L'evoluzione contemporanea del pensiero filosofico è caratterizzata dalla messa in discussione di una serie di "fragili" certezze del passato.
Una parte di queste è per me sintetizzabile in quello che ho definito "postulato positivista" che è sintetizzato nell'equazione:
lim (t->infinito) C=V
dove con C intendo la conoscenza o cultura, con V intendo la verità.
Tale postulato è suscettibile di tre indebolimenti significativi:
1) lim (t->infinito) C non esiste, cioè la conoscenza non ha tendenza a convergere cerso un qualcosa;
2) V non esiste, cioè nulla potrà mai essere definito come verità;
3) lim (t->infinito) C diverso da V per cui la convergenza della conoscenza è viziata da errori sistematici.
Volevo conoscere l'opinione dei partecipanti al forum su questo schema
Già il fatto che la filosofia debba chiudersi in uno schema mi pare espressione di un'idea un po fallace. Se cerco la verità subordinandola a priori all'esistenza o no dell'infinito o di una conoscenza assoluta, parto già da un pregiudizio. Iniziamo a vedere come poter ragionare nel modo più corretto o meno fallace possibile, poi vediamo cosa ne esce.
Citazione di: anthonyi il 20 Marzo 2017, 12:56:24 PM
L'evoluzione contemporanea del pensiero filosofico è caratterizzata dalla messa in discussione di una serie di "fragili" certezze del passato.
Una parte di queste è per me sintetizzabile in quello che ho definito "postulato positivista" che è sintetizzato nell'equazione:
lim (t->infinito) C=V
dove con C intendo la conoscenza o cultura, con V intendo la verità.
Tale postulato è suscettibile di tre indebolimenti significativi:
1) lim (t->infinito) C non esiste, cioè la conoscenza non ha tendenza a convergere cerso un qualcosa;
2) V non esiste, cioè nulla potrà mai essere definito come verità;
3) lim (t->infinito) C diverso da V per cui la convergenza della conoscenza è viziata da errori sistematici.
Volevo conoscere l'opinione dei partecipanti al forum su questo schema
La formula che proponi è molto
interessante ed
intrigante, sebbene io sia la persona meno adatta a giudicarla, vista la mia abissale "
nescienza" matematica. :-[
Quanto agli "
indebolimenti" a cui tu accenni, perciò, non sono ben sicuro (per mia inadeguatezza) di aver ben compreso cosa intendi.
Ad ogni modo:
***<<1) lim (t->infinito) C non esiste, cioè la conoscenza non ha tendenza a convergere cerso un qualcosa.>>Al riguardo, secondo me
CONOSCENZA e
CULTURA sono
due cose completamente diverse, tra di loro; per cui non capisco bene perchè, prima dell'elencazione tu le abbia equiparate, mentre, sub 1), parli ora solo di CONOSCENZA.Comunque, anche a voler restare solo a quest'ultima,
pure il termine "conoscenza" è secondo me molto ambiguo, :
perchè può essere inteso nel senso riduttivo di "scienza", ovvero di "sapienza" (sapida scienza), le quali cose, pure, sono molto differenti tra di loro.In ogni caso
se parliamo di due elementi (CONOSCENZA e CULTURA),
ha un senso discutere se essi confluiscano, o meno, verso un qualcosa; ma, la conoscenza da sola, come fa a "convergere" verso un qualcosa?Per convergere bisogna essere in due! ;) ***<<2) V non esiste, cioè nulla potrà mai essere definito come verità>>Quindi, neanche la tua affermazione! ;)
***<<3) lim (t->infinito) C diverso da V per cui la convergenza della conoscenza è viziata da errori sistematici.>> :-[ Questa non l'ho capita proprio.
***Prima di esprimere una opinione, vorrei capire meglio.
:)
CitazioneSecondo me per "conoscenza (vera)" si può intendere arbitrariamente per convenzione <<la predicazione (il pensiero) che é o accade realmente qualcosa, stante il fatto che tale "qualcosa" é o accade realmente; o anche che non é o non accade realmente qualcosa stante il fatto che tale "qualcosa" non é o non accade realmente>>.
Se la conoscenza (vera) é intesa in questo modo, allora innanzitutto bisogna ammettere che lo scetticismo (il dubbio, l' incertezza circa la conoscenza vera) non é superabile.
Infatti in linea teorica o di principio può darsi sia che si predichi essere o accadere realmente qualcosa che realmente é o accade sia che si predichi essere o accadere realmente qualcosa che realmente non é o non accade (e analogamente per quanto riguarda i predicati negativi), dal momento che per "predicare" si intende proporre affermazioni circa la realtà indipendentemente da come questa è o diviene, dunque tali che di per sé potrebbero essere tanto "conformi" quanto non "conformi" alla realtà stessa (potrebbero costituire tanto conoscenze vere quanto credenze o affermazioni false).
Si potrebbe pensare che almeno il predicare che è o accade quanto immediatamente constatato empiricamente (e puramente e semplicemente in quanto tale, senza "interpretazioni di sorta"; per esempio dire c' è questo schermo di computer qui davanti intendendosi puramente e semplicemente le sensazioni che accadono e nient' altro) è certamente conoscenza vera. Tuttavia anche in questo caso si tratterebbe comunque di una certezza (di conoscenza vera) effimera: poiché (se anche la memoria è veritiera, cosa degna di dubbio) la realtà muta, ovvero il tempo scorre, ma comunque la memoria stessa, non essendo immediata constatazione empirica di sensazioni in atto, è in linea di principio fallace, può essere erronea, falsa, oltre che corretta, veritiera; e allora la certezza della verità circa l' immediatamente esperito vale solo al presente, e dunque in ogni istante per l' infinitamente piccola durata temporale dell' istante stesso come istante presente.
Ma se invece si ammette che la memoria generalmente è veritiera e comunque i suoi eventuali errori sono in linea di principio rilevabili e correggibili (nel caso ipotetico che ciò sia o accada), allora si può avere conoscenza certa del presente e del passato.
In questo caso (contro quello che chiami il "postulato positivista") credo che non sarebbe necessario pretendere che la conoscenza (vera) tenda all' infinito; ci si potrebbe accontentare di conoscenze limitate, finite, relative, parziali (che sarebbero pur sempre conoscenze vere, se per "conoscenza" non si intende, o per lo meno se non si intende necessariamente, l' "onniscienza").
Il pensiero debole.
X Anthonyi
Mi stimola questa tua richiesta di esprimere la propria opinione su questo limite che intenderebbe significare il rapporto matematico tra la conoscenza e la verità. Mi sembra di tornare al Liceo e non ti nascondo che è molto tempo che non mi esercito su tali funzioni, ma spero comunque di esprimere quello che penso in modo chiaro.
Prima di tutto bisogna premettere che non può avere una valenza matematica ma soltanto concettuale. E questo perché sia la conoscenza che la verità non sono grandezze misurabili ma concetti. E ciò ci porta alla determinazione che ci troviamo nella sfera della Metafisica. Ed anche se Kant, nell' Opus Postumum, per fare un torto ad Hegel, afferma che non è possibile usare la matematica nella Metafisica, noi ce ne infischiamo e andiamo avanti.
La conoscenza non è certo rappresentabile come una retta, ma senza dubbio come una curva di aspetto sinusoidale che possiamo autonomamente definire con il criterio che tende all' infinito.
La verità, nello schema relativistico, è possibile ritenere che abbia come logos l' infinito stesso, visto che la conoscenza tende ad essa senza mai raggiungerla.
Il postulato numero uno è così superato, come pure il secondo. Il terzo invece necessita di un' ulteriore criterio. E cioè che sia la conoscenza che la verità giacciano nello stesso campo matematico, e cioè con infiniti di grado uguale. Se ciò non fosse infatti non sarebbe corretta.
Date per scontate queste premesse, si può tranquillamente affermare che la funzione di limite da te ideata è sostanzialmente corretta.
Questo è tutto. Spero di aver risposto esaurientemente al tuo quesito.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: anthonyi il 20 Marzo 2017, 12:56:24 PML'evoluzione contemporanea del pensiero filosofico è caratterizzata dalla messa in discussione di una serie di "fragili" certezze del passato. Una parte di queste è per me sintetizzabile in quello che ho definito "postulato positivista" che è sintetizzato nell'equazione: lim (t->infinito) C=V dove con C intendo la conoscenza o cultura, con V intendo la verità. Tale postulato è suscettibile di tre indebolimenti significativi: 1) lim (t->infinito) C non esiste, cioè la conoscenza non ha tendenza a convergere cerso un qualcosa; 2) V non esiste, cioè nulla potrà mai essere definito come verità; 3) lim (t->infinito) C diverso da V per cui la convergenza della conoscenza è viziata da errori sistematici. Volevo conoscere l'opinione dei partecipanti al forum su questo schema
il tema è vasto, dipende dove si vuole andare a parare.la formulazione posta a mio parere non è corretta matematicamente, comunque il simbolo t cosa rappresenta?Il primo limite è dato dall'agente conoscitivo, vale adire l'uomo, prima ancora di produrre conoscenza.Quindi il processo mentale e razionale della conoscenza ha dei limiti.Il secondo è la conoscenza in sè,in filosofia lo scontro nella modernità è stato il processo fra ontologia ed epistemologia, che si è risolto nella gran parte nell'assorbimento ontologico dentro l'epistemologia.E' verità se una sonda partita dalla terra e arrivata su marte nel punto esatto calcolato , oppure no? Si è riusciti senza una verità forte ad arrivare nell'intento.A cavallo del Novecento è saltata la matematica e la geometria euclidea.Godel e i logici hanno dimostrato problematiche di un sistema autoreferente, con problemi di consistenza e coerenza.Sì ,ma la matematica e la geometria, così come la logica, non sono morte dal passaggio della verità "forte" ad una verità "debole". la messa in discussione degli enunciati e postulati. come quello delle parallele di Euclide, non ha affossato la geometria, anzi ne sono nate quella sferica ed iperbolica.Un personaggio come Hilbert che ha riordinato geometria e i postulati fondamentali della matematica, dimostra semmai la modellabilità dei sistemi che prima erano "ingessati"E' un errore intellettualistico sostenere che prima tutti erano certi di una verità e oggi tutti sono incerti di qualsiasi concettoC'erano opinioni diverse anche in quel contesto di certezze e ci sono ancora tutt'ora..
Ringrazio tutti per i commenti
Ad Eutidemo volevo proporre al posto di conoscenza il concetto di credenza, o meglio quello che in un determinato momento storico viene considerato come conoscenza. Riguardo alla convergenza, poi, è implicita nel concetto di limite, la variabile converge verso il suo limite.
Il punto 3, poi, mette in discussione la possibilità che esperienze ripetute possa dare una conoscenza esatta. Ti faccio un esempio, l'uomo vede ogni mattina sorgere e viaggiare nel cielo il sole, per cui pensa che esso giri attorno alla terra, la cosa è sempre confermata dall'esperienza ma è viziata dall'idea sistematica che la terra sia ferma.
Confesso di avere avuto qualche difficoltà nel leggere il commento di sgiombo per cui non sono certo di aver compreso a pieno. Direi che sulle proprietà della conoscenza potrebbe essere più chiaro il già presentato concetto di credenza.
Sulla questione della fallacità dei sensi o della memoria direi che possono essere considerati come endogeni alle stesse proprietà del "postulato positivista". Il postulato presuppone infatti una memoria storica, cioè non solo individuale, ma di tutta la società, il problema è di capire se questa memoria cumulata produce un edificio stabile e sempre più alto che permette di vedere orizzonti più lontani, oppure una massa informe che collassa su se stessa.
Interessante il commento di garbino che riprende la critica che più di tutte mi sarei aspettata, come si può chiudere un concetto in una formula matematica? In realtà oggi lo si fa in tutte le scienze sociali.
A paul11, t è il tempo, sono tanto abituato a darlo per scontato che lo considero implicito.
Hai ragione che nel 900 è saltata la matematica, così come è saltato il concetto di spazio-tempo e di materia, ma questo è proprio l'argomento del mio discorso.
ma adesso chiediti, come può un agente conoscitivo che si ritene limitato aver capito i suoi limiti nel rapporto fra il processo del conoscere,il concetto conoscitivo e la verità, visto che è fallace?
Prova a risolvere il paradosso di un dominio in cui l'agente consocitivo è dentro il sistema stesso e quindi autoreferente.
... e scoprirai che tutto può essere vero e tutto può essere falso, tutto può essere certo e tutto può essere relativo.
L'errore linguistico è ritenere allora che la verità equivalga alla fattualità, quindi il ridimensionare il sistema stesso epistemico ai sensi.
ma se sono propri o i sensi che prima di tutto sonno elettromagneticamente dentro un breve spettro di frequenza?
ma se quella sonda è arrivata su marte vuol dire che tutti i calcoli che non sono fisicità, materialità, quindi nel dominio del sensibile hanno guidato una macchina fisica
Citazione di: paul11 il 21 Marzo 2017, 15:38:16 PM
ma adesso chiediti, come può un agente conoscitivo che si ritene limitato aver capito i suoi limiti nel rapporto fra il processo del conoscere,il concetto conoscitivo e la verità, visto che è fallace?
Prova a risolvere il paradosso di un dominio in cui l'agente consocitivo è dentro il sistema stesso e quindi autoreferente.
... e scoprirai che tutto può essere vero e tutto può essere falso, tutto può essere certo e tutto può essere relativo.
L'errore linguistico è ritenere allora che la verità equivalga alla fattualità, quindi il ridimensionare il sistema stesso epistemico ai sensi.
ma se sono propri o i sensi che prima di tutto sonno elettromagneticamente dentro un breve spettro di frequenza?
ma se quella sonda è arrivata su marte vuol dire che tutti i calcoli che non sono fisicità, materialità, quindi nel dominio del sensibile hanno guidato una macchina fisica
La domanda è intrigante, però anche Socrate mi sembra dicesse: "So di non sapere" senza avere l'impressione di essere incoerente.
L'autoreferenzialità non so se sia un problema, solo che se lo è riguarda tutte le dottrine sociali e Antropologiche, si salverebbero solo le scienze naturali, la filosofia non ne parliamo, sarebbe quella più a rischio.
Citazione di: anthonyi il 22 Marzo 2017, 12:06:27 PMCitazione di: paul11 il 21 Marzo 2017, 15:38:16 PMma adesso chiediti, come può un agente conoscitivo che si ritene limitato aver capito i suoi limiti nel rapporto fra il processo del conoscere,il concetto conoscitivo e la verità, visto che è fallace? Prova a risolvere il paradosso di un dominio in cui l'agente consocitivo è dentro il sistema stesso e quindi autoreferente. ... e scoprirai che tutto può essere vero e tutto può essere falso, tutto può essere certo e tutto può essere relativo. L'errore linguistico è ritenere allora che la verità equivalga alla fattualità, quindi il ridimensionare il sistema stesso epistemico ai sensi. ma se sono propri o i sensi che prima di tutto sonno elettromagneticamente dentro un breve spettro di frequenza? ma se quella sonda è arrivata su marte vuol dire che tutti i calcoli che non sono fisicità, materialità, quindi nel dominio del sensibile hanno guidato una macchina fisica
La domanda è intrigante, però anche Socrate mi sembra dicesse: "So di non sapere" senza avere l'impressione di essere incoerente. L'autoreferenzialità non so se sia un problema, solo che se lo è riguarda tutte le dottrine sociali e Antropologiche, si salverebbero solo le scienze naturali, la filosofia non ne parliamo, sarebbe quella più a rischio.
Allora:1) si dice che c'è una verità e che quindi la conoscenza porta alla verità2) si dice che è verità che la conoscenza non porta alla veritàattenzione sono entrambii postulazioni, enunciati o assiomi.ma il secondo è addirittura un paradosso perchè dice che è ver oche la verità non è conoscenza: e come fa a dire se è vero non sapendo la verità?Se la filosofia fosse solo questa è finita.le scienza matematiche ,geometriche sono invece andate oltre e la filosofia non se n'è accorta.Prima c'era solo la geometria euclidea, si mette in discussione il postulato delle parallele ( perch in fondo la teoria della relatività metteva in discussione lo spazio/tempo come incurvato dalla forza di gravità) , ma attenzione, accade che la geometria non è scomparsa non si è detto che non è più vera, ma appaiono addirittura tre geometrie compresa quella euclideaLa stessa cosa fa Hilbert nel consesso dei matematici del 1900, ripostula tutta la matematica e ci si accorge che ora è più "creativa", tant' è che nella meccanica quantistica i calcoli matematici arrivano ad enunciare il multiverso e dodici dimensioni ( se non ricordo male)Non so se mi sono spiegato. le matematiche hanno capito che basta ripostulare i fondamentali per creare nuove forme di calcolo e conoscenze e non è vero che non sono vere, perchè vanno oltre il fattuale la fisicità, tant'è che si ricreano le condizioni metafisiche di un calcolo matematico che va oltre il sensibile umano e modella un universo parallelo a più dimensioniPersino la filosofia analitica così allergica all'inizio alla metafisica si sta ormai riallineando nella disputa con i "continentali".
Siamo sì autoreferenti, perchè noi dichiariamo tautologie postulati logiche predicative e proposizionali all'interno dei domini, non ne siamo fuori, noi ci viviamo e ci pensiamo internamente,divenendo cultura che ci sovrasta e ci condiziona come rappresentazione del mondo.
Ecco perchè ti dicevo che tutto può essere vero e tutto può essere falso (estremizzando ovviamente il concetto)
L'uomo viveva pur pensandosi dentro un pianeta piatto che finiva alle colonne d'Ercole, l'uomo viveva pur pensadosi dentro le certezze della verità, l'uomo continua a vivere pur pensandosi dentro l'incertezza, ma calcola e progetta sonde che certamente e veritativamente con il calcolo giungano perfettamente a destinazione nel punto preciso del pianeta Marte, postula la teoria della relatività, postula la teoria della meccanica quantistica , e il mondo intanto va avanti........ mille rappresentazioni, mille modellazioni
Citazione di: paul11 il 22 Marzo 2017, 14:16:31 PM
Citazione di: anthonyi il 22 Marzo 2017, 12:06:27 PMCitazione di: paul11 il 21 Marzo 2017, 15:38:16 PMma adesso chiediti, come può un agente conoscitivo che si ritene limitato aver capito i suoi limiti nel rapporto fra il processo del conoscere,il concetto conoscitivo e la verità, visto che è fallace? Prova a risolvere il paradosso di un dominio in cui l'agente consocitivo è dentro il sistema stesso e quindi autoreferente. ... e scoprirai che tutto può essere vero e tutto può essere falso, tutto può essere certo e tutto può essere relativo. L'errore linguistico è ritenere allora che la verità equivalga alla fattualità, quindi il ridimensionare il sistema stesso epistemico ai sensi. ma se sono propri o i sensi che prima di tutto sonno elettromagneticamente dentro un breve spettro di frequenza? ma se quella sonda è arrivata su marte vuol dire che tutti i calcoli che non sono fisicità, materialità, quindi nel dominio del sensibile hanno guidato una macchina fisica
La domanda è intrigante, però anche Socrate mi sembra dicesse: "So di non sapere" senza avere l'impressione di essere incoerente. L'autoreferenzialità non so se sia un problema, solo che se lo è riguarda tutte le dottrine sociali e Antropologiche, si salverebbero solo le scienze naturali, la filosofia non ne parliamo, sarebbe quella più a rischio.
Allora:
1) si dice che c'è una verità e che quindi la conoscenza porta alla verità
2) si dice che è verità che la conoscenza non porta alla verità
attenzione sono entrambii postulazioni, enunciati o assiomi.ma il secondo è addirittura un paradosso perchè dice che è ver oche la verità non è conoscenza: e come fa a dire se è vero non sapendo la verità?
Se la filosofia fosse solo questa è finita.
le scienza matematiche ,geometriche sono invece andate oltre e la filosofia non se n'è accorta.
Prima c'era solo la geometria euclidea, si mette in discussione il postulato delle parallele ( perch in fondo la teoria della relatività metteva in discussione lo spazio/tempo come incurvato dalla forza di gravità) , ma attenzione, accade che la geometria non è scomparsa non si è detto che non è più vera, ma appaiono addirittura tre geometrie compresa quella euclidea
La stessa cosa fa Hilbert nel consesso dei matematici del 1900, ripostula tutta la matematica e ci si accorge che ora è più "creativa", tant' è che nella meccanica quantistica i calcoli matematici arrivano ad enunciare il multiverso e dodici dimensioni ( se non ricordo male)
Non so se mi sono spiegato. le matematiche hanno capito che basta ripostulare i fondamentali per creare nuove forme di calcolo e conoscenze e non è vero che non sono vere, perchè vanno oltre il fattuale la fisicità, tant'è che si ricreano le condizioni metafisiche di un calcolo matematico che va oltre il sensibile umano e modella un universo parallelo a più dimensioni
Persino la filosofia analitica così allergica all'inizio alla metafisica si sta ormai riallineando nella disputa con i "continentali".
Siamo sì autoreferenti, perchè noi dichiariamo tautologie postulati logiche predicative e proposizionali all'interno dei domini, non ne siamo fuori, noi ci viviamo e ci pensiamo internamente,divenendo cultura che ci sovrasta e ci condiziona come rappresentazione del mondo.
Ecco perchè ti dicevo che tutto può essere vero e tutto può essere falso (estremizzando ovviamente il concetto)
L'uomo viveva pur pensandosi dentro un pianeta piatto che finiva alle colonne d'Ercole, l'uomo viveva pur pensadosi dentro le certezze della verità, l'uomo continua a vivere pur pensandosi dentro l'incertezza, ma calcola e progetta sonde che certamente e veritativamente con il calcolo giungano perfettamente a destinazione nel punto preciso del pianeta Marte, postula la teoria della relatività, postula la teoria della meccanica quantistica , e il mondo intanto va avanti........ mille rappresentazioni, mille modellazioni
Il paradosso che presenti al punto 2(Che in qualche maniera mi ricorda il paradosso sugli insiemi di Rousseau) implica che il processo conoscitivo che porta ad affermare che la verità è irraggiungibile sia parte dei processi conoscitivi che sono oggetto di analisi.
definiamo la prima come conoscenza1, e la seconda come conoscenza2, io, dopo aver dimostrato che la conoscenza2 non può portare alla verità mi pongo il problema di spiegare come ho acquisito la conoscenza1(perché se la dimostrazione che ho prodotto è valida non è che la posso considerare non valida perché un altro ragionamento esterno alla dimostrazione di è rivelato incoerente). Potrei ad esempio supporre che l'unico modo per acquisire tale conoscenza sia un'induzione esterna da parte di un'entità superiore, per cui la mia dimostrazione produce anche la prova dell'esistenza di un'entità metafisica.
** scritto da anthonyi.
CitazionePotrei ad esempio supporre che l'unico modo per acquisire tale conoscenza sia un'induzione esterna da parte di un'entità superiore, per cui la mia dimostrazione produce anche la prova dell'esistenza di un'entità metafisica.
Supposizione vecchia di 2000 anni:
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera
Il pensiero debole nega la possibilità di conseguire una verità intersoggettivamente valida. Bisogna riflettere sulle nozioni di relativismo e scetticismo. In una visione estrema, può dirsi che il relativismo afferma qualsiasi affermazione (è vero tutto e il contrario di tutto), e lo scetticismo nega qualsiasi affermazione di verità. lo scetticismo porta alla negazione delle conoscenze, con la conseguenza di un pensiero che non può pervenire alla intelligenza di un fondamento sufficientemente attendibile. se si considerano in questi termini scetticismo e relativismo si arriva alla conseguenza che "Il relativista afferma ogni cosa senza pretendere di negarne nessuna, e il contrario fa lo scettico".Ciò implica una palese autocontraddittorietà delle manifestazioni più appariscenti del pensiero debole, che nega si possa giungere a un fondamento univoco. Possono evitarsi siffatte estremizzazioni e sostenere che lo scetticismo sia uno schema di pensiero che si limiti a porre il dubbio, senza prendere posizione. La sospensione del giudizio implica assenza di affermazione o negazione e quindi ulteriore infondatezza nel senso della configurabilità del pensiero debole di matrice scettica. Spunti interessanti possono rinvenirsi in questa discussione https://www.facebook.com/photo.php?fbid=366814843437586&set=o.337198036391409&type=3&theater
Citazione di: anthonyi il 22 Marzo 2017, 12:06:27 PM
Citazione di: paul11 il 21 Marzo 2017, 15:38:16 PM
ma adesso chiediti, come può un agente conoscitivo che si ritene limitato aver capito i suoi limiti nel rapporto fra il processo del conoscere,il concetto conoscitivo e la verità, visto che è fallace?
Prova a risolvere il paradosso di un dominio in cui l'agente consocitivo è dentro il sistema stesso e quindi autoreferente.
... e scoprirai che tutto può essere vero e tutto può essere falso, tutto può essere certo e tutto può essere relativo.
L'errore linguistico è ritenere allora che la verità equivalga alla fattualità, quindi il ridimensionare il sistema stesso epistemico ai sensi.
ma se sono propri o i sensi che prima di tutto sonno elettromagneticamente dentro un breve spettro di frequenza?
ma se quella sonda è arrivata su marte vuol dire che tutti i calcoli che non sono fisicità, materialità, quindi nel dominio del sensibile hanno guidato una macchina fisica
La domanda è intrigante, però anche Socrate mi sembra dicesse: "So di non sapere" senza avere l'impressione di essere incoerente.
L'autoreferenzialità non so se sia un problema, solo che se lo è riguarda tutte le dottrine sociali e Antropologiche, si salverebbero solo le scienze naturali, la filosofia non ne parliamo, sarebbe quella più a rischio.
A dire il vero,
testualmente, Socrate disse:
"Έτσι, δεν γνωρίζω",
che, alla lettera, significa "Quindi non so"; senza specificare il complemento oggetto.Per cui, secondo
me, la traduzione che solitamente TUTTI danno di tale proposizione, che suona un po' paradossale ed incoerente "Quindi so di non sapere", è sicuramente molto d'effetto ed "icastica"
; ma non mi sembra che corrisponda con molta esattezza all'originale significato, in greco, della frase.Ed infatti, se qualcuno dice di
"non sapere" cosa dica la Teoria della Relatività, è cosa un po' diversa dal dire che
"sa di non sapere" cosa dica tale Teoria;
ed infatti, la prima è una mera dichiarazione di ignoranza, mentre la seconda è una dichiarazione di conoscenza della propria ignoranza.Ed anche in mancanza di complemento oggetto,
secondo me la differenza semantica permane anche col riferimento al detto di Socrate. ;)
Citazione di: salvatore il 05 Aprile 2017, 21:19:14 PM
Il pensiero debole nega la possibilità di conseguire una verità intersoggettivamente valida. Bisogna riflettere sulle nozioni di relativismo e scetticismo. In una visione estrema, può dirsi che il relativismo afferma qualsiasi affermazione (è vero tutto e il contrario di tutto), e lo scetticismo nega qualsiasi affermazione di verità. lo scetticismo porta alla negazione delle conoscenze, con la conseguenza di un pensiero che non può pervenire alla intelligenza di un fondamento sufficientemente attendibile. se si considerano in questi termini scetticismo e relativismo si arriva alla conseguenza che "Il relativista afferma ogni cosa senza pretendere di negarne nessuna, e il contrario fa lo scettico".Ciò implica una palese autocontraddittorietà delle manifestazioni più appariscenti del pensiero debole, che nega si possa giungere a un fondamento univoco. Possono evitarsi siffatte estremizzazioni e sostenere che lo scetticismo sia uno schema di pensiero che si limiti a porre il dubbio, senza prendere posizione. La sospensione del giudizio implica assenza di affermazione o negazione e quindi ulteriore infondatezza nel senso della configurabilità del pensiero debole di matrice scettica. Spunti interessanti possono rinvenirsi in questa discussione https://www.facebook.com/photo.php?fbid=366814843437586&set=o.337198036391409&type=3&theater
Per quanto sia cosciente del rischio che il pensiero debole possa degradare sia verso lo scetticismo, sia verso il relativismo(Anche se in tal caso non è detto sia una degradazione), la mia riflessione vede il postmoderno in una chiave di analisi del processo cognitivo(sono uno sfegatato empirista), cercando di evidenziare i momenti di tale processo nei quali la critica Postmoderna si pone.
Se l'affermazione "nulla potrà mai essere definito come verità" è considerata vera, allora questa affermazione nega se stessa. E quindi questa affermazione non è una verità. Quindi è falsa.
Ma se l'affermazione "nulla potrà mai essere definito come verità" è falsa, allora si deduce che la verità esiste. :D
Se invece l'affermazione "nulla potrà mai essere definito come verità" è considerata falsa, allora è falsa. E quindi la verità esiste.
In sostanza con la frase "nulla potrà mai essere definito come verità", sia che sia vera sia che sia falsa, tu stai implicitamente affermando che la verità esiste. :D
Ecco che in tre semplici passaggi abbiamo smontato una intera costruzione "filosofica".
Questi giochetti di logica mi piacciono un casino.
E la dicono lunga sulla "filosofia".
ahahahah :D
La struttura ossimorica del concetto mi era stata già accennata, ma secondo me è un problema di linguaggio, nel senso che se consideri il tuo discorso applicabile ad un insieme di verità che non comprende la verità della tua affermazione il problema è risolto. Si ritorna sempre al problema insiemistico di Russell degli insiemi che contengono insiemi che contengono o meno se stessi.
***
A mio avviso, si tratta di un mero paradosso semantico basato sulla "autoreferenzialità" della proposizione.
E infatti, basterebbe dire:"Nessun'altra proposizione potrà mai essere definita vera, ad eccezione di questa", e non ci sarebbe più niente di paradossale (a parte la presunzione di chi la pronuncia)!
Se, invece, vogliamo confondere ad arte i "livelli" del linguaggio, come in un gioco delle tre carte, non è difficile finire per confondersi le idee; per esempio, secondo voi, la seguente proposizione è vera o falsa?
"Questa frase contienne tre erori"
Se date la risposta giusta (come penso), avrete capito che cosa intendo...altrimenti no!
A dire il vero, il banale trucchetto autoreferenziale della mia frase, è di un tipo molto diverso dal pararadosso del mentitore; ma, secondo me, può risultare utile quantomeno a capire il meccanismo dell'autoreferenzialità.
***
RIFERIMENTI
Magari le cose sono un pochino più complesse, di come le ho messe io.
Tizio afferma: "Sto mentendo"!
In tal caso:
a) Immaginiamo che sia vero: se cosi è tutto sommato le cose stanno come dice, allora è falso;
b) immaginiamo ora che sia falso: è proprio ciò che dice di essere, allora è vero.
La problematicità sorge se si accetta il principio aristotelico di "bivalenza" e cioè che un enunciato o è vero o è falso; ma uno dei maggiori logici del nostro tempo, Saul Kripke, ha tentato di risolvere il paradosso del "mentitore standard" rinunciando al principio aristotelico di bivalenza e ammettendo che alcuni enunciati possano non essere veri e né falsi (vedi Wittgenstein on Rules and Private Language, Oxford, Basil Blackwell, 1982 (tr.it. Wittgenstein su regole e linguaggio privato, Torino, Bollati Boringhieri, 2000).
Un altro modo per aggirare la contraddizione derivante dall'autoreferenzialità in riferimento anche al paradosso del mentitore è quella più accettata dai logici odierni, che si basa sulla definizione di "verità" per i linguaggi formalizzati, ad opera del logico Alfred Tarsky; ed invero, anche se Tarsky aveva pensato questi metodi per il linguaggi strettamente formalizzati, ritenendo i linguaggi naturali contraddittori, essi sono benissimo applicabili anchea quest'ultimi. (vedi Alfred Tarski, Il concetto di verità nei linguaggi formalizzati, Vita e pensiero, 1963).
P
@eutidemo
"Questa frase contienne tre erori" non è nè vera nè falsa. E' semplicemente una frase sbagliata e, in quanto sbagliata, non si può dire nè che sia vera nè che sia falsa. :D
Si possono fare mille giochetti, ma non è questo il punto.
Il punto vero è che esistono molte persone che basano la propria visione del mondo sulla fede: "nulla potrà mai essere definito come verità". Cioè...credono davvero a questa loro fede. E la cosa tragica è che pensano pure di essere più furbi degli altri. :D
Citazione di: Eutidemo il 08 Aprile 2017, 20:11:46 PM
Se, invece, vogliamo confondere ad arte i "livelli" del linguaggio, come in un gioco delle tre carte, non è difficile finire per confondersi le idee; per esempio, secondo voi, la seguente proposizione è vera o falsa?
"Questa frase contienne tre erori"
Mi pare che la frase contenga due errori (di "
spelling") e quindi sia falsa, poiché per essere vera ne avrebbe dovuti contenere tre (e l'essere falsa non è un errore...).
Sui virtuosismi semantico-autoreferenziali, secondo me è solo una questione di "livelli":
Citazione di: Phil il 12 Novembre 2016, 17:50:55 PM
si tratta di un falso problema, o meglio, di un gioco linguistico fine a se stesso: sia l'affermare che il negare, sia l'essere vero o falso, devono logicamente rimandare ad altro da sè, poichè sono affermazioni di secondo livello che presuppongono un referente di primo livello a cui riferirsi. In assenza di tale primo livello, non c'è autentico senso che venga comunicato...
Se dicessi "questa verità è falsa" non direi nulla di contraddittorio o paradossale, ma enuncerei semplicemente una proposizione insensata, perchè "questa verità" non si riferisce ad altro da sè, per cui non è nè vera nè falsa, ma semplicemente "vuota di senso" (cosa intendo con l'espressione "questa verità"? Nulla; manca il primo livello...).
Parimenti dire "questa affermazione è falsa" è insensato perchè si tratta di una pseudo-affermazione, che non afferma nulla, se non la falsità di ciò che dice/afferma, ma ciò che dice/afferma è solo la falsità stessa (di cosa?), ma non c'è un referente di un livello inferiore di cui si predichi la falsità... ed esplicitarla con ""l'affermazione "questa affermazione è falsa" è falsa"" non fa altro che aggiungere un ulteriore livello superiore (se ne possono aggiungere infiniti!) che in assenza del primo livello (quello del referente) non ha comunque senso: è come voler costruire un grattacielo senza piano terra, partendo direttamente dal primo piano :)
P.s.
Ad ulteriore esempio, anche se affermo "sto dicendo la verità" o "sto mentendo", si tratta di pseudo-affermazionì, perchè di fatto non mi riferisco a nulla (salvo riferirmi a ciò che ho detto in precedenza, ma il giochino si basa proprio sull'esclusione di questa possibilità...).
Citazione di: Phil il 08 Aprile 2017, 21:04:16 PM
Citazione di: Eutidemo il 08 Aprile 2017, 20:11:46 PM
Se, invece, vogliamo confondere ad arte i "livelli" del linguaggio, come in un gioco delle tre carte, non è difficile finire per confondersi le idee; per esempio, secondo voi, la seguente proposizione è vera o falsa?
"Questa frase contienne tre erori"
Mi pare che la frase contenga due errori (di "spelling") e quindi sia falsa, poiché per essere vera ne avrebbe dovuti contenere tre (e l'essere falsa non è un errore...).
CitazioneSe il terzo é il numero di errori che dice di contenere (tre anziché due) allora ne contiene tre (ed é falsa oltre che scorretta); ma allora é vera; ma allora é falsa; ma allora é vera; e così via all' infinito: mi sembra una variante del paradosso del mentitore!.
CitazioneCitazione da: Phil - 12 Novembre 2016, 17:50:55 pm
Citazionesi tratta di un falso problema, o meglio, di un gioco linguistico fine a se stesso: sia l'affermare che il negare, sia l'essere vero o falso, devono logicamente rimandare ad altro da sè, poichè sono affermazioni di secondo livello che presuppongono un referente di primo livello a cui riferirsi. In assenza di tale primo livello, non c'è autentico senso che venga comunicato...
Se dicessi "questa verità è falsa" non direi nulla di contraddittorio o paradossale, ma enuncerei semplicemente una proposizione insensata, perchè "questa verità" non si riferisce ad altro da sè, per cui non è nè vera nè falsa, ma semplicemente "vuota di senso" (cosa intendo con l'espressione "questa verità"? Nulla; manca il primo livello...).
Parimenti dire "questa affermazione è falsa" è insensato perchè si tratta di una pseudo-affermazione, che non afferma nulla, se non la falsità di ciò che dice/afferma, ma ciò che dice/afferma è solo la falsità stessa (di cosa?), ma non c'è un referente di un livello inferiore di cui si predichi la falsità... ed esplicitarla con ""l'affermazione "questa affermazione è falsa" è falsa"" non fa altro che aggiungere un ulteriore livello superiore (se ne possono aggiungere infiniti!) che in assenza del primo livello (quello del referente) non ha comunque senso: è come voler costruire un grattacielo senza piano terra, partendo direttamente dal primo piano (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
P.s.
Ad ulteriore esempio, anche se affermo "sto dicendo la verità" o "sto mentendo", si tratta di pseudo-affermazionì, perchè di fatto non mi riferisco a nulla (salvo riferirmi a ciò che ho detto in precedenza, ma il giochino si basa proprio sull'esclusione di questa possibilità...).
Citazioneconcordo.
Citazione di: sgiombo il 08 Aprile 2017, 21:11:44 PM
Se il terzo é il numero di errori che dice di contenere (tre anziché due) allora ne contiene tre (ed é falsa oltre che scorretta); ma allora é vera; ma allora é falsa; ma allora é vera; e così via all' infinito: mi sembra una variante del paradosso del mentitore!.
Avevo intuito che quella era l'intenzione di Eutidemo ;) , per quello ho preventivamente precisato che, secondo me
Citazione di: Phil il 08 Aprile 2017, 21:04:16 PM
l'essere falsa non è un errore
il fatto che il computo degli errori sia sbagliato rende la frase falsa, ma non è un errore (anche perché gli altri errori sono di tipo "letterale", quindi si tende a pensare che si parli di quella tipologia di errore); credo vadano distinti "avere un errore" e "essere falsa"... se scrivessi "questa frase contiene un errore", sarebbe una frase semplicemente falsa, poiché non contiene errori, oppure è una frase "indecidibile"? Propenderei, pragmaticamente, per la prima opzione (anche alla luce del discorso sui "livelli"...).
P.s.
Per chiarire la differenza fra "avere un errore" e "essere una frase falsa": supponiamo che Mario compri un'auto, se scrivessi "Mario a comprato un'auto" sarebbe una frase con un errore, ma non falsa; potrebbe essere vera (se siamo disposti a sopperire con intuito benevolo alla carenza della "acca") oppure sarebbe una frase insensata (come se scrivessi "di per mai ieri").
Citazione di: Phil il 09 Aprile 2017, 00:13:37 AM
Citazione di: sgiombo il 08 Aprile 2017, 21:11:44 PM
Se il terzo é il numero di errori che dice di contenere (tre anziché due) allora ne contiene tre (ed é falsa oltre che scorretta); ma allora é vera; ma allora é falsa; ma allora é vera; e così via all' infinito: mi sembra una variante del paradosso del mentitore!.
Avevo intuito che quella era l'intenzione di Eutidemo ;) , per quello ho preventivamente precisato che, secondo me
Citazione di: Phil il 08 Aprile 2017, 21:04:16 PM
l'essere falsa non è un errore
il fatto che il computo degli errori sia sbagliato rende la frase falsa, ma non è un errore (anche perché gli altri errori sono di tipo "letterale", quindi si tende a pensare che si parli di quella tipologia di errore); credo vadano distinti "avere un errore" e "essere falsa"... se scrivessi "questa frase contiene un errore", sarebbe una frase semplicemente falsa, poiché non contiene errori, oppure è una frase "indecidibile"? Propenderei, pragmaticamente, per la prima opzione (anche alla luce del discorso sui "livelli"...).
P.s.
Per chiarire la differenza fra "avere un errore" e "essere una frase falsa": supponiamo che Mario compri un'auto, se scrivessi "Mario a comprato un'auto" sarebbe una frase con un errore, ma non falsa; potrebbe essere vera (se siamo disposti a sopperire con intuito benevolo alla carenza della "acca") oppure sarebbe una frase insensata (come se scrivessi "di per mai ieri").
CitazioneInfatti dipende dal significato che di da alle parole e (dunque anche) dalle circostanze in cui si usano.
Se uno (come solitamente, anche se purtroppo non sempre, succede) si propone di dire la verità, allora dicendo il falso commette un errore (sbaglia).
Quindi può anche darsi che (in determinate accezioni in cui questi termini vengono usati) una falsità (un predicato non adeguato alla realtà) sia anche un errore.
Per esempio se in una prova di concorso o in un "compito in classe" di fisica uno scrive che nelle trasformazioni materiali la massa si trasforma in energia proporzionalmente alla velocità della luce (anziché al quadrato della velocità della luce) questa affermazione é sia falsa, sia é (considerata in sede di valutazione come) un errore.
Mentre non é vero il contrario: un errore non é una falsità ma solo, a voler essere pignoli, un modo sbagliato di esprimersi (in un' improprietà o un difetto "intrinseco" al linguaggio, relativo a come si dice ciò che si intende dire, e non relativo alle relazioni fra il linguaggio, fra ciò che si dice, e la realtà).
Citazione di: sgiombo il 08 Aprile 2017, 21:11:44 PM
Citazione di: Phil il 08 Aprile 2017, 21:04:16 PM
Citazione di: Eutidemo il 08 Aprile 2017, 20:11:46 PM
Se, invece, vogliamo confondere ad arte i "livelli" del linguaggio, come in un gioco delle tre carte, non è difficile finire per confondersi le idee; per esempio, secondo voi, la seguente proposizione è vera o falsa?
"Questa frase contienne tre erori"
Mi pare che la frase contenga due errori (di "spelling") e quindi sia falsa, poiché per essere vera ne avrebbe dovuti contenere tre (e l'essere falsa non è un errore...).
CitazioneSe il terzo é il numero di errori che dice di contenere (tre anziché due) allora ne contiene tre (ed é falsa oltre che scorretta); ma allora é vera; ma allora é falsa; ma allora é vera; e così via all' infinito: mi sembra una variante del paradosso del mentitore!.
CitazioneCitazione da: Phil - 12 Novembre 2016, 17:50:55 pm
Citazionesi tratta di un falso problema, o meglio, di un gioco linguistico fine a se stesso: sia l'affermare che il negare, sia l'essere vero o falso, devono logicamente rimandare ad altro da sè, poichè sono affermazioni di secondo livello che presuppongono un referente di primo livello a cui riferirsi. In assenza di tale primo livello, non c'è autentico senso che venga comunicato...
Se dicessi "questa verità è falsa" non direi nulla di contraddittorio o paradossale, ma enuncerei semplicemente una proposizione insensata, perchè "questa verità" non si riferisce ad altro da sè, per cui non è nè vera nè falsa, ma semplicemente "vuota di senso" (cosa intendo con l'espressione "questa verità"? Nulla; manca il primo livello...).
Parimenti dire "questa affermazione è falsa" è insensato perchè si tratta di una pseudo-affermazione, che non afferma nulla, se non la falsità di ciò che dice/afferma, ma ciò che dice/afferma è solo la falsità stessa (di cosa?), ma non c'è un referente di un livello inferiore di cui si predichi la falsità... ed esplicitarla con ""l'affermazione "questa affermazione è falsa" è falsa"" non fa altro che aggiungere un ulteriore livello superiore (se ne possono aggiungere infiniti!) che in assenza del primo livello (quello del referente) non ha comunque senso: è come voler costruire un grattacielo senza piano terra, partendo direttamente dal primo piano (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
P.s.
Ad ulteriore esempio, anche se affermo "sto dicendo la verità" o "sto mentendo", si tratta di pseudo-affermazionì, perchè di fatto non mi riferisco a nulla (salvo riferirmi a ciò che ho detto in precedenza, ma il giochino si basa proprio sull'esclusione di questa possibilità...).
Citazioneconcordo.
Concordo anche io ;)