Nietzsche distingue il pensiero genuinamente filosofico, dal pensiero calcolante.
Il filosofo è mosso da una intuizione mistica,dalla fede nell'unità delle cose, che non proviene dalla ragione. Questa intuizione ci spinge al di là dei limiti dell'esperienza. L'intelletto calcolatore poi la segue pesantemente, cercando degli appoggi. Il pensiero filosofico non va confuso con il pensiero calcolante., perché percorre rapidamente grandi spazi, mentre quello calcolante procede a tentoni. E perché è spinto dalla fantasia, una forza illogica, che lo fa balzare di possibilità in possibilità. Il filosofo sa dunque che il suo linguaggio, la dialettica, è inadeguato a esprimere l'unità mistica che sta al di là delle cose, ma questo linguaggio è l'unico mezzo per esprimere metaforicamente ciò che ha contemplato.
Il filosofo sa distinguere ciò che è più grande e più importante, più meritevole di essere conosciuto, da ciò che non lo è.
La scienza per contro si getta a capofitto sulle cose che divora tutte, senza distinguere,
La filosofia disciplina il desiderio di conoscenza con il concetto di grandezza, indirizzando il sapere verso l'essenza delle cose.
Concordo.
Anche se ritengo che sia difficile distinguere tra le motivazioni che guidano la scienza e quelle che segue la filosofia.
Entrambe, se autentiche, scaturiscono dalla fede nella Verità.
Riguardo al pensiero "calcolante" direi che è un necessario fardello.
Non possiamo farne a meno, ma di per se stesso non ci porta da nessuna parte.
Non per niente caratteristica del diavolo è quella di contare...
La motivazione dello scienziato è nel fenomeno visivo e materiale in sé e per sé, perché così volle il metodo sperimentale perseguito e quindi indaga calcolando il fenomeno.
Il filosofo indaga non solo il fenomeno,si può porre dialetticamente con la scienza sperimentale come confronto di conoscenze ed esperienze, perché quel fenomeno deve indagarlo non in sé e per sé, ma dentro un contesto molto più vasto ,che leghi il particolare di quel fenomeno all'aspetto concettuale che spesso è universale. Ogni corrente filosofica segue vari ambiti.
Nel caso di Nietzsche, almeno del "primo Nietzsche" è l'estetica, nella sua accezione ampia, che diventa soggetto interpretante.
La fede in una Verità, se forse potrebbe essere la vera motivazione, non è detto che lo sia, anzi.
Nella modernità sorge il pessimismo nella verità e nella post modernità addirittura si dà per scontato ormai il contrario : tutto è opinione. Dipende anch'essa dalle corenti di pensiero.
Citazione di: bobmax il 26 Aprile 2020, 14:52:48 PM
Riguardo al pensiero "calcolante" direi che è un necessario fardello.
Non possiamo farne a meno, ma di per se stesso non ci porta da nessuna parte.
Sono d'accordo.
Dalla "gaia scienza" in poi anche Nietzsche si lascia attrarre dall'idea del calcolo filosofico. Lo fa puntando sull'aria aperta, i deserti d'alta quota, il buon cibo e le compagnie elettive. Nemmeno la sua filosofia rinuncia al "ricettario" che è il modo in cui la filosofia calcola. Verso la fine vi sono citazioni esplicite di come sarebbe importante anche per la filosofia appropriarsi di propri strumenti di calcolo per essere più persuasiva e meno labile di fronte allo strapotere del calcolo scientifico, che investiva ormai tutto il pensiero moderno.
A dimostrazione di quanto detto sopra, due aforismi da "Umano, troppo umano (1978)" dedicato a Voltaire che col calcolo aveva buona dimestichezza 8)
Citazione106.
Presso la cascata. — Guardando una cascata, nel vario incurvarsi, serpeggiare e rifrangersi delle onde noi crediamo di vedere libertà del volere e libera scelta; ma tutto è necessario, e ogni movimento matematicamente calcolabile. Così è anche per le azioni umane; si dovrebbe poter calcolare in anticipo ogni singola azione, se si fosse onniscienti, come pure ogni progresso della conoscenza, ogni errore, ogni malvagità. Anche colui che compie l'azione vive nell'illusione del libero arbitrio; se all'improvviso la ruota del mondo si arrestasse e un'intelligenza onnisciente e calcolatrice fosse là per utilizzare questa pausa, essa potrebbe raccontare il futuro di ogni essere sin nei tempi più lontani e indicare ogni traccia su cui quella ruota dovrà ancora passare. L'illusione che colui che agisce nutre su di sé, l'ipotesi della libera volontà, appartiene anch'essa a questo calcolabile meccanismo.
296.
Calcolare e misurare. — Veder molte cose, confrontarle, calcolarle l'una rispetto all'altra e trame una rapida conclusione, una somma abbastanza sicura — è questo che fa il grande politico, il grande condottiero, il grande uomo d'affari: — ossia la rapidità in una specie di calcolo mentale. Vedere una cosa e trovare in essa l'unico motivo per agire, l'arbitro di ogni altro agire, è ciò che fa l'eroe e anche il fanatico — ossia un'abilità nel misurare con un solo criterio.
Lo dico da profano, per animare il discorso e per chiedere a chi ne sa più di me su Nietzsche. Credo che N. debba molto alla modernità. In questi giorni di "tempo libero obbligatorio" sono andato anche a ripassare Machiavelli e mi sembra che possa anche essere azzardato un legame fra i due, nel senso di liberazione da ogni vincolo morale ed etico, in nome della sopravvivenza e del mantenimento del potere. E questo è un messaggio fortemente moderno, che si contrappone ai messaggi etici, fondati su imperativi spirituali e religiosi, del medioevo e della tradizione.
Citazione di: Ipazia il 27 Aprile 2020, 10:00:40 AM
Dalla "gaia scienza" in poi anche Nietzsche si lascia attrarre dall'idea del calcolo filosofico. Lo fa puntando sull'aria aperta, i deserti d'alta quota, il buon cibo e le compagnie elettive. Nemmeno la sua filosofia rinuncia al "ricettario" che è il modo in cui la filosofia calcola. Verso la fine vi sono citazioni esplicite di come sarebbe importante anche per la filosofia appropriarsi di propri strumenti di calcolo per essere più persuasiva e meno labile di fronte allo strapotere del calcolo scientifico, che investiva ormai tutto il pensiero moderno.
105. I fisici credono a loro modo in un «mondo vero»: un sistema atomico fisso, uguale per tutti gli esseri, con movimenti necessari – sicché per essi il «mondo apparente» si riduce al lato, accessibile ad ogni essere a modo suo, dell'essere universale e universalmente necessario [...]. Ma in ciò si ingannano: l'atomo che essi postulano è ricavato dalla logica del prospettivismo della coscienza ed è pertanto esso stesso una finzione soggettiva. [...] [I fisici] hanno tralasciato qualcosa nella costellazione senza saperlo: appunto il necessario prospettivismo, in virtù del quale ogni centro di forza – e non solo l'uomo – costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza... Hanno dimenticato di calcolare nell' «essere vero» questa forza che pone prospettive... [...]
Passo tratto da i Frammenti Postumi. (italic mio)
Dunque certamente, come in introdotto da Paul, in Nietzsche si trova una aspre critica al pensiero calcolante proprio della scienza e del positivismo, ma già dalle prime opere e nel maturare via via del suo pensiero, trovo corretto il suggerimento di Ipazia: direi che è complessa la posizione nietzschiana in quanto il prospettivismo fa confluire in sè anche il pensiero calcolante, tuttavia lo fa con una consapevolezza e profondità inedita, rilevando come le scienze compiano un errore nel computo, pur avvalendosi del pensiero calcolante. Eppure in questo prospettivismo dal sapore leibniziano, come espresso nel frammento riportato, trovo che se ne riveli la problematicità e, soprattutto, che il pensiero filosofico non si risolve in esso, ma colga argurtamente la necessità di una pluralità di prospettive interpretanti, la valutazione dei loro rapporti e relazioni, la sola che si inserisce in quel "sentire cosmico" senza tradirlo e, lo dico, ne renda conto ;D
. In ciò è "oltre", come accennato da Paul. Il pensiero danzante di Nietzsche è anche calcolante, non è una forma di irrazionalismo, una danza vitale che per essere tale necessita il ritmo dei movimenti. In questo senso, l'arte stessa in Nietzsche è una forza che si oppone strenuamente alla decadenza dell'immobilità, in ultima istanza una potenza che afferma la vitalità del cosmo.
Citazione di: Jacopus il 27 Aprile 2020, 14:34:20 PM
Lo dico da profano, per animare il discorso e per chiedere a chi ne sa più di me su Nietzsche. Credo che N. debba molto alla modernità. In questi giorni di "tempo libero obbligatorio" sono andato anche a ripassare Machiavelli e mi sembra che possa anche essere azzardato un legame fra i due, nel senso di liberazione da ogni vincolo morale ed etico, in nome della sopravvivenza e del mantenimento del potere. E questo è un messaggio fortemente moderno, che si contrappone ai messaggi etici, fondati su imperativi spirituali e religiosi, del medioevo e della tradizione.
Quello che li accomuna è la presa d'atto dello iato tra i modelli etici dominanti e i comportamenti sociali prevalenti. Entrambi cercano di calcolare le forze che portano l'uomo, inteso tanto singolarmente che socialmente, ad agire e ne valutano l'azione non in base ai principi etici professati, rivelatisi inaffidabili, ma secondo una prospettiva "realistica" cui ciascuno dei due offre il suo contributo di ricerca ed esplicazione. Sono entrambi in debito con l'ideologia dominante del loro tempo, nella versione più aggiornata, come si conviene a dei pensatori colti. L'imprinting culturale di Machiavelli è l'umanesimo rinascimentale e il suo riferimento politico è Cesare Borgia (peraltro simpatico anche a FN); per Nietzsche senz'altro ha pesato il darwinismo, importante varco universale di passaggio verso la tarda modernità. Nè poteva non subire il fascino della potenza della tecnica, Macht realizzata da un Wille così affine nella potenza, ma pure così lontano nella filosofia, al suo pensiero.
Mentre l'umanista Machiavelli è in dialogo perenne con gli
antiqui huomini che gli offrono continui spunti e stimoli al suo ragionare nella fase ascendente della modernità, Nietzsche è un pensatore della decadenza, e gli stimoli li andrà a cercare ancora più a ritroso, ma neppure la dialettica (peraltro tutta sua) dionisiaco-apollineo potrà soddisfarlo e dovrà torcerla in una archetipicità inedita che pesca un po' ovunque e raggiunge il suo apice nella figura eccentrica, spostata verso oriente, di Zarathustra.
Direi che per entrambi l'etica è epifenomeno di qualcosa di più radicale e profondo, che nella loro opera cercheranno di scoprire e
calcolare.
Citazione di: Lou il 27 Aprile 2020, 14:52:50 PM
105. I fisici credono a loro modo in un «mondo vero»: un sistema atomico fisso, uguale per tutti gli esseri, con movimenti necessari – sicché per essi il «mondo apparente» si riduce al lato, accessibile ad ogni essere a modo suo, dell'essere universale e universalmente necessario [...]. Ma in ciò si ingannano: l'atomo che essi postulano è ricavato dalla logica del prospettivismo della coscienza ed è pertanto esso stesso una finzione soggettiva. [...] [I fisici] hanno tralasciato qualcosa nella costellazione senza saperlo: appunto il necessario prospettivismo, in virtù del quale ogni centro di forza – e non solo l'uomo – costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza... Hanno dimenticato di calcolare nell' «essere vero» questa forza che pone prospettive... [...]
Passo tratto da i Frammenti Postumi. (italic mio)
Dunque certamente, come in introdotto da Paul, in Nietzsche si trova una aspre critica al pensiero calcolante proprio della scienza e del positivismo, ma già dalle prime opere e nel maturare via via del suo pensiero, trovo corretto il suggerimento di Ipazia: direi che è complessa la posizione nietzschiana in quanto il prospettivismo fa confluire in sè anche il pensiero calcolante, tuttavia lo fa con una consapevolezza e profondità inedita, rilevando come le scienze compiano un errore nel computo, pur avvalendosi del pensiero calcolante. Eppure in questo prospettivismo dal sapore leibniziano, come espresso nel frammento riportato, trovo che se ne riveli la problematicità e, soprattutto, che il pensiero filosofico non si risolve in esso, ma colga argurtamente la necessità di una pluralità di prospettive interpretanti, la valutazione dei loro rapporti e relazioni, la sola che si inserisce in quel "sentire cosmico" senza tradirlo e, lo dico, ne renda conto ;D . In ciò è "oltre", come accennato da Paul. Il pensiero danzante di Nietzsche è anche calcolante, non è una forma di irrazionalismo, una danza vitale che per essere tale necessita il ritmo dei movimenti. In questo senso, l'arte stessa in Nietzsche è una forza che si oppone strenuamente alla decadenza dell'immobilità, in ultima istanza una potenza che afferma la vitalità del cosmo.
L'
epistemologia nicciana dovrebbe essere studiata a parte per poterne fare un discorso compiuto. Quel frammento è tra gli ultimi scritti di FN e fa parte dei lavori preparativi per l'opera summa che avrebbe dovuto essere "La volontà di potenza" che purtroppo non venne alla luce se non nella forma manipolata dalla sorella per fare un po' di cassa con frammenti che non hanno una continuità logica. FN negli ultimi anni, prima del crollo, meditava su fisica, chimica, biologia, evoluzionismo, per poter dare un carattere totale alla sua Weltanschauung. Un sistema. Ma purtroppo non arrivò alla fine dell'opera: l'agognato
spirito della terra gli negò il Sistema e probabilmente gli fece un favore.
Tre anni prima di quel frammento troviamo quest'altra riflessione che forse ci può indicare la rampa di lancio della sua
prospettiva iniziale "metafisico-epistemologica" sull'atomo.
Citazione di: FN frammenti postumi AUTUNNO 1885 - PRIMAVERA 18861 [32] - Il postulare atomi è solo una conseguenza del concetto di soggetto e di sostanza: in qualche posto ci dev'essere «una cosa ›› da cui l'attività comincia. L'atomo è l'ultimo rampollo del concetto di anima.
Non credo che Democrito e Leucippo avrebbero condiviso e senz'altro neppure Mendeleev. Su una prospettiva opposta a quella materialistica testè evocata, chissà come vedrebbe oggi Nietzsche tutto questo affaccendarsi spiritualistico intorno alla quantistica ?! :D
Personalmente credo che una 'intuizione' dell'universale nel particolare (in un certo senso) in realtà è presente nella scienza. Forse, anzi, essa è un aspetto centrale della scienza stessa. In fin dei conti, non ci sarebbe scienza se non si osservassero regolarità nei fenomeni e delle somiglianze tra di essi.
Questa 'osservazione', secondo me, oltre ad essere un qualcosa di empirico è anche di fatto una sorta di 'intuizione'. Un'intuizione che ci spinge a credere, per esempio, che ci debba essere una 'ragione profonda' per queste regolarità e queste somiglianze. A mio giudizio, l'idea secondo cui la scienza è solo un efficace strumento di predizione e che essa non 'rivela' ciò che potremmo chiamare appunto 'ragioni profonde' rischia, se eccessivamente generalizzata, di essere fuorviante. Facendo un esempio, anche se la teoria di gravitazione universale non ci spiega - in un certo senso - 'cosa' è la gravità, è anche vero però che ci fa cogliere l'universale nel particolare: infatti anche se non conosciamo ciò che potremmo chiamare la 'natura ultima' della gravità, è chiaro che in un certo senso la 'ragione' per cui la Luna orbita attorno alla Terra è la stessa per cui i gravi cadono. Una 'legge' dalla quale riusciamo a predire con straordinaria accuratezza una enorme quantità di fenomeni. Se guardiamo alla storia della scienza, essa sembra essere un processo continuo di 'unificazioni'. Si osserva una molteplicità di fenomeni e si cerca di costruire una teoria, ovvero un sistema concettuale che cerca in primo luogo di predire accuratamente le osservazioni in laboratorio e, in secondo luogo, quando è possibile formulare un modello concettuale che cerca di integrare tutti questi fenomeni. In ambo i casi, ritengo che si manifesta una certa intuizione dell'universale nel particolare.
La stessa 'speranza' che le nostre predizioni possano 'valere' anche nel futuro ci suggerisce che i fenomeni che si osservano in futuro debbano 'somigliare' a quelli che si osservano nel passato. Certo, il divenire non può essere negato ma concentrarsi solo sul cambiamento, sulla diversità . E questo non è solo qualcosa che possiamo pensare per quanto riguarda il divenire temporale. Una delle assunzioni fondamentali è che ci sia una certa 'omogeneità' anche nello spazio. In particolare, noi crediamo che le predizioni basate su ciò che si è osservato in un laboratorio nel posto X possano 'importare' qualcosa anche a chi lavora in un laboratorio nel posto Y. In altre parole, arriverei a dire che probabilmente in noi è addirittura 'innata' una 'convinzione' (per mancanza di una parola migliore) che ci sia una 'affinità' tra i fenomeni che osserviamo.
Quindi da una parte ci sono le distinzioni e la molteplicità, dall'altra queste regolarità, queste 'affinità', queste somiglianze, queste relazioni che ci spingono verso una visione 'unitaria'. Una sorta di 'mondo ambiguo' dove particolarità e universalità sembrano per così dire 'presentarsi' entrambe.
Direi che lo stesso pensiero scientifico necessita di questi due elementi. Anche se si tratta solo di fare previsioni, si tratta di cogliere relazioni 'universali' nella molteplicità dei fenomeni particolari.
Personalmente, non vedo nell'intuizione dell'universale nel particolare un qualcosa che è in conflitto con il sapere scientifico. Anzi quest'ultimo sembra appoggiarsi, secondo me, anche su tale intuizione o qualcosa di analogo, ovvero che ci sia una spinta a trovare regolarità, qualcosa che accomuna i fenomeni osservati ecc.
Premetto che con Nietzsche ho un rapporto....dialettico, fatto anche di contrasti.
Ma rispetto molto la sua posizione culturale, è sicuramente affascinante e per me fortemente ambiguo, ma non in senso deleterio e denigratorio, bensì costruttivo.
Nietzsche esalta l'estetica, dandogli a mio parere dei nuovi significati storici e di perspicacia che hanno enormemente influito su tutta la filoosfia del Novecento ad oggi. Questa estetica è vicina alla mistica seppur despiritualizzata, privata dai connotati direttamente religiosi. E' direi quasi estasi.
Il calcolo è nella misura delle proporzioni plastiche della cultura dorica greca che contraddistingue con Apollo. Essendo un dio ha quelle caratteristiche virtuose degli dei che per nietzsche sono tutto sommato una forma di sublimazione umana del dolore che inventa una perfezione.
La dismisura, il non calcolo è nel sileno e nei riti Eleusini orgiastici, in Dioniso, nell'ebbrezza.
Il contrasto, gli antipodi sono fra misura e calcolo e virtù e dall'altra istinto, ebrezza, dismisura, la danza e la musica del ditirambo. La tragedia greca è un processo che in Nietzsche crea stupore, perché sono uniti calcolo e dismisura, seppur Nietzsche sia dionisiaco.
Perchè la tragedia è la forma di sublimazione, la chiamo così io per intenderci, in cui l'attore è lui stesso opera d'arte, perch' incarna sia il dolore che l'ebrezza.
Insomma sì, mi trovate d'accordo che vi è una unità fra il calcolo della misura e la dismisura dell'ebrezza, e penso che l'uomo, indipendentemente da come pensi Nietzsche, sia in effetti proprio così. E' istinto e intuito , ma anche calcolo, misura e concetto. E' passione e raziocinio.
Rispondendo anche a Jacopus,
personalmente ritengo molto diversi Nietzsche e Machiavelli.
Machiavelli nel Principe dà dei consigli di opportunità e di convenienza, potremmo dire fa dei calcoli politici il cui fine è il potere del principe. Netzsche non fa calcoli, tant'è che la tragedia greca viene scritta nella crisi culturale pangermanica, come dire che la tragedia nel popolo greco è un modello. Nietzsche non ha una morale ante litteram, ha un estetica inusitata e originale che influirà enormemente sul Novecento ad oggi. E' mistica, è estasi.
Nietzsche non accetta la morale come invenzione umana per sublimare il dolore, preferisce che sia la tragedia estetica a raccontare la misura e la dismisura, la virtù e il vizio a misura ,se così si può dire, della condizione e natura umana. Non nega un "uno primigenio", ma penso trovi inutile costruirne appellativi e attributi, predicarne concetti di cui l'uomo non conosce, L'uomo deve accettare la sua condizione, mi sembra dire Nietzsche senza farsi illusioni, ma decidendo che può essere artefice di se stesso. Trovo insomma Nietzsche di tutt'altra statura e ambito rispetto a Machiavelli. Alla fine di Zarathustra nella sua caverna accoglie le persone miserevoli e li sfama e disseta, rimane sempre qualcosa di profondamente umano, di autentico, che misura le persone altrui ma con compassione.
Apeiron penso che infondo intuito e ragione calcolante, persino i due emisferi del cervello umano sembra che siano divisi, ma al fine uniti dalla corteccia cerebrale, si sposino in qualunque arte e scienza, attività.
Come potrebbe la sola ragione calcolante poter andare oltre il già conosciuto senza un intuito?
E' l'intuito che provoca la ragione a compiere un balzo oltre. E la ragione può confermare o meno ciò che l'intuito ha "annusato".
Come può un compositore di musica dire che odia la matematica, se la regola e la misura dello musica stessa è nelle note frazionarie della minima ,semibreve, e nei ritmi ternari del walzer o nei binari della bande musicali è nei cicli delle ottave musicali delle scale musicali per costruire gli accordi?
Io penso siano intimamente uniti
CitazioneApeiron penso che infondo intuito e ragione calcolante, persino i due emisferi del cervello umano sembra che siano divisi, ma al fine uniti dalla corteccia cerebrale, si sposino in qualunque arte e scienza, attività.
Come potrebbe la sola ragione calcolante poter andare oltre il già conosciuto senza un intuito?
E' l'intuito che provoca la ragione a compiere un balzo oltre. E la ragione può confermare o meno ciò che l'intuito ha "annusato".
Come può un compositore di musica dire che odia la matematica, se la regola e la misura dello musica stessa è nelle note frazionarie della minima ,semibreve, e nei ritmi ternari del walzer o nei binari della bande musicali è nei cicli delle ottave musicali delle scale musicali per costruire gli accordi?
Io penso siano intimamente uniti
@Paul,concordo che c'è una profonda 'connessione' tra l''intuito' e la 'ragione' e che l'intuito compie il primo 'passo' (e direi ance che qualcosa è innato...). C'è poi, secondo me, un 'meccanismo di feedback', per così dire, tra i due che si può osservare nella scienza stessa. Nel senso che certamente si può cogliere la 'profondità', per esempio, della teoria della gravitazione universale anche senza approfondire. Ma poi, però, quando si indaga con la ragione, questa intuizione sembra anch'essa approfondirsi - ciò può a sua volta stimolare la ragione e così via. Porti l'esempio della matematica... qui direi che l'oggetto dell'intuito diventa la ragione stessa, almeno nei casi in cui si studia la matematica 'pura'. E quindi nello studio della matematica si può avere una comprensione intuitiva del ragionamento stesso...
E a questo punto si può anche notare un collegamento con l'arte. Come ben dici, come si può negare un 'legame' tra l'armonia della musica e la matematica? Matematica e scienza possono essere anch'esse l'oggetto della contemplazione estetica. Si parla, per esempio, della bellezza data dalla semplicità di alcuni 'leggi fisiche' - senso di bellezza che nasce dal vedere 'armonizzati' una grande quantità di fenomeni. O della bellezza della matematica...Bertrand Russell si esprimeva così sulla 'bellezza' della matematica (da
Wikipedia):
CitazioneMathematics, rightly viewed, possesses not only truth, but supreme beauty—a beauty cold and austere, like that of sculpture, without appeal to any part of our weaker nature, without the gorgeous trappings of painting or music, yet sublimely pure, and capable of a stern perfection such as only the greatest art can show. The true spirit of delight, the exaltation, the sense of being more than Man, which is the touchstone of the highest excellence, is to be found in mathematics as surely as poetry.
CitazioneLa matematica, se vista rettamente, possiede non solo verità, ma anche una bellezza suprema - una bellezza fredda e austera, come quella della scultura, che non affascina alcuna parte della nostra natura più debole, senza gli stupendi orpelli della pittura o della musica, eppure sublimemente pura, e capace di una severa perfezione che solo la più alta arte può mostrare. Si può trovare nella matematica così come nella poesia, il vero spirito di incanto, dell'esaltazione, la sensazione che è oltre l'uomo, che è il termine di paragone della più alta eccellenza.
Ma lo studio della scienza ci può anche dare, credo, un differente tipo di 'esperienza estetica'. Qualcosa che non rientra nel 'bello' ma forse può essere considerato un sottotipo del 'sublime', per utilizzare la terminologia di Schopenhauer. Studiare, per esempio, l'evoluzione delle stelle e scoprire che esse, 'seguendo' regolarità, sono destinate ad avere un determinato processo vitale e spegnersi ci può far contemplare la transitorietà delle cose, che non rientra nell'esperienza del 'bello', anche se riprendendo nuovamente Schopenhauer può essere in un certo senso 'catartico', come la lettura di una tragedia.
Così abbiamo che da una parte lo stupore, la meraviglia, la contemplazione delle regolarità della natura, del mutamento ecc ci possono stimolare la ragione, abbiamo che può avvenire il procedimento inverso. E questo 'processo di feedback' può continuare a ripetersi.
D'altra parte, è anche vero che può succedere che si abbandoni questo 'elemento' 'intuitivo-estetico-contemplativo' (interessante, a mio giudizio, sarebbe anche riflettere sulle relazioni tra questi tre aspetti) per conservare un 'elemento' 'razionale' puramente 'pragmatico' e quindi 'freddo' - pensare la scienza in termini di 'qualcosa di utile' può certamente favorire questo processo. E magari può succedere anche l'inverso, ovvero che la razionalità venga 'abbandonata'.
Personalmente, quindi, ritengo che anche nel caso della scienza stessa, entrambi questi elementi debbano essere presenti :)
Ciao Aperion,
sì, c'è qualcosa di innato, anche una predisposizione del cervello umano che matura con l'esperienza della vita. D'altra parte i bambini prescolastici non hanno ancora capacità raziocinanti che a loro volta maturano con l'acquisizione linguistica, hanno soprattutto intuito.
D'altra parte la matematica, la geometria devono saltare fuori da qualcosa, non sono oggetti naturali, sembrerebbero strumenti metaforici ,come la lingua, che lavorano in parallelo alla realtà per simboli, segni, così bene che riescono a rappresentare, a modellare la realtà. Quando si dice che il cervello è analogico al mondo.
Forse l'intuito funge da substrato su cui poggia la razionalità del calcolo senza che quest'ultima sopprima l'intuito, lavorano in parallelo.
Penso che gli antichi, ai primordi della geometria e matematica, fossero ancora più stupiti di noi di come la corrispondenza fra strumento conoscitivo ed oggetto di conoscenza , le cose del mondo, coincidessero, tanto da farne conoscenza esoterica, ermetica.
L'estetica in Nietzsche è già la visione nella rappresentazione sopra la realtà interpretata.
E' lo stesso artista, l'attore tragico che incarna la rappresentazione del mondo in cui vive la condizione tragica umana fra misura e dismisura, Questa visione diventa potente quando fra creatore del'opera, attore e spettatore si crea il pathos, tanto che lo spettatore è dentro l'attore e l'attore nel creatore, c'è un'unione
Il pensiero calcolante ha bisogno di omogeneità, la matematica si applica ad un insieme di oggetti che reputa omogenei. Più la matematica si diffonde nella vita dell'uomo e più ha bisogno di omogeneità. Una volta instillato nell'uomo il bisogno della matematica, per conseguenza si innesca il bisogno dell'omogeneità. Omogeneità di pensiero, di vedute, di preferenze. Rendi il mondo omogeneo, al resto penserà la matematica. Ma questa non è la realtà, il nostro essere è fatto di parti diverse che spesso lottano fra loro. Ma nemmeno possiamo rinunciare del tutto al pallottoliere. È un pò il discorso del come e del perchè. Abbiamo bisogno di entrambi. Ma quando l'uno e quando l'altro? Armonia dei contrari......
Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM
Ciao Aperion,
sì, c'è qualcosa di innato, anche una predisposizione del cervello umano che matura con l'esperienza della vita. D'altra parte i bambini prescolastici non hanno ancora capacità raziocinanti che a loro volta maturano con l'acquisizione linguistica, hanno soprattutto intuito.
Ciao @Paul, concordo. Diciamo che c'è anche il 'seme' delle 'capacità raziocinanti'. Molto interessante sarebbe investigare la relazione linguaggio-ragione. :)
Effettivamente ragione e linguaggio sembrano piuttosto connessi (non a caso, se non erro la parola 'logos' significa anche discorso, parola...).
[size=78%]Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM[/size]
D'altra parte la matematica, la geometria devono saltare fuori da qualcosa, non sono oggetti naturali, sembrerebbero strumenti metaforici ,come la lingua, che lavorano in parallelo alla realtà per simboli, segni, così bene che riescono a rappresentare, a modellare la realtà. Quando si dice che il cervello è analogico al mondo.
Forse l'intuito funge da substrato su cui poggia la razionalità del calcolo senza che quest'ultima sopprima l'intuito, lavorano in parallelo.
Penso che gli antichi, ai primordi della geometria e matematica, fossero ancora più stupiti di noi di come la corrispondenza fra strumento conoscitivo ed oggetto di conoscenza , le cose del mondo, coincidessero, tanto da farne conoscenza esoterica, ermetica.
Sì, penso che questo sia uno dei misteri più interessanti. Penso che una parte della matematica si può dire che è 'inventata', ma 'qualcosa' della matematica sembra essere scoperta. Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità. Come può a-priori il mondo essere comprensibile all'indagine della ragione? Fin dall'antichità si sono formulate ipotesi su questo. Si possono elencare varie ipotesi:1) Il fatto che la matematica 'funzioni', che 'il mondo sia comprensibile' ecc è semplicemente un mistero...è un fatto così che semplicemente non può essere spiegato;2) è un mistero, ma una 'risposta' c'è ma è impossibile saperla;3) la 'regolarità' dell'universo è dovuta alla presenza di un qualche tipo di 'Intelligenza' ordinatrice/creatrice (posizione ovviamente molto generica che comprende teismi, deismi, panteismi ecc);4) la 'regolarità' è dovuta al fatto che il 'mondo fenomenico' è una rappresentazione dovuta al fatto che le sensazioni sono 'formate' dalla mente (in questa alternativa racchiudo 'kantismi' vari, almeno certe varianti della fenomenologia ecc);Ovviamente, se uno risponde (3), la cosa resta comunque un mistero (si spiega solo la presenza di regolarità in questo modo...).
Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM
L'estetica in Nietzsche è già la visione nella rappresentazione sopra la realtà interpretata.
E' lo stesso artista, l'attore tragico che incarna la rappresentazione del mondo in cui vive la condizione tragica umana fra misura e dismisura, Questa visione diventa potente quando fra creatore del'opera, attore e spettatore si crea il pathos, tanto che lo spettatore è dentro l'attore e l'attore nel creatore, c'è un'unione
Penso di concordare con questa interpretazione dell'estetica nietzscheiana. Per quanto mi riguarda, ritengo che però la 'risposta' di Nietzsche alla 'tragicità' sia estrema e ciò conduce a certe idee secondo me 'disturbanti' che si trovano nella sua etica*. Personalmente, preferisco l'analisi della 'tragicità' di Schopenhauer, anche se ritengo anche lui 'estremo', ma in senso opposto...d'altra parte ritengo che la sua analisi dell'esperienza estetica sia molto interessare anche per chi non condivide la sua filosofia.
*Penso che Nietzsche deve molto ad Eraclito di Efeso su queste sue posizioni. Secondo Eraclito, per esempio: "
dobbiamo riconoscere che il conflitto è comune, che la contesa è giustizia [dike eris]
..."(frammento DK22 B 80) - ovvero una (disturbante) 'glorificazione' del conflitto/contesa. In altre parole, Nietzsche come Eraclito vedendo il 'conflitto' (in varie forme) presente nel mondo pensava che fosse qualcosa da affermare. Curiosamente, Anassimandro si esprimeva in termini ben diversi sulla cosa, sostenendo che il conflitto fosse in realtà 'ingiustizia':
Citazione
«Principio degli esseri è l' apeiron ... da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo»(Anassimandro, in Simplicio, De physica, 24, 13)
(fonte:
Wikipedia)**
Anche Nietzsche si accorse del contrasto tra Anassimandro ed Eraclito (precisamente nella 'Filosofia nell'età tragica dei greci', anche se nella sua citazione di Anassimadro non ci sono le parole 'l'uno all'altro' se non erro). Curiosamente, vedeva in Anassimandro, per così dire, una sorta di predecessore di Schopenhauer.
Ad ogni modo, concordo con Nietzsche sul fatto che è necessario coltivare sia l''intuito' che la 'razionalità'. Perdere di vista uno dei due può portare ad errori.
P.S. ** ho leggermente modificato la traduzione di Wikipedia, sostituendo la parola 'infinito' con 'apeiron'.
Citazione di: cvc il 29 Aprile 2020, 12:00:00 PM
Abbiamo bisogno di entrambi. Ma quando l'uno e quando l'altro? Armonia dei contrari......
Punto di vista interessante
@cvc :)
Il pensiero 'calcolante' procede per step, gradualmente, cerca di dimostrare passo per passo. L''intuizione' invece procede per salti. Su certe cose sembrano effettivamente dei 'contrari'.
Ed è meglio evitare di 'mantenere' solo uno dei due 'contrari'. Se non si coltiva l''elemento' intuitivo, il rischio è di sviluppare una 'fredda razionalità' calcolante. Se, inversamente, se non si coltiva l''elemento' 'razionale', il rischio è di cadere, ad esempio, in 'trappole cognitive' come l''
apofenia' ecc.
X Cvc
Il pensiero calcolante costruisce categorie e classificazioni per caratteristiche omogenee.
A mio parere è una necessità razionale che nasce dalla natura stessa come logica di energia , di efficienza, vale a dire memorizzare, sistematizzare acquisizioni di informazioni, di conoscenze.
Perché aiuta il confronto di nuove conoscenze con quelle già acquisite.
Penso che l'intuizione venga prima del pensiero calcolante, come avviene nell'evoluzione nei bambini. Il pensiero calcolante non è uno "strumento" a parte di quello intuitivo. Quello intuitivo si sviluppa per immediatezza, ha necessità dell'immagine del segno e simbolo. Una volta "assimilato" il segno e simbolo si sviluppa il linguaggio che diventa riflessivo, nel senso che si possono confrontare i segni e i simboli fra loro, le parole o le lettere dell'alfabeto per la dizione, come le cifre nei numeri e da lì iniziare la complessità della semantica e sintassi e dall'altra dell'aritmetica, matematica, algebra, insiemistica, ecc. I due "strumenti" non sono antagonisti fra loro, l'artistica necessita di tecniche oltre che di intuizioni, viceversa lo scienziato. L'intuito lavorando per immagini segniche e simboliche è più veloce ed immediato, ma può più facilmente sbagliare; il calcolo, il formalismo nei sistemi linguistici necessita di regole e ordini che l'intuito "salta". Penso che l'innovazione artistica e scientifica nasca soprattutto da un atto intuitivo è un'immagine "mentale" che necessita di un calcolo odi una tela nel pittore o dello spartito nella musica, ecc. L'intuito può aiutare un blocco un impasse di calcolo. Penso che un ricercatore scientifico oltre che di notevole conoscenze tecniche necessita di un buon intuito.
X Aperion
citaz.
Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità
Esatto a mio parere è davvero un grande mistero soprattutto se quel mondo appartiene allo stesso umano come rappresentazione di quel mondo, appunto con intuizione e calcolo.
Riprendo volentieri i tuoi interessanti spunti:
1) e' vero, tant' è che nell'antichità i pitagorici erano "chiusi" nella dottrina ermetica, esoterica. Avevano capito che geometria e matematica potevano spiegare il mondo e ciò era un grande potere umano e in quanto tale meglio non diffondere. C'è stata una geometria "sacra".
L'Accademia di Platone, si dice che non vi si potesse accedere senza conoscenze della geometria.
Euclide fu discepolo di Platone, e Teeteto , illustre matematico/geometra ,appare in un dialogo socratico.
2) è esatta la tua formulazione del problema, è un mistero al di là della nostra comprensione
3) esatta anche questa tua formulazione, ci aggiungerei anche qualunque formulazione non
necessariamente religiosa. E questo è un tema "forte" nella metafisica se lo si relaziona a ciò che hai citato in Einstein. Come può presentarsi un ordine e una regolarità che in sé permette la sua comprensione. Se non ci fosse, ogni giorno la nostra esperienza precedente verrebbe azzerata, vi sarebbe caos ,irregolarità, disordine. Nessuna possibilità di tesaurizzare conoscenze ed esperienze.
Ne mio personale modo di pensare è il principio "forte" per cui c'è qualcosa di intelligente, ribadisco, non necessariamente postulatile come un Dio, dei, ecc. Questa è per me "la verità incontrovertibile" e che Nietzsche, visto che è nel tema della discussione, chiama " uno primigenio".
4) è "debole" questa posizione, perché un muro è un muro e se "ci sbatto contro" fa male e questo prescinde dalla mia mente, perché contro quel muro chiunque vada a sbatterci si fa male come me.
C'è una realtà naturale e fisica incontrovertibile che non è invenzione mentale umana.
L'uomo può con intuito e ragione attraverso la tecnica, manipolare quel muro materico, abbatterlo, trasformarlo in altro confacente al suo scopo. L'uomo come creazione, per quanto potente ma anche limitata, è artefice. Ed è qui che "sorge" Nietzsche.
In questo periodo studio anche Nietzsche seguendo cronologicamente le sue opere.
Questo è ,almeno per ora, le considerazioni che a mio parere posso fare.
Nietzsche glissa volutamente la morale, opponendo l'estetica.
Perché accetta il mondo come si presenta all'uomo, senza illusioni morali (a parer suo...).
E' una posizione che non riesco a condividere ,ma ha un sua "forza".
Provo a spiegare.
Il credente , ateo, agnostico, tutti non possono negare che nel mondo vi sia il dolore e sofferenza(anche gioia e felicità) e il destino umano sia segnato nella morte.
Credere ad un Dio o agli dei significa che sono artefici anche di questo. E questo è almeno un poco contraddittorio : che colpa abbia mai la stirpe umana da dover soffrire? La teodicea è un tentativo di risposta sull'effetto, ma rimarrebbe il mistero del perché il "demiurgo" abbia creato anche il dolore.
Le religioni rispondono attraverso le "Sacre Scritture": prendere o lasciare.....o avere dubbi.
Insomma, o ci si crede o non ci si crede. E' un atto di fiducia, di fede. L'aldilà è necessario se si segue lo schema logico religioso, oppure Dio o chi per Lui, deve apparire come "profeta incarnato" per ridare pace all'umanità e al mondo terreno, togliendo il dolore e la morte; quest'ultimo è vicino al pensiero ebraico.
Nietzsche ritiene che tutto ciò sia invenzione umana, quindi mantiene la posizione "forte" di un "uno primigenio" dentro la regolarità e ordine dei fenomeni universali, ma accetta tutto ciò che è natura senza illudersi di un Dio religioso e non vede alcuna morale nelle regole naturali .Vede il forte e il debole nella natura e nell'umanità il coraggio e la viltà, la compassione: è questa per Nietzsche la vera misura naturale in cui l'uomo deve a sua volta misurarsi. Quindi sparisce ogni regola morale, e la odia in quanto rende l'uomo debole, mortificato, in attesa......, e quindi non vive come forza vitale i suoi giorni. A questo punto l'uomo è artefice della propria esistenza, nel senso che vive come forza e potenza e non deve rispondere a nessuno se non a se stesso, all'ordine e regolarità naturale e non c'è ribadisco alcuna morale; il comportamento umano, l'etica risponde alla sua stessa forza vitale come qualunque vivente, come potenza . Il "mentale" umano ,se così posso dire, allora diventa estetica, estasi della propria forza come artefice creativo e ne accetta la tragedia per cui anche quest'ultima diventa rappresentazione epica. L'uomo non è più a misura di un Dio, è a misura di se stesso. Questo non toglie a Nietzsche la compassione umana, la solidarietà, l'umanità intesa come "sentire" umano, il mistico. Ma mutando lo scenario è chiaro che l'uomo diventa guerriero naturale, e quindi vengono esaltate le forze , le qualità umane più potenti, quell' istintive che sono crudeltà da una parte, e solidarietà dall'altra. Ma l'agire non è più relazionato al"timor di Dio", ma al solo sentire umano. C'è, sempre amio parere, una forma di spontaneismo istintivo umano ,derivato dall'impulso naturale e mediato dalle qualità umane sia concettuali che passionali.
E' chiara quindi l'esaltazione estetica, nel suo significato più ampio.
Quindi se il credente sublima il dolore e la sofferenza come "prova" da vivere per un mondo migliore nell' al di là, abbassa la testa e sopporta le prove della vita, che è l'atto di sottomissione ad un Dio, in quanto misura dei propri passi nel mondo.
Se non si accetta invece che la misura della propria esistenza sia Dio, è necessario comunque accettare dolore e sofferenza e fin la morte come regola dell'ordine naturale, ma si apre il mondo delle possibilità non più ristrette dal peccato morale e diventa naturale l'ebrezza per sublimare il dolore e la sofferenza rappresentate dentro l'estetica e quindi anche nella rappresentazione della tragedia. E' una forma di "spirtualità" atea. L'estasi, il mistico si spostano nel godere dei frutti della natura, negli esseri viventi che ne brulicano vivendo.
Sì, Nietzsche deve molto ad Eraclito, che è un filosofo complesso, molto più di quel che comunemente si vuol far passare. Deve qualcosa anche a Schopenhauer, di cui non approva la visione pessimistica sulla volontà.
Il conflitto è interno alla regola naturale, è nelle catene alimentari, è quello che con termini morali definiamo ferocia, ma il leone se vuole sopravvivere deve essere feroce e non come termine morale. Il mimetismo animale non è forse un inganno? Ma non è più un termine morale se lo si applica alle regole naturali per sopravvivere, ecc.
P.S. E' mia interpretazione sul pensiero di Nietzsche e miei pure i ragionamenti, quindi prenderli
con il "beneficio d'inventario". Mi sembrava onesto specificarlo.
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM
X Aperion
citaz.
Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità
Esatto a mio parere è davvero un grande mistero soprattutto se quel mondo appartiene allo stesso umano come rappresentazione di quel mondo, appunto con intuizione e calcolo.
Riprendo volentieri i tuoi interessanti spunti:
1) e' vero, tant' è che nell'antichità i pitagorici erano "chiusi" nella dottrina ermetica, esoterica. Avevano capito che geometria e matematica potevano spiegare il mondo e ciò era un grande potere umano e in quanto tale meglio non diffondere. C'è stata una geometria "sacra".
L'Accademia di Platone, si dice che non vi si potesse accedere senza conoscenze della geometria.
Euclide fu discepolo di Platone, e Teeteto , illustre matematico/geometra ,appare in un dialogo socratico.
@Paul,anzitutto preciso che, in effetti, per quanto riguarda le 'quattro ipotesi' che volevo presentare in realtà come 'alternative' idealizzate è certamente vero che - come giustamente hai notato tu - si può 'prendere' qualcosa da più di una di esse senza necessariamente cadere nell'incoerenza.
Sicuramente alcune scuole di pensiero antiche erano molto 'sensibili' al 'mistero' in questione. Il pensiero pitagorico e platonico certamente dà molta importanza alla 'regolarità' nel mondo. Ma è anche vero che la convinzione che i fenomeni fisici rispettassero certe proporzioni era evidente anche per altri pensatori dell'epoca. Eraclito, per esempio: "
Quest'ordine del mondo, che è lo stesso per tutti, non lo fece né uno degli dei, né uno degli uomini, ma è sempre stato ed è e sarà fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accende e al tempo dovuto si spegne." (fr. 30) e "
Mutazioni del fuoco: in primo luogo mare, la metà di esso terra, la metà vento ardente." (fr. 31) (da
Wikiquote). Ed Eraclito chiaramente non aveva una grande opinione di Pitagora. Eppure, sull'idea della 'regolarità' del mondo, fondava di fatto la sua filosofia. E anche lui vedeva una profonda connessione tra uomo e questo 'ordine'.
Per quanto riguarda Pitagora, credo che si sappia troppo poco sul suo pensiero per esprimersi. Per Platone...leggendo il Timeo sembra che Platone sostenesse l'ipotesi (3) ovvero di un'intelligenza 'regolatrice' che 'seguendo' le Forme del mondo intellegibile ha 'plasmato' il mondo naturale/sensibile. Ma Platone l'ha anche presentato come un 'mito' e quindi non si può dire se effettivamente la pensava così. Di certo, secondo me, è una possibile lettura della sua filosofia.
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM3) esatta anche questa tua formulazione, ci aggiungerei anche qualunque formulazione non
necessariamente religiosa....
Ne mio personale modo di pensare è il principio "forte" per cui c'è qualcosa di intelligente, ribadisco, non necessariamente postulatile come un Dio, dei, ecc. Questa è per me "la verità incontrovertibile" e che Nietzsche, visto che è nel tema della discussione, chiama " uno primigenio".
Sì, la intendevo in senso generico. Intendevo infatti uno spretto enorme di posizioni. Per esempio, la Nous di Anassagora e forse anche il logos di Eraclito (dico 'forse' perché si possono fare ipotesi su cosa fosse di preciso questo 'logos'...).
Certamente, l'assunzione della presenza di una 'realtà esterna' avente una 'regolarità invariabile' e 'comprensibile' fornisce un ottimo 'fondamento' alla nostra conoscenza. Posto che questa regolarità ci sia, come possiamo spiegare la sua comprensibilità?
Certamente ipotizzare la presenza di una 'Mente' (in senso più o meno generico) sia 'responsabile' di tale comprensibilità è secondo me un'ipotesi in fin dei conti plausibile, visto che a priori non ci dovremmo aspettare tale comprensibilità. Curiosità: cosa è l''uno primigenio'? Non ricordo di aver trovato questo concetto nelle mie letture di FN ::)
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM4) è "debole" questa posizione, perché un muro è un muro e se "ci sbatto contro" fa male e questo prescinde dalla mia mente, perché contro quel muro chiunque vada a sbatterci si fa male come me.
C'è una realtà naturale e fisica incontrovertibile che non è invenzione mentale umana.
...
Diciamo che anche io ho perplessità sulla posizione 'puramente fenomenologica', nel senso che non sono veramente convinto del fatto che un 'fondamento' serva (non sono sicuro del come avrebbe risposto per esempio Kant...). Quello che però riprendo da questo tipo di filosofie è che concordo che c'è un forte contributo del 'soggetto conoscente' (inoltre, trovo interessanti le prospettive fenomenologiche sul 'problema difficile della coscienza', ad es. il filosofo Michel Bitbol).
Se però manca un 'fondamento' - ovvero una realtà 'in sé' (nel senso del noumeno kantiano) - si riesce veramente ad evitare un 'relativismo' o anche un solipsismo epistemologico/scettico. Se così succede, a questo punto l'ipotesi più ragionevole sembra essere quella di un 'realismo indiretto' (non 'naive').
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM
In questo periodo studio anche Nietzsche seguendo cronologicamente le sue opere.
Questo è ,almeno per ora, le considerazioni che a mio parere posso fare.
Nietzsche glissa volutamente la morale, opponendo l'estetica....
Nietzsche ritiene che tutto ciò sia invenzione umana, quindi mantiene la posizione "forte" di un "uno primigenio" dentro la regolarità e ordine dei fenomeni universali, ma accetta tutto ciò che è natura senza illudersi di un Dio religioso e non vede alcuna morale nelle regole naturali .Vede il forte e il debole nella natura e nell'umanità il coraggio e la viltà, la compassione: è questa per Nietzsche la vera misura naturale in cui l'uomo deve a sua volta misurarsi. Quindi sparisce ogni regola morale, e la odia in quanto rende l'uomo debole, mortificato, in attesa......, e quindi non vive come forza vitale i suoi giorni. A questo punto l'uomo è artefice della propria esistenza, nel senso che vive come forza e potenza e non deve rispondere a nessuno se non a se stesso, all'ordine e regolarità naturale e non c'è ribadisco alcuna morale; il comportamento umano, l'etica risponde alla sua stessa forza vitale come qualunque vivente, come potenza .
Il problema è che dietro tutti questi discorsi trovo che, ironicamente, Nietzsche che si professava 'umanista' finisce per svalutare una delle più 'rilevanti' abilità dell'uomo: il pensiero contro-fattuale.
In fin dei conti, cosa è l'etica se non (anche) il contrapporre un 'dover essere' a un 'essere'? O in termini meno 'metafisici' cos'è se non (anche) il notare la presenza di 'qualcosa che non va' e cercare un 'rimedio'. Perché l'uomo che non accetta il 'mondo così come è' dovrebbe essere mortificato o 'debole'?
In sostanza, a parer mio, la mia impressione è che Nietzsche, convincendosi della 'bontà' del mondo cercava di dire qualcosa del tipo: "questo mondo
in realtà non ha alcun problema. Il problema è presente solo in chi non accetta." Così, in pratica, si costringe l'uomo ad accettare come 'senza problemi' un mondo 'problematico'. In altre parole, per Nietzsche il fatto che "il mondo è così" implica che "il mondo è così e
quindi lo si deve 'affermare' (amor fati)".
Anche il solo sognare una 'situazione diversa' (che di fatto è una forma del pensiero contro-fattuale e base del desiderio di trascendenza) per Nietzsche era una sorta di sintomo di maladattamento. Infatti, per lui l'ideale era la totale accettazione, fino ad arrivare al voler affermare questa esistenza per l'eternità (eterno ritorno - amor fati). Scriveva: "
la mia formula per la grandezza dell'uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l'eternità" (Ecce Homo)
Quindi nessuna ricerca di 'andare oltre' la sofferenza, nessuna ricerca di uno 'stato' dove essa è presente ecc. Ma anche senza tirare in ballo qualsiasi nozione di trascendenza, ritengo che seguire il consiglio di Nietzsche sul 'non voler nulla di diverso', alla fine si rischia di arrivare anche ad ostacolare la creatività (direi che il pensiero contro-fattuale può essere un buon aiuto alla creatività...).
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMIl "mentale" umano ,se così posso dire, allora diventa estetica, estasi della propria forza come artefice creativo e ne accetta la tragedia per cui anche quest'ultima diventa rappresentazione epica. L'uomo non è più a misura di un Dio, è a misura di se stesso. Questo non toglie a Nietzsche la compassione umana, la solidarietà, l'umanità intesa come "sentire" umano, il mistico. Ma mutando lo scenario è chiaro che l'uomo diventa guerriero naturale, e quindi vengono esaltate le forze , le qualità umane più potenti, quell' istintive che sono crudeltà da una parte, e solidarietà dall'altra. Ma l'agire non è più relazionato al"timor di Dio", ma al solo sentire umano. C'è, sempre amio parere, una forma di spontaneismo istintivo umano ,derivato dall'impulso naturale e mediato dalle qualità umane sia concettuali che passionali.E' chiara quindi l'esaltazione estetica, nel suo significato più ampio.
L'affermazione Nietzscheiana finisce per cadere nell'arbitrarietà morale. Se con 'Dio' qui intendiamo qualsiasi 'vincolo' all'espressione della volontà - nessun 'dover essere' che regola l''essere' della volontà - è chiaro che 'tutto è permesso'. In fin dei conti anche se si ammette, per esempio, che ciò che 'bisognerebbe seguire' ciò che favorisce la 'vitalità' allora si sta già vincolando la volontà. In altri termini, ritengo che la filosofia di FN è inconsistente. E ahimé in un tale scenario non solo si manifesta la solidarietà, ma anche la crudeltà :( e il problema è che Nietzsche è molto esplicito da questo punto di vista (vedi i passi secondo me disturbanti di 'Al di là del Bene e del male' che ho citato in
questo post).
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMQuindi se il credente sublima il dolore e la sofferenza come "prova" da vivere per un mondo migliore nell' al di là, abbassa la testa e sopporta le prove della vita, che è l'atto di sottomissione ad un Dio, in quanto misura dei propri passi nel mondo.
Vedi, però, senza voler entrare nel problema della teodicea, il credente non vede la sofferenza
come fine. Non c'è il desiderio di affermare anche la sofferenza e il dolore perché non si desidera niente di diverso. La speranza del credente, invece, è quella di un superamente della sofferenza: la sofferenza viene vista in un'ottica più grande, si dà del significato alla sofferenza. Nietzsche è costretto a vedere sofferenza e dolore come un fine, come un oggetto di 'glorificazione' ecc
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMSe non si accetta invece che la misura della propria esistenza sia Dio, è necessario comunque accettare dolore e sofferenza e fin la morte come regola dell'ordine naturale, ma si apre il mondo delle possibilità non più ristrette dal peccato morale e diventa naturale l'ebrezza per sublimare il dolore e la sofferenza rappresentate dentro l'estetica e quindi anche nella rappresentazione della tragedia. E' una forma di "spirtualità" atea. L'estasi, il mistico si spostano nel godere dei frutti della natura, negli esseri viventi che ne brulicano vivendo.
Non sono sicuro che N. volesse 'sublimare' la sofferenza e il dolore. Secondo me, invece, N. voleva fare proprio il contrario, ma forse qui ti fraintendo. Per lui il problema era
qualsiasi desiderio di 'andare oltre' la sofferenza e il dolore e la 'tragicità della vita'. N. voleva che si accettasse completamente la 'tragicità' - "non voler niente di diverso", dolore, sofferenza e tragicità incluse.
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMSì, Nietzsche deve molto ad Eraclito, che è un filosofo complesso, molto più di quel che comunemente si vuol far passare. Deve qualcosa anche a Schopenhauer, di cui non approva la visione pessimistica sulla volontà.
Il conflitto è interno alla regola naturale, è nelle catene alimentari, è quello che con termini morali definiamo ferocia, ma il leone se vuole sopravvivere deve essere feroce e non come termine morale. Il mimetismo animale non è forse un inganno? Ma non è più un termine morale se lo si applica alle regole naturali per sopravvivere, ecc.
Tuttavia, noi possiamo pensare in modo contro-fattuale, immaginarci situazioni diverse. Lo facciamo sempre. Certo che il conflitto è ahimé pervasivo. Ma il fatto che 'sia così' non mi porta necessariamente a pensare che "è così e quindi va bene, lo si deve accettare" oppure anche "è così e quindi deve/dovrebbe essere così".
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM
P.S. E' mia interpretazione sul pensiero di Nietzsche e miei pure i ragionamenti, quindi prenderli
con il "beneficio d'inventario". Mi sembrava onesto specificarlo.
Vale anche per quanto scrivo io :)
Nietzsche vede la ragione come ostacolo delle forze vitali profonde, come il recinto che le rinchiude, che impedisce la catarsi generata dal verificarsi dell'atto tragico, epico, non mediato dal bisogno di ordine e pace (qui inteso come mediocrità) che porta l'uomo ad accordi e leggi morali, allo stato di diritto piuttosto che al diritto del migliore. Nietzsche non esce mai dalla tensione fra ragione e vitalismo. Per Eraclito l'armonia fra gli opposti è il prevalere della ragione, dell'illuminato che coglie il logos e sta in ascolto del logos. Poi Hegel porta la sintesi della ragione alle estreme conseguenze dicendo che , grazie alla ragione, per l'uomo non c'è più alcun mistero in Dio. Forse è l'assassinio di Dio citato da Nietzsche. Di sicuro è l'assassinio delle istanze di Socrate, del suo non sapere rivelatogli in qualche modo dall'oracolo. Il più sapiente è colui che capisce che la sapienza umana non vale nulla. L'unica sapienza è quella divina. Ma proprio perchè divina, un'uomo non può possederla senza macchiarsi le mani del sangue di Dio, della verità che ama nascondersi stanata e imprigionata a colpi di tesi e antitesi, uccisa dalla sintesi della ragione. Non più l'uomo in ascolto del logos, ma l'uomo padrone del logos.
Ma Nietzsche ha anche riportato alla luce il filosofo antico, che vive la sua filosofia e perisce in essa. Da un certo punto di vista è un martire. Ma non posso essere d'accordo sul considerare la ragione come ostacolo alla vita. Come disse Jung l'inconscio è immensamente più potente, ma è stato l'uomo cosciente (razionale) a costruire tutto ciò che ha costruito. Il raziocinio e le forze vitali più profonde devono collaborare e non duellare all'ultimo sangue.
Saluti
ciao Aperion,
Eraclito, di cui ci giungono parecchi frammenti, scriveva per aforismi, come parecchie opere di Nietzsche. E' più complesso di quel che sembra.
"La natura ama nascondersi" e riteneva che tutta la realtà fosse riconducibile ad un principio originario, primo. La natura trova in Eraclito una complessità che non ha il significato odierno, è più propriamente filosofico, non è il meccanismo soltanto è ciò che avvolge il meccanismo. E' un logos cosmico. L'universo è un ordine unico ed eterno . Credeva agli opposti, ad una dualità che diventava unità, per questo il polemos, il conflitto è interno al cosmos. Quindi il divenire è il passare da un opposto all'altro. Questo sistema per contrasti è chiaramente non allineato all'armonia pitagorica e di altri pensatori. L'armonia per Eraclito si trova quando gli opposti sono in tensione.
Ama la guerra, il polemos, perché è una forma di giustizia naturale, definendo la relazione fra forza e debolezza. Il frammento che dice: " Negli stessi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " è stato interpretato in mille modi negli scopi dell'interpretante:il "tutto scorre" è poco eracliteo e molto di Cratilo, maestro di Platone (in seguito sceglierà Socrate per le virtù) e si trova come personaggio in dialogo socratico. Cratilo diventerà un sofista, in quanto se tutto scorre ogni nome dato a ciascuna cosa non ha senso visto che muta continuamente, mentre il nome rimane uguale.
Il termine logos non è fisso, ma già in Eraclito. Logos lo definisce come legame, relazione, o discorso, oppure come principio,ecc.
L'uno primigienio si trova in "Nascita della tragedia" di Nietzsche, opera giovanile.
Nietzsche non è un filosofo ante litteram, ci sono pezzetti di pensieri filosofici riconducibili dentro tutte le sue opere, e per pensiero filosofico e magari classico, intendo un ragionamento logico che definisca l'intera struttura interpretativa del mondo, dell'universo. Non ha schemi di questo tipo, e penso lo abbia appositamente voluto. In questo modo ha lasciato buchi che altri filosofi e critici hanno riempito ognuno a loro modo. Ed è per questo che mi fido poco dei critici e filosi su Nietzsche.
Ognuno lo interpreta come vuole.
Non penso che credesse alla bontà del mondo, più semplicemente questo mondo è da prendere quale è perché è impossibile fare diversamente e a mio parere ha delle buone ragioni a porsi in questo modo. E' come dire, riprendendo il discorso precedente, è inutile interpretare il mondo o l'universo, si prende per quello che è e quindi rifiuta la filosofia in termini di interpretazione appunto del mondo.
A mio parere ha un limite ed un pregio allo stesso tempo, è una contraddizione di impostazione filosofica, perché comunque anche Nietzsche è un interpretante della vita, della natura, dell'estetica, ecc. Ma forse l'uomo è contraddittorio per sua natura, in fondo ragioniamo per comparazioni, per contrasti, per dialettiche e viviamo questi contrasti, opposizioni, come nostre tensioni razionali, emotive, esistenziali. Riesce a farne un pregio della contraddizione, in un modo tutto suo. Quindi sì, è un'affermazione del mondo, ma nel vissuto umano, è la vita umana che interpreta.
Non direi che è accettazione passiva del mondo, entra il gioco la volontà, la forza vitale, la capacità umana di creare, di sognare, di rivivere la stessa natura come opera sua, come opera d'arte, quindi di rappresentarla, di rivivificarla in tragedia con il coro greco, con il ditirambo dionisiaco. E' tutt'altro che passività, è esplosione di estaticità, di potenza, di volontà, perché permettono momenti di gioia, di felicità, di ebbrezza.
Direi che Nietzsche ha fiducia nel mondo e negli umani ,in un certo senso. Abbatte la morale come metodo coercitivo ,condizionante, che piega la volontà umana ad una volontà superiore che per Nietzsche non esiste, se non per quello che è il mondo. Quindi vi è l'esaltazione della forza, della volontà, del guerriero, del coraggio, ma non in termini morali o amorali, non ci sono più perché non ci sono proprio ne mondo, sembra dire Nietzsche. Non significa che il forte stermini, il debole, già nella Tragedia greca vi è l'esaltazione del canto popolare , di uomini uniti e non divisi che festeggiano ebbri d questa unità. Metaforicamente per fare un esempio banale, potrei dire è la gioia esplosiva di quando la nazionale del calcio vince il mondiale, ognuno gode della gioia altrui. In quel momento è all'unisono la moltitudine di persone, è un popolo ebbro. In quel momento non ci sono divisioni di ruoli sociali, di censo, tutti sono eguali.
Dovrei studiare approfonditamente Nietzsche, e non so se ci riuscirò, avrei bisogno di altre...vite.
Ci sono fasi nel pensiero nietzschiano che gli studiosi hanno suddiviso. A mio parere ad un certo punto della sua vita, che presumibilmente corrisponde con la sua malattia, conciano scritti fortemente polemici e poco costruttivi che fece allontanare anche amicizie. Il suo massimo presumibilmente lo tocca con "Così parlò Zarathustra", poi scema.
Il problema della sofferenza è che nel credente viene, per così dire, sublimata e accanto vi è il peccato, il timor di Dio. Questo è un blocco in quanto la sofferenza non viene accettata e allora si teme ala vita come portatrice di dolore e sofferenza che arriva come un ladro senza bussare alla porta.
Un uomo cinico che ne "infischia" di Dio ha gioco facile in umani abituati a sopportare, mansueti nell' abitudine divenuta attitudine all'obbedienza, Più si sopporta e più per contrappasso si avrà di più nell'aldilà. Questo meccanismo è molto chiaro in Nietzsche. L'errore non è nella Sacra Scrittura, ma in chi ha ritenuto di interpretare quelle scritture per il proprio potere.....umano e ben poco o niente di divino. La fattualità è la storia ed è propria degli uomini che fanno la storia comprese le loro contraddizioni, paure, timori, forze ,debolezze, volontà, passioni.
La sofferenza in Nietzsche è una necessità data nel mondo che a sua volta sublima, se mi è concesso, con la volontà, con la potenza. Non avrebbe esaltato l'estetica ,sarebbe stato un pessimista come Schopenhauer che aveva introdotto la volontà.
Il paradosso morale che a mio parere c'è in Nietzsche, è che l'uomo proprio per la sua potenza data dalle qualità intellettive e da uno sviluppo psichico che non ha pari in natura , è che qualunque organizzazione umana non è sorretta da un principio istintivo, ma proprio perché esistono strutture culturali, fra le quali la morale, i comportamenti etici sono su opportunità, motivazioni, convenienze, in cui la forza vitale ,la potenza, la volontà giocano un ruolo sui rapporti di forza interni al sistema umano che è soprattutto culturale e non direttamente istintivo come quello animale.
Citaz Aperioni
Non sono sicuro che N. volesse 'sublimare' la sofferenza e il dolore. Secondo me, invece, N. voleva fare proprio il contrario, ma forse qui ti fraintendo. Per lui il problema era qualsiasi desiderio di 'andare oltre' la sofferenza e il dolore e la 'tragicità della vita'. N. voleva che si accettasse completamente la 'tragicità' - "non voler niente di diverso", dolore, sofferenza e tragicità incluse.
Sì, è cosi, forse non mi sono espresso bene.
Nietzsche rimane interessante come punto di vista del pensiero, ha il merito di far pensare, riflettere.
E soprattutto penso che certa filosofia, come in Heidegger e parecchi francesi, sarebbe difficile capirli senza passare per Nietzsche.
Ciao Cvc,
citaz cvc
Nietzsche vede la ragione come ostacolo delle forze vitali profonde
Esatto, ed è una chiave di lettura molto importante a parer mio per capire Nietzsche.
E' tutta interessante la tua disamina.
Uno dei problemi per cui Nietzsche sbaglia è che qualunque società umana, aggregazione, comunità, società, che sia una tribù nella più inestricabile foresta o sia nella City delle metropoli tecnologiche, c'è sempre qualcosa di "più alto" della bassezza umana in cui lo stesso uomo crede. Che sia un totem per i propri tabù, che sia la City come cuore della finanza che fa battere i ritmi economici e della stessa vita tecnologica occidentale, tutti guardano a qualcosa che è oltre l'uomo come principio generativo. Non esiste comunità senza un istituto che poggi su principi statuari condivisi e identitari che siano sopra la condizione umana singola, sopra la natura stessa dispensatore di gioia e dolore, che in qualche modo renda giustizia di ciò che l'uomo pensa e non riesce a compiere, ad essere sereni, felici.
E non si può glissare tutto questo,senza cadere in una in-temporalità priva di senso. Il rischio è declamare un uomo che non c'è, che è altro dalla sue vere e reali motivazioni, errori, incombenze, da tutto ciò che è realtà della vita. E' come se l'uomo debba avere una necessità di un metro esterno a lui e questo impulso prima ancora di essere ragione ha costituito e costruito la storia nelle sue bestialità come nelle grandezze.
Nietzsche da più importanza al momento comune della festa che a ciò che ho poc'anzi esposto, ma in realtà è il contrario . E' la festa ebbra di gioia che è solo un momento dentro un tempo scandito da regole e ordini che dichiarano ben altro, non può essere la regola e l'ordine che governa il conflitto e il polemos eracliteo.
E' un martire perché crede in una umanità altra dalla realtà che tutte le storie ,non solo occidentale, narra. La parte sociale ,delle organizzazioni umane ,non può avere come principio l'ebbrezza orgiastica e il ditirambo dionisiaco, lo può avere come contraltare, come opposto, come denuncia a quella società umana. Così l'estetica, con le Muse , ispira l'artista ad essere contro, a denunciare le ipocrisie sociali, a osservare a trecentosessanta gradi per poterne cogliere gli aneliti umani, i bisogni profondi e mortificati dalla realtà, dalle condizioni sociali.
Ciao Paul,
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
ciao Aperion,
Eraclito, di cui ci giungono parecchi frammenti, scriveva per aforismi, come parecchie opere di Nietzsche. E' più complesso di quel che sembra.
"La natura ama nascondersi" e riteneva che tutta la realtà fosse riconducibile ad un principio originario, primo. La natura trova in Eraclito una complessità che non ha il significato odierno, è più propriamente filosofico, non è il meccanismo soltanto è ciò che avvolge il meccanismo. E' un logos cosmico. L'universo è un ordine unico ed eterno . Credeva agli opposti, ad una dualità che diventava unità, per questo il polemos, il conflitto è interno al cosmos. Quindi il divenire è il passare da un opposto all'altro. Questo sistema per contrasti è chiaramente non allineato all'armonia pitagorica e di altri pensatori. L'armonia per Eraclito si trova quando gli opposti sono in tensione.
Sì, concordo totalmente sulla lettura di Eraclito! Concordo con te che Eraclito è un pensatore molto complesso. I suoi 'frammenti' sono estremamente 'densi'...
Il 'divenire' è solo una parte, seppur innegabilmente importante di Eraclito. E, credo che si possa affermare che il divenire in realtà è un'altra forma, per Eraclito, di armonia-tensione degli opposti. In realtà, come ben osservi Eraclito è ben esplicito sulla 'permanenza' del logos, dell''armonia-tensione'...
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Ama la guerra, il polemos, perché è una forma di giustizia naturale, definendo la relazione fra forza e debolezza.
Sì, leggendo i suoi frammenti il 'conflitto/discordia' sembra di fatto l'armonia-tensione degli opposti. Il mio problema con Eraclito però è proprio questo 'amore' però...
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Il frammento che dice: " Negli stessi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " è stato interpretato in mille modi negli scopi dell'interpretante:il "tutto scorre" è poco eracliteo e molto di Cratilo, maestro di Platone (in seguito sceglierà Socrate per le virtù) e si trova come personaggio in dialogo socratico. Cratilo diventerà un sofista, in quanto se tutto scorre ogni nome dato a ciascuna cosa non ha senso visto che muta continuamente, mentre il nome rimane uguale.
Riguardo ai frammenti del fiume, è interessante, secondo me, questa analisi filologica nella
Stanford Encyclopedia of Philosophy:
Citazione
There are three alleged "river fragments":
B12. potamoisi toisin autoisin embainousin hetera kai hetera hudata epirrei.
On those stepping into rivers staying the same other and other waters flow. (Cleanthes from Arius Didymus from Eusebius)
B49a. potamois tois autois ...
Into the same rivers we step and do not step, we are and are not. (Heraclitus Homericus)
B91[a]. potamôi ... tôi autôi ...
It is not possible to step twice into the same river according to Heraclitus, or to come into contact twice with a mortal being in the same state. (Plutarch)
Of these only the first has the linguistic density characteristic of Heraclitus' words. The second starts out with the same three words as B12, but in Attic, not in Heraclitus' Ionic dialect, and the second clause has no grammatical connection to the first. The third is patently a paraphrase by an author famous for quoting from memory rather than from books. Even it starts out in Greek with the word 'river,' but in the singular. There is no evidence that repetitions of phrases with variations are part of Heraclitus' style (as they are of Empedocles'). To start with the word 'river(s)' goes against normal Greek prose style, and on the plausible assumption that all sources are trying to imitate Heraclitus, who does not repeat himself, we would be led to choose B12 as the one and only river fragment, the only actual quotation from Heraclitus' book.
Traduzione:
Citazione
Ci sono tre presunti 'frammenti del fiume':
B12. potamoisi toisin autoisin embainousin hetera kai hetera hudata epirrei.
Su quelli che scendono negli stessi fiumi diverse ed ancora diverse acque scorrono. (Cleante da Ario Didimo da Eusebio)
B49a. potamois tois autois ...
Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo. (Eraclito Omerico)
B91[a]. potamôi ... tôi autôi ...
Non è possibile scendere due volte nello stesso fiume secondo Eraclito, o entrare in contatto con la stessa sostanza mortale nello stesso stato. (Plutarco)
Di questi solo il primo ha la densità linguistica caratteristica delle parole di Eraclito. Il secondo inizia con le stesse tre parole di B12, ma in Attico, non nel dialetto Ionico di Eraclito, e la seconda frase non ha una connessione grammaticale con la prima. Il terzo è palesemente una parafrase di un autore famoso per citare dalla memoria piuttosto che dai libri. Inizia anche in Greco con la parola 'fiume', ma al singolare. Non c'è evidenza che le ripetizioni delle frasi con variazioni sono parte dello stile di Eraclito (come lo sono nel caso di Empedocle). Iniziare con 'fiume(i)' va contro lo stile della prosa greca, e sotto un'assunzione plausibile che tutte le fonti stavano imitando Eraclito, che non si ripete, siamo condotti a scegliere B12 come l'unico frammento del fiume, l'unica vera citazione del libro di Eraclito.
Ovviamente, la cosa rimane speculativa ma l'analisi dell'autore è molto interessante. Probabilmente, il "non si può scendere due volte nello stesso fiume" è una parafrasi del pensiero di Eraclito. Tenendo per buono il primo frammento, il divenire sembra un'altra forma della armonia-tensione degli opposti, dove il fiume rimane uguale mentre le acque cambiano (qundi sì, in un certo senso è anche vero che "non si può scendere due volte nello stesso fiume", ma tale parafrasi non dice tutta la storia...).
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Il termine logos non è fisso, ma già in Eraclito. Logos lo definisce come legame, relazione, o discorso, oppure come principio,ecc.
Concordo... probabilmente la sua concezione di 'legge della natura' era in qualche modo vicina a quella di 'legge di una città/polis'. (comunque, anche se sono critico di Eraclito, trovo alcuni suoi frammenti bellissimi...)
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
L'uno primigienio si trova in "Nascita della tragedia" di Nietzsche, opera giovanile.
Nietzsche non è un filosofo ante litteram, ci sono pezzetti di pensieri filosofici riconducibili dentro tutte le sue opere, e per pensiero filosofico e magari classico, intendo un ragionamento logico che definisca l'intera struttura interpretativa del mondo, dell'universo.
...
Ok, capito
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Non penso che credesse alla bontà del mondo, più semplicemente questo mondo è da prendere quale è perché è impossibile fare diversamente e a mio parere ha delle buone ragioni a porsi in questo modo.
...
Non direi che è accettazione passiva del mondo, entra il gioco la volontà, la forza vitale, la capacità umana di creare, di sognare, di rivivere la stessa natura come opera sua, come opera d'arte, quindi di rappresentarla, di rivivificarla in tragedia con il coro greco, con il ditirambo dionisiaco. E' tutt'altro che passività, è esplosione di estaticità, di potenza, di volontà, perché permettono momenti di gioia, di felicità, di ebbrezza.
Mi sono espresso male, probabilmente. Non intendevo dire che Nietzsche raccomanda una 'passività' di fronte alla vita. Volevo semmai dire che la sua raccomandazione è quella invece di viverla col 'massimo coinvolgimento' possibile, senza 'scartare' ogni aspetto di essa, anche quelli che sono dolorosi, tragici, terrificanti... Ed è per questo che a me sembra una filosofia 'estrema'.
La stessa 'dottrina' dell''eterno ritorno' di fatto non è che una riproposizione di questo tipo di idea:
Citazione
"Il peso più grande
Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (La Gaia scienza, 341)
Personalmente, credo che l''eterno ritorno' sia di fatto la culminazione del pensiero di Nietzsche (indipendentemente se sia preso come 'vero'...). In fin dei conti, la 'richiesta' di Nietzsche è affermare la vita in tutti i suoi aspetti, anche quelli terrificanti fino al punto di 'volerla' per tutta l'eternità. Questa 'affermazione' del 'terrificante' è proprio quello che trovo 'disturbante' della filosofia di Nietzsche (e che lui pensava probabilmente impossibile per l'uomo, ergo l'oltre-uomo...).
Riguardo alla 'non accettazione' degli aspetti più 'oscuri' della vita e quindi la ricerca di una 'via d'uscita', una prospettiva più grande ecc...penso che criticare questo tipo di atteggiamento dventa esso stesso una 'resa', ovvero trasformare lo 'staus quo' in un 'dover-essere'.
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Direi che Nietzsche ha fiducia nel mondo e negli umani ,in un certo senso. Abbatte la morale come metodo coercitivo ,condizionante, che piega la volontà umana ad una volontà superiore che per Nietzsche non esiste, se non per quello che è il mondo. Quindi vi è l'esaltazione della forza, della volontà, del guerriero, del coraggio, ma non in termini morali o amorali, non ci sono più perché non ci sono proprio ne mondo, sembra dire Nietzsche. Non significa che il forte stermini, il debole, già nella Tragedia greca vi è l'esaltazione del canto popolare , di uomini uniti e non divisi che festeggiano ebbri d questa unità. Metaforicamente per fare un esempio banale, potrei dire è la gioia esplosiva di quando la nazionale del calcio vince il mondiale, ognuno gode della gioia altrui. In quel momento è all'unisono la moltitudine di persone, è un popolo ebbro. In quel momento non ci sono divisioni di ruoli sociali, di censo, tutti sono eguali.
Ok...personalmente, credo che anche questo sia vero nella filosofia di Nietzsche, ma allo stesso tempo l'assenza della 'morale' non vincolando l'espressione della volontà fa in modo che anche manifestazioni 'terrificanti' di essa possano esistere senza problemi. Personalmente, quindi, ritengo che, invece, il conflitto umano così come la 'sopraffazione' (vedi il passo di 'Al di là del bene e del male' citato nel link del messaggio precedente) sia visto in qualche modo 'positivamente'.
Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Nietzsche rimane interessante come punto di vista del pensiero, ha il merito di far pensare, riflettere.
Su questo concordo!
P.S. Sulla questione del frammento, l'autore dell'articolo della SEP afferma:
CitazioneThe major theoretical connection in the fragment is that between 'same rivers' and 'other waters.' B12 is, among other things, a statement of the coincidence of opposites. But it specifies the rivers as the same. The statement is, on the surface, paradoxical, but there is no reason to take it as false or contradictory. It makes perfectly good sense: we call a body of water a river precisely because it consists of changing waters; if the waters should cease to flow it would not be a river, but a lake or a dry streambed. There is a sense, then, in which a river is a remarkable kind of existent, one that remains what it is by changing what it contains
Traduzione:
CitazioneLa maggiore connessione teoretica nel frammento è tra 'stessi fiumi' e 'diverse acque'. B12 è, tra le varie cose, un'affermazione della coincidenza degli opposti. Ma specifica i fiumi come gli stessi. L'affermazione è a prima vista paradossale ma non c'è ragione per prenderla come falsa o contraddittoria. Ha perfettamente senso: chiamiamo un corpo d'acqua un fiume propro perché consiste di acque che cambiano; se le acque smettessero di fluire non sarebbe un fiume, ma un lago o un letto asciutto. C'è un senso, quinid, in cui il ffume è un interessante tipo di esistente, uno che rimane lo stesso mutando ciò che contiene.
Una precisazione su questo estratto del post precedente:
CitazioneSì, leggendo i suoi frammenti il 'conflitto/discordia' sembra di fatto l'armonia-tensione degli opposti. Il mio problema con Eraclito però è proprio questo 'amore' però...
Nella prima frase volevo dire che il 'conflitto/discordia' per Eraclito sembra una
manifestazione dell'armonia-tensione degli opposti.
Riguardo alla seconda, posso concordare che in certi casi l''armonia-tensione' è molto affascinate come ad esempio il caso 'dell'arco e della lira' (per citare un altro frammento di Eraclito)...
D'altra parte, però, direi che è tutt'altra cosa affermare il conflitto/discordia. Anche in questo caso, come nella filosofia di Nietzsche, si arriva secondo me ad una assurda 'esaltazione' anche degli aspetti più terrificanti del mondo (seppur in modo diverso da Nietzsche...) :(
ciao Aperion,
Mi veniva in mente un dialogo socratico di Platone "Cratilo" (discepolo "estremista" di Eraclito), che tratta sull'origine dei nomi.
Così Socrate dice: " La rotazione simultanea riguarda sia il cielo, che chiamano "poli", sia l'armonia del canto che viene denominata sinfonia,perché tutto questo, come affermano gli esperti di musica ed astronomi, "gira" insieme secondo una certa armonia. E Apollo presiede all'armonia, sia presso gli dei che gli uomini."
"Il nome di Ermete riguarda il discorrere e l'essere e il dio interprete e messaggero e ladro ingannatore nei discorsi e commerciante: tutta questa attività riguarda il potere del discorso . Il discorso si muove sempre ed è duplice: vero o falso. La parte vera di esso è levigata e divina e dimora in alto, tra gli dei, mentre quella falsa abita in basso, tra la moltitudine degli umani, ed è ruvida e caprina : qui nella vita tragica, si trova infatti, la maggior parte dei miti e della menzogna.
Pan, figlio della duplice natura di Ermete, liscio nella parte superiore, ruvido e caprino nella parte inferiore."
...e ancora dice Socrate: "I nomi sono stati dati alle cose come se si muovessero e scorressero e divenissero totalmente...La saggezza significa pensiero del moto e del flusso....Comprendere significa che l'anima procede insieme con le cose. Sapienza significa " raggiungere il movimento".
....Bene significa ciò che è ammirevole in tutta la natura.....Necessario è ciò che resiste; volontario è ciò che cede e non resiste....Verità è il divino movimento dell'ente, la menzogna è il contrario del movimento."
..infine Socrate dice: " Chi ha posto i nomi non intendeva indicare gli oggetti che vanno e si muovono , bensì quelli che permangono...Le cose vanno imparate e cercate non a partire dai nomi, bensì a partire da se stesse molto più che dai nomi.....Ma non è neppure ragionevole parlare di conoscenza, se tutti gli esseri mutano e nulla permane.
Quindi la visione finale di Socrate è che la conoscenza permane e non fluisce ed è il superamento dell'eraclitismo e fondamento della conoscenza.
Questa premessa lunga tocca sia Nietzsche che Eraclito. Perché entrambi vedono una sola parte del vero. Non mi convince la divisione apollinea e dionisiaca in Nietzsche. Se studiano attentamente i miti e i gli scritti di Esiodo ed altri si vedrà che c'è una costante nel divorare da parte del padre il figlio , in Crono il titano, da cui si salva Zeus;, in Apollo, in Dioniso stesso che finisce divorato.
Qualche studioso addirittura ritiene che Apollo e Dioniso siano la stessa persona, la duplice faccia di una stessa medaglia, e chi ritiene Dioniso e Orfeo la stessa persona. Non è così semplice e banale
entrare nei reconditi sotterranei della cultura greca.
C' è una duplice visione nella cultura greca che riescono a far convivere, come ad esempio da una parte rispettare gli dei in Socrate, ma dall'altra credere al culto dell'orfismo e della trasmigrazione delle anime(metempsicosi) che esprime chiaramente in un altro dialogo socratico.
Le costanti e le variabili, come in matematica, gli enti fermi e le essenze e il divenire del fluire dei movimenti, la vita e la morte, la conoscenza , la verità e la menzogna.
Nietzsche non risponde a tutto questo, come ho già scritto "glissa" per vedere solo una parte.
Eraclito e Nietzsche, concordano sul "fatto interpretato". Intendo dire che osservano il mondo quale è e lo leggono a loro modo e in questo caso il conflitto il polemos è interno al procedere del mondo.
Hanno a mio parere in questo delle buone ragioni che la storia umana evidenzia.
Citaz Aperion
Mi sono espresso male, probabilmente. Non intendevo dire che Nietzsche raccomanda una 'passività' di fronte alla vita. Volevo semmai dire che la sua raccomandazione è quella invece di viverla col 'massimo coinvolgimento' possibile, senza 'scartare' ogni aspetto di essa, anche quelli che sono dolorosi, tragici, terrificanti... Ed è per questo che a me sembra una filosofia 'estrema'.
Faccio un esempio del tutto naturale, un carnivoro che crudelmente inizia a divorare una preda quasi torturandola, perché non è ancora morta.
E' una atto rabbrividente, ci da fastidio . Si tratterebbe di capire quanto è morale per noi e quanto è invece è naturale per quello che è. Che cosa davvero nasce in noi da quell'atto. Noi utilizziamo termini morali :terrificante, crudele, ecc. Ma se dovessimo spogliare i termini morali dai vocabolari, la natura sarebbe rappresentata per quello che è. Risulterebbe forse contraddittoria e forse emergerebbe qualche altra verità. Il mio ,ribadisco, è un tentativo di capire la "mente" di Nietzsche.
Penso, ma non sono così sicuro, perché dovrei addentrarmi in turi gli scritti di Nietzsche, che il super uomo e l'eterno ritorno, sono coerenti nella sua visione del mondo e dell'uomo.
Se tutto fluisce e se si pensa che non abbia origine e fine ,perché ciò che importa è cosa e come si da il mondo e quindi niente filosofie teleologiche o verità incontrovertibile, si apre il solo fluire del tempo che viene ,va e ritorna come una rotazione su se stessa, appunto un eterno ritorno.
Il super uomo è l'abbandono totale della tradizione culturale intrisa da morali che hanno sottomesso gli umani agli dei e a Dio. Per Nietzsche , penso ma ribadisco non ho mai approfondito più di tanto, sarebbe un automatismo.
Citazione di: paul11 il 26 Aprile 2020, 11:40:46 AM
Nietzsche distingue il pensiero genuinamente filosofico, dal pensiero calcolante.
Il filosofo è mosso da una intuizione mistica,dalla fede nell'unità delle cose, che non proviene dalla ragione. Questa intuizione ci spinge al di là dei limiti dell'esperienza. L'intelletto calcolatore poi la segue pesantemente, cercando degli appoggi. Il pensiero filosofico non va confuso con il pensiero calcolante., perché percorre rapidamente grandi spazi, mentre quello calcolante procede a tentoni. E perché è spinto dalla fantasia, una forza illogica, che lo fa balzare di possibilità in possibilità. Il filosofo sa dunque che il suo linguaggio, la dialettica, è inadeguato a esprimere l'unità mistica che sta al di là delle cose, ma questo linguaggio è l'unico mezzo per esprimere metaforicamente ciò che ha contemplato.
Il filosofo sa distinguere ciò che è più grande e più importante, più meritevole di essere conosciuto, da ciò che non lo è.
La scienza per contro si getta a capofitto sulle cose che divora tutte, senza distinguere,
La filosofia disciplina il desiderio di conoscenza con il concetto di grandezza, indirizzando il sapere verso l'essenza delle cose.
Da quello che desumo dalla lettura di questo post direi che FN non sia animato da un amore per la semplificazione.
Credo che ogni distinzione nasca da necessità, col rischio , se funziona , di farsi realtà.
Il rischio è che ogni nuova distinzione diversa appaia assurda , faticando ad affermarsi , per quanto dimostri di funzionare.
Le distinzioni poi a volte sembrano nascere da se', candidandosi fin dall'inizio a papabili realtà.
Viene da se' infatti distinguere il pensiero calcolante da quello filosofico se l'origine dell'uno ci sembra chiara, mentre l'altra oscura.
Ma , fino a prova contraria , ciò è la sola cosa che li distingue.
Assumere infatti , sebbene arbitrariamente , che siano la stessa cosa , sarebbe l'indizio di una volontà semplificatrice.
Il fatto che i due pensieri si integrino a vicenda di modo che una polarizzazione spinta appaia sintomo di impoverimento sosterrebbe la suddetta scelta.
Non è da pensare che tutti i calcoli debbano essere coscienti ( se ne conosce e se ne può seguire lo svolgimento ) per poter essere definiti tali.
Quando un computer dimostra un teorema non possiamo seguire lo svolgimento dei calcoli , ma sarebbe difficile sostenere che quella dimostrazione non derivi dal calcolo.
Seppure non possiamo sostenerlo per certo , sarebbe quantomeno una utile complicazione .
Se decidiamo di sostenerlo diremo allora che il computer è dotato di intuito?
È possibile seguire calcoli , se sufficientemente semplici , e condividerne i risultati .
Ma ciò che con più certezza condividiamo non sembra derivare da calcolo.
Ma allora come facciamo a condividerlo?
E se sono apparso arido nell'esposizione ,essendomi sbilanciato sul pensiero calcolante , non bisogna dimenticare che esso è il prodotto di una distinzione che ci permette di governare la realtà, non la realtà .
Che il calcolo sia applicabile alla realtà è un dato di fatto , e noi non siamo in grado di andare oltre i dati di fatto , anche quando ci sembra di farlo , solo perché con la velocità di un computer , che non sospettiamo di avere , ci sembra di saltare da palo in frasca senza un percorso nel mezzo.
I mezzi che costruiamo ci dicono molto di quel che siamo , e da quel che capiamo di essere, il nostro pensiero calcolante cosciente , cauto , lento e prudente ha già di che restare stupefatto e andare fuori giri in estasi.
Di certo noi siamo più di ogni parte che riusciamo ad esplicitare , ma ciò non dovrebbe risultare un mistero.
L'universo è certamente meraviglioso se una sua esplicita povera parte, noi , non smette mai di sorprenderci.
Citazione di: paul11 il 02 Maggio 2020, 15:22:23 PM
...
Ciao Paul,
Grazie per la citazione del 'Cratilo', dialogo platonico che putroppo non ho mai letto. L'attribuire nomi alle cose si deve ad un'assunzione di partenza, ovvero che esse permangono per qualche tempo (almeno in un certo senso). Senza questa assunzione, crolla il linguaggio. D'altra parte, dissento con il fatto che la conoscenza possa essere presente solo quando si riesce a distinguere qualcosa di, almeno 'relativamente', fisso. A Cratilo si attribuisce l'idea - penso sia stato Aristotele a farlo - che non è possibile nemmeno scendere una volta nel fiume, proprio perché l'acqua continua a cambiare, e quindi non si potrebbe a rigore attribuire un nome ad esso ma solo puntare il dito. Quello che voglio dire è che, secondo me, 'conoscenza' può anche essere qualcosa di 'negativo', ovvero comprendere che 'qualcosa' non può essere compreso in un certo modo. Quello che dice Cratilo ha un che di vero, in fin dei conti. Per lo meno, da un certo punto di vista, è vero che il fiume non rimane mai lo 'stesso' e quindi si può dire che un linguaggio che si basa su concetti 'stabili' non può 'afferrare' completamente una realtà in divenire. D'altra parte, però, c'è una continuità nel continuo scorrere delle acque che ci permette di attribuire a tale corrente un nome unico. Il mistero del 'divenire'...
Riguardo alla mitologia greca, purtroppo non sono molto 'ferrato' nell'argomento, però concordo con te. Credo che Nietzsche avesse anche lui una visione parziale della questione. La cultura greca era estremamente complessa e abbastanza 'malleabile', non a caso come osservi tu sono stati introdotti miti probabilmente 'estranei' ad essa, nonché in fin dei conti la filosofia stessa, dove i primi filosofi 'riadattavano' il mito alla loro filosofia...in molti casi non perché 'disprezzassero' il mito ma perché cercavano di integrare anch'esso in una nuova prospettiva. Purtroppo non so molto nemmeno del 'primo' Nietzsche - ho letto solo la 'Filosofia nell'Età tragica dei greci' - ma anche a me ha dato l'idea di un'analisi 'parziale' (il che probabilmente è inevitabile...).
Concordo poi che in Nietzsche ed Eraclito ci sia un consenso sulla questione del Polemos - personalmente, credo però che esagerino nell'importanza da dare ad esso. In ambo i casi sembrano vedere il Polemos come il principio di differenziazione (es. frammento 53 di Eraclito) ed entrambi lo 'esaltano' in modo secondo me erroneo, tra l'altro fino ad arrivare probabilmente a dire che il conflitto sia l'unico modo in cui si presentano le differenziazioni, le diversità. In
questo sito, si riportano due fonti antiche affermano che Eraclito criticava Omero perché Achille diceva "vorrei che la contesa sparisse tra dei e mortali". In particolare, dal sito:
Citazione
Aristotle writes (Eudemian Ethics 1235a25), "Heraclitus rebukes the poet who wrote, 'Would strife might perish out of heaven and earth,' for, he says, there would be no harmony without high and low notes, and no animals without male and female, which are opposites."
Scholia to Iliad 18.107 writes this: "Heraclitus, who believes that the nature of things was constructed according to strife, finds fault with Homer, on the grounds that he is praying for the destruction of the cosmos" (Kahn 204).
Traduzione:
Citazione
Aristotele scrive (Etica Eudemia 1235a25): "Eraclito rimprovera il poeta che scrisse 'che possa la contesa perire nel cielo e nella terra', perché, egli dice non ci sarebbero armonie senza alte e basse note, nessun animale senza maschi e femmine, che sono opposti"
Scholia su Iliade 18.107 scrive questo: "Eraclito, che ritiene che le cose sono costruite secondo la contesa, critica Omero, per il motivo che egli sta pregando per la distruzione del cosmo."
In pratica, non solo dire che c'è il conflitto, ma addirittura criticare in quel modo chi spera in una cessazione...proprio come Nietzsche, sembra che Eraclito vedesse questo tipo di speranza come una forma di 'maladattamento'.
Con il rapporto preda-predatore penso che hai portato un perfetto esempio di come è la lettura di Nietzsche di queste cose - e di quanto è erronea. Dire che la nostra reazione alla scena è sbagliata perché "così vanno le cose", "perché è naturale che succeda così" ecc si basa sull'assunzione che si debbano adattare le proprie convinzioni - e il proprio 'sentire' - allo status quo. Mi sembra chiaro come tale prospettiva poco si adatta non solo a noi ma anche agli animali che partecipano a tale istanza della 'lotta per l'esistenza' (entrambi visto che il predatore stesso caccia la preda perché in fin dei conti è mosso dalla necessità e magari anche dalla necessità di sfamare i cuccioli...).
Ma per fare anche un esempio più 'terribile', anche un essere umano può, in linea di principio, avere lo stesso 'destino' (e una volta non era così raro...). A questo punto 'conta ancora' il voler portare la prospettiva del fatto che "così vanno le cose" e quindi si dovrebbe anche 'affermare' tale momento? Oppure senza scomodare tale estrema evenienza, consideriamo una situazione in cui si faticava e si soffriva anche solo per riuscire a mangiare e sopravvivere, dove si doveva combattere contro le intemperie e le malattie molto più che oggi e magari anche i predatori e si era in ansia per il costante pericolo - ebbene in tale situazione mi chiedo se con tutta quella sofferenza si potesse pensare ad una reazione 'affermatrice' alla seguente affermazione (cito dall'estratto de La Gaia Scienza) "
Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te". Il discorso è che, secondo me, la prospettiva di Nietzsche richiede proprio una sorta di auto-imposizione di una prospettiva artificiale e disturbante secondo cui gli aspetti più terrificanti della vita debbano essere 'affermati' perché "così vanno le cose" - non penso che, per esempio, nell'esempio di prima l'uomo che soffriva e rischiava ogni giorno anche solo per procurarsi il cibo e magari anche vittima (diretta o indiretta) di qualche crimine di un altro uomo (magari anche orrori della crudeltà umana, delle guerre ecc) volesse "vivere ancora la vita ancora una volta e innumerevoli volte come l'ha vissuta". Oppure, in altre parole, la prospettiva viene 'forzata' verso una ben precisa direzione, quella dove si 'accettano attivamente' anche le situazioni più terribili e il rifiuto di tale prospettiva viene visto come una forma di maladattamento (se questa è libertà...).
Quando parlavo del 'pensiero controfattuale' intendevo proprio questo, ovvero che l'uomo notando una determinata situazione si immagina situazioni diverse, magari mai avvenute, stati privi di determinate caratteristiche. Per esempio, vivere esperienze dolorose - magari una vita piena di questo tipo di esperienze, magari anche vedere gli orrori della crudeltà umana, della guerra - ci può far sognare, far sperare, far immaginare situazioni in cui il dolore non è presente (capacità che probabilmente è presente sono nell'essere umano...). Il desiderio di 'liberazione' perciò sembra nascere proprio da questa straordinaria abilità di immaginare, di sognare, di 'andare oltre', in questo caso con l'immaginazione, il pensiero ecc - e tale desiderio non sembra a me nato da una qualche imposizione, da un qualche risentimento, ma mi pare una cosa estremamente innocente e spontanea. La posizione di Nietzsche sembra a me proprio un tentativo di voler sopprimere questo nobile desiderio. Perché mai dovrei considerare come un 'maladattamento' questo tipo di desiderio? Perché mai dovrei considerarlo frutto del risentimento? Mi sembra, appunto, qualcosa di spontaneo.
Riguardo a oltre-uomo ed eterno ritorno sì, concordo, nella filosofia di Nietzsche sono elementi centrali del suo pensiero e coerenti nella sua visione. E il fatto che lui abbia parlato dell'oltre-uomo in connessione all'amor-fati e all'eterno ritorno mi fa pensare che, appunto, lui non riteneva realizzabile tale sua filosofia per l'uomo...
Ciao Iano,
Personalmente inserirei il pensiero filosofico e calcolante dentro l'insieme della teoria della conoscenza, vale a dire la relazione che intercorre fra soggetto come agente conoscitivo e oggetto della realtà. Laddove sia per soggetto che per realtà intenderei di significato molto ampio e comprendente tutto. La relazione costituirebbe la forma linguistica scelta in funzione dell'ambito conoscitivo. Il mistico presenterebbe quindi un linguaggio fortemente soggettivato, come vissuto esistenziale; il calcolante avrebbe un linguaggio segnico e simbolico dove il vero e il falso sono dirimenti, sarebbe povero di soggettività e ricco di conoscenza scientifica soprattutto quantitativa e meno qualitativa.
La via scelta per la conoscenza è multiforme e gli scopi e modalità possono essere diversi, anche se alla fine le esigenze e motivazioni nascono intimamente nell'uomo. Le vie più mistiche sono tendenti all'individualismo, quelle più convenzionali che necessitano di intersoggettività e convenzioni linguistiche sociali.Quindi la scienza moderna sceglie per necessità un linguaggio formale calcolante, il filosofo alterna il formale e l'informale, fra il logico e l'estetico.
Affinchè il pensiero calcolante abbia effetto ha necessità di un linguaggio assertivo superficiale per necessità se vuole condividere il metodo sperimentale che è riterazione dell'esperimento e giustificazione nel sensitivo. Fin qui va bene anche un Wittgenstein, oltre non aiuta in nulla perché l'uomo non funziona per algoritmi se vuole creare e non paralizzarsi al fenomeno visivo.
Ma adatto che uno scienziato ed un artista o pensatore sono tutti umani con medesime qualità e caratteristiche intellettive e psichiche, le due forme di conoscenza si intersecano, laddove allo scienziato serve la creatività e all'artista la tecnica materica.
Quindi penso, se non ho capito male, che anche tut segua il medesimo ragionamento detto in altro modo.
Il pensiero calcolante in sé e per sé non porterebbe conoscenza, incapace di andare oltre al calcolo dei segni e simboli, non può creare altri segni e simboli, necessita di creatività e intuto per costruire nuova conoscenza per mettere in discussione i suoi stessi teoremi e algoritmi.
Ciao Aperion,
il problema di dare nomi a cose che mutano signifca dare un principio d'identità e da questa poi
seguire le regole categoriali, tassonomiche, di come e dove collocare quel nome.Ogni nome dichiara un significato, una caratteristica. Anche se non conosciamo perfettamente la galassia più lontana all'occhio umano, non vuol dire che non si debba dargli un nome. Il fiume è composto da acqua ed è l'acqua che muta nei suoi cicli, non il nome del fiume. Infatti da i nomi, dalle causazioni, dalle forme e sostanze , si arriva all'essenza delle cose, degli enti. Anche noi umani mutiamo fisicamente con gli anni, ma non cambiamo nome ogni giorno.
Se si "corre dietro" al divenire nulla sarebbe conoscibile, mutiamo noi e ogni fenomeno in divenire.
Ma una legge fisica è un poco come "bloccare" e fissare una conoscenza che ha però dentro di sé variabili e costanti, ha il divenire e la sua essenza che non muta.
L'essenza del divenire è la contesa, a mio parere Eraclito e Nietzsche dicono qualcosa di ragionevolmente vero. La pace è un equilibrio fra opposti, ma che non nega la contesa interna.
Persino dottrine moderne di politica dicono che un ruolo importante dello Stato è "la pacificazione del conflitto" .Così come particelle atomiche confliggono fra loro e tutto tende ad alterarsi nelle sostanze, come in natura vita e morte e di nuovo vita e poi morte, esistono momenti di quiete apparente, ma dove tutto tende a trasformarsi. Trovo, a mio parere, che le organizzazioni umane, l'universo e il mondo terreno, seguano strade identiche, dove la trasformazione è una contesa di forze che agiscono sulle sostanze, sulle persone umane nel sociale, e rompono vecchi equilibri per riaprirne altri con sempre una contesa.
La crudeltà della vita è un fatto nella natura e per me la natura non ha morale, ha dei suoi ordini e regole, per cui i forti carnivori sono pochi e gli animali nella scala predatoria più deboli prolificano molto di più, affinché il conflitto sia dentro un equilibrio che così si perpetua. E' una lettura prendere le cose per quello che sono ed è altrettanto vero ciò che dici, l'uomo non si è fermato a questa regola, pur essendovi partecipe come corpo fisico, si è posto domande, ha anche altre motivazioni profonde ed ha il potere di intervenire sull'ordine e regola naturale, modificando, trasformando, creando. Questo lo chiamiamo cultura.. Ma anche prendere la natura per quello che è priva di morale è cultura, poiché a sua volta la convinzione determina motivazioni.
Altro a mio parere è il crimine interno fra umani. Ed è mia convinzione che la morale sia nata proprio per questo e che Nietzsche "glissa" tutta la politica umana, vale a dire ciò che istituisce le istanze di giudizio dentro le organizzazioni umane. Quì Nietzsche è debolissimo, perché la cultura non si regge sulle sole regole e ordini naturali, l'uomo può creare i lager per sterminare i propri simili, come gli ospedali per curare con "pietas" la condizione umana.E' necessaria la regola morale per costruire una comunità, una società e per questo vennero a costituirsi i valori morali come le antiche virtù. Platone influito dalla dottrina eraclitea seguirà invece le virtù socratiche premesse dei valori morali fra cui la giustizia.
Sono d'accordo con te che ad un acuto dolore segue una ancora più acuta fantasia. Un voler fuggire da uno stato di malessere profondo. In fondo anche l'estetica, a suo modo,tenta di medicare oltre che denunciare lo stato di sofferenza umano nel proprio vissuto individuale e sociale.
La posizione di Nietzsche non è affatto cinica, direi interlocutoria, non chiarita filosoficamente ,bensì narrata come ad esempio in "Così parlò Zarathustra". Ospita nella sua grotta anche i "mediocri", vive nella natura con i suoi compagni l'aquila e il serpente e ama il sole che lo nutre. Non trovo cattiveria, anzi e il forte desiderio di comunicare con i propri simili. Non c'è il conflitto se non interiormente a sé provocato dalla condizione umana degli altri.
Ci sono diversi Nietzsche, gli studiosi lo suddividono in fasi, e prendono corpo nella cronologia delle sue opere.
Penso che invece Nietzsche ci credesse a questa spinta motivazionale di un umano oltre la mediocrità. Nietzsche vive un tempo in cui il germanesimo era decadente ed inevitabilmente il pensiero e gli scritti di chiunque sono legati al proprio tempo. Ma ciò che vola oltre il tempo è un'idea, un messaggio che in Nietzsche ha comunque influenzato anche tuttora molti pensatori a venire dopo di lui.
@Paul,concordo su molte delle tue considerazioni... ma penso che quanto dicevo è anch'esso valido. Questo, secondo me, è un segnale della 'poliedricità' - nonché anche direi della contraddittorietà - del pensiero nietzscheiano.
Giusto per fare un esempio, torno alla questione dell'eterno ritorno. Il 'monito' dall'aforisma della Gaia Scienza: "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte..." può essere visto come un incoraggiamento a vivere la propria vita in modo da essere completamente soddisfatti da essa, ovvero come un invito a cercare di vivere la vita in modo da volerla rivivere ancora e ancora - nel senso di vivere in modo da non avere rimorsi da occasioni perse, scelte sbagliate ecc. Visto in questo modo, chiaramente, il messaggio è anche molto bello - ovvero è un messaggio a cercare di realizzare i propri 'sogni', possiamo dire.
Però, è anche vero che anche se è possibile il successo, è anche forse più probabile il fallimento. Chiaro, Nietzsche direbbe probabilmente di non 'demoralizzarsi' davanti al fallimento ma il fatto stesso che, per esempio, a parità di impegno si possono raggiungere risultati diversi diventa secondo me un problema per la filosofia nietzscheiana, se questa - come lui fa - implica che sognare, sperare in ecc 'qualcosa di diverso' (resto generico...) da 'questo mondo' implica un disadattamento. Certamente, Nietzsche direbbe appunto che fallire 'fa parte del gioco' e che quindi non c'è nessuna 'vergogna' nel fallire quando ci si è impegnati con il masismo impegno possibile ed è quest'ultima cosa l'importante - cosa che condivido. D'altra parte, però, non vedo alcuna ragione di 'demonizzare' come Nietzsche fa quell'anelito, quella speranza, quel sogno di 'qualcosa di diverso' quando si comprende, per esempio, che ci sono dei 'difetti' in 'questo mondo' che rendono talvolta impossibile anche realizzare (o addirittura provare a realizzare) anche le più nobili aspirazioni. Per esempio, si può pensare alle disuguaglianze sociali che possono ostacolare il raggiungimento delle proprie aspirazioni (ad esempio voler fare una certa professione può essere impossibile se si vive in una situazione disagiata e così via...). Oppure gli 'ostacoli' possono venire non da questo tipo di problemi sociali ma anche da cause naturali e così via.
In 'questo mondo' palesemente ci sono ad esempio questo tipo di problemi, tra le varie cose. E 'demonizzare' la speranza in 'qualcosa di diverso' è secondo me sbagliato perché appunto si richiede un'accettazione dello 'status quo'. Tornando all'esempio di prima, secondo me Nietzsche vedrebbe come 'risentito' colui che magari dopo aver fallito nel tentativo di fare una azione veramente 'nobile' (per esempio, che ne so, cercare di cambiare in meglio una determinata società), scoinvolto da tale fallimento spera in 'qualcosa di diverso' da 'questo mondo'. Ed è questo un aspetto che trovo erroneo nella filosofia di Nietzsche.
Inoltre, come dici tu, il pensiero di Nietzsche sembra debolissimo quando ci si sposta da una prospettiva individuale ad una 'comunitaria'. Secondo me, per Nietzsche, evitare il conflitto non è una ragione per non affermare le proprie aspirazioni - non è difficile vedere che questo può essere problematico (ovviamente la problematicità dipende dalle intezioni che le parti hanno, dalla forma del conflitto (per es. un civile dibattito non è ovviamente 'problematico') ecc). Inoltre, non credo che il conflitto sia inevitabile quando si confrontano le diversità.
Non credo che l''equilibrio degli opposti' necessariamente implichi un conflitto tra di essi. Per esempio, appunto nel dialogo è vero che c'è un 'conflitto delle idee' quando il dialogo è dibattito ma talvolta il dialogo ha come effetto quello di arricchire entrambe le posizioni che si confrontano (a meno che per 'contesa' si intenda 'confronto', in tal caso concordo che la 'contesa' è inevitabile...).
Concordo con te su quanto dici su quanto dici dell'estetica...
Riguardo poi alla presenza o meno di 'cinismo' nella filosofia di Nietzsche, credo che sia un punto in effetti discutibile (per esempio l'estratto di 'Al di là del bene e del male' che avevo citato in un post che avevo 'linkato' in precedenza secondo me contiene del 'cinismo'...) ma è anche vero quanto fai notare tu. Nello Zarathustra, è vero, vengono presentate in buona luce delle vittime di un sistema morale eccessivamente oppressivo e questo è un elemento di solidarietà. Ma di nuovo, la risposta a tale problema proposta da Nietzche ha i suoi problemi, come quelli di cui parlavo sopra.
Infine, per quanto riguarda il 'divenire' naturale, in effetti sì, sembra che una metaforica contesa tra i vari elementi in gioco sia un elemento centrale. Concordo poi sulla parte dei nomi, chiaramente una 'mappa' è necessaria per orientarci...
Salve Paul11. Citandoti : "Il pensiero calcolante in sé e per sé non porterebbe conoscenza, incapace di andare oltre al calcolo dei segni e simboli, non può creare altri segni e simboli, necessita di creatività e intuto per costruire nuova conoscenza per mettere in discussione i suoi stessi teoremi e algoritmi".
Dal mio umilissimo punto di vista non sono d'accordo. Creatività ed intuito non sono altro che il frutto dell'attività interpolatoria od estrapolatoria di una mente che stia appunto "manipolando" ("mentalpolando") delle quantità precedentemente apprezzate dal "pensiero calcolante". Nessuna nozione o conoscenza è ricavabile al di fuori dei sensi, in quanto nessuna capacità di elaborazione astratta o foss'anche spiritualistica mai si verificherà in nessuna mente o spirito che - essendosi incarnati in un corpo - non vengano mai raggiunti da alcun messaggio esperienzial-sensoriale.
In parole semplici, chi nasca privo dei cinque sensi non imparerà mai a calcolare ma ad ancora a ben maggiore ragione non possiederà mai alcun retroterra che gli consenta di sviluppare facoltà mentali o spirituali poichè i suoi fantomatici "creatività ed intuito" mancherebbero di "dati" da elaborare. Saluti.
ciao Aperion
E questa volta mi viene alla mente, Bob Dylan con il suo ultimo brano musicale: "I contain multitudes" , ispirato dal poeta Whalt Whitman che scrisse il seguente aforisma:
Do I contradict myself ? Very well, then I contradict myself, I am large, I contain multitudes.
Tradotto dovrebbe essere
Forse che mi contraddico? Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico, sono vasto, contengo moltitudini.
... e c'è una verità in questo che i poeti sanno pescare dagli abissi.
La poliedricità, la contraddittorietà, porta con sé le moltitudini di pensieri che ci avvolgono fra intuizione e ragione. A volte intravvediamo qualcosa, come raggi di luce fra nubi ed è assai difficile tirare il filo di senso che unisce le nostre moltitudini senza mai essere contraddittori. In fondo è la condizione umana di noi tutti, e mi ci trovo in questo anelito in Nietzsche. Siamo cercatori di luce, di verità, ma non l'abbiamo sul palmo della mano e fra la nostra intimità e il mondo che pulsa di vita cerchiamo la ragione del nostro esserci di farne parte. E' un impulso mistico prima di tutto, prima di essere ragion calcolante, logica.
Il fallimento implica la vittoria come il nascere il morire, al fine ciò che conta forse è il provarci, è un modo di essere. Il provarci a sua volta implica il non paralizzarsi, ad avere coraggio, non frustrarsi. C'è un punto di vista positivo verso la vita, un andare incontro alla vita,
Mi sono fatto un'idea, forse sbagliata, che Nietzsche non svolga tematiche politiche perché sarebbe inutile pensare di cambiare la società costruita sulla mediocrità umana. Senza il presupposto di un uomo nuovo, del superuomo, l'umanità riproporrebbe come per l'eterno ritorno, le sue contraddizioni dentro le istituzioni sociali. Se fosse così ancora vi trovo una verità.
Quando si spera ,spesso ma non sempre, si pensa ad una "fortuna", ad una casualità che scompigli le carte per addivenire ad una situazione desiderata. L'errore è non lavorare su se stessi, ma sperare che eventi esterni ci portino a situazioni migliori. Ma noi cosa veramente facciamo affinché le cose siano migliori? Spesso il risultato è un'attesa....di qualcosa. Questo nasconde frustrazioni interne. In un modo tutto suo, se si vuole anche contraddittorio, Nietzsche lavora sul pensiero umano intimo, un voler essere che non è un avere.
La dialogia è confronto ed è dialettica. Ci si scambiano convinzioni, punti di vista, e ognuno se vuole impara. Non c'è una perfezione cristallizzata, non ci sarebbe il fluire, la trasformazione
L'imperfezione è il presupposto del divenire, la perfezione di una verità è ferma, non necessita del movimento del mutare, persino Darwin scrisse che l'imperfezione nella natura permette nuovi adattamenti, trasformazioni evolutive. Questo moto perpetuo di tutto che muta è come se cercasse una perfezione per fuoriuscirne , ma può? Sarebbe la fine di tutto?
Citazione di: viator il 03 Maggio 2020, 21:19:43 PM
Salve Paul11. Citandoti : "Il pensiero calcolante in sé e per sé non porterebbe conoscenza, incapace di andare oltre al calcolo dei segni e simboli, non può creare altri segni e simboli, necessita di creatività e intuto per costruire nuova conoscenza per mettere in discussione i suoi stessi teoremi e algoritmi".
Dal mio umilissimo punto di vista non sono d'accordo. Creatività ed intuito non sono altro che il frutto dell'attività interpolatoria od estrapolatoria di una mente che stia appunto "manipolando" ("mentalpolando") delle quantità precedentemente apprezzate dal "pensiero calcolante". Nessuna nozione o conoscenza è ricavabile al di fuori dei sensi, in quanto nessuna capacità di elaborazione astratta o foss'anche spiritualistica mai si verificherà in nessuna mente o spirito che - essendosi incarnati in un corpo - non vengano mai raggiunti da alcun messaggio esperienzial-sensoriale.
In parole semplici, chi nasca privo dei cinque sensi non imparerà mai a calcolare ma ad ancora a ben maggiore ragione non possiederà mai alcun retroterra che gli consenta di sviluppare facoltà mentali o spirituali poichè i suoi fantomatici "creatività ed intuito" mancherebbero di "dati" da elaborare. Saluti.
ciao Viator
E dove sta scritto che dica il contrario di ciò che argomenti? Mi sembra implicito che la relazione fra il soggetto umano come agente conoscitivo e il mondo esterno abbia relazioni anche con i sensi , con i nervi che portano informazioni dal mondo esterno al cervello.
Anche i fiumi possono essere imbrigliati, controfattualmente come osserva davintro. Mitizzare la natura così com'è, ma in realtà come metafisicamente appare, realizza sì l'eterno ritorno, ma della superstizione dell'essere in quanto cosa in sé.
Problematica, ma più coerente analogicamente, è la concettualizzazione del divenire, nel precario ma liquidamente realistico governo della tavola da surf che ci permette di amministrare la realtà, non più intesa come ente, ma come processo. Da processare continuamente (etica) nella dialettica retroattiva che il processo stesso nel suo divenire determina.
(la vicenda coronavirus è a tal proposito un'ottima maieuta, levatrice)
Tornando alle metafore nicciane, la soluzione al - e dissoluzione del - caos non è un agitarsi scomposto, ma una danza. Sapiente nel nascondere la grande perizia e disciplina che il suo movimento armonico, fattualmente e controfattualmente, domina.
...
ciao Ipazia,
In fondo siamo tutti interpreti e lo sono a loro modo da Anassimandro a Nietzsche e poi fino a noi.
Nietzsche non spiega e non vuole farlo parecchie problematiche che sono filosfiche. E' un atto voluto e per questo meritevole di una interpretazione sulla sua intenzionalità che si esprime contro la tradizione culturale, ma che nasce da un disagio intimo umano.
L'artificio umano derivato dalle proprie qualità di imbrigliare le forze naturali è qui nel nostro tempo da osservare e riflettere. Noi modifichiamo apparenze, non le essenze della natura.
La scienza manipola vita, ma non la crea , e la natura si riprende con la forza ciò che manipola l'uomo. Nietzsche a mio parere ha una sua intepretazione sulla natura e soprattutto dell'uomo.
La norma non è il ditirambo dionisiaco, bensì l'apollineo. Non è esaltando l'uno che scompare l'altro, ma anche viceversa.
L'etica che poggia sull'estetica non ha nessun potere di norma perché non coincide con ordini e regole ; può denunciare la norma, ma non cancellarla.
Il caos è parte dell'imperfezione naturale che le è intrinseca, che le permette di adattarsi, di spogliarsi e rimodularsi, è una modalità di riequilibrarsi e in quanto tale risponde a regole ben superiori che sono universali.
L'ebbra danza delle baccanti, del satiro e dei fedeli compagni, è una parte intima umana.
Il mio parere è che Nietzsche non è affatto alternativo al filosofo metafisico e magari pure morale, ne rappresenta l'altra faccia della stessa medaglia.
E se questa mia considerazione fosse corretta, solo Heidegger ci ha provato a modo suo a connetterle.
Mancherebbe una filosofia capace di sintetizzarle.
Citazione di: paul11 il 05 Maggio 2020, 15:21:14 PM
ciao Ipazia,
In fondo siamo tutti interpreti e lo sono a loro modo da Anassimandro a Nietzsche e poi fino a noi.
Nietzsche non spiega e non vuole farlo parecchie problematiche che sono filosfiche. E' un atto voluto e per questo meritevole di una interpretazione sulla sua intenzionalità che si esprime contro la tradizione culturale, ma che nasce da un disagio intimo umano.
Anche qualcosina di più: FN era un filosofo di razza autentica e quanto al disagio: ciò che non uccide, fortifica (cit.).
Avesse concluso la "Volontà di Potenza" (fino a poche settimane dal crollo era perfettamente lucido e attivo) tante problematiche filosofiche le avrebbe sistemate più coerentemente. La sua opposizione alla "tradizione culturale" è argomentata e non è per partito preso o disagio intimo umano.
CitazioneL'artificio umano derivato dalle proprie qualità di imbrigliare le forze naturali è qui nel nostro tempo da osservare e riflettere. Noi modifichiamo apparenze, non le essenze della natura.
La scienza manipola vita, ma non la crea , e la natura si riprende con la forza ciò che manipola l'uomo. Nietzsche a mio parere ha una sua intepretazione sulla natura e soprattutto dell'uomo.
Non vedo alcuna apparenza (magari lo fosse in tante occasioni "demoniache") nella manipolazione umana della natura visto che lo fa con le sue leggi. E non potrebbe essere altrimenti. Semmai FN critica gli aspetti metafisicamente deteriori della scienza, lo scientismo meccanicista. Nel quale poi incappa spesso e volentieri pure lui. Ma l'operare scientifico doc prescinde dalla metafisica e si confronta coi risultati sperimentali, non coi paradigmi e le dottrine.
CitazioneLa norma non è il ditirambo dionisiaco, bensì l'apollineo. Non è esaltando l'uno che scompare l'altro, ma anche viceversa.
Non so di che norma parli e a nome di chi ne parli. Se intendi physis, credo che nessun ditirambo la possa spiegare meglio di un esperimento riuscito.
CitazioneL'etica che poggia sull'estetica non ha nessun potere di norma perché non coincide con ordini e regole ; può denunciare la norma, ma non cancellarla.
Come sopra. Ma che sia a nome tuo o di FN mi pare tutto totalmente confuso. Etica ed estetica non hanno bisogno di appoggiarsi a ordini e regole per esercitare un potere normativo, perchè vengono prima e sono esse stesse a normare, ordinare e regolare.
CitazioneIl caos è parte dell'imperfezione naturale che le è intrinseca, che le permette di adattarsi, di spogliarsi e rimodularsi, è una modalità di riequilibrarsi e in quanto tale risponde a regole ben superiori che sono universali.
L'ebbra danza delle baccanti, del satiro e dei fedeli compagni, è una parte intima umana.
Mettiamo pure che derivi tutto da physis, e certamente nell'ebbrezza del vino e nella danza scomposta delle baccanti qualcosa di tale natura caotica irrompe, ma tra physis e baccante c'è tutto un processo di civilizzazione (Zivilisation) che non può essere cacciato sotto il tappeto. La baccante è una strega consapevole del suo ruolo, non una pianta di lattuga sgorgata dal suolo. Poi c'è tutta la partita dell'apollineo. La stella danzante è un punto d'arrivo non di partenza, non è un'archè, bensi un fato.
CitazioneIl mio parere è che Nietzsche non è affatto alternativo al filosofo metafisico e magari pure morale, ne rappresenta l'altra faccia della stessa medaglia.
Le medaglie filosofiche sono, come diceva una pubblicità d'antan, milioni di milioni. E tutte hanno una loro metafisica incorporata e magari pure una morale (come ogni favola che si rispetti). Rispetto ad entrambe - metafisica e morale - FN era recalcitrante, ma perchè il suo spirito aristocratico voleva il meglio, tanto dell'una che dell'altra. E se non c'è riuscito come avrebbe desidarato, le domande rimaste aperte sono comunque medaglie di buon conio su cui, a differenza di tanti epigoni, vale ancora la pena di interrogarsi.
CitazioneE se questa mia considerazione fosse corretta, solo Heidegger ci ha provato a modo suo a connetterle.
Mancherebbe una filosofia capace di sintetizzarle.
Scanserei la connessione Heideggeriana visti gli esiti storici. Almeno FN ha la scusante di essere morto prima di sua sorella. La connessione tra metafisica e morale è nel discorso filosofico, che nessuna sintesi potrà mai chiudere definitivamente, perchè
panta rei.
Ciao Paul,
scusa per il ritardo...
Citazione di: paul11 il 03 Maggio 2020, 21:56:01 PM
...
La poliedricità, la contraddittorietà, porta con sé le moltitudini di pensieri che ci avvolgono fra intuizione e ragione. A volte intravvediamo qualcosa, come raggi di luce fra nubi ed è assai difficile tirare il filo di senso che unisce le nostre moltitudini senza mai essere contraddittori. In fondo è la condizione umana di noi tutti, e mi ci trovo in questo anelito in Nietzsche. Siamo cercatori di luce, di verità, ma non l'abbiamo sul palmo della mano e fra la nostra intimità e il mondo che pulsa di vita cerchiamo la ragione del nostro esserci di farne parte. E' un impulso mistico prima di tutto, prima di essere ragion calcolante, logica.
Ricordo anche una citazione di Goethe simile a quelle che hai riportato... :) Comunque, non intendevo sminuire Nietzsche affermando la poliedricità del suo pensiero e, in certi versi, la sua contradditorietà. Né volevo dire che sono la stessa cosa. La 'poliedricità' può derivare dalla 'profondità'. La contraddizione, secondo me, invece, è un errore se non viene usata in senso 'negativo', ovvero per dimostrare che certe affermazioni sono inconsistenti.
Credo che sia ovviamente normale trovare contraddizioni nei filosofi, senza che questi perdano la loro 'grandezza'. D'altronde spesso i filosofi 'esplorano' 'luoghi' sconosciuti o comunque impervi e quindi è del tutto normale aspettarsi errori. Riguardo alla poliedricità, invece, credo che sia qualcosa che fa notare la complessità delle intuizion. Molte posizioni che leggiamo, infatti, ci paiono contradditorie, poi però dopo aver studiato ed approfondito vediamo che l'apparente contraddizione ci mostra qualcosa di più profondo e complesso. Ma la 'poliedricità' può anche venire dal fatto che lo stesso pensatore sia effettivamente confuso per la complessità del problema che sta trattando. E questo ovviamente non è un 'male' ma ci fa capire la complessità della cosa...
Inoltre, gli stessi errori possono insegnarci molto, quindi non è per niente 'tempo sprecato' anche approfondire un errore. E di certo non ho fatto un'analisi esaustiva della questione...
Mi 'identifico' anche io nell'anelito di Nietzsche, forse è anche per quello oltre per i motivi elencati prima che, pur non concondando con moltissime sue posizioni, mi piace approfondire il suo pensiero.
Citazione di: paul11 il 03 Maggio 2020, 21:56:01 PM
Il fallimento implica la vittoria come il nascere il morire, al fine ciò che conta forse è il provarci, è un modo di essere....
Prima di commentare, vorrei precisare che l'interpretazione dell''eterno ritorno' del mio precedente post, ovvero come invito a cercare di vivere una vita dovesi tenta di non sprecare occasioni, non fare scelte sbagliate e così via in modo da non avere rimorsi per aver 'sprecato' la vita, è una possibile interpretazione ma che secondo me sicuramente racchiude parte del pensiero di Nietzsche su questo argomento. Ma secondo me è incompleta, visto che ad esempio la citazione della Gaia Scienza non parla solo di fare ciò, ma di 'dire di sì' a tutto. Se poi Nietzsche intendesse solo l'imperativo che ho menzionato e che le formulazioni dell'eterno ritorno e amor fati fossero un modo per dire ciò, non saprei dirlo.
Secondo me, il fatto stesso di aspirare ad un anelito implica un'idealizzazione contro-fattuale o comunque una percezione di una 'mancanza' e, quindi, di fatto una insoddisfazione con lo status quo. Che è di fatto l'esatto opposto del 'dire di sì'. Per questo motivo, credo che ci sia nel pensiero dell'eterno ritorno una tensione insanabile tra la 'spinta' affermatrice (dal passo della Gaia Scienza: "
Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro...") e il fatto che, invece, aspirare a obbiettivi, piccoli e grandi che siano, implica appunto una percezione di una mancanza.
Quindi, l'aspirare, il desiderare ecc, secondo me, si conciliano di più, paradossalmente, con una negazione. Se ci fosse una 'completa soddisfazione' con lo status quo, non ci potrebbe nemmeno essere voglia di 'cambiarlo'. E tale soddisfazione non può venire secondo me dall''affermazione del mondo', proprio perché il solo fatto che nel tentativo di farlo si creano aspirazioni di varia natura, significa che si percepisce una mancanza. Per questo motivo, non capisco l'avversione di Nietzsche all''idealità' di qualsiasi natura, al desiderio di 'qualcosa di diverso'...Certo, è vero che in alcuni casi le 'idealità', la morale ecc sono state oppressive. Ma generalizzare come fa Nietzsche è frutto di una visione distorta e parziale del fenomeno.
'Sognare' e sperare 'idealità', secondo me, è segno di un anelito di libertà...
Citazione di: paul11 il 03 Maggio 2020, 21:56:01 PML'imperfezione è il presupposto del divenire... persino Darwin scrisse che l'imperfezione nella natura permette nuovi adattamenti, trasformazioni evolutive.
Però, vedi, considerando più che altro l'ambito umano...c'è sempre una spinta - spesso anche non voluta ma 'imposta' (e questo punto è molto importante) - ad 'adattarsi', sempre uno 'sforzo', una 'fatica' a farlo. Si può parlare di una reale 'soddisfazione' in questo 'sforzo' continuo? Credo che in tutto ciò la frustrazione sia inevitabile. Quello che intendo è che riconoscere l''imperfezione naturale' di cui parli non si 'sposa' con l'affermazione. Perché? perché imperfezione significa mancanza e mancanza significa sforzo, lotta, fatica...appunto 'lotta', ma non perché è 'una bella cosa'. Al contrario, è più una 'triste necessità' per la nostra condizione.
Certo, è vero che da (certe) 'sfide' (nel senso delle azioni che nascono dalle aspirazioni...) sono nate grandi cose, ma il fine non è la sfida in sé, perché in fin dei conti la 'sfida' ha sempre un obbiettivo e quindi è incosistente pensare che l'azione mossa da una certa aspirazione possa essere un fine. La 'sfida' è un mezzo. Inoltre, per la stessa natura della sfida, altrimenti una vera e propria 'sfida' non inizierebbe nemmeno senza un 'fine' (come si può parlare di 'sfida' come azioni atte a soddisfare aspirazioni se non c'è un obbiettivo?). In altri termini, mi sembra assurdo 'affermare' la 'sfida' in quanto 'sfida', quando essa di fatto esiste in relazione ad un obbiettivo.
Desiderare ulteriori 'lotte' (e magari 'scatenarle'...), secondo me, in realtà lascia tra l'altro continuamente insoddisfatti. Altro motivo per cui non capisco il punto di vista 'affermativo'.
Secondo me, l'anelito a superare - in qualche modo - questa 'imperfezione' è un importante elemento della spiritualità (in generale). Ovvero è un profondo anelito di libertà.
Ciao Ipazia,
scusa ,ma non riesco a seguirti, forse ho interpretato male il tuo post precedente al tuo ultimo
Se vuoi esplica meglio.
Ciao Aperion,
La contraddizione ha senso dal punto di vista logico formale. Dal punto di vista umano, e non ha importanza che sia filosofo, scienziato o esteta, oserei dire che è necessario quanto lo è l'imperfezione. A mio parere non avrebbe senso il divenire senza imperfezione ( che senso avrebbe il divenire della perfezione?) quindi contraddizione: Severino forse lo capì in senso logico, Nietzsche in senso estetico.
E' una delle tematiche fondamentali in tutti i campi del sapere.
Sono d'accordo con te sula poliedricità e sull'errore. Il logico Odifreddi dice che i paradossi furono e sono motore del sapere.
Non sono così addentro al pensiero di Nietzsche per dare un' interpretazione sull'eterno ritorno dell'identico. Lessi a suo tempo diverse interpretazioni di alcuni filosofi ovviamente contemporanei a noi , ma tutte con la sensazione che mancasse qualcosa nel pensiero di Nietzsche per poterlo definire chiaramente.
La mia impressione attuale è che Nietzsche si riferisce più alla cultura umana che alle regole, dicamo così, della natura, come aspirazione, come motivazione che nasce da una insoddisfazione.
Nietzsche è contro-culturale a suo modo, non accetta l'aver demandato al divino grossa parte delle aspirazioni umane, a suo dire.Questo toglie motivazioni all'uomo mondano di poter e voler cambiare il suo approccio nel mondo.
E' chiaro che se tutte le tradizioni culturali sul pianeta Terra hanno a che fare con il divino, non è un Nietzsche che potrà mai cambiare il mondo e tanto meno cambiare l'uomo. Se il dionisiaco non vince sull'apollineo, avrebbe dovuto approfondire anche altre strade. Ma il suo schema non è logico e quindi non è filosofico ante litteram, è manchevole e quindi lascia troppo da interpretare sui suoi vuoti, voluti o non voluti.
Ma vedi che a tuo modo l'imperfezione la metaforizzi nel polemos fra le tensioni degli opposti in Eraclito che ha influito anche Nietzsche? C'è qualcosa di vero. E' frustrante? Sì e a mio parere Nietzsche non può dare valide risposte dal suo punto di vista, e forse l'eterno ritorno dell'identico è più una constatazione che una soluzione
citaz.
Secondo me, l'anelito a superare - in qualche modo - questa 'imperfezione' è un importante elemento della spiritualità (in generale). Ovvero è un profondo anelito di libertà.
Esatto, sono d'accordo con te.
Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2020, 19:56:54 PM
Ciao Ipazia,
scusa ,ma non riesco a seguirti, forse ho interpretato male il tuo post precedente al tuo ultimo
Se vuoi esplica meglio.
Esplicherò meglio: il punto di vista di Nietzsche non è la contrapposizione
dionisiaco-apolineo se non a livello retorico, come una formula da tenere sottomano, e pure il
tragico va ricalibrato nella tarda prospettiva di FN liberandolo dagli ancora
troppo umani voli della fase giovanile "schopenauer-wagneriana" . Il punto d'approdo di Nietzsche, per chi sia interessato al suo, e non al proprio punto di vista, va cercato nei frammenti postumi preparatori della "Volontà di potenza" laddove il sistema filosofico nicciano emerge a chiare ed esplicite lettere.
Citazione di: F.Nietzsche - frammenti postumi 1887-1888 - Adelphi - Vol. 8-II
(31) 9 [41] Che cos'è una fede? Come si forma? Ogni fede è un tener per vero. La forma estrema del nichilismo sarebbe il sostenere che ogni fede, ogni tener per vero sia necessariamente falso: perché non esiste affatto un MONDO VERO. Dunque : un'illusione prospettica, la cui origine è in noi (avendo noi costantemente bisogno di un mondo ristretto, abbreviato, semplificato) .
In tal caso la MISURA DELLA FORZA è costituita dal punto sino al quale possiamo ammettere, senza rovinarci, l'illusorietà e la necessità della menzogna. In questo senso il nichilismo, come NEGAZIONE di un mondo vero, di un essere, potrebbe risultare un modo di pensare divino: ---
e subito dopo
Citazione di: F.Nietzsche - frammenti postumi 1887-1888 - Adelphi - Vol. 8-II
(32) 9 [42] Verso il 1876 ebbi paura di veder compromesso tutto quello che era stato fino allora il mio volere, quando compresi dove si andasse ormai a finire con Wagner : e io ero legato a lui saldissimamente da tutti i vincoli di una profonda unità di bisogni, dalla gratitudine, dall'insostituibilità della persona e dall'assoluta angustia che vedevo davanti a me.
Intorno allo stesso tempo mi sembrò di essere inestricabilmente incarcerato nella mia filologia e nella mia attività d'insegnamento - in qualcosa di casuale, in un espediente pratico della mia vita - ; non sapevo più come uscirne, ed ero stanco, logoro, stremato. Intorno allo stesso tempo compresi che il mio istinto seguiva una direzione contraria a quello di Schopenhauer: tendeva a giustificare la vita, anche ciò che aveva di più terribile, di più equivoco e menzognero: per questo avevo sottomano la formula del « dionisiaco».
Contro la supposizione che un «in sé delle cose» dovesse essere necessariamente buono, beato, vero, uno, l'interpretazione di Schopenhauer dell'«in sé » come volontà era stato un passo essenziale; però egli non aveva saputo divinizzare questa volontà : era rimasto fermo all'ideale morale cristiano. Schopenhauer era ancora a tal punto dominato dai valori cristiani, da essere costretto a vedere la cosa in sé - dopo che essa non risultò più per lui «Dio» - come cattiva, stupida, assolutamente da rifiutare. Non aveva compreso che ci possono essere infinite forme del poter-essere-altro e finanche del poter-essere-Dio. Maledizione di quella limitata dualità: bene e male.
Ad un certo punto FN comprende che non poteva restare impantanato nella dimensione estetica del tragico (Schopenauer-Wagner) e usa il "dionisiaco" come formula, arnese, per scardinare l'impianto metafisico paludato di "tragico" per arrivare alla vera tragedia che continua a mascherare divinamente nella contrapposizione Dioniso-Crocifisso perchè gli umani-troppo-umani comprendano, almeno nella metafora "divina", la portata del compito dell'oltreuomo che è
tutta radicata nello spirito della terra, nel suo eterno ritorno rigenerativo (a @apiron) che oltrepassa la dimensione (e la vita individuale) dell'umano.
Avendo in cambio che cosa ? "le infinite forme del poter-essere-altro e finanche del poter-essere-Dio". E' qui che l'estetica (poiesis) si innesta in un'etica ancora tutta da porre che può attingere solo da se stessa (poter-essere-Dio) senza romantiche nostalgie verso illusorie archè da disseppellire da chissaddove a far da linee guida (la serie infinita dei
cieli stellati sopra di noi)
Citazione di: F.Nietzsche - frammenti postumi 1888-1889 - Adelphi - Vol. 8-III
14 [89] ... Dioniso contro il «crocifisso»: eccovi l'antitesi. Non è una differenza in base al martirio - solo esso ha un altro senso. La vita stessa, la sua eterna fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la distruzione, il bisogno di annientamento . . .
Nell'altro caso il dolore, il «crocifisso in quanto innocente» valgono come obiezione contro questa vita, come formula della sua condanna. Si indovina che il problema è quello del senso del dolore: del senso cristiano o del senso tragico . . . Nel primo caso sarebbe la via che porta a un essere beato, nel secondo l'essere è considerato abbastanza beato da giustificare anche un'immensità di dolore.
L'uomo tragico afferma anche il dolore più aspro: è abbastanza forte, ricco e divinizzatore per ciò.
Il cristiano nega anche il destino più felice in terra: è tanto debole, povero e diseredato da soffrire di ogni forma di vita . . . «Il Dio in croce» è una maledizione della vita, un'esortazione a liberarsene. Il Dioniso fatto a pezzi è una promessa alla vita: essa rinascerà e rifiorirà eternamente dalla distruzione.
Il tragico nicciano non rimanda a nulla di trascendente, ma all'umano oltreumanato "nelle infinite forme del poter-essere-altro e finanche del poter-essere-Dio". La cui unica fede è nell'
eterno ritorno dei cicli naturali. In cui l'unico spirito, se proprio abbiamo bisogno di "tenere sottomano una formula divina" è lo Spirito della terra.
(
corsivi citazioni miei)
ciao Ipazia,
grazie per le precisazioni....
la mia risposta è "non so", non sono un filologo delle opere complete di Nietzsche.
Mi colpisce la tua sicurezza , perentorietà sul pensiero di Nietzsche.
Che il dionisiaco venga utilizzato per scardinare i pensieri divinizzanti è già praticamente nella sua prima e seconda opera sulla tragedia e sull'analisi dei filosofi greci. Se poi si vuole bypassare le opere di Nietzsche e stabilire che invece la verità del suo pensiero stia nei frammenti postumi......mi lascia molto perplesso. Altri autori sul pensiero di Nietzsche dicono il contrario di ciò che scrivi,
Che la fase cosiddetta del meriggio, di Così parlò Zarathustra è la più alta , poi negli iscritti del tramonto si assiste a nevrotiche prese di posizioni contro tutti e tutti.
Ho guardato il sito in tedesco di Nietzsche: hai presente il numero di frammenti e di lettere che sono archiviati? I frammenti da te indicati sono datati nel periodo dello scritto "Genealogia della morale" che ho studiato un paio di anni fa e infatti si assiste ad una accidiosa polemica sul crocefisso con pagine anche fastidiose e altre invece molto perspicaci.
Che la cosiddetta fase giovanile di Nietzsche sia superata rispetto alla prima fascinazione per Schopenhauer e Wagner, è vero è un dato di fatto inequivocabile. Che vi siano tali e tante operazioni editoriali, come per Heidegger, che dicono tutto e il contrario di tutto, è altrettanto vero. Girano più editorie sul pensiero di Nietzsche che non le sue opere vere e proprie edite alla stampa.
La mia posizione, oltre al "non so", è interlocutoria, in sospensione perché Nietzsche è contraddittorio nel suo pensiero, ma è una caratteristica come ho ribadito in più post, che mi affascina.
Che vi sia una stesura omogenea, oserei dire sistematica, da filosofo ante litteram, di Nietzsche, si intravede, ma penso che non fosse il suo intento fare il filosofo "classico".
Personalmente, ma è un giudizio il mio da prendere con le dovute "sospensioni", c'è una gerarchia da seguire, prima le opere, poi le lettere e i frammenti. Già Nietzsche è un pensatore che dice e non dice e quindi si fa parecchio interpretare nelle sue opere, figuriamoci se corriamo dietro alle lettere e ai frammenti.
Ma soprattutto il mio intento nell'aprire questa discussione non è un processo del totale pensiero
nietzschiano. Man mano, visto che lo studio cronologicamente, che trovo alcune considerazioni che potrebbero aprire colloqui fra noi nel forum , come ho fatto per il sileno,lo farò volentieri.
Sull'etica,che non è poiesis, di Nietzsche ho fortissime perplessità. Continuo a ribadire che la morale non è l'etica.
La morale o si fonda su un sistema di pensiero o sparisce nelle pratiche comportamentali che sono più propriamente l'etica, entrano paurosamente in contraddizione fra loro, non essendovi nessuna misura di giudizio, se non l'abitudine, le convenzioni, gli usi e costumi. La morale implica a sua volta il concetto di giustizia e la storia delle scienze giuridiche, cosa che l'etica può sbrigativamente e superficialmente glissare. Il bene non è necessariamente il bello e il bello non è il paradigma dove " è bello ciò che piace". Il piacere e il desiderio non sono identificabili con i concetti di giustizia e di virtù morali. E in questo, a me pare, Nietzsche fallisce.
E fallirà qualunque posizione che non sappia sitematizzare prima il paradigma morale....come sta avvenendo nelle pratiche odierne, individuali, sociali, famigliari, lavorative, finanziarie,....perchè senza morale e quindi giustizia, diventano precari sia la libertà che l'eguaglianza, delegate al branco naturale...del più forte.
Sono d'accordo che Nietzsche non trascende e pensa allo spirito della terra.
Grazie comunque per le tue osservazioni e conoscenze che hai portato
Ciao
Paul,
Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2020, 19:56:54 PM
La contraddizione ha senso dal punto di vista logico formale. Dal punto di vista umano, e non ha importanza che sia filosofo, scienziato o esteta, oserei dire che è necessario quanto lo è l'imperfezione.
Personalmente, direi che per esempio talvolta, le contraddizioni insorgono quando si ha la 'pretesa' di estendere certi ragionamenti oltre un certo ambito. Si può pensare che una 'visione delle cose' unitaria che cerca di abbracciare 'tutto' rischia di incorrere in questo tipi di problemi. Questa inevitabilità rispechierebbe la limitatezza della nostra condizione. D'altra parte, però, credo che la contraddizione sia una spia che 'qualcosa non va' nel nostro ragionamento - nell'esempio, il voler andar fuori un certo ambito di validità.
Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2020, 19:56:54 PM
Non sono così addentro al pensiero di Nietzsche per dare un' interpretazione sull'eterno ritorno dell'identico. Lessi a suo tempo diverse interpretazioni di alcuni filosofi ovviamente contemporanei a noi , ma tutte con la sensazione che mancasse qualcosa nel pensiero di Nietzsche per poterlo definire chiaramente.
La mia impressione attuale è che Nietzsche si riferisce più alla cultura umana che alle regole, dicamo così, della natura, come aspirazione, come motivazione che nasce da una insoddisfazione.
Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2020, 19:56:54 PM
Ma vedi che a tuo modo l'imperfezione la metaforizzi nel polemos fra le tensioni degli opposti in Eraclito che ha influito anche Nietzsche? C'è qualcosa di vero. E' frustrante? Sì e a mio parere Nietzsche non può dare valide risposte dal suo punto di vista, e forse l'eterno ritorno dell'identico è più una constatazione che una soluzione
Concordo che nell'analisi sembra esserci qualcosa di vero. E concordo che Nietzsche non riesce a dare valide risposte a questo problema...di seguito cerco un po' di approfondire un po' di più la questione (chiedo venia se faccio troppe ripetezioni...)
Infatti, secondo me, - eterno ritorno a parte - Nietzsche voleva 'affermare' questo mondo, cercando di eliminare la 'tentazione' di sognare qualcosa di diverso, un 'rifiuto' di esso ecc. E voleva affermare la 'volontà' - ovvero se vogliamo le 'brame', i desideri nelle loro varie forme ecc - che è alla base delle 'grandi imprese', delle 'grandi sfide' ecc. Insomma, Nietzsche pensava che non bisognava ostacolare la 'brama' perché altrimenti la conseguenza sarebbe stata l'oppressione della vitalità e/o una 'stagnazione' e così via. Credo che ci siano alcuni problemi con questa posizione. Di seguito, ne elencherò alcuni, senza pretesa di fare una lista esaustiva.
D'altra parte, però, come dicevo prima, se si indaga la natura della 'brama' si può vedere che essa la 'paradossalità' della questione. Uno dei frammenti di Eraclito recita "
indigenza e sazietà" (B65) nel quale probabilmente stava descrivendo il fuoco. Ma anche le brame, i desideri ecc sono di fatto simili: sembrano nascere quando si avverte l'indigenza, ovvero una 'mancanza', l'essere privi di qualcosa (in generale...)... aggiungerei poi la frustrazione, quando si incontrano ostacoli al soddisfacimento delle brame, dei desideri ecc.
Quindi, di fatto desideri, brame ecc si basano sull'insoddisfazione dello 'status quo' - insoddisfazione che non è un''affermazione'. Anzi. Ma supponendo che Nietzsche intendesse affermare proprio questo 'fuoco' più che altre cose, il problema è che, come dicevo, lo prende come un fine, a mio giudizio. Prendendolo come un fine - perché la mia impressione è che Nietzsche voleva affermare questo 'motore' più che gli 'obbiettivi' - diventa addirittura necessario avvertire un senso di mancanza. Anzi, tale senso di 'mancanza' diventa la cosa da 'affermare', quasi in un senso di 'venerare'. O meglio, è vero che ciò si 'afferma' è il 'fuoco' ma in un certo senso si deve anche affermare il combustibile. Ma così facendo, si è in un continuo stato di 'agitazione', di 'insoddisfazione'. Non credo che questo tipo di esistenza sia davvero desiderabile.
Inoltre, l'etica, gli ideali, i valori, le prorità ecc hanno sempre 'regolato' l'espressione della 'volontà' e delle azioni. Anche a livello 'individuale' (qui intendo non livello di organizzazione politico-sociale...), è ben chiaro che non possiamo 'badare a tutto', nel senso che non possiamo soddisfare tutte le nostre brame, i nostri desideri, i nostri sogni ecc. Scegliamo cosa è 'importante' e cosa non lo è. Stabilito ciò, cerchiamo poi di 'coltivare' solo o principalmente le aspirazioni, i desideri ecc che a noi sembrano 'più importanti' e rinunciamo a ciò che è 'meno importante' o 'non importante' (il che può essere assai doloroso e anche per questo non è detto che riusciamo in questo tentativo, ovviamente...). Ma per stabilire cosa è 'importante' e cosa non lo è, cosa è 'più importante' e cosa ha 'meno importanza' ecc, di fatto seguiamo un''etica', magari 'personale'. Ma così facendo di fatto mettiamo un 'vincolo' alle espressioni della 'volontà', di questo 'fuoco'. E questo vale anche per la filosofia di Nietzsche. Chiaro, Nietzsche probabilmente direbbe cha la sua filosofia ha un orizzonte puramente naturalisico. Tuttavia, anche rimanendo in tale orizzonte, rimane comunque secondo me molta varietà tra le posizioni che si possono prendere sulla questione.
Estendendo poi anche al contesto 'collettivo' (ovvero sociale, politico...senza abbandonare ovviamente quello 'individuale' citato in precedenza), secondo me FN ha fatto in questo contesto alcune delle affermazioni più disturbanti, come nel
passo di Al di là del bene e del Male già citato in precedenza. In fin dei conti, se conta più che altro l''affermazione' delle 'volontà'...
Con questo non volevo dare una lista esaustiva di cose che 'non funzionano' secondo me del pensiero di FN. D'altra parte, sono anche convinto che molti passi dei suoi scritti siano molto interessanti. Ad esempio, diverse sulla creatività, sull'indipendenza, sul risentimento e così via. Non vorrei dare l'idea di 'racchiudere' completamente il suo pensiero in queste critiche.
Ciao Aperion,
nella logica formale si può argomentare senza contraddizione rispettando il risultato che danno i connettivi logici, ma definendo e dichiarando "fesserie" tautologiche; mentre a mio parere più propriamente è un'aporia, un blocco argomentativo filosofico, ma può sostanziarsi anche in una teoria scientifica incompleta. Ed è la norma, diversamente tutto sarebbe perfettamente spiegabile e conoscibile.
Comunque sono d'accordo con te.
E' mia considerazione il fatto che ad una mancanza psichica, dell'animo umano, vi sia un tentativo di risposta, di colmarlo con un atto cosciente. E' come un compulsione psicologica.
Quindi penso, sempre con tutti i se e le sospensioni su Nietzsche, nel senso che non ho una conoscenza così approfondita da darne un giudizio, che ad una mancanza interiore corrisponde una volontà cosciente di colmarla. Ma questo è normale in noi umani, poi vi è l'esperienza, la pratica della vita che aumenta o lenisce la mancanza.
Questa brama, questa volontà era stata a suo tempo trovata da Schopenhauer come paradigma originario di tutto il sistema universale, nato per una volontà e declinato nel mondo in volontà di esistere, di vita; solo che per Schopenhauer la risposta è un pessimismo totale per la condizione umana, quasi ad annuire all'epitaffio del sileno sul destino umano, per cui si rivolge alla contemplazione buddista, attraendo le ira funeste di Nietzsche che pensa ad una volontà come motore anche come risposta come ottimismo, se così si può contrapporre al pessimismo di Schopenhauer.
Quindi sono d'accordo con te, nasce tutto da una indigenza, una mancanza, da una imperfezione naturale umana che impegna ad una risposta. Temo che sia la norma nel destino umano lo stato di insoddisfazione che diventa il motore per qualcosa, per una ricerca interiore, esteriore.Lo stato di serenità è una ricerca e spesso contemplativa, a volte estetica, a volte narrativa, tende a sublimarsi in qualcosa che in qualche modo ci soddisfa o vi tenda.
E' la morale che regola i comportamenti etici e non viceversa, per me non sono sinonimi morale ed etica. In mancanza di morale, l'etica è regolata dalle circostanze ambientali, naturali, culturali, soprattutto dalla convenienza a vivere in società e quindi a perdere qualcosa in libertà individuale per ricavarne sicurezza: ci si difende meglio e si attacca meglio in gruppi organizzati. Ma se ad esempio parliamo di un livello più alto, di convivialità, penso che senza virtù morali che regolino impulsi e istinti, la tendenza è una propensione all'egoismo, per pura convenienza, dove il forte domina il debole e il debole è protetto dal forte: una simbiosi forse strana ,ma naturale.
La mia impressione attuale su Nietzsche è che crede ad uno spontaneismo naturale umano tendente ad una positività, ma forse mi sbaglio......Se crede che tolte le condizioni per lui di schiavitù spirituale sul divino, si possa aprire la strada del nuovo fanciullo superuomo........è ottimista. Con tutte le contraddizioni del caso, sempre a mio parere...che ammetto deficitario in quanto incompleto.
La disamina sulla volontà di potenza certifica comunque una verità naturale che avevo già scritto, non ha morale, ha delle sue regole che sono spietate e crudeli quanto il destino di morire. A mio parere è onesto Nietzsche ad aprire gli occhi agli umani.
Altro, sempre a mio parere, è costruire sopra questa verità naturale un pensiero costruttivo umano
Citazione di: paul11 il 07 Maggio 2020, 13:16:34 PM
ciao Ipazia,
grazie per le precisazioni....
la mia risposta è "non so", non sono un filologo delle opere complete di Nietzsche.
Mi colpisce la tua sicurezza , perentorietà sul pensiero di Nietzsche.
Primum legere, deinde philosophari :) E' tutto scritto e disponiamo pure di un'ottima integrale filologica per merito di due Italiani.
CitazioneChe il dionisiaco venga utilizzato per scardinare i pensieri divinizzanti è già praticamente nella sua prima e seconda opera sulla tragedia e sull'analisi dei filosofi greci. Se poi si vuole bypassare le opere di Nietzsche e stabilire che invece la verità del suo pensiero stia nei frammenti postumi......mi lascia molto perplesso. Altri autori sul pensiero di Nietzsche dicono il contrario di ciò che scrivi,
Che la fase cosiddetta del meriggio, di Così parlò Zarathustra è la più alta , poi negli iscritti del tramonto si assiste a nevrotiche prese di posizioni contro tutti e tutti.
Ho guardato il sito in tedesco di Nietzsche: hai presente il numero di frammenti e di lettere che sono archiviati? I frammenti da te indicati sono datati nel periodo dello scritto "Genealogia della morale" che ho studiato un paio di anni fa e infatti si assiste ad una accidiosa polemica sul crocefisso con pagine anche fastidiose e altre invece molto perspicaci.
Se si guarda la
cronologia delle opere di Nietzsche si scopre come ci sia un addensamento della sua attività pubblicistica a partire dallo Zarathustra (1885) in poi (1888). Sono poco più di tre anni in cui FN ha già chiaro il suo "sistema" filosofico che vuole finalmente venire alla luce in una forma sistematica, rivestendo di carne e sangue i voli poetici del profeta persiano che tanto successo aveva riscosso. In tale contesto i frammenti più sistematici, i piani di lavoro, sono altamente indicativi di come procedesse la "preparativa di laboratorio" del progetto e forse sono l'unico materiale che ci permetta di capire dove andava a parare la sua parabola filosofica. Ben più delle opere pubblicate, sempre più affette da una contingente e affrettata necessità di dire tutto e subito, quasi a presagire il crollo imminente. Avvicinandosi alla data fatale del cavallo torinese (3 gennaio 1989) diventava sempre più cieco e doveva farsi scrivere e correggere i lavori da altri. Non certo le condizioni migliori per fare un lavoro sistematico. Ecco che allora bisogna stanarlo al di sotto della pamphlettistica pubblicata, nel guazzabuglio di frammenti che i filologi hanno ordinato cronologicamente dall'85 all'88. Significativo che il grosso del materiale inedito
importante si trovi proprio tra l'87 e l'88, mentre gli appunti degli anni precedenti sono confluiti abbastanza compiutamente nelle opere pubblicate.
CitazioneChe la cosiddetta fase giovanile di Nietzsche sia superata rispetto alla prima fascinazione per Schopenhauer e Wagner, è vero è un dato di fatto inequivocabile. Che vi siano tali e tante operazioni editoriali, come per Heidegger, che dicono tutto e il contrario di tutto, è altrettanto vero. Girano più editorie sul pensiero di Nietzsche che non le sue opere vere e proprie edite alla stampa.
La mia posizione, oltre al "non so", è interlocutoria, in sospensione perché Nietzsche è contraddittorio nel suo pensiero, ma è una caratteristica come ho ribadito in più post, che mi affascina.
Che vi sia una stesura omogenea, oserei dire sistematica, da filosofo ante litteram, di Nietzsche, si intravede, ma penso che non fosse il suo intento fare il filosofo "classico".
Personalmente, ma è un giudizio il mio da prendere con le dovute "sospensioni", c'è una gerarchia da seguire, prima le opere, poi le lettere e i frammenti. Già Nietzsche è un pensatore che dice e non dice e quindi si fa parecchio interpretare nelle sue opere, figuriamoci se corriamo dietro alle lettere e ai frammenti. Ma soprattutto il mio intento nell'aprire questa discussione non è un processo del totale pensiero nietzschiano. Man mano, visto che lo studio cronologicamente, che trovo alcune considerazioni che potrebbero aprire colloqui fra noi nel forum , come ho fatto per il sileno, lo farò volentieri.
Inequivocabile è che il pensiero di FN abbia una sua continuità e che alla fine sia giunto anche ad una sistematicità intorno ai paradigmi da lui affermati e testati nell'intero arco della sua riflessione filosofica, sui cui fondamenti si può discutere, ma non certo liquidarli superficialmente con la giustificazione dell'incoerenza e della pazzia. Laddove FN
afferma perentoriamente non ci sono
interpretazioni che possano scalfire il
fatto del testo scritto, a meno che successivamente sia lo stesso FN ad averlo rinnegato. Cosa che in "Ecce homo" (1888) egli fa con grande lucidità autoreferenziale per cui questo testo andrebbe letto per primo, non per ultimo come un approccio "scolastico" consiglierebbe. Si eviterebbe così di perdersi in inutili illazioni falsificate poi dall'autore medesimo. A meno di non voler essere a tutti i costi più nicciani di FN medesimo, vezzo insopportabile di tanti critici che devono pur guadagnarsi la pagnotta. Andare a ritroso verso i testi giovanili è sacrosanto, ma per cogliere i germogli di un pensiero, non certo per confutare le correzioni e abiure di quel pensiero da parte dell'autore medesimo.
CitazioneSull'etica,che non è poiesis, di Nietzsche ho fortissime perplessità. Continuo a ribadire che la morale non è l'etica.
La morale o si fonda su un sistema di pensiero ...
...il quale sistema di pensiero si fonda su cosa ?
Citazione... o sparisce nelle pratiche comportamentali che sono più propriamente l'etica, entrano paurosamente in contraddizione fra loro, non essendovi nessuna misura di giudizio, se non l'abitudine, le convenzioni, gli usi e costumi. La morale implica a sua volta il concetto di giustizia e la storia delle scienze giuridiche, cosa che l'etica può sbrigativamente e superficialmente glissare. Il bene non è necessariamente il bello e il bello non è il paradigma dove " è bello ciò che piace". Il piacere e il desiderio non sono identificabili con i concetti di giustizia e di virtù morali. E in questo, a me pare, Nietzsche fallisce.
E fallirà qualunque posizione che non sappia sitematizzare prima il paradigma morale....come sta avvenendo nelle pratiche odierne, individuali, sociali, famigliari, lavorative, finanziarie,....perchè senza morale e quindi giustizia, diventano precari sia la libertà che l'eguaglianza, delegate al branco naturale...del più forte.
... e si torna alla vexata quaestio: nomos>ethos>physis o physis>ethos>nomos ?
Che poi, essendoci un solo ethos, voler trovare differenze
sostanziali tra morale ed etica è antropologicamente insostenibile. Semmai differenze
funzionali sulle quali è consistente la definizione hegeliana di morale come empiria dell'ethos ed etica come sua scienza. Interpretazione sostenuta anche
dall'etimo e dal pensiero classico in cui il κά finale di ἠϑικά rimanda alla techne, quindi ad un apparato razionale atto ad interpretare l'ethos empirico indagandone le radici e motivazioni e fornendo soluzioni "tecniche" (etica) di natura antropologica ad hoc
CitazioneGrazie comunque per le tue osservazioni e conoscenze che hai portato
E' uno scambio reciproco :D
ciao Ipazia,
Sei talmente certa della tua interpretazione di Nietzsche da ammirarti.
Non posso che invece a mia volta ribadire la mia ignoranza in merito alla totalità del pensiero che via via si dipana in Nietzsche, per cui posso giudicare solo di ciò che ho letto e studiato che non è tantissimo. Mi rimangono dei forti dubbi su altre interpretazioni di parecchi studiosi. Mi è possibile chiarire i miei giudizi attuali solo leggendo e studiando.
E adatto che studio Nietzsche cronologicamente mi attengo a ciò che scrive lui e poco mi importa delle interpretazioni se non direttamente attinenti a ciò che ha scritto.
L'ultimo Nietzsche non cassa il primo Nietzsche, sono scritti tutti e sono alla storia. Se poi qualcuno dai frammenti vuol trovare il bandolo della matassa, libero di farlo, ma non di impormi il suo metodo e contesto.
Poni all'attenzione i paradigmi e la coerenza di Nietzsche. I paradigmi sono deboli, la denuncia non cancella una tradizione se non costruendo altrettanti paradigmi ancor più potenti. Nietzsche è un antesignano della contro cultura, ma che non cambia il corso della cultura. La sua influenza è su pensieri ancora deboli di costituzione e cagionevoli di interpretazioni.
Ribadisco e non è farina del mio sacco che troppi studiosi denunciano una decadenza dopo Così parlò Zarathustra e finché non è dimostrato il contrario e la storia di Nietzsche tenderebbe a confermarli, rimango di questa opinione.
E ridargli con questa etica...... Non caverai mai un ragno dal buco iniziando dai comportamenti
pratici degli umani che sono così ampi, dall'onesto al disonesto, dal pensiero all'azione, dal conveniente al solidale...vi troverai oceani di contraddizioni che piacciono alle analisi statistiche sociologiche e dei marketing: a questo serve.
Se pensi che antropologi e sociologi hanno in mano il pensiero etico confonderai gli effetti con le cause, allargherai alla psicologia, e non basterà, passerai alla neuroscienze e cognitivismo e non capirai la differenza fra mente e cervello ,ti rivolgerai alla biologia e il DNA non ti dirà dalla sua elica come è costituito l'uomo (non capiscono neanche un RNA di un virus), penserai all'evoluzionismo darwinista e troverai la prevalenza del cretino sull'onesto.... Tanti auguri.
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2020, 10:17:28 AM
Che poi, essendoci un solo ethos, voler trovare differenze sostanziali tra morale ed etica è antropologicamente insostenibile. Semmai differenze funzionali sulle quali è consistente la definizione hegeliana di morale come empiria dell'ethos ed etica come sua scienza. Interpretazione sostenuta anche dall'etimo e dal pensiero classico
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 13:34:02 PM
E ridargli con questa etica...... Non caverai mai un ragno dal buco iniziando dai comportamenti
pratici degli umani che sono così ampi, dall'onesto al disonesto, dal pensiero all'azione, dal conveniente al solidale...vi troverai oceani di contraddizioni che piacciono alle analisi statistiche sociologiche e dei marketing: a questo serve.
In aggiunta a quanto ricordato da
Ipazia, non so se ciò possa essere ulteriore elemento utile nella diatriba forumistica fra «etica» e «morale»: tra i corsi universitari, non mi pare ci siano corsi di «filosofia etica», bensì o di «filosofia morale» o di «etica» (magari declinata con specificazioni, «della comunicazione», o altro). Questo perché, come spiegato solitamente nelle prime lezioni (se non ricordo male), l'etica è la riflessione (filosofica)
sulla morale; per cui "filosofia etica" sarebbe ridondante e «filosofia morale» è solo una perifrasi di «etica» che mette l'accento sull'ambito filosofico.
Detto in sintesi, la morale viene intesa come l'apparato di valori propri di una comunità, mentre l'etica è piuttosto la riflessione filosofica sua tali valori, sul loro fondamento, etc. poi nel linguaggio comune, giustamente generalista e vago, sono spesso sinonimi (dipende quindi da quale linguaggio vogliamo usare).
Edit: doveroso ricordare che quando si parla di «codice etico aziendale», di «certificazione etica Sa 8000», etc. non si sta usando un linguaggio strettamente filosofico, ma con l'
aggettivo «etico» si allude a principi e valori sociali o di gestione delle risorse umane.
Ciao Phil,
non so cosa oggi le università inseriscano nei corsi di studi, ma so che storicamente c'era la filosofia morale che comprendeva anche quella politica, poi via ,via, sparisce la morale e la politica viene spinta alle scienze politiche.
Da sempre l'etica è la prassi, la pratica del comportamento umano, ma non è un paradigma.
Se poi antropologi, sociologi e persino psicologi e aggiungiamo anche gli etnologi, dal comportamento umano deducono teorie ,quella è la strada inversa per giungere alla morale, poiché così facendo la morale diventerebbe giustificativa di un'etica e persino di qualche teoria antropologica, sociologica, ecc.
La morale è necessariamente meta-fisica.
I filosofi e scienziati politici si sono adattati alla sparizione della morale a favore dell'etica, inventando delle forme di giustizia, come quella distributiva, il neo corporativismo o neo contrattualismo, ecc. Incidendo in ben poco sulla storia.
Che piaccia o no alcuni concetti stessi utilizzati da Nietzsche , di arianesimo, pangermanesimo, patria, popolo, nazione e i relativi rituali e simboli , feste nazionali, bandiere, vessilli, inni nazionali vengono dalle morali non dalle etiche, perché sono identitarie in qualunque popolo e tradizione.
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 18:49:44 PM
non so cosa oggi le università inseriscano nei corsi di studi, ma so che storicamente c'era la filosofia morale
Concordo: la «filosofia morale» (ovvero, in una parola, etica) non una disciplina chiamata «morale». Quel «da sempre l'etica è la prassi»(cit.) non so se trovi adeguato riscontro filologico; Ipazia ha già linkato in merito e il modo in cui alcuni filosofi parlano di etica credo minacci quel «da sempre», almeno se inteso nella filosofia. Si tratta di capire se si vuole usare il linguaggio comune o quello settoriale o quello di un filosofo in particolare.
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 18:49:44 PM
Che piaccia o no alcuni concetti stessi utilizzati da Nietzsche , di arianesimo, pangermanesimo, patria, popolo, nazione e i relativi rituali e simboli , feste nazionali, bandiere, vessilli, inni nazionali vengono dalle morali non dalle etiche, perché sono identitarie in qualunque popolo e tradizione.
Concordo: vengono dalle morali, non dalle etiche (cioè dalle filosofie morali), proprio perché
Citazione di: Phil il 08 Maggio 2020, 14:38:08 PM
la morale viene intesa come l'apparato di valori propri di una comunità, mentre l'etica è piuttosto la riflessione filosofica sua tali valori
P.s.
Chiaramente, nulla vieta di dare ai due termini un significato personalizzato, siamo pur sempre su un forum, non all'università.
Ciao Phil,
citaz.
Chiaramente, nulla vieta di dare ai due termini un significato personalizzato, siamo pur sempre su un forum, non all'università.
L'importante è la precisione dei termini per la comunicazione ,diversamente o non capiamo o ci fraintendiamo. Ma muta anche l'argomentazione, che per me è seria, importante dal punto di vista storico, indipendentemente sia giusto ,sbagliato, ecc.
Il primo punto è che morale, moralista, "bacchettone" ,conformista sono divenuti sinonimi e questo è storicamente avvenuto spacciandole per liberazioni. Attenzione qui c'è lo stesso problema fra cristianesimo e Chiesa . L'istituzione è quel qualcosa che sta fra concetto pensato e interpretante pratico che potremmo dire come la pratica comportamentale etica sia più o meno coerente con il concetto morale, questo ruolo nasce per forza anche dal nomos greco di Esiodo, nello specifico della cultura greca e poi occidentale, e indicò il concetto di sovranità come istituto fra l'armonia, l'equilibrio del cielo e della natura che doveva essere recepita dalla organizzazione umana. Gli istituti giuridici antichi erano quindi posizionati in mezzo, intermediari, fra il nomos e la società umana.
Se si è colto bene il concetto, dal sacerdote allo stregone, dallo sciamano, al sovrano, al capo tribù, sono ovunque a tutte le latitudini, non solo nel nomos greco. Gli istituti giuridici si "ibridano" già nel passaggio al diritto romano, dove comincia a prevalere il diritto privato. Per fare un altro esempio gli usi e costumi verranno introdotti dal germanesimo con il susseguente passaggio del diritto canonico e civile romano all'epoca del Barbarossa, eccetera eccetera.
Ho già scritto che nonostante tutti gli sforzi culturali della modernità gli istituti come concetti fondamentali sono di fatto immutati come concetto ,ma svuotai del contenuto originario .
Semplicemente perché il potere umano, anche nei grandi passaggi del concetto di sovranità, dove era il Papa a consacrare l'imperatore e poi il feudalesimo e poi le monarchie costituzionali, repubbliche democrazie.....gli istituti rimangono. Per quanto il nazismo ,il fascismo, il comunismo russo e quello cinese di Mao, e quant'altro possano cambiare i colori e forzare sui passaggi di mentalità dichiarando regimi coattivi o liberi interni ( e questo è l'etica), gli istituti storici tradizionali non mutano affatto perché non può reggere un qualunque regime autoritario basato solo sulla forza e sul militarismo di Stato . Per questo dico che anche Marx ha fallito, ha fallito Freud , ha fallito Nietzsche, perché non sono arrivati alle vere radici culturali del genere umano, non solo occidentale, nonostante abbiano lasciato pensieri importanti . Non si può pensare che il libretto rosso di Mao cancelli il confucianesimo di duemila e passa anni prima o il taoismo che sono dentro la medicina, tradizionale, nei rituali famigliari, nell'educazione famigliare. E infatti passano i regimi e riemergono le tradizioni storiche identitarie.
Nietzsche non può glissare il sistema uomo come natura e cultura perché non gli va la morale. E come si sarebbero mai formati le tradizioni antichissime egizie, quella vedica indiana, quella sumerico assiro babilonese, se persino l'homo neanderthaliano seppelliva in terra i propri morti?
Il neanderthaliano il sapiens sono l'antesignano del metafisico che inizia il culto e i disegni nelle grotte è la prima estetica? La trascendenza non è soltanto un concetto filosofico , la filosofia lo concettualizza, lo codifica culturalmente, ma nasce con l'homo.
Glissare i fondamenti significa depistare tutta la cultura e sbagliare il segno, rimangono importanti riflessioni, quello sì.
Salve. un banale, minimo intervento etimologico :
Citazione di: Phil il 08 Maggio 2020, 20:26:13 PM
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 18:49:44 PM
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 18:49:44 PM
Che piaccia o no alcuni concetti stessi utilizzati da Nietzsche , di arianesimo, pangermanesimo, patria, popolo, nazione e i relativi rituali e simboli , feste nazionali, bandiere, vessilli, inni nazionali vengono dalle morali non dalle etiche, perché sono identitarie in qualunque popolo e tradizione.
Concordo: vengono dalle morali, non dalle etiche (cioè dalle filosofie morali), proprio perché
Citazione di: Phil il 08 Maggio 2020, 14:38:08 PM
la morale viene intesa come l'apparato di valori propri di una comunità, mentre l'etica è piuttosto la riflessione filosofica sua tali valori
Giustamente, visto che "ethos" è il comportamento (la sostanza interiore) mentre i "mores" sono i costumi (l'apparenza sociale ed esteriore).
Dal basso della mia ignoranza non riesco a capire, al di là del senso comune, come si possano culturalmente confondere i due significati. Saluti.
Ciao
Paul,Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AMCiao Aperion,
nella logica formale si può argomentare senza contraddizione rispettando il risultato che danno i connettivi logici, ma definendo e dichiarando "fesserie" tautologiche; mentre a mio parere più propriamente è un'aporia, un blocco argomentativo filosofico, ma può sostanziarsi anche in una teoria scientifica incompleta. Ed è la norma, diversamente tutto sarebbe perfettamente spiegabile e conoscibile.
Comunque sono d'accordo con te.
Penso anche io che siamo per lo più d'accordo. L'aporia infatti è sì un segnale che c'è un errore nel nostro ragionamento, però come dici tu l'aporia è un segnale di complessità. Essere consapevoli dell'aporia e quindi della limitatezza a fronte di una complessità, è una sorta di 'dotta ignoranza' (a proposito di armonia di opposti ;D ).
Ciò non toglie che si dovrebbe comunque aspirare a cercare di essere quanto più consistenti e chiari possibile.
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AM
Questa brama, questa volontà era stata a suo tempo trovata da Schopenhauer come paradigma originario di tutto il sistema universale, nato per una volontà e declinato nel mondo in volontà di esistere, di vita; solo che per Schopenhauer la risposta è un pessimismo totale per la condizione umana, quasi ad annuire all'epitaffio del sileno sul destino umano, per cui si rivolge alla contemplazione buddista, attraendo le ira funeste di Nietzsche che pensa ad una volontà come motore anche come risposta come ottimismo, se così si può contrapporre al pessimismo di Schopenhauer.
...
Sì bene o male concordo nuovamente con te. Schopenhauer riteneva che questo 'processo', questo 'fuoco' di 'indigenza e sazietà' fosse l'essenza del mondo fenomenico e del soggetto conoscente. Tuttavia, questo 'sforzo' non mirava a niente - o meglio era in continuazione rinnovato perché nessun soddisfacimento riusciva ad essere 'completo' e quindi alla fine si tornava all'indigenza. Da qui il 'pessimismo', visto che questo 'sforzo' era continuamente rinnovato se si riusciva a trovare soddisfazione oppure era soggetto a frustrazione, in caso di fallimento - e questa 'visione' per Schopenhauer portava quanto meno ad una 'moderazione' della 'volontà', per arrivare perfino alla mortificazione. (Vero poi che Schopenhauer si era rivolto alla filosofia e alla spiritualità induista e buddhista, trovando molte affinità con il suo pensiero ci sono chiaramene anche molte differenze, ma direi che non è il 'luogo' adatto per discuterne ;) ).
D'altra parte, Nietzsche era fortemente contrario a questa
reazione. Concordava con Schopenhauer che sì, c'era un aspetto tragico nell'esistenza. E che sì questo processo di indigenza e (ricerca di) sazietà era soggetto a frustrazione e ad essere rinnovato in continuazione. Ma Nietzsche riteneva che la giusta 'reazione' fosse di segno completamente opposto e infatti arrivava ad 'affermare', fino al punto di 'venerare' in un certo senso questa 'attività', questo sforzo.
Riguardo al tema della sofferenza peunso che due frammenti di Eraclito siano molto interessanti anche per la filosofia di Nietzsche (nel senso che secondo me spiegano le ragioni che stanno dietro a diverse considerazioni di FN):"
La malattia rende piacevole la salute, la fatica il riposo, la fame la sazietà." (B111)
"
Per gli uomini non è meglio che tutto accada come desiderano" (B110)Concordo con Eraclito che possiamo imparare molto 'attraverso' le 'esperienze negative'. Dico 'attraverso' perché è vero secondo me che, per esempio, una lunga malattia ci
può far apprezzare di più la salute. Ma non è che dobbiamo 'sperare' di vivere le 'esperienze negative', perché altrimenti quelle positive non potrebbero veramente 'essere apprezzate'. Il problema è che si arriva ad una sorta di 'dolorismo' dove la sofferenza, il dolore viene visto come qualcosa che 'dobbiamo' per forza sperimentare in modo da 'vivere veramente'. Quindi se da un lato è vero secondo me che 'attraverso' esperienze negative possiamo imparare molto, possiamo 'crescere' e così via perché possono far 'scattare' in noi qualcosa che ci fa andare in quella direzione, dall'altro lato non credo che ciò sia sufficiente a farcele considerare come qualcosa di 'positivo'. Ritengo che, in realtà, rimangono 'negative' anche se come effetto 'collaterale' può portare ad una 'crescita', un maggiore apprezzamento delle cose 'positive' e così via. Idem nel caso della 'lotta'. Concordo che il 'lottare' (in vari sensi) ci può far apprezzare meglio la calma, la pace ecc. Tuttavia, questo non ci deve far pensare che la 'lotta' sia qualcosa di 'positivo'. Oppure, per fare un altro esempio. Un'esperienza di frustrazione ci può sì far 'scattare' in noi qualcosa che ci induce a cambiare un determinato comportamento che causa in noi molta sofferenza, ma questo non toglie che la frustrazione è un'esperienza 'negativa'.
Questo è un motivo per cui dicevo che pur pensando che Schopenhauer sia 'estremo', sono in un certo senso più vicino a lui rispetto che Nietzsche.
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AMLa mia impressione attuale su Nietzsche è che crede ad uno spontaneismo naturale umano tendente ad una positività, ma forse mi sbaglio......Se crede che tolte le condizioni per lui di schiavitù spirituale sul divino, si possa aprire la strada del nuovo fanciullo superuomo........è ottimista. Con tutte le contraddizioni del caso, sempre a mio parere...che ammetto deficitario in quanto incompleto.
Nì, nel senso che sono d'accordo che Nietzsche voleva 'eliminare' i vincoli alla 'volontà' per renderla spontanea, ma non credo che tenda necessariamente ad una 'positività' (ma potrei averti frainteso...). Infatti, la mia impressione è che FN voleva 'liberare' la 'volontà' accettando
tutte le conseguenze del caso. E in effetti Nietzsche sembrava ammirare (pur non risparmiandoli dalle critiche) un po' tutti coloro che avevano avuto un 'grande impatto' sulla storia. Per esempio, aveva una certa ammirazione sia per Goethe che per Napoleone anche se, chiaramente, 'esprimevano' la 'volontà' in modo diverso. Ed è qui appunto che arriva un grosso problema della filosofia di Nietzsche. Il suo rifiutarsi di 'mettere delle regole' all'espressione della 'volontà' (se non forse che si deve evitare di farla esprimere in modo che si auto-limiti)...
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AM
Altro, sempre a mio parere, è costruire sopra questa verità naturale un pensiero costruttivo umano
Gìà, questo secondo me questo è un grosso errore di Nietzsche...
Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 22:06:08 PM
Nietzsche non può glissare il sistema uomo come natura e cultura perché non gli va la morale. E come si sarebbero mai formati le tradizioni antichissime egizie, quella vedica indiana, quella sumerico assiro babilonese, se persino l'homo neanderthaliano seppelliva in terra i propri morti?
Il neanderthaliano il sapiens sono l'antesignano del metafisico che inizia il culto e i disegni nelle grotte è la prima estetica? La trascendenza non è soltanto un concetto filosofico , la filosofia lo concettualizza, lo codifica culturalmente, ma nasce con l'homo.
Glissare i fondamenti significa depistare tutta la cultura e sbagliare il segno, rimangono importanti riflessioni, quello sì.
La tematica del fondamento non è certo sdoganabile in una manciata di righe
off topic, ma secondo me il fondamento, se inteso come chiave di lettura dell'esser-uomo-nel-mondo, non è tanto un
archètipo d'innesco né un sommesso denominatore comune a tutte le epoche, ma piuttosto una
dinamica fra fondamenti, alcuni sfondati (quindi non più fondanti), altri magari appena assunti a fondamento. Se l'uomo primitivo seppelliva i morti e dopo di lui fecero altrettanto egizi e altri popoli, ciò non è un fondamento né della cremazione (con origini forse altrettanto antiche) né aiuta a capire il rapporto con la morte delle ultime generazioni (quelle che vedono il vuoto nel folklore delle formalità funebri). I "maestri del sospetto", proprio come Mao, il nazismo, il comunismo russo, etc. sono fra i fondativi della società contemporanea: possono aver perso (se vincere è non essere criticabili o "durare per sempre"), tuttavia, senza una minima consapevolezza di loro, l'attualità risulta un mistero inintelligibile. E non sono fondanti solo della
comprensione dell'oggi: soprattutto, le tangibili ripercussioni sociali, politiche, etc. della loro caduta nello stagno della storia, sono ancora
performative e in atto (come centri concentrici nell'acqua, più si espandono e più si indeboliscono, perché inevitabilmente perdono la spinta iniziale e si incrociano con altri; ma non considerarli è pensare erroneamente che nello stagno ci sia ormai calma piatta).
Affermare che «passano i regimi e riemergono le tradizioni storiche identitarie»(cit.) secondo me non rende giustizia a ciò che ha portato alla nascita di tali tradizioni identitarie (a discapito di altre, sconfitte), né all'estinzione in corso di molte tradizioni
storiche (quelle delle minoranze culturali), né al condensarsi di nuove (neo)culture tramite ibridazione (si pensi alla globalizzazione) e a tutti quei cambiamenti dello scenario antropologico e sociale che ci distinguono dai sumeri.
C'è indubbiamente un residuo sapienziale che rende ancora attuali testi antichi, perché in fondo si parla pur sempre di uomini il cui funzionamento psicologico, neurologico, etc. non è stato stravolto negli ultimi duemila anni. La "semplicità" con cui l'uomo antico era decifrabile, "semplicità" che rende appunto attuale una certa riflessione sull'uomo, oggi è insufficiente per capire l'uomo contemporaneo: «insufficiente» non significa che sia inutile o non possa più trasparire dalle pieghe dell'attualità; «insufficiente» significa che, se togliamo tutti i fondativi che si sono accumulati fra noi e l'impero romano, difficilmente riusciremo a capire (e poi a spiegare) come mai non siamo semplicemente degli etruschi che usano gli
smartphone.
P.s.
Siamo comunque in un topic su Nietzsche e non vorrei deviarlo, eventualmente ne riparleremo altrove.
Ciao Aperion,
Eraclito pensa al contrasto che in un certo qual modo è simile al conflitto. Ciò che risalta è
un primo piano rispetto ad uno sfondo, la malattia rispetto alla salute o viceversa, una vittoria su una sconfitta o viceversa. Fanno tutto parte del vissuto che rispecchia il suo pensiero sul fondamento, su come si regolano le cose.
Schopenhauer alla fin fine, trendo il risultato del suo pensiero sulla volontà è pessimista e quando porta ad assimilare una motivazione passiva, poiché diventa contraddittorio persino il suicidio scrive, un atto ancora di volontà su un altro di volontà originaria di dover vivere.
Nietzsche, pur condividendo questa volontà, l'interpreta esistenzialmente attiva, quindi la motivazione diventa opposta, un dover cambiare un poter cambiare.
Per spontaneismo intendo che Nietzsche, è un mio parere interpretativo sul suo pensiero, quindi come al solito da prendere con "le pinze", ritiene positivo per origine, per natura, l'uomo.
Tolto il condizionamento morale, l'uomo libererebbe la sua natura positiva, propositiva, appunto la sua volontà ed è esatto, accettando tutte le conseguenze del caso.
L'auto limitazione dovrebbe essere connaturata nell'uomo: Nietzsche ha una grande fiducia per l'uomo.
Purtroppo, mia considerazione, l'uomo non "funziona" così.
ciao Phil,
Il fondamento è come è l'universo e la relazione che l'uomo ha con esso, in quanto è comunque parte, quindi è anche come l' uomo sta-nel-mondo, ma non può prescindere dalla relazione, che filosoficamente è sempre un'interpretazione, una ricerca.
Nietzsche bypassa il fondamento universale e scende al livello del come-l'uomo-sta-nel-mondo e la relazione quindi è solo con la natura.
Per me invece è un archetipo, lo pensavano i Greci, lo pensa a suo modo persino l'archetipo trovato nella psicologia analitica C.G.Jung. E anche la volontà, a suo modo è un archetipo per Schopenhauere e Nietzsche, con tutte le loro diversità interpretative.
Secondo te perché l'uomo primitivo comincia a seppellire i morti? L'elaborazione del lutto da parte della psicologia moderna è uno dei tentativi di risposta. Ma il vedere un cadavere privo di vita , di quella persona con cui si avevano complesse e tante relazioni e senza un ritorno, una definitiva rottura, un animale lo supera in breve, l'uomo deve appunto elaborare quel mistero.
Il fatto che le antiche sepolture siano qualcosa di artisticamente spesso spettacolare per la bellezza, se lo si pone nel tragico fra vita e morte, l'elaborazione porta anche alla rappresentazione, al rito.
Faccio un esempio: il cadavere del defunto spesso era in casa e da noi solo fino a pochi decenni fa.
Chiediti come mai sparisce dalla vista un persona affetta di coronavirus, non è possibile assisterlo e vederlo, muore, quasi non si fa un funerale, e i parenti ,amici reclamano. Non c'è una elaborazione del lutto.
Ma a prescindere dall'esempio , si pensa forse che la natura umana sia cambiata anche solo rispetto a cinquecentomila anni fa? E come mai si leggono testi buddisti, taoisti, la Bibbia è ancora il testo più venduto nel mondo, il Corano, ecc.
Pensi davvero che la sceneggiatura della tecnica occidentale possa mutare l'essere umano?
Come se davvero la linearità temporale sia progressiva, sia quel progresso positivista? Nemmeno Nietzsche a mio parere lo pensa, tant'è che si rivolge alla tragedia greca esaltando persino la forma dell'anfiteatro greco più partecipativo che non l'architettura del teatro moderno, e ad un eterno ritorno degli identici.
Non fraintendiamo: un conto è studiare la natura umana per quel che è, e un conto è la storia della organizzazione umana. L'una non può cancellare l'altra c'è un rapporto simbiotico molto complesso, di pacificazione di un conflitto che è sempre latente. La storia della mimesi, di come mimetica mente i fondativi della natura umana, vengono diversamente rappresentati nella storia della cultura, dell'arte, delle scienze, hanno sempre il denominatore comune dell'essere umano che non ha storia, è quello che è da quando ha il potere del linguaggio.
Citazione di: paul11 il 10 Maggio 2020, 12:19:50 PM
Non fraintendiamo: un conto è studiare la natura umana per quel che è, e un conto è la storia della organizzazione umana. L'una non può cancellare l'altra c'è un rapporto simbiotico molto complesso, di pacificazione di un conflitto che è sempre latente. La storia della mimesi, di come mimetica mente i fondativi della natura umana, vengono diversamente rappresentati nella storia della cultura, dell'arte, delle scienze, hanno sempre il denominatore comune dell'essere umano che non ha storia, è quello che è da quando ha il potere del linguaggio.
Che cos'è l'umano se non la sua storia ? E' la storia evolutiva propria dell'uomo, cioè la cultura, veicolata non solo dal linguaggio ma anche e soprattutto dalle opere, ad aver reso l'umano un animale storico, evolutivo in senso peculiare, duale, rispetto all'evoluzione naturale. L'utopia dell'umano originario, doc, è il corrispettivo immaginifico del metafisico essere parmenideo.
Anche FN è caduto in questa trappola quando ha mutuato da Darwin un presupposto umano archetipico, sovraccaricandolo di significati metafisici col Wille zur Macht, la volontà di potenza. La quale esiste in natura al pari del bene e del male, ovvero per nulla.
Tutto l'ambaradan etico/morale ha sì un presupposto naturalistico, ma che non ha nulla di specificamente antropologico, perchè è condiviso da tutti gli animali sociali. Se vi è una differenza non è di qualità, ma di quantità e diversificazione specialistica delle azioni comportamentali, da cui è fiorito un ethos molteplice, strutturale e, aihmè, anche eccessivamente sovrastrutturato (di ciò FN si accorse con profondo sguardo analitico), da cui nacque la morale (mores), la sua riflessione etica e la successiva costituzione normativa (nomos) nel diritto; in questa precisa, non variabile, sequenza storica, antropo-logica. Il tutto complicato da circolarità retroattive che però non alterano l'assunto naturalistico di base: la socialità. Tant'è che oggi un umano non sopravviverebbe allo stato di natura più di qualche settimana e la dimensione social, per quanto distanziamento si induca, finisce col rafforzarsi sempre più nelle forme
storiche, che la tecnoscienza consente e inventa.
Ciao
Paul,
Citazione di: paul11 il 10 Maggio 2020, 12:19:10 PMCiao Aperion,
Eraclito pensa al contrasto che in un certo qual modo è simile al conflitto. Ciò che risalta è
un primo piano rispetto ad uno sfondo, la malattia rispetto alla salute o viceversa, una vittoria su una sconfitta o viceversa. Fanno tutto parte del vissuto che rispecchia il suo pensiero sul fondamento, su come si regolano le cose.
Concordo che tale 'visione' della malattia ecc è coerente con il suo pensiero. Quello che dicevo nel post era una critica...
Citazione di: paul11 il 10 Maggio 2020, 12:19:10 PMPer spontaneismo intendo che Nietzsche, è un mio parere interpretativo sul suo pensiero, quindi come al solito da prendere con "le pinze", ritiene positivo per origine, per natura, l'uomo.
Tolto il condizionamento morale, l'uomo libererebbe la sua natura positiva, propositiva, appunto la sua volontà ed è esatto, accettando tutte le conseguenze del caso.
"Accettando tutte le conseguenze del caso" secondo me è dove sta il problema...
Ad ogni modo, riguardo alla 'spontaneità', Nietzsche su una cosa è stato dall'inizio alla fine non ha cambiato idea. In un interessante frammento postumo:
CitazioneNel considerare il mondo un gioco divino e al di là del bene e del male – ho come predecessori la filosofia dei Vedanta ed Eraclito.
(Frammenti Postumi, 1884)
Nietzsche qui definisce come suoi 'maestri' Eraclito* e - stranamente viste le tendenze rinuncianti di tali filosofie - i Vedanta, probabilmente per il concetto di 'lila'. Non è un caso che le 'tre metamorfosi' in 'Così Parlò Zarathustria' siano il cammello, il leone e, infine, il fanciullo, che corrisponde all'oltre-uomo. Quindi, il tema del 'gioco' è certamente centrale nella sua filosofia e direi che è un tema che accomuna le sue 'fasi'. Forse ti può interessare questo articolo, dove si esplora il tema del 'gioco' nel pensiero di Nietzsche:
https://isonomia.uniurb.it/vecchiaserie/2002%20zavatta.pdf*Un frammento di Eraclito, recita: "
Aion è un bambino che gioca con le tessere. Il regno è di un bambino" (B52). Riguardo al 'regno', il frammento B53 recita: "
Polemos è il padre di tutte le cose, di tutte il re...".
Citazione di: paul11 il 10 Maggio 2020, 12:19:10 PML'auto limitazione dovrebbe essere connaturata nell'uomo: Nietzsche ha una grande fiducia per l'uomo.
Penso che, invece, Nietzsche vedrebbe una 'auto-limitazione' della 'volontà' connaturata come
un problema. Secondo me, lui vorrebbe 'liberare' la 'volontà' da tutte le limitazioni, che secondo lui ne bloccavano la spontaneità.
Aggiungo al mio post di precedenza, alcune considerazioni sull'oltre-uomo. Di seguito, alcune citazioni dalla 'Prefazione' di così Parlò Zarathustra (link: mailto:https://it.wikisource.org/wiki/Cos%C3%AC_parl%C3%B2_Zarathustra/Parte_prima/Prefazione (https://it.wikisource.org/wiki/Cos%C3%AC_parl%C3%B2_Zarathustra/Parte_prima/Prefazione)):
CitazioneIo insegno a voi il Superuomo. l'uomo è cosa che dev'essere superata. Che avete voi fatto per superarlo?...L'uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo, — una corda tesa su di una voragine.
...Amo tutti coloro che somigliano a goccie pesanti che ad una ad una cadono dall'altra nube che incombe sull'uomo: esse annunziano il fulmine che sta per giungere e vaniscono quali messaggeri.
Vedete, io sono un nunzio del fulmine ed una goccia pesante della nube: ma quel fulmine si chiama il superuomo
Ora, Nietzsche credeva che l'uomo, almeno nello suo stato attuale, non era oltre-uomo/super-uomo. Quindi ci si potrebbe cheidere se per Nietzsche era realmente possibile la 'trasformazione' o se, invece, lui riteneva che al massimo ci si poteva avvicinare, senza realmente raggiungere. Lo stesso Zarathustra 'insegna' l'oltre-uomo, non è l'oltre-uomo e il fatto che però Zarathustra stesso sia il 'nunzio' significa che l'oltre-uomo è ancora di fatto un 'ideale'. Quindi, di fatto anche la filosofia di Nietzsche sembra avere un 'ideale a cui tendere', l'oltre-uomo. Ideale che se non si riesce a realizzare nella pratica rimane pur sempre un 'ideale'. E questo secondo me è uno dei problemi della filosofia di Nietzsche.
Lo Übermensch è il superamento dell'umano schiavo dei pregiudizi oltremondani e della morale ad essi sottesa di schiavi che per guadagnarsi un paradiso illusorio (sotto la d(e)(i)ttatura di aguzzini ascetici) rinunciano a tutto ciò per cui vale la pena di vivere.
L'errore, o meglio bias, di FN è aver preso troppo sul serio il polemos Eracliteo, che non ha nulla di universamente naturale eccetto la ferocia particolare del primate evolutosi in homo sapiens. E' questo bias, di Eraclito e Nietzsche che invalida tutta la pars costruens, il finalismo, di entrambi.
Rimane valida la pars destruens della critica morale, ma non all'insegna di un Wille zur Macht universale, bensì piuttosto di una particolare interpretazione antropologica, oltremodo feroce, di attuarlo. In tale prospettiva, non solo la morale da schiavi, ma anche la contro-morale nicciana risulta fallace e inutilmente terrorizzante. La natura ha trovato infiniti modi per realizzare la sopravvivenza dei viventi e, guardacaso, i più riusciti non hanno bisogno di zanne e artigli per eternarsi: le sequoie, balene, elefanti, gorilla, ... e i virus.
Citazione da Paul11:
Nietzsche distingue il pensiero genuinamente filosofico, dal pensiero calcolante...
Questa distinzione la trasformerei in quella tra pensiero intuitivo e pensiero razionalizzante (quello definito "calcolante").
La maggiore particolarità di Nice in confronto a praticamente tutta la storia della filosofia occidentale è secondo me il suo stile, che non è quasi mai razionalizzante.
Ma l'intuitivo, tra cui segnalo personalità quali il Buddha, non è necessariamente irrazionale.
Per razionalizzante intendo un modo di ragionare che fissa, all'interno dello spazio della filosofia (e quindi del pensiero più elevato), un sottoinsieme organizzato secondo regole precise, ma che esclude il mettere veramente in gioco i fini e principi dell'individuo, il suo spirito cioè.
Per capire veramente l'umano bisogna cioè uscire dai binari della razionalizzazione della filosofia occidentale (escluso Nice) e dare spazio all'intuizione, ma senza essere irrazionali.
Buono quindi il tentativo di Nice di uscire dalla gabbia della razionalizzazione, anche se purtroppo lui poi sfocia nell'irrazionalità.
ciao Aperion
Se davvero sapevi poco inizialmente, fra frammenti di Eraclito di Nietzsche e passi dell'opera di quest'ultimo.... O sapevi già o sei un ottimo costruttore di conoscenza.
Davvero strano che nel frammento da te postato appaiano anche i vedanta, questa è una novità per me. .
Mi ci è voluta una ricerca per cercarlo nel catalogo di questo sito tedesco di Nietzsche
http://www.nietzschesource.org/ che è molto interessante .
Corrisponde al frammento da te riportato NF-1884,26 [193] - Frammenti ridotti estate-autunno 1884. Sì, dal vedanta "lila" è gioco divino :
tratto da Wikipedia
Come i suoi passatempi,quella Suprema Personalità di Dio, il più grande dei grandi, ha accettato la sottile energia materiale, che è investita da tre modalità materiali della natura." Le tre modalità della natura è il "guna":
Ci sono tre guna, secondo questa visione del mondo, che sono sempre stati e continuano ad essere presenti in tutte le cose e gli esseri del mondo. Questi tre guna sono chiamati: sattva (bontà, costruttivo, armonioso), rajas (passione, attivo, confuso) e tamas (oscurità, distruttivo, caotico). Tutti e tre questi gunasono presenti in tutti e in ogni cosa, è la proporzione che è diversa, secondo la visione del mondo indù. L'interazione di questi guna definisce il carattere di qualcuno o qualcosa, della natura e determina il progresso della vita. In alcuni contesti, può significare "una suddivisione, una specie, , una qualità" o un principio operativo o una tendenza di qualcosa o qualcuno. Negli studi sul comportamento umano, Guna significa personalità, natura innata e attributi psicologici di un individuo Considerando che Così parlò Zarathustra dove appaiono il cammello, il leone e il fanciullo è stato scritto fra il 1883-1885, può essere.
Ma sicuramente trova una sua interpretazione di convalida anche con il pensiero eracliteo.
La tua è una ipotesi interessante.
In merito all'auto limitazione, forse mi sono espresso male
citaz. Aperion
Secondo me, lui vorrebbe 'liberare' la 'volontà' da tutte le limitazioni, che secondo lui ne bloccavano la spontaneità. Esatto ,è questo che intendevo dire.
Nel tuo post successivo poni l'attenzione sul problema del pensiero di Nietzsche che potrebbe essere solo un tendere..... un ideale.
Non so se è davvero un problema.
Il pensiero religioso è una parusia ,un' escatologia. Il pensiero di Marx è idealista per certa versi, ma anch'esso con caratteristiche di "religiosità" fra virgolette.
Intendo dire che i "grandi pensieri" aleggiano e superano il tempo, lo trascendono.
Essendoci qualcosa di profondo in Nietzsche che pesca dall'animo umano, c' quel qualcosa che trascende la vita che la tende verso qualcosa...
Ciao Ipazia
Il tuo post è già un giudizio sul pensiero di Nietzsche.
Nella tua prima affermazione ci trovo un misto di Marx con Nietzsche, che a mio parere sono antitetici.
Il mio giudizio personale sulla tua affermazione da una parte è condivisibile, ma gli aguzzini non sono affatto ascetici, pensano a potere e denaro e sono materialisti che abusano semmai una cultura strumentalizzandola per asservire il popolo.
L'uomo "mediocre" nietzschiano, da una parte è prigioniero di morali, dall'altra di una cultura del suo tempo che ben poco Nietzsche condivide.
Potrebbe essere che la tua ipotesi sul polemos di Eraclito e Nietzsche difficilmente possa costruire un pensiero positivo Da quel che so anche Eraclito ripudiava la "massa", il popolo. Penso che vi sia in entrambi un forte individualismo culturale e sociale e una sfiducia nel sociale.
Mi è difficile dare un giudizio sintetico sull'intero pensiero di Nietzsche, con il solito mio "sospensivo" in quanto Nietzsche è complesso sempre a mio parere. Sbaglia sulla morale per quanto sostengo; per la "morale da schiavi" che ribadisco è una forma di strumentalizzazione per rendere mansueto/schiavo il popolo, sono d'accordo con te; sulla natura come sistema a mio parere , mi lascia in una fase "interlocutoria", c'è qualcosa di profondo e di vero soprattutto sulla natura umana. Ha avuto il grande pregio di aprire una critica dal punto estetico, come rappresentazione intuitiva seguita da quella concettuale, che ha fatto scuola.
Per esempio ,mi viene in mente or ora, quando Foucoult accomunerà l'architettura di ospedali, scuole e caserme (quante scuole sono nate da vecchie caserme, vecchi conventi......) in un imprinting culturale che si estrinseca anche dal punto estetico, apre ad una critica socio culturale che utilizza il linguaggio delle parole, del visivo, teatrale, ecc.
P.S. consiglio anche a te, se già non lo sapessi, il sito che ho indicato nel post ad Aperion, è curato dagli stessi autori da cui hai tratto dei frammenti che hai postato. Ci sono tutte le opere, lettere, frammenti e un motore di ricerca interno
Citazione di: Federico Mey2 il 11 Maggio 2020, 13:42:23 PM
Citazione da Paul11:
Nietzsche distingue il pensiero genuinamente filosofico, dal pensiero calcolante...
Questa distinzione la trasformerei in quella tra pensiero intuitivo e pensiero razionalizzante (quello definito "calcolante").
La maggiore particolarità di Nice in confronto a praticamente tutta la storia della filosofia occidentale è secondo me il suo stile, che non è quasi mai razionalizzante.
Ma l'intuitivo, tra cui segnalo personalità quali il Buddha, non è necessariamente irrazionale.
Per razionalizzante intendo un modo di ragionare che fissa, all'interno dello spazio della filosofia (e quindi del pensiero più elevato), un sottoinsieme organizzato secondo regole precise, ma che esclude il mettere veramente in gioco i fini e principi dell'individuo, il suo spirito cioè.
Per capire veramente l'umano bisogna cioè uscire dai binari della razionalizzazione della filosofia occidentale (escluso Nice) e dare spazio all'intuizione, ma senza essere irrazionali.
Buono quindi il tentativo di Nice di uscire dalla gabbia della razionalizzazione, anche se purtroppo lui poi sfocia nell'irrazionalità.
ciao Federico May,
condivido parecchio del tuo post.
La scelta intuitiva se contrapposta a quella razionale puramente calcolante, è una scelta che contrappone la qualità rispetto alla quantità. Nella realtà, come si è scritto nella discussione, agiscono entrambi, come fai notare nell'esempio con Buddha.
Non so se alla fine Nietzsche sia irrazionale, proprio perchè è difficilmente giudicabile dentro il canone filosofico che segue quasi sempre uno schema logico argomentativo.D'altra parte si contrappone come modalità di linguaggio, utilizza moltissimo l'aforisma che è più un linguaggio artistico, estetico.
Ciò rende difficile e complesso ricondurre Nietzsche appunto in uno schema classico filosofico e quindi da adito a molte interpretazioni e moltissima letteratura critica interpretativa sul suo pensiero.
Forse è anche in questo che sta il suo fascino
Citazione di: paul11 il 11 Maggio 2020, 15:29:52 PM
Ciao Ipazia
Il tuo post è già un giudizio sul pensiero di Nietzsche.
Nella tua prima affermazione ci trovo un misto di Marx con Nietzsche, che a mio parere sono antitetici.
Il mio giudizio personale sulla tua affermazione da una parte è condivisibile, ma gli aguzzini non sono affatto ascetici, pensano a potere e denaro e sono materialisti che abusano semmai una cultura strumentalizzandola per asservire il popolo...
Più che antitetici sono complementari sviluppando una visuale binoculare su un fenomeno come la schiavitù - fisica, economica, morale, generalmente alienante e omologante - sostanzialmente unitario. In
"Genealogia della morale" (1887) - Saggio terzo: Che significato hanno gli ideali ascetici?, FN analizza con felice sottigliezza il carattere aguzzino dell'"ascetismo" inteso non solo come volgare strumentalizzazione del popolo ma anche in termini di realizzazione di una, per quanto patologica ma reale, VdP.
Sarà la psicologia, ed in particolare la
psicologia di massa, psicologia sociale, a portare avanti quella linea di discorso e l'analisi sulle sue realizzazioni apocalittiche, più o meno virulente o narcotizzate, a partire dal XX secolo.
Ringrazio per il link.
Ciao
Paul,Ho approfondito sia Nietzsche ed Eraclito diversi anni fa. Da allora, devo dire, che mi 'muovo' più che altro basandomi sulla memoria, anche se bene o male mi sono 'rimasti in mente' molti passaggi testuali su cui si basa la mia interpretazione della loro filosofia. Molto interessante il sito...
Penso che il nesso tra Nietzsche ed Eraclito, più precisamente, direi, 'Eraclito come viene interpretato da Nietzsche', sia la 'chiave' - o una delle 'chiavi' - per capire meglio il pensiero del primo. Personalmente, infatti, penso che il legame di Nietzsche con Eraclito, in particolare, e la cultura greca, in generale, sia molto più 'forte' di quello con Schopenhuaer. Certamente Schopenhauer è stata un'importante influenza su Nietzsche ma non credo fosse davvero il suo 'maestro'. Nietzsche, infatti, ormai aveva già la 'sua' prospettiva, prospettiva che, secondo me, non è stata 'stravolta' nel decennio intracorso tra 'La filosofia nell'Età Tragica dei Greci' (in seguito, FTG), scritto ma non pubblicato nel 1873 (se non erro), e 'Così Parlò Zarathustra'. Quando ho letto questo scritto 'giovanile', specialmente nella parte di Eraclito, ho visto in modo chiaro - o almeno così credo - moltissimi temi centrali della filosofia 'matura' di FN. Almeno in forma, diciamo, di 'seme'. Penso che se si leggono FTG e lo Zarathustra si trovano molte somiglienze. Questo non significa che FN non abbia rivisto, modificato ecc, che non abbia riflettuto a fondo, approfondito e, quindi, anche mutato le sue convinzioni negli anni, ovviamente. Ma significa, secondo me, che c'è un 'filo conduttore' nelle sue opere. Secondo me, molti temi della filosofia nietzschiana si ricollegano al Polemos, al 'pais paizon', alla 'contesa che è giustizia' ecc di Eraclito. Secondo me è per così dire una 'pista' molto utile a capire il pensiero di Nietzsche.
FN ed Eraclito
probabilmente concordavano davvero sul tema del 'gioco cosmico' e forse anche sul fatto che tale 'gioco divino' fosse 'pensabile' come un'attività artistica. FN probabilmente avrà visto anche analogie con la sua posizione e alcuni aspetti del Vedanta, specie sul concetto di 'lila', ma mi sorprende quello che a me sembra un suo 'trascurare' la tendenza alla 'rinuncia' presente (anche) in tale tradizione, almeno in quel frammento - 'rinuncia' che implica quantomeno una riduzione del 'coinvolgimento' nel 'gioco' (cosa che credo che basta di fatto a Nietzsche per 'bollare' qualcuno come nichilista, in genere...). Si può anche dire che in effetti FN ed Eraclito forse esageravano nel vedere il 'conflitto'/'Polemos' ovunque. Ma d'altra parte, è anche vero che per certi versi è vero che 'la vita è lotta', sia nel mondo animale che in quello umano, e in questo caso non solo nei conflitti tra uomini. Penso alla 'lotta' con la natura che tempo fa era certamente peggiore ('in media', per così dire) rispetto ad ora. Certo, ci sono manifestazioni di questa 'lotta' più o meno 'grossolane', più o meno evidenti. Ma è innegabile, secondo me, che ci sia la 'lotta'. Ma è un conto è affermarne l'esistenza, un altro è dire che è 'giusta'. Un conto è notare la sofferenza e la tragicità della vita, un altro conto è dire asserire che bisogna accettarla - anzi, un altro conto ancora è che bisogna 'affermarla' e che bisogna criticare come una forma di 'maladattamento' chi non 'accetta' ciò ecc. E così via.
Ma senza scomodare i 'rinuncianti', credo che ci sia un aspetto del pensiero di FN che avrebbe fatto scandalizzare persino l''Eremita efesio del Tempio di Artemide' (un'espressione di FN nella FTG), ovvero Eraclito . Ebbene perché in tutta la sua glorificazione del conflitto, però, mai ha negato il fatto che ci sono 'regole' in cui gli uomini devono attenersi. Paragona l'eccesso all'incendio (frammento B43), per esempio. Elios, il Sole, non deve oltrepassare le sue misure, pena l'essere 'trovato' dalle Erinni, le 'ministre' di Dike (frammento B94). E così via. In pratica, Eraclito sembrava sostenere che c'erano delle chiare 'leggi' e delle chiare 'misure' ('metron') che non dovevano essere 'oltrepassate'. Quindi, in realtà, anche Eraclito sosteneva che una limitazione era necessaria.
Citazione di: paul11 il 11 Maggio 2020, 15:22:46 PM
Nel tuo post successivo poni l'attenzione sul problema del pensiero di Nietzsche che potrebbe essere solo un tendere..... un ideale.
Non so se è davvero un problema.
In generale, sì, concordo che questo aspetto può non essere un problema. Secondo me lo diventa, però, se si criticano altre posizioni per questo motivo...
Ciao Aperion,
penso anch'io che il legame con Eraclito fosse più solido che non con Schopenhauer, Quest'ultimo ha una sua importanza in quanto quasi contemporaneo a Nietzsche, quindi "più prossimo" ad un certo tipo di analisi come quella su Kant della "cosa in sé". Penso, ma non sono sicurissimo, che la volontà originaria di Schopenhauer, non ancora coniugata ad un pessimismo esistenziale, abbia influito su Nietzsche.
Stavo appunto studiando "Filosofia nell'età tragica", quando mi sono accorto di spunti su Schopenhauer. Ho dovuto studiarmi prima l'influsso di quest'ultimo su Nietzsche in due testi :
" Volontà e rappresentazione" e " La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente", poi sono tornato a Nietzsche ma all'opera precedente che è " La Nascita della tragedia" che è allo studio; poi ritornerò alla "filosofia nell'età tragica". Tutto questo perché, in quest'ultima opera quando passa in rassegna i filosofi greci, ha già chiaro i giudizi su di loro. Mi interessava capire come ha costruito i suoi giudizi, da dove venissero.
Tieni presente che il post di apertura di questa discussione, che è una sintesi, è rivolto proprio a Schopenhauer. Il giudizio è positivo perché nonostante le differenze e polemiche su Schopenhauer lo stima come filosofo ,come "grande" pensiero.
Penso che Nietzsche, prenda "pezzi" qua e là degli specifici testi e pensieri filosofici, ciò che è "funzionale" al suo modo di pensare, lasciando perdere il resto. Non è correttissimo come concezione, è come estrapolare da un testo che ha un determinato significato, solo ciò che si ritiene opportuno ai propri fini , ma che esula dal senso testuale originario.
La lotta con la natura c'è , dicano che dalla modernità al giorno d'oggi, le città umane hanno ben poco di naturale ,essendo artificiali, prodotti culturali urbanistici tanto più si è al centro di metropoli. La natura diventa "arredo" urbanistico, come qualche pianta in un appartamento, anche se la bioarchitettura ha scopi importanti oltre alla moda consumistica.
Nietzsche accetta la condizione umana più come "dato di fatto" che come una cosa "bella in sé", per questo esalta la tragedia. Dioniso viene ucciso e risorge almeno tre volte e una volta prende il nome di Zagreo. C' è qualcosa di fortemente spirituale ma non "religioso" ante litteram. E' la stessa condizione della stirpe umana da Adamo . Non ci si può ribellare al proprio destino fattuale di nascere e morire, ma posso rappresentare la sofferenza di questo destino non voluto.
La tragedia dionisiaca è alla pari delle preghiere di tutte le tradizioni, nascono da un destino che ci rende schiacciati e succubi come dato di fatto. I riti "pagani" e religiosi compiono sincretismi storici, ognuno prende qualcosa dell'altro, perché hanno in origine lo stesso stato umano.
Eraclito:
Se la processione che fanno e il canto del fallo che intonano non fosse in onore di Dioniso, ciò che essi compiono sarebbe indecente; la medesima cosa sono Ade e Dioniso, per cui impazzano e si sfrenano. (frammento 15)
Il pensiero di Eraclito è volto a qualcosa d'altro rispetto a Nietzsche, sono d'accordo con te.
L'importanza del divenire e la conseguente Eraclito Renessaince data in Europa almeno da Hegel e trova nella folgorante epopea di Napoleone la sua realizzazione storica negli stessi anni (FN era affascinato dalla figura del corso). Il divenire storico è centrale nel pensiero della sinistra hegeliana e in Marx; il divenire naturale si afferma con l'evoluzionismo di Darwin; le magnifiche sorti e progressive del divenire borghese, positivista su base tecnoscientifica: tutto ciò celebra i fasti lungo l'intero periodo di formazione di FN.
Anche l'arte partecipa a questo "movimento" tumultuoso in avanti della civiltà e lo fa, alla grande, con la musica dell'avvenire, un divenire proiettato verso il futuro, di Wagner. FN è letteralmente immerso in questo veemente flusso ideale e la sua formazione umanistico filosofica troverà in Eraclito l'antica radice nobile su cui innestare la sua filosofia dell'avvenire. Superata di slancio la cosa in sè kantiana, gli diventerà ben presto stretta anche la rinuncia cinica e atarassica di uno Schopenauer impaludato in un pessimismo stagnante e autoreferenziale. Per lo stesso motivo, dopo esserne stato attratto, FN rifiuterà il pensiero orientale di cui salverà soltanto il carattere aristocratico, da bramino illuminato quale egli si sente, sognando forme analoghe di dominio sui ciandala occidentali.
Il punto d'approdo finale di una filosofia così attivistica non può che essere la Grande Politica. Il seme germoglierà nel primo conflitto mondiale e la pianta perirà a Stalingrado. Anche lui, come l'odiato Platone, si illuse di forgiare una classe dominante di filosofi e il risultato fu un proliferare di biechi tiranni. Velocemente spazzati via dalla inesorabile corrente di Eraclito. Almeno in questo ci vide giusto.
@Paul,purtroppo rispondo un po' troppo 'velocemente' al tuo messaggio, che comunque condivido in buona parte. Commento solo alcuni estratti.
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2020, 19:05:22 PMpenso anch'io che il legame con Eraclito fosse più solido che non con Schopenhauer, Quest'ultimo ha una sua importanza in quanto quasi contemporaneo a Nietzsche, quindi "più prossimo" ad un certo tipo di analisi come quella su Kant della "cosa in sé".
Sì, concordo, in realtà. L'influenza di Schopenhuaer è certamente importante sul 'primo' FN, non volevo 'minimizzare' la cosa. Da Schopenhauer prende soprattuto uno sguardo 'disincantato' sulla 'realtà' e sull'uomo. Schopenhauer d'altronde afferma che è la 'volontà', non la 'ragione', ad essere più 'centrale'
anche nell'uomo (e, anzi, la ragione è spesso soggiogata...). Da
questo sito, una citazione di Jung su Schopenahuer:
Citazione
He was the first to speak of the suffering of the world, which visibly and glaringly surrounds us, and of confusion, passion, evil -- all those things which the [other philosophers] hardly seemed to notice and always tried to resolve into all-embracing harmony and comprehensiblility. Here at last was a philosopher who had the courage to see that all was not for the best in the fundaments of the universe.
[Memories, Dreams, Reflections, Vintage Books, 1961, p. 69]
Traduzione:"[Schopenhauer] è stato il primo a parlare della sofferenza del mondo, che visibilmente e vistosamente ci circonda, e della confusione, della passione, del male - tutte queste cose che [gli altri filosofi] sembravano difficilmente notare e sempre cercavano di risolverle in una armonia e comprensibilità. Qui abbiamo alla fine un filosofo che ha avuto il coraggio di vedere che non tutto era per il meglio nei fondamenti dell'universo"
Onestamente, non credo proprio che si possa veramente dire che S. fosse stato il 'primo' tra i filosofi a vedere che 'qualcosa non va', che c'è qualcosa di terribile ecc, ma Jung non ha tutti i torti. Secondo me spesso si incontra questa tendenza a 'trascurare' certi aspetti della realtà.
Nietzsche certamente è stato influenzato molto dagli scritti di S.. D'altra parte, ritengo però che fin dalle prime opere ci sia già una differenza...
(Riguardo al 'pessimismo' di S., penso che si sia originato molto 'presto' in lui. Mi pare di ricordare che a 17 anni diceva di essere stato 'sconvolto' dalla 'presenza' dei mali e che questa 'esperienza' lo ha cambiato molto...)
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2020, 19:05:22 PMNietzsche accetta la condizione umana più come "dato di fatto" che come una cosa "bella in sé", per questo esalta la tragedia.
Qui in realtà dissento. O meglio, concordo che FN non credeva che le cose 'negative' fossero 'belle'. D'altra parte, però, il suo 'accettare' è anche una valorizzazione di tali aspetti negativi fino ad arrivare ad un maggior 'coinvolgimento' nel 'gioco' anche nei suoi aspetti più 'terribili'.
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2020, 19:05:22 PMEraclito:
Se la processione che fanno e il canto del fallo che intonano non fosse in onore di Dioniso, ciò che essi compiono sarebbe indecente; la medesima cosa sono Ade e Dioniso, per cui impazzano e si sfrenano. (frammento 15)
Il pensiero di Eraclito è volto a qualcosa d'altro rispetto a Nietzsche, sono d'accordo con te.
Già! Eraclito pur essendo 'vicino' a Nietzsche nella sua posizione sul Polemos, la contesa ecc, comunque afferma anche la necessità di moderazione, di rispettare la legge cosmica e così via :)
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2020, 19:05:22 PMPenso che Nietzsche, prenda "pezzi" qua e là degli specifici testi e pensieri filosofici, ciò che è "funzionale" al suo modo di pensare, lasciando perdere il resto. Non è correttissimo come concezione, è come estrapolare da un testo che ha un determinato significato, solo ciò che si ritiene opportuno ai propri fini , ma che esula dal senso testuale originario.
Concordo...(è anche vero però che è difficile evitare di fare questo errore, anche se si vuole evitarlo...)
Citazione di: Apeiron il 15 Maggio 2020, 19:47:30 PMCitazioneHe was the first to speak of the suffering of the world, which visibly and glaringly surrounds us, and of confusion, passion, evil -- all those things which the [other philosophers] hardly seemed to notice and always tried to resolve into all-embracing harmony and comprehensiblility. Here at last was a philosopher who had the courage to see that all was not for the best in the fundaments of the universe.
[Memories, Dreams, Reflections, Vintage Books, 1961, p. 69]
Traduzione:"[Schopenhauer] è stato il primo a parlare della sofferenza del mondo, che visibilmente e vistosamente ci circonda, e della confusione, della passione, del male - tutte queste cose che [gli altri filosofi] sembravano difficilmente notare e sempre cercavano di risolverle in una armonia e comprensibilità. Qui abbiamo alla fine un filosofo che ha avuto il coraggio di vedere che non tutto era per il meglio nei fondamenti dell'universo"
...
Onestamente, non credo proprio che si possa veramente dire che S. fosse stato il 'primo' tra i filosofi a vedere che 'qualcosa non va', che c'è qualcosa di terribile ecc, ma Jung non ha tutti i torti. Secondo me spesso si incontra questa tendenza a 'trascurare' certi aspetti della realtà.
Aggiunto solo che concordo con Jung non solo sulla tendenza a 'trascurare'/'non notare' ma anche sulla tendenza a 'risolvere'...
ciao Aperion,
citaz. Jung
Fu il primo a parlare della sofferenza del mondo, che ci circonda visibilmente e palesemente, e della confusione, della passione, del male - tutte quelle cose che gli [altri filosofi] difficilmente sembravano notare e cercarono sempre di risolvere in un'armonia e in una comprensibilità onnicomprensive. Qui finalmente c'era un filosofo che ha avuto il coraggio di vedere che tutto non era per il meglio nei fondamenti dell'universo.
[Ricordi, Sogni, Riflessioni,Libri D'epoca, 1961, p. 69]
Non conosco a quale tempo Jung faccia riferimento. Non mi sembra che almeno da parte filosofica non si siano trattati praticamente da sempre le tematiche indicate. Le religioni addirittura hanno codificato la dicotomia fra imperfezione e perfezione.
Quindi è esatta la considerazione che fai su Schopenhauer, che non è affatto il primo a porre la problematica. Semmai lui la risolve in una maniera originale.
E' vero che se c'è una influenza su Nietzsche, e la stima a mio parere rimarrà, questa è già labile o addirittura opposta a quella di Schopenhauer fin dalle prime opere.
Penso che se si accetta il mondo per quel che è, per quel che si mostra, per quel che si vive, allora la necessità è trovare una soluzione interna ad essa. A mio parere è difficile se non impossibile dimostrare una morale in un tale sistema. E infatti Nietzsche ha una lettura storica politica non certo di "sinistra". Pur, a mio parere, non essendo un cinico, tutt'altro.
Ciao Paul,
probabilmente Jung faceva riferimento solo ai tempi moderni, ma anche in questo caso non si può dire che era il 'primo'.
Su Nietzsche, concordo con te che sul rapporto Nietzsche-Schopenhauer e sul fatto che la lettura politica di FN non era di 'sinistra'. Non sono però sicuro che non ci sia del 'cinismo' nel pensiero di Nietzsche leggendo alcune sue osservazioni sulla politica, per lo meno.
Citazione di: paul11 il 26 Aprile 2020, 11:40:46 AM
Nietzsche distingue il pensiero genuinamente filosofico, dal pensiero calcolante.
Il filosofo è mosso da una intuizione mistica,dalla fede nell'unità delle cose, che non proviene dalla ragione. Questa intuizione ci spinge al di là dei limiti dell'esperienza. L'intelletto calcolatore poi la segue pesantemente, cercando degli appoggi. Il pensiero filosofico non va confuso con il pensiero calcolante., perché percorre rapidamente grandi spazi, mentre quello calcolante procede a tentoni. E perché è spinto dalla fantasia, una forza illogica, che lo fa balzare di possibilità in possibilità. Il filosofo sa dunque che il suo linguaggio, la dialettica, è inadeguato a esprimere l'unità mistica che sta al di là delle cose, ma questo linguaggio è l'unico mezzo per esprimere metaforicamente ciò che ha contemplato.
Il filosofo sa distinguere ciò che è più grande e più importante, più meritevole di essere conosciuto, da ciò che non lo è.
La scienza per contro si getta a capofitto sulle cose che divora tutte, senza distinguere,
La filosofia disciplina il desiderio di conoscenza con il concetto di grandezza, indirizzando il sapere verso l'essenza delle cose.
Paul pienamente d'accordo, ma ricordiamoci comunque che Nietzche va affrontato in una doppia ottica, quasi una doppia spirale, anzi due spirali le cui ellissi sono sempre perturbate le une dalle altre, perchè semisovrapposte.
Se da una parte vige la visione sino alla profezia, e dunque la parte estetica a cui molti si arrendono, esiste una razionalità sovrana che legge il movimento delle due spirali, la seconda spirale è dominata da questa razionalità sovrana, sovrana perchè nuova, ed è la spirale della ragione metafisica, ossia del canone occidentale da ieri (Platone) a oggi (lo stesso Nietzche).