Con "valore" in genere si intende ciò che rende importante qualcosa. Un esempio molto banale e molto evidente di "valore" è il valore economico ed è rappresentato grosso modo dal prezzo. Per esempio qualcosa che si trova raramente costa molto, così come costa in genere di più un'opera fatta artigianalmente da una fatta nell'industria. Tuttavia anche se il valore è "ciò che rende una cosa importante" è anche vero che tale "valore" deve essere importante per "qualcuno". Per me ad esempio è importante seguire la meteorologia, per altri invece non lo è. Se un giorno sarò costretto a non seguire più il meteo sentirò la mancanza di qualcosa di importante. Tuttavia la nostra mente cambia in continuazione e non è detto che ciò che è per me oggi importante lo sia anche fra qualche anno - ergo la rinuncia alla meteo forse fra qualche anno non avrà alcun effetto. Il "valore" quindi è ciò che muove ciascuno di noi: ognuno di noi persegue ciò che ritiene importante. Alcuni ritengono che il valore massimo della vita sia per esempio il piacere dei sensi. Altri la filosofia e così via. Per questo motivo è facile capire che il "valore" è un argomento che dovrebbe essere molto presente nella filosofia.
Chi ritiene ad esempio che non vi è nulla di meglio dei piaceri dei sensi si comporteranno di conseguenza, ossia saranno nella continua ricerca del piacere - questo se vogliamo è l'edonismo. Chi ritiene ad esempio che il massimo valore sia la filosofia probabilmente dedicherà la sua vita ad essa. Altri potrebbero scegliere il sacerdozio. E così via. L'etica - quella seria, non l'insieme bigotto di regolette - nasce dall'esigenza di stabilire ciò che è importante, quali comportamenti sono giusti e così via - quindi in un certo senso l'etica è lo studio di ciò che ha valore. E volendo lo è anche la spiritualità se la si intende come la ricerca del "Bene", ossia di ciò che ha più valore per lo "spirito". In genere sia le religioni che le religioni hanno cercato di raggiungere ciò che il "massimo valore" e lo hanno reso coincidente con l'Assoluto. In alcuni casi il Bene è una Persona, il Dio Personale. In altri casi è un assoluto non personale. Nel caso del buddhismo è l'Estinzione della Sofferenza (il Nirvana). Per Nietzsche era l'affermazione di sé. Per un nichilista non esiste e così via.
In genere il "valore" di qualcosa sembra crescere a seconda della sua "unicità", della sua "rarità", e del fatto che sia importante per più soggetti. Ergo si dice che il "Bene" più grande è unversale, è ciò che è più importante di tutti. Il fatto che è universale lo rende una sorta di "verità eterna", valida per ogni tempo. Curiosamente Kant si accorse che la nostra mente sembra, per così dire, "puntare" all'esistenza del "massimo bene", ossia sembra che il concetto del massimo bene sia intrinseco alla nostra mente (motivo per cui nella Critica alla Ragion Pratica postulò l'esistenza di Dio in modo da evitare il "paradosso" per cui la nostra mente è regolata da un'idea che riguarda qualcosa di completamente irreale).
Volevo chiedere agli amici dell'Hotel Logos:
1) cos'è per voi il valore?
2) esistono valori solo individuali o universali?
3) esiste il massimo valore?
4) esiste una gerarchia di valori? è universale?
5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?
6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?
P.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
Cosa sono i Valori? Sono convinzioni, modi di credere. Essi rappresentano ciò che è bene per noi, ciò che è giusto per noi e per gli altri.
Al contrario, disvalore è ciò che si distacca dai valori, ciò che è male, ciò che è sbagliato.
Ogni nostra azione come ogni nostro comportamento, le nostre scelte riguardo a ciò che vogliamo fare, dire, o comportarci, dipende soprattutto dai valori che per noi sono importanti nella nostra vita, infatti se per noi un grande valore è l'onestà, le persone che interagiscono con noi possono stare tranquilli su come agiremo nei loro confronti, avranno fiducia di noi, e questo migliorerà i rapporti che avremo con loro.
Il giurista e giudice costituzionale Gustavo Zagrebelsky distingue tra valori e principi.
Principi e valori si usano, per lo più, indifferentemente, mentre sono cose profondamente diverse. Possono anche riguardare la pace, la vita, la salute, la sicurezza, la libertà, il benessere, eccetera, ma cambia il modo di porsi di fronte a questi beni. Mettendoli a confronto, possiamo cercare di comprendere i rispettivi concetti e, da questo confronto, possiamo renderci conto che essi corrispondono a due atteggiamenti morali diversi, addirittura, sotto certi aspetti, opposti.
Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. E un fine, che contiene l'autorizzazione a qualunque azione, in quanto funzionale al suo raggiungimento.
Tra l'inizio e la conclusione dell'agire "per valori" può esserci di tutto, perché il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile delle azioni: la pace può giustificare la guerra; la libertà, gli stermini di massa; la vita, la morte, eccetera. Perciò, chi molto sbandiera i valori, spesso è un imbroglione. La massima dell'etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista del valore che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, e quale prezzo, è un'altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte. Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove la pace, e non alimenta altra guerra, lo si potrà stabilire solo successivamente.
Il principio, invece, è un bene iniziale che chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si sviluppano di conseguenza.
A differenza del valore che autorizza ogni cosa, il principio è normativo rispetto all'azione. La massima dell'etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi il riflesso del principio. Per usare un'immagine: il principio è come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio e l'azione c'è un vincolo di coerenza (non di efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile.
Comunque il concetto di valore è uno dei cardini dell'antropologia culturale e per parlarne ampiamente ci si deve basare su questa disciplina.
Mmmm la distinzione tra principi e valori mi pare un po' artificiale in realtà. Diciamo che sono due modi diversi di vivere i propri valori. :-\
Però relegare i valori alle convinzioni non spiega "cosa" sia il valore, semmai spiega a cosa noi diamo "valore". Per esempio se per me ha valore "la libertà" certamente sono convinto che essa "è importante". Quello che mi chiedevo io era cosa è in fin dei conti questo senso "di ciò che è importante". Il problema del relegare tutta questa quesione alla "convinzione" è che diventano qualcosa di banale ::) . Mi spiego: gli aztechi hanno i loro valori, gli africani i loro, gli europei i loro e così via.
Oppure si può vedere la cosa in un altro modo: è proprio dai valori e quindi dalle convinzioni che si può vedere per così dire "chi siamo". Ossia che la nostra identità in un certo senso è data proprio dalle nostre convinzioni e dal modo con cui ci poniamo rispetto ad esse. In questo senso relegarli alle nostre "convinzioni" non è affatto banale, anzi. D'altronde le nostre convinzioni in realtà condizionano tutto. Perfino nella scienza si cercano le cose "ritenute importanti" - si scartano dati ritenuti non importanti e così via. Che dunque la nostra identità in fin dei conti sia data da ciò a cui diamo valore (e all'intensità con cui crediamo che ciò sia effettivamente di valore - intensità che si riflette in pensiero, parola e azione)? Però cos'è in fin dei conti il "valore"? L'"io", il soggetto? O meglio: l'identità di questo soggetto?
P.S. La mia attuale firma è "Il bene supremo è come l'acqua (Dao-De-jing, capitolo 8 )". Se in futuro dovessi cambiarla ovviamente il povero lettore sarebbe un po' confuso da post inziale LoL
I valori non sono entità metafisiche né postulati teologici. I valori sono dei coefficienti sociali adottati da una comunità perché ritenuti idonei a ridurre al massimo la conflittualità. Quindi niente di sacro o di trascendente, e nulla di immutabile.
Quando attribuiamo un valore a qualcosa, ci imponiamo anche di rispettare dei vincoli o delle restrizioni nel modo in cui la trattiamo.
Una cosa può avere un valore strumentale, oppure un valore intrinseco.
Ciò che ha valore strumentale è importante per la sua utilità, mentre ciò che ha valore intrinseco è importante indipendentemente dalla sua utilità.
Un esempio di valore strumentale: i miei occhiali da vista hanno per me un valore perché mi sono utili per vedere.
Un esempio di valore intrinseco: l'amore ! E' il fine che perseguo, lo stato emozionale che desidero.
Molti non hanno ben chiara la differenza tra valori strumentali e valori intrinseci, tra valori come mezzi e valori come fini. Di solito siamo impegnati a perseguire i valori-mezzo per riuscire ad ottenere quello che veramente desidera: cioè i valori-fine.
Altra distinzione può essere tra valori funzionali e valori disfunzionali, quelli che ci aiutano a vivere con soddisfazione e quelli che dobbiamo abbandonare per stare meglio.
Ed anche distinzione tra valori personali e valori collettivi, connessi con i significati attribuiti.
I valori guida si possono paragonare ad una bussola: orientano ai comportamenti nell'ambito sociale.
Sono importanti i valori ma sono importanti anche le regole.
Monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha detto: "In un tempo come il nostro nel quale la crisi dei valori è profonda a livello dell'ethos collettivo è necessario che il cristianesimo mostri la sua capacità di orientare le esistenze degli individui al rispetto della dignità della persona, della solidarietà, della pace, della convivenza civile, la ricerca del bene comune, la salvaguardia ed il rispetto della natura.
Buonasera Apeiron.
1) il valore di qualcosa è la capacità di questa di rivelarsi utile alla persistenza del mondo (in ambito fisico e cosmologico) od alla persistenza della vita (in ambito biologico) od alla sopravvivenza individuale (in ambito personale).
2) Esistono ovviamente una infinità di valori e di scale di essi, a seconda sia delle circostanze che degli individui. Il valore supremo per i viventi comunque è la vita e la tutela della vita. Per ciascuno di noi esso è la nostra sopravvivenza, visto che nasciamo privi di valori (la morale ed i suoi valori sono il frutto della maturazione delle psiche individuali le quali - alla nascita - hanno un unico contenuto: l'istinto di sopravvivenza, il quale costituisce la base sulla quale la mente - una volta sviluppatasi - costruirà tutte le nostre scelte pratiche od etiche) Il fatto poi che esistano etiche diverse od 'un'educazione o tradizione etica significa poi solo che noi siamo variamente influenzabili e moduliamo in parte autonomamente (caratterialmente?)in parte culturalmente le modalità con cui crediamo di poter meglio tutelare la (nostra) vita.
3) Il valore supremo è appunto descritto al punto 1), trattandosi dell'impulso originario che permette al mondo ed a tutti i suoi contenuti di esistere.
4) Risposte contenute nei punti 1) e 2) Comunque esiste il valore supremo che è pur sempre definibile come relativo (al punto che ciascuno di noi, suicidandosi, può dimostrare di considerare la propria sopravvivenza un disvalore), ma non può esistere un valore ASSOLUTO. L'Assoluto è un concetto che non può essere applicato ad una singola categoria o ad altri concetti seppur elevati. Esso non può risultare un attributo di qualcosa, essendo semplicemente l'espressione dell'esistenza del TUTTO.
5) Risposta contenuta nella seconda parte del punto 2).
6) Ovvio che il concetto di valore non sia in sé legato alla materialità od alla realtà. Per il feticista ossessionato dai guanti femminili questi hanno un grandissimo valore. Ma non si tratta del valore dell'oggetto, bensì solo di un simbolo usato dalla sua psiche per appagarsi al di fuori della realtà.
Il concetto di valore in sé è il frutto dell'acquisizione evolutiva della CAPACITA' di ASTRAZIONE.
Sia dal punto di vista della filogenesi (lo svolgersi nel tempo dell'evoluzione di una specie) che da quello dell'ontogenesi (idem.....per l'evoluzione di un singolo inviduo) all'inizio abbiamo solo una PSICHE "egoista" che si occupa solo di sopravvivenza....poi l'accumulo di esperienze sensoriali ci fa constatare di non essere soli, quindi si instaura la PERCEZIONE dell'ALTERITA'. Segue la comparsa della COSCIENZA, nata per fare da "ponte" tra la psiche e la MENTE. Segue ancora la comparsa delle facoltà LOGICHE, cioè dei processi che permettono deduzione ed induzione. La proiezione oltre il "qui ed ora" dei meccanismi deduttivi ed induttivi genera la CAPACITA' di ASTRAZIONE, consistente appunto nella capacità di generalizzare proiettando le conoscenze ed i dati mentali al di fuori dell'ambito immediato che ci circonda. Nascono così le CATEGORIE, I VALORI e LA MORALE.
Naturalmente questi sono i miei personali punti di vista, espressi da me come al solito in estrema sinteticità. Buona notte a tutti.
Apeiron ha scritto: Citazione2) esistono valori solo individuali o universali?
3) esiste il massimo valore?
4) esiste una gerarchia di valori? è universale?
5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?
6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?
Se ho ben capito, le tue domande si possono riassumere nella frase "valutazione dei valori" ?In caso affermativo io dico si. Anche i valori morali si possono valutare. Ma come si fa a "misurarli" ? Se si valuta una persona in base al denaro che possiede, in base al numero di coloro che l'ammirano o in base al potere che esercita, allora le differenze fra gli esseri umani appaiono smisurate. Alcuni guadagnano milioni di euro l'anno, mentre altri vivono del loro modesto stipendio o muoiono di fame. Quelli che guadagnano di più valgono di più degli altri ? A volte sono certamente più intelligenti e più abili, altre volte sono più fortunati o più spregiudicati.Anche la fama non è una buona misura del valore. Certo, ci sono notorietà meritate: alcuni scienziati, alcuni artisti ci hanno dato delle cose importanti e dobbiamo essere loro riconoscenti. Ma quel cantante, quell'attore, quel calciatore ammirato è veramente migliore di un tecnico, di un operaio, di un artigiano ? La stessa cosa si può dire per il potere. Molti individui che hanno posizioni di potere spesso sono moralmente inferiori ai loro subordinati.La ricchezza, la fama, il potere, sono una lente deformante che ci fa apparire bello ciò che è in alto, e ci impedisce di vedere quale straordinaria ricchezza ci sia nelle persone a noi vicine. Un valore si crea in base ad una scelta individuale o collettiva. Ciò che è oggetto di scelta implica una valutazione.Valori come il primato e la protezione della vita, la conservazione della natura, la dignità dell'individuo, la giustizia, la libertà e l'uguaglianza, formano un nucleo sul quale si è formato il consenso universale. Quali valori scegliere ? Dipende dalla concezione che si ha dell'individuo e della vita. L'educazione ai valori morali può offrire un significativo contributo nel dare guida e senso alle scelte quotidiane.
Parto dalla fine.
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.
In parte in linea con Nietzsche direi che i valori sono ciò che ti permettono di svilupparti meglio, di portare a perfetta espressione la tua persona.
Per chi ha un temperamento filosofico, per esempio, alcune cose sono considerabili dei valori o delle virtù perché permettono di vivere distaccati dalle turbolenze inutili del mondo, in modo che le energie migliori non vengano sprecate in faccende superflue.
Un filosofo del genere considererà la gentilezza un valore. Ma in tutt'altro modo di un cristiano.
Naturalmente la cultura di appartenenza determina fortemente il giudizio sui valori.
Per esempio noi occidentali non possiamo fare a meno di considerare un atto criminale l'infibulazione. In altre società viene considerata una buona tradizione.
Possiamo cioè anche considerarci relativisti ma nello stesso tempo non possiamo fingere di non essere il prodotto di una civiltà – la quale deciderà dentro di noi, che lo si voglia o no, ciò che è giusto... Un antropocentrismo ineludibile...
Ma al di là dei limiti di questo antropocentrismo "genetico", c'è spazio per scegliere una forma di vita che sia il più possibile funzionale al proprio temperamento.
La sfida per il soggetto, soprattutto in un tempo come il nostro in cui tutti sono separati e lontani, in cui si vive da soli o in micro-famiglie, e quindi un tempo in cui si subisce poco l'influenza "stilistica" degli altri, è la costruzione di un tipo di uomo da incarnare, partendo magari dalle piccole cose come alimentazione, ginnastica, tempo dedicato alla lettura, alla scrittura etc.
E su questo propongo un'idea: e se la funzione del filosofo del nostro tempo fosse proprio quello di creare tipi, modelli, etc., che poi possano servire da punto di riferimento per gli altri? Anziché produrre monografie specialistiche sulle più assurde curiosità storico-filosofiche...
Il problema di considerare i valori come il prodotto dell'interazione sociale è che come noto si finisce per attribuire valore ad una persona ad esempio sulla sua ricchezza o sulla fama. Lo stesso "amore" non appena viene codificato e messo come "valore convenzionale" finisce per diventare egualmente problematico. In fin dei conti avviene che un "ente" esterno come la società afferma che un certo essere umano vale "molto o poco". Nel mondo capitalistico moderno per esempio il valore è la "produttività". Se sono produttivo "merito", se sono improduttivo non merito nulla. Questo a mio giudizio crea un imprigionamento della persona.
Viceversa se dico che il valore di un pensiero, una parola, un'azione è una "proprietà" che lega sia il soggetto (io, tu...) all'oggetto allora non vi è più nesssuna "imposizione dall'esterno". Ad esempio se per me è importantissimo collezionare francobolli allora sono io che nella mia gerarchia metto al primo posto la collezione di francobolli. Al mio amico piace invece collezionare figurine e quindi nella sua gerarchia avviene che mette al primo posto la collezione di figurine. A questo punto avviene però una cosa paradossale: ognuno di noi ha una gerarchia diversa e ognuno di noi ritiene che essa sia quella "giusta". Questo è il relativismo. Ovviamente però anche nel caso del relativismo ognuno di noi ha un'idea di cosa è per lui il "massimo valore".
Qui però a mio giudizio abbiamo un paradosso. Ognuno di noi è mosso dal "valore": faccio questo perchè è importante, non faccio questo perchè non è importante o perchè è importante non farlo. Ognuno di noi quindi ha una certa misura del "valore" delle cose. E siccome nella gerarchia c'è una direzionalità è necessario che venga pensato un "massimo valore", un "Sommum Bonum" (anche solo in modo astratto) ;) Ergo abbiamo che ogni soggetto quindi ha una gerarchia e in modo astratto pensa ad un "Sommum Bonum" (o "Bene Supremo"). E in ogni soggetto ci sarà la ricerca a trovare appunto questo "Sommum Bonum" perchè è qualcosa che ha più "valore" di tutti per noi.
Secondo me quindi almeno da un punto di vista descrittivo della nostra mente abbiamo tutti l'idea che ci sia una gerarchia di "importanza" tra le "cose" e tutti possiamo pensare almeno come concetto astratto un "Sommum Bonum". Però è empiricamente visto dalla molteplicità delle culture che non tutti concordiamo su cosa è per noi la "giusta gerarchia" e il "giusto Sommum Bonum". Il relativista si ferma qui secondo me, ammettendo l'esistenza di più "gerarchie" e "Beni Supremi".
Se però non esistesse un "Bene Supremo" (ossia se fosse un mero concetto) avremo una sorta di "antinomia" e renderebbe la nostra vita completamente paradossale: la nostra mente infatti produce in questo caso un'idea della "cosa più importante" la quale però non esiste. In sostanza produce quindi un desiderio il quale non può mai essere soddisfatto. Infatti se non ammettiamo l'esistenza di un "Bene Supremo" ogni azione, pensiero ecc per arrivare ad un tale "Bene Supremo" (che è da noi ricercato, essendo all'apice della gerarchia) sarebbe futile. Ammettendo però l'esistenza della gerarchia e del "Bene Supremo" torniamo al discorso del relativismo.
Se fosse vero il relativismo allora a priori bisognerebbe ammettere la possibilità che esistono almeno due "Beni Supremi". Ma questo lo ritengo assurdo per questo motivo: ognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.
Da dove dunque nasce la molteplicità delle concezioni a riguardo del valore? L'unica risposta che mi viene in mente è che siamo in una condizione nella quale non conosciamo il Bene Supremo e quindi siamo costretti a rappresentarlo secondo una "immagine imperfetta".
@Kobayashi
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.
Eppure a me sembra che ognuno di noi agisca per (quello che pensa essere) il bene - la ricerca del bene parrebbe dunque essere qualcosa che ci accomuna. Quindi da questo punto di vista non è vero che siamo così tanto diversi noi esseri umani da dire che non è possibile formulare valori universali che valgono per tutti.
Non è per caso più corretto dire che siamo in una condizione di ignoranza per la quale non conosciamo ciò che è "meglio" per noi?
Inoltre se il relativismo è corretto potrei pensare ad esempio che anche i "più mostruosi crimini" in fondo "non sono sbagliati".
P.S. Ovviamente il "valore" di per sé è un concetto "relazionale" (e quindi in un certo senso "relativo") perchè riguarda il rapporto tra un "soggetto" e un "oggetto": per Y è importante X. Però questa relazionalità di per sé non implica il relativismo (inteso comunemente), perchè X potrebbe risultare importante sia ad Y che a Z e così via.
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2017, 15:49:36 PM
ognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.
CitazioneCiò che necessariamente hanno in comune i beni supremi di tutti é solo il fatto che ciascuno di essi é il bene supremo per chi lo sente come tale.
Che però in linea teorica, di principio può essere logicamente diverso per ciascuno, pur essendo per tutti il rispettivo (suo proprio di ciascuno) bene supremo (avendo in comune con tutti gli altri unicamente questo astrattissimo "primato per ciascuno".
Non é logicamente possibile identificarlo necessariamente con un unico bene supremo per tutti: l' etica, intesa come un insieme coerente di valori da condividersi da parte di tutti, da tutti condiviso, non é dimostrabile (contro l' intenzione del comunque grandissimo Spinoza), né "geometricamente", nè in alcun altro modo.
Credo che di fatto sia avvertita a posteriori in larga, importantissima misura da parte di tutti, ciascuno "dentro di sè" (salvo forse casi decisamente patologici) come insieme di tendenze comportamentali conseguenti l' evoluzione biologica da cui siamo derivati, che ci ha "prodotti".
Nel mio precedente post ho scritto
CitazioneValori come il primato e la protezione della vita, la conservazione della natura, la dignità dell'individuo, la giustizia, la libertà e l'uguaglianza, formano un nucleo sul quale si è formato il consenso universale.
Kobayashi ha replicato dicendo
CitazioneNon credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.
Anche se non si accetta la gerarchia di valori non si può negare l'esistenza del consenso generale ("consensus gentium") su un valore o su un gruppo di valori su cui convergono i giudizi di tutti, per esempio la pace, la giustizia, la libertà, ecc..
Allora se il comune sentire (consenso) è universale come si può affermare che è "impossibile parlare di valori universali" e che questi sono condizionati dal relativismo ?
Il relativismo nega l'esistenza di verità assolute, non il consenso universale su alcuni valori. Valore è un termine usato nell'economia, adottato nel passato dall'etica come sinonimo di "bene", e disvalore come sinonimo di "male".Lo so che con la modernità è emerso il soggetto come titolare della libertà e del giudizio, per conseguenza il "bene" e il "male" dipendono dalla sua valutazione, e il valore si relativizza. Ma nel caso dei valori cosiddetti "universali", oggetto di consenso generale, il relativismo non c'entra.
Off topic
Saluto tutti i "vecchi" forumisti ed anche i "giovani". :D
Citazione di: sgiombo il 12 Novembre 2017, 21:43:01 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2017, 15:49:36 PMognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.
CitazioneCiò che necessariamente hanno in comune i beni supremi di tutti é solo il fatto che ciascuno di essi é il bene supremo per chi lo sente come tale. Che però in linea teorica, di principio può essere logicamente diverso per ciascuno, pur essendo per tutti il rispettivo (suo proprio di ciascuno) bene supremo (avendo in comune con tutti gli altri unicamente questo astrattissimo "primato per ciascuno". Non é logicamente possibile identificarlo necessariamente con un unico bene supremo per tutti: l' etica, intesa come un insieme coerente di valori da condividersi da parte di tutti, da tutti condiviso, non é dimostrabile (contro l' intenzione del comunque grandissimo Spinoza), né "geometricamente", nè in alcun altro modo. Credo che di fatto sia avvertita a posteriori in larga, importantissima misura da parte di tutti, ciascuno "dentro di sè" (salvo forse casi decisamente patologici) come insieme di tendenze comportamentali conseguenti l' evoluzione biologica da cui siamo derivati, che ci ha "prodotti".
Hai ragione, che erroraccio :-[ Ho dato un argomento a favore dell'esistenza (chiarico: era un argomento, non dimostrazione ;) )... per l'unicità ovviamente no ;D mettiamola così: si può al massimo "dedurre" questo: visto che i soggetti sono simili (fatto piuttosto empirico) tra di loro allora saranno "simili" anche le loro "concezioni" di "Valore Supremo" (e anzi in realtà anche la gerarchia stessa). Sono un forte sostenitore della filosofia del "conosci te stesso", la quale però è priva di senso se non siamo "simili".
Riguardo al relativismo (per @altamarea e @Kobayashi): i valori sono ovviamente concetti "relativi" (preferisco il termine "relazionali") nel senso che il valore di un oggetto è sempre riferito ad un soggetto (per il soggetto X l'oggetto Y è un "bene"...). Anche un supposto valore "universale" d'altronde sarebbe "relazionale": infatti si avrebbe che per tutti i soggetti l'oggetto Y è bene. Su questo sono d'accordo e sono d'accordo sul fatto che ci sono differenze individuali ineliminabili tra le persone. Però non posso accettare che ad esempio un valore "universale" come ad esempio la "dignità dell'uomo" sia solo una convenzione sociale. Se poi una determinata cultura non credeva in questo principio non posso accettare che la loro visione fosse "giusta come" la nostra. Il problema del relativismo nel campo etico è che sostenendo che ogni "posizione" sull'etica è meramente convenzionale non vieta in linea di principio ogni azione. Un relativista potrebbe dire che conoscendo che la sua posizione non è "assoluta" non desidera imporla a nessuno, ma un altro relativista potrebbe invece imporla anche in modo violento giustificandosi proprio con il relativismo stesso. Per il relativismo nessuno dei due sbaglia, visto che non c'è alcun modo per stabilirlo. Il "fallibilismo" - ossia l'ammettere la propria limitatezza - evita a mio giudizio sia l'estremo dell'assolutismo violento che quello del nichilismo (conseguenza secondo me automatica del relativismo) pur essendo chiaramente una forma di assolutismo (in quanto stabilisce che esistano "verità universali") ;) Comunque non riesco a capire la differenza tra "valore assoluto" e "valore universale": in ogni caso un "bene universale (o assoluto)" è "bene"
per ogni soggetto (ossia non dipende dal determinato soggetto scelto). A meno che non si creda che il "valore universale" sia una generazione accidentale o una convenzione sociale (ossia si torna nel nichilismo)...
@Giorgiosan: ricambio i saluti ;) benvenuto nel Nuovo Forum!
P.S. Ovviamente ho sbagliato a scrivere la locuzione latina per il "Sommo Bene". La scrittura corretta è "Summum Bonum" e non "Sommum Bonum" - perdonate l'errore :-[
@Apeiron
"Inoltre se il relativismo è corretto potrei pensare ad esempio che anche i "più mostruosi crimini" in fondo "non sono sbagliati"
No, non puoi pensare una cosa del genere (e infatti non lo pensi...) perché tu condividi inevitabilmente dei riferimenti etici che vengono dalla civiltà a cui appartieni.
Il relativismo "non ingenuo" implica che i valori della tua cultura (relativi alla tua cultura e quindi non necessariamente condivisi da altre culture) siano sentiti da te come assoluti (almeno alcuni), anche se quella stessa civiltà a cui appartieni, quella occidentale, è arrivata a metterne in discussione, dopo un lungo percorso di autocritica feroce, l'universalità.
Per quanto riguarda il discorso razionale che fai per dimostrare la presenza in noi di una comune ricerca del bene supremo... beh, per me la soggettività è qualcosa di più contraddittorio, confuso, plastico, privo di continuità etc.
Il bene supremo a me sembra l'idealizzazione di un semplice istinto alla vita, la spinta a prosperare, crescere, evolversi... Anche le piante hanno qualcosa del genere (probabilmente all'apice della loro gerarchia hanno "un po' di letame tra le radici"... Alcuni di noi invece "Dio"... Un'immagine su cui riflettere?)
@altamarea
Quei valori (pace, giustizia, etc.) sono diffusi solo perché la nostra cultura ha colonizzato le coscienze della maggior parte della popolazione mondiale.
E comunque che ci sia un consenso universale è tutto da dimostrare: una tribù yemenita seminomade crede in una concezione di pace e giustizia simile alla nostra? Non ne sarei tanto sicuro.
Qualcuno dirà: si evolveranno e alla fine la penseranno come noi!
Ed ecco saltare fuori il concetto di progresso... Ma è un nostro concetto, affonda le sue radici in profondità nella nostra cultura, quindi anche nei nostri convincimenti più radicali, così non possiamo fare a meno di sentirlo come vero e universale, ma non è così, è arbitrario, facciamocene una ragione...
Citazione di: Apeiron il 10 Novembre 2017, 23:03:22 PMP.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
Per sapere se possa essere considerato universale dovresti innanzitutto stabilire se la tua mente può
contenere l'universale, Emily Dickinson pensava di si per esempio (mi hai fatto venire in mente questa poesia http://www.bartleby.com/113/1126.html) io penso di no per esempio, ma non ho poesie, anche se i continui dibattiti a riguardo penso dimostrino un che ne di poetico. Tuttavia l'acqua (specialmente la goccia) è un simbolo che ha a che fare con la circolarità e la non-forma, la liquidità, dai persiani verso l'oriente molto ricorrente. Al di la dell'interpretazione ostica e criptica del dao che accantonerei volentieri (sono andato a rileggerlo sulle mie 3 versioni del libro, senza venirne veramente a capo), il fatto che tu la ritenga corrispondente al vero dipende principalmente dalla tua sensibilità verso le proprietà liquide del famoso fluido che ha forma solo se contenuto (anche se poi il dao elogia la vacuità del vaso). Tu lo ritieni diverso dalla non-esistenza ma quella è una non-definizione, e onestamente l'idea di un esistenza che possa essere espressa solo tramite contraddizioni mi pare enigmatica, con il grosso rischio di indulgere in essa in tautologie misteriose ma che non muovono la questione di un millimetro per via della solo apparente illogicità.
@Kobayashi,
quindi in poche parole secondo te è "giusto" pensare che l'uomo abbia una dignità perchè lo hai imparato a scuola, perchè lo dicono alla televisione ecc. Secondo me è una palese assurdità pensare una cosa del genere: veramente ritieni che i "valori" sono tali perchè l'educazione dice così?
La società occidentale non è arrivata a questa conclusione. La società occidentale (almeno quella seria) è arrivata a riconoscere che "l'essere umano ha una dignità intrinseca" - di relativismo qui ne vedo gran poco ;) è vero che la soggettività è qualcosa di confuso, plastico e malleabile ma ciò non toglie nulla all'esistenza di valori universali (lasciamo perdere il "bene supremo" che ad alcuni può dare fastidio, ma l'esistenza di valori universali è una cosa ben diversa...). Nella teoria della realtività ristretta i valori delle durate temporali
sono relativi ad ogni osservatore: ciò non toglie però che le relazioni tra le misure di diversi osservatori sono invece qualcosa di "
universale", su cui (secondo ovviamente questa teoria) tutti gli osservatori sono d'accordo. Nella scienza il relativismo non ha senso: si riconoscono che le misure sono "relative" ad ogni osservatore, ma se ci si fermasse qua il progresso scientifico non esisterebbe. Mi chiedo perchè un ragionamento di questo tipo non si faccia per l'etica. Inoltre i relativisti non riescono a dare alcuna risposta all'evidente aporia per la quale il relativismo è nichilismo - ossia "ogni azione è giusta". Dire che tale azione non è giusta per me perchè me lo hanno insegnato non risolve niente, anzi semplicemente riafferma il nichilismo. E lascia aperta la possibilità alla "volontà di prevaricazione" di creare continuamente conflitti, iniquità ecc perchè d'altronde ogni azione vale l'altra. Una posizione nichilistica come questa non può essere sostenuta. L'etica (e anche l'estetica ;) ) non è
solo educazione.
Wittgenstein secondo me ha centrato il punto in questo passo della Lezione sull'Etica (anche se non concordo fino in fondo con la sua pretesa che non si può fare una filosofia dell'etica...):
"
Supponiamo che uno di voi sia una persona onniscente e per questo motivo conosca tutti i movimenti di tutti i corpi vivi o morti nel mondo e che conosca tutti gli stati mentali di ogni essere umano che abbia mai vissuto, e supponente che questo uomo scriva tutto ciò che conosce in un grande libro. Ebbene questo libro conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio. Conterrrebbe ovviamente ogni giudizio relativo di valore e ogni vera proposizione scientifica che può essere fatta. Ma i fatti descritti sarebbero allo stesso livello così come le proposizioni starebbero allo stesso livello. Non ci sono proposizioni che, in un qualsiasi senso assoluto sono sublimi, importanti o banali. ..
... Se per esempio nel nostro Libro leggiamo una descrizione di un omicidio con tutti i suoi dettagli psicologici e fisici la mera descrizione di questi fatti non contiene nulla che possiamo chiamare una proposizione etica. L'omicidio apparirà allo stesso livello di ogni altro evento, per esempio la caduta di una pietra. Certamente la lettura di questa descrizione potrebbe causarci dolore o rabbia o ogni altra emozione, o noi potremo leggere qualcosa a riguardo del dolore o della rabbia causata da questo omicidio in altre persone quando ne hanno sentito palare, ma ci sarebbero sempre fatti, fatti, e fatti ma non ci sarebbe l'Etica..."
Non pretendo di "convertirti" e di abbandonare il relativismo ma a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo (che ritengo tu stesso non puoi accettare). Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano
ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.
Riguardo al "bene supremo"... è una realtà prima di tutto ideale. Però ogni soggetto ha una chiara distinzione (almeno provvisoria) nella sua mente di qualcosa che è più o meno importante. Almeno a livello concettuale però è possibile pensare una cosa di questo tipo: per l'osservatore X, l'oggetto Y_1 ha un certo valore. Se Y_1 è l'ogggetto con il valore massimo allora non sarà possibile in linea di principio trovare un oggetto con più valore di Y_1. Viceversa se Y_2 ha per X più valore di Y_1 allora Y_2 o sarà l'oggetto di valore massimo oppure esisterà un altro oggetto Y_3 con valore ancora più grande ecc La paradossalità si crea se
non esiste (o non esisterà) un tale "oggetto di valore massimo" perchè abbiamo che il soggetto "mira a" qualcosa che non potrà mai essere raggiunto. Motivo per cui ritengo che questo "valore massimo" descrive qualcosa di reale (o almeno che è potenzialmente reale) anche se non posso dimostrare tale esistenza in modo razionale. Posso però dedurre che descrive qualcosa che è perlomeno
possibile. (Secondo me
è reale...)
Citazione di: InVerno il 14 Novembre 2017, 09:50:42 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Novembre 2017, 23:03:22 PMP.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
Per sapere se possa essere considerato universale dovresti innanzitutto stabilire se la tua mente può contenere l'universale, Emily Dickinson pensava di si per esempio (mi hai fatto venire in mente questa poesia http://www.bartleby.com/113/1126.html) io penso di no per esempio, ma non ho poesie, anche se i continui dibattiti a riguardo penso dimostrino un che ne di poetico. Tuttavia l'acqua (specialmente la goccia) è un simbolo che ha a che fare con la circolarità e la non-forma, la liquidità, dai persiani verso l'oriente molto ricorrente. Al di la dell'interpretazione ostica e criptica del dao che accantonerei volentieri (sono andato a rileggerlo sulle mie 3 versioni del libro, senza venirne veramente a capo), il fatto che tu la ritenga corrispondente al vero dipende principalmente dalla tua sensibilità verso le proprietà liquide del famoso fluido che ha forma solo se contenuto (anche se poi il dao elogia la vacuità del vaso). Tu lo ritieni diverso dalla non-esistenza ma quella è una non-definizione, e onestamente l'idea di un esistenza che possa essere espressa solo tramite contraddizioni mi pare enigmatica, con il grosso rischio di indulgere in essa in tautologie misteriose ma che non muovono la questione di un millimetro per via della solo apparente illogicità.
Non ritengo che la nostra mente possa "contenere" l'universale
tuttavia ritengo che Emily Dickinson qui sostenga un punto importante: esso non va ricercato "in capo al mondo", anzi per certi versi dobbiamo "cercare di non cercarlo" ;D . (Più precisamente secondo me il "bene supremo" è "qui e ora"). E inoltre a pensarci bene in un certo senso tutta la nostra esperienza è qualcosa di "mentale", quindi prima di indagare il "mondo esterno" è bene anche indagare il "mondo interiore" perchè è molto più "vasto" di quanto crediamo. In esso ci sono molte ricchezze su cui per vari motivi passiamo oltre (e anche se non contiene il "bene supremo" forse è proprio il "mezzo" per giungere ad esso ;) ).
Riguardo al Daodejing in realtà alcune versioni cinesi (le più antiche tra l'altro) riportano che "l'acqua beneficia tutte le creature e contende, fluisce nei posti disprezzati dalla moltitudine... proprio perchè non contende non è trovata in colpa". Nella versione ricevuta la frase iniziale è "l'acqua beneficia tutte le creature e
non contende". Ritengo più corretta questa seconda formulazione anche se forse è perchè ho un pregiudizio dovuto all'aver letto troppi testi buddhisti. Lo interpreto in questo modo: la più sublime contesa è la non contesa (lettura che tra l'altro è confermata da più o meno tutti gli altri capitoli anche delle versioni più antiche). Però è un testo oscuro, astruso, troppo sintetico. A me la metafora dell'acqua piace perchè appunto "beneficia tutte le creature (senza far distinzioni)". La vacuità la interpreto come uno stato mentale in cui liberandoci da pregiudizi vari diventiamo più aperti e siamo più pronti all'apprendere (quindi anche la vacuità è un modo per "adattarsi", quindi non è poi diversa dall'immagine dell'acqua). Il problema è che il Daodejing è un testo pieno di paradossi, molto oscuro, pare che sia stato modificato più volte nel tempo e così via. Io lo uso come "fonte di ispirazione".
Ad ogni modo non volevo dire che la nostra mente può "trattenere" il "bene supremo" né volevo dimostrare l'esistenza del "bene supremo". Semplicemente ho cercato di mostrare come la nostra mente naturalmente funziona, ossia nel ricercare le cose "importanti" (o di "valore"). Inoltre la nostra mente sembra costruire in modo automatico una gerarchia di cose importanti e inoltre sembra tendere sempre verso la "parte alta" della gerarchia. Il mio argomento in sostanza è che non solo la nostra mente ha un "senso" (mi si perdoni il termine :-[ ) per cui "valuta" l'importanza delle cose, però ha anche la tendenza a costruire gerarchie e a tendere verso la parte più alta di essa, ossia verso un "sommo bene". Il quale se non esistesse sarebbe un semplice "fantasma". Se fosse semplicemente la non-esistenza allora tutte le cose avrebbero per così dire "valore negativo" oppure sarebbero "senza valore" (in quanto la non-esistenza non essendo qualcosa non ha nemmeno un "valore". Sarebbe per così dire un qualcosa di valore nullo e quindi in questo caso tutta l'esistenza in questo caso avrebbe valore al massimo nullo). Motivo per cui ritengo che il "sommo bene" sia una
qualcosa di reale. Se però lo definissi in modo diverso dal fatto di "non essere la non-esistenza" dovrei
dire cosa esso è. Qui ovviamente ho le mie idee ma almeno per ora è una questione, che al livello attuale della discussione, è prematuro indagare (per me non è semplicemente la non-esistenza però preferisco definirlo in modo negativo) ;) (chi volesse farlo ovviamente può dire la sua...)
Non voglio fare l'avvocato di
Kobayashi (non ne ha bisogno; e se ne ha bisogno, io non sono in grado di farlo ;D ), ma al massimo l'avvocato del diavolo, o meglio, di quel diavolo di "pensiero debole" (sperando di non rendertelo indigesto :) ).
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
La società occidentale (almeno quella seria) è arrivata a riconoscere che "l'essere umano ha una dignità intrinseca"
"Riconoscere" o "stabilire"? C'è stata una
scoperta oggettiva o un
accordo convenzionale condiviso (e il fatto che sia basato su un denominatore comune a molte culture, non lo rende più oggettivo: quando tutte le popolazioni pensavano che il cielo stellato fosse pieno di dei, non per questo era davvero così)?
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
evidente aporia per la quale il relativismo è nichilismo - ossia "ogni azione è giusta".
E perché non "ogni azione è ingiusta"?
Se non ci sono valori (che il nichilismo si riduca a ciò, resta, a parer mio, da indagare un po' meglio) non comporta che tutto sia giusto o ingiusto, ma l'impossibilità stessa di tale dicotomia (in assenza di criteri demarcanti i due ambiti).
Sostenere che "ogni azione non è giusta e non-giusta e nemmeno né giusta né non giusta" ha un certo retrogusto di
catuskoti, no? ;)
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
L'etica (e anche l'estetica ;) ) non è solo educazione.
Eppure il peso o, per restare in tema, il
valore dell'educazione nei due ambiti resta comunque ben differente, non trovi?
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo [...] Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.
Motto (che mi pare un po' stereotipato) di difficile applicazione concreta che lascerebbe pensare, se assunto come assioma di un "x-ismo" (qualunque esso sia), che non esistano persone praticanti tale "x-ismo" e quindi, a conti fatti, non abbia troppo senso parlare di tale "x-ismo". Se un'azione vale l'altra, allora per un soggetto "x-ista", baciare la propria compagna/moglie/etc. o ucciderla è indifferente; tuttavia, supponiamo, finisce con il baciarla sempre senza ucciderla mai (oppure abbiamo appena scoperto che tutti gli "x-isti" sono femminicidi, arrestiamoli preventivamente! ;D ). Allora si impone l'
aut-aut: o non è affatto un "x-ista" (e l'"x-ismo" è una leggenda metropolitana o un'utopia impraticabile), oppure anche nell'"x-ismo" c'è una sorta di gerarchia, basata comunque su criteri "x-isti" che rendono possibile la vita pratica e le inevitabili scelte di un "x-ista" (come il non uccidere la propria compagna).
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
La paradossalità si crea se non esiste (o non esisterà) un tale "oggetto di valore massimo" perchè abbiamo che il soggetto "mira a" qualcosa che non potrà mai essere raggiunto.
Scenario di fallimentare auto-inganno in fondo plausibile: posso mirare al cielo quando tiro i sassi con la fionda, ma è poi possibile colpirlo? E se avessi una fionda più potente non potrei colpirlo lo stesso, poiché il cielo è un concetto prospettico che non ha una sua sostanza che possa essere colpita (sarebbe come voler colpire il cosmo ;D ). Eppure continuo a mirare e scagliare sassi più forte che posso...
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
Motivo per cui ritengo che questo "valore massimo" descrive qualcosa di reale (o almeno che è potenzialmente reale) anche se non posso dimostrare tale esistenza in modo razionale. Posso però dedurre che descrive qualcosa che è perlomeno possibile. (Secondo me è reale...)
Non sono totalmente convinto (o forse non ho capito bene :) ): una gerarchia non necessità di un valore massimo, anzi, spesso lo esclude a priori... proprio parlando di
valore: qual'è il valore massimo di un numero? E qual'è il valore massimo di un conto in banca? E qual'è il valore massimo di un'azione morale?
La risposta
assoluta a queste domande, se non erro, non può esserci né in teoria (troppo comodo dire "infinito", non è un valore
umano!), né soprattutto in pratica (sarà sempre possibile concettualmente pensare di poter aggiungere un valore di "+1", e quindi considerare il valore massimo sempre asintoticamente non ancora raggiunto).
Nella prassi diventa talvolta persino irrilevante il valore massimo (ovvero il massimo è pur sempre relativo al contesto): il valore massimo della mia bontà sarà sempre inevitabilmente individuale, e (scommetto!) resterà sempre al di sotto di quello di un santo (che magari non è nemmeno il valore massimo concepibile), per cui, quale sia il massimo possibile assoluto, è per me irrilevante perché è già difficile capire quale sia il
mio massimo
possibile (e se lo capisco, magari ci riesco pur ignorando il valore esatto del massimo
assoluto).
Potremmo chiamare valore un'assioma.
La scelta di un'assioma è una pratica complicata. Se esistessero valori assoluti che producono contraddizioni non sarebbe possibile sostenere che quei valori siano assoluti.
La mente produce valori che si contraddicono?
No, se esistesse una gerarchia di valori. Ma chi stabilisce la gerarchia? La mente nella sua autonomia?
Per cui se non esistono valori assoluti poiche producono contraddizioni, la mente sceglie autonomamente una gerarchia di valori. La scelta di un valore è libera e questo ci induce a pensare due alternative:
1) esiste una gerarchia di valori ma ogni mente, non riuscendo a percepirla, sceglie la piu quotata.
2) non esiste una gerarchia di valori per cui la mente è estremamente libera nel fare la sua scelta su come disporre i valori in conseguenza gerarchiaca.
Nella prima abbiamo una mente deteminata dalla quotazione del momento o al limite, se esistesse una gerarchia assoluta, la gerarchia assoluta. Nella seconda abbiamo una mente che sceglie, la sua gerarchia di valori, autonomamente.
Il problema è capire: se esistono valori che sembrano contraddirsi, come mai ognuno nella sua libertà li sceglie come valori assoluti?
----------------------
Anche se gli esempi trovano lo spazio che si meritano in filosofia (quindi poco) ne faccio uno per semplificare il mio ragionamento:
un pazzo sta per schiacciare un bottone che farà esplorere la terra e tutti i suoi abitanti.
Io ho la possibilità di fermarlo ma devo per forza di cose decidere della sua vita.
Ora il valore assoluto che ho è la vita. Ma a questo punto devo scegliere sulla vita di molti o sulla vita di uno solo.
E' chiaro che la vita non sarà piu un valore assoluto, se lo fermo sto dando piu valore alla vita di molti. Qui gioca il concetto di "quantità". Quanto deve essere grande il numero di vite da salvare per arrivare al valore assoluto? Serve fare per caso una media?
Ammettiamo invece che la vita di molti rischia di compromettere la vita di pochi. Ci sono sempre io a decidere il destino dei pochi e dei molt e non c'è molto da fare che decidere sul destino della vita degli uni o degli altri. Se i molti fossero malvagi e i pochi fossero povera gente indifesa, chi dovrei salvare? Se il valore assoluto fosse dipendente dal numero di vite da salvare dovrei salvare i malvagi. :-\
Wow gran bella domanda, complimenti!
Cercherò di essere conciso:
1) Il valore, dal mio punto di vista, è un elemento fondamentale o più elementi che non possono mancare nella vita di ognuno
2) Credo che i valori siano puramente personali dunque individuali, al massimo ci sono valori apprezzati da molti (pace,salute,educazione,rispetto) e valori condivisi solo da pochi
3) Credo che non esista il massimo valore ma c'è qualcosa a cui diamo più importanza, esiste un valore massimo relativo
4) No, credo che ognuno di noi dia una classificazione diversa ai valori
5) Penso che tutta la classificazione derivi da svariati fattori come : esperienze di vita,insegnamenti ecc..
6) Il massimo valore può essere vista come la cosa che ci fa sentire meglio e quindi noi gli diamo il massimo valore, esempio: se io mi sento bene quando possiedo tanti soldi, alla ricchezza darò il massimo valore.
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
Una posizione nichilistica come questa non può essere sostenuta. L'etica (e anche l'estetica ;) ) non è solo educazione.
Wittgenstein secondo me ha centrato il punto in questo passo della Lezione sull'Etica (anche se non concordo fino in fondo con la sua pretesa che non si può fare una filosofia dell'etica...):
"Supponiamo che uno di voi sia una persona onniscente e per questo motivo conosca tutti i movimenti di tutti i corpi vivi o morti nel mondo e che conosca tutti gli stati mentali di ogni essere umano che abbia mai vissuto, e supponente che questo uomo scriva tutto ciò che conosce in un grande libro. Ebbene questo libro conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio. Conterrrebbe ovviamente ogni giudizio relativo di valore e ogni vera proposizione scientifica che può essere fatta. Ma i fatti descritti sarebbero allo stesso livello così come le proposizioni starebbero allo stesso livello. Non ci sono proposizioni che, in un qualsiasi senso assoluto sono sublimi, importanti o banali. ..... Se per esempio nel nostro Libro leggiamo una descrizione di un omicidio con tutti i suoi dettagli psicologici e fisici la mera descrizione di questi fatti non contiene nulla che possiamo chiamare una proposizione etica. L'omicidio apparirà allo stesso livello di ogni altro evento, per esempio la caduta di una pietra. Certamente la lettura di questa descrizione potrebbe causarci dolore o rabbia o ogni altra emozione, o noi potremo leggere qualcosa a riguardo del dolore o della rabbia causata da questo omicidio in altre persone quando ne hanno sentito palare, ma ci sarebbero sempre fatti, fatti, e fatti ma non ci sarebbe l'Etica..."
Non pretendo di "convertirti" e di abbandonare il relativismo ma a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo (che ritengo tu stesso non puoi accettare). Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.
Non riesco proprio a capire il senso di questo esempio di Wittgenstein in riferimento all'etica, che trovo contraddittorio fin dalla premessa dell'onniscienza.
Il relativismo non mette sullo stesso piano ogni prospettiva morale, ogni valore, non nega la prospettiva morale o i valori come fa il nichilismo, sostiene che ogni individuo ha la sua morale, i suoi valori, distinti da quelli degli altri individui. Questo mi sembra sia il relativismo etico.
La morale assoluta, i valori assoluti non esistono perché sarebbero in contraddizione con la condizione del problema morale, del valore che appartiene ad ogni individuo: se sono assoluti o universali non sono in gioco nelle scelte morali o nell'attribuzione di valore.
Dare alla vita di uomo o alla sua dignità un valore assoluto, universale, significa riconoscere in realtà che hanno un valore relativo: infatti per qualcuno la vita di un uomo non è un valore assoluto e gli omicidi accadono.
Togliamo per ora Wittgenstein e le sue riflessioni che hanno portato solo confusione ;D Cerco di rispondere a tutti, cercando di essere più chiaro (ad occhio ritengo che Il_Dubbio, Phil e Domingo siano più vicini alla mia posizione però non ne sono veramente sicuro). Ora parlo solo dell'"etica" e non considero il "valore massimo"...
Anzitutto perchè secondo me i valori etici non possono venire dalla convenzione sociale. Semplicemente perchè, citando Phil - che in realtà pur facendo l'avvocato del "diavolo" è più vicino di quanto pensa alla mia posizione ;) : "e il fatto che sia basato su un denominatore comune a molte culture, non lo rende più oggettivo: quando tutte le popolazioni pensavano che il cielo stellato fosse pieno di dei, non per questo era davvero così". Appunto: questo mostra che la convenzione sociale non può essere alla base dell'etica. Questo deriva dal fatto che essendo l'uomo per sua natura limitato ovviamente limitata sarà anche la società e quindi è errato ritenere che una credenza condivisa sia in fin dei conti "la verità". Il problema del relativismo semmai è proprio questo: esistono solo condivisioni, quindi...
"Ogni azione è giusta", "ogni azione è ingiusta", "ogni azione non è né giusta né ingiusta", "ogni azione è sia giusta che ingiusta" (perdonate la logica indiana ;D ) sono tutte posizioni valide, non valide, valide e non valide, né valide né non valide ;D vedete l'assurdità: l'aver tolto la possibilità che ci sia un'etica "oggettiva" in realtà produce una sorta di confusione. Ossia è proprio questo che in fin dei conti porta alla posizione che l'etica è una credenza condivisa! Motivo per cui sono costretto a dire che ad esempio il principio della "dignità dell'uomo" va bene perchè abbiamo deciso nel 1948 che va bene. Si potrebbe obbiettare dicendo che queste convenzioni si basano sulla scienza. Ad esempio sulla biologia, sullo studio dell'evoluzione ecc. Ma la scienza di per sé al massimo ci dice a sua volta che statisticamente gli umani ritengono che "X è sbagliato (o giusto)": può (almeno per ora, ma considerando che la nostra mente è "limitata" direi per sempre...) dare una giustificazione statistica all'eticità. Ma anche questo tentativo fallisce: nuovamente infatti non c'è in realtà nessuna ragione per cui ad esempio, utilizzando l'esempio de @Il_Dubbio possiamo considerare "pazzo" l'uomo che tenta di commettere la strage planetaria. Quello che abbiamo da offrire è solo una risposta per la quale lui è "diverso" e le sue azioni sono "diverse" dalle nostre. Inversamente facendo lo stesso esempio alla rovescia poniamo che un solo uomo ritenga che è sbagliato fare la strage: nuovamente la statistica ci direbbe che in realtà solo l'uomo che non vuole fare la strage è "pazzo". Utilizzando dunque la logica del convenzionalismo o del mero empirismo vediamo che in questa situazione rovesciata siamo costretti ad ammettere che non abbiamo alcuna ragione per fermare queste "scellerate" azioni... ;) inoltre non capisco perchè dire che l'etica non dipende dall'educazione inficia il valore dell'educazione. Semmai è il contrario l'educazione - o più precisamente la "philosophia", la spinta a conoscere - che tende a ricercare di "migliorare" le attuali "convenzioni sociali". Ma se l'etica è meramente la convenzione sociale o "derivata" solo dall'osservazione empirica (l'osservazione "dei fatti" ovviamente è importante ma non riesce a spiegare tutto il problema) allora perchè dovrei cercare di "migliorare" la mia condizione, quella della società ecc? ::) Cos'è dunque che ci spinge a cercare il meglio? Chiaramente non è né l'educazione, né la convenzione sociale e nemmeno le parole del personaggio X che vuole indottrinarmi che un determinato tipo di morale è quella "giusta per me" (ovviamente può aver ragione ma può aver torto ;) ).
@baylham scrive: "Dare alla vita di uomo o alla sua dignità un valore assoluto, universale, significa riconoscere in realtà che hanno un valore relativo: infatti per qualcuno la vita di un uomo non è un valore assoluto e gli omicidi accadono." Ehm... questo è proprio la conseguenza del nichilismo: ognuno interpreta come vuole tale dottrina. Ad esempio se "per me" è meglio rubare e "per te" no posso appellarmi alla mia "dignità" per giustificare la mia azione (magari non ho nemmeno bisogno di ciò che rubo e lo faccio solo per "passare il tempo"...). Questo in effetti è una logica conseguenza di un relativismo abbastanza ingenuo (che tra l'altro è diverso dal pensiero debole ;) ...). Perchè dovrei concordare con te che "non devo rubare"? Per quanto dice il relativismo non ho alcun motivo per ritenere la tua posizione più "civilizzata" migliore della mia.
Qui entra il fallibilismo (che se vogliamo è una forma di pensiero debole visto che invoglia a "testare" i precetti morali prima di appoggiarli). Ritengo innegabile che tutti noi ricerchiamo ciò che ha più valore (ossia ciò che è più importante per noi). Per esempio per me è importante scrivere su questo Forum e quindi lo cerco di trovare il tempo per farlo. Empiricamente osserviamo che le persone a volte ritengono "importanti" cose che non lo sono per noi o cose che possono causare danno all'altro. Vediamo ad esempio che (per fortuna molto) pochi non danno valore alla vita altrui, mentre la maggioranza tende a valorizzare la vita propria e altrui. In fin dei conti però ci assomigliamo abbastanza e lo si vede semplicemente guardandoci. Quindi è facile inferire che in realtà almeno certe cose che sono importanti per me lo sono anche per un altro che magari non se ne rende conto. Analizzando razionalmente le cose posso a mio giudizio vedere per lo meno ciò che per me è importante e posso provare anche a dare insegnamenti agli altri (non è su questo che in fin dei conti si basa l'educazione?). Perchè non ammettere che la ragione può stabilire che ci sono delle azioni che sono giuste sia per me che per gli altri? Ma in tal caso io faccio un'assunzione importante: ossia che per così dire esiste una sorta di "legge naturale". No? E non è corretto dire che vista la somiglianza tra gli uomini certe azioni saranno per così dire considerabili "giuste" per tutti? E non è nuovamente facile dedurre che chi non è d'accordo è in uno stato di ignoranza (ben che vada...) rispetto a queste "leggi"? E se notiamo un numero elevato di opinioni a riguardo di una determinata azione non vorremmo noi capire il motivo per cui si ritiene una determinata azione "giusta" o meno? E non possiamo noi ammettere che una determinata azione deve essere sempre contestualizzata per essere definibile "giusta" o meno? E tra "giusto" e "ingiusto" non riteniamo dunque che talvolta vi è una gradazione bene più complessa? E non riteniamo che l'etica in fin dei conti deve partire dall'individuo perchè è l'individuo che è mosso dal senso dell'importanza, della "giustezza"? E non riteniamo dunque che tra i vari individui ci siano somiglianze e che quindi ciò che è importante (o non importante o indifferente o molto importante) per uno possa esserlo anche per gli altri? E non diremo che il relativismo ha ragione nel considerare come il punto di partenza l'individuo ma ha torto quando non considera che tra gli individui ci sono in realtà importanti somiglianze? E a causa di queste somiglianze non potremo dunque dedurre che esistano anche delle gerarchie di valori condivise, anche se chiaramente la "valutazione" è prima di tutto individuale? E dunque non potremo proprio partire da qui a dire che l'educazione si fonda proprio sulle somiglianze e che quindi è possibile per un individuo dire, in linea di principio, ciò che è meglio per un altro individuo? E non potremo anche fare una comune ricerca per capire cosa è importante per ciascuno di noi?
Citazione di: Apeiron il 10 Novembre 2017, 23:03:22 PMP.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
Se pensiamo al "bene" come qualcosa di esterno a cui dare un valore allora il discorso è un discorso poco supremo e molto piu fatto di relazioni.
Il bene supremo è il bene supremo stesso.
In sostanza è un bene assoluto l'opportunità di cercane uno. Posso odiare la vita o la morte, ma non è bene assoluto la vita o la morte in se, ma il fatto di poter abbracciare uno o l'altro. Questa possibilità è universale, o meglio che ci distingue nell'universo.
Il valore che io posso dare alla vita è di stampo sociale. L'umanità è progredita fino al punto di scegliere una gerarchia di valori. I quali però vanno prima o poi in conflitto. L'unico valore che non può andare in conflitto è il poter giudicare liberamente un valore. Un malato grave può decidere liberamente qual è il suo valore primario e se è la vita o se è la morte non va giudicato per la sua azione di giudizio, ma va accettato per il fatto che lui stesso può liberamente sceglierlo, in quanto quello è il suo e il nostro valore universale.
Come ho detto esistono o si sono creati valori sociali, quali il denaro o anche l'ozio. L'ozio non è un valore sociale (mentre il denaro si), ma se uno è ricco può sceglierlo al posto del lavoro. Non è mai stato mai costretto un uomo a lavorare se non ha bisogno di guadagnare per vivere. E' stato introdotto un valore aggiuntivo per limitare gli oziosi, nei termini di frasi idiomatiche: il lavoro nobilità l'uomo. Sicuramente il ricco non sarà d'accordo. E voglio proprio vedervi a fargli cambiare opinione. :-*
Quindi la società, o meglio l'umanità plasma i valori a seconda delle necessità della società stessa. Ma non avremmo alcuna umanità se non ci fosse stato l'unico valore assoluto, l'unico bene assoluto in grado di poter fare tutto quello che pensiamo sia stato fatto fino ad ora. Quindi
poter riconoscere un bene e poterlo scegliere liberamente. Questo secondo me è il bene assoluto.
Non si può parlare di "bene" e di "valore" in termini esclusivamente teoretici. Come ho scritto nel post d'apertura il "valore" è "ciò che rende per noi importante un oggetto". La definizione è circolare e quindi bisogna partire dall'assioma (e lo stesso vale per una parola come "esperienza". L'esperienza è l'insieme delle cose che vedo, sento ecc ma ovviamete è nuovamente circolare). Il valore è chiaramente relazionale. L'oggetto Y ha valore per il soggetto X. E il soggetto X cerca ciò che è più importante per lui, preferisce cercare l'oggetto Z se è veramente convinto che Z abbia più valore di Y. Si può pensare ad un oggetto "S" che abbia più valore di ogni altro oggetto per il soggetto X. Beh... tendo a dire di sì. Il valore di tale fantomatico oggetto è chiaramente massimo. E l'oggetto di tale valore non è semplicemente la ricerca di tale valore o la possibilità di ricercarlo. In realtà è importantissimo e la mente del soggetto "vorrebbe tanto" che ci fosse veramente un simile soggetto. Pura illusione di sognatori? Retaggio culturale errone? Eppure è proprio l'uomo l'unico (a nostra attuale conoscenza) a essere consapevole che cerca sempre ciò che per lui ha "più valore" - è consapevole di preferire l'oggetto Z rispetto all'oggetto Y se Z è visto più importante di Y. Vedendo questo è naturale che se trova un oggetto W che sembra avere più valore di Z, cercherà di arrivare a W. E così via. Ma ognuno di questi oggetti è una realtà non è solo un concetto. Quindi anche il "Bene Supremo", l'eventuale (?) "bene" che ha valore massimo "deve" per così dire essere una "realtà", una realtà che supera la sola possibilità di cercarlo o la sola possibilità di poter scegliere di cercarlo. Poter solo riconoscere un bene non è la "cosa più importante", esser libero di scegliere l'ozio o la ricchezza come beni non è "la cosa più importante". Anche perchè queste sono solo possibilità e non realtà, la "possibilità di" non è qualcosa di "reale" e inoltre è sempre subordinata a qualcosa di esterno, si rivolge sempre ad altre cose. No... il "bene supremo" - se c'è - dev'essere qualcosa di "completo" ;)
Citazione di: Apeiron il 16 Novembre 2017, 12:49:49 PMIl valore è chiaramente relazionale.
Per essere
assoluta tale relazione però deve assomigliare ad una equazione dove il primo termine è uguale al primo.
Prendi qualsiasi termine di relazione di valore e trovami una relazione che sia anche solo apparentemente di tipo assoluto.
Sei un fisico e quindi conosci la matematica meglio di me. Anche in fisica (da quel che ho capito io) i valori non sono assoluti. Al limite possono essere assoluti le costanti che comunque sono rapporti fra valori. Qui invece non ci interessa il rapporto fra i valori, ma i valori in rapporto con noi. Solo in rapporto con noi gli "oggetti" esterni assumono un valore. Per cui sembra (e da qui la mia risposta) che non siano gli oggetti esterni che abbiano un valore, ma il loro rapporto con noi. E solo questo rapporto che è (o almeno a me sembra) di tipo assoluto. E' come se massa ed energia (nella famosa relazione che abbiamo in altre parti gia valutato per altre domande) fossero oggetti uguali (come infatti lo sono). Ma per me avrebbe piu valore l'energia o la massa? E' chiaro che non ha senso. Io mi metto in realzione a cose che sono fondamentalmente uguali ma dandogli un valore diverso. Il fatto che io riesca fondamentalmente a distinguere cose che in realtà sono fatte della stessa sostanza, o per nessun altro abbiano alcun senso, è un valore assoluto. Anche Dio e il diavolo (nelle descrizioni a cui sono legato da racconti di catechismo) erano praticamente della stessa sostanza. O anche Eva poteva mangiare la mela nonostante fosse proibita.
Sono sicuro che se approfondisci le filosofie orientali (come dici di fare gia) secondo me giungi a una conclusione, non so se esattamente quella che sto dicendo io, ma forse simile a questa.
Quindi è chiaro che per me dare un valore ad un oggetto e pensare che esso sia assoluto (o che ne esista uno assoluto) non è una strada percorribile...poi io sono disposto a passare anche su strade quasi impercorribili ;)
Per quanto riguarda le filosofie orientali... Beh ad esempio nel buddhismo per esempio si rinuncia a tutto per "raggiungere" il Nirvana, il Bene Supremo. E stando al Buddha questo Bene è il Bene Supremo per ogni essere senziente. ;) Ovviamente già a suo tempo c'era chi pensava che il nirvana non era il "bene supremo" (ossia la cosa più importante per ogni soggetto) e per questo motivo il Buddha sosteneva (ovviamente stando alle parole a lui attribuite ad esempio nel Canone Pali) che chi non si rende conto che il bene supremo è il nirvana ha "polvere negli occhi": in sostanza il bene supremo per il buddhismo è raggiungere il nirvana, ma non lo è solo per i buddhisti - secondo i buddhisti lo è per tutti. Per gli indù è Brahman e per i daoisti è il Dao... Ergo non mi paiono così tanto diverse da questo punto di vista dalla filosofia occidentale (greca, ma anche cristiana) tanto bistrattata (d'altronde tra Platone e la filosofia induista c'è pieno di somiglianze!) ;) (ti consiglio di leggere il topic del buddhismo...https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/). Vorrei però evitare di parlare delle religioni o delle filosofie (se non come esempio...) altrimenti si rischia l'off-topic. Per esempio posso dire "Dio è il Bene Supremo Universale" per i cristiani mentre per i buddhisti il "Bene Supremo Universale" è il Nirvana però lascerei perdere (almeno per ora) la descrizione dei "beni supremi universali" delle particolari filosofie o religioni
(LOL forse sarebbe opportuno aprire un "topic" sulle filosofie orientali ;) d'altronde anche nel topic del buddhismo si parla continuamente - per colpa mia ;D - delle filosofie "orientali" rivali ad esso. )
Tornando a parlare dei valori... (nota: la gerarchia strettamente parlando è degli "oggetti di valore" a seconda del loro valore)
Credo che a causa della mia inabilità a spiegarmi di aver creato una sorta di equivoco. Ora cerco di scrivere le cose in modo chiaro.
1) Provando a definire il "valore" ho notato che si cade nella circolarità, o meglio "il valore è ciò che rende importante un "oggetto" per un soggetto", in realtà sposta il problema sulla definizione di "oggetto importante", che a sua volta si definisce come qualcosa che ha "valore" ("oggetto di valore" o "bene"). Direi che è un fatto che si può definire a-priori della nostra esperienza e quindi non è definibile se non in modo circolare.
2) il valore è relazionale, perche qualcosa è "importante" solo in riferimento a un soggetto. D'altronde è sempre un soggetto che distingue una cosa come molto importante, importante, indifferente ecc
3) il valore quindi non può essere considerato come una proprietà dell'oggetto (!). Ma richiede un soggetto e un oggetto.
4) è possibile che più di un soggetto diano lo stesso valore a un determinato "oggetto" (mi pare ovvio, almeno in generale), così come è possibile che due soggetti non siano d'accordo sull'importanza di un determinato "oggetto"
5) è possibile che esista almeno un valore "universale". Cosa voglio dire? Che tutti i soggetti diano la stessa "importanza" (lo stesso "valore") ad un determinato oggetto. Il termine "assoluto" può essere utilizzato in quanto in questo caso può essere utilizzato come sinonimo di universale.
6) ogni soggetto ha una gerarchia di valori (fatto empirico)...
7) è quindi possibile pensare che più di un soggetto abbia una stessa gerarchia (scrivo "una" perchè possono dire che ad esempio i Beatles sono meglio dei Rolling Stones ma possono non essere d'accordo sul fatto che "i Beatles sono meglio dei Queen"). Ed è possibile che esista una gerarchia condivisa da tutti.
8 ) è possibile pensare che esista un (oggetto di) valore massimo per ogni soggetto (per ogni soggetto X esiste un oggetto Y che ha valore massimo - in genere dobbiamo dire che tali oggetti di valore siano diversi).
9) è possibile pensare che esista l'oggetto di valore massimo sia lo stesso per ogni soggetto.
10) si definirà come "bene supremo" l'oggetto che ha il massimo valore (ossia l'oggetto di valore massimo, oppure ciò che ha massima importanza...). Se è unico per ogni soggetto allora tale "bene supremo" sarà anche "universale" (o "assoluto").
E fin qui non ho fatto alcuna conclusione... Ora però andando avanti:
11) empiricamente osserviamo che ad esempio gli esseri umani sono simili tra di loro;
12) ergo è ragionevole pensare che diverse cose siano importanti per tutti gli esseri umani;
13) è ragionevole pensare che anche i "beni supremi" di ogni essere umano siano simili tra di loro;
14) ergo se uno riesce a capire ciò che per lui stesso è importante, sarà utile condividerlo tale comprensione anche agli altri individui (per il loro... bene ;D );
15) per il principio di somiglianza se ciò è di benificio per quell'individuo è ragionevole pensare che possa esserlo per gli altri;
16) è ragionevole pensare che per il principio di somiglianza anche alcune gerarchie di beni (la gerarchia strettamente parlando è degli "oggetti di valore" a seconda del loro valore) siano condivise;
17) non è così irragionevole pensare che ciò che è più importante per un determinato individuo lo sarà anche per tutti gli altri (d'altronde empiricamente osserviamo che gli esseri viventi senza acqua ( ;D ) non vivono).
Spero di essere stato abbastanza chiaro stavolta... Non credo di riuscire a fare di meglio... :(
Non riesco a capire comunque l'obiezione per cui il valore "assoluto e supremo" non esista o che tale "concetto" sia senza senso (sarò tardo :D ). Ora se per "assoluto" si intende "universale" non credo proprio che si possa dimostrare che non esistano. Il fatto che i valori siano relazionali non significa che non esistano valori universali. Mi fai l'esempio della fisica... ebbene in relatività ristretta per ogni sistema di riferimento universale il "valore" della velocità della luce è... "c" ;) in fisica c'è pieno di quantità che sono misurate (e la misura è in fin dei conti l'interazione tra un soggetto e un oggetto - e quindi è una "cosa" relazionale) che sono uguali per una grande classe di sistemi di riferimento. Motivo per cui ci possono essere tanti valori universali ma chiaramente questi valori "universali" in genere formano una gerarchia ;)
Ad ogni modo concordo con te che la libertà è un valore universale - ci mancherebbe :) però secondo me non è quello più importante visto che per sua natura non è completo e non riesce a dare la completa sodddisfazione (ciò che credo che uno si aspetti quando "raggiunge" l'oggetto che ha il massimo valore - se ottengo d'altronde ciò a cui aspiro più di tutto il resto ovviamente mi pare anche abbastanza chiaro) ;)
P.S. dici:"Sei un fisico e quindi conosci la matematica meglio di me." Anzitutto sono un mero studente di fisica LOL ad ogni modo è meglio dire che "so probabilmente più cose della matematica e della fisica" però "Sapere molte cose non insegna la comprensione" (Eraclito) :(
Ad ogni modo chi volesse sapere cos'è che mi ha causato questa "ossessione" con il "valore", segnalo https://www.riflessioni.it/logos/percorsi-ed-esperienze/quali-sono-state-le-maggiori-influenze-sul-vostro-pensiero/msg16817/#new, risposta 23.
Citazione di: Apeiron il 17 Novembre 2017, 12:51:21 PM
Non riesco a capire comunque l'obiezione per cui il valore "assoluto e supremo" non esista o che tale "concetto" sia senza senso (sarò tardo :D ). Ora se per "assoluto" si intende "universale" non credo proprio che si possa dimostrare che non esistano. Il fatto che i valori siano relazionali non significa che non esistano valori universali. Mi fai l'esempio della fisica... ebbene in relatività ristretta per ogni sistema di riferimento universale il "valore" della velocità della luce è... "c" ;) in fisica c'è pieno di quantità che sono misurate (e la misura è in fin dei conti l'interazione tra un soggetto e un oggetto - e quindi è una "cosa" relazionale) che sono uguali per una grande classe di sistemi di riferimento. Motivo per cui ci possono essere tanti valori universali ma chiaramente questi valori "universali" in genere formano una gerarchia ;)
Buono. L'esempio sulla velocità della luce è anzi ottimo. Non ci avevo pensato ;)
Ma proprio basandoci su quel "valore" possiamo dedurre cosa vuol dire valore e cosa vuol dire assoluto. Un valore è una quantità, e assoluto vuol dire che vale per tutti i sistemi (in caso della luce, si intende i sistemi di riferimento).
Per quanto riguarda i concetti filosofici, a cui si riferiscono i concetti di valore e di assoluto, possiamo dire che ci riferiamo alle stesse descrizioni di valore e di assoluto che potremmo dare al valore della velocità della luce?
Facciamo alcune considerazioni Se il valore fosse una quantità dovremmo stabilire se tutti i valori che abbiamo in mente esprimono una quantità.
I valori solitamente sono astratti. Tipo la fratellanza. L'amore o il rispetto. Il lavoro e l'onesta. Ma, come abbiamo visto, anche il denaro e, perchè no, per alcuni anche l'ozio.
Il primo esempio l'ho fatto sulla vita o sulla morte. Quindi riprendo quello.
Gia solo con la vita ho potuto dargli un senso "quantitativo" (che spesso è però espresso in ragione della sua qualità. Nel caso specifico lo esprimo in senso quantitativo). La vita al massimo della nostra gioia, felicità, salute ecc. contiene infatti il massimo di quantità di vita. Quando una di quelle componenti manca, diminuisce la quantità di vita. Non per tutti quindi la quantità di vita è la stessa, per cui mancherà, in ragione della sua diversità, il secondo aspetto che un valore deve avere, ovvero la sua assolutezza, cioè (come per la velocità della luce) che sia per tutti la stessa.
Come descriveresti un valore senza dover usare un parametro numerico o (in forma meno rigorosa) quantitativa?
Il denaro potrebbe essere un valore, ma quanto denaro serve perche esprima un valore assoluto cioè che vada a bene a tutti?
Continuando con questo ragionamento trovo anche contraddizioni tra valori che precludono la possibilità di stabilire una gerarchia.
E qui credo sia importante stabilire una cosa. Un conto è fare un gerarchia di valori "approsimati" un conto e trovarne una assoluta.
Ad esempio, se oggi diciamo che il valore di internet è salito rispetto a dieci anni fa, questo non vuol dire che avrà lo stesso valore fra altri dieci anni e nella media di interesse sull'utilizzo di internet su i vent'anni il 90% sia una buona approsimazione per indicare l'interesse per internet di valore assoluto. Non so se mi sono spiegato. Non posso dire (per spiegarmi con un esempio) che internet sia un valore assoluto se c'è anche uno solo che decide di starsene solo in montagna a pascolare le capre. La luce infatti non fa sconti a nessuno..per questo c è una costante. :D
Ottima risposta @Il_Dubbio ;) Provo a darti una risposta che pur essendo a mio giudizio insufficiente a rispondere alle tue domande, sarà utile per andare avanti nel dibattito e magari far tornare altri che hanno partecipato.
Nuovamente, ritengo, che sia doveroso chiarire il significato della parola "valore" prima di usarla. (porta pazienza ma sto seguendo la metodologia dei dialoghi platonici... per ora siamo ancora nella confusione :( ). Se ammettiamo come buona la mia "definizione" (che non è in realtà una vera definizione, in quanto circolare) allora dobbiamo dire che il valore non è un oggetto, bensì definisce "quanto sia importante un oggetto per un soggetto". Il valore perciò pare essere una quantità, assimilabile al numero. Potremo dire che un oggetto "Y" vale più di un oggetto "Z" per il soggetto "X" anche nella forma matematica "{X_valore(Y)>X_valore(Z)}" avendo rappresentato il "valore" con una scala numerica ordinata (ordinata=si può definire in modo sensato il concetto di "maggiore" (>)). In questa notazione ho usato la forma "soggetto_valore(oggetto)". Chiaramente si può avere che utilizzando due soggetti X1 e X2 e due oggetti Y1 e Y2 la relazione di ordine è rispettata (ossia che valore(Y1)>valore(Y2) per entrambi) ma X1_valore(Y1) è un numero diverso da X2_valore(Y1). Se l'oggettoY1 è il "benessere economico" dunque sto dicendo che il "benessere economico" per X1 è più importante che per X2 ma allo stesso tempo se l'oggetto Y2 è "andare su Marte" entrambi valutano che il "benessere economico" è più importante di "andare su Marte". Ci sono come osservi giustamente tu anche i cosiddetti "oggetti di valore astratti" (che a causa della loro "astrazione") sono comunemente detti "valori" (tuttavia per consistenza nella notazione dovremo utilizzare anche in questo caso la nomenclatura di "oggetto" per evitare un conflitto nella notazione). Come dunque confrontare il valore del "benessere economico" con il valore della "fratellanza". Anzitutto dobbiamo ammettere che affinché questi confornti abbiano senso anche la "fratellanza" non sia un qualcosa di astratto ma rappresenti qualcosa di reale (il termine astratto viene dunque usato per indicare il fatto che è più difficile da definire rispetto ad esempio al "benessere economico"). Supponiamo però che sia per X1 che per X2 sia chiaro cosa significa "fratellanza" e che ad esempio entrambi siano d'accordo di definire tale "oggetto" come la disposizione per la quale "amo il prossimo come se fosse un mio fratello" (ammesso che "fratellanza=amore fraterno"). Nuovamente possiamo dunque definire che "fratellanza=Y3" e quindi ad esempio: X1_valore(Y3)> X1_valore(Y1)>X1_valore(Y2). Supponiamo che X2 non sia d'accordo e per lui: X2_valore(Y1)> X1_valore(Y3)>X1_valore(Y2). I due personaggi hanno una gerarchia diversa. Come ho già detto il "valore" è qualcosa di relazionale (essendo l'importanza di un oggetto che viene data da un soggetto).
Definiamo relativismo estremo quella posizione filosofica per la quale non v'è nulla che può distinguere che una gerarchia è migliore dell'altra. Se fosse vera questa posizione allora sarebbe falso dire sia che la gerarchia di X1 è "migliore" (o "peggiore") di X2 perchè non c'è alcun criterio veramente comune tra i due. Una forma di relativismo un po' meno estrema invece, che definisco "relativismo forte" è quella per la quale il confronto delle gerarchie è davvero possibile se e solo se i soggetti X1 e X2 sono uguali (ossia sono indistinguibili). Considerando che le persone differiscono tra di loro per l'educazione, le preferenze personali, le abilità, il contesto sociale in cui vivono, la famiglia ecc allora questo tipo di relativismo asserisce che il confronto delle gerarchie nella realtà è privo di significato - ossia il dialogo stesso è del tutto senza senso. Un "relativismo debole" invece asserisce che i soggetti X1,...,XN riusciranno a trovare beneficio dal dialogo perchè ad esempio sono ignari della gerarchia "migliore" per essi. Tuttavia è categoricamente escluso dal relativismo che si possa definire un "maestro" in quanto in fin dei conti le diversità individuali a priori tendono a fare in modo che ognuno abbia la sua "gerarchia" (e quindi in realtà è possibile per il relativismo che in fin dei conti X1,...,XN abbiano le loro "giuste" gerarchia completamente diverse l'uno dall'altro). La mia posizione "fallibilistica" invece asserisce che anche se è vero che ci sono differenze individuali è pur vero che le somiglianze tra gli individui sono molto più evidenti (per esempio una cosa in comune a tutti gli esseri umani è essere "potenzialmente senzienti"). Ciò significa che è possibile che i soggetti X1,...,XN possano essere ignari della gerarchia a loro favorevole ma che in virtù delle evidenti somiglianze queste gerarchie in realtà si somigliano.
Nella situazione esposta nel primo paragrafo nel caso del "relativismo forte" e in quello "estremo" si deve semplicemente prendere nota delle differenze (non c'è alcuna ragione per cui X1 e X2 debbano ad esempio dialogare). Nel caso del "relativismo debole" invece X1 e X2 potranno dialogare e ognuno "testerà" la gerarchia dell'altro - tuttavia entrambi potranno ragionare in questo modo: "l'altro è diverso da me e quindi mi tengo la mia gerarchia perchè è quella giusta" o viceversa uno dei due potrebbe dire "l'altro è diverso da me però la sua gerarchia mi sembra interessante anche per me". Però non c'è alcuna ragione di fondo per la quale uno dovrebbe mutare la sua gerarchia. Nel caso del fallibilismo invece è possibile ritenere che uno dei due cambi "gerarchia" in quanto solo una delle due è "quella giusta" per entrambi. Il "fallibilismo" in sostanza sostiene che la divergenza delle gerarchie può essere causata dall'ignoranza o dall'errore dei soggetti stessi. Si badi bene che nel caso del "relativismo forte" od "estremo" non è possibile fare un'affermazione simile in quanto il concetto di "errore" o di "ignoranza" è privo di significato. Nel caso del relativismo "debole" invece addirittura i due soggetti non hanno alcun motivo a-priori per cui possono affermare che l'altro può essere in errore o in stato di ignoranza. Nel caso del fallibilismo invece è possibile che entrambi siano motivati a cercare di trovare la "giusta" gerarchia per entrambi facendo magari qualche modifica per adattarla alle predisposizioni individuali. Essendoci per assunto però in questo caso un terreno in comune in generale è possibile parlare di "maestri", di "gerarchie" condivise ecc nel caso del relativismo debole invece il fatto che il dialogo sia utile all'individuo è solamente una mera accidentalità, un caso fortuito. ;)
"Valore" per me col passare degli anni ha finito per assumere una valenza negativa.
Essendo valore qualcosa che è legato ad una valuta, significa semplicemente che vi è una pietra del paragone con cui decidere che fare della merce, sia essa oggettiva o intellettuale.
Ma nella nostra tradizione si lega alla questione morale.
Dunque valore è una sorta di incitamento, slogan ad un certo agire, di solito sociale.
Ma questa società è marcia, e dunque è uno slogan, uno dei tanti mezzi usati dai mass media per renderci stupidi.
E devo dire che funziona egregiamente, o sei un filosofo, un intellettuale, dissidente, oppure ci rimani invischiato con queste cose.
E infatti ci ero rimasto invischiato anch'io.
Ma andiamo alla discussione.
Mi sembra che tu tenda ad assegnare alla parola valore quello di bene. Con un bel "TU DEVI" all'inizio di quel bene, per rimettere le cose a posto.
cit "...nasce dall'esigenza di stabilire ciò che è importante"
A questo punto andiamo a rapide risposte.
2) esistono valori solo individuali o universali?
Essendo formalizzazioni, esistono entrambe.
3) esiste il massimo valore?
Il massimo valore, dovrebbe essere un valore assoluto, è invece nella terminologia stessa l'oggetto stesso (l'assioma) da cui si dipanano gerarchicamente le convenzioni, i postulati.
4) esiste una gerarchia di valori? è universale?
Come detto sopra, è la gerarchia ad essere il vero valore, ossia la vera politica dietro alle convenzioni e ai postulati.
E' universale per definizione (altrimenti come farebbe ad essere gerarchica?)
5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?
Come hai rilevato tu, psicologimamente possiamo dire che si formi in una maniera che potremmo dire automatica.
Anche se la sua origine, ossia la paura, ne è il vero oggetto di analisi filosofica.
6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?
Per via del processo secolare di incivilimento, ossia di allontanamento delle paure originarie, e della Paura originaria, ossia in una parola dell'Ignoto.
Citazione di: Kobayashi il 12 Novembre 2017, 09:44:28 AM
Parto dalla fine.
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.
In parte in linea con Nietzsche direi che i valori sono ciò che ti permettono di svilupparti meglio, di portare a perfetta espressione la tua persona.
Per chi ha un temperamento filosofico, per esempio, alcune cose sono considerabili dei valori o delle virtù perché permettono di vivere distaccati dalle turbolenze inutili del mondo, in modo che le energie migliori non vengano sprecate in faccende superflue.
Un filosofo del genere considererà la gentilezza un valore. Ma in tutt'altro modo di un cristiano.
Naturalmente la cultura di appartenenza determina fortemente il giudizio sui valori.
Per esempio noi occidentali non possiamo fare a meno di considerare un atto criminale l'infibulazione. In altre società viene considerata una buona tradizione.
Possiamo cioè anche considerarci relativisti ma nello stesso tempo non possiamo fingere di non essere il prodotto di una civiltà – la quale deciderà dentro di noi, che lo si voglia o no, ciò che è giusto... Un antropocentrismo ineludibile...
Ma al di là dei limiti di questo antropocentrismo "genetico", c'è spazio per scegliere una forma di vita che sia il più possibile funzionale al proprio temperamento.
La sfida per il soggetto, soprattutto in un tempo come il nostro in cui tutti sono separati e lontani, in cui si vive da soli o in micro-famiglie, e quindi un tempo in cui si subisce poco l'influenza "stilistica" degli altri, è la costruzione di un tipo di uomo da incarnare, partendo magari dalle piccole cose come alimentazione, ginnastica, tempo dedicato alla lettura, alla scrittura etc.
E su questo propongo un'idea: e se la funzione del filosofo del nostro tempo fosse proprio quello di creare tipi, modelli, etc., che poi possano servire da punto di riferimento per gli altri? Anziché produrre monografie specialistiche sulle più assurde curiosità storico-filosofiche...
Sono d'accordo, ma questa cosa che proponi fa parte del luogo delle utopie.
Fin quando il filosofo non si rende conto sulla scorta di Nietzche che siamo dentro ai meccanismi del paranoico, e che dobbiamo sudare ancora molto per trovare una via di uscita a quella impasse, il rischio è quello di indicare un modello (agli altri o a se stessi) che è ancora dentro al paradigma della nostra civiltà, ossia alla sua immobilizzazione intellettuale (appunto competenza del filosofo).
Detto questo, trovare una valida forma di vita all'interno di quel paradigma, secondo il proprio temperamento è sicuramente molto meglio che la specializzazione monografica.
Diciamo che sarebbe un buon modo di superare i sintomi del viver male contemporaneo.
Non è sempre del Byung questa idea del sistema immunitario?
(Oddio quanto lo DEVO leggere! ma niente ho il cervello in bambola da settembre....!)
Non ci sono dubbi.
Citazione di: Apeiron il 18 Novembre 2017, 12:39:00 PM
Nel caso del "relativismo debole" invece X1 e X2 potranno dialogare e ognuno "testerà" la gerarchia dell'altro - tuttavia entrambi potranno ragionare in questo modo: "l'altro è diverso da me e quindi mi tengo la mia gerarchia perchè è quella giusta" o viceversa uno dei due potrebbe dire "l'altro è diverso da me però la sua gerarchia mi sembra interessante anche per me". Però non c'è alcuna ragione di fondo per la quale uno dovrebbe mutare la sua gerarchia. Nel caso del fallibilismo invece è possibile ritenere che uno dei due cambi "gerarchia" in quanto solo una delle due è "quella giusta" per entrambi. Il "fallibilismo" in sostanza sostiene che la divergenza delle gerarchie può essere causata dall'ignoranza o dall'errore dei soggetti stessi. Si badi bene che nel caso del "relativismo forte" od "estremo" non è possibile fare un'affermazione simile in quanto il concetto di "errore" o di "ignoranza" è privo di significato. Nel caso del relativismo "debole" invece addirittura i due soggetti non hanno alcun motivo a-priori per cui possono affermare che l'altro può essere in errore o in stato di ignoranza. Nel caso del fallibilismo invece è possibile che entrambi siano motivati a cercare di trovare la "giusta" gerarchia per entrambi facendo magari qualche modifica per adattarla alle predisposizioni individuali.
Sembra che, secondo quel che dici, ci dovrebbe essere anche una gerarchia storica. Ammettiamo infatti che l'umanità si sia organizzata inconsapevolmente secondo quello che vien chiamato "fallibilismo". Oggi dovremmo avere valori gerarchicamente migliori di quelli che abbiamo lasciato alle spalle.
Ma è cosi? Forse ... non sono uno storico dei valori esistenti nel passato. Però sarebbe la prova che il fallibilismo ( da te descritto) è la strada che porta a migliorare (almeno) il bagaglio dei propri valori. E chiaro che accidentalmente l'ignoranza del passato può aver condotto quelle società ad avere valori gerarchicamente piu basse. Quindi si dimostrerebbe cosi che il relativismo forte è in errore e che i propri valori potrebbero essere migliorati eliminando l'ignoranza. Il punto omega corrisponderà alla massima informazione possibile o, per dirla in altra maniera, alla onniscienza.
Per me questo risultato va bene ;)
@Green i tuoi due interventi mi hanno lasciato un po' perplesso così come mi lascia perplesso il tuo duplice apprezzamento dell'induismo e di Nietzsche. Ho grosse difficoltà ad inquadrarti (il che potrebbe essere una cosa positiva ;D)
Interessante è la tua posizione per la quale "quello che conta veramente" è la gerarchia. Però lasciami prima farti capire la questione del "TU DEVI". No, non mi sono fatto capire. Il mio non è un "TU DEVI" bensì l'etica, la morale (e anche l'estetica) contiene un dovere verso sé stessi prima di ogni altra cosa. Si parte da sé stessi, non si impone nulla. Non c'è nessuno qui che dice "TU DEVI", però riconosco invece la presenza di alcune "cose" che sono estreamente importanti e che quindi è un "dovere" che queste cose vengano fatte dall'individuo. Questo mi accomuna volendo a Nietzsche (credo) e ai "relativisti", però come spero d'aver fatto capire la loro soluzione è rispettivamente secondo me "erronea" (nel caso di N.) e incompleta, nel caso dei relativisti. Non è un "TU DEVI", bensì è un "IO DEVO" e questo dovere è in realtà - coincidentia oppositorum - il dover seguire i propri diritti. Questo dovere non rinchiude l'uomo in una prigione bensì lo libera.
Per chiarire uso la seguente notazione: "valore= ciò che rende importante una cosa anche in senso quantitativo", "bene= ciò che è importante". Ritengo che dire che "amicizia", "fratellanza" ecc siano "valori" faccia nascere solo confusione e non aiuti per niente l'indagine. Concordo con te che in automatico si arrivi al "massimo bene". Non concordo con te che ciò sia dovuto alla mera paura dell'ignoto. O più precisamente non solo a causa della paura ma anche a causa della volontà di essere veramente liberi, della volontà vivere in modo autentico, la responsabilità e così via. Come spesso dici anche tu "Dio" è qualcosa che spaventa ma deve essere cercato (no? o almeno è il tuo lato "induista" a dirlo ;D ).
Mi perplede poi la tua risposta a Kobayashi anche se ammetto di non averla veramente capita. Il relativismo afferma che anche quanto tu dici "non si può definire meglio" di quanto dicono gli altri perchè ogni morale, individualistica o colletivistica che sia, in fin dei conti è "arbitraria". Quello che tu dici in realtà è che si debba cercare qualcosa che è meglio, la trascendenza. Secondo me, così come secondo le filosofie indiane, il modo paradossalmente più "diretto" per arrivarci è essere responsabili, cercare di "essere giusti" e così via.
La morale e l'etica non sono solo "bigottismo" e catene per l'uomo, ma lo valorizzano. Questo si è perso. La morale è un dovere che facciamo a noi stessi (quindi una sorta di "diritto" - coincidentia oppositorum). Cerca di valorizzare ciò che nella nostra natura è importante. Che poi i "moralisti" storicamente abbiano visto la morale solo come una catena contro la vita è un altro discorso (sul quale non ha senso ripetere la critica corretta che ha fatto Nietzsche). Ma non è l'unico modo di vedere l'etica, la morale e i valori universali. Spero d'essere stato chiaro! (questo paragrafo è lo stesso che c'è nella discussione di Nietzsche. L'ho riscritto anche qui per "il beneficio del lettore", visto che ritengo affermi una cosa molto importante che troppo spesso viene "ignorata" ;) )
@Il_Dubbio. Il "fallibilismo" per coerenza non può dire (almeno all'inizio) che una morale già esistente non è quella "giusta". Il fallibilismo vede il problema, vede che in noi vi è la "tendenza" a cercare ciò che è importante e da lì parte per "edificare" il "carattere" dell'uomo così come cercarono di fare ad esempio Socrate e Platone partendo da zero. Il fallibilismo valorizza la mitologia e la "conoscenza degli antichi" perchè riconosce che sono cose che sono state fatte da persone che cercavano una soluzione a questo problema. Riguardo alla storia si può vedere come i concetti di "giusto" sono stati stravolti. Ma ciò non significa come intendono i relativisti che tale concetto sia arbitrario. Significa semmai che deve essere ricercato con la massima serietà, proprio come facevano i filosofi antichi, da cui credo che dobbiamo solo imparare.
L'obbiettivo non è l'onniscienza, bensì conoscere ciò che è per noi importante. Valorizzare ciò che è veramente importante e distogliere l'attenzione da ciò che invece non lo è o è addirittura dannoso.
Ciao Apeiron, dopo aver approfondito il valore da vari punti di vista, compreso il relativismo, non si può trascurare di ampliare il dialogoanche sul valore e l'amoralità, intesa questa come indifferenza verso le norme e le regole della società che incanalano l'agire nella quotidianità.
L'amoralità sfugge ai principi universali di bene e male, non adotta la norma morale come criterio di valutazione. Ma è possibile vivere in modo amorale per lungo tempo ?
Pensare di poter vivere senza i filtri delle regole, delle norme e dei valori credo sia illusorio.
Osserviamo e giudichiamo la realtà in base a determinati criteri di valore e di giudizio che abbiamo introiettato tramite l'educazione avuta dalla famiglia, dalla socializzazione (in senso antropologico) ricevuta dalla scuola, dal gruppo dei pari, dai mass media, ecc.. Valori che governano le nostre azioni. Ovviamente sul nostro comportamento influiscono anche i gruppi di potere, ed è da stabilire se il loro agire è morale, immorale o amorale.
Accettare e seguire le regole, i valori condivisi fa sentire "normali", rifiutarli per praticare la propria opinione può essere soddisfacente per l'individuo ma è anche a rischio sanzioni.
E' meglio l'amoralità o l'immoralità ? L'abisso della corruzione, per esempio, non è tanto nell'immoralità ma nell'amoralità, quando non c'è la distinzione tra bene e male, quando c'è l'offuscamento della coscienza etica.
"Corrotto" deriva dal latino "cor-ruptum" (= cuore rotto), perciò incapace di battere secondo la legge della morale. E questa è una sindrome che può colpire anche i giusti.
"Corrompere" deriva dal verbo "rompere", in questo caso possiamo considerarlo metafora dello sconquasso che la corruzione genera nella società.
Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro (1895 – 1956) nel suo libro titolato "Ultimo diario 1948 – 1956", afferma: La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile".
@green demetr
"Fin quando il filosofo non si rende conto sulla scorta di Nietzche che siamo dentro ai meccanismi del paranoico, e che dobbiamo sudare ancora molto per trovare una via di uscita a quella impasse, il rischio è quello di indicare un modello (agli altri o a se stessi) che è ancora dentro al paradigma della nostra civiltà, ossia alla sua immobilizzazione intellettuale (appunto competenza del filosofo)".
In che senso siamo interni ai meccanismi del paranoico? Cosa intendi per paranoico?
Per come la vedo io il paranoico è una specie di stato d'assedio: ci si sente attaccati da tutte le parti; l'altro trama per la tua rovina etc.
La società attuale, fondata sul principio della competizione, mettendo l'uno contro l'altro (vedi per esempio come si fomenta la competizione interna nelle aziende) di fatto costituisce il presupposto per la formazione di una mentalità paranoica... Per la verità non potrebbe nemmeno essere definita paranoica in quanto è una giustificata reazione ad una situazione di difficoltà oggettiva. Il pericolo è reale, insomma, per cui perché parlare di paranoia?
Nietzsche mi sembra più interessato alla logica del risentimento (la reazione subdola del debole che non potendo vincere in campo aperto cerca di conquistare il potere per altre vie - umiltà, altruismo, santità...).
Per N. i nemici sono una benedizione.
Il fatto è che ai nostri tempi quando qualcuno esce dalla caverna platonica, se ne guarda bene dal rientrarci per salvare gli altri, perché in verità è lui a doversi procurare una salvezza - gli altri, nel fondo della caverna prosperano e non vogliono sentire parlare di uscire all'aria aperta, ma lui è solo, circondato dai pericoli, dall'ostilità di tutti...
Questo per dire che la filosofia non può più essere pensata solo come dialogo.
Deve essere pensata come sintesi delle strategie di attacco e difesa nei confronti del mondo e del potere (e comprendere discipline che hanno a che fare con la salute, l'economia domestica, la guerra, la diplomazia - per costruire le alleanze necessarie).
L'unico esito sensato di questo faticosissimo percorso, di cui in fondo siamo quasi tutti nauseati, non può essere la vita privata, ma una comunità di persone affini.
Sempre il buon Byung-Chul Han fa notare che in tedesco antico la radice della parola "libertà" è la stessa di "amicizia": non c'è vera libertà se non insieme a veri amici.
Utopistico? Ridicolo?
Ps: mi sembra di avere parlato come la scimmia di Zarathustra... Del resto tu green demetr continui a scrivere come il cane di Derrida...
Citazione di: altamarea il 19 Novembre 2017, 19:31:36 PMCiao Apeiron, dopo aver approfondito il valore da vari punti di vista, compreso il relativismo, non si può trascurare di ampliare il dialogoanche sul valore e l'amoralità, intesa questa come indifferenza verso le norme e le regole della società che incanalano l'agire nella quotidianità. L'amoralità sfugge ai principi universali di bene e male, non adotta la norma morale come criterio di valutazione. Ma è possibile vivere in modo amorale per lungo tempo ? Pensare di poter vivere senza i filtri delle regole, delle norme e dei valori credo sia illusorio. Osserviamo e giudichiamo la realtà in base a determinati criteri di valore e di giudizio che abbiamo introiettato tramite l'educazione avuta dalla famiglia, dalla socializzazione (in senso antropologico) ricevuta dalla scuola, dal gruppo dei pari, dai mass media, ecc.. Valori che governano le nostre azioni. Ovviamente sul nostro comportamento influiscono anche i gruppi di potere, ed è da stabilire se il loro agire è morale, immorale o amorale. Accettare e seguire le regole, i valori condivisi fa sentire "normali", rifiutarli per praticare la propria opinione può essere soddisfacente per l'individuo ma è anche a rischio sanzioni. E' meglio l'amoralità o l'immoralità ? L'abisso della corruzione, per esempio, non è tanto nell'immoralità ma nell'amoralità, quando non c'è la distinzione tra bene e male, quando c'è l'offuscamento della coscienza etica. "Corrotto" deriva dal latino "cor-ruptum" (= cuore rotto), perciò incapace di battere secondo la legge della morale. E questa è una sindrome che può colpire anche i giusti. "Corrompere" deriva dal verbo "rompere", in questo caso possiamo considerarlo metafora dello sconquasso che la corruzione genera nella società. Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro (1895 – 1956) nel suo libro titolato "Ultimo diario 1948 – 1956", afferma: La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile".
Concordo su tutto. Non è possibile vivere senza regole, senza distinzione tra bene e male e come concordo con quanto dice Corrado Alvaro (che non conoscevo ). Mentre l'amoralità è per così dire il rifiuto che esista una distinzione tra "bene" e "male" e che questa come ben dici nasca
anche (certamente) dal bisogno dell'uomo di "vivere nella società", l'immoralità (se è così che la intendi) nasce invece quando invece per così dire "si scambiano bene e male". Personalmente ritengo che il "relativismo" in genere favorisca proprio coloro che ritengono che si possa "vivere" senza appunto la "legge della morale" in quanto si ritiene che la morale è una "mera convenzione". Ritengo però che la morale sia per così dire necessaria a "condurre" l'uomo verso uno stato "più alto", nel quale non ha più bisogno di pensarla come una "regola da seguire" - ossia lo stato di "perfezione morale" che tanto andava di moda parecchio tempo fa. Però la morale è uno strumento che deve essere direzionato proprio in questa direzione sia a livello individuale che a livello sociale (sempre che si possa veramente fare una distinzione tra i due livelli ::) ), motivo per cui si hanno due alternative per come pensarla. Prima alternativa: la morale può essere vista come una "catena" arbitraria che viene fatta da alcuni "moralisti" per "schiavizzarci" a dovere. Il che è innegabile che sia successo, che succede oggi e che succederà in futuro. Da questa "morale" concordo che sia giusto liberarsi, come ha ad esempio esortato di farlo Nietzsche. Tuttavia questa liberazione è pericolosa perchè in fin dei conti libera l'uomo dalla "legge" quando ancora ne ha bisogno e ciò è pericolosissimo. Infatti se si perde la consapevolezza che la morale sia qualcosa di "reale" e non una mera costruzione ad hoc dell'intelletto in fin dei conti i peggiori "mostri amorali" sono pure coerenti perchè non vedono nulla che li costringa ad "abbracciare" la morale, visto che la convenzione è in fin dei conti arbitraria e quindi non è migliore della loro "nuova visione" (lo stesso in realtà vale per gli "immorali" che scambiano bene e male). Se ammettiamo che la "morale" invece sia una via che ci porta ad uno stato
migliore (e qui ahimé si deve fare una sorta d'atto di fede, che chiaramente non è necessariamente religioso...) e che quindi vivere secondo queste "catene" in realtà ci aiuti a vivere meglio. Per esempio l'obbligo di non "vivere nel lusso estremo" anche se sembra una privazione di un piacere ci rendiamo conto che ci fa vivere meglio. Ma dobbiamo secondo me ammettere che la morale sia "qualcosa" di reale, che comunichi qualcosa di "reale" al cuore di ogni uomo, proprio per evitare la "corruzione" di cui parli.
Citazione di: Kobayashi il 20 Novembre 2017, 11:01:38 AM
@green demetr
"Fin quando il filosofo non si rende conto sulla scorta di Nietzche che siamo dentro ai meccanismi del paranoico, e che dobbiamo sudare ancora molto per trovare una via di uscita a quella impasse, il rischio è quello di indicare un modello (agli altri o a se stessi) che è ancora dentro al paradigma della nostra civiltà, ossia alla sua immobilizzazione intellettuale (appunto competenza del filosofo)".
In che senso siamo interni ai meccanismi del paranoico? Cosa intendi per paranoico?
Per come la vedo io il paranoico è una specie di stato d'assedio: ci si sente attaccati da tutte le parti; l'altro trama per la tua rovina etc.
La società attuale, fondata sul principio della competizione, mettendo l'uno contro l'altro (vedi per esempio come si fomenta la competizione interna nelle aziende) di fatto costituisce il presupposto per la formazione di una mentalità paranoica... Per la verità non potrebbe nemmeno essere definita paranoica in quanto è una giustificata reazione ad una situazione di difficoltà oggettiva. Il pericolo è reale, insomma, per cui perché parlare di paranoia?
Nietzsche mi sembra più interessato alla logica del risentimento (la reazione subdola del debole che non potendo vincere in campo aperto cerca di conquistare il potere per altre vie - umiltà, altruismo, santità...).
Per N. i nemici sono una benedizione.
Il fatto è che ai nostri tempi quando qualcuno esce dalla caverna platonica, se ne guarda bene dal rientrarci per salvare gli altri, perché in verità è lui a doversi procurare una salvezza - gli altri, nel fondo della caverna prosperano e non vogliono sentire parlare di uscire all'aria aperta, ma lui è solo, circondato dai pericoli, dall'ostilità di tutti...
Questo per dire che la filosofia non può più essere pensata solo come dialogo.
Deve essere pensata come sintesi delle strategie di attacco e difesa nei confronti del mondo e del potere (e comprendere discipline che hanno a che fare con la salute, l'economia domestica, la guerra, la diplomazia - per costruire le alleanze necessarie).
L'unico esito sensato di questo faticosissimo percorso, di cui in fondo siamo quasi tutti nauseati, non può essere la vita privata, ma una comunità di persone affini.
Sempre il buon Byung-Chul Han fa notare che in tedesco antico la radice della parola "libertà" è la stessa di "amicizia": non c'è vera libertà se non insieme a veri amici.
Utopistico? Ridicolo?
Ps: mi sembra di avere parlato come la scimmia di Zarathustra... Del resto tu green demetr continui a scrivere come il cane di Derrida...
Ciao Kobayashi lasciami uno spazio di protesta, e di protezione delle mie idee poi seguiamo sui lavori.
* * *
Ho come la netta sensazione che rimarrò il cane di Derrida fino a quando non troverò l'amicizia, di cui Nietzche prova ad illustrare le caratteristiche base, e come formarle.
Certamente se il paranoico è quello della società sotto assedio, allora è un modello sociologico, e a mio avviso parimenti importanti conoscerlo. (Bauman se non sbaglio)
Ma io lo intendo proprio nel psicanalitico, e cioè nel senso linguistico.
Noi siamo addentro a una rete di parole, di connotati che se non indagati finiscono per decidere della destinalità del soggetto.
Certamente è un punto della nostra impasse, ossia appunto quello della decisione se virare sull'azione o sulla teoria.
Come dire non voglio fare il cane di Derrida, ma fin quando non trovo, foss'anco negli amici libri, qualcuno che mi illustri un nuovo modo illuminista, per così dire, di agire nel mondo, non rimane che essere vittima del giro di parole.
E anche questo è sistema paranoico.
Il sistema paranoico è quello che ci impedisce di pensare ad una alternativa intellettuale.
Essere cani di Derrida, è quasi la condizione base di molti filosofi che seguo.
Quello che a me preme è vedere se c'è la volontà, l'urgenza anzi di voler far qualcosa per uscire da quella bolla.
Vedo lo sforzo collettivo (Zizek, Sloterdijk, Agamben) ma gli esisti sono sempre gli stessi un muro di gomma (quello della politica) rimbalza i loro assunti più primitivi.
Leggo ora dall'introduzione di "devi cambiare la tua vita": il pensiero critico europeo è morto.
Si riferisce alle scemenze di Habermas che non vuole vedere l'evidenza del bio-potere, del campo di concentramento, dell'ipotesi antropotecnica.
* * *
Mi sembra che sulla scorta di Sloterdijk e Byung-Chul_Han stai indicando anche tu la via della resistenza immunologica.
Sono sulla prefazione del tedesco fatta Paolo Portinari, devo dire che mi sta piacendo moltissimo, e forse grazie a questa nuova linfa, sto sbloccando finalmente l'impasse intellettuale, speriamo.
La linea è segnata, e giustamente Nietzche è di nuovo riconosciuto come il pià grande, con alla base bassa Focault Wittgenstein e Derrida. (non capisco ancora perchè Wittgenstein serva. ma va beh...)
Ma tu ti rendi conto che si tratta di critica? come dire siamo costretti, se vogliamo veramente battagliare, a essere i cani di derrida o le scimmie di nietzche!?
* * *
Ancora sulla paranoia.
Poichè è stata "diagnosticata" a me: in me funziona così che io ipotizzo una soluzione ma poi la affido agli altri.
Questo sicuramente è dovuto al fatto che tu lamenti che la gente se ne sta in fondo alla caverna.
Ma ciò non toglie la responsabilità di accollarsi anche il fallimento altrui.
Laddove i giovani perbenisti indicano etica, ma scommetto che non fanno niente per il vicino indigente: voglio proprio vedere come si fa.
Certamente si tratta di strategie. Ma per vissuto storico, come stratega sono un disastro.
* * *
Ancora sulla paranoia.
A mio parere il sintomo paranoico, ossia l'altro che mi vuole male, non è il motivo scatenante.
Il motivo scatenante paranoico è la voglia di non cambiare, la stasi.
E' il motivo kafkiano del racconto in cui il personaggio non bussa alla porta perchè davanti c'è un guardiano.
E' il motivo sempre kafkiano del "Processo", in cui il guardiano è addirittura evitato, non si vuole avere a che fare con lui.
Ossia è il motivo della vita non vissuta.
Sostanzialmente la paranoia io la vedo come la morte stessa.
X green demetr
Ciao ragazzo. Per adesso solo una domanda: ti ricordi dove Nietzsche parla dell'amicizia? più o meno in quali opere?
Sulle altre cose, nei prossimi giorni.