Aristotele definì l'essere umano come un animale razionale; non perché ogni persona è ed agisce automaticamente razionalmente, ma perché ogni persona ha la potenzialità di scegliere di agire come qualsiasi altro animale o di elevarsi al disopra dell'animale ed agire razionalmente. E' dunque una scelta che comporta sforzo voler veramente appartenere alla specie homo sapiens o lo siamo automaticamente fin dalla nascita?
Ben ritrovato carissimo.
L'intendere l' uomo come (potenziale) essere razionale, ossia come soggetto del logos (del discorso che razionalmente mira a istituire una verità condivisa) è il grande motivo che segna la nascita della filosofia in contrapposizione al mito, alla volontà irrazionale di credere. E il logos si afferma come negazione della contraddizione. Su questo pilastro si erge tutto il pensiero occidentale, dalla metafisica alla scienza con tutte le meraviglie di conoscenza che ha saputo produrre, e su questo pilastro (principio fermissimo) viene a morire e viene a morire quando si esige che tutto abiti la razionalità e nulla di reale possa ad essa sfuggire, che tutto sia logos, esprimibile secondo misura, analisi oggettiva e calcolo, poiché proprio in tali termini totalizzanti, il pensiero razionale, se onestamente condotto, se non vuole porsi a sua volta come mito, come una sorta di superstizione onto-teo-logica, non può non vedere la propria contraddizione che sta nel pretendersi totalità.
E dunque credo che se vogliamo essere coerentemente razionali è necessario saper accettare il limite (la parzialità) della razionalità e, alla luce di questo limite, intenderla come una costante apertura, un costante superamento delle proprie posizioni che non possono, per quanto ovvie possano sembrare, essere mai definitive. Il rifiuto di ciò che appare ovvio, quindi esente da interpretazione e dibattito, è ciò che il razionale deve saper costantemente rifiutare, razionalmente.
Per questo l'uomo non nasce razionale né lo diventa realmente mai. La razionalità umana non è uno stato, ma un percorso continuo in cui nulla resta esente dal dubbio e ogni soluzione è solo inevitabilmente provvisoria, sempre aperta alla sua re interpretazione senza porsi mai come insormontabile de-finizione su cui non si possa mai ulteriormente dire e ridire.
Citazione di: maral il 21 Ottobre 2016, 10:50:58 AM
Ben ritrovato carissimo.
L'intendere l' uomo come (potenziale) essere razionale, ossia come soggetto del logos (del discorso che razionalmente mira a istituire una verità condivisa) è il grande motivo che segna la nascita della filosofia in contrapposizione al mito, alla volontà irrazionale di credere. E il logos si afferma come negazione della contraddizione. Su questo pilastro si erge tutto il pensiero occidentale, dalla metafisica alla scienza con tutte le meraviglie di conoscenza che ha saputo produrre, e su questo pilastro (principio fermissimo) viene a morire e viene a morire quando si esige che tutto abiti la razionalità e nulla di reale possa ad essa sfuggire, che tutto sia logos, esprimibile secondo misura, analisi oggettiva e calcolo, poiché proprio in tali termini totalizzanti, il pensiero razionale, se onestamente condotto, se non vuole porsi a sua volta come mito, come una sorta di superstizione onto-teo-logica, non può non vedere la propria contraddizione che sta nel pretendersi totalità.
E dunque credo che se vogliamo essere coerentemente razionali è necessario saper accettare il limite (la parzialità) della razionalità e, alla luce di questo limite, intenderla come una costante apertura, un costante superamento delle proprie posizioni che non possono, per quanto ovvie possano sembrare, essere mai definitive. Il rifiuto di ciò che appare ovvio, quindi esente da interpretazione e dibattito, è ciò che il razionale deve saper costantemente rifiutare, razionalmente.
Per questo l'uomo non nasce razionale né lo diventa realmente mai. La razionalità umana non è uno stato, ma un percorso continuo in cui nulla resta esente dal dubbio e ogni soluzione è solo inevitabilmente provvisoria, sempre aperta alla sua re interpretazione senza porsi mai come insormontabile de-finizione su cui non si possa mai ulteriormente dire e ridire.
CitazioneConcordo pienamente!
(Chi se lo sarebbe mai aspettato?).
Da parte mia aggiungerei che la scelta di seguire la ragione (del razionalismo), precedendo (e determinando) il razionalismo, é irrazionalistica: si é razionalisti (se lo si é) irrazionalisticamente, per una decisione irrazionale (non razionalmente fondata).
Ed esserne consapevoli (essere consapevoli dei limiti intrinseci del razionalismo) significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo (-).
Seguire la ragione è definire i limiti della stessa. La conoscenza che si ferma ai limiti dell'inconoscibile è la più alta.
Ciò che è cambiato nei tempi è lo scopo della razionalità. Secondo la filosofia classica ed ellenista, la razionalità (Eraclito e gli stoici arrivarono persino ad identificare la ragione con Dio) era la strada per raggiungere la tranquillità dell'anima, cioè per raggiungere la condizione, se non divina, simildivina del saggio, colui che ha realizzato alla perfezione la ragione. Dice infatti Seneca che l'unica differenza fra il saggio e Dio è la durata della propria esistenza, ma poichè la condizione di assoluta pace dell'animo è identificata nella perfezione, la perfezione per definizione non ha bisogno di altro, quindi nemmeno dell'estensione della propria esistenza. Questa concezione di razionalità, ovviamente diversificata in base alle interpretazioni della vita e del mondo a seconda delle differenti filosofie, è comunque pressochè una costante delle filosofie antiche. Tutte, pur nelle loro dispute, erano convergenti sulla necessità di coltivare la virtù (la realizzazione della ragione perfetta), di trovare la pace interiore. Ma se ci soffermiamo su ciò che essi intendevano per virtù, cioè la realizzazione perfetta della ragione, troviamo che Platone e gli stoici, oltre ai cristiani di ispirazione plotiniana ambrosiana, identificarono questa perfezione nelle quattro virtù cardinali: saggezza, giustizia, coraggio, temperanza. Ora, pensando a ciò che intendiamo per razionale ai tempi nostri, con cosa identifichiamo la ragione perfetta? Non forse con la tecnologia? Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 12:15:23 PM
Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
Citazioneinvece per parte mia profetizzo l' estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità (oltre che, sempre per mano umana, di moltissime altre specie viventi, cosa già in atto; e strettamente correlata) a causa dell' irrazionalità degli assetti sociali vigenti (e a meno che si verifichi il caso -ipotizzabile attraverso uno sforzo estremo di ottimismo della volontà- che non vengano superati per tempo); essi infatti impongono inevitabilmente la concorrenza fra unità produttive (imprese private) reciprocamente indipendenti, determinando la crescita tendenzialmente illimitata della produzione di beni direttamente o più o meno indirettamente materiali (merci) in un ambiente dalle risorse materiali e dalla capacità di metabolizzare gli effetti dannosi delle produzioni stesse e dei rispettivi consumi realisticamente (e non fantascientificamente o secondo l' ideologia scientistica) limitate.
Citazione di: sgiombo il 21 Ottobre 2016, 16:09:25 PM
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 12:15:23 PM
Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
Citazioneinvece per parte mia profetizzo l' estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità (oltre che, sempre per mano umana, di moltissime altre specie viventi, cosa già in atto; e strettamente correlata) a causa dell' irrazionalità degli assetti sociali vigenti (e a meno che si verifichi il caso -ipotizzabile attraverso uno sforzo estremo di ottimismo della volontà- che non vengano superati per tempo); essi infatti impongono inevitabilmente la concorrenza fra unità produttive (imprese private) reciprocamente indipendenti, determinando la crescita tendenzialmente illimitata della produzione di beni direttamente o più o meno indirettamente materiali (merci) in un ambiente dalle risorse materiali e dalla capacità di metabolizzare gli effetti dannosi delle produzioni stesse e dei rispettivi consumi realisticamente (e non fantascientificamente o secondo l' ideologia scientistica) limitate.
Ma anche l'irrazionalità degli assetti sociali vigenti si potrebbe considerare una conseguenza del delegare alla tecnologia da parte dell'uomo. Poiché in qualsiasi contesto la quantità di informazioni e variabili è tale da poter essere gestita solo con l'ausilio di algoritmi, quindi la ragione umana ne esce sclerotizzata. La crescente quantità di informazioni che siamo costretti a gestire quotidianamente è una conseguenza dell'informatica come paradigma della nostra vita. Dobbiamo somigliare ai computer, perché sono più efficienti dell'uomo. I computer sono stupidi ma velici, quindi possono gestire enormi quantità di dati simultaneamente. Lo stesso si pretende sempre più anche dall'uomo, ridotto ad imitazione mal riuscita della macchina. L'efficienza domina, la creatività riposa in pace.
Ovviamente dipende sempre cosa si intende per razionalità.
Aristotele mal lo digerisco, il suo concettò di razionalità nè più nè meno che Platone, suo maestro, si associa al concetto di Bene, nel senso proprio che coincide.
Se dunque la ragione è il LOGOS, ovviamente non sarei d'accordo. Non perchè il LOGOS non esista, ma perchè esso appare come Dinamismo Continuo, e non come nella teoria, di origine orfica , dei 2 maestri da una duplice natura della Idea (o natura o realtà che sia, dipende a che scuola ci riferiamo).
Per cui la RATIO è veramente la DIVISIONE tra ciò che è bene e ciò che è male.
Ma appunto bene e male sono solo convenzioni etc....etc.....(vedi i 3d su Nietzche).
Se invece intendiamo ragione come intelletto allora non è una scelta, in quanto l'uomo nasce simbolico per natura, l'uomo nasce insieme al linguaggio insomma. Come d'altronde è evidente nella psicologia evolutiva o dinamica che sia, o come è ovvio osservando un bambino.
Dunque intellige, mette subito in relazione il proprio corpo con l'esterno.
CitazionePer questo l'uomo non nasce razionale né lo diventa realmente mai. La razionalità umana non è uno stato, ma un percorso continuo in cui nulla resta esente dal dubbio e ogni soluzione è solo inevitabilmente provvisoria, sempre aperta alla sua re interpretazione senza porsi mai come insormontabile de-finizione su cui non si possa mai ulteriormente dire e ridire.
Ciao Maral. E' sempre un piacere leggere i tuoi commenti.
Allora, se per razionalità umana s'intende la scoperta e la correzione delle proprie contraddizioni, non dobbiamo pensare ad essa come un valore essenziale da coltivare sia in occidente che in oriente? Sappiamo tutti che la scienza e la tecnologia non sono risposte capaci di eliminare le nostre ansie esistenziali, perché sono prodotti parziali della razionalità. Ma quello che l'uomo ha saputo fare con la ragione nel campo del progresso scientifico non ha saputo applicare alla sua capacità di vivere eticamente (almeno se si considera gran parte degli individui che compongono l'umanità), Qual è, mi chiedo io, il rapporto tra razionalità ed etica? In che modo la razionalità può aiutare le persone (l'umanità) a distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il morale dall'immorale? Oppure stiamo accettando l'idea che il bene, il giusto e il morale non sono de-fini-bili, e quindi sia la razionalità che l'etica diventano cose superflue?
Aristotele vedeva chiaramente che non esiste etica senza razionalità e che non esiste felicità senza etica. Questa correlazione tra razionalità, etica e felicità era valida ai suoi tempi (anche se i contenuti erano diversi da quelli di oggi), ma il principio non è più valido oggigiorno?
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 16:24:55 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Ottobre 2016, 16:09:25 PM
Citazione di: cvc il 21 Ottobre 2016, 12:15:23 PM
Allora una volta la via della ragione era quella che doveva condurre alla pace dell'anima; ora invece conduce alla costruzioni di apparati tecnologici che puntano a sostituire sempre più uomo. Hawking profetizza un domani in cui gli androidi ridurranno l'uomo in schiavitù.
Citazioneinvece per parte mia profetizzo l' estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità (oltre che, sempre per mano umana, di moltissime altre specie viventi, cosa già in atto; e strettamente correlata) a causa dell' irrazionalità degli assetti sociali vigenti (e a meno che si verifichi il caso -ipotizzabile attraverso uno sforzo estremo di ottimismo della volontà- che non vengano superati per tempo); essi infatti impongono inevitabilmente la concorrenza fra unità produttive (imprese private) reciprocamente indipendenti, determinando la crescita tendenzialmente illimitata della produzione di beni direttamente o più o meno indirettamente materiali (merci) in un ambiente dalle risorse materiali e dalla capacità di metabolizzare gli effetti dannosi delle produzioni stesse e dei rispettivi consumi realisticamente (e non fantascientificamente o secondo l' ideologia scientistica) limitate.
Ma anche l'irrazionalità degli assetti sociali vigenti si potrebbe considerare una conseguenza del delegare alla tecnologia da parte dell'uomo. Poiché in qualsiasi contesto la quantità di informazioni e variabili è tale da poter essere gestita solo con l'ausilio di algoritmi, quindi la ragione umana ne esce sclerotizzata. La crescente quantità di informazioni che siamo costretti a gestire quotidianamente è una conseguenza dell'informatica come paradigma della nostra vita. Dobbiamo somigliare ai computer, perché sono più efficienti dell'uomo. I computer sono stupidi ma velici, quindi possono gestire enormi quantità di dati simultaneamente. Lo stesso si pretende sempre più anche dall'uomo, ridotto ad imitazione mal riuscita della macchina. L'efficienza domina, la creatività riposa in pace.
CitazioneNon credo sia necessario assomigliare ai computer.
Credo piuttosto che un razionalismo conseguente dovrebbe imporre un "principio prudenza" nell' azione individuale e collettiva, tanto più fortemente quanto più aumenta il potere tecnologico di intervenire (nel bene e nel male, costruttivamente e distruttivamente) sulla natura e quanto più le nostre azioni hanno conseguenze (volute e non volute) estese all' umanità o addirittura al mondo in cui viviamo (ci vuole più prudenza a guidare una Ferrari che un ciclomotore e più a portare un autobus pieno di persone che a viaggiare da soli o a portare merci).
La velocità non necessariamente sempre e comunque é una buona cosa.
In molti importanti casi é una cattiva o addirittura pessima cosa.
Citazione di: DrEvol il 21 Ottobre 2016, 16:42:19 PM
CitazionePer questo l'uomo non nasce razionale né lo diventa realmente mai. La razionalità umana non è uno stato, ma un percorso continuo in cui nulla resta esente dal dubbio e ogni soluzione è solo inevitabilmente provvisoria, sempre aperta alla sua re interpretazione senza porsi mai come insormontabile de-finizione su cui non si possa mai ulteriormente dire e ridire.
Ciao Maral. E' sempre un piacere leggere i tuoi commenti.
Allora, se per razionalità umana s'intende la scoperta e la correzione delle proprie contraddizioni, non dobbiamo pensare ad essa come un valore essenziale da coltivare sia in occidente che in oriente? Sappiamo tutti che la scienza e la tecnologia non sono risposte capaci di eliminare le nostre ansie esistenziali, perché sono prodotti parziali della razionalità. Ma quello che l'uomo ha saputo fare con la ragione nel campo del progresso scientifico non ha saputo applicare alla sua capacità di vivere eticamente (almeno se si considera gran parte degli individui che compongono l'umanità), Qual è, mi chiedo io, il rapporto tra razionalità ed etica? In che modo la razionalità può aiutare le persone (l'umanità) a distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il morale dall'immorale? Oppure stiamo accettando l'idea che il bene, il giusto e il morale non sono de-fini-bili, e quindi sia la razionalità che l'etica diventano cose superflue?
CitazioneSecondo me i valori etici si "avvertono" irrazionalmente dentro di sé, non sono dimostrabili (anche se li ritengo in parte di fatto universalmente presenti nell' uomo in conseguenza dell' evoluzione biologica, in parte condizionati variabilmente nel tempo e nello spazio dai diversi contesti sociali e "microsociali").
La razionalità può e secondo me deve aiutare ad applicarli quanto meglio possibile nei diversi contesti.
Per esempio può aiutare, molto meglio che "intuizioni irrazionali" o acritiche adesioni a testi più o meno sacri o comunque aurtorevoli, per quanto non senza difficoltà, ad applicare il principio "non uccidere" (uomini; e se possibile altri senzienti) alla contraccezione e alla interruzione della gravidanza (...facile a dirsi peserà più d' uno; difficile, certo! Ma pur sempre molto meglio che scegliere irrazionalmente).
Penso che l'etica deve essere appresa e per apprendarla è necessario fare uno sforzo razionale di logica. Per esempio, non è possibile essere giusti se manchiamo di obiettività; e per essere brutalmente obiettivi dobbiamo essere liberi il più possibile dagli istinti, dalle emozioni, dai condizionamenti e dalle nostre tradizioni culturali preferite - dai nostri pregiudizi. Questa libertà comincia quando cominciamo a riconoscere le nostre parzialità e le nostre preferenze emotive, che sono intellettualmente infondate. Pertanto, non significa che dobbiamo essere roboticamente senza emozioni (privarci dei nostri valori emotivi), ma riconoscere in noi come i nostri attaccamenti sono fattori che vanno considerati nel nostro tentativo di essere obiettivi. Il bambino non nasce etico. Il suo senso di giustizia è imbevuto nel colore dell'acqua sociale in cui nasce immerso. Starà in lui decidere se liberarsene o accomodarsi e sguazzare nella sua cultura senza mai chiedersi se l'educazione che ha ricevuto è razionale o irrazionale.
Citazione di: DrEvol il 21 Ottobre 2016, 16:47:44 PM
Aristotele vedeva chiaramente che non esiste etica senza razionalità e che non esiste felicità senza etica. Questa correlazione tra razionalità, etica e felicità era valida ai suoi tempi (anche se i contenuti erano diversi da quelli di oggi), ma il principio non è più valido oggigiorno?
A me non pare che fosse valida al suo tempo, era valida nella testa dei filosofi, e delle loro ambizioni politche.
Ma Socrate e Platone E Aristotele hanno fatto una brutta fine politica, mi pare.
Non abbiamo nulla da imparare da chi nasconde il suo filofare dietro una chiara pretesa pedagogica, questo è quello che ho sempre pensato.
Il principio razionale dell'etica è oggi completamente da re-imparare, e se non si parte da Nietzche e dal suo background nei moralisti francesi come Montaigne o La Rochefoucauld, non si va da nessuna parte.
prendiamo ad esempio questa massima di
a Rochefoucauld8. Le passioni sono gli unici oratori che persuadano sempre. Esse sono come un'arte della natura dalle regole infallibili: il più semplice degli uomini animato dalla passione riesce più persuasivo del, più eloquente che ne sia sprovvisto.
In tempi di controllo della massa, di mass-mediazione, sono argomentazioni ancora assai valide.
D'altronde dopo il grande crollo delle ideologie, e sulle macerie di esso, grandi filosofi ebrei come Anders o Levinas, hanno focalizzato la questione con il problema della comunità, del comunitarismo come rapporto con l'Altro.
Quando noi ci relazioniamo agli altri la razionalità è un semplice strumento al servizio delle passioni.
Dunque l'attenzione etica si deve spostare dal contrattualismo alla comprensione reciproca e dei nostri demoni interiori.
Visto l'arduo impegno che richiede, e di cui Nietzche ha cominciato a mettere i mattoni, mi sembra nel panorama odierno (povero, poverissimo) di poter ravvisare un primo step, in coloro che studiano un nuovo modello antropologico per l'uomo.
(dai De Martino allievo di Sini, sino a gruppi come Tiqqun segnalato anche da Agamben).
Tutta questa digressione per ridimensionare la questione del razionale. (appunto ridimensionare non rinunciare, rimane un ottimo strumento, ma non la soluzione alias)
Citazione8. Le passioni sono gli unici oratori che persuadano sempre. Esse sono come un'arte della natura dalle regole infallibili: il più semplice degli uomini animato dalla passione riesce più persuasivo del, più eloquente che ne sia sprovvisto.
Può darsi che a volte le passioni siano oratori persuasivi. Ma dipende. Se una persona parla appassionatamente di ciò in cui crede egli può essere contagioso e suscitare passione in altri. Ma se uno guarda un dibattito poltico può osservare che chi ulra e sbraita al punto di soffocare la parola al suo avversario, non è sempre più persuasivo di chi, quando ha la possibilità di parlare, si esprime pacatamente, e offre idee e ragionamenti che fanno pensare a come si potrebbe risolvere un conflitto di idee.
Ma la persuasività non è comunque sinonimo di giustizia. Come si può fare giustizia con emozioni, se queste non sono sostenute da una buona dose di logica? Le emozioni da sole dicono esclusivamente quello che noi crediamo e vogliamo che sia - non dicono se ciò che vogliamo sia giusto o sbagliato, vero o falso. Le emozioni, per natura, sono tutte basate sul desiderio. L'etica si basa sulla ricerca del bene, del vero e del giusto. L'etica non ha la funzione di persuadere a credere nel proprio bene soggettivo, nella propria verità soggettiva o nella propria giustizia soggettiva. L'etica deve essere oggettiva o non è etica.
Certamente la questione a livello filosofico non è quella di stabilire un primato del sentimento sulla ragione, ma è di intendere che le azioni che si dicono etiche e oggettive, sono storicamente sostenute da passioni private, che molto spesso di oggettivo e di razionale non hanno nulla.
Anche volendo ignorare la storia dei crolli del fascismo e del comunismo o del socialismo, per chi vive il presente dovrebbe essere evidente, che qualsiasi misura presa in Europa si sta risolvendo in una crisi dalle dimensioni bibliche.
Dove è la virtù? dove è l'oggettività?
Solo demagogia a vagonate, appunt mass-mediazione etc....etc....
La soluzione dunque non è quella di adottare dei metamodelli come, che ne sò, un habermas mettiamo, che ha costruito un reticolo così capzioso di REGOLE per la democrazia, che sono chiaramente qualcosa che riguarda più una sua ossesione, che non uno sguardo sul reale.
E gli esempi nel pensiero politico-etico contemporaneo sono migliaia. Pochi intendono il discorso sul potere, pochi capiscono che siamo vittime della tradizione giudaico-romana.
Ma è proprio da popolo che dalla storia, dalla realtà ha preso solo solenni batoste, che poteva emergere pian piano la nuova filosofia dalla Harendt, ad Anders fino a Levinas, si è cominciato a spostare l'attenzione sul problema dell'altro, del prossimo, del vicino etc.....etc.....
Ripeto non è che se leggiamo uno di questi 3 autori allora ci troviamo di fronte a proposte irrazionali, ma ci troviamo di fronte a persone che riflettono a lungo sul destino umano legato alle sue passioni. (una per tutte la celebre "banalità del male", la banalità del male come routine, come delegazione delle intenzioni, appunto come delegazione al potere PER un potere minore, ma comunque potere).
Non è che il problema gerarchico si dissolve facilmente. Non serve dire democrazia quando in realtà ci di demanda ad un potere più grande.
Tra l'altro a Dicembre assisteremo con la vittoria del sì, con la vittoria della razionalità, perchè diranno che questo è giusto e vero (santo), al suo completo inveramento del contrario, non ci sarà più nemmeno la demandazione, tanto demandare per demandare senza riflettere, il potere ha capito che può permettersi di elimiare la stessa demandazione.(il buon Carmelo Bene queste cose le aveva già intese, ma essendo uno spirito anarchico e non un filosofo, non diede mai soluzioni).
Insomma bisogna usare la razionalità come ancella del sentimento e non il contrario: semplicemente non funziona!
Sono d'accordo con la conclusione di Green Demetr.
Purtroppo la razionalità, per quanto importante se non altro perché rende necessario fermarsi a riflettere sul significato del proprio agire, non è sufficiente all'etica, non lo è mai stato. Essa può infatti servire a giustificare e a promuovere qualsiasi intento, buono o malvagio che sia. Certamente si potrebbe assumere come del tutto razionale il comandamento morale di non nuocere agli altri e a se stessi o, come intese Kant nel suo tentativo di stabilire un principio morale fondamentalmente razionale, di considerare l'essere umano sempre come fine e mai come mezzo. Principi sacrosanti di morale cristiana e laica, la cui negazione appare completamente irrazionale, eppure ... eppure nessuna azione malvagia, non etica prescinde da uno scopo che si ritiene buono, soprattutto se pubblica. Nessuna azione intende nuocere, è concepita per nuocere (salvo che in rarissimi casi di nichilismo sadio masochistico forse) ma al contrario, si vuole promuovere sempre il bene (il vero e unico bene) della comunità di cui ci si intende prendere cura, al limite dell'intera umanità e per promuovere questo bene supremo (e supremamente razionale) si rivelano sempre necessari dei sacrifici per rintuzzare "il regno del Male" che si contrappone al nostro adamantino e perfetto "regno del Bene". E a questo scopo può apparire quanto mai opportuno considerare pure l'essere umano, lo sconosciuto quanto l'amico, quanto il mondo intero come mezzi e non più come fini.
Come ho detto prima se la vera razionalità va intesa come quella che sa ammettere il suo limite, così l'atteggiamento etico deve poter riconoscere il proprio non configurarsi mai come assoluto (o quanto meno non concedersi altro assoluto fuori di questo). L'etica è prassi prima di essere pensiero, non può essere pensiero che domina la prassi, ma che l'accompagna. E credo che questo, più che razionale sia ragionevole. Ogni etica potrà essere volta al bene finché riuscirà a mantenersi ragionevole e per questo il sentimento (modo di sentire) etico viene prima di ogni sua razionalissima definizione.
Citazione di: DrEvol il 21 Ottobre 2016, 16:47:44 PM
Aristotele vedeva chiaramente che non esiste etica senza razionalità e che non esiste felicità senza etica. Questa correlazione tra razionalità, etica e felicità era valida ai suoi tempi (anche se i contenuti erano diversi da quelli di oggi), ma il principio non è più valido oggigiorno?
La triangolazione (parodisticamente hegeliana ;D) fra razionalità/felicità/etica,
se la si accetta, mette ambiziosamente in relazione un'
innata attitudine cognitiva, un desiderato vissuto
individuale, una sovrastruttura
sociale condizionante.
A seconda di quale elemento fra i tre venga considerato (arbitrariamente) fondante, si ottengono differenti prospettive:
-se si dà la precedenza alla razionalità, subordinandole etica e felicità, si assume una prospettiva razionalistica (oppure utilistaristica);
-se si mette l'accento sulla felicità per poi orientare razionalità ed etica, si è in una prospettiva edonistica;
-se invece si parte dall'etica per impostare la razionalità e la felicità, ci si muove in una prospettiva moralistica, di derivazione religiosa (se non schiettamente religiosa), anche quando si tratta di un approccio emancipatamente laico (come nel caso della politica in cui, proprio come nella fede, viene solitamente presupposto un "dogma del Giusto", che non è mera convenzione giuridica, connesso ad un Bene che può avere radici solo in un improbabile giusnaturalismo oppure essere dissimulatamente "debole" ed opinabile).
Se invece non accettiamo la suddetta "triangolazione virtuosa", o almeno ne riconosciamo la contingenza, possiamo anche comprendere come ci siano alcune etiche che prescindono dalla felicità e dalla razionalità (alcune morali "dittatoriali" legate al culto di una divinità), alcune felicità che non hanno nulla di etico e razionale (ovvero molte delle felicità nella vita quotidiana :) ), e alcune forme di razionalità che non badano a felicità ed eticità (la razionalità della programmazione o della ricerca scientifica).
"essere razionale", come suggerisce il termine "essere", non è una scelta, non è cioè la conseguenza di una decisione, di un atto che l'Io compirebbe in un certo istante della sua vita, bensì una disposizione, una condizione ontologica originaria. Essere razionali è la condizione che contraddistingue la natura umana, in questo senso non scegliamo di essere razionali, perchè ciò sarebbe assurdo nello stesso senso in cui sarebbe assurdo che noi saremmo umani perchè, scegliendo tra diverse alternative avremmo scelto l'essere umani, o avremmo scelto in nostro sesso... Questo non vuol dire che la razionalità sia uno stato totalmente esteriore ed indifferente alla nostra responsabilità. La razionalità è il tratto specifico dell'umanità, poi subentra l'individualità. In quanto individui ciascuno di noi sceglie liberamente in che misura sviluppare, attualizzare questa disposizione, applicando più o meno il dubbio, la critica alle situazioni in cui si trova. Quanto più sviluppiamo la razionalità quanto più costriuiamo dei filtri entro cui valutare e controllare i nostri istinti, i condizionamenti esterni, mettendoli in discussione, riservando così alla nostra soggettività un certo margine di distacco dalle sue oggettivazioni tale che nessuna di queste si ponga come fattore causale univoco e necessitante, a cui non riusciremo a ribellarci o a dire di no. C'è dunque un circolo strettissimo tra libertà e razionalità, per cui essere razionali ci rende liberi ed al tempo stesso sta alla nostra libertà sviluppare la disposizione ad essere razionali. Il circolo è virtuoso, non vizioso, sarebbe vizioso nel caso in cui i due termini, "libertà" e "razionalità" finissero col giustificare la loro presenza rimandandosi all'infinito l'uno con l'altro. Ciò perchè uno dei due, la razionalità, precede l'altro, la libertà, che non crea l'altra ex novo, ma attualizza le potenzialità inscritte in una predisposizione che è prima delle nostre scelte, mentre le scelte potenziano, approfondiscono, ma non creano nulla dal nulla
Sintetizzando in una battuta: essere razionali non è una scelta, ma il presupposto necessario di ogni scelta possibile
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone. Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.
Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone. Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.
Citazione"I filosofi hanno solo interpretato diversamente il mondo; ma si tratta di trasformarlo"
(Karl Marx, XI tesi su Feuerbach)
Il problema é che trasformarlo si é dimostarlo da allora estremamente difficile; e restando com' é imputridisce sempre più in tutti i sensi.
"Socialismo o Barbarie"
(Rosa Luxemburg)
Ma, stante lo sviluppo attualmente raggiunto dallo sviluppo delle forze tarasfomative (produttive ma anche distruttive) materiali, senza un socialismo tempestivamente realizzato la barbarie giungerà fino all' irreversibile distruzione delle condizioni fisico-chimiche e biologiche della sopravvivenza umana: non un qualche "nuovo Medio Evo" più o meno lungo cui potrà comunque prima o poi succedere un qualche "nuovo Rinascimento", ma la fine della storia (umana; in senso letterale , non in quello becero e falso in cui ne blaterava Fukuyama).
***************************************************
Concordo con Green Demetr (al quale pure moltissimo mi oppone) che la ragione non può che essere l' ancella del sentimento nel senso (per parte mia; non sono sicuro che lui sarebbe d' accordo) che la ragione può indicarci i mezzi adeguati a raggiungere un fine (purché realistico) in determinate circostanze; può anche aiutarci a calcolare o meno (di solito solo probabilisticamente e di certo sempre non infallibilmente! Ma comunque molto meglio che qualsiasi strumento o atteggiamento irrazionale) la compatibilità o meno di insiemi di scopi oppure la loro reciproca esclusione e perseguibiltà alternativa; e inoltre a "soppesare" o "ponderare" in qualche modo non quantitativo e irriducibilmente vago e incerto (non letteralmente a "pesare", cioé non a misurare: impossibile trattandosi di res cogitans!) la forza complessiva di insiemi di scopi conseguibili alternativamente gli uni agli altri (l' intensità del desiderio di avere "la botte piena" rispetto a quello di avere "la moglie ubriaca") onde decidere quale scelta fra di essi sia preferibile per cercare di raggiungere la maggiore felicità possibile.
Ma desideri e aspirazioni li avvertiamo dentro di noi irrazionalmente, non si possono "dimostrare razionalmente".
Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone. Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.
Il decostruzionismo secondo me ha svolto il suo ruolo storico, di accompagnatore del processo Nichilista, ed è servito a far capire quali siano i cocci rimasti dalla grande fine delle metafisiche.
Ora capisco il terrore a vedere tutte quelle virtù cattoliche cadute a pezzi.
Ma bisogna rimboccarsi le maniche, comprese le forze cattoliche a cui molti filosofi guardano con speranza.
Quindi piano a prendersela con coloro che semplicemente hanno preso nota della situazione.
Il punto è sempre quello comunitario, che sia cattolico, giudaico o ateo, francamente è un dettaglio.
E' proprio perchè il male c'è sempre stato che bisogna affrontarlo con nuova sensibilità e intelligenza, magari a vista d'uomo, sono d'accordo con sgiombo (una volta tanto), dimodochè ricominciamo a capire il tema dell'amicizia. Cosa che Nietzche fece al suo tempo, vedi i 3d in corso di Garbino. (poi è ovvio che Nietzche si concentri più sull'ambito laico, ma la stima che mostra verso la figura del Cristo, fa capire, che sebbene non creda nei suoi fedeli, comunque ne stima la via che ha indicato).
La ragione serve ancora, eccome se serve!!!
Per quanto riguarda la fine del Mondo, pronosticata entro 100 anni, visto i danni che sta già facendo la deviazione della corrente del golfo (vedi Haiti quest'anno, la Florida un paio d'anni fa....), è ovvio che assisteremo ad una risposta politica.(e quindi terribilmente ingiusta, già si sa....ma comunque noi non la vedremo di certo....forse qualche giovine). Dunque bisogna stare calmi e proseguire lentamente questo tentativo di riforma comunitaria.
A mio avviso se non parte dal privato, nei rapporti che ciascuno ha con gli altri, la vedo difficile comunque a livello teorico. (questo significa essere onesti e ammettere il proprio egoismo in primis).
Poi se uno vuole credere nella collaborazione, beh lo faccia, io ho già dato, e ho visto cose buje.(e pur sapendolo visto che parafrasando Galimberti, il nichilismo abita già nelle nostre case, rimane una esperienza di vissuto veramente amara).
Se per collaborazione intendiamo le macchine....beh è oggetto di altro 3d....perchè sì nessuno ci rinuncia, sono un bene...ma non è tutto oro quello che luccica.
E su questo qualunquismo generale, scappo. a presto.
Citazione di: DrEvol il 22 Ottobre 2016, 23:30:51 PM
Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM"Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo." Concordo con CVC
Concordo anch'io con Cvc.
Non c'è sostanzialmente nulla di nuovo sotto il sole. L'uomo è sempre lo stesso essere fondamentalmente semplice e violento ( la specie di gran lunga più violenta apparsa sul pianeta), solo il suo pensiero è estremamente complesso ma, purtroppo, non altrettanto profondo...
( come mi disse una volta un vecchio contadino: "Complessità non fa sempre rima con profondità").
Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone. Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.
anch'io condivido le cose che dici;
direi di più'...non solo non sono il frutto della pura arbitrarietà ma si ricollegano e corrispondono nella loro essenzialità a cio che e' da sempre e per sempre.la tecnologia ha cambiato il mondo ma i valori dell'uomo sono sempre quelli,pero il punto secondo me,non sono i valori a cambiare,(perché come provato a dire sopra,quelli appunto non cambiano e non possono cambiare,essendo perenni ed immutabili) ma l'uomo a non riconoscerli più' :) ::)
Dopo aver letto tante erudite e interessanti risposte, mi convinco ancor più fermamente che essere razionale è una scelta, una voluta e deliberata presa di coscienza. Non parlo dell'essere quale entità umana (ossia, la nostra potenzialità di usare il ragionamento logico che possediamo geneticamente). Parlo dell'essere col significato di possibilità, di opportunità, di valore voluto e ricercato consapevolmente. La potenzialità di ragionare logicamente ce l'abbiamo tutti, ma ad incrementarla, raffinarla e praticarla ci vuole un atto di volontà, di deliberata scelta.
Che poi si dica che la nostra razionalità sia succube delle emozioni o istinti e che le emozioni regnano su di essa questo comporta delle implicazioni. Che cosa dovremmo dedurre da questa osservazione? Dobbiamo concludere che non abbiamo la capacità di sviscerare il significato delle nostre emozioni attraverso il raziocinio? Non mi pare che l'uomo civilizzato sia tale perché ha permesso al suo raziocinio di rimanere permanentemente in balia delle sue emozioni.
Quello che alcuni chiamano anima, spirito interiore, altri chiamano coscienza, oppure ego, oppure identità individuale. Comunque venga chiamato, questo aspetto del nostro essere umani è un prodotto di un cervello concettuale, di un cervello capace di tradurre la realtà concreta e sensoriale che percepiamo fisicamente in astrazioni completamente immateriali, E poi, questo nostro cervello straordinario ha la capacità di utilizzare le astrazioni, i concetti, e creare con essi nuove cose concrete, modificare le cose concrete della realtà naturale in cose nuove mai esistite prima. Non solo... ma il nostro cervello ci permette di auto-osservarci. Ci permette di valutare i nostri istinti, le nostre emozioni o passioni, Ci permette di censurarne alcune ed implementarne altre. Si, perché l'interazione tra razionalità ed emozioni è costantemente aperta ed interdipendente. Non esiste pensiero che non rifletta una sana dose di emotività e non esiste emozione che non possa essere osservata dal raziocinio.
Sgiombo, il passaggio della filosofia da teoria a prassi, da mezzo per capire il mondo a mezzo per trasformarlo ha coinciso con il porre l'economia al centro dell'uomo. Il marxismo, il socialismo, sono filosofie che pure nei loro ideali ugualitari finiscono col porre la questione economica al centro di tutti i problemi, laddove la filosofia è nata come fenomeno spirituale. Materialismo storico se non erro significa proprio questo: storia dell'uomo = storia dell'economia.
Quanto alla ragione come ancella del sentimento, io nemmeno credo sia il sentimento ancella della ragione. Non ci sono ancelle e padroni, semplicemente perché ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento. Il fatto è che, non credendo nella percezione diretta, tutto ciò che pensiamo è già stato etichettato dal linguaggio e dal raziocinio, e il cambiate le etichette (i nomi) influisce sul nostro sentire. Tutto ciò che non ha etichetta è inconscio. Sul fatto l'inconscio ci domini, sono d'accordo, ma in modo indiretto. La ragione determina la nostra volontà nel momento in cui distingue cosa desiderare e cosa evitare, e ciò avviene a livello conscio.
Green, non è questione di terrore nel vedere i valori tradizionali cadere a pezzi. Le grandi filosofie ellenistiche - cinismo, stoicismo,epicureismo, scetticismo - sorgono proprio nel momento in cui, dopo Alessandro Magno, cadono i valori della polis e la grecità si mescola alle altre culture. C'è un qualcosa in comune con la globalizzazione attuale, l'uomo capisce che non può più identificarsi con lo stato e le sue leggi, così cerca l'autarchia, l'autonomia spirituale. Così nasce l'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno. La differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale. Laddove si auspica un risveglio dell'uomo non sotto le insegne dei valori di giustizia e libertà, ma alla luce dell'ideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge, non so che dire.
Sariputra e Acquario, a me piace pensare che se l'intera civiltà andasse distrutta, e ne sorgesse un'altra del tutto ignara dell'esistenza della precedente, ancora si fonderebbe - o meglio tenterebbe di fondarsi - sugli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza, solidarietà.
DrEvol, ho una sensazione simile ad una sorta di ritorno a casa quando, dopo tante elucubrazioni, si torna a parlare di un'interiorità dell'uomo (anima, io, identità...) e si pensa che è in questa interiorità che si svolge il "gioco" della vita: distinzione fra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Il che sottintende che c'è qualcosa che dipende da noi e non siamo cocci di navi spezzate alla deriva, totalmente in balia dell'inconscio (questo vento impazzito) e del caso (mare sinistro).
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AM
Sgiombo, il passaggio della filosofia da teoria a prassi, da mezzo per capire il mondo a mezzo per trasformarlo ha coinciso con il porre l'economia al centro dell'uomo. Il marxismo, il socialismo, sono filosofie che pure nei loro ideali ugualitari finiscono col porre la questione economica al centro di tutti i problemi, laddove la filosofia è nata come fenomeno spirituale. Materialismo storico se non erro significa proprio questo: storia dell'uomo = storia dell'economia.
CitazionePer me la filosofia della prassi (per dirlo a la Gramsci) si pone sì come scopo non semplicemente di capire il mondo ma di trasformarlo (ma capendolo, conoscendolo nella usa realtà oggettiva come conditio sine qua non per poterlo trasformare).
Ma non pone l'economia al centro dell'uomo, bensì riconosce per l' appunto il fatto oggettivo che essa di fatto è in ultima istanza e attraverso molteplici e complesse mediazioni determinante nella storia umana (ma "storia dell'uomo = storia dell'economia" ne è una semplificazione decisamente caricaturale); e in base a questa conoscenza oggettiva opera per trasformarlo (ovviamente questa è la mia convinzione; non credo proprio che sia il caso di tentare in questa sede di argomentarla, anche solo molto approssimativamente e per brevi cenni, pur sapendo bene che ben pochi la condividono; mi limito a illustrare ciò che penso a chi ne possa eventualmente essere interessato).
Quanto alla ragione come ancella del sentimento, io nemmeno credo sia il sentimento ancella della ragione. Non ci sono ancelle e padroni, semplicemente perché ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento. Il fatto è che, non credendo nella percezione diretta, tutto ciò che pensiamo è già stato etichettato dal linguaggio e dal raziocinio, e il cambiate le etichette (i nomi) influisce sul nostro sentire. Tutto ciò che non ha etichetta è inconscio. Sul fatto l'inconscio ci domini, sono d'accordo, ma in modo indiretto. La ragione determina la nostra volontà nel momento in cui distingue cosa desiderare e cosa evitare, e ciò avviene a livello conscio.
CitazioneCome mi pare risulti evidente anche da quanto da me scritto, concordo che ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento; non concordo invece con una teoria aprioristica della conoscenza (se ben la capisco) qual quella cui accenni.
Men che meno concordo sull' inconscio, che ritengo una sorta di "mostruosità ideologica freudiana (aggettivo cui attribuisco una connotazione decisamente deteriore)" del tutto priva di alcun valore scientifico (anche questo senza ridicole pretese di convincere chichessia attraverso una discussione come questa).
I sentimenti di cui parlo, che ci pongono scopi che la ragione può cercare di "ponderare" e di realizzare nella parte preferibile fra quelle alternativamente possibili mediante opportuni mezzi, sono ben consapevoli (li avvertiamo coscientemente).
Secondo me è più giusto dire che la ragione, nel momento in cui cerca di distinguere e valutare cosa è più fortemente desiderato e cosa meno, cosa da ricercare e cosa da evitare (e a cosa rinunciare) per sperare di ottenere la migliore soddisfazione complessiva possibile dei nostri desideri irrazionali (e ciò avviene a livello conscio: perfettamente d' accordo!) contribuisce a determinare la nostra volontà in concorso con i sentimenti che gli scopi dell' azione ci pongono indiscriminatamente, con maggiore o minore forza.
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:29:19 AM
Sariputra e Acquario, a me piace pensare che se l'intera civiltà andasse distrutta, e ne sorgesse un'altra del tutto ignara dell'esistenza della precedente, ancora si fonderebbe - o meglio tenterebbe di fondarsi - sugli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza, solidarietà.
CitazioneA me piace pensare che nell' universo infinito esistono altri pianeti abitati da viventi simili al nostro.
E che, come in parte di essi la vita si estingue non avendo superato la condizione degli procarioti (batteri); in un' altra parte non avendo superato quella degli eucarioti monocellulari; in un' altra ancora non avendo superato quella dei pluricellulari vegetali e animali privi di linguaggio e autocoscienza (e di "storia umana o similumana" accanto alla "storia naturale"; come sarebbe successo qui da noi se insieme ai dinosauri si fossero estinti anche i primi mammiferi); così potrebbe darsi ed effettivamente sia che in un' ulteriore parte minore la "storia similumana" superi per tempo la fase "similcapitalistica" prima dell' estinzione dei viventi autocoscienti e raggiunga una fase "similcomunistica".
E che (nel caso probabile l' umanità si autoestingua non riuscendo a superare il capitalismo), come noi pensiamo con ammirazione e gratitudine a chi ha lottato prima di noi per la giustizia e il progresso ed é stato sconfitto (da Spartaco a fra Dolcino, a Huss, a Robespierre, a Babeuf, a Toussaint Louverture, a Salvador Allende, a Thomas Sankara e a tantissimi altri dai nomi sconosciuti), allo stesso modo, con la stessa ammirazione e venerazione i "similuomini nuovi" di quei fortunati pianeti pensano a noi che qui sulla terra e in altri mondi ci battiamo per salvare la nostra umanità e il suo progresso storico venendo (se lo saremo, come é probabile) sconfitti.
Lo so, é una consolazione più "religiosa" che "filosofica", per dirlo in termini boeziani, non molto razionalistica.
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AM
Green, non è questione di terrore nel vedere i valori tradizionali cadere a pezzi. Le grandi filosofie ellenistiche - cinismo, stoicismo,epicureismo, scetticismo - sorgono proprio nel momento in cui, dopo Alessandro Magno, cadono i valori della polis e la grecità si mescola alle altre culture. C'è un qualcosa in comune con la globalizzazione attuale, l'uomo capisce che non può più identificarsi con lo stato e le sue leggi, così cerca l'autarchia, l'autonomia spirituale. Così nasce l'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno. La differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale. Laddove si auspica un risveglio dell'uomo non sotto le insegne dei valori di giustizia e libertà, ma alla luce dell'ideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge, non so che dire.
Ma infatti l'epicureismo viene recuperato da Nietzche, e lo stoicismo pur nel suo idealismo metafisico introduce per primo l'idea di sopportazione, tema imprescindibile nella riflessione contemporanea.
Il punto dello spiritualismo non è che esso è defunto, direi tutt'altro, è che nella sua accezzione politica, non riesce proprio a scrollarsi di dosso il suo corollario, ossia quello del potere.
Se io entro in un gruppo catechetico, o se io entro in un gruppo locale comunista (ce ne sono ancora no?), la regola della gerarchia non cambia proprio MAI.
Per questo bisogna rifondare gruppi che imparino l'arte del riconoscimento del male insito in ognuno di noi.
CI vuole un gran forza per non cadere nella fascinazione del leader. Noi si deve portare come esempio quella forza, senza per questo poi a nostra volta diventare leader. Per fare questa cosa, bisogna però scontrarsi col reale. Questo implica automaticamente rigettare l'idea dell'impossibilità, come se veramente il destino umano ne sia improntato meccanicamente. Direi di no, fa parte di quella filosofia che ragiona del bio-potere. Questa rassegnazione e pessimismo diffuso sono esattamente quelle che il potere coltiva da anni. Non siamo macchine fin quando c'è posto per pensare l'utopia, e cioè vivendo il reale.
BEne! detto ciò io rifuggo nel virtuale di nuovo, a presto!!!(voglio essere onesto, io personalmente non posso che resistere, ad oggi.)
Essere razionale è una scelta?
Un saluto a tutti e confesso che mi dispiace di aver notato questa riflessione inserita da Dr Evol, che saluto cordialmente, soltanto adesso. A mio avviso, ne è sorta una discussione molto interessante da cui però devo forzatamente restare fuori per via del compito che mi sono posto e che mi impegna a fondo.
Comunque una piccola riflessione volevo aggiungerla e passo ad esporla.
L' uomo è un essere dotato di razionalità e su questo non si discute. Ma anche che ogni individuo ha un preciso grado di razionalità raggiungibile. Infatti si va dallo 'scemo' al 'genio'. Poi naturalmente, per diversi ed ovvi motivi, ciascuno raggiunge un determinato grado della sua potenzialità razionale.
Da queste premesse, sempre a mio avviso, scaturisce che la possibilità di scelta di essere razionale aumenta in base al grado di potenzialità raggiunto, ma può anche essere assente.
Sempre in base a queste premesse, direi che, come al solito, tutto si riconduce alla fortuna di essere stato dotato di una buona base genetica e di aver potuto sviluppare l' attività razionale nel miglior modo possibile.
Inoltre bisogna considerare che qualsiasi attività umana spesso sfugge a fattori squisitamente logici, perciò può anche accadere che si ci ritrovi ad essere razionali non per scelta ma per altri motivi, che possono essere legati ad esempio alle spinte irrazionali del nostro sommerso.
Per il momento devo fermarmi qui perché ogni ulteriore approfondimento, come ad esempio quello che riguarda il legame tra felicità etica e razionalità ci porterebbe molto lontano e magari lo riprenderemo in un momento meno delicato ( soprattutto per la mia salute psichica, ah ah ah!! ).
Vi ringrazio della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AMideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge
Vorrei provare ad "esorcizzare" la cattiva reputazione che alcuni approcci filosofici si trascinano dietro: il nichilismo, pronipote dello scetticismo, quando supera la sua veemenza adolescenziale per maturare in relativismo, pluralismo e affini, non è affatto una malattia che mira a destabilizzare la società, fagocitare i valori classici, distruggere ciecamente le tradizioni, innescando apatie ideologiche e disorientando gli uomini dell'occidente. Questi risultati sarebbero incoerenti con una posizione "debole" e, soprattutto, "plurale". Una riflessione critica sui fondamenti delle posizioni tradizionali, se sfocia in un indebolimento di suddette posizioni, non va confusa con il desiderio di rimuoverle dal panorama culturale (quello è un estremismo che confonde la negazione con l'avversione/aggressione, confondendo "a" con "anti": così l'
ateo diventa
antireligioso, l'
apolitoco risulta
antipolitico, etc.), poichè è solo l'acquisizione della consapevolezza che tali posizioni (egemoniche o meno) possono invece essere legittimamente affiancate ad altre, ma non in una gerarchia verticale, bensì in una pluralità orizzontale.
Questo comporta che una vale l'altra? Decisamente no. Comporta invece che nessuna può avere un buon motivo (ideo)logico per cercare di dominare l'altra, per muovere guerra in nome del possesso della verità assoluta (se, utopicamente, fossimo tutti relativisti, sarebbero impossibili le guerre ideologiche, ma ci sarebbero solo guerre apertamente economico-politiche...).
Facendo un esempio banale, eppure, spero, chiarificatore: se tifo per la squadra X, non significa affatto che tifare per la squadra Y sarebbe per me indifferente (questione di gusti, predisposizione, storia personale...); tuttavia, partendo dalla consapevolezza di fondo "debole" che non c'è un "tifare" giusto o sbagliato, non ho alcun motivo di aggredire, nè fisicamente nè verbalmente, chi tifa la squadra Y. Se invece non ho tale consapevolezza, ecco che allora chi tifa la squada Y può diventare un nemico da sconfiggere, uno che non capisce, uno che è inferiore etc. (chi infatti confonde il tifare con la violenza ha i suoi problemi, su cui non è il caso di soffermarsi qui...).
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AMLa differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale
I valori attuali o sono quelli storicamente intramontabili (ovvero quelli minimamente necessari alla convivenza in una medesima comunità) oppure sono quelli variabili, che sono il risultato delle contingenze storico-culturali peculiari di ogni epoca, e se ciò comporta un cambiamento di paradigma, non significa che non ci siano più valori, semmai, "non ci sono più i valori di una volta" ( ;D ), come è inevitabile che sia, non essendoci più "le società di una volta" ed essendo il mutamento sociale, tecnologico, etc. una costante della storia dell'uomo..."Modificare" significa "distruggere" solo per chi non comprende, o non approva, il cambiamento (perchè magari "svaluta" la sua prospettiva oppure riduce il fascino e l'assolutezza delle sue certezze... non parlo di qualcuno in particolare, non fraintendetemi :) ). Oggi in una situazione che non presenta più posizioni forti (ma ex-posizioni forti sono ancora in perfetta forma, basti pensare al contesto italiano...), il disincanto prende la forma di una maggiore possibilità di scelta per le riflessioni, che può anche spaesare chi era abituato ad un panorama più nettamente caratterizzato (fatto di monoliti la cui stabilità rassicurante era incisa nella loro polvere secolare), ma, da un lato, la capacità di adattamento resta un fattore indispensabile per vivere, dall'altro, molte delle lezioni del passato possono essere attualizzate fornendo conforto (come fossero un vademecum per l'uomo senza epoca), ad esempio, come tu stesso ricordi:Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AMl'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno.
non è poi un ideale che sia "scaduto" con il passare dei secoli ;)
Citazione di: Garbino il 23 Ottobre 2016, 16:25:58 PM
Da queste premesse, sempre a mio avviso, scaturisce che la possibilità di scelta di essere razionale aumenta in base al grado di potenzialità raggiunto, ma può anche essere assente.
Sempre in base a queste premesse, direi che, come al solito, tutto si riconduce alla fortuna di essere stato dotato di una buona base genetica e di aver potuto sviluppare l' attività razionale nel miglior modo possibile.
CitazioneAl di fuori di casi decisamente patologici non é il patrimonio genetico bensì l' esperienza vissuta fin dalla più tenera età (fattori epigenetici, sia materiali -nutrizione, evitamento o meno di patologie- sia soprattutto culturali: stimoli ricevuti a sviluppare le proprie capacità potenziali) che determinano la fortuna di maturare una razionalità più o meno compiuta.
Dr Evol,
già dalla domanda posta inizialmente c'è una contrapposizione fra la natura umana e una ontologia razionale.
Se l'uomo è semplicemente natura che si trova un cervello e una mente segue un iter antropologico che nega la razionalità etica aristotelica. Perchè l'etica coincide con l'utilitarismo, con la convenienza, con la mediazione sociale fra dovere e diritto. Se invece l'etica è il punto alto in cui la razionalità relega la natura istintiva ad essere educata nella ragione allora i concetti di bene, di buono debbono essere codificati e trovarne una ontologia dimostrativa.
L'argomento è vastissimo perchè entra dalla filosofia morale a quella del diritto e politica.
Ma dall'altra la scienza, che attualmente è vincente, relativizza l'etica alla soddisfazione.
Sono più soddisfatto e mi rende felice un comportamento egoistico oppure rinuciatario in cui in quest'ultimo la rinuncia vine spostata ad un appagamento sociale di condivisione? Perchè è chiaro che l'egoismo individualizza, restringe la socializzazione ad un 'etica individualistica, mentre quella sociale risponde alla necessità dell'uomo sociale di identificarsi in un popolo e quindi l'uomo etico diventa cultura e si fa storia.
La scelta implica un grado di libertà e passa per la propria autocoscienza.Nella misura in cui scelgo che la mia personale felicità non sia riempirmi di denaro e potere, ma di conviverlo socialmente ed equamente ecco che entrano i valori sociali e individuali come giustizia, come uguaglianza,come solidarietà come fratellanza.
Contraccambio il saluto a Garbino e ben trovato su questo sito.
Paul11,
Trovo interessanti le tue osservazioni. Mi fanno riflettere su certi punti. Per esempio: E' vero che, come dici tu, l'etica coincide con l'utilitarismo? E mi domando anche se sia vero che l'evoluzione ci ha portato a negare la razionalità etica aristotelica.
Secondo me l'etica, intesa come la ricerca del Bene, deriva dallo sforzo razionale di comprendere la natura umana, con i suoi istinti, impulsi, passioni e non "relegarli" ad essere educati. Le passioni o emozioni sono solo segnali naturali che ci dicono cosa ci piace e cosa non ci piace, quali esperienze producono piacere e quali vanno evitate. Le emozioni sono meccanismi di sopravvivenza automatici; la ragione è la capacità di discernere se tali meccanismi ci fanno da saggia guida finale o se, una volta analizzati, possono e devono essere motivi validi di azione oppure ignorati. Si, perché le emozioni ci fanno sentire qualcosa, ma la ragione è l'arbitro finale che determina le nostre azioni (etiche o non). Questa è stata la natura dell'uomo fin dal suo sorgere e non è cambiata di un iota nell'uomo moderno.
Il Bene, ovviamente, è il fattore codificatore dell'etica. La razionalità è lo strumento umano che ci permette di sapere cosa intendiamo per Bene. Ed è proprio sul concetto di Bene che gli esseri umani sono tuttora impreparati a trovare quel principio assoluto che coniuga la natura emotiva ego-centrica di ogni individuo con la convivenza, la solidarietà, il mutuo rispetto, la socializzazione e la fratellanza. Qualsiasi forma di convivenza, rispetto, fratellanza si ferma di fronte a qualcuno o qualcosa che minaccia la nostra vita. Le teorie dell'etica sociale tendono a sostituire la società per Dio. Per questo motivo, non c'è sostanziale differenza tra l'etica religiosa e l'etica laica che pervade attualmente. Entrambe sono etiche sociali - non individuali. L'etica sociale si atteggia a voler proteggere e migliorare la vita sulla terra, ma non la vita degli esseri umani in carne ed ossa quali individui, ma la vita di un'astrazione senza corpo e senza esistenza che si chiama società. E' l'etica assurda che vorrebbe poter salvare la società a spese di coloro che la compongono.
Si tratta di produrre una profonda rivoluzione della coscienza individuale che comincia in ognuno di noi con la semplice domanda: La mia vita, a chi appartiene? Appartiene a Dio? Quindi è morale solo quello che risponde alla Sua volontà, anche a scapito della mia razionalità? Appartiene alla società? Quindi è morale tutto ciò che promuove il bene sociale, anche se distrugge il bene degli individui? E se la mia vita è veramente mia, che cosa viola la mia libertà di agire in accordo con la razionalità?
** scritto da DrEvol:
CitazioneLe passioni o emozioni sono solo segnali naturali che ci dicono cosa ci piace e cosa non ci piace, quali esperienze producono piacere e quali vanno evitate. Le emozioni sono meccanismi di sopravvivenza automatici; la ragione è la capacità di discernere se tali meccanismi ci fanno da saggia guida finale o se, una volta analizzati, possono e devono essere motivi validi di azione oppure ignorati.
Si, perché le emozioni ci fanno sentire qualcosa, ma la ragione è l'arbitro finale che determina le nostre azioni (etiche o non). Questa è stata la natura dell'uomo fin dal suo sorgere e non è cambiata di un iota nell'uomo moderno.
Sono d'accordo sulle segnalazioni dateci dalle passioni o emozioni, ma la guida finale, la saggezza, non deriva dalla ragione, altrimenti nessuno amerebbe.
L'arbitro finale che determina l'azione è la fede, la ragione di fede per meglio intenderci. Quindi la saggezza illumina la fede, ma entrambi non sono direttamente proporzionali con l'istruzione o la conoscenza acquisita, ma sono talenti soprannaturali, metafisici (visto che siamo in Tematiche Filosofiche).
Per un cattolico la saggezza, ossia la ragione, cioè la ragione di fede, è ciò (in correlazione con l'esperienza) che c'insegna a discernere il bene dal male, e l'intelligenza, invece, è la facoltà che ci fa decidere in favore del bene, del giusto, dell'autentico. Teoria che incontra una prova certa quando, anche filosofi più che accademici, scelgono in favore de male, della frode, della bugia.
CitazioneSi tratta di produrre una profonda rivoluzione della coscienza individuale che comincia in ognuno di noi con la semplice domanda: La mia vita, a chi appartiene? Appartiene a Dio? Quindi è morale solo quello che risponde alla Sua volontà, anche a scapito della mia razionalità? Appartiene alla società? Quindi è morale tutto ciò che promuove il bene sociale, anche se distrugge il bene degli individui? E se la mia vita è veramente mia, che cosa viola la mia libertà di agire in accordo con la razionalità?
La coscienza che ci farcisce di ansia invece che di serenità.
Essere razionale è una scelta?
X Sgiombo. Se ho capito bene mi si contesta la differente potenzialità di base a livello genetico. A mio avviso, ciascun individuo ha un preciso grado di potenzialità genetica che gli viene trasmesso dai genitori. Ed è per questo che ritengo primaria la fortuna di possedere un buon patrimonio genetico. Sul resto sono completamente d' accordo. Infatti, se pur non dilungandomi, la mia intenzione era proprio quella di riferirmi a tutte le variabili a cui si accenna nel post di Sgiombo.
Ciò non toglie che comunque è sempre la fortuna a decidere, o il caso se vogliamo. Sia per quanto riguarda la potenzialità iniziale, sia per quanto riguarda le condizioni ambientali in cui ciascun individuo si viene a trovare dalla sua nascita.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 24 Ottobre 2016, 11:01:52 AM
Essere razionale è una scelta?
X Sgiombo. Se ho capito bene mi si contesta la differente potenzialità di base a livello genetico. A mio avviso, ciascun individuo ha un preciso grado di potenzialità genetica che gli viene trasmesso dai genitori. Ed è per questo che ritengo primaria la fortuna di possedere un buon patrimonio genetico. Sul resto sono completamente d' accordo. Infatti, se pur non dilungandomi, la mia intenzione era proprio quella di riferirmi a tutte le variabili a cui si accenna nel post di Sgiombo.
Ciò non toglie che comunque è sempre la fortuna a decidere, o il caso se vogliamo. Sia per quanto riguarda la potenzialità iniziale, sia per quanto riguarda le condizioni ambientali in cui ciascun individuo si viene a trovare dalla sua nascita.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
CitazioneSono d' accordo, salvo considerare per parte mia (al di fuori di casi decisamente patologici) sostanzialemente irrilevanti i fattori genetici e determinanti quelli ambientali nel differente sviluppo della facoltaà intelletive umane.
Sgiombo, sul discorso della filosofia come prassi e sulla percezione diretta abbiamo pareri diversi e, come intelligentemente dici, non vale la pena insistere ulteriormente dato che presumibilmente ognuno rimarrebbe comunque sulla propria posizione.
Forse converremo invece che se è vero che è impossibile dimostrare che giustizia e libertà sono valori cosmici (seppure nella premessa che li intendiamo tali per gli esseri con intelligenza simile alla nostra), d'altra parte se ci togliamo questi, che ci resta?
Green, sicuramente Nietzsche ha dato un notevole impulso filologico alla filosofia antica, in un epoca dove lo storicismo spingeva ad interpretare il mondo antico sempre col senno di poi, guardandolo con lenti ad esso posteriori e sistematizzandolo secondo criteri ad esso sconosciuti. Vizio ben radicato pure nei nostri tempi. In particolare la critica contemporanea tende sempre ad ignorare il traumatico passaggio dalla cultura orale a quella scritta, e da alla filosofia antica un'intellettualità (nel senso di una rigorosa organizzazione sistematica del pensiero figlia della scrittura) che spesso non possedeva, laddove la filosofia era più esercizio meditativo-contemplativo che conoscenza sistematica. Nietzsche ha tentato di riportare in auge il valore dell'oralità, con parole che intendono evocare oltre il senso scritto delle parole.
Il tema del riconoscimento del male insito in ognuno di noi è stato spinto a fondo dal cattolicesimo, dove però si presta a pesanti strumentalizzazioni, come I templari che dovevano uccidere per rimettere I propri peccati, con San Bernardo che li esortava quindi ad uccidere con tranquillità, in buona coscienza. Bene e male sono in continua lotta fra loro, e noi siamo il loro campo di battaglia.
Phil, il problema della verità assoluta sorge quando la filosofia da teoria diventa prassi. Un conto è se vivo con delle convinzioni che considero assolute (magari anche fino a prova contraria) ma non pretendo la stessa cieca devozione dagli altri, vuoi perchè sono tollerante verso il fatto che non la pensino come me, vuoi perchè reputo la diversità un valore. Ma ciò non inficia che io possa intimamente credere a delle verità per me incrollabili. Però se credo che, dato che io la penso così, allora anche gli altri devono pensarla come me, senza nemmeno considerare l'eventualità di un compromesso fra punti di vista diversi, allora nascono I problemi. Il problema non è credere a qualcosa in modo assoluto, il problema è voler estendere tale assoluto sugli altri. La filosofia nasce come conoscenza dell'universale in senso contemplativo, è da Platone in poi che si è pensato di usare la filosofia per comandare.
Le correnti filosofiche nichilistiche e postmoderne non mi hanno mai interessato perchè non vi ho mai intravisto nulla di interessante. Il che può senz'altro essere una mia lacuna. Pur conoscendo poco di questi pensatori, tuttavia, più che un recupero anche attualizzato dei valori pare emerga più una visione solipsista, un individualismo che non mette d'accordo nessuno se non sul fatto che i benefici derivanti dal rispetto dei valori diventa una questione arbitraria e utilitaristica.
Citazione di: DrEvol il 24 Ottobre 2016, 06:54:25 AMContraccambio il saluto a Garbino e ben trovato su questo sito. Paul11, Trovo interessanti le tue osservazioni. Mi fanno riflettere su certi punti. Per esempio: E' vero che, come dici tu, l'etica coincide con l'utilitarismo? E mi domando anche se sia vero che l'evoluzione ci ha portato a negare la razionalità etica aristotelica. Secondo me l'etica, intesa come la ricerca del Bene, deriva dallo sforzo razionale di comprendere la natura umana, con i suoi istinti, impulsi, passioni e non "relegarli" ad essere educati. Le passioni o emozioni sono solo segnali naturali che ci dicono cosa ci piace e cosa non ci piace, quali esperienze producono piacere e quali vanno evitate. Le emozioni sono meccanismi di sopravvivenza automatici; la ragione è la capacità di discernere se tali meccanismi ci fanno da saggia guida finale o se, una volta analizzati, possono e devono essere motivi validi di azione oppure ignorati. Si, perché le emozioni ci fanno sentire qualcosa, ma la ragione è l'arbitro finale che determina le nostre azioni (etiche o non). Questa è stata la natura dell'uomo fin dal suo sorgere e non è cambiata di un iota nell'uomo moderno. Il Bene, ovviamente, è il fattore codificatore dell'etica. La razionalità è lo strumento umano che ci permette di sapere cosa intendiamo per Bene. Ed è proprio sul concetto di Bene che gli esseri umani sono tuttora impreparati a trovare quel principio assoluto che coniuga la natura emotiva ego-centrica di ogni individuo con la convivenza, la solidarietà, il mutuo rispetto, la socializzazione e la fratellanza. Qualsiasi forma di convivenza, rispetto, fratellanza si ferma di fronte a qualcuno o qualcosa che minaccia la nostra vita. Le teorie dell'etica sociale tendono a sostituire la società per Dio. Per questo motivo, non c'è sostanziale differenza tra l'etica religiosa e l'etica laica che pervade attualmente. Entrambe sono etiche sociali - non individuali. L'etica sociale si atteggia a voler proteggere e migliorare la vita sulla terra, ma non la vita degli esseri umani in carne ed ossa quali individui, ma la vita di un'astrazione senza corpo e senza esistenza che si chiama società. E' l'etica assurda che vorrebbe poter salvare la società a spese di coloro che la compongono. Si tratta di produrre una profonda rivoluzione della coscienza individuale che comincia in ognuno di noi con la semplice domanda: La mia vita, a chi appartiene? Appartiene a Dio? Quindi è morale solo quello che risponde alla Sua volontà, anche a scapito della mia razionalità? Appartiene alla società? Quindi è morale tutto ciò che promuove il bene sociale, anche se distrugge il bene degli individui? E se la mia vita è veramente mia, che cosa viola la mia libertà di agire in accordo con la razionalità?
DrEvol,
lo dicevo che è complessa la tematica e cercherò di approfondire le tre argomentazioni da tre proposte .
Gli istinti che ci arrivano attraverso stimoli e pulsioni, non possono essere bypassati, vale a dire obnulati o repressi.
anche perchè a loro volta prima che diventi razionalizzazione autocosciente, sono prima sentimento.
Intendo dire che la scelta egoistica o sociale deve ritornare come soddisfazione al sentimento e anche all'istinto, diversamente l'individuo è schizofrenico . Vale a dire che i sentimenti e pulsioni sono metabolizzati dentro una ragione che a sua volta attraverso la volontà sceglie un comportamento che lo finalizzi comunque alla soddisfazione della propria coscienza.
Non si capirebbe come mai vi siano due percorsi storicamente paralleli,: la soddisfazione del proprio egoismo e la soddisfazione del propria eticità.
Bisogna comunque includere il concetto di tempo nell'autocoscienza e nella razionalità, innegabile anche antropologicamente.
La razionalità umana contempla l'attualizzazione ad un ora e adesso di un tempo passato, presente e futuro.
Significa che genera aspettative e motivazioni che si traducono nel comportamento dell'ora e adesso.
Ad esempio la rinuncia dal punto di vista economico viene concettualizzata nell'interesse economico sul soddisfacimento di un capitale, che non essendo consumato ai fini di una felicità o soddisfazione attuale genera appunto un interesse.
L'etico invece si pone come rinuncia attuale ad istinto egoico, ma lo fa per trovare una sua felicità nel sociale, familiari, amici, conoscenti, popolo, quindi a sua volta si aspetta che quella rinuncia possa rappresentare a sua volta in uno stato di necessità futura che qualcun altro rinunci per lui. Quindi l' egoista si aspetta un aumento del proprio capitale attuale per mancata soddisfazione attuale, l'etica anch'esso si aspetta che il favore solidale che lega le persone istituisca una concatenazione virtuosa di aiuto da parte di chi può dare in un dato momento. L'orizzonte in cui noi ci comportiamo è ovviamente la nostra esistenza, ma l'eticità va oltre il processo economico dell'immediatezza, va nell'aldilà del credente, nel retaggio culturale educativo del laico in cui l'etica viene codificata nel diritto e nelle personalità giuridiche astratte e quindi formalizzabili razionalmente, come gli enti giuridici e i valori morali.
Il concetto di Bene di nuovo si scontra fra la natura umana "animale" e il razionalismo della ragione.
Già è difficile ontologicamente stabilire il Bene se non come attribuzione ad una entità superiore come Dio, ma anche perchè
deve essere declinato e relazionato sia nella teoria che nelle prassi comportamentali come punto di riferimento che validifichi o meno il giudizio di Bene e di Male
C'è una sostanziale differenza fra la razionalità teologica e l'etica laica soprattutto della modernità.
La teologia è legata a quel razionalismo aristotelico fino al tomismo e alla scolastica , l'etica moderna è legata alle argomentazioni da Cartesio in poi e le argomentazioni sono prescientifiche e non razionali se le intendiamo in forma aristotelica.
Un esempio chiiaro è Kant che inizia con la critica della ragion pura ,del pensiero per passare alla critica del la ragion pratica, e quindi dalla teoria passa alla prassi e infine la critica del giudizio ; il diritto anglosassone positivo deve molto alle analisi kantiane
Si passa quindi dal razionalismo greco ad un empirismo anglosassone, in cui in mezzo vi è i l diritto romano intriso a sua volta delle astrazioni che gli derivano dal cristianesimo, come il diritto canonico.
L'empirismo etico, se così posso dire, è invece la contrapposizione fra individuo e società da cui nasce una nuova dialettica sociale
Vale a dire il Bene individuale si scontra e media con il Bene sociale,e questo processo è attualissimo.
Quando scrivi: " .... ma non la vita degli esseri umani in carne ed ossa quali individui, m ala vita di un'astrazione senza corpo e senza esistenza che si chiama società". sei arrivato ad una giusta riflessione che è quella che ha permeato tutta la modernità.
Ma quell'astrazione deriva proprio dal razionalismo aristotelico che si poneva al di sopra delle quotidianità umane, in maniera dicotomica .Accade che quella dicotomia nella modernità venga rovesciata, ora è la natura i l mondo per come viene vissuto ed osservato il focus della conoscenza e della teoretica, per cui la prassi ritorna alla teoria come la teoria genera le prassi .
Per cui ora si riflette sull'assurdità che in nome di Dio o di uno Stato si faccia guerra, eliminando vite concrete in nome di un'astrazione.
Non credo all'etica del fardasè indiviidualistico sta generando decadenza.
Bisogna di nuovo ricodificare le etiche che non possono che essere condivise o l'umanità si eliminerà di propria mano.
** scritto da Garbino:
CitazioneCiò non toglie che comunque è sempre la fortuna a decidere, o il caso se vogliamo. Sia per quanto riguarda la potenzialità iniziale, sia per quanto riguarda le condizioni ambientali in cui ciascun individuo si viene a trovare dalla sua nascita.
E' sempre la stessa storia. Come può esserci una scelta, nell'essere razionale, se si crede alla fortuna che di razionale ha solo la personale fiducia?
La domanda che ho fatto è un po' infelice avendo usato quel "essere" che conferisce tanta ambiguità nel campo della filosofia, ma non nella semplice grammatica. Avrei dovuto fare il mio quesito così, come lo intendevo: Incrementare la nostra razionalità è una scelta? In questo modo non ci dovrebbe essere confusione sul fatto che l'uomo nasce con la potenzialità (più o meno determinante) di agire razionalmente, ma a seconda della cultura, dell'educazione e dello sforzo volitivo personale, la sua razionalità può essere incrementata con conseguenze più o meno significative (sempre se l'individuo lo vuole liberamente). Proprio perché agire razionalmente è un fenomeno intrinsecamente volitivo, e non casuale o accidentale, scegliere è un'azione implicita in qualsiasi ragionamento. Pertanto, la nostra razionalità è misurabile da quanto più ci è possibile aderire ai fatti inadulterati della realtà (leggi OBIETTIVITA'). Dobbiamo sempre tener presente che ogni scelta, e quindi ogni ragionamento, è limitato dal suo contesto di conoscenze. Siccome non siamo onniscienti, il limite della nostra razionalità è sempre dato dalla nostra capacità di prendere in considerazione tutti gli aspetti pertinenti che conosciamo per poter deliberare e agire il più razionalmente possibile.
Non posso dilungarmi e commentare i nuovi post arrivati durante la notte, poiché io sono a 7 fusi orari di distanza dall'Italia e devo accudire al mio lavoro. Però ci tengo a fare anche questa breve precisazione a proposito di quello che ha scritto Duc in Altum!
"Sono d'accordo sulle segnalazioni dateci dalle passioni o emozioni, ma la guida finale, la saggezza, non deriva dalla ragione, altrimenti nessuno amerebbe."
Secondo me, l'amore senza il supporto della ragione è un sentimento passeggero, un impulso casuale destinato a svanire nel nulla col passare del tempo. L'amore è indubbiamente il sentimento più ego-centrico tra tutte le passioni, poiché per amore si può morire. Chi o ciò che si ama con tutto il nostro essere diventa più importante della nostra vita ed è quindi ciò che dà significato alla nostra vita. Siccome la vita è il massimo dei valori umani, l'amore per ciò che dà significato alla nostra vita è il sentimento più importante del nostro essere, del nostro ego. Senza l'oggetto del nostro amore, infatti, il nostro ego perde tutta la sua ragione di esistere. Che cosa giustifica, dunque, il valore, l'intensità, la durata del nostro amore? La ragione, la razionalità, il ragionamento più o meno logico determina se il nostro sentimento deve continuare ad essere alimentato o deve essere riposto come superato. La stessa procedura si deve anche applicare al concetto di fede, specialmente la fede in un'entità mistica.
** scritto da DrEvol:
CitazioneSecondo me, l'amore senza il supporto della ragione è un sentimento passeggero, un impulso casuale destinato a svanire nel nulla col passare del tempo.
Infatti, se rileggi, puoi constatare che io parlo di ragione di fede, e mai solo di amore.
Purtroppo, a qualcuno conviene portare avanti la teoria che fede e ragione siano due rette parallele che mai s'incontrano. Mentre per me, più leggo e discuto di filosofia, od osservo la scienza attraverso i documentari della National Geographic, maggiormente consolido la fiducia che Deus cairtas est, ma che E' anche la perfezione della Ragione.
Il problema filosofico e razionale nasce quando ci si dimentica che l'incontro con qualcosa di vero avviene quando l'intuito spicca sul pensiero logico. Ossia, quando l'amore si esprime, apparentemente per gli altri, senza logica (es.- lo spot in cui l'innamorato vestito da coniglio rosa che canta una serenata d'amore, dall'esterno dell'edificio, alla fidanzata mentre è in una riunione di top-manager). Lì non c'è il supporto della ragione in maniera razionale o logica, lì siamo innanzi alla ragione della fede illogica e senza senso dell'amore vero, puro, autentico. Lì l'amore e la ragione sono nemici giurati.( cit. Corneille)
Teoria convalidata dal tuo:
CitazioneChi o ciò che si ama con tutto il nostro essere diventa più importante della nostra vita ed è quindi ciò che dà significato alla nostra vita.
...dove di razionale o ragionevole non c'è niente che valga più della stessa nostra vita, però per amore, per fede nella ragione dell'amore, quindi per fiducia in un sentimento che non è certo al 100% da dove provenga, o perché esista, siamo disposti anche a donare la nostra vita affinché un altro individuo continui a d esistere. Utopia, paradosso, assurdo!! ...però sperimentabile ogni giorno!!
CitazioneChe cosa giustifica, dunque, il valore, l'intensità, la durata del nostro amore? La ragione, la razionalità, il ragionamento più o meno logico determina se il nostro sentimento deve continuare ad essere alimentato o deve essere riposto come superato.
Mi dispiace, ma non sono d'accordo: un amore nato non finisce mai, così come uno che termina non era mai nato (almeno in una delle due persone, parlando di relazioni interpersonali). Quindi, ancora una volta, il fondamento che giustifica il valore, l'intensità e la durata del nostro amore, è un mistero. Però siccome lo sperimentiamo, invece di viverlo appieno, ci facciamo i bip mentali illudendoci di potergli dare una ragione. Mentre la ragione che possiamo (volenti o nolenti) appioppargli, è solo una logica di fede, senza certezze comprovate.
Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso. (Fëdor Dostoevskij)Pace&Bene
Citazione di: cvc il 24 Ottobre 2016, 13:13:10 PM
Sgiombo, sul discorso della filosofia come prassi e sulla percezione diretta abbiamo pareri diversi e, come intelligentemente dici, non vale la pena insistere ulteriormente dato che presumibilmente ognuno rimarrebbe comunque sulla propria posizione.
Forse converremo invece che se è vero che è impossibile dimostrare che giustizia e libertà sono valori cosmici (seppure nella premessa che li intendiamo tali per gli esseri con intelligenza simile alla nostra), d'altra parte se ci togliamo questi, che ci resta?
CitazioneConcordo in pieno!
Anche circa i disaccordi (mi ricorda un po' il paradosso del mentitore ma mi sembra "funzioni logicamente").
A presto!
Phil, il problema della verità assoluta sorge quando la filosofia da teoria diventa prassi. Un conto è se vivo con delle convinzioni che considero assolute (magari anche fino a prova contraria) ma non pretendo la stessa cieca devozione dagli altri, vuoi perchè sono tollerante verso il fatto che non la pensino come me, vuoi perchè reputo la diversità un valore. Ma ciò non inficia che io possa intimamente credere a delle verità per me incrollabili. Però se credo che, dato che io la penso così, allora anche gli altri devono pensarla come me, senza nemmeno considerare l'eventualità di un compromesso fra punti di vista diversi, allora nascono I problemi. Il problema non è credere a qualcosa in modo assoluto, il problema è voler estendere tale assoluto sugli altri. La filosofia nasce come conoscenza dell'universale in senso contemplativo, è da Platone in poi che si è pensato di usare la filosofia per comandare.
Le correnti filosofiche nichilistiche e postmoderne non mi hanno mai interessato perchè non vi ho mai intravisto nulla di interessante. Il che può senz'altro essere una mia lacuna. Pur conoscendo poco di questi pensatori, tuttavia, più che un recupero anche attualizzato dei valori pare emerga più una visione solipsista, un individualismo che non mette d'accordo nessuno se non sul fatto che i benefici derivanti dal rispetto dei valori diventa una questione arbitraria e utilitaristica.
CitazioneA-ri-concordo: passare da una credenza fortissima, certa "in sede teorica" a una prassi intollerante é possibile (e forse di fatto non infrequente), ma non necessario, non inevitabile.
Fra l' altro esiste anche un' "intolleranza della pretesa tolleranza", come quella di chi pretende (e non tollerando l' opinione opposta alla sua cerca di imporre con provvedimenti legali e decreti, come recentemente a Nizza e altrove) che perché le donne siano libere e non oppresse -perchè godano da parte di altri di una "pseudotolleranza"- debbano per forza togliersi il velo "pseudoislamico" (la mia nonna, nata nel XIX secolo in campagna fra Cremona Brescia, era "cattolicissima" ma lo ha sempre portato da che l' ho conosciuta fino alla morte, nell' anno 1973 d.C.) o il burkini indipendentemente dalla loro propria volontà.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Ad esempio la rinuncia dal punto di vista economico viene concettualizzata nell'interesse economico sul soddisfacimento di un capitale, che non essendo consumato ai fini di una felicità o soddisfazione attuale genera appunto un interesse.
L'etico invece si pone come rinuncia attuale ad istinto egoico, ma lo fa per trovare una sua felicità nel sociale, familiari, amici, conoscenti, popolo, quindi a sua volta si aspetta che quella rinuncia possa rappresentare a sua volta in uno stato di necessità futura che qualcun altro rinunci per lui. Quindi l' egoista si aspetta un aumento del proprio capitale attuale per mancata soddisfazione attuale, l'etica anch'esso si aspetta che il favore solidale che lega le persone istituisca una concatenazione virtuosa di aiuto da parte di chi può dare in un dato momento. L'orizzonte in cui noi ci comportiamo è ovviamente la nostra esistenza, ma l'eticità va oltre il processo economico dell'immediatezza, va nell'aldilà del credente, nel retaggio culturale educativo del laico in cui l'etica viene codificata nel diritto e nelle personalità giuridiche astratte e quindi formalizzabili razionalmente, come gli enti giuridici e i valori morali.
CitazioneMa esiste anche una generosità "spinta" (spirito di abnegazione) che dona senza aspettarsi necessariamente di essere ricambiata, addirittura in qualche misura, entro certi limiti, pur essendo ricambiata con grettezza e meschinità.
Qualche volta -molto raramente!- ho provato a praticarla e mi ha dato una soddisfazione interiore immensa.
Citazione di: Duc in altum! il 24 Ottobre 2016, 14:19:23 PM
** scritto da Garbino:
CitazioneCiò non toglie che comunque è sempre la fortuna a decidere, o il caso se vogliamo. Sia per quanto riguarda la potenzialità iniziale, sia per quanto riguarda le condizioni ambientali in cui ciascun individuo si viene a trovare dalla sua nascita.
E' sempre la stessa storia. Come può esserci una scelta, nell'essere razionale, se si crede alla fortuna che di razionale ha solo la personale fiducia?
CitazioneChiunque voglia cambiare ed essere deliberatamente, per sua scelta, in un determinato modo (più o meno razionale-razionalista, più o meno buono, ecc.) lo fa:
o casualmente (e allora, per definizione, é pura fortuna o sfortuna che diventi più o meno razionale, buono, ecc. in conseguenza di questa sua scelta casuale);
oppure conseguentemente a come era al momento della scelta, cioé prima del suo cominciare ad essere come da lui deciso, come conseguenza inevitabile del suo modo di essere allora, evidentemente, inevitabilmente non per sua scelta (non ancora realizzatasi, cioé ugualmente per fortuna: la fortuna o sfortuna di essere come era allora o da sempre o in comunque in conseguenza di fatti da lui non voluti, non ascrivibigli -cavolo, che bella parola!- a suo merito o demerito).
Il ragionamento vale (varrebbe se esistesse) paradossalmente anche per Dio: se é sempre stato così com'' é (e se ci fosse, per definizione, sarebbe sempre stato così come sarebbe), allora il suo essere così com é certamente non dipende da una sua libera scelta -che non é mai potuta accadere- ma é qualcosa di puramente fortuito.
N.B.: Non vedo alcun problema etico o di qualsiasi altro genere in conseguenza di questa ovvietà logica: chi é razionalista é comunque razionalista, chi é irrazionalista é comunque irrazionalista, chi é buono é comunque buono, chi é cattivo é comunque cattivo, ecc.
Citazione di: DrEvol il 24 Ottobre 2016, 17:36:06 PM
Proprio perché agire razionalmente è un fenomeno intrinsecamente volitivo, e non casuale o accidentale, scegliere è un'azione implicita in qualsiasi ragionamento. (DrEvol)
CitazioneIl volere in linea di principio può ben essere casuale o accidentale.
Non lo é se il soggetto del volere é deterministico, se agisce deterministicamente; lo é se il soggetto del volere é indeterministico, agisce indeterministicamente (libero arbitrio).
Ma un ragionamento può in linea di principio condurre alla decisione di astenersi dall' agire (d' accordo, é pur sempre una scelta).
E comunque un ragionamento può condurci a decidere quali volontà (cercare di) soddisfare a scapito di quali altre (essendo reciprocamente incompatibili) e come fare per (cercare di) soddisfarle, non cosa volere o non volere più o meno intensamente.
Personalmente cerco di essere più razionalista possibile (sono "fatto così").
Ma il mio (decidere di cercare di) essere il più razionalista possibile é un atteggiamento in ultima analisi irrazionalistico (assunto irrazionalisticamente prima di cominciare ad essere razionalista): non c' é modo di dare una dimostrazione razionale della sua necessità o preferibilità.
E credo che essere consapevoli di questo insuperabile limite intrinseco del razionalismo, anche del più conseguente, significhi essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo.
** scritto da Sgiombo:
CitazioneChiunque voglia cambiare ed essere deliberatamente, per sua scelta, in un determinato modo (più o meno razionale-razionalista, più o meno buono, ecc.) lo fa:
...solo se Dio glie lo concede, glie lo permette!! ;D un abbraccio... ;D
"...un amore nato non finisce mai, così come uno che termina non era mai nato (almeno in una delle due persone, parlando di relazioni interpersonali)." scritto da Duc in Altum!
Questo detto si può parafrasare anche modificandolo così e constatare empiricamente la sua validità: "Un amore giustificato dalla ragione non finisce mai, così come uno che termina non era mai nato con una giustificazione razionale solida." Dopo tutto, vediamo tutti i giorni sulla cronaca come gli amori affrettati, sbocciati spontaneamente chissà come, non godono della protezione di nessuna razionalità. In quegli amori perdutamente e irrazionalmente possessivi, chi pensa (erroneamente) di non poter vivere senza possedere l'altra persona è pronto ad ucciderla, e uccidere se stesso. Gli impulsi portati alla pazzia non hanno niente di razionale e non possono avvalersi dei valori etici di rispetto, giustizia e verità.
Come ho detto prima, portato al limite della sua passione, l'amore è il sentimento umano più ego-centrico. Ma questo è un bene, se l'amore viene integrato dalla ragione. Dove manca la ragione, l'amore crea pazzia, come lo è la pazzia di uccidere per proteggere la dignità di un dio, di una cultura, di una etnicità, di una nazione, o perfino di una troppo amata squadra di calcio.
** scritto da DrEvol:
CitazioneQuesto detto si può parafrasare anche modificandolo così e constatare empiricamente la sua validità: "Un amore giustificato dalla ragione non finisce mai, così come uno che termina non era mai nato con una giustificazione razionale solida."
Gentile DrEvol, non ce semo, così come la vita non la si sceglie, ma la si vive, l'amore nasce e si spegne, un po' come la febbre, senza che la volontà vi abbia la minima parte, poi, entrano le ragioni che giustificano o cercano di giustificare il male che facciamo o il bene che sappiamo di dover fare, ma non vogliamo fare.
Il primo "drin" non è fisico, è metafisico, ossia, al di là delle ragioni conosciute, per questo si chiama amore:
sapere quanto si ama ..è amar poco, immaginiamoci a quantificarlo o giustificarlo con la ragione. :-\
CitazioneDove manca la ragione, l'amore crea pazzia, come lo è la pazzia di uccidere per proteggere la dignità di un dio, di una cultura, di una etnicità, di una nazione, o perfino di una troppo amata squadra di calcio.
No, l'amore è sempre pazzia (anche se preferirei: follia). Nel senso che senza follia non c'è una testimonianza autentica di quell'amore tanto sventolato idealmente, I problemi che nascono (purtroppo) dal non controllare questa follia, nei quali concordo con la tua delucidazione, non sono per mancanza di ragione (quella, ripeto, agisce, in maniera diretta, subito dopo l'innamoramento), ma perché
(secondo la mia opinione) la ragione di fede che sostiene e alimenta quell'amore è una falsa verità dell'amore.
Scegliere tra un amore è un amore superiore è possibile solo affidandosi ad un salto nel buio, certo anche all'esperienza vissuta nelle personali scarpe,
ma il cuore ha le sue ragioni che la Ragione non conosce (cit. Pascal)
Citazione di: sgiombo il 24 Ottobre 2016, 19:56:47 PM
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PMAd esempio la rinuncia dal punto di vista economico viene concettualizzata nell'interesse economico sul soddisfacimento di un capitale, che non essendo consumato ai fini di una felicità o soddisfazione attuale genera appunto un interesse. L'etico invece si pone come rinuncia attuale ad istinto egoico, ma lo fa per trovare una sua felicità nel sociale, familiari, amici, conoscenti, popolo, quindi a sua volta si aspetta che quella rinuncia possa rappresentare a sua volta in uno stato di necessità futura che qualcun altro rinunci per lui. Quindi l' egoista si aspetta un aumento del proprio capitale attuale per mancata soddisfazione attuale, l'etica anch'esso si aspetta che il favore solidale che lega le persone istituisca una concatenazione virtuosa di aiuto da parte di chi può dare in un dato momento. L'orizzonte in cui noi ci comportiamo è ovviamente la nostra esistenza, ma l'eticità va oltre il processo economico dell'immediatezza, va nell'aldilà del credente, nel retaggio culturale educativo del laico in cui l'etica viene codificata nel diritto e nelle personalità giuridiche astratte e quindi formalizzabili razionalmente, come gli enti giuridici e i valori morali.
CitazioneMa esiste anche una generosità "spinta" (spirito di abnegazione) che dona senza aspettarsi necessariamente di essere ricambiata, addirittura in qualche misura, entro certi limiti, pur essendo ricambiata con grettezza e meschinità. Qualche volta -molto raramente!- ho provato a praticarla e mi ha dato una soddisfazione interiore immensa.
....ed è questa la vera e autentica etica,quando disinteressatamente ci si sente soddisfatti per un atto umanitario.
Una legge morale dentro di sè. E chi ha ricevuto a sua volta dovrebbe aver imparato, per costruire una catena virtuosa che unisce le genti.
Un ultimo tentativo per Duc in Altum! questa volta in audio. Forse lo spiega meglio il professor Edoardo Lombardi Vallauri in questo brevissimo e conciso messaggio audio dove spiega la differenza tra innamoramento (follia) e amore (consapevolezza).
https://www.youtube.com/watch?v=tBT42h173N0
Concordo con Vallauri, mi spiace.
Citazione di: Duc in altum! il 24 Ottobre 2016, 22:26:37 PM
** scritto da Sgiombo:
CitazioneChiunque voglia cambiare ed essere deliberatamente, per sua scelta, in un determinato modo (più o meno razionale-razionalista, più o meno buono, ecc.) lo fa:
...solo se Dio glie lo concede, glie lo permette!! ;D un abbraccio... ;D
Citazione
Perfettamente dì accordo ...ammesso e non concesso che Dio esista.
Ricambio l' abbraccio.
** scritto da DrEvol:
CitazioneForse lo spiega meglio il professor Edoardo Lombardi Vallauri in questo brevissimo e conciso messaggio audio dove spiega la differenza tra innamoramento (follia) e amore (consapevolezza).
Forse non ti rendi conto, egregio DrEvol, che il professore sta confermando la mia "ipotesi" (dalla quale mi astengo a dire che sia l'ultimo tentativo di comprensione per il prossimo, giacché non tutti si convertono alla stessa età ...anzi c'è, purtroppo, chi muore senza voler accettare il proprio destino, anzi senza averlo voluto vivere).
Il signore Lombardi Vallauri, parla di una prima fase, e la chiama innamoramento, e poi dell'amore ragionato:
"...lo stato nascente, ignaro, basato sul non conoscere una persona...", quindi passiamo dal Mistero del perché e da dove nasce nell'Universo l'amore, e come mai mi sto innamorando di Tizio e non di Sempronio, allo stato di
"...desiderio del bene dell'altro, desiderio che l'altro sia felice...", quindi alla ragione dell'amore. Se Dio esistesse, e Deus caritas est, non penso che non abbia ragionato su come rendere sereno e gioioso l'Universo, dopo esserne rimasto innamorato.
L'amore nasce senza logica (l'innamoramento), per poi diventare (il termine differenza, a mio avviso, è una convenienza privata, e lì io non ci voglio entrare) l'amore pensato come senso della vita ultimo e fondante:
Chi o ciò che si ama con tutto il nostro essere diventa più importante della nostra vita ed è quindi ciò che dà significato alla nostra vita. (cit. DrEvol)Prima la fede e poi l'opera, tutto esiste grazie a questo principio banale ma poco ragionato (anche se poi già la fede stessa è un'opera).Unica cosa che non concordo con il messaggio del video è che siccome l'amore accetta, incondizionatamente, anche il lato oscuro dell'altro, e che quindi ci sarà sempre un punto intimo di ognuno che, anche dopo tanti anni di convivenza, sarà un Mistero per l'altro (anche perché l'amore autentico o riuscito non è sinonimo di tanto tempo assieme o di morire non divorziati, mentre si era separati in casa), il fatto di pensare di conoscere cosa davvero rende felice l'altro può essere un'illusione che, diventando abitudine, può condurci, io l'ho sperimentato, a credere che pensavo fosse amore, invece era un calesse (cit. M. Troisi). :)
** scritto da Sgiombo:
Citazionechi é buono é comunque buono, chi é cattivo é comunque cattivo, ecc.
Questo è interessante. Chi decide chi è buono o cattivo?
Citazione di: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 10:27:55 AM
** scritto da Sgiombo:
Citazionechi é buono é comunque buono, chi é cattivo é comunque cattivo, ecc.
Questo è interessante. Chi decide chi è buono o cattivo?
CitazioneLa coscienza di ciascuno.
E invece secondo te?
Citazione di: cvc il 24 Ottobre 2016, 13:13:10 PM
Green, sicuramente Nietzsche ha dato un notevole impulso filologico alla filosofia antica, in un epoca dove lo storicismo spingeva ad interpretare il mondo antico sempre col senno di poi, guardandolo con lenti ad esso posteriori e sistematizzandolo secondo criteri ad esso sconosciuti. Vizio ben radicato pure nei nostri tempi. In particolare la critica contemporanea tende sempre ad ignorare il traumatico passaggio dalla cultura orale a quella scritta, e da alla filosofia antica un'intellettualità (nel senso di una rigorosa organizzazione sistematica del pensiero figlia della scrittura) che spesso non possedeva, laddove la filosofia era più esercizio meditativo-contemplativo che conoscenza sistematica. Nietzsche ha tentato di riportare in auge il valore dell'oralità, con parole che intendono evocare oltre il senso scritto delle parole.
Ma certo siamo d'accordo e mi complimento.
Citazione di: cvc il 24 Ottobre 2016, 13:13:10 PM
Il tema del riconoscimento del male insito in ognuno di noi è stato spinto a fondo dal cattolicesimo, dove però si presta a pesanti strumentalizzazioni, come I templari che dovevano uccidere per rimettere I propri peccati, con San Bernardo che li esortava quindi ad uccidere con tranquillità, in buona coscienza. Bene e male sono in continua lotta fra loro, e noi siamo il loro campo di battaglia.
No, qui proprio stai travisando: intendo il male interiore a noi, non degli altri. Se tu non mi spieghi quale è il tuo problema, come faccio a relazionarmi con te? (non a caso la maniera più semplice per far funzionare le cose è metterti a tacere, vedi la stessa violenza a cui alludi, e che quindi è l'esatto opposto di quello che intendo).
Breve excursus teoretico(per chi vuole)
Non devo dirtelo io. Se no facciamo l'errore storico del cristianesimo, storicizzato nel cattolicesimo.
Finora i discorsi che creano il male sono quelli inventati da freud e portati a teoria da Lacan e alievi:
In ordine di magnitudo nella società occidentale sono 1)Schizofrenia (noi pensiamo di essere altro da ciò che siamo) 2) Ossesione (è il girare attorno, in cerchio, totalmente incapaci di andare avanti, problema della filosofia in primis, anche) 3)Paranoia (Il rimanere sulla soglia, il percorrere la linea aventi e indietro senza mai superarla, nè avanti, nè indietro) 4) Isteria (noi diventiamo altro da ciò che noi siamo) è il tema del mimetico.
Se noi integriamo il discorso generale del male sul piano della genealogia, abbiamo grossi grattacapi per recuperare un senso etico del comunitarismo.
(fine excursus).
Citazione di: cvc il 24 Ottobre 2016, 13:13:10 PM
Le correnti filosofiche nichilistiche e postmoderne non mi hanno mai interessato perchè non vi ho mai intravisto nulla di interessante. Il che può senz'altro essere una mia lacuna. Pur conoscendo poco di questi pensatori, tuttavia, più che un recupero anche attualizzato dei valori pare emerga più una visione solipsista, un individualismo che non mette d'accordo nessuno se non sul fatto che i benefici derivanti dal rispetto dei valori diventa una questione arbitraria e utilitaristica.
Questo dipende dal fatto che o non li capisci o non vuoi fare uno sforzo per capirli.
La visione solipsistica che tu intravedi è quella che LORO (i postmoderni) descrivono tramite la decostruzione, ossia l'isolamente dei vari fattori concorrenti(e d'altronde anche in queste remoto villaggio virtuale nostro, non è la visione maggiormente abbraciata?) . Il nichilismo da esso derivante è solo la conseguenza di questa analisi del nostro presente. Ma la visione che ogni autore dischiude, è di volta in volta, un tentativo di risposta al nichilismo.
Non un suo avvallamento.
Ripeto ogni tentativo di difesa dei valori e quindi del falso, automaticamente porta al nichilismo.
Dispiace per i cristiani, ma le cose stanno così. Servono altre rispote.
Ciao Paul mi intrometto in quanto hai introdotto una grande ed interessante quantità di riflessioni, degne di nota,e di confronto.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Intendo dire che la scelta egoistica o sociale deve ritornare come soddisfazione al sentimento e anche all'istinto, diversamente l'individuo è schizofrenico .
Esatto Paul, hai colto molto bene, infatti siamo immensamente insoddisfatti.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Vale a dire che i sentimenti e pulsioni sono metabolizzati dentro una ragione che a sua volta attraverso la volontà sceglie un comportamento che lo finalizzi comunque alla soddisfazione della propria coscienza.
Una coscienza che però è cooptata dai valori cristiani, e dal laissez faire del gerarchico (fin quando ho un potere su un sottomesso, tutto è santo e buono).
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Non si capirebbe come mai vi siano due percorsi storicamente paralleli,: la soddisfazione del proprio egoismo e la soddisfazione del propria eticità.
Capisco bene cosa intendi e fondamentalmente sarei d'accordo, se non fosse che quella etica essendo cooptata dalla volontà egoistica, non è tanto "parallela", direi anzi che quella linea viene tirata in basso verso quella egoista, dimodochè assomiglia più ad una sinusoide. Comunque in generale concordo.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Bisogna comunque includere il concetto di tempo nell'autocoscienza e nella razionalità, innegabile anche antropologicamente.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
La razionalità umana contempla l'attualizzazione ad un ora e adesso di un tempo passato, presente e futuro.
Come rilevato da Heideger, con Diltey per primo si introduce questa idea, poi portata alla celebrità da Marx.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Significa che genera aspettative e motivazioni che si traducono nel comportamento dell'ora e adesso.
E questo è il problema che ha portato la politica al suo tramonto, in quanto così facendo non vi è più programmazione.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Ad esempio la rinuncia dal punto di vista economico viene concettualizzata nell'interesse economico sul soddisfacimento di un capitale, che non essendo consumato ai fini di una felicità o soddisfazione attuale genera appunto un interesse.
Intendi dire che si rinucia ad punto di vista mercantile per uno capitalista, in cui non è più la merce a contare ma il capitale (cosa che una volta sganciatasi dalla merce, diventa finanza pura, teoria monetaria).
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
L'etico invece si pone come rinuncia attuale ad istinto egoico, ma lo fa per trovare una sua felicità nel sociale, familiari, amici, conoscenti, popolo, quindi a sua volta si aspetta che quella rinuncia possa rappresentare a sua volta in uno stato di necessità futura che qualcun altro rinunci per lui. Quindi l' egoista si aspetta un aumento del proprio capitale attuale per mancata soddisfazione attuale, l'etica anch'esso si aspetta che il favore solidale che lega le persone istituisca una concatenazione virtuosa di aiuto da parte di chi può dare in un dato momento. L'orizzonte in cui noi ci comportiamo è ovviamente la nostra esistenza, ma l'eticità va oltre il processo economico dell'immediatezza, va nell'aldilà del credente, nel retaggio culturale educativo del laico in cui l'etica viene codificata nel diritto e nelle personalità giuridiche astratte e quindi formalizzabili razionalmente, come gli enti giuridici e i valori morali.
A mio parere
invece sostituirei la parola felicità, con potere. E il potere va istituzionalizzato e reso santo.
excursus teoretico
Appunto la tradizione nefanda del giudaico-romano. Che appunto favorisce le azioni di volontariato, perchè garantendo quel potere di fondo, che garantische la felicità individuale, le fa credere anche di essere santa.
Una tradizione beffarda, perchè rinnova la condizione servile dell'eventuale aiutato.(che permane nella suea situazione di dover essere aiutato, in una situazione paranoide sempre pià dilagante nella nostra società).
Francamente di santo e virtuoso (portatore di forza nell'etimo no?) ci vedo poco.
Va da sè (okkey forse non così da sè ;-) ) che confondere il potere con la felicità è un errore di quelli gravi.
fine excursus.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Il concetto di Bene di nuovo si scontra fra la natura umana "animale" e il razionalismo della ragione.
Bè se la natura è animale (e quindi moralmente bestiale) allora va da sè che abbiamo deciso che esista un DIO razionale.
(c'è tutta un analisi della bestia nella tradizione pittorica cristiana, che dice molto di questo PRE-GIUDIZIO, per cui l'uomo è un animale, non nel senso animale uomo, ma proprio, animale asino, animale maiale, animale mostro e altre amenità del genere) Sembra quasi che l'inconscio cristiano sia esattemente quello totemico ancestrale, per cui l'uomo entra in contatto tramite DIO attraverso l'animale, e solo oltrepassandolo (uccindendolo fisicamente o simbolicamente come vizio) si possa arrivare a DIO.[Agamben]
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
Già è difficile ontologicamente stabilire il Bene se non come attribuzione ad una entità superiore come Dio, ma anche perchè
deve essere declinato e relazionato sia nella teoria che nelle prassi comportamentali come punto di riferimento che validifichi o meno il giudizio di Bene e di Male
Ma infatti nessuno lo fa per via ontologica, forse Platone o Severino, ma non come termine correlato, in quanto il BENE è in sè come ESISTENZA.(male e bene sono categorie politiche).
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
C'è una sostanziale differenza fra la razionalità teologica e l'etica laica soprattutto della modernità.
La teologia è legata a quel razionalismo aristotelico fino al tomismo e alla scolastica , l'etica moderna è legata alle argomentazioni da Cartesio in poi e le argomentazioni sono prescientifiche e non razionali se le intendiamo in forma aristotelica.
Un esempio chiiaro è Kant che inizia con la critica della ragion pura ,del pensiero per passare alla critica del la ragion pratica, e quindi dalla teoria passa alla prassi e infine la critica del giudizio ; il diritto anglosassone positivo deve molto alle analisi kantiane.Si passa quindi dal razionalismo greco ad un empirismo anglosassone, in cui in mezzo vi è i l diritto romano intriso a sua volta delle astrazioni che gli derivano dal cristianesimo, come il diritto canonico.
Concordo a patto di ricordare che comunque sia il tema del Bene è declinato nella sua forma classica, con quello della CITTA' non importa se sia ATENE o GERUSALEMME (sestov), in quanto comunque riguardava appropriatamente il tema del comunitarismo.
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
L'empirismo etico, se così posso dire, è invece la contrapposizione fra individuo e società da cui nasce una nuova dialettica sociale
Vale a dire il Bene individuale si scontra e media con il Bene sociale,e questo processo è attualissimo.
Ma infatti proprio dove decolla l'industria, ossia dalla proprietà privata inglese, che inizia a prendere forma quel pensiero utilitarista, che pensa in primis a proteggere le sue conquiste (private appunto), di fatto instaurando le premesse dell'attuale panorama mondiale lobbista e imperialista.(tema che andrebbe sviluppato in altra sede)
Citazione di: paul11 il 24 Ottobre 2016, 13:52:32 PM
...
Ma quell'astrazione deriva proprio dal razionalismo aristotelico che si poneva al di sopra delle quotidianità umane, in maniera dicotomica .Accade che quella dicotomia nella modernità venga rovesciata, ora è la natura i l mondo per come viene vissuto ed osservato il focus della conoscenza e della teoretica, per cui la prassi ritorna alla teoria come la teoria genera le prassi .
Per cui ora si riflette sull'assurdità che in nome di Dio o di uno Stato si faccia guerra, eliminando vite concrete in nome di un'astrazione.
Non credo all'etica del fardasè indiviidualistico sta generando decadenza.
Bisogna di nuovo ricodificare le etiche che non possono che essere condivise o l'umanità si eliminerà di propria mano.
A mio parere non bisogna confondere la prassi della tecnica con il suo modello cognitivo (sono criche separate), e sopratutto non bisogna confondere quelle due cose, con il problema politico.
Mi sembra che per brevità hai eccessivamente contratto il discorso.
Detto questo se il politico è visto come astrazione, bisogna dire che da Rosseau in poi si è posto come contrattualismo sociale. Dunque si dicotomia, ma legata alla volontà del singolo (e in ottemperanza alla volontà della maggioranza, che si impegna a non eliminare la minoranza). Lo Stato Moderno occidentale in fin dei conti è questo.
EXCURSUS CON CONCLUSIONI FINALI
Il problema secondo me dunque non è quello di una revisione del contrattualismo, che per me va anche bene, quanto quello di derimere i problemi di sovranità e rappresentanza.
L'individualismo non ha a che fare con questa concezione politica, infatti se si rispettano le linne generali presupposte, si convive, fin tanto che c'è la ricchezza.
Il problema etico, è invece comunitario, proprio nel senso classico, del dare senso al proprio agire, qui la scelta è solo politica.
excursus in excursus
o meglio solo in parte politico in quanto presuppone una capacità relazionale che ormai (visti i continui insuccessi) viene sostituita da quella tecnologica, a me viene in mente subito la nuova umanità piegata sui cellulari (Scenario che nella metropolitana milanese ha i caratteri del grottesco) ma tra poco anche quella cibernetica, alcuni dicono anche nel giro di qualche annno (5 per l'esatezza per avere i primi robot in casa), che avrà un impatto studiato generazionale.
fine excursus
Il processo insomma è che invece di (inutilmente) cercare etiche comuni, è quello di raderle al suolo sotto un solo grande potere.
A me sta bene, perchè di fatto il problema classico ossia quello del senso dello stare insieme permane nell'uno (che rimangano, per non so bene quale ostinazione cristiana) o nell'altro (che vengano relegate a studi specialistici come teoria della comunicazione, o mass-mediazione).
fine excursus
** scritto da sgiombo:
CitazioneLa coscienza di ciascuno.
E invece secondo te?
Vorrei tanto che fosse così, il problema nasce al pensiero che anche Hitler sosteneva di agire secondo coscienza, per non parlare di Fidel o dei terroristi.
Senza Dio tutto è permesso, secondo coscienza.
Citazione di: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 20:47:26 PM
** scritto da sgiombo:
CitazioneLa coscienza di ciascuno.
E invece secondo te?
Vorrei tanto che fosse così, il problema nasce al pensiero che anche Hitler sosteneva di agire secondo coscienza, per non parlare di Fidel o dei terroristi.
Senza Dio tutto è permesso, secondo coscienza.
CitazioneRespinto qualsiasi osceno e offensivo parallelo fra Fidel e Hitler (casomai molto affine a Obama e alla Clinton, che insieme ai -agli altri!- dirigenti sionisti sono di gran lunga i peggiori e più efferati terroristi al tempo presente), non sono affatto certo che il dittatore nazista fosse del tutto a posto in coscienza (ma in teoria, in linea puramente di principio, volendo considerare anche le più assurde delle ipotesi avanzabili, poteva anche darsi che errasse in buona fede: nessuno può "sbirciare nelle coscienze altrui").
NO, senza Dio ai malvagi é permesso secondo (la loro) coscienza il male e non il bene (nella limitata misura in cui sono coerentemente malvagi: nessuno é perfetto), ai buoni é permesso secondo (la loro) coscienza il bene e non il male (nella limitata misura in cui sono coerentemente buoni: nessuno é perfetto).
Del tutto esattamente come con Dio!
Green demetr,
Il cristianesimo è permeante fino a Cartesio che coincide storicamente, più o meno, con la nascita della scienza moderna, fine del medioevo e nascita della borghesia. L'attuale contemporaneità e il suo livello di coscienza ha ben poco a che fare con il cristianesimo.La mediocrità borghese ha ben altre motivazioni molto materiali ed è data da un individualismo morale ed un ipocrita eticità per tener buoni i popoli da sfruttare.L'oggi si caratterizza per un forte materialismo attualizzato per i beni, proprio perchè non c'è sacrifico o rinuncia, ed un astrattismo ideale che si concretizza nei concetti di enti giuridici sovraumani, in primis lo Stato che sarebbe di tutti per essere solo di chi ha il potere.L'oggi è quindi caratterizzato dalle vestigie di forme metafiische per giustificare il concretizzarsi del potere, pur sapendo che il potere è invece tremendamente materiale ed attualizzato.
Ma è proprio il pensare all'oggi, all'attimo fuggente e non rimandare al domani o sacrifcare o rinunciare che è
rivelativo di una cultura che nulla ha più a che fare con il retaggio storico della coscienza cristiana.
La politica, sono d'accordo con te, si è adattata all'oggi.Non si rinuncia al proprio potere per una etica di forza maggiore.Lo statista programmava e legiferava per generazioni, pensando storicamente.Oggi il politico deve soddisfare "la libido" di massa, come una pubblicità, come il marketing,quindi veicola con il suo messaggio verso l'irrazionale e non il razionale, deve essere volitivo, persuasivo, "forte","bucare gli schermi televisivi".
La razionalità può essere benissimo il cinismo strategico di un militare in guerra, di una multinazionale che vince quote di mercato che porta goduria egoistica a chi ne costruisce i piani, si sente autogratificato della propria astuzia,del proprio potere e dei beni materiali superlusso che manifesta agli invidiosi.
Se è malata la coscienza, la razionalità è il piano strategico del serial killer che cerca lucidamente e razionalmente la vittima ,Per questo più razionalità non vuol dire più coscienza, così come più acculturamento o erudizione voglia dire più umanità:non è affatto vero storicamente.
La base fondamentale è la mediazione della coscienza fra psiche e ratio, fra sentimento e ragione,
Green, tu pensi che l'etica di per sè e la felicità sia surrogabile con il potere? Il mistico o il martire rumoreggiano nelle loro tombe. Semmai il potere si serve strumentalmente dell'etica per perseguire i fini del proprio potere.
Il compromesso della Chiesa cattolica, ma ben prima già in origine con il protestantesimo e il calvinismo nati su incoraggiamento della borghesia del centro Europa che voleva distaccarsi dal potere romano, è stata nella modernità proprio con quei valori ipocriti borghesi che lo hanno sempre più compromessa secolarizzandosi per mantenere il potere,Dai troppa importanza al cristianesimo nella modernità ed è un errore di Nietzsche.
Direi così: fin quando l'etica di un popolo corrisponde al Sacro quel popolo è solido come il cemento, perchè l'ignorante teme il Sacro mentre l'erudito si accorge che eleva la propria autocoscienza,lo soddisfa.
Nel momento in cui un'etica è spogliata dal Sacro, decade in morale individualistica in cui i comportamenti sono ipocriti, poichè le esigenze individuali si scontrano con il bene comune.Quella morale individualistica media il proprio egoismo e la necessità di vivere in società, cerca le scappatoie egoistiche all'interno delle regole sociali che hanno disceso l'etica nel diritto incorporata dalle leggi positive.
Quindi l'etica che cementava nel Sacro è divenuto insopportabili regole sociali non più etiche poichè non sentite dalla propria coscienza, ma impedimenti allo svolgersi della propria dirompenza egoistica.
La nostra attuale schizofrenia ci impedisce di ritrovare quella etica che cementa il sociale, perchè decaduta al ruolo di un lavacro delle proprie coscienze fra impulsi egoistici e regole vissute come vessazione, ma proprio perchè quelle regole non hanno più nemmeno laicamente il contenuto patriottico di una Patria, una sacralità laica.
Oggi il Bene e il Male non sono nemmeno categorie politiche, sono relativizzate al proprio edonismo economico, incorporate nei Beni e Bisogni e al principio dell'Utilità. Quindi sono divenuti funzioni, non finalità.
Duc in altum, non ho detto che le emozioni non precedono il ragionamento e nemmeno lo dice il Prof. Vallauri. Ho detto che le emozioni sono automatiche - non credo che provengano dall'Universo o che sono misteriose. Uno prova attrazione, interesse, ammirazione, piacere nelle espressioni, nella fisionomia, in qualsiasi cosa che si rivela stimolante in qualche modo. Perché siamo stimolati da qualcuno o qualcosa fino al punto d'innamorarci? Non è un mistero. Siamo attratti da ciò che è già dentro di noi in forma di affinità con l'esterno o in forma di aspirazione a voler essere come chi o che cosa ci stimola. C'è chi non può vivere felice senza fare della musica lirica il suo lavoro e lo scopo della sua vita.
Sarebbe veramente un mistero se qualcuno che si diletta a scrivere su questo sito trovasse estremamente attraente una persona che gli parla con grande passione ed entusiasmo soltanto di acconciamenti dei capelli, per esempio. Questa è anche la risposta alla domanda "...come mai mi sto innamorando di Tizio e non di Sempronio..." Evidentemente Tizio è più stimolante, risponde con affinità maggiore a ciò che già compone il mio essere o a ciò che aspira a divenirne parte più esplicita. Vale anche per il detto, "chi pratica lo zoppo impara a zoppicare." Dimmi chi frequenti e chi sono quelli coi quali ti associ e ti dirò qual è il tuo carattere morale. Un truffatore si trova a suo agio con chi ammira la sua "arte" ingannevole. Ci vorrà parecchio ragionamento per rimuovere l'attrazione irrazionale verso il malefico e trasformare le emozioni volte all'inganno e alla truffa in emozioni da bandire e sostituire con emozioni virtuose. Ho detto ragionamento proprio perché le emozioni sono solo impulsi impervi al cambiamento se manca la VOLONTA' di esaminarle, ragionarci sopra e voler cambiare. Questo principio, secondo me, vale anche per l'innamoramento, che non è detto che si trasformi in desiderio del Bene e al servizio del Bene (amore). L'innamoramento può essere solo una fiammata temporanea che poi finisce nel nulla o che continua il suo percorso distruttivo, sempre mancante di comprensione razionale e quindi impossibilitato di diventare amore.
Green, il discorso sul bene e sul male per essere efficace deve essere meno teoretico e più pratico. Il problema morale ha si bisogno di un certo grado di astrazione, del resto la capacità di astrazione è ciò che ci permette di risolvere I problemi ed è il motivo della superiore capacità di adattamento dell'uomo sulle altre specie. Ma il discorso morale non deve mai perdere di vista la sua funzione: sapere cosa è bene e cosa è male in funzione del sapere come agire. E' un discorso strettamente legato alla volontà ed alla libertà, se la volontà è libera ha un valore, altrimenti la nostra vita non è che un agitarsi inutilmente. Ma perchè volontà e libertà abbiano un valore, devono retroagire sulla coscienza. E' quindi necessario avvertire il peso della coscienza quando reputiamo che il nostro agire sia sbagliato, sempre nella prospettiva di potere, grazie alla libera volontà, redimerci daglii errori. Questo aspetto l'ha colto in pieno il cristianesimo (che fra l'altro brilla erroneamente di luce propria, vedi scuola di Tubinga) ed è uno dei motivi del suo successo; ha dato all'uomo la posibilità di essere egli stesso (sia pure per intercessione divina) l'artefice del proprio destino, in barba a tutti I poteri che lo dominano sulla terra.
Il motivo dell'insuccesso della psicanalisi è stato forse quello di non saper uscire dal paradigma della malattia, di non aver saputo mostrare chiaramente cosa sia l'uomo sano.
Il nichilismo ed il post-modernismo non mi convincono perchè non riescono a scendere dalla loro torre intellettuale e per quanti difetti abbia continuo a preferire il cristianesimo come male minore. Il quale non andrebbe inteso solo come fenomeno sui generis, ma piuttosto come anche sintesi della storia che l'ha preceduto, e che paghi quindi I suoi debiti col paganesimo - da cui ha tratto gli esercizi spirituali - e col neoplatonismo. Il dogma della trinità dovrebbe avere il copyright di Plotino
Paul, il problema è che è difficile o impossibile far sopravvivere il senso del sacro quando non è più incarnato in una persona. La borghesia non essendo stata riconosciuta dagli aristocratici ha spazzato via I re, ma anche la borghesia per espandersi e consolidarsi ha bisogno di un certo ordine, di quel collante che tiene disciplinate le masse che è il senso del sacro. Però, non essendoci più I re, tale sacralità si è tentato di trasferirla sui valori, sulle leggi, sulle tradizioni. Ma rimane sempre un vuoto laddove prima il sacro era incarnato in una persona. Ed è forse anche questo il motivo per cui I vari Mussolini, Hitler, Stalin hanno avuto tanto seguito non appena hanno innalzato il culto della loro persona. Ed è anche il motivo per cui tanti fanno chilometri e si mettono in fila per vedere il papa.
** scritto da DrEvol:
CitazioneHo detto che le emozioni sono automatiche - non credo che provengano dall'Universo o che sono misteriose.
Mi dispiace, l'emozione, il sentimento e l'amore, fin quando non nascerà un uomo che dimostrerà scientificamente, e incontrovertibilmente, che non siano un Mistero, allora non avremo bisogno di credere o non credere che siano ingranaggi automatici o regali divini.
Tutti conosciamo l'amore, tutti lo sperimentiamo, ma nessuno, senza Fede, può vederlo o immaginarsi la sua origine. Quindi, se è per fede, la logica, in prima istanza, può solo restare ad osservare, come si ama.
Pace&Bene
** scritto da sgiombo:
CitazioneRespinto qualsiasi osceno e offensivo parallelo fra Fidel e Hitler (casomai molto affine a Obama e alla Clinton, che insieme ai -agli altri!- dirigenti sionisti sono di gran lunga i peggiori e più efferati terroristi al tempo presente), non sono affatto certo che il dittatore nazista fosse del tutto a posto in coscienza (ma in teoria, in linea puramente di principio, volendo considerare anche le più assurde delle ipotesi avanzabili, poteva anche darsi che errasse in buona fede: nessuno può "sbirciare nelle coscienze altrui").
Come volevasi dimostrare, già io e te abbiamo un concetto ed una persuasione molto differente di quel che è buono e di quel che è cattivo, quindi, secondo il tuo di pensiero, ogni coscienza è un potenziale dio, dunque: vinca il più forte. Anzi:
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. ; vince il più scaltro (vedasi Hitler o Fidel Castro). :-[
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AMPaul, il problema è che è difficile o impossibile far sopravvivere il senso del sacro quando non è più incarnato in una persona. La borghesia non essendo stata riconosciuta dagli aristocratici ha spazzato via I re, ma anche la borghesia per espandersi e consolidarsi ha bisogno di un certo ordine, di quel collante che tiene disciplinate le masse che è il senso del sacro. Però, non essendoci più I re, tale sacralità si è tentato di trasferirla sui valori, sulle leggi, sulle tradizioni. Ma rimane sempre un vuoto laddove prima il sacro era incarnato in una persona. Ed è forse anche questo il motivo per cui I vari Mussolini, Hitler, Stalin hanno avuto tanto seguito non appena hanno innalzato il culto della loro persona. Ed è anche il motivo per cui tanti fanno chilometri e si mettono in fila per vedere il papa.
Cvc,
non si tratta di sacralizzare un qualcosa di materiale, perchè nel tempo della tecnica e della mediocrità della coscienza borghese chi
può metterla in ginocchio è solo l'ideologia ( nazismo, fascimso, comunismo) o la religione (Islam, Cristianesimo).
Perchè l'occidentale avverte lo scarto fra la propria coscienza e le domande esistenziali che la filosofia gli pone.
Se u ntempo, Dio,Patria e Famiglia ,erano i lSacro ora rimangono vestigia, e se la materialità de lvivere non trova nel pensiero un senso signifcativo la coscienza o si abbassa nella mediocrità animale oppure si eleva nell' "Urlo" di Munch
La borghesia sposta i valori dal sacro al materiale. ma attenzione anche lei ha necessità di costruire astrazioni, come Benessere o Progresso .Sposta la speranza e le motivazioni finalizzandole nell'esistenza, ma in quella stessa esistenza in cui la coscienza umana non è soddisfatta, non trovando senso, vale a dire la coscienza sente la differenza fra il proprio pensiero e i significati che gli tornano dall'esperienza dell'esistenza. La volontà e la libertà si automutilano nella reiterazione delle prassi che non portano a nulla di nuovo sotto il sole , la coscienza pone " i remi in barca" e il pensiero riflette nella teoretica nulla potendo nella prassi. e l'uomo vive quello scarto fra il pensiero riflettente e la vita esistente come schizofrenia nella propria coscienza. Ma perchè non è affatto razionale questa cultura esistente nelle pratiche umane.
Il culto della persona è tipico delle masse ignoranti applicabile con la psicologia della folla ad uso e consumo dei poteri che da sempre manipolano le folle e fin quando non aumenta la propria autocoscienza e debella la propria ignoranza.........
Ma il culto del Sacro , quello autentico la si ha nel momento in cui la propria coscienza armonizza il concreto e l'astratto , dove il Sacro è i riferimento dell'azione comportamentale e trova come soddisfazione alla propria coscienza che così rialimenta il percorso virtuoso.
Ma o è condiviso, allora ribadisco quel popolo è "forte"in quanto il collante è quel Sacro riconosciuto e identitario, oppure se l'etica sociale scade a livello individuale il saggio si chiude ne proprio "eremo"perchè è cosciente che non può incidere nelle prassi.: perchè il potere temendolo lo persegue, perchè la massa non lo riconosce e quindi è un isola nel deserto.
Citazione di: Duc in altum! il 26 Ottobre 2016, 10:01:47 AM
** scritto da sgiombo:
CitazioneRespinto qualsiasi osceno e offensivo parallelo fra Fidel e Hitler (casomai molto affine a Obama e alla Clinton, che insieme ai -agli altri!- dirigenti sionisti sono di gran lunga i peggiori e più efferati terroristi al tempo presente), non sono affatto certo che il dittatore nazista fosse del tutto a posto in coscienza (ma in teoria, in linea puramente di principio, volendo considerare anche le più assurde delle ipotesi avanzabili, poteva anche darsi che errasse in buona fede: nessuno può "sbirciare nelle coscienze altrui").
Come volevasi dimostrare, già io e te abbiamo un concetto ed una persuasione molto differente di quel che è buono e di quel che è cattivo, quindi, secondo il tuo di pensiero, ogni coscienza è un potenziale dio, dunque: vinca il più forte. Anzi:Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. ; vince il più scaltro (vedasi Hitler o Fidel Castro). :-[
CitazioneCaro Duc, sei vivamente pregato di non attibuitrmi cazzate (secondo me ogni coscienza sarebbe un potenziale Dio, dunque vinca il più forte o il più scaltro! Sic!) che non ho mai scritto!
Ignoro di nuovo l' osceno e offensivo accostamento (ma inviterei i moderatori del sito a farsi sentire; grazie).
** scritto da sgiombo:
CitazioneCaro Duc, sei vivamente pregato di non attibuitrmi cazzate (secondo me ogni coscienza serbbe un potenziale Dio, dunque vinca il più forte o il più scaltro! Sic!) che non ho mai scritto!
Hai ragione, chiedo scusa, non l'hai scritto, ma scusami se ognuno pensa che per la propria coscienza (e quindi, come sostieni tu: volendo considerare anche le più assurde delle ipotesi avanzabili, poteva anche darsi che errasse in buona fede: nessuno può "sbirciare nelle coscienze altrui) sta agendo nel bene, è buono ed è giusto, nasce consequenziale l'allegoria che ogni coscienza è un potenziale dio. Giacché Dio agisce solo per il bene, è Buono ed è Giusto, sempre e in ogni luogo.
Sembra strano che tu non ci sia arrivato da solo.
CitazioneIgnoro di nuovo l' osceno e offensivo accostamento (ma inviterei i moderatori del sito a farsi sentire; grazie).
Mi dispiace
@sgiombo, che Fidel Castro abbia imprigionato, torturato ed ucciso "esseri umani", per il semplice fatto di non pensarla come lui. è un fatto oggettivo e storico già, quindi, non è che il tuo ignorare questa offesa alla dignità umana, fa sì che questa realtà venga censurata, perché sei simpatizzante del dittatore comunista (questa è una tua problematica, non mia), qui, non siamo a Cuba o nella Germania nazista, e ancora vige (almeno lo spero) la democrazia e la libertà d'espressione nel rispetto degli altri, e non la libertà d'espressione soltanto quando più ci conviene o più ci piace.
Quindi, rispondi nel merito della questione, e sii più onesto intellettualmente, invece di sceneggiare futili melodrammi: se per la tua coscienza Abele è buono, e per la mia coscienza Caino è buono, tutti sono buoni, quindi da dove deriva o chi decide chi è cattivo?
Un abbraccio.
Citazione di: Duc in altum! il 26 Ottobre 2016, 11:59:05 AM
** scritto da sgiombo:
CitazioneCaro Duc, sei vivamente pregato di non attibuitrmi cazzate (secondo me ogni coscienza serbbe un potenziale Dio, dunque vinca il più forte o il più scaltro! Sic!) che non ho mai scritto!
Hai ragione, chiedo scusa, non l'hai scritto, ma scusami se ognuno pensa che per la propria coscienza (e quindi, come sostieni tu: volendo considerare anche le più assurde delle ipotesi avanzabili, poteva anche darsi che errasse in buona fede: nessuno può "sbirciare nelle coscienze altrui) sta agendo nel bene, è buono ed è giusto, nasce consequenziale l'allegoria che ogni coscienza è un potenziale dio. Giacché Dio agisce solo per il bene, è Buono ed è Giusto, sempre e in ogni luogo.
Sembra strano che tu non ci sia arrivato da solo.
CitazionePerò, a proposito del non poter "sbirciare nelle coscienze altrui", mi risulta che anche un certo Francesco I da Roma (già Buenos Aires; lo conosci?), recentemente a proposito di omosessualità abbia detto: "Chi sono io per giudicare?"
CitazioneIgnoro di nuovo l' osceno e offensivo accostamento (ma inviterei i moderatori del sito a farsi sentire; grazie).
Mi dispiace @sgiombo, che Fidel Castro abbia imprigionato, torturato ed ucciso "esseri umani", per il semplice fatto di non pensarla come lui. è un fatto oggettivo e storico già, quindi, non è che il tuo ignorare questa offesa alla dignità umana, fa sì che questa realtà venga censurata, perché sei simpatizzante del dittatore comunista (questa è una tua problematica, non mia), qui, non siamo a Cuba o nella Germania nazista, e ancora vige (almeno lo spero) la democrazia e la libertà d'espressione nel rispetto degli altri, e non la libertà d'espressione soltanto quando più ci conviene o più ci piace.
Quindi, rispondi nel merito della questione, e sii più onesto intellettualmente, invece di sceneggiare futili melodrammi: se per la tua coscienza Abele è buono, e per la mia coscienza Caino è buono, tutti sono buoni, quindi da dove deriva o chi decide chi è cattivo?
Un abbraccio.
CitazioneCosa dovrei fare per ricambiare le balle spudorate e offensive su Fidel?
Forse scrivere delle bestemmie?
Non l' ho mai fatto e non sono disposto a falrlo, ma ti invito a non insistere oltre con queste affermazioni (oltre che false) oltraggiose e per me offensive.
Citazione di: paul11 il 26 Ottobre 2016, 10:23:41 AM
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AMPaul, il problema è che è difficile o impossibile far sopravvivere il senso del sacro quando non è più incarnato in una persona. La borghesia non essendo stata riconosciuta dagli aristocratici ha spazzato via I re, ma anche la borghesia per espandersi e consolidarsi ha bisogno di un certo ordine, di quel collante che tiene disciplinate le masse che è il senso del sacro. Però, non essendoci più I re, tale sacralità si è tentato di trasferirla sui valori, sulle leggi, sulle tradizioni. Ma rimane sempre un vuoto laddove prima il sacro era incarnato in una persona. Ed è forse anche questo il motivo per cui I vari Mussolini, Hitler, Stalin hanno avuto tanto seguito non appena hanno innalzato il culto della loro persona. Ed è anche il motivo per cui tanti fanno chilometri e si mettono in fila per vedere il papa.
Cvc,
non si tratta di sacralizzare un qualcosa di materiale, perchè nel tempo della tecnica e della mediocrità della coscienza borghese chi
può metterla in ginocchio è solo l'ideologia ( nazismo, fascimso, comunismo) o la religione (Islam, Cristianesimo).
Perchè l'occidentale avverte lo scarto fra la propria coscienza e le domande esistenziali che la filosofia gli pone.
Se u ntempo, Dio,Patria e Famiglia ,erano i lSacro ora rimangono vestigia, e se la materialità de lvivere non trova nel pensiero un senso signifcativo la coscienza o si abbassa nella mediocrità animale oppure si eleva nell' "Urlo" di Munch
La borghesia sposta i valori dal sacro al materiale. ma attenzione anche lei ha necessità di costruire astrazioni, come Benessere o Progresso .Sposta la speranza e le motivazioni finalizzandole nell'esistenza, ma in quella stessa esistenza in cui la coscienza umana non è soddisfatta, non trovando senso, vale a dire la coscienza sente la differenza fra il proprio pensiero e i significati che gli tornano dall'esperienza dell'esistenza. La volontà e la libertà si automutilano nella reiterazione delle prassi che non portano a nulla di nuovo sotto il sole , la coscienza pone " i remi in barca" e il pensiero riflette nella teoretica nulla potendo nella prassi. e l'uomo vive quello scarto fra il pensiero riflettente e la vita esistente come schizofrenia nella propria coscienza. Ma perchè non è affatto razionale questa cultura esistente nelle pratiche umane.
Il culto della persona è tipico delle masse ignoranti applicabile con la psicologia della folla ad uso e consumo dei poteri che da sempre manipolano le folle e fin quando non aumenta la propria autocoscienza e debella la propria ignoranza.........
Ma il culto del Sacro , quello autentico la si ha nel momento in cui la propria coscienza armonizza il concreto e l'astratto , dove il Sacro è i riferimento dell'azione comportamentale e trova come soddisfazione alla propria coscienza che così rialimenta il percorso virtuoso.
Ma o è condiviso, allora ribadisco quel popolo è "forte"in quanto il collante è quel Sacro riconosciuto e identitario, oppure se l'etica sociale scade a livello individuale il saggio si chiude ne proprio "eremo"perchè è cosciente che non può incidere nelle prassi.: perchè il potere temendolo lo persegue, perchè la massa non lo riconosce e quindi è un isola nel deserto.
Il fatto è che alla fine (non io e te, ma la civiltà nel complesso) non ci stiamo capendo niente. Dal punto di vista materialistico l'organizzazione delle risorse, con annesso il problema non da poco della distribuzione della ricchezza, è continuamente proiettata al futuro. Ciò che ci preoccupa non è mangiare oggi (quello, tranne i casi più disperati, ce l'abbiamo) ma il fatto di aver la pancia piena per il resto dei nostri giorni (che ci adoperiamo siano numerosi il più possibile). Così viene meno, a mio parere, il presupposto della vita spirituale: vivere al presente. Gli ebrei fecero scorta di manna, Dio gliela fece marcire.
D'altro canto il discorso tecnico prosegue di propaggine in propaggine, per cui per risolvere un problema nuovo occorrono ulteriori nuovi termini tecnici. Quindi il mondo si ritrova suddiviso in scompartimenti stagni, ciascun settore dei quali ha un proprio linguaggio specifico che lo rende incomunicabile agli altri. L'unica universalità è rappresentata dal linguaggio tecnico della matematica che, ovunque ci sia possibilità di numerazione, trova campo di applicazione dei suoi assiomi e teoremi. Dove però poi ci si accorge che, ahimè, ad esser tagliato fuori è proprio il campo delle virtù umane. Materia che brancola allo sbando, come un cane senza padrone, fra lo scibile delle competenze tecniche della civiltà della tecnica.
Un saluto a tutti, volevo approfondire la prima parte della domanda "Essere razionale", che può assumere significati differenti.
Razionale può essere inteso come:
1) Una scelta economica, di azione determinata razionalmente rispetto allo scopo (Chiaramente bisogna definire gli scopi);
2) Un fatto sociale, di azione spiegata da abitudini, convenzioni, riti sociali (usualmente infatti si considerano non razionali individui che agiscono in modi bizzarri e anticonvenzionali);
3) Un elemento ontologico, di azione spiegata sulla base di leggi fisiche o naturali.
E' interessante notare che in tutti e tre questi casi, l'efficacia esplicativa implica l'annullamento dell'arbitrio e vincola la scelta. L'azione razionale cioè è determinata, è un punto in uno spazio multidimensionale, mentre l'alternativa è indeterminata, è uno degli altri punti dello spazio.
Noterei inoltre che la scelta alla quale si fa riferimento può essere intesa come un meccanismo razionale, oppure di altro tipo. Ci si potrebbe domandare se la scelta di essere razionale è razionale o meno, o meglio se si può scegliere che la scelta di essere o meno razionale sia o meno razionale e così all'infinito.
Cvc,
non ho la presunzione di aver capito tutto, ma diversi importanti meccanismi culturali sia teorici che pratici sì.
L'economia ha assecondato l'egoismo animale e le scienze applicate a loro volta teorizzano questo interesse egoistico, cosi comportamanti diventano sempre più egoistici e le teorie persino etiche si adattano
Quindi la prassi diventa coerente alla teoria.
Il parallelismo economico-etico è importante.
L'interesse economico è sacrificare oggi un poco di soddisfazione per riaverne di più domani.
Ma il sacrifico etico non si aspetta necessariamente un ritorno.
L'economia è fondata sul debito, per cui attualizzo all'oggi il sacrificio futuro di altri
vuol dire che oggi me la spasso e me la godo e domani saranno problemi di altri .
Il paradosso è che proprio il rapporto vita/morte eros/thanatos ne è alla base.
So che devo morire e non so quando, perchè fare sacrifici e rinunce oggi, per chi? Per Dio, la Patria, la Famiglia?
Ognuna delle tre categorie che identificano il sociale e il rapporto individuale con essa è fatiscente, nella misura in cui non esiste un legame forte e fermo , perchè per Dio ero pronto a sacrificarmi così per la Patria, così per la Famiglia. Entrate in crisi le categorie il senso è cercato nel significato immediato , il tentativo di eternalizzare l'attimo che fugge, perchè domani non è l'oggi e l'incertezza totale governa ormai un sistema totalmente attualizzato. L'amore diventa sentimento labile, c'è ma lo uso per non soffrire, ma per godere,
Perchè pensare, perchè crucciarsi se porta con sè dolore della propria futilità. Perchè il mondo va vanti anche senza di noi.
La cultura attuale ha prodotto e continua a giustificare una funzionalità all'utiliitarismo per cui i sentimenti sono stati economicizzati e questo a mio parere è il più pesante e potente mezzo che la tecnica potesse fare: non pensare ,non provare sentimenti profondi ,perchè portano dolore allora gioisci nell'attimo e fregatene di tutto il resto La definirei la scorciatoia esistenziale di una umanità sfuggente, che va e viene senza lasciare traccia di sè: comparse sul proscenio della vita senza aver provato nemmeno a capire ,l'obnulazione della mente e della coscienza. L'umanità è destinata,se questa sarà la strada, ad essere automa senza bisogno di costruirne, molti umani saranno pezzi di ricambio per altri.
Citazione di: paul11 il 25 Ottobre 2016, 23:42:48 PM
Green demetr,
Il cristianesimo è permeante fino a Cartesio che coincide storicamente, più o meno, con la nascita della scienza moderna, fine del medioevo e nascita della borghesia. L'attuale contemporaneità e il suo livello di coscienza ha ben poco a che fare con il cristianesimo.
Non ce l'ho col cristianesimo, ma con alcune trappole mentali che esso stesso ha ingenerato.(tipo il vittimismo, indi per cui Nietzche non ha sbagliato, se però noi non siamo vittimisti, allora Nietzche ha sbagliato. Francamente nella mia vita però ho visto gente capace solo di lamentarsi....)
Trappole mentali che mettono sotto-scacco anche molti intellettuali che si richiamano a valori simil cristiani.
Citazione di: paul11 il 25 Ottobre 2016, 23:42:48 PM
Green, tu pensi che l'etica di per sè e la felicità sia surrogabile con il potere? Il mistico o il martire rumoreggiano nelle loro tombe. Semmai il potere si serve strumentalmente dell'etica per perseguire i fini del proprio potere.
Si infatti avevo scritto che confondere il potere con la felicità è un errore grave. ;)
Citazione di: paul11 il 25 Ottobre 2016, 23:42:48 PM
Direi così: fin quando l'etica di un popolo corrisponde al Sacro quel popolo è solido come il cemento, perchè l'ignorante teme il Sacro mentre l'erudito si accorge che eleva la propria autocoscienza,lo soddisfa.
Nel momento in cui un'etica è spogliata dal Sacro, decade in morale individualistica in cui i comportamenti sono ipocriti, poichè le esigenze individuali si scontrano con il bene comune.
Oggi il Bene e il Male non sono nemmeno categorie politiche, sono relativizzate al proprio edonismo economico, incorporate nei Beni e Bisogni e al principio dell'Utilità. Quindi sono divenuti funzioni, non finalità.
Agamben ha speso una vita ad illustrare il sacro, è proprio il sacro il segreto nascosto alla forza inane dello stato.
Ma proprio perchè il sacro è il segreto aberrante del cristianesimo, io qui non apro alcuna polemica, solo segnalo il lavoro di uno dei massimi filosofi viventi.(con cui concordo tra l'altro)
Avendone parlato con alcuni amici, che invece vedono il sacro come un luogo di condivisione col divino, dico solo che come dicono sempre i parroci "la carne è debole l'uomo è debole....bla bla bla bla"....e allora invece di parlare di improbabili discorsi con un Dio che NON ESISTE, è morto come ve lo deve spiegare Nietzche? ricordate? Parliamo di queste debolezze. Interagiamo come se noi fossimo realmente deboli, e non con l'arroganza di credere di stare bene.
Purtroppo questo è un problema grave, perchè sebbene le forze DESTRUENS siano condivisibili (sia a destra che sinistra, per così dire), la parte costruens, e cioè ripartire dai cocci, capire perchè si sono rotti etcc....quello è un altro paio di maniche.
Tra l'altro il problema comunutitario sta anche dietro alla chiesa. Non mi pare poi così disastrosa la situazione, anche se più nessuno "parla con Dio". (Ma quello come dice DUC in ALTUM è questione di fede. Il comunitarismo tra fedeli NO.)
A meno che Paul, tu non creda che bisogna stare alle direttive dall'alto della chiesa....cosa che tendo ad escludere visto la questione abborita da te, del potere secolare della chiesa.
Lamentarsi non serve....se non in forma di sfogo.(faccio un pò di psicologia)
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Green, il discorso sul bene e sul male per essere efficace deve essere meno teoretico e più pratico.
CVC non credo alla libertà come valore fondante, in quanto non è fondante, non credo minimanente alla posizione kantiana.
Ma comunque sul fattore di storia come liberazione, come luogo della utopia, a me sta benissimo! Anzi come dire va posto con forza, stando attenti alle trappole mentali che innesca.
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Il motivo dell'insuccesso della psicanalisi è stato forse quello di non saper uscire dal paradigma della malattia, di non aver saputo mostrare chiaramente cosa sia l'uomo sano.
Il motivo dell'insuccesso è la salita della psichiatria, ma comunque l'errore che hai colto, è di quelli EPOCALi, e dunque hai ragione!!!
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Il nichilismo ed il post-modernismo non mi convincono perchè non riescono a scendere dalla loro torre intellettuale e per quanti difetti abbia continuo a preferire il cristianesimo come male minore. Il quale non andrebbe inteso solo come fenomeno sui generis, ma piuttosto come anche sintesi della storia che l'ha preceduto, e che paghi quindi I suoi debiti col paganesimo - da cui ha tratto gli esercizi spirituali - e col neoplatonismo. Il dogma della trinità dovrebbe avere il copyright di Plotino
Come già detto prima non ho nulla col cristianesimo, sopratutto come ben dici, nella sua tradizione storica, e dunque magari ascoltando anche le istanze luterane, che poi sono la punta di Diamante del cristianesimo, come pensiero evoluto, come teodicea negativa, all'altezza dei tempi, e non solo come tradizione giudaico-greco-alessandrina come giustamente hai fatto notare. Con tutte le conseguenze politiche a cascata.(una per tutti proprio il ruolo della chiesa).
ma su quello, stanno lavorando abbastanza bene, a partire dal concilio vaticano II, a ratzinger e ora con papa francesco.
(anche se non siamo ancora neppure lontanamente vicini alla sufficienza, vedo una progressione)
Citazione di: cvc il 26 Ottobre 2016, 09:39:29 AM
Paul, il problema è che è difficile o impossibile far sopravvivere il senso del sacro quando non è più incarnato in una persona. La borghesia non essendo stata riconosciuta dagli aristocratici ha spazzato via I re, ma anche la borghesia per espandersi e consolidarsi ha bisogno di un certo ordine, di quel collante che tiene disciplinate le masse che è il senso del sacro. Però, non essendoci più I re, tale sacralità si è tentato di trasferirla sui valori, sulle leggi, sulle tradizioni. Ma rimane sempre un vuoto laddove prima il sacro era incarnato in una persona. Ed è forse anche questo il motivo per cui I vari Mussolini, Hitler, Stalin hanno avuto tanto seguito non appena hanno innalzato il culto della loro persona. Ed è anche il motivo per cui tanti fanno chilometri e si mettono in fila per vedere il papa.
Come scritto a Paul, dipende cosa sia il sacro, Woityla aveva un carisma importante, eppure le cose sono andate male lo stesso.
Direi invece di tornare a parlare di comunità.(esattamente come il concilio vaticano ha fatto).
greeen demetr
L'homo sacer non corrisponde al concetto di sacro molto più antico.
Semmai è giusto rilevare che sempre per ellenizzazione del pensiero filosofico che entra nelle concettualizzazioni del dominio spirituale e religioso, prima avviene un'astrazione dei termini, nel senso che vengono svuotati dal concreto,poi vengono portati nelle leggi e nell'economia.ne avevo già scritto in altre discussioni e in questa mi sembra di aver spiegato che alcuni termini importanti di quel sacro antico vengono daccapo utilizzati in altri domini.
Siamo tutti "vittime", Nietzsche compreso.,Semmai è vero che l'atteggiamento passivo, perchè penso che tu intenda questo, deriva sempre da quel pensiero speculativo che ha voluto che fossimo schiavi di un corpo e asserviti ad un destino, da questo la perdita di una volontà attiva. Ma bisogna fare attenzione che in origine, e l'ebraismo lo ha e in parte pure l'Islam e meno il cristianesimo, quel sacro corrisponde all'armonia del dominio naturale e quello divino, e non separati.E' la separazione che proietta l'astrazione oltre il corpo materiale verso il divino, per cui il corpo fisco assume su di sè gli attributi di malattia e morte, mentre il divino concentra tutte le attribuzioni etiche ed estetiche. Se mi sono fatto capire, allora diventa semplice che gli originali attributi de lsacro si perdano nella materialità fisica, per cui i termini come grazia, dono, promessa entrano nella legge sociale e nel possesso economico. Di nuovo, se mi sono fatto capire sarà più semplice interpretare il motivo per cui Nietzsche ama la tragedia e il dionisiaco e sia contro la filosofia apollinea. Gesù è corpo e spirito , ovvero il sacro è incarnato, non è separato. Anch'io penso che Nietzsche non ce l'avesse con la figura tragica di Gesù, tutt'altro i, bensì contro la filosofia che separa e astrae il corpo e il divino, togliendo sacralità all'esistenza.
L'etica in un contesto culturale e in cui si è desacralizzato il corpo e la vita umana, diviene da quel momento oggetto e sempre meno soggetto,per la separazione del concreto e dell'astratto.Ma quegli astratti tornano al mondo come personalità giuridiche dentro il diritto, prima romano, poi canonico e passando per il giusnaturalismo fino al diritto positivo e allo stato politico.
La separazione di persona fisica e persona giuridica, la separazione di diritto reale(res= oggetto) e diritto soggettivo hanno infatti quelle antiche radici ellenistiche. Quindi l'etica attuale è in impasse perchè si muove contraddittoriamente dentro una cultura separativa. Bisognerebbe tornare alle radici del pensiero ellenistico.
Quindi in sostanza sono in parte d'accordo con Agamben e il suo maestro Foucoult sulla biopolitica.
Citazione di: paul11 il 29 Ottobre 2016, 01:31:31 AM
greeen demetr
Siamo tutti "vittime", Nietzsche compreso...... quel sacro corrisponde all'armonia del dominio naturale e quello divino, e non separati.
Ovvio che lo fosse, ma lui ne era consapevole, al contrario tuo e di tutti quelli che fantasticano di strane divinità etc....
Essendo Dio Morto, ovviamente è morto anche quel sacro.
Probabilmente, riesci ad intendere il problema giuridico (infatti siamo spesso d'accordo), ma lo fai contrapponendolo ad un giusnaturalismo fantastico.
Infatti il giusnaturalismo
E' il giuridico, cristiano ebreo musulmano che sia.
Francamente anche leggendo il 3d su realtà e rappresentazione, non mi posso che tirar fuori da qualsiasi discorso ideologico religioso.
Che ripeto è esattamente il discorso schizoide che il destrutturalismo scopre come metafisico.
E che suona ai miei orecchi così: "tu sei quello che non sei".
No mi dispiace non vedo traccia di sacro, nemmeno nella poesia. In compenso vedo un mare di opportunismo travestito da strani vestigie religiose e scientifiche.
Il darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro.
A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
green demetr,
ho dei dubbi che Nietzsche conoscesse l'origine storica del sacro. Alcune importanti informazioni sull' origine degli scritti vedici indiani e sul percorso storico fra sumeri-ebraismo-cristianesimo sono venuti alla luce dopo la sua scomparsa. E' un tuo parere quello della fantasia divina, che lascia il tempo che trova.
E' morta un'interpretazione storica del divino, non l'origine del sacro e neppure del divino, che ora come non mai cercano, perchè questo relativismo questa idiosincresia dell'etica e del razionale non trova risposte in un mondo decaduto privo di punti di riferimento.
Niente affatto il giusnaturalismo o diritto di natura nasce con l'Umanesimo e poco o nulla ha a che fare con la religione.La sua prospettiva non è un diritto divino che cala nel sociale, tutt'altro, i filosofi si chiedono su quali basi si costituisce e costruisce una società, una comunità fino a diventare Stato.
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro
Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2016, 00:51:40 AM
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro
Mi incuriosisce questo "male che ci abita dentro"(doppia cit.): nel caso di
paul11 che, se non fraintendo, non lascia il sacro religioso fuori dalla sua prospettiva, è possibile "innestarlo" in una metafisica classica (per cui il Male è uno degli attori protagonisti della dimensione umana e c'è un Senso originario da interrogare); nel caso di
green demetr che (sempre se l'ho ben capito) ha una visione dell'uomo più laica, questo "male metafisico" come si connota e, soprattutto, su cosa si fonda?
Si tratta di una
metafora per la fallibilità, ignoranza o immoralità dell'uomo (ed è quindi comunque un'interpretazione relativa) oppure ha una sua "sostanza" propria?
P.s.
@green demetr: quel "io lo voglio essere"(cit.) è molto dionisiaco, ma il voler-essere-metafisici non è una scelta che pre
clude a priori la possibilità di trovare risposte non metafisiche? Fino a che punto il
voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro (è una domanda in generale, non personale su di te :) ), può essere una scelta che "vizia" il ricercare?
Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM Fino a che punto il voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro, può essere una scelta che "vizia" il ricercare?
CitazioneCredo che sia un' inevitabile (e in quanto tale non "viziosa", per lo meno in senso etico) premessa del ricercare verità, senso delle cose e quant' altro (e del come cercare): ci si pone i problemi che spontaneamente ci vengono in mente (se invece si dimostrasse in qualche modo quali problemi siano da porci e come vadano affrontati, allora si cadrebbe in un regresso all' infinito nella ricerca di un inesistente -infinito potenziale- "primum movens" che non ci fosse arbitrariamente venuto in mente).
La scelta aprioristica del tipo di approccio "vizia" il ricercare, non nel senso etico, ma, secondo me, nell'impostazione epistemologica/metodologica: se sorgono problemi spontanei e li si affronta con il presupposto "voglio essere metafisico" o "voglio essere empirista", significa, per me, che non si affrontano tali problemi con limpidezza ed apertura, ma si sceglie di preimpostare l'indagine con un paradigma già selettivo, che non è detto sia sempre quello più pertinente o più funzionale...
Pensiamo (esempio sciocco, ma, spero, chiaro) quali sarebbero le conseguenze se un elettricista, a casa sua, trovandosi di fronte ad un rubinetto che perde, dicesse "voglio ragionare da elettricista" ed iniziasse a "smanettare" come se i tubi fossero invece fili elettrici... forse farebbe meglio a chiamare un idraulico (ammettendo che le sue conoscenze non sono adeguate a risolvere quel problema), oppure affrontare il problema non da elettricista, ma da "idraulico improvvisato"...
Differente è riconoscersi "metafisici" o "empiristi" o altro, non per scelta, ma perchè si "scopre" di esserlo (ma non ci si sente in dovere nè di volere esserlo...).
L'atteggiamento più proficuo forse è affrontare i problemi senza volersi limitare o condizionare prima ancora di confrontarsi con essi, cercando piuttosto (metaforicamente) di lasciarli parlare la loro lingua (cercando di comprenderla) e non di fargli parlare forzatamente la nostra ("snaturandoli" e/o fraintendendoli...).
Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM
Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2016, 00:51:40 AM
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro
Mi incuriosisce questo "male che ci abita dentro"(doppia cit.): nel caso di paul11 che, se non fraintendo, non lascia il sacro religioso fuori dalla sua prospettiva, è possibile "innestarlo" in una metafisica classica (per cui il Male è uno degli attori protagonisti della dimensione umana e c'è un Senso originario da interrogare); nel caso di green demetr che (sempre se l'ho ben capito) ha una visione dell'uomo più laica, questo "male metafisico" come si connota e, soprattutto, su cosa si fonda?
Si tratta di una metafora per la fallibilità, ignoranza o immoralità dell'uomo (ed è quindi comunque un'interpretazione relativa) oppure ha una sua "sostanza" propria?
P.s.
@green demetr: quel "io lo voglio essere"(cit.) è molto dionisiaco, ma il voler-essere-metafisici non è una scelta che preclude a priori la possibilità di trovare risposte non metafisiche? Fino a che punto il voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro (è una domanda in generale, non personale su di te :) ), può essere una scelta che "vizia" il ricercare?
Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM
La scelta aprioristica del tipo di approccio "vizia" il ricercare, non nel senso etico, ma, secondo me, nell'impostazione epistemologica/metodologica: se sorgono problemi spontanei e li si affronta con il presupposto "voglio essere metafisico" o "voglio essere empirista", significa, per me, che non si affrontano tali problemi con limpidezza ed apertura, ma si sceglie di preimpostare l'indagine con un paradigma già selettivo, che non è detto sia sempre quello più pertinente o più funzionale...
Pensiamo (esempio sciocco, ma, spero, chiaro) quali sarebbero le conseguenze se un elettricista, a casa sua, trovandosi di fronte ad un rubinetto che perde, dicesse "voglio ragionare da elettricista" ed iniziasse a "smanettare" come se i tubi fossero invece fili elettrici... forse farebbe meglio a chiamare un idraulico (ammettendo che le sue conoscenze non sono adeguate a risolvere quel problema), oppure affrontare il problema non da elettricista, ma da "idraulico improvvisato"...
Differente è riconoscersi "metafisici" o "empiristi" o altro, non per scelta, ma perchè si "scopre" di esserlo (ma non ci si sente in dovere nè di volere esserlo...).
L'atteggiamento più proficuo forse è affrontare i problemi senza volersi limitare o condizionare prima ancora di confrontarsi con essi, cercando piuttosto (metaforicamente) di lasciarli parlare la loro lingua (cercando di comprenderla) e non di fargli parlare forzatamente la nostra ("snaturandoli" e/o fraintendendoli...).
In linea di massima sono d'accordo con Sgiombo, sulla necessità del metafisico. (e d'altronde sono un lettore di Hume anch'io)
Per quanto riguarda la premessa, ovviamente è una questione del postulare una cosa, per poi vedere se funziona o meno, nel reale. (qui le strade mie e sgiombo divergono totalmente, ovvio anche con Hume) vedi il 3d sul fenomeno e realtà del dr.evol.
Provo ad abbozzare delle linre generali sull'uso della ragione.
Provando a distinguere il metafisico come storia dell'occidente, o discorso dell'occidente, e il metafisico come questione della questione.(Non sono ammessi regressi infiniti. Non esiste la questione della "questione della questione".
Questo è l'unico postulato che l'idealismo si pone. Da Peirce in poi, anche se tale Paolo Veneziano, autore sconosciuto medievale l'aveva già trattato sempre secondo il Peirce.)
La questione della questione, essendo formale, rimane poco trasparente, e quindi per pochi eletti che la intravedono.
La vado ad esporre comunque, sebbene ancora disordinata, contiene molti spunti validi che mi interessano.
Non riesco ancora a dominare tutto il pensiero hegeliano (formalista-storicista) e heidegeriano (neo-tomista con sprazzi di agostino).
Figuriamoci con quello di Nietzche che mi consuma parecchie energie nervose.
Posso solo parlare di quello che intravedo, alla Heideger, il segnavia, il senso, la direzione, la radura.
Vedo anzitutto il male, come la morte stessa, ossia come il nostro dissolvimento: proprio qualche giorno fa, leggevo da Zizek, che la parola "fondamento" in tedesco suona come le macerie. Ossia ciò che rimane del dissolvimento.
Sostanzialmente in una chiave formale, eminentemente logica, l'uomo nasce già carente, carente dell'oggetto. Tramite solo cui si relaziona. E si costituisce.
Questa carenza costitutiva, è da leggere come recentemente davintro ha scritto sul 3d fenomeno e realtà, in termini ontologici, ossia come fenomenologia.
Ossia noi siamo quel soggetto abitato dalla necessità di un oggetto, qual'ora venisse a mancare, noi cesserremo di essere tale.
Ma in chiave metafisica, noi siamo spaventati a morte (appunto) di non essere più. Di non essere più dei soggetti. Ossia un terrore ci abbraccia fin dalla nostra nascita biologica, come discorso. Siamo cioè nati già aperti ad accogliere il mondo, come TERRORE del non essere più.
Quindi l'uomo è ontologicamente metafisico, come giustamente fa notare Heideger.
La seconda cosa è il comportamento, ossia noi siamo accompagnati dalla violenza, ed è il secondo male METAFISICO, ossia la proiezione del discorso SCHIZOIDE.
Che deriva dal primo discorso paranoide (non voglio morire), ossia come descritto magistralmente da Freud, la morte dell'animale viene associata alla nostra vita.
Io sono vivo, fin che uccido. Dove simbolicamente l'animale diviene il sacro, ossia ciò che non può essere toccato. Per cui l'uomo nasce subito simbolico. I resti funerari sono lì a testimoniarlo. Il resto è sempre il cerchio, ognuno protegge le spalle all'altro. Ossia è la comunità, la comunità diventa il sacro. Ossia diventa politica. Mors tua, vita mea.
Da lì le lotte tribali, e il periodo di sangue, che porta (vedi nietzche-garbino nel 3d il futuro dell'uomo) alla ragione.
E' solo tramite quel primo diamante che possiamo genealogicamente risalire alla costituzione del nostro domandare.
Domandare metafisico, filosofico: perchè devo morire?
Guardare in faccia significa guardare anche il suo doppio: tu non morirai mai.
Come la neuroscienza scopre con Damasio che la paura e la violenza sono i sentimenti primari, così ci erano già arrivati secoli prima Spinoza, poi Hegel, Nietzche infine Heideger.
E' qui che rientra la tua domanda dalla finestra principale: la risposta metafisica alla domanda metafisica della ragione, l'uomo storicamente ha risposto con la teoria della unarietà, e cioè "come se" esistesse un UNO che mi garantisce, che mi fonda, come soggetto eterno.
Ossia c'è un problema di fondo, sempre uguale, sostituiamo il fondamento come dissolvimento, in un dissolvimento senza fondazione.
(in questo senso il problema metafisico dell'occidente è da distinguere dal problema metafisico in sè).
Così facendo, dimentichiamo, la domanda fondamentale ontologica, che viene prima della domanda fondamentale metafisica. Ossia come all'infinito ripete Sini: "chi parla?.
Ossia il problema del soggetto.
Per impedire di fare questo errore, basterebbe smettere di avere paura, e guardare le cose come stanno: noi dissolviamo.
Il fatto è che quel "basterebbe" richiede uno sforzo titanico, perchè dietro la paura fondamentale come ho cercato di illustrare, si nasconde il problema del sacro.
Il totem va abbattuto, il fantasma materno, la mamma (tu non morirai mai), va abbattuto.
Ma prima va abbattuto la sua tecnica, la fantasmatica, ossia la protezione ad ogni costo, del TU DEVI UCCIDERE.
Appunto la Giurisdizione, la dizione (il discorso) dello IUS (il giurì), il più forte, quello che ammazza di più.
Il male è il giusnaturalismo, il discorso del più forte. Diventa un problema bio-etico, di appropriazione dei corpi, problema della antropofagia, fin dai tempi più antichi, l'homo sapiens, si è letteralmente divorato qualsiasi altro ominide (ci rendiamo conto della ferocia??)
Qualsiasi guerra ha alla sua origine questo fraintendimento della ragione, come diceva Nietzche confondere il sogno, con la realtà.
(noi continueremo a morire anche se siamo potenti)
Da cui prende forma la psicanalisi, come analisi delle pulsioni inconsce (paura e violenza) che si riversano nel sogno, e infine la psicanalisi del discorso, come in Lacan e allievi. (che devo ancora studiare.).
Insomma il vizio della ricerca sul male costitutivo, deve fare attenzione a non essere una forma di auto-inganno, per illudersi di non morire mai.
Nel mio caso, l'errore che faccio, è quello di non fare attenzione al reale. Per me rimane fortissimo il legame con il fantasma materno, ossia con la madre.(appunto non voglio morire mai).
Rimango inevitabilmente affascinato dal mito, dai miti della madre. E mi domando del perchè in continuazione (visto che so che è una trappola), cadendo così nel discorso ossessivo, e rimanendo sulla soglia, infatti non ho mai ottenuto risposta.
Questo sostanzialmente crea disagio esistenziale, e da qui inizia la ricerca dell'intrattenimento, che devo dire, seppur per vie diverse dal volgo, trovo anch'io che funzioni.
Fare attenzione al reale serve un amico, meglio ancora una comunità.
Una comunità consapevole del male che ci circonda dentro e fuori dal nostro essere soggetti. Difficile, ma qualcuno deve iniziare a farlo, magari dando più importanza al reale. Per questo il mio unico amico degno di fiducia è Nietzche, perchè ogni volta che lo leggo, è uno schiffo in faccia, che mi ridesta quei pochi attimi per andare ancora avanti, per coltivare ancora l'utopia, prima ancora di cadere nel letargo della società dello spettacolo.
Per uscire dai discorsi del terrore, dell'orrore, dello spavento e della angoscia a mio parere però serve la comunità, ossia l'Altro.
Infatti a parte il terrore e l'angoscia che sono mali metafisici, difficili anche da intravedere, gli altri due sono errori della tradizione gerarchica occidentale.
Errori politici.
E' sempre difficile interrogarsi della radice del terrore e della sua malefica sorella l'angoscia, con persone che sono legate alla legge del padre ("orrore") e vittime dello spavento ("figlia dell'essere schizoidi", per cui non si accetta di essere qualcosa di diverso rispetto a quello che la società indica, legalizza, come i problemi degli attacchi di panico, dell'anoressia e della bulimia stanno sempre ad indicare).
saluti.