Così come ormai scientificamente accertato, lo "spazio siderale" non è affatto del tutto "vuoto", in quanto:
a)
Lo "spazio interstellare" contiene particelle di plasma, di idrogeno, di ossigeno, e di elio, sia pure molto scarse e sparse; inoltre, è attraversato da radiazioni elettromagnetiche, raggi cosmici e neutrini.
b)
Lo "spazio intergalattico", invece, contiene solo pochissimi atomi di idrogeno per metro cubo; inoltre, la temperatura di base, determinata dalla radiazione di fondo lasciata dal Big Bang, è di soli 3 K (−270,15 °C).
.
***
Tuttavia, per quanto riguarda lo "spazio atomico", anche gli atomi della tastiera sulla quale sto scrivendo, sono fatti più di "vuoto" che di "pieno"; ed infatti, la quantità di spazio "vuoto" dell'atomo, equivale al 99,9999999999999% del suo volume complessivo (sebbene, a dire il vero, tale spazio sia "permeato", da fluttuazioni quantiche).
***
Il che vuol dire che se io fossi abbastanza minuscolo da potermi sedere su un "neutrone" come se fosse l'obelisco di piazza San Pietro, l'oggetto più vicino che potrei vedere "in orbita", cioè un "elettrone", sarebbe lontano da me come la Torre Eiffel (se avessi un minitelescopio); vale a dire che sarei circondato dal "vuoto", sebbene attraversato da "energia".
***
Al riguardo ci sarebbe da decidere se i vari tipi di "energia" che "attraversano" il "vuoto cosmico" ed il "vuoto atomico", lo "riempiano" o meno "fisicamente"; questione che, personalmente, considerata la mia ignoranza in materia, non mi sento in grado di affrontare, se non sotto un aspetto meramente linguistico (che, però, lascia il tempo che trova).
.
***
Quello che, invece, mi sento in grado di poter affermare con "relativa" sicurezza, almeno sotto il profilo "logico", è che il "vuoto cosmico" ed il "vuoto atomico" non hanno niente a che vedere con il "nulla".
***
Ed infatti, il "nulla" non c'è, non esiste, e, quindi :
- non può contenere, neanche in potenza, particelle di materia, neanche rarissime;
- non può essere attraversato , neanche in potenza, da nessun tipo di energia;
- non può essere misurato.
***
Quest'ultima considerazione, però, fa sorgere un problema:
- l'"universo" si "espande" alla velocità di 67,36 chilometri al secondo per "megaparsec" (un megaparsec equivale a 3,26 milioni di anni luce);
- ma si "espande" in che cosa, nel "nulla" o nel "vuoto assoluto"?
***
A mio parere, è impossibile che l'"universo" si "espanda" nel "nulla", tantomeno ad una determinata misurabile "velocità"; ciò in quanto l'espansione in uno "spazio vuoto" è misurabile, ma non certo l'espansione nel "nulla", che è "privo di entità ontologica".
Ed infatti, almeno secondo me, niente si può espandere fisicamente dentro qualcosa che non esiste!
***
Al riguardo, G.S.Turrisi scrive: "Ragionando con la logica tridimensionale l'espansione può "allargarsi" verso uno spazio esistente, altrimenti dovremmo necessariamente postulare che il nulla diventa materia (ed energia) man mano che l'universo si espande; ma anche volendo accettare come postulato "la trasformazione del nulla in massa" (ed in energia) all'atto della espansione dell'universo, rimarrebbe il problema dello spazio entro cui il nulla stesso permane prima di trasformarsi in materia."
***
Concludendo, quindi, secondo me non è del tutto corretto dire che l'"universo è in espansione", ma, forse, sarebbe più corretto dire che, all'interno di un "spazio vuoto" (e probabilmente "infinito"), si sta espandendo uno "spazio contenente materia ed energia"; ma, se per "Universo" noi intendiamo "tutto ciò che esiste", in effetti, sia lo "spazio contenente materia ed energia" sia lo "spazio vuoto" in cui il primo si sta espandendo, costituiscono entrambi un unico '"Universo".
***
Citazione di: Eutidemo il 09 Ottobre 2024, 12:29:44 PMAl riguardo ci sarebbe da decidere se i vari tipi di "energia" che "attraversano" il "vuoto cosmico" ed il "vuoto atomico", lo "riempiano" o meno "fisicamente"
qui mi sento di poter contribuire affermando che l 'energia nello spazio vuoto di cui parli in fisica viene detta "campi" . Ora anche la luce è qualcosa di fisico, ma riempie lo spazio ? o irradia lo spazio? l aria che respiriamo è qualcosa è un sistema fisico composto da ossigeno, nikel e altri elementi, l aria riempie lo spazio? di sicuro lo spazio vuoto intergalattico è premio di campi elettromagnetici e altri per comprenderli occorre studiare la teoria quantistica dei campi. Un esempio di campo è il campo gravitazionale terrestre oppure il campo magnetico generato da una calamita. Questi campi esistono, ma non sono le entità matematiche alle quali pensava Einstein. La loro natura è stata descritta dalla teoria quantistica dei campi secondo la quale , ad ogni forza è associato un tipo di particelle
mediatrici che fanno appunto da messaggeri delle varie interazioni. Ogni volta che due particelle cariche , o due calamite, si attraggono o respingono, lo fanno scambiandosi una gran quantità di fotoni
virtuali emessi da una delle cariche (o delle calamite) e assorbiti dall altra. Queste particelle sono dette virtuali perchè non sono direttamente visibili dall esterno, ma esistono solo per il tempo necessario allo scambio di interazioni e poi svaniscono senza altro effetto. Così oggi si pensa che i campi di forza elettrici, magnetici , gravitazionali e nucleari siano costituiti da un mare di particelle virtuali che riempiono tutto lo spazio, così come prevede la teoria quantistica dei campi. La differenza fra ciò che è forza e ciò che è materia , quindi, appare quanto mai sfumata.
Citazione di: Eutidemo il 09 Ottobre 2024, 12:29:44 PMAl riguardo, G.S.Turrisi scrive: "Ragionando con la logica tridimensionale l'espansione può "allargarsi" verso uno spazio esistente, altrimenti dovremmo necessariamente postulare che il nulla diventa materia (ed energia) man mano che l'universo si espande; ma anche volendo accettare come postulato "la trasformazione del nulla in massa" (ed in energia) all'atto della espansione dell'universo, rimarrebbe il problema dello spazio entro cui il nulla stesso permane prima di trasformarsi in materia."
Non conosco G.S. Turrisi.
Esiste anche la possibilità l'universo espandessi crei spazio.
Cioè che espansione dell'universo e creazione di spazio siano la stessa cosa.
Ciao Knox :)
Non c'è dubbio che lo "spazio intergalattico" sia permeato di campi elettromagnetici e di altri campi per comprendere i quali occorre studiare la teoria quantistica dei campi; per cui, in effetti, definirlo "spazio vuoto", è soltanto una mera "semplificazione", anche perchè è cosparso pure di "materia", sebbene nella misura ridottissima di scarsi atomi di idrogeno per metro cubo (e poco altro).
***
Il problema, invece, è di capire "in che cosa" si espande "lo spazio intergalattico" :
- erodendo il "nulla"?
- oppure erodendo lo "spazio completamente vuoto" che lo circonda?
Io opto per la seconda ipotesi!
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Un cordiale saluto! :)
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Ciao Iano. :)
E' vero che esiste anche la possibilità che l'universo, espandendosi crei spazio; ma che cosa c'era esternamente all'universo, prima che questo, espandendosi, creasse tale spazio, il "nulla"?
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Come ho già scritto, almeno secondo me, niente si può espandere fisicamente dentro qualcosa che non esiste!
Nè si può creare qualcosa "dal" e "nel" NULLA; che non è nè nello spazio nè nel tempo!
***
Per cui, secondo me, prima del BIG BANG non c'era il NULLA, bensì semplicemente un infinito SPAZIO COMPLETAMENTE VUOTO; nel quale pian piano (si fa per dire), ha cominciato ad espandersi uno SPAZIO CHE CONTIENE MATERIA ED ENERGIA.
Ma, a mio parere, entrambi fanno parte di un UNICO UNIVERSO!
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Un cordiale saluto! :)
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Citazione di: Eutidemo il 09 Ottobre 2024, 17:09:16 PMCiao Iano. :)
E' vero che esiste anche la possibilità che l'universo, espandendosi crei spazio; ma che cosa c'era esternamente all'universo, prima che questo, espandendosi, creasse tale spazio, il "nulla"?
Se l'universo contiene tutto, non c'è un esterno dell'universo.
Il nulla si oppone logicamente all'universo, non geograficamente.
L'universo non prende a norma i limiti della nostra immaginazione per tracciare i suoi confini. Possiamo provare a superare questi limiti, ma superarli significa andare oltre l'immaginabile.
La notizia buona è che ci siamo riusciti.
La notizia cattiva è che superando quei limiti non possiamo più usare l'immaginazione.
Possiamo ancora praticare una immaginazione posticcia, laddove troviamo una analogia fra l'immaginabile è l'immaginabile, ma non siamo poi autorizzati ad andare oltre.
Possiamo immaginare l'universo in analogia a un cerchio disegnato su un foglio, e oltre quel cerchio c'è lo spazio rimanente del foglio, ma lo spazio rimanente del foglio non fà parte dell'analogia.
Citazione di: iano il 09 Ottobre 2024, 18:14:43 PMuna analogia fra l'immaginabile è l'immaginabile
Errata corrige:
una analogia fra l'immaginabile e l'inimmaginabile
Ciao Iano. :)
Forse non mi sono spiegato bene!
Ed infatti anche io ho scritto che l'"universo contiene tutto", e che non c'è un "esterno dell'universo"; ho scritto, infatti, che, all'interno dell'universo secondo me, prima del BIG BANG non c'era il NULLA, bensì semplicemente un infinito SPAZIO COMPLETAMENTE VUOTO; nel quale pian piano (si fa per dire), ha cominciato ad espandersi uno SPAZIO CHE CONTIENE MATERIA ED ENERGIA.
***
Ma, a mio parere, entrambi fanno parte di un UNICO UNIVERSO (probabilmente infinito), composto:
- da uno "spazio interno", stellare e galattico, che contiene materia ed energia, che si sta espandendo sempre di più;
- da uno "spazio esterno", completamente vuoto, dentro il quale tale "spazio interno" si sta espandendo sempre di più.
Ma non c'è nulla al di fuori di entrambi, e, cioè, di "esterno", allo spazio complessivo dell'universo (in parte pieno ed in espansione, ed in parte completamente vuoto, che si va riempiendo in conseguenza dell'espansione del primo)
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Il NULLA, invece, non esiste da nessuna parte, nè dentro nè esternamente all'universo.
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Un cordiale saluto! :)
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Citazione di: Eutidemo il 09 Ottobre 2024, 17:06:46 PMIl problema, invece, è di capire "in che cosa" si espande "lo spazio intergalattico" :
o forse il problema sta nella nostra idea di "espansione" dell universo. Tutti ricordiamo i puntini fatti su un palloncino e che questi gonfiandosi fa aumentare le distanze fra i palloncini e assieme fa aumentare il volume del palloncino che nella nostra mente rappresenta lo spazio che si dilata e aumenta di dimensioni . Nella realtà viene rilevato lo spostamento verso il rosso , piu si sposta verso il rosso più significa che la sorgente di calore si sta allontanando dal punto di osservazione. Questo ci fa presumere che se si espande deve esserci un volume esterno da poterglielo permettere. Questo perchè nell esperienza quotidiana ci è molto famigliare e comune. Ma parlando dell espansione dell universo quella nozione famigliare può essere ingannevole.
Citazione di: Eutidemo il 09 Ottobre 2024, 19:04:43 PMCiao Iano. :)
Forse non mi sono spiegato bene!
Ed infatti anche io ho scritto che l'"universo contiene tutto", e che non c'è un "esterno dell'universo"; ho scritto, infatti, che, all'interno dell'universo secondo me, prima del BIG BANG non c'era il NULLA, bensì semplicemente un infinito SPAZIO COMPLETAMENTE VUOTO
Se uno spazio completamente vuoto non coincide col nulla, allora è qualcosa, e al minimo quel qualcosa è l'universo.
Se è così dal big bang non si è generato l'intero universo, ma la sua restante parte, esistendo già lo spazio.
Ma come ho detto l'universo non prende a norma i limiti della nostra immaginazione per tracciare i suoi confini.
Quindi le cose potrebbero stare come tu dici, ma non devono stare necessariamente come tu dici.
Per Einstein le cose non stanno come tu dici.
Chi dei due ha ragione?
Tutti e nessuno.
Però fra te ed Einstein c'è una differenza.
Lui non si è fatto problemi a ipotizzare uno spazio inimmaginabile, ma non perciò non definibile.
Tu invece te li fai.
Per te uno spazio inimmaginabile, seppur definibile, rimane una astrazione inapplicabile alla realtà.
Cosa può importare a te se assumendo lo spazio inimmaginabile di Einstein si spiegano fenomeni che lo spazio immaginabile di Newton non spiega?
Perchè il tuo è appunto lo stesso spazio immaginato da Newton.
E' uno spazio infinito ed assoluto ipotizzato esistere a priori, capace di contenere qualcosa, ma la cui esistenza non dipende dal contenere qualcosa o meno.
Al contrario il qualcosa per esistere deve avere uno spazio in cui esistere, quindi l'universo originatosi dal big bang si espande in uno spazio che era preesistente a lui.
Come vedi io non ti fraintendo.
le mie critiche si basano su una perfetta comprensione del tuo pensiero, perchè è un pensiero che si trova nei libri di storia della scienza, ma non fa parte dei suoi capitoli recenti.
Fra l'immaginabile e l'inimmaginabile sembra esserci un dissidio irrisolvibile.
Però come aveva intuito Maometto le cose non stanno proprio così, perchè se la montagna non va a Maometto, Maometto può sempre andare alla montagna.
Così se non si può ridurre l'inimmaginabile all'immaginabile, è però possibile ridurre l'immaginabile all'inimaginabile.
Tutto dipende se per uno è più importante risolvere il dissidio, o affermare la priorità della sua immaginazione.
Cioè se uno è disponibile a caricarsi di umiltà e partire verso la montagna, oppure non è disposto a smuoversi dalla propria posizione attendendo che la montagna si sposti.
premesso che non sono un fisico ma gli argomenti mi piacciono quindi li ho elaborati nel tempo in qualche modo, posso dire che l'universo è perniato dal vuoto (meglio specificato vuoto quantistico).
Non c'è un punto dello spazio dove ci sia (essere/assente) il nulla.
Cosa rappresenta quindi il nulla?
Il nulla rappresenta l'idea che non ci sia un universo. Siccome c'è ed è perniato dal vuoto (che riempie tutto l'universo) il nulla è qualcosa di "metafisico".
Citazione di: Eutidemo il 09 Ottobre 2024, 12:29:44 PM niente si può espandere fisicamente dentro qualcosa che non esiste!
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non c'è un fuori. Proprio questo è il problema che comunemente viene sollevato. L'universo non è dentro una cosa piu grande. Non c'è una cosa piu grande che possiamo chiamare nulla. E' anche contradditorio pensare al nulla come una cosa piu grande dell'universo e che la contenga.
L'espansione dell'universo è interna e si misura attraverso la distanza fra le galassie. Molto tempo fa erano vicinissime, o una cosa sola, oggi sono lontanissime le une dalle altre e continuano ad allontanarsi.
Citazione di: Il_Dubbio il 09 Ottobre 2024, 21:43:57 PM.
L'espansione dell'universo è interna
Si, anche se a rigore se non c'è un fuori allora non c'è un dentro.
Se una cosa esiste non sta dentro l'universo, ma ne è parte.
Viceversa se non esiste non ne sta fuori, ma non è parte.
Comunque qui non si tratta di voler affossare la percezione delle cose che intuiamo come dotate di confine, ma si tratta di considerare che ciò che ci sembra normale non è meno strano di ciò che ci risulta inimmaginabile,
Se noi percepiamo le cose dotate di un confine, che poi però quando andiamo a indagarlo da vicino non lo troviamo, ciò non vuol dire che la nostra percezione sia fallace, per il motivo che per poter affermare ciò dovremmo avere avuto almeno una esperienza di percezione che possiamo dimostrare non essere stata fallace.
Dunque le cose non hanno un vero confine? Ni e so.
La geometria euclidea è nata come descrizione della realtà.
Le geometrie non euclidee invece, ovviamente, non sono nate in tal modo, e nel tempo sono divenute possibili applicazioni sulla realtà. Ora dovremmo provare a trascendere mentalmente la geometria euclidea, considerandola al pari di quelle non Euclide, come una applicazione fatta sulla realtà.
Il risultato di questa applicazione è la percezione di cose che possiedono un confine ''geometrico''.
Questa applicazione fatta sulla realtà, e ciò che essa produce, seppure per noi abbiano un senso, possiamo trasferire questo senso alla ''cosa universo''?
possiamo cioè dire l'universo una cosa?
Se le cose si caratterizzano per occupare una precisa parte di spazio in modo esclusivo, ciò che le distingue dalle altre, posiamo ancora dire cosa ciò che occupa lo spazio intero se non dobbiamo distinguerla da altre?
Perchè il rischio è che dicendola cosa la intuiremo come distinta da altro, e che perciò ci sia altro oltre l'universo, cadendo in contraddizione, se l'universo è definito come tutto ciò che esiste.
Citazione di: iano il 09 Ottobre 2024, 22:28:55 PMSi, anche se a rigore se non c'è un fuori allora non c'è un dentro.
Se una cosa esiste non sta dentro l'universo, ma ne è parte.
Viceversa se non esiste non ne sta fuori, ma non è parte.
io speculavo quando avevo circa, bho massimo 15 anni. Immaginavo il nostro universo come un puntino all'interno appunto del nulla ma circondato da altri infiniti universi. Il ragionamento era: se il mio universo si sta espandendo verso il fuori (dove c'è il nulla) allora prima o poi dovrà succedere che si scontrerà con l'universo piu prossimo, quello piu vicino.
Non so se riesci ad immaginarti una cosa del genere.
Ho letto di ipotesi su modelli in cui è sempre possibile immaginarsi infiniti universi (sparsi nel nulla), ma per una ragione che non ho compreso, non possono mai scontrarsi (e questo ha fatto da contro altare rispetto a ciò che mi ero immagginato io).
Poi chiaramente il concetto di espansione è difficile da digerire proprio perchè lo spazio/tempo si espande senza punti di riferimento. Infatti l'unico appiglio su cui si fonda l'espansione (quella diretta cioè osservabile) è che la prova dell'espansione si trova appunto nella deriva delle galassie. Quindi ciò che si trova gia all'interno. Ma se immaginassimo l'universo come un puntino, quello rimarrebbe tale se non fosse possibile metterlo a confronto con un altro universo. Rimarrebbe solo un puntino che all'interno si espande.
Praticamente diventa una cosa autoreferenziale (come la parola che ho riscoperto dopo tanto tempo), una espansione non rispetto a qualcos'altro, ma solo rispetto a se stesso.
Citazione di: iano il 09 Ottobre 2024, 19:32:58 PMSe uno spazio completamente vuoto non coincide col nulla, allora è qualcosa, e al minimo quel qualcosa è l'universo.
Se è così dal big bang non si è generato l'intero universo, ma la sua restante parte, esistendo già lo spazio.
E' una sintesi perfetta del mio prolisso discorso!
Grazie :)
Ciao Dubbio. :)
E' senz'altro possibile che in un Universo costituito da un infinito "spazio vuoto", oltre allo nostro "spazio pieno" che si va pian piano espandendo, ci siano anche altri "spazi pieni" che si stanno anch'essi espandendo al suo interno; ma, almeno per ora, la scienza non è ancora in grado di verificarlo!
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Un cordiale saluto! :)
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Citazione di: Eutidemo il 10 Ottobre 2024, 06:30:09 AMCiao Dubbio. :)
E' senz'altro possibile che in un Universo costituito da un infinito "spazio vuoto", oltre allo nostro "spazio pieno" che si va pian piano espandendo, ci siano anche altri "spazi pieni" che si stanno anch'essi espandendo al suo interno; ma, almeno per ora, la scienza non è ancora in grado di verificarlo!
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Un cordiale saluto! :)
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si è possibile, ma il mio intento era considerare le due possibilità. La prima che non c'è un fuori. Per cui anche se ci fossero infiniti universi che si espandono al loro interno non si espandono andando a sottrarre lo spazio "esterno". Se così fosse (seconda possibilità) due universi che si stanno espandendo sottraendo spazio esterno, si scontrerebbero.
Se l'universo (il nostro) o anche altri infiniti universi, non si espandono sottraendo spazio dal "nulla" gli universi non si scontrerebbero mai, e il fuori (quello che ora chiamiamo nulla) è una nostra fantasticheria.
Citazione di: Il_Dubbio il 10 Ottobre 2024, 10:19:00 AMsi è possibile, ma il mio intento era considerare le due possibilità. La prima che non c'è un fuori. Per cui anche se ci fossero infiniti universi che si espandono al loro interno non si espandono andando a sottrarre lo spazio "esterno". Se così fosse (seconda possibilità) due universi che si stanno espandendo sottraendo spazio esterno, si scontrerebbero.
Se l'universo (il nostro) o anche altri infiniti universi, non si espandono sottraendo spazio dal "nulla" gli universi non si scontrerebbero mai, e il fuori (quello che ora chiamiamo nulla) è una nostra fantasticheria.
Anche questo è possibile :)
Citazione di: Eutidemo il 10 Ottobre 2024, 12:14:54 PMAnche questo è possibile :)
ma dovesti accettare anche credo la ovvia conclusione che se l'universo si espande sottraendo spazio al nulla, allora il nulla non è un "nulla", ma è una cosa che contiene altre cose.
Non si può infatti prendere qualcosa al nulla, visto che, il nulla, nulla ha.
Vorrei condividere un idea del tutto speculativa riguardo l'argomento dell espansione dell universo. la speculazione nasce dallo studio dei frattali, ma in particolare , da una specifica forma gemotrica autosimile denominata " il fiocco di neve di Koch" inventato dal matematico Von Kock nel 1904. Questa configurazione ha la particolarità di avere un perimetro infinito in un aria finita. Allora mi sono chiesto se l'uiniverso potrebbe imitare delle simili forme avente la peculiarità di sembrare di espandersi all infinito ma avere un area finita. PEr illustralo meglio metterò un link di questo ragazzo che lo spiega nel dettaglio.
Citazione di: Alberto Knox il 10 Ottobre 2024, 15:08:09 PMQuesta configurazione ha la particolarità di avere un perimetro infinito
Dire che il perimetro della figura è infinito desta certamente impressione nel possibile acquirente del libro pubblicizzato nel filmato., che sarà perciò spinto ad acquistarlo.
Il perimetro però non è infinito, ma possiamo farlo tendere a infinito, reiterando l'operazione illustrata sempre nel filmato.
Al tendere del perimetro all'infinito l'area tende a un preciso valore finito.
NON COMPRATE QUEL LIBRO.
Citazione di: iano il 10 Ottobre 2024, 17:00:56 PMAl tendere del perimetro all'infinito l'area tende a un preciso valore finito.
appunto Iano, è questo che mi interessa. Un altra cosa meno speculativa è che immaginando un telescopio capace di arrivare fino ai confini dell universo incontrerebbe un limite, detto singolarità. La stessa singolarità inziale dell universo dove le leggi fisiche note cessano di valere. è interessante che se lo si punti ad ogni direzione si arrivi alla medesima singolarità iniziale no?
Citazione di: Alberto Knox il 10 Ottobre 2024, 18:05:21 PMappunto Iano, è questo che mi interessa.
Si, ma che analogia ne ricavi con l'universo?
Universo che non ha mai smesso di essere una sfera, perchè il punto è un sfera di raggio nullo.
Citazione di: iano il 10 Ottobre 2024, 18:24:57 PMSi, ma che analogia ne ricavi con l'universo?
Universo che non ha mai smesso di essere una sfera, perchè il punto è un sfera di raggio nullo.
chi ti ha detto che l universo è una sfera??
Citazione di: Alberto Knox il 10 Ottobre 2024, 18:26:54 PMchi ti ha detto che l universo è una sfera??
E' un fiocco di neve???
Se lo fosse dovremmo spiegare il perchè dal big bang si sia generata quella forma, che in mancanza di un motivo sarà una sfera.
Se fosse un fiocco di neve le galassie sui bracci del fiocco dovrebbero aver ricevuto una spinta iniziale maggiore.
Difficile pensare per quale motivo.
La velocità di allontanamento delle galassie rilevata inoltre non dipende dalla direzione in cui si allontanano.
Citazione di: iano il 10 Ottobre 2024, 18:30:04 PME' un fiocco di neve???
Se lo fosse dovremmo spiegare il perchè dal big bang si sia generata quella forma, che in mancanza di un motivo sarà una sfera.
Se fosse un fiocco di neve le galassie sui bracci del fiocco dovrebbero aver ricevuto una spinta iniziale maggiore.
Difficile pensare per quale motivo.
La velocità di allontanamento delle galassie rilevata inoltre non dipende dalla direzione in cui si allontanano.
ma io non ho detto che l'universo è come il fiocco di neve , ho pensato che se questo tipo di geometria è possibile allora perchè non dovrebbe serviserse la natura? il fiocco di neve è solo un esempio che ho usato per indagare oltre. Inoltre dire che l universo abbia una forma anch'esso può essere fuorviante. Comunque è solo una mia speculazione non sto cercando di dimostrare niente.
Citazione di: Alberto Knox il 10 Ottobre 2024, 19:00:11 PMma io non ho detto che l'universo è come il fiocco di neve , ho pensato che se questo tipo di geometria è possibile allora perchè non dovrebbe serviserse la natura?
Perchè come abbiamo detto il fiocco di neve non ha un perimetro infinito.
Se pure l'universo crescesse al modo del perimetro del fiocco di neve, tendendo ad infinito, sarebbe comunque finito in ogni istante della sua vita.
Citazione di: Alberto Knox il 10 Ottobre 2024, 19:00:11 PMInoltre dire che l universo abbia una forma anch'esso può essere fuorviante.
Questa è una bella osservazione.
Qual'è la forma di un universo che contiene ogni cosa, senza essere un contenitore?
Perchè un contenitore implica necessariamente una superficie , e la superficie è un confine oltre il quale deve esserci altro.
Se il nostro scopo è acquietare il senso comune, possiamo dire insieme ad Eutidemo che oltre c'è spazio vuoto preesistente la cui esistenza è indipendente dal resto dell'universo, che quello spazio può occupare o meno, senza mutarne perciò la natura.
In alternativa possiamo provare ad andare oltre il nostro senso comune.
Dipende se scopo della filosofia sia trovarvi conferma alle nostre idee, compresa l'idea che abbiamo dell'universo, o se vogliamo ampliarle, andando oltre il senso comune.
Proviamoci allora.
Notiamo ad esempio che l'equazione di un cerchio non è una forma, ma notiamo anche che le operazioni algebriche che possiamo fare su essa trovano corrispondenza con le operazioni geometriche che possiamo fare su un cerchio, e perciò diremo quell'equazione equazione del cerchio, e questa è la lezione che ci ha dato Cartesio.
Il cerchio è una forma, ma l'equazione del cerchio non ha una forma. Questo sembra un bel trucco per uscire fuori dalla contraddizione del contenitore, se possiamo indifferentemente trattare l'universo come un equazione piuttosto che come una forma.
La contraddizione dunque non sta nell'universo, ma nel modo in cui lo descriviamo.
Le equazioni sono appunto qualcosa che sono andate oltre il nostro senso comune, laddove l'apparenza della realtà come forma non è ''un illusione'', ma non l'unico modo in cui ce lo possiamo rappresentare, se accettiamo che l'apparenza piuttosto che essere un illusione è una rappresentazione, e che non c'è un modo univoco di rappresentarci la realtà, e che una di queste rappresentazioni equivale alla nostra percezione.
Però mentre la rivoluzione copernicana può dirsi compiuta, l'idea che l'universo non gira attorno alla nostro modo di percepirlo è rimasta a metà.
Dunque la necessità di ipotizzare uno spazio vuoto preesistente al resto dell'universo non è una necessità assoluta, ma relativa a un modo di rappresentarsi la realtà, ed è relativa perchè esso non è l'unico possibile.
La rappresentazione geometrica della realtà è inclusa nella nostra percezione, per cui non bisogna fare alcuno sforzo per applicarla alla realtà, bastando aprire gli occhi, e dove gli occhi non arrivano usare l'immaginazione.
Quando dicevamo che il sole girava attorno alla terra, era un modo non blasfemo per dire che girava attorno a noi.
Comprendere che ciò non era ''vero'' è stato un modo di andare oltre la nostra percezione delle cose.
Ho messo vero fra virgolette, perchè fra due modi alternativi di percepire la realtà non ve ne è uno vero e l'altro falso, se appunto possono dirsi alternativi, ma possono essere diversamente convenienti in base al contesto, tanto è vero che nel nostro quotidiano il sole continua a girare attorno a noi.
Allo stesso modo l'intero universo gira attorno alla nostra percezione, ma avendo sperimentato attraverso la scienza modi alternativi di percepirlo, possiamo di volta in volta usare quello più conveniente al contesto.
Se in un modo rileviamo una contraddizione che non rileviamo in un altro, allora la contraddizione non è insita nella realtà, ma nella sua rappresentazione.
Se voglio rappresentare il sistema solare come girante attorno alla terra questa rappresentazione non ha nulla di errato, ma può rivelarsi così complicata da porsi al limite della sua utilità.
Ma se voglio rappresentare la mia vita quotidiana come girante attorno al sole ottengo qualcosa di parimenti complicato.
Trovare una descrizione dell'universo che giri attorno a noi può essere talmente complicato da risultare impraticabile.
Allora per riuscirci può essere necessario andare un oltre noi dove fare centro, oltre cioè il nostro senso comune.
Questo significa fare scienza.
è possibile che possiamo trovare una valida alternativa che descriva la realtà utilizzando solo il ragionamento? di sicuro la scienza non utilizza solo il ragionamento , basta vedere i telescopi mandati in orbita e le sonde verso i pianeti fino allo spazio interstellare . Penso che usando solo il ragionamento, avvalendoci di quelle 4 spelacchiate nozioni scientifiche
alla nostra portata, possiamo fare solo delle ipotesi ma per essere scienza occorre verificarle. Ora nulla ci impedisce di continuare a farne .
Citazione di: Alberto Knox il 11 Ottobre 2024, 16:59:26 PMè possibile che possiamo trovare una valida alternativa che descriva la realtà utilizzando solo il ragionamento? di sicuro la scienza non utilizza solo il ragionamento , basta vedere i telescopi mandati in orbita e le sonde verso i pianeti fino allo spazio interstellare . Penso che usando solo il ragionamento, avvalendoci di quelle 4 spelacchiate nozioni scientifiche
alla nostra portata, possiamo fare solo delle ipotesi ma per essere scienza occorre verificarle. Ora nulla ci impedisce di continuare a farne .
Certamente , il ragionamento abbisogna del materiale su cui si possa ragionare, sia che te lo fornisca uno strumento o un senso.
E se pure dietro ai dati forniti dai sensi vi fosse un ragionamento?
Come facciamo ad escluderlo?
Le verifiche non sono un problema, le fai anche senza volere prendendo una facciata dopo l'altra.
Citazione di: iano il 11 Ottobre 2024, 17:31:41 PME se pure dietro ai dati forniti dai sensi vi fosse un ragionamento?
questo è un buon argomento iano, ma non qui. Per non allontanarci dal topic suggerisco di aprirne uno dedicato a tale argomento.
Se la realtà gira attorno a noi, non ci resta che ragionare su ciò che ci appare.
Se la realtà non gira attorno annoi allora ciò che ci appare è frutto dei nostri ragionamenti.
Citazione di: Alberto Knox il 11 Ottobre 2024, 17:35:22 PMquesto è un buon argomento iano, ma non qui. Per non allontanarci dal topic suggerisco di aprirne uno dedicato a tale argomento.
Sei dunque talmente in disaccordo coi miei argomenti, che il disaccordo nemmeno ti appare, considerandoli argomenti a parte?
Citazione di: iano il 11 Ottobre 2024, 17:40:02 PMSei dunque talmente in disaccordo coi miei argomenti, che il disaccordo nemmeno ti appare, considerandoli argomenti a parte?
tutt'altro Iano, ma devo ricordarti che io ero moderatore di forum, non mi piace che ci si allontani dall argomento , specie se l'argomento non lo ho aperto io . Per il resto dovresti aver capito che la riduzione della natura a ciò che viediamo e che tocchiamo è quanto di più lontano da me.
Citazione di: iano il 11 Ottobre 2024, 17:35:33 PMSe la realtà gira attorno a noi, non ci resta che ragionare su ciò che ci appare.
Se la realtà non gira attorno annoi allora ciò che ci appare è frutto dei nostri ragionamenti.
La realtà
- non è detto che sia ciò che ci appare;
- non è detto che sia ciò che è il frutto dei nostri ragionamenti;
Ed invero, la nostra vita è troppo breve:
- per capire se la realtà veramente esista;
- ammesso che esista, per riuscire a comprenderla;
- ammesso che esista, e che noi si riesca a comprenderla, per comunicarla agli altri.
Un cordiale saluto :)
Vorrete perdonarmi se ritorno al tema inizialmente posto da Eutidemo.
Dato che siamo su un forum di filosofia e in una sezione denominata "Tematiche filosofiche" lascio per un attimo da parte le validissime considerazioni di natura astrofisica e subatomica fin qui poste.
Desidero richiamarmi alla definizione classica di Nulla, quella contrapposta al Tutto. In tal senso, mi insegnate, "il Nulla non è neppure uno spazio vuoto da riempire". Al contrario, "il Tutto è quanto ciò che è esistito, esiste ed esisterà, concreto o astratto che sia". Già qui nutro una forte perplessità dato che se posso idealizzare il Nulla come costrutto esso dovrebbe far parte, a rigore, del Tutto, ma questo è un mio problema.
Ora, chiedersi se l'Universo, che è una parte del Tutto per la definizione classica di cui sopra, si espande nel Nulla (che appunto NON è il vuoto) ha poco senso. Si tratta di "maneggiare" un ente fisico, teoricamente misurabile, con uno filosofico che è appunto un costrutto, una costruzione della mente dell'Uomo, un ente metafisico.
Se invece mi chiedo se e come l'Universo si espande nel vuoto mi pongo un quesito semanticamente corretto ed ha senso procedere.
Ciò posto, è a tutti noto il fatto che la Scienza procede per paradigmi, costruendo nuove ipotesi su quello che viene al momento ritenuto il più valido, quello che meglio rappresenta e descrive la realtà osservata o teoricamente osservabile. Nulla toglie, come già avvenuto più e più volte nella Storia dell'Uomo, che un nuovo paradigma ribalti completamente le conclusioni fin lì ottenute.
Rimane il fatto che, e vi chiedo di perdonarmi per il mio atteggiamento scolastico, mentre la Scienza intende spiegare il "come" il fenomeno osservato avviene, la Filosofia Epistemica intende spiegare il "perché".
Perché dunque l'Universo si estende nel vuoto?
La frustrazione derivante dall'incapacità di dare una risposta a tale domanda non ci giustifica nel procedere solo scientificamente. Peraltro la ricerca scientifica, che procede su una strada impervia e costellata da inganni e trabocchetti derivanti principalmente da chi la percorre con i suoi limiti precettivi e cognitivi, non può attendere nel procedere.
Citazione di: Bruno P il 12 Ottobre 2024, 08:30:40 AMVorrete perdonarmi se ritorno al tema inizialmente posto da Eutidemo.
Dato che siamo su un forum di filosofia e in una sezione denominata "Tematiche filosofiche" lascio per un attimo da parte le validissime considerazioni di natura astrofisica e subatomica fin qui poste.
Desidero richiamarmi alla definizione classica di Nulla, quella contrapposta al Tutto. In tal senso, mi insegnate, "il Nulla non è neppure uno spazio vuoto da riempire". Al contrario, "il Tutto è quanto ciò che è esistito, esiste ed esisterà, concreto o astratto che sia". Già qui nutro una forte perplessità dato che se posso idealizzare il Nulla come costrutto esso dovrebbe far parte, a rigore, del Tutto, ma questo è un mio problema.
Ora, chiedersi se l'Universo, che è una parte del Tutto per la definizione classica di cui sopra, si espande nel Nulla (che appunto NON è il vuoto) ha poco senso. Si tratta di "maneggiare" un ente fisico, teoricamente misurabile, con uno filosofico che è appunto un costrutto, una costruzione della mente dell'Uomo, un ente metafisico.
Se invece mi chiedo se e come l'Universo si espande nel vuoto mi pongo un quesito semanticamente corretto ed ha senso procedere.
Ciò posto, è a tutti noto il fatto che la Scienza procede per paradigmi, costruendo nuove ipotesi su quello che viene al momento ritenuto il più valido, quello che meglio rappresenta e descrive la realtà osservata o teoricamente osservabile. Nulla toglie, come già avvenuto più e più volte nella Storia dell'Uomo, che un nuovo paradigma ribalti completamente le conclusioni fin lì ottenute.
Rimane il fatto che, e vi chiedo di perdonarmi per il mio atteggiamento scolastico, mentre la Scienza intende spiegare il "come" il fenomeno osservato avviene, la Filosofia Epistemica intende spiegare il "perché".
Perché dunque l'Universo si estende nel vuoto?
La frustrazione derivante dall'incapacità di dare una risposta a tale domanda non ci giustifica nel procedere solo scientificamente. Peraltro la ricerca scientifica, che procede su una strada impervia e costellata da inganni e trabocchetti derivanti principalmente da chi la percorre con i suoi limiti precettivi e cognitivi, non può attendere nel procedere.
Secondo me la strada è questa.
Il vuoto è un costrutto "scientifico". Il nulla è una costruzione solo filosofica.
Molti ad esempio fanno un errore simile quando si chiedono cosa ci fosse
prima del Big Bang. L'errore sta nel ritenere il
tempo come un "oggetto" assoluto che dovrebbe essere presente anche prima che il tempo avesse inizio.
Ed è un po' come pensare al fuori dell'universo (questa volta in senso spaziale) a cui noi diamo il nome di "nulla".
Se ci fosse un tempo precedente al Big Bang o uno spazio esterno all'universo, il Tutto dovrebbe comprendere anche quelle. Perciò il nulla sarebbe una parola inutile che noi riempiamo con qualche cosa, che sia tempo, spazio o altro.
Nella mia possibilità, cioè che due o piu universi siano immersi in uno spazio che contenga gli universi singolarmenti, avevo messo in evidenza che se gli spazi esterni fossero reali, allora gli universi dovrebbero scontrarsi. Così che tutti gli inifiniti universi e lo spazio esterno che li continene, sarebbe il nuovo Tutto. Mentre se questi universi non potessero, per qualche ragione, scontrarsi mai, allora il Tutto contiene anche il Nulla, cioè essere quelle zone completamente vuote e mai raggiungibili: il Nulla.
Consentimi, gentile Il_Dubbio se ritorno sulla questione semantica, perché se non è chiara e condivisa quella si ricade nell'equivoco.
Il vuoto non è un costrutto. E' misurabile al pari di una lunghezza, di un peso, ecc. E' una grandezza (scientifica).
Il Nulla invece è un costrutto, al pari dell'intelligenza (che qualcuno pretende di misurare con un valore, il QI) e del tempo (che è un'invenzione della mente umana per dare un senso logico ad una successione di eventi).
Il Nulla inoltre non è una zona completamente vuota e mai raggiungibile: è qualcosa che va oltre. Se per assurdo fosse raggiungibile, ma per sua definizione non sta ubicato in un tempo o in uno spazio, lo si potrebbe riempire? Certo che no. :)
Citazione di: Bruno P il 12 Ottobre 2024, 11:14:30 AMIl vuoto non è un costrutto. E' misurabile al pari di una lunghezza, di un peso, ecc. E' una grandezza (scientifica).
Sono d'accordo.
Però noto che il vuoto, per misurarlo, vi devo introdurre un righello, e che una volta introdotto il righello allora non sarà più vuoto, e quindi come faccio a misurare il vuoto se devo riempirlo per misurarlo?
Caratterizzerei quindi più prudentemente il vuoto come ciò il cui stato posso cambiare introducendovi ad esempio un righello, mentre il nulla come ciò che non può cambiare il suo stato.
Potremmo dire in effetti che il nulla sia un vuoto che non può cambiare il suo stato. Un vuoto eternamente tale.
La scienza ha messo in dubbio l'esistenza del vuoto quando lo ha riempito di campi, come una via di mezzo fra una cosa e una astrazione.
La cosa può apparire contraddittoria, e infatti lo è, ma già si rivela essere contraddittorio parlare di pieno e di vuoto, come cose distinte, se poi non sappiamo dire dove finisce il pieno e dove inizia il vuoto.
Un solido geometrico è certamente pieno, e sappiamo dove esso finisce e inizia il solo spazio geometrico.
E' dunque applicando la geometria alla realtà che essa ci apparirà come fatta di pieni e di vuoti.
Siccome questa applicazione può essere non cosciente, non è perciò difficile credere che la realtà sia fatta effettivamente di vuoti e di pieni, salvo che poi dovremo ricrederci, prendendo coscienza dell'applicazione, se il confine fra vuoti pieni non riusciamo a trovarlo.
La nostra percezione naturale equivale a questa applicazione, per cui se uno ad essa si ferma, e non è disposto ad andare oltre, inizierà a porsi domande che non possono avere una risposta.
Confondendo la realtà con una sua descrizione, la realtà non potrà rispondere alle nostre domande se noi stiamo interrogando una sua descrizione.
Non abbiamo padronanza sulla realtà, se non indirettamente attraverso una sua descrizione, della quale ultima dovremmo invece avere piena padronanza, ma se stiamo qui a discuterne è perchè questa padronanza non è mai perfetta.
Il vuoto non e' nulla perche' "contiene", ancora, spazio e tempo, cioe' la possibilita', futura e passata, anche se non attualmente presente, del "pieno".
Il nulla e' nulla perche' esso e' un vuoto che e' stato "vuotato" anche di spazio e di tempo, quindi, non e' da nessuna parte, e non e' mai. E nulla puo' originare da esso, o finire in esso.
Ogni creazionismo (cioe' ogni idea che affermi che possa nascere, o in qualsiasi senso "sorgere" qualcosa dal nulla), e ogni fede nella potenza negatrice del divenire (cioe' idea che affermi che qualcosa, anche dopo essere esistita, possa "tornare", nel nulla, magari sostituita da altre cose), e' (anche) un nichilismo. Come diceva Severino. Non so se sia possibile correggere il tiro e tornare a qualcosa di diverso, da queste forme di pensiero umano ormai cosi' radicate, (come auspicava lui) ma sicuramente, bisogna esserne consapevoli. Della natura intrinsecamente nichilistica di creazionismo e fede nel divenire, intendo.
Citazione di: niko il 12 Ottobre 2024, 14:22:27 PMIl nulla e' nulla perche' esso e' un vuoto che e' stato "vuotato" anche di spazio e di tempo, quindi, non e' da nessuna parte, e non e' mai. E nulla puo' originare da esso, o finire in esso.
penso che la domanda del tema del post parta da questa assunzione. Se l universo si sta espandendo, in che cosa si espande? questa è la domanda di Eutidemo. Penso che alla fine dovremo ammettere che può espandersi solo in un vuoto . la domanda non si esaurirebbe sostenendo che l'espansione è solo apparente perchè la domanda sarebbe sempre la stessa, che cosa c'è oltre i confini dell universo? sappiamo , o meglio , la cosmologia ci dice che l'universo non può essere infinito.
Concordo con niko quando distingue tra vuoto e nulla.
E concordo ancora con niko quando ci richiama alla distorsione data al termine "nulla", ed ovviamente al concetto che sottende, così come inteso dal nichilismo che ci ha portato oramai ad utilizzare come sinonimi i termini nulla e vuoto.
Rimangono, a mio modestissimo parere, entità completamente diverse.
E concordo infine con Alberto Knox quando afferma che "dovremo alla fine ammettere che può espandersi solo in un vuoto".
Citazione di: Bruno P il 12 Ottobre 2024, 11:14:30 AMConsentimi, gentile Il_Dubbio se ritorno sulla questione semantica, perché se non è chiara e condivisa quella si ricade nell'equivoco.
Il vuoto non è un costrutto. E' misurabile al pari di una lunghezza, di un peso, ecc. E' una grandezza (scientifica).
Il Nulla invece è un costrutto, al pari dell'intelligenza (che qualcuno pretende di misurare con un valore, il QI) e del tempo (che è un'invenzione della mente umana per dare un senso logico ad una successione di eventi).
Il Nulla inoltre non è una zona completamente vuota e mai raggiungibile: è qualcosa che va oltre. Se per assurdo fosse raggiungibile, ma per sua definizione non sta ubicato in un tempo o in uno spazio, lo si potrebbe riempire? Certo che no. :)
L'unico vuoto di cui ho sentito parlare in termini scientifici e quello di vuoto quantistico. In quel caso non c'entra spazio e tempo. Quel vuoto lì è pieno di altre cose, particelle virtuali ecc. In m.q. che io sappia ci sono alcune entità misurabili ma tra queste non mi sembra vi sia il vuoto.
Per il resto mi pare tu dica le cose che ho detto io, anche se forse ti sei fatto sfuggire, nel mio discorso, il passaggio "ipotetico". Cioè se fosse cosi allora ne consegue che... ovvero se il nulla che io sto indicando ora come nulla, potesse essere riempito (per esempio dall'espansione dell'universo) allora non sarebbe piu il nulla. Il fatto che ipoteticamente non potrebbe essere raggiunta dal nostro universo in espansione vuol dire che l'espansione è interna all'universo. Se invece ci fosse una espansione reale, verso l'esterno...come ho detto, l'universo potrebbe addirittura scontrarsi con un altro universo che sta espandendo il proprio verso il nostro.
Sono tutte cose ipotetiche, ma ognuna ha una conseguenza che non può essere sorvolata dalla semantica.
Al limite chiamerei il nulla con nome differente se avesse caratteristiche differenti da quelle comuni, cioè l'assenza di ogni proprietà.
Citazione di: Alberto Knox il 12 Ottobre 2024, 15:27:45 PMpenso che la domanda del tema del post parta da questa assunzione. Se l universo si sta espandendo, in che cosa si espande? questa è la domanda di Eutidemo. Penso che alla fine dovremo ammettere che può espandersi solo in un vuoto . la domanda non si esaurirebbe sostenendo che l'espansione è solo apparente perchè la domanda sarebbe sempre la stessa, che cosa c'è oltre i confini dell universo? sappiamo , o meglio , la cosmologia ci dice che l'universo non può essere infinito.
Beh insomma, e' come chiedersi:
"Se un palloncino si sta gonfiando, in che cosa si gonfia?"
La domanda non e' sempre e in assoluto pertinente, perche' un sacco di effetti fisici e logici di questa situazione, la situazione effettiva del palloncino che si gonfia, noi li possiamo prevedere, e immagginare, e concettualizzare, anche senza sapere minimamente "in che cosa" si stia gonfiando il palloncino.
Cioe' la domanda
"in che cosa si gonfia il palloncino?"
Spesso e' leziosa, nel senso che un sacco di cose reali e potenzialmente interessanti da sapere, avverranno sempre e comunque a prescindere da qualsiasi X mezzo in cui si stia gonfindo il palloncino, perche' sono conseguenze intrinseche al fatto che un palloncino si gonfi; e quindi, la domanda specifica sul contesto/mezzo, ai fini di tutte le altre possibili domande sulle e conseguenze di questa situazione fisica, che prescindono dal mezzo, per quanto per altri versi interessante, e' insensata.
Se un palloncino si gonfia, tutti i punti che io posso disegnare con un pennarello, sulla superficie del palloncino, si allontanano tra di loro. Questo e' vero sempre, a prescindere dal mezzo, o luogo, o spazio, in cui si stia gonfiando il palloncino. Se un palloncino si gonfia nel cielo, o in camera mia, o in una macchina, o nel vuoto cosmico, o in camera di un altro, sempre e comunque rimane vero il fatto che tutti i punti disegnati sul palloncino, si allontanano tra di loro, in conseguenza del gonfiaggio. La domanda sul dove e sul mezzo, ai fini di questo fenomeno e di questo aspetto della realta', penso che lo capiscano tutti, che non e' pertinente, e non e' comunque rilevante.
Se io voglio disegnare dei punti sulla superficie del palloncino, senza pero' distruggerlo o romperlo, e' evidente che potro' disegnare i miei punti solo sulla reale superficie del palloncino, e non sullo spazio ad esso interno. Lo spazio disponibile al mio proggetto, o magari al mio gioco, di disegnare dei punti, dipende dal palloncino, e varia istante per istante a seconda del suo stato di gonfiaggio. Anche in questo caso: e' pertinente, la domanda su dove, di preciso si svolga il tutto (a casa mia, a casa tua, nel cielo, su una strada eccetera....) e su "in quale mezzo", si stia gonfiando il palloncino? Anche in questo caso: assolutamente no, non e' pertinente. Il fatto in se', succede e succederebbe ovunque.
Quasi tutte le conseguenze fisicamente reali, e cognitivamente interessanti, dell'espansione dell'universo, si riducono al fatto che tutti i punti distanti, e non appartenenti a un unico sistema gravitazionalmente coeso, si allontanano tra di loro, e tanto piu' sono distanti, tanto piu' si allontanano, oltreche' naturalmente che lo spazio ha una curvatura e tutti i punti reali vi giacciono sopra, cioe' la struttura geometrico matematica che descrive l'universo, prevede anche un "dentro" e un "fuori" dell'universo, ma nulla di reale vi si trova o vi si puo' muovere, ne' dentri ne' fuori. Tutto cio' che e' reale in un dato attimo della vita dell'universo sta, si trova, e si muove, tangente alla sua "superficie" e, per questo, risente della sua "curvatura".
Tutto questo si capisce, anche senza capire in che cosa "si trovi" o "si espanda" l'universo. Cioe' dove di preciso stia il palloncino. Per il fatto stesso che si espande, succedono delle cose, che succederebbero inevitabilmente ed invariabilmente ovunque, o in qualsiasi mezzo, esso si espandesse.
Siccome del mezzo/luogo/contenitire noi nulla sappiamo, e soprattutto nessuna riscontrabile conseguenza esso esercita su di noi, allora noi, molto piu' semplicemente, diciamo che il mezzo, presso cui avvienne l'espansione, non esiste, e l'universo si espande creando nuovo spazio dal nulla. Se prendiamo per buono che e' tutto lo spazio totale disponibile dell'universo che si espande e si sta espandendo, e se ci si soffermiamo a pensarci un attimo, a questa curiosa situazione, e' abbastanza ovvio che esso, lo spazio non si espanda "nello" spazio, nel senso di, in altro, spazio. Ma in se stesso, ingrandendo se stesso. Una cosa, o meglio un punto, una entita, per essere "spazio", dovrebbe essere gia' "raggiunta", e "inglobata" dall'espansione dell'universo, quindi ne consegue che lo "spazio" dell'espansione "futura" non e' (ancora) spazio. Solo lo spazio dell'espansione presente, e passata, lo e'.
Citazione di: Il_Dubbio il 12 Ottobre 2024, 17:27:23 PMPer il resto mi pare tu dica le cose che ho detto io, anche se forse ti sei fatto sfuggire, nel mio discorso, il passaggio "ipotetico". Cioè se fosse cosi allora ne consegue che... ovvero se il nulla che io sto indicando ora come nulla, potesse essere riempito (per esempio dall'espansione dell'universo) allora non sarebbe piu il nulla. Il fatto che ipoteticamente non potrebbe essere raggiunta dal nostro universo in espansione vuol dire che l'espansione è interna all'universo. Se invece ci fosse una espansione reale, verso l'esterno...come ho detto, l'universo potrebbe addirittura scontrarsi con un altro universo che sta espandendo il proprio verso il nostro.
Sono tutte cose ipotetiche, ma ognuna ha una conseguenza che non può essere sorvolata dalla semantica.
Al limite chiamerei il nulla con nome differente se avesse caratteristiche differenti da quelle comuni, cioè l'assenza di ogni proprietà.
Sono d'accordo con te.
Grazie
Citazione di: Il_Dubbio il 12 Ottobre 2024, 17:27:23 PML'unico vuoto di cui ho sentito parlare in termini scientifici e quello di vuoto quantistico. In quel caso non c'entra spazio e tempo. Quel vuoto lì è pieno di altre cose, particelle virtuali ecc. In m.q. che io sappia ci sono alcune entità misurabili ma tra queste non mi sembra vi sia il vuoto.
Ora chiediamoci se è possibile che qualcosa di genuinamente nuovo venga alla luce nel corso del tempo che non sia una conseguenza delle propietà di qualcos'altro esistito in precedenza. Se accettiamo l 'ipotesi che la materia e l energia possiedano una tendenza naturale a subire transizioni spontanee verso nuovi stati di organizzazione e complessità più elevati , e che l esistenza di questi stati non venga completamente spiegata o predetta da leggi note e nemmeno che accada per caso che questi insorgano senza alcuna ragione particolare , per spiegarli è allora necessario trovare principi fisici supplementari, principi organizzatori al di sopra e al di sotto delle leggi fisiche note. Ma non è l argomento del topic. Quello che qui interessa a noi è che lo spazio vuoto può generare stati superiori di complessità e organizzazione.
E che questa concatenazione di stati sia a ciclo infinito
Citazione di: Alberto Knox il 12 Ottobre 2024, 21:02:39 PMOra chiediamoci se è possibile che qualcosa di genuinamente nuovo venga alla luce nel corso del tempo che non sia una conseguenza delle propietà di qualcos'altro esistito in precedenza.
E' una domanda che credo sia sensata. Infatti le cose sono in quanto sono. Non nascono dal nulla.
Ci penso da quando sono nato praticamente, e l'unica ipotesi che accetto ad oggi è quella di Penrose, ovvero un universo ciclico. Un solo universo che si riproduce ciclicamente e in modo infinito.
L'idea di Penrose, per chi non ne avesse idea, non parla di Big Bang e Big Crunch ovvero espansione e contrazione. E' una cosa diversa. Resta però l'idea che questo è l'unico universo ma che si riproduce ciclicamente.
Un solo universo che appare e scompare (in quanto poi tutto muore, non solo noi anche l'universo) mi lascia molto perplesso. Poi un universo così particolare (principio antropico) nasce una volta su qualche miliardo di miliadi di trilioni di tentativi (numero che mi sono inventato sul momento). E' ovvio, qualora non ci si voglia fermare a concetti di creazione, che questo universo non può essere l'unico.
Citazione di: Bruno P il 12 Ottobre 2024, 17:23:59 PME concordo infine con Alberto Knox quando afferma che "dovremo alla fine ammettere che può espandersi solo in un vuoto".
Se l'universo gira attorno al nostro comune sentire, strettamente legato alla geometria di Euclide, non potremo che ammettere ciò.
Se invece andiamo oltre il comune sentire, non privilegiando a priori una geometria sulle altre, avremo certamente difficoltà a immaginare, perchè la nostra immaginazione non va oltre lo spazio Euclideo.
Saremo ancora fortunati se ci verrà in soccorso una analogia fra geometrie non euclidee, e quella della nostra percezione, cioè la geometria euclidea.
L'analogia l'ha fatta Niko, è quella del palloncino dove sono disegnati dei puntini che stanno per la galassie.
Gonfiandosi il palloncino, le galassie sia allontano fra loro espandendosi in contemporanea lo spazio.
Il palloncino si gonfia nello spazio, ma attenzione l'analogia vale solo per la superficie del palloncino, il quale rappresenta l'universo che tutto contiene, compreso lo spazio.
Non sempre però siamo così fortunati, perchè normalmente le analogie non si trovano, e dovremo alla fine ammettere la necessità di rassegnarci a rinunciare alla nostra immaginazione.
Viceversa se ciò non accettiamo, e se assumiamo perciò che i limiti della nostra immaginazione coincidano coi limiti dell'universo, allora "dovremo alla fine ammettere che l'universo può espandersi solo in un vuoto"
e che perciò esso contiene tutto, meno che lo spazio, e che perciò dovremo trovare per esso un nuovo termine che lo indichi, non essendo un vero universo, non coincidendo con tutto ciò che esiste.
Se invece vogliamo mantenere il significato del termine, dovremo dire che l'universo, comprensivo dello spazio vuoto, si espande nel nulla.
E cioè, in particolare, che lo spazio vuoto si espande nel nulla, il che quantomeno suona strano.
A queste stranezze si giunge quando si vuole salvare ad ogni costo il nostro senso comune, cioè quando non riusciamo ad ammettere che non è attorno ad esso che gira l'universo.
Qui si tratta di una nuova rivoluzione copernicana, che al pari di quella trova inevitabilmente resistenze accanite.
E' una storia che già conosciamo, ma come si sà la conoscenza della storia non ci ha mai impedito di ripeterla.
Citazione di: Il_Dubbio il 12 Ottobre 2024, 17:27:23 PML'unico vuoto di cui ho sentito parlare in termini scientifici e quello di vuoto quantistico. In quel caso non c'entra spazio e tempo. Quel vuoto lì è pieno di altre cose, particelle virtuali ecc. In m.q. che io sappia ci sono alcune entità misurabili ma tra queste non mi sembra vi sia il vuoto.
L'idea di vuoto ha una lunga evoluzione in fisica, e oggi si parla di vuoto quantistico, come ben dici.
Ma restando alla nostra percezione, noi percepiamo lo spazio, e questo è strano, non essendo cosa materiale.
Però non mi risulta che nessuno abbia mai fatto l'esperienza di percepire lo spazio in assenza di materia.
Quindi noi percepiamo lo spazio solo quando è associato alla materia. Viceversa, nessuno ha mai percepito la materia in assenza di spazio.
Per Einstein non esiste spazio in assenza di materia.
Newton ha ipotizzato spazio e tempo assoluti, cioè uno spazio che esiste a priori, che esiste cioè indipendentemente dalla materia, ma ammetteva pure che la sua ipotesi non era sostenibile, ma che pure senza di essa la sua teoria della gravità non avrebbe potuto costruirsi, e perciò giocoforza l'assumeva.
Siccome la sua teoria della gravità funziona, si potrebbe perciò indurre, che per quanto difficili da ammettere, le sue ipotesi erano corrette, se non fosse che Einstein dimostra che può costruirsi una teoria della gravità alternativa, rinunciando all'ipotesi di spazio e tempo assoluti.
Accidentalmente la teoria di Einstein spiega anche cose che la teoria di Newton non spiegava.
Ma non è questo ch giova al nostro discorso, che rimane valido anche se la teoria di Einstein avesse spiegato niente di più di quella di Newton.
Qualcuno potrebbe obiettare che le ipotesi di spazio e tempo assoluti sono ben ammissibili, ed infatti quando si invoca uno spazio vuoto in cui l'universo possa espandersi stiamo facendo ricorso al nostro senso comune, che però, potrà sembrare strano, ai tempi di Newton era diverso dal nostro.
Il senso comune si evolve.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 02:48:55 AMQualcuno potrebbe obiettare che le ipotesi di spazio e tempo assoluti sono ben ammissibili, ed infatti quando si invoca uno spazio vuoto in cui l'universo possa espandersi stiamo facendo ricorso al nostro senso comune, che però, potrà sembrare strano, ai tempi di Newton era diverso dal nostro.
Il senso comune si evolve.
Quando si cerca di dare una risposta tentando di evitare di conformarsi al senso comune, bisogna trovare un modo per rendere piu razionale possibile il concetto che si vuole esprimere. Poi se il ragionamento è sbagliato o si trovano prove che sia sbagliato, si tenta di formulare un altro tipo di ragionamento.
Ad esempio una delle cose meno comprensibili sono gli infiniti. Forse non si può eliminarli tutti, ma si procede tentando di eliminarli il piu possibile. Se io immergo il nostro universo all'interno di uno spazio vuoto (ma accessibile, quindi dove il nostro universo può espandersi) sto di fatto ammettendo che esista uno spazio vuoto infinito.
Sto cercando di eliminarlo per una questione razionale (di cui sopra). Ma se due universi si scontrassero mentre stanno espandendosi, allora questo spazio vuoto intermedio ai due universi esisterebbero per davvero. Siccome non abbiamo riscontri di altri universi pronti a scontrarsi con il nostro, il nostro universo non si espande ai danni di uno spazio vuoto esterno ovviamente perchè ciò comporterebbe l'ammettere che ci sia un infinito in più, mentre io sto cercando di eliminarli.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 02:48:55 AMQualcuno potrebbe obiettare che le ipotesi di spazio e tempo assoluti sono ben ammissibili, ed infatti quando si invoca uno spazio vuoto in cui l'universo possa espandersi stiamo facendo ricorso al nostro senso comune, che però, potrà sembrare strano, ai tempi di Newton era diverso dal nostro.
Il senso comune si evolve.
Confermo le conclusioni, ma temo di non aver azzeccato a memoria l'esempio giusto.
L'esempio giusto riguarda la possibilità di una azione a distanza con la quale si trasmette la forza di gravità, cosa aliena al senso comune ai tempi di Newton, ma non al nostro.
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Ottobre 2024, 08:42:31 AMAd esempio una delle cose meno comprensibili sono gli infiniti. Forse non si può eliminarli tutti, ma si procede tentando di eliminarli il piu possibile.
Se l'infinito è un idea, lo si può eliminare solo smettendo di pensarlo, il che non mi sembra possibile.
Fin dai tempi di Platone l'idea che abbiamo di universo sembra comportare che se più universi esistono non possono scontrarsi fra loro, e su questo gli scienziati non hanno cambiato idea, se parlano di universi paralleli quando usano il plurale.
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Ottobre 2024, 08:42:31 AMQuando si cerca di dare una risposta tentando di evitare di conformarsi al senso comune, bisogna trovare un modo per rendere piu razionale possibile il concetto che si vuole esprimere.
Per quanto si possa rendere più razionale un concetto, esso trova un limite alla sua razionalità nel linguaggio in cui viene espresso.
Andare oltre il senso comune può significare quindi anche andare oltre il linguaggio usale al nostro senso comune, inventando linguaggi nuovi.
Questo è quello che ha fatto la scienza, la quale costruisce mondi che non può intendere, parafrasando Galilei, chi quei linguaggi non conosce, e non sto dicendo che io li conosco.
Forse è possibile precisare un idea andando a cercare da dove si origina, però non credo sia possibile determinare con certezza la sua origine, anche perchè non c'è un punto preciso dove cercarla, essendo la sua origine sparsa nella diffusa esperienza dell'umanità.
Si può precisare un idea anche dandone una definizione, ma darne una definizione significa anche tradirla.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 10:40:31 AMSe l'infinito è un idea, lo si può eliminare solo smettendo di pensarlo, il che non mi sembra possibile.
Fin dai tempi di Platone l'idea che abbiamo di universo sembra comportare che se più universi esistono non possono scontrarsi fra loro, e su questo gli scienziati non hanno cambiato idea, se parlano di universi paralleli quando usano il plurale.
non confondere gli universi paralleli con il multi universo.
Poi, per le altre risposte che hai dato, sembra che tu non segua ciò che viene detto e rispondi senza alcun nesso. Così facendo il dialogo è impossibile. Come quando dici che si eliminano gli infiniti non pensandoci. Ma che risposta è mai questa? Ma poi che c'entra con quello che ho detto? ???
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Ottobre 2024, 14:38:51 PMnon confondere gli universi paralleli con il multi universo.
Poi, per le altre risposte che hai dato, sembra che tu non segua ciò che viene detto e rispondi senza alcun nesso. Così facendo il dialogo è impossibile. Come quando dici che si eliminano gli infiniti non pensandoci. Ma che risposta è mai questa? Ma poi che c'entra con quello che ho detto? ???
Come faccio a rispondere a un ragionamento che ritengo imperfetto se non criticandolo?
Se tu ipotizzi che due universi possano scontrarsi, e io dico che la possibilità stessa di esistenza di universi diversi esclude che possano scontrarsi non sto facendo una critica mirata?
Ma è possibile che io abbia fatto confusione.
Che differenza c'è fra multiverso e universi paralleli?
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 16:11:39 PMCome faccio a rispondere a un ragionamento che ritengo imperfetto se non criticandolo?
Se tu ipotizzi che due universi possano scontrarsi, e io dico che la possibilità stessa di esistenza di universi diversi esclude che possano scontrarsi non sto facendo una critica mirata?
Ma è possibile che io abbia fatto confusione.
Che differenza c'è fra multiverso e universi paralleli?
universi paralleli (o tesi a molti mondi) è una conseguenza (detta meglio interpretazione) della meccanica quantistica proposta da Everett. Partendo dalla evoluzione della funzione d'onda di Scrondiger, si suppone che ogni volta che si opera una misura gli universi si dividano per quanti sono i possibili esisti. L'interpretazione ufficiale invece suppone che una volta eseguita una misura l'onda subisce un collasso e l'esito ottenuto diviene l'unica cosa reale (il resto va a farsi benedire).
Il multi universo invece parla di molti universi indipendenti l'uno dall'altro. Solitamente l'evento principale è sempre il Big Bang poi universi bolla che si dividono e che non si potrebbero (ma come ho detto non ho capito perchè) mai scontrare.
Da questo punto di vista ti devo dare atto che il multi universo a cui stavo pensando io potrebbe chiamarsi diversamente, ovvero: multi Big Bang. Quindi universi del tutto indipendenti. Questo perchè stavamo parlando del Nulla, e in un multi universo del tipo I (ovvero universi bolla nascenti da un unico Big Bang) dove lo vai a prendere il Nulla?
Tutto quello che ti serve è gia tutto all'interno del multi universo..che potrebbe essere pensato addirittura come un unico universo anche se separato alla nascita.
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Ottobre 2024, 17:00:27 PMSolitamente l'evento principale è sempre il Big Bang poi universi bolla che si dividono e che non si potrebbero (ma come ho detto non ho capito perchè) mai scontrare.
Se si potessero scontrare immagino che sarebbe improprio chiamarli universi.
Se esiste un solo universo è ovvio che esso sia isolato da ogni altra cosa, non esistendo altra cosa oltre lui.
Se immaginiamo universi diversi questa condizione di isolamento può e deve essere ancora soddisfatta, mentre non è più vero ovviamente che ogni universo contiene ogni cosa, ma ogni universo in subordine può contenere ogni cosa che gli altri non possiedono, in modo esclusivo.
quindi anche in meccanica quantistica gli universi sono paralleli, e in ognuno di essi si verifica uno ed uno solo degli stati in cui può decadere una particella ad esempio, annullando in tal modo il caso, perchè ogni possibile stato si verifica con certezza, ma ognuno in un universo a parte.
A me me pare na s....ta, ma comunque ogni idea è bella a mamma sò, e io mi limito a prenderne atto.
Tornando al nostro tema, uno spazio indipendente dalla materia che contiene, mi sembra appunto un universo parallelo a quello della materia, perchè che lo spazio venga occupato o meno dalla materia non ne modifica lo stato. esso resta cioè del tutto indifferente alla materia che lo percorre, come se non vi fosse alcuna materia la suo interno, diversamente dallo spazio di Einstein la cui struttura muta in dipendenza della materia che contiene, e in questa struttura la materia scivola lungo vie obbligate senza alcuna forza che la spinga o che la attragga, cioè si muove per pura inerzia, come per inerzia si muove la materia nello spazio di Newton quando non soggetta a forze.
Cioè il caso particolare del movimento della materia non soggetta a forze, movimento che avviene per inerzia, diventa il caso generale nello spazio di Einstein, perchè in un certo senso la forza di gravità è già scontata nella struttura dello spazio.
Ma una struttura dello spazio che si prende carico di fare il lavoro che ''prima'' faceva la gravità è un o spazio ''attivo'' non un semplice passivo contenitore indifferente alle sorti della materia che contiene.
Sembra naturale poter immaginare uno spazio indipendente dalla materia, che faccia spazio ad una materia che si espande.
Ma in effetti credo che nessuno di noi riesca immaginare una materia in assenza di spazio, o viceversa immaginare davvero uno spazio privo di materia, per cui anche dal punto di vista della percezione, oltre che dal punto di vista logico, spazio e materi sono inestricabilemte dipendenti uno dall'altro., e un esempio di questo stretto collegamento lo troviamo nella teoria di Einstein.
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Ottobre 2024, 17:00:27 PMIl multi universo invece parla di molti universi indipendenti l'uno dall'altro. Solitamente l'evento principale è sempre il Big Bang poi universi bolla che si dividono e che non si potrebbero (ma come ho detto non ho capito perchè) mai scontrare.
Senza prove dirette , le altre bolle (o brane , nell ipotesi delle brane) sono destinate a rimanere confinate all ambito delle ipotesi teoriche. C'è però da dire che se vi sono bolle figlie , allora ci sarà un tipo di spazio fra queste bolle e se è lo spazio fra queste bolle a dilatarsi ( e quindi ad allontanare le bolle) la probabilità che queste si scontrino è bassa. Ma non impossibile e se dovesse accadere la cosa dovrebbe essere rilevabile , perchè produrrebbe una gran quantità di energia. C'è stato un premio nobel ,Roger Penrose, che aveva visto questa prova di collisione nella radiazione cosmica di fondo , ma poi è stato smentito. Fatto sta che l'unica prova per sapere se il nostro universo è stato "toccato" in passato da un altro universo deve trovarsi là, nella radiazione cosmica di fondo. e questa prova non è stata rilevata. (per ora)
Citazione di: Alberto Knox il 13 Ottobre 2024, 22:44:00 PMSenza prove dirette , le altre bolle (o brane , nell ipotesi delle brane) sono destinate a rimanere confinate all ambito delle ipotesi teoriche. C'è però da dire che se vi sono bolle figlie , allora ci sarà un tipo di spazio fra queste bolle e se è lo spazio fra queste bolle a dilatarsi ( e quindi ad allontanare le bolle) la probabilità che queste si scontrino è bassa. Ma non impossibile e se dovesse accadere la cosa dovrebbe essere rilevabile , perchè produrrebbe una gran quantità di energia. C'è stato un premio nobel ,Roger Penrose, che aveva visto questa prova di collisione nella radiazione cosmica di fondo , ma poi è stato smentito. Fatto sta che l'unica prova per sapere se il nostro universo è stato "toccato" in passato da un altro universo deve trovarsi là, nella radiazione cosmica di fondo. e questa prova non è stata rilevata. (per ora)
Tu parli di universi come parlassi di galassie, le quali quando si incontrano in genere non producono nessun patatrack energetico, perchè la probabilità che due stelle delle rispettive galassie si scontrino è risibile, stante la distanza astronomica fra una stella e l'altra.
In genere si incontrano, si salutano cordialmente, non avendo un carattere scontroso, e poi ognuna prosegue per la sua strada.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 22:23:08 PMSe si potessero scontrare immagino che sarebbe improprio chiamarli universi.
Se esiste un solo universo è ovvio che esso sia isolato da ogni altra cosa, non esistendo altra cosa oltre lui.
Se immaginiamo universi diversi questa condizione di isolamento può e deve essere ancora soddisfatta, mentre non è più vero ovviamente che ogni universo contiene ogni cosa, ma ogni universo in subordine può contenere ogni cosa che gli altri non possiedono, in modo esclusivo.
quindi anche in meccanica quantistica gli universi sono paralleli, e in ognuno di essi si verifica uno ed uno solo degli stati in cui può decadere una particella ad esempio, annullando in tal modo il caso, perchè ogni possibile stato si verifica con certezza, ma ognuno in un universo a parte.
A me me pare na s....ta, ma comunque ogni idea è bella a mamma sò, e io mi limito a prenderne atto.
Tornando al nostro tema, uno spazio indipendente dalla materia che contiene, mi sembra appunto un universo parallelo a quello della materia, perchè che lo spazio venga occupato o meno dalla materia non ne modifica lo stato. esso resta cioè del tutto indifferente alla materia che lo percorre, come se non vi fosse alcuna materia la suo interno, diversamente dallo spazio di Einstein la cui struttura muta in dipendenza della materia che contiene, e in questa struttura la materia scivola lungo vie obbligate senza alcuna forza che la spinga o che la attragga, cioè si muove per pura inerzia, come per inerzia si muove la materia nello spazio di Newton quando non soggetta a forze.
Cioè il caso particolare del movimento della materia non soggetta a forze, movimento che avviene per inerzia, diventa il caso generale nello spazio di Einstein, perchè in un certo senso la forza di gravità è già scontata nella struttura dello spazio.
Ma una struttura dello spazio che si prende carico di fare il lavoro che ''prima'' faceva la gravità è un o spazio ''attivo'' non un semplice passivo contenitore indifferente alle sorti della materia che contiene.
Sembra naturale poter immaginare uno spazio indipendente dalla materia, che faccia spazio ad una materia che si espande.
Ma in effetti credo che nessuno di noi riesca immaginare una materia in assenza di spazio, o viceversa immaginare davvero uno spazio privo di materia, per cui anche dal punto di vista della percezione, oltre che dal punto di vista logico, spazio e materi sono inestricabilemte dipendenti uno dall'altro., e un esempio di questo stretto collegamento lo troviamo nella teoria di Einstein.
lo spazio come il tempo sorgono quando incomincia l'universo. Ciò di cui stiamo tentando di descrivere le sorti, non è lo spazio ma una sorta di Nulla che non ha proprietà ne spaziali nè temporali. Lo spazio può essere un ambiente vuoto, non è però il nulla. Quello non è uno spazio poichè lo spazio può essere attraversato, il nulla non è attraversabile. Praticamente non esiste..ce lo siamo inventato noi per compensare la nostra ignoranza.
Mi rendo conto, perchè ci sono passato tante volte, che è difficile farsene una ragione. E forse è perfino meglio non farsene, meglio avere "il dubbio". Però qua se non è la scienza che mi soccorre lo è la filosofia, quello che non c'è te lo puoi anche immaginare in modo fantasioso, ma se non c'è non c'è.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 22:49:57 PMperchè la probabilità che due stelle delle rispettive galassie si scontrino è risibile, stante la distanza astronomica fra una stella e l'altra.
ma io penso che si scontrino eccome , stiamo parlando di galassie che potrebbero arrivare a contenere al loro interno un numero che si aggira ai 400 miliardi di stelle . l'espansione non è dovuta a un movimento rispetto a un sistema di riferimento, ma è causata dalla formazione di nuovo spazio tra le galassie. Possiamo quindi misurare la velocità di recessione delle galassie, che è 70 km/s/Mpsc. e quando due galassie si scontrano ad una tale accelerazione succede un bel disastro , direi. l importante è non pensare alle galassie a come delle astronavi che viaggiano ad una certa velocità, le galassie sono ferme in un punto dello spazio , è lo spazio che si dilata e di conseguenza le fa allontanare e a volte scontrare perchè non esiste un centro di massa nell universo , se esistesse tutte le galassie dovrebbero scontrasi primo poi attratte dal centro di massa fino a diventare un punto di massima compressione.
Citazione di: Alberto Knox il 13 Ottobre 2024, 23:02:39 PMma io penso che si scontrino eccome , stiamo parlando di galassie che potrebbero arrivare a contenere al loro interno un numero che si aggira ai 400 miliardi di stelle . l'espansione non è dovuta a un movimento rispetto a un sistema di riferimento, ma è causata dalla formazione di nuovo spazio tra le galassie. Possiamo quindi misurare la velocità di recessione delle galassie, che è 70 km/s/Mpsc. e quando due galassie si scontrano ad una tale accelerazione succede un bel disastro , direi. l importante è non pensare alle galassie a come delle astronavi che viaggiano ad una certa velocità, le galassie sono ferme in un punto dello spazio , è lo spazio che si dilata e di conseguenza le fa allontanare e a volte scontrare perchè non esiste un centro di massa nell universo , se esistesse tutte le galassie dovrebbero scontrasi primo poi attratte dal centro di massa fino a diventare un punto di massima compressione.
Alberto, non te la prendere, ma hai in testa una confusione del diavolo su questi argomenti, però non sarò io a togliertela, se non su tua esplicita richiesta, e con la garanzia di non sentirmi rispondere ''Lei non sà chi ero io''.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 23:07:08 PMAlberto, non te la prendere, ma hai in testa una confusione del diavolo su questi argomenti, però non sarò io a togliertela, se non su tua esplicita richiesta, e con la garanzia di non sentirmi rispondere ''Lei non sà chi ero io''.
per carità iano, ti incarti già abbastanza da solo per darmi delle lezioni , a proposito;
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 22:23:08 PMSe esiste un solo universo è ovvio che esso sia isolato da ogni altra cosa, non esistendo altra cosa oltre lui.
se esiste un solo universo da che cosa si deve isolare se non esiste altro oltre a lui? se esiste solo lui da che cosa si dovrebbe isolare? tipico incartamento alla Iano
Citazione di: Alberto Knox il 13 Ottobre 2024, 23:12:35 PMper carità iano, ti incarti già abbastanza da solo per darmi delle lezioni , a proposito; se esiste un solo universo da che cosa si deve isolare se non esiste altro oltre a lui? se esiste solo lui da che cosa si dovrebbe isolare? tipico incartamento alla Iano
Sarebbe come rimproverare ad un logico di parlare dell'insieme vuoto, infatti se un insieme è fatto di elementi, che senso ha parlare di un insieme che non ne possiede ?
Direi piuttosto che della capacità di incartarsi ne hai un buon esempio tu, quando hai provato a far valere su di me la tua autorità di ''ex mederatore''.
infatti se è cattiva educazione pronunciare un ''lei non sa chi sono io'', come potremmo etichettare un ''lei non sà chi ero io''?
Io mi aspetterei perfino le tue scuse per questo ridicolo tuo comportamento, per poter riguadagnare un minimo di autorità ai miei occhi, che nessun titolo di moderatore, tanto meno se ex, può darti.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 23:21:33 PMSarebbe come rimproverare ad un logico di parlare dell'insieme vuoto, infatti se un insieme è fatto di elementi, che senso ha parlare di un insieme che non ne possiede ?
guarda bene quello che hai scritto
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 22:23:08 PMSe esiste un solo universo è ovvio che esso sia isolato da ogni altra cosa, non esistendo altra cosa oltre lui.
è ovvio che sia isolato
da ogni altra cosa, non esistendo
altra cosa oltre a lui. Capisci che l affermazione cozza un pò di logica o no?
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 23:21:33 PMinfatti se è cattiva educazione pronunciare un ''lei non sa chi sono io'', come potremmo etichettare un ''lei non sà chi ero io''?
Io mi aspetterei perfino le tue scuse per questo ridicolo tuo comportamento, per poter riguadagnare un minimo di autorità ai miei occhi, che nessun titolo di moderatore, tanto meno se ex, può darti.
ah è questo il contenzioso? perchè ti ho detto che ero moderatore? ma guarda che essere moderatori non ti da nessun rango superiore rispetto ad un altro utente. è solo un utente che si prende la briga di controllare che si rispetti i temi dei topic e che si rispetti una certa educazione . Non te lo detto per farmi grosso , o per farti capire che io ero chissà chi, io non ho nulla da dimostrare e vengo sul forum per le stesse ragioni per cui ci vieni tu, parlare di argomenti interessanti senza la pretesa di avere la verità .
Citazione di: Alberto Knox il 13 Ottobre 2024, 23:40:50 PMguarda bene quello che hai scritto
Visto e confermato.
Ora però aspetto una tua critica seria in merito, che vada oltre le offensive allusioni..
Gentile iano
credo siamo tutti pronti ad accettare il fatto che esistiamo in uno spazio non euclideo di cui quello euclideo è un caso particolare. Di fatto, una retta non è nient'altro che una circonferenza di raggio infinito. Che lo spazio sia curvo e non isotropico è oramai un fatto comunemente accettato grazie alla teoria della relatività.
Peraltro dobbiamo essere altrettanto pronti ad accettare situazioni in cui gli attuali paradigmi possono non trovare riscontro. Storicamente sono stati numerosi i casi in cui è stato necessario, ad esempio, "inventare" una nuova matematica, che personalmente considero un linguaggio, per descrivere il fenomeno studiato: mi viene in mente il calcolo infinitesimale.
Rimanere ostinatamente ancorati ad un modello mentale è segno di immaturità. Un tanto lo si spiega anche nelle scienze psicologiche riguardo la crescita dell'individuo che deve ad un certo punto dimostrarsi pronto ad abbandonare le proprie colonne portanti per abbracciare una nuova visione di se stesso e del mondo. Come asseriva Freud, si cresce per perdita.
Nello studio del cosmo, campo non mio, è dato sapere che l'Universo ha un confine che va espandendosi dal momento del Big Bang. E oltre cosa c'è? Ci è sufficiente il linguaggio che conosciamo per descriverlo oppure abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio? Mi permetto solo di dire che, con il linguaggio della Filosofia classica, non si espande nel Nulla.
Ti ringrazio per le Tue osservazioni che mi portano a riflettere.
Citazione di: iano il 13 Ottobre 2024, 23:21:33 PMSarebbe come rimproverare ad un logico di parlare dell'insieme vuoto, infatti se un insieme è fatto di elementi, che senso ha parlare di un insieme che non ne possiede ?
Se mi è concesso rimango un attimo perplesso di fronte a tale osservazione. Ad un logico direi che l'insieme vuoto è un caso particolare di insieme ma non per questo inesistente.
Per definizione qualsiasi insieme contiene l'insieme vuoto. L'insieme vuoto contiene se stesso e coincide con se stesso. Ma la teoria degli insiemi è postuma e più recente rispetto ad altre branche della matematica.
Rispetto alla cultura occidentale mi insegnate che lo zero, che serve a contare nulla, è rimasto un emerito sconosciuto fino alla venuta di Pico della Mirandola il quale, per curare l'azienda di famiglia, venne in contatto con la cultura araba dove lo zero era ben noto. Fu proprio la definizione filosofica di Nulla ad escludere lo zero, con cui veniva erroneamente associato, dalla rudimentale matematica al tempo utilizzata nel mondo occidentale. I maggiori fautori di tale "dimenticanza" furono i Romani, che lo dominarono per secoli, i quali non acquisirono mai il concetto dello zero.
Se si prende ad esempio un elastico, si espande l'elastico. Un po' come l'esempio del palloncino. Lo spazio si stira e diventa man mano piu gonfio. Certo noi con la nostra fantasia potremmo chiederci cosa ci sia oltre l'elastico. Ma in un certo senso non dovremmo aver bisogno di chiederci altro, è gia tutto presente quello che ci serve.
Non è come quando si costruisce un palazzo e hai bisogno di nuovi mattoni per alzare i piani. Il nostro è un palazzo che nasce piccolo e si gonfia. E' sempre lo stesso dell'inizio, non c'è bisogno di aggiungere altro per farlo piu grande. Al limite i piani inizialmente sono contratti, poi inizieranno a distanziarsi, ma non è come costruire piani nuovi con nuovi mattoni (ovvero spazio preso in prestito da qualche altra parte).
Citazione di: Bruno P il 14 Ottobre 2024, 11:09:03 AMPer definizione qualsiasi insieme contiene l'insieme vuoto. L'insieme vuoto contiene se stesso e coincide con se stesso.
Mi permetto di sottolineare quella che forse è una imprecisione in un discorso comunque corretto.
Non sapevo di Pico della Mirandola.
So che lo zero Fibonacci nel duecento, figlio di un diplomatico Pisano , lo acquisisce dagli arabi che lo avevano a loro volta acquisito dagli indiani, insieme ai simboli delle cifre che ancora usiamo e alla comoda notazione posizionale, che non è possibile attuare in mancanza dello zero, per cui l'uso dello zero è giustificato in quanto ''soluzione tecnica'' di rappresentazione dei numeri, che consente di produrree facili algoritmi per operare con essi. Per quanto riguarda invece il significato da dare allo zero, la vicenda, dopo quasi un millennio, non sembra ancora conclusa, per tacere del nulla e del vuoto, di affine significato.
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Ottobre 2024, 11:31:16 AMSe si prende ad esempio un elastico, si espande l'elastico. Un po' come l'esempio del palloncino. Lo spazio si stira e diventa man mano piu gonfio. Certo noi con la nostra fantasia potremmo chiederci cosa ci sia oltre l'elastico. Ma in un certo senso non dovremmo aver bisogno di chiederci altro, è gia tutto presente quello che ci serve.
Sono d accordo, se immaginiamo di poter mettere sull elastico le foto di galassie pinzate sull elastico con delle mollette allora noteremmo che benchè le galassie rimangono nella loro posizione al tiro dell elastico esse si allontano le une dalle altre . C'è un noto divulgatore che fa effettivamente vedere l'esperimento. Per cui il movimento delle galassie non lo si deve intendere come se avessero una quantita di moto propia ma per effetto dello stiramento dell elastico che nella realtà sarebbe lo spazio fra le galassie.
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Ottobre 2024, 11:31:16 AMSe si prende ad esempio un elastico, si espande l'elastico. Un po' come l'esempio del palloncino. Lo spazio si stira e diventa man mano piu gonfio. Certo noi con la nostra fantasia potremmo chiederci cosa ci sia oltre l'elastico. Ma in un certo senso non dovremmo aver bisogno di chiederci altro, è gia tutto presente quello che ci serve.
Non è come quando si costruisce un palazzo e hai bisogno di nuovi mattoni per alzare i piani. Il nostro è un palazzo che nasce piccolo e si gonfia. E' sempre lo stesso dell'inizio, non c'è bisogno di aggiungere altro per farlo piu grande. Al limite i piani inizialmente sono contratti, poi inizieranno a distanziarsi, ma non è come costruire piani nuovi con nuovi mattoni (ovvero spazio preso in prestito da qualche altra parte).
Mi sembra illuminante il tuo esempio.
Aggiungerei che l'espansione dell'universo è una descrizione della dinamica dell'universo che non si esaurisce con essa.
Quindi quello che in generale ci chiediamo è se l'universo, senza far ricorso ad elementi esterni ad esso, ciò che lo renderebbero di fatto un non universo, o un universo tutto compreso ad eccezione di...., possa comunque avere una sua dinamica , (bloccando io sul nascere il mio istinto di dire una sua ''dinamica interna'').
Se noi limitiamo la dinamica alla esperienza, e conseguente percezione, del nostro mondo quotidiano, la risposta è no.
La risposta in generale è no se non prendiamo coscienza della relatività della nostra percezione.
La risposta è no se ammettiamo che la natura ci ha dotato di sensi che vanno ben oltre le nostre relative necessità di sopravvivenza, perchè il senso della nostra vita a ciò non può ridursi.
Io ammetto pure che il senso della nostra vita non si riduca necessariamente a ciò, ma sarebbe comunque improprio, se non ingenuo, trasferire questa necessità ai nostri sensi e al relativo senso di realtà che ne deriva.
Certamente il nostro essere trascende i nostri sensi, come la realtà trascende il quadro che i nostri sensi ce ne danno.
Sta quindi a noi adeguare la cognizione che abbiamo della realtà al nostro essere, senza attendere che essa ci appaia per quel che è, ''a gratis'', come a noi sembra in effetti che avvenga, che la realtà si presenti naturalmente a noi nella sua evidenza, inconsci del pensiero magico che ciò implica.
Perchè a pensarci bene come si può negare essere una magia che la realtà ci appaia solo alzando le palpebre, a mo di bacchetta magica?
Il massimo risultato col minimo sforzo, come quando ci promettono favolosi guadagni a fronte di nessun rischio, e noi abbocchiamo.
per calcare la mano bisognerebbe pensare allo spazio come ad un oggetto e non come ad un luogo.
Se si vuole rendere difficile questo assunto basterebbe pensare ad un oggetto quadridimensionale, cioè lo spazio tridimensionale piu il tempo. Se volessimo potremmo renderlo ancora piu difficile prendendo per buona la teoria delle stringhe, immaginandoci un oggetto con molte piu dimensioni oltre quelle mensionate.
Un oggetto mostruosamente complesso, in grado di creare situazioni inimmaginabili.
Quello che potrebbe far dubitare di questa idea è il fatto che gli oggetti stanno all'interno dei luoghi (come un elastico sta all'interno di una stanza). In questo caso però il luogo e l'oggetto si identificano in un unico ente: lo spazio (piu eventuali dimensioni)
Citazione di: iano il 14 Ottobre 2024, 11:32:04 AMMi permetto di sottolineare quella che forse è una imprecisione in un discorso comunque corretto.
Non sapevo di Pico della Mirandola.
So che lo zero Fibonacci nel duecento, figlio di un diplomatico Pisano , lo acquisisce dagli arabi che lo avevano a loro volta acquisito dagli indiani, insieme ai simboli delle cifre che ancora usiamo e alla comoda notazione posizionale, che non è possibile attuare in mancanza dello zero, per cui l'uso dello zero è giustificato in quanto ''soluzione tecnica'' di rappresentazione dei numeri, che consente di produrree facili algoritmi per operare con essi. Per quanto riguarda invece il significato da dare allo zero, la vicenda, dopo quasi un millennio, non sembra ancora conclusa, per tacere del nulla e del vuoto, di affine significato.
Hai ragione iano!!
Ho sbagliato (grossolanamente) confondendo Pico della Mirandola con Fibonacci.
Errore mio
Chiedo scusa
Aiutatemi a capire, per favore.
A quale velocità lo spazio-tempo dell'Universo si estende elasticamente?
Pongo questa domanda perché rammento che le misurazioni effettuate presso LIGO e Virgo riguardo l'estensione/contrazione a seguito delle onde gravitazionali susseguenti ad una fusione di due buchi neri erano tanto minime quanto importanti a dimostrare ciò che Einstein aveva predetto.
Di fatto lo spazio-tempo è un solido tutt'altro che elastico e per alterarne le proprietà necessita una quantità di energia incredibile ottenibile solo con lo scontro tra due fonti di energia altrettanto incredibile quali i buchi neri.
Grazie
PS: credo però che siamo fuori tema rispetto al post iniziale
Citazione di: Bruno P il 14 Ottobre 2024, 15:38:35 PMAiutatemi a capire, per favore.
A quale velocità lo spazio-tempo dell'Universo si estende elasticamente?
Pongo questa domanda perché rammento che le misurazioni effettuate presso LIGO e Virgo riguardo l'estensione/contrazione a seguito delle onde gravitazionali susseguenti ad una fusione di due buchi neri erano tanto minime quanto importanti a dimostrare ciò che Einstein aveva predetto.
Di fatto lo spazio-tempo è un solido tutt'altro che elastico e per alterarne le proprietà necessita una quantità di energia incredibile ottenibile solo con lo scontro tra due fonti di energia altrettanto incredibile quali i buchi neri.
Grazie
PS: credo però che siamo fuori tema rispetto al post iniziale
si forse un tantino OT ed anche tanto specifico che ci vorrebbe uno spacializzato in materia.
Io non so cosa intendi per "tanto minime quanto importanti". Presumo che tu intenda l'individuazione (misurazione) delle onde gravitazionali. Quelle sono molto impercettibili perciò hanno bisogno di di essere misurate la dove c'è un'attività importante. Praticamente impossibile misurare l'onda gravitazionale di una mela in caduta verso la Terra (o al contrario della Terra verso la mela).
Invece è possibile misurare abbastanza precisamente la differenza della velocità degli orologi di un oggetto in accelerazione rispetto ad esempio alla Terra. Anche quello è un modo per testare l'elasticità dello spazio o meglio dello spazio/tempo.
Poi per rispondere alla domanda sulla velocità di espansione quella mi sa che non c'entra con la produzione di onde gravitazionali, ma qua entro in un campo difficile. Le velocità di espansione sono molto alte e superano quella della luce e si misurano con lo spostamento verso il rosso. Un po' come il rumore dell'ambulanza in arrivo è diversa da quella quando fugge via. Il "rumore" che sentiamo delle galassie che si allontano è simile ad una ambulanza che si allontana e pare si allontani anche accelerando il proprio passo. Sono tutte misure che non mi pare c'entrino con la gravità.
C'è un'altra ipotesi che non conoscevo e ne ho letto qualcosa in questi minuti.
Chiaramente ho cercato qualcosa in riferimento ad una idea che mi era venuta in riferimento a quello che ho detto sull'elastico. Alla fine si strapperà o rimarrà un elastico per sempre?
A quanto pare esiste una teoria che viene chiamata Big Rip, cioè la morte dell'universo per via appunto di questa espansione che sembrerebbe senza fine. Ma forse c'è un limite, alla fine ogni cosa non sarà piu collegata alle altre, le stelle si divideranno dalle galassie, poi i pianeti si divideranno dalle stelle e così via fino a che ogni singola particella sarà distante da un'altra particella. L'elastico alla fine si spezza, o meglio si lacera fino a che non rimarrà piu nulla, o forse rimarrà solo il "Nulla".
L'idea che avevo suggerito in precedenza, quella di Penrose, sull'universo ciclico, si affida proprio a questo scenario, per suggerire che quando tutto sarà finito solo allora quando lo spazio/tempo non esisterà più, sarà possibile un altro big bang.
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Ottobre 2024, 17:59:12 PMsi forse un tantino OT ed anche tanto specifico che ci vorrebbe uno spacializzato in materia.
Io non so cosa intendi per "tanto minime quanto importanti". Presumo che tu intenda l'individuazione (misurazione) delle onde gravitazionali. Quelle sono molto impercettibili perciò hanno bisogno di di essere misurate la dove c'è un'attività importante. Praticamente impossibile misurare l'onda gravitazionale di una mela in caduta verso la Terra (o al contrario della Terra verso la mela).
Invece è possibile misurare abbastanza precisamente la differenza della velocità degli orologi di un oggetto in accelerazione rispetto ad esempio alla Terra. Anche quello è un modo per testare l'elasticità dello spazio o meglio dello spazio/tempo.
velocità di recessione pari a 74,03 km/s per megaparsec (1Mpc = 3,2614 milioni di anni luce ca.) (fonte Wikipedia).Forse aver parlato di modello elastico è stato fuorviante.L'universo si ''gonfia'' come un panettone che lievita dove le galassie sono le uvette.Questo modello spiega perché la velocità di allontanamento delle galassie che abbiamo rilevata è proporzionale alla distanza stimata .Cioè più sono lontane da noi, più velocemente si allontanano secondo una costante di proporzionalità, detta costante di Hubble.
Inoltre secondo questo modello otterremmo le stesse velocità di recessione da qualunque punto dell'universo le stimassimo..
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Ottobre 2024, 17:59:12 PMPresumo che tu intenda l'individuazione (misurazione) delle onde gravitazionali.
Esatto, intendevo proprio quello.
Le ho genericamente definite minime in quanto sono variazioni dello spazio-tempo la cui misurazione richiede strumenti sofisticatissimi e, al momento, ce ne sono due (LIGO e Virgo) per avere la conferma che si è trattato di un'onda gravitazionale e non un semplice "disturbo". Sono poi importanti in quanto hanno confermato, una volta misurate, quanto prima solo si teorizzava.
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Ottobre 2024, 18:25:20 PMPoi per rispondere alla domanda sulla velocità di espansione quella mi sa che non c'entra con la produzione di onde gravitazionali,
Direi che c'entra e non c'entra. Premetto, è una mia ignoranza dato che non sono un esperto. Se è vero che lo spazio-tempo è assimilabile a un solido che si espande e contrae impercettibilmente di fronte ad un'onda gravitazionale generata da un elevatissimo rilascio di energia (il computer su cui scrivo, il mio corpo, la Terra e la distanza con il Sole, ecc. si sono impercettibilmente contratti ed espansi e contemporaneamente il tempo ha rallentato e accelerato), mi chiedo quale sia la fonte e la quantità di energia che necessitano per far espandere l'Universo (il panettone) ad una velocità così elevata. Il Big Bang? Certo, sono due eventi relativi a scale completamente diverse. Il primo in un luogo ben preciso, il secondo in tutto l'Universo.
E' solo una riflessione.
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Ottobre 2024, 22:32:35 PML'elastico alla fine si spezza, o meglio si lacera fino a che non rimarrà piu nulla, o forse rimarrà solo il "Nulla".
In questo caso il principio di conservazione dell'energia, che Einstein assimila alla materia, va a farsi benedire?
Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 09:03:03 AMDirei che c'entra e non c'entra. Premetto, è una mia ignoranza dato che non sono un esperto. Se è vero che lo spazio-tempo è assimilabile a un solido che si espande e contrae impercettibilmente di fronte ad un'onda gravitazionale generata da un elevatissimo rilascio di energia (il computer su cui scrivo, il mio corpo, la Terra e la distanza con il Sole, ecc. si sono impercettibilmente contratti ed espansi e contemporaneamente il tempo ha rallentato e accelerato), mi chiedo quale sia la fonte e la quantità di energia che necessitano per far espandere l'Universo (il panettone) ad una velocità così elevata. Il Big Bang? Certo, sono due eventi relativi a scale completamente diverse. Il primo in un luogo ben preciso, il secondo in tutto l'Universo.
E' solo una riflessione.
In genere non si può spingere una analogia fino ad assimilare completamente un termine dell'analogia all'altro.
Se l'universo si espande come un panettone che lievita, non significa che possiamo tagliarne una fetta. :)
Lo spazio è letteralmente uno spazio matematico che in genere non è visualizzabile, se non per analogia ad uno spazio visualizzabile.
La nostra visione si limita allo spazio tridimensionale della nostra esperienza percettiva.
Possiamo visualizzare spazi a un numero minore di dimensioni, ma non superiore a tre.
Nella misura in cui uno spazio a 4 dimensioni si comporta in analogia a uno spazio a tre dimensioni, allora possiamo produrne una visualizzazione posticcia.
La vera assimilazione che facciamo, fuori da ogni analogia, riguarda lo spazio reale e lo spazio matematico, assimilando l'uno a l'altro, e ciò ha grande valenza filosofica.
Non sembra naturale poter fare questa assimilazione, e infatti ci abbiamo messo migliaia di anni per farla, e si tratta comunque solo di una posizione filosofica fra tante, che in particolare è la mia.
Essa di fatto equivale ad aver riconciliato la realtà con l'iperuranio, riducendo i due universi ad uno solo.
I due universi in effetti possono continuare a starsene separati, e questa è la visione filosofica che continua a prevale fra i filosofi di professione, purché sia chiaro che la loro esistenza come universo riposa sulla loro completa indipendenza.
Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 09:03:03 AMmi chiedo quale sia la fonte e la quantità di energia che necessitano per far espandere l'Universo (il panettone) ad una velocità così elevata. Il Big Bang? Certo, sono due eventi relativi a scale completamente diverse. Il primo in un luogo ben preciso, il secondo in tutto l'Universo.
forse l'errore è pensare che fra due possibilità ce ne deve essere una che esclude l altra. In questo caso in effetti è perfettamente ipotizzabile che sia la spinta provocata dall inflazione , sia la spinta provocata da quella che chiamano energia oscura sono entrambe responsabili dell accelerazione dell espansione.
Citazione di: Il_Dubbio il 14 Ottobre 2024, 22:32:35 PMC'è un'altra ipotesi che non conoscevo e ne ho letto qualcosa in questi minuti.
Chiaramente ho cercato qualcosa in riferimento ad una idea che mi era venuta in riferimento a quello che ho detto sull'elastico. Alla fine si strapperà o rimarrà un elastico per sempre?
A quanto pare esiste una teoria che viene chiamata Big Rip, cioè la morte dell'universo per via appunto di questa espansione che sembrerebbe senza fine. Ma forse c'è un limite, alla fine ogni cosa non sarà piu collegata alle altre, le stelle si divideranno dalle galassie, poi i pianeti si divideranno dalle stelle e così via fino a che ogni singola particella sarà distante da un'altra particella. L'elastico alla fine si spezza, o meglio si lacera fino a che non rimarrà piu nulla, o forse rimarrà solo il "Nulla".
L'idea che avevo suggerito in precedenza, quella di Penrose, sull'universo ciclico, si affida proprio a questo scenario, per suggerire che quando tutto sarà finito solo allora quando lo spazio/tempo non esisterà più, sarà possibile un altro big bang.
La cosa inquietante e' che il big rip, cioe' la fine dell'universo a causa della sua espansione, e' solo una morte dell'universo piu' rapida rispetto al big freeze, cioe' al congelamento termodinamico dell'universo.
L'universo,
anche se non fosse, condannato a "morire", insomma a ritornare a uno stato perfettamento omogeneo e inerte a causa della sua stessa espansione (previsione del big rip), pare che sia
comunque condannato a "morire", cioe' a ritornare del tutto omogeneo e inerte, per via dei suoi meri, e continui, e inevitabili, processi termodinamici interni (previsione del big freeze). Tutti i sistemi termodinamici chiusi prima o poi muoiono, e l'universo con ogni probabilita' e', esso stesso, un sistema termodinamico chiuso. Quindi, l'universo prima o poi muore. Rimane solo da stabilire il come e il quando.
Gia' nel mille e ottocento, si era intuito che la termodinamica come teoria fisica implica e predice la fine dell'universo; la moderna teoria del big freeze non fa altro che formalizzare questa intuizione, e definirne bene gli effettivi meccanismi e tempi.
E ben poco consola, che un universo condannato a morire di big freeze, pare che ci impieghi molto, ma molto piu' tempo, in termini di fantatrilioni di anni, a farlo, rispetto a uno condannato a morire di big rip. Uno e' destinato a morire vecchio, l'altro a morire giovane, ma tutti e due destinati a morire sono. E stiamo parlando di teorie che non predicono la fine della vita sulla terra, ma la fine della possibilita' teorica stessa della vita, e in realta' anche di qualsiasi esistenza strutturata o movimento, anche insomma degli oggetti non viventi, in tutto l'universo. Game over: niente stelle, niente pianeti, niente buchi neri, niente atomi, niente dimensioni, niente distanze, niente punti di riferimento, niente di niente, solo, appunto vuoto, vuoto "ovunque"; si prevede che l'universo ritornera' ad essere un brodo primordiale tutto uguale a se stesso. Inutile dire che a queste sopravvenute condizioni, la vita e la coscienza in generale, e non solo la vita sulla terra, sarebbe un filino complicata.
Le uniche cosmologie ottimistiche sono quelle cicliche, di cui quella di Penrose e' solo una tra le tante: dopo la fine, in esse si prevede un nuovo inizio.
La "ciclicita' " puo' essere fisica, cioe' puo' essere un evento reale, come un rimbalzo che forma un nuovo big bang a partire da un universo iper compresso, o un nuovo big bang che si forma, spontaneamente, dal vuoto, dato che il vuoto e' l'unico elemento indistruttibile ed eterno, e' quello che rimane dopo che tutto il resto, pianeti, atomi e compagnia bella e' passato, ed esso, il vuoto, non passa mai.
Il vuoto e' quello che rimane, effettivamente in eterno, a permeare l'universo anche dopo un big freeze o dopo un big rip, quindi,
se il vuoto e' in grado di produrre eventi, ne consegue che ci sono altri eventi, e altri universi possibili, anche dopo un big freeze o dopo un big rip, insomma che il game over da molti previsto, non e' veramente game over.
Ma la ciclicita', puo' essere anche puramente formale e matematica, cioe' cosmologie in cui l'estremo passato e l'estremo futuro dell'universo semplicemente coincidono: quello che da alcuni punti di vista e' l'estremo futuro, di un universo, in cui la vita non e' assolutamente possibile, dato il sopravvenire di un big freeze o di un big rip come fine effettiva degli eventi, da altri punti di vista e' l'estremo passato, cioe' un nuovo big bang, in cui la vita e' possibile e in procinto di sopravvenire, nel "relativo futuro" di un relativo passato.
Le teorie illustrate da niko sono tutte interessanti ed aventi pari dignità in quanto supportate dai relativi modelli matematici.
Provo però a proporre, solo come elemento di riflessione, una "terza via" che rispecchia parte del mio pensiero di fronte agli enigmi che attanagliano l'umanità da sempre.
Vorrete perdonarmi se può apparire una posizione ingenua.
Mi riferisco all'autopoiesi ed a quella branca della Filosofia che è il finalismo.
Come mi insegnate, l'autopoiesi è la capacità di un sistema di "riparare" se stesso. E' un termine ben noto in biologia quando ad esempio si prende come oggetto di studio una cellula. Le cellule del nostro organismo sono costantemente soggette ad autopoiesi, ad iniziare dalla costante riparazione che ha luogo nel DNA. Lo stesso accade in ogni parte della cellula nel corso della sua esistenza (ci sono cellule che hanno una vita di pochi giorni come quelle delle papille gustative, altre che esistono finché siamo in vita come ad es. i motoneuroni). Certo, ovunque abbia luogo la riparazione essa non è completa, altrimenti saremmo immortali. Ma mi chiedo: perché un sistema così complesso prevede l'autopoiesi? Anzi vado ancor più a monte: se prima, nel corso dell'evoluzione filologica, c'era una cellula che non prevedeva l'autopoiesi e dopo, magari quella figlia nata per mitosi o meiosi, ha iniziato ad esistere una cellula che la prevede, come è stato trasmesso il "messaggio" che è meglio possederla? Credo fino ad un certo punto alla teoria darwiniana secondo la quale, a fronte dell'esistenza di entrambe, è sopravvissuta solo quella "dotata": il passaggio dalla non riparazione a quello dell'autopoiesi richiede, oltre ad essere estremamente complesso, un grado di "coscienza" che una singola cellula non possiede. Nulla accade per caso come Darwin vorrebbe farci credere e la sua teoria rimane preda del demone di Lamarck. Ed in tal senso non mi soddisfa neppure la teoria di Santiago secondo la quale "essere significa conoscere".
Se osservo un sistema di qualsivoglia complessità, a fronte di un evento distruttivo e anche di fortissimo impatto, tale sistema ritroverà prima o poi una condizione di equilibrio, non necessariamente, anzi di norma mai, la medesima. Penso a grandi eventi catastrofici: il meteorite che ha colpito la Terra e ne ha distaccato una parte facendola diventare un suo satellite, un altro meteorite che ha eliminato gran parte delle forme di vita esistenti, ecc. A fronte di ciò, se davvero regnasse il Caos ben difficilmente (basta solo accennare al calcolo delle probabilità senza neanche a mettersi a fare dei calcoli) saremmo qui ad esporre i nostri pensieri.
Eppure siamo qui, anche a far danni come il riscaldamento globale. Eppure siamo qui anche ad ammirare una scultura come la Pietà di Michelangelo in cui un uomo, con doti tutt'altro che comuni, ha fissato nella pietra sul volto più bello che si possa concepire, una Donna, la Vergine Maria, il dolore più grave che una madre possa sperimentare come la perdita del Figlio. Siamo davvero solo figli del Caos?
Siamo davvero, e con noi tutto l'Universo, solo un accumulo di atomi diversi (nulla più, e neanche tutti, di quelli illustrati dalla tavola di Mendeleev) opportunamente dosati e disposti?
E se davvero non siamo frutto di pura casualità esiste una Volontà che preveda dunque un certo fine?
Certamente una risposta me la sono data. E certamente questa Volontà non credo abbia la pretesa di guidarci ad ogni piè sospinto altrimenti il libero arbitrio sarebbe sempre e comunque un argomento fuori luogo. Ma ci fornisce la possibilità....come un padre e una madre forniscono ai figli (si spera) una possibilità di vivere serenamente la propria vita. Ben inteso, non ho alcuna intenzione di dimostrare l'esistenza di Dio o di una Volontà suprema dato che non ne ho alcun titolo, anche perché se intendessi spiegare la Fede con la Ragione avrei perso in partenza.
Se dunque l'Universo è destinato al vuoto, a scomparire, mi chiedo: perché? E' una domanda da filosofo che non sono.
Mi scuso per la lunghezza del mio scritto e ringrazio chi avrà la pazienza di leggerlo.
Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 17:15:56 PMCredo fino ad un certo punto alla teoria darwiniana secondo la quale, a fronte dell'esistenza di entrambe, è sopravvissuta solo quella "dotata": il passaggio dalla non riparazione a quello dell'autopoiesi richiede, oltre ad essere estremamente complesso, un grado di "coscienza" che una singola cellula non possiede. Nulla accade per caso come Darwin vorrebbe farci credere e la sua teoria rimane preda del demone di Lamarck.
Posto che io non ho nulla da insegnarti sull'autopiesi, perchè sei il primo da cui ne sento dire....:).....
.....anche io credo che nulla accada per caso, ma in effetti secondo me se pure l'ipotesi del caso funziona nella teoria di Darwin, essa è ridondante, in quanto è sufficiente una ''simulazione'' del caso.
Questa eventuale mancanza del ''puro'' caso, bastando una sua simulazione, non equivale quindi alla necessità dell'azione di una coscienza , seppure il caso possa essere pure coscientemente simulato, lanciando ad esempio dei dadi.
Semplicemente gli esseri viventi hanno diversi possibili modi di rapportarsi con la realtà, e uno di questi è il modo cosciente.
Inoltre diversi modi possono essere usati insieme non essendovi incompatibilità fra di loro.
Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 17:15:56 PMEd in tal senso non mi soddisfa neppure la teoria di Santiago secondo la quale "essere significa conoscere".
Mizzica, pure Santiago mi devo andare studiare ora? :))
Essere non significa conoscere, ma non si può divenire senza conoscere, laddove per conoscenza non intendo necessariamente un processo cosciente, per quanto in seguito possa diventarlo, ma intendo che se l'essere è vivente la vita gli lascia dei segni, anche quando non si tratta ancora dei simboli con cui l'essere cosciente descrive la realtà che vive.
Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 17:15:56 PMSiamo davvero solo figli del Caos?
Se il caos è un altro nome del caso, noi non ne siamo figli, perchè il caos non esiste come non esiste il caso, anche quando ci appaiono.
Le cose non esistono in quanto ci appaiono, perchè non siamo noi gli addetti alla verifica dell'essere, anche se possiamo presumerne l'esistenza a seguito della sua apparenza.
Su questa presunzione però non ci fonderei sopra la realtà, o almeno non lo farei senza prevedere ristrutturazioni continue a relativa breve scadenza, cioè, non sò se posso dire, una specie di autopoiesi della conoscenza , usando un concetto appreso testè. :)
La conoscenza rinnovandosi rimane conoscenza, se non ha un fine, come io credo non abbia, ma semmai una funzione.
Per la conoscenza io credo possa valere il detto ''chi si ferma è perduto'' o forse è solo che questo concetto, nuovo per me dell'autopoiesi, ha stimolato oltremodo i miei neuroni, e qui mi fermo quindi per non andare fuori giri.
Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 17:15:56 PMLe teorie illustrate da niko sono tutte interessanti ed aventi pari dignità in quanto supportate dai relativi modelli matematici.
Provo però a proporre, solo come elemento di riflessione, una "terza via" che rispecchia parte del mio pensiero di fronte agli enigmi che attanagliano l'umanità da sempre.
Vorrete perdonarmi se può apparire una posizione ingenua.
Mi riferisco all'autopoiesi ed a quella branca della Filosofia che è il finalismo.
Come mi insegnate, l'autopoiesi è la capacità di un sistema di "riparare" se stesso. E' un termine ben noto in biologia quando ad esempio si prende come oggetto di studio una cellula. Le cellule del nostro organismo sono costantemente soggette ad autopoiesi, ad iniziare dalla costante riparazione che ha luogo nel DNA. Lo stesso accade in ogni parte della cellula nel corso della sua esistenza (ci sono cellule che hanno una vita di pochi giorni come quelle delle papille gustative, altre che esistono finché siamo in vita come ad es. i motoneuroni). Certo, ovunque abbia luogo la riparazione essa non è completa, altrimenti saremmo immortali. Ma mi chiedo: perché un sistema così complesso prevede l'autopoiesi? Anzi vado ancor più a monte: se prima, nel corso dell'evoluzione filologica, c'era una cellula che non prevedeva l'autopoiesi e dopo, magari quella figlia nata per mitosi o meiosi, ha iniziato ad esistere una cellula che la prevede, come è stato trasmesso il "messaggio" che è meglio possederla? Credo fino ad un certo punto alla teoria darwiniana secondo la quale, a fronte dell'esistenza di entrambe, è sopravvissuta solo quella "dotata": il passaggio dalla non riparazione a quello dell'autopoiesi richiede, oltre ad essere estremamente complesso, un grado di "coscienza" che una singola cellula non possiede. Nulla accade per caso come Darwin vorrebbe farci credere e la sua teoria rimane preda del demone di Lamarck. Ed in tal senso non mi soddisfa neppure la teoria di Santiago secondo la quale "essere significa conoscere".
Se osservo un sistema di qualsivoglia complessità, a fronte di un evento distruttivo e anche di fortissimo impatto, tale sistema ritroverà prima o poi una condizione di equilibrio, non necessariamente, anzi di norma mai, la medesima. Penso a grandi eventi catastrofici: il meteorite che ha colpito la Terra e ne ha distaccato una parte facendola diventare un suo satellite, un altro meteorite che ha eliminato gran parte delle forme di vita esistenti, ecc. A fronte di ciò, se davvero regnasse il Caos ben difficilmente (basta solo accennare al calcolo delle probabilità senza neanche a mettersi a fare dei calcoli) saremmo qui ad esporre i nostri pensieri.
Eppure siamo qui, anche a far danni come il riscaldamento globale. Eppure siamo qui anche ad ammirare una scultura come la Pietà di Michelangelo in cui un uomo, con doti tutt'altro che comuni, ha fissato nella pietra sul volto più bello che si possa concepire, una Donna, la Vergine Maria, il dolore più grave che una madre possa sperimentare come la perdita del Figlio. Siamo davvero solo figli del Caos?
Siamo davvero, e con noi tutto l'Universo, solo un accumulo di atomi diversi (nulla più, e neanche tutti, di quelli illustrati dalla tavola di Mendeleev) opportunamente dosati e disposti?
E se davvero non siamo frutto di pura casualità esiste una Volontà che preveda dunque un certo fine?
Certamente una risposta me la sono data. E certamente questa Volontà non credo abbia la pretesa di guidarci ad ogni piè sospinto altrimenti il libero arbitrio sarebbe sempre e comunque un argomento fuori luogo. Ma ci fornisce la possibilità....come un padre e una madre forniscono ai figli (si spera) una possibilità di vivere serenamente la propria vita. Ben inteso, non ho alcuna intenzione di dimostrare l'esistenza di Dio o di una Volontà suprema dato che non ne ho alcun titolo, anche perché se intendessi spiegare la Fede con la Ragione avrei perso in partenza.
Se dunque l'Universo è destinato al vuoto, a scomparire, mi chiedo: perché? E' una domanda da filosofo che non sono.
Mi scuso per la lunghezza del mio scritto e ringrazio chi avrà la pazienza di leggerlo.
Proprio perche' la nostra esistenza e' una possibilita' amorfa e impersonale della natura, ha senso interessarcene e cercare di migliorala.
La nostra vita e' una cosa prodotta dallo sfondo, sta li', e' una conseguenza certa di cause certe, ma anche, senza nessuna metafisica, anzi in negazione di ogni possibile metafisica, una conseguenza eterna di cause eterne.
Non ha molto senso fregarsene... e' come se dovessimo vivere e rivivere infinite volte. La natura non e' moralistica: succede una cosa? Passa un aereo, miagola il gatto? Cio' dimostra che quella tal cosa puo' succedere. E' questa, la prima lezione da imparare. Appartiene allo sfondo e al ricorrere delle giuste cause... zac! In quanto conseguenza di esse, essa scatta. Se vogliamo, e' come una trappola, e' inevitabile. Noi pure, siamo questa roba qui. Non siamo diversi dalle altre cose e dagli altri eventi.
Vale la pena di interessarsene anche senza nessun senso recondito e senza nessuna metafisica. Perche' se la nostra vita e' senza gioia, questo non e' un problema per la natura, e' un problema per noi. Siamo molto piu' che eterni. Siamo in agguato sullo sfondo, siamo inevitabili.
Citazione di: iano il 15 Ottobre 2024, 18:02:29 PMPosto che io non ho nulla da insegnarti sull'autopiesi, perchè sei il primo da cui ne sento dire....:).....
.....anche io credo che nulla accada per caso, ma in effetti secondo me se pure l'ipotesi del caso funziona nella teoria di Darwin, essa è ridondante, in quanto è sufficiente una ''simulazione'' del caso.
Questa eventuale mancanza del ''puro'' caso, bastando una sua simulazione, non equivale quindi alla necessità dell'azione di una coscienza , seppure il caso possa essere pure coscientemente simulato, lanciando ad esempio dei dadi.
Semplicemente gli esseri viventi hanno diversi possibili modi di rapportarsi con la realtà, e uno di questi è il modo cosciente.
Inoltre diversi modi possono essere usati insieme non essendovi incompatibilità fra di loro.
Per come la penso io, con tutti i miei limiti, la teoria darwiniana ci insegna che le specie viventi si sono evolute da forme "semplici" in forme sempre più complesse e maggiormente capaci di adattarsi all'ambiente circostante. E' stata più di una rivoluzione copernicana in quanto prima di essere formulata vigeva il fissismo, risalente ad Aristotele, secondo il quale le specie viventi così come osservabili erano sempre esistite sia pur con evoluzioni ontologiche davvero minime. Lamarck poi asseriva che le mutazioni delle specie erano per lo più dettate dall'ambiente (mi viene in mente ad esempio la pinna di una balena la cui struttura ossea ricorda una mano) piuttosto che un procedere dell'evoluzione per tentativi ed errori; ed infatti, anche nel dominio della flora, non si è mai assistito alla nascita di forme "mostruose" derivanti da un "assemblaggio" mal riuscito e soprattutto incapace di adattarsi all'ambiente di riferimento.
Ciò che non accetto nella teoria darwiniana, ma sono un ignorante, è l'attribuzione al Caso di questo lungo processo ontologico di adattamento all'ambiente. Ed evidentemente non sono l'unico se è vero che in Biologia si parla del demone di Lamarck che insidia, o secondo me compendia, la teoria darwiniana, come le più recenti scoperte nel campo dell'eugenetica ci insegnano.
Il fatto poi che tra tutte le specie viventi sussista un diverso grado di "coscienza" è un dato di fatto. Ad iniziare proprio dalla cellula che è il mattone fondamentale di un organismo vivente. Infatti, mi chiedo, le primissime forme di vita che erano unicellulari
perché ad un certo punto hanno "sentito l'esigenza" di duplicarsi creando cellule figlie? Avrebbero potuto benissimo vivere serenamente il loro ciclo di vita e amen. Basti conoscere i processi di mitosi e meiosi per riflettere un attimo sulla loro complessità per poterle ascrivere al Caso. La si può denominare "coscienza"? Secondo me, nella mia ingenuità, si. Il come, dove e quando ciò è successo spetta alla Scienza scoprirlo, il
perché alla Filosofia.
Citazione di: iano il 15 Ottobre 2024, 18:19:07 PMMizzica, pure Santiago mi devo andare studiare ora? :))
Essere non significa conoscere, ma non si può divenire senza conoscere, laddove per conoscenza non intendo necessariamente un processo cosciente, per quanto in seguito possa diventarlo, ma intendo che se l'essere è vivente la vita gli lascia dei segni, anche quando non si tratta ancora dei simboli con cui l'essere cosciente descrive la realtà che vive.
La Teoria di Santiago ha avuto la pretesa, secondo la mia modestissima opinione davvero mal riuscita, di risolvere l'eterno dilemma anima-corpo, dove finisce l'uno e dove inizia l'altro. In pratica asserisce che non c'è un dilemma dato che l'uno coincide con l'altro. Piuttosto che il silenzio ha avuto il pregio di essere una proposta piuttosto che una Teoria degna di tal nome. Ma l'ho citata in quanto sul dualismo anima-corpo nessuno si era più pronunciato dai tempi di Cartesio che sosteneva che l'ipofisi ne è il punto di congiunzione dato che è una struttura unica rispetto alle altre strutture encefaliche che sono discernibili tra destra e sinistra.
Per coscienza, gentile iano, intendo la capacità di una forma vivente di percepire se stesso e l'ambiente circostante. E' il primissimo passo verso l'intelligenza (che non è semplicemente misurabile con il QI come quasi tutti credono oggi dì) bensì la capacità di misurarsi ed interagire con l'ambiente circostante al fine di ottenere un miglior adattamento. Se i virus non fossero formalmente catalogabili come una forma vivente sarebbero gli esseri più intelligenti.
Citazione di: iano il 15 Ottobre 2024, 18:28:37 PMSe il caos è un altro nome del caso, noi non ne siamo figli, perchè il caos non esiste come non esiste il caso, anche quando ci appaiono.
Le cose non esistono in quanto ci appaiono, perchè non siamo noi gli addetti alla verifica dell'essere, anche se possiamo presumerne l'esistenza a seguito della sua apparenza.
Su questa presunzione però non ci fonderei sopra la realtà, o almeno non lo farei senza prevedere ristrutturazioni continue a relativa breve scadenza, cioè, non sò se posso dire, una specie di autopoiesi della conoscenza , usando un concetto appreso testè. :)
La conoscenza rinnovandosi rimane conoscenza, se non ha un fine, come io credo non abbia, ma semmai una funzione.
Per la conoscenza io credo possa valere il detto ''chi si ferma è perduto'' o forse è solo che questo concetto, nuovo per me dell'autopoiesi, ha stimolato oltremodo i miei neuroni, e qui mi fermo quindi per non andare fuori giri.
Qui entriamo in un campo davvero insidioso.
Il caso davvero non esiste? Prendiamo in considerazione il classico lancio del dado: a fronte di un possibile esito desiderato ci sono complessivi sei esiti osservabili (tralasciando quello in cui il dado rimane in equilibrio su uno spigolo, improbabile ma non impossibile) tutti equiprobabili. Acquisisco una conoscenza nel momento in cui affermo che la probabilità che abbia luogo l'evento desiderato è pari a un sesto. Ma il fatto che sia uscito l'uno piuttosto che il quattro è dettato dal caso nel momento in cui ho piena certezza che il dado è perfetto, privo cioè di qualsivoglia microscopico difetto che lo faccia ribaltare su un lato piuttosto che su un altro. Nel lancio del dado ci sono sufficienti i primi rudimenti del calcolo delle probabilità per acquisire una certa conoscenza sul fenomeno osservato.
Se andiamo però su un evento più complesso necessitano, ammesso che li possediamo, strumenti significativamente più importanti. Affidandomi alla matematica, che è il linguaggio principe della scienza, devo individuare
tutte le variabili dipendenti e indipendenti che possono influire anche in misura la più infinitesimale nell'evento osservato, dando loro un nome (x, y, z, ecc.). Da buon sperimentatore di laboratorio identifico e isolo quelle indipendenti indesiderate, rimuovendole così dall'evento ed evitando così possano influire su quelle dipendenti. Ammesso riesca in questo compito, cosa che non accade
mai, a seguito di n osservazioni individuo un'equazione capace di descrivere perfettamente il fenomeno studiato. A quel punto, grazie a questa equazione sarò sempre e ovunque capace di prevedere questo evento.
Soffermandomi con la veste di ricercatore sul risultato ottenuto ho descritto un mondo che funziona in maniera deterministica: a causa segue quell'effetto. Nulla, come si suol dire, è stato lasciato al caso.
Come dici tu, gentile iano, possiamo fondarci sopra la realtà? Semplicemente no. Basti pensare al principio di indeterminazione. Certo, ne sappiamo più di prima ma non possediamo la Verità ultima e incontrovertibile. Le "ristrutturazioni" della conoscenza, come tu le definisci, sono il succedersi dei paradigmi che meglio descrivono quel fenomeno (Einstein chiese scusa sulla tomba di Newton per aver proposto un nuovo paradigma che sostituisse il suo).
La conoscenza dell'Uomo ha un suo fine: quello di ridurre l'angoscia derivante dal divenire. E come funzione quella di consentire un miglior adattamento dell'Uomo all'ambiente in cui è immerso.
La Scienza ha la pretesa di sostituirsi, a torto o a ragione, alla Filosofia in questo infinito cammino.
Citazione di: niko il 15 Ottobre 2024, 21:24:22 PMLa nostra vita e' una cosa prodotta dallo sfondo, sta li', e' una conseguenza certa di cause certe, ma anche, senza nessuna metafisica, anzi in negazione di ogni possibile metafisica, una conseguenza eterna di cause eterne.
Gentile niko, aiutami per favore a capire meglio il tuo pensiero.
Se non esiste alcuna metafisica, nessuna episteme, è ragionevole affidarsi esclusivamente al divenire.
Se però lo sfondo da cui proveniamo è una
causa eterna che costituisce il prodromo da cui origina la nostra esistenza devo necessariamente prendere in considerazione "un qualcosa" che si situi al di fuori del Divenire.
Grazie
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 09:07:58 AMPer come la penso io, con tutti i miei limiti, la teoria darwiniana ci insegna che le specie viventi si sono evolute da forme "semplici" in forme sempre più complesse e maggiormente capaci di adattarsi all'ambiente circostante.
Darwin preferiva al fuorviante termine ''evoluzione'' trasmutazione, che non comporta una finalità, di cui come esempio possiamo prendere appunto la crescita di complessità, cioè che la finalità dell'evoluzione sia ad esempio la crescita di complessità, complessità che comunque non equivale ad un maggior potenziale adattativo, come proverò a dimostrare alla fine di questo post.
il problema è che la conoscenza deve ricorrere necessariamente alle semplificazioni della realtà per poterla descrivere, ma quando successivamente ci si dimentica delle semplificazioni, o non se ne ha coscienza a priori, la conoscenza da semplificata diviene semplicistica.
Quindi, se ci pensi, non sembra ovvio che noi si parta con l'intenzione di descrivere l'evoluzione delle specie, ma bensì le dinamiche della vita, e la prima cosa che notiamo è che la vita è composta di individui generalmente diversi uno dall'altro.
Descrivere le dinamiche di questa complessità appare subito impossibile.
Dovremo quindi raggruppare gli individui in sottoinsiemi, di modo che la descrizione che vogliamo attuare sia possibile.
Per cui se Darwin già preferiva parlare di trasmutazione e non di evoluzione, io preferirei parlare di di dinamiche della vita descrivibili necessariamente attraverso le specie in cui possiamo raggruppare gli individui secondo criteri che per quanto possano apparire stringenti, come se venissero da sole incontro alle nostre esigenze descrittive, restano comunque sostanzialmente arbitrari, per cui fra tutti i impossibili sceglieremo quelli che riterremo più convenienti.
E' veramente tanta la carne che abbiamo messo al fuoco, quindi ho scelto questo argomento fra tutti perché è quello che mi preme di più, riguardante la conoscenza in generale, laddove ho preso ad esempio l'evoluzione delle specie come caso particolare, per esternare un problema comune ad ogni descrizione della realtà.
Per chiudere il discorso si può dimostrare con argomenti logici che la finalità della vita non può essere la complessità, perseguendo essa piuttosto la diversità, e questa diversità comporterà necessariamente individui diversi sotto ogni possibile aspetto, compresa la complessità, a cui quindi non bisogna dare un valore diverso dagli altri, nella misura in cui ognuno è portatore di diversità.
Se quindi noi questo maggior valore diamo, allora ciò non può che derivare da un pregiudizio.
Il vero valore dunque è nella diversità, se essa equivale per la vita a possedere a priori una soluzione per ogni problema che dovrà affrontare, senza necessità di doverlo prevedere, cosa che può fare quindi senza possedere ''necessariamente'' una coscienza, il che non vuol dire che la coscienza non possa essere utile al processo vitale, ma che non è appunto una condizione necessaria , e che in quanto non necessaria non merita un attribuzione speciale di valore.
Al contempo concordo comunque con te che non c'è motivo di non associare la coscienza alla vita, seppur ogni individuo la possieda in diverso grado.
Sicuramente fare questa associazione, male che vada, è una semplificazione ''illuminante'' per le nostre necessità descrittive.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 10:50:31 AMDovremo quindi raggruppare gli individui in sottoinsiemi, di modo che la descrizione che vogliamo attuare sia possibile.
Nelle scienze psicologiche applicate la categorizzazione è un processo che deriva dalle nostre limitate capacità cognitive. Tale processo ha dei pro e dei contro. Tra i pro si può senz'altro annoverare il fatto che è decisamente più semplice studiare una categoria piuttosto che un semplice individuo e garantisce al tempo stesso il processo di deduzione che porta ad inferire determinate proprietà alla categoria ma non necessariamente agli individui che la compongono. Per contro si perde la specificità del singolo individuo il quale, una volta inserito in una data categoria, acquisisce di fatto le proprietà generiche di quella categoria e perde quelle sue peculiari, uniche. Peraltro lo studio del singolo, ma dipende dal campo di applicazione, risulta fine a se stesso, è autoreferenziale. Siamo quindi pienamente d'accordo anche perché, in questa chiave, attribuire le proprietà generiche della categoria all'individuo (che di per se non necessariamente le possiede) crea i prodromi per il pregiudizio.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 10:50:31 AMla finalità della vita non può essere la complessità
Sono assolutamente d'accordo. La crescente complessità è, mi sia consentito, un arricchimento della "cassetta degli attrezzi" che una forma di vita porta con se per meglio adattarsi all'ambiente di riferimento.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 10:50:31 AMperseguendo essa piuttosto la diversità, e questa diversità comporterà necessariamente individui diversi sotto ogni possibile aspetto, compresa la complessità, a cui quindi non bisogna dare un valore diverso dagli altri, nella misura in cui ognuno è portatore di diversità
Pensare al fatto che siamo forme di vita uniche, tralasciando alcune riflessioni quantistiche che prevedono un doppione di tutto ubicato chissà dove, che mai sono esistite, esistono o esisteranno è qualcosa che desta una meraviglia incredibile!!
C'è chi dice che ad un certo punto bisogna superare l'età dei perché ma personalmente non posso non pormi dei quesiti: perché siamo unici?
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 11:31:56 AMperché siamo unici?
Direi che l'unicità ha un suo perchè indiretto, essendo essa implicita nella diversità, la quale come ho provato a dire ha un suo perchè.
Hawking propone un universo senza un origine definita nel tempo , secondo la sua teoria si può anche affermare che l'universo non è sempre esistito. è corretto allora dire che l'universo ha creato se stesso?
io preferirei dire che l'universo dello spazio/tempo e materia è internamente coerente e autosufficente. La sua esistenza non richiede nulla al di fuori di esso , e in particolare non è stato necessario nessun primo motore. Questo significa che l esistenza dell'universo può essere spiegata scientificamente senza bisogno di Dio? in altre parole, possiamo considerare l'universo come un sistema chiuso , che contiene in sé la ragione della propia esistenza?
Dipende dal significato che attribuiamo alla parola "spiegazione" . Perchè se date le leggi della fisica , l'universò è in grado di badare a se stesso e anche della propia creazione ci si può domandare a buon ragione da dove vengono queste leggi. non richiedono , a loro volta, una spiegazione?
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 11:31:56 AMSono assolutamente d'accordo. La crescente complessità è, mi sia consentito, un arricchimento della "cassetta degli attrezzi" che una forma di vita porta con se per meglio adattarsi all'ambiente di riferimento.
Si, però non sono certo che ci siamo del tutto capiti.
Si può in effetti discutere se la maggior complessità comportando maggior coscienza, comporti un vantaggio adattativo, che sarebbe quindi da attribuire solo indirettamente alla complessità.
Però di base la semplicità, non meno che la complessità, sono impliciti nella diversità. cioè il diverso grado di complessità è uno dei tanti possibili portatori di diversità.
Ma alla fine a cosa porta di fatto la coscienza?
A un libero arbitrio che comporta scelte imprevedibili allo stesso individuo che le fà, cioè ad un rafforzamento della causa dell'evoluzione , cioè del caso, anche se per me è solo un caso di fatto, cioè una sua simulazione, come una sua simulazione . insisto su questo, è il lancio di un dado.
La dinamica a cui sottosta il lancio di un dado è imprevedibile perchè noi l'abbiamo resa volutamente tale costruendo un dado dalle caratteristiche simmetriche, da cui la stessa probabilità di uscita di una faccia piuttosto che dell'altra.
Il dado obbedisce a determinate cause che noi vogliamo ignorare, o che ci siamo messi nella condizione di non poter determinare volutamente, per simulare il caso, il quale anche quando non volutamente simulato, non esiste comunque in forma pura.
O quantomeno non credo sia saggio basare una teoria su qualcosa la cui esistenza è indimostrabile, se comunque possediamo in subordine qualcosa che avendo lo stesso effetto possa dimostrarsi, ciò che ho chiamato simulazione del caso.
Sembrerebbe una questione di lana caprina, se non fosse che ipotesi fatte nell'ambito di una teoria diventino verità di fatto valevoli per ogni teoria, ciò che porta poi alle nostre domande esistenziali prive di risposta.
Personalemente non ammetto nessuna verità se non a raggio limitato, verità che valgono in ambiti limitati che però tendiamo poi impropriamente ad universalizzare, facendole diventare verità assolute.
Citazione di: Alberto Knox il 16 Ottobre 2024, 11:43:38 AMHawking propone un universo senza un origine definita nel tempo , secondo la sua teoria si può anche affermare che l'universo non è sempre esistito. è corretto allora dire che l'universo ha creato se stesso?
io preferirei dire che l'universo dello spazio/tempo e materia è internamente coerente e autosufficente. La sua esistenza non richiede nulla al di fuori di esso , e in particolare non è stato necessario nessun primo motore. Questo significa che l esistenza dell'universo può essere spiegata scientificamente senza bisogno di Dio? in altre parole, possiamo considerare l'universo come un sistema chiuso , che contiene in sé la ragione della propia esistenza?
Dipende dal significato che attribuiamo alla parola "spiegazione" . Perchè se date le leggi della fisica , l'universò è in grado di badare a se stesso e anche della propia creazione ci si può domandare a buon ragione da dove vengono queste leggi. non richiedono , a loro volta, una spiegazione?
E' possibile che l'universo non abbia una origine, ma che sia soggetto a continui passaggi di stato.
Se noi abbiamo la presunzione di poter riconoscere ognuno di questi stati come tale, nel momento in cui l'universo si presenta in uno stato che non riconosceremo come tale, scambieremo quello stato per la sua origine.
In genere tendiamo ad attribuire spontaneità agli eventi le cui cause restano a noi così nascoste da farci credere che non ci siano .
Non è così antica in fondo la credenza che i vermi nascessero nella melma per generazione spontanea.
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 10:03:12 AMGentile niko, aiutami per favore a capire meglio il tuo pensiero.
Se non esiste alcuna metafisica, nessuna episteme, è ragionevole affidarsi esclusivamente al divenire.
Se però lo sfondo da cui proveniamo è una causa eterna che costituisce il prodromo da cui origina la nostra esistenza devo necessariamente prendere in considerazione "un qualcosa" che si situi al di fuori del Divenire.
Grazie
Noi, siamo un evento che succede per cause deteministiche, ma abbiamo diciamo cosi', "interesse" a che tale evento ci renda felici, e non tristi.
Con il corso della nostra vita, stiamo "scrivendo" una verita' naturale non metafisica.
Come una equazione della fisica, o un grafico, che descrive un evento. L'evento della nostra vita.
Ma cio' significa che la posta in gioco e' ancora piu' alta, di quelle solitamente previste dai punti di vista sul mondo metafisici, non piu' bassa.
Le verita' metafisiche sono "emendabili".
Quelle naturali no.
Se va' bene, va' bene. Se va' male va' male. Se va' cosi' cosi' va' cosi' cosi'.
Ma sempre e comunque, e' come se dovessimo vivere non tanto "in eterno" ma "infinite volte".
Il verificarsi di un evento, non cancella l'equazione che lo descrive.
L'equazione che descrive la caduta di una pallina da un tavolo, se ben scritta, va bene per mille o diecimila cadute di pallina, a parita' di condizioni iniziali.
Non e' che quell'evento, e' andato via per sempre, perche' ormai si e' verificato.
L'equazione che lo descrive, continua ad essere una corretta espressione di una legge della natura, insomma, continua a far parte dello sfondo. Continua a valere anche quando lo sfondo, quello stesso sfondo, venga riempito, e sovrapposto, di cose e situazioni, completamente diverse. Che pero', il ritorno della situazione "pallina che cade dal tavolo" correttamente descritta dalla nostra equazione, non escludono. Sono semplicemente cose ed eventi diversi, descritti e descrivibili, da equazioni, diverse. L'effetto, come correttamente gia' pensavano molti antichi, non esaurisce la causa.
Questo significa che il nostro bene, ha una valenza infinita, e il nostro male, pure, una valenza infinita.
Perche' la nostra vita e' una generica e impersonale possibilita' della natura, ma anche tutto cio' che abbiamo, l'unica possibilita' che espriremo e siamo in grado di esperire.
Non c'e' bisogno di superare causalita' e determinismo, per trovare il senso della vita. Il senso delle vita, la ragione per lottare e' (gia') data, da causalita' e determinismo. Chi ha "buone" cause, o meglio, diciamo cosi', di "fortunate", stara bene per sempre, chi ne ha di cattive, o meglio, di sfortunate, stara' male per sempre. La cosa comunque, non puo' non riguardarci. La inevitabilita', di quello che siamo, e' anche l'intelligibilita' di cio' che genericamente ci descrive, e quindi, la nistra eternita'.
Deleterio semmai, e volerne appiccicare altri, di sensi, alla situazione esistenziale reale, dell'uomo.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 12:30:51 PMIn genere tendiamo ad attribuire spontaneità agli eventi le cui cause restano a noi così nascoste da farci credere che non ci siano proprio.
l idea dell esistenza di un universo senza una causa prima esterna non deve più essere considerata in contrastro con le leggi della fisica . Questa conclusione si basa , in particolare, sull applicazione della fisica quantistica alla cosmolgia. Date le leggi , l' esistenza dell universo non è in sé miracolosa . Questo fa sembrare che le leggi della fisica agiscano come "fondamento dell essere" dell universo. Ora che si sono fatti numerosi progressi nel campo della fisica e della cosmologia , in seguito alle scoperte che si ritiene essere " leggi ultime dell universo" tornano a galla molti vecchi interrogativi .
Perchè le leggi hanno la forma che hanno? avrebbero potuto essere diverse? da dove hanno origine ? esistono indipendentemente dall universo fisico?
Citazione di: Alberto Knox il 16 Ottobre 2024, 12:51:20 PMPerchè le leggi hanno la forma che hanno? avrebbero potuto essere diverse? da dove hanno origine ? esistono indipendentemente dall universo fisico?
Perchè fra le diverse forme possibili noi scegliamo ''la nostra''.
Ma se diverse sono le forme possibili nessuna di esse è la forma dell'universo, ma ogni possibile forma è una sua manifestazione.
Che si possa considerarsi il succedersi di una forma all'altra come un processo che tende a una conoscenza perfetta però lo escluderei, finché questa conoscenza, dipendendo da noi , dal modo in cui noi si manifesta l'universo a noi, intesi come specie, e non ad altri, non può essere assoluta.
A prima vista la nuova teoria smentisce la precedente, però perchè ciò sia dimostrabile occorrerebbe che le due versioni parlassero ''la stessa lingua'', perchè diversamente la crescita sta nel linguaggio col quale descriviamo la realtà.
Non esistono teorie rivoluzionarie dietro alle quali a priori non vi sia una rivoluzione del linguaggio.
Non conta l'osservazione in se in assoluto, se dipende dalle nostre relative capacita osservative che nel tempo mutano.
Essere giunti alla legge finale equivale a dire che noi siamo giunti alla fine dell'evoluzione osservativa, e nella misura in cui la vita è mutazione, potremmo dirci defunti o, il che è lo stesso, trasferiti in un paradiso dove altro non potremo fare che rimirare l'eterna verità.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 11:54:07 AMse la maggior complessità comportando maggior coscienza
Sicuramente mi sono espresso male e me ne scuso.
A mio avviso la maggior complessità non implica una maggior coscienza bensì una maggior conoscenza, intesa questa come capacità di miglior adattamento all'ambiente. Una forma di vita unicellulare ha indubbiamente una capacità di adattamento inferiore rispetto ad una forma di vita pluricellulare.
Grazie poi alle Tue parole mi sono reso conto che forse al termine "diversità" attribuisco un significato limitato, riduttivo, quasi meccanicistico se paragonato al tuo. Per come la vedo io la diversità origina nel momento in cui una forma di vita unicellulare, la più "semplice", inizia a riprodursi. La cellula "figlia", per i processi di mitosi/meiosi così come li conosciamo oggi, sarà necessariamente diversa in quanto c'è stato un rimescolamento del DNA. E questo
senza che l'ambiente circostante sia intervenuto. A maggior ragione in un organismo pluricellulare dove sussiste una diversificazione tra le cellule a seconda del compito che sono chiamate a svolgere per garantire un miglior adattamento all'ambiente dell'organismo stesso. C'è poi l'autopoiesi che è in grado di correggere, limitatamente, non tutti, gli errori che si verificano nell'organismo a seguito delle reazioni chimiche che si succedono al suo interno o conseguentemente ai fattori mutageni che provengono dall'ambiente circostante. L'errore residuo farà si che l'organismo continui a svolgere una determinata funzione ma magari in maniera diversa (ad es. una diversa pigmentazione delle piume di un uccello in una determinata parte del corpo), oppure sarà comunque devastante per l'intero organismo. Solo la tecnica CRISPR consentirà, mi auguro a breve termine, di correggere la singola base azotata del DNA anziché una porzione dello stesso grazie all'autopoiesi. Ma il primo caso, la diversa funzionalità dell'organismo, ingenera la diversità. E' un'ingegneria genetica endemica.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 11:54:07 AMMa alla fine a cosa porta di fatto la coscienza?
A un libero arbitrio che comporta scelte imprevedibili allo stesso individuo che le fà
A mio modestissimo avviso la maggior coscienza di se stesso e dell'ambiente da cui lo stesso non può mai prescindere, dovrebbe portare l'organismo complesso ad una maggior capacità di scegliere le azioni da intraprendere o meno in senso adattivo, quindi meglio ponderate anche se le cronache quotidiane sembrano dirci che accade il contrario.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 11:54:07 AMIl dado obbedisce a determinate cause che noi vogliamo ignorare, o che ci siamo messi nella condizione di non poter determinare volutamente, per simulare il caso, il quale anche quando non volutamente simulato, non esiste comunque in forma pura.
O quantomeno non credo sia saggio basare una teoria su qualcosa la cui esistenza è indimostrabile, se comunque possediamo in subordine qualcosa che avendo lo stesso effetto possa dimostrarsi, ciò che ho chiamato simulazione del caso.
Sono assolutamente d'accordo. Come ho provato a dire sopra, è di fatto impossibile individuare e isolare tutte le variabili indipendenti che intervengono nel lancio di un dado (imperfezione dello stesso, temperatura e umidità dell'ambiente, presenza dell'osservatore, ecc.). Non per questo ci si esime dal generalizzare la previsione (teoria) ricavata dalle osservazioni eseguite (ma se non lo facessimo saremmo ancora "al palo"). Come giustamente asseriva Severino la situazione di laboratorio non potrà mai replicare quella esistente in natura. Quindi esisterà sempre un certo grado di imperfezione: da capire se accettabile o meno. Peraltro una qualsiasi branca della Scienza pone le sue basi su assiomi e postulati che, per definizione, non sono dimostrabili ma immanentemente considerati veri a priori.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 13:35:00 PMPerchè fra le diverse forme possibili noi scegliamo ''la nostra''.
Ma se diverse sono le forme possibili nessuna di esse è la forma dell'universo, ma ogni possibile forma è una sua manifestazione.
Che si possa considerarsi il succedersi di una forma all'altra come un processo che tende a una conoscenza perfetta però lo escluderei, finché questa conoscenza, dipendendo da noi , dal modo in cui noi si manifesta l'universo a noi, intesi come specie, e non ad altri, non può essere assoluta.
A prima vista la nuova teoria smentisce la precedente, però perchè ciò sia dimostrabile occorrerebbe che le due versioni parlassero ''la stessa lingua'', perchè diversamente la crescita sta nel linguaggio col quale descriviamo la realtà.
Non esistono teorie rivoluzionarie dietro alle quali a priori non vi sia una rivoluzione del linguaggio.
Non conta l'osservazione in se in assoluto, se dipende dalle nostre relative capacita osservative che nel tempo mutano.
Essere giunti alla legge finale equivale a dire che noi siamo giunti alla fine dell'evoluzione osservativa, e nella misura in cui la vita è mutazione, potremmo dirci defunti o, il che è lo stesso, trasferiti in un paradiso dove altro non potremo fare che rimirare l'eterna verità.
Ho già espresso molte volte la mia opinione secondo cui le leggi della natura siano reali , verità oggettive sull universo , e che noi più che inventarle le scopriamo. Ma tutte le leggi fondamentali hanno una forma matematica. Capire perchè le cose stanno così è una questione importante e sottile che richiede un indagine sulla natura della matematica.
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 17:17:32 PMA mio modestissimo avviso la maggior coscienza di se stesso e dell'ambiente da cui lo stesso non può mai prescindere, dovrebbe portare l'organismo complesso ad una maggior capacità di scegliere le azioni da intraprendere o meno in senso adattivo, quindi meglio ponderate anche se le cronache quotidiane sembrano dirci che accade il contrario.
La conoscenza è causa del nostro agire che produce diversi effetti, finché sussiste il libero arbitrio degli individui.
L'imprevedibilità dell'individuo rimane comunque la sua carta d'identità, se non addirittura ciò che ne giustifica l'esistenza.
Per produrre gli stessi effetti sempre la conoscenza dovrebbe essere un programma innestato dentro automi identici.
L'automa non ha coscienza , ma l'individuo si, però è vero che l'individuo non è solo coscienza, e quindi è in parte automa.
Un azione istintiva non è irrazionale, ma una azione di cui non conosciamo le ragioni, così come non le conosce un automa.
la coscienza non ha un valore in sè, ma è solo il modo che hanno gli individui di dare effetto alla conoscenza, la quale però può agire a nostra insaputa, sedimentata nel nostro essere come il programma di un computer.
Coscienza e incoscienza si alternano in modo funzionale.
La ''conoscenza cosciente'' implica quel controllo sulla realtà che ci ha permesso di sviluppare quella intelligenza artificiale che non controlliamo, al apri della nostra.
L'intelligenza, naturale o artificiale è fuori dal nostro controllo cosciente.
Prendere coscienza di se significa innescare un cambiamento, perchè non si può cambiare ciò che non essendo esplicito non può essere negato, noi siamo fatti di queste innegabili verità, che restano tali finché non le tiriamo fuori. Il nostro mondo è fatto di cose in se che esistono e resistono finché non le nominiamo, perchè nominarle equivale a negarle.
La filosofia affermando la cosa in se la espone a critica.
Noi siamo fondamentalmente quella cosa che non si espone, ma che può pure salire alla nostra coscienza, ma solo per essere ridefinita.
La coscienza di se è coscienza di quella parte di noi che muta.
La conoscenza ci muta, ma la mutazione avviene solo quando divenendo parte di noi, in noi si ecclissa. E' il verbo che si fa carne e quando ciò avviene, essa condiziona allo stesso modo le nostre azioni, svincolata dal libero arbitrio.
(Mi sono inventato un pò tutto al momento. Come avrai capito non sono un esperto in nulla. Lo stesso termine ''automa'' che ho usato, non so se si appropriato, ma spero se ne sia compreso il senso dal contesto).
Citazione di: Alberto Knox il 16 Ottobre 2024, 23:32:36 PMHo già espresso molte volte la mia opinione secondo cui le leggi della natura siano reali , verità oggettive sull universo , e che noi più che inventarle le scopriamo. Ma tutte le leggi fondamentali hanno una forma matematica. Capire perchè le cose stanno così è una questione importante e sottile che richiede un indagine sulla natura della matematica.
Si lo sò, e ti sembrerà strano, ma apprezzo maggiormente le opinioni contrarie che quelle concordi alla mia.
Infatti speso mi chiedo se sarei cosi ardito nelle mie speculazioni, come un aquilone che vola troppo vicino al sole, se non fossi legato da un filo alle opinioni contrarie alle mie.
Io però continuerò ad esprimere le mie opinioni, le quali credo sia inutile ribadire danno una risposta alla domanda che ti poni, del perchè le leggi di natura abbiano forma matematica, non sembrando ciò cosa necessaria.
Ma il fatto che cambiando opinione tu daresti risposta alle tue domande, non è certo condizione sufficiente perchè tu la cambi.
E anzi spero che tu non le cambi, perchè se la cambi poi dove lo attacco io il filo? :)
Citazione di: Alberto Knox il 16 Ottobre 2024, 23:32:36 PMHo già espresso molte volte la mia opinione secondo cui le leggi della natura siano reali , verità oggettive sull universo , e che noi più che inventarle le scopriamo. Ma tutte le leggi fondamentali hanno una forma matematica. Capire perchè le cose stanno così è una questione importante e sottile che richiede un indagine sulla natura della matematica.
Gentile Alberto
se è vero che l'Universo funziona secondo delle leggi allora nulla è lasciato al Caos ed al caso che ne è figlio. Tali leggi diventano di fatto degli assiomi che a loro volta non necessitano di altre leggi che le regolino altrimenti non sarebbero più delle leggi. La domanda che mi pongo è: chi o cosa ha dato luogo a tali leggi? Perché le leggi sono queste e non altre?
Riguardo la matematica poi ho una mia personale visione. Considero la matematica nulla più che un linguaggio che l'Uomo utilizza per descrivere i fenomeni che osserva o ipotizza. La matematica possiede una sua grammatica, in taluni ambiti denominata regole di composizione (penso ad es. ai campi abeliani), che ci consentono di comporre "frasi" e "locuzioni". Ed essendo un linguaggio potente, in alcuni casi le "frasi" e "locuzioni" che si riescono a formulare anticipano osservazioni e anche ipotesi prima mai formulate; penso ad esempio alle equazioni della teoria della relatività che hanno ipotizzato (vedi ad es. i buchi neri) e continuano ancor oggi ad ipotizzare scenari mai concepiti.
Sono assolutamente d'accordo con te che le leggi di cui sopra sono già scritte e spetta all'Uomo andarle a scoprire. Con quali mezzi? La matematica è propria della Scienza, la Ragione quella della Filosofia. Se è vero che senza la prima saremmo ancora a "giocare con i sassolini", la seconda - ahimè troppo spesso sbeffeggiata dalla prima negli ultimi secoli - o una sua branca dovrebbe guidarci nell'applicazione delle scoperte scientifiche e delle relative implicazione come ad es. l'IA o l'ingegneria genetica.
Citazione di: iano il 17 Ottobre 2024, 00:29:26 AMLa conoscenza è causa del nostro agire che produce diversi effetti, finché sussiste il libero arbitrio degli individui.
L'imprevedibilità dell'individuo rimane comunque la sua carta d'identità, se non addirittura ciò che ne giustifica l'esistenza.
Per produrre gli stessi effetti sempre la conoscenza dovrebbe essere un programma innestato dentro automi identici.
L'automa non ha coscienza , ma l'individuo si, però è vero che l'individuo non è solo coscienza, e quindi è in parte automa.
Un azione istintiva non è irrazionale, ma una azione di cui non conosciamo le ragioni, così come non le conosce un automa.
la coscienza non ha un valore in sè, ma è solo il modo che hanno gli individui di dare effetto alla conoscenza, la quale però può agire a nostra insaputa, sedimentata nel nostro essere come il programma di un computer.
Coscienza e incoscienza si alternano in modo funzionale.
La ''conoscenza cosciente'' implica quel controllo sulla realtà che ci ha permesso di sviluppare quella intelligenza artificiale che non controlliamo, al apri della nostra.
L'intelligenza, naturale o artificiale è fuori dal nostro controllo cosciente.
Prendere coscienza di se significa innescare un cambiamento, perchè non si può cambiare ciò che non essendo esplicito non può essere negato, noi siamo fatti di queste innegabili verità, che restano tali finché non le tiriamo fuori. Il nostro mondo è fatto di cose in se che esistono e resistono finché non le nominiamo, perchè nominarle equivale a negarle.
La filosofia affermando la cosa in se la espone a critica.
Noi siamo fondamentalmente quella cosa che non si espone, ma che può pure salire alla nostra coscienza, ma solo per essere ridefinita.
La coscienza di se è coscienza di quella parte di noi che muta.
La conoscenza ci muta, ma la mutazione avviene solo quando divenendo parte di noi, in noi si ecclissa. E' il verbo che si fa carne e quando ciò avviene, essa condiziona allo stesso modo le nostre azioni, svincolata dal libero arbitrio.
(Mi sono inventato un pò tutto al momento. Come avrai capito non sono un esperto in nulla. Lo stesso termine ''automa'' che ho usato, non so se si appropriato, ma spero se ne sia compreso il senso dal contesto).
Gentile iano
concordo sostanzialmente con quanto affermi e ti ringrazio perché mi schiudi nella mente delle porte che si erano chiuse (ma forse solo in parte).
Con l'avvento dell'informatica (software) chiamata a gestire l'elettronica (hardware) nacque spontaneo in Psicologia applicata l'Human Information Processing (HIP) che assimilava il funzionamento della mente umana a quello di un computer. Se considero un neurone, esso è dotato di dendriti, terminali riceventi degli stimoli, un soma, corpo del neurone che media tali stimoli, e di assoni, terminali che attuano il risultato della mediazione. L'analogia con un transistor incredibilmente complesso fu immediata. Più genericamente, ancor prima che dal punto di vista neurobiologico, il neurone venne considerato come un'unità che riceve degli input, li elabora e fornisce un output. Il modo in cui le informazioni vengono elaborate, cioè il modo in cui il neurone risponde in un determinato modo piuttosto che in un altro ad uno stimolo, dipende in ultima analisi da come è strutturato il neurone e da quali e quante sinapsi esso è in grado di sostenere e mantenere con altri neuroni. In altri termini il software che regola il funzionamento del neurone è scritto da due mani: la prima è quella che risiede nel DNA della cellula neurone e la seconda è l'esperienza che il neurone conosce nel corso del suo sviluppo (e per sviluppo intendo il suo funzionamento fino al suo ultimo attimo di vita). L'HIP consentì di schiudere le porte all'Intelligenza Artificiale (e di far ritenere all'Uomo di essere diventato Dio solo perché era in grado di scrivere un programma informatico).
L'Uomo, fin circa il venticinquesimo anno di età è in pieno sviluppo (e qui per sviluppo intendo proprio lo sviluppo fisico), fintantoché, in pratica, non termina il processo di mielinizzazione che ottimizza il funzionamento del neurone consentendogli di svolgere alla massima potenza le sue sinapsi. Assieme alla crescita e ottimizzazione di altre strutture encefaliche, la rete neuronale viene in pratica "scolpita" come fosse una scultura. Certo, l'esperienza della vita a venire consente ulteriormente di modellare il sistema encefalico: nulla impedisce di apprendere ad es. una nuova lingua a quarant'anni, ma la base su cui si continua a costruire ed a modellare è quella che è stata scolpita in gioventù.
Mi scuso per questo lungo e noioso esercizio descrittivo riguardante lo sviluppo del nostro sistema neurobiologico ma
ho voluto dare un correlato anatomico a termini quali coscienza e conoscenza. L'intelligenza la lascio da parte perché per me è tutt'altra cosa.
Non senza una certa approssimazione, la conoscenza è dunque data dall'insieme delle possibili modalità di funzionamento del nostro cervello che andiamo arricchendo e ottimizzando nel corso della nostra vita. La coscienza invece è quella particolare e singola modalità di funzionamento.
Provo a spiegarmi con un'analogia che mi auguro sia sufficientemente calzante.
Tutti abbiamo un'età che ci consente di ricordare gli schermi di quei televisori in cui i pixel erano visibili a occhio nudo: per ogni "punto" c'erano tre pixel di tre colori diversi (blu, verde e rosso); l'opportuna combinazione di illuminazione dei tre pixel per ogni punto dello schermo consentiva di visualizzare un'immagine e la velocità con cui variava questa combinazione di illuminazione consentiva di percepire il movimento. Ora, il numero di punti e pixel sullo schermo era finito, così come lo è il numero di neuroni che ciascuno possiede nel suo cervello, ma il numero di immagini proiettabili non era necessariamente infinito ma elevatissimo. La nostra coscienza, in un dato istante, corrisponde, in questa analogia, ad un'immagine sullo schermo. E la meta-coscienza è la coscienza di avere coscienza.
Citazione di: Bruno P il 17 Ottobre 2024, 08:28:10 AMse è vero che l'Universo funziona secondo delle leggi allora nulla è lasciato al Caos ed al caso che ne è figlio.
è importante rendersi conto che le leggi da sole non descrivono completamente il mondo . Lo scopo per il quale si formulano leggi in fisica e astrofisica è quello di collegare diversi eventi fisici. In che modo si può stabilire l'esistenza separata , trascendente delle leggi? se le leggi si manifestano soltanto attraverso i sistemi fisici , nel modo, cioè, in cui tali sistemi si comportano. E se le leggi risiedono nel comportamento degli oggetti fisici noi osserviamo gli oggetti , non le leggi. Ma se non abbiamo mai possibilità di conoscere le leggi salvo che attraverso la loro manifestazione nei fenomeni fisici , che diritto abbiamo di attribuir loro un esistenza indipendente? L idea di leggi trascendenti della fisica è la controparte moderna del regno Platonico delle forme perfette che agiscono come modelli per la costruzione dell effimero mondo/ombra delle nostre percezioni. In pratica le leggi della fisica sono formulate come relazioni matematiche , così nella nostra ricerca del fondamento della realtà dobbiamo rivolgerci alla natura della matematica , e all antico problema di stabilire se la matematica esista in un regno platonico indipendente ; consideriamo l'enunciato "il 23 è il più piccolo numero primo maggiore di 20" è vero o falso? è di fatto vero. Il problema è se lo sia in un senso atemporale e assoluto .Era vero prima dell invenzione/scoperta dei numeri primi? un platonico risponderebbe di sì, perchè i numeri primi esistono, in modo astratto, sia che gli esseri umani li conoscano o no; un formalista dichiarerebbe insensata la domanda.
Tu invece come rispondi.
Talvolta si sente dire che le leggi della fisica hanno avuto origine con l universo. Se così fosse , allora tali leggi non potrebbero spiegare l origine dell universo , perchè le leggi non sarebbero esistite finchè non è esistito l universo. Ciò risulta ancora più evidente quando abbiamo a che fare con leggi delle condizioni inziali , perchè una tale legge si propone di spiegare in modo preciso come l'universo ha avuto origine fino alla forma attuale. In che modo possono farlo se hanno origine con l universo e non da prima?
Non è possibile, invece, che vi siano altri principi più generali in una struttura a sua volta più generale che determinano sia le condizioni iniziali che la dinamica?
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 11:07:19 AMè importante rendersi conto che le leggi da sole non descrivono completamente il mondo . Lo scopo per il quale si formulano leggi in fisica e astrofisica è quello di collegare diversi eventi fisici. In che modo si può stabilire l'esistenza separata , trascendente delle leggi? se le leggi si manifestano soltanto attraverso i sistemi fisici , nel modo, cioè, in cui tali sistemi si comportano. E se le leggi risiedono nel comportamento degli oggetti fisici noi osserviamo gli oggetti , non le leggi. Ma se non abbiamo mai possibilità di conoscere le leggi salvo che attraverso la loro manifestazione nei fenomeni fisici , che diritto abbiamo di attribuir loro un esistenza indipendente? L idea di leggi trascendenti della fisica è la controparte moderna del regno Platonico delle forme perfette che agiscono come modelli per la costruzione dell effimero mondo/ombra delle nostre percezioni. In pratica le leggi della fisica sono formulate come relazioni matematiche , così nella nostra ricerca del fondamento della realtà dobbiamo rivolgerci alla natura della matematica , e all antico problema di stabilire se la matematica esista in un regno platonico indipendente ; consideriamo l'enunciato "il 23 è il più piccolo numero primo maggiore di 20" è vero o falso? è di fatto vero. Il problema è se lo sia in un senso atemporale e assoluto .Era vero prima dell invenzione/scoperta dei numeri primi? un platonico risponderebbe di sì, perchè i numeri primi esistono, in modo astratto, sia che gli esseri umani li conoscano o no; un formalista dichiarerebbe insensata la domanda.
Tu invece come rispondi.
In questo senso sono lontano dal pensiero platonico e pitagorico in quanto continuo a ritenere la matematica e le regole che ne stanno alla base, come detto, un linguaggio. E' appunto un linguaggio e non IL linguaggio. E in esso ha senso dichiarare vero l'enunciato che hai proposto ma ciò solo grazie alla grammatica che lo regola.
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 11:20:43 AMTalvolta si sente dire che le leggi della fisica hanno avuto origine con l universo. Se così fosse , allora tali leggi non potrebbero spiegare l origine dell universo , perchè le leggi non sarebbero esistite finchè non è esistito l universo. Ciò risulta ancora più evidente quando abbiamo a che fare con leggi delle condizioni inziali , perchè una tale legge si propone di spiegare in modo preciso come l'universo ha avuto origine fino alla forma attuale. In che modo possono farlo se hanno origine con l universo e non da prima?
Non è possibile, invece, che vi siano altri principi più generali in una struttura a sua volta più generale che determinano sia le condizioni iniziali che la dinamica?
In linea teorica assolutamente si. Il fatto che non si conosca ancora un qualcosa non significa che esso non esista. In tal senso sono ben lontano dal Realismo.
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 11:07:19 AM"il 23 è il più piccolo numero primo maggiore di 20" è vero o falso? è di fatto vero. Il problema è se lo sia in un senso atemporale e assoluto .
Questa è una verità sui numeri primi atemporale e assoluta.
Sono i numeri primi in un certo senso a non esserlo, in quanto nascono da una definizione.
la cosa notevole è che non c'è un modo solo di dare una definizione, e che cioè ci sono definizioni che sono fra loro equivalenti, per cui l'unica verità che possiamo affermare è che una data definizione equivale ad un altra data definizione.
Quando dimostriamo un teorema a partire dalle ipotesi stiamo semplicemente esprimendo le ipotesi di partenza in un altra forma equivalente.
Noi possiamo anche affermare che ogni possibilità attuabile in questo mondo, come il dare una precisa definizione, sia già attuale in un altro mondo.
A priori pero tutte queste possibilità/ attualità partono alla pari, quindi perchè dovremmo privilegiarne una sulle altre, fondando su di essa la realtà?
Citazione di: Bruno P il 17 Ottobre 2024, 12:15:49 PMIn questo senso sono lontano dal pensiero platonico e pitagorico in quanto continuo a ritenere la matematica e le regole che ne stanno alla base, come detto, un linguaggio. E' appunto un linguaggio e non IL linguaggio. E in esso ha senso dichiarare vero l'enunciato che hai proposto ma ciò solo grazie alla grammatica che lo regola.
che legame vi è, dunque, fra matematica e realtà fisica? è indubbio che il semplice calcolo aritmetico ebbe origine da concrete esigenze quotidiane , come amministrare il bestiame e tenere la contabilità . Ma le operazioni elementari dell addizione , della sottrazione e della moltiplicazione innescarono una crescita esplosiva di idee matematiche che alla fine divenne così complessa da far perdere di vista le umili ragioni pratiche della sua origine . In altre parole la matematica cominciò a condurre un esistenza propia. Chi prosegue gli studi fino alla matematica avanzata imaprano altri tipi di numeri, a sostituire i numeri con x e y al posto di numeri specifici o ad esempio il calcolo dei numeri complessi e di operazioni quali la moltiplicazione di matrici che obbediscono a regole strane le quali non corrispondono in modo ovvio ad alcunchè di familiare nel mondo reale. Tuttavia, allo stesso modo di una lingua, lo studente può imparare a manipolare questi simboli astratti senza preoccuparsi del loro significato, ammesso che ne abbiano. Tuttavia ritengo che la matematica sia qualcosa di diverso che da un semplice linguaggio che noi abbiamo inventato. L'eseguibilità dei calcoli dipende fondamentalmente dalla natura del mondo fisico. Che senso avrebbe contare se non eseistessero oggetti fisici discreti come le monete e le pecore? non è notevole il fatto oggettivo che 6 pecore più 7 pecore facciano 13 pecore? e non è degno di nota che l'universo sia costruito in modo tale da rendere possibile una semplice astrazione come il numero? il mondo fisico riflette le propietà computazionali dell aritmetica. E questo non può essere in alcun modo un dettaglio banale. Anzi, ha una profonda conseguenza ; significa che, in un certo senso, il mondo fisico è un computer .
Il fatto di poter fare affermazioni vere sui numeri primi, non comporta che i numeri primi siano ''veri''.
Posso fare affermazioni vere su qualsiasi possibile cosa, ma ciò non comporta che qualsiasi possibile cosa sia ''vera''.
Citazione di: iano il 17 Ottobre 2024, 12:34:07 PMla cosa notevole è che non c'è un modo solo di dare una definizione,
ok, quante definizioni diverse conosci riguardanti i numeri primi?
Citazione di: iano il 17 Ottobre 2024, 12:50:21 PMIl fatto di poter fare affermazioni vere sui numeri primi, non comporta che i numeri primi siano ''veri''.
Posso fare affermazioni vere su qualsiasi possibile cosa, ma ciò non comporta che qualsiasi possibile cosa sia ''vera''.
nessuno si aspetta o teme che possano caderci in testa dei numeri, l'esistenza dei numeri è astratta non fisica. Per veri si intende verità matematiche dimostrabili . Certo poi arriva Godel che dimostrò un teorema fondamentale della matematica e secondo cui esistevano enunciati matematici di cui nessuna procedura sistematica poteva determinarne la verità o la falsità. Ma questo è un altro discorso.
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 12:52:19 PMok, quante definizioni diverse conosci riguardanti i numeri primi?
Mi è più agevole trarre un esempio dall' articolo di Oddifredi sul numero de ''Le Scienze'' di questo mese, che ovviamente non riporto letteralmente.
Diamo due diverse definizioni di triangolo rettangolo.
1. Un triangolo con un angolo di 90°..
2. Un triangolo per il quale vale che l'area costruita su lato più lungo equivale alla somma delle aree costruite sui restanti lati.
Che le due definizioni siano equivalenti non è evidente, ma si può dimostrare che lo siano.
L'equivalenza di queste diverse definizioni è una verità assoluta, se non eterna, perchè questa verità non esiste se non diamo prima le definizioni, e ''dare una definizione'' non è una verità.
E' vero che storicamente noi diamo una definizione di triangolo tentando di descrivere la percezione che del triangolo possediamo ''a priori''.
Però non possiamo dimostrare che la nostra definizione descrittiva coincide con la nostra percezione, perchè l'atto del percepire e l'atto del descrivere/definire non si equivalgono.
Questo vuol dire che una volta data la definizione di triangolo, il triangolo inizia di a vivere di vita propria, una volta reso indipendente dalla nostra percezione.
Possiamo adottare anche un altro punto di vista, che definendo un triangolo noi trascendiamo la nostra percezione di triangolo.
Grazie a ciò adesso possiamo visualizzare un triangolo rettangolo in modi alternativi, come un triangolo che ha un angolo di 90°, o come un triangolo che ha l'area del quadrato costruita...., etc...
Se la percezione produce visualizzazioni, noi in tal modo abbiamo svincolato la visualizzazione dalla percezione, generalizzandone l'uso.
Applicando lo stesso meccanismo possiamo trascendere la stessa visualizzazione, ed è quello che ci propone la scienza dei nostri giorni, cercando di visualizzare la quale giungiamo a chimere come la particella/onda, che però a differenza di un grifone o di un centauro non sapremmo disegnare.
Si tratta di fatto di una rivoluzione copernicana, laddove si afferma che non è vero che la realtà gira attorno alla nostra percezione.
Perchè in effetti aver detto che non è il sole a girare attorno alla terra, è un modo indiretto di dire che il sole non gira attorno all'osservatore, osservatore che occasionalmente si trovava sulla terra al tempo di quella affermazione.
E trascendendo trascendendo le cose si possono ancor più complicare, precisando nuove definizione.
Potrebbe essere utile anche definire cosa intendiamo con ''girare attorno'' trascendendo ancora la percezione che abbiamo che le cose ci girino''effettivamente'' attorno.
''Colui al quale le cose gli girano attorno'' la userei come definizione di osservatore, ad esempio.
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 12:48:35 PMche legame vi è, dunque, fra matematica e realtà fisica? è indubbio che il semplice calcolo aritmetico ebbe origine da concrete esigenze quotidiane , come amministrare il bestiame e tenere la contabilità . Ma le operazioni elementari dell addizione , della sottrazione e della moltiplicazione innescarono una crescita esplosiva di idee matematiche che alla fine divenne così complessa da far perdere di vista le umili ragioni pratiche della sua origine . In altre parole la matematica cominciò a condurre un esistenza propia. Chi prosegue gli studi fino alla matematica avanzata imaprano altri tipi di numeri, a sostituire i numeri con x e y al posto di numeri specifici o ad esempio il calcolo dei numeri complessi e di operazioni quali la moltiplicazione di matrici che obbediscono a regole strane le quali non corrispondono in modo ovvio ad alcunchè di familiare nel mondo reale. Tuttavia, allo stesso modo di una lingua, lo studente può imparare a manipolare questi simboli astratti senza preoccuparsi del loro significato, ammesso che ne abbiano. Tuttavia ritengo che la matematica sia qualcosa di diverso che da un semplice linguaggio che noi abbiamo inventato. L'eseguibilità dei calcoli dipende fondamentalmente dalla natura del mondo fisico. Che senso avrebbe contare se non eseistessero oggetti fisici discreti come le monete e le pecore? non è notevole il fatto oggettivo che 6 pecore più 7 pecore facciano 13 pecore? e non è degno di nota che l'universo sia costruito in modo tale da rendere possibile una semplice astrazione come il numero? il mondo fisico riflette le propietà computazionali dell aritmetica. E questo non può essere in alcun modo un dettaglio banale. Anzi, ha una profonda conseguenza ; significa che, in un certo senso, il mondo fisico è un computer .
Apprezzo molto il tuo pragmatismo, proprio in senso filosofico, e mi piace ancor di più il fatto che stiamo commentando "un qualcosa" da ottiche diverse, la qual cosa mi arricchisce.
Come avevo scritto, ma solo esprimendo il mio punto di vista senza alcuna pretesa che venisse accettato, la Matematica è potente a tal punto che,
come giustamente affermi, a volte sembra vivere di vita propria e svilupparsi in direzioni non cercate dalla mente umana. Penso ad esempio, dato che citi le matrici, all'algebra lineare: al tempo che fu ne utilizzai un'applicazione (l'analisi delle componenti principali) per dimostrare matematicamente come un fenomeno osservato apparentemente indipendente, magari ascritto al caso, possa invece avere a monte dei fattori (e non delle variabili indipendenti) che ne spiegano meglio l'osservazione. L'algebra lineare nacque per caso grazie a Henrik Abel (conosco una versione diversa rispetto a quella riportata da Wikipedia riguardo la sua morte: pare abbia buttato giù di getto la sua teoria la notte prima di morire).
Quando Abel la "inventò" non aveva la più pallida idea di come avesse potuto tornare utile mentre oggi trova molte applicazioni.
Quando affermi che
L'eseguibilità dei calcoli dipende fondamentalmente dalla natura del mondo fisico diciamo che non mi trovi pienamente in linea con il tuo pensiero: con le regole che mi sono dato posso benissimo calcolare il determinante di una matrice senza poi avere la più pallida idea di cosa sia ed a cosa si riferisca nel mondo fisico. Oppure a dire "solo" che una matrice è degenere o meno e dunque il sistema lineare è composto da equazioni tra loro indipendenti. Dipende.
Se è vero come affermi che
il mondo fisico riflette le propietà computazionali dell aritmetica, affermazione che, consentimi, definirei quasi pitagorica, come si spiega che ogni forma di vita prima o poi smette di crescere? Riterrei maggiormente valido il paradigma secondo il quale da un certo punto in poi la crescita ulteriore andrebbe a penalizzare l'adattamento della forma di vita all'ambiente circostante, paradigma che però non si basa sulla matematica bensì sullo studio del DNA.
Grazie per le tue osservazioni. Lo dico con la massima sincerità dato che parafrasando Popper, più cerco di falsificare le mie convinzioni più in realtà le rafforzo. In realtà non so se è un bene o un male.
Un caro saluto
tutti OT, ma non sono un moderatore, quindi scrivete pure quello che volete :)) .
per come la vedo io cerco di rimettere la discussione sotto una stella piu vicina all'argomento.
Il vuoto è un concetto piu vicino alla matematica. Ma ben inteso, io non ho mai creduto che la matematica sia piu vicina alle cose reali. Anzi è quella che sta più lontana. La piu vicina è la fisica, non di meno in filosofia nemmeno le cose fisiche sarebbero le cose reali. Ciò che ci appare è comunque sempre una rappresentazione della cosa in se.
Il vuoto sarebbe la cosa in se che non vediamo, che una costruzione matematica ci dice che esiste per davvero.
Pazzesco, ma credo sia piu o meno cosi.
Fino a qua penso di non aver detto cose troppo astruse.
Il nulla cos'è? E' un concetto soltanto filosofico. Se trovate il "nulla" in una costruzione matematica portatemela perchè mi incuriosirebbe. Ma sono quasi certo che non c'è.
Citazione di: iano il 17 Ottobre 2024, 15:04:15 PMPotrebbe essere utile anche definire cosa intendiamo con ''girare attorno'' trascendendo ancora la percezione che abbiamo che le cose ci girino''effettivamente'' attorno.
''Colui al quale le cose gli girano attorno'' la userei come definizione di osservatore, ad esempio.
Sì capisco il tuo invito a riflettere su ciò che noi diamo per scontato come taluni definizioni. Si tratta di un problema che forse rientra nella filosofia del linguaggio . Come nasce una definizione? e in più perchè vi sono cose la cui definizione non è solo una ma diverse?. Io credo che fin quanto si tratta di definire cose semplici e pratiche la nostra idea di definizione è univoca; Per definire che cos'è una casa non ci metteremmo troppo a discutere , ci capiremmo subito. Ma quando si tratta di definire cose sfuggenti , astratte e/o metafisiche come la natura della matematica, la coscienza, Dio, , anima, mondo , nulla, tempo. Ecc le persone smettono di capirsi e cominciano a dare definizioni diverse. Lo stesso termine "osservatore" non sfugge a questa critica. La soluzione per come la vedo io è quella di accordarci su una definizione e ragionare in base a quella definizione , poi se mai si può ragionare usando per base un altra definizione e così via.
Citazione di: Bruno P il 17 Ottobre 2024, 17:36:48 PMQuando affermi che L'eseguibilità dei calcoli dipende fondamentalmente dalla natura del mondo fisico diciamo che non mi trovi pienamente in linea con il tuo pensiero: con le regole che mi sono dato posso benissimo calcolare il determinante di una matrice senza poi avere la più pallida idea di cosa sia ed a cosa si riferisca nel mondo fisico.
Questo lo avevo detto anch'io quando ho detto che lo studente potrà imaparare a manipolare i simboli astratti seguendo determiate regole senza badare al loro significato , cioè senza badare se riflettono cose del mondo reale o meno. Quindi sono d'accordo che nella matematica avanzata ci sono strutture matematiche che non hanno niente a che fare con la realtà fisica, pensiamo ad es. agli spazi di Hilbert.
La mia opinione secondo cui "
L'eseguibilità dei calcoli dipende fondamentalmente dalla natura del mondo fisico " si basa sulla natura delle leggi della fisica .
c'è evidentemente una concordanza fra le leggi della fisica da una parte e , dall altra, la computabilità delle funzioni matematiche che descrivono queste stesse leggi. Questo non è affatto ovvio e scontato. La natura delle leggi della fisica consente che certe operazioni matematiche come l addizione e la moltiplicazione , siano computabili . Fra queste operazioni computabili ve ne sono alcune che descrivono (almeno fino a un certo livello di accuratezza) le leggi della fisica.
Questa coerenza circolare è solo una coincidenza, oppure ha una sua necessità? Rinvia forse a qualche più profonda armonia fra matematica e realtà?
Citazione di: Il_Dubbio il 17 Ottobre 2024, 20:37:17 PMIl vuoto è un concetto piu vicino alla matematica
perchè dici questo? se uno spazio è privo di elementi , quello spazio non consente operazioni elementari quali l addizzione o la sottrazione. Ma questo esempio è buono per illustrare quanto ho detto in precendenza ,ricalcando il tuo esempio possiamo immaginare un mondo il cui le leggi della fisica siano molto diverse . in questo mondo alcune delle operazioni che sono computabili nel nostro non sarebbero tali e viceversa. L'equivalente delle macchine di Turing potrebbero esistere in questo mondo , ma la loro struttura e il loro funzionamento sarebbero così diversi che risulterebbe loro impossibile eseguire ad es. le operazioni aritmetiche elementari , mentre potrebbero essere in grado di eseguire calcoli inacessibili ai computer del nostro mondo. I computer di questi due mondi (questi calcolatori), fanno quello che fanno solo perchè le leggi della fisica glielo permettono.
p.s.
mi rendo conto ora che forse intendevi lo spazio vuoto non privo di elementi, come ad esempio lo pazio vuoto intergalattico. Eravamo però arrivati a ipotizzare uno spazio privo di elementi costitutivi , questa è la causa del mio fraintendimento.
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 23:06:53 PMSì capisco il tuo invito a riflettere su ciò che noi diamo per scontato come taluni definizioni. Si tratta di un problema che forse rientra nella filosofia del linguaggio . Come nasce una definizione? e in più perchè vi sono cose la cui definizione non è solo una ma diverse?. Io credo che fin quanto si tratta di definire cose semplici e pratiche la nostra idea di definizione è univoca; Per definire che cos'è una casa non ci metteremmo troppo a discutere , ci capiremmo subito. Ma quando si tratta di definire cose sfuggenti , astratte e/o metafisiche come la natura della matematica, la coscienza, Dio, , anima, mondo , nulla, tempo. Ecc le persone smettono di capirsi e cominciano a dare definizioni diverse. Lo stesso termine "osservatore" non sfugge a questa critica. La soluzione per come la vedo io è quella di accordarci su una definizione e ragionare in base a quella definizione , poi se mai si può ragionare usando per base un altra definizione e così via.
Mi ha frainteso. Mi dispiace. Io ho solo provato a rispondere alla domanda sulla tua affermazione sui numeri primi, e non su come si fa a mettersi d'accordo su una definizione che possa meglio corrispondere alla nostra percezione.
Parlavo di affermazioni matematiche vere.
Vere oggi come domani e per tutti, perchè dimostrabili-
L'intersoggettività equivale a condivisione, non a verità.
Partendo da una definizione, della quale al momento non ci importa se condivisa o meno, arriviamo per via logica a conclusioni conseguenti, che valgono la stessa definizione , ma in diversa forma.
Citazione di: iano il 18 Ottobre 2024, 00:04:53 AMMi ha frainteso. Mi dispiace. io ho provato a rispondere alla domanda sulla tua affermazione sui numeri primi, e non su come si fa a mettersi d'accordo su una definizione.
ma è propio nel tuo tentativo di rispondere a tale domanda che hai esposto il problema delle definizioni, io ti ho chiesto semplicemente quante definizione riguardo ai numeri primi conosci. Tu hai cominciato con un escaletion di interpretazioni e di definizioni sui triangoli dicendo che
Citazione di: iano il 17 Ottobre 2024, 14:44:38 PML'equivalenza di queste diverse definizioni è una verità assoluta, se non eterna, perchè questa verità non esiste se non diamo prima le definizioni, e ''dare una definizione'' non è una verità.
E' vero che storicamente noi diamo una definizione di triangolo tentando di descrivere la percezione che del triangolo possediamo ''a priori''.
Però non possiamo dimostrare che la nostra definizione descrittiva coincide con la nostra percezione, perchè l'atto del percepire e l'atto del descrivere/definire non si equivalgono.
Citazione di: iano il 17 Ottobre 2024, 15:04:15 PMPerchè in effetti aver detto che non è il sole a girare attorno alla terra, è un modo indiretto di dire che il sole non gira attorno all'osservatore, osservatore che occasionalmente si trovava sulla terra al tempo di quella affermazione.
E trascendendo trascendendo le cose si possono ancor più complicare, precisando nuove definizione.
Potrebbe essere utile anche definire cosa intendiamo con ''girare attorno'' trascendendo ancora la percezione che abbiamo che le cose ci girino''effettivamente'' attorno.
''Colui al quale le cose gli girano attorno'' la userei come definizione di osservatore, ad esempio.
e qui perchè ti sei fermato? non è forse ragionevole chiedersi chi è che osserva ciò che gli gira intorno e quindi approfondire la definzione di osservatore? è l'io , è la coscienza ? è la propia anima? e una volta risposto non è forse ragionevole continuare? è bene interrogarsi sull origine delle definizioni ma poi una definizione bisogna darla e se questa definizione può essere condivisa allora si può cominciare a ragionare.
Citazione di: Alberto Knox il 18 Ottobre 2024, 00:16:21 AMe qui perchè ti sei fermato?
Dopo aver fatto quattro post uno di seguito all'altro mi chiedi perchè mi sono fermato? :)
Inoltre siamo pure OT da un bel pò.
Perchè non apri dunque tu un altra discussione dove riprendere l'argomento da dove lo abbiamo lasciato?
Citazione di: Alberto Knox il 18 Ottobre 2024, 00:16:21 AMma è propio nel tuo tentativo di rispondere a tale domanda che hai esposto il problema delle definizioni, io ti ho chiesto semplicemente quante definizione riguardo ai numeri primi conosci. Tu hai cominciato con un escaletion di interpretazioni e di definizioni sui triangoli dicendo che
Ma quella sui numeri primi era un esempio di affermazione matematica, o l'argomento della discussione?
Se era un esempio di affermazione matematica, perchè allora io non potevo cambiarlo con altro, approfittando di una articolo di Oddifredi sulla geometria euclidea presente su '' Le Scienze'' che meglio risponde di me al tuo quesito, e che io ho solo cercato di riportare con parole mie?
Non mi resta che consigliartene la lettura.
Se ne comprendi il contenuto dovresti per analogia darti da solo una risposta sul quesito sui numeri primi, se un esempio di affermazione matematica vale l'altro.
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 23:58:25 PMperchè dici questo? se uno spazio è privo di elementi , quello spazio non consente operazioni elementari quali l addizzione o la sottrazione. Ma questo esempio è buono per illustrare quanto ho detto in precendenza ,ricalcando il tuo esempio possiamo immaginare un mondo il cui le leggi della fisica siano molto diverse . in questo mondo alcune delle operazioni che sono computabili nel nostro non sarebbero tali e viceversa. L'equivalente delle macchine di Turing potrebbero esistere in questo mondo , ma la loro struttura e il loro funzionamento sarebbero così diversi che risulterebbe loro impossibile eseguire ad es. le operazioni aritmetiche elementari , mentre potrebbero essere in grado di eseguire calcoli inacessibili ai computer del nostro mondo. I computer di questi due mondi (questi calcolatori), fanno quello che fanno solo perchè le leggi della fisica glielo permettono.
p.s.
mi rendo conto ora che forse intendevi lo spazio vuoto non privo di elementi, come ad esempio lo pazio vuoto intergalattico. Eravamo però arrivati a ipotizzare uno spazio privo di elementi costitutivi , questa è la causa del mio fraintendimento.
Tengo a precisare cosa intendo io per spazio vuoto in senso matematico (o per lo meno ciò che ho capito io).
Prendi ad esempio una stanza ben sigillata e togli tutto da dentro. Ok, quello è il primo spazio vuoto a cui noi pensiamo. Però dentro c'è aria. Ok togliamo anche quella.
Tieni presente quello spazio vuoto, ora prendi in esame cosa ci dice la fisica quantistica per quanto riguarda la posizione per esempio di un elettrone. Prendiamo ad esempio un elettrone che sta dentro la tua testa (uno qualsiasi).
Si potrebbe dire (o cosi direbbero i fisici) che la probabilità che quel elettrone stia nella tua testa è molto alta, ma esiste una probabilità diversa da zero che quello stesso elettrone sia ovunque nell'universo.
Quindi in quella stanza vuota dove pensi di aver tolto tutto, anche l'aria, gira il "tuo" elettrone.
Quello per me è il vuoto.
Citazione di: Alberto Knox il 17 Ottobre 2024, 23:06:53 PMSì capisco il tuo invito a riflettere su ciò che noi diamo per scontato come taluni definizioni. Si tratta di un problema che forse rientra nella filosofia del linguaggio . Come nasce una definizione? e in più perchè vi sono cose la cui definizione non è solo una ma diverse?. Io credo che fin quanto si tratta di definire cose semplici e pratiche la nostra idea di definizione è univoca; Per definire che cos'è una casa non ci metteremmo troppo a discutere , ci capiremmo subito. Ma quando si tratta di definire cose sfuggenti , astratte e/o metafisiche come la natura della matematica, la coscienza, Dio, , anima, mondo , nulla, tempo. Ecc le persone smettono di capirsi e cominciano a dare definizioni diverse. Lo stesso termine "osservatore" non sfugge a questa critica. La soluzione per come la vedo io è quella di accordarci su una definizione e ragionare in base a quella definizione , poi se mai si può ragionare usando per base un altra definizione e così via.
Siamo fuori tema ormai da diverse pagine, in cui ad iniziare dal sottoscritto è stato detto di tutto e di più, ma personalmente la cosa non mi disturba e finché qualcuno non ci ferma....
Sono d'accordo con quanto afferma Alberto.
In tal senso propongo una riflessione sul tema "definizione".
Vestiti i panni dello scienziato (non ne ho titolo ma è tanto per dire che l'approccio è quello della scienza sperimentale) prima di studiare un fenomeno devo definire rigorosamente l'oggetto di studio. Se non lo faccio rischio di eseguire un esercizio che non spiega un bel nulla oppure qualcosa di completamente diverso da ciò che intendevo studiare.
Si provi ad esempio dare una definizione di un qualcosa di semplice e pratico - come dice Alberto - qualcosa che rientra nella quotidianità di tutti: la sedia. Riesco a dare una definizione rigorosa e comunemente condivisa (affinché anche altri possano riprodurre l'esperimento che mi accingo a fare, di "sedia"? Ovverosia, riesco a dare una definizione che non si confonda con quella di divano, poltrona, sgabello, ecc.?
Ho fatto questo esempio solo per riflettere su quanto sia complesso dare rigorosamente, e con la veste dello sperimentatore scientifico, una definizione di un qualcosa con cui abbiamo a che fare quotidianamente; figuriamoci con un concetto astratto. Ovviamente ci si riesce anche quando si ha a che fare con dei "costrutti".
Se poi smetto i panni dello sperimentatore e il mio approccio è ad esempio di tipo filosofico le cose si complicano enormemente e cadere nel fraintendimento è facilissimo. Non per questo la Filosofia si è estraniata dalla sua ricerca della conoscenza, tutt'altro. Ma bisogna comunque ben intendersi sull'accezione che viene data all'oggetto di studio e riflessione.
Citazione di: Bruno P il 18 Ottobre 2024, 08:39:16 AMSiamo fuori tema ormai da diverse pagine, in cui ad iniziare dal sottoscritto è stato detto di tutto e di più, ma personalmente la cosa non mi disturba e finché qualcuno non ci ferma....
Sono d'accordo con quanto afferma Alberto.
In tal senso propongo una riflessione sul tema "definizione".
Vestiti i panni dello scienziato (non ne ho titolo ma è tanto per dire che l'approccio è quello della scienza sperimentale) prima di studiare un fenomeno devo definire rigorosamente l'oggetto di studio. Se non lo faccio rischio di eseguire un esercizio che non spiega un bel nulla oppure qualcosa di completamente diverso da ciò che intendevo studiare.
Si provi ad esempio dare una definizione di un qualcosa di semplice e pratico - come dice Alberto - qualcosa che rientra nella quotidianità di tutti: la sedia. Riesco a dare una definizione rigorosa e comunemente condivisa (affinché anche altri possano riprodurre l'esperimento che mi accingo a fare, di "sedia"? Ovverosia, riesco a dare una definizione che non si confonda con quella di divano, poltrona, sgabello, ecc.?
Ho fatto questo esempio solo per riflettere su quanto sia complesso dare rigorosamente, e con la veste dello sperimentatore scientifico, una definizione di un qualcosa con cui abbiamo a che fare quotidianamente; figuriamoci con un concetto astratto. Ovviamente ci si riesce anche quando si ha a che fare con dei "costrutti".
Se poi smetto i panni dello sperimentatore e il mio approccio è ad esempio di tipo filosofico le cose si complicano enormemente e cadere nel fraintendimento è facilissimo. Non per questo la Filosofia si è estraniata dalla sua ricerca della conoscenza, tutt'altro. Ma bisogna comunque ben intendersi sull'accezione che viene data all'oggetto di studio e riflessione.
Lo schema che propongo è.
1. Di ciò che ho costruito (ad es. la sedia) dico come l'ho costruita, che è più che dare una definizione.
2. Di ciò che non ho costruito, o non ho coscienza di aver costruito, (es. ciò che percepisco) do una descrizione, che vale in ogni caso come un ''tradimento'' della percezione, perchè descrivere non equivale in genere a percepire.
3.Ciò che definisco, che lo faccia sotto la spinta della realtà, o in piena libertà, cioè senza un necessario collegamento diretto con la realtà, ha in ogni caso una vita propria, cioè indipendente a priori dagli eventuali motivi per cui ho dato la definizione, che intesa in tal senso, è il primo passo del lavoro matematico ''puro''.
Se questa dipendenza era ancora presente nella filosofia di Euclide, da essa , dopo Euclide, la matematica si è svincolata, ma non ancora del tutto il ragionare dei non matematici, che traggono ancora la ragion d'essere dei numeri dal fatto che ne abbiamo percezione.
Questa percezione si è dimostrato però in via definitiva non esser necessaria, se un computer, privo di coscienza , coi numeri è in grado di operare.
Il nostro quesito è, come fa la matematica pura a trovare riscontro a volte nella realtà a posteriori, laddove applicandola alla realtà ne da una spiegazione, non essendo ciò necessario?
Possiamo considere ciò quando avviene una coincidenza?
Può essere ciò che si ripete una coincidenza?
E ancor più, indipendentemente dal fatto che la matematica venga scoperta o inventata, cosa diremo del fatto che tale ''inveperta'' avvenga quasi in contemporanea con la sua eventuale applicazione alla realtà, ciò che si configura come una coincidenza al quadrato?
Noi siamo liberi nonostante tutto di considerarla una coincidenza, ma ciò vorrebbe dire ignorare volutamente gli indizi che la storia della scienza ci fornisce.
Una possibile risposta vale una lode della filosofia, se è vero che, se pur in modo indipendente, respiriamo tutti la stessa aria , fatta di ossigeno, azoto e pensieri.
Il quando una data branca della matematica venga ''inveperta'' non tenderei a considerarlo un caso.
Cose apparentemente indipendenti vanno a convergenza, ma sono davvero indipendenti se nascono dentro a uno stesso schema di pensiero, che è lo schema filosofico corrente?
Non è dal tal motivo che possiamo trarre la non casualità della inattesa convergenza fra matematica e fisica.
Aggiungiamo a ciò, per maggior peso, che le cose che giungono a convergenza non sono cose separate, ma che artificiosamente abbiamo separato.
Citazione di: Il_Dubbio il 18 Ottobre 2024, 08:36:52 AMTieni presente quello spazio vuoto, ora prendi in esame cosa ci dice la fisica quantistica per quanto riguarda la posizione per esempio di un elettrone. Prendiamo ad esempio un elettrone che sta dentro la tua testa (uno qualsiasi).
Si potrebbe dire (o cosi direbbero i fisici) che la probabilità che quel elettrone stia nella tua testa è molto alta, ma esiste una probabilità diversa da zero che quello stesso elettrone sia ovunque nell'universo.
Quindi in quella stanza vuota dove pensi di aver tolto tutto, anche l'aria, gira il "tuo" elettrone.
Allora non dovremmo considerare solo la particella (l 'elettrone) ma anche il campo elettromagnetico . In più oggi, con lo studio della fisica quantistica dei campi le particelle non vengono più considerate come le vere entità materiali fondamentali, ma i campi. Le particelle vengono considerate come perturbazioni presenti nei campi, e sono state così ridotte a uno stato derivato. Si pensa che i campi di forza elettrici, magnetici , gravitazionali e nucleari siano costituiti da un mare di particelle virtuali che riempiono tutto lo spazio, così come prevede la teoria quantistica dei campi. La differenza fra ciò che è forza e ciò che è materia , quindi, appare quanto mai sfumata.
''Non è dal tal motivo che possiamo trarre la non casualità della inattesa convergenza fra matematica e fisica.''
Errata corrige:
''Non è dal tal motivo che possiamo trarre la non casualità della pur inattesa convergenza fra matematica e fisica ?''
Citazione di: Alberto Knox il 18 Ottobre 2024, 09:16:12 AMAllora non dovremmo considerare solo la particella (l 'elettrone) ma anche il campo elettromagnetico . In più oggi, con lo studio della fisica quantistica dei campi le particelle non vengono più considerate come le vere entità materiali fondamentali, ma i campi. Le particelle vengono considerate come perturbazioni presenti nei campi, e sono state così ridotte a uno stato derivato. Si pensa che i campi di forza elettrici, magnetici , gravitazionali e nucleari siano costituiti da un mare di particelle virtuali che riempiono tutto lo spazio, così come prevede la teoria quantistica dei campi. La differenza fra ciò che è forza e ciò che è materia , quindi, appare quanto mai sfumata.
ti dirò di più, c'è una storiella che indica ogni elettrone uguale ad un altro. Infatti ho messo tra virgolette (se ti accorgi il post che ho scritto) l'aggettivo "tuo" in riferimento all'elettrone.
Siccome non è possibile stabilire che il tuo elettrone sia diverso dal mio e siccome lo stesso elettrone vive nel suo campo elettronico, diremmo che il tuo e il mio elettrone è lo stesso elettrone.
In pratica c'è solo un elettrone... che condividiamo :))
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Ottobre 2024, 19:18:33 PMIn pratica c'è solo un elettrone... che condividiamo :))
Ancora non abbiamo definito lo spazio oltre l universo però...
Citazione di: Alberto Knox il 19 Ottobre 2024, 20:16:33 PMAncora non abbiamo definito lo spazio oltre l universo però...
L' universo è uno. Se ci fosse uno spazio fuori l'universo, quello spazio fuori, sarebbe sempre l'universo.
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Ottobre 2024, 20:35:50 PML' universo è uno. Se ci fosse uno spazio fuori l'universo, quello spazio fuori, sarebbe sempre l'universo.
Che l'universo sia uno è un affermazione arbitraria, universo , unico -verso. Ma non possono esserci altri-versi? se no, su cosa si fonda tale radicale convinzione che non su la mera ragione ?
Citazione di: Alberto Knox il 19 Ottobre 2024, 20:39:46 PMChe l'universo sia uno è un affermazione arbitraria, universo , unico -verso. Ma non possono esserci altri-versi? se no, su cosa si fonda tale radicale convinzione che non su la mera ragione ?
non mi sono spiegato completamente. L'universo è uno per l'elettrone. Eravamo partiti dall'elettrone e da ciò che ho detto a tal proposito. Penso tu abbia risposto pensando all'elettrone che abbiamo in comune...no?
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Ottobre 2024, 20:43:04 PMnon mi sono spiegato completamente. L'universo è uno per l'elettrone. Eravamo partiti dall'elettrone e da ciò che ho detto a tal proposito. Penso tu abbia risposto pensando all'elettrone che abbiamo in comune...no?
In realtà con universo intendo lo spazio, la materia , l energia , le leggi naturali, le forze fondamentali e tutto quanto possa celarsi alla vista e agli strumenti dell osservatore pur facente parte del medesimo insieme . Tuttavia tu prendi in considerazione una particella talmente piccola da essere a metà strada fra l'esistere e non esistere per spiegare l'infinitamente grande.
Purtroppo devo dire che la particella in se non esiste, esiste in relazione ad altro che a sua volta esiste in relazione ad altro . Se si continua con l escaletion delle relazioni si arriva ad un certo momento specifico , dove materia e antimateria erano in perfetta simmetria. Cosa ha prodotto la rottura di simmetria fra materia e antimateria?
Durante la fase inflazionaria l'universo si trovava in una condizione di simmetria perfetta. Esso consisteva in uno spazio vuoto perfettamente omogeneo e isotopro. Inoltre, dato che la velocità di espansione era esattamente uniforme un istante di tempo era indistinguibile da un altro , in altre parole l'universo era simmetrico per inversione e traslazione temporale. "Era" non "diveniva" . La fine dell espansione fu la prima grande rottura di una simmetria; uno spazio vuoto privo di peculiarità si popolò improvvisamente di miliardi di particelle , rappresentanti un colossale aumento di entropia . Fu un passaggio assolutamente irreversibile , che impresse all universo una freccia del tempo che sopravvive fino al giorno d oggi.
Se uno è d'accordo con questa teoria, o con qualcosa del genere, bisogna credere che all inizio il creato non contenesse più o meno niente , una cosa era sicuramente presente, il calore. Il complesso universo che vediamo oggi si è evoluto un passo alla volta attraverso una sequenza di rotture di simmetria causate dal raffreddamento. Ogni passaggio è irreversibile e genera una gran quantità di entropia ma è anche estremamente creativo, nel senso che libera nuove potenzialità e opportunità che rendono la materia più organizzata e complessa.
Citazione di: Alberto Knox il 19 Ottobre 2024, 21:13:00 PMIn realtà con universo intendo lo spazio, la materia , l energia , le leggi naturali, le forze fondamentali e tutto quanto
no aspetta, un passo alla volta. Hai buttato dentro qualsiasi cosa.
L'elettrone fa parte di un campo elettronico.
Il campo presumo sia l'intero universo.
Ora sta da definire l'universo per l'elettrone.
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Ottobre 2024, 21:26:32 PMOra sta da definire l'universo per l'elettrone.
il fondamento costitutivo dell elettrone è l'energia . Resta da identificare cosa intendiamo per energia.
Citazione di: Alberto Knox il 19 Ottobre 2024, 21:34:44 PMil fondamento costitutivo dell elettrone è l'energia . Resta da identificare cosa intendiamo per energia.
io non penserei tanto a ciò che costituisce l'elettrone (troppo sofisticato come quesito). Mi accontento al momento solo di stabile quale sia la sua zona di appartenenza. E quello sarebbe il campo elettronico. Se quello fosse l'intero universo sarebbe solo da stabilire cosa costituisce l'universo. Ammesso che a l'elettrone importi esattamente cosa costituisca l'universo per come lo stiamo vedendo noi.
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Ottobre 2024, 22:00:09 PMio non penserei tanto a ciò che costituisce l'elettrone (troppo sofisticato come quesito). Mi accontento al momento solo di stabile quale sia la sua zona di appartenenza. E quello sarebbe il campo elettronico. Se quello fosse l'intero universo sarebbe solo da stabilire cosa costituisce l'universo. Ammesso che a l'elettrone importi esattamente cosa costituisca l'universo per come lo stiamo vedendo noi.
bhè la zona di appartenenza dipende; abbiamo flusso di elettroni che scorrono all interno di conduttori elettrici mossi da un generatore di differenza di potenziale e che formano il circuito elettrico allora l ambito è quello.
Li misuriamo nei gusci atomici allora l ambito è quello dell atomo
E poi li abbiamo come onde di probabilità nel caso della meccanica quantistica allora l'ambito è quello della funzione d'onda che rispetta l'equazione di Srodinger .
Li troviamo nei campi elettrmomagnetici allora la zona di appartenenza è quello di quanto di campo di energia elettromagnetica, quello che stai prendendo in esame tu. Ma in questo caso è una perturbazione del campo , sono delle eccitazioni di campo quantistico. Pensare all elettrone come una particella puntiforme è un modo preso in prestito dalla matematica , pensarla come onda è preso in prestito dalla teoria ondulatoria della particella e ci sono dimostrazioni fisiche che la descrivono come un onda , ma poi ci sono dimostrazioni altrettanto fisiche che la descrivono come corpuscolo. Allora che cos'è un elettrone? è una particella elementare di carica negativa o positiva, ma in quanto particella elementare (quindi costituita da nient altro che da se stessa) non ha struttura interna rilevabile e non ha nemmeno struttura esterna rilevabile tutta via sappiamo che ha una massa quindi c'è , è da qualche parte all interno del campo ma è esso stesso , fa parte del campo , è un derivato del campo elettromagnetico. Per tali motivi non penso all elettrone come una sferetta carica che viaggia liberamente all interno di uno spazio (se mai sarà influenzato dalle linee di forza del campo ) è un immagine fuorviante e quindi per me impercorribile.
Io propongo di passare da una natura galileiana analoga a un libro scritto in caratteri geometrici, alla natura come libro che noi scriviamo in caratteri geometrici, anche quando non sappiamo di farlo, come quando la percepiamo, e che perciò ci sembra permeata di forme geometriche, per quanto imperfette.
Passare cioè da un descrivere la natura che percepiamo, a un percepire ciò che descriviamo, e questo ci permetterà di prescindere dalla tendenza di ridurre tutto a ciò che percepiamo, considerando la percezione come solo uno dei possibili esiti della nostra conoscenza, e non il punto da cui essa necessariamente parte.
C'è una natura che sta oltre ciò che percepiamo, e che percependola impropriamente diciamo natura, qualcosa che della nostra percezione è la causa, laddove l'effetto non può coincidere con la causa.
Voler ridurre la conoscenza alla percezione, che di essa è solo un modo, significa limitarla, ed è ciò che facciamo quando tentiamo di comprendere qualcosa, non accontentandoci di poter operare con quella cosa che pur non comprendiamo, come se la comprensione avesse un valore in sè, e non per la funzione di consentirci di operare con la realtà.
Laddove non percepiamo ci accontentiamo anche solo di riuscire ad immaginare, ma non verificandosi una cosa ne l'altra, per l'oggetto impossibile per noi da comprendere, diventa impossibile l'esistenza, come se non ci fosse altro modo di dimostrane l'esistenza che prescinda dalla nostra percezione, o in subordine dal suo derivato, l'immaginazione.
Per contro siamo disposti ad ammettere l'esistenza dell'impossibile, se ciò può supportare la nostra immaginazione, e questa discussione in parte è la testimonianza di ciò.
E se di una teoria scientifica che non comprendiamo troviamo a livello divulgativo una analogia con ciò che possiamo riuscire ad immaginare, per quanto stiracchiata possa essere l'analogia, assumiamo che la teoria con quella immagine coincida.
Quindi per quanto improbabile sia l'immagine di una particella/onda, ci chiederemo come fà un entità ad essere una cosa e al contempo un altra, scambiando l'analogia con la realtà, quando già scambiare la teoria, seppur l'avessimo compresa, con la realtà è già un errore, per quanto ancor scusabile.
C'è la presunzione di poter considerare la nostra conoscenza come un rapporto diretto con la realtà, che laddove pur non appaia, ad esso deve essere riportato.
Il poter operare attraverso la conoscenza, qualunque sia la sua forma, con la realtà, passa in secondo piano, considerando comunque che solo il pensiero sia degno di considerazione, disprezzando la manualità, come se si potessero davvero scindere fra loro pensiero ed azione, come se solo il pensiero può comportare azione non il contrario.
Forse perchè l'azione va prima pensata, mentre il pensiero sembra venire da sè, e non come effetto della nostra interazione con la realtà.
La realtà non gira attorno ai nostri pensieri i quali sono l'effetto del nostro girare intorno alla realtà.
I nostri pensieri solo la scia che lasciamo nella realtà girandovi intorno.
Le scie non rimangono, ma possono essere sempre rinnovate, e prodotte in tale quantità da restarne occultata.
Gentile iano
aiutami cortesemente a meglio interpretare il tuo pensiero.
Laddove dici "... alla natura come libro che noi scriviamo..." lo interpreto come un pensiero in cui è l'Uomo che crea il mondo attorno a se e ricalca quanto sostenuto da vari pensatori, da Schopenauer a Nitzsche, con un radicamento nell'idealismo.
Più avanti però riporti che "C'è una natura che sta oltre ciò che percepiamo, e che percependola impropriamente diciamo natura, qualcosa che della nostra percezione è la causa, laddove l'effetto non può coincidere con la causa." Lasciami dire che trovo in questo tuo scritto fondamenti del pensiero cartesiano e kantiano dove, comunque fino a Schopenauer, si ritiene fondante l'esistenza dell'episteme, assente però in Nitzsche.
Grazie!
Citazione di: Bruno P il 22 Ottobre 2024, 08:32:50 AMGentile iano
aiutami cortesemente a meglio interpretare il tuo pensiero.
Laddove dici "... alla natura come libro che noi scriviamo..." lo interpreto come un pensiero in cui è l'Uomo che crea il mondo attorno a se e ricalca quanto sostenuto da vari pensatori, da Schopenauer a Nitzsche, con un radicamento nell'idealismo.
Più avanti però riporti che "C'è una natura che sta oltre ciò che percepiamo, e che percependola impropriamente diciamo natura, qualcosa che della nostra percezione è la causa, laddove l'effetto non può coincidere con la causa." Lasciami dire che trovo in questo tuo scritto fondamenti del pensiero cartesiano e kantiano dove, comunque fino a Schopenauer, si ritiene fondante l'esistenza dell'episteme, assente però in Nitzsche.
Grazie!
Fondamentalmente sono un ignorante in filosofia, e la la storia della mia filosofia è scritta qui sul forum, un post dopo l'altro.
Immagino la realtà come un continuo, e la conoscenza come una delle tante possibili suddivisioni, notando che quando andiamo a cercare il confine delle cose non lo troviamo. La conoscenza è l'immagine che ci restituisce la realtà quando in essa ci specchiamo, per cui fondamentalmente la conoscenza è funzione dell'individuo, ma ciò non vuol dire che imperi la doxa, se è possibile condividere.
Quando del processo di condivisione non abbiamo coscienza o abbiamo perso memoria, la realtà ci appare come fatta di cose in se, e ciò attiene in genere alla nostra percezione condivisa della realtà.
Diversamente parliamo di scienza il cui risultato, anche quando condiviso, non ha più la forma dell'evidenza.
Con l'evidenza possiamo provare a fare ancora analogie, che ci consentano in subordine di immaginare la realtà, se non di vederla.
Quando l'analogia funziona bene tendiamo a intravedere la realtà attraverso essa. Cioè quando pur abbiamo coscienza che l'immagine non coincida con la realtà, tendiamo ancora ad identificarla con essa, cercando di riprodurre la nostra percezione, accettando di mutarla, accontentandoci di una evidenza posticcia, a riprova di quanto sia difficile abbandonare l'idea di una realtà fatta di cose in sè.
In base a questa concezione filosofica, non è difficile comprendere perchè la realtà sembra essere un libro scritto in caratteri geometrici, che non può comprendere chi la geometria non intende.
La geometria è parte dell'immagine che la realtà ci restituisce quando in essa, interagendovi, ci specchiamo.
I risultati di questa interazione però non sono necessariamente immagini, senza che ciò escluda la possibilità del ''progredire'' della nostra interazione con la realtà.
La conoscenza ci muta fino a non riconoscerci più allo specchio, fino a produrre a volte un rigetto.
Questo rigetto è ciò che caratterizza la nostra epoca, in quanto in quelle precedenti non poteva l'uomo testimoniare in diretta la sua mutazione.
Dall'orrore che ciò può provocare si può fuggire affermando la saggezza della filosofia antica, (anche percezione chi potrebbe negarlo?) rifugiandovisi.
Essendo però come detto io un ignorante in filosofia, mi tocca invece affrontarlo a viso aperto il diavolo, e credo di poter dire infine che non è mai cosi brutto come lo si descrive.
O quantomeno. mi sembra di trovare così risposte a domande diversamente senza risposta, se di ciò ci si può consolare., anche se di solito succede che ''la domanda si risponde da sola'' perdendo di senso.
Sono un cinico per necessità, ma non me ne lamento.
Viviamo dentro un illusione vitale, che in quanto tale è da rivalutare, e semmai possiamo dolerci del fatto che non sempre è possibile produrla.
Non dobbiamo abbandonare le nostre illusioni, ma prima o poi lo dovremo fare.
Già la necessità di ridefinire il nostro io, andando oltre la coscienza che ne abbiamo, diventa pressante.
Troviamo ancora il coraggio di affrontare certe questioni riuscendo a tramutare l'orrore in intrattenimento nei racconti di fantascienza, per dire che l'orrore che proviamo può essere superato per vie indirette, quando rifiutiamo quelle dirette, perchè in un modo o nell'altro non possiamo mancare di affrontare la realtà.
Possibile vie di fuga sono solo palliativi momentanei, ma comprendo bene perchè lo faccia, chi lo può fare.
Finché ci liberiamo delle nostre illusioni, ma solo per poterle ridefinire, va ancora tutto bene, ma anche quando ciò non riusciremo più a fare, in qualche modo faremo ancora, e anzi lo stiamo già facendo, delegando il compito a macchine prive di ogni illusoria immaginazione.
Ciò non è ne un bene ne un male, ma la prova che non c'è un solo modo di vedere la realtà, per quanto possiamo ancora condividerlo, fino al punto che in uno di questi modi, al limite, nessuna immagine della realtà più appare.
I ciechi ''ci vedono'' anche senza occhi, e in qualche modo diverso riusciremo ancora a ''vedere'' la realtà.
Intanto comunque teniamoci stretta la nostra percezione, ma non possiamo più fare finta che intorno ad essa ruoti la realtà.
Teniamocelo come esempio di ciò che può restituirci la realtà quando la sollecitiamo, e confidiamo che ciò sia solo uno dei possibili modi coi quali essa può meravigliarci, se pure gli scienziati sembrano soggiacere alla bellezza di un equazione che la descriva.
Da un lato dovremo escludere d'ora in poi che la realtà possa coincidere con una sua descrizione, ma allo stesso tempo, essendo possibile descriverla in diversi modi, la nostra meraviglia potrà moltiplicarsi.
Citazione di: Bruno P il 22 Ottobre 2024, 08:32:50 AM"C'è una natura che sta oltre ciò che percepiamo, e che percependola impropriamente diciamo natura, qualcosa che della nostra percezione è la causa, laddove l'effetto non può coincidere con la causa." Lasciami dire che trovo in questo tuo scritto fondamenti del pensiero cartesiano e kantiano dove, comunque fino a Schopenauer, si ritiene fondante l'esistenza dell'episteme, assente però in Nitzsche.
Non so se ho capito esattamente cosa sia l'episteme, stante l' evoluzione del suo significato.
Comunque secondo me il punto di partenza è che noi agiamo nella realtà, e immagino l'episteme come un prodotto intermedio di questo agire che si differenzia nella sua apparenza o nella sua mancanza, mancanza intesa comunque come caso limite di apparenza, per il grado di coscienza che impieghiamo, laddove la coscienza essendo un modo di agire fra tanti, non è in se necessaria.
certo senza coscienza non c'è filosofia, ma se è vero che la filosofia influenza l'agire anche di chi non sa di averla, la sua conoscenza non è strettamente necessaria al suo agire.
Conoscerla per una azione responsabile resta comunque la nostra ambizione di filosofi.
Essa è dentro di noi, e nei libri si trova la storia di questa interiorità, che riguarda comunque anche la realtà, essendone parte.
Gentile iano
ti ringrazio innanzitutto per aver condiviso il tuo pensiero.
Non sarò certo io, un emerito nessuno, a voler dare un significato diverso da quello che intendi al termine episteme.
Rimango, scolasticamente, alla sua definizione più classica: la conoscenza ultima, definitiva, incontrovertibile e, per dirla con Severino, inaudita. Con un tratto cristiano la identifico con l'albero della conoscenza da cui Adamo ed Eva colsero la mela.
Nel corso della storia della Filosofia ci sono stati tentativi di "appropriazione indebita" di tale termine. E mi riferisco a coloro i quali, spinti dal sacro fuoco scientifico, hanno ritenuto di aver formulato una teoria definitivamente inconfutabile; questi hanno però perso di vista un'altra caratteristica propria dell'episteme: essa è unica e non frammentata all'infinito in singole conoscenze che diventano tra di loro sempre più lontane e risultano difficilmente componibili, ammesso che qualcuno le voglia ricomporre.
Osservo poi che nei tuoi scritti riporti e citi spesso la realtà. Non per questo considero il tuo pensiero vicino al Neorealismo ma, consentimi, ti vedrei più vicino al pensiero cartesiano.
René Descartes è un gigante della Storia della Filosofia e come personaggio lo amo profondamente. Mi auguro che prima o poi qualcuno voglia produrre un film o, come va di moda oggi, una serie sulla sua vita. I più lo conoscono come matematico dato che il piano cartesiano a scuola lo hanno studiato tutti. Ma era una figura davvero eclettica. Si dedicò a svariati studi. Forse non tutti sanno che anche lui andava a scavare di notte nei cimiteri per avere la "materia prima" per poter studiare il corpo umano. L'oggetto del suo studio però era diverso da quello di Leonardo dato che al suo tempo era ancora ignota la funzione del cervello, questa massa molle posta all'interno del corpo in una scatola, quella cranica però decentrata rispetto alla figura intera, cui la Storia aveva dedicato ben poca attenzione. Al suo tempo si riteneva ancora che il coraggio risiedesse nel fegato, nel cuore la generosità, ecc. I tratti più importanti della personalità umana erano associati a ben definiti organi interni, contenuti nell'addome. Ma del cervello nessuno aveva saputo dare un'utilità e ammesso ne avesse avuta una non poteva, per logica, trovarsi lontano dall'addome. I suoi studi lo portarono a concludere, ingenuamente, che al suo interno la connessione tra anima e corpo avesse luogo nell'ipofisi, o ghiandola pineale, dato che era l'unica a non essere duplicata nei due emisferi. Ma oltre a ciò fu il primo ad ipotizzare che il cervello fosse una sorta di "unità di comando" e che avesse una funzione di controllo sull'agire del corpo umano ritenendo che dal cervello si dipartissero dei tubuli (i nervi) al cui interno scorresse un fluido capace di far agire la muscolatura. Tant'è che costruì una sorta di robot i cui comandi stavano appunto nella testa ed erano in grado di comandare, tramite leve e molle, le estremità articolari; fece il giro delle corti europee con il suo "spettacolo" che destava grande ammirazione.
Non ultimo infine il suo contributo fondamentale alla Filosofia: ebbe il coraggio di ribaltare sottosopra le credenze plurisecolari fino ad allora in voga e mettere in dubbio tutto tranne la capacità del suo essere di pensare.
Perdonami per la lunghezza del mio scritto.
Citazione di: Bruno P il 22 Ottobre 2024, 17:47:05 PMNon sarò certo io, un emerito nessuno, a voler dare un significato diverso da quello che intendi al termine episteme.
Rimango, scolasticamente, alla sua definizione più classica: la conoscenza ultima, definitiva, incontrovertibile e, per dirla con Severino, inaudita. Con un tratto cristiano la identifico con l'albero della conoscenza da cui Adamo ed Eva colsero la mela.
Io lo interpreto come albero della coscienza, perchè la conoscenza è implicita nell'agire, se questo agire ha una causa e Adamo ed Eva non hanno mai smesso di agire.
Il passaggio biblico lo vedo come un assunzione di coscienza della propria conoscenza che ci dona facoltà di scelta.
La mela simbolizza questa facoltà. perchè adesso possiamo scegliere se mangiarla oppure no, mentre prima semplicemente la magiavamo senza porci il problema : ciò che portiamo fuori di noi affermandolo possiamo perciò negarlo, restando diversamente un innegabile verità.
La verità per me è ciò che è innegabile, finché non la si afferma, e per questo non si dovrebbe pronunciare anche solo il nome di Dio, preludendo ciò a fare si di esso affermazioni.
Citazione di: Bruno P il 22 Ottobre 2024, 17:47:05 PME mi riferisco a coloro i quali, spinti dal sacro fuoco scientifico, hanno ritenuto di aver formulato una teoria definitivamente inconfutabile; questi hanno però perso di vista un'altra caratteristica propria dell'episteme: essa è unica e non frammentata all'infinito in singole conoscenze che diventano tra di loro sempre più lontane e risultano difficilmente componibili, ammesso che qualcuno le voglia ricomporre.
Il passaggio dalla verità, al dubbio sistematico, non poteva che avvenire in modo travagliato, e ciò che il dubbio produce non eredita dalla verità neanche l'unicità.
Così all'inizio abbiamo provato a salvare la verità dal trasloco, e ancora qualcuno ci prova, entrando inevitabilmente in conflitto con la disciplina del dubbio sistematico, la scienza.
Provare a ricomporre ciò che nasce sparato è sempre desiderabile, ma non necessario.
Geometria e aritmetica nascono separate, e Cartesio ne fà una cosa sola, ma anche il processo inverso è degno di nota, come predicava Feynmann che a questa attività a dedicato l'esistenza, perchè equivale a vedere una cosa sotto diversi punti di vista, fino a farcela sembrare un altra cosa, potendola meglio ponderare. Forse l'unico premio Nobel che non ha inventato nulla di nuovo, ma secondo me anche il più meritato, per la profondità dell'intuizione che lo ha mosso.
E' quantomeno un modo per distinguere la forma dalla sostanza, e in breve Cartesio ci dice, non sò quanto volutamente, che se la realtà ci appare in modo geometrico, non perciò quella è la sua sostanza, a cui noi possiamo aggiungere che la nuova forma non comporti però necessariamente una apparenza a sua volta.
Citazione di: Bruno P il 22 Ottobre 2024, 17:47:05 PMTant'è che costruì una sorta di robot i cui comandi stavano appunto nella testa ed erano in grado di comandare, tramite leve e molle, le estremità articolari; fece il giro delle corti europee con il suo "spettacolo" che destava grande ammirazione.
Non ultimo infine il suo contributo fondamentale alla Filosofia: ebbe il coraggio di ribaltare sottosopra le credenze plurisecolari fino ad allora in voga e mettere in dubbio tutto tranne la capacità del suo essere di pensare.
Perdonami per la lunghezza del mio scritto.
Figurati, è un piacere leggerti.
Dunque Cartesio si mette pure a magheggiare!
Io credo che il processo con cui la scienza vuole separarsi da ciò che la precede, e in particolare dalla magia, sia ancora in corso.
Credo infatti che se analizzassimo in modo obiettivo la scienza potremmo ben vedere quanto il pensiero magico rimane ad essa ancora funzionale, se si crede che la realtà possa obbedire a una formula, in qualunque forma si presenti, compresa quella di un equazione.
Non è necessario conoscere la realtà per potervi agire, se è sufficiente attraverso la conoscenza di un'equazione sapere come agirvi.
Poi magari non è neanche necessario separarsi da questa magia, mantenendone però la coscienza, senza negarla a maggior gloria della scienza, così come si è provato ad occultare gli scritti alchemici di Newton, di gran lunga superiori in numero a quelli scientifici, e che io vedo anzi come necessario preludio alla sua teoria di gravitazione.
Forse noi oggi non ci rendiamo infatti conto quanto fosse intrisa di magia ai tempi di Newton l'idea di una forza che agisce a distanza, idea che solo un mago poteva appunto partorire.
Citazione di: iano il 22 Ottobre 2024, 21:20:51 PMIo lo interpreto come albero della coscienza, perchè la conoscenza è implicita nell'agire, se questo agire ha una causa e Adamo ed Eva non hanno mai smesso di agire.
Il passaggio biblico lo vedo come un assunzione di coscienza della propria conoscenza che ci dona facoltà di scelta.
La mela simbolizza questa facoltà. perchè adesso possiamo scegliere se mangiarla oppure no, mentre prima semplicemente la magiavamo senza porci il problema : ciò che portiamo fuori di noi affermandolo possiamo perciò negarlo, restando diversamente un innegabile verità.
La verità per me è ciò che è innegabile, finché non la si afferma, e per questo non si dovrebbe pronunciare anche solo il nome di Dio, preludendo ciò a fare si di esso affermazioni.
Dipende cosa intendiamo per coscienza e cosa per conoscenza, a
qualsiasi livello.
Ieri sera a cena parlavo con mia moglie delle forme cancerogene di cui purtroppo abbiamo notizia molto spesso riguardo conoscenti anche lontani e come, per fortuna, la ricerca proceda e stia in questo periodo mettendo a punto la tecnica CRISPR che consente la correzione del DNA sostituendo la singola base azotata errata con quella corretta; inoltre l'attuale indirizzo prevede di "addestrare" il sistema immunitario a riconoscere le cellule tumorali e quindi far si che sia l'organismo a lottare per combatterle piuttosto che forme esterne più invasive come le radioterapie.
Ma come nasce, si forma, una cellula tumorale? Anche questo è motivo per me di grande meraviglia. Nel DNA, che è presente in ogni singola cellula, sono contenute anche le "istruzioni" per il processo di apoptosi ovverosia è scritto come la singola cellula deve autodistruggersi quando è giunta al termine del proprio ciclo vitale: ciò per evitare che un'autodistruzione non controllata vada a nuocere al macro-organismo di cui è parte. Le parti componenti la cellula vanno in pratica a scomporsi per essere riciclate dal macro-organismo piuttosto che rimanere non metabolizzate ed accumularsi inutilmente in esso. Già questo per me è motivo di grandissima meraviglia: che sia unicellulare o macro-cellulare,
qualsiasi forma di vita lotta strenuamente fin dalla nascita per sopravvivere; eppure nel suo DNA esistono le istruzioni che spiegano come andare a morire per un bene superiore, a favore del macro-organismo. Quando e come ha avuto luogo questo feed-back nella singola cellula creando questa "pagina" all'interno del "manuale di istruzioni" che è il DNA? Oppure come ha avuto luogo questa scrittura all'interno delle cellule limitrofe o meno ancora pienamente vitali? Darwin dice che avviene per caso... Io non sono d'accordo ma attendo che sia la Scienza a spiegarmelo. La cellula tumorale nasce nel momento in cui questa "pagina" contiene talmente tanti errori che non è più leggibile e la cellula continua ad esistere ed a moltiplicarsi, creando una massa tumorale, producendo proteine non funzionali all'organismo, anzi....
Ora, dove si collocano coscienza e conoscenza in questo processo? Li posso attribuire al singolo mattone della vita quale è una cellula? In un organismo più complesso come è l'essere umano mi è forse, ripeto forse, più semplice dato che ne abbiamo un'accezione immediata e quotidiana ma se torno indietro verso organismi più semplici, da cui comunque originiamo, fino alla singola cellula (organismo tutt'altro che semplice) risulta più complesso.
Posso dire che ad un certo punto la singola cellula si è dotata autonomamente di quella pagina che descrive il processo, lungo e complesso, in cui si descrive l'apoptosi? Oppure è stato qualcuno/qualcosa di esterno alla singola cellula che l'ha scritta? E' questa una forma di
coscienza nel momento in cui tale pagina si è resa indispensabile per far si che l'organismo di cui fa parte quella cellula abbia un beneficio dalla sua morte? Direi che è un'accezione del termine coscienza che come minimo esce dalla quotidianità ed abbiamo difficoltà ad accettarla non riconoscendo alla cellula, di norma, una
res cogitans.
E posso dire che l'acquisizione di questa "pagina" diventa una forma arricchita di conoscenza? Verrebbe spontaneo dire di si. Sarebbe comunque una conoscenza parziale, e quindi non del tutto funzionale, dato che l'organismo non ne possiede alcuna riguardo l'eventuale mancato funzionamento del processo di apoptosi, con tutte le conseguenze che purtroppo conosciamo.
Da credente ritengo che la perfezione di Dio, lo nomino, si manifesta nell'imperfezione del suo creato.
Può apparire un controsenso dato che per definizione classica un essere perfetto non è manchevole di nulla e non può produrre un qualcosa di imperfetto. E' quindi l'imperfezione che da luogo al divenire e quindi alla vita così come la conosciamo, con tutto ciò che ne consegue.
Al solito ho scritto un romanzo....e spero di non essermi parlato addosso.
Citazione di: Bruno P il 23 Ottobre 2024, 08:25:53 AMPosso dire che ad un certo punto la singola cellula si è dotata autonomamente
Intanto mi pare che concordiamo sul fatto che qualunque essere vivente possegga coscienza, seppur in diverso grado, per cui di fatto la coscienza distingue ciò che è vivo da ciò che non lo è.
Se ipotizzando ciò non abbiamo spiegato cosa è la coscienza o cosa è la vita, abbiamo comunque ridotto una cosa all'altra, semplificando l'apparente complessità.
Un ulteriore semplificazione potrebbe essere l'assimilare la struttura materiale dell'essere vivente alla sua conoscenza.
Queste sono solo ipotesi, in quanto non necessarie, che siamo liberi di assumere.
Non solo non sono necessarie, ma potremmo assimilare la loro assunzione alla casualità.
Nel momento in cui le ipotesi si mostrano però adatte a spiegare la realtà, esse diventano conoscenza che si fissa in memoria, e acquisire memoria significa modificare in modo relativamente permanente la propria struttura.
Ho fatto fin qui esempi di cose che pur percepite come autonome possono rivelarsi solo modi diversi di vedere la stessa cosa.
Cartesio ha dimostrato di fatto che i diversi modi in cui ci appare la realtà, come forma o come quantità, possono essere ridotti l'uno a l'altro, e che non sono quindi costituenti distinti della realtà, ma la stessa realtà che si manifesta in diversi modi, e questa diversa apparenza potrebbe essere funzione del diverso modo in cui vi interagiamo.
Le ipotesi a priori vanno tutte bene, tanto che potremmo produrre ipotesi a caso, perchè la loro assunzione non và necessariamente motivata, non dovendosi spiegare ciò che spiega.
L'unica cosa che dobbiamo curare è che le ipotesi assunte non siano fra loro contraddittorie, per cui se effettivamente potrà essere libera la prima le altre saranno condizionate.
Partendo dalle ipotesi costruisco teorie che non devono necessariamente concordare, se diverse son le ipotesi a cui sottostanno.
E' prevedibile quindi che teorie che contengano Dio come ipotesi, e altre che non lo contengono, possano divergere fra loro.
L'ipotesi di Dio è in se problematica perchè non sembra essere propriamente una libera assunzione, perchè se lo fosse non ci sarebbe necessità di parlare di fede in Dio.
Possiamo in effetti porre fede in assunzioni diverse da Dio.
Ma porre fede nelle proprie ipotesi prelude a una identificazione delle nostre teorie con la realtà, per cui noi non ci stiamo limitando a voler descrivere la realtà, ma cerchiamo descrizioni che ''coincidano'' con essa.
Vogliamo cioè che le parole si facciano realtà, ciò che io attribuisco al pensiero magico.
Il pensiero magico non è da prendere sottogamba, perchè nasce da una pressante necessità. Grazie ad esso, come per magia, noi viviamo in un mondo che ci appare nella sua evidenza, come fosse ovvio, e non una magia, che aprendo gli occhi esso debba apparirci in modo immediato.
Questo è il mondo/modo in cui noi abbiamo vissuto la realtà, ma se il nostro mondo/teoria non coincide con la realtà, esso non è l'unico modo in cui possiamo viverla. Nel nostro vecchio mondo c'era Dio, perchè tutti vi credevano, quindi di fatto esisteva. Nel prossimo chissà....
In ogni caso perchè la nostra conoscenza della realtà possa identificarsi con essa ci vuole fede, ed essere capaci di credere è ciò che finora ci ha caratterizzati.
Noi siamo ''strutturati'' per porre fede in ciò che vediamo, per cui la realtà ci appare come fatta di cose in se, come se la realtà potesse davvero dipendere da ciò che a noi appare.
Questa ''realtà'' viene sempre più sottoposta acritica, segno che sta cambiando la nostra struttura.
Cioè avviene ogni volta che la struttura viene esplicitata, quando la conoscenza si fa coscienza.
Poi magari questa realtà di cui parlo, nel diverso significato che gli do, e che si può indurre dal contesto, è un diverso nome che do a Dio.
E' la giustificazione di ogni cosa con cui abbiamo anche fare, data a priori, già però non nasce in me da una fede, ma da una necessità razionale.
Ma alla fine non cambia molto, perchè comunque la mettiamo un punto da cui partire ci vuole, e le ipotesi su cui si esercita la ragione non hanno nulla di razionale.
La struttura/conoscenza, una volta esternata, può essere delegata a macchine prive di coscienza, se conoscenza e coscienza non si equivalgono, e da ciò derivo l'idea che conoscenza è struttura, perchè l'informazione che contiene una macchina coincide con la sua struttura.
Qualcuno vede nel software una analogia con l'anima, ma è un abbaglio.
Possiamo infatti idealmente isolare parti strutturali nominandole diversamente al fine di descrivere la macchina, ma una sua parte non coincide neanche analogicamente con l'anima, se la descrizione della macchina non coincide con la macchina.
Esternandoci cambiamo, e in diminuzione se deleghiamo parte di noi alle macchine, a meno che non vorremo considerare ciò che esterniamo ancora parte di noi, ammettendo una struttura diffusa.
Io sono fatto di cose che comunicano fra loro, e l'unità fisica dipende più dai limiti della comunicazione.
Due particelle entengled poste agli estremi dell'universo possiamo considerarle ancora un unità comunicativa, se lo spazio posto fra essi non si pone come limite alla loro comunicazione. Se le cose sono distinte, lo spazio è la loro distinzione, e se invece non sono distinte di che spazio si parla?
Se nell'universo non esistono cose non suscettibili di essere relazionate, allora la natura dell'universo non è l'essere fato di cose spaziate fra loro.
Le cose non esistono in mancanza di una relazione, o seppure esistessero, non relazionandosi non potrebbero essere rilevate.
L'universo non si espande, ma muta, e questa mutazione può essere descritta come espansione. Espansione come di cose che si allontanano fra loro, come se queste cose non fossero a loro volta un modo di descrivere l'universo.
Se poniamo ugualmente fede alle diverse descrizioni dell'universo, ad ognuna delle quali corrisponde un diverso mondo, questi mondi non potranno che scontrarsi fra loro prima o poi.
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 14:29:18 PMIntanto mi pare che concordiamo sul fatto che qualunque essere vivente possegga coscienza, seppur in diverso grado, per cui di fatto la coscienza distingue ciò che è vivo da ciò che non lo è.
Non ne ho certezza. Per coscienza intendo sicuramente una forma di vita, perché a quanto è inanimato è ben difficile attribuire questa capacità, capace di distinguere tra il Sé e il non-Sé, anche rispettando il principio di non contraddizione.
Infatti nel mio scritto ponevo un punto di domanda e una seconda ipotesi. Se non vi è questa capacità discriminatoria allora il problema non si pone. Se invece sussiste questa mi chiedo se la coscienza è immanente alla forma di vita o è esterna ad essa. Sono cose diverse.
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 14:29:18 PMUn ulteriore semplificazione potrebbe essere l'assimilare la struttura materiale dell'essere vivente alla sua conoscenza.
Concordi in pratica con la Teoria di Santiago secondo la quale, in pratica, anima e corpo coincidono. Come dire "se sono fatto così è grazie alla mia conoscenza e viceversa". Come ho già avuto modo di dire non sono d'accordo con questa teoria.
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 14:29:18 PMQueste sono solo ipotesi
Certo, rimangono ipotesi sulla base delle quali poi si formulano delle teorie che, se non autospeculative, hanno come unico scopo quello di descrivere al meglio il mondo osservato....con tutte le tare che si portano dietro ad iniziare dal principio di indeterminazione e dalla fallibilità dell'osservatore. Nell'esempio però che ho voluto citare credo di essere andato al cuore del "problema" ovverosia se e dove risiede la coscienza una volta data una definizione spero condivisibile del costrutto (e mi richiamo all'esempio della sedia).
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 14:29:18 PML'ipotesi di Dio è in se problematica perchè non sembra essere propriamente una libera assunzione
Verissimo. Non possiamo infatti dimenticare che nella nostra cultura, quella "occidentale" che affonda le proprie radici nell'antica Grecia, in cui tra la visione apollinea e quella dionisiaca ha prevalso la prima, sia stata scolpita dal Cristianesimo di fronte al quale, al massimo, si è proceduto solo a negarlo diventando atei.
Attenzione però: in un procedimento "scientifico" o quanto meno che si affida alla ragione, di cui siamo indubitabilmente dotati, richiamare Dio, la cui immanenza in tutto è giustificata solo ed esclusivamente dalla Fede, è una scappatoia in cui io stesso cado quando pongo al di fuori dell'essere vivente la coscienza (a differenza della conoscenza che è l'individuo che se la costruisce nel suo cammino vitale). Certo è che una possibile spiegazione, una tra le ipotesi possibili, me la do per non rimanere in un vortice privo di alcun significato.
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 14:29:18 PMMa porre fede nelle proprie ipotesi prelude a una identificazione delle nostre teorie con la realtà, per cui noi non ci stiamo limitando a voler descrivere la realtà, ma cerchiamo descrizioni che ''coincidano'' con essa.
Vogliamo cioè che le parole si facciano realtà, ciò che io attribuisco al pensiero magico.
Lasciami dire che voler forzare le proprie teorie, sia pur basate su ipotesi valide, alla realtà osservata è un esercizio perfettamente inutile. La teoria se è valida me la tengo, altrimenti la scarto. E se è valida cerco, come asseriva Popper, di falsificarla per conferirle ulteriore validità nel momento in cui, ad ogni osservazione - esperimento, viene confermata. Magari poi verrà successivamente falsificata da una nuova teoria. Ad esempio, se lascio cadere un oggetto dal mio tavolo ho confermato un'altra volta la teoria newtoniana; poi è intervenuta la teoria di Einstein che l'ha soppiantata. Ma fino all'avvento di Einstein la teoria newtoniana era sufficiente per descrivere la realtà quotidiana immediatamente tangibile.
La magia non appartiene invece alla visione "scientifica", dettata dalla ragione, che è quella che è stata rifiutata dai primi filosofi quando, per cercare di spiegare il mondo, hanno rifiutato il mito che era fattualmente una forma di fede.
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 14:29:18 PMIn ogni caso perchè la nostra conoscenza della realtà possa identificarsi con essa ci vuole fede, ed essere capaci di credere è ciò che finora ci ha caratterizzati.
Qui non sono d'accordo con te. Ritengo infatti che affinché la nostra conoscenza si approssimi al meglio alla realtà osservata necessiti razionalità piuttosto che fede. E ciò richiede la capacità di abbandonare il paradigma che viene superato da quello nuovo che meglio la spiega: abbandonare Newton per abbracciare Einstein. E' una conoscenza a posteriori (l'Empirismo della scuola britannica) mentre la fede è una credenza (non una conoscenza) a priori (da non confondere assolutamente con il Razionalismo di scuola tedesca)
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 14:29:18 PMNoi siamo ''strutturati'' per porre fede in ciò che vediamo, per cui la realtà ci appare come fatta di cose in se, come se la realtà potesse davvero dipendere da ciò che a noi appare.
E' l'atteggiamento del Realismo che nega, magari parzialmente, quanto affermato fin da Cartesio. Qualche secolo dopo il Cognitivismo ha dimostrato come la realtà fenomenica permei il pensiero umano e si concretizzi nel percetto. Ignorare ciò significa ignorare come funziona il cervello.
Citazione di: iano il 23 Ottobre 2024, 15:21:27 PMLa struttura/conoscenza, una volta esternata, può essere delegata a macchine prive di coscienza, se conoscenza e coscienza non si equivalgono, e da ciò derivo l'idea che conoscenza è struttura, perchè l'informazione che contiene una macchina coincide con la sua struttura.
Concordo appieno con te dato che coscienza e conoscenza non si equivalgono e rimangono distinte.
Considerando il PC su cui sto scrivendo posso affermare con un buon grado di certezza che esso non possiede coscienza (per come l'ho definita). In tal senso le "macchine" sono e rimangono uno strumento, un prolungamento delle facoltà umane che lo aiutano in un determinato compito, nulla più di un cacciavite.
Ed anche le macchine costruite basandosi sulle reti neurali, in ultima analisi, rimangono tali dato che in esse viene aumentata la capacità di autoapprendimento e quindi di conoscenza. Se conoscere l'1 e poi conosce il 2 e poi ancora è in grado di dire che 1 + 2 = 3 non significa avere coscienza. Da qui a Matrix ce ne vuole......
''Considerando il PC su cui sto scrivendo posso affermare con un buon grado di certezza che esso non possiede coscienza (per come l'ho definita). In tal senso le "macchine" sono e rimangono uno strumento, un prolungamento delle facoltà umane che lo aiutano in un determinato compito, nulla più di un cacciavite.''
Ribaltando questo tuo punto di vista, può essere interessante provare a considerare il cacciavite come nulla di più della mano che lo impugna.
Citazione di: Bruno P il 24 Ottobre 2024, 09:00:24 AMNon ne ho certezza. Per coscienza intendo sicuramente una forma di vita, perché a quanto è inanimato è ben difficile attribuire questa capacità, capace di distinguere tra il Sé e il non-Sé, anche rispettando il principio di non contraddizione.
Infatti nel mio scritto ponevo un punto di domanda e una seconda ipotesi. Se non vi è questa capacità discriminatoria allora il problema non si pone. Se invece sussiste questa mi chiedo se la coscienza è immanente alla forma di vita o è esterna ad essa. Sono cose diverse.
Come fa l'essere vivente a distinguere il Sé dal non Sé?
Credo si tratti della percezione di ciò che da me non posso escludere, perchè non manipolabile. La coscienza di una coscienza non omnicomprensiva. Il sapere di non sapere.
Per contro tendiamo ad escludere tutto ciò che è manipolabile, come ad esempio un cacciavite.
Sembra trattarsi più di un limite accidentale che di una necessità logica.
Secondo questa logica ciò che riuscirò in seguito a manipolare del Sé, da esso allora lo escluderò, posto che per ignoranza non distinguo il Sé dall'Io, ma spero si sia compreso ugualmente il senso di ciò che voglio dire.
Possiamo però anche non ridurre il Sé alla percezione che ne abbiamo, includendovi tutto ciò che siamo capaci di manipolare, come ad esempio un cacciavite, o una teoria scientifica della gravitazione, la quale ultima avrebbe perciò la stessa universalità di un cacciavite.
Se progetto un nuovo cacciavite il mio scopo non è giungere al cacciavite perfetto, perchè ogni cacciavite è perfetto limitatamente a ciò che posso farci.
Non progetto un nuovo cacciavite per superare i limiti del vecchio, ma per farci qualcosa di diverso, per quanto analogo a ciò che già facevo col vecchio.
Non considerei tanto una coscienza esterna, ma una coscienza del Sé espandibile trascendendo la percezione che ne abbiamo.
Nella misura in cui riesco a manipolare la realtà la ''comprendo'', o lo manipolo nella misura in cui riesco a comprenderla?
Come faccio a comprendere la realtà se non manipolandola? Questa comprensione suggerisce poi nuove manipolazioni.