Kant scrive: "Anche se inizialmente si dovrebbe pensare che la proposizione 7 + 5 = 12 sia una proposizione semplicemente analitica che segue dal concetto di una somma di 7 e 5 secondo il principio di contraddizione, tuttavia, se si guarda meglio, si scopre che il concetto della somma di 7 e 5 non contiene null'altro che l'unificazione dei due numeri in uno solo, senza che in alcun modo si pensi quale sia questo unico numero che raccoglie gli altri due. Il concetto del numero 12 non è in alcun modo già pensato con il fatto che io pensi quell'unificazione di 7 e 5, e per quanto a lungo io scomponga il mio concetto di una possibile somma, non vi incontrerò mai il numero 12. Bisogna uscire da questi concetti, chiedendo aiuto all'intuizione che corrisponde a uno dei due, per esempio a quella delle cinque dita, o a quella dei cinque punti, e aggiungere al concetto del 7, una dopo l'altra, le unità del numero 5 dato nell'intuizione. Infatti, prendo prima il numero 7 e poi, chiedendo aiuto per il concetto del cinque alle dita della mia mano come intuizione, aggiungo in quella mia immagine le unità, che avevo precedentemente prese per formare il numero 5, una dopo l'altra al numero 7, assistendo cosí alla nascita del numero 12. Per quanto avessi pensato nel concetto di una somma = 7 + 5 che il 7 dovesse essere aggiunto al 5, non avevo però pensato che questa somma fosse uguale a 12. La proposizione aritmetica, quindi, è sempre sintetica; il che diventa tanto piú chiaro quanto piú grandi sono i numeri considerati, perché allora salta agli occhi che, per quanto girassimo e rigirassimo i nostri concetti in qualunque modo ci venga in mente, non potremmo mai, servendoci della semplice scomposizione dei nostri concetti, trovare la somma senza chiedere aiuto all'intuizione." (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 206-208 – I. Kant, Critica della ragion pura, Introduzione alla seconda edizione.)
***
Al riguardo osservo quanto segue:
.
1)
Per quanto concerne la somma 7 + 5 = 12, ritengo che, tutto sommato, il ragionamento di Kant non faccia una piega; ed infatti, in esso, non c'è niente di "analitico".
Ed infatti, per metterla in termini "inversi", ma, secondo me, più semplici da comprendere di quelli del grande filosofo, nel numero 12 non sono necessariamente impliciti nè il 7 nè il 5.
Ed infatti il 12, è uguale anche a:
1 + 1 + 1 + 1 + 1 +1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 +1
2 + 2 + 2 + 2 + 2 + 2
4 + 4 + 4
6 + 6
5 + 4 + 3
3 + 7 + 2
ecc. ecc.
Per cui, se io chiedo a qualcuno a quale somma corrisponda necessariamente il 12, non esiste una "risposta univoca"; ciò in quanto, per dirla in soldoni, il 12 non è affatto una sorta di "sinonimo" di 7 + 5, potendo essere il risultato anche di diverse somme.
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2)
Per quanto, invece, concerne la somma 1 + 1 = 2, secondo me il ragionamento di Kant "traballa" un po'.
Ed infatti, dire 2 o dire 1 + 1, è esattamente la stessa cosa, in quanto il 2 non può provenire da altre somme di sorta; per cui, almeno secondo me, in questo caso siamo di fronte ad un "giudizio analitico".
Come dire che "un bipede ha due gambe"; la quale affermazione, prima ancora che dall'esperienza fenomenica, deriva dalla pura e sempre logica.
***
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***
Ovvero, per concludere:
a)
Se io chiedo a qualcuno a quale somma corrisponda necessariamente il 12, non esiste una "risposta univoca"; ciò in quanto, per dirla in soldoni, il 12 non è affatto una sorta di "sinonimo" di 7 + 5, potendo essere il risultato anche di diverse somme.
b)
Se, invece, io chiedo a qualcuno a quale somma corrisponda necessariamente il 2, esiste una sola "risposta univoca": 1 + 1.
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Ovvero, per parafrasare lo stesso Kant: "Il concetto del numero 2 è già pensato con il fatto che io pensi all'unificazione di 1 e 1; e per quanto a lungo io scomponga il mio concetto di una possibile somma, non vi incontrerò mai altro che 1 + 1".
***
Tuttavia, molto probabilmente, io ho equivocato quello che intendeva dire Kant. :(
***
Sono convinto che non esista alcun giudizio sintetico a priori.
Lo sviluppo scientifico e in generale tutta la conoscenza ne prescindono.
Ritengo che questo giudizio sia stato immaginato da Kant a causa del disagio che provava, magari inconsapevolmente, nel non formularne la esistenza.
Perché in tal caso l'uomo si sarebbe ridotto a ben poca cosa.
Un po' come la deduzione contrapposta alla induzione.
Se la deduzione in realtà non esiste, che ne è dell'uomo?
Ma sembrerebbe proprio che ogni nostra conoscenza derivi dalla induzione.
Come pure l'IA ci suggerisce.
Ciao Bobmax. :)
Non so se il "giudizio sintetico a priori" in ambito matematico sia stato immaginato da Kant a causa del disagio che provava, magari inconsapevolmente, nel non formularne la esistenza (perché in tal caso l'uomo si sarebbe ridotto a ben poca cosa); io mi sono soltanto limitato a rilevare che, in "campo matematico", ammesso e non concesso che tale tipo di "giudizio" possa ritenersi valido con riguardo al suo esempio numerico del 7+5 = 12, non mi pare, però, che possa ritenersi parimenti valido anche con riguardo al mio esempio numerico dell' 1 + 1 = 2 (che mi sa tanto di "giudizio analitico").
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Un cordiale saluto! :)
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Quando Kant afferma che «La proposizione aritmetica, quindi, è sempre sintetica» ha ragione poiché i numeri non sono enti fisici. Qualche secolo dopo, la sintesi a priori è ancora più chiara a tutti perché 2 può essere la somma di 1 e 1, ma anche di 0,5 e 1,5, così come di infinite altre combinazioni.
Citazione di: Eutidemo il 02 Ottobre 2024, 12:58:41 PMIl concetto del numero 12 non è in alcun modo già pensato con il fatto che io pensi quell'unificazione di 7 e 5, e per quanto a lungo io scomponga il mio concetto di una possibile somma, non vi incontrerò mai il numero 12. Bisogna uscire da questi concetti, chiedendo aiuto all'intuizione che corrisponde a uno dei due, per esempio a quella delle cinque dita
Ma scriveva in modo così orribile kant , o è la traduzione?
Come ognuno potrà verificare intuire il 5 è già problematico, e di fatto non riusciamo a intuire oltre il 4.
Intuire nel senso che visualizzo non solo gli oggetti che compongono la quantità , ma la quantità stessa, senza quindi dover contare gli oggetti.
Posso anche visualizzarne 8, ma col trucco di visualizzare due gruppi di 4 accostati.
Ma per visualizzare il 2 non ho bisogno di immaginare due oggetti accostati.
Da un punto di vista intuitivo 1 non è nemmeno una quantità, perchè la quantità implica molteplicità.
1 + 1 = 2
5 + 7 = 12
e compagnia bella...
sono tutti giudizi analitici.
Perché non aggiungono nulla a ciò che già è implicito nel significato dei termini.
Equivale a dire: i corpi sono estesi.
Semmai possono essere considerati analitici a posteriori nel caso in cui già non si sappia il risultato della addizione.
Si svolge infatti una analisi. Che non aggiunge nulla essendo il risultato già implicito.
Kant questo non lo considera.
Il significato dei segni utilizzati è invece frutto di giudizi sintetici a posteriori.
La grandezza di Kant non è nella verità di ciò che ha detto.
Bensì nell'aver mostrato, inconsapevolmente e attraverso la propria onestà intellettuale, l'impossibilità di afferrare la realtà.
E perché è impossibile comprendere l'essenza della realtà?
Perché per comprendere qualcosa siamo costretti a separare, mentre la realtà è l'intero.
Così, separando, finiamo con il credere nella verità della parte di per se stessa.
Mentre nessuna parte può essere vera di per sé.
Vero è l'Uno.
Perciò non vi è alcun mondo mentale che se ne stia separato dal mondo fisico.
L'iperuranio non esiste. È soltanto il frutto di una allucinazione della separazione.
Non vi è un mondo dei numeri.
Così come non vi è un mondo delle parole.
Il mondo è Uno!
Perciò pure la proposizione aritmetica, così come qualsiasi altra proposizione, è legata indissolubilmente con il mondo fisico, con la sua supposta molteplicità.
Ritenere che i numeri prescindano dal mondo fisico, è frutto della allucinazione in cui ci si perde seguendo la illusione della separazione.
Ciao Phil. :)
Quando Kant afferma che "La proposizione aritmetica è <<sempre>> sintetica", fa comunque una affermazione inesatta; ed infatti anche i "numeri naturali" possono far parte di una "proposizione aritmetica".
E considerato che i "numeri naturali" sono quei "numeri reali positivi" la cui rappresentazione decimale termina dopo la virgola, contendo soltanto zeri, a mio parere, il mio esempio dell'1 + 1 = 2 resta valido; quantomeno con riguardo ai "numeri naturali".
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Un cordiale saluto! :)
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Ciao Bobmax :)
Anche io penso che:
1 + 1 = 2
5 + 7 = 12
e compagnia bella, siano tutti "giudizi analitici".
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Però, secondo me, l'1 + 1 = 2 rende tale verità ancora più evidente, in quanto:
- 12 può essere la somma di 5 + 7, di 6 + 6, di 10 + 2 ecc.ecc.
- 2, almeno nell'ambito dei "numeri naturali" (come ho replicato a Phil), non può che essere la somma di 1 + 1.
***
Per il resto condivido tutto quello che hai scritto, in quanto anche io ritengo che il molteplice mondo fenomenico, non sia altro che la manifestazione dell'UNO; il quale, per inciso, è matematicamente contenuto in tutti gli altri numeri (così come l'ESSERE in tutti gli enti)!
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Un cordiale saluto!
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Citazione di: Eutidemo il 03 Ottobre 2024, 10:32:36 AMQuando Kant afferma che "La proposizione aritmetica è <<sempre>> sintetica", fa comunque una affermazione inesatta; ed infatti anche i "numeri naturali" possono far parte di una "proposizione aritmetica".
E considerato che i "numeri naturali" sono quei "numeri reali positivi" la cui rappresentazione decimale termina dopo la virgola, contendo soltanto zeri, a mio parere, il mio esempio dell'1 + 1 = 2 resta valido; quantomeno con riguardo ai "numeri naturali".
Cosa intendi per giudizio analitico? Kant intende quello secondo cui viene esplicitata una
proprietà o un
predicato denotante l'oggetto, e l'uno non è proprietà né predicazione del due: anche limitandoci arbitrariamente ai soli numeri naturali, l'uno è un "oggetto" (numerico)
a sé stante, proprio come il due.
Sintetizzando due 1, otteniamo un 2, attuando un processo di conoscenza (che poi capiamo essere
a priori perché non è soggetta ai capricci della contingenza e della mondanità). Analizzando un 2, vediamo che è un numero, una quantità, etc. ma ciò era già implicito nella sua "natura".
Esempio banale: quando rompi una noce, il guscio e il frutto non sono
proprietà analitiche della noce, ma sono
elementi sintetici che la compongono, ognuno con una sua
identità distinta. Dirai che è ovvio che una noce sia fatta di guscio e frutto, così come è ovvio che (stando ai soli numeri naturali) 2 sia fatto dalla somma di 1 e 1, ma ciò non toglie che tale "ovvietà" sia un processo di
sintesi fra elementi (guscio e noce, primo 1 e secondo 1); sintesi che, una volta scoperta, alimenta la conoscenza.
L'1 è una proprietà del 2.
E il 2 una proprietà dell'1.
Infatti il 2 trae tutto il proprio significato dall'1.
E l'1 ha significato solo in conseguenza del 2.
Questa relazione biunivoca è l'essenza dei numeri, di tutti i numeri. I quali comunque di per sé stessi non hanno alcuna realtà, neppure astratta.
Perché necessitano sempre di riferirsi a un che di concreto, di fisico.
Senza il mondo fisico, non vi è alcuna matematica.
"Siate fedeli alla terra!" Esorta Nietzsche.
Invitava a non lasciarsi illudere da sovraterrene speranze.
Ma a maggior ragione questa esortazione è importante per non credere in qualsiasi separazione.
Cioè che vi sia un mondo di leggi fisiche a cui questo mondo deve sottostare, che esistano davvero i numeri a prescindere dalle cose, che la matematica sia un mondo a parte svincolato da questo, che esista un iperuranio.
Tutte credenze illusorie e fuorvianti.
Fedeli alla terra, significa aver fede nella Verità.
E la Verità è in questo mondo, dove se no?
Ciao Phil. :)
Tu scrivi, che Kant intende per per "giudizio analitico" quello secondo cui viene esplicitata una proprietà o un predicato denotante l'oggetto; invece, secondo me, il "giudizio analitico" kantiano è quello nel quale il concetto del predicato è implicitamente contenuto nel concetto del soggetto, per cui basta "analizzare" il soggetto per ricavarne il predicato.
***
Quindi, se noi diciamo che "il numero 2 corrisponde ad 1 + 1", ci basta analizzare il soggetto della frase per ricavarne implicitamente il predicato; cioè, come dire che un bipede ha una gamba più un'altra gamba.
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Un cordiale saluto! :)
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Citazione di: Eutidemo il 04 Ottobre 2024, 17:25:01 PMil "giudizio analitico" kantiano è quello nel quale il concetto del predicato è implicitamente contenuto nel concetto del soggetto, per cui basta "analizzare" il soggetto per ricavarne il predicato.
qui kant prende in considerazione la modalità di formulare il ragionamento da parte dei razionalisti , mostra come tali giudizi (giudizio =proposizione) da parte dei razionalisti sono certi, pochè partono da idee innate, cioè a priori ma non hanno nulla a che fare con l'empirico, non hanno ache fare con il mondo esterno , con gli animali , coi bipedi con i tipi di alberi. il 5 e il 7 fa effetivamente dodici solo l addove il 5 e il 7 non significano nient altro che il numero. l uno piu uno fa due fin quando l uno non significa nient altro che il numero. Perciò sì, è conoscenza certa quella della matematica pura ,ma è una conoscenza che in qualche modo si rifà su stessa. è circolare su se stessa.
Citazione di: Eutidemo il 04 Ottobre 2024, 17:25:01 PMQuindi, se noi diciamo che "il numero 2 corrisponde ad 1 + 1", ci basta analizzare il soggetto della frase per ricavarne implicitamente il predicato; cioè, come dire che un bipede ha una gamba più un'altra gamba.
No, qui stai saltando dalla matematica pura (l'oggetto del discorso di kant nel tuo primo intervento) al mondo empirico, fatto di millepiedi , bipedi , alebri, frutti. Essi si possono contare ma non sono gli oggetti della matematica a cui si riferiva kant, per me passi da un piano all altro così facendo.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Ottobre 2024, 19:31:02 PMqui kant prende in considerazione la modalità di formulare il ragionamento da parte dei razionalisti , mostra come tali giudizi (giudizio =proposizione) da parte dei razionalisti sono certi, pochè partono da idee innate, cioè a priori ma non hanno nulla a che fare con l'empirico, non hanno ache fare con il mondo esterno , con gli animali , coi bipedi con i tipi di alberi. il 5 e il 7 fa effetivamente dodici solo l addove il 5 e il 7 non significano nient altro che il numero. l uno piu uno fa due fin quando l uno non significa nient altro che il numero. Perciò sì, è conoscenza certa quella della matematica pura ,ma è una conoscenza che in qualche modo si rifà su stessa. è circolare su se stessa.
.....
No, qui stai saltando dalla matematica pura (l'oggetto del discorso di kant nel tuo primo intervento) al mondo empirico, fatto di millepiedi , bipedi , alebri, frutti. Essi si possono contare ma non sono gli oggetti della matematica a cui si riferiva kant, per me passi da un piano all altro così facendo.
Non vi è alcuna matematica "pura". Perché non esiste nessun mondo a sé della matematica, il mondo è uno solo!
L'immaginare l'esistenza dei numeri, a prescindere da questo nostro mondo fisico, deriva dall'essersi distaccati dalla realtà.
"Siate fedeli alla terra!" esorta Nietzsche.
Che non poteva comprendere Kant nel suo tentativo di fondare altrimenti l'uomo.
Tentativo che infine non potrà che rivelarsi fallimentare.
Ma è proprio in questo inevitabile fallimento che sta la grandezza di Kant.
Perché è proprio nel naufragio del pensiero, che vuole auto fondarsi, che traspare l'Uno.
Senza più nessun appiglio, neppure la matematica, mero epifenomeno del mondo fisico.
Citazione di: bobmax il 06 Ottobre 2024, 15:19:16 PMNon vi è alcuna matematica "pura". Perché non esiste nessun mondo a sé della matematica, il mondo è uno solo!
esiste però il panorama mentale della matematica che è comune ad ogni individuo. Per meglio dire, ad ogni matematico. Questa cosa del paesaggio mentale non è una mia invenzione ma di uno di loro, un matematico platonico di nome Rudy Rucker . Egli ritiene che una persona che fa ricerca matematica esplora il paesaggio mentale in un modo molto simile a come Neil Armstrong esplorò la superficie della luna. A volte esploratori diversi passano per le stesse regioni e riferiscono le loro scoperte in modo del tutto indipendente l'uno dall altro. Secondo Rucker, propio come abbiamo in comune lo stesso mondo fisico così tutti noi abbiamo in comune lo stesso paesaggio mentale. Anche per John Barrow il fenomeno delle scoperte indipendenti in matematica è indizio di un elemento oggettivo , indipendente dalla psiche del ricercatore.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Ottobre 2024, 22:07:36 PMesiste però il panorama mentale della matematica che è comune ad ogni individuo. Per meglio dire, ad ogni matematico. Questa cosa del paesaggio mentale non è una mia invenzione ma di uno di loro, un matematico platonico di nome Rudy Rucker . Egli ritiene che una persona che fa ricerca matematica esplora il paesaggio mentale in un modo molto simile a come Neil Armstrong esplorò la superficie della luna. A volte esploratori diversi passano per le stesse regioni e riferiscono le loro scoperte in modo del tutto indipendente l'uno dall altro. Secondo Rucker, propio come abbiamo in comune lo stesso mondo fisico così tutti noi abbiamo in comune lo stesso paesaggio mentale. Anche per John Barrow il fenomeno delle scoperte indipendenti in matematica è indizio di un elemento oggettivo , indipendente dalla psiche del ricercatore.
Sì, ma il fraintendimento è nel considerare il mondo mentale un mondo a sé, dove vivono entità che prescindono dal mondo fisico.
Perché non vi sono due mondi, uno mentale e uno fisico.
La stessa constatazione di come la matematica sia coerente con il mondo fisico, e a volte addirittura ne anticipi le scoperte, conferma che il mondo è uno solo.
Vi è chi invece si stupisce di come la matematica descriva i fenomeni fisici... Mentre non vi è nulla di cui stupirsi!, essendo la matematica espressione di questo stesso mondo fisico. È infatti questo il motivo della sua comune oggettività.
Non è un aspetto marginale, ma sostanziale.
Perché una volta che invece si cade nell'equivoco, di credere che esiste davvero un mondo matematico, che se ne sta da qualche parte a prescindere dal mondo fisico... si perde la percezione della realtà.
E la realtà è limite, è la non esistenza dell'infinito.
Mentre il mondo immaginato a sé stante della matematica, una volta slegato dal reale, permette voli pindarici assurdi, come la cosificazione dell'infinito.
Ossia l'infinito ridotto a "cosa" che può essere trattato come tale.
A questo assurdo è stata ridotta la matematica.
Una allucinazione, che apre la strada al nichilismo.
Sì, capisco quello che vuoi dire e sono anche d'accordo, sicuramente la matematica è possibile grazie al fatto che esistono oggetti discreti del mondo fisico e che senza l'elaborazione di compressioni algoritmiche dei dati l'intera scienza si limiterebbe a una raccolta di esempi senza capo ne coda , all accumulazione indiscriminata di tutti i fatti disponibili . La matematica ci mostra invece come leggi della fisica siano analoghe ai programmi dei computer . Dato lo stato inziale di un sistema (imput) possiamo usarle per calcolare lo stato successivo (output). Tuttavia vi sono degli schemi in matematica che non hanno a che fare con il mondo fisico , uno di questi schemi è il cosi detto "insieme di Mandelbrot" . Questo insieme è una forma geometrica , detta frattale, che è strettamente legata alla teoria del caos e ci fornisce uno spettacolare esempio di come un operazione ricorsiva molto semplice possa produrre un oggetto di favolosa varietà e complessità. è generata per applicazione di una regola (o funzione) di cui non entro nei dettagli ma la peculiarità di questo insieme frattale è che ogni sua parte può essere ingrandita e riingrandita senza limite , e tutti i livelli successivi di risoluzione rivelano ricchezze e delizie nuove. In realtà le complicazioni strutturali dell insieme di Mandelbrot non possono essere comprese a fondo, in tutti i loro dettagli, da nessuno di noi , e non c'è computer che lo possa rivelare in modo completo . Il computer in questo caso viene usato , essenzialmente, nello stesso modo in cui un fisico usa un apparato per esplorare la struttura del mondo fisico. Questo fa presupporre che l insieme di Mandelbrot non è un invenzione della mente umana, esso è stato scoperto, è li è basta . Come nel mondo fisico il monte Everest è li e basta.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Ottobre 2024, 23:07:19 PMSì, capisco quello che vuoi dire e sono anche d'accordo, sicuramente la matematica è possibile grazie al fatto che esistono oggetti discreti del mondo fisico e che senza l'elaborazione di compressioni algoritmiche dei dati l'intera scienza si limiterebbe a una raccolta di esempi senza capo ne coda , all accumulazione indiscriminata di tutti i fatti disponibili . La matematica ci mostra invece come leggi della fisica siano analoghe ai programmi dei computer . Dato lo stato inziale di un sistema (imput) possiamo usarle per calcolare lo stato successivo (output). Tuttavia vi sono degli schemi in matematica che non hanno a che fare con il mondo fisico , uno di questi schemi è il cosi detto "insieme di Mandelbrot" . Questo insieme è una forma geometrica , detta frattale, che è strettamente legata alla teoria del caos e ci fornisce uno spettacolare esempio di come un operazione ricorsiva molto semplice possa produrre un oggetto di favolosa varietà e complessità. è generata per applicazione di una regola (o funzione) di cui non entro nei dettagli ma la peculiarità di questo insieme frattale è che ogni sua parte può essere ingrandita e riingrandita senza limite , e tutti i livelli successivi di risoluzione rivelano ricchezze e delizie nuove. In realtà le complicazioni strutturali dell insieme di Mandelbrot non possono essere comprese a fondo, in tutti i loro dettagli, da nessuno di noi , e non c'è computer che lo possa rivelare in modo completo . Il computer in questo caso viene usato , essenzialmente, nello stesso modo in cui un fisico usa un apparato per esplorare la struttura del mondo fisico. Questo fa presupporre che l insieme di Mandelbrot non è un invenzione della mente umana, esso è stato scoperto, è li è basta . Come nel mondo fisico il monte Everest è li e basta.
Sono dell'idea che niente sia mai inventato ex novo, ciò che chiamiamo invenzione in realtà è soltanto una riscoperta.
Questo mio convincimento si basa sulla considerazione che la Verità è lo stesso Essere, l'Uno a cui non può essere aggiunto o tolto alcunché.
E poiché tutto è Uno, ogni cosa deve essere relazionata con qualsiasi altra, al punto da coincidere con essa.
Perciò anche schemi matematici, che sembrano prescindere dal mondo fisico, ne devono invece in qualche modo rappresentare un suo aspetto.
Emblematici sono i frattali, che alludono a un che di caotico.
Ma qualsiasi concetto matematico, se guardato criticamente evitando di accontentarsi dell'ovvio, può alludere ad una sottostante inesplorata profondità.
L'esistenza è mistero!
Un mistero che si fa ancora più fitto, proprio ora che ogni aspetto del mondo sembra sul punto di essere ormai chiarito e compreso.
Perché ora più che mai, avanzando nel mondo, emerge la constatazione, per chi guarda davvero, che Essere = Nulla.
E il Caos riassume in sé questa coincidenza degli opposti: l'Essere e il Nulla.
Grande è il mistero.
Mentre tanti giovani sono perduti di fronte ad un mondo che sembra ormai conosciuto una volta per tutte.
E questo mondo creduto "vero" è in definitiva un deserto.
Mentre non è affatto così!
Basterebbe riflettere sul fatto che l'infinito non esiste. E se non esiste l'infinito... ecco il Nulla.
Ecco il Caos!
Ecco l'Amore...!?
Citazione di: Alberto Knox il 06 Ottobre 2024, 23:07:19 PM. Tuttavia vi sono degli schemi in matematica che non hanno a che fare con il mondo fisico , uno di questi schemi è il cosi detto "insieme di Mandelbrot" . Questo insieme è una forma geometrica , detta frattale, che è strettamente legata alla teoria del caos e ci fornisce uno spettacolare esempio di come un operazione ricorsiva molto semplice possa produrre un oggetto di favolosa varietà e complessità. è generata per applicazione di una regola (o funzione) di cui non entro nei dettagli ma la peculiarità di questo insieme frattale è che ogni sua parte può essere ingrandita e riingrandita senza limite , e tutti i livelli successivi di risoluzione rivelano ricchezze e delizie nuove.
Beh, non propriamente cose nuove, ma sempre la stessa cosa in effetti, perchè è una figura che appare uguale a se stessa nella forma, a meno della scala, cioè uguale a se stessa indipendentemente dalla scala alla quale la osservi.
In una realtà che può apparire caotica il rilevare queste figure in modo sistematico, ad esempio nei fluidi, significa che la'' causa del caos'' sta appunto solo nell' apparenza.
Quindi in effetti la realtà, anche quando a prima vista ci sembra caotica, può a un secondo sguardo rivelare un ordine che misteriosamente coincide con quello matematico.
Quindi la realtà a saperla ben guardare risulta intrinsecamente ordinata.
L'ordine, che certamente è cosa essenzialmente matematica perchè siamo noi a introdurlo nelle teorie matematiche, ce lo ritroviamo misteriosamente nella realtà alla quale in analogia un ente soprannaturale potrebbe averlo introdotto, al modo appunto che noi lo introduciamo in matematica.
Io non credo che l'ordine sia intrinseco alla realtà, anche quando ci appare, perchè la realtà ci appare secondo come la guardiamo, e ci apparirà in modo ordinato se quel modo di ordine è nei nostri occhi.
Essendo però relativi i nostri occhi, se la caratteristica del caos risulta essere quella dove ogni ordine manca, ogni ordine allora può essere ad essa imposto, non avendone essa uno proprio.
Il Dio che impone un ordine alla realtà siamo in effetti sempre noi, ma nella nostra versione incosciente, per cui ci appare l'effetto di questa imposizione, ma non la causa, come se quest'ordine fosse quindi intrinseco alla realtà, o come se un ente superiore glielo avesse imposto.
La realtà è UN caos (UNO per gli amici) che non avendo un ordine può accoglierne diversi, ed apparirà come una molteplicità ordinata secondo l'ordine gli viene imposto.
Quando però non abbiamo coscienza della nostra imposizione, l'ordine ci apparirà come intrinseco alla realtà.
Nella realtà che percepiamo non abbiamo coscienza dell'ordine che vi imponiamo, mentre l'abbiamo nella ricerca scientifica laddove usiamo coscientemente la matematica.
Se noi invece consideriamo la realtà come fatta di molteplicità di ''cose in sè'' non essendo compreso in questo sè la relazione che le cose fra loro intrattengono, ciò resterà per noi un irrisolvibile mistero.
La realtà non ha un suo ordine, ma ogni ordine è un possibile modo di riguardarla.
Quindi se non abbiamo coscienza che è ordinandola che la riguardiamo, essa ci apparirà come ordinata.
Risolto questo mistero resta il mistero di come la realtà in un modo o nell'altro possa manifestarsi a una parte di se, che saremmo noi, e questo mistero ce lo teniamo.
Citazione di: iano il 08 Ottobre 2024, 09:36:06 AMIo non credo che l'ordine sia intrinseco alla realtà, anche quando ci appare, perchè la realtà ci appare secondo come la guardiamo, e ci apparirà in modo ordinato se quel modo di ordine è nei nostri occhi.
Essendo però relativi i nostri occhi, se la caratteristica del caos risulta essere quella dove ogni ordine manca, ogni ordine allora può essere ad essa imposto, non avendone essa uno proprio.
morale della favola non possiamo affidarci ai nostri sensi , in questo caso la vista, nella conoscenza della realtà. Lo aveva già detto Cartesio.
L'esistenza stessa delle leggi naturali è un tipo di ordine che si manifesta nelle varie regolarità della natura stessa. L'esatta ciclicità di un oscillazione di un atomo usato per scandire il tempo, l'oscillazione ciclica di un pendolo, la geometrica precisione dei pianeti, la configurazione delle linee spettrali elettromagnetiche ecc.
I fisici , poichè è di fisica che stai parlando, quantificano l'ordine in un modo che è legato all entropia. In questo caso il vero disordine corrisponde all equilibrio termodinamico. è importante capire che questa definizione si riferisce a livello molecolare. Un secchio riempito d'acqua a temperatura costante è in equilibrio termodinamico perciò di massima entropia, vale a dire di massimo disordine. Ma guardando l'acqua essa si presenta calma, ferma, non appare nulla di disordinato! Ma le cose ci apparirebbero diverse se potessimo osservare le molecole correre avanti indietro in maniera caotica. Al contrario, se faremmo bollire l'acqua all interno dello stesso secchio osserveremmo il moto turbolento e caotico dell acqua in ebollizione e quindi in stato di disordine ma dal punto di vista termodinamico il sistema non è in equilibrio , e quindi non è nello stato di massimo disordine. Vi può essere ordine a una scala di grandezza e disordine in un altra e viceversa.
Citazione di: iano il 08 Ottobre 2024, 09:36:06 AMBeh, non propriamente cose nuove, ma sempre la stessa cosa in effetti, perchè è una figura che appare uguale a se stessa nella forma, a meno della scala, cioè uguale a se stessa indipendentemente dalla scala alla quale la osservi.
questo non è del tutto vero Iano, a volte sono esattamente uguali come dici tu e noi possiamo continuare a zummare teoricamente all infinito e continuare a vedere la stessa figura andando via via zummando dal piu grande verso il piccolo. Altre volte queste forme continuano a riprodursi continuamente in forme diverse e si può zummare sempre di più senza che ci sia mai fine di queste evoluzione di figure. Per questo ho detto che ne uomo ne macchina potrà mai esplorarle in modo completo.
Citazione di: Alberto Knox il 08 Ottobre 2024, 20:27:25 PMmorale della favola non possiamo affidarci ai nostri sensi , in questo caso la vista, nella conoscenza della realtà. Lo aveva già detto Cartesio.
Quando scopri ''l'inganno'' la reazione di Cartesio è la prima che spontaneamente sorge, finché non comprendi che conviene comunque fidarti dei tuoi sensi perchè la loro evoluzione non può essere stata uno scherzo della natura.
Devi fidarti dei sensi, sopratutto in mancanza di alternative.
Quando col tempo nuove alternative si presentano, dimostrando che i sensi non hanno il monopolio hai due alternative.
1.Dire che una alternativa dice la verità e l'altra no, o viceversa.
2. Usare secondo convenienza una alternativa o l'altra, non essendo diversa la loro funzione, che è quella di rapportarci utilmente con la realtà, avendo realizzato che non c'è un solo modo per farlo.
Naturalmente nella misura in cui la scienza la sentiremo come estranea, non praticandola in modo paritario, come paritariamente usiamo tutti la vista, la prima opzione risulterà comprensibilmente la più gettonata, almeno in un primo momento.
I sensi non ci ingannano, nel senso che non esistono alternative veritiere, compresa la scienza che svolge la stessa funzione in altro modo.
Il modo in cui ci appare la realtà è tutta una illusione, ma una illusione vitale a cui infine, dopo i primi fraintendimenti, occorre rendere il giusto merito.
Il limite della nostra conoscenza non è l'avere un punto di vista limitato sulla realtà, perchè il punto di vista potendosi allargare non è un vero limite.
Il punto è che la realtà potendo diversamente apparire, non ha una sua forma come fosse un puzzle da completare, per cui non può direttamente apparirci, non avendo alcuna sembianza.
Avremo quindi sempre a che fare con qualcosa che apparendo starà al suo posto in modo utile, ma mai necessario.
Citazione di: iano il 08 Ottobre 2024, 23:43:11 PMIl punto è che la realtà potendo diversamente apparire, non ha una sua forma come fosse un puzzle da completare, per cui non può direttamente apparirci, non avendo alcuna sembianza.
Penso che sia propio su quel punto evidenziato in neretto che le nostre strade divergono , benchè vi è mutamento e che l'indeterminazione di hisemberg da una parte e il teorema di incompletezza di Goedel dall altra ci assicurano che non potremo mai ottenere una teoria del tutto . Quello che si scopre è che l architettura dell universo è costruita in accordo con un insieme di leggi universali invisibili , quello che io chiamo il codice cosmico che è analogo al codice architettonico del Demiurgo di Platone. Man mano che si scoprono tali leggi , per analogia è come se stessimo compilando un cruciverba , perciò l'immagine del puzzle è presente nella mia mente pur sapendo che non si arriverà mai ad una teoria definitiva del tutto.
Del resto anche Einstein insisteva nel dire che le nostre osservazioni dirette degli eventi del mondo non sono generalmente intelleggibili , ma devono essere collegate a un sostrato teorico . Eistein sottolineò che
non c'è nessun percorso logico tra i concetti teorici e le nostre osservazioni .Gli uni sono messi in armonia con gli altri tramite un procedimento extralogico (intuitivo).
Usando una metafora informatica potremmo dire che le leggi naturali codificano un messaggio , Noi siamo i destinatari di quel messaggio , comunicatoci attraverso il canale che chiamiamo teoria scientifica.
Al di la' della fondatezza del concetto di giudizio "sintetico a priori" alla luce del successivo dibattito sviluppatosi in ambito matematico e filosofico (di cui si dira' piu' avanti), tale concetto appare funzionale agli scopi generali che Kant si era prefisso con la sua opera: limitare e portare nel giusto ambito le pretese della ragione umana, rivendicandone e valorizzandone nel contempo le legittime potenzialita' e capacita'. Questo avrebbe poi comportato per l'uomo una liberta' mai sperimentata prima e la possibilita' di riconoscere la propria effettiva condizione umana, libero da paure e vincoli e pienamente consapevole di se'.
A tale scopo Kant utilizza congiuntamente categorie e concetti propri sia del razionalismo che dell'empirismo (scuole di pensiero fino ad allora totalmente separate e considerate inconciliabili e non relazionabili), al fine di limitarli reciprocamente. L'esperienza fenomenica viene considerata indispensabile ed imprescindibile, ma questa deve essere letta e declinata con le forme e le categorie a priori, forme e categorie innate nell'uomo e quindi universali e necessarie, ma che per esplicarsi e rivelarsi devono a loro volta relazionarsi indispensabilmente con la realta'. L'esperienza fenomenica senza le forme e le categorie a priori risulterebbe incomprensibile e priva di significato, ma quest'ultime non sarebbero neanche percepite ed utilizzate se non venissero automaticamente ed inconsciamente applicate in ambito fenomenico. Con Kant la "tabula rasa" degli empiristi e' in realta' riempita dalle forme e categorie a priori, ma tale "tabula" non e' leggibile se non proiettata sull'immagine del mondo, cosi' come percepita nell'esperienza fenomenica.
Con il concetto di conoscenze "sintetiche a priori" applicato alla matematica ed alla geometria quest'ultime, pur conservando il loro carattere universale e necessario in quanto a priori, possono nel contempo essere avvicinate alle scienze sperimentali, sintetiche a posteriori (come la fisica, che solo in alcune proposizioni fondamentali risulta sintetica a priori, e che all'epoca vedeva un grandissimo sviluppo), e questo relativamente sia al metodo di scoperta ed indagine che alla natura di tali scoperte, realmente nuove e non tautologiche, e pertanto sintetiche.
Sempre in quanto sintetiche a priori, matematica e geometria possono essere differenziate nettamente dalle conoscenze analitiche a priori, ricollegabili di fatto per Kant in primis con la logica quale si era fino ad allora manifestata, riferibile principalmente alla scolastica ed alla teologia, con un asfittico e prevalente utilizzo di sillogismi e produttrice di tautologie.
Il matematico viene cosi' avvicinato da Kant agli scienziati sperimentali, solo che i primi non possono avvalersi, come invece i secondi, dei dati dell'esperienza. Entrambe hanno di fronte a se' un insieme di dati e di possibilita', inizialmente caotico ed "ermetico", offerti dai dati osservati per il secondo e dall'elemento matematico o geometrico di partenza (sia esso un triangolo, un'equazione di terzo grado ecc.) per il primo. Per entrambi la possibilita' di effettuare nuove scoperte (teoremi per il primo, leggi fisiche per il secondo), e quindi giudizi sintetici in cui il predicato non sia gia' implicito e presente nel soggetto, e' dato esclusivamente da un atto intuitivo (rispettivamente puro ed empirico). Scrive Kant: "la sintesi in generale... e' il semplice effetto della capacita' di immaginazione, di una cieca, ma indispensabile funzione dell'anima, senza la quale non avremmo assolutamente mai una conoscenza, ma della quale siamo coscienti solo di rado".
Per il matematico la deduzione logica ed analitica non ha alcun ruolo in quest'opera di scoperta di nuovi teoremi, e solo a scoperta avvenuta la deduzione logica ed analitica entrera' in gioco per dimostrare la correttezza logico formale del teorema, operando la consueta dimostrazione (assiomi-dimostrazione rigorosa-teorema).
Quanto indicato da Kant per i giudizi sintetici a prori, che ha innegabilmente come conseguenza una difesa ed una valorizzazione della matematica e della geometria, costituisce pero' anche la base di una delle due principali concezioni sui fondamenti della matematica sviluppatesi nei decenni successivi a Kant (anche con riferimento al ruolo dell'intuizione nelle scoperte matematiche), vale a dire la concezione intuizionista di Poincare', Brouwer, Sylvester. Tale concezione e' sorta in contrapposizione al logicismo di Frege e Russel (in cui la matematica si identifica di fatto con la logica, che ne costituisce il fondamento) ed al formalismo di Hilbert (in cui la matematica, partendo da premesse ed assiomi assolutamente arbitrari, giunge a conclusioni valide mediante il rispetto formale di regole convenzionalmente stabilite). Per quest'ultime due scuole di pensiero dunque la matematica non e' caratterizzata da un contenuto e non e' l'espressione di facolta' e predisposizioni umane, ma si caratterizza per il rigoroso rispetto di regole formali, per l'assunzione di assiomi arbitrari e per un elevato livello di astrazione.
Ben diverso l'approccio degli intuizionisti, che vedono la matematica come espressione della mente ed intelligenza umana e delle leggi che la governano, per cui tale disciplina procede mediante intuizioni che si rendono immediatamente evidenti nei loro concetti e nelle loro conclusioni. Sylvester scriveva che la matematica trae origine "direttamente dalle facolta' ed attivita' inerenti alla mente umana, e da una continua introspezione del mondo interiore del pensiero". Poincare', in analogia con quanto indicato da Kant affermava che "la logica dimostra, ma e' l'intuizione che scopre (i teoremi matematici)". In Scienza e Metodo arriva ad evidenziare il ruolo dell'inconscio nella ricerca matematica, con importanti scoperte che vengono intuite improvvisamente ed inaspettatamente, quando la mente e' rivolta a tutt'altro, o addirittura in sogno.
Le scuole di pensiero logicista e formalista hanno certamente avuto nel tempo un ruolo ed un peso largamente prevalente nel dibattito sui fondamenti della matematica, ed il loro apparato concettuale e' risultato egemone negli sviluppi di ogni campo della matematica e della geometria. Per esemplificare l'astrattezza ed il rigore formale dell'approccio logicista e formalista puo' considerarsi il concetto di uguaglianza tra numeri. Tale concetto, tra i piu' intuitivi ed evidenti, da Frege (ed e' questa la concezione oggi accettata ed utilizzata) viene definito mediante la nozione di corrispondenza biunivoca tra insiemi mutuata da Cantor
(ma in questo caso considerando insiemi finiti e non infiniti), per cui due insiemi finiti hanno lo stesso numero cardinale, cioe' sono uguali, se gli elementi di un insieme possono essere messi in corrispondenza biunivoca con gli elementi dell'altro insieme. Piu' in generale, per Frege, un numero cardinale e' un insieme di tutti gli insiemi i cui elementi possono essere messi in corrispondenza biunivoca con gli elementi di un insieme iniziale dato (ad esempio, l'insieme delle dita di una mano, che va poi a costituire il numero 5 con l'insieme degli insiemi).
Logicismo e formalismo hanno conseguito notevoli successi, come la dimostrazione della "completezza" della geometria hilbertiana (basata su 21 assiomi, rispetto ai 5 assiomi euclidei), oltre che della logica cosi' come formulata da Russel e Whitehead (ed e' stato Godel a darne dimostrazione). Il tentativo di quest'ultimi di dimostrare la completezza della matematica (da sempre considerata scontata, pur in assenza di una dimostrazione formale) e' invece clamorosamente fallito con la scoperta del teorema delle proposizioni indecidibili di Godel, che ha dimostrato come la matematica, di per se' e per sua stessa natura, possa sempre presentare la possibilita' di affermazioni ed ipotesi non dimostrabili (nella loro verita' o falsita') per qualsiasi sistema di assiomi che venga adottato, per cui la matematica e' da considerarsi "incompleta". Da specificare che questo fatto, assai importante per i logici e per il dibattito sui fondamenti della matematica, storicamente lo e' stato assai meno per i matematici (che lo hanno quasi ignorato).
In relazione all'approccio logicista sulla fondazione della matematica ed ai suoi sviluppi, alla luce della "incompletezza" della matematica, potrebbero emergere a mio parere tre possibili scenari in futuro:
1 Le attuali difficolta' relative alla incompletezza della matematica potrebbero essere riassorbite nell'ambito di una visione della matematica piu' ampia di quella attuale, nei cui accresciuti confini possa essere sanata l'attuale contraddizione. Allo stesso modo secoli fa l'allora sconcertante scoperta dei numeri irrazionali e' stata riassorbita incorporando tali numeri in una piu ampia classe di numeri, in precedenza sconosciuta, con il passaggio dai numeri razionali a quelli reali. A tale proposito si sta ora provando ad utilizzare ed introdurre una nuova ed innovativa branca della logica matematica, definita meta-matematica, che non si occupa dei simboli e delle operazioni dell'aritmetica, ma dell'interpretazione di questi segni e di queste regole
2 Si prendera' atto della incompletezza della matematica e delle sue conseguenze, adattandosi ed adeguandosi a tale situazione (che non si sa se provvisoria o meno), cosi' come si e' preso atto e ci si e' adattati alle anomalie della fisica quantistica ed alle sue conseguenze, che al momento comporta un dualismo tra quanto governato da questa fisica (microcosmo e tre delle quattro forze fondamentali: elettromagnetismo, debole e forte) e quanto governato dalle leggi della relativita' (macrocosmo e forza gravitazionale)
3 Il problema della incompletezza della matematica perdera' centralita' ed importanza, cosi' come in generale il dibattito tra intuizionisti e logicisti-formalisti, che potrebbe in futuro venir interpretato come un indebito sconfinamento della matematica in problematiche piu' filosofiche ed epistemologiche che scientifiche. Questa e' in effetti una tendenza che si sta affermando. Relativamente a drastici cali di interesse su questioni in precedenza considerate cruciali, si rileva come nelle discipline economiche per anni si sia dibattuto sull'attribuzione del valore e la determinazione dei prezzi, per le sue possibili conseguenze politiche. Il tema ha perso ogni interesse quando si sono scoperte le uniche soluzioni possibili al problema (le precedenti erano viziate da sistemi con variabili funzioni di se stesse), da parte di Sraffa e di Von Neumann, che pero' non hanno offerto alcuna risposta alle ipotizzate conseguenze politiche
Al logicismo di Russel si sono collegate correnti filosofiche che nella scienza e nella logica formale hanno trovato i propri principali ispiratori, quali la Scuola di Vienna che ha poi dato origine al neo empirismo logico. Queste correnti, avendo come obbiettivo il superamento di qualsiasi metafisica e qualsiasi dogmatismo, non potevano non attaccare l'innatismo implicito nell'a priori kantiano. Anche l'empirismo tradizionale, del resto, viene attaccato da tali correnti per l'assenza di un ruolo fondamentale attribuito alla logica, assenza che ne determina, di conseguenza, un orientamento biologico e psicologico.
Hahn, Neurath e Carnap scrivevano: "l'analisi logica vince non solo la metafisica nel senso proprio, classico della parola, specialmente la metafisica scolastica e quella dei sistemi dell'idealismo tedesco, ma anche la cripto-metafisica dell'apriorismo kantiano e moderno.
La concezione scientifica del mondo non riconosce nessuna conoscenza incondizionatamente valida derivata dalla pura ragione, nessun "giudizio sintetico a priori" del tipo di quelli che stanno alla base dell'epistemologia kantiana e di tutta l'ontologia e la metafisica pre e post kantiana... La concezione scientifica del mondo ammette solo proposizioni empiriche su cose di ogni specie e proposizioni analitiche della logica e della matematica... E' il metodo dell'analisi logica che distingue il moderno empirismo... dalla precedente versione che aveva un orientamento piu' biologico e psicologico".
Piu' in generale il neo empirismo logico si riprometteva, mediante un empirismo ancorato ad una logica formale valida di per se', priva di qualsiasi connotato innatistico, di rappresentare un punto di svolta ed un cambio di prospettiva rispetto al secolare, ed ormai logoro, dualismo gnoseologico tra un innatismo (qualsiasi mutevole forma abbia assunto nel tempo) che inevitabilmente sfocia in dogmatismo ed arbitrarieta', ed un empirismo privo di certezze e fondamenta.
Relativamente al ruolo ed alla natura della logica, che in questa ed in altre correnti di pensiero del novecento svolge un ruolo centrale, si rileva una generale e progressiva tendenza ad attribuire alla stessa caratteri maggiormente "convenzionalistici" rispetto alle formulazioni inizialmente adottate (ad esempio con la teoria dei giochi linguistici in Wittgenstein)
Citazione di: Scepsis il 28 Ottobre 2024, 20:22:28 PMAl di la' della fondatezza del concetto di giudizio "sintetico a priori" alla luce del successivo dibattito sviluppatosi in ambito matematico e filosofico (di cui si dira' piu' avanti), tale concetto appare funzionale agli scopi generali che Kant si era prefisso con la sua opera:
Infatti secondo me l'opera di Kant non perde di validità se si ipotizza un sintetico a priori solo di fatto, per il quale non si intravede un modo di potervi accedervi per sottoporlo ad analisi, anche quando la sua natura fosse di essere analizzabile.
Hai messo molta carne al fuoco, e non mi sento di sottoscrivere tutto, ma il tuo scritto in qualche punto l'ho trovato illuminante.
Citazione di: Scepsis il 28 Ottobre 2024, 20:22:28 PMIl tentativo di quest'ultimi di dimostrare la completezza della matematica (da sempre considerata scontata, pur in assenza di una dimostrazione formale) e' invece clamorosamente fallito con la scoperta del teorema delle proposizioni indecidibili di Godel, che ha dimostrato come la matematica, di per se' e per sua stessa natura, possa sempre presentare la possibilita' di affermazioni ed ipotesi non dimostrabili (nella loro verita' o falsita') per qualsiasi sistema di assiomi che venga adottato, per cui la matematica e' da considerarsi "incompleta"
Questo punto sembra illuminante per me, perché se corretto, come non dubito che sia, mi fa comprendere finalmente il concetto di incompletezza in matematica.
Ma adesso che l'ho compreso mi sorge una domanda.
In cosa si differenzia una affermazione della cui verità o falsità nulla possiamo dire, da un assioma della cui verità o falsità nulla siamo tenuti a dire?.
Citazione di: Scepsis il 28 Ottobre 2024, 20:22:28 PM1 Le attuali difficolta' relative alla incompletezza della matematica potrebbero essere riassorbite nell'ambito di una visione della matematica piu' ampia di quella attuale, nei cui accresciuti confini possa essere sanata l'attuale contraddizione. Allo stesso modo secoli fa l'allora sconcertante scoperta dei numeri irrazionali e' stata riassorbita incorporando tali numeri in una piu ampia classe di numeri, in precedenza sconosciuta, con il passaggio dai numeri razionali a quelli reali.
Beh, no, direi che sono due problemi di tipo diverso.
Accettando i numeri irrazionali abbiamo svincolato il concetto di numero dal modo in cui lo intuiamo, mentre l'incompletezza interviene in una matematica ormai svincolata del tutto dalla nostra intuizione, se non nella misura residua della possibilità di intuire un teorema che vada poi dimostrato, come ben dici.
Potremmo prendere il concetto di numero intuito come quantità, come un esempio di ''a priori di fatto'', come dicevo nella mia prima risposta, (tanto che per alcuni che non accettano i numeri irrazionali ancora lo è) e in seguito decaduto, in quanto, seppur senza volere, accidentalmente sottoposto ad analisi.
Svincolare il concetto di numero dalla nostra intuizione ha comportato un suo potenziamento, divenendo la quantità solo una delle sue possibili applicazioni, per cui possiamo oggi solo immaginare i numeri in analogia ad una quantità, però il numero essendo indipendente dalle sue possibili applicazioni ''non è più immaginabile'', ciò che consente a un computer privo di immaginazione di operare coi numeri.
I teoremi dovremo però continuare a intuirceli da soli, anche se un computer può aiutarci poi a trovarne la dimostrazione, perchè comunque l'intuito trova nella complessità il suo limite. Questo però comporta, giocoforza, il dover accettare di non poter seguire direttamente una dimostrazione passo passo per verificarne la correttezza.
Citazione di: iano il 29 Ottobre 2024, 00:09:34 AMIn cosa si differenzia una affermazione della cui verità o falsità nulla possiamo dire, da un assioma della cui verità o falsità nulla siamo tenuti a dire?
Gli assiomi sono i punti di partenza, dati e posti arbitrariamente (in quanto non devono essere dimostrati), mentre le affermazioni da dimostrare sono i punti di arrivo. Se posto ed individuato correttamente si era sempre pensato che un sistema iniziale di assiomi avrebbe potuto dimostrare (in positivo od in negativo) qualsiasi affermazione (quindi ipotesi o cogettura) di tipo matematico (in geometria i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti a renderla "completa", ma i 21 di Hilbert si, ed Hilbert lo ha dimostrato). Il teorema di Godel ha dimostrato il contrario di quanto si pensava, vale a dire che non esiste un sistema di assiomi in grado di dimostrare qualsiasi affermazione matematica non perche' non e' stato ancora individuato, ma perche' tale sistema di assiomi necessariamente non puo' esistere. Ad oggi non e' stata ancora trovata una affermazione matematica "indecidibile" nel senso indicato da Godel, ma sappiamo che puo' esistere. Gli assiomi inoltre sono arbitrari nel senso che sono liberamente individuabili, non sono l'espressione ed il prodotto della mente umana o di verita' divine, ma devono comunque essere tali da essere adeguati e sufficienti per rendere dimostrabile qualsiasi affermazione relativa al loro campo di applicazione, se possibile (come nel caso della geometria e della logica, di cui si e' dimostrata la completezza). Oltre a questo gli assiomi devono essere anche "consistenti", cioe' tali da non determinare conclusioni e risultati tra loro contraddittori. Godel partendo dalla sua dimostrazione della non "completezza" della matematica arrivo' a dimostrare anche la non "consistenza" della stessa. Citazione di: iano il 29 Ottobre 2024, 00:20:07 AMBeh, no, direi che sono due problemi di tipo diverso.
Accettando i numeri irrazionali abbiamo svincolato il concetto di numero dal modo in cui lo intuiamo, mentre l'incompletezza interviene in una matematica ormai svincolata del tutto dalla nostra intuizione, se non nella misura residua della possibilità di intuire un teorema che vada poi dimostrato, come ben dici.
Con "Allo stesso modo secoli fa..." mi riferivo alla modalita' di risoluzione del problema, cioe' ad un allargamento dei confini della matematica rispetto a quelli tradizionalmente fissati, e non al contenuto dello stesso. Il tentativo di introdurre una nuova branca della logica matematica, definita meta matematica, sembrerebbe andare in questa direzione
Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMGli assiomi sono i punti di partenza, dati e posti arbitrariamente (in quanto non devono essere dimostrati), mentre le affermazioni da dimostrare sono i punti di arrivo.
Corretto. Ma io intendevo, affermazione di cose ''a priori'', nel senso Kantiano.
Intendevo cioè suggerire che di fatto, cioè ai fini dello sviluppo della teoria, non fà differenza se assumiamo un ''a priori'' o un ''non a priori''.
La geometria si è resa indipendente dai concetti primitivi, ma la filosofia non sembra poter fare lo stesso balzo rendendosi indipendente dagli ''a priori''. Potrebbe però fare riferimento a degli '' a priori'' fino a prova contraria.
Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMGli assiomi inoltre sono arbitrari nel senso che sono liberamente individuabili, non sono l'espressione ed il prodotto della mente umana o di verita' divine, ma devono comunque essere tali da essere adeguati e sufficienti per rendere dimostrabile qualsiasi affermazione relativa al loro campo di applicazione
Intuisco una contraddizione in ciò che affermi.
O quantomeno non è una affermazione che riguarda la matematica pura, ma più la fisica matematica, cioè una matematica che nasca avendo già come obiettivo un campo di applicazione preciso.
La matematica pura non nasce avendo un campo di applicazione in partenza, anche se non mi sento di escludere che ci sia una vocina interna che suggerisca ai matematici quali assiomi scegliere, se poi le loro teorie trovano applicazione inattesa nei problemi fisici del momento.
Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMCon "Allo stesso modo secoli fa..." mi riferivo alla modalita' di risoluzione del problema, cioe' ad un allargamento dei confini della matematica rispetto a quelli tradizionalmente fissati, e non al contenuto dello stesso. Il tentativo di introdurre una nuova branca della logica matematica, definita meta matematica, sembrerebbe andare in questa direzione
Non credo di esserne a conoscenza, ma tieni conto che noi, diversamente da un computer, abbiamo bisogno di un metalinguaggio per fare matematica, e il metalinguaggio che usiamo è la lingua corrente.
Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMGli assiomi sono i punti di partenza, dati e posti arbitrariamente (in quanto non devono essere dimostrati), mentre le affermazioni da dimostrare sono i punti di arrivo. Se posto ed individuato correttamente si era sempre pensato che un sistema iniziale di assiomi avrebbe potuto dimostrare (in positivo od in negativo) qualsiasi affermazione (quindi ipotesi o cogettura) di tipo matematico (in geometria i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti a renderla "completa", ma i 21 di Hilbert si, ed Hilbert lo ha dimostrato). Il teorema di Godel ha dimostrato il contrario di quanto si pensava, vale a dire che non esiste un sistema di assiomi in grado di dimostrare qualsiasi affermazione matematica non perche' non e' stato ancora individuato, ma perche' tale sistema di assiomi necessariamente non puo' esistere.
Non ho niente da insegnarti in materia, e la comprensione dei teoremi di Godel non è ancora alla mia portata, ma facendo riferimento solo a ciò che scrivi, forse fai un pò di confusione.
In fatti Hilbert porta a compimento il lavoro di Euclide, il quale ha come applicazione predefinita il modo in cui noi percepiamo lo spazio fisico, fatto di cose per noi evidenti, e per questo agli assiomi di Euclide è richiesto di essere evidenti.
Godel fa invece riferimento alla logica e alla matematica pura, cioè quella che nasce senza avere un campo di applicazione predefinito, e nascendo per nessuna applicazione in particolare , ai suoi assiomi non è richiesta alcun evidenza, né alcun significato particolare, cioè quanto di più lontano di qualcosa che somigli ad un
''a priori''.
E' quando poi la teoria trova applicazione in fisica che gli elementi della teoria assumono un significato fisico.
Le dimensioni dello spazio a 4 dimensioni non sono larghezza, altezza, profondità e tempo, essendo questi un esempio dei significati che noi attribuiamo alle dimensioni quando facciamo un applicazione fisica particolare della teoria matematica. Potremmo applicare lo stesso spazio matematico ad un diverso campo della fisica laddove le quattro dimensioni assumerebbero diversi significati.
La matematica dopo Euclide, non nascendo più con in mente un particolare campo di applicazione, si presta ad ogni applicazione possibile ed eventuale.
Con il lavoro di Evariste De Galois, scritto la notte prima di essere ucciso in un duello a vent'anni, la geometria di Euclide è stata declassata a una delle tante geometrie possibili, caratterizzata ognuna dalle sue invarianze, laddove quella di Euclide si caratterizza in particolare per essere i suoi elementi ( figure geometriche) invarianti per traslazioni e rotazioni.
Citazione di: iano il 29 Ottobre 2024, 21:41:37 PMIntuisco una contraddizione in ciò che affermi.
O quantomeno non è una affermazione che riguarda la matematica pura, ma più la fisica matematica, cioè una matematica che nasca avendo già come obiettivo un campo di applicazione preciso.
La matematica pura non nasce avendo un campo di applicazione in partenza, anche se non mi sento di escludere che ci sia una vocina interna che suggerisca ai matematici quali assiomi scegliere, se poi le loro teorie trovano applicazione inattesa nei problemi fisici del momento.
Ci sono gli assiomi della geometria, quelli della logica e quelli della matematica. Con "campo di applicazione" mi riferivo per i primi alla geometria, per i secondi alla logica (e non ad un campo di applicazione concreto o riferito a qualche scienza), omettendo la matematica in quanto non "completa". Per questo scrivevo: "gli assiomi... devono comunque essere tali da essere adeguati e sufficenti per rendere dimostrabile qualsiasi affermazione relativa al loro campo di applicazione, se possibile (come nel caso della geometria e della logica, di cui si e' dimostrata la completezza)". Citazione di: iano il 29 Ottobre 2024, 22:02:55 PMIn fatti Hilbert porta a compimento il lavoro di Euclide, il quale ha come applicazione predefinita il modo in cui noi percepiamo lo spazio fisico, fatto di cose per noi evidenti, e per questo agli assiomi di Euclide è richiesto di essere evidenti.
Godel fa invece riferimento alla logica e alla matematica pura, cioè quella che nasce senza avere un campo di applicazione predefinito, e nascendo per nessuna applicazione in particolare , ai suoi assiomi non è richiesta alcun evidenza, né alcun significato particolare, cioè quanto di più lontano di qualcosa che somigli ad un
''a priori''.
Certamente una cosa e' la geometria ed un'altra e' la matematica. Parlando della "completezza" della matematica ho aggiunto tra parentisi "(in geometria i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti a renderla "completa", ma i 21 di Hilbert si, ed Hilbert lo dimostra)", solo per esemplificare il processo che avrebbe dovuto seguire anche la matematica per arrivare a dimostrare la propria "completezza" (che tutti davano erroneamente per scontata), cosi' come era stata dimostrata la "completezza" della geometria.
Relativamente alla geometria, gia' con gli assiomi di Euclide si raggiunge un certo grado di astrattezza per l'epoca in cui sono stati concepiti, con punti adimensionali, rette infinite, il concetto di rette parallele ricavabile dal quinto postulato, anche se niente di paragonabile allo spazio vettoriale hilbertiano con elementi non piu' dati da punti dello spazio euclideo, ma da vettori (costituiti ciascuno dagli infiniti componenti di una serie numerica convergente), tale da far perdere alla geometria ogni carattere di evidenza.
Citazione di: Scepsis il 30 Ottobre 2024, 20:18:51 PMCi sono gli assiomi della geometria, quelli della logica e quelli della matematica.
Non concordo su questo. La matematica è una sola, e diverse sono le sue teorie che possiamo arbitrariamente suddividere in categorie, delle quali la geometria e l'aritmetica hanno solo una precedenza storica, che però non le rende essenzialmente diverse dalle altre teorie matematiche.
Non c'è una teoria che si applica al campo della geometria, ma un termine geometria che indica per ragioni storiche una particolare teoria matematica, che può essere applicata alla realtà ne più ne meno di qualunque atra teoria matematica.
Per la logica è da farsi un discorso a parte, che non sono in grado di affrontare,, anche se sò che ad essa si è tentato di ridurre la matematica, ma non sò con quale successo.
Non ci sono teorie astratte a altre meno astratte, ma teorie che nel tempo hanno assunto un maggior grado di astrazione, e il fatto che su alcune di esse, come geometria e aritmetica, il nostro intuito storicamente si esercita, non le rende meno astratte.
La sintesi aritmetica si costituisce su una scomposizione anaitica delle parti ove "a priori" non c'è nulla.
(semmai è una sintesi "a posteriori" applicabile dopo aver definito i numeri come multipli dell'unità a cui sono analiticamente riconducibili)
La dimostrazione 5+7=12 si regge sul dato analitico:
(1+1+1+1+1) +(1+1+1+1+1+1+1)=12
Citazione di: Ipazia il 02 Novembre 2024, 21:08:45 PMLa sintesi aritmetica si costituisce su una scomposizione anaitica delle parti ove "a priori" non c'è nulla.
(semmai è una sintesi "a posteriori" applicabile dopo aver definito i numeri come multipli dell'unità a cui sono analiticamente riconducibili)
La dimostrazione 5+7=12 si regge sul dato analitico:
(1+1+1+1+1) +(1+1+1+1+1+1+1)=12
Un discorso un pò criptico per me, per cui non so dire se concordo.
Quello che io voglio dire è che, sebbene il concetto di numero derivi dal concetto quantità, oggi le parti si sono invertite, per cui il numero non indica una quantità, ma lo si può applicare ad una realtà fatta di quantità di cose.
Pitagora, teorizzando che la realtà fosse fatta di numeri, intesi sempre come quantità, crede perciò che un segmento debba essere fatto di segmenti unitari, di modo che si possa dire quanti ne contenga.
Per cui se ad esempio esso ne contiene più di due, ma meno di tre, si possa suddividere l'unità scelta in partenza, assumendo come nuova unità una sua parte, di modo che ad esempio si possa dire che il segmento contenga 5 unità, che sono 2,5 dell'unità precedentemente assunta.
Questa applicazione del numero come quantità ai segmenti però non funziona, con la scoperta dei numeri irrazionali, nella forma di incommensurabilità di alcuni segmenti.
Si scopre cioè che non è vero che la realtà è fatta di numeri razionali, e che ciò si possa quindi continuare ad affermare solo generalizzandone il concetto, che in questa generalizzazione però si distaccherà del tutto dall'intuito che abbiamo dei numeri, smettendo essi i panni dell' ''a priori''.
Detto in altro modo noi abbiamo intuito dei numeri naturali che ci appaiono perciò come concetto evidente, cosa a priori, che non abbisogna di essere definito perciò, ma al più nominato per indicare a quale ''a priori'' ci riferiamo.
Quindi, nel momento in cui decidiamo, senza che ve ne sia apparente necessità, di definire l'oggetto della nostra intuizione, andando oltre il nominarlo, siccome non possiamo dimostrare che essa coincida con la nostra intuizione, da quel momento in poi il numero diviene ciò che abbiamo definito, svincolato del tutto dalla nostra intuizione primaria.
Nel momento in cui la matematica, nel suo progredire, diventa il regno delle cose che vanno definite, l'intuito può ancora avervi luogo, ma non è più la sua sostanza.
I numeri irrazionali non sono irrazionali, ma semplicemente inimmaginabili, e li abbiamo chiamati cosi' in un periodo storico in cui credevamo che fosse possibile sempre immaginare ciò che risponde a ragione, un epoca in cui i razionali computer privi di immaginazione erano ancora da venire.
Anche quando i numeri erano soggetti esclusivi della nostra immaginazione, il far di conto comunque non lo era.
Che 2 per 2 fa 4 è cosa che posso pure immaginare ma resta il fatto che 4 è il necessario risultato di un calcolo e non il prodotto discutibile della mia immaginazione.
Non si rende perciò necessaria la condivisione di una percezione, anche quando questa ancor vi fosse, per convenire sul risultato, ma basta dire con Cartesio: calculamus!
Cartesio cerca di salvare il salvabile dopo il fallimento di Pitagora, ma alla fine fallisce in parte anche lui, perchè non si può calcolare la sentenza di un tribunale, ma restando nel campo della matematica, dove Pitagora aveva fallito, lui ci ha azzeccato in pieno.
Le operazioni aritmetiche hanno un fondamento naturalistico sempre riconducibile alle unità. Pure le funzioni si dimostrano su basi analitiche : analisi matematica. Gli elementi dell'analisi matematica permettono l'elaborazione di strategie di calcolo sofisticate, ma si tratta di tecnica sviluppata da Cartesio a Leibniz,non di innatismo matematico.
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2024, 11:50:58 AMLe operazioni aritmetiche hanno un fondamento naturalistico sempre riconducibile alle unità. Pure le funzioni si dimostrano su basi analitiche : analisi matematica. Gli elementi dell'analisi matematica permettono l'elaborazione di strategie di calcolo sofisticate, ma si tratta di tecnica sviluppata da Cartesio a Leibniz,non di innatismo matematico.
Giusto, quindi, se non vogliamo dire che la matematica un pò si scopre e un pò si inventa, ammettendone due tipi diversi, dei quali uno intuiamo e/o è derivante dalla nostra esperienza, e l'altro, che, quando pur si mostra utile ad essere applicato alla realtà, in tal modo ci sorprende, come cosa inattesa, dovremo trovare il modo di trovarne una descrizione uniforme.
Quindi succede che se vogliamo descrivere i due tipi in un solo modo che li comprenda entrambi , non abbiamo scelta, e dovremo descrivere ciò che sembra essere innato al modo di ciò che non sembra esserlo, e questa operazione si dimostra essere fattibile, mentre l'inversa non risulta essere tale.
Possiamo cioè rigurdare l'aritmetica come cosa che può applicarsi alla realtà, che perciò descriviamo come essere fatta di cose che si possono sommare, e non viceversa, che potendosi le cose sommare da ciò deriviamo l'aritmetica.
Tale operazione di unificazione, in se comunque non necessaria, ha però secondo me utili risvolti psicologici, perchè se perfino
l' ''ovvia'' aritmetica si riduce ad essere una pura applicazione come tante alla realtà, allora anche la più apparentemente astrusa teoria matematica potremo provare ad applicare alla realtà senza remora alcuna.
Ma allora, se poniamo che una teoria matematica a priori valga l'altra , secondo quale criterio, non potendoci più appellare all'ovvietà, sceglieremo quale provare ad applicare, essendo esse producibili in modo ''innumerevole''?
In ciò il nostro intuito riacquista il suo valore, e nella misura in cui la matematica la produrremo e applicheremo noi continuerà di riffa o di raffa a fare testo, per cui diremo geni coloro che azzeccheranno una appropriata scelta, che risolva il problema che ci siamo posti.
L'intuito quindi, che per amore di uniformità abbiamo provato a mettere alla porta, si trasforma per sopravvivere, e rientra dalla finestra. :)
In tal modo quindi ciò che sia da considerare a priori non si impone più necessariamente nella sua evidenza, ma saremo noi a decidere cosa porre a priori, valutandone a posteriori la relativa opportunità nell'averlo fatto.
L'ovvia aritmetica assolve la funzione pratica di enumerare degli oggetti. Cosa che nessuna estrosa matematica potrebbe fare meglio. La moltiplicazione è una elaborazione sintetica della somma. Sottrazione e divisione sono funzioni contabili elaborate dai più antichi matematici, assai utili nel loro mestiere di carattere economico. Così come l'analisi matematica si sviluppò per rispondere ai bisogni teorici e di calcolo della fisica quando questa cominciò a ridurre i fenomeni a funzioni matematiche orientate a sviluppi tecnologici.
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2024, 20:51:42 PML'ovvia aritmetica assolve la funzione pratica di enumerare degli oggetti. Cosa che nessuna estrosa matematica potrebbe fare meglio. La moltiplicazione è una elaborazione sintetica della somma. Sottrazione e divisione sono funzioni contabili elaborate dai più antichi matematici, assai utili nel loro mestiere di carattere economico. Così come l'analisi matematica si sviluppò per rispondere ai bisogni teorici e di calcolo della fisica quando questa cominciò a ridurre i fenomeni a funzioni matematiche orientate a sviluppi tecnologici.
Giusto, e a queste due fasi storiche aggiungiamo la terza , quella di una matematica che si sviluppa per nessuno motivo e che può trovare applicazione inattesa a posteriori.
Ora resta a noi liberamente decidere se tutte queste matematiche vogliamo considerarle una, potendole fare ricadere dentro lo stesso quadro teorico, o se vogliamo parlare di tre matematiche distinte nella sostanza.
Se le teniamo distinte avremo quindi una matematica che fa culo e camicia con la realtà, una matematica '' a priori'' alla Galilei, quindi una seconda che non sembra essere implicita nella realtà, ma che da questa si può comunque spremere, o che comunque nasce per spiegarla, fase Leibnitz-Newton, e una terza dove pure invenzioni matematiche possano diventare abiti che rivestono la realtà, puri esercizi di stile capaci di dettare la moda.