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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: PhyroSphera il 14 Agosto 2024, 09:12:33 AM

Titolo: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 14 Agosto 2024, 09:12:33 AM
La distinzione tra naturale e soprannaturale non fa più presa come un tempo. L'affermazione dell'uomo quale essere culturale è usata, anzi direi abusata, per negare l'altra dell'uomo quale essere naturale. Entrambe in realtà sono vere, così come è vera la distinzione tra fedi monoteiste, che fanno riferimento a un evento soprannaturale, e fedi politeiste, che si riferiscono ai misteri presenti dietro gli eventi naturali.
Al suo apparire la filosofia di Spinoza suscitò alcune reazioni indignate e non mancarono le violenze. Il potere rabbinico maledisse ufficialmente il filosofo portoghese, colpendo nell'anatema anche i suoi bisogni primari. Lo si riteneva colpevole. In definitiva però il Deus sive Natura di Baruch Spinoza non costituisce un attacco contro le dottrine monoteiste, che nel considerare il soprannaturale devono pur sempre includere il pensiero della naturalità. Il primo significato della parola latina 'sive' è: 'o se': Deus sive Natura sta a significare una proposta: se noi pensassimo Dio quale la natura stessa, la natura assoluta? Se facessimo questa ipotesi, ci accorgeremmo che dire Dio significa dire Natura! Questo indignò intelletti poco inclini all'acume, pensando costoro che così si stava confondendo Dio e mondo. Altri, che pure nutrivano la stessa incomprensione, invece ne apprezzarono perché ciò avrebbe permesso loro di divinizzare un'altra volta (o forse per la prima volta) le cose; altri ancora salutarono una grande liberazione, pensando che siffatta filosofia riducesse e finalmente facesse scomparire Dio nelle leggi naturali.

In definitiva la Natura cui inoltrava il filosofo portoghese non è quella cosmica, ma quella che è dietro all'ordine cosmico, dalla quale questo discende; e ciò non serve a smentire le fedi monoteiste, ebraismo compreso. Certo in tal modo si riporta il discorso alla essenza di Dio, oggetto principale dei culti pagani nonché politeisti; ma la stessa essenza è oggetto di necessaria meditazione per i credenti nell'unico Dio, pur non assurgendo a riflessione centrale.
La storia del pensiero teologico ebraico e giudaico fu segnata nel Medio Evo dalla nascita di un immanentismo, nella dottrina celebre della Cabala. Questa aboliva l'antagonismo con il pensiero degli dèi: essi sono in ogni cosa, la realtà è piena di dèi. L'universo è il corpo di Dio, Dio lo ha creato con sé stesso, non dal nulla. La storia antica degli ebrei li vede protagonisti di un conflitto coi pagani intorno; la religione ebraica visse della separazione e del giudizio nei loro confronti quando non nello scontro. L'ebraismo ha una concezione rigida dell'unità di Dio: i suoi fedeli non rivolgono niente delle proprie preghiere alla divinità di Dio. La Cabala invitava loro, anzi metteva loro a fronte di una nuova prassi: escludere dal proprio culto il Divino, ma non dalle proprie conoscenze o perlomeno non dalla propria cultura. Terminare il grave dissidio col mondo pagano, trasformare l'antagonismo in semplice alternativa o concorrenza: questo nuovo orizzonte non solo intellettuale veniva fermamente rifiutato dal potere sacerdotale prevalente tra giudei ed ebrei, dal Medio Evo alla Modernità.
Spinoza portava nella filosofia occidentale l'immanentismo della Cabala ebraica, dopo che nei suoi Dialoghi italiani Giordano Bruno aveva temerariamente detto di materia materiante a proposito di Dio Creatore. Non si trattava di un linguaggio fissato, di una terminologia, ed infatti la filosofia europea ne recepiva quale Dio Sostanza. Entro questo quadro, oltre che nei nuovi esiti del pensiero mistico e teologico ebraico, va collocata la filosofia di Spinoza. Questi appuntava la sua attenzione sull'aspetto immanente di Dio, sulla base naturale della realtà, dopo che Bruno aveva inoltrato alla trascendenza-immanenza di Dio attraverso il pensiero neoplatonico. Non si affermava metafisicamente ma eticamente: si dimostrava (geometricamente) la necessità di dovere includere, nella considerazione del reale e della stessa natura del mondo, il riferimento a Dio. Lungi dall'essere affermazione o proponimento di ateismo, si faceva valere il teismo anche nelle questioni naturali. Molti intendevano tutto al contrario.

Un'altra grande difficoltà interveniva nella vicenda della accoglienza della Etica spinoziana: era già presente in quegli anni una forte tendenza a concepire la Causa dell'universo in termini meccanici. Le fantasie a riguardo erano già degli antichi, alle prese col deus ex machina e le decadenze dei miti e dei culti nel tardo Impero Romano. Evidentemente, coloro che si sentivano a torto imprigionati nelle spire della etica geometricamente dimostrata concepivano la Causa in maniera arbitraria e per nulla necessaria. Causa come si direbbe in un tribunale, dove i coinvolti e parte in essa continuano ad essere liberi, o come si direbbe alle prese con le nuove mappe non statiche del sistema solare, le quali mettevano in scena un meccanismo celeste rigidamente definito (i pianeti venivano mossi o se ne indicava con frecce il movimento attorno al sole)? Chi propendeva per l'ultima visione, non riusciva a trovare in tale Etica niente di accettabile. Eppure il determinismo contenuto in essa è così estremo che per converso non risulterebbe filosoficamente possibile concepire detta Causa totalizzante! Insomma la questione dipendeva dalle differenti premesse culturali, o subculturali, di cui ci si avvaleva leggendo tale Opera. Questa poteva esser vista anche trascendendo i limiti coi quali il suo stesso autore la interpretava; ma non erano questi ad essere tragici, piuttosto quelli dei suoi persecutori e falsi intenditori. Difatti la questione non riguarda la critica filosofica nonché letteraria, ma l'ignoranza e l'avversione ingiustificate.

I lettori atei dell'Etica spinoziana nel corso degli anni ne tradivano del tutto scopi e contenuti e resero reali gli incubi dei rabbini ortodossi alle prese col famigerato libro del filosofo portoghese Spinoza. Davvero nacque il pregiudizio di un mondo esclusivamente naturale ove tutto sarebbe fatale e già determinato senza alcuna vera libertà per nessuno neppure per Dio. Ma maledire il suo autore - che in realtà aveva scritto altro - accompagnargli i pasti, le bevande, il sonno e il resto con una minaccia adatta a suscitare i criminali comuni che vagavano per strada in cerca di delitti, non aiutò la cultura europea a capire il da farsi. Il marxismo interpretò l'incubo dei falsi interpreti come una sconsolata ma necessaria accettazione della realtà... E così il dramma culturale e filosofico si protrasse fino ai nostri giorni, pur senza aver prevalso e prevalere. Una presenza che non è cosa da poco.

(Avevo intenzione di un messaggio assai breve, ma l'argomento e la passione non me lo ha consentito.)


Mauro Pastore
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Alberto Knox il 14 Agosto 2024, 11:16:19 AM
Se essere atei significa ridurre tutto a materia e ad assenza di pensiero, considerando il pensiero come un mero epifenomeno della materia destinato ad estinguersi quando la materia si decompone e considerando quindi la vita senza senso Allora si capisce immediatamente che Spinoza non poteva essere ateo , difatti egli sosteneva queste due verità .
la prima ; la natura, ovvero la sostanza infinita ,che io Spinoza, chiamo anche Dio oltre ad essere Res extensa è anche Res cogitans , oltre ad essere estensione , è anche pensiero.
la seconda; la mente, la sede del nostro pensiero , in quanto partecipa di Dio che è eterno e che è pensiero , è eterna.

Egli scriverà nella quinta parte della sua etica la seguente frase; la mente umana non può essere assolutamente distrutta assieme al corpo , ma di essa rimane qualcosa che è eterno. (etica 5;23) .
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Ipazia il 14 Agosto 2024, 15:48:34 PM
I rabbini ortodossi (e i preti cristiani) ci vedevano lontano più di Spinoza e il suo Deus sive Natura deflagrò in un'epoca matura per il passaggio successivo: Natura sine Deus.
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Alberto Knox il 14 Agosto 2024, 20:54:32 PM
Citazione di: Ipazia il 14 Agosto 2024, 15:48:34 PMI rabbini ortodossi (e i preti cristiani) ci vedevano lontano più di Spinoza e il suo Deus sive Natura deflagrò in un'epoca matura per il passaggio successivo: Natura sine Deus.
ma il passo successivo è stato fatto travisando le parole di Spinoza, prendendo spunti da delle parti travisandoli ad uso e consumo per giustificare il loro ateismo. Costoro infatti si guardano bene dallo specificare che Spinoza non ha mai detto che Dio non esiste ma che anzi ha affermato che è l'unica cosa che esiste! e si guardano dal riportare quelle parole che mettono in evidenza l'amore di Spinoza verso Dio che io ora riporto dall etica; "l'amore verso Dio deve occupare la mente in sommo grado". E ancora; "questo amore verso Dio è il bene piu alto che possiamo appetire secondo il precetto della ragione" e ancora ; "l'amore intellettuale di Dio che nasce dal terzo genere di conoscenza è eterno. " e ancora ; "da ciò comprendiamo chiaramente in cosa consiste la nostra salvezza, la nostra beatitudine, la nostra libertà , consiste nel costante ed eterno amore verso Dio" . In realtà, coloro che vedono nelle parole di Spinoza un incipt all ateismo commettono lo stesso errore di quei credenti integralisti cioè quello di concepire solo la loro idea di Dio e così quando questa loro idea di Dio viene negata essi individuano l ateismo . Contro l'interpretazione materialisitica ed atea nella filosofia di Spinoza fu lui stesso a rispondere ; "coloro che ritengono che il fondamento del trattato teologico politico sia l'identità di Dio/natura , natura intesa come massa o materia coorporea sono totalmente fuori strada, sono quindi fuori strada anche ora coloro che mi leggono all insegna del materialismo oggi dominante dove intendono la natura solo come materia e dimenticano che la natura è anche pensiero e infiniti altri attributi di cui noi non conosciamo l esistenza. La riduzione di Dio, la riduzione della natura a ciò che viediamo e che tocchiamo è quanto di più lontano da me! ognuno può pensare in questo modo, certo che sì, ma perfavore, evitino di appoggiare il loro ateismo sul mio nome" (lettera di Baruc Spinoza rivolta a un suo amico) .
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: baylham il 16 Settembre 2024, 10:27:20 AM
Citazione di: Alberto Knox il 14 Agosto 2024, 20:54:32 PMma il passo successivo è stato fatto travisando le parole di Spinoza, prendendo spunti da delle parti travisandoli ad uso e consumo per giustificare il loro ateismo. Costoro infatti si guardano bene dallo specificare che Spinoza non ha mai detto che Dio non esiste ma che anzi ha affermato che è l'unica cosa che esiste! e si guardano dal riportare quelle parole che mettono in evidenza l'amore di Spinoza verso Dio che io ora riporto dall etica

In qualunque manuale di filosofia la concezione di Spinoza viene definita sinteticamente panteismo, non ateismo. Si evidenzia che il suo panteismo si distacca esplicitamente dalle principali concezioni religiose occidentali di allora.

Se molti hanno preso spunto dalla filosofia panteistica di Spinoza per giungere all'ateismo non comprendo quale sia il travisamento e la sua drammatica gravità. Personalmente considero la filosofia di Spinoza un progresso intellettuale rispetto alle precedenti concezioni, ma trovo delle serie contraddizioni logiche nel panteismo, che l'ateismo risolve.
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Alberto Knox il 16 Settembre 2024, 12:57:38 PM
Citazione di: baylham il 16 Settembre 2024, 10:27:20 AMSe molti hanno preso spunto dalla filosofia panteistica di Spinoza per giungere all'ateismo non comprendo quale sia il travisamento e la sua drammatica gravità.
attenzione però  , il panteismo di cui parli non coincide con la filosofia di Spinoza, coincide,invece,  con il panteismo degli stoici dove Dio coincide con tutte le cose , tutte le cose coincidono con Dio, Dio è tutto e tutto è Dio. E nella filosofia degli stoici questo è pienamente panteista. Qual'è dunque la differenza con il panteismo di Spinoza?  che tutto è in Dio, Dio contiene il tutto e questa concezione filosofica viene definita "panenteismo" . Dunque Spinoza era panteista o panenteista? tutte e due. In Spinoza sono coinvolti entrambi gli aspetti perchè nella sostanza di Spinoza è in tutto e tutto coincide con la natura . Ma la sostanza che è Dio contiene in se stessa attributi e modi , si manifesta in infiniti attributi e infiniti modi. Dunque dentro la sostanza che è Dio e che è il tutto vi sono gli attributi e i modi , il pensiero e estensione , le idee e i corpi che sono contenuti dalla sostanza. Abbiamo in Spinoza tanto il panteismo quanto il panenteismo perchè tutto coincide con Dio , Dio coincide col tutto (Deus sive natura) ma alcontempo Dio contiene la natura. La distinzione è dunque questa nel panteismo si fa coicidere il tutto a Dio nel panenteismo da anche una dimensione a Dio come grande contenitore di tutta la natura. è un estensione del panteismo .
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Lou il 23 Settembre 2024, 20:33:55 PM
Direi che non c'è nulla di più divino della natura. O nulla di più naturale del divino. Proprio di nulla non si parla. E questo basti a tutti gli dei, le dee e qualunque "Dio" e seguaci  e religioni di ogni specie , e pure l'ateismo o il l panteismo altro.. che non è il punto., Troppo avanti Spinoza in un monismo immanentista talmente potente da far fondere e rabbrividire e dio e la natura, viceversa è lo stesso. Son concetti che esplodono nell'etica spinoziana! Da reinventare, io penso sia questo il punto. Un insegnamento senza pari.
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Scepsis il 04 Dicembre 2024, 20:30:34 PM
Spinoza parte dallo stesso punto di inizio assunto da Cartesio, il cogito ergo sum, ma procede nella direzione esattamente opposta a quella assunta da quest'ultimo.
Cartesio, partendo dal cogito ergo sum, vuole rivoluzionare e rifondare le fondamenta della conoscenza umana e le scienze. Spinoza, partendo dal cogito ergo sum, si dirige verso una sfera non umana e non gnoseologica, ma metafisica, verso una concezione di Dio innovativa rispetto ai tradizionali canoni dell'Occidente (Hegel dira' che "con Spinoza per la prima volta l'intuizione orientale dell'identita' assoluta e' stata accostata immediatamente al modo di pensare europeo"), non piu' trascendente e volontaristica, ma assolutamente necessitata ed immanente. Quindi un Dio contenente ogni e qualsiasi cosa, materiale e non, aventi tutte pari dignita' in quanto necessarie emanazioni di Dio stesso, che in Esso si rispecchiano e si identificano.
Tale concezione non puo' non coinvolgere profondamente la sfera umana ed esistenziale: l'uomo avra' come piu' elevato e prioritario obbiettivo il raggiungimento della mistica
consapevolezza dell'unione tra ogni uomo (cosi' come tra ogni cosa) e Dio. Questa consapevolezza, se raggiunta, e' in grado di trasfigurare l'esistenza umana ed il suo significato, portandola ad una condizione di beatitudine e di identificazione con Dio e con il tutto. L'uomo e' cosi' in grado di superare ed eliminare il dolore e la paura propri della condizione umana, cosi' come tutte quelle limitazioni e tribolazioni che ogni individuo e' destinato inevitabilmente a subire nella sua esistenza.
I due aspetti, metafisico (con una nuova concezione di Dio) ed esistenziale (con una nuova collocazione e concezione dell'uomo, delle sue possibilita' e del suo rapporto con Dio), si intrecciano, conferendo reciprocamente valore e forza l'uno all'altro. I temi teoretici della metafisica spinoziana si sposano e favoriscono le soluzioni umane ed esistenziali individuate dal filosofo, cosi' come quest'ultime operano nei confronti dei primi, ed un aspetto senza l'altro non avrebbe potuto portare alla costruzione del complessivo sistema filosofico spinoziano.


A determinare il percorso del pensiero di Spinoza, caratterizzato dai due aspetti sopra detti (metafisico ed esistenziale), concorrono presumibilmente due elementi in particolare, da una parte la fascinazione generata dall'incontro con l'intuizione del cogito ergo sum (fascinazione assai diffusa e generalizzata nella sua epoca), dall'altra le dolorose esperienze personali che hanno profondamente segnato l'esistenza del filosofo, vissute per di piu' in un contesto storico tra i piu' caotici e sanguinosi, esperienze che hanno posto al centro della sua riflessione la dimensione umana ed esistenziale e la necessita' di una via di uscita dal dolore e dalla paura. A questo proposito, nella prefazione al "Trattato sull'emendazione dell'intelletto" (pubblicato postumo, ma iniziato presumibilmente nel 1656, anno della sua scomunica dalla chiesa ebraica) si legge: "dopo che l'esperienza mi insegno' che tutto quello che si incontra comunemente nella vita e' vano e futile, vedendo che tutto cio' da cui temevo e che temevo non aveva nulla in se' ne' di bene ne' di male se non in quanto il mio animo se ne commuovesse, stabilii finalmente di ricercare se vi fosse un vero bene che si comunicasse a chi l'ama e ne occupasse da solo l'animo respingendo tutte le altre cose: se ci fosse qualcosa, trovata ed ottenuta la quale, io potessi in eterno godere continua e somma letizia".


Relativamente al primo elemento (la fascinazione generata dall'incontro con l'intuizione del cogito ergo sum), si osserva che, nel quadro storico di un riscoperto neoplatonismo rinascimentale, con i suoi echi spirituali e panteistici, e di un rigoglioso e ed innovativo sviluppo scientifico, la scoperta dell'intuizione del cogito ergo sum e' stata probabilmente la scintilla che ha innescato un processo tale da portare alla metafisica ed al misticismo spinoziano, vale a dire ad identificare l'uomo (cosi' come ogni cosa) in Dio, in quanto emanazione ed espressione necessaria di quest'ultimo.
Di fatto gia' con il cogito ergo sum cartesiano si era determinato, in qualche modo, un avvicinamento dell'uomo e del suo pensiero a Dio, come mai prima nella storia.
Questo avvicinamento e' dato dalla capacita' dell'uomo di concepire una intuizione (il cogito ergo sum) potenzialmente in grado di opporsi e resistere, nella sua indubitabilita' e certezza, ad eventuali tentativi di falsificazione anche da parte di un Dio ingannatore. E' presumibilmente questa consapevolezza che porta Cartesio a sostituire quasi immediatamente l'immagine di un Dio ingannatore con quella di un genio maligno (piuttosto che il fatto che Dio, sommamente buono, non puo' volerci ingannare).
Nella trattazione cartesiana il cogito ergo sum e' l'unico concetto in grado di superare il dubbio metodico cartesiano, dubbio che dopo tale superamento non verra' piu' applicato ai successivi concetti elaborati ed esposti da Cartesio, in particolare quello delle idee chiare e distinte. Quest'ultime verranno dichiarate (senza dimostrazione e senza essere sottoposte all'esame del dubbio metodico) essere alla base della validita' e del valore del cogito ergo sum, e portate a fondamento della nuova concezione scientifica cartesiana. Il cogito ergo sum verra' invece svalutato (e non riconosciuto nella sua unicita') come uno dei tanti possibili esempi di idea chiara e distinta. E' come se Cartesio, avendo come principale obbiettivo la rifondazione della conoscenza umana e delle scienze, non si accorgesse (o preferisse ignorare, in quanto lontano dal suo obbiettivo) del valore e dell'unicita' del cogito ergo sum, e delle conseguenti implicazioni e suggestioni derivanti da tale concetto.
Implicazioni e suggestioni colte invece pienamente da Spinoza e che concorreranno all'elaborazione del suo sistema filosofico, in cui l'uomo arrivera' ad una mistica identificazione con Dio.


Relativamente al secondo elemento (le dolorose esperienze personali di Spinoza che lo hanno portato a porre al centro della sua riflessione la dimensione umana ed esistenziale), occorre necessariamente fare una premessa.
Il filosofo e' prima di tutto un uomo, che nell'elaborare il proprio sistema filosofico (per quanto apparentemente determinato dalla sola impersonale ricerca di una "Verita' " universale e generale) non puo' non considerare, anche inconsciamente, i propri personali valori umani, la propria intima concezione dell'esistenza, delle sue necessita' ed aspettative, del suo significato (a questo proposito si puo' dire che il paradiso esistenziale di Kant e', in qualche modo, l'inferno esistenziale di Hegel, e viceversa). Questi fattori potranno avere un ruolo piu' o meno grande nell'elaborazione di un sistema filosofico, essere piu' o meno espliciti o addirittura essere apparentemente assenti, ma non potranno comunque essere ignorati (consapevolmente o inconsapevolmente) tanto da portare all'ideazione di un sistema in contrasto con tali valori e tali concezioni: il "mare senza rive" del pensiero, del resto, offre infinite possibilita' di pervenire (anche inconsapevolmente) a sistemi che non confliggano, in ogni caso, con essi.
Vi sono poi pensatori che all'intima dimensione umana ed esistenziale, alle sue necessita' ed al suo significato attribuiscono un ruolo ed un peso centrale nella propria opera. Tra questi Socrate, Epicuro, Pascal e, sicuramente, Spinoza.


Spinoza visse in un'epoca segnata da conflitti tra i piu' sanguinosi della storia, la fine della guerra "dei trent'anni" (di origine religiosa) era ancora recente, e costellata da continui e violenti scontri tra parti contrapposte (in Olanda repubblicani contro orangisti, con il linciaggio da parte della folla dei fratelli De Witt, di cui Spinoza fu spettatore).
In questo contesto il filosofo si era trovato a nascere in una famiglia "marrana" di origini portoghesi, quindi ebrei a suo tempo convertiti piu' o meno a forza al cattolicesimo, e ritornati all'ebraismo una volta giunti ad Amsterdam (all'epoca definita la "nuova Gerusalemme" per la buona accoglienza riservata agli ebrei), dove Spinoza nacque.
In Portogallo i "marrani" erano odiati piu' degli stessi ebrei praticanti, e nel 1506 a Lisbona piu' di 2.000 marrani furono massacrati in due giorni dalla folla inferocita. Gli stessi ebrei non marrani, secondo la storiografia, tennero verso i marrani un variegato atteggiamento, che andava dalla solidarieta' alla piu' ferma condanna per il loro "tradimento", tanto da collaborare, in alcuni casi, alla loro persecuzione.
Spinoza visse lo stesso doppio rifiuto nella sua vita, ed affermo' come venisse emarginato dai cristiani in quanto ebreo, ed emarginato dagli ebrei in quanto eretico. Nella formula della sua scomunica da parte della sinagoga di Amsterdam si legge che ogni ebreo avrebbe dovuto evitare ogni rapporto con lui (per cui fu allontanato dalla famiglia) e tenersi "ad una distanza di 4 gomiti". La scomunica si tenne nello stesso luogo dove, anni prima, aveva assistito all'esecuzione di una pubblica flagellazione, considerata necessaria per riammettere all'ebraismo un individuo (suo lontano parente) precedentemente scomunicato. Se mai c'e' stato un uomo che, alla luce della sua esistenza, non poteva accettare delle religioni che in primo luogo giudicassero e condannassero, cosi' come dei sistemi politici discriminanti e negatori della liberta' di pensiero, questo e' stato Spinoza.
Le numerose costrizioni e limitazioni subite nella sua esistenza, vissute sempre con grande dignita' e forza morale, gli ispirano la volonta' di ricercare (usando le sue parole, precedentemente citate) "se vi fosse un vero bene che si comunicasse a chi l'ama e ne occupasse da solo l'animo, respingendo tutte le altre cose: se ci fosse qualcosa, trovata ed ottenuta la quale, io potessi in eterno godere continua e somma letizia".
L'isolamento (che finira' per deliberatamente mantenere e difendere, in quanto condizione di liberta') in cui necessariamente vive, se si esclude una ristretta cerchia di amici ed estimatori (nonche' il carteggio con illustri pensatori, tra cui Laibniz), gli permettera' una liberta' di pensiero assoluta, che portera' all'ideazione di un sistema filosofico ed una metafisica profondamente innovativi per l'Occidente. Il "vero bene" in grado di dare "continua e somma letizia" e di far superare dolori e paure verra' individuato in una concezione mistica dell'uomo e del mondo, in unione ed identificazione (come tutte le cose) con Dio.


Naturalmente parlare genericamente di misticismo e di identificazione con Dio e' troppo vago ed indeterminato, un dire tutto e niente, tante sono state le forme che ha assunto nella storia del pensiero, dal ritorno all'Uno di Plotino all'"eroico furore" di Giordano Bruno, questo profondo percepire un'intima unione con Dio, in grado di trasfigurare la vita (ed il senso ad essa attribuito) di chi a tale percezione si avvicina.
Comune alle varie forme di misticismo e' il piano intuitivo, estatico, al di la' ed al di sopra del piano razionale e concettuale, con cui si perviene all'unione con Dio (quest'ultimo, in quanto entita' unificante e suprema, tale da superare ed eliminare ogni distinzione, non puo' essere colto da cio' che peculiarmente analizza e quindi divide, cioe' il piano razionale). Altra caratteristica comune alle varie forme di misticismo e' la sensazione di beatitudine ed armonia che si accompagna all'identificazione con Dio, dove ogni contrasto e contrapposizione viene superata, ogni necessita' e passione eliminata, in uno stato di totale pacificazione con se stessi e con il tutto.
Questo stato di beatitudine e' insieme conseguenza (quindi con uno rapporto di causa effetto) ma anche elemento costitutivo ed imprescindibile dell'unione con Dio, e quindi concorre a determinare ed identificare il carattere da attribuire a Dio perche' questo risulti effettivamente tale (cioe' in grado di corrispondere alle nostre piu' intime e profonde aspirazioni, in quanto da considerare come da Dio stesso ispirate).


Da questo punto di vista le vicende personali di Spinoza, intrecciate con gli avvenimenti storici e l'evoluzione del pensiero propri del suo tempo, hanno probabilmente concorso a delineare in lui un concetto di beatitudine, o "letizia" come da lui definita, che non poteva accordarsi ad una unione con un tradizionale Dio trascendente e creatore, finalistico e dotato di volonta', quindi un Dio che giudica ed anche condanna ed esclude.
L'unione mistica con un Dio di questo tipo avrebbe in ogni caso comportato un abbandono (di abbandono e non di identificazione deve necessariamente parlarsi nel caso di un Dio trascendente), e quindi un atto di fiducia verso quest'ultimo. Ma Spinoza non aveva fiducia in un Dio di questo tipo, per lui sarebbe stato impossibile percepire una unione totale con un dio trascendente, che necessariamente e' "altro" ed "al di sopra" rispetto all'uomo, un Dio che giudica e potenzialmente condanna ed esclude, a differenza di un Dio immanente e necessitato di cui l'uomo e' parte integrante e con cui l'identificazione e' sempre e comunque totale, e l'inclusione garantita.
                      (continua in successivo messaggio)
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Scepsis il 04 Dicembre 2024, 20:34:14 PM
            (continua da precedente messaggio)
Ma la beatitudine assicurata dall'unione con un Dio trascendente e dotato di volonta' sarebbe stata vista dal filosofo come "inadeguata" anche in un altro senso, a mio parere, oltre a quello sopra detto. Per Spinoza la beatitudine si configura come totale pacificazione ed armonia, totale assenza di contrapposizioni e contrasti (rispetto ad una vita cosi' piena di questi elementi), in totale identificazione con un Dio che tutto contiene. La garanzia assoluta perche' questo si verifichi e' che non vi sia alcun elemento esterno rispetto al Dio con cui ci si identifica, elemento esterno che potrebbe riproporre tali contrasti. Pertanto Dio deve risultare onnicomprensivo, contenente il tutto al suo interno e tale da non lasciare nulla al di fuori di se' (elemento quest'ultimo che e' poi anche la condizione perche' il Dio necessitato sia allo stesso tempo anche libero, secondo Spinoza).
Tra i possibili elementi "esterni" da considerare ed eliminare sono sicuramente compresi quelli relativi alla scelta ed alla possibilita', tra le principali fonti di lacerazione ed angoscia per l'uomo, e di inconsolabili rimpianti (temi da sempre presenti ma che assumeranno valore centrale in Kierkegaard, due secoli dopo). Chi e' in grado di eliminare alla radice le possibilita' non scelte, gli infiniti possibili che avrebbero potuto verificarsi e non lo sono stati, e' solo un Dio, e quindi un mondo, necessitato, in cui cio' che e' avvenuto (ed avverra')
non poteva (e non potra') che essere cosi', e pertanto anche il rimpianto non avrebbe senso.
Un Dio trascendente e dotato di volonta', e che quindi sceglie, non necessitato, non sarebbe stato in grado di fare questo, e avrebbe anzi riproposto Esso stesso, con la sua attivita' volontaristica, il nodo della scelta.
Per le ragioni sopra dette si ha il Dio necessitato di Spinoza e la conseguente mancanza del libero arbitrio per l'uomo: per mantenersi fedele ad un Dio che tutto contiene e ad una beatitudine non viziata da elementi esterni, il Dio (e l'uomo) di Spinoza deve avere tali caratteristiche, e l'uomo solo identificandosi con un Dio (ed un Tutto) di questo tipo consegue ad una piena ed assoluta beatitudine, realizza se stesso e trova il proprio autentico e compiuto significato.
La lettura che quindi do della filosofia di Spinoza e' pertanto opposta a quella formulata da Jacobi (strumentale e finalizzata ad un attacco al naturalismo di Herder e Goethe), che vedeva in essa, nel Dio necessitato e nella mancanza di libero arbitrio, la conseguenza di un approccio filosofico basato esclusivamente sulla dimostrazione e sulla logica: le caratteristiche sopra dette del pensiero spinoziano sono invece dettate da motivazioni in primo luogo umane ed esistenziali, pur se poi espresse in una formulazione geometrica (per il carattere obbiettivo ed intuitivo di quest'ultima), e pur se sempre rispettose e rigorosamente coerenti con l'ordine geometrico.


Si badi bene che la determinazione del carattere di Dio, da parte di Spinoza, non e' da considerarsi un processo strumentale finalizzato ad attribuire specifiche e predeterminate caratteristiche alla "beatitudine" derivante dall'identificazione con Dio, ma e' bensi' conseguente ad una rigorosa e profonda ricerca interiore tesa ad identificare e chiarire le piu' elevate necessita' ed aspettative spirituali dell'uomo, alla ricerca di cio' che caratterizza il suo rapporto con Dio (e quindi anche alla beatitudine connessa al rapporto mistico con Esso).


Anche gli stoici hanno sostenuto la tesi di un universo necessitato, in quanto governato deterministicamente dalla ragione (Logos): tutto cio' che e' avvenuto non poteva che avvenire cosi', come anche per il futuro, nel quadro di una concezione circolare dell'universo, con cicli che si ripetono sempre uguali ogni 36.000 anni ("l'eterno ritorno").
Questo costituisce, anche qui, una difesa contro l'angoscia della scelta e della possibilita', cosi' come del rimpianto.
Questa difesa dall'angoscia risulta apparentemente come una conseguenza della cosmologia e teologia stoica, ma ci si potrebbe domandare se, gia' allora, non siano quest'ultime ad essere state determinate (inconsciamente) da una esigenza di difesa dall'angoscia della scelta e del rimpianto, che in questa cosmologia e teologia trova una risposta (o perlomeno se questa esigenza abbia, in qualche modo, inconsapevolmente concorso alla determinazione di tale cosmologia e teologia).
L'universo necessitato degli stoici non li porta pero' ad una concezione fatalistica, passiva e rinunciataria della vita: se il passato e' stato cosi' e non poteva essere diversamente (e questo elimina il rimpianto), il futuro non e' conosciuto e conoscibile (se non, genericamente, per le divinazioni astrologiche) e pertanto l'uomo nella vita deve attivarsi con tutte le sue forze per realizzare se stesso e la propria natura, cioe' vivere liberamente secondo ragione, lontano dalla schiavitu' delle passioni. Il senso della liberta' negli stoici e' cosi' forte che ritengono che per un uomo, se non gli fosse possibile vivere liberamente secondo ragione, sarebbe preferibile la morte. Allo stesso modo Spinoza, sostenitore di un Dio ed un mondo necessitati, ha un senso cosi' forte della liberta' umana da rendersi protagonista di una rivendicazione di liberta' di religione, di pensiero e di espressione, tra le piu' radicali della storia.


Si osserva che in un tema cosi' intimo e personale come quello religioso non esistono soluzioni o formule migliori o superiori ad altre. Ognuno deve trovare, individualmente, le risposte piu' adatte a se', alla propria storia, alle proprie piu' profonde aspettative e valori. Non avrebbe senso stabilire delle gerarchie tra le varie religioni e le concezioni da queste rappresentate, mentre le convinzioni individuali su questo tema sono da valutarsi sul piano della profondita' della ricerca personale, dell'onesta intellettuale e rigore interiore con cui tale ricerca e' stata condotta, della capacita' di non trasformare le proprie convinzioni in uno strumento di costrizione ed oppressione per gli altri, della coerenza con cui le varie convinzioni vengono vissute, e questo a prescindere dal loro contenuto.
Da questo punto di vista le caratteristiche di profondita', onesta' intellettuale, rigore e coerenza delle convinzioni religiose di Spinoza sono da considerare indubitabili ed altissime, cosi' come quelle delle convinzioni religiose, opposte a quelle di Spinoza, di un suo contemporaneo, Blaise Pascal, cantore della miseria ed inadeguatezza dell'uomo e dell'incertezza che lo avvolge. La sua concezione della condizione e dell'esistenza umana lo portano naturalmente ad un Dio trascendente, cosi' come la diversa concezione della condizione e dell'esistenza umana portano naturalmente Spinoza ad un Dio immanente.
Se si fossero potuti incontrare (cosi' come Spinoza in vita incontro Laibniz) i due si sarebbero serenamente e profondamente confrontati, avrebbero riconosciuto reciprocamente e lealmente il valore l'uno dell'altro, ed alla fine, quasi sicuramente, ciascuno sarebbe rimasto esattamente con le stesse opinioni religiose (frutto di storie personali, valori ed aspettative che non si possono cambiare, a differenza di argomentazioni e ragionamenti).
Uno avrebbe continuato a vedere nell'identificazione con un Dio immanente e necessitato una vuota illusione, lontana dall'effettiva condizione umana, al fondo miserevole e totalmente incerta, caratterizzata da una abissale distanza da Dio che solo la fede e la Grazia riesce a colmare.
L'altro avrebbe continuato a considerare l'abbandono ad un Dio trascendente e dotato di volonta' una condizione dominata da una latente paura e angoscia, propria di chi non riesce a percepire la propria intima connessione con Dio ed il Tutto.
Entrambe, ed e' questo l'importante, si sarebbero certamente lasciati con profondo rispetto reciproco, dato il loro valore morale, e con onesto e sincero rimpianto per non aver convinto l'altro circa quella che ciascuno dei due riteneva, con grande onesta' intellettuale, l'autentica "via di salvezza" (esistenziale e metafisica) per l'uomo.

Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 14 Dicembre 2024, 11:43:12 AM
Ho letto con interesse e un certo piacere il testo dell'utente "Scepsis". Il nome non fa una grinza, perché la sua relazione contiene un principio di scepsi.
L'inizio è del tutto rigoroso. Verissimo, Spinoza non si affidò alla gnoseologia. Inoltre non c'è dubbio che la sua visione sia, in un certo senso (non solo contemporaneo), metafisica.
Su questo punto mi sento di porre una specificazione: propriamente si tratta di un registro metafisico. Difatti la sua riflessione centrale fu proprio materialmente etica. Ciò significa che Dio egli lo incontrò in relazione alle necessità di assumere questo o quel comportamento, questa o quella scelta, non contemplativamente.
In tal quadro il cartesiano dubbio iperbolico fu assunto da Spinoza come pars destruens per la propria pars costruens, dato che la dimostrazione geometrica di Spinoza è in realtà aliena da quel dubbio radicale. Ciò perché il piano della sua ricerca era quello naturale. Su questo bisogna riflettere: non si tratta di considerare tale piano 'chiuso'. Così accade invece all'utente "Scepsis". Per tale ragione l'umanesimo ed esistenzialità che egli attribuisce alla filosofia di Spinoza non sono insiti in essa ma conferiti a causa di una chiusura, per la quale la naturalità è esclusivizzata fino ad alienare l'àmbito del soprannaturale. Da ciò, l'istituzione di un contrasto conoscitivo immanenza-trascendenza, attribuito al pensiero di Spinoza e a quello di Pascal e secondo la dicotomia necessità/libertà. Tali chiusura e riformulazione-interpretazione provocano un confinamento della propria esistenza culturale, intellettuale, sociale, fino al decadere dell'umanesimo in umanismo, assegnando alla libertà l'indicibile e l'ignoto.
Storicamente la linea di pensiero che dalle interpretazioni riduttive dell'opera di Spinoza giunse all'empirismo di Locke ma in particolare a quello di Hume corrisponde a siffatto schema, una limitatezza di orizzonti cui Kant rimediò formulando le forme a priori dello spazio e del tempo, intuite fuori dall'àmbito della esperienza. Io dico: certo sì comprendeva poco dell'universo, affacciandosi alla realtà noumenica da un accesso così stretto e dunque non si doveva pretendere troppo, come invece fu fatto anche dallo stesso I. Kant, il cui lavoro era work in progress — perciò si sarebbe dovuto applicare, volendo e dovendo, la critica concreta, rispetto a chi fuori da quella ristrettezza, a partire dall'ultima grande astratta Critica del giudizio. Il Sublime ed Infinito mostrano i limiti del giudizio razionale; da ciò si doveva muovere per una critica non invadente ed esatta del mondo religioso — ed anche di quello religioso-filosofico della Teodicea di Leibniz.
Ma un'altra linea segnò un vero e proprio disastro, da Spinoza a Hume a Hegel fino a Marx, passando per la sola Critica della ragion pura proprio di Kant.
La condizione sociale e religiosa di Spinoza, il quale come molti del suo tempo sentì il bisogno di una radicalità nel dubitare, era diversa da quella di Marx, che dubitava per combattere e rifiutare il quadro culturale, politico, civile, sociale occidentale. Mentre il Deus sive Natura era ancora integrabile nel detto quadro, ed era pure un'offerta di integrazione della naturalità nella religiosità monoteistica dominante, l'interpretazione dàtane da Marx era di una contrapposizione. La filosofia occidentale moderna accolse Spinoza non come oppositore; i filosofi di tradizione aristotelica-tomistica lo ritennero un antagonista. È vero che la cultura e civiltà ebraica visse ed esercitò anche un forte antagonismo: i poteri giudaici volevano ruolo guida. Da ciò, il rifiuto luterano, kantiano... fino alla contrarietà di Heidegger. Tuttavia diversamente Marx, che interpretò Spinoza facendosi estraneo alla logica occidentale dominante e suo oppositore: non il portoghese trapiantato in Olanda, K. Marx scorgeva in quella Etica, letta dunque a prescindere dal contesto europeo del giudaismo ed ebraismo, in una estraniazione. Ma, a dire tutto il vero, a dare forza a tale cammino era il riduttivismo. Marx non era un panteista orientaleggiante ma un ateo che muoveva da questa premessa senza valutarne. Quindi anche Marx chiudeva il proprio orizzonte esistenziale fino ad un umanismo e fino alla rivolta contro la propria stessa condizione, imputata all'ordine costituito occidentale e borghese. La penosa incongruenza che emargina la libertà, vista nel testo dell'utente di questo forum "Scepsis", era pure di Marx e in lui si tramutava nel fare irrompere un altro mondo, in una liberazione proveniente da un'altra libertà, che egli attribuiva al progresso ateo ma che si traduceva e tramutava in una inversione tra Occidente e Oriente. L'Etica di Spinoza sottratta a Leibniz e consegnata ad anonimo orientale... che nel Secolo XX era Confucio. La dimensione filosofica della saggezza e sapienza orientali se assunte primariamente nella cultura occidentale distruggono le vere radici della filosofia propriamente detta, impediscono al pensiero sradicato di essere indipendente, provocando la fine della filosofia occidentale. Se tal modulo ateo coinvolge l'Oriente medesimo, la filosofia orientale, nata propriamente dall'ellenismo e spinta in particolare dall'ispirazione indo-greco-buddhista dopo l'arrivo dell'esercito di Alessandro Magno in India, regredisce a sola dimensione filosofica, con grave disastro. Ma la catastrofe fu politica e sociale soprattutto, perché si sa che Marx si diede incautamente alla politica.

Io suggerisco: il non-arbitrio di cui disse Spinoza è solo la determinatezza della sfera naturale. Leibniz fu impeccabile nel mostrare che tale sfera contiene la libertà, dentro la stessa necessità. I rabbini autori della nota condanna non attribuirono al pensiero spinoziano questa possibilità, di essere interpretato così. Per la via che io ho suggerito, senza deridere il 'povero' Leibniz (una curiosità o forse di più: fu anche inventore del primo pallottoliere meccanico automatico, oltre che scienziato matematico, filosofo, teologo, praticante politico – quest'ultima espressione forse piacerà a sinistra) né accantonarne il lascito, si trova una linea di pensiero, storica e culturale, possibile per Occidente e Pianeta ancora stretti dalle dittature intellettuali dei comunismi marxiani, marxisti, postmarxisti.

Non pongo questo mio scritto con l'autorità di un professore ma di un semplice "maestro", al di fuori di ogni retorica; e si sa che sono proprio i maestri a dover precedere chi professa, al momento e occasione giusta.


MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 14 Dicembre 2024, 11:57:47 AM
Ho appena terminato di aggiustare in alcuni punti il testo del mio ultimo messaggio - aggiungo: una ultimissima modifica proprio poc'anzi. Buona lettura e mi scuso per il disagio eventuale.

P.S.
Ovviamente nella espressione: 'che nel Secolo XX era Confucio', indico: il defunto Confucio.
Lo specifico proprio a scanso di equivoci.

MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Scepsis il 23 Dicembre 2024, 14:16:34 PM
Anch'io ho letto con interesse e piacere il tuo testo, PhyroSphera


Anni fa ci fu la riscoperta di Nietzsche, che in verita' non gli rese giustizia. Ora c'e' la riscoperta di Spinoza, e come in vita tutti lo respingevano, cosi' ora tutti cercano di "assoldarlo" nelle proprie fila, anche qui non rendendogli giustizia.
Il meccanismo e' sempre lo stesso, si cerca di edulcorare e sottacere alcuni aspetti del suo pensiero, enfatizzandone altri. Cosi' nel tempo si e' avuto uno Spinoza che a partire da Feuerbach (che lo definiva "il Mose' dei liberi pensatori e dei moderni materialisti"), e passando per Althusser e Toni Negri, viene spacciato come un anticipatore della lotta anti capitalistica. Prima vi era stato uno Spinoza naturalistico ed organicistico, antesignano del Romanticismo (Lessing, Herder, Goethe), ed uno negatore della liberta' e dei valori umani in nome di una filosofia basata esclusivamente sulla logica e la dimostrazione (Jacobi). Vi e' poi chi confina e riduce il Dio necessitato di Spinoza (il non arbitrio) ad una determinatezza della sfera naturale. Ma la natura del Deus sive Natura non e' solo l'attributo estensione ed i suoi modi, e' anche l'attributo pensiero ed i suoi modi, nonche' altri ed infiniti attributi che non siamo neanche in grado di concepire e che attestano l'ampiezza e l'onnicomprensivita' del Dio (e della natura) spinoziano.


Nella lotta per attribuirsi l'interpretazione autentica del pensiero di Spinoza, oltre al rischio necessariamente connesso alla soggettivita' del processo interpretativo (comunque inevitabile), vi e' anche quello di attribuire determinate caratteristiche a chi non condivide la nostra interpretazione, richiudendolo in un'immagine talvolta lontana dall'effettiva realta'. Una logica quindi piu' "politica" (nella dimensione amico-nemico), che di discussione e dibattito.
A tale proposito evidenzio che se io avessi avuto una visione atea e materialistica sull'argomento, avrei rivendicato tale visione apertamente e con grande orgoglio, ma non e' questa la mia visione.
Per spiegarla faccio riferimento all'ipotizzato incontro tra Spinoza e Pascal, in cui tre erano necessariamente i possibili esiti del contronto:
uno aveva ragione e l'altro necessariamente torto
nessuno dei due aveva ragione
tutti e due avevano ragione
Tu avresti certamente scelto il primo esito (e chi dei due avesse ragione e' intuibile), e avresti pensato che io avrei scelto il secondo esito, ma non e' cosi'.
Se questa fosse stata la mia scelta io avrei scritto alla fine dell'intervento "e con onesto e sincero rimpianto per non aver convinto l'altro circa quella che riteneva, con assoluta onesta' intellettuale, l'unica via di salvezza (esistenziale e metafisica) per l'uomo".
Avrei, cioe', in qualche modo sottolineato l'illusione di entrambi di essere depositari di una verita' unica ed esclusiva. Ma io non ho scritto questo, perche' non volevo intendere questo. Ho invece scritto ".....con grande onesta' intellettuale, l'autentica via di salvezza (esistenziale e metafisica) per l'uomo". "Autentica", che non presuppone unicita' ed esclusivita'. La mia scelta e' infatti il terzo esito (tutti e due avevano ragione).


Immagino che per te sia inconcepibile (come per me un Dio che si preoccupa di aspetti formali e minimali), ma nella mia concezione religiosa Dio riderebbe se, nel giudicare qualcuno, gli venisse obbiettato che quel qualcuno professa una certa visione di Lui (visione umana sempre assolutamente inadeguata e riduttiva, che sia immanente o trascendente), piuttosto che un'altra.
Di piu', nella mia concezione Dio vedrebbe come una macchia ed una colpa se qualcuno dovesse scegliere una determinata visione di Lui per amore del quieto vivere e per prudenza, pur avendo nel profondo del proprio animo una visione diversa, che colpevolmente soffoca ed ignora. Perche' Dio e' esigente e non si accontenta delle mezze misure, della prudenza, di chi nascondendosi a se stesso crede di nascondersi a Lui.


L'umanismo, termine con cui indichi una concezione umana che esclude a priori il soprannaturale, e che rivendicherei con grande forza se fosse la mia concezione, non e' pertanto la mia visione. E del resto una scelta di ateismo e di negazione totale e' di per se' una scelta metafisica, al pari di una scelta di una specifica metafisica positiva.
E' tra le pieghe e mille sfumature della metafisica negativa, anti dogmatica, ed un atteggiamento problematico di dubbio e di ricerca (scepsis, da intendersi come ricerca e non scetticismo preconcetto), che trovo eventualmente, se devo definirmi, la mia autentica collocazione.


Forse non ho sottolineato abbastanza quanto scritto nel precedente intervento:

"Si osserva che in un tema cosi' intimo e personale come quello religioso non esistono soluzioni o formule migliori o superiori ad altre. Ognuno deve trovare, individualmente, le risposte piu' adatte a se', alla propria storia, alle proprie piu' profonde aspettative e valori. Non avrebbe senso stabilire delle gerarchie tra le varie religioni e le concezioni da queste rappresentate, mentre le convinzioni individuali su questo tema sono da valutarsi sul piano della profondita' della ricerca personale, dell'onesta intellettuale e rigore interiore con cui tale ricerca e' stata condotta, della capacita' di non trasformare le proprie convinzioni in uno strumento di costrizione ed oppressione per gli altri, della coerenza con cui le varie convinzioni vengono vissute, e questo a prescindere dal loro contenuto."

Il contenuto delle convinzioni religiose di ognuno di noi, cio' che nasce dalle piu' intime profondita' del proprio spirito (se sincero e sentito), non e' giudicabile, e' uno spazio che non puo' e non deve essere violato da valutazioni di sorta. Puo' pero' essere esaminato il contesto esistenziale ed umano, quello culturale e storico, in cui tale convinzione e' sorta, per poterla comprendere (non giudicare) il piu' possibile.
Ed il comprendere ed il capire e' il compito della filosofia, per cui se un certo contesto esistenziale e' in linea con quanto ci si sarebbe aspettato, questo e' un punto di vista da prendere in considerazione per meglio capire le convinzioni religiose altrui. Ma tale contesto, a scanso di equivoci, non e' certo la causa determinante, pavloviana, di un certo tipo di religiosita' (Spinoza avrebbe potuto convertirsi al cristianesimo, ritornare all'ebraismo, convertirsi a sette ereticali ecc.). Scrivendo che Spinoza "non poteva che..." si sottolinea la concordanza (cosi' come da me valutata) tra storia personale e credo religioso, e non si afferma un inesistente rapporto di causa effetto tra il primo ed il secondo (ma questo lo davo per scontato.). Solo parlando di Jacobi sono stato piu' netto, ma questo per ribattere alle accuse di "disumanita'" mosse alla filosofia spinoziana, ribadendone il carattere profondamente umano.


Vedo che vengo assimilato ad una linea di pensiero che congiunge Locke, Hume e Marx, caratterizzata da uno schema che e' quello dell'ateismo e del materialismo. Avendo sopra chiarito e specificato la mia collocazione, questa assimilazione non costituisce certo un problema, ma e' impropria (anche in termini non esclusivamente religiosi).
Noto che i tre autori hanno avuto rapporti assai ridotti con il pensiero spinoziano, se non per una comunanza di temi affrontati. Locke ha dovuto affrontare sporadiche ed isolate accuse di spinozismo (assai frequenti all'epoca), mentre il rapporto di Marx con Spinoza si limita principalmente alla compilazione di tre quaderni di estratti dall'opera spinoziana (quasi privi di annotazioni), il primo quaderno dal Trattato Teologico Politico, gli altri due da 26 lettere inviate dal filosofo, redatti tutti e tre nel 1841 (l'autore aveva 23 anni), in vista della partecipazione ad un concorso per una cattedra universitaria
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Scepsis il 23 Dicembre 2024, 14:20:00 PM
Citazione di: PhyroSphera il 14 Dicembre 2024, 11:43:12 AMIo suggerisco: il non-arbitrio di cui disse Spinoza è solo la determinatezza della sfera naturale. Leibniz fu impeccabile nel mostrare che tale sfera contiene la libertà, dentro la stessa necessità.
Leibniz e' stato un matematico e logico eccezionale: creo' il calcolo infinitesimale (piu' efficente di quello elaborato da Newton), anticipo' la logica simbolica cercando di matematizzare la logica, fu il primo a scoprire che i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti per conferire "completezza" (come oggi viene definita) alla geometria euclidea.
Come filosofo pero', in cui cercava di mettere a frutto le sue capacita' logiche per elaborare sistemi coerenti e non contraddittori, si sono spesso avute pluralita' e sovrapposizioni di versioni, riformulazioni, successivi aggiustamenti e cambi di premesse e conclusioni.
Egli assume determinate ed ardite premesse ed idee (tale in generale il concetto di monade), su queste costruisce progressivamente un sistema che vorrebbe coerente, ma perviene poi, talvolta, a conclusioni indesiderate o contraddittorie. E' come se, partendo da un ipotizzato sistema ad N incognite ed N equazioni, si ritrovi poi, nel corso della sua elaborazione, a dover inserire nuove variabili impreviste, frutto della vivacita' del suo genio ma anche di compatibilita' ed equilibri da salvaguardare. Alla conclusione del processo perviene cosi' ad un sistema con N+1 incognite ed N equazioni, o con variabili funzioni di se stesse (e pertanto irrisolvibile), che determina riformulazioni ed aggiustamenti e l'avvio di un nuovo processo di elaborazione del sistema.


Prendo ad esempio il problema della materialita' della monade: inizialmente la monade individuale, in quanto elemento costitutivo primo, indivisibile e senza parti, viene considerato un punto immateriale (ed inesteso), in quanto Leibniz riteneva la materia divisibile all'infinito. Questo pero' lascia aperto il problema dell'esistenza della materia.
Egli abbandona allora l'immaterialita' della monade ed afferma che la sua componente materiale e' data dalla parte oscura della stessa (presente in ogni monade), quella che non raggiunge una chiarezza di percezione.
Relativamente alle monadi composte, e quindi gli oggetti materiali (formati da una pluralita' di monadi), questi sono inizialmente visti come "aggregato" di monadi, aggregato che pero' non ha una propria unita' ed una propria autonoma esistenza: l'unita' viene determinata da chi la osserva ("e' determinata dal nostro concepirla"), l'unita', e quindi l'oggetto, e' un "essere di ragione o piuttosto di immaginazione", un "fenomeno". Ma questa concezione e' troppo vicina a Berkeley, per cui viene poi abbandonata.
Agli oggetti viene allora assegnato un principio unificatore (entelechia) che fornisce agli stessi un "vincolo sostanziale" e quindi una propria unita'. Viene pero' poi fornito da Leibniz anche un altro ed alternativo principio unificatore del singolo oggetto, quella della monade dominante (che caratterizza e da' unita' all'oggetto), di cui le altre monadi possono essere considerate come il corpo.


Relativamente alla trattazione del libero arbitrio, Leibniz parte da tre punti fermi, considerati irrinunciabili: l'onniscenza e l'onnipotenza di Dio e la sua infinita bonta', da cui conseguono rispettivamente la prescienza (conoscenza del futuro) divina, un universo provvidenzialmente predeterminato da Dio ed un mondo reale che e' il migliore dei mondi possibili.
In una ipotetica equazione che potesse delineare tale trattazione i tre punti fermi sopra detti costituirebbero tre variabili esogene, date e predeterminate, ed il libero arbitrio una variabile endogena, il cui valore residuale e' attribuito dall'equazione stessa.
Ora, il problema e': quale puo' essere lo spazio lasciato al libero arbitrio dell'uomo, in un mondo determinato provvidenzialmente da Dio una volte per tutte all'inizio dei tempi, e scelto in quanto e' il migliore tra gli infiniti possibili ?
Al mondo provvidenziale e predeterminato e' tra l'altro connessa "l'armonia prestabilita" tra corpo ed anima (a cui si riferisce l'immagine dei due orologi che una volta regolati si muovono autonomamente in sincronia), e piu' in generale il rapporto tra le monadi, che pur non interagendo tra di loro (ma solo esclusivamente con Dio) hanno una loro preordinata armonia reciproca, frutto di un predeterminato comportamento loro attribuito da Dio al momento della creazione.
Leibniz sostiene che in un mondo cosi' rigidamente ordinato la libera scelta dell'uomo e' possibile e compatibile in quanto l'uomo ex post sceglie "liberamente", e senza intervento o influenza diretta di Dio, quanto Dio aveva destinato come scelta per lui ex ante, fin dal momento della creazione.
Questo perche' l'individuo effettua la sua scelta personale e "libera", tra le infinite scelte possibili, sulla base di una serie infinita di condizioni esterne ed interne all'individuo stesso che determineranno la sua scelta sulla scorta di una specifica ragione "sufficiente" adottata.
Tali infinite condizioni esterne ed interne sono perfettamente conosciute e previste da Dio, cosi' come la conseguente "libera" scelta dell'uomo (che potra' essere la piu' virtuosa, ma anche la piu' criminale). Di questa scelta, come di tutte le potenziali libere scelte effettuate da tutti gli uomini in ogni tempo (con le loro concatenazioni di causa effetto), Dio terra' conto nello scegliere e poi creare il migliore dei mondi possibili.
Una volta creato il mondo (il nostro mondo), questo procedera' su ferrei e rigidi binari, predeterminati inizialmente una volta per tutte.


Anche volendo accettare l'intera costruzione concettuale di Leibniz (con una previsione ex ante delle libere scelte umane, sulla cui scorta scegliere e creare un mondo in cui, ex post, tali scelte verranno poi realizzate), questa costruzione solleva vari interrogativi e questioni.
In questa sorta di compromesso e compatibilita' tra libero arbitrio dell'uomo e volonta' provvidenzialistica di Dio, qual e' il peso ed il ruolo assegnato a ciascuno dei due ?
Le scelte effettuate dall'uomo sono relative ad una data e specifica situazione, e quindi a date condizioni esterne ed interne a chi fa la scelta.
Cambiando la situazione, cambia la decisione da assumere ed anche, potenzialmente, la decisione precedentemente assunta. Qual e' il respiro e lo spazio concesso alle singole scelte dell'uomo di manifestare i loro effetti in un quadro dato, visto che poi e' Dio (e non il caso) che, sulla base del principio del "migliore dei mondi possibili", sceglie il mondo da creare, e quindi decide l'esito e le conseguenze della singola decisione umana, mediante le evoluzioni e le modificazioni delle situazioni ?
L'uomo in questo contesto e' come un attore che con le sue scelte pensa di poter recitare una certa parte, ma poi e' Dio che, come un regista, taglia, cancella o lascia inalterata quella parte, che la inserisce in una commedia (come creduto e sperato da chi la recita) o in un dramma shakespeariano, che, fuor di metafora, fa si' che una scelta fatta con le migliori intenzioni dia le conseguenze sperate o si traduca in un disastro.
Nel mondo provvidenzialistico di Leibniz sia il santo che il peggior delinquente scelgono (ex post) liberamente in uno scenario predeterminato (ex ante) da Dio, ed entrambe concorrono a realizzare il migliore dei mondi possibili, ma sulla base dello stesso principio il ruolo assunto da ciascuno dei due uomini avrebbe potuto essere scambiato con quello dell'altro, e questo fin dall'inizio, alla nascita, oppure nel corso della loro vita (cioe' l'apparentemente predestinato santo divenire nel corso della sua vita un delinquente, e l'apparentemente predestinato delinquente arrivare alla redenzione ed alla santita').
Anche in quest'ultimo scenario alternativo le singole e successive scelte assunte dai due uomini devono essere considerate libere, ma poiche' non e' il caso, ma e' il disegno provvidenzialistico di Dio a decidere se chi entra il seminario diventera' un santo oppure un Rasputin o uno Stalin, e se un soldato diventera' uno spietato mercenario oppure un San Francesco o un Sant'Ignazio di Loyola, ci si chiede quale sia l'effettiva liberta' dell'uomo non su singole, limitate e specifiche scelte, ma sul decidere effettivamente del suo destino di uomo, che non e' cio' che gli accadra', ma cio' che lui intimamente sara' e potra' essere.
Ed in questo senso il destino non e' determinato dalla somma di tante singole ed isolate scelte, ma dalle conseguenze e dal successivo contesto (che l'uomo non controlla) di tali scelte.


Altra questione sollevata dalla costruzione concettuale di Leibniz e' il fatto che il libero arbitrio, in quanto tale, dovrebbe essere caratterizzato dal fatto che, in ogni caso, si sarebbe potuto agire diversamente da come si e' fatto. Ma questo non e' compatibile con l'universo rigidamente predeterminato leibniziano, in cui non e' possibile, e neppure concepibile, che quanto previsto ex ante sulle scelte umane non si verifichi poi, ex post, nel mondo reale, ed in cui quindi non vi e' alcuno spazio per l'atto gratuito, totalmente imprevedibile, di cui parlano gli esistenzialisti come attestante la liberta' umana.


Le molteplici questioni ed interrogativi che potrebbero essere rivolti alla concezione del libero arbitrio di Leibniz troverebbero comunque una risposta tale da portare ad una situazione di stallo. Ad esempio sulla questione dello spazio concesso al libero arbitrio dell'uomo si evidenzierebbe come il sistema sia tale, comunque, da assicurare il migliore dei mondi possibili per l'individuo (oltre che, naturalmente, il fatto che contrapporre lo spazio dell'uomo e quello di Dio non sia accettabile, e che le ragioni dell'uomo siano meglio tutelate da Dio che dall'uomo stesso). Al libero arbitrio inteso come possibilita' di agire diversamente da come si e' fatto si risponderebbe che, al di la' della definizione formale, Dio e' ben in grado di sapere che cosa un uomo avrebbe liberamente scelto in una certa situazione (e che l'atto gratuito, imprevedibile, e' un'astrazione concettuale). E cosi' via.


Ma e' proprio il pervenire a questa situazione di stallo a costituire il problema. La costruzione concettuale leibniziana del libero arbitrio, con la sua astrattezza e macchinosita', sembra piu' finalizzata a portare, in modo difensivo, ad una situazione concettuale di stallo , piuttosto che a convincere, piu' a fornire conferme e rassicurazioni a chi e' gia' convinto del Dio di Leibniz che a conquistare chi dubita o nega. Quest'ultimi sono invece sconcertati o irritati dalle implicazioni della concezione leibniziana, con il concetto del "migliore dei mondi possibili" apparentemente utilizzato per rendere ragione delle ingiustizie e delle sciagure del mondo, e sicuramente utilizzato per rendere sostenibile e coerente il "sistema" del libero arbitrio di Leibniz (con riferimento all'ipotetica equazione relativa a tale sistema, sopra evidenziata, il "migliore dei mondi possibili" costituisce la condizione in grado di assicurare, in ogni caso, una soluzione ad essa).
Con il suo sistema Leibniz, di fatto, sostituisce Dio al caso ed al cieco destino. Per alcuni questo rende piu' sopportabili le sciagure e le ingiustizie della vita, comunque tali da determinare il miglior mondo possibile. Per altri questo non avviene, e trovano inaccettabile questo chiamare in causa un Dio che non semplicemente permette tali ingiustizie e sciagure, ma ne e' diretto fautore, seppure in cambio del "migliore dei mondi possibili". Altri ancora poi rifiutano la concezione ottimistica e consolatoria del mondo reale visto come il migliore tra quelli possibili, giudicando il mondo reale avere ampie possibilita' di miglioramento (da Dio stesso auspicato).


Naturalmente nessuno puo' dire come Spinoza avrebbe accolto e considerato la concezione del libero arbitrio di Leibniz, formulata dopo la sua morte. Ogni ipotesi a riguardo e' legittima.
Se l'incontro tra i due, effettivamente avvenuto un anno prima della morte di Spinoza, avesse potuto svolgersi qualche anno dopo (le prime importanti opere filosofiche di Leibniz datano sette anni dal decesso dell'altro), in quella sede forse Spinoza avrebbe espresso interesse, o addirittura condivisione per tale concezione. O forse avrebbero invece evitato l'argomento, parlando d'altro ed evitando ciascuno di lanciare sguardi interrogativi e perplessi. Spinoza relativamente alla concezione del libero arbitrio dell'altro. Leibniz relativamente alle condizioni della casa dove si teneva l'incontro, quella di Spinoza, letteralmente coperta di polvere di vetro (dell'impressione provatane parlera' nei suoi scritti , Spinoza era un molatore di lenti).
Ma queste sono solo ipotesi. La sola cosa certa e' che, nel congedarsi dal loro effettivo incontro, uno sarebbe rientrato nella sua casa piena di polvere di vetro, dove sarebbe presto deceduto, l'altro avrebbe avuto un futuro di meritata fama e di prestigiosi incarichi, con il plauso e l'ammirazione dei contemporanei e dei posteri a cui aveva offerto quello che chiedevano: una natura organicista, un Dio presciente ed onnipotente, il libero arbitrio ed un sistema certamente controverso, da alcuni ritenuto inaccettabile ed insostenibile


Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 19 Gennaio 2025, 15:33:05 PM
Citazione di: Scepsis il 23 Dicembre 2024, 14:16:34 PMAnch'io ho letto con interesse e piacere il tuo testo, PhyroSphera


Anni fa ci fu la riscoperta di Nietzsche, che in verita' non gli rese giustizia. Ora c'e' la riscoperta di Spinoza, e come in vita tutti lo respingevano, cosi' ora tutti cercano di "assoldarlo" nelle proprie fila, anche qui non rendendogli giustizia.
Il meccanismo e' sempre lo stesso, si cerca di edulcorare e sottacere alcuni aspetti del suo pensiero, enfatizzandone altri. Cosi' nel tempo si e' avuto uno Spinoza che a partire da Feuerbach (che lo definiva "il Mose' dei liberi pensatori e dei moderni materialisti"), e passando per Althusser e Toni Negri, viene spacciato come un anticipatore della lotta anti capitalistica. Prima vi era stato uno Spinoza naturalistico ed organicistico, antesignano del Romanticismo (Lessing, Herder, Goethe), ed uno negatore della liberta' e dei valori umani in nome di una filosofia basata esclusivamente sulla logica e la dimostrazione (Jacobi). Vi e' poi chi confina e riduce il Dio necessitato di Spinoza (il non arbitrio) ad una determinatezza della sfera naturale. Ma la natura del Deus sive Natura non e' solo l'attributo estensione ed i suoi modi, e' anche l'attributo pensiero ed i suoi modi, nonche' altri ed infiniti attributi che non siamo neanche in grado di concepire e che attestano l'ampiezza e l'onnicomprensivita' del Dio (e della natura) spinoziano.


Nella lotta per attribuirsi l'interpretazione autentica del pensiero di Spinoza, oltre al rischio necessariamente connesso alla soggettivita' del processo interpretativo (comunque inevitabile), vi e' anche quello di attribuire determinate caratteristiche a chi non condivide la nostra interpretazione, richiudendolo in un'immagine talvolta lontana dall'effettiva realta'. Una logica quindi piu' "politica" (nella dimensione amico-nemico), che di discussione e dibattito.
A tale proposito evidenzio che se io avessi avuto una visione atea e materialistica sull'argomento, avrei rivendicato tale visione apertamente e con grande orgoglio, ma non e' questa la mia visione.
Per spiegarla faccio riferimento all'ipotizzato incontro tra Spinoza e Pascal, in cui tre erano necessariamente i possibili esiti del contronto:
uno aveva ragione e l'altro necessariamente torto
nessuno dei due aveva ragione
tutti e due avevano ragione
Tu avresti certamente scelto il primo esito (e chi dei due avesse ragione e' intuibile), e avresti pensato che io avrei scelto il secondo esito, ma non e' cosi'.
Se questa fosse stata la mia scelta io avrei scritto alla fine dell'intervento "e con onesto e sincero rimpianto per non aver convinto l'altro circa quella che riteneva, con assoluta onesta' intellettuale, l'unica via di salvezza (esistenziale e metafisica) per l'uomo".
Avrei, cioe', in qualche modo sottolineato l'illusione di entrambi di essere depositari di una verita' unica ed esclusiva. Ma io non ho scritto questo, perche' non volevo intendere questo. Ho invece scritto ".....con grande onesta' intellettuale, l'autentica via di salvezza (esistenziale e metafisica) per l'uomo". "Autentica", che non presuppone unicita' ed esclusivita'. La mia scelta e' infatti il terzo esito (tutti e due avevano ragione).


Immagino che per te sia inconcepibile (come per me un Dio che si preoccupa di aspetti formali e minimali), ma nella mia concezione religiosa Dio riderebbe se, nel giudicare qualcuno, gli venisse obbiettato che quel qualcuno professa una certa visione di Lui (visione umana sempre assolutamente inadeguata e riduttiva, che sia immanente o trascendente), piuttosto che un'altra.
Di piu', nella mia concezione Dio vedrebbe come una macchia ed una colpa se qualcuno dovesse scegliere una determinata visione di Lui per amore del quieto vivere e per prudenza, pur avendo nel profondo del proprio animo una visione diversa, che colpevolmente soffoca ed ignora. Perche' Dio e' esigente e non si accontenta delle mezze misure, della prudenza, di chi nascondendosi a se stesso crede di nascondersi a Lui.


L'umanismo, termine con cui indichi una concezione umana che esclude a priori il soprannaturale, e che rivendicherei con grande forza se fosse la mia concezione, non e' pertanto la mia visione. E del resto una scelta di ateismo e di negazione totale e' di per se' una scelta metafisica, al pari di una scelta di una specifica metafisica positiva.
E' tra le pieghe e mille sfumature della metafisica negativa, anti dogmatica, ed un atteggiamento problematico di dubbio e di ricerca (scepsis, da intendersi come ricerca e non scetticismo preconcetto), che trovo eventualmente, se devo definirmi, la mia autentica collocazione.


Forse non ho sottolineato abbastanza quanto scritto nel precedente intervento:

"Si osserva che in un tema cosi' intimo e personale come quello religioso non esistono soluzioni o formule migliori o superiori ad altre. Ognuno deve trovare, individualmente, le risposte piu' adatte a se', alla propria storia, alle proprie piu' profonde aspettative e valori. Non avrebbe senso stabilire delle gerarchie tra le varie religioni e le concezioni da queste rappresentate, mentre le convinzioni individuali su questo tema sono da valutarsi sul piano della profondita' della ricerca personale, dell'onesta intellettuale e rigore interiore con cui tale ricerca e' stata condotta, della capacita' di non trasformare le proprie convinzioni in uno strumento di costrizione ed oppressione per gli altri, della coerenza con cui le varie convinzioni vengono vissute, e questo a prescindere dal loro contenuto."

Il contenuto delle convinzioni religiose di ognuno di noi, cio' che nasce dalle piu' intime profondita' del proprio spirito (se sincero e sentito), non e' giudicabile, e' uno spazio che non puo' e non deve essere violato da valutazioni di sorta. Puo' pero' essere esaminato il contesto esistenziale ed umano, quello culturale e storico, in cui tale convinzione e' sorta, per poterla comprendere (non giudicare) il piu' possibile.
Ed il comprendere ed il capire e' il compito della filosofia, per cui se un certo contesto esistenziale e' in linea con quanto ci si sarebbe aspettato, questo e' un punto di vista da prendere in considerazione per meglio capire le convinzioni religiose altrui. Ma tale contesto, a scanso di equivoci, non e' certo la causa determinante, pavloviana, di un certo tipo di religiosita' (Spinoza avrebbe potuto convertirsi al cristianesimo, ritornare all'ebraismo, convertirsi a sette ereticali ecc.). Scrivendo che Spinoza "non poteva che..." si sottolinea la concordanza (cosi' come da me valutata) tra storia personale e credo religioso, e non si afferma un inesistente rapporto di causa effetto tra il primo ed il secondo (ma questo lo davo per scontato.). Solo parlando di Jacobi sono stato piu' netto, ma questo per ribattere alle accuse di "disumanita'" mosse alla filosofia spinoziana, ribadendone il carattere profondamente umano.


Vedo che vengo assimilato ad una linea di pensiero che congiunge Locke, Hume e Marx, caratterizzata da uno schema che e' quello dell'ateismo e del materialismo. Avendo sopra chiarito e specificato la mia collocazione, questa assimilazione non costituisce certo un problema, ma e' impropria (anche in termini non esclusivamente religiosi).
Noto che i tre autori hanno avuto rapporti assai ridotti con il pensiero spinoziano, se non per una comunanza di temi affrontati. Locke ha dovuto affrontare sporadiche ed isolate accuse di spinozismo (assai frequenti all'epoca), mentre il rapporto di Marx con Spinoza si limita principalmente alla compilazione di tre quaderni di estratti dall'opera spinoziana (quasi privi di annotazioni), il primo quaderno dal Trattato Teologico Politico, gli altri due da 26 lettere inviate dal filosofo, redatti tutti e tre nel 1841 (l'autore aveva 23 anni), in vista della partecipazione ad un concorso per una cattedra universitaria
Rispondo con ritardo, perché i messaggi che "Scepsis" mi ha inviato in risposta sono molto impegnativi e solo ora ho tempo e modo per concentrarmici. Certo mi sarebbe piaciuto fare tutto sùbito.
Nel replicargli, io ero cosciente di non sapere in che senso la linea di pensiero da me descritta, da Spinoza a Marx, inerisse all'autore "Scepsis". Tenevo conto che essa gli potesse essere esterna, ma non potevo commisurare la mia riposta a questa eventualità, dovendomi limitare a un parere negativo che non era un giudizio sui pensieri da lui espressi.

Dunque prendo atto della non partecipazione sua a quella linea e continuo focalizzando la mia attenzione su questa situazione: non ateismo e non materialismo, precisando che tale linea è, a mio avviso, un contesto condizionante esternamente una libera ricerca sull'Assoluto e le opportunità: Dio, l'uomo, l'economia del mondo. Dico a questo punto: umanismo quale dimensione che sottrae il senso alle affermazioni dell'umanesimo, sottrazione di cui "Scepsis" non è fautore ma coinvolto. Quindi non trovo contraddizioni nella mia replica; ma neppure un vicolo cieco in quella dell'interlocutore.
Egli mi attribuisce un 'o questo o quello' tra pensiero di Spinoza o di Pascal che potrebbe valere e vale per me solo relativamente. Certo la prospettiva dell'uno non contemplava l'esito estremo della scommessa ed anzi ne era aliena, viceversa per il secondo. Però la distanza, l'assenza di ponte, non implica l'impossibilità di gettarne uno. Anch'io dunque posso metterli assieme e la discussione aperta qui è fatta anche per chi lo volesse.

Concordo, "autentica via di salvezza" non coincide con unicità ed esclusività, tuttavia continuo a dissentire circa il valore esistenziale di tale salvezza se raggiunta tramite la filosofia di Spinoza. Proprio questa via presenta un problema: tale valore deve essere aggiunto, come premessa o tipo di assunzione, all'opera di Spinoza, non senza incontrare una inevitabile difficoltà, connessa col razionalismo di essa. Critiche a parte, ogni razionalismo è restio a tradursi in esistenzialismo, per forza di cose.
Ciò che attrare inevitabilmente il pensiero verso l'empirismo limitato o riduttivo dell'Età dei Lumi è proprio l'attestarsi su una posizione di metafisica negativa, la quale separa dall'ampliarsi delle vedute segnato dalle Critiche kantiane. Difatti tale metafisica erige una parete tra la scommessa di Pascal e la necessità di Spinoza, mentre a consentire l'avvicinamento è una teologia negativa, in linea con l'insegnamento di Kant circa limiti e prerogative della ragion pratica. L'impossibilità della pura ragione di dar conto di ciò che è oltre l'esperienza diretta, mostra che il pensiero metafisico indipendente è incapace di riunire veramente l'osservazione della natura con l'attestazione della libertà. Quindi metafisicamente e negativamente sorge il problema del sapere. Certo la conoscenza empirica dell'Assoluto ci è negata, ma non un sapere pratico, relativo!, sulla realtà del Noumeno.
La libera ricerca del soggetto diviene così irraggiungibilità della meta voluta, se la si persegue senza una premessa adeguata. Il contesto esistenziale di Baruch Spinoza offre indubbiamente un appiglio, ma contiene un'inevitabile assenza di interesse per un sapere posto alla stessa altezza della proposta cristiana di Pascal, la cui via mistica non è rappresentabile con la figura dell'ebreo errante ma con altra, di uno che appunto deve arrivare a un traguardo. Inoltre la dimostrazione geometrica dell'Etica di Spinoza separa, proprio in quanto geometrica, dai contesti esistenziali, che sono ontici.

E' vero che tra Spinoza, Locke, Hume e Marx non c'è un sentiero tracciato, ma la critica marxiana non si rivolgeva alla ufficialità, piuttosto a un piano assemblato che esulava dalle intenzioni dei grandi singoli filosofi dell'Occidente. Sulla base del malcontento proletario Marx ed Engels giudicarono la filosofia occidentale non per quel che era ma per quel che risultava economicamente prima che eticamente, secondo la sorta di sintesi enciclopedica di Hegel, combinante assieme vari elementi per un quadro d'insieme il quale veniva rovesciato proprio da Marx e il marxismo notando i limiti della metafisica spiritualista assoluta e cercandone risoluzione nel trasformarla in un materialismo ateo: non il soggetto che cerca indefinitamente e - concretamente - inanemente, ma l'oggetto della percezione, attuata con coscienza dell'azione entro cui si percepisce. Poiché l'assolutismo hegeliano creava una ricerca inesausta che distraeva dalle cose, Marx vi oppose il proprio, fatto per integrare le cose stesse nel cerchio della natura... Invece Spinoza partiva dal considerare le cose per integrarvi la loro origine anzi presenza e inclusione assolute.

Faccio adesso un quasi excursus, che serve per focalizzare e contestualizzare la questione.
Marx criticò la religione costituita e imputò al sensismo di Feuerbach staticità, definendone una "prassi sordidamente giudaica". Dico: tale prassi non esisteva in sé, ma risultava così a Karl Marx nel suo intento di liberare la materialità sociale ed economica dal rifugio metafisico. In Russia tale rifugio diveniva, nei seguaci del verbo marxista, accusa di nichilismo, di non pensare proprio a niente. Se ne ritroverà poi nella distruzione critica attuata da E. Severino, che individuava un Occidente nichilista partendo da premesse idealiste ma senza rifiutare il materialismo marxiano. Ai tempi della Rivoluzione d'Ottobre era il capo d'accusa rivolto allo Zar, basato su una attribuzione di dovere - cui lui era venuto meno effettivamente estendendo, pantocraticamente, l'autarchia alla totalità della cittadinanza, tramite le concessioni parlamentari da lui stesso fatte. Ognuno da sé, era l'oggetto d'odio dei rivoluzionari marxisti (e motivo per i fucilieri della famiglia dello Zar): si cercava da molti un sistema che dispensasse il cittadino, non che lo responsabilizzasse! Spinoza attraverso Marx era eletto ad apostolo della materialità e a giudice della inconcludenza metafisica e religiosa, tramite l'anarchismo di "Max Stirner", a sua volta deformato: Iddio è venuto a servirci e nessuno ci deve comandare, tutto deve funzionare. In realtà Stirner definiva un quadro reale di volontà di potenza e lotta sconsolata, distruggendo le speranze collettiviste del socialismo costruito a partire dalla linea Hegel-Marx; e lo stesso Lenin rifuggiva da ottimismi ingenui e sognanti.
Tutto ciò era ed è contraddistinto dal rifiuto della teodicea. Il 'migliore dei mondi possibile', 'il male come privazione che ha una sua funzione', tutto questo era relegato in una presunta soggettività nobile-borghese, quale idea oscurantista per lo sfruttamento del lavoro materiale. Quindi l'Etica di Spinoza, che era teista, era rifatta e tramutata in un grande 'meccano', nel marxismo deformato in meccanicismo.
Il punto è: la metafisica negativa non consente di evitare queste sirti! Con essa ci si ritrova di fronte il giudizio marxiano contro il giudaismo, senza potersi elevare dal Deus sive Natura al Soprannaturale, in un immanentismo che non riguarda semplicemente un aspetto, cioè la presenza di Dio, ma tutto Dio, senza conciliabilità con la riflessione di Pascal.

Specificamente su Leibniz e il resto dirò nella mia prossima replica.


MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 19 Gennaio 2025, 15:50:31 PM
Ho fatto piccoli miglioramenti al testo del mio ultimo commento, laddove nominavo contortamente una 'fattispecie', quindi aggiungendo alla menzione 'origine divina' un 'anzi presenza e...', per evitare di cadere in un mio verbo soggettivo; e anche qualcos'altro. Il mio pensiero non è cambiato.

MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 19 Gennaio 2025, 20:50:50 PM
Citazione di: Scepsis il 23 Dicembre 2024, 14:20:00 PMLeibniz e' stato un matematico e logico eccezionale: creo' il calcolo infinitesimale (piu' efficente di quello elaborato da Newton), anticipo' la logica simbolica cercando di matematizzare la logica, fu il primo a scoprire che i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti per conferire "completezza" (come oggi viene definita) alla geometria euclidea.
Come filosofo pero', in cui cercava di mettere a frutto le sue capacita' logiche per elaborare sistemi coerenti e non contraddittori, si sono spesso avute pluralita' e sovrapposizioni di versioni, riformulazioni, successivi aggiustamenti e cambi di premesse e conclusioni.
Egli assume determinate ed ardite premesse ed idee
Ho incluso solo parte del testo dell'interlocutore, che tutto intero era oltre la massima lunghezza consentita dal sito al momento del mio invio. Esso comunque è visibile prima, o cliccando sulla prima riga della citazione.


Dal punto di vista generale posso dire quanto segue.

La rigorosità e ferma coerenza delle nozioni scientifiche inquadrate da G. W. von Leibniz si coniuga davvero con una attività filosofica non contenibile in schemi fissi ma solo in prospetti provvisori o incompleti. Ciò però è interpretabile come un pregio del suo lavoro, che non a caso comprendeva anche la teologia, verso cui la ricerca filosofica non poteva presentarsi quale sistema chiuso e definitivo. Se ricondotta a quella di Spinoza e non viceversa, l'opera di Leibniz viene letta sincronicamente, ciò imponendo delle interpretazioni arbitrarie per far quadrare tutto, giacché il pensare al fondamento della natura implica una visione d'insieme degli oggetti studiati, da ricondurre ad una unità naturale, che però nell'Etica di Spinoza è soprattutto infinità. E' quindi operazione arbitraria e incongrua tale riconduzione, dato che la sostanza infinita spinoziana si presta ad allargare gli orizzonti, non a chiuderli. Ma questo agli interpreti atei non è mai piaciuto, volontari riformulatori ma, in virtù della dimostrazione geometrica praticata nella stessa Etica, destinati a non centrare l'obiettivo.

Il ricorso al sistema con N + 1 incognite ed N equazioni sarebbe utile per riferire del quadro filosofico in termini anche matematici, Leibniz però non era l'Autore dell'odierno Teorema d'Incompletezza pur essendo giusto precisare che il suo discorso non era conchiuso, il che come detto è un valore. Monadologicamente troviamo degli elementi molteplici la cui dimostrazione razionale resta affidata a un elemento ulteriore, la Monade suprema ovvero Dio, la cui esistenza viene dedotta dopo l'induzione delle altre monadi, questa condotta per via intellettuale e ragionativa, riflettendo intorno alla sostanza. Però non si continuava il lavoro di B. Spinoza, lo si conciliava con quello di R. Cartesio, introducendo una nuova filosofia, per la quale è del tutto inutile applicare il metodo di Hume che assevera causa ed effetto per il tramite dell'intùito o credere, dato che Leibniz ne anteponeva già, senza dover definire prima una realtà causale fittizia.

Res e Substantia, adeterminismo del dubbio iperbolico ovvero libertà del pensiero che è spirito, da una parte, dall'altra causalismo non meccanico in quanto sub specie aeternitatis (divina), questi due curiosi oggetti della speculazione moderna venivano fusi assieme con i concetti di monade e teodicea, cosmologicamente e teologicamente. Il punto è che la riflessione moderna accentrata sulla Critica della ragion pura e dimentica della pratica e del giudizio, non ha mai preso tanto sul serio la monadologia perché non ha mai preso tanto sul serio la teodicea, accusando un dogmatismo inaccettabile per il piano epistemologico in forza del rimproverare un naturalismo improponibile per il piano gnoseologico, e viceversa, senza con ciò aver dimostrato alcunché di inconsistente nell'oggetto avversato. La visione di Leibniz era a tutto campo, ma l'empirismo di Locke, posto contro quello di Berkeley, quindi l'attenzione esclusiva di Hume alla fisica dinamica e alla Teoria della gravitazione universale, creavano un accentramento su uno soltanto dei due poli di riflessione, quello materiale e naturale.
Da una parte il cartesianismo trasformava la distinzione psicologica cartesiana anima-corpo in separazione corpo/anima, dall'altra lo spinozismo mutava il Dio necessario spinoziano in necessità non necessariamente divina quindi fatalismo. A questo disastroso incipit che era nella cultura del tempo Leibniz poneva rimedio, fino a quando l'attenzione massima all'esperienza e ai risultati dell'esperienza non creava una scepsi all'interno del mondo accademico e filosofico occidentale e tutto ricominciava ugualmente; col negare lo 'spirito quale realtà ultima' (definito da Berkeley) non ne si negava il corrispondente materiale, generandosi un disastro intellettuale. Quello che rimaneva era insolvente, bisognoso d'altro, cui poneva rimedio la Critica di Kant nella sua globalità. Rifiutata quest'ultima, il bisogno d'altro divenne, da parte di taluni, il bisogno della fine dell'Occidente, già a partire dal Terrore in Francia e dopo seguitando con quello in Russia tramite Stalin, fino alla "rivoluzione culturale" di Mao in Cina e alla Cancel Culture di ambienti subculturali americani, emersa pubblicamente senza volontà dei suoi attuatori, già e più attivi da prima e sedotti a non restare in occulto.

Dunque monadologicamente si compiva la integrazione di natura e spirito ma ciò, preso a sé, non bastava per comporre il dissidio moderno tra necessità e libertà.
La monade è intersezione di materialità e spiritualità e ciò risolverebbe il dualismo cartesiano e il naturalismo spinoziano. Ma l'aver separato monade e dike, osservazione metaempirica e intuizione metafisica, quindi l'aver sottovalutato le prerogative e necessità del giudizio razionale rispetto al dato razionale, dava luogo al tramonto di una filosofia occidentale unita, sino poi al prospettarsi di una distruzione della filosofia occidentale tutta. Il fatto è che il recupero, da parte di Hume, della sfera superiore dell'essere, della intuizione e del sentimento, era entro un quadro culturale alienato, in una fede nel meccanismo universale che Kant smentiva ma restandone sulla scia: una liberazione senza tutta la libertà.
La sensazione e il sentimento sono in rapporto a materia e spirito, alla determinazione naturale e a quella spirituale, tra un destino che è fatto di ricorrenze vuote, di appuntamenti disposti in una ferrea rete di necessità, solo in parte conoscibile, e una provvidenza che si manifesta attraverso sorprese e dati non ricercati, evidenti da sé. Quelli che esaltarono la spiritualità idoleggiando Cartesio, fino ad Hegel; quelli che esaltarono la materialità, idolatrando l'Etica di Spinoza sino a Marx ed Engels... nel mezzo la concordanza riuscita a Leibniz, comprensibile con un pensiero filosofico a completo raggio d'azione, tra premesse superiori e conseguenze sottostanti, tra fede e scienza, religione e tecnica.

La risposta specifica nel prossimo messaggio.


MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 19 Gennaio 2025, 21:00:01 PM
Citazione di: Scepsis il 23 Dicembre 2024, 14:20:00 PMLeibniz e' stato un matematico e logico eccezionale: creo' il calcolo infinitesimale (piu' efficente di quello elaborato da Newton), anticipo' la logica simbolica cercando di matematizzare la logica, fu il primo a scoprire che i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti per conferire "completezza" (come oggi viene definita) alla geometria euclidea.
Come filosofo pero', in cui cercava di mettere a frutto le sue capacita' logiche per elaborare sistemi coerenti e non contraddittori, si sono spesso avute pluralita' e sovrapposizioni di versioni, riformulazioni, successivi aggiustamenti e cambi di premesse e conclusioni.
Egli assume determinate ed ardite premesse ed idee


Anche stavolta ho potuto includere solo parte del testo dell'interlocutore, che tutto intero era oltre la massima lunghezza consentita dal sito al momento del mio invio. Problemi tecnici. Esso comunque è visibile prima, o cliccando sulla prima riga della citazione.


Vengo ora a una vera e propria risposta a "Scepsi", dopo la precedente replica

Il non muovere da premesse, da parte del filosofo, il ricercare metafisico staccato dal proprio sfondo originario (non: originale), non consente di avvalersi della monadologia, restando questa priva delle cose necessarie. Dico di premesse che non sono deliberate e sono sempre presenti, secondo una filosofia dogmatica ma non soggettiva, una dogmaticità inevitabile, che l'Occidente incontrò compiutamente con la riflessione sulla volontà inaugurata da A. Schopenhauer, che ha senso nel semplice accogliere ciò che è da prima ed è misterioso, inspiegabile, innegabile.
Ai tempi di Leibniz si era aggiunta alla panoramica sulla necessità, con gli studi delle monadi, l'orizzonte ultimo degli studi sulla libertà, con la meditazione su una giustizia trascendente (dike). L'oggetto scaturisce dalla realtà inevitabile di qualcos'altro dal mondo, che si deduce dalle monadi e che si riconosce dall'evento del vivere, nel quale la libertà è senza ombra di dubbio esistente; e le due sfere si compenetrano, mostrandosi la libertà anche dalla necessità e viceversa, senza dramma.
Ci si pone innanzi l'alternativa del bene e del male, a fronte della quale siamo insufficienti, ignoranti, ma che siamo portati a praticare nonostante tutto, non da noi stessi e provvidenzialmente.
Nonostante tutto, siamo liberi nell'alternativa.
Come la fatalità naturale non esclude la libertà dell'agire morale, così il sopravanzare della provvidenza, misteriosamente attiva, non esclude la possibilità della scelta vitale...
L'interlocutore a questo punto individua un "blocco", un esser chiusi tra pareti senza che si spieghi veramente in cosa consista la nostra facoltà di esercitare l'arbitrio. Dio appare come ingombrante, decide tutto e noi non possiamo interagire.
La cosa però è in questi termini: esiste un oggetto della Provvidenza che non è il tutto.
La necessità naturale contiene la libertà morale, la libertà morale non è contenuta nel disegno eterno della provvidenza di Dio. Leibniz assai correttamente pensava a dei piani sovrapposti: qualsiasi cosa fa l'uomo, agisca male o bene, si verifica il disegno provvidenziale di Dio, che è altro e sempre buono e non ci corrisponde omologamente. Alla empietà, c'è la bontà; ugualmente alla santità; la giustizia è una e bivalente, sempre la stessa. Il provvedere di Dio non ci blocca; ci predetermina a sé stesso ma non determina le nostre azioni.

Contestualizzo.
In Europa è nata da molto tempo la Riforma protestante, che affermava la non libertà dell'arbitrio rispetto alla Grazia salvifica di Dio e precisava la dipendenza delle opere dalla fede. Il cattolicesimo non fece propria questa affermazione, passando dal rifiuto all'indifferenza. Tra i protestanti stessi essa era variamente formulata, declinata e interpretata, con gravi dissidi interni. Tra Lutero e Zwingli, tra calvinismo e luteranesimo; tra arminiani e calvinisti ortodossi. Se la Grazia dipende solo da Dio, come pensare l'atto di fede, il rapporto col bene e col male?
La soluzione di Leibniz non sostituiva le dottrine protestanti ma se ne situava in mezzo in qualità di mediazione.
La armonia prestabilita (da Dio) non pone la natura in antitesi alla sua origine; i nessi del mondo dei sensi e della esperienza sono discreti; tramite un coincidere, ciò che liberamente decidiamo - non ciò che arbitrariamente vogliamo - si può realizzare entro i rigidi accadimenti naturali, per armonia. La monade delle monadi è anche giustizia che provvede, ma pur essendo infinità non ci blocca, dato che è 'immensamente superiore'; il suo provvedere accade senza annullarci proprio per la potenza del tutto e in tutto maggiore e differente.

In forza di tale Provvidenza smisurata e non commisurabile a noi, sempre e dovunque attiva unitariamente per qualsiasi evenienza, non esiste nulla che non sia il meglio possibile; ma questa positività ci sfugge. Essa opera sempre e tramuta gli effetti - non i risultati delle nostre cattive scelte - in bene. La negatività ha campo senza effettivo ma con reale potere ed esiste. Il male è privazione, non qualcosa in sé esistente, giacché non è possibile con una decisione non idonea fermare la provvidenza di Dio. Ma questa agisce in modo incomprensibile. Il male non è giusto che accada, ma Dio lo fa servire pur non essendo utile in sé.
Nella pratica: anche la violenza più grave non realizza il vero scopo che la volontà cattiva intendeva perseguire, accade invece il disegno della stessa provvidenza, diversamente da quanto noi possiamo prevedere e capire.


Tutto ciò non avrebbe senso, anche religiosamente, se non se ne tenesse presente la temperie. Non si trova cioè niente di nuovo rispetto alle dottrine dei riformatori né di sensazionale per i cattolici, tranne che per la filosofia. In questo senso i rapporti tra fede e filosofia sono rovesciati rispetto al pensiero di Lutero: questi agiva dal basso, anche verso la filosofia; Leibniz dall'alto, sempre verso la filosofia; l'uno preparatore, l'altro definitore. Bisogna perciò comprendere che nella Teodicea di Leibniz c'è un nucleo teologico libero; esso non emerge sempre, si può considerare tutto filosoficamente senza sbagliare, ma così si resta fuori dall'oggetto vero e proprio della meditazione. Così era accaduto a Kant e così capita generalmente a tutti quelli che operano entro le premesse filosofiche contemporanee senza aver compreso che esiste una rivolta e incomprensione verso la tradizione del pensiero occidentale.



MAURO PASTORE

Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PM
Discussione davvero interessante e molto ben condotta, soprattutto grazie ai pregevoli interventi di SCEPSIS. L'ho letta interamente alcune volte, apprezzando le capacità argomentative mostrate nel ripercorrere il filo della storia che ha coinvolto il pensatore ebreo. Ho però rilevato alcuni passaggi che, a parer mio, andrebbero chiariti meglio, perché diversamente potrebbero creare confusione.
Nel post d'esordio, l'incipit dell'intera discussione, è scritto che SPINOZA fu colpito da un cherem durissimo da parte della comunità ebraica di Amsterdam. Era l'anno 1656 e molto bene fa SCEPSIS ad inquadrare perfettamente il contesto storico che fa da sfondo agli eventi. Nell'intervento in questione si sviluppa un intero ragionamento intorno alle ragioni che indussero il cherem ed a tal proposito si scrive: "... colpendo nell'anatema anche i suoi bisogni primari. Lo si riteneva colpevole. In definitiva però il Deus sive Natura di Baruch Spinoza non costituisce un attacco contro le dottrine monoteiste...". Successivamente, poche righe dopo, lo stesso utente, riferendo del particolare carattere della filosofia di SPINOZA, scrive: "In definitiva la Natura cui inoltrava il filosofo portoghese non è quella cosmica, ma quella che è dietro all'ordine cosmico, dalla quale questo discende; e ciò non serve a smentire le fedi monoteiste, ebraismo compreso."
Entrambi gli estratti pongono in correlazione diretta cherem ed attacco condotto dal filosofo al monoteismo ebraico, diversamente non si comprenderebbero le ragioni del ribadire il nesso causale cherem/eresia anti-monoteista. Poco dopo fa la sua comparsa la cabala. Bene si racconta riferendo e ponendo in contiguità SPINOZA e l'affermarsi in Europa della "dottrina celebre della Cabala", anche se nel filosofo l'interesse per questa dottrina misterica parrebbe fosse alquanto sfumato, pur essendoci con buone probabilità: "La storia del pensiero teologico ebraico e giudaico fu segnata nel Medio Evo dalla nascita di un immanentismo, nella dottrina celebre della Cabala. Questa aboliva l'antagonismo con il pensiero degli dèi: essi sono in ogni cosa, la realtà è piena di dèi. L'universo è il corpo di Dio, Dio lo ha creato con sé stesso, non dal nulla. La storia antica degli ebrei li vede protagonisti di un conflitto coi pagani intorno; la religione ebraica visse della separazione e del giudizio nei loro confronti quando non nello scontro.". Anche in questo caso si crea un nesso, a parer mio assolutamente artificioso, forse non voluto, fra moltiplicazione degli dèi e il pensiero di SPINOZA. Le mie perplessità derivano dal fatto che il cherem non fu pronunciato come risposta di un inesistente attacco portato al monoteismo dal filosofo di Amsterdam. La filosofia di SPINOZA ha rappresentato una feroce critica ed il rifiuto dell'ortodossia giudaica. Ciò implicava, in maniera assolutamente esplicita, il rigetto della legge mosaica, il rifiuto delle tradizioni, la negazione dell'importanza dei riti. Tutto ciò fu reso esplicito ed entrò fatalmente in conflitto con la comunità ebraica. Il cherem fu determinato esclusivamente da questo aspetto assai critico rispetto alla tradizione ebraica e in nessun passaggio si fa riferimento ad un vagheggiato attacco al monoteismo, come parrebbe dedurne l'estensore del commento in argomento. Insomma, mi parrebbe una forzatura voler far derivare l'anatema da un solo presunto attacco al monoteismo. Non ve n'è traccia nei documenti storici.
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 21 Gennaio 2025, 17:40:05 PM
Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PMDiscussione davvero interessante e molto ben condotta, soprattutto grazie ai pregevoli interventi di SCEPSIS. L'ho letta interamente alcune volte, apprezzando le capacità argomentative mostrate nel ripercorrere il filo della storia che ha coinvolto il pensatore ebreo. Ho però rilevato alcuni passaggi che, a parer mio, andrebbero chiariti meglio, perché diversamente potrebbero creare confusione.
L'attribuzione di una conduzione all'interlocutore "Scepsis" dipende dall'attestarsi sulla stessa scepsi che io stesso ho identificato, proprio nel rispondere a codesto interlocutore, i cui interventi stimo assai ma che non mi risultano guide.
Io penso che "Scepsi" sia legato a una scepsi inaccoglibile, e che per restar fedele al suo pseudonimo dovrebbe invertirsela, essendo lui a un guado. Ma non tutti sono nella sua situazione.
Coloro che sono proprio della linea Spinoza-Marx hanno da rinnegarsi o smettere proprio con la filosofia, in ogni caso hanno da prender atto della inaccettabilità etica e, vitalmente, della insostenibilità logica dell'esito antioccidentale e in ultima analisi antifilosofica, di cui ho già detto. La logica della vita rifiuta la fine segnata dal marxismo.

Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PMNel post d'esordio, l'incipit dell'intera discussione, è scritto che SPINOZA fu colpito da un cherem durissimo da parte della comunità ebraica di Amsterdam. Era l'anno 1656 e molto bene fa SCEPSIS ad inquadrare perfettamente il contesto storico che fa da sfondo agli eventi. Nell'intervento in questione si sviluppa un intero ragionamento intorno alle ragioni che indussero il cherem ed a tal proposito si scrive: "... colpendo nell'anatema anche i suoi bisogni primari. Lo si riteneva colpevole. In definitiva però il Deus sive Natura di Baruch Spinoza non costituisce un attacco contro le dottrine monoteiste...". Successivamente, poche righe dopo, lo stesso utente, riferendo del particolare carattere della filosofia di SPINOZA, scrive: "In definitiva la Natura cui inoltrava il filosofo portoghese non è quella cosmica, ma quella che è dietro all'ordine cosmico, dalla quale questo discende; e ciò non serve a smentire le fedi monoteiste, ebraismo compreso."
Entrambi gli estratti pongono in correlazione diretta cherem ed attacco condotto dal filosofo al monoteismo ebraico, diversamente non si comprenderebbero le ragioni del ribadire il nesso causale cherem/eresia anti-monoteista.
Le citazioni dal mio testo (con delle modificazioni non mie, a scopo di evidenziare non il mio pensiero) sono attuate e le relative frasi cannibalizzate dal 'replicante' "Visechi" (non so se è uno pseudonimo), che vorrebbe metterci dentro uno Spinoza antimonoteista che io non penso. Spinoza era un inclusivista assai ardito, includeva il politeismo nel monoteismo. La dottrina induista, per esempio, lo fa già di proprio, non è un dono del filosofo al mondo religioso.

Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PM
  Poco dopo fa la sua comparsa la cabala. Bene si racconta riferendo e ponendo in contiguità SPINOZA e l'affermarsi in Europa della "dottrina celebre della Cabala", anche se nel filosofo l'interesse per questa dottrina misterica parrebbe fosse alquanto sfumato, pur essendoci con buone probabilità: "La storia del pensiero teologico ebraico e giudaico fu segnata nel Medio Evo dalla nascita di un immanentismo, nella dottrina celebre della Cabala. Questa aboliva l'antagonismo con il pensiero degli dèi: essi sono in ogni cosa, la realtà è piena di dèi. L'universo è il corpo di Dio, Dio lo ha creato con sé stesso, non dal nulla. La storia antica degli ebrei li vede protagonisti di un conflitto coi pagani intorno; la religione ebraica visse della separazione e del giudizio nei loro confronti quando non nello scontro.". Anche in questo caso si crea un nesso, a parer mio assolutamente artificioso, forse non voluto, fra moltiplicazione degli dèi e il pensiero di SPINOZA.


Si crea un nesso? Col mio testo non si crea niente. Se si invertono le sequenze temporali, inventando un altro pensiero dal mio, ecco che l'idea cabalistica del Dio Uno frazionato in molteplicità di dèi - che sono manifestazioni di Dio, non questo singolo Dio nella sua unicità - si trasforma in un concetto di *un* Dio che si demoltiplica in tanti, secondo un modulo di pensiero pluralista che da enoteista si fa politeista.

Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PM Le mie perplessità derivano dal fatto che il cherem non fu pronunciato come risposta di un inesistente attacco portato al monoteismo dal filosofo di Amsterdam. La filosofia di SPINOZA ha rappresentato una feroce critica ed il rifiuto dell'ortodossia giudaica. Ciò implicava, in maniera assolutamente esplicita, il rigetto della legge mosaica, il rifiuto delle tradizioni, la negazione dell'importanza dei riti. Tutto ciò fu reso esplicito ed entrò fatalmente in conflitto con la comunità ebraica. Il cherem fu determinato esclusivamente da questo aspetto assai critico rispetto alla tradizione ebraica e in nessun passaggio si fa riferimento ad un vagheggiato attacco al monoteismo, come parrebbe dedurne l'estensore del commento in argomento. Insomma, mi parrebbe una forzatura voler far derivare l'anatema da un solo presunto attacco al monoteismo. Non ve n'è traccia nei documenti storici.
Insomma Visechi ritiene, contrariamente a me, che dalla filosofia di Spinoza venne (e viene) effettivamente un attacco al monoteismo.
Innanzitutto ho mostrato che Visechi costruisce una sequenza temporale non storica e parte da un presupposto enoteista. In secondo luogo ritiene che "rigetto della légge mosaica", "rifiuto delle tradizioni", "negazione dell'importanza dei riti" siano conseguenze intrinseche della filosofia di Spinoza contro una "ortodossia giudaica". Ebbene non è chiaro cosa possa essere una tale ortodossia, dato che il giudaismo è una modalità assai libera di vivere la stessa fede dell'ebraismo. Per tale ragione se si configurasse una ortodossia giudaica, essa davvero rigetterebbe Mosè e i Dieci Comandamenti e le Tradizioni ebraiche ed emarginerebbe i Riti degli ebrei. Esiste o perlomeno è esistito un giudaismo "indipendente" che davvero non recepisce questi elementi ma ovviamente non per buttarli via, ma col non averne bisogno. Il giudeo può esser tale in pochissimo o in altro compreso nelle Scritture che noi cristiani diciamo "veterotestamentarie", quindi senza neanche il Decalogo. Ma ciò non significa estraneità di verità. 
Visechi dice che la storia attesterebbe un reale attacco, da Spinoza, al monoteismo. Poco prima dice di "estensore del commento in argomento". Qui c'è una discussione, con un 'post' e relativi commenti, cioè un avvio di discussione e successive repliche. Io non mi avvalgo di estensori di commenti e non mi risulta che quelli siglati "scepsi" siano estensioni o che ce ne siano altre. Mi pare invece che Visechi voglia inglobare l'altrui pensiero senza accoglierlo, filosoficamente una contradictio in terminis.
Ma vengo al dunque: se uno attribuisce all'ebraismo la forma religiosa dell'enoteismo può venirne a capo solo degli episodi confusi e drammatici che precedettero la rivelazione di Mosè, nel cui sfondo idolatrico il Dio dell'Esodo e degli Eserciti era un Dio più potente degli altri, che Mosè rivelava l'unico reale contenente gli altri soltanto veri, veri nel manifestare in parte lo stesso Dio. Agli ebrei era comandato di astenersi dall'onorare le manifestazioni molteplici di Dio. Non così nella religione induista, definibile mista ma non nel senso che esistono più Dèi tutti reali. L'ebraismo, quale spiritualità organizzata in atti religiosi, nasce per sottolineare una esigenza di concentrazione, sulla realtà di Dio, senza doversi soffermare sulle tante verità su di Lui (su Dio). Ciò, storicamente, dipende dal bisogno di evitare il prevalere della frammentazione e quindi falsificazione, cioè l'inaccettabile idolatria e le relative violenze, come era ai tempi di Mosè. Dato che v'erano anche masse tentennanti tra idoli e realtà di Dio, si trova accolta nel movimento ebraico una tensione tra enoteismo e politeismo, da risolversi nel monoteismo, pena l'esclusione dal movimento stesso. Questa tensione non è accoglibile nel cristianesimo, perché in questo c'è la Rivelazione ultima; tuttavia le chiese cattoliche accettano anche la partecipazione di chi solo cristianizzato non cristiano, attratto, catalizzato dalla fede nel Cristo, nonché la presenza di chi solo interessato, quest'ultima evenienza accettata forse da tutte le chiese cristiane. Ma stare in una chiesa non significa appartenervi.
L'ebraismo quale vera e propria religione costituita è evento del Secolo XX, ma i contenuti sono i medesimi.

Vengo proprio al punto: se si ha chiaro quanto ho spiegato, si può sostenere che Spinoza avesse attaccato il monoteismo? Evidentemente no e difatti io non l'ho sostenuto.


Nota Bene:
Che fatica per commentare in mezzo alle indistinzioni e confusioni operate da "Visechi", che non ha avuto riguardo per la chiarezza dei miei messaggi né del fatto che i miei pensamenti non sono i suoi.



MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 21 Gennaio 2025, 18:10:38 PM
Citazione di: PhyroSphera il 21 Gennaio 2025, 17:40:05 PMNota Bene:
Che fatica per commentare in mezzo alle indistinzioni e confusioni operate da "Visechi", che non ha avuto riguardo per la chiarezza dei miei messaggi né del fatto che i miei pensamenti non sono i suoi.



MAURO PASTORE

Ho fatto delle migliorie al testo. In particolare la parola "pensamenti" è andata a sostituire "pensieri".
Il mio messaggio è rimasto identico, però. Medesimo significato.

MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Visechi il 21 Gennaio 2025, 22:34:45 PM
"L'attribuzione di una conduzione all'interlocutore "Scepsis" dipende dall'attestarsi sulla stessa scepsi che io stesso ho identificato, proprio nel rispondere a codesto interlocutore, i cui interventi stimo assai ma che non mi risultano guide.
 Io penso che "Scepsi" sia legato a una scepsi inaccoglibile, e che per restar fedele al suo pseudonimo dovrebbe invertirsela, essendo lui a un guado. Ma non tutti sono nella sua situazione"

Non ti crucciar, l'aver attribuito un merito per la chiarezza, la sintesi e la competenza all'intervento di Scepsis (con la "s" finale: è il nick che si è scelto, perché vuoi modificarlo, tendenze alla manipolazione ed intenzione di alienarlo da sé stesso?) non significa aver voluto sminuire la tua persona e i tuoi interventi, non ho alcun interesse a farlo, fra l'altro, per conseguire questo troppo facile risultato, non avrei necessità di far nulla, solo leggere quel che scrivi. Dai, su, non tenere il musetto imbronciato... già sei bravo pure tu, su su. Noto che non ti esimi, come tuo solito, dal concedere a noi miseri i tuoi mai richiesti e mai centrati suggerimenti (dovrebbe invertirsela, essendo lui ad un guado). Lo hai fatto più volte con me, te l'ho sempre fatto notare, lo fai adesso anche con Scepsis (con la "s" finale), addirittura senza neppure rivolgerti direttamente a lui. Insomma, aggiungi scorrettezza a scorrettezza.
 Per quanto riguarda il cacofonico pensiero riguardante il marxismo... transeat. Non ho alcuna voglia di mostrarti quanto deficitario sia il tuo singulto in relazione al pensiero marxista, come già ho dovuto fare per quello di Nietzsche, ma le lezioni si pagano, caro amico mio.


"Le citazioni dal mio testo (con delle modificazioni non mie, a scopo di evidenziare non il mio pensiero) sono attuate e le relative frasi cannibalizzate dal 'replicante' "Visechi" (non so se è uno pseudonimo), che vorrebbe metterci dentro uno Spinoza antimonoteista che io non penso. Spinoza era un inclusivista assai ardito, includeva il politeismo nel monoteismo. La dottrina induista, per esempio, lo fa già di proprio, non è un dono del filosofo al mondo religioso."
Ma che mi combini? Sei talmente alienato da te stesso che neppure più riconosci il maldestro tuo polpastrellare per articolare un "pensiero", pur che sia. Sei talmente avvinto dalla mortificazione per l'evidente default intellettivo che addirittura per alienarti ulteriormente da te stesso in maniera meno cruenta ascrivi a me manipolazioni del tutto inesistenti. Non capisco se lo fai per convincere della tua innocenza la sempre immaginata assemblea dei discenti, o se davvero sei sprofondato in maniera del tutto irrecuperabile nel baratro emotivo che ti convince della tua coerenza e ragione e della mia avversione nei confronti del tuo irrisorio pensiero. Non so, se puoi fammi sapere. In ogni caso, ti rassicuro, puoi verificare autonomamente e con i tuoi intonsi (perché poco utilizzati) occhi quanto fedelmente abbia riportato – io – gli stralci del tuo primo intervento posti fra apici ed in corsivo e da me utilizzati al solo fine di chiederti cortesemente un approfondimento di indagine. Non puoi adontarti per questa mia cortesissima richiesta che non aveva lo scopo di sminuire il tuo intervento.... Ribadisco che non c'è alcun bisogno di intervenire per ottenere questo risultato, fai davvero tutto da solo. Vedo che ti urtano le repliche (mi appelli con il participio sostantivato "replicante", io, invece, seppur abbia rilevato in svariate circostanze la tendenza ad alienarti da te stesso, non userò nei tuoi confronti il troppo facile appellativo di "alienato"). Ti adombri quando ti fanno notare défaillance discorsive. Meno sussiego, suvvia; più leggerezza... ti svelo un segreto (per te): non sei perfetto e sovente (quasi sempre), infiammato dall'incandescenza del tuo ipertrofico ego, ti sfugge qualche vistoso (che solo tu non vedi) svarione. Un'ultima cosa, per il momento: Visechi è un nick – così si definiscono – come anche il tuo PsycoSphera è un nick, così usa nel web. Non vado certo ad indagare chi si cela, quando si cela, dietro il nick. Perché mai sei così interessato a sapere chi si cela dietro il nick Visechi? Ti accontento non sono un intellettuale, ho tantissimo tempo a disposizione perché sono internato nel manicomio criminale di Aversa, non ho altro da fare se non occuparmi del pensiero altrui, perché, essendo psicopatico, amo indagare le menti delle persone che, fra una crisi e l'altra, fra un elettroshock e l'altro, interseco nel mio peregrinare nel web. Amen!

"Si crea un nesso? Col mio testo non si crea niente. Se si invertono le sequenze temporali, inventando un altro pensiero dal mio, ecco che l'idea cabalistica del Dio Uno frazionato in molteplicità di dèi - che sono manifestazioni di Dio, non questo singolo Dio nella sua unicità - si trasforma in un concetto di *un* Dio che si demoltiplica in tanti, secondo un modulo di pensiero pluralista che da enoteista si fa politeista."
 Cronos ti fa un baffo. Ti assicuro un'altra volta: nessuna inversione di sequenza temporale da parte mia. Ho riportato gli stralci in maniera testuale, ponendoli fra apici ed in corsivo e nella rigorosa sequenza temporale in cui li hai inseriti tu nel tuo post di esordio di questa discussione. Puoi andare a controllare così potrai renderti autonomamente conto della veridicità di quel che scrivo. Leggi con gli intonsi tuoi occhi e cerca di capire con l'altrettanto intonso tuo cervello. https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/


Crei un nesso: si! Indiscutibilmente crei - tu – un nesso sequenziale, causale e logico fra cherem che colpì SPINOZA ed anti-monoteismo arbitrariamente da te – sempre tu -attribuito al medesimo. Mi sorge il sospetto che tu non sia neppure in condizione di comprendere quel che pensi e scrivi – totale alienazione.

"Insomma Visechi ritiene, contrariamente a me, che dalla filosofia di Spinoza venne (e viene) effettivamente un attacco al monoteismo.
 Innanzitutto ho mostrato che Visechi costruisce una sequenza temporale non storica"

Oltre ad incespicare vistosamente nella e fra la sintassi, ora mostri addirittura la totale incapacità di comprendere il significato di un testo, anche breve; oppure, come alternativa, mostri la volontà infantile di mistificare e sovvertire i pensieri altrui. Ho scritto chiaramente, ed è facile comprenderlo, che ritengo un azzardo ed un artificio creato da te – sempre ed ancora tu – l'aver voluto trarre dal Deus sive Natura di SPINOZA le ragioni per una difesa dall'accusa di avversione al monoteismo contenuta secondo te – tu, per l'ennesima volta tu – nel pesantissimo cherem che lo colpì nel 1656. Un artificio inutile, se proprio volevi ergerti a paladino del monoteismo; un artificio falso e stupido, se volevi trar occasione per argomentare in difesa di SPINOZA. Il cherem non conteneva quell'accusa che tu – proprio tu – hai voluto vederci. Erano ben altre le ragioni dell'anatema e SPINOZA mai mise in dubbio o sminuì il rigido monoteismo dell'ebraismo o giudaismo (da me utilizzati come sinonimi e come sinonimi interscambiabili sono comunemente noti. Ciò rappresenti anche una critica alla tua inutile prolusione sulla differenza fra giudaismo ed ebraismo).
Non hai mostrato alcunché, infatti ti invito a rileggere direttamente dal tuo intervento originario la scansione temporale dei miei tre estratti. —-> https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/

"Visechi dice che la storia attesterebbe un reale attacco, da Spinoza, al monoteismo. Poco prima dice di "estensore del commento in argomento". Qui c'è una discussione, con un 'post' e relativi commenti, cioè un avvio di discussione e successive repliche. Io non mi avvalgo di estensori di commenti e non mi risulta che quelli siglati "scepsi" siano estensioni o che ce ne siano altre. Mi pare invece che Visechi voglia inglobare l'altrui pensiero senza accoglierlo, filosoficamente una contradictio in terminis."
Estensore: 3. Compilatore, redattore di uno scritto... (definizione dal vocabolario. Utile per gli ignoranti). Nessun altro commento.
Per il resto del tuo – tuo – ultimo commento, mi astengo dal replicare troppe stupidaggini!
 
Solo una prece: stai sereno, non c'è in ballo nessun Oscar letterario... levità e meno sussiego.
 P.S.: se necessario io so chiedere anche scusa
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 22 Gennaio 2025, 01:01:13 AM
Citazione di: Visechi il 21 Gennaio 2025, 22:34:45 PM"L'attribuzione di una conduzione all'interlocutore "Scepsis" dipende dall'attestarsi sulla stessa scepsi che io stesso ho identificato, proprio nel rispondere a codesto interlocutore, i cui interventi stimo assai ma che non mi risultano guide.
 Io penso che "Scepsi" sia legato a una scepsi inaccoglibile, e che per restar fedele al suo pseudonimo dovrebbe invertirsela, essendo lui a un guado. Ma non tutti sono nella sua situazione"

Non ti crucciar, l'aver attribuito un merito per la chiarezza, la sintesi e la competenza all'intervento di Scepsis (con la "s" finale: è il nick che si è scelto, perché vuoi modificarlo, tendenze alla manipolazione ed intenzione di alienarlo da sé stesso?) non significa aver voluto sminuire la tua persona e i tuoi interventi, non ho alcun interesse a farlo, fra l'altro, per conseguire questo troppo facile risultato, non avrei necessità di far nulla, solo leggere quel che scrivi. Dai, su, non tenere il musetto imbronciato... già sei bravo pure tu, su su. Noto che non ti esimi, come tuo solito, dal concedere a noi miseri i tuoi mai richiesti e mai centrati suggerimenti (dovrebbe invertirsela, essendo lui ad un guado). Lo hai fatto più volte con me, te l'ho sempre fatto notare, lo fai adesso anche con Scepsis (con la "s" finale), addirittura senza neppure rivolgerti direttamente a lui. Insomma, aggiungi scorrettezza a scorrettezza.
 Per quanto riguarda il cacofonico pensiero riguardante il marxismo... transeat. Non ho alcuna voglia di mostrarti quanto deficitario sia il tuo singulto in relazione al pensiero marxista, come già ho dovuto fare per quello di Nietzsche, ma le lezioni si pagano, caro amico mio.


"Le citazioni dal mio testo (con delle modificazioni non mie, a scopo di evidenziare non il mio pensiero) sono attuate e le relative frasi cannibalizzate dal 'replicante' "Visechi" (non so se è uno pseudonimo), che vorrebbe metterci dentro uno Spinoza antimonoteista che io non penso. Spinoza era un inclusivista assai ardito, includeva il politeismo nel monoteismo. La dottrina induista, per esempio, lo fa già di proprio, non è un dono del filosofo al mondo religioso."
Ma che mi combini? Sei talmente alienato da te stesso che neppure più riconosci il maldestro tuo polpastrellare per articolare un "pensiero", pur che sia. Sei talmente avvinto dalla mortificazione per l'evidente default intellettivo che addirittura per alienarti ulteriormente da te stesso in maniera meno cruenta ascrivi a me manipolazioni del tutto inesistenti. Non capisco se lo fai per convincere della tua innocenza la sempre immaginata assemblea dei discenti, o se davvero sei sprofondato in maniera del tutto irrecuperabile nel baratro emotivo che ti convince della tua coerenza e ragione e della mia avversione nei confronti del tuo irrisorio pensiero. Non so, se puoi fammi sapere. In ogni caso, ti rassicuro, puoi verificare autonomamente e con i tuoi intonsi (perché poco utilizzati) occhi quanto fedelmente abbia riportato – io – gli stralci del tuo primo intervento posti fra apici ed in corsivo e da me utilizzati al solo fine di chiederti cortesemente un approfondimento di indagine. Non puoi adontarti per questa mia cortesissima richiesta che non aveva lo scopo di sminuire il tuo intervento.... Ribadisco che non c'è alcun bisogno di intervenire per ottenere questo risultato, fai davvero tutto da solo. Vedo che ti urtano le repliche (mi appelli con il participio sostantivato "replicante", io, invece, seppur abbia rilevato in svariate circostanze la tendenza ad alienarti da te stesso, non userò nei tuoi confronti il troppo facile appellativo di "alienato"). Ti adombri quando ti fanno notare défaillance discorsive. Meno sussiego, suvvia; più leggerezza... ti svelo un segreto (per te): non sei perfetto e sovente (quasi sempre), infiammato dall'incandescenza del tuo ipertrofico ego, ti sfugge qualche vistoso (che solo tu non vedi) svarione. Un'ultima cosa, per il momento: Visechi è un nick – così si definiscono – come anche il tuo PsycoSphera è un nick, così usa nel web. Non vado certo ad indagare chi si cela, quando si cela, dietro il nick. Perché mai sei così interessato a sapere chi si cela dietro il nick Visechi? Ti accontento non sono un intellettuale, ho tantissimo tempo a disposizione perché sono internato nel manicomio criminale di Aversa, non ho altro da fare se non occuparmi del pensiero altrui, perché, essendo psicopatico, amo indagare le menti delle persone che, fra una crisi e l'altra, fra un elettroshock e l'altro, interseco nel mio peregrinare nel web. Amen!

"Si crea un nesso? Col mio testo non si crea niente. Se si invertono le sequenze temporali, inventando un altro pensiero dal mio, ecco che l'idea cabalistica del Dio Uno frazionato in molteplicità di dèi - che sono manifestazioni di Dio, non questo singolo Dio nella sua unicità - si trasforma in un concetto di *un* Dio che si demoltiplica in tanti, secondo un modulo di pensiero pluralista che da enoteista si fa politeista."
 Cronos ti fa un baffo. Ti assicuro un'altra volta: nessuna inversione di sequenza temporale da parte mia. Ho riportato gli stralci in maniera testuale, ponendoli fra apici ed in corsivo e nella rigorosa sequenza temporale in cui li hai inseriti tu nel tuo post di esordio di questa discussione. Puoi andare a controllare così potrai renderti autonomamente conto della veridicità di quel che scrivo. Leggi con gli intonsi tuoi occhi e cerca di capire con l'altrettanto intonso tuo cervello. https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/


Crei un nesso: si! Indiscutibilmente crei - tu – un nesso sequenziale, causale e logico fra cherem che colpì SPINOZA ed anti-monoteismo arbitrariamente da te – sempre tu -attribuito al medesimo. Mi sorge il sospetto che tu non sia neppure in condizione di comprendere quel che pensi e scrivi – totale alienazione.

"Insomma Visechi ritiene, contrariamente a me, che dalla filosofia di Spinoza venne (e viene) effettivamente un attacco al monoteismo.
 Innanzitutto ho mostrato che Visechi costruisce una sequenza temporale non storica"

Oltre ad incespicare vistosamente nella e fra la sintassi, ora mostri addirittura la totale incapacità di comprendere il significato di un testo, anche breve; oppure, come alternativa, mostri la volontà infantile di mistificare e sovvertire i pensieri altrui. Ho scritto chiaramente, ed è facile comprenderlo, che ritengo un azzardo ed un artificio creato da te – sempre ed ancora tu – l'aver voluto trarre dal Deus sive Natura di SPINOZA le ragioni per una difesa dall'accusa di avversione al monoteismo contenuta secondo te – tu, per l'ennesima volta tu – nel pesantissimo cherem che lo colpì nel 1656. Un artificio inutile, se proprio volevi ergerti a paladino del monoteismo; un artificio falso e stupido, se volevi trar occasione per argomentare in difesa di SPINOZA. Il cherem non conteneva quell'accusa che tu – proprio tu – hai voluto vederci. Erano ben altre le ragioni dell'anatema e SPINOZA mai mise in dubbio o sminuì il rigido monoteismo dell'ebraismo o giudaismo (da me utilizzati come sinonimi e come sinonimi interscambiabili sono comunemente noti. Ciò rappresenti anche una critica alla tua inutile prolusione sulla differenza fra giudaismo ed ebraismo).
Non hai mostrato alcunché, infatti ti invito a rileggere direttamente dal tuo intervento originario la scansione temporale dei miei tre estratti. —-> https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/

"Visechi dice che la storia attesterebbe un reale attacco, da Spinoza, al monoteismo. Poco prima dice di "estensore del commento in argomento". Qui c'è una discussione, con un 'post' e relativi commenti, cioè un avvio di discussione e successive repliche. Io non mi avvalgo di estensori di commenti e non mi risulta che quelli siglati "scepsi" siano estensioni o che ce ne siano altre. Mi pare invece che Visechi voglia inglobare l'altrui pensiero senza accoglierlo, filosoficamente una contradictio in terminis."
Estensore: 3. Compilatore, redattore di uno scritto... (definizione dal vocabolario. Utile per gli ignoranti). Nessun altro commento.
Per il resto del tuo – tuo – ultimo commento, mi astengo dal replicare troppe stupidaggini!
 
Solo una prece: stai sereno, non c'è in ballo nessun Oscar letterario... levità e meno sussiego.
 P.S.: se necessario io so chiedere anche scusa


Sul nickname "Scepsis", da me, dopo corretta menzione, ridotto a "Scepsi", può valere la regola che i nomi messi tra virgolette possono esser ripetuti non lettera per lettera purché si intuisca lo stesso riferimento. E' lecito parlare a modo proprio purché si capisca. L'ho fatto perché non mi interessava la distinzione scepsi/scepsis, non per fare confusione e non ci ho badato anche perché il testo siglato "Scepsis" non offre un pensiero ellenico, tale da rimandarmi al vocabolo con la s finale.
Il Visechi piuttosto rivela con la sua acida pignoleria di trarre conclusioni di troppo dai segnetti sui fogli. Una cosa pericolosa ma è ovvio da quanto scritto da me anche altrove che non sto a invocare o confermare internamenti - peraltro suppongo non sia vero che il Visechi sia un internato e che abbia quindi raccontato una sciocchezza, ma io non ero e non sono affatto desideroso di saperne. Si continua con lui mentre fa illazioni e offese; e se i manicomi criminali sono ancora aperti ciò è contro la légge, che ne specifica la non idoneità e tollerabilità in quanto manicomi e in quanto gli ospedali psichiatrici per i carcerati pure sono stati messi fuori légge e per motivi uguali.

Il Visechi dice che ha riportato le mie frasi fedelmente, ma quando si fa quel che fa lui, tanto più si è scrupolosi tanto peggio la si combina coi testi altrui. E' ovvio che l'assunzione indèbita è peggiore se ben fatta (non proibisco citazioni, si intenda!).
Lui dice che non confonde tempi, ma io non dicevo che lo fa filologicamente ma nell'approcciarsi alla storia della fede, religione e pensiero ebraico e giudaico. A lui non risulta differenza, ma la storia ne attesta e non solo.

Insomma il Visechi in fin dei conti dà ragione alla maledizione dei rabbini contro Spinoza, ma per lui non era accusa; pensa che valutare il suo sistema possibile per i monoteisti sia attaccare i monoteismi stessi - un classico delle interpretazioni atee intolleranti della sua Etica; poi contraddittoriamente esime Spinoza stesso dall'esser contro il monoteismo, invertendo funzioni e significati di ciò che è spinozismo e spinoziano, facendo riferimento smodato a un "tu" che non è proprio contenuto nei miei testi... e che corrisponderebbe alla realtà dei fatti, se la si personificasse. Poi pensa che io ho scritto post e commenti attuando un'estensione - ripeto, non ho fatto così - lo pensa dopo avermi attribuito pensieri non miei inserendo i link di miei post, che contengono in ogni caso altro da quel che lui elucubra.
Il motivo del fatto che egli dice falsità è proprio nel cambiar di posto lo spinozismo ateo con la filosofia spinoziana teista... ma - si badi! - tentando di violare conformazione della nostra cultura, a cominciare dalla lingua italiana.
E' la linea che traendo ingiusto profitto dalla pubblicazione e ricezione dell'Etica di Spinoza cerca di dimidiare la nostra cultura e imporre qualcos'altro, come se il mondo andasse meglio. Ne ho detto già - tra l'altro, io non sono spinoziano (ovvio: neanche pratico lo spinozismo che ho descritto e criticato).
Non c'è dubbio che quelli che praticano tale travisamento procedono secondo coincidenze e ragionamenti in vista di altro da imporre, senza prendere in considerazione l'altrui tesi. Molti sono espliciti: c'è qualcosa che per loro deve assolutamente terminare e forniscono prove fasulle contro l'Occidente, per esempio - come mostra il Visechi - contro le radici bibliche della nostra attuale civiltà europea ed occidentale.

Il Visechi dice di non essere un intellettuale, ma è intelligente per aggredire ai danni di posizioni filosofiche oneste e volontà di continuare ad esistere culturalmente, di continuare preservando risultati di sforzi anche estremi, millenari, necessari per l'esistenza non solo dell'Occidente.
Comunque se volesse passare dalla furbizia a una vera dimensione di comprensione intellettuale della filosofia occidentale, allora non avrebbe da fraintendere e confondere. Ma l'antioccidentalismo che ho criticato vuole distruggere anche senza capire, per sostituirsi ciecamente. Quel che io sto difendendo serve per la vita di vasta umanità e indirettamente giova a tutti, non vale per sfruttamenti. Se vengono meno certe distinzioni e attenzioni decadrebbe tutto della civiltà e della società, senza vera scienza né tecnica, e proprio per chi in bisogno di tutto questo!!


MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: PhyroSphera il 22 Gennaio 2025, 01:10:49 AM
Ho reso più chiaro il mio ultimo testo; il mio pensiero è il medesimo.

MAURO PASTORE
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: green demetr il 26 Febbraio 2025, 04:53:07 AM
MORE GEOMETRICO


"Prop. 11.

Dio, ovvero una Sostanza che consta di infiniti attributi, ognuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente.

Dimostrazione: Chi nega questa proposizione provi, se è possibile, a pensare che Dio non esista. La sua essenza, in questo caso, non implicherà l'esistenza (Ass. 7). Ma questo è assurdo (Prop. 7). Dunque Dio esiste necessariamente."

cit B.S.

Caro Baruch a me non frega una mazza che la frase sia vera o falsa.
A me interessa il concetto che stai esprimendo.
Vedi per me Dio non è una sostanza.
Dio è conoscibile come una trascendenza, quindi è la trascendenza che al massimo è una sostanza. Ma la trascendenza non può essere DIO.
La trascendenza è una sostanza secondo il tuo ridicolo lessico per pipponi mentali.
Ti costava tanto dire direttamente che la trascendenza è un infinito?
Ma tu no, e io lo so, perchè per te DIO è la sostanza stessa.
Non è evidente amico mio? per te ciò che esiste, esiste.
Ma non capisci? esiste e basta? e da dove arriva il tremore?
ah già ma tu hai timore del tremore. Tutto li amico mio.
Per te il timore deve essere visto come un errore.
Ma senza timore niente tremore e senza tremore niente giudaismo.
O stolto fuori dalla comunità.

queste visioni robotiche del Dio mi hanno sempre fatto ridire, ma ridere, ridere, ridere.

strana l'ammirazione ognitempo e ogniautore abbiano avuto per lui.
non l'ho mai capita, nè mai la capirò.

(lo stesso Kierkagaard mi pare l'avesse...ma si sa kiekegaard aveva un problema, o meglio aveva la fortuna, di avere mille personalità, chissà quale di queste personalità ragionava con spinoza....io non ci riesco....mi farò accompagnare da kierkegaard al tempo giusto, con spinoza non ci riesco, lo detesto!).




Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: green demetr il 26 Febbraio 2025, 05:21:34 AM
Citazione di: Scepsis il 04 Dicembre 2024, 20:34:14 PMEntrambe, ed e' questo l'importante, si sarebbero certamente lasciati con profondo rispetto reciproco, dato il loro valore morale, e con onesto e sincero rimpianto per non aver convinto l'altro circa quella che ciascuno dei due riteneva, con grande onesta' intellettuale, l'autentica "via di salvezza" (esistenziale e metafisica) per l'uomo.
Grazie per le delucidazioni.
Io sono sul fronte pascal, e comincio a capire perchè Kierkegaard ragionasse anche con Spinoza.
Credo che la visione edonista del Mondo sia quella corretta.
La visione irenaica è minata alle basi dal complesso di Edipo.
La mamma è buona. Ma la mamma è invece una puttana.

Non sono tanto d'accordo con te che la filosofia è semplicemente la conseguenza di una vita vissuta male.
In filosofia non si ragiona sull'occasione ma sul destino.
Poichè il destino è già di per sè una concezione filosofica.
Tu cosa pensi di questo? Per quale motivo devono rispettarsi?
In Kierkegaard infatti, sebbene sono alle prime righe, è già evidente invece il corretto modo di vedere: queste visioni si DEVONO FARE GUERRA, o è una cosa o è l'altra.
O il destino è salvifico (pascal) o non esiste (spinoza).
Non esiste infatti un mondo di pace, la visione di spinoza è di quello che pensa che la mamma in fin dei conti è buona.
Avrebbe dovuto leggere Leopardi, ma non era ancora nato suppongo, il giacomino intendo.

Inoltre io trovo che vi è una violenza sottesa in Spinoza, che mi è massimamente antipatica.
Lui sembra voler dire che si che la mamma è buona, e GUAI a chi dice il contrario, ed ha pure il coraggio di chiamarla libertà di pensiero....
A me sembra un gulag, come lo sono tutti i moralisti assoluti,
Tu cosa pensi?
Aituami a capire, perchè ci deve essere rispetto?
Dove Spinoza è grande? in quale passaggio?
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: green demetr il 01 Marzo 2025, 07:29:15 AM
:D Ma dove sono i difensori di Spinoza?

Che succede a delle semplici domande non sapete rispondere?

Che pena oh che pena 8)
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Scepsis il 15 Marzo 2025, 20:59:16 PM
Ho visto solo da poco il tuo intervento, Green Demetr, ed e' stato anche un caso, perche' possono passare anche varie settimane prima che acceda al forum (non ho, purtroppo, molto tempo a disposizione, specie in questo periodo).

Spinoza non pensa che il mondo e la mamma siano buoni, e' esattamente il contrario, il mondo gli e' gia' crollato addosso e vive accampato sulle sue macerie, andando spesso a trovare la madre nella casa di tolleranza dove lavora (di cui e' perfettamente a conoscenza).
La sua non e' una visione consolatoria, in cui ci si rifugia dietro un mondo illusorio ma comunque capace di rassicurarci e consolarci. Prende invece atto, fino in fondo, della sua reale condizione esistenziale e sociale, costellata da vicissitudini e difficolta', e l'affronta volendo evitare in ogni modo che questa possa limitare la sua liberta' interiore, la sua capacita' di guardare al mondo apertamente e liberamente, che possa pertanto, in ultima analisi, condizionare ed influenzare il suo pensiero e la sua opera. E' per quest'ultime che in primo luogo combatte, piu' che per se stesso.
Capisce che solo dentro di se' trovera' la forza per mantenere il proprio equilibrio e la propria liberta' interiore, con una ricerca incessante, assolutamente rigorosa, di una serenita' che possa assicurargli una incondizionata liberta' di pensiero, non limitata e condizionata dalle difficolta' della vita e non avvelenata da rimpianti e recriminazioni.
Serenita' che in effetti trova (come concordemente attestato dai contemporanei), o meglio conquista. Una serenita' avente caratteri in qualche modo simili all'apathia stoica. Per la propria liberta' Spinoza rinunciera' a prestigiosi incarichi universitari, continuando per tutta la vita a svolgere il suo mestiere di molatore di lenti.
Spinoza nella sua concezione religiosa e metafisica non poteva accettare niente che non fosse in linea con la sua ricerca e difesa della propria liberta' interiore (e quindi serenita'), sentite come profondamente giuste e legate alle piu' elevate aspettative dell'uomo. Elevate al punto che la concezione di Dio non poteva non risultare adeguata a tali aspettative.
Pertanto in Spinoza non si ha un utilizzo strumentale della religione, a difesa delle proprie personali necessita' e strumento di rassicurazione, ma invece un destinare l'ambito religioso quale luogo delle proprie piu' alte aspettative, indipendentemente da dogmi e tradizioni.

Con Spinoza le apparenze ingannano.
La sua vita, che vuole ordinata e controllata fino all'estremo, e' la sua risposta e la sua sfida ad un mondo che lo ha portato ad un passo dal caos, esistenziale e sociale.
L'assoluta imperturbabilita' e la serenita' che caratterizzano la sua esistenza, a fronte di vicende che lo hanno profondamente colpito, non sono atteggiamenti frutto di buon carattere o di una naturale e congenita noncuranza, ma sono condizioni conquistate con una strenua ricerca interiore e destinate alla liberta' del proprio pensiero.
Persino il suo lavoro di molatore di lenti, apparentemente normale e tranquillo, e che scegliera' di non abbandonare mai (pur potendolo), e' in realta' profondamente malsano.
Allo stesso modo il suo Dio, dispensatore di serenita' e letizie, in un mondo in cui la serenita' e' un qualcosa da conquistare, nonostante tutto e tutti, e' un Dio che porta in realta' la spada, e non la pace.


Il rispetto reciproco tra Pascal e Spinoza e' la conseguenza del loro spessore intellettuale, ai due non importa nulla della condivisione (in se') delle proprie idee da parte dell'altro, ma sono ben piu' interessati alle rispettive idee, problematiche e scenari, tanto piu' se diverse dalle proprie.
Il rispetto reciproco enunciato e' inoltre legato (con un implicito "nonostante") a quanto precedentemente affermato, che nessuno dei due avrebbe presumibilmente convinto l'altro delle proprie opinioni religiose, nell'ipotizzato incontro, questo perche' aventi valori e giudizi di valore troppo diversi, frutto di esistenze profondamente diverse.
Da una filosofia (e tanto piu' da una concezione religiosa) si viene convinti non tanto dalle sue concatenazioni logiche e dai suoi sviluppi concettuali (a cui possono sempre opporsi altre ed opposte argomentazioni logiche, ugualmente valide), ma dai presupposti da cui la filosofia parte e dalle conclusioni a cui arriva, qualora le si condivida. Ma tale condivisione avverra' sulla base dei giudizi di valore implici (anche in modo piu' o meno latente) nelle premesse e nelle conclusioni, ed a loro volta condivisi.
I giudizi di valore possono considerarsi come degli immediati e basilari elementi di giudizio , sentiti (istintivamente e di per se') come profondamente giusti ed irrinunciabili, diversi da individuo ad individuo ed inevitabilmente acquisiti e fatti propri sulla base delle specifiche esistenze e delle esperienze vissute da ognuno. Tali fondamentali giudizi di valore determineranno la valutazione di cio' che puo' essere considerato indubitabilmente positivo ed auspicabile da un individuo ed invece totalmente negativo ed inaccetabile da un altro, e pertanto orienteranno la formazione dei rispettivi e personali sistemi di valori.
Giudizi di valore e sistemi di valori concorreranno poi in misura maggiore o minore (o risulteranno apparentemente assenti) all'ideazione di una determinata filosofia, assieme naturalmente a molti altri elementi.
Una filosofia non e' "la conseguenza di una vita vissuta male", ma e' la conseguenza "anche" di una vita (comunque sia stata vissuta) che, in quanto tale, determina inevitabilmente l'acquisizione di giudizi di valore e sistemi di valori. A volte questi saranno quasi irrilevanti nell'ideazione di una certa filosofia (ma mai totalmente assenti, al punto da risultare in contrasto con essa), a volte invece assumeranno una forte importanza e orienteranno significativamente il corso del pensiero dell'autore. Ed e' questo il caso, a mio parere, di Spinoza.

Relativamente a quanto sopra faccio un esempio, utilizzando delle affermazione volutamente forzate ed estreme (da non prendere pertanto alla lettera). Se Kant, che condivideva con Hume la negazione dell'innatismo, l'inconoscibilita' della cosa in se', l'inaccetabilita' della metafisica e la soggettivita' dello spazio e del tempo, decide ad un certo punto di sostituire all'"abitudine", alle "credenze" ed all'"immaginazione" humiana le proprie forme e categorie a priori, questo avviene anche (ma naturalmente non esclusivamente o necessariamente) perche' l'ex studente del Collegium Fredericianum, di famiglia pietista, giudica incomparabilmente piu' importante debellare lo scetticismo totale di Hume rispetto al rischio (ed alle conseguenti accuse) di ripristinare di fatto l'innatismo e la metafisica tramite l'a priori. E questa valutazione e' in qualche modo il frutto di precisi giudizi di valore e sistemi di valori fatti propri da Kant.
A conferma dell'importanza di quest'ultimi nell'orientare il pensiero filosofico e' la valutazione della filosofia kantiana e della sua capacita' per lo meno di superare il pensiero humiano espressa da chi, per formazione, vita e cultura, aveva giudizi di valore e valori profondamente diversi da quelli di Kant. Nel 1948 Bertrand Russell, logicista e di scuola anglosassone, scriveva: "Lo dico deliberatamente, a dispetto dell'opinione che molti filosofi hanno in comune con Kant, che la sua Critica della Ragion Pura rispondesse ad Hume. In realta' questi filosofi, almeno Kant .... , rappresentano un tipo di razionalismo pre-humiano, e possono essere confutati con gli argomenti di Hume".
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Scepsis il 15 Marzo 2025, 21:08:24 PM
Si richiede in qualche modo di scegliere tra trascendenza ed immanenza, tra Pascal e Spinoza, tra "destino" e non. Comprendo che alla base della richiesta e' anche la convinzione che le due alternative non possano essere "contemplate" ed osservate dall'esterno, posizione da cui nulla puo' essere effettivamente compreso delle due opzioni e da cui e' impossibile percepirne il senso profondo, dischiuso solo da una convinta adesione, da un "salto" incondizionato e senza remore (adesione che pero' non puo' nascere ne' da una semplice argomentazione razionale, ne' da un non convinto ed infondato atto di volonta').
In questo senso la non scelta potrebbe immaginarsi come un procedere sullo stretto piede di due montagne vicine, nell'oscurita' di un'ombra quasi costante che solo l'ascesa verso una delle due vette potrebbe dileguare. Dalla cima della montagna scelta si vedrebbe poi il piede della montagna, avvolto nell'ombra, e la cima dell'altra montagna (inevitabilmente piu' bassa, qualsiasi sia stata la scelta).
E se invece di un procedere sul piede di due montagne la non scelta fosse un procedere sul crinale di un'unica montagna, un procedere visto non come provvisorio, non come temporanea condizione prima di una inevitabile discesa (o caduta) verso un versante o l'altro ? O se, meglio ancora, invece di procedere tra due montagne, od una sola, la non scelta fosse un procedere su di una strada in pianura, affiancata da altre due strade ? Un procedere quindi su di una strada avente dignita' simile alle altre due, con un proprio e specifico senso della spiritualita', assai meno definito in termini di caratteristiche positive di Dio, di cio' che potremmo chiederGli e di cio' che potrebbe chiederci, un Dio formalmente piu' indefinito ma che potremmo sentire, in modi e forme sue proprie, comunque vicino a noi, alle nostre aspettative ed alle nostre necessita'. Naturalmente qui si sta parlando non di una religione, ma di un senso della religiosita'.
Sono consapevole che un Dio di questo genere, nella sua indeterminatezza teologica e nella sua possibile "evanescenza" nella percezione della sua presenza, e pertanto nella sua natura costitutiva, potrebbe non essere considerato tale dai sostenitori delle due concezioni, trascendente ed immanente, ma solo una semplice astrazione priva dei requisiti necessari per ritenerlo e "sentirlo" tale.
I primi chiederebbero che fine farebbe, in questo caso, il timore e tremore proprio del rapporto che puo' aversi solo con un Dio trascendente, timore e tremore che costituisce l'essenza piu' profonda della nostra condizione umana che nel Dio trascendente trova risposta, espressione e senso. Il rapporto con un Dio, pertanto, per essi, puo' essere concepito solo in termini trascendenti, al di fuori dei quali l'uomo e la sua interiorita' non possono trovare piena ed autentica espressione cosi' come, analogamente, un Dio non puo' essere concepito come propriamente tale.
Obiezioni dello stesso tenore, ma dal contenuto naturalmente diverso, verrebbero sollevate dai sostenitori di un Dio immanente, legate al senso di identificazione e di superamento di ogni contrapposizione, propri esclusivamente del rapporto con un Dio immanente.


Si osserva preliminarmente che la posizione della non scelta, cosi' come formulata in precedenti interventi, pure se non priva di problemi comporta quanto meno il non dover escludere e negare la verita' di una delle due concezioni, cosi' come invece entrambe costitutivamente fanno rispetto all'altra, con la conseguenza per queste di dover negare i fondamenti, e pertanto (di fatto) il valore della piu' profonda spiritualita' e delle convinzioni di milioni di uomini.
Con la non scelta, per come e' stata formulata, le due concezioni costituiscono strade diverse, ma ugualmente valide, per arrivare a Dio, se la concezione e' profondamente ed autenticamente sentita, ciascuna delle due con proprie e specifiche caratteristiche.
Dio, nella Sua imperscrutabilita' e vastita', considerera' le due concezioni come strade entrambe valide per arrivare fino a Lui, due modi, sempre totalmente e necessariamente inadeguati e limitati, per avvicinarsi a Lui, illudendosi di comprenderLo.
I sostenitori di una concezione crederanno autenticamente ed assolutamente in essa, con la stessa certezza con cui ritengono che due rette perpendicolari ad una terza non si incontreranno mai (credendo possibile esclusivamente uno spazio piano), cosi' come i sostenitori dell'altra crederanno autenticamente ed assolutamente a questa, con la stessa certezza con cui ritengono che due rette perpendicolari ad una terza prima o poi si incontreranno (credendo possibile esclusivamente uno spazio curvo).


Sostenuta la validita' sia della trascendenza che dell'immanenza come strade che possono avvicinarci a Dio, si tratta di vedere se la non scelta, che non prevede l'adesione ad una delle due concezioni sopra dette (pur sostenendo la validita' di entrambe), possa essere considerata a sua volta una terza strada, un senso della religiosita' in qualche modo anch'esso valido ed accettabile in termini religiosi e spirituali.
Come gia' evidenziato, rispetto alla scelta trascendentale ed a quella immanente, la non scelta comporta necessariamente l'adozione di una concezione di Dio assai piu' indefinita ed indeterminata in termini teologici, nonche' una sua presenza potenzialmente percepita come piu' "evanescente", tanto da far porre la questione se, con queste caratteristiche, tale Dio possa essere considerato effettivamente tale (e non una semplice astrazione).
Ricorrendo all'immagine delle certezze geometriche come analogia delle certezze religiose, sopra utilizzata, nel caso della non scelta tali certezze si limiterebbero ad un punto nello spazio (una definizione e non un assioma). Eventualmente due punti, solo essendo sicuri che tutti accettassero che per quei due punti non passa una sola ed unica retta (ma tante quante i possibili gradi di curvatura dello spazio).


Giunti a questo punto la giusta ed appropriata conclusione dovrebbe essere che la valutazione sui limiti e l'ampiezza di cio' che puo' rientrare ed essere accettato come Dio (in relazione alla non scelta) non puo' che essere affidato a cio' che viene "sentito" personalmente ed individualmente da ciascuno, e che la questione non e' in alcun modo concettualizzabile nella sua piu' autentica e profonda dimensione. Oltre non si dovrebbe ne' potrebbe andare. Si cerchera' invece di provare a verificare se considerazioni e valutazioni propri di un approccio concettuale, pur nella loro inadeguatezza, possano in qualche modo fornire delle indicazioni e degli spunti di riflessione sulla questione sopra posta, con riferimento alla indeterminatezza teologica ed alla possibile "evanescente" presenza di Dio connesse alla non scelta.

Sulla indeterminatezza teologica della non scelta potrebbe essere utile considerare se la concezione sia trascendente che immanente di Dio abbia presentato e presenti un'unica ed invariata formulazione o se questa evidenzi evoluzioni e differenziazioni nel tempo e nello spazio (tra Chiese, tra correnti di pensiero nella stessa Chiesa), ed in che limiti.
Il Dio trascendente ed unico del Cristianesimo ha in effetti presentato vari livelli di conoscibilita', sia nel corso del tempo che all'interno della stessa fase storica.
Relativamente alla conoscibilita' di Dio due tendenze si sono sempre contrapposte, quella di una metafisica positiva ed il piu' possibile chiarificatrice, e quella di una metafisica negativa che nel mistero e nell'inconoscibilita' di Dio vedono la Sua essenza piu' profonda, e considerano il tentativo di chiarire questo mistero come un allontanamento dalla sua effettiva comprensione (un monaco medioevale dira': cio' che volete aprire, voi cosi' lo distruggete). Questa contrapposizione e' presente fin dall'origine, con Giustino ed Origene che ripropongono temi platonici ed aristotelici a fronte di Tertulliano che afferma "credo quia absurdum est".
Il contrasto prosegue nel tempo, da una parte con Sant'Anselmo d'Aosta e la sua prova ontologica e con San Tommaso d'Aquino ed i domenicani, e la loro pretesa aristotelica di poter conoscere Dio e dimostrarNe l'esistenza, e dall'altra con chi a questi cerca di opporsi, come i francescani Bonaventura da Bagnoregio (con il suo "itinerario della mente verso Dio" alla cui conclusione si comprendera' di non comprenderLo, giunti alla "perfetta illuminazione della mente") e Guglielmo d'Occam, con il suo Dio inconoscibile nella Sua essenza ed a cui si puo' giungere solo con un atto d'amore e di fede.
Si avranno poi il mistico Eckhart, in cui Dio, ineffabile, e' "negazione della negazione", e quindi assoluto ed al di la' di ogni determinazione concettuale, pertanto conoscibile solo annullando ogni facolta' conoscitiva, e Nicolo' Cusano, che rende ragione dell'inconoscibilita' dell'infinito e quindi di Dio affermando come, in tale ambito, si abbia la coincidentia oppositorum e la coincidentia contradictoriorum, e come di Dio si possa solo dire cio' che non e'.
Con Pascal e le correnti che a lui si riferiranno, fino all'esistenzialismo, la conoscenza di Dio non puo' derivare in nessun modo da un piano razionale, come invece la metafisica positiva tradizionale aveva fino ad allora sostenuto, e non puo' che derivare da un riferirsi alla propria interiorita' e dalla consapevolezza della propria intima condizione umana.
La concezione del grado di conoscibilita' di Dio all'interno del Cristianesimo ha pertanto evidenziato nel tempo un'ampia differenziazione, presentando elevati livelli di indeterminazione nell'ambito della metafisica negativa. L'indeterminazione di Dio connessa alla non scelta e' naturalmente assai piu' elevata di quella presente nella metafisica negativa, ma nel valutarla si possono comunque tener presenti i livelli raggiunti da tale metafisica gia' all'interno del Cristianesimo.


Relativamente alla percezione della presenza di Dio da parte dell'uomo, con riferimento alla presenza del Dio della non scelta potenzialmente percepita come piu' "evanescente",
vorrei far riferimento ad un pensiero di Pascal, che diceva piu' o meno che l'uomo ha bisogno di credere in qualcosa che non sia fuori di lui, ma invece dentro di lui, e che pero' non sia lui stesso. Questo concetto mi sembra racchiuda tutta l'essenza del problema della percezione di Dio da parte dell'uomo, della Sua presenza o assenza, della Sua vicinanza o lontananza.
Storicamente il credere in qualcosa fuori di se' e' proprio del paganesimo pre Cristiano, in una condizione umana caratterizzata dalla paura e dall'angoscia verso il mondo esterno e quello interiore, da cui la divinita' avrebbe dovuto proteggere l'uomo. Tale protezione comportava un Dio potente e quindi profondamente diverso ed "altro" dagli uomini, e pertanto ad essi lontano. Ma questa lontananza alimentava il senso di estraneita' provato dall'uomo verso il Dio, e quindi il suo senso di solitudine, come attestato ad esempio dalle tragedie greche.
Pertanto cio' che riduceva la sua paura (la lontananza da se' del Dio, e quindi la sua potenza), aumentava contemporaneamente la sua solitudine (data dall'estraneita' provata verso un Dio cosi' lontano).

                                                          - prosegue su messaggio successivo -                                                 
Titolo: Re: Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.
Inserito da: Scepsis il 15 Marzo 2025, 21:11:23 PM

                                                    - prosegue da messaggio precedente -

Con il Cristianesimo e la sua Rivelazione l'uomo puo' finalmente credere in qualcosa dentro di lui (come dice Pascal), e dentro la sua anima. Puo' cosi' ridurre la lontananza verso Dio e quindi il senso di solitudine. Ma questo processo di avvicinamento tra Dio e uomo non puo' procedere fino al punto di avvicinarli tanto da identificarli, Dio perderebbe la Sua natura e le Sue caratteristiche e l'uomo non avrebbe piu' un Dio a cui affidarsi (l'uomo ha bisogno di credere in qualcosa che non sia lui stesso, come affermato da Pascal).
In modo speculare a quanto sopra scritto, in questo caso cio' che riduce la solitudine dell'uomo (la diminuzione della lontananza da Dio) aumenta la sua paura: non c'e' piu' un Dio a difenderlo, o quanto meno al ridursi della lontananza Dio e' percepito sempre meno come "altro" da se' da parte dell'uomo, quindi meno potente e pertanto meno in grado di difenderlo (in particolare dalle paure interiori e dall'angoscia).
Il grado di vicinanza con Dio, cosi' come percepito dall'uomo, deve attestarsi su un livello tale da garantire sia un accettabile livello di paura che un accettabile livello di solitudine (dove paura e solitudine sono tra loro inversamente proporzionali).


Il grado di vicinanza con Dio, e quindi la commistione tra paura e solitudine, e' un elemento che caratterizza ogni religione ed ogni corrente al suo interno, si pensi al Dio lontanissimo ed inappellabile dei manichei, con una salvezza rigidamente predeterminata (contro cui combattera' Sant'Agostino), o all'opposto al Dio vicinissimo di Pelagio, in cui la salvezza veniva stabilita esclusivamente dall'uomo mediante le sue opere, esautorando di fatto Dio da ogni ruolo (anch'esso combattuto da Sant'Agostino, ma per ragioni opposte).
Con Pascal il grado di vicinanza con Dio e' determinata dall'azione congiunta della vicinanza all'uomo di Gesu' Cristo e dalla lontananza dall'uomo (e dalle sue miserie) di Dio.


Il grado di vicinanza con Dio pero' non e' un qualcosa che attiene solo alle singole religioni,
ma e' anche (e forse soprattutto) un problema del singolo individuo, che dovra' scegliere il livello di vicinanza/lontananza, e quindi la combinazione tra paura e solitudine, nel suo rapporto con Dio.
Tanto piu' l'uomo collochera' Dio vicino a se', ponendolo quindi tanto meno "altro" da se', tanto piu' rischiera' di farNe una presenza "evanescente", irrilevante, che si identifichera' sempre piu' con la propria interiorita' fino al punto di non poterle piu' distinguere. Una presenza comoda e rassicurante perche' sempre piu' simile a se', a cui ci si abitua e che sempre piu' viene data per scontata. Una presenza, pertanto, a cui ci si abitua perche' poco ingombrante ed esigente. E questa e' un'abitudine a cui e' difficile rinunciare perche' ci rassicura e ci impedisce di vedere se e quando la presenza dell'"altro" da se' ci ha eventualmente abbandonato. In questo caso occorrera' alla fine pervenire a questa dolorosa consapevolezza, prendendo coscienza di essere rimasti soli con noi stessi e di non riuscire piu' a scorgere nulla al di fuori di noi e della nostra interiorita'.


In modo speculare a quanto sopra detto, tanto piu' l'uomo collochera' Dio lontano da se', "altro" da se', tanto piu' rischiera' di farne una presenza totalmente estranea a se' ed alla propria interiorita', con quest'ultima che alla fine verra' totalmente negata per potersi adeguare ad un Dio sempre piu' esigente, lontano ed imperscrutabile.
Cosi' come nel caso di un Dio troppo vicino, anche qui abbiamo un processo di rassicurazione, consistente nel porre Dio sempre piu' lontano da noi, un Dio con richieste sempre piu' difficili e pressanti. Lo sforzo e la fatica per poter soddisfare tali richieste saranno la prova e la conferma della nostra capacita' di adeguarci a Lui ed essere all'altezza delle Sue aspettative. L'eventuale incomprensibilita' delle prove a cui ci si sottopone verra' considerata solo come una ulteriore prova, comunque da superare. Quanto dentro di noi sembra opporsi alle crescenti richieste verra' progressivamente negato ed abbandonato, fino a che le richieste non saranno cosi' ampie e totali che l'uomo abbandonera' e neghera' completamente se stesso e la propria interiorita'.
Come nella situazione opposta, anche qui si avra' un'abitudine, ma non sara' una comoda abitudine, bensi' un'abitudine alla fatica ed al sacrificio, comunque difficile da abbandonare perche' la connessa negazione di se' evita dolorose domande e confronti con se stessi.
Se l'uomo riuscira' a risvegliarsi dall'oblio di se', vedra' che la presenza dell' "Altro" da se' lo ha da tempo abbandonato, progressivamente sostituito da ferree e vuote regole e formalita' a cui ha sacrificato la propria autentica interiorita', sostituita da una posticcia. Anche qui l'uomo rimarra' solo con se stesso, in questo caso per un Dio troppo lontano da se', in cui si e' annullato.
Su quanto sopra faccio una precisazione. Il processo sopra descritto e' di tipo drammatico, legato ad una fanatica adesione a regole e richieste estreme. Ma la stessa negazione ed oblio di se' e della propria interiorita', con la stessa conseguente assenza di un autentico "Altro" da se', potrebbe essere connaturata e da sempre presente in un individuo che non interroga e chiama in causa, in alcun modo, il proprio se' piu' intimo e profondo, totalmente ignorato, ed in cui il problema dell' "Altro" da se' non viene neanche posto e considerato, sostituito e nascosto da una passiva ed acritica accettazione di regole religiose viste e vissute solo come vuote regole formali. E questo, di fatto, non e' che un altro modo di collocare Dio lontanissimo da se' da parte dell'uomo.


Per quanto sopra detto, ed in relazione al problema di una presenza di Dio potenzialmente percepita come piu' "evanescente" nel caso della non scelta, si rileva come il problema della percezione della presenza di Dio, legata alla Sua maggiore o minore vicinanza all'uomo, sia comune ad ogni credo religioso ed, al loro interno, ad ogni singolo individuo.
E' evidente che nel caso della non scelta i rischi di non percepire l' "Altro" da se' siano piu' legati ad una Sua eccessiva vicinanza, piuttosto che ad una eccessiva lontananza, ma il rischio in genere, come gia' detto, e' comunque insito in ogni religione ed in ogni individuo. Proprio il ruolo svolto da ciascun individuo nel collocare Dio alla giusta distanza da se', evitando quegli eccessi di collocazione che porterebbero a perderLo, potrebbe suggerire come l'adesione di ognuno al credo od al senso religioso che sente come piu' adeguato e congeniale a se' possa favorire quella giusta scelta di collocazione individuale, tale da assicurare una autentica presenza di Dio, oltre ogni abitudine od acritiche accettazioni