In sede di interpretazione degli autori del passato è comune il costante richiamo alla contestualizzazione, al riconoscere quanto le loro idee fossero condizionate dal periodo storico in cui sono vissuti, il contesto sociale-culturale di provenienza, la lingua nella quale le loro idee sono espresse, le loro vicende biografiche. L'opportunità di questo richiamo è un'ovvietà, sarebbe assurdo non ammettere quanto fattori extrateoretici come l'epoca storica, la vita e la lingua influenzino il pensiero dei filosofi, come di qualunque essere umano. Il punto che volevo sollevare e su cui poter eventualmente discutere però è: assolutizzare il momento della contestualizzazione, negare la possibilità di poter cogliere degli aspetti sovrastorici e sovracontingenti nel pensiero degli autori non finisce con il rinchiudere il giudizio sulla validità teoretica di un certo pensiero all'interno del limitato contesto storico in cui è sorto, separandola da qualunque legame con l'attualità? Non rischia, all'interno dell'impegno interpretativo, di sovrapporre le finalità dello storico della filosofia (ricostruzione filologicamente puntale delle vicissitudini storiche dell'evoluzione del pensiero) rispetto a quelle del filosofo teoretico (valutazione critica e personale della verità o falsità di un certo modello teoretico in riferimento alla capacità di rispecchiare le cose stesse oggettive), perdendo totalmente di vista queste ultime? Se l'obiettivo dello storico della filosofia dovrebbe essere quello di arrivare a una precisa conoscenza degli autori del passato, quello del filosofo teoretico dovrebbe invece essere quello di sviluppare un'originale e personale punto di vista in cui si cercano risposte aventi base razionale alle questioni filosofiche, ed in questo senso l'interesse verso la conoscenza dei filosofi del passato non è, come invece è per lo storico della filosofia, fine a se stesso, ma teso a considerare questi filosofi come degli interlocutori, utili fonti di ispirazione per una visione razionale del reale nelle sue strutture universali, sovratemporali, e dunque perennemente attuali. Appare chiaro come l'attualità perenne di un pensiero è presente nella misura in cui quel pensiero non è riconducibile alla limitatezza del contesto storico in cui è sorto, cioè supera la necessità di una contestualizzazione che lo vincola alla relatività del periodo storico, o alla biografia empirica del pensatore che lo ha espresso. Non si tratta di negare la componente storica-personale all'interno delle filosofie del passato, la cui presenza è ovvia, ma porci il problema di come una contestualizzazione senza limiti, assuma tale componente come l'unica effettiva arrivi a spezzare il legame tra la perenne attualità delle cose stesse e i filosofi, in tutto e per tutto "figli del loro tempo" rinchiusi in un relativismo per il quale il loro pensiero si è sviluppato come determinato da circostanze particolari e irripetibili, in assenza delle quali si sarebbe sviluppato in modo nettamente diverso, con la conseguenza di togliere ogni carattere di oggettività e razionalità nella loro prospettiva, perché condizionata dalla loro particolare situazione. Dal punto di vista non storiografico ma teoretico, un pensatore del passato è interessante nella misura in cui non è solo "del passato", nella misura in cui la sua visione ha saputo trascendere lo steccato della sua contingenza storica, legato alla sua vita, alla sua epoca, alla sua lingua, per rispecchiare con fedeltà le cose stesse, la realtà oggettiva, fedeltà garantibile a livello di argomentazione razionale, la capacità di cogliere la componente di sovratemporalità di queste cose stesse, solo così possono dirci qualcosa di attuale per noi, fornire spunti di riflessione e suggerimenti sul mondo in cui OGGI viviamo, e tutto ciò è possibile nella misura in cui non c'è bisogno di contestualizzazione, la loro visione è attuale e oggettiva in quanto resterebbe valida anche fosse stata formulata in un'epoca diversa da quella in cui effettivamente è stata posta. Insomma il dialogo teoretico con i pensatori del passato presuppone un limite alla necessità di contestualizzarli, mentre l'esasperazione della contestualizzazione può a mio avviso, indicare un predominio della storia della filosofia, mirante alla ricostruzione del passato come obiettivo in sé, rispetto alla filosofia vera e propria, cioè dialogare con la storia come ispirazione per sviluppare un discorso di verità sulla realtà attuale, punto di vista quest'ultimo che, personalmente, trovo molto più stimolante
Affinché si svolga effettivamente un "dialogo teoretico" è necessario filosofare.
Mentre buona parte dei cosiddetti "filosofi" è composta in realtà da "storici della filosofia".
Sono convinto che gli autentici filosofi di ogni epoca non trattino la "realtà oggettiva", perché la filosofia si occupa del limite del pensiero razionale, dove ogni oggettività sbiadisce.
Per questo motivo un dialogo teoretico deve necessariamente coinvolgere il soggetto, nella sua essenza. E qui non vi è più alcuna oggettività che tenga.
L'effettiva importanza dei grandi pensatori del passato non consiste proprio nel proporci spunti, che possono aiutare a muoverci in autonomia, in modo da poter poi noi filosofare?
L'argomento è complesso.
Mi accorgo oggi di avere lo stesso approccio che ebbi più di quarant'anni fa quando iniziai a studiare la filosofia.
Ha due caratteristica: una storica e una teoretica che si compenetrano.
La storica a sua volta ha due premesse, il fatto, ad esempio che io oggi posso avere tutti i riferimenti filosofici e relative teorie argomentative di tutti coloro che hanno vissuto prima di me.Significa che mi confronto con precedenti teorie, con un retroterra storico culturale. L'altra è che la teoretica storico filosofica permea un tempo, lo "condiziona" come modello mentale.
L'altro aspetto decontestualizzato dai fatti storici è che ad esempio la metafisica, la logica non hanno tempo.
Semmai, come ho scritto precedentemente, la storia interviene come apporto di un retroterra teorico già argomentato con cui ci si confronta.
La dialettica, inteso quì come confronto storico, è l'esperienza teoretica scientifica che può apportare, confrontarsi anche con divergenze, con il modello filosofico di un determinato tempo storico.
E' altrettanto chiaro che avviene un procedimento interpretativo , ermeneutico nel confronto dei testi dii uno studioso di oggi su un filosofo antico.Quindi quale fu il contesto storico, cosa e come possa aver influito la sua teoretica, ecc.
Personalmente trovo che proprio il processo interpretativo dell'oggi sul passato possa ( e lo è) essere altamente ambiguo, perchè lo è già sull'interpretazione della disciplina della storia in sè e per sè, figuriamoci degli influssi culturali.
Questo accade soprattutto nella nostra storia occidentale sul cristianesimo dove oltre all'ermeneutica vi è l'esegesi.
L'onestà intellettuale è nel metodo. Il problema non è far parte di una corrente di pensiero invece di un'altra, ma far capire il motivo per cui si pensa e si scelga una determinata corrente interpretativa.Vuol dire dare una propria bibliografia di riferimento facendo capire quali argomenti sono gerarchicamente ritenuti più importanti di altri e perchè.
Quindi sono d'accordo con l'impostazione di Davintro.
Si tratterebbe di capire, e ognuno di noi in fondo fa queste scelte, quali autori e quali argomenti sono ritenuti a tutt'oggi ancora attuali e degni di essere "attualizzati" riapprofondendoli.
La forza di un pensiero in fondo è quello di vincere il tempo e i geni lo anticipano
Il mio punto di vista e' esattamente opposto. La contestualizzazione e' il metodo fondamentale per comprendere la filosofia, anche quella filosofia metafisica come il marxismo votata ad un assoluto finale. Del resto sono congruente alle premesse dell'uomo come specie biologica in continua mutazione, a causa dell'adattamento all'ambiente.
La filosofia allora a cosa serve, non e' sufficiente la storia o la scienza?
La filosofia e' un deposito di domande e risposte che serve a non accettare in modo acritico la realta' e le rappresentazioni di essa. Serve a raccogliere gli indizi di una meta-storia che scorre sotto gli eventi quotidiani e da un senso e una interpretazione complessiva a macro-periodi, come hanno fatto Vico, Hegel, oppure attraverso la storia hanno smascherato interpretazioni volgari e di comodo di fenomeni sociali come Focault. La metafisica dell'assoluto in questa prospettiva va studiata esclusivamente come retaggio di un periodo storico ma non ha nulla di oggettivo, tranne l'ardente desiderio dell'uomo di trovare un assoluto, ma questo e' un altro discorso.
"I limiti della contestualizzazione", secondo me possono essere valicati, e al contempo valorizzati, dall'attualizzazione (paul11 mi ha battuto sul tempo): dopo aver individuato e lasciato tra parentesi ciò che è inscindibile dal condizionamento del contesto storico sull'autore, possiamo rivolgerci "dialogicamente" a ciò che l'autore ha da dirci che può "funzionare" ancora oggi.
Chiaramente non si esce dal "circolo ermeneutico" (Gadamer docet): la precomprensione con cui approcciamo un testo (non siamo "tabule rase"), la sua "storia degli effetti" (tutte le interpretazioni "vincolanti" che vi si sono stratificate nel tempo), le stesse finalità del nostro sfogliare il testo (studio, cultura personale, ricerca, etc.), tutti questi fattori (e altri) condizionano pesantemente il dialogo "in differita" con l'autore (dialogo che non è mai faccia a faccia, ma sempre "distorto" dai suddetti fattori).
Concordo che l'autore non vada totalmente estratto ed astratto dal suo contesto, ma per continuare ad essere "nani sulle spalle dei giganti" abbiamo bisogno di estrarre ed astrarre l'apporto teoretico che può dare l'interpretazione dell'autore (in entrambi i sensi del genitivo, soggettivo ed oggettivo).
Aggiungerei due aspetti che emergono nella modernità:
1) filosofi filo scientifici o anti modello scientifico
2) filosofi che ritengono che la modernità e contemporaneità siano"figlie" di dispositivi culturali che resistono al tempo,
in quanto fondamenti, architravi su cui poggiano l'intero sistema culturale occidentale soprattutto ,compresi i modelli scientifici moderni comprese le mutevolezze storiche.
E' come se vi fossero dispositivi culturali costanti e variabili
Generalmente i filosofi inquadrabili al punto 2) sono coloro che storicamente si rifanno a Platone/Aristotele , o comunque alla cultura greco/romana.
A mio parere, ci sono stati scienziati, impostati culturalmente come tali nella loro indagine, che sono di fatto filosofi,
come moltissimi che passano per filosofi e sono o a mala pena pseudoscienziati, o.............opinionisti.
Ad esempio un Maxwell che unisce l'elettricità e il magnetismo, un Einstein che pone problematiche nella relazione spazio/tempo, i matematici che ripostulano interamente la matematica moderna, un Godel che interviene su problematiche logiche di coerenza e consistenza, fuoriescono dal canone di scienza, così come un Planck, perchè rimodellano come pensiero e come fisica naturale l'ontologia e il fenomeno, ponendo problemi epistemologici. per questo grandi scienziati innovativi diventano anche a loro malgrado dei filosofi .Infatti non credo all'antitesi filosofia - scienza, ma semmai uno scambio di saperi che influenzano e riaggiornano problematiche di "sempre"
Penso che la filosofia sia un processo partenogenetico del pensiero, perciò nasca dallo scetticismo (nel suo significato più alto) e cioè dall'assenza di condizionamenti. Da ciò ne deriva che da logica non nasce logica, da filosofia non nasce filosofia da arte non nasce arte. Il significato del processo filosofico è racchiuso e custodito attraverso la capacità generativa umana, un principio è conservato attraverso una contraddizione tra il contenitore (generativo-tradizionale) e il contenuto (non generato). Perciò esiste la dualità tra "storia della filosofia" e la "filosofia teoretica", tra l'agito e l'atto, tra il generativo e il non generato. Contestualizzare un opera è certamente importante, pena il travisamento di essa, ma la fede nella possibilità di raggiungere il significato originale è propria solamente della religione. La religione è contestualizzazione continua del messaggio, anche solo nel significato antico della religione "ripetizione", cioè il portare il significato nel qui eora, in maniera ossessiva, fino a "sentirlo". La filosofia è qualcosa di esattamente opposto, a meno che non la si intenda in maniera ascetica e misticista. Tanto più che l'interpretazione perfetta è una questione religiosa e che non ha niente a che fare con lo scetticismo tipico dell'indagatore del logos, non capisco la moderna ossessione per la storia della filosofia. Se non come "palestra del pensiero", dove antagonisti virtuali estratti dalle emozioni evaporate da un testo, ci aiutano ad affinare la tecnica della parola, ma mai a generarla. E' una filosofia sterile di neologismi, sia nel senso di parole che di logiche, è una palestra continua senza mai la pretesa di sferrare un gancio.
Citazione di: InVerno il 24 Agosto 2018, 12:48:49 PM
Penso che la filosofia sia un processo partenogenetico del pensiero, perciò nasca dallo scetticismo (nel suo significato più alto) e cioè dall'assenza di condizionamenti. Da ciò ne deriva che da logica non nasce logica, da filosofia non nasce filosofia da arte non nasce arte. Il significato del processo filosofico è racchiuso e custodito attraverso la capacità generativa umana, un principio è conservato attraverso una contraddizione tra il contenitore (generativo-tradizionale) e il contenuto (non generato). Perciò esiste la dualità tra "storia della filosofia" e la "filosofia teoretica", tra l'agito e l'atto, tra il generativo e il non generato. Contestualizzare un opera è certamente importante, pena il travisamento di essa, ma la fede nella possibilità di raggiungere il significato originale è propria solamente della religione. La religione è contestualizzazione continua del messaggio, anche solo nel significato antico della religione "ripetizione", cioè il portare il significato nel qui eora, in maniera ossessiva, fino a "sentirlo". La filosofia è qualcosa di esattamente opposto, a meno che non la si intenda in maniera ascetica e misticista. Tanto più che l'interpretazione perfetta è una questione religiosa e che non ha niente a che fare con lo scetticismo tipico dell'indagatore del logos, non capisco la moderna ossessione per la storia della filosofia. Se non come "palestra del pensiero", dove antagonisti virtuali estratti dalle emozioni evaporate da un testo, ci aiutano ad affinare la tecnica della parola, ma mai a generarla. E' una filosofia sterile di neologismi, sia nel senso di parole che di logiche, è una palestra continua senza mai la pretesa di sferrare un gancio.
La religione, nel significato tradizionale del termine, è un "contenitore" stabile poichè è indissolubile il legame testi sacri-parusia-escatologia. Il singolo religioso quindi interpreta la sua esistenza dentro limiti determinati da sacralità.
La filosofia è più libera dai vincoli, ma in certo qual modo cerca l'archè, l'episteme come una"religione più o meno laica".
Ma che cos'è la "tradizione" se non la tramandazione per generazioni di una cultura che identifca un popolo?
Uno dei problemi, e tra i più importanti è proprio la perdita di identità culturale in funzione della storicizzazione interpretativa di un tempo.
Se la libertà può portare con sè allo smarrimento identificativo, individualizzazione personalizzazione e infine incomunicabilità, è proprio perchè si contestualizza(seguendo il significato di storicizzazione che indica Davintro) un pensiero privo di rimandi nella tradizione, vale a dire perdita delle radici culturali.
Spesso lo sbandamento è tipico di una decadenza culturale, priva di riferimenti. Entra in crisi, perchè forse ha mandato in crisi il retroterra storico-culturale, ma rimane senza risposte sui dilemmi umani che non hanno tempo e non avendo prospettiva, perchè un progetto di pensiero deve essere sostenuta da verità assolute(non ha importanza se siano verità, tautologie, postulazioni)
affinchè possa essere credibile e creduto in quanto tale.Oggi viviamo questo sbandamento, mai stati forse più liberi, ma che ne facciamo di una libertà come stato meno condizionato se privato di una teoresi che regga il divenire del tempo?
Quì ancora regge la religione che è infatti l'antagonista per antonomasia, più delle ideologie delle dottrine politiche(che infatti non reggono il divenire) della cultura contemporanea.
L'origine e il fine sono intrinsecamente necessari all'uomo, avendo in sè l'intellettività per capire una traiettoria che dal passato attraversa l'oggi per proiettarsi nel futuro.Fuori dalla traiettoria, la narrazione umana diventa priva di senso e significati.
L'uomo si riduce a cercare pezzi di senso nella quotidianeità, ma che non hanno legami tra loro per formularne una toretica, per dare senso all'intera esistenza.
Salve Jacopus. Mi permetto una precisazione, che però non so neppure se sia necessaria.
Affermi: "La contestualizzazione e' il metodo fondamentale per comprendere la filosofia".
Secondo me la contestualizzazione permette di capire cosa la filosofia in sé fosse od è, mentre non chiarisce nulla circa i singoli argomenti che essa svolge.
Salve Bobmax. Io sono un gran tifoso della sintesi e della chiarezza, ho quindi apprezzato assai il tuo intervento che comunque condivido. Saluti a tutti.
Il filosofo non è il sapiente, ma l'amico della sapienza (o saggezza).
Il che significa, per quanto sembri una bestemmia, che non è suo compito distinguere il vero dal falso (del resto come si può dimostrare la falsità di un'etica, di una morale?).
La sua è piuttosto un'opera finalizzata alla valutazione di una certa concezione nel senso della sua elevatezza o bassezza, della sua utilità a renderci liberi o piuttosto asserviti al potere.
Per questo motivo la questione della necessaria contestualizzazione non può preoccupare il filosofo autentico, ma solo coloro che si occupano di conoscenza, sapere, cultura, e che devono rispettare le regole del gioco.
Il filosofo non è nemmeno colui che cerca di costruire/tramandare una tradizione. Anzi, si può dire che la filosofia sia nata come critica della religione, quindi come un radicale ripensamento di ciò che in una comunità è dato come indiscutibile, come portatore di un valore in se'.
Il filosofo è per eccellenza un personaggio scomodo.
Impossibile pensarlo come il creatore di una visione assoluta che abbia un'origine e una fine, che sia funzione delle necessità religiose o metafisiche di un popolo.
Piuttosto il risorgere della religione deriva proprio dalla mancanza di autentica filosofia, una filosofia che sappia fornire al singolo quella prospettiva, quel punto di vista, attraverso cui potersi difendere dalle forze oppressive del mondo e sperimentare il senso di ciò che ci riguarda.
La filosofia come partenogenesi?
Mi sa che l'analogia non regge... da qualche parte dovrà pur venire il materiale genetico di base...
Piuttosto mi sembra che quella della filosofia sia una riproduzione sessuata con fecondazione multipla attraverso cui viene generata una creatura rabbiosa per via della presenza oppressiva e inadeguata (come sempre) di tanti padri...
Grazie Viator, amo anch'io la sintesi. La ricerca della chiarezza è per me essenziale, e allora bisogna tagliare, affrontando pure il rischio di magari esagerare...
D'altronde la lettura di un lungo periodare mi è spesso difficile.
@KobayashiNel complesso concordo, ma avrei alcune osservazioni: forse c'è un lieve cortocircuito fra
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
la questione della necessaria contestualizzazione non può preoccupare il filosofo autentico,
e
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
La filosofia come partenogenesi?
Mi sa che l'analogia non regge... da qualche parte dovrà pur venire il materiale genetico di base...
Per (r)assicurarsi di avere consapevolezza del proprio
imprinting culturale, e per potenziarlo con ulteriori strumenti teoretici, un po' di sana contestualizzazione (del "materiale genetico") credo non possa che giovare alla comprensione e all'
attività filosofica (se la contestualizzazione non resta fine a se stessa, ovviamente).
Condivido che
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
quella della filosofia sia una riproduzione sessuata con fecondazione multipla attraverso cui viene generata una creatura rabbiosa per via della presenza oppressiva e inadeguata (come sempre) di tanti padri...
Secondo me, la contestualizzazione, sempre da capitalizzare con l'
attualizzazione, forse può aiutare a investigare meglio l'inadeguatezza dei padri, rendere meno oppressiva la loro presenza (in virtù della distanza contestuale) e magari anche facilitare l'elaborazione del lutto (in fondo, ci opprime lo spettro dei padri, e lo spettro, in quanto tale, è sovra-contestuale, ma forse questo è un altro discorso...).
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
Anzi, si può dire che la filosofia sia nata come critica della religione, quindi come un radicale ripensamento di ciò che in una comunità è dato come indiscutibile, come portatore di un valore in se'.
Il filosofo è per eccellenza un personaggio scomodo.
Impossibile pensarlo come il creatore di una visione assoluta che abbia un'origine e una fine, che sia funzione delle necessità religiose o metafisiche di un popolo.
Piuttosto il risorgere della religione deriva proprio dalla mancanza di autentica filosofia, una filosofia che sappia fornire al singolo quella prospettiva, quel punto di vista, attraverso cui potersi difendere dalle forze oppressive del mondo e sperimentare il senso di ciò che ci riguarda.
Certamente, la filosofia è nata come critica della religione (e di altro), o almeno di quella intesa in senso comunitario e ingenuamente popolare; tuttavia la teologia (o comunque il discorso teoretico sulla divinità), è sempre stata una componente scontata e ovvia del/nel discorso filosofico, almeno fino a un paio di secoli fa. Forse proprio la scissione "recente" fra i due discorsi ha comportato la sopravvivenza dell'una (teologia) e l'indebolimento dell'altra (filosofia, che tenta di restare "forte" flirtando,
contestualmente, con la propria storia e con le altre scienze umane).
@davintro.
Ma in fondo,se al puro fine teoretico ci torna utile ricevere spunti da un passato o presente indefiniti,seppure questi sappiamo arrivino per lo più da una stratificazione di contestualizzazioni,cosa importa,se si cerca lo spunto per lo spunto?
Ma se pretendo di dialogare direttamente con Eraclito allora nasce il problema della contestualizzazione.
Il problema semmai è un altro.
Prendiamo ad esempio il tuo ottimo post.
È scritto in linguaggio corrente.Vale come spunto per chiunque.
Non bisogna conoscere la storia della filosofia per usarlo come spunto.
Può usarlo come spunto anche chi ha deciso di iniziare a filosofare 5 minuti fa',in quanto cio' e sua facoltà,in quanto uomo.
Direi quindi che è perfettamente contestualizzato,in senso positivo.
Si tratta però di un esempio raro, da prendere ad esempio.
Di solito non è così in questo forum.
Un forum di filosofia è rivolto ai filosofi o agli uomini ,filosofi in quanto uomini?
Se ci interessa lo spunto per lo spunto,ed è ciò che interessa me,anche uno spunto che nasce dal fraintendimento di ciò che Eraclito voleva dire va' bene.
Certamente dovremmo essere accorti a che la storia della filosofia non diventi una zavorra al piacere di filosofare.
Ma forse succede ai filosofi più o meno di mestiere quel che succede a tutti.
Un lavoro può anche piacere , ma è sempre un lavoro.
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
Il filosofo non è il sapiente, ma l'amico della sapienza (o saggezza).
Il che significa, per quanto sembri una bestemmia, che non è suo compito distinguere il vero dal falso (del resto come si può dimostrare la falsità di un'etica, di una morale?).
La sua è piuttosto un'opera finalizzata alla valutazione di una certa concezione nel senso della sua elevatezza o bassezza, della sua utilità a renderci liberi o piuttosto asserviti al potere.
Per questo motivo la questione della necessaria contestualizzazione non può preoccupare il filosofo autentico, ma solo coloro che si occupano di conoscenza, sapere, cultura, e che devono rispettare le regole del gioco.
Il filosofo non è nemmeno colui che cerca di costruire/tramandare una tradizione. Anzi, si può dire che la filosofia sia nata come critica della religione, quindi come un radicale ripensamento di ciò che in una comunità è dato come indiscutibile, come portatore di un valore in se'.
Il filosofo è per eccellenza un personaggio scomodo.
Impossibile pensarlo come il creatore di una visione assoluta che abbia un'origine e una fine, che sia funzione delle necessità religiose o metafisiche di un popolo.
Piuttosto il risorgere della religione deriva proprio dalla mancanza di autentica filosofia, una filosofia che sappia fornire al singolo quella prospettiva, quel punto di vista, attraverso cui potersi difendere dalle forze oppressive del mondo e sperimentare il senso di ciò che ci riguarda.
La filosofia come partenogenesi?
Mi sa che l'analogia non regge... da qualche parte dovrà pur venire il materiale genetico di base...
Piuttosto mi sembra che quella della filosofia sia una riproduzione sessuata con fecondazione multipla attraverso cui viene generata una creatura rabbiosa per via della presenza oppressiva e inadeguata (come sempre) di tanti padri...
la logica predicativa è nata da Aristotele e quella proposizionale dagli stoici.
Il vero o falso sono quindi lo svolgimento argomentativo dentro regole appunto logiche e nasce dalla filosofia.
La religione pone un problema morale e non necessariamente logico .Saranno poi gli "interpreti " delle religioni, i teologi a porre oltre a problematiche di bene e male quello di vero e falso in termini logici, come nel tomismo, come nella scolastica.
La filosofia non nasce affatto contro la religione, basta leggersi attentamente i dialoghi socratici di Platone,
Socrate, nel Fedone, argomenta su tre piani : quello di Zeus e degli dei, che è indipendente dal culto orfico-pitagorico e della metempsicosi in cui credeva Socrate, e ancora il ragionamento dialettico coni suoi discepoli e la relativa maieutica .
In sintesi, Zeus e gli dei non impediscono a Socrate di credere nel culto orfico pitagorico e sia Zeus che glidei e il culto orfico pitagorico non gli impediscono di RAGIONARE.
La filosofia nasce come indagine non si pone contro nessuna religione, anzi, le religioni prenderanno dalla filosfia le regole logiche argomentatative, perchè tutti i patristi avevano anche basi filosfiche
Il filosofo tramanda prima di tutto una forma linguistica e un approccio, poi costruisce una sua teoretica che è sicuramnte influita dal suo tempo, ma la sua teoretica se fosse legata SOLO al suo tempo,, varrebbe ben poco filosoficamnte, perchè questo è semmai compito delle scienze umaniste.
La differenza fra il filosofo e lo scienziato è che il primo deve mettere in discussione sempre i principi costitutivi delle teoretiche se non vuole essere prigioniero del suo tempo.Lo scienziato scopre e inventa fisicamente è prassi soprattutto e in quanto tale è dentro la tecnica e le tecnologie, il filoso è "prima" come capacità d'impostazione del pensiero e anche dopo se la sua teoretica
ha la forza di resistere al tempo.
Il filosofo in quanto tale non deve essere asservito a niente e nessuno, se non a se stesso.
@ Iano:
La Filosofia ha tante possibili declinazioni e scopi. Dilettarsi di filosofia può anche riguardare il livello di insincerità di un cretese amante dei paradossi, ma quello che intendeva Davintro, forse, è scendere più in profondità. Domandarsi cos'è l'uomo, perchè nasce e vive. Cosa c'è di saldo, oggettivo, ripetibile nella storia della filosofia, in grado di dare un "senso" al tutto?
Sono domande fondamentali che hanno iniziato a porsi i pre-socratici.
La mia personalissima interpretazione è che siamo la nostra storia. E' questo il senso della contestualizzazione. Viviamo in un piccolo battito del tempo e lasciamo in eredità qualcosa, che si accumula e resta alle successive generazioni. La grande frattura nella storia dell'uomo è proprio l'invenzione della storia. Prima c'è il tempo mitologico, il ripetersi ciclico delle stagioni e del ritmo della vita, identico nei secoli. Con la trasmissione del sapere e dell'esperienza reso possibile dalla scrittura, l'uomo è antropologicamente cambiato. Abbiamo iniziato un viaggio. Per questo mi piace la figura di Ulisse. Ulisse è il primo uomo moderno, perchè affronta il viaggio come percorso innovativo, dove deve chinare il capo agli dei e al fato, ma, se abbandonato a sè stesso o alle ripicche divine, se la cava con il supporto della sua "sola" intelligenza. Per questo dico che la contestualizzazione è la stessa essenza della filosofia, perché la filosofia non è altro che lo spirito del suo tempo, osservato attraverso una razionalità pura ed emozionante, ma condizionata dalla lingua, dalle esperienze del filosofo, dalla società che gli gira intorno. Una volta distesa sul suo tempo quella filosofia, o meglio quella filosofia che è riuscita ad essere conservata e trasmessa alla successive generazioni, sarà il substrato della filosofia che verrà, come nani sulle spalle di giganti, o nani sulle spalle di altri nani, o uomini sulle spalle di altri uomini, non importa.
Inoltre, siccome non credo alle "magnifiche sorti e progressive", il passato può essere una preziosa riserva di senso, qualora la società umana dovesse deviare, per i più svariati motivi, sociali, economici, fisici, come accade ad ogni epoca, del resto.
@jacopus.
In tempi non tanto passati quando scendeva il buio si filosofava anche senza sapere di farlo.
Oggi il contesto è cambiato.
Tucidite fa' dire a Pericle di se' e degli Ateniesi: "Noi amiamo il bello con semplicità e filosofiamo senza timidezza".
Tratto dalle prime pagine del primo volume di una infinita enciclopedia della filosofia,rilette mille volte , senza andare oltre.
Pigrizia?
No , è che in quelle poche pagine trovo tanti di quegli spunti che mi perdo sempre dietro ai miei pensieri.
Cosa unisce ,dici questo essere l'argomento,il filosofare di oggi a quello di ieri,rimasto immune ai cambi di contesto?
Questo è davvero un superspunto che non avevo colto,e che immagino nessuno storico della filosofia abbia affrontato,o no?
Grazie.
Credo non sia cambiata la naturale voglia di filosofare,anche quando non lo si ammette per timidezza.
Difficile tirare fuori la gente da questo guscio,ma non impossibile,e quando succede mi sento a pieno uomo fra gli uomini.
Certo una volta era più facile caderci di fronte a un cielo stellato nella notte buia.Altri contesti.😀
Per Phil.
Sulla contestualizzazione intendevo dire che sì, naturalmente un suo esercizio di base è necessario. Basta però non illudersi di poter trovare nell'opposizione dell'approccio storico-filosofico a quello teoretico la soluzione al problema della decadenza della filosofia.
Cit. Phil: "[...] la contestualizzazione [...] forse può aiutare a investigare meglio l'inadeguatezza dei padri, rendere meno oppressiva la loro presenza (in virtù della distanza contestuale) e magari anche facilitare l'elaborazione del lutto".
È l'ammissione che in fondo tutto quello che è stato raccontato sono in fondo solo idee, parole, e che la vita è altra e rimane ben protetta dal confort borghese, tutto quello che gli ultimi padri sono stati alla fine costretti a confessare... Ecco, è questo che secondo me si tratta di elaborare. Ma non come un lutto. Niente più melanconia, ma rabbia, sfrontatezza, coraggio sovversivo...
Per paul11.
Cit. paul11: "La filosofia nasce come indagine". È esattamente quello che mi interessava contestare.
L'ossessione della filosofia per la verità e la conoscenza di Dio dipende dalla dimenticanza di una distanza tra filosofia e sapere.
Come dicevo, se tra filosofia e sapere non c'è identità ma solo un'alleanza strategica significa che le finalità del filosofo non coincidono con quelle del sapiente (la ricerca di una verità assoluta).
Dunque si conclude che la sua tendenza a scodinzolare intorno alla scienza o a proporsi come metafisica non è attinente alla propria natura.
Che nell'antichità Diogene di Sinope fosse considerato un filosofo di grande importanza ci dovrebbe far riflettere sul fatto che forse si sono smarrite le domande più importanti.
Citazione di: Kobayashi il 27 Agosto 2018, 08:38:56 AM
Per paul11.
Cit. paul11: "La filosofia nasce come indagine". È esattamente quello che mi interessava contestare.
L'ossessione della filosofia per la verità e la conoscenza di Dio dipende dalla dimenticanza di una distanza tra filosofia e sapere.
Come dicevo, se tra filosofia e sapere non c'è identità ma solo un'alleanza strategica significa che le finalità del filosofo non coincidono con quelle del sapiente (la ricerca di una verità assoluta).
Dunque si conclude che la sua tendenza a scodinzolare intorno alla scienza o a proporsi come metafisica non è attinente alla propria natura.
Che nell'antichità Diogene di Sinope fosse considerato un filosofo di grande importanza ci dovrebbe far riflettere sul fatto che forse si sono smarrite le domande più importanti.
forse ,non hai letto i mie post precedenti.
La verità assoluta o è ritenuta religiosa da terza parte(Dio) come verità rivelata, o è indagine UMANA.
Se l'uomo fosse verità assoluta,sicuramente non non ne siamo coscienti: avremmo già il sapere senza necessità di conoscere.
Se avessimo quindi la verità assoluta si tratterebbe comunque di indagare per conoscerla, per renderla cosciente.
oltre a ringraziare per l'interessante discussione che avete sviluppato, volevo anche aggiungere che ho sempre trovato la metafora dei "nani sulle spalle dei giganti" espressione di quel dogmatismo storicistico, che purtroppo contribuisce a svilire il carattere scientifico e razionale della filosofia, riducendola a porre come argomenti della verità delle tesi che si sostengono non la logica e la corrispondenza tra discorso e realtà, ma il principio di autorità, per cui i pensatori del passato (i giganti) sono delle autorità infallibili, da dover usare come base delle sviluppo delle nostri posizioni personali, senza metterle in discussione. Evidentemente ciò è all'antitesi di una corretta razionalità scientifica: se Galilei e Copernico avessero accettato il ruolo di nani sulle spalle del gigante Tolomeo, saremmo ancora fermi al modello geocentrico, avrebbero dovuto limitarsi ad aggiungere nuove nozioni ad un base prestabilita, senza smentire la validità della base stessa, perché "il gigante Tolomeo non può sbagliare, ipse dixit". Ma anche, ammesso e non concesso, di ritenere il compito del filosofo come quello di aggiungere nuove conoscenze ad una base teorica ricavata dalla storia, anziché costruire in modo autonomo le basi stesse, cioè accettare di essere nani sulle spalle dei giganti, appare come la pretesa di validità della metafora sia autocontradditoria: chi stabilisce chi sono i veri giganti, alle cui spalle appoggiarmi? Se fossi solo un nano non potrei essere io a stabilirlo, essendo nano il mio sguardo non avrebbe la capacità di elevarsi al punto di raffrontare l'altezza delle persone intorno a me e scegliere i più alti su cui poi poggiare per avere una visione della realtà più completa. La verità è che i giganti possono riconoscersi solo tra loro, solo un gigante ha la statura necessaria per distinguere la vera altezza delle persone e valutare quali sono le altezze maggiori su cui poggiare. Ma poi, essendo lui stesso un gigante, dovrebbe comprendere che anche facendo leva su se stesso, autonomamente, sarebbe comunque in grado di avere una sufficientemente ampia visione del paesaggio... fuor di metafora, la storia della filosofia è costituita da un'infinità di posizioni diverse, in gran parte antitetiche e non sintetizzabili, e non può essere accolta in toto come base teorica di fondazione di un pensiero autonomo e razionale, ma vanno selezionati quegli autori, e, soprattutto, quei punti e modelli teoretici, che ci sembrano più validi e razionali, siamo noi oggi a essere responsabili nello stabilire quali sono i giganti e quali no, ma il punto è che propria questa libertà e responsabilità mostrano l'autonomia della filosofia dalla storia della filosofia! Nel momento in cui sono in grado di valutare con la mia testa cosa prendere e cosa escludere della storia della filosofia, dimostro che non è la tradizione storica, ma la mia logica personale la base a partire da cui elaborare un autonomo sistema di pensiero, altrimenti dovrei passivamente assorbire tutto ciò che apprendo dalla storia, senza alcun filtro critico. Se, leggendo Kant o Hegel, sono in grado di giudicare e discernere i torti e le ragioni, le coerenze e le incoerenze dei loro discorsi, allora vuol dire che i parametri di tale giudicare e discernere non sono storici, ma originali e personali: sono già in me le basi a partire dalle quali valutare il valore teoretico dei testi, non mi sto appoggiando ad alcun gigante, non sono una tabula rasa colpita dal condizionamento esterno del libro. Il libro suggerisce, ispira, stimola la riflessione, ma il criterio di giudizio resta appannaggio della soggettività critica del lettore contemporaneo: qui sta l'autonomia della filosofia teoretica, elaborazione originale, rispetto alla storia della filosofia, ricezione passiva del passato.
Infine, per sintetizzare, mi piacerebbe opporre alla metafora dei nani sulle spalle dei giganti, quella della contrapposizione fra città e singolo cantiere in costruzione. La storia della filosofia non dovrebbe vedersi come un unico cantiere in costruzione dove ciascun pensatore aggiunge un mattoncino alla base di mattoni posti da altri prima di lui (l'anima immortale di Platone come può integrarsi nella stessa costruzione accanto all'anima aristotelica, che una volta separata dal sostrato materiale del corpo è destinata a perdersi? Di fronte a conclusioni contrarie non è possibile sintesi, ma solo un aut aut, tertium non datur ), bensì un città dove ciascun singolo filosofo costruisce la sua personale casetta, ed ha certamente l'opportunità di trovare ispirazione nelle case costruite dai suoi vicini, ma l'ultima parola sul progetto spetta a lui, al suo gusto personale, e le fondamenta a partire da cui sviluppare la sua costruzione, appartengono solo alla sua casa, senza nessun parassitario allaccio con le altre