Salve. Ma.......secondo voi......dando per chiaro (illuso che sono !!) che il nulla non sia una entità (dando per chiaro (illuso che sono !!) l'entità sia "ciò che è in modo non definito e non conoscibile")...................IL NULLA E' UN CONCETTO oppure no ?. Saluti.
Direi assolutamente di sì, però un concetto astratto. Il nulla, in quanto tale, non è oggetto di esperienza, non è osservabile, è semplicemente fuori del tutto dalla portata della conoscenza, dunque è un concetto, cioè un parto della mente, astratto, in quanto non verificabile. La descrizione del nulla procede per negazioni, manca questo e quello, cioè tutto. In quale magico e unico momento posso esperire il nulla? Forse, solo da morto e sarà comunque sempre un nulla soggettivo, un annullamento personale, una mia assenza, non un nulla assoluto. Se non ricordo male, esiste una narrazione di meditazioni che hanno penetrato il nulla, ma quale descrizione è mai stata e sarà possibile? Se anche il nulla fosse un concetto pratico e potessimo verificarlo , come descriverlo è il problema, cosa sarebbe possibile portare indietro?Nulla.....
È un concetto limite.
Nel senso che è necessariamente un concetto, perché presente nella mente. Tuttavia non è presente pienamente.
Non lo si può indagare, non si può analizzarlo studiandone le relazioni con altri concetti.
Se ne sta al limite.
È presente solo perché è la negazione dell'esistenza.
E ogni negazione trova la sua ragion d'essere in ciò che nega.
Equivale, per esempio, ai concetti di caso o di infinito.
Sono concetti necessari, che si fondano su ciò che negano. Ma se ne stanno al limite. Non si può girarci attorno per capire cosa sono.
Non hanno relazione con nient'altro, che non sia ciò che negano.
I concetti limite appaiono al pensiero razionale come stranezze di poca o nulla importanza.
Viceversa, se vissuti in prima persona, possono essere l'occasione per un'avventura metafisica.
Salve. autocitandomi :
Citazione di: viator il 16 Agosto 2020, 18:16:55 PM
Salve. Ma.......secondo voi......dando per chiaro (illuso che sono !!) che il nulla non sia una entità (dando per chiaro (illuso che sono !!) l'entità sia "ciò che è in modo non definito e non conoscibile")...................IL NULLA E' UN CONCETTO oppure no ?. Saluti.
Secondo me non è affatto un concetto, visto che già affermare "il NULLA E'......" rappresenta un enunciato privo di senso (la mancanza di qualsiasi cosa non può essere una cosa).
Il fatto è che i concetti, prodotti immateriali (perchè unicamente formali) del pensiero, sono sì qualcosa di astratto, mentre il pensiero che li genera è invece fenomeno concreto benchè immateriale.
Il pensiero è ente concreto perchè fisicamente basato sulla materialità del sistema nervoso ma contemporaneamente è immateriale poichè esso consiste nella produzione di modulazioni di corrente neuroelettrica (cioè di immateriali flussi di energia, la quale energia a sua volta non è che una dimensione fisica, anch'essa concreta, ma appunto NON MATERIALE (altrimenti la chiameremmo materia, non ENERGIA).
Quindi i concetti esistono, sono una forma astratta, una struttura temporanea (o dinamica) generata dal pensiero il quale a sua volta risulta DA UNA PARTE BASATO sul concreto fisico-materiale (il sistema nervoso ed il cervello) e DALL'ALTRA CONSISTENTE in un concreto fisico-energetico (il pensiero stesso, appunto).
Se i concetti esistono, evidentemente rappresenteranno una categoria della quale il NULLA non può fare parte. Saluti.
Un conto è il pensare, un altro il contenuto del pensiero.
Si può benissimo pensare qualcosa di inesistente.
Un ippogrifo può essere il contenuto di un pensiero.
Il pensiero è esistente, l'ippogrifo no.
Si potrebbe osservare che l'ippogrifo esiste però come fantasia. E difatti può essere descritto, raffigurato.
Il concetto di ippogrifo esiste, l'ippogrifo reale no.
Anche il nulla, il caso, l'infinito, sono concetti. Perché se non fossero concetti non potrebbero in alcun modo comparire.
E con concetto si intende sempre un contenuto del pensiero, non il pensare in se stesso!
A differenza dell'ippogrifo però, questi sono concetti limite.
Non possono essere descritti, raffigurati.
In questi concetti lo stesso contenuto limita il pensiero: come lo pensa lì si arresta.
Questo perché è presente nella mente, in quanto necessario, ma allo stesso tempo non è davvero pensabile.
Riguardo all'immateriale, la cosiddetta materia dovrebbe ormai ai nostri occhi includere pure l'energia. Non vi è sostanziale differenza.
CitazioneUn'idea, un concetto, un'idea
Finché resta un'idea è soltanto un'astrazione
Se potessi mangiare un'idea
Avrei fatto la mia rivoluzione...
Cantava Gaber su testi del
metartista Sandro Luporini. Il nulla è un concetto, un'astrazione.
Nulla più.
Salve bobmax. Commento inserendo in grassetto :
Citazione di: bobmax il 17 Agosto 2020, 15:17:20 PM
Un conto è il pensare, un altro il contenuto del pensiero. Ovvio. il pensiero è l'albero, il pensare i rami, i concetti le foglie.
Si può benissimo pensare qualcosa di inesistente.
Un ippogrifo può essere il contenuto di un pensiero.
Il pensiero è esistente, l'ippogrifo no. Vecchia obiezione priva di consistenza rigorosamente logica : tipico argomento del buon Sgiombo (auguri a lui) e qualche altro accanito materialista (io sono un materialista "di traverso", cioè non accanito). Si può solo sostenere che degli ippogrifi nessuno abbia dimostrato l'esistenza, non che siano inesistenti. E lo stesso discorso vale per tutti gli "inesistenti", ma anche per Dio, del quale non è possibile DIMOSTRARE, bensì unicamente ARGOMENTARE, nè l'esistenza che l'inesistenza.
Si potrebbe osservare che l'ippogrifo esiste però come fantasia. E difatti può essere descritto, raffigurato.
Il concetto di ippogrifo esiste, l'ippogrifo reale no. Quindi dell'ippogrifo
esistono il pensiero (in particolare, la fantasia), il concetto e l'immagine virtuale e non ne è dimostrabile l'inesistenza.
Anche il nulla, il caso, l'infinito, sono concetti. Perché se non fossero concetti non potrebbero in alcun modo comparire. Ho già affermato che "nulla" nega l'esistenza di qualsiasi cosa, concetti inclusi.
E con concetto si intende sempre un contenuto del pensiero, non il pensare in se stesso! Questo io l'ho già detto, qui tu lo stai ripetendo ed io lo riconfermo.
A differenza dell'ippogrifo però, questi sono concetti limite.
Non possono essere descritti, raffigurati.
In questi concetti lo stesso contenuto limita il pensiero: come lo pensa lì si arresta.
Questo perché è presente nella mente, in quanto necessario, ma allo stesso tempo non è davvero pensabile.
Riguardo all'immateriale, la cosiddetta materia dovrebbe ormai ai nostri occhi includere pure l'energia. Non vi è sostanziale differenza. Beh, per modo dire. Materia ed energia sono le due facce distinguibilissime ma inseparabili di un'unica moneta. Quindi rappresentano due "apparenze" di una unicità che io chiamo SOSTANZA. Saluti.
Salve Ipazia. "Cantava Gaber su testi del metartista Sandro Luporini. Il nulla è un concetto, un'astrazione. Nulla più.".
E ridajje con il NULLA che dovrebbe essere qualcosa ! Salutoni.
Viator,
l'inesistenza di qualcosa non può mai essere provata.
Appunto, di qualcosa.
Tuttavia l'ippogrifo può essere ritenuto non esistente. Anche se non vi è certezza.
Il mio era solo un esempio.
Vedo che anche qui, come al solito, si guarda il dito.
E si tralascia la questione:
Il nulla è un concetto.
Comunque non importa.
Citazione di: bobmax il 17 Agosto 2020, 15:17:20 PM
Un conto è il pensare, un altro il contenuto del pensiero.
Si può benissimo pensare qualcosa di inesistente.
Un ippogrifo può essere il contenuto di un pensiero.
Il pensiero è esistente, l'ippogrifo no.
Si potrebbe osservare che l'ippogrifo esiste però come fantasia. E difatti può essere descritto, raffigurato.
Il concetto di ippogrifo esiste, l'ippogrifo reale no.
Anche il nulla, il caso, l'infinito, sono concetti. Perché se non fossero concetti non potrebbero in alcun modo comparire.
E con concetto si intende sempre un contenuto del pensiero, non il pensare in se stesso!
A differenza dell'ippogrifo però, questi sono concetti limite.
Non possono essere descritti, raffigurati.
In questi concetti lo stesso contenuto limita il pensiero: come lo pensa lì si arresta.
Questo perché è presente nella mente, in quanto necessario, ma allo stesso tempo non è davvero pensabile.
Riguardo all'immateriale, la cosiddetta materia dovrebbe ormai ai nostri occhi includere pure l'energia. Non vi è sostanziale differenza.
Sono d'accordo, se per concetto intendiamo una forma verbale che denota qualcosa, può esistere un denotante che denota qualcosa di inesistente, vedi l'ippogrifo del quale, però, l'inesistenza non può essere provata con certezza. Il nulla è un concetto limite, perchè contiene nel suo denotato una contraddizione, cioè l'assenza di denotazioni. Non può essere esperito, perchè se io potessi vederlo/toccarlo/sentirlo, sarebbe un nulla che contiene anche me, quindi finirebbe per esse un non-nulla, cioè qualcosa. Ha ragione chi ha scritto che questo concetto è ben descritto dalla teoria degli insiemi: un insieme vuoto contiene il nulla, o almeno una porzione di esso.
Salve sapa. Citando cio che tu hai appena citato : "un insieme vuoto contiene il nulla, o almeno una porzione di esso".
Della serie "Capolavori della ragion pura".
Un insieme vuoto contiene il "nulla" relativo a quel dato insieme che stiamo prendendo in esame. Per essere precisi, un insieme vuoto NON CONTIENE ALCUNCHE' di relativo a quel dato insieme che stiamo prendendo in esame.
Nulla può contenere il- (od essere contenuto dal-) NULLA.
Infatti lo stesso spazio, quando SEMBRA contenga NULLA, dicesi ben diversamente che risulta VUOTO.
Che poi possano esistere ADDIRITTURA le "porzioni del nulla"..................
Credo proprio che matematica e teoria degli insiemi farebbero bene a stare alla larga da tutto, nulla, assoluto etc. !. Saluti.
Sì, viator, una porzione del nulla, come ho impropriamente scritto, fa un po' ridere: un nulla limitato dovrebbe avere dei confini e quindi non sarebbe più un nulla! Accidenti, comincia a fumarmi la testa......
Salve sapa. Non c'è di che. Fino all'anno scorso a me fumava anche la bocca, dopo aver acceso la sigaretta. Poi, almeno da quella parte, ho smesso. Salutoni.
Citazione di: sapa il 18 Agosto 2020, 13:08:56 PM
Sì, viator, una porzione del nulla, come ho impropriamente scritto, fa un po' ridere: un nulla limitato dovrebbe avere dei confini e quindi non sarebbe più un nulla! Accidenti, comincia a fumarmi la testa......
In effetti il nulla non è facile da maneggiare...
L'insieme vuoto non contiene nulla.
Ma non nel senso che contenga "il nulla". Perché il nulla non c'è.
L'insieme vuoto non contiene nessuna cosa. Quindi nulla inteso come nessuna cosa.
Mentre
il nulla è la negazione dell'esistenza, dell'esserci!
Quindi di qualsiasi insieme, vuoto o pieno che sia.
La famosa domanda considerata fondamentale: "Perché c'è qualcosa e non il nulla?" è in realtà una contraddizione in termini.
Perché l'esserci è sempre e comunque esserci di qualcosa!
Il nulla non può esserci al posto di qualcosa. Perché
il nulla è la negazione dell'esserci!
Salve bobmax. Citandoti : "La famosa domanda considerata fondamentale: "Perché c'è qualcosa e non il nulla?" è in realtà una contraddizione in termini".
Tale "famosa" domanda, dal mio punto di vista, rappresenta il vertice della più stordente ingenuità intellettual-filosofica, ed il quesito circa il quale io intendevo ironizzare contrapponendovi in modo speculare il mio recente topic - ugualmente ma fintamente ingenuo - "Perchè esiste il tutto e non solamente il qualcosa". Saluti.
Secondo me la "domanda delle domande" è contraddittoria o ingenua solo se la fraintendiamo, rovesciando il rapporto fra linguaggio ed esistenza, parafrasando il noto motto parmenideo: ovviamente se lo definiamo «essere», è perché c'è; se lo definiamo «non-essere», è perché non c'è (almeno empiricamente parlando e, appunto, al netto della distinzione fra linguaggio e mondo, fra significato e referente, fra concetto e oggetto, etc.). Tuttavia quella domanda ci chiede di andare ancora "un perché" più indietro, fuori dalla tautologia del dire ontologico: la domanda non ci chiede se l'essere è, ma perché l'essere è. Risponderle facendo appello alla costellazione semantica della parola «essere», significa chiudersi in un circolo autoreferenziale perdendo tutta l'apertura (vertiginosa) che la domanda interroga.
Sarebbe come rispondere alla domanda «perché c'è lo spazio?» con «perché altrimenti noi, in quanto enti spaziali, non ci saremmo» o con «perché la sua esistenza è compresa nel concetto stesso di spazio», invertendo il rapporto causale e la priorità (crono)logica, poiché la domanda non chiede cosa l'esistenza dello spazio rende possibile (corpi estesi), ma che cosa c'è a monte dell'esistenza dello spazio e/o "semplicemente" la ragion d'essere dello spazio (beninteso: di ciò che noi chiamiamo «spazio», che meriterebbe di essere problematizzato a sua volta, ma restiamo nel "semplice").
Risalire la catena delle apparenti "ovvietà" mondane, guadagnando di volta in volta, di perché in perché, o maggior consapevolezza o ("masochistiche"?) domande sempre più fondamentali, per quanto ininfluenti sulla realtà del quotidiano (come sarebbe il conoscere tutta la storia passata di tutto il cosmo: domattina ci alzeremo comunque con i nostri bisogni primari, i nostri progetti, i nostri problemi, tutte le altre domande filosofiche più urgenti, etc.), tale risalire è uno fra i percorsi possibili della filosofia teoretica, non certo un percorso obbligatorio per tutti i pensatori, né che tutti trovano comprensibile o sensato. Nondimeno, considerando la mole di riflessioni in merito, se l'uomo della strada (come me) decide proprio di confrontarvisi, forse la domanda andrebbe ponderata, magari non come Amleto, ma almeno con un'esitazione che va oltre l'evidenza che non siamo il/nel nulla assoluto (anche se Nishida Kitaro della scuola di Kyoto avrebbe da obiettare al riguardo), restando consapevoli che, come ci ammonisce proprio Amleto, tale esitazione, tale sospensione dell'assenso (epochè) sulla "banalità" dell'essere, può rallentare il nostro incedere pragmatico nel mondo:
«e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione»
(Shakespeare, Amleto, atto III, scena I)
Salve phil. Citandoti : "la domanda non ci chiede se l'essere è, ma perché l'essere è".
Dal mio punto di vista..........peggio che andar di notte.
Per uno come me, che considera l'Essere come (ripeto stancamente) "la dimensione per la quale le cause producono i loro effetti" chiedersi il perchè l'essere sia (spiacente, ma all'interno della logica le tautologie andrebbero accuratamete evitate).....cioè il chiedersi quale sia la causa dell'essere..............è proprio da suicidio logico-filosofico.
L'essere è secondo me ovviamente privo di cause in quanto è posto non all'interno, bensì all'esterno della catena cause-effetto (stare-divenire) ed ancor più ovviamente trovasi fuori da ogni temporalità. Infatti la sua - da me attribuibile - sinonimia con il concetto filosofico di Dio mi fa trovare tali due concetti come estranei a quelli di "causa prima" o di "motore immobile" poichè si tratta invece di "eterne onnipresenze". Saluti.
Citazione di: viator il 19 Agosto 2020, 21:24:21 PM
(spiacente, ma all'interno della logica le tautologie andrebbero accuratamete evitate)
Se non sbaglio le tautologie sono il fondamento della logica, dal principio di identità «a = a», agli altri assiomi che fondano i vari sistemi logici (e cosa c'è di più filosofico dell'interrogare i fondamenti?).
Comunque, fuori dal piano strettamente logico-formale, chiedersi ad esempio «perché l'accendino accende» (parodiando il «perché l'essere è») mi pare avere un suo senso, come accennavo, in termini di consapevolezza/comprensione, anche se di fatto ciò non cambia, almeno a breve termine, né il funzionamento dell'accendino né il modo di usarlo.
Citazione di: viator il 19 Agosto 2020, 21:24:21 PM
Per uno come me, che considera l'Essere come [...] "la dimensione per la quale le cause producono i loro effetti" chiedersi il perchè l'essere sia [...] cioè il chiedersi quale sia la causa dell'essere..............è proprio da suicidio logico-filosofico.
Probabilmente chi dà un senso a quella domanda (vedendo la nascita del filosofare dove tu vedi un "suicidio") può farlo perché dà una differente definizione di «essere», magari quella generica da dizionario filosofico oppure una personalizzata (come la tua) ma che non destituisce la domanda.
Se ho ben capito, per te, «Essere» è sinonimo di «Dio», quindi Dio è definibile come «la dimensione per la quale le cause producono i loro effetti»(cit.) (quel «per la quale» non significa forse che tale dimensione è la causa per cui le cause producono effetti? se così fosse non è fuori dalla catena causale, ma in cima), dimensione che tratteggi come «priva di cause» e «posta non all'interno, bensì all'esterno della catena cause-effetto» e «fuori da ogni temporalità»(cit.), un ritratto piuttosto affine alla "eterna causa incausata" di teologica memoria (per quanto parlare di Dio in termini di «dimensione» risulta piuttosto oscuro, soprattutto se tale "dimensione" sarebbe ciò che deve
causare far in modo che le cause producano effetti).
P.s.
Per una certa ironia del discorso, finché parliamo di qualcosa, sia esso un accendino o una "dimensione" o il nulla, restiamo sempre "a valle" della domanda filosofica a "monte": (in versione semplificata) «perché c'è qualcosa?». Per fortuna possiamo congetturare e creare i nostri "vocabolari filosofici" senza essere costretti prima a risponderle.
Essere ed esistere non sono termini equivalenti.
L'esistere è l'esserci.
Quindi un qualcosa esiste in quanto c'è.
Viceversa l'Essere è ciò che fa sì che l'esistere sia.
Essendo il fondamento dell'esistere (dell'esserci) l'Essere non vi appartiene.
L'Essere non esiste, non c'è.
Seppur paradossalmente, Essere = Nulla.
Dio non c'è, Dio è!
L'esserci, l'esistere, è a valle della scissione originaria soggetto - oggetto.
E ciò che c'è è sempre oggetto per un soggetto.
Viceversa l'Uno è a monte della scissione. Di modo che non c'è, in quanto è.
Nel nostro esserci, Uno = Nulla.
Citazione di: Phil il 19 Agosto 2020, 23:14:04 PM
P.s.
Per una certa ironia del discorso, finché parliamo di qualcosa, sia esso un accendino o una "dimensione" o il nulla, restiamo sempre "a valle" della domanda filosofica a "monte": (in versione semplificata) «perché c'è qualcosa?». Per fortuna possiamo congetturare e creare i nostri "vocabolari filosofici" senza essere costretti prima a risponderle.
Lo possiamo fare perchè quella domanda è un
qualcosa "tutto" antropologico. Volendola cavalcare "a monte", il perchè causale, e ancor più quello finale, essi sono insensati se la filosofia li persegue in assoluto, mentre relativizzandoli alle sfera evolutiva antropologica rientrano nella ricerca di senso della condizione umana che esiste in seno ad un qualcosa più grande che esisteva prima e, verosimilmente, continuerà dopo l'estinzione del soggetto della domanda.
Il vocabolario sensato di tale domanda è scientifico-filosofico, separando la sfera causale (chiamiamola big-bang, Dio, o Spinoza che li coinvolge entrambi) da quella finale (qui i vocabolari si dilatano nelle motivazioni individuali e collettive evolutivamente determinate).
Come hai già osservato, e prima di te L.Wittgenstein, "anche avessimo la risposta a tutti i perchè della scienza ...", non caveremmo un ragno umano dal buco della sua domanda fondamentale, che passa quindi, pur restando "a valle", in primo piano nell'orizzonte di senso che quotidianamente, dalla notte dei tempi, delimita lo sguardo dell'universo antropologico. Come citava un mantra newage, ma pure la tradizione socratica, trovo che la risposta più sensata sia: "non cercare altrove la risposta perchè la risposta sei tu" (nella tua
specificità evolutiva).
Anche "perchè di sì" (lo Jasager nicciano) e "blowing in the wind" (Dylan) sono buone risposte al duplice perchè fondamentale.
L'(ess)ente è, il non (ess)ente non è.
L'essere è uno stato, attributo, proprietà di un ente che solo ha carattere sostanziale. Confondere i rapporti tra sostanza e attributo, fino al punto di postulare una causalità primigenia dell'attributo sulla sostanza è fatale errore filosofico. Che infatti porta ad introdurre il Nulla nel ragionamento, a giustificazione del suo annichilimento razionale.
Noi abbiamo esperienza di essenti e qualcosa, non di di Essere, Tutto e Nulla. Essendo l'esperienza la base di ogni sapere, filosofia inclusa, dobbiamo acquisire la capacità di distinguere chiaramente ciò che è prodotto dall'esperienza reale (fatto) da ciò che rimane allo stato di astrazione concettuale senza riscontro in qualcosa di reale.
Le differenti prospettive razionali in cui i fatti vengono tradotti e interpretati non ne inficiano la fattualità, ma obbligano al confronto tra le varie interpretazioni fino alla formulazione di paradigmi condivisi che restano asseverati fino a prova contraria.
.
Salve Phil. Miei commenti
(in grassetto) al tuo ultimo intervento :
<blockquote>
</blockquote> <blockquote>(spiacente, ma all'interno della logica le tautologie andrebbero accuratamete evitate)</blockquote>
Se non sbaglio le tautologie sono il fondamento della logica, dal principio di identità «a = a», agli altri assiomi che fondano i vari sistemi logici (e cosasabile c'è di più filosofico dell'interrogare i fondamenti?).Le tautologie sono illogicità sistematiche indispensabili alla DIALETTICA, la quale è a sua volta indispensabile per trattare di logica e filosofia.Il problema è che, più ci si avvicina ai FONDAMENTI (giustamente da te citati) più bisogna star lontani dalla tautologia, e questa è appunto la suprema difficoltà della dialettica dell'esistenziale.
Comunque, fuori dal piano strettamente logico-formale, chiedersi ad esempio «perché l'accendino accende» (parodiando il «perché l'essere è») mi pare avere un suo senso, .........C'è una bella differenza tra accedino ed Essere. L'accendino è una cosa in sè RELATIVA la cui esistenza è giustificata dalla propria FUNZIONE (l'accendere), l'Essere(L'ASSOLUTO) non ha bisogno di giustificazione poichè è ESSO a giustificare OGNI E QUALSIASI COSA IN SE' ED OGNI E QUALSIASI FUNZIONE. C'è come accennavo, in termini di consapevolezza/comprensione, anche se di fatto ciò non cambia, almeno a breve termine, né il funzionamento dell'accendino né il modo di usarlo.Citazione da: viator - 19 Agosto 2020, 21:24:21 pm >
Per uno come me, che considera l'Essere come [...] "la dimensione per la quale le cause producono i loro effetti" chiedersi il perchè l'essere sia [...] cioè il chiedersi quale sia la causa dell'essere..............è proprio da suicidio logico-filosofico. Probabilmente chi dà un senso a quella domanda (vedendo la nascita del filosofare dove tu vedi un "suicidio") può farlo perché dà una differente definizione di «essere», magari quella generica da dizionario filosofico oppure una personalizzata (come la tua) ma che non destituisce la domanda.
Se ho ben capito, per te, «Essere» è sinonimo di «Dio», quindi Dio è definibile come «la dimensione per la quale le cause producono i loro effetti»(cit.)
Per poter meglio rendere umanamente il concetto filosofico di Dio, più che riferirsi ad una "dimensione" di esso troverei utile collocarlo tra le "entità", senza con ciò rinunciare alla fondamentale sinonimia di significato da me da citata (quel «per la quale» non significa forse che tale dimensione
(o entità divina) è la causa per cui le cause producono effetti? se così fosse non è fuori dalla catena causale, ma in cima), dimensione che tratteggi come «priva di cause» e «posta non all'interno, bensì all'esterno della catena cause-effetto» e «fuori da ogni temporalità»(cit.), un ritratto piuttosto affine alla "eterna causa incausata" di teologica memoria (per quanto parlare di Dio in termini di «dimensione» risulta piuttosto oscuro,
(hai ragione, infatti sopra ho precisato un poco) soprattutto se tale "dimensione" sarebbe ciò che deve causare far in modo che le cause producano effetti).
Osservazione acuta, la tua. Circa la "eterna causa incausata" sono io stesso a richiamare indirettamente la parentela tra l'Essere filosofico ed il Dio (il teismo d'altra parte sarà ben figlio dell' Essere e non certo viceversa). Circa le acrobazie teologiche, esse non sono necessarie per capire che se una entità è eterna essa sarà priva di cause originarie.Tu parli di catena causale, in cima alla quale starebbe - alla luce della mia da te presunta interpretazione – l'Essere-Dio. La mia geometria è diversa poichè prevede una concatenazione CIRCOLARE e non lineare (il concetto di circolarità – a rigore – includerà anche le circonferenze di raggio infinito, le quali risultano indistinguibili dalle rette ! - in tal modo si potranno giustificare sia la mancanza di inizi e di termine della "catena" sia il mancato ricorrere – attraverso il tempo - di cicli causa-effetto rigorosamente tra loro identici, sia ancora la collocazione dell Essere all'interno della circonferenza (ed estraneo ad essa) che – pure – all'interno della medesima circonferenza (ed estraneo ad essa). P.s.
Per una certa ironia del discorso, finché parliamo di qualcosa, sia esso un accendino o una "dimensione" o il nulla, restiamo sempre "a valle" della domanda filosofica a "monte": (in versione semplificata) «perché c'è qualcosa?». Per fortuna possiamo congetturare e creare i nostri "vocabolari filosofici" senza essere costretti prima a risponderle.
Saluti con amicizia da viator.
@viatorDue commenti rapidi:
- su cosa siano le tautologie (e sulla loro estrema vicinanza e pertinenza ai fondamenti del pensare) mi permetto di rimandarti a
wikipedia o, preferendo il cartaceo, ad un qualunque manuale di logica;
- l'Essere era stato da te definito come «l'entità per la quale le cause producono i loro effetti», ora viene proposto come ciò che "giustifica"(?) «ogni e qualsiasi cosa in sé ed ogni e qualsiasi funzione»(cit.); ci sarebbe da interrogarsi circa la verificabilità o attendibilità o indimostrabilità di tali definizioni («Dio»-«Essere»-«Assoluto»-etc.) e annesse attribuzioni di "ruolo" (giustificazione, etc.) o "dimensione" (eternità, incausalità, etc.); la storia del pensiero ne è ricca, così come è ricca di ragionamenti circolari che postulano un'entità e poi ne rintracciano "con evidente successo" l'esistenza e l'efficacia nel mondo reale (come secondo la pluricitata fallacia di
affermazione del conseguente).
P.s.
(rispolverando i vecchi "
files mentali" di geometria scolastica) Le circonferenze di raggio infinito credo siano piani infiniti (circolari) ben distinguibili dalle rette infinite; comunque, al di là delle geometrie esemplificative e di come disponiamo la catena causale (in linea retta, curva o in cerchio), (sup)porre un'entità fuori da quel piano, così come dal piano temporale, etc. è un gesto squisitamente teologico (che non è attributo di dileggio), quasi (insie)mistico, che
per me dimostra che è l'Essere-Dio-Assoluto-etc. ad essere figlio del teismo, non viceversa (così come il vero è figlio della logica, il bene è figlio della morale, etc.), almeno stando ai fatti filologicamente verificabili (anche se il teismo, sicuramente in buona
fede, non può che autogiustificarsi affermando il contrario, facendo appello ad un'intuizione epistemologicamente non compatibile con la
conoscenza umana, ma piuttosto con il
credere, come si diceva nel tuo altro topic; ciò è inevitabile, direi, altrimenti non sarebbe teo-logia bensì gnoseologia).
ogni atto di pensiero, inteso come atto entro cui ad un certo contenuto di pensiero sono attribuite delle proprietà, dei significati, implica necessariamente che il contenuto cada all'interno dell'idea dell'Essere, cioè che quello che sto pensando sia un "non-Nulla", qualcosa di cui poter affermare, positivamente, delle determinazioni che lo specificano come ente costituito in un certo modo. Dunque sembrerebbe che il Nulla non sia pensabile, ma se così fosse in senso rigoroso, evidentemente, non potremmo starne qua a discutere in questo spazio virtuale, la discussione, la riflessione su qualcosa ne implica la pensabilità... per uscire dal paradosso, trovo che la soluzione sia distinguere all'interno dell'ambito del pensabile, le idee da un lato, i concetti dall'altro. Definendo "idea" ogni contenuto di pensiero che si intuisce in modo diretto, originario, e "concetto" come nozione derivante da un'astrazione operata su contenuti di per sé intuitivamente, originariamente colti, si potrebbe intendere il Nulla come concetto, ma non come idea: noi non abbiamo un'esperienza diretta del Nulla, come detto, ogni esperienza ha come contenuto ciò che riconosciamo come "qualcosa", avente delle proprietà che lo rendono riconoscibile, abbiamo però esperienza delle differenze qualitative tra i diversi enti, esperiamo che un gatto NON è un albero, che a sua volta NON è una pietra, che a sua volta NON è un fiume ecc., ed astraendo (anche se per la natura non fisica, ma intelligibile del concetto in questione, si tratterebbe di un'astrazione sui generis, non frutto di una parzialmente arbitraria comparazione fra enti che si sviluppa nel tempo, selezionando delle caratteristiche comuni fra oggetti individuali, ma di un'universalizzazione immediata che coglie fin dal primo "non", la sua essenza generica che lo costituisce come tale) l'essenza comune alle varie negazioni, per poi formularla come ipostasi, soggetto, ricaviamo il "nulla", che così, come ogni concetto, sarebbe un'astrazione derivata dall'esperienza del molteplice. Diversamente dal Nulla, l'Essere è un'idea, oggetto intuito direttamente dal pensiero senza che sia ricavato per astrazione in un certo tempo e spazio in cui avverrebbe l'esperienza da cui astrarsi: se così fosse, l'idea dell'essere vedrebbe limitare la sua applicabilità a quella particolare esperienza da cui è stata astratta, essendo invece l'idea dell'Essere l'idea che contiene tutto ciò che è pensabile, oltre il quale vi è il Nulla, cioè il non pensabile (se non come detto, derivativamente dall'Essere), mi pare logico che l'apprensione di questa idea sia presenza necessaria in ogni atto di pensiero, cioè sia appresa innatamente (al di là che nel corso della vita si apprenda un linguaggio che consenta di stimolarne la riflessione e tematizzazione, cose però diverse dall'intuizione diretta)
Certo che il nulla é pensabile anche tenendo i piedi saldamente a terra e senza scomodare l'essere mitico denominato Essere: una stanza vuota, e - ancor più tragicamente - una cassaforte vuota, non contengono nulla. Il nulla é una variante del vuoto ed uno spazio vuoto, fatto salvo il contenuto di aria elastica incolore inodore insapore e oltremodo ospitale, é assolutamente ;) esperibile.
Citazione di: Ipazia il 21 Agosto 2020, 22:04:13 PM
Certo che il nulla é pensabile anche tenendo i piedi saldamente a terra e senza scomodare l'essere mitico denominato Essere: una stanza vuota, e - ancor più tragicamente - una cassaforte vuota, non contengono nulla. Il nulla é una variante del vuoto ed uno spazio vuoto, fatto salvo il contenuto di aria elastica incolore inodore insapore e oltremodo ospitale, é assolutamente ;) esperibile.
non sono un fisico, ma non credo che il vuoto della fisica sia assimilabile al Nulla filosofico... se anche l'atmosfera può essere studiata, analizzata nelle sue microcomponenti chimiche, nei suoi elementi massimamente semplici (chiedo scusa per la probabile terminologia imprecisa da profano naturalista), vuol dire che è pur sempre "qualcosa", un "non-nulla", a cui sono attribuibili delle proprietà positivamente presenti, per cui siamo sempre nel campo dell'Essere. E anche, ammesso e non concesso, che questo vuoto sia identificabile col Nulla, dovremmo ammettere l'effettiva realtà del Nulla, ma non ancora la sua originarietà nel pensiero, il suo essere diretto contenuto di esso. Il vuoto della cassaforte è in realtà un pensiero che deriva dalla percezione delle pareti non coperte da alcun oggetto, percezione del loro colore, che non è Nulla, ma rifrazione dell'ente "luce", qualcosa di positivo, e il senso del vuoto/nulla non è propriamente reale, ma espressione psicologica della delusione di un'aspettativa, l'aspettativa di trovarci del denaro che non c'è, mentre l'insignificanza (relativa alle nostre aspettative, si intende) delle pareti ci comunica l'apparenza del vuoto, dell'assenza, che però è sempre assenza relativa, e esperita in modo derivato
Salve. Io ho una mente poco agile. I linguaggi troppo articolati la sfiancano.
Dal momento che il vuoto è sempre relativo ed il Nulla sempre assoluto........perchè non la facciamo corta e soda soda dicendo che che il vuoto consiste in una locale assenza di contenuti (fuori di esso esiste ciò che potrebbe riempirlo magari solo parzialmente, permettendogli di continuare ad esistere relativamente) mentre il Nulla non è riempibile da alcunchè senza rinunciare ad "essere sè stesso". Saluti.
Citazione di: davintro il 22 Agosto 2020, 00:16:18 AM
non sono un fisico, ma non credo che il vuoto della fisica sia assimilabile al Nulla filosofico... . E anche, ammesso e non concesso, che questo vuoto sia identificabile col Nulla, dovremmo ammettere l'effettiva realtà del Nulla, ma non ancora la sua originarietà nel pensiero, il suo essere diretto contenuto di esso.
Invece ritengo sia proprio dall'esperienza reale del vuoto, o meglio dell'
assenza, l'origine del pensiero, comune e filosofico, del nulla.
L'origine, trattandosi di un concetto e non di un fatto, è più psicologica che fisica: il bambino (credente) chiama la madre (Dio) che non risponde. Da lì nasce il concetto e la psicologia, con le sue fobie, del nulla. Il silenzio eterno degli spazi infiniti che atterisce Pascal è la teatralizzazione filosofica del nulla.
Il fisico lo sa che il nulla non esiste quando postula:
nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Prima di qualsiasi altro possibile pensiero cosciente, vi è la consapevolezza del Nulla.
È questa l'esperienza fondamentale e più autentica che si possa fare in vita: il Nulla.
Esperienza continuamente rimossa, esorcizzata. Perché è l'insostenibile radicale negazione dell'esistenza.
La morte, nostra possibile o di chi ci è accanto, può costringerci a questa esperienza. Ma la morte può essere solo un'occasione per l'esperienza, non è il Nulla.
La consapevolezza del Nulla può infatti comparire in ogni momento, anche negli istanti più felici.
Tutto è Nulla!
È il sospetto, sempre presente e sempre rigettato con il nostro perderci nell'esserci mondano, che viene finalmente alla luce.
E l'esistenza sbiadisce, ciò che era certo si fa adesso oscuro.
Il passato, il presente e il futuro mera illusione.
L'osservazione di bobmax é arcifondata. Il nulla é il post morte. Ma sempre sull'antropologico si ricade. Sulla consapevolezza umana della finitezza della vita individuale. La morte é il momento individuale di passaggio dall'essere/esistere al non essere/non esistere. Quindi il concetto del nulla é strettamente correlato alla morte individuale che ha caratteristiche fattuali, oggettive. Con tutta la favolistica a seguire per esorcizzare questo autentico e fatale nulla.
La consapevolezza del Nulla viene "prima" di qualsiasi altro sapere.
Non è la conoscenza della nostra finitudine a renderci consapevoli del Nulla.
Perché la consapevolezza del Nulla è presente in noi originariamente.
Siamo infatti consapevoli, anche se non lo ammettiamo a noi stessi, che la realtà è nulla!
E questa consapevolezza non deriva da alcun ragionamento. È originaria.
L'orrore che suscita la constatazione di questa verità, è difficilmente sostenibile.
Perché non vi è in ballo la nostra vita, ma l'esistenza nella sua totalità!
È il mondo ad essere messo in forse. Perché in realtà il mondo non esiste, non c'è mai stato, né ci sarà.
Questo orrore sarebbe insuperabile se non ci fosse... la morte.
Anche se può sembrare paradossale, la morte può essere l'occasione per affrontare il Nulla.
La morte dell'amato è in grado di infrangere le difese che abbiamo eretto per non vedere il Nulla.
È lo sguardo della Medusa, che ci interroga. E adesso?
Chi, cosa amavo?
L'amato che ora non c'è più, è divenuto nulla...
L'amore può allora condurci a ricercare proprio in quella consapevolezza originaria. Affrontando l'orrore.
Perché se la verità è il Nulla, l'amato non era forse nulla anche prima?
Chi, cosa amavo allora...
E chi sono io?
la realtà non può essere il Nulla, perché essendo il polo intenzionale a cui ogni giudizio è riferito nel mirare a rispecchiarla nella verità, allora ogni giudizio, cioè attribuzione di un predicato a un soggetto, deve necessariamente affermare qualcosa circa il soggetto a cui si riferisce le sue proprietà. Ma se l'essere è l'idea che consente di affermare in generale qualcosa di qualcuno, cioè attribuzione di presenza, allora la realtà, come complesso di soggetti a cui attribuire predicati, cioè proprietà, non può essere il "Nulla", ma qualcosa di cui si può sempre attribuire delle proprietà che la determinano in un certo modo. Nulla è la totale assenza di predicati da poter attribuire a ciò che definiamo come tale, dunque è ingiudicabile, se non derivandolo, dialetticamente e indirettamente, dal suo opposto, cioè l'Essere, questo sì, totalità di tutto ciò di cui possiamo avere una diretta esperienza. Ma se il Nulla è ingiudicabile, allora non può nemmeno essere Reale, dato che, essendo la realtà necessario oggetto di riferimento di ogni giudizio, dovrebbe essere costituita in modo da ricevere le predicazioni del giudizio, cioè costituirsi come Essere (anche se l'Essere ha un'estensione più ampia della realtà). E non vale l'obiezione per cui si cercherebbe di ammettere una contrapposizione tra il complesso delle nostre potenzialità giudicanti, necessitanti di porre come oggetto di riferimento l'Essere, e la realtà che invece, resterebbe Nulla ingiudicabile e irrazionale: tale obiezione sarebbe pur sempre un giudizio, e dunque dovrebbe rientrare nella logica entro cui è necessario riferire la propria presunta verità (corrispondenza al reale) all'Essere, soggetto delle predicazioni attribuite a un giudizio, dunque contraddirsi nel presumere di porre fuori dall'Essere, nel Nulla, il suo oggetto
Concordo che la morte, col suo passaggio dall'essere/esistere al non essere/non esistere, sia l'induttore originario del concetto "nulla". Ma con ciò si rimane nell'antropologico e da lì neppure la filosofia più immaginifica può evadere senza truccare i fatti.
Scusate, ma il Nulla non può essere esperito, pena l'annulllamento stesso. Un Nulla esperito è un Nulla che conterrebbe chi lo tocca e lo vede.Anche la morte è un'esperienza, quindi qualcosa, ma un'esperienza di fine vita, non di annullamento. Dal Nulla non si torna e, se anche si tornasse, sarebbe solo dopo un reset generale che non lascia traccia del Nulla stesso. Le varie religioni, che teorizzano un aldilà, sono di fatto un baluardo contro il Nulla, eretto dall'uomo che ad esso non riesce a rassegnarsi.
Il nulla non è nulla, quindi non è nemmeno se stesso. Non è in modo completo un'identità, per esso non vale A=A, se non sei, non corrispondi al tuo non essere, infatti penso che l'essere sia un modo determinato di essere nulla, (e quindi non ne essere niente di niente, nemmeno se stesso), del nulla, infatti ci si può chiedere: "in che modo il nulla non è?" guardare empiricamente il mondo, questa stanza, le stelle il mare eccetera, e rispondersi:
"quantomeno in questo modo": qui c'è una stella, qui c'è un granello di sabbia, qui c'è un gatto eccetera, l'insieme dei "qui" forma una trama continua della realtà da cui il nulla non può emergere, quindi il nulla è nulla perché ci sono gli esseri e le cose, ogni cosa che posso osservare produce la nullità del nulla come effetto della sua concreta esistenza.
Il tauma, la meraviglia per l'esistenza da cui nasce la filosofia, dipende tanto dall'essere quanto dal nulla, il nulla non preferisce essere nulla piuttosto che essere l'effetto in particolare di una singola cosa che vedo come il tavolo o il gatto, ovvero ci saranno pure infiniti modi sconosciuti di essere nulla del nulla, ma almeno uno lo conosco ed è questo mondo che vedo, con tutte le sue parti costituenti.
Ma oltre ad essere effetto dell'essere, come altro farebbe il nulla a non essere se stesso, se non essendo l'essere? La dinamica essere/nulla sparisce infatti nella dinamica se/altro, l'essere è l'altro del nulla, e il nulla proprio per il suo dover essere altro, per il suo non corrispondere a se stesso (se corrispondesse a se stesso sarebbe qualcosa), per il suo essere A diverso da A, è essere. Proprio perché il nulla è nulla, esiste un "principio di conservazione", nulla può perdersi o scomparire realmente nel nulla, e, tolta la possibilità del non essere assoluto o del divenire-nulla assoluto come direzione possibile di una trasformazione, il modo residualmente possibile di non essere se stessa di una cosa è di essere altro, altroda se stessa, ovvero un'altra cosa o un'insieme di altre cose; il divenire non va verso il nulla, ma verso la trasformazione continua, il che è come dire che una volta che nego il nulla come contrario e dunque limite dell'essere, non emerge solo per effetto di questa mia negazione un essere incontrastato e illimitato, ma ogni cosa che compone l'essere trova limite e contrario in un'altra cosa e in questa danza di opposti non si accede più alla totalità se non come principio astratto.
Insomma posso negare il limite esterno dell'essere, solo mettendogliene uno interno, una rete che mi delimiti gli opposti; l'essere, solo se immagino che galleggi realmente nel nulla e anche il nulla sia qualcosa, posso pensarlo come unità: unità della dualità che costituisce col nulla, Viceversa se penso che l'essere è davvero in senso esaustivo il tutto e non galleggia, non ha limite esterno, in nulla di reale, questo tutto non ha nulla di unitario, nulla di consustanziale, se non forse il logos eracliteo, la legge del cambiamento, che mi rivela come una cosa diventi l'altra e come tutte le cose diventino tutte le cose, cioè in definitiva come il limite si sia spostato dall'esterno all'interno, di quello che doveva delimitare, e ora, tolto il nulla assoluto, ogni cosa ha il suo nulla relativo nell'altra.
Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 00:16:45 AM
la realtà non può essere il Nulla, perché essendo il polo intenzionale a cui ogni giudizio è riferito nel mirare a rispecchiarla nella verità, allora ogni giudizio, cioè attribuzione di un predicato a un soggetto, deve necessariamente affermare qualcosa circa il soggetto a cui si riferisce le sue proprietà. Ma se l'essere è l'idea che consente di affermare in generale qualcosa di qualcuno, cioè attribuzione di presenza, allora la realtà, come complesso di soggetti a cui attribuire predicati, cioè proprietà, non può essere il "Nulla", ma qualcosa di cui si può sempre attribuire delle proprietà che la determinano in un certo modo. Nulla è la totale assenza di predicati da poter attribuire a ciò che definiamo come tale, dunque è ingiudicabile, se non derivandolo, dialetticamente e indirettamente, dal suo opposto, cioè l'Essere, questo sì, totalità di tutto ciò di cui possiamo avere una diretta esperienza.
Sebbene il verbo "essere" sia sovente usato come sinonimo di "esistere", l'Essere non coincide con l'esistere. In quanto l'Essere è ciò che fa sì che l'esistere sia.
L'esistere è l'esserci diveniente.
Mentre l'Essere è a monte di ogni possibile esserci e di ogni divenire. Quindi a monte dell'esistenza. A monte della scissione soggetto-oggetto.
A valle... è l'esistenza.
Quando diciamo che qualcosa è, intendiamo che quel qualcosa c'è. Ossia che esiste. Perché esserci equivale a esistere.
Ed è infatti l'
esistere "l'idea che consente di affermare in generale qualcosa di qualcuno, cioè attribuzione di presenza, allora la realtà, come complesso di soggetti a cui attribuire predicati, cioè proprietà" non l'Essere.
Tutto ciò di cui possiamo fare diretta esperienza è l'esistere. Solo l'esistere.
Dovunque cerchiamo, sempre esistere troviamo, che altro mai?
L'Essere non è giudicabile, come potrebbe?
Giudicabile è sempre e solo l'esistere. Proprio perché è tutto quello che c'è.
Seppur paradossalmente, l'
Essere non c'è,
non esiste!
Per la semplice ragione che l'esistenza si fonda sulla negazione. Esiste infatti ciò che nega altro da sé.
Mentre l'Essere non ha altro.
Difatti Essere =
Negazione della negazione.
L'Essere, non esistendo, è il Nulla.
Citazione di: sapa il 23 Agosto 2020, 10:17:44 AM
Scusate, ma il Nulla non può essere esperito, pena l'annulllamento stesso. Un Nulla esperito è un Nulla che conterrebbe chi lo tocca e lo vede.
Ottima osservazione!
Si può fare esperienza solo di ciò che c'è.
E il Nulla non c'è...
Tuttavia non si può nemmeno fare esperienza di ciò che si è.
Alla domanda (questa sì fondamentale): "Chi sono io?" è impossibile dare risposta.
Se non... scrutando in quella stessa consapevolezza del Nulla. Che non è "esperienza" di altro.
Ma consapevolezza originaria, di ciò che siamo.
Citazione di: niko il 23 Agosto 2020, 11:11:41 AM
Il nulla non è nulla, quindi non è nemmeno se stesso. Non è in modo completo un'identità, per esso non vale A=A, se non sei, non corrispondi al tuo non essere, infatti penso che l'essere sia un modo determinato di essere nulla,
A = A vale per l'esistere.
Infatti l'esistere è fondato sulla negazione implicita in ogni determinazione.
Negazione racchiusa in quel A = A.
Ma l'Essere non ha alcuna identità.
E' negazione della negazione.
L'A = A non ha qui alcun significato.
Per l'esistenza Essere = Nulla.
Una constatazione difficilmente accettabile.
Tuttavia, questa stessa constatazione non ci sospinge con ancor più vigore a ricercare la Verità?
Davvero possiamo arrenderci davanti a questa orribile evidenza?
E se ci mettiamo a scavare, chiedendoci cosa davvero importa, non finiremmo col chiederci se questo Essere / Nulla non sia in definitiva l'
Amore?
"L'amor, che move il sole l'altre stelle"
Però, alla fine della fiera, mi sa che abbia ragione viator: il nulla non è nemmeno un concetto. Proprio perchè non è concepibile, se non come metodica esclusione di tutte le cose. In conclusione, affermare che per esprimere il nulla, e farne un eventuale concetto, bisogna togliere tutto, è come dire che non se ne farà mai....nulla. Un concetto inesprimibile, che concetto è?
Vedo che il vezzo metafisico di truccare i fatti non molla l'osso. Il nulla é un concetto tanto quanto assoluto, infinito, immortale, eterno,...
L'immaginario umano è maestro nell'inventare enti e concetti immaginari.
Non c'è nulla di inesprimibile, "nulla" compreso, se non si cade nella superstizione di trattarlo, idolatricamente, come un ente.
Citazione di: viator il 16 Agosto 2020, 18:16:55 PM
Salve. Ma.......secondo voi......dando per chiaro (illuso che sono !!) che il nulla non sia una entità (dando per chiaro (illuso che sono !!) l'entità sia "ciò che è in modo non definito e non conoscibile")...................IL NULLA E' UN CONCETTO oppure no ?. Saluti.
Bello l'incipit: per "dando per chiaro" che vuoi dire? Che sappiamo che il nulla non sia una entità, nel qual caso il nulla è in ogni caso un
essere saputo. O mi sbaglio? È come sappiamo, se lo sappiamo, che il nulla non è ció che è in modo non definito e non conoscibile?
Salve Lou. "Dando per chiaro" = "Partendo dal presupposto che.......".
Se poi partiamo da altro, chiaramente giungeremo a lidi diversi. Saluti.
rispondendo a Bobmax
mi pare che "esistente" possa intendersi come sinonimo di "reale", attualizzazione dell'Essere in un ente dotato di un potere causale con cui interagire direttamente con il resto delle cose, oppure come puro sostantivo, ipostasi dell'Essere, sinonimo di ente. Nel primo caso, l'esistenza come realtà, l'attribuzione di proprietà nei giudizi non è limitata ad essa, ma si estende all'Essere nella sua generalità, comprendente anche il modo in cui si dà come Essere ideale. In questo caso, l'unicorno sarebbe nell'Essere, ma non nell'esistenza, in quanto non reale, ma ente fantastico. E la non esistenza non gli precluderebbe la possibilità di essere oggetto su cui formulare dei giudizi, in quanto, anche riconoscendolo come ente fantastico, possiamo immaginarlo attribuendo delle proprietà che lo definiscano nella sua idea, cioè dando dei giudizi su di lui (l'unicorno che mi sto mentalmente immaginando è bianco, sta correndo ecc.) Dunque l'esistenza non è condizione necessaria della giudicabilità, la condizione necessaria è l'Essere, che rende possibile la giudicabilità circa le proprietà di enti immaginari o astratti. Se invece intendessimo l'esistenza come sinonimo di "ente", cioè ogni possibile determinazione dell'Essere, comprendente non solo cose reali, ma anche astratte-immaginarie, in questo caso, a maggior ragione troverei contraddittorio che la giudicabilità di ciò che esiste non fosse anche giudicabilità di tutto ciò che è, con l'intuizione dell'idea di Essere come condizione necessaria di ogni possibile giudizio, dato che la differenza tra Essere ed esistenza sarebbe di fatto solo grammaticale, sintattica, l'Essere come infinitivo dell'esistenza, ma tutto ciò che esiste sarebbe essere, e viceversa, ed entrambe le nozioni sarebbero allo stesso modo respingenti del Nulla e del negativo, come contrari e opposti, non ci sarebbe alcuna differenza semantica, di riferimento a diversi ambiti ontologici, come era nel primo caso, con l'esistenza comprendente solo oggetti reali, e l'Essere comprendente anche enti immaginari-astratti come l'unicorno
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 18:28:28 PM
Salve Lou. "Dando per chiaro" = "Partendo dal presupposto che.......".
Perfetto, da qualcosa bisogna pur partire, sia pure un presupposto.
Per Davintro
Concordo con l'impostazione della tua analisi.
E sono convinto che l'esistenza debba essere intesa come sinonimo di ente.
Tuttavia, la questione è a mio avviso in quell'ulteriore passo che fai, in quell'ente inteso come una determinazione dell'Essere.
Perché qui si gioca tutto.
Sul significato di "determinazione".
Perché se lo si intende, come mi pare tu faccia, come la separazione di una parte dal tutto, allora l'Essere è un "qualcosa". Un qualcosa seppur indeterminato, ma sempre un qualcosa.
E in questo caso Essere = esistenza.
Ma l'Essere non può essere qualcosa.
Per la semplice ragione che lo stesso Tutto non può essere qualcosa!
Ci immaginiamo di porci fuori (!) dal Tutto per poterlo osservare e così affermare: è un qualcosa.
Ma è solo il frutto di un'allucinazione.
Che deriva dal considerare il pensiero razionale fonte di Verità.
Ai limiti del comprensibile razionale il qualcosa svanisce.
E nel nostro esserci, che è esistenza, ciò che non è qualcosa... è Nulla.