendiamo , perché in se' sono comprensibili , senza restare psicologicamente bloccati dal rispondere alla domanda di quale esistenza concreta occorra dare ad esempio alla funzione d'onda e senza che crolli il palazzo deterministico.
CitazioneBohm (sulla scia di Plank, Einstein, Schroedinger e de Broglie, scienziati in generale non certo meno validi di Bohr, Heisenberg e C., e che in partcolare non meno di costoro hanno contribuito alla meccanica quantistica) ha dato un' interpretazione razionalistica dell' indeterminismo quantistico che mette "il palazzo indeterministico" "al riparo da qualsiasi pericolo di crollo"!


Il determinismo in se' è il risultato di una percezione, come lo è il tempo , lo spazio e un tavolo. , ai quali ci piace dare , quando ci riusciamo , carattere di concretezza.
CitazioneIl determinismo non é il risultato di alcuna percezione né di alcuna deduzione da perceziopni (Hume!).
Mentre un divenire ordinato o deterministico per lo meno "debole" (probabilistico - statistico) é una (indimostrabile) conditio sine qua non della conoscenza scientifica.

In genere il considerare la  natura ipotetica rende tutto più semplice , ma meno concreto nella nostra percezione.
Ma cos'è alla fine questa percezione di concretezza alla quale non vogliamo rinunciare , tanto che siamo disposti a forzare la natura di una funzione d'onda , sforzandoci di darle concretezza, piuttosto che rinunciare alla rassicurante concretezza di un tavolo , la quale viene percepita in modo così ovvio , che non è pensabile appunto rinunciarvi.
Così come si fa' per l'essere , anche le ipotesi potrebbero essere divise in categoria.
Ci sono ad esempio ipotesi deboli e ipotesi forti , che perdurano nel tempo , e forse da queste ultime deriva la percezione di concretezza.
Ma al di là' delle accidentali categorizzazioni un ipotesi è un ipotesi e basta.
Un essere che sembra moltiplicarsi in tanti diversi esseri , come da sua propria natura in fondo.
Se la concretezza in se' ha una funzione può essere quella che ricordare continuamente a se' stessi di vivere in mezzo a ballerine ipotesi può non essere utile.
Ed in effetti questa sensazione fino a un certo punto non l'abbiamo avuta.
La percezione però cambia e si evolve con noi e noi stiamo vivendo uno di questi frangenti.
Sebbene stiamo parlando di un processo che a noi, comuni fra i comuni , appena ci sfiora , è tuttavia elettrizzante sentirsene partecipi , seppur non necessariamente piacevole , come non deve essere piacevole cambiar pelle per un serpente , con una inevitabile dose di agitazione e contorsione mentale.
Una bella scossa in ogni caso  , se anche l'essere ne esce ammaccato.
Ciò che é ipotetico (più o meno "fortemente") é ipotetico (più o meno fortemente) e ciò che é reale é reale.
E confonderli significa cadere in errore, credere il falso.

Questo indipendentemente dagli "azzardi filosofici" più o meno fondati nei quali spesso si cimentano vari ricercatori scientifici.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 31 Marzo 2018, 17:37:39 PM
@Sciombro.
Era sufficiente dire che partiamo da premesse diverse , oppure pensi che l'aver cercato di smontare una per una le conseguenze  delle mie , porti valore alle tue?
Ma al di la' delle diverse premesse , fra le diverse conseguenze escluderei che io né te cadremo dalle scale ne' subiremo altri simili drastici destini , che mi auguro volessero essere ironici , per quanto maldestri.
Anzi , mi correggo ,ne sono sicuro , quanto sono sicuro che il nostro sembra un discorso fra sordi.
Sono certo infatti che se avessi voluto cercare un minimo punto condivisibile nei miei post lo avresti STATISTICAMENTE trovato .
In effetti nelle tue critiche non ho trovato ne' motivo da cambiare idee ne' spunto per acquisirne di nuove.
È' anche vero che non è difficile essere d'accordo con te . Basta non farsi troppo domande prendendo le cose come sembra che vengano da se'.
Non è difficile perché le tue idee sono diffuse e sono state anche le mie.Non mi occorrerebbe quindi sforzo ad essere d'accordo.
Ma sto cercando di andare oltre , e se è vero che chi lascia la,strada vecchia rischia , se c'è un buon motivo per farlo bisogna farlo.Dico ciò per aiutarti a immedesimarti nelle mie idee per meglio poterle valutare.
Il motivo inoltre io l'ho anche esposto chiaramente e può essere condiviso o meno.
Il problema , il motivo è di come porsi di fronte alla nuova scienza, cosa che non puoi negare appare diffusamente problematico. Quindi è un problema di acquisizione e gestione della conoscenza.
Puoi quindi sforzarti di valutare se il mio approccio , diverso dal tuo , possa essere utile allo scopo , se lo scopo per te vale la candela.
Perché al meno , e me ne compiaccio , sul l'importanza della conoscenza  mi sembra di aver trovato un contatto con te.
E almeno così anche la STATISTICA è salva. 😅
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 31 Marzo 2018, 18:57:40 PM
@Iano
A volte capita che dentro di noi nasca un desiderio di assoluto. Dobbiamo allora lasciare il porto sicuro e veleggiare in mare aperto. Fino a non scorgere più alcuna terra ferma. Ma è proprio quando rischiamo di naufragare che può nascere una nuova consapevolezza.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 31 Marzo 2018, 20:54:46 PM
Citazione di: bobmax il 31 Marzo 2018, 18:57:40 PM
@Iano
A volte capita che dentro di noi nasca un desiderio di assoluto. Dobbiamo allora lasciare il porto sicuro e veleggiare in mare aperto. Fino a non scorgere più alcuna terra ferma. Ma è proprio quando rischiamo di naufragare che può nascere una nuova consapevolezza.
Se c'è in me questo desiderio di assoluto deve essere ben nascosto.😐
Forse l'assoluto è  solo una indebita promozione del nostro senso comune , e quando ci identifichiamo altrettanto indebitamente con esso , noi diventiamo l'ostacolo principale al cambiamento , perché arriva sempre il momento in cui noi siamo la domanda sbagliata dell'indovinello , dove la risposta oggi è la nuova fisica.
Se poi questo cambiamento si deve fare e perché se ne può discutere.
Sicuramente non è la prima volta che affrontiamo questo frangente riformulando la domanda corretta dell'indocinello che avesse come risposta la nuova evidenza fisica , e nel farlo siamo cambiati , perché noi eravamo quella domanda.
Nel far ciò occorre considerare però un elemento nuovo.
Si tratta della velocità con cui si susseguono oggi , rispetto a ieri , gli avvenimenti.
Di solito per superare vecchie idee inadeguate era sufficiente aspettare la morte di chi le sosteneva , che non sembra una soluzione elegante.
Magari a fronte della velocità degli eventi troveremo il modo di vivere più vite in una sola , dove a rinascere però è solo il nostro senso comune , che però temo non si formi dall'oggi al domani e forse perciò lo confondiamo con l'assoluto.
Ma se è quello il tipo di assoluto che stiamo cercando allora sono d'accordo.😊
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 31 Marzo 2018, 22:55:14 PM
Citazione di: bobmax il 30 Marzo 2018, 15:41:23 PM
La prima considerazione che vorrei fare riguardo ai "qualcosa", è che con il loro stesso esserci rendono possibile che io ci sia.
Io ci sono solo perché vi è pure altro da me.
Io la metto così: soggetto e oggetto si definiscono a vicenda e non si dà nessuna esistenza (o almeno non riesco a immaginare come si possa concepire e definire l'esistenza) senza la compresenza di soggetto e oggetto, coscienza e realtà. Di conseguenza trovo assurdo l'"oggettivismo" ossia la pretesa che esista una oggettività che non presupponga e non sia intrinsecamente legata alla soggettività. Azzardando una definizione di esistenza potrei dire "l'esistenza è la manifestazione di un oggetto subita o accolta da un soggetto". E qui mi fermo, perché soggetto e oggetto si definiscono (e mordono la coda) a vicenda: è oggetto ciò che si presenta al soggetto, è soggetto ciò che percepisce la presenza di un oggetto.
Ci sono correnti di pensiero che conducono a considerare l'informazione come costituente più fondamentale della "realtà", o anche soltanto come un'utile e illuminante chiave di interpretazione della realtà. Se proviamo ad assumere questo punto di vista, ossia proviamo ad interpretare i fenomeni come messaggi, ci rendiamo subito conto che non può esistere messaggio senza un mittente e un destinatario, senza un soggetto e un oggetto. Non ci può essere informazione senza che qualcuno sia informato di qualcosa.

Citazione
Il mio stato è esser-ci. Ossia la contemporanea presenza di me stesso e di qualcosa. Che è qualcosa proprio in quanto non è me stesso.
Se l'altro non ci fosse, non potrei esserci.
E se io non ci fossi, l'altro potrebbe continuare ad esserci?
Non in questo attuale "esserci", venendo a mancare uno dei poli, ossia il soggetto che sono io.
Potrebbe però "essere", perché indipendente dal soggetto. A prescindere cioè dal suo eventuale esserci con un diverso soggetto.
E' un'ipotesi plausibile, visto che i qualcosa del mondo paiono non dipendere da me.
Io per ora lascerei fuori l'"io". Non che sia un elemento poco importante o aggirabile, ma farei un passo alla volta. Il primo passo prevede di considerare solo il soggetto in generale, la soggettività contrapposta all'oggettività; il percepire contrapposto all'essere percepito; il mittente contrapposto al destinatario. In modo impersonale, senza io, tu, noi... In questa prospettiva, quando dici che potrebbe sussistere un "essere" in sé indipendente dal soggetto, se al posto di soggetto ci metti "soggettività" le cose cominciano ad apparire sotto un'altra luce. Sei costretto a fare i conti col paradosso di un'oggettività indipendente dalla soggettività, senza la quale però l'oggettivo perde ogni significato.

Citazione
Tuttavia in che termini questi qualcosa sarebbero?
Quale caratteristica, quale attributo potrebbero mai avere senza più esserci?
Insomma, cosa può significare essere invece che esserci?
Appunto. Io non trovo nessuna risposta, nessuna possibile definizione che lasci fuori la coppia soggetto-oggetto o uno dei due.

Citazione

Questo "essere", slegato dall'esserci, non è forse lo stesso "esser vero"? Ossia la Verità?
E anch'io, smettendo di esserci, non potrei allora essere?
Qui andiamo sul "mistico", ossia oltre il razionale, o meglio oltre ciò che può essere descritto. Se esiste una "realizzazione" che non sia semplicemente fare quello che ti senti portato a fare ma l'acquisizione di uno stato di coscienza sconosciuto ai più, ovviamente non possiamo saperlo, a meno che non ci sia capitato, nel qual caso non avremmo dubbi. Possiamo tuttavia averne un "sentore"...
Se invece ci vogliamo riferire, più modestamente, al superamento del "senso dell'ego" per identificarsi con qualcosa di più ampio, lo ritengo essenziale e irrinunciabile per chi voglia far evolvere la sua coscienza.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 31 Marzo 2018, 23:17:47 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2018, 12:42:26 PM
La differenza fondamentale secondo me va posta (considerata) fra ciò che esiste-accade realmente, anche indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure -realmente- oggetto di considerazione teorica (pensiero, ipotesi, credenza, eventualmente conoscenza) da una parte e ciò che esiste-accade unicamente in quanto ("oggetto" o "contenuto" di) considerazione teorica, pensiero, unicamente in quanto concetto (con una sua connotazione)indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure ente-evento reale (cioé che realmente esista-accada anche una denotazione reale del concetto stesso) o meno dall' altra parte.

Anche i concetti di enti-eventi non reali realmente esistono-accadono (ma solo in quanto concetti), senza che esistano-accadano inoltre anche gli enti-eventi pretesi (o immaginati, ipotizzati, magari -falsamente- creduti...) reali che essi connotano (ma non denotano, secondo la terminologia della semantica di Frege).
Ma ciò é ben diverso dal reale esistere-accadere di enti-eventi reali (in quanto tali), che esistano-accadano realmente o meno anche, inoltre eventuali concetti che li connotano (e anche denotano).
In effetti non ho ben messo in evidenza una cosa fondamentale: in quanto ho scritto ho considerato il termine "esistente" come sinonimo di "reale", facendo appello a ciò che intuitivamente i termini ci rappresentano. E' appunto il referente di questi termini che ho messo in discussione, cercando di darne una definizione. Ma se lo metto in discussione, non posso dare per scontato il significato di questi termini. Tu parli di esistenza riferendoti al concetto di "realtà" ma così, dal punto di vista che propongo, non si fa che spostare il problema (e l'esigenza di spiegazione) da un termine all'altro. Insomma la domanda è (fatta da diverse prospettive): Quali sono le condizioni che fanno sì che qualcosa sia reale? Come si fa a stabilirlo, a verificarlo? Cosa distingue ciò che è reale da cio che non lo è? Come si fa a parlare di qualcosa che non esiste? Cos'è una cosa che non esiste?
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 31 Marzo 2018, 23:53:59 PM
Citazione di: iano il 31 Marzo 2018, 10:08:19 AM
Rispetto al senso comune , per dare concreta esistenza ad una ipotesi , che normalmente si intende non l'abbia , si può ammettere diverse forme di esistenza, come fa' Donald , oppure considerare le diverse forme come le diverse apparenze della stessa sostanza esistenziale , come suggerisco io.
La difficoltà in questo caso sta nel definire questa sostanza in modo che il suo concetto sia di qualche utilità, ossia che possa fare da punto di riferimento per qualcosa, che sia insomma in un modo o nell'altro praticamente utilizzabile. E vedo problematico anche stabilire, ad esempio, la "sostanza" di un cerchio quadrato.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 01 Aprile 2018, 00:22:52 AM
Citazione di: Donalduck il 31 Marzo 2018, 23:17:47 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2018, 12:42:26 PM
. Insomma la domanda è (fatta da diverse prospettive): Quali sono le condizioni che fanno sì che qualcosa sia reale? Come si fa a stabilirlo, a verificarlo? Cosa distingue ciò che è reale da cio che non lo è? Come si fa a parlare di qualcosa che non esiste? Cos'è una cosa che non esiste?
Quali sono le cose che verificandosi ci fanno dire che qualcosa sia reale?
Intanto dovremmo logicamente escludere che queste cose che si verificano siano reali , se non vogliamo cadere in un circolo vizioso.Il che equivarrebbe a dire pero' che chi ti fa' scuola guida non ha la patente.
Quindi in questa distinzione, seppur utile , fra reale e non reale , c'è un vizio logico.
Quindi , forse stiamo anche dicendo la cosa giusta , ma nel modo sbagliato.
Quindi forse come suggerivo la sotanza dell'essere è unica , e la distinzione fra reale e non reale nasce solo da una diversa percezione dell'essere.
Come si fa' a stabilirlo e verificarlo?
Approfondendo i meccanismi della percezione.
Credo che la diversa percezione nasca dalla nostra relativa capacità o difficoltà nel modificare la nostra percezione, in quanto questa dipende anche dalle nostre aspettative , e sopratutto dalle nostre convinzioni profonde , in specie quelle che non derivano da esperienze dirette , ma ereditate per via culturale se non perfino per via  genetica.Imsomma quelle cose che sembrano evidenti di per se'.
Sembrano perciò  indistruttibili , ma solo perché non conosciamo il processo che le ha costruite.
Conoscendolo , sarebbe sufficiente applicare  il processo opposto.
Supponiamo che sia , diventa supponiamo che non sia.
Ma se io non conosco le ipotesi alla base dell'edificio che ho ereditato come faccio a minarne le fondamenta?
Come si fa' a parlare di qualcosa che non esiste? Cos'è una cosa che non esiste.
Credo che la risposta a questa domanda l'hai già data tu.
Ciò che per noi esiste è il risultato di una dialettica fra soggetto ed oggetto , che in quanto tale non è' rappresentativo in modo esclusivo ne' del soggetto , né' dell'oggetto.
L'esistenza quindi non è né' soggettiva ne' oggettiva.
Dipende dal soggetto in quanto questo fa' ipotesi sul oggetto ,e  dipende dall'oggetto in quanto queste ipotesi vengono poste a costante verifica.
Quindi se la sostanza dell'essere non è l'ipotesi , usata come strumento soggettivo ,  non è però neanche la realtà , intesa come oggetto.
L'essere nasce quindi da un dialogo dinamico e quindi è mutevole.
Quando questa mutevolezza sembra volubile tendiamo a confondere l'essere col soggetto.
Quando questa mutevolezza tende a non apparire confondiamo l'essere con la realtà.
Infine una  "cosa che non esiste" è' una ipotesi che ha fallito la prova , almeno per ora.
Ad esempio un cerchio quadrato.
Fra un post e l'altro anch'io ho cambiato le mie ipotesi e messele alla prova , ho modificato la mia idea di essere.
Nel post precedente dicevo che la sostanza dell'essere è l'ipotesi , vedendo le cose dal punto di vista del soggetto.Il solito peccato originale di mettersi al centro del mondo.
Tu mi hai fatto vedere il punto di vista dell'oggetto.
Bella,e,costruttiva discussione.Grazie.
P.S. Quindi , alla luce di queste nuove riflessioni , vado fuori tema, dicendo che la difficoltà nella comprensione della nuova fisica sta nel,fatto che essa mi chiede di de costruire edifici che io non so' come sono costruiti e non so' quindi come destrutturare.
Come faccio a destrutturare la particella elettrone?
Dicendo che non esiste finché non lo misuro?
Ma allora non è una particella,e così via ...
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 02 Aprile 2018, 11:20:22 AM
Citazione di: iano il 31 Marzo 2018, 17:37:39 PM
@Sciombro.
Era sufficiente dire che partiamo da premesse diverse , oppure pensi che l'aver cercato di smontare una per una le conseguenze  delle mie , porti valore alle tue?
CitazionePenso che si discuta per conoscere, cioè acquisire nuove conoscenze e abbandonare credenze false.
 
E che a questo scopo sia utile argomentare contro ogni tesi ritenuta falsa.



Ma al di la' delle diverse premesse , fra le diverse conseguenze escluderei che io né te cadremo dalle scale ne' subiremo altri simili drastici destini , che mi auguro volessero essere ironici , per quanto maldestri.
CitazioneMa per far questo sia io che te non dobbiamo credere che qualsiasi convinzione (per esempio che la scala esista mentre non esiste) valga qualsiasi altra, che sia altrettanto certa e vera di qualsiasi altra (per esempio che la scala non esiste, non esistendo effettivamente).



Anzi , mi correggo ,ne sono sicuro , quanto sono sicuro che il nostro sembra un discorso fra sordi.
CitazioneIo invece non ne sono sicuro, né da parte mia perché so quali sono le mie intenzioni (costruttive), né da parte tua, altrimenti non vi perderei il mio tempo.
Ma se mi confermassi che da parte tua é così (che tu sei sordo alle mie argomentazioni), allora ti ringrazierei (qui e ora anticipatamente, senza bisogno di ripeterlo in un' ulteriore risposta) perché mi consentiresti di non sprecare ulteriormente il mio tempo.



Sono certo infatti che se avessi voluto cercare un minimo punto condivisibile nei miei post lo avresti STATISTICAMENTE trovato .
CitazioneE perché mai avrei dovuto cercarlo?
 
Io cerco conoscenza (verità) e non (non necessariamente) minimi punti condivisibilo nei post altrui.

Inoltre non é affatto detto che sempre e comunque "chi cerca trova", come ben sanno moltissimi cercatori d' oro o di vincite al superenalotto!



In effetti nelle tue critiche non ho trovato ne' motivo da cambiare idee ne' spunto per acquisirne di nuove.
CitazioneMi dispiace per te, ma me non ho alcuna difficoltà a farmene una ragione.

(Ma a questo proposito potrebbe darsi che valga il proverbio secondo cui "chi cerca trova", o ameno chi non cerca generalmente non trova...)



È' anche vero che non è difficile essere d'accordo con te . Basta non farsi troppo domande prendendo le cose come sembra che vengano da se'.
CitazioneNO, caro mio, questo, del tutto acritico, sarà casomai il modo per essere d' accordo con te!



Non è difficile perché le tue idee sono diffuse e sono state anche le mie.Non mi occorrerebbe quindi sforzo ad essere d'accordo.
Ma sto cercando di andare oltre , e se è vero che chi lascia la,strada vecchia rischia , se c'è un buon motivo per farlo bisogna farlo.Dico ciò per aiutarti a immedesimarti nelle mie idee per meglio poterle valutare.
CitazioneEvidentemente non stai capendo nulla delle mie idee, che, contrariamente alle tue, sono decisamente anticonformistiche e critiche dei luoghi comuni (vetero-) positivistici e scientistici più diffusi e in generale dell' "andazzo corrente".



Il motivo inoltre io l'ho anche esposto chiaramente e può essere condiviso o meno.
CitazioneE secondo me può anche essere criticato, come ho cercato di fare (ma tu non rispondi minimamente alle critiche.
Contrariamente a me non ti preoccupi minimamente di
cercare di smontare una per una le conseguenze di alcuna altrui argomentazione ma ti imiti a denigrare chi la pensa diversamente da te come (preteso) "non facentesi troppo domande", "prenditore delle cose come sembra che vengano da se', "seguace di idee diffuse" (ribadisco: anziché argomentare).
 
 

Il problema , il motivo è di come porsi di fronte alla nuova scienza, cosa che non puoi negare appare diffusamente problematico. Quindi è un problema di acquisizione e gestione della conoscenza.
CitazioneInnanzitutto sono discutibili le pretese "novità" della scienza (in particolare relatività e meccanica quantistica, che sono, fra gli argomenti scientifici, ciò di cui più si discute ultimamente nel forum, hanno ampiamente superato il secolo nel caso della prima, mentre la seconda vi é molto vicina).


Inoltre sono un filosofo (non: un professore di filosofia, che é altra cosa) e non prendo acriticamente per oro colato nulla, nemmeno le affermazioni dei più famosi scienziati, soprattutto quando si avventurano sul terreno per loro spessissimo molto infido della filosofia: cerco sempre di sottoporli spietatamente (anche loro) a critica razionale.
 
La conoscenza per parte mia, cerco di acquisirla criticamente, e non per la vera o presunta autorità di chi me la propone (che credo fra l' altro sia un atteggiamento anche scientifico, oltre che filosofico razionalistico).

E comunque io nego (criticamente) quel che mi pare!



Puoi quindi sforzarti di valutare se il mio approccio , diverso dal tuo , possa essere utile allo scopo , se lo scopo per te vale la candela.
CitazioneE' ciò che faccio da quando ho iniziato a discutere con te (io non sto affatto impegnandomi in un dialogo fra sordi, per lo meno da parte mia).



Perché al meno , e me ne compiaccio , sul l'importanza della conoscenza  mi sembra di aver trovato un contatto con te.
E almeno così anche la STATISTICA è salva. 😅
CitazioneMa non mi pare proprio sui criteri della conoscenza (da parte mia essendo molto importante, fra gli altri, la critica razionale).



Iano (in un altro intervento):
Sicuramente non è la prima volta che affrontiamo questo frangente riformulando la domanda corretta dell'indocinello che avesse come risposta la nuova evidenza fisica , e nel farlo siamo cambiati , perché noi eravamo quella domanda.


Sgiombo:
Non so ad altri "indovinelli", ma sicuramente la scienza fisica e le sue evidenze (quelle vere e non quelle pretese; e anche se il buon filosofo razionalista non le ignora, ne tiene conto; sempre e comunque criticamente però) non possono dare di per sé alcuna risposta a domande filosofiche.

Cercare acriticamente ad ogni costo risposte alla domande filosofiche nelle "evidenze fisiche (e in generale scientifiche)" é (oltre che -cosa di gran lunga più rilevante- errato) vetusto, superatissimo scientismo positivistico.

Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 02 Aprile 2018, 11:31:03 AM
Citazione di: Donalduck il 31 Marzo 2018, 23:17:47 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2018, 12:42:26 PM
La differenza fondamentale secondo me va posta (considerata) fra ciò che esiste-accade realmente, anche indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure -realmente- oggetto di considerazione teorica (pensiero, ipotesi, credenza, eventualmente conoscenza) da una parte e ciò che esiste-accade unicamente in quanto ("oggetto" o "contenuto" di) considerazione teorica, pensiero, unicamente in quanto concetto (con una sua connotazione)indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure ente-evento reale (cioé che realmente esista-accada anche una denotazione reale del concetto stesso) o meno dall' altra parte.

Anche i concetti di enti-eventi non reali realmente esistono-accadono (ma solo in quanto concetti), senza che esistano-accadano inoltre anche gli enti-eventi pretesi (o immaginati, ipotizzati, magari -falsamente- creduti...) reali che essi connotano (ma non denotano, secondo la terminologia della semantica di Frege).
Ma ciò é ben diverso dal reale esistere-accadere di enti-eventi reali (in quanto tali), che esistano-accadano realmente o meno anche, inoltre eventuali concetti che li connotano (e anche denotano).
In effetti non ho ben messo in evidenza una cosa fondamentale: in quanto ho scritto ho considerato il termine "esistente" come sinonimo di "reale", facendo appello a ciò che intuitivamente i termini ci rappresentano. E' appunto il referente di questi termini che ho messo in discussione, cercando di darne una definizione. Ma se lo metto in discussione, non posso dare per scontato il significato di questi termini. Tu parli di esistenza riferendoti al concetto di "realtà" ma così, dal punto di vista che propongo, non si fa che spostare il problema (e l'esigenza di spiegazione) da un termine all'altro. Insomma la domanda è (fatta da diverse prospettive): Quali sono le condizioni che fanno sì che qualcosa sia reale? Come si fa a stabilirlo, a verificarlo? Cosa distingue ciò che è reale da cio che non lo è? Come si fa a parlare di qualcosa che non esiste? Cos'è una cosa che non esiste?
CitazioneQuesta domanda non può certamente avere come disposta corretta e vera la confusione fra "reale" e "immaginario".

Comunque la mia risposta é che lo scetticismo (il dubbio sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà) non é razionalmente superabile (in sede "teorica pura"; ma solo fideisticamente e "in sede pratica", come a quanto pare fanno tutti coloro che comunemente vengono ritenuti sani di mente: il che non equipara affatto il credere fideisticamente, infondatamente "di tutto e di più", qualsiasi ipotesi -anche di reciprocamente contraddittorie- da una parte e dall' altra limitarsi a credere il minimo indispensabile per non essere tali che a quanto pare non si é comunemente ritenuti sani di mente, tanto meno se nella piena consapevolezza dell' infondatezza fideistica di questo "minimo" di credenze accettate).
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 02 Aprile 2018, 12:11:25 PM
Citazione di: iano il 01 Aprile 2018, 00:22:52 AM
Citazione di: Donalduck il 31 Marzo 2018, 23:17:47 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2018, 12:42:26 PM
. Insomma la domanda è (fatta da diverse prospettive): Quali sono le condizioni che fanno sì che qualcosa sia reale? Come si fa a stabilirlo, a verificarlo? Cosa distingue ciò che è reale da cio che non lo è? Come si fa a parlare di qualcosa che non esiste? Cos'è una cosa che non esiste?

CitazioneTESI DI DONALDUK ERRONEAMENTE ATTRIBUITA A ME, CHE ANZI L' HO CRITICATA
Quali sono le cose che verificandosi ci fanno dire che qualcosa sia reale?
Intanto dovremmo logicamente escludere che queste cose che si verificano siano reali , se non vogliamo cadere in un circolo vizioso.Il che equivarrebbe a dire pero' che chi ti fa' scuola guida non ha la patente.
CitazioneQuesta mi sembra proprio una plateale contraddizione ("quasi il contrario -mi scuso per l' ossimoro- di un circolo vizioso", che é piuttosto assimilabile a una tautologia):
Le cose che realmente (e non fantasticamente) ci possano far dire che qualcosa sia reale non possono essere che reali (se fossero fantastiche al massimo, potrebbero farci dire che qualcosa é fantasiìtico).

Mi sembra evidente che il problema posto da Donalduk non era se "siano reali" (fatto ovvio a mio parere, nel caso di siffatte "cose" ce ne siano), ma piuttosto "quali siano" le cose (ovviamente reali) che ci fanno dire che qualcosa (oltre ad esse) é reale.


Quindi forse come suggerivo la sostanza dell'essere è unica , e la distinzione fra reale e non reale nasce solo da una diversa percezione dell'essere.
CitazioneQuindi che tu percepisca allucinatoriamente la famosa scala per scendere dal 100° piano senza sfracellarti mentre essa non c' é realmente o che la percepisca veracemente perché é davvero, effettivamente reale, secondo te "la sostanza del' essere é unica", ovvero la scala é comunque reale.

Auguri (almeno di non avere allucinazioni, se non di comprendere la differenza fra di esse e le percezioni autentiche di enti-eventi reali)!



Ciò che per noi esiste è il risultato di una dialettica fra soggetto ed oggetto , che in quanto tale non è' rappresentativo in modo esclusivo ne' del soggetto , né' dell'oggetto.
L'esistenza quindi non è né' soggettiva ne' oggettiva.
Dipende dal soggetto in quanto questo fa' ipotesi sul oggetto ,e  dipende dall'oggetto in quanto queste ipotesi vengono poste a costante verifica.
Quindi se la sostanza dell'essere non è l'ipotesi , usata come strumento soggettivo ,  non è però neanche la realtà , intesa come oggetto.
L'essere nasce quindi da un dialogo dinamico e quindi è mutevole.
CitazioneHo evidenziato in grassetto il "per noi", in quanto ciò che "è il risultato di una dialettica fra soggetto ed oggetto , che in quanto tale non è' rappresentativo in modo esclusivo ne' del soggetto , né' dell'oggetto" non é "ciò che esiste" (in assoluto; che esiste anche se quando magari inoltre non esiste nessun soggetto di conoscenza di esso) ma invece "ciò che esiste per noi", ovvero ciò "che ci risulta" dell' esistente, ciò "che noi crediamo" (eventualmente veracemente, cioé "ciò che noi sappiamo") dell' esistente.

E ciò (la conoscenza dell' esistenza, non l' esistenza) dipende (oltre che dal soggetto), inderogabilmente anche dall' oggetto, dalla realtà quale é o diviene (o non é o non diviene) anche indipendentemente dall' eventuale esistenza reale o meno e dall' eventuale conoscenza reale o meno del soggetto).

Quando questa mutevolezza sembra volubile tendiamo a confondere l'essere col soggetto.
Quando questa mutevolezza tende a non apparire confondiamo l'essere con la realtà.
Infine una  "cosa che non esiste" è' una ipotesi che ha fallito la prova , almeno per ora.
Ad esempio un cerchio quadrato.
CitazioneUN "cerchio quadrato" non può né esistere né non esistere perché non é (la connotazione e inoltre l' eventuale denotazione o meno di) alcun concetto.
Ciò che esiste, nel caso di ciò che nella riga appena qui sopra si trova tra virgolette e in carattere inclinato o corsivo é solo una sequenza senza senso di caratteri tipografici e non un concetto di cui si possa stabilire che abbia, oltre a una connotazione o intensione arbitraria, anche una denotazione o estensione reale o meno.

Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 02 Aprile 2018, 12:39:34 PM
Salve. Affermare l'esistenza di un cerchio quadrato ovviamente non ha senso. Il farlo significa solamente affermare il nostro desiderio di veder esistere un cerchio quadrato.

Il cerchio quadrato, dunque, non esiste in quanto non è in grado di essere causa di alcunché (l'essere causa di un qualsiasi effetto è la condizione intrinseca dell'essere o dell'esistere di qualcosa), mentre il concetto di cerchio quadrato è ed in-siste (è in noi) in quanto produce - ad esempio, l'effetto di star parlandone.

Infatti la superficialità di attenzione circa i concetti di essere-esistere-insistere-consistere genera invariabilmente confusione tra di essi.

Circa infine le cose che ci permettono di stabilire la realtà di qualcosa, la risposta è semplicissima : è reale solo ciò che ci coinvolge.

Per noi è reale ciò che, giungendo dall'esterno di noi, ha un qualche effetto su di noi. L'irrealtà consisterebbe invece in tutte le nostre escogitazioni, concezioni che non risultano avere effetto sul mondo a noi esterno.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 02 Aprile 2018, 15:21:01 PM
Citazione di: viator il 02 Aprile 2018, 12:39:34 PM
Salve. Affermare l'esistenza di un cerchio quadrato ovviamente non ha senso. Il farlo significa solamente affermare il nostro desiderio di veder esistere un cerchio quadrato.

Il cerchio quadrato, dunque, non esiste in quanto non è in grado di essere causa di alcunché (l'essere causa di un qualsiasi effetto è la condizione intrinseca dell'essere o dell'esistere di qualcosa), mentre il concetto di cerchio quadrato è ed in-siste (è in noi) in quanto produce - ad esempio, l'effetto di star parlandone.

Infatti la superficialità di attenzione circa i concetti di essere-esistere-insistere-consistere genera invariabilmente confusione tra di essi.

Circa infine le cose che ci permettono di stabilire la realtà di qualcosa, la risposta è semplicissima : è reale solo ciò che ci coinvolge.

Per noi è reale ciò che, giungendo dall'esterno di noi, ha un qualche effetto su di noi. L'irrealtà consisterebbe invece in tutte le nostre escogitazioni, concezioni che non risultano avere effetto sul mondo a noi esterno.
CitazioneNon sono d' accordo proprio su nulla.

"esistere" =/= "causare" (per causare -realmente- qualcosa bisogna innanzitutto necessariamente esistere -realmente- ma non é vero il reciproco: non é vero che per esistere bisogna per forza causare alcunché).

"esistere" =/= "essere causato" (per essere causato -realmente- bisogna innanzitutto necessariamente esistere -realmente: essere fatto esistere come necessaria conditio sine qua non di essere fatto essere, ovvero di esistere, in quanto effetto reale di una causa reale- ma non é vero il reciproco: qualcosa potrebbe esistere ed essere incausato; ne sanno qualcosa -della per lo meno possibile esistenza di enti incausati- i credenti alle religioni monoteistiche).


Il cerchio quadrato può esistere unicamente in quanto successione insignificante di simboli tipografici e non affatto in quanto concetto significato (simboleggiato) da una locuzione verbale.

In noi può provocare un qualche effetto (il che non é conditio sine qua non perché esista), per esempio quello parlarne, unicamente l' esistenza di tale insignificante sequela di caratteri tipografici o di fonemi (per esempio può determinare in noi la falsa presunzione di stare considerando, anziché una sequela insignificante di caratteri tipografici o di fonemi come in realtà accade, un concetto allorché pensiamo a "cerchio quadrato").


Per me la confusione peggiore (in teoria filosofica e in pratica) é quella fra esistenza reale (unicamente) in quanto concetto di ente od evento o in quanto concetto di caratteristica astratta di enti e/o eventi concreti (o anche e peggio ancora: come illusione di pensare un concetto) da una parte, e dall' altra l' esistenza reale in quanto ente od evento reale o in quanto reale caratteristica stratta di enti ed eventi (reali; aggettivo pleonastico).


Del campionato di calcio o della Champions League non me ne può fregare di meno (non mi coinvolgono manco per nulla, come tanti altri enti ed eventi reali); ma non per questo non esistono - non accadono realmente.


Ci sono "un' infinità di cose" (enti ed eventi) che accadono in "un' infinità" di pianeti di stelle di galassie diverse dalla nostra che non hanno alcun effetto su di noi ma non per questo non sono realissime.
E d' altra parte anche eventi non affatto reali (come per esempio le scorpacciate di bambini da parte di Comunisti; o le celeberrime "armi di distruzione di massa di Saddam") che hanno avuto ed hanno effetti enormi (centinaia di migliaia do morti nel secondo caso esemplificato, probabilmente molti di più nel primo).
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 02 Aprile 2018, 16:22:49 PM
Per Donalduck,
condivido la tua impostazione.
Vi sono alcuni aspetti che vorrei comunque approfondire.

Citazione
Io la metto così: soggetto e oggetto si definiscono a vicenda e non si dà nessuna esistenza (o almeno non riesco a immaginare come si possa concepire e definire l'esistenza) senza la compresenza di soggetto e oggetto, coscienza e realtà. Di conseguenza trovo assurdo l'"oggettivismo" ossia la pretesa che esista una oggettività che non presupponga e non sia intrinsecamente legata alla soggettività. Azzardando una definizione di esistenza potrei dire "l'esistenza è la manifestazione di un oggetto subita o accolta da un soggetto". E qui mi fermo, perché soggetto e oggetto si definiscono (e mordono la coda) a vicenda: è oggetto ciò che si presenta al soggetto, è soggetto ciò che percepisce la presenza di un oggetto.
Ci sono correnti di pensiero che conducono a considerare l'informazione come costituente più fondamentale della "realtà", o anche soltanto come un'utile e illuminante chiave di interpretazione della realtà. Se proviamo ad assumere questo punto di vista, ossia proviamo ad interpretare i fenomeni come messaggi, ci rendiamo subito conto che non può esistere messaggio senza un mittente e un destinatario, senza un soggetto e un oggetto. Non ci può essere informazione senza che qualcuno sia informato di qualcosa.
Sì, sono anch'io convinto che sia arbitrario credere nell'oggettività in sé.
Così come pure nella soggettività in sé. Occorre prestare attenzione secondo me a considerarle entità a sé stanti, finendo magari col privilegiare (dare patente di realtà) a uno dei due poli a scapito dell'altro.
 
Questa scissione soggetto/oggetto è l'esserci.
Mentre il termine "esistenza" preferirei riferirlo al possibile superamento della scissione. Seguendo perciò la filosofia dell'esistenza di Karl Jaspers.
 
In quanto slancio che cerca di andare oltre il soggetto/oggetto, l'esistenza si manifesta attraverso la comunicazione.
Tuttavia sotto questa luce la comunicazione assume un significato radicalmente diverso dall'usuale.
 
Nell'esserci, il messaggio consiste in uno scambio di informazioni tra soggetto e oggetto
Perché anche se lo interpretiamo tra soggetti, in realtà, essendo il soggetto sempre uno solo (ossia noi stessi) lo scambio avviene sempre tra soggetto e oggetto.
 
Ma in quanto "comunicazione esistenziale" questa non è più da intendersi come uno scambio di informazioni. Perché l'esistenza è comunicazione pura. Ossia prescinde dai cosiddetti attori (!) che dovrebbero comunicare.
 
L'esistenza, che si manifesta attraverso la comunicazione, consiste nel gettare un ponte per superare la scissione soggetto/oggetto.
Di modo che l'esserci, scissione soggetto/oggetto, nella prospettiva esistenziale altro non è che l'occasione, attraverso la comunicazione, per il manifestarsi dell'esistenza.
Che non è "qualcosa". Come potrebbe esserlo, visto che i qualcosa appartengono al regno dell'esserci?
Ma possibile ricostituzione della scissione, perciò slancio trascendente.
In estrema sintesi, l'esistenza è coscienza della propria Trascendenza.
 
Secondo me, la realtà dell'esistenza, così come ho cercato di descriverla, è un presupposto necessario della stessa comunicazione.
Difatti la comunicazione cosa riguarda alla fin fine?
Pensiamo davvero che il cosiddetto "messaggio" consista nel trasmettere una "verità" da un'entità all'altra?
Quasi che sia possibile vi sia un luogo dove manca la verità e un altro dove invece vi sia. E che perciò trasmettendone l'informazione dal secondo al primo si possa così "inculcarla" nel primo?
Davvero ciò che è Vero può essere qui ma non là?
 
O non sarà invece che la Verità è già ovunque?
E che perciò la comunicazione non consiste affatto nel tramettere verità da un posto all'altro, ma semplicemente nel "risvegliare" la medesima verità là dove è stata, in un certo qual modo, dimenticata.
 
Il lavorio della comunicazione ha come obiettivo finale la Verità, che l'esistenza non conosce, ma in cui ha "fede".
 
Citazione
Io per ora lascerei fuori l'"io". Non che sia un elemento poco importante o aggirabile, ma farei un passo alla volta. Il primo passo prevede di considerare solo il soggetto in generale, la soggettività contrapposta all'oggettività; il percepire contrapposto all'essere percepito; il mittente contrapposto al destinatario. In modo impersonale, senza io, tu, noi... In questa prospettiva, quando dici che potrebbe sussistere un "essere" in sé indipendente dal soggetto, se al posto di soggetto ci metti "soggettività" le cose cominciano ad apparire sotto un'altra luce. Sei costretto a fare i conti col paradosso di un'oggettività indipendente dalla soggettività, senza la quale però l'oggettivo perde ogni significato.
Ecco, secondo me si dovrebbe invece iniziare con l'io. Perché il termine "soggettività" implica di aver già fatto un passo avanti. Con la soggettività abbiamo infatti già compiuto una generalizzazione, che in realtà è solo una scommessa. La scommessa  di non essere il solo soggetto.
 
Direi di più, prima ancora dell'autocoscienza dell'io, vi è l'indeterminato. Cioè io vivo, ma l'altro non mi appare ancora pienamente nella sua oggettività, e di conseguenza non vi sono neppure io.
Quando la razionalità prende il sopravvento, il molteplice con cui tutto l'altro compare si fa via via più definito (e così l'io). Finiamo in questo modo col considerare lo stesso molteplice la realtà originaria.
Ma secondo me non è così.
 
Gli stessi numeri non sono nella sequenza in cui normalmente li consideriamo.
Difatti, il 2 viene "prima" dell'1. Perché solo dopo aver notato 2 oggetti simili, può nascere l'idea dell'1.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 02 Aprile 2018, 21:41:27 PM
Salve. Per Sgiombo : Ma....carissimo ! Che succede ? E' gia la seconda o terza volta che assisto ad un completo ribaltamento di significato delle mie parole da parte tua !

1) Ho affermato che esiste solo ciò che ci coinvolge e non certo che ciò che non ci coinvolge non esista !!!

2) Parli di un'infinità di cose che accadono in galassie lontane e che non ci riguardano. Volevi forse dire che le ignoriamo e che alla maggior parte di noi "ce po' fregà de meno".....ma accidenti se ci coinvolgono !! Hai presente il bombardamento di radiazioni cosmiche al quale siamo costantemente sottoposti ??. Non parliamo inoltre del fatto che tutte le cause e gli effetti del mondo siano rigorosamente interconnessi in modi che ovviamente ci sfuggono quasi totalmente vista la nostra umana limitatezza.

3) "Qualcosa potrebbe esistere ed essere incausato.....religioni monoteistiche": Credo tu ti riferisca a Dio come Causa Prima. In tal caso ovviamente i credenti possono credere in ciò che preferiscono. Sei tu stesso a dare come perlomeno possibile l'esistenza di Dio. Se quindi già non è dimostrabile l'esistenza di un Dio fideistico, figuriamoci quanto è dimostrabile l'esistenza di una Causa Prima.

Sì...è proprio vero......non andiamo d'accordo ma pazienza. L'importante è non farsi del male. Salutoni.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 03 Aprile 2018, 01:46:06 AM
@Sciombro
Ok , pace .
Non ho nessun problema ad essere criticato.
Ho espresso solo umana frustrazione per non riuscire a trovare un punto di accordo.
Ho suggerito che un minimo punto di accordo fra noi fosse l'importanza della conoscenza.
Tu hai risposto che non è vero che siamo d'accordo sui criteri della conoscenza.
Infatti non lo siamo.
Io ho detto solo una banalità che valeva come un ramoscello di ulivo.Ovvio no?
Comunque non vorrei mai che le tue critiche sul forum venissero meno.
Per mia scelta non critico nessuno punto per punto , ma scelgo un solo punto per me significativo sul quale sono molto d'accordo o molto in disaccordo e cerco di svilupparlo.
È un mio limite , e quando mi si risponde punto su punto mi è impossibile replicare.
No , il nostro non è un dialogo tra sordi.Diciamo che ho sfogato in questi termini la mia frustrazione.
Sono io che ho difficoltà a gestirlo.
Quando capiterà quindi che esporrai un singolo argomento o una singola critica isolata ti risponderò con piacere argomentando nello specifico.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 03 Aprile 2018, 08:43:27 AM
Citazione di: viator il 02 Aprile 2018, 21:41:27 PM
Salve. Per Sgiombo : Ma....carissimo ! Che succede ? E' gia la seconda o terza volta che assisto ad un completo ribaltamento di significato delle mie parole da parte tua !

1) Ho affermato che esiste solo ciò che ci coinvolge e non certo che ciò che non ci coinvolge non esista !!!
CitazioneCarissimo, in italiano la parola "solo" significa "unicamente", e dire che "esiste solo ciò che ci coinvolge" significa proprio che "esiste ciò che ci coinvolge e nient' altro", che non "esiste ciò che non ci coinvolge ", che "non esiste alcunché che non ci coinvolga".

Io non ribalto significati, sei tu che confondi significati ben diversi.



2) Parli di un'infinità di cose che accadono in galassie lontane e che non ci riguardano. Volevi forse dire che le ignoriamo e che alla maggior parte di noi "ce po' fregà de meno".....ma accidenti se ci coinvolgono !! Hai presente il bombardamento di radiazioni cosmiche al quale siamo costantemente sottoposti ??. Non parliamo inoltre del fatto che tutte le cause e gli effetti del mondo siano rigorosamente interconnessi in modi che ovviamente ci sfuggono quasi totalmente vista la nostra umana limitatezza.
CitazioneA parte il fatto che a tantissimi di noi non gliene può fregà dde meno anche se ne subiscono qualche effetto, anche perché si può fare ben poco per diminuirne l' esposizione, le radiazioni cosmiche  vengono da tutte le parti e quelle fra di esse che giungono a noi essendo emesse dalle stelle di galassie lontane sono solo una minima parte di ciò che in tali galassie accade. Vi accadono anche tantissime altre cose che non hanno effetti apprezzabili su di noi (e che comunque -e questo é ciò che riguarda la discussione in atto, mentre il resto "un centra nulla"- accadono realmente anche se non lo sappiamo).

3) "Qualcosa potrebbe esistere ed essere incausato.....religioni monoteistiche": Credo tu ti riferisca a Dio come Causa Prima. In tal caso ovviamente i credenti possono credere in ciò che preferiscono. Sei tu stesso a dare come perlomeno possibile l'esistenza di Dio. Se quindi già non è dimostrabile l'esistenza di un Dio fideistico, figuriamoci quanto è dimostrabile l'esistenza di una Causa Prima.
CitazioneChe qualcosa non sia dimostrabile esistere =/= che sia dimnostrabile che tale cosa non esista.

Ergo se (finché) non si dimostra che nulla di non causato può esistere, allora é lecito (logicamente corretto) pensare che qualcosa di non causato possa esistere (evidentemente non l' hai capito, ma citavo i credenti nelle religioni monoteistiche non in quanto tali -credenti- ma in quanto pensanti il concetto -pensabile per l' appunto in maniera logicamente corretta, id est: possibile- di ente-evento reale ma incausato).

Sì...è proprio vero......non andiamo d'accordo ma pazienza. L'importante è non farsi del male. Salutoni.
CitazioneOh, finalmente un' affermazione (anzi: almeno due) logicamente corretta!

E' propiro vero che la perfezione non esiste, nemmeno in negativo!
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 03 Aprile 2018, 08:46:57 AM
X Iano:

D' accordo.

Spero capiterà di nuovo presto di collaborare (anche reciprocamente criticandoci) nella ricerca della verità.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: iano il 03 Aprile 2018, 10:10:09 AM
Citazione di: sgiombo il 03 Aprile 2018, 08:46:57 AM
X Iano:

D' accordo.

Spero capiterà di nuovo presto di collaborare (anche reciprocamente criticandoci) nella ricerca della verità.
Ok.Ci tengo a ribadire, esagerando forse , che sono immune alle critiche, in quanto le mie idee non diventano carne della mia carne, perché io non gli do' neanche il tempo che lo diventino.
Infatti le idee che ho espresso in questa discussione , spero si sia notato , sono nate in diretta in questa discussione stessa , modificandosi strada facendo.
Non mi curo neanche di essere coerente , ma semplicemente mi compiaccio quando lo sono.
La coerenza , quando c'è , deve venire da se'.
Quando richiede sforzo allora c'è qualcosa che non va'.
Quindi ci tengo a ribadire in sintesi il quadro mentale , seppur precario ,che ho espresso in questa discussione stimolante per me.
Ci tengo perché, per quanto precario , come è nel mio stile , mi sembra meritevole anche di una tua più approfondita riflessione.
È un quadro mentale che tenta di dare una risposta a Donald ed è in questo modo che nasce.
Suggerisco che non c'è sostanziale differenza fra reale e ideale e arrivò a ciò abbracciando il punto di vista di Donald che l'essere è ciò che nasce d all'interazione fra soggetto e oggetto.
Quindi L'essere non è né' ideale ne' reale.
Allora tu potresti obiettare , ma se ciò che conosci non è ideale ne' reale , allora come fai a parlare di ideale e di reale?
Si tratta di due modalità estreme del modo in cui percepiamo l'essere nel senso sopra detto , alla Donald per intenderci.
Ideale e reale , uomo e donna , e altri presunti opposti , nascono solo da semplificazioni esplicativi e sono solo gli estremi di una continua gamma di situazioni intermedie.
Quando questa semplificazione , non sempre fatta in modo cosciente , diventa carne della nostra carne , in seguito all'uso , allora  , permettimi il gioco di parole , il,reale diventa reale.
Noi non abbiamo accesso diretto alla realtà oggettiva , che può essere solo ipotizzata quindi , e che a me piace ipotizzare. Noi abbiamo solo a che fare con le nostre diverse percezioni che possiamo suddividere convenzionalmente in diverse categorie , è una di queste è la categoria del reale , dalla quale deriva poi la plausibile ipotesi dell'esistenza di una realtà oggettiva.
Ma qual'e ' l'origine della diversità in queste percezioni?
La percezione è un processo , non necessariamente cosciente, che ha un inizio , una elaborazione , e alla fine un risultato.
Quando questo processo è completo lci porta a percepire ciò che mettiamo nella categoria del reale.
Quando è incompleto lo mettiamo nella categoria dell'ideale.
È una risposta semplice ad una questione complicata ,ma è una risposta che ha un senso, fosse anche una risposta semplicistica.
Io più ci penso e più mi piace e per questo la ribadisco.😊
A difesa di questo quadro mentale invito a valutate re il suo opposto.
Una moltiplicazione incontrollata di esistenti, ognuno con la sua propria sostanza.
Tuttavia le mie interpretazioni non sono cose che io devo difendere a spada tratta , perché non sono carne della mia carne e non ne va' della mia vita , e posso difenderle,prendendo parte , ma solo per gioco.
Ecco perché mi dico immune alle critiche che sono sempre le benvenute.
Senza di quelle finisce il gioco.
Se vorrai rispondermi , come spero , per via dei limiti miei di cui parlavo , isola la parte del mio discorso che ti sembra più significativ , che vuoi sottoporre a critica , e io ti rispondo di conseguenza .😊
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 03 Aprile 2018, 17:59:44 PM
Citazione di: iano il 03 Aprile 2018, 10:10:09 AM


Suggerisco che non c'è sostanziale differenza fra reale e ideale e arrivò a ciò abbracciando il punto di vista di Donald che l'essere è ciò che nasce d all'interazione fra soggetto e oggetto.
Quindi L'essere non è né' ideale ne' reale.
Allora tu potresti obiettare , ma se ciò che conosci non è ideale ne' reale , allora come fai a parlare di ideale e di reale?
Si tratta di due modalità estreme del modo in cui percepiamo l'essere nel senso sopra detto , alla Donald per intenderci.
Ideale e reale , uomo e donna , e altri presunti opposti , nascono solo da semplificazioni esplicativi e sono solo gli estremi di una continua gamma di situazioni intermedie.
Quando questa semplificazione , non sempre fatta in modo cosciente , diventa carne della nostra carne , in seguito all'uso , allora  , permettimi il gioco di parole , il,reale diventa reale.
Noi non abbiamo accesso diretto alla realtà oggettiva , che può essere solo ipotizzata quindi , e che a me piace ipotizzare. Noi abbiamo solo a che fare con le nostre diverse percezioni che possiamo suddividere convenzionalmente in diverse categorie , è una di queste è la categoria del reale , dalla quale deriva poi la plausibile ipotesi dell'esistenza di una realtà oggettiva.
Ma qual'e ' l'origine della diversità in queste percezioni?
La percezione è un processo , non necessariamente cosciente, che ha un inizio , una elaborazione , e alla fine un risultato.
Quando questo processo è completo lci porta a percepire ciò che mettiamo nella categoria del reale.
Quando è incompleto lo mettiamo nella categoria dell'ideale.
È una risposta semplice ad una questione complicata ,ma è una risposta che ha un senso, fosse anche una risposta semplicistica.
Io più ci penso e più mi piace e per questo la ribadisco.😊
A difesa di questo quadro mentale invito a valutate re il suo opposto.
Una moltiplicazione incontrollata di esistenti, ognuno con la sua propria sostanza.
Tuttavia le mie interpretazioni non sono cose che io devo difendere a spada tratta , perché non sono carne della mia carne e non ne va' della mia vita , e posso difenderle,prendendo parte , ma solo per gioco.
Ecco perché mi dico immune alle critiche che sono sempre le benvenute.
Senza di quelle finisce il gioco.
Se vorrai rispondermi , come spero , per via dei limiti miei di cui parlavo , isola la parte del mio discorso che ti sembra più significativ , che vuoi sottoporre a critica , e io ti rispondo di conseguenza .😊

Innanzitutto credo si debba disambiguare il concetto di "essere", soprattutto per evitare la confusione fatale (secondo me) ai fini della correttezza e verità del ragionamenti, fra "essere pensato (che inoltre si esista-accada anche realmente, pure a prescindere dall' essere inoltre pensato, o meno)" ed "essere reale (che inoltre si sia anche pensato o meno)".
Cioè secondo me l' essere può essere "reale" oppure essere "ideale", ma si tratta di due modi di "essere", due accezioni, due concetti di "essere" completamente diversi (anche se possono pure eventualmente darsi dei medesimi anti o eventi), confondere i quali é esiziale ai fini del corretto ragionare e del verace pensare.
Inoltre ribadisco che (invece) secondo me ciò che nasce d all'interazione fra soggetto e oggetto é la conoscenza del reale, e non il reale, il quale per definizione é tale anche indipendentemente da qualsiasi eventuale relazione con soggetti di conoscenza o meno.
Per me fra reale e concettuale tertium non datur (come anche fra maschio e femmina nell' ambito delle specie animali più affini al' uomo, salvo patologie come la castrazione o l' ermafroditismo: vado sempre e comunque molto fiero di essere politicamente scorrettissimo!).

"Percepire" é un altro concetto ancora, quello di un caso particolare nell' ambito generale dell' "essere reale", allorché la percezione accade realmente, o di un caso particolare nell' ambito generale dell' "essere pensato", allorché la percezione accade come oggetto o "contenuto" di pensiero, come concetto pensato, immaginato, ecc., e non come fatto reale.
Gli unici eventi reali di cui può aversi certezza (allorché, se e quando accadono) sono le percezioni fenomeniche, reali unicamente in quanto tali (insiemi-successioni di sensazioni -materiali o mentali- reali unicamente nel loro reale accadere, ovvero soltanto quando e fintato che realmente accadono).
Se é-accade qualcos' altro di reale, tale da far sì che ogni volta che riapro gli occhi rivedo puntualmente le percezioni costituenti lo schermo del computer e la tastiera qui davanti a me, le quali mentre avevo gli occhi chiusi non esistevano-accadevano realmente affatto, allora onde evitare di cadere platealmente in contraddizione, bisogna pensare che questo "qualcosa" sia di altra natura delle percezioni costituenti tali pezzi del computer, che non sia apparente (dal greco e a là Kant "fenomeno"), bensì congetturabile (dal greco e a là Kant "noumeno").
Di tale natura (congetturabile e non invece percepibile, non apparente ai sensi -esterni o materiali e interno o mentale- non possono che essere, se sono (cosa indimostrabile né tantomeno -per definizione!- empiricamente mostrabile) il soggetto delle sensazioni materiali e riflessivamente soggetto-oggetto delle sensazioni mentali (l' "io") e gli oggetti di esse dal soggetto diversi, tutti persistenti anche allorché le sensazioni fenomeniche non accadono realmente, anche indipendentemente da esse.
Concordo che alla realtà in sé, oggettiva (noumeno; se pure esiste) non abbiamo accesso diretto, ma abbiamo accesso cosciente unicamente ai fenomeni (sensazioni materiali e mentali) circoscritti nell' ambito di (facenti parte di; essendo reali unicamente in quanto componenti di) ciascuna esperienza cosciente stessa.
Pur non potendolo dimostrare, credo per fede (anche) che, contrariamente a quelle mentali o di pensiero, le sensazioni materiali (salvo casi particolari in linea di principio "riconoscibili" come tali: sogni e allucinazioni), sebbene non oggettive, sono comunque intersoggettive, cioè corrispondenti "punto per punto" fra le esperienze fenomeniche coscienti dei vari soggetti (noumenici) di esse, di modo che, purchè si collochi "nella giusta posizione" e "osservi nella giusta maniera", chiunque accede a realtà sensoriali-fenomeniche descrivibili negli stessi termini (parlare di eventuale "eguaglianza" o meno o di maggiore o minore "similitudine" fra i contenuti fenomenici delle diverse esperienze coscienti non avendo senso, contrariamente al caso dei contenuti di ciascuna esperienza cosciente, che possono essere fra loro confrontati).
Per me la percezione (materiale-"esterna" o mentale-"interna") é necessariamente cosciente per definizione (é un evento fenomenico ovvero di coscienza).
Ciò che distingue le sensazioni materiali intersoggettive (non allucinatorie od oniriche) da quelle puramente soggettive (mentali oppure materiali oniriche – allucinatorie) non é per me il "grado" di coscienza (che é unico: o accade qualcosa di fenomenico-cosciente, più o meno "intenso" che sia, oppure non accade) ma invece é, per l' appunto, il fatto che possano essere constatate o verificate da chiunque in linea di principio, purchè osservate "nel giusto modo".
Ciò significa che si può ipotizzare (e credere, ma non dimostrare né tantomeno mostrare) che ad esse, realmente accadenti nelle esperienze fenomeniche di ciascun soggetto corrispondano gli stessi oggettivi enti od eventi in sé o noumenici realmente accadenti.
Ritengo inoltre che sia molto ragionevole ipotizzare (e fideisticamente credo) che lo stesso insieme-successione di enti-eventi in sé o noumenici che sono "io" si manifesti fenomenicamente a se stesso (a me) come la componente mentale o "di pensiero (res cogitans)" della sua propria (la mia) esperienza fenomenica cosciente e ad altri analoghi ma da se stesso diversi insiemi-successioni di enti-eventi in sé o noumenici come determinati eventi nell' ambito del mio cervello, facente parte della componente materiale intersoggettiva delle rispettive esperienze fenomeniche coscienti.
Di modo che -per esempio- allorché tu, nell' ambito della tua esperienza fenomenica cosciente (almeno potenzialmente: attualmente solo se compissi le opportune osservazioni, dirette o più probabilmente -e auspicabilmente da parte mia!- indirette, per il tramite dell' imaging neurologico funzionale) percepisci certi determinati eventi neurofisiologici accadenti nel mio cervello e non altri, allora nell' ambito della mia esperienza fenomenica cosciente accadono certi determinati eventi (sensazioni materiali o mentali) e non altri e viceversa: gli stessi enti-eventi in sé o noumenici corrispondono biunivocamente a certi determinati eventi fenomenici coscienti (e solo a quelli) nella mia esperienza cosciente e a certi determinati eventi fenomenici accadenti nel mio cervello "osservato" nell' ambito di certe altre esperienze coscienti, proprie di miei "osservatori" (potenzialmente o attualmente, direttamente o indirettamente a seconda dei casi) e solo a quelli (per esempio nell' ambito della tua); e viceversa.

Grazie per l' attenzione.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: davintro il 03 Aprile 2018, 20:47:50 PM
Essendo il linguaggio una convenzione, non esistono definizioni in assoluto "appropriate" o "inappropriate", quindi, ammettendo come lecita l'accezione del concetto di "esistenza" come definente quella sfera di enti che sono reali indipendentemente dalla volontà e dal pensiero di un Io, allora abbiamo a disposizione un criterio  per distinguere semanticamente il concetto di "esistenza" da quello di diverse categorie ontologiche, come ad esempio quello di "essere", per il fatto che distinte categorie convivono all'interno dei singoli vissuti di coscienza. Ogni determinazione di relazione coscienziale soggetto-oggetto, ogni datità fenomenica del mondo alla nostra coscienza si presenta ordinariamente come "sintesi" (la stessa "percezione", nella sua solo apparente immediatezza e semplicità, è a tutti gli effetti un atto sintetico e complesso, l'effetto di un'unità elaborata dall'Io che si viene a formare sintetizzando la molteplicità dei lati con cui l'oggetto si presenta di diversi momenti temporali), e dunque in ogni punto di vista sul mondo, nella sua inadeguatezza dovuta alla finitezza dei nostri strumenti conoscitivi, è sempre una sintesi, un complesso di elementi che solo parzialmente rispecchiano l'esistenza delle cose. Ad esempio il sogno, quantomeno nel modo in cui viene tematizzato nella psicoanalisi, è il prodotto di una elaborata sintesi unificatrice di molteplici elementi psichici (Freud parlava di "condensazione" a quanto ricordo), che però rivela in uno sguardo analitico, le distinzioni tra dei momenti di verità, cioè di rappresentazione dell' "esistente", ed altri di illusioni, di fenomeno meramente coscienziale senza alcuna attinenza con la sfera dell'esistente. Riconosco che l'esplosione in casa mia sognata qualche notte fa è solo (fortunatamente) è solo un'apparenza non corrispondente ad un evento esistente, ma esistenti sono le tendenze psichiche inconsce, che hanno generato quelle immagini oniriche. Nella misura in cui avvertiamo che quelle tendenze sono eventi reali della nostra psiche, indipendentemente dalle opinioni che sulla psiche si può avere, è possibile in sede di analisi, cioè di scomposizione della sintesi utilizzare legittimamente il criterio di esistenza differenziando ciò che esiste da ciò che non esiste. Dunque, dal riconoscere la problematicità di differenziare all'interno delle sintesi fenomeniche che costituiscono le diverse modalità di coscienza del mondo gli elementi rispecchianti l'esistenza oggettiva da quelli restano puramente interni all'apparire soggettivo, problematicità che è un carattere costante di ogni nostra conoscenza, non deriva la non validità della categoria di "esistenza" utilizzato per comprendere una determinata specie di enti. E non ne deriva, ad esempio la non-validità di una possibile distinzione semantica con l' "essere": perché se possiamo definire "esistenza" tutto ciò che è tale al di là della sua pensabilità o meno, l' "essere" può considerarsi come categoria più ampia, in quanto è quell'idea universale che necessariamente utilizziamo per giudicare qualunque cosa, anche non reale, a cui però attribuiamo un determinato senso, in base a cui quell'ente diviene soggetto a cui attribuire predicati, cioè oggetto, appunto, di giudizio. L'essere è la forma trascendentale che consente ogni concettualizzazione e definizione delle cose, di fatto ogni pensabilità, in quanto per pensare qualcosa, occorre attribuire a quel qualcosa, una qualunque qualità, che la renda distinta da un "nulla", un puro non-essere, di fatto l'impensabile. Babbo Natale non esiste fattualmente, ma nella misura in cui è oggetto di pensiero, immaginazione, giudizio, è un "non-nulla", dunque rientra nell' Essere. Per quanto riguarda il cerchio quadrato le cose si complicano, qui saremmo di fronte non a una semplice mancanza di esistenza fattuale, ma di una interna contraddittorietà, che rende il suo concetto assurdo, impensabile, al di là di ogni intuizione. La sua mancanza di senso lo avvicina alla condizione del concetto di "nulla", il cui significato è respingente quello di "essere", che lo renderebbe intuibile. Ecco perché i concetti autocontradditori hanno forse a più spartire con l' ambito del nulla" che con l' "essere", ed ecco perché forse è limitante concepire "essere" e "nulla" come dimensioni nitidamente distinti da un ben definito e discreto confine in base a cui collocare chiaramente i diversi concetti in una sfera o nell'altra, ma è più valido piuttosto vederli come delle "polarità" opposte che delineano una tensione che contraddistingue ogni ente, che partecipa a una delle due sfere in modo maggiore o inferiore, ed allora avrebbe senso dire che qualcosa "è" più di un altra che ci sono diversi gradi di partecipazione delle cose all' Essere, rivalutando un certo modo di intendere l'ontologia, come ad esempio quello tomista, che prevede appunto diversi livelli, superiori e inferiori, di adesione degli enti all'essere.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 04 Aprile 2018, 10:19:40 AM
Citazione 
X Davintro (e chiunque altro sia interessato, ovviamente)
 
Malgrado l' impiego da parte tua di termini e concetti che trovo un po' "ostici", a me poco familiari (sono forse termini "tecnici", stabiliti per significare concetti precisamente definiti nell' ambito della filosofia fenomenologica?), mi sembra di convenire per lo meno con gran parte con quanto scrivi.
 
Al fine di un' auspicabile chiarimento delle rispettive convinzioni e reciproco aiuto a capire, cerco di considerare criticamente i punti del tuo pensiero che non mi convincono.
 
 
"Ogni determinazione di relazione coscienziale soggetto-oggetto, ogni datità fenomenica del mondo alla nostra coscienza si presenta ordinariamente come "sintesi" (la stessa "percezione", nella sua solo apparente immediatezza e semplicità, è a tutti gli effetti un atto sintetico e complesso, l'effetto di un'unità elaborata dall'Io che si viene a formare sintetizzando la molteplicità dei lati con cui l'oggetto si presenta di diversi momenti temporali), e dunque in ogni punto di vista sul mondo, nella sua inadeguatezza dovuta alla finitezza dei nostri strumenti conoscitivi, è sempre una sintesi, un complesso di elementi che solo parzialmente rispecchiano l'esistenza delle cose".
Qui a me sembra che si tocchino due diverse questioni.
Una é quella della relatività, limitatezza o parzialità di ogni conoscenza (umanamente) possibile: gli "oggetti" (cose, enti e/o eventi) che conosciamo (inevitabilmente fenomenici) sono frutto di una sintesi* fra "frammenti" incompleti di insiemi e/o successioni d sensazioni fenomeniche cui abbiamo accesso cosciente inevitabilmente limitato, parziale.
E su questo concordo pienamente.
L' altro é quello del carattere non assolutamente, non integralmente oggettivo, ma in parte inevitabilmente soggettivo di ogni possibile conoscenza della realtà (e non, come qualche altro interlocutore ha affermato in questa stessa discussione, di ogni possibile aspetto della realtà): conosciamo fenomeni o insiemi e successioni di sensazioni, le quali a tutti gli effetti fanno parte unicamente dell' esperienza cosciente ciascun soggetto di sensazioni (di ciascuno di noi) e non sono "cose in sé" reali anche indipendentemente dall' eventuale accadere delle sensazioni fenomeniche coscienti stesse: quando chiudo gli occhi lo schermo e la tastiera qui davanti, che non sono altro che insiemi e successioni di sensazioni nell' ambito della mia coscienza, ovviamente non esistono (sarebbe una plateale contraddizione pretenderlo!); e se (come non può essere dimostrato né tantomeno -per definizione!- mostrato, constatato empiricamente, ma solo ipotizzato ed eventualmente creduto arbitrariamente per fede) anche quando ho gli occhi chiusi continua ad esistere qualcosa che spieghi come mai nonappena li riapro riappaiono (= ricominciano ad esistere, ad essere reali come fenomeni) schermo e tastiera, allora tale "qualcosa" non é un insieme o successione di sensazioni, non é qualcosa di apparente alla coscienza (fenomeno) ma invece é qualcosa di meramente congetturabile (noumeno).
Dunque tutto ciò che é conoscibile come fenomeno (nell' ambito dell' esperienza cosciente di un "soggetto") non é oggetto in sé (noumeno) ma una sorta di sintesi** fra soggetto ed oggetto (entrambi in sé o noumeno; ovviamente nel caso indimostrabile né mostrabile cose in sé o noumeno esistano realmente; caso nel quale, a proposito di essi, si avrebbe una conoscenza "eccezionalmente" eccedente i fenomeni: la conoscenza, della realtà -sia pure del tutto "oscura", non immaginabile, non sensibile- del noumeno stesso, e in particolare nel suo ambito del soggetto e degli oggetti di sensazione fenomenica).
Qui andrebbe affrontato il caso della sensazione fenomenica cosciente "riflessiva" del soggetto in quanto -anche- oggetto da parte di se stesso in quanto -anche- soggetto; ma me ne astengo avendone già parlato in precedenti interventi, anche recentissimi.
 
 
Sulla psicoanalisi il mio dissenso é totale e starei per dire "assoluto", dato ciò che ne penso, e dunque tralascio completamente la questione (che peraltro mi pare marginale rispetto all' argomento in discussione).
Credo che nell' ambito di ciascuna esperienza fenomenica cosciente si possano distinguere due componenti (due diversi "tipi" di insiemi-successioni di sensazioni), comunque entrambe parimenti reali: una intersoggettiva (cioè che é possibile ipotizzare -ed eventualmente credere- che possa accadere-apparire in qualsiasi esperienza cosciente purché il suo soggetto compia "le opportune osservazioni", "si comporti nelle dovute maniere"), e l' altra meramente soggettiva (cioè accessibile-apparente-reale unicamente in ciascuna esperienza cosciente in cui accada e in nessun altra).
La prima é costituita dalle sensazioni materiali "corrette" o "autentiche" (non allucinatorie od oniriche: l' autentica "res extensa"), reali nell' ambito di qualsiasi esperienza cosciente in cui accadano, alle quali si può ipotizzare (ed eventualmente credere) biunivocamente corrispondano-coesistano-coaccadano nella realtà in sé o noumeno gli stessi -i medesimi per ciascuna esperienza cosciente- "enti e/o eventi" non sensibili ma congetturabili, "in sé".
La seconda é costituita dalle sensazioni materiali "inautentiche" (oniriche o allucinatorie) e dalle sensazioni mentali o di pensiero (compresi sentimenti, ricordi, ecc: la res cogitans), del tutto ugualmente reali in ciascuna esperienza fenomenica in cui accadano, ma senza che sia pensabile che ad esse biunivocamente corrispondano-coesistano-coaccadano nella realtà in sé o noumeno gli stessi -i medesimi per ciascuna di esse- "enti e/o eventi" non sensibili ma congetturabili, "in sé"; ma invece "enti e/o eventi in sé" reciprocamente diversi, altri fra l' una e l' altra esperienza fenomenica cosciente considerata.
Al sogno dell' esplosione in casa tua (nella tua esperienza cosciente) corrisponde biunivocamente nella realtà in sé qualcosa di meramente soggettivo (qualche determinato evento nell' ambito di "te", del soggetto in sé della tua esperienza cosciente), che non corrisponde biunivocamente anche ad alcunché in alcun altra esperienza cosciente***, esattamente come ai tuoi pensieri, ricordi, immaginazioni, sentimenti, ecc.; mentre invece alle percezioni sensibili della tua casa realmente indenne da incendi si può ammettere corrispondano biunivocamente i medesimi "enti e/o eventi in sé" che parimenti corrisponderebbero (e di fatto corrispondono, se e quando si danno le circostanze "appropriate") ad analoghe sensazioni coscienti in qualsiasi altra esperienza fenomenica purché il soggetto di essa si venga a trovare con tali "cose in sé o noumeniche" "in rapporti analoghi a-" -i tuoi.
Dunque può essere e per lo meno talora di fatto é problematico differenziare all'interno delle sintesi fenomeniche che costituiscono le diverse modalità di coscienza del mondo gli elementi rispecchianti l'esistenza oggettiva [l' intersoggettiva percezione fenomenica dei medesimi oggetti in sé] da quelli che restano puramente interni all'apparire soggettivo [riflessivamente soggetto-oggetto di esse in questi casi].
Ma credo che, se quanto (apparentemente per lo meno) ci dicono gli altri uomini con cui parliamo é realmente discorso significante e non casuale sequenza di sensazioni fenomeniche solo casualmente simulanti, per una stranissima coincidenza fortuita, le sequenze sensate di simboli verbali significanti che noi stessi usiamo (cosa a rigore indimostrabile, come d' altra parte la stessa veridicità della memoria), e se inoltre gli altri parlanti (comunemente) non ci ingannano (e comunque quandanche lo facessero sarebbe in linea di principio possibile smascherarli), allora lo si possa fare attraverso il confronto dialogico fra le descrizioni delle sensazioni materiali di ciascuno.
Concordo dunque che "non [ne] deriva la non validità della categoria di "esistenza" utilizzato per comprendere una determinata specie di enti. E non ne deriva, ad esempio la non-validità di una possibile distinzione semantica con l' "essere": perché se possiamo definire "esistenza" tutto ciò che è tale al di là della sua pensabilità o meno, l' "essere" può considerarsi come categoria più ampia, in quanto è quell'idea universale che necessariamente utilizziamo per giudicare qualunque cosa, anche non reale, a cui però attribuiamo un determinato senso, in base a cui quell'ente diviene soggetto a cui attribuire predicati, cioè oggetto, appunto, di giudizio", e che "L'essere è la forma trascendentale [?] che consente ogni concettualizzazione e definizione delle cose, di fatto ogni pensabilità, in quanto per pensare qualcosa, occorre attribuire a quel qualcosa, una qualunque qualità, che la renda distinta da un "nulla", un puro non-essere, di fatto l'impensabile
Concordo anche sugli esempi di Babbo Natale e di del preteso cerchio-quadrato.
Non su quello del "nulla", che a mio parere, contrariamente al cerchio quadrato, ha un senso logicamente corretto, non contraddittorio, anche se (analogamente al noumeno) non possiamo immaginarlo (raffigurarcelo fenomenicamente nella mente, con la fantasia); ma lo possiamo comunque pensare e ne possiamo comunque parlare sensatamente.
 
 
Non ho capito le considerazioni finali sulla "polarità fra essere (concettuale) e non essere".
Che comunque mi sembra siano pertinenti l' "essere (concettuale)" e non la realtà (l' "essere reale"); mentre questa mi pare -per quel poco che ne so per sentito dire- sia invece ciò cui attribuisce diverse gradazioni di "essere (reale: dunque di realtà)" Tommaso d' Aquino.
 
 
*** Per la verità credo (indimostrabilmente come al solito) che almeno potenzialmente e indirettamente vi corrispondano biunivocamente certi determinati eventi neurofisiologici nell' ambito del tuo cervello.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 08 Aprile 2018, 16:42:44 PM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneComunque la mia risposta é che lo scetticismo (il dubbio sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà) non é razionalmente superabile
C'è un equivoco. Siamo in una regione piuttosto eterea e non è facile intendersi. La tua risposta presuppone che si dia per scontato il significato di reale, mentra la mia domanda lo esclude, o meglio interroga proprio su questo.
Se ho dubbi "sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà" devo aver chiaro cosa significa "verità" e cosa significa "realtà". Mettendo per ora da parte il concetto di "verità" e concentrandoci su quello di "realtà", la domanda è: cosa significa reale e cosa irreale? Qual è il contenuto semantico di questi termini? Rispondendo a questa domanda si arriva a rispondere anche a: cosa distingue il reale dall'irreale? Che implicitamente fornisce i mezzi per effettuare una distinzione operativa, pragmatica. Ma senza tutto questo si finisce col fluttuare in un ipospazio in cui ognuno sa quello che lui intende (nella migliore delle ipotesi) ma ignora ciò che gli altri intendono con quei termini.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 08 Aprile 2018, 21:45:19 PM
Citazione di: Donalduck il 08 Aprile 2018, 16:42:44 PM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneComunque la mia risposta é che lo scetticismo (il dubbio sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà) non é razionalmente superabile
C'è un equivoco. Siamo in una regione piuttosto eterea e non è facile intendersi. La tua risposta presuppone che si dia per scontato il significato di reale, mentra la mia domanda lo esclude, o meglio interroga proprio su questo.
Se ho dubbi "sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà" devo aver chiaro cosa significa "verità" e cosa significa "realtà". Mettendo per ora da parte il concetto di "verità" e concentrandoci su quello di "realtà", la domanda è: cosa significa reale e cosa irreale? Qual è il contenuto semantico di questi termini? Rispondendo a questa domanda si arriva a rispondere anche a: cosa distingue il reale dall'irreale? Che implicitamente fornisce i mezzi per effettuare una distinzione operativa, pragmatica. Ma senza tutto questo si finisce col fluttuare in un ipospazio in cui ognuno sa quello che lui intende (nella migliore delle ipotesi) ma ignora ciò che gli altri intendono con quei termini.
CitazioneOgni concetto, compresi quelli di "realtà" e di "verità", si definiscono mettendo in relazione altri concetti.

Quello di "realtà" (eventualmente pensabile) si distingue da quello di "oggetto non reale di pensiero" per il fatto che é tale anche qualora non la si pensi (sia che la si pensi, sia che non la si pensi), mentre un "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
E quello di "conoscenza vera" esprime la caratteristica di un pensiero (predicato o giudizio) che afferma essere/accadere realmente qualcosa che (indipendentemente da tale pensiero) é/accade realmente, oppure che afferma non essere/non accadere realmente qualcosa che non é/non accede realmente.
I tre concetti di "realtà", "oggetto di pensiero" e "predicazione vera" si definiscono reciprocamente, oltre che relativamente ai rispettivi contrari, in ossequio alla regola che ogni e qualsiasi concetto si definisce mettendo in determinate  relazioni determinati altri concetti.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 09 Aprile 2018, 20:33:22 PM
bobmax ha scritto:
CitazioneO non sarà invece che la Verità è già ovunque?
E che perciò la comunicazione non consiste affatto nel tramettere verità da un posto all'altro, ma semplicemente nel "risvegliare" la medesima verità là dove è stata, in un certo qual modo, dimenticata.
Il lavorio della comunicazione ha come obiettivo finale la Verità, che l'esistenza non conosce, ma in cui ha "fede".
Quello che non capisco è che bisogno ci sia di quasta "Verità" o di un'esistenza che trascende soggetto e oggetto. Si direbbe che cerchi qualcosa che non sai cos'è ma che pensi per qualche inespresso motivo, o magari per qualche indefinibile sensazione, che ci sia.

A me sembra chiaro che, dal punto di vista razionale, non può esserci nessuna verità a sé stante, ma solo una "realtà" (o come la vogliamo chiamare) che risulta appunto dall'interazione soggetto-oggetto. Arriverei a dire che non può esistere nulla di "a sé stante" (e non sento neppure l'esigenza di ipotizzarlo), dato che l'esistenza (o realtà) non può rinunciare né al soggetto che rileva questa esistenza né all'oggetto che il soggetto considera esistente.
Il fatto evidente che esista una realtà intersoggettiva, ossia condivisa tra diversi soggetti, non significa che questa realtà sia a sé stante: semplicemente risulta da un intreccio di relazioni tra soggettività (molteplice, e quindi anche relazioni tra soggetti) e oggettività. E, come già rilevato, soggettività e oggettività non sono indipendenti, ma si definiscono a vicenda.
Il risultato finale continua a non essere soddisfacente per la razionalità perché comunque siamo ai limiti dello spazio semantico a nostra disposizione, e i termini non possono fare altro che richiamarsi a vicenda.

In generale, soprattutto affrontando temi così astratti, ritengo che ci si debba sempre chiedere qual è il significato, il referente dei termini che utilizziamo. Un referente che deve essere individuabile nell'ambito della nostra coscienza, della nostra esperienza, dei dati a cui possiamo accedere. Se questo referente è reperibile solo nel dominio delle sensazioni, delle intuizioni extrarazionali - che possono avere ugualmente un valore pur non essendo razionali - non potrà essere identificato e valutato razionalmente.
La mia impressione è questa: che ti riferisca a qualche stato di coscienza (che conosci o di cui hai sentito parlare o di cui senti la mancanza) in cui quella che chiami Verità si presenti come inesprimibile esperienza, pur restando inaccessibile a speculazioni razionali.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 09 Aprile 2018, 20:58:04 PM
bobmax ha scritto:
CitazioneEcco, secondo me si dovrebbe invece iniziare con l'io. Perché il termine "soggettività" implica di aver già fatto un passo avanti. Con la soggettività abbiamo infatti già compiuto una generalizzazione, che in realtà è solo una scommessa. La scommessa  di non essere il solo soggetto.
Direi di più, prima ancora dell'autocoscienza dell'io, vi è l'indeterminato. Cioè io vivo, ma l'altro non mi appare ancora pienamente nella sua oggettività, e di conseguenza non vi sono neppure io.
Mi sembra che la seconda frase sia la risposta, o meglio l'invalidazione della prima. Quello che chiami "l'indeterminato" ovviamente non lo ricordiamo e possiamo solo farcene un'idea. Mi pare che in fin dei conti corrisponda a quella che io chiamo soggettività, che prescinde totalmente dalla "sensazione dell'io". La soggettività è la coscienza stessa che nello "scenario della coscienza" vede comparire l'oggettività, il "qualcosa". Senza di questo nulla è.
In altre parole, non arriviamo alla soggettività per astrazione, ma dalla soggettività arriviamo all'io per la necessità di un'autoreferenza. L'io fa parte dell'oggettività della coscienza, ma prende facilmente il posto della coscienza stessa generando il famoso "io illusorio" di cui parlano molti pensatori di diverse tendenze.

CitazioneFiniamo in questo modo col considerare lo stesso molteplice la realtà originaria.
Qui torna il tema di questo qualcosa di indefinibile che chiami "Verità" o "realtà originaria", sulla quale ho già risposto.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 09 Aprile 2018, 21:47:36 PM
sgiombo ha scritto:
CitazioneOgni concetto, compresi quelli di "realtà" e di "verità", si definiscono mettendo in relazione altri concetti.
Quello di "realtà" (eventualmente pensabile) si distingue da quello di "oggetto non reale di pensiero" per il fatto che é tale anche qualora non la si pensi (sia che la si pensi, sia che non la si pensi), mentre un "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
E quello di "conoscenza vera" esprime la caratteristica di un pensiero (predicato o giudizio) che afferma essere/accadere realmente qualcosa che (indipendentemente da tale pensiero) é/accade realmente, oppure che afferma non essere/non accadere realmente qualcosa che non é/non accede realmente.
I tre concetti di "realtà", "oggetto di pensiero" e "predicazione vera" si definiscono reciprocamente, oltre che relativamente ai rispettivi contrari, in ossequio alla regola che ogni e qualsiasi concetto si definisce mettendo in determinate  relazioni determinati altri concetti.
Qui le cose si complicano perché metti in gioco il "pensiero", altro termine assai problematico e meno fondamentale di "esistenza" o "realtà". Si direbbe che poni il pensiero alla base della realtà stessa. Ma quello che chiamiamo "percezione" lo consideri pensiero? E la percezione di un pensiero? Qualunque sia la risposta, la domanda evidenzia come introdurre questo concetto apra un nuovo difficile ambito di discussione.

E anche il tentativo di definire reale e irreale per mezzo del pensiero (a cui però finisce col gravare tutto il peso di definire la realtà), inciampa su sé stesso:
Citazioneun "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
A me pare che un pensiero non possa "accadere" se non in quanto pensiero. Se penso al mio amico Tizio e poi lo incontro, trovo certo una relazione tra il mio pensiero e la mia percezione sensoriale di Tizio, ma si tratta solo di una relazione tra un oggetto esistente in quanto pensiero (appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà interna") e un oggetto esistente in quanto appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà esterna". Il pensiero per me è solo un oggetto (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.
Riesco a dare approssimativamente un'interpretazione a quello che proponi solo assumendo il punto di vista dei riduzionisti materialisti e oggettivisti (che però non condivido), per cui c'è un'unica realtà oggettiva a sé stante, la "realtà esterna", inspiegabilmente esistente indipendentemente da qualunque soggettività e tutto il resto è "epifenomeno", qualcosa che può solo essere effetto e non causa. In tal modo, a patto di accettare arbitrariamente questo come postulato, la realtà risulta definita a priori e la domanda che ho posto risulta priva di senso.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 09 Aprile 2018, 22:31:59 PM
davintro ha scritto:
Citazioneed ecco perché forse è limitante concepire "essere" e "nulla" come dimensioni nitidamente distinti da un ben definito e discreto confine in base a cui collocare chiaramente i diversi concetti in una sfera o nell'altra, ma è più valido piuttosto vederli come delle "polarità" opposte che delineano una tensione che contraddistingue ogni ente, che partecipa a una delle due sfere in modo maggiore o inferiore, ed allora avrebbe senso dire che qualcosa "è" più di un altra che ci sono diversi gradi di partecipazione delle cose all' Essere, rivalutando un certo modo di intendere l'ontologia, come ad esempio quello tomista, che prevede appunto diversi livelli, superiori e inferiori, di adesione degli enti all'essere.
Una visione non troppo dissimile da quella da me proposta, con l'importante differenza che io non stabilisco livelli superiori e inferiori e non sento il bisogno di un "essere" contrapposto al "nulla". Continuo a trovare più utilizzabile e meno problematica la concezione di diverse modalità piuttosto che livelli di realtà (o esistenza che dir si voglia), che sono in qualche modo in relazione tra loro, ma hanno anche una loro relativa indipendenza. Nella mia concezione non c'è nessun "nulla" e non c'è niente di "irreale".
Comunque sia, non riesco a ricavare dalla tua esposizione un significato di "reale" e "irreale" che sia definito in base ai dati che la coscienza ci fornisce (come ritengo sia la definizione da me proposta), uscendo dal solito circolo vizioso terminologico.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 09 Aprile 2018, 22:55:50 PM
Salve. Noi chiamiamo realtà ciò che è la nostra INTERPRETAZIONE DELLA REALTA'. Ciòè il processo di integrazione dei segnali sensoriali (la percezione) con i contenuti già esistenti dentro di noi. La REALTA' "vera", cioè esterna, oggettiva, posta al di là della soglia dei nostri sensi è per noi irraggiungibile e perciò per noi - ai fini che contano, che sono quelli soggettivi ed esistenziali, è esattamente come non esistesse.

Perciò la realtà e-siste (fuori di noi) ma non può in-sistere (dentro di noi),limitandosi a con-sistere nell'insieme di tutte le cause e gli effetti a noi esterni ma sempre a noi correlati.

Come sempre, anche sotto questo riguardo finisce con il manifestarsi l'effetto del PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE (profondissimo principio che funge da ponte tra la filosofia la fisica) per il quale ciò che ci è esterno, una volta entrato in noi, non è più ciò che volevamo osservare:
- dal punto di vista fisico, perché il tempo da noi utilizzato per percepire ci mostrerebbe comunque il fenomeno osservato come era subito prima della nostra osservazione, e non come è diventato subito dopo l'osservazione.
- dal punto di vista filosofico perché - come ho detto all'inizio - l'informazione che entra in noi viene immediatamente "contaminata" dai nostri contenuti preesistenti.

- infine aggiungiamo pure il fatto che la realtà esterna viene da noi configurata attraverso la specifica sensibilità. anatomia e fisiologia dei nostri organi di senso.

Ve la immaginate voi con quale "realtà" deve vedersela - ad esempio - un organismo unicellulare ??
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: acquario69 il 10 Aprile 2018, 05:36:28 AM
@viator
CitazionePerciò la realtà e-siste (fuori di noi) ma non può in-sistere (dentro di noi),limitandosi a con-sistere nell'insieme di tutte le cause e gli effetti a noi esterni ma sempre a noi correlati.

L'etimologia della parola insistere non e' "dentro di noi"
Ma in-stare (stare sopra-poggiare-premere) che da appunto il significato di insistere,cioe di perseverare..quindi e' tutt'altra cosa

Mentre esistere e' si "stare fuori" da ex-stare (come e' pure dell'inglese exit = uscita)...MA e' l'ESSERE che "esce" ossia,che si MANIFESTA..che lo fa esistere.
E non centra appunto niente dire che e' la realtà a stare fuori di noi..non siamo "isole" o monadi separate..siamo anche noi ESSERE che si MANIFESTA

@Donalduck
CitazioneÈ difficile trovare termini che diano adito a confusione e a discorsi sospesi in aria come questi tre.

ESSERE = cio' che semplicemente E' (senza attributi, ne' di spazio ne' di tempo, ne' di qualsiasi altra de-finizione..dunque trascende..chiaro il concetto?!
Mentre Esistere,come detto sopra e' la sua MANIFESTAZIONE
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 10 Aprile 2018, 07:46:09 AM
Citazione di: Donalduck il 09 Aprile 2018, 20:33:22 PM
bobmax ha scritto:


A me sembra chiaro che, dal punto di vista razionale, non può esserci nessuna verità a sé stante, ma solo una "realtà" (o come la vogliamo chiamare) che risulta appunto dall'interazione soggetto-oggetto.
CitazioneDall' interazione soggetto-oggettopuò derivare la conoscenza della realtà (che se accade realmente é pure reale: parte della realtà; ma non necessariamente tutta la realtà, la quale include anche soggetto e oggetto di conoscenza, oltre alla relativa interazione; e inoltre nulla vieta, anche se nemmeno impone, che includa pure altre "cose", enti ed eventi).


Arriverei a dire che non può esistere nulla di "a sé stante" (e non sento neppure l'esigenza di ipotizzarlo), dato che l'esistenza (o realtà) non può rinunciare né al soggetto che rileva questa esistenza né all'oggetto che il soggetto considera esistente.
CitazioneCasomai non può rinunciare (più prosaicamete: implica necessariamente) al soggetto che rileva l' esistenza della realtà la conoscenza della realtà.


Il fatto evidente che esista una realtà intersoggettiva, ossia condivisa tra diversi soggetti, non significa che questa realtà sia a sé stante: semplicemente risulta da un intreccio di relazioni tra soggettività (molteplice, e quindi anche relazioni tra soggetti) e oggettività.
CitazioneIntanto non é così evidente.
E inoltre é la conoscenza della realtà intersoggettiva da parte dei soggetti (della conoscenza stessa) e non la realtà stessa che non può essere a sé stante (reale senza che siano reali inoltre anche i soggetti di essa): nulla vieta che questa realtà conosciuta intersoggettivamente (e distinta dalla conoscenza di essa) possa essere reale anche allorché (se e quando) non é reale la sua conoscenza.


In generale, soprattutto affrontando temi così astratti, ritengo che ci si debba sempre chiedere qual è il significato, il referente dei termini che utilizziamo. Un referente che deve essere individuabile nell'ambito della nostra coscienza, della nostra esperienza, dei dati a cui possiamo accedere. Se questo referente è reperibile solo nel dominio delle sensazioni, delle intuizioni extrarazionali - che possono avere ugualmente un valore pur non essendo razionali - non potrà essere identificato e valutato razionalmente.
CitazioneE perché mai non si dovrebbe poter considerare razionalmente ciò che é irrazionale?

La mia impressione è questa: che ti riferisca a qualche stato di coscienza (che conosci o di cui hai sentito parlare o di cui senti la mancanza) in cui quella che chiami Verità si presenti come inesprimibile esperienza, pur restando inaccessibile a speculazioni razionali.
CitazioneEsperienza (tanto più se inesprimibile: e inaccessibile a speculazioni razionali)  =/= verità (Verità non so bene cosa possa significare: una divinità pagana?).
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 10 Aprile 2018, 08:16:08 AM
Citazione di: Donalduck il 09 Aprile 2018, 21:47:36 PM
sgiombo ha scritto:
CitazioneOgni concetto, compresi quelli di "realtà" e di "verità", si definiscono mettendo in relazione altri concetti.
Quello di "realtà" (eventualmente pensabile) si distingue da quello di "oggetto non reale di pensiero" per il fatto che é tale anche qualora non la si pensi (sia che la si pensi, sia che non la si pensi), mentre un "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
E quello di "conoscenza vera" esprime la caratteristica di un pensiero (predicato o giudizio) che afferma essere/accadere realmente qualcosa che (indipendentemente da tale pensiero) é/accade realmente, oppure che afferma non essere/non accadere realmente qualcosa che non é/non accede realmente.
I tre concetti di "realtà", "oggetto di pensiero" e "predicazione vera" si definiscono reciprocamente, oltre che relativamente ai rispettivi contrari, in ossequio alla regola che ogni e qualsiasi concetto si definisce mettendo in determinate  relazioni determinati altri concetti.
Qui le cose si complicano perché metti in gioco il "pensiero", altro termine assai problematico e meno fondamentale di "esistenza" o "realtà". Si direbbe che poni il pensiero alla base della realtà stessa. Ma quello che chiamiamo "percezione" lo consideri pensiero? E la percezione di un pensiero? Qualunque sia la risposta, la domanda evidenzia come introdurre questo concetto apra un nuovo difficile ambito di discussione.

E anche il tentativo di definire reale e irreale per mezzo del pensiero (a cui però finisce col gravare tutto il peso di definire la realtà), inciampa su sé stesso:

CitazioneNon vedo dove stia la problematicità del "pensiero" (si tratta di un concetto, che come tutti gli altri, si definisce inevitabilmente mettendo in determinate relazioni altri concetti).
Ma in che senso dovrebbe essere "meno fondamentale" dei concetti di "esistenza" o "realtà" ?!?!?!

No, sei tu che poni il pensiero alla base della realtà (ritieni che senza pensiero della realtà, e soggetto del pensiero stesso, non possa darsi realtà;  io al contrario pongo la realtà alla base del pensiero (senza realtà non può darsi pensiero reale: la realtà in toto comprende per lo meno, ma nulla vieta che lo ecceda, il pensiero reale).

Non considero pensiero le percezioni (necessariamente tutte le percezioni) ma al contrario percezione (interiore o mentale) il pensiero (tutti i pensieri): appunto  percezione di pensiero.
Le percezioni includono, fra le altre, anche (le percezioni de-) i pensieri (costituenti i pensieri), mentre i pensieri (le percezioni di pensieri) non includono (fra gli altri, anche) le percezioni dai pensieri stessi diverse, le percezioni che non sono pensieri: possono essere pensieri di percezioni (diverse da quelle costituenti i pensieri stessi), che é ben altra cosa dall' essere percezioni diverse da quelle di pensieri, percezioni che non sono pensieri!
Per esempio la percezione (che ho ora) del pensiero delle percezioni costituenti la visione del Cervino (che ebbi l' estate scorsa) =/= le percezioni  costituenti la visione del Cervino (che ebbi l' estate scorsa).

E non vedo alcunché di problematico in ciò.
E nessun "inciampo": qualsiasi concetto non può ovviamente che essere definito attraverso altri concetti (non solo "realtà", pensiero", ecc.)

Non si deve confondere le circolarità (viziosa) dell' argomentare per la quale si pretende di dedurre le conseguenze dalle premesse, essendo le  premesse stesse dedotte dalle conseguenze con la reciproca relatività-ricorsività (virtuosa) dei concetti i quali, come puoi facilmente verificare aprendo qualsiasi vocabolario, inevitabilmente e del tutto ovviamente si definiscono gli uni gli altri (attraverso relazioni fra e con altri concetti:"omnis determionatio est negatio", Spinoza. Non esistono e non possono esistere -definizioni di- concetti assolute -i, non costituite da altri concetti posti in determinate relazioni).

Citazioneun "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
A me pare che un pensiero non possa "accadere" se non in quanto pensiero. Se penso al mio amico Tizio e poi lo incontro, trovo certo una relazione tra il mio pensiero e la mia percezione sensoriale di Tizio, ma si tratta solo di una relazione tra un oggetto esistente in quanto pensiero (appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà interna") e un oggetto esistente in quanto appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà esterna". Il pensiero per me è solo un oggetto (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.
Riesco a dare approssimativamente un'interpretazione a quello che proponi solo assumendo il punto di vista dei riduzionisti materialisti e oggettivisti (che però non condivido), per cui c'è un'unica realtà oggettiva a sé stante, la "realtà esterna", inspiegabilmente esistente indipendentemente da qualunque soggettività e tutto il resto è "epifenomeno", qualcosa che può solo essere effetto e non causa. In tal modo, a patto di accettare arbitrariamente questo come postulato, la realtà risulta definita a priori e la domanda che ho posto risulta priva di senso.
CitazioneOvvio che -tautologicamente- un pensiero non possa accedere se non in quanto pensiero e che -se realmente accade- sia un oggetto (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.
E che  Il pensiero è solo un oggetto -meglio: un evento- (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.

Ma tutto ciò non ha proprio nulla a che vedere con  il punto di vista dei riduzionisti materialisti, i quali o indebitamente (falsamente) pretendono di "eliminare" dalla realtà la coscienza" oppure altrettanto indebitamente (falsamente) di identificarla con il cervello o altro di materiale.

Ribadisco che non la "realtà esterna", sarebbe inspiegabilmente esistente (o non potrebbe esistere) indipendentemente da qualunque soggettività, ma casomai la conoscenza della realtà esterna. (tu continui a confondere "realtà" in generale, conosciuta o meno, con "conoscenza della realtà").

Anche se credo ("in un certo senso un po' come" -concetti da non fraintendere, prego!- gli epifenomenisti) che la coscienza (soggettiva) corrispondente a un determinato cervello, il quale é reale intersoggettivamente nell' ambito di altre, diverse coscienze, contrariamente a tale cervello, non possa causare effetti sulla né subirne dalla realtà costituita dalle coscienze includenti -le sensazioni intersoggettive costituenti- tale cervello).
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 12 Aprile 2018, 22:40:04 PM
& Donalduck

Ma certo che non so cosa sia la Verità! 
Conoscere vuol dire in sostanza possedere. Mentre la Verità non può essere assolutamente posseduta, semmai è la Verità a possederci, totalmente.

La domanda: "Cos'è la Verità?" mostra la nostra dimenticanza dell'Essere.
Perché l'Essere è il medesimo Essere Vero.

Il punto di vista razionale è limitato dal appartenere al "sistema" razionale. Ogni sistema infatti non può accedere ai propri fondamenti.
E fondamento del pensiero razionale è il "qualcosa". Ossia l'esserci. Mentre la Verità (Essere) è il fondamento di questo nostro esserci.

A sé stante è necessariamente il Tutto. Che è il medesimo Essere, la medesima Verità.
Il Tutto non è qualcosa, non può assolutamente esserlo.

Non vi è nessuna certezza che la realtà sia intersoggettiva. Il soggetto potrebbe essere uno solo. 
Sia perché il solipsimo non può essere escluso del tutto, è sia perché i pur molteplici soggetti potrebbero in realtà essere la manifestazione di un unico soggetto. 
Inoltre neppure l'interpretazione materialista, dove il soggetto è solo un epifenomeno dell'oggettivitá in sé, può essere esclusa.

Il referente si trova certamente in noi stessi, dove se no? Ma non può assolutamente essere individuato. Non perché è una sensazione, ma perché è il fondamento!
Per cui non si tratta di intuizioni extra razionali, ma di ciò che noi siamo.

Non so se sono riuscito a dipanare un po' la cosa...

Non dobbiamo cercare di com-prendere, ma di essere.
Al punto che la Verità ha bisogno di noi, in questo nostro esserci.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 12 Aprile 2018, 23:27:03 PM
& Donalduck
Indubbiamente anche la fede nella Verità trova nella vita motivi per rafforzarsi oppure per spegnersi.
Dipende da cosa capita e da come la viviamo.

Io ho avuto la fortuna di vivere situazioni limite, dove l'ovvia visione del mondo non era più scontata.

Per esempio, mi capita ormai non di rado di andare all'inferno.
L'inferno non è un luogo di un ipotetico aldilà. L'inferno è un luogo esistenziale presente qui e ora. Vi posso accedere in qualsiasi istante, è sufficiente che rifletta sulle mie colpe.

Ogni colpa è per sempre, e a nulla vale un eventuale pentimento. Se ne sta incastonata in quell'istante che fu è non si può più tornare indietro a cancellarla.
Di modo che l'inferno è luogo senza speranza.

Non è una questione di gravità della colpa. È il fatto di aver scelto il male, qualunque male, ad essere inaccettabile.
E non vi è nessuno che mi condanni, sono solo io, perché così è giusto.
Quando si è all'inferno nulla farebbe sperare di poterne uscire (non sarebbe giusto!).

Solo dopo aver più volte sperimentato l'inferno, ho scoperto (Margherita Porete) che solo due sono i luoghi dove l'uomo è al sicuro. 
Uno è l'inferno, l'altro è il paradiso.

Lì Dio è certo.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: davintro il 13 Aprile 2018, 00:51:14 AM
Citazione di: sgiombo il 04 Aprile 2018, 10:19:40 AMX Davintro (e chiunque altro sia interessato, ovviamente)  Malgrado l' impiego da parte tua di termini e concetti che trovo un po' "ostici", a me poco familiari (sono forse termini "tecnici", stabiliti per significare concetti precisamente definiti nell' ambito della filosofia fenomenologica?), mi sembra di convenire per lo meno con gran parte con quanto scrivi.  Al fine di un' auspicabile chiarimento delle rispettive convinzioni e reciproco aiuto a capire, cerco di considerare criticamente i punti del tuo pensiero che non mi convincono.   "Ogni determinazione di relazione coscienziale soggetto-oggetto, ogni datità fenomenica del mondo alla nostra coscienza si presenta ordinariamente come "sintesi" (la stessa "percezione", nella sua solo apparente immediatezza e semplicità, è a tutti gli effetti un atto sintetico e complesso, l'effetto di un'unità elaborata dall'Io che si viene a formare sintetizzando la molteplicità dei lati con cui l'oggetto si presenta di diversi momenti temporali), e dunque in ogni punto di vista sul mondo, nella sua inadeguatezza dovuta alla finitezza dei nostri strumenti conoscitivi, è sempre una sintesi, un complesso di elementi che solo parzialmente rispecchiano l'esistenza delle cose". Qui a me sembra che si tocchino due diverse questioni. Una é quella della relatività, limitatezza o parzialità di ogni conoscenza (umanamente) possibile: gli "oggetti" (cose, enti e/o eventi) che conosciamo (inevitabilmente fenomenici) sono frutto di una sintesi* fra "frammenti" incompleti di insiemi e/o successioni d sensazioni fenomeniche cui abbiamo accesso cosciente inevitabilmente limitato, parziale. E su questo concordo pienamente. L' altro é quello del carattere non assolutamente, non integralmente oggettivo, ma in parte inevitabilmente soggettivo di ogni possibile conoscenza della realtà (e non, come qualche altro interlocutore ha affermato in questa stessa discussione, di ogni possibile aspetto della realtà): conosciamo fenomeni o insiemi e successioni di sensazioni, le quali a tutti gli effetti fanno parte unicamente dell' esperienza cosciente ciascun soggetto di sensazioni (di ciascuno di noi) e non sono "cose in sé" reali anche indipendentemente dall' eventuale accadere delle sensazioni fenomeniche coscienti stesse: quando chiudo gli occhi lo schermo e la tastiera qui davanti, che non sono altro che insiemi e successioni di sensazioni nell' ambito della mia coscienza, ovviamente non esistono (sarebbe una plateale contraddizione pretenderlo!); e se (come non può essere dimostrato né tantomeno -per definizione!- mostrato, constatato empiricamente, ma solo ipotizzato ed eventualmente creduto arbitrariamente per fede) anche quando ho gli occhi chiusi continua ad esistere qualcosa che spieghi come mai nonappena li riapro riappaiono (= ricominciano ad esistere, ad essere reali come fenomeni) schermo e tastiera, allora tale "qualcosa" non é un insieme o successione di sensazioni, non é qualcosa di apparente alla coscienza (fenomeno) ma invece é qualcosa di meramente congetturabile (noumeno). Dunque tutto ciò che é conoscibile come fenomeno (nell' ambito dell' esperienza cosciente di un "soggetto") non é oggetto in sé (noumeno) ma una sorta di sintesi** fra soggetto ed oggetto (entrambi in sé o noumeno; ovviamente nel caso indimostrabile né mostrabile cose in sé o noumeno esistano realmente; caso nel quale, a proposito di essi, si avrebbe una conoscenza "eccezionalmente" eccedente i fenomeni: la conoscenza, della realtà -sia pure del tutto "oscura", non immaginabile, non sensibile- del noumeno stesso, e in particolare nel suo ambito del soggetto e degli oggetti di sensazione fenomenica). Qui andrebbe affrontato il caso della sensazione fenomenica cosciente "riflessiva" del soggetto in quanto -anche- oggetto da parte di se stesso in quanto -anche- soggetto; ma me ne astengo avendone già parlato in precedenti interventi, anche recentissimi.   Sulla psicoanalisi il mio dissenso é totale e starei per dire "assoluto", dato ciò che ne penso, e dunque tralascio completamente la questione (che peraltro mi pare marginale rispetto all' argomento in discussione). Credo che nell' ambito di ciascuna esperienza fenomenica cosciente si possano distinguere due componenti (due diversi "tipi" di insiemi-successioni di sensazioni), comunque entrambe parimenti reali: una intersoggettiva (cioè che é possibile ipotizzare -ed eventualmente credere- che possa accadere-apparire in qualsiasi esperienza cosciente purché il suo soggetto compia "le opportune osservazioni", "si comporti nelle dovute maniere"), e l' altra meramente soggettiva (cioè accessibile-apparente-reale unicamente in ciascuna esperienza cosciente in cui accada e in nessun altra). La prima é costituita dalle sensazioni materiali "corrette" o "autentiche" (non allucinatorie od oniriche: l' autentica "res extensa"), reali nell' ambito di qualsiasi esperienza cosciente in cui accadano, alle quali si può ipotizzare (ed eventualmente credere) biunivocamente corrispondano-coesistano-coaccadano nella realtà in sé o noumeno gli stessi -i medesimi per ciascuna esperienza cosciente- "enti e/o eventi" non sensibili ma congetturabili, "in sé". La seconda é costituita dalle sensazioni materiali "inautentiche" (oniriche o allucinatorie) e dalle sensazioni mentali o di pensiero (compresi sentimenti, ricordi, ecc: la res cogitans), del tutto ugualmente reali in ciascuna esperienza fenomenica in cui accadano, ma senza che sia pensabile che ad esse biunivocamente corrispondano-coesistano-coaccadano nella realtà in sé o noumeno gli stessi -i medesimi per ciascuna di esse- "enti e/o eventi" non sensibili ma congetturabili, "in sé"; ma invece "enti e/o eventi in sé" reciprocamente diversi, altri fra l' una e l' altra esperienza fenomenica cosciente considerata. Al sogno dell' esplosione in casa tua (nella tua esperienza cosciente) corrisponde biunivocamente nella realtà in sé qualcosa di meramente soggettivo (qualche determinato evento nell' ambito di "te", del soggetto in sé della tua esperienza cosciente), che non corrisponde biunivocamente anche ad alcunché in alcun altra esperienza cosciente***, esattamente come ai tuoi pensieri, ricordi, immaginazioni, sentimenti, ecc.; mentre invece alle percezioni sensibili della tua casa realmente indenne da incendi si può ammettere corrispondano biunivocamente i medesimi "enti e/o eventi in sé" che parimenti corrisponderebbero (e di fatto corrispondono, se e quando si danno le circostanze "appropriate") ad analoghe sensazioni coscienti in qualsiasi altra esperienza fenomenica purché il soggetto di essa si venga a trovare con tali "cose in sé o noumeniche" "in rapporti analoghi a-" -i tuoi. Dunque può essere e per lo meno talora di fatto é problematico differenziare all'interno delle sintesi fenomeniche che costituiscono le diverse modalità di coscienza del mondo gli elementi rispecchianti l'esistenza oggettiva [l' intersoggettiva percezione fenomenica dei medesimi oggetti in sé] da quelli che restano puramente interni all'apparire soggettivo [riflessivamente soggetto-oggetto di esse in questi casi]. Ma credo che, se quanto (apparentemente per lo meno) ci dicono gli altri uomini con cui parliamo é realmente discorso significante e non casuale sequenza di sensazioni fenomeniche solo casualmente simulanti, per una stranissima coincidenza fortuita, le sequenze sensate di simboli verbali significanti che noi stessi usiamo (cosa a rigore indimostrabile, come d' altra parte la stessa veridicità della memoria), e se inoltre gli altri parlanti (comunemente) non ci ingannano (e comunque quandanche lo facessero sarebbe in linea di principio possibile smascherarli), allora lo si possa fare attraverso il confronto dialogico fra le descrizioni delle sensazioni materiali di ciascuno. Concordo dunque che "non [ne] deriva la non validità della categoria di "esistenza" utilizzato per comprendere una determinata specie di enti. E non ne deriva, ad esempio la non-validità di una possibile distinzione semantica con l' "essere": perché se possiamo definire "esistenza" tutto ciò che è tale al di là della sua pensabilità o meno, l' "essere" può considerarsi come categoria più ampia, in quanto è quell'idea universale che necessariamente utilizziamo per giudicare qualunque cosa, anche non reale, a cui però attribuiamo un determinato senso, in base a cui quell'ente diviene soggetto a cui attribuire predicati, cioè oggetto, appunto, di giudizio", e che "L'essere è la forma trascendentale [?] che consente ogni concettualizzazione e definizione delle cose, di fatto ogni pensabilità, in quanto per pensare qualcosa, occorre attribuire a quel qualcosa, una qualunque qualità, che la renda distinta da un "nulla", un puro non-essere, di fatto l'impensabile Concordo anche sugli esempi di Babbo Natale e di del preteso cerchio-quadrato. Non su quello del "nulla", che a mio parere, contrariamente al cerchio quadrato, ha un senso logicamente corretto, non contraddittorio, anche se (analogamente al noumeno) non possiamo immaginarlo (raffigurarcelo fenomenicamente nella mente, con la fantasia); ma lo possiamo comunque pensare e ne possiamo comunque parlare sensatamente.   Non ho capito le considerazioni finali sulla "polarità fra essere (concettuale) e non essere". Che comunque mi sembra siano pertinenti l' "essere (concettuale)" e non la realtà (l' "essere reale"); mentre questa mi pare -per quel poco che ne so per sentito dire- sia invece ciò cui attribuisce diverse gradazioni di "essere (reale: dunque di realtà)" Tommaso d' Aquino.   *** Per la verità credo (indimostrabilmente come al solito) che almeno potenzialmente e indirettamente vi corrispondano biunivocamente certi determinati eventi neurofisiologici nell' ambito del tuo cervello.



il punto che mi lascia maggiormente perplesso è quello che mi porta a notare il rischio di un'eccessiva sovrapposizione tra l'idea di oggettività e quello di intersoggettività, come se il superamento della condizione di limitatezza e imperfezione della conoscenza della realtà fosse via via attuabile a partire da conferme dei contenuti di esperienza condivisi con altre coscienze. La distinzione soggetto-oggetto è una distinzione qualitativa, e dunque è solo da un punto di vista qualitativo, che un soggetto può razionalmente parlando avvicinarsi alla verità sull'oggetto, tramite un processo autocritico di sospensione dei pregiudizi interni che filtrano la datità evidente fenomenica dell'Oggetto. In un certo senso si può dire che il soggetto dovrebbe negarsi in quanto tale aprendo la sua coscienza al disvelarsi della cosa oggettiva nella sua autenticità. L'intersoggettività sarebbe un'estensione quantitativa dell'idea di soggetto inteso come singolarità, e in quanto tale, estensione insufficiente a garantire razionalmente la corrispondenza fra fenomeno coscienziale soggettivo e "cosa stessa" oggettiva, corrispondenza garantibile solo dal punto di vista qualitativo, cioè nell'adeguatezza (qualità) degli strumenti gnoseologici nel rappresentare la realtà. Non sufficiente ma nemmeno non necessario: posso formulare un giudizio di verità in solitario sulla realtà, in contrasto con le opinioni intersoggettive degli altri che invece sbagliano. Questo del resto è sempre stato il caso di ogni svolta o progresso scientifico, nel quale le scoperte di singoli o di minoranze si sono via via rivelate più vere rispetto alle tesi che inizialmente dominavano dal punto di vista dell'intersoggettività della comunità scientifica nelle varie epoche. Il che non implica che l'intersoggettività non debba avere alcun significato o incidenza nella ricerca della verità: la corrispondenza fra la mia personale visione delle cose e quella di altre coscienze, che si rivolgono ad un mondo di oggetti comune, offre delle conferme che aumentano le possibilità di validità della visione in questione. Infatti è ipotizzabile che quanto sia più ampia la condivisione intersoggettiva dei fenomeni, tanto più diminuiscono le possibilità dell'errore, in quanto la visione del singolo trova conferma nelle visioni altrui, mentre diviene sempre più improbabile la frequenza degli errori negli strumenti di giudizio delle varie coscienze. Però al massimo possiamo pensare a una sorta di "prova indiziale" con cui l'intersoggettività contribuirebbe alla legittimazione della verità, ma non si arriva mai ad una certezza, ad un'autentica fondazione razionale della pretesa di verità, esigenza che può essere assolta solo qualitativamente, cioè nel riconoscimento dell'efficienza degli strumenti di conoscenza nel saper rispecchiare le cose in se stesse.

Per quanto il discorso sulla polarità tra "essere" e "nulla" , intendevo l'idea secondo cui ente può appartenere in misura maggiore o minore al piano dell' "essere" o del "nulla", dal punto di vista per cui la qualifica di "essere" implica la sua intelligibilità: cioè se il presupposto per poter conoscere (cioè giudicare) qualcosa presuppone il riconoscere ad esso quantomeno una certa determinatezza, seppur generica (perché attribuire un predicato a un soggetto presuppone che il soggetto abbia un suo senso, cioè sia un "qualcosa", un non-nulla), vale a dire un certo "essere", allora quanto più qualcosa è intelligibile, pensabile, tanto più partecipa dell' "essere" e si distacca dal "nulla", cioè dal non-senso di un concetto che si definisce  come negazione della "conditio sine qua non " dell'affermabilità delle cose, cioè l'idea di Essere (il Nulla si definisce come non-essere). Ecco perché il cerchio quadrato sembra avere più a che fare col Nulla che con l'Essere: è un concetto assurdo, senza senso, ingiudicabile, eppure in qualche modo riusciamo a pensarlo, a formalizzarlo linguisticamente, anche solo per dire che è qualcosa di assurdo... Ecco perché lo vedo come un concetto "border-line", ambiguo, sulla soglia tra Essere e Nulla, in qualche modo pensabile e dicibile e per altro aspetto assurdo e inconcepibile. Ed è proprio un caso come questo che mostra come Essere e Nulla debbano essere visti non tanto come ambiti nitidamente separati, ma come "polarità", tendenze, fattori in opposizione che però convivono in ogni cosa, in misura diversa sulla base del grado di intelligibilità e sensatezza della cosa. Comunque capisco che, a complicare il tutto, ci si mette la sintassi grammaticale della lingua italiana per la quale non ha alcun senso dire che qualcosa "è più Essere di qualcos'altro". Diciamo che potremmo trovarci in uno di quei casi in cui la radicalità del pensare filosofico si trova a dovere fare violenza sulle regole grammaticali, cioè il linguaggio mostra la sua inadeguatezza rispetto al pensiero.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 13 Aprile 2018, 15:45:58 PM
Citazione di: davintro il 13 Aprile 2018, 00:51:14 AM


il punto che mi lascia maggiormente perplesso è quello che mi porta a notare il rischio di un'eccessiva sovrapposizione tra l'idea di oggettività e quello di intersoggettività, come se il superamento della condizione di limitatezza e imperfezione della conoscenza della realtà fosse via via attuabile a partire da conferme dei contenuti di esperienza condivisi con altre coscienze. La distinzione soggetto-oggetto è una distinzione qualitativa, e dunque è solo da un punto di vista qualitativo, che un soggetto può razionalmente parlando avvicinarsi alla verità sull'oggetto, tramite un processo autocritico di sospensione dei pregiudizi interni che filtrano la datità evidente fenomenica dell'Oggetto. In un certo senso si può dire che il soggetto dovrebbe negarsi in quanto tale aprendo la sua coscienza al disvelarsi della cosa oggettiva nella sua autenticità. L'intersoggettività sarebbe un'estensione quantitativa dell'idea di soggetto inteso come singolarità, e in quanto tale, estensione insufficiente a garantire razionalmente la corrispondenza fra fenomeno coscienziale soggettivo e "cosa stessa" oggettiva, corrispondenza garantibile solo dal punto di vista qualitativo, cioè nell'adeguatezza (qualità) degli strumenti gnoseologici nel rappresentare la realtà. Non sufficiente ma nemmeno non necessario: posso formulare un giudizio di verità in solitario sulla realtà, in contrasto con le opinioni intersoggettive degli altri che invece sbagliano. Questo del resto è sempre stato il caso di ogni svolta o progresso scientifico, nel quale le scoperte di singoli o di minoranze si sono via via rivelate più vere rispetto alle tesi che inizialmente dominavano dal punto di vista dell'intersoggettività della comunità scientifica nelle varie epoche. Il che non implica che l'intersoggettività non debba avere alcun significato o incidenza nella ricerca della verità: la corrispondenza fra la mia personale visione delle cose e quella di altre coscienze, che si rivolgono ad un mondo di oggetti comune, offre delle conferme che aumentano le possibilità di validità della visione in questione. Infatti è ipotizzabile che quanto sia più ampia la condivisione intersoggettiva dei fenomeni, tanto più diminuiscono le possibilità dell'errore, in quanto la visione del singolo trova conferma nelle visioni altrui, mentre diviene sempre più improbabile la frequenza degli errori negli strumenti di giudizio delle varie coscienze. Però al massimo possiamo pensare a una sorta di "prova indiziale" con cui l'intersoggettività contribuirebbe alla legittimazione della verità, ma non si arriva mai ad una certezza, ad un'autentica fondazione razionale della pretesa di verità, esigenza che può essere assolta solo qualitativamente, cioè nel riconoscimento dell'efficienza degli strumenti di conoscenza nel saper rispecchiare le cose in se stesse

CitazionePer intersoggettività delle percezioni materiali (nell' ambito fenomenico delle varie esperienze coscienti) intendo non il concordare di opinioni o credenze relative ad esse (che certamente non garantisce della verità di tali credenze; e concordo in proposito che posso formulare un giudizio di verità in solitario sulla realtà, in contrasto con le opinioni intersoggettive [rectius: universalmente condivise] degli altri che invece sbagliano); ma invece il concordare delle percezioni stesse, il fatto (indimostrabile né tantomeno mostrabile; credibile e di fatto da me creduto solo per fede) che chiunque, poiché compia le opportune osservazioni nelle opportune condizioni ne ha (di sensazioni fenomeniche materiali) tali che descrivendole e parlandone con chiunque altro finisce per concordare nelle descrizioni stesse (é come se tutti vedessero e sentissero le stesse cose materiali -fenomeniche: "esse est percipi", Berkeley!- o cose identiche; anche se non ha senso parlare di identità o meno fra contenuti fenomenici di diverse coscienze, dal momento che non si può "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria onde verificare se siano uguali o diversi; come invece si può fare con i vari contenuti della propria coscienza).
Cioè i contenuti fenomenici materiali delle diverse esperienze fenomeniche coscienti si corrispondono biunivocamente (o meglio poliunivocamente) fra loro, e questo –transitivamente- per il fatto che ciascuno di essi corrisponde biunivocamente con un' unica (per tutti) realtà in sé o noumeno; al contrario dei contenuti fenomenici mentali, che corrispondono invece biunivocamente ciascuno a un suo proprio oggetto-soggetto riflessivamente in sé, diverso da quello di ciascun altro: i miei pensieri, sentimenti, ecc., (la mia res cogitans) é la manifestazione fenomenica a me -oggetto- di me -soggetto-, i tuoi di te a te; e io sono diverso, altra cosa, da te; invece un albero che possiamo vedere sia io che tu é la manifestazione fenomenica a me -soggetto- ed a te -soggetto- dello stesso, unico, identico oggetto in sé).
Per questo e per il fatto di essere costituito da sensazioni misurabili numericamente (per lo meno limitatamente alle "qualità primarie" direttamente; solo indirettamente per le "secondarie") il mondo materiale é conoscibile scientificamente (per o meno in senso stretto, quello delle scienze naturali), contrariamente al mondo mentale.



Per quanto il discorso sulla polarità tra "essere" e "nulla" , intendevo l'idea secondo cui ente può appartenere in misura maggiore o minore al piano dell' "essere" o del "nulla", dal punto di vista per cui la qualifica di "essere" implica la sua intelligibilità: cioè se il presupposto per poter conoscere (cioè giudicare) qualcosa presuppone il riconoscere ad esso quantomeno una certa determinatezza, seppur generica (perché attribuire un predicato a un soggetto presuppone che il soggetto abbia un suo senso, cioè sia un "qualcosa", un non-nulla), vale a dire un certo "essere", allora quanto più qualcosa è intelligibile, pensabile, tanto più partecipa dell' "essere" e si distacca dal "nulla", cioè dal non-senso di un concetto che si definisce  come negazione della "conditio sine qua non " dell'affermabilità delle cose, cioè l'idea di Essere (il Nulla si definisce come non-essere). Ecco perché il cerchio quadrato sembra avere più a che fare col Nulla che con l'Essere: è un concetto assurdo, senza senso, ingiudicabile, eppure in qualche modo riusciamo a pensarlo, a formalizzarlo linguisticamente, anche solo per dire che è qualcosa di assurdo... Ecco perché lo vedo come un concetto "border-line", ambiguo, sulla soglia tra Essere e Nulla, in qualche modo pensabile e dicibile e per altro aspetto assurdo e inconcepibile. Ed è proprio un caso come questo che mostra come Essere e Nulla debbano essere visti non tanto come ambiti nitidamente separati, ma come "polarità", tendenze, fattori in opposizione che però convivono in ogni cosa, in misura diversa sulla base del grado di intelligibilità e sensatezza della cosa. Comunque capisco che, a complicare il tutto, ci si mette la sintassi grammaticale della lingua italiana per la quale non ha alcun senso dire che qualcosa "è più Essere di qualcos'altro". Diciamo che potremmo trovarci in uno di quei casi in cui la radicalità del pensare filosofico si trova a dovere fare violenza sulle regole grammaticali, cioè il linguaggio mostra la sua inadeguatezza rispetto al pensiero.
CitazioneQui credo di dissentire solo, almeno in parte, sugli pseudoconcetti assurdi, senza senso, come quello di "cerchio quadrato", che secondo me non esistono proprio in quanto tali (non sono concetti, ma mere sequenze insignificanti di vocalizzi o caratteri tipografici).
Per il restio ho la netta impressione che diciamo le stesse cose con parole diverse.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 15 Aprile 2018, 12:42:01 PM
bobmax:
CitazioneMa certo che non so cosa sia la Verità! 
Conoscere vuol dire in sostanza possedere. Mentre la Verità non può essere assolutamente posseduta, semmai è la Verità a possederci, totalmente.
Ma se non sai che cosa sia, perché pensi che ci sia? Siamo sempre lì: io ti chiedo che bisogna hai di postulare questa Verità, e ti chiedo cosa sia mai questa verità nell'esperienza della coscienza, in modo che io possa in qualche modo farmene una rappresentazione, un'idea, e tu me ne parli come se fosse qualcosa di condiviso o condivisibile, quasi scontato, e allo stesso tempo qualcosa che non si sa cosa sia. Non è né scontato né condiviso o condivisiabile: non conosco nessuna Verità, non sento il bisogno o la mancanza di nessuna Verità, in sostanza, lo dico sinceramente, non so di cosa tu stia parlando. Lo stesso se mi parli Dio.
E la condivisione è condizione necessaria per qualunque scambio di idee, altrimenti diventa un'alternanza di soliloqui.

CitazioneNon vi è nessuna certezza che la realtà sia intersoggettiva. Il soggetto potrebbe essere uno solo. 
Sia perché il solipsimo non può essere escluso del tutto, è sia perché i pur molteplici soggetti potrebbero in realtà essere la manifestazione di un unico soggetto. 
Inoltre neppure l'interpretazione materialista, dove il soggetto è solo un epifenomeno dell'oggettivitá in sé, può essere esclusa.
Questi, secondo me, sono i labirinti senza uscita in cui ci si infila se si perde il contatto con l'esperienza della coscienza. Proprio per questo sono partito dalla definizione di esistenza e di realtà. Se non definisco cosa sia esistere e cosa non esistere, cosa sia reale e cosa no, nell'esperienza della coscienza, se non stabilisco dei criteri concretamente applicabili per distinguereli, se non cerco di dare un effettivo, verificabile significato a questi termini, posso affermare tutto e il contrario di tutto senza che sia possibile argomentare pro o contro, ma quello che dico sarà solo un gioco di parole, un "effetto speciale" verbale, analogo a quelli dei film.

CitazioneIl referente si trova certamente in noi stessi, dove se no? Ma non può assolutamente essere individuato. Non perché è una sensazione, ma perché è il fondamento!
Per cui non si tratta di intuizioni extra razionali, ma di ciò che noi siamo.
Anche qui, non ho mezzi per capire di cosa parli. Cos'è questo "noi stessi"? E se il referente non può essere individuato, perché continui a postularne l'esistenza (che ancora attende di essere definita, tra l'altro)? Che bisogno abbiamo di stabilire un "fondamento" dell'esperienza della coscienza? Se si tratta di un bisogno di una "causa", resta il problema insolubile dell'eterna ricorsione: il fondamento ha bisogno di un fondamento, e così via. Non è un problema da liquidare con un colpo di spugna e neppure da aggirare con un atto di fede. O meglio , la fede può anche funzionare, soggettivamente, ma non è discutibile.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 15 Aprile 2018, 15:31:02 PM
bobmax:
CitazionePer esempio, mi capita ormai non di rado di andare all'inferno.
L'inferno non è un luogo di un ipotetico aldilà. L'inferno è un luogo esistenziale presente qui e ora. Vi posso accedere in qualsiasi istante, è sufficiente che rifletta sulle mie colpe.

Ogni colpa è per sempre, e a nulla vale un eventuale pentimento. Se ne sta incastonata in quell'istante che fu è non si può più tornare indietro a cancellarla.
Di modo che l'inferno è luogo senza speranza.
Qui siamo parecchio fuori tema, ma l'argomento lo trovo interessante e le tue parole risuonano nella mia coscienza.
Anche a me è capitato di fare questa riflessione, più in generale sul dolore, la sofferenza per ciò che appartiene al passato e vive nella memoria.
E' vero, può capitare che un senso di colpa non vada mai via, come anche il dolore per la morte o una condizione di sofferenza permanente di una persona cara. Sono come buchi neri che, se dai loro retta, ti assorbono totalmente e non ti offrono alcuna via d'uscita. Davvero una sorta d'inferno.

Ma è radicalmente differente l'interpretazione e il valore che diamo a queste esperienze. Per me si tratta di disturbi psichici, probabilmente indotti, almeno in buona parte, da un'educazione cattolica (come è stata la mia) o da influenze culturali riconducibili direttamente o indirettamente alle religioni, o comunque a una concezione distorta e patogena dell'etica. Disturbi psichici largamente condivisi, disfunzioni psichiche collettive, paragonabili ai virus dei computer, indotte col preciso scopo di inabilitare le coscienze e renderle facilmente manipolabili. Il concetto di "peccato originale" è quello che rende meglio il compito di questo virus: farti sentire sempre e comunque inadeguato, sbagliato e bisognoso di qualcosa che ti redima (qualcosa che non troverai mai, perché non c'è niente da redimere). In realtà il peccato originale è la religione stessa, e più in generale la credenza: prendere un prodotto della tua immaginazione (indotto dall'immaginazione collettiva) e trattarlo alla stregua di qualcosa che ha un'esistenza indipendente dall'immaginazione, qualcosa che possa essere in qualche modo percepita come percepiamo i fenomeni che si presentano imperativamente alla coscienza. Quindi Dio, Inferno, Paradiso vengono assimilate a realtà oggettive, intersoggettive.

Ritengo che una mente sana, una coscienza integra (qualcosa che per almeno la maggior parte di noi è solo una meta più o meno lontana) sia immune dai sensi di colpa e dai dolori spirituali cronici, che sono un modo insensato di reagire agli eventi. Se hai sbagliato e sei integro, cerchi per quanto puoi di rimediare agli errori fatti e ti impegni a non ripetere gli stessi errori: questo è quanto puoi fare e ciò che è giusto e appropriato fare, e questo dovrebbe bastare a farti sentire in pace. Dovrebbe, ma il virus lo impedisce, anzi spesso il virus ti impedisce anche di cercare di rimediare ai tuoi errori e di evitare di ripeterli. Finisce col trascinarti in un vortice autodistruttivo che ti tiene in un continuo stato di inazione e senso di colpa. L'inferno è una malattia.
E anche il dolore per una perdita o per la sofferenza altrui, una mente sana dovrebbe essere in grado di accettarla, e smettere di tuffarcisi dentro masochisticamente. Una mente sana è empatica ma non inutilmente autolesionista: conosce e usa l'empatia, ma non lascia che degeneri in identificazione e attaccamento al dolore.

Quanto al Paradiso e a Dio, non posso che ribadire: se non me lo spieghi, non so di cosa tu stia parlando.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 15 Aprile 2018, 16:53:51 PM
Per Donalduck
Vorrei provare a cambiare approccio, evitando di affrontare la cosa tramite concetti, almeno inizialmente. Nel prossimo mio post cercherò perciò di trattare situazioni esistenziali di vita, visto che l'inferno ha suscitato in te un qual interesse (anche se lo consideri fuori tema...). Perché le situazioni limite sono l'occasione migliore, secondo me, per la manifestazione dell'esistenza.

Provo qui soltanto a ribadire i "concetti" che considero fondamentali. Concetti da intendere il più possibile alla lettera. Solo così, senza sovrapposizioni, spesso involontarie ma comunque fatali, si può forse avvertirne l'autentico messaggio.

Citazione di: Donalduck il 15 Aprile 2018, 12:42:01 PM
Ma se non sai che cosa sia, perché pensi che ci sia? Siamo sempre lì: io ti chiedo che bisogna hai di postulare questa Verità, e ti chiedo cosa sia mai questa verità nell'esperienza della coscienza, in modo che io possa in qualche modo farmene una rappresentazione, un'idea, e tu me ne parli come se fosse qualcosa di condiviso o condivisibile, quasi scontato, e allo stesso tempo qualcosa che non si sa cosa sia. Non è né scontato né condiviso o condivisiabile: non conosco nessuna Verità, non sento il bisogno o la mancanza di nessuna Verità, in sostanza, lo dico sinceramente, non so di cosa tu stia parlando. Lo stesso se mi parli Dio.
E la condivisione è condizione necessaria per qualunque scambio di idee, altrimenti diventa un'alternanza di soliloqui.

La Verità non c'è!
Di modo che non penso affatto che ci sia.
La Verità è!

Citazione
Citazione
Non vi è nessuna certezza che la realtà sia intersoggettiva. Il soggetto potrebbe essere uno solo.
Sia perché il solipsimo non può essere escluso del tutto, è sia perché i pur molteplici soggetti potrebbero in realtà essere la manifestazione di un unico soggetto.
Inoltre neppure l'interpretazione materialista, dove il soggetto è solo un epifenomeno dell'oggettivitá in sé, può essere esclusa.
Questi, secondo me, sono i labirinti senza uscita in cui ci si infila se si perde il contatto con l'esperienza della coscienza. Proprio per questo sono partito dalla definizione di esistenza e di realtà. Se non definisco cosa sia esistere e cosa non esistere, cosa sia reale e cosa no, nell'esperienza della coscienza, se non stabilisco dei criteri concretamente applicabili per distinguereli, se non cerco di dare un effettivo, verificabile significato a questi termini, posso affermare tutto e il contrario di tutto senza che sia possibile argomentare pro o contro, ma quello che dico sarà solo un gioco di parole, un "effetto speciale" verbale, analogo a quelli dei film.

I termini "esistenza", "realtà", possono avere un significato solo se sei già nel labirinto.
Dare un significato, infatti, consiste proprio nel dare per scontato l'orizzonte nel quale vale questo significato.
De-finire vuol dire isolare ciò che si vuole appunto distinguere da tutto il resto.
Se non vi è alcun resto, non è possibile definire.

Citazione
CitazioneIl referente si trova certamente in noi stessi, dove se no? Ma non può assolutamente essere individuato. Non perché è una sensazione, ma perché è il fondamento!
Per cui non si tratta di intuizioni extra razionali, ma di ciò che noi siamo.
Anche qui, non ho mezzi per capire di cosa parli. Cos'è questo "noi stessi"? E se il referente non può essere individuato, perché continui a postularne l'esistenza (che ancora attende di essere definita, tra l'altro)? Che bisogno abbiamo di stabilire un "fondamento" dell'esperienza della coscienza? Se si tratta di un bisogno di una "causa", resta il problema insolubile dell'eterna ricorsione: il fondamento ha bisogno di un fondamento, e così via. Non è un problema da liquidare con un colpo di spugna e neppure da aggirare con un atto di fede. O meglio , la fede può anche funzionare, soggettivamente, ma non è discutibile.

L'autentica fede può riguardare ciò che non c'è.
Di più, non solo non c'è, non potrà mai neppure esserci!

Ciò che c'è, c'è soltanto perché mostra il proprio fondamento. E questo a sua volta potrà esserci solo in quanto sorretto dal proprio fondamento. In un rimando continuo, fino a giungere al "Fondamento", che non si fonda su nient'altro. E proprio per questo non c'é.
Questo Fondamento è la Verità.

Credere in qualcosa che si vorrebbe ci fosse, ma che non mostra il proprio fondamento, è solo superstizione.
Viceversa, l'unica autentica fede consiste nel credere nella Verità, che non c'è, proprio in quanto è il Fondamento.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 20 Aprile 2018, 15:03:39 PM
Per Donalduck
 
La psicologia offre senz'altro un utile aiuto per superare molte difficoltà della nostra vita. Tuttavia, essa può essere davvero fuorviante se le questioni che ci troviamo davanti sono di natura esistenziale.
Infatti la psicologia riduce l'anima a psiche, ossia all'insieme delle nostre funzioni mentali. Mentre le questioni esistenziali, e quindi tipiche dell'anima, trascendono queste funzioni.
Un modo per cogliere l'esistenza, nella sua incommensurabilità rispetto al psicologico, è quello di affrontare una situazione-limite.
Vorrei provare a illustrare in cosa consista questa particolare situazione di vita:
 
Noi sempre siamo in una situazione, il nostro esserci al mondo consiste in un'ininterrotta sequenza di situazioni. Dove siamo perlopiù avvolti da un orizzonte rassicurante, concreto, che dona consistenza al nostro stesso esserci.
Tuttavia, può capitare di ritrovarci in una Situazione-Limite, ossia in una situazione dove la concretezza dell'esserci sembra dissolversi. Ciò che prima era certo, adesso si fa ambiguo e ci ritroviamo soli, senza alcuna bussola che ci indichi la via.
Sebbene sia presente in tante situazioni di vita, di solito non ci accorgiamo del limite, perché condizionati dal nostro stesso pensiero razionale. Per il quale esiste solo ciò che è oggettivo, concreto.
E quando invece ci capita d'avvertirlo, il limite, proviamo un'impressione straniante, un disagio indeterminato, anche angoscioso, e di norma ci affrettiamo a cancellarlo, tornando nel nostro rassicurante mondo razionale.

D'altronde la situazione-limite, che pur abbiamo percepito, non ci può fornire alcuna informazione, alcuna "verità". Può essere stata benissimo il frutto di una nostra allucinazione...
Se vissuta però esistenzialmente (cioè con la più vigorosa fede nella Verità), la situazione-limite può scuoterci nel profondo e risvegliare in noi una consapevolezza inusitata.
La morte può essere una situazione-limite, quando squarcia il velo delle quotidiane sicurezze per farci intravedere, dietro il nostro esserci mondano, il Nulla.

Questo Nulla ci interroga: "E adesso?" Rigettandoci a noi stessi, perché a nessun appiglio possiamo aggrapparci se non a noi stessi.
Di fronte alla morte di una persona cara, posso o lasciarmi sopraffare dalla disperazione chiudendomi nel mio sordo dolore, o ragionarci sopra razionalmente inquadrando l'evento come ciò che purtroppo capita nella vita e bisogna farsene una ragione, oppure... viverla come una situazione-limite! Ossia sforzandomi di stare di fronte a quell'evento terribile, senza piombare nella disperazione che mi annichilisce e neppure cercare di razionalizzare ad ogni costo la cosa, depotenziandone così il pathos. Questa è la realtà! Inaccettabile, ma vera...

E affrontare così lo sguardo della Medusa, che m'interroga mostrandomi l'orrore del mondo, senza nulla sperare, perché quello è!
E lì, forse, tornare a me stesso.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 22 Aprile 2018, 12:06:01 PM
bobmax:
CitazioneLa psicologia offre senz'altro un utile aiuto per superare molte difficoltà della nostra vita. Tuttavia, essa può essere davvero fuorviante se le questioni che ci troviamo davanti sono di natura esistenziale.
Infatti la psicologia riduce l'anima a psiche, ossia all'insieme delle nostre funzioni mentali. Mentre le questioni esistenziali, e quindi tipiche dell'anima, trascendono queste funzioni.
Un modo per cogliere l'esistenza, nella sua incommensurabilità rispetto al psicologico, è quello di affrontare una situazione-limite.
La psiche (termine tratto direttamente da quello greco che significa anima) non è "l'insieme delle funzioni mentali", che è rappresentato, appunto dal termine "mente", ma sta a indicare il mondo interiore nel suo insieme. E non esiste "la psicologia", ma tante psicologie profondamente diverse nell'impostazione e nel modo di vedere l'interiorità umana. E uno dei settori di interesse è quello della cosiddetta "psicologia transpersonale" ce si occupa di tutto ciò che trascende la mente e comprende anche quelle che chiami situazioni-limite.

CitazioneSebbene sia presente in tante situazioni di vita, di solito non ci accorgiamo del limite, perché condizionati dal nostro stesso pensiero razionale. Per il quale esiste solo ciò che è oggettivo, concreto.
E quando invece ci capita d'avvertirlo, il limite, proviamo un'impressione straniante, un disagio indeterminato, anche angoscioso, e di norma ci affrettiamo a cancellarlo, tornando nel nostro rassicurante mondo razionale.
Neppure quest'uso del termine "razionale" mi trova d'accordo. L'esperienza della vita, della coscienza, ci mette di fronte un mondo e un'identità (ciò che chiamiamo "io") misteriose, sfuggenti, paradossali, indefinibili. Ignorare tutto ciò non ha nulla di razionale, proprio il contrario: un arbitraria, quindi irrazionale (motivata da fattori emotivi e non razionali) censura dei dati esperienziali, scartando tutto ciò che suscita troppo sgomento, in modo da avere una rappresentazione rassicurante e facilmente gestibile, anche se fittizia, del mondo.

CitazioneD'altronde la situazione-limite, che pur abbiamo percepito, non ci può fornire alcuna informazione, alcuna "verità". Può essere stata benissimo il frutto di una nostra allucinazione...
Qualunque cosa arrivi alla nostra coscienza è informazione. Non ha senso dire che un dato esperienziale "non fornisce informazione". Colgo l'occasione per accennare al fatto che considero il concetto di informazione come la chiave di interpretazione più efficace e proficua per qualunque tipo di fenomeno, e non mi stupisce che alcune tendenze della moderna fisica considerino l'informazione come il concetto più fondamentale col quale interpretare il "mondo fisico".

Avrai di certo capito che rifuggo da termini come "verità" usati in senso assoluto, come del resto dalla pretesa di discutere di questo fantomatico "assoluto" in generale, e di tutto ciò che ne è figlio: il definito una volta per tutte, l'immutabile, l'esistente di per sé, i "fondamenti ultimi". Secondo me si tratta solo di proiezioni-estrapolazioni di dati esperienziali (che sono l'unica cosa di cui effettivamente disponiamo), a cui conferiamo arbitrariamente un'esistenza indipendente dalla nostra immaginazione. I primi rappresentanti dell'assoluto, l'infinito e il nulla, si prestano bene a chiarire il senso di queste proiezioni. Quello che conosciamo, che percepiamo direttamente non è l'infinito o il nulla, ma l'illimitato, in grandezza o in piccolezza., l'"arbitrariamente grande" e l'"arbitrariamente piccolo"
E' interessante riflettere sui concetti matematici di infinito e di zero: la loro introduzione è inscindibile dal carattere arbitrario delle regole ad esse associate, diverse in modo eclatante da quelle a cui sottostanno tutti gli altri numeri, che restano aderenti a quelle che la nostra esperienza delle quantità nel "mondo esterno" ci mostrano. E ancora più interessante considerare il concetto matematico di limite. Il limite a cui tende il valore di una funzione è qualcosa che viene raggiunto "all'infinito", a cui il valore si avvicina con l'aumentare o il diminuire di un parametro della funzione. Assegnando valori arbitrariamente grandi o piccoli al parametro, il valore sarà sempre più prossimo, senza limiti di approssimazione. Quindi possiamo dire che il valore limite esprime in effetti il concetto di illimitato approssimarsi, e quindi di illimitatezza. Del resto anche il concetto geometrico di punto privo di dimensioni non trova riscontro alcuno nell'esperienza, pur essendo di fondamentale e insostituibile utilità. Ma se in matematica ragionare per proiezione è cosa buona e giusta, non altrettanto lo è nel comporre una rappresentazione della realtà, sganciati dalle regole fisse e convenzionali della matematica.

In sostanza il concetto di infinito è una proiezione dell'illimitato (ossia di qualcosa che può essere espanso o ristretto arbitrariamente), ma solo l'illimitato è un dato esperienziale, di cui possiamo legittimamente testimoniare, mentre testimoniare dell'infinito (ossia asserirne un'esistenza al di là della dimensione concettuale) sarebbe falsa testimonianza, dato che non fa parte dell'esperienza della coscienza.

Quindi, sgombrato il campo da ogni "verità assoluta", mi rimane la più modesta "verità relativa", che esprime il modo migliore che posso trovare di mettere d'accordo tra loro i dati dell'esperienza. Questa verità è sempre perfettibile ma mai perfetta. Del resto i dati dell'esperienza cambiano e si accrescono (nella memoria) in continuazione, rendendo impossibile qualunque verità immutabile.

Se, come ho sostenuto, ogni cosa che arriva alla coscienza è informazione, non ha senso etichettare questa informazione come "reale" o "irreale", "esistente" o "non esistente" dal momento che non disponiamo di nient'altro che non sia la coscienza e i dati pervenuti alla coscienza, che "sono" e basta. Quello che possiamo e risulta utile fare, è assegnare (come ho già illustrato in precedenti post) una modalità di esistenza a ciascun dato. In questo contesto che senso ha ipotizzare che le tue "situazioni-limite" siano "allucinazioni"? Cosa vuol dire? Che cosa aggiunge o toglie quest'etichetta all'esperienza? La mia risposta è: nulla. Molto più proficuo chiedermi quale sia il contenuto informativo di queste esperienze, l'unico modo che ho, in fin dei conti, per definirle o dar loro un senso.

CitazioneSe vissuta però esistenzialmente (cioè con la più vigorosa fede nella Verità), la situazione-limite può scuoterci nel profondo e risvegliare in noi una consapevolezza inusitata.
Qui introduci un altro concetto-chiave: la consapevolezza. Per me il senso di queste esperienze è mostrare l'inadeguatezza della consapevolezza rispetto all'esperienza stessa. Se vuoi darle un senso devi cercare di espandere la consapevolezza, colmare quei vuoti che ti lasciano smarrito e privo di mezzi di comprensione, spingendoti alla rimozione dell'esperienza stessa. Occorre entrarci dentro, vivere l'esperienza e il suo ricordo con la massima attenzione possibile. Si tratta di quel genere di pratica che viene chiamato meditazione: un'immersione esplorativa nel mondo interiore priva, nei limiti del possibile, di pregiudizi e aspettative, pronti a cogliere ogni dato, senza discriminazioni o censure, superando le ribellioni della mente e dell'emotività, cercando di avvicinarsi il più possibile alla condizione di "osservatore puro".
In sintesi, direi che queste situzioni-limite più che risvegliare la consapevolezza, rivelano la necessità di una sua espansione e integrazione. Integrazione nel senso di conciliare i diversi aspetti della nostra complessa esperienza, senza rimuoverne una parte consistente per eliminare sbrigativamente quel senso di mistero, di paradosso, di inesplicabilità che pervade tutta la nostra coscienza.
Ma non direi che questo implichi una qualche "fede nella Verità", si tratta semplicemente di ricevere correttamente dei dati ed elaborarli, così come per ogni altra esperienza. Non c'è altra "verità" al di là dei dati dell'esperienza e di quelli ricavati dalla loro elaborazione. E' se di fede vogliamo parlare, direi che l'unica che serve è la fiducia nelle capacità della coscienza di raggiungere equilibrio e armonia.

CitazioneLa morte può essere una situazione-limite, quando squarcia il velo delle quotidiane sicurezze per farci intravedere, dietro il nostro esserci mondano, il Nulla.
Questo Nulla ci interroga: "E adesso?" Rigettandoci a noi stessi, perché a nessun appiglio possiamo aggrapparci se non a noi stessi.
Di fronte alla morte di una persona cara, posso o lasciarmi sopraffare dalla disperazione chiudendomi nel mio sordo dolore, o ragionarci sopra razionalmente inquadrando l'evento come ciò che purtroppo capita nella vita e bisogna farsene una ragione, oppure... viverla come una situazione-limite! Ossia sforzandomi di stare di fronte a quell'evento terribile, senza piombare nella disperazione che mi annichilisce e neppure cercare di razionalizzare ad ogni costo la cosa, depotenziandone così il pathos. Questa è la realtà! Inaccettabile, ma vera...
E affrontare così lo sguardo della Medusa, che m'interroga mostrandomi l'orrore del mondo, senza nulla sperare, perché quello è!
E lì, forse, tornare a me stesso.
Non c'è nessun "nulla" nella nostra esperienza, e neppure possiamo farcene una rappresentazione. Il nulla è un concetto che nasce per opposizione, ma resta confinato nel regno del pensiero astratto. Quello che qui chiami Nulla io lo chiamo paura. Paura di cosa? Questo è il mistero. Tutto quello che posso arrivare a dire è che si tratta della paura della morte indotta dall'animalesco "istinto di consevazione" proiettato in una dimensione astratta, artificiale. Ma c'è qualcosa di più profondo, abissale, oscuro e misterioso. Qualcosa che mi induce a pensare che la mia coscienza sia troppo ristretta per accogliere ed elaborare quel tipo di esperienza. Infatti sono assai poco incline a pensare che un essere vivente sia fatto in modo da essere incapace di accettare la vita (che implica la morte) e il mondo così come sono. Mi sembra molto più sensato ritenere che si tratti di un limite da superare, una sfida da accettare.
Quindi sì, certe cose sembrano inaccettabili, ma siccome, come dici, "questa è la realtà", sono in effetti un'esortazione ad espandere la capacità della coscienza.

Uno degli effetti più importanti delle pratiche meditative è la "coagulazione" di un "centro di gravità" (come lo chiamava Battiato, rifacendosi a Gurdjeff) attorno al quale costruire la propria visione del mondo e a cui l'esperienza, momento per momento, possa riferirsi.
Si potrebbe anche dire che tale centro si rivela man mano che l'accettazione di "ciò che è" (cio che si presenta alla coscienza) progredisce. Paradossalmente la risposta all'eterna domanda "chi sono io" si risolve in una spersonalizzazione e in una identificazione con "cio che è" che implica il superamento del comune senso dell'io, e allo stesso tempo forma un punto di riferimento "interno" fisso (tornare a sé stessi, per usare un tuo termine) individuale e universale allo stesso tempo, qualcosa di indefinibile a cui si può solo alludere.
A questo punto non cerchi più sicurezza negli altri, nel pensiero comune, nei miti o nella scienza o nella filosofia, ma avverti che solo la consistenza del tuo centro di gravità te la può dare.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 25 Aprile 2018, 09:35:19 AM
Per Donalduck

Occorre decidere, secondo me, se la psicologia sia da considerarsi scienza oppure no.
Se lo è, essa si basa necessariamente sull'oggettività. Se invece si pensa ne possa prescindere allora non è più scienza ma metafisica. In questo secondo caso penso sarebbe più corretto chiamarla appunto metafisica.
In quanto scienza la psicologia si sviluppa in varie branche, come qualsiasi altra scienza.
In quanto metafisica ha ancora senso parlare di psicologia?
 
E se con psiche vogliamo intendere ancora "anima", bene, ma allora parliamo di metafisica e non di psicologia.
 
Buber Martin, con il suo: "Colpa e sensi di colpa" chiarisce a mio avviso molto bene l'insufficienza dell'approccio psicologico nell'affrontare situazioni-limite. In sostanza la psicologia altro non fa che curare i sintomi, depotenziandoli, facendo perdere così l'occasione data dalla situazione-limite.
Karl Jaspers, grande psichiatra oltre che filosofo, fonda buona parte della sua filosofia proprio sulle situazioni-limite. E infatti la sua è metafisica.
 
Ogni situazione, che appare come limite, potrebbe un domani essere superata e rivelarsi perciò non più "limite" perché in qualche modo spiegata dal pensiero razionale. Ma dal punto esistenziale ciò ha poca importanza. Ciò che conta è ciò che è avvenuto in noi quando l'abbiamo vissuta appunto come limite.
 
Non esiste solo l'alternativa tra razionale e irrazionale, si può pure andare oltre questa dicotomia.
 
Comunque la questione chiave, a mio avviso, riguarda la fede nella Verità. Che non può avere alcuna ragione per esserci. Siamo solo noi, in perfetta solitudine, a dover decidere.
 
Quando la si rifiuta, compaiono "verità relative" incluse comunque in un orizzonte di senso che, seppur implicitamente, pretende si stabilire cosa sia la Verità.
Un orizzonte che può essere l'indefinito allargamento della coscienza, così come il vuoto nichilista.
Nel primo caso l'"informazione" in quanto tale assurge a fondamento, e quindi in buona sostanza a verità assoluta.  Nel secondo, neppure l'informazione ha effettivo valore, vero è soltanto che nulla ha valore.
 
Di modo che, senza la fede nella Verità, vi è sempre, in un modo o nell'altro, una pretesa verità implicitamente considerata assoluta.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sileno il 25 Aprile 2018, 11:21:09 AM
Sulla realtà


In breve, cosa fa esistere "rose", "tavoli", ecc.? Per i realisti sono condivise essenze comuni, per gli anti realisti (o postmoderni) esistono solo da concetti descrittivi o dai nomi che attribuiamo loro. Le diverse concezioni derivano da linguaggio, logica e scienza, e vi s' interseca filosofia, scienze naturali e sociali. Tra costrutti teorici, giudizi linguistico – culturali e corrispondenze con il mondo esterno.
L'intuizione realista fa esistere una montagna anche se l'uomo non fosse mai comparso sulla terra. Per l'intuizione ermeneutica ( interpretazione), la realtà dipende da linguaggio e concetti.
Varie realtà possono venir considerate: un computer è anche "particelle elementari".

"Realtà" in filosofia significa esistenza oggettiva di qualcosa: principio naturale, non deduttivo, fuori da immaginazione, fantasia, valore. Oggi le complicazioni sono originate da microfisica, microbiologia, biomolecole, salti quantistici.
Verità logica: l'enunciato corrisponde ai fatti ( es. "la neve è bianca" di Tarski), verità pragmatica, se ha efficacia pratica.

Oggi il filosofo è soprattutto un realista impegnato, non in certe dispute inutili e senza soluzione.
La filosofia si attiene alla scienza, trattando del concetto di realtà.:che utilità avrebbe discutere ancora del "noumeno"? Forse affascinante in fiction di fantascienza. 
( Cypher,in Matrix : "questa bistecca non esiste; mi si suggerisce che è deliziosa")
Il "pensiero forte" contrasta il rischio di interpretare come fa più comodo, ricadendo in astrattezze metafisiche, accademismi, teologismi, dispute sugli assoluti, neo spiritualismi, esoterismi.
Si potrebbero negare le peggiori tragedie della storia e promuovere realtà costruite.

Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 25 Aprile 2018, 19:53:13 PM
bobmax:
CitazioneOccorre decidere, secondo me, se la psicologia sia da considerarsi scienza oppure no.
Se lo è, essa si basa necessariamente sull'oggettività. Se invece si pensa ne possa prescindere allora non è più scienza ma metafisica. In questo secondo caso penso sarebbe più corretto chiamarla appunto metafisica.
In quanto scienza la psicologia si sviluppa in varie branche, come qualsiasi altra scienza.
In quanto metafisica ha ancora senso parlare di psicologia?
Temo che neppure questa distinzione tra scienza e non scienza mi trovi d'accordo. Prima di tutto non esiste nessuan "scienza" in generale, ma ci sono molte scienze diverse con approcci diversi che hanno in comune solo l'uso, più o meno pervasivo, del metodo scientifico utilizzato nella maniera più rigorosa ed esclusiva solo nelle scienze fisiche. Ma tutte le scienze non si limitano all'uso del metodo scientifico e conservano sempre una certa dosa di arbitrarietà nell'interpretazione dei dati raccolti.
Per la psicologia, insisto, non è solo questione di branche diverse, ma di approcci completamente diversi all studio della psiche, approcci a volte persino incompatibili tra loro, come accade per le teorie economiche, sociali o politiche. Quindi parlare di psicologia in generale ha poco senso.
Tra le psicologie, ce ne sono che si basano in maniera prevalente sui metodi scientifici canonici (ma le interpretazioni restano in parte estranee al metodo scientifico), altre li usano solo come strumento ausiliario di maggiore o minore rilevanza. Il comportamentismo e le cosiddette neuroscienze sono tra le prime, i diversi tipi di psicoanalisi tra le seconde.
Io non parlerei di oggettività, a proposito delle scienze, ma di verificabilità e replicabilità, che sono concetti molto diversi. Il mio concetto di oggettività comprende tutto ciò che si presenta alla coscienza, contrapposto alla soggettività, attributo della sola coscienza osservatrice. E il termine che userei per indicare ciò che normalmente è designato da "oggettività" tout-court potrebbe essere "oggettività intersoggettiva" o "oggettività condivisa".
La scienza spesso sconfina nella metafisica, ed è inevitabile. Infatti spesso gli scienziati si convincono che la loro scienza ci faccia vedere le cose "così come sono in realtà", che è una comune fallacia scientifica (e anche filosofica, dal mio punto di vista). Ma qui la confusione è enorme. A rigore la metafisica dovrebbe solo supervisionare i risultati delle scienze fisiche, andando a coincidere più o meno con l'epistemologia, ma il significato comune è più ampio e indistinto, più o meno coincidente con la descrizione del mondo, esterno e interiore, nalla sua "verità oggettiva" ossia assoluta. Dal momento che nel mio pensiero non trova posto nessuna verità assoluta, non trova posto neppure una simile concezione della metafisica.
Comunque, usando i termini nel significato che sembri attribuirgli, direi che ogni scienza è un miscuglio, con proporzioni variabili, di "scientifico" (verificabile e replicabile) e di "metafisico" (affidato unicamente alla forza di convincimento del pensiero e all'intuizione). Nelle scienze "hard" prevale la prima componente, in quelle "soft", come le psicologie, la seconda.

CitazioneBuber Martin, con il suo: "Colpa e sensi di colpa" chiarisce a mio avviso molto bene l'insufficienza dell'approccio psicologico nell'affrontare situazioni-limite. In sostanza la psicologia altro non fa che curare i sintomi, depotenziandoli, facendo perdere così l'occasione data dalla situazione-limite.
Karl Jaspers, grande psichiatra oltre che filosofo, fonda buona parte della sua filosofia proprio sulle situazioni-limite. E infatti la sua è metafisica.
Si direbbe che tu abbia ignorato del tutto quanto ho detto a proposito della psicologia, in particolare di quella transpersonale, e continui a identificare questa indistinta "psicologia" con alcune prassi di alcuni tipi di psicologia, scambiando una baia per l'intero oceano. La psicologia è sempliceente lo studio del mondo interiore umano e si serve dei metodi e delle contaminazioni più svariate. Si serve di scienza, filosofia, dottrine e pratiche spirituali, che spesso coesistono senza soluzione di continuità. La conoscenza non è a compartimenti stagni, i vari approcci si completano a vicenda e non sono mutuamente esclusivi.

CitazioneComunque la questione chiave, a mio avviso, riguarda la fede nella Verità. Che non può avere alcuna ragione per esserci. Siamo solo noi, in perfetta solitudine, a dover decidere.
 Quando la si rifiuta, compaiono "verità relative" incluse comunque in un orizzonte di senso che, seppur implicitamente, pretende si stabilire cosa sia la Verità.
Un orizzonte che può essere l'indefinito allargamento della coscienza, così come il vuoto nichilista.
Nel primo caso l'"informazione" in quanto tale assurge a fondamento, e quindi in buona sostanza a verità assoluta.  Nel secondo, neppure l'informazione ha effettivo valore, vero è soltanto che nulla ha valore.
Di modo che, senza la fede nella Verità, vi è sempre, in un modo o nell'altro, una pretesa verità implicitamente considerata assoluta.
Quello che non capisco è come pensi che possa seguire il filo dei tuoi pensieri se non mi dai un appiglio, un bandolo della matassa da cui partire. Io conosco solo la mia coscienza, l'osservatore, e i dati della coscienza, l'osservato. E confido che tali elementi di conoscenza siano condivisi anche dagli altri centri di coscienza simili al mio (quasta si può considerare la mia unica fede).
Se tu non cerchi di farmi capire cosa sia questa "Verità" nelle tua effettiva esperienza, come dato della coscienza, dato che non c'è nulla nella mia esperienza che abbia quei connotati di assolutezza di cui parli, non abbiamo alcun modo di intenderci. Non solo, ma, ripeto, non sento nessun bisogno di immaginare l'esistenza di questà Verità o di qualsiasi assoluto, ritengo che tutto quello con cui abbiamo a che fare, quello di cui è fatta la nostra oggettività, sia un intreccio di relazioni. Non percepisco altro che relazioni, non concepisco altro che relazioni, non vedo come possa esserci qualcosa di non relativo. Se un altro percepisce o concepisce altro, va bene, ma se non mi spiega che posto abbia questo assoluto tra i dati esperienziali, non so proprio che collocazione, che rappresentazione dargli, e che bisogno ce ne sia.

Non so se conosci la storiella, riportata tra gli altri da Stephen Hawking: una signora, a difesa della tesi del mondo piatto sorretto da un tartaruga gigante, all'obiezione "ma cosa sorregge la tartaruga?" risponde "it's turtles all the way down" che in sostanza significa che a sorreggere una tartaruga c'è sempre un'altra tartaruga. Io sono d'accordo (metaforicamente) con la signora: c'è sempre una "verità" che ne sorregge un'altra, ma non c'è nulla che giustifichi il pensiero che vi sia un "fondamento ultimo" una "tarataruga ultima o assoluta" che sorregge tutte le altre e non è sorretta da niente. E non sono neppure sicuro che queste tartarughe restino sempre uguali a sé stesse e non possano essere sostituite o trasformarsi in altri animali. Quindi diciamo che, per usare i tuoi termini, per me "l'orizzonte di senso" è variabile sia in estensione che in conformazione, non ha stabilità, e l'informazione assume un ruolo fondamentale. Ma questo non significa affatto che assuma anche l'attributo di assoluto.

Per quanto riguarda poi il "valore", quello è nostra esclusiva scelta e responsabilità. Assumersi questa responsabilità significa assumersi l'onore e l'onere di essere umani. Ma fare scelte implica la possibilità di sbagliare e di correggere. Immaginare di stabilire, attraverso queste scelte, una verità assoluta non solo è fuorviante, ma anche pericoloso, come dimostrano i vari tipi di fondamentalismo.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 21 Maggio 2018, 18:46:41 PM
Riguardo alla Verità non posso darti alcun appiglio, alcun bandolo della matassa. Se ci provassi sarebbe un inganno. Non vi è appiglio possibile per giungere all'Assoluto, ossia alla Verità. Se vi fosse non sarebbe Assoluto.
È proprio per questo che occorre aver fede. Ed è questa l'unica autentica fede, ogni altra è solo superstizione.
Se vi fosse un appiglio il tuo credere sarebbe condizionato da esso, non sarebbe fede, ma la pretesa, attraverso un appiglio, di conoscere la Verità! Sarebbe perciò superstizione.

Il tuo relativismo si regge solo perché in te è presente, seppur inconsapevolmente, l'Assoluto. Se non vi fosse questa tua fede nella Verità, il tuo relativismo virerebbe inevitabilmente in nichilismo.
È infatti proprio la fede nella Verità il baluardo ai fondamentalismi, i quali sono sempre alimentati dal pensiero nichilista.

Perciò il relativismo è alimentato dalla fede nella Verità. Se questa fede non regge alla prova, allora trionfa il nichilismo. Con le sue più varie manifestazioni. Tra le quali i fondamentalimi, che altro non sono che la disperata ricerca di un rimedio, ossia una verità oggettiva, da contrapporre all'angoscia nichilista.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 22 Maggio 2018, 12:35:41 PM
Salve. Per Bobmax: Diagnosi completamente appropriata.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 22 Maggio 2018, 14:12:58 PM
Citazione di: bobmax il 21 Maggio 2018, 18:46:41 PMÈ infatti proprio la fede nella Verità il baluardo ai fondamentalismi, i quali sono sempre alimentati dal pensiero nichilista.

Non commento le altre tesi esposte in questa discussione perché per lo più le comprendo ben poco o addirittura per niente, a cominciare dal concetto di "Verità" con l' iniziale maiuscola (prendetelo pure come un mio limite).

Ma come si fa a considerare (e per giunta "sempre"!) "alimentata dal pensiero nichilista" la scelta (giusta o sbagliata che sia; in questa sede non intendo pronunciarmi in proposito) di quei fondamentalisti che sacrificano la loro stessa vita (quantomeno anche, fra le eventuali altre motivazioni) proprio per la fede nella verità delle proprie convinzioni (per esempio religiose; che personalmente considero false -tutte le religioni propriamente dette, "in senso stretto", indistintamente- ma tutt' altro che eticamente nichilistiche, come a mio parere incontrovertibilmente dimostrato proprio dal loro sacrificio non a caso e del tutto appropriatamente detto "supremo")?

Lungi dal costituire un "baluardo contro di esso", é proprio la fede in "qualcosa" (bene o mal riposta che sia) a generare il fondamentalismo (non necessariamente, ma comunque anche, fra il resto che, magari in alternativa al fondamentalismo stesso, può pure generare)!
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 24 Maggio 2018, 19:31:17 PM
Per Sgiombo
Occorre secondo me distinguere tra "fede" e "superstizione".
La superstizione consiste nel credere che qualcosa ci sia senza che questo suo esserci possa essere provato.
Viceversa la fede non riguarda affatto un qualcosa, non è una credenza in qualcosa che dovrebbe esserci. La fede riguarda solo ed esclusivamente l'Assoluto. E poiché l'Assoluto non c'è (non appare nell'esserci mondano) possiamo ben dire che l'autentica fede è fede nel Nulla.
 
Tuttavia questo è il Nulla fonte d'infinite possibilità, opposto al nulla nichilistico che è il nulla assoluto.
Le religioni (tutte), così come qualsiasi ideologia che pretenda di conoscere la Verità, sono fondate dal nichilismo. Traggono da esso la loro ragion d'essere.
 
Infatti le "verità" che esse propugnano non sono che dei rimedi all'angoscia esistenziale nichilistica. Queste "verità", con la loro pretesa di affermare il Vero senza poterlo fondare, non sono che superstizioni.
 
Certo che vi è chi sacrifica la vita!, così come chi uccide chiunque non la pensi come lui, ma la motivazione non è la fede. La spinta originaria è sempre il nulla nichilistico, alla cui angoscia l'ego cerca di imporre una sua "verità", nell'illusione che imponendola, anche attraverso il sacrificio, questa "verità" possa davvero diventare assoluta.
 
Ben difficilmente il nichilismo si mostra con la propria essenza. Sono davvero pochi quelli che hanno provato ad affrontarlo ossia pensatori come Leopardi o Nietzsche. Di solito si mostra attraverso le reazioni che suscita, come le varie credenze (superstizioni) e la volontà di potenza.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: sgiombo il 24 Maggio 2018, 21:14:31 PM
Citazione di: bobmax il 24 Maggio 2018, 19:31:17 PM
Per Sgiombo
Occorre secondo me distinguere tra "fede" e "superstizione".
La superstizione consiste nel credere che qualcosa ci sia senza che questo suo esserci possa essere provato.
Viceversa la fede non riguarda affatto un qualcosa, non è una credenza in qualcosa che dovrebbe esserci. La fede riguarda solo ed esclusivamente l'Assoluto. E poiché l'Assoluto non c'è (non appare nell'esserci mondano) possiamo ben dire che l'autentica fede è fede nel Nulla.

CitazioneNo, scusa, ma tanto la religione quanto le superstizioni si basano sulla fede indimostrata (e il resto sono per me parole senza senso).

E fino a prova contraria quella degli attentatori suicidi islamici é fede religiosa.

Tuttavia questo è il Nulla fonte d'infinite possibilità, opposto al nulla nichilistico che è il nulla assoluto.
Le religioni (tutte), così come qualsiasi ideologia che pretenda di conoscere la Verità, sono fondate dal nichilismo. Traggono da esso la loro ragion d'essere.

CitazioneE chi lo dice?
Non certo i credenti nelle religioni (che credo siano i più autorevoli interpreti del loro proprio pensiero).

E come lo si dimostra?


Infatti le "verità" che esse propugnano non sono che dei rimedi all'angoscia esistenziale nichilistica. Queste "verità", con la loro pretesa di affermare il Vero senza poterlo fondare, non sono che superstizioni.

CitazioneInterpretazione del tutto soggettiva.
Ma io comprendo che cosa significa "(un) vero"; non che cosa potrebbe significare "(il) Vero"

Certo che vi è chi sacrifica la vita!, così come chi uccide chiunque non la pensi come lui, ma la motivazione non è la fede. La spinta originaria è sempre il nulla nichilistico, alla cui angoscia l'ego cerca di imporre una sua "verità", nell'illusione che imponendola, anche attraverso il sacrificio, questa "verità" possa davvero diventare assoluta.

CitazioneQuesto lo dici del tutto arbitrariamente tu.
Io credo a quanto dicono di se stessi coloro che per la loro fede religiosa sacrificano al propria vita (e quelle di altri); credo che il sacrificio stesso della loro vita escluda qualsiasi malafede da parte loro, e che loro siano interpreti di se stessi migliori di te.

Ben difficilmente il nichilismo si mostra con la propria essenza. Sono davvero pochi quelli che hanno provato ad affrontarlo ossia pensatori come Leopardi o Nietzsche. Di solito si mostra attraverso le reazioni che suscita, come le varie credenze (superstizioni) e la volontà di potenza.
CitazioneCon Cesare Luprini (di cui ho letto "Leopardi progressivo") ed altri non ritengo affatto nichilista Leopardi.

Nietzche non mi interessa proprio per nulla.

La seconda frase é espressione della solita tua pretesa di interpretare il pensiero degli altri meglio di loro stessi.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 28 Maggio 2018, 01:34:28 AM
bobmax:
CitazioneRiguardo alla Verità non posso darti alcun appiglio, alcun bandolo della matassa. Se ci provassi sarebbe un inganno. Non vi è appiglio possibile per giungere all'Assoluto, ossia alla Verità. Se vi fosse non sarebbe Assoluto.
È proprio per questo che occorre aver fede. Ed è questa l'unica autentica fede, ogni altra è solo superstizione.
Se vi fosse un appiglio il tuo credere sarebbe condizionato da esso, non sarebbe fede, ma la pretesa, attraverso un appiglio, di conoscere la Verità! Sarebbe perciò superstizione.
Quindi in sostanza stiamo parlando di qualcosa che non si può conoscere, sul quale non esiste alcun appiglio razionale. Resta un mistero da dove sia spuntata questa roba. Se ti dicessi: esiste la Pincopallinità, che però non è né raggiungibile né accessibile alla ragione, ma tuttavia esiste (in che senso?) e si può avere soltanto "fede" in essa (ma cosa mai mi dovrebbe portare ad avere questa fede?) credo che potresti avere qualche buon motivo di dubitare della mia lucidità mentale. Per quale motivo se si sostituisce "Pincopallinità" con "Verità" le cose dovrebbero cambiare?

CitazioneIl tuo relativismo si regge solo perché in te è presente, seppur inconsapevolmente, l'Assoluto. Se non vi fosse questa tua fede nella Verità, il tuo relativismo virerebbe inevitabilmente in nichilismo.
Questi non sono argomenti, ma sentenze del tutto arbitrarie, prive di qualunque sostegno razionale, e come tali non suscettibili di discussione. Posso capire che tu abbia convinzioni irrazionali e non ti senta vincolato a darne o tentarne giustificazioni razionali, ma le discussioni non possono fare a meno della razionalità, altrimenti sono solo uno scambio (legittimo e non necessariamente inutile) di idee, fantasie, impressioni, intuizioni. Questa però vorrebbe essere una discussione, o no?

Per come la vedo io, in me non è presente nessun Assoluto, ma solo informazioni che posso elaborare in modi differenti con esiti differenti. L'esistenza, per me, è il risultato di questo flusso di informazioni che presuppone la presenza di (almeno) un soggetto e un oggetto, di una sorgente e di una destinazione dell'informazione. E nessuno dei due "poli" soggetto e oggetto , è sufficiente a stabilire un'esistenza, di nessuno dei due poli è concepibile un'esistenza "di per sé" che escluda l'altro polo. Per me l'esistenza è intrinsecamente cangiante pur avendo una sua stabilità dovuta alla relativa stabilità delle informazioni (ossia alla lentezza con cui certi flussi cambiano).

Se poi dovesse avere qualche forma di ineffabile esistenza qualcosa che sia al di fuori del tempo e dello spazio e della ragione, non è dato né a me né a nessun altro dimostrarlo o smentirlo, può solo essere oggetto di qualche inesplicabile esperienza extrarazionale di cui non si può discutere e di cui casomai si può tentare di testimoniare.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 28 Maggio 2018, 12:54:08 PM
Salve. Per Donalduck : riporto :"Quindi in sostanza stiamo parlando di qualcosa che non si può conoscere, sul quale non esiste alcun appiglio razionale. Resta un mistero da dove sia spuntata questa roba. Se ti dicessi: esiste la Pincopallinità, che però non è né raggiungibile né accessibile alla ragione, ma tuttavia esiste (in che senso?) e si può avere soltanto "fede" in essa (ma cosa mai mi dovrebbe portare ad avere questa fede?) credo che potresti avere qualche buon motivo di dubitare della mia lucidità mentale. Per quale motivo se si sostituisce "Pincopallinità" con "Verità" le cose dovrebbero cambiare?".

"....ma tuttavia esiste (in che senso?)....": nel senso che produce degli effetti. E' questo il senso dell'esistere.

"...."(ma cosa mai mi dovrebbe portare ad avere questa fede?)...." : la speranza. E' questo il senso della fede, e tutti noi non possiamo fare a meno di sperare in qualcosa. Come minimo, tu ed io abbiamo speranza che venga data ragione al nostro argomentare.

La ragione vive di evidenze, la fede di speranze. Salutoni.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 28 Maggio 2018, 18:13:22 PM
Per Viator
Sì la speranza.
Una speranza che, non so bene come, coinvolge me stesso, mi chiama in causa. La Verità ha bisogno di me, ma sono ancora troppo sordo...
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 29 Maggio 2018, 16:48:35 PM
viator:
Citazione"....ma tuttavia esiste (in che senso?)....": nel senso che produce degli effetti. E' questo il senso dell'esistere.
Bene allora, la "Verità" che effetti produrrebbe? Ti anticipo che a una risposta del tipo "essendo a fondamento della realtà produce la realtà stessa" non farei che ribadire che questo presunto potere generazionale potrebbe essere attribuito arbitrariamente a qualunque "cosa", senza nessuna conseguenza sul "modo di essere" della realtà stessa, e senza nessuna necessità logica.
Un altro esempio: ogni tanto si sentono domande come "esiste il tempo"? Che "effetti" avrebbe l'attribuzione al tempo dell'etichetta di "esistente" o "non esistente"? Secondo me nessuno.

Citazione"...."(ma cosa mai mi dovrebbe portare ad avere questa fede?)...." : la speranza. E' questo il senso della fede, e tutti noi non possiamo fare a meno di sperare in qualcosa. Come minimo, tu ed io abbiamo speranza che venga data ragione al nostro argomentare.
Non mi sembra una risposta appropriata. Intanto non stiamo parlando di "fede" in generale, ma di fede nella "Verità", per cui prima dovremmo avere una qualche rappresentazione di questa Verità, poi dovremmo avere una rappresentazione di cosa speriamo e perché

CitazioneLa ragione vive di evidenze, la fede di speranze
In effetti questa concezione della fede come speranza mi sembra poco condivisa e anche poco condivisibile. La fede anzi dovrebbe essere quasi l'antitesi della speranza, in quanto la fede implica fiducia e sicurezza, la speranza incertezza. Ad esempio spero che avvenga qualcosa perché non sono sicuro che avvenga.

In ogni caso, anche quando si parla dell'irrazionale, a meno che non lo si faccia dichiaratamente in un ambito "poetico", ossia solo suggestivo, allusivo, lo si fa dal punto di vista della ragione, altrimenti un confronto di idee risulta problematico. Si può ben parlare razionalmente, ad esempio, dei sentimenti, anche se questi non sono "razionali" di per sé.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: bobmax il 30 Maggio 2018, 17:24:41 PM
Per Donalduck
 
La fede non implica affatto sicurezza. La fede è slancio verso il trascendente con amore e tremore, perché nulla è certo. Di modo che l'autentica fede deriva dalla speranza. Una speranza tuttavia che non vuole per niente illudersi. E che quindi non può accettare alcunché come assoluto del nostro mondo relativo.
E' lo slancio di fede che il Bene sia.
Questo è l'unico passo che, con tutti i dubbi, la fede richiede: Dio = Verità = Bene.
In sostanza che Dio sia, dipende dalla mia fede.
 
La sicurezza è tutt'altro, si fonda infatti su "verità" oggettive, cioè provate dall'esperienza, perché verificate un'infinità di volte. Ossia "verità" che appartengono al mondo immanente, alla sua coerenza, alle sue supposte leggi.
Essere poi sicuri di qualcosa che non ha fondamento (che non è provato) altro non è che superstizione.
Ma è comunque superstizione pure il considerare come Verità assoluta ciò che è soltanto una "verità" scientifica.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Donalduck il 31 Maggio 2018, 12:46:53 PM
bobmax:
CitazioneLa sicurezza è tutt'altro, si fonda infatti su "verità" oggettive, cioè provate dall'esperienza, perché verificate un'infinità di volte. Ossia "verità" che appartengono al mondo immanente, alla sua coerenza, alle sue supposte leggi.
Essere poi sicuri di qualcosa che non ha fondamento (che non è provato) altro non è che superstizione.
Ma è comunque superstizione pure il considerare come Verità assoluta ciò che è soltanto una "verità" scientifica.
Credo che stiamo parlando di cose diverse. Quella che tu chiami "Verità" credo corrisponda più o meno a quella che io chiamo "verità soggettiva" o "autenticità" e non la ritengo suscettibile di condivisione o discussione, se non come tentativo di descrizione di esperienze interiori, in ogni caso non soggetto alle regole della logica o suscettibile di qualche tipo di "dimostrazione". E non vedo la necessità né l'opportunita di considerarla come qualcosa di assoluto se non, appunto soggettivamente. Ma se guardiamo le cose dal punto di vista soggettivo, tutto è "assoluto" in quanto si presenta "in quel modo" e in nessun altro. Può cambiare nel tempo, essere oggetto di elaborazione mentale, ma in ogni istante è "indiscutibilmente quello". Se invece si tratta di una sensazione, di un'esperienza che si distingue dalle altre per una qualità particolare, che può portare all'uso del termine "assoluto" per contraddistinguerla, siamo comunque nell'ambito dell'ineffabile.
Davo per scontato che quello di cui si parlava fosse l'oggettivo condivisibile (o "intersoggettivo") e non l'esperienza soggettiva che resta nel suo ambito. Per queste cose mi sembra più appropriata la sezione "Tematiche spirituali".
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Phil il 04 Giugno 2018, 19:12:33 PM
Provo a proporre delle definizioni a partire dal titolo del topic:
- essere: "avere un'identità (spaziale e/o temporale)". Per spiegare un verbo ("essere", in forma sostantivata o meno) mi sembra lecito ricorrere ad un altro verbo, parimenti versatile. D'altronde quando chiediamo "che cos'è", chiediamo di definire un'identità (sensoriale, concettuale, linguistica o altro) di qualcosa; quando diciamo "è giusto" o "è caldo" o "è lo zio Sam", descriviamo l'identità di qualcosa. L'essere è ciò che, con più o meno vaghezza, possiamo identificare (sorvolando su tutte le spinose problematiche connesse al prospettivismo, al soggettivismo e all'arbitrarietà di tale identificazione...). Inversamente, ciò che non è, non ha un'identità (parlare del nulla sembra paradossale proprio poiché comporta comunque l'identificarlo, come concetto, come negazione dell'essere, etc.).

- esistenza: caratteristica basilare posseduta da ciò di cui si può predicare l'essere (vedi sopra); l'esistenza è classificabile in differenti "piani" che spaziano dal sensoriale al linguistico (nel momento in cui scrivo "trimosundo" tale parola, a suo modo, nell'essere letta-scritta, esiste, pur restando oscuro se essa rimandi a qualcosa di materiale, storico, concettuale, emotivo, puramente linguistico/fonetico, etc.).

- realtà: insieme estensionale di ciò che ha esistenza (come minimo) per qualcuno, in un dato luogo e tempo o (al massimo, ma resta da dimostrare) a prescindere dal soggetto che la identifica.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: Rolando il 11 Giugno 2018, 15:49:31 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2018, 12:42:26 PM
La differenza fondamentale secondo me va posta (considerata) fra ciò che esiste-accade realmente, anche indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure -realmente- oggetto di considerazione teorica (pensiero, ipotesi, credenza, eventualmente conoscenza) da una parte e ciò che esiste-accade unicamente in quanto ("oggetto" o "contenuto" di) considerazione teorica, pensiero, unicamente in quanto concetto (con una sua connotazione)indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure ente-evento reale (cioé che realmente esista-accada anche una denotazione reale del concetto stesso) o meno dall' altra parte.

Anche i concetti di enti-eventi non reali realmente esistono-accadono (ma solo in quanto concetti), senza che esistano-accadano inoltre anche gli enti-eventi pretesi (o immaginati, ipotizzati, magari -falsamente- creduti...) reali che essi connotano (ma non denotano, secondo la terminologia della semantica di Frege).
Ma ciò é ben diverso dal reale esistere-accadere di enti-eventi reali (in quanto tali), che esistano-accadano realmente o meno anche, inoltre eventuali concetti che li connotano (e anche denotano).
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 11 Giugno 2018, 16:28:59 PM
Salve. Per Donaldduck: la verità è sempre soggettiva e relativa. Trovar vera una cosa significa scegliere di considerarla affidabile quale base delle scelte che abbiamo fatto o che stiamo facendo. La verità produce l'effetto di rassicurare chi vi crede e di generare qualche nostra scelta in luogo di altre diverse che consideriamo falsamente fondate.

Ogni tanto infatti si sente dire "esiste il tempo", ma lo si dice sbagliando. Il tempo fisico non esiste (è solo la dimensione psichica attraverso la quale percepiamo la "densità" di ciò che accade, cioè la velocità con la quale si susseguono gli eventi), quindi non produce alcun effetto al di fuori dell'ambito psichico (anch'esso soggettivo e relativo). Il tempo psichico (cioè la percezione interiore del tempo che INSISTE in noi) genera gli stessi effetti di qualsiasi altra nostra percezione interiore, influenzando i nostri comportamenti esattamente come accade per la VERITA'.

 Per quanto riguarda fede e speranza, dovrebbe essere chiaro che la speranza non è l'effetto della fede, ma la sua causa, il suo movente. Si spera nell'immortalità ma, poichè tale speranza potrebbe risultare fallace, si decide di avere fede in ciò che ci "promette" come sicuro l'esaudimento del nostro desiderio.
Titolo: Re:Essere, esistenza, realtà
Inserito da: viator il 11 Giugno 2018, 16:53:08 PM
Salve. Per Phil: Essere, esistenza è realtà consistono in concetti poco differenziati solo perchè applicati ad ambiti diversi: