Scrive Kant:<<Quando si domanda (in riferimento ad una teologia trascendentale) se vi sia un qualcosa di *diverso dal mondo*, che contenga il fondamento dell'ordine del mondo e della sua connessione secondo leggi universali, la risposta è alÌora: senza dubbio. Il mondo è infatti una somma di apparenze: deve dunque esserci un qualche fondamento trascendentale di esso, cioè un fondamento pensabile soltanto dall'intelletto puro. In secondo luogo, alla domanda se questo ente sia sostanza, abbia la massima realtà, sia necessario, ecc., io rispondo che questa domanda non ha alcun significato. In effetti, tutte le categorie, mediante cui io cerco di formarmi un concetto di un tale oggetto, non sono se non di uso empirico, e non hanno alcun significato, se non vengono applicate a oggetti di un'esperienza possibile, cioè al mondo dei sensi.Al di fuori di questo campo, esse sono semplicemente titoli di concetti, che possono venire ammessi, ma mediante i quali non si può comprendere nulla. E quando si domanda infine, in terzo luogo, se non si possa almeno pensare questo ente distinto dal mondo in base ad un'analogia con gli oggetti dell'esperienza, la risposta è allora: certamente, però soltanto come oggetto nell'idea, e non già nella realtà, cioè solo in quanto tale oggetto è un sostrato - a noi ignoto - dell'unità sistematica dell'ordine e della finalità della costituzione del mondo, unità ordine e finalità che la ragione deve assumere come principio regolativo della sua indagine sulla natura. Inoltre, in questa idea noi possiamo permettere - senza timore di essere biasimati - certi antropomorfismi, che giovano al suddetto principio regolativo. In ogni caso, difatti, si tratta soltanto di un'idea, la quale viene riferita non già direttamente ad un ente diverso dal mondo, bensi al principio regolativo dell'unità sistematica deÌ mondo, e solo mediante uno schema di tale unità, quello cioè diun'intelligenza suprema, che crea il mondo secondo saggi disegni. Con ciò non si è voluto pensare, che cosa sia in se stesso questo fondamento originario dell'unità del mondo, ma si è voluto indicare in che modo noi dobbiamo servirci di tale fondamento, o piuttosto della sua idea, relativamente all'uso sistematico delìa ragione per quel che concerne Ie cose del mondo.A questo modo, peraltro (si continuerà a domandare), possiamo ammettere un unico, saggio e onnipotenteCreatore del mondo? Senza alcun dubbio. Non soltanto possiamo ammettere ciò, ma dobbiamo anzipresupporre un tale creatore. In tal caso, estendiamo dunque Ia nostra conoscenza al di là del campo dell'esperienza possibile? In nessun modo. In effetti, abbiamo semplicemente presupposto un qualcosa, riguardo a cui noi non abbiamo alcun concetto di quello che possa essere in se stesso (abbiamo presupposto cioè un oggetto semplicemente trascendentale). Riferendoci all'ordine sistematico e finalistico dell'universo - ordine che dobbiamo presupporre, se vogliamo studiare la natura - abbiamo semplicemente pensato quell'ente a noi sconosciuto secondo l'analogia con un'intelligenza (che è un concetto empirico); ossia, in riferimento ai fini e alla perfezione che si fondano su tale ente, noi l'abbiamo dotato appunto di quelle proprietà, che possono contenere secondo le condizioni della nostra ragione, il fondamento di una tale unità sistematica>>. [KANT: Critica della ragione pura - pg.699-700]Qui Kant parla del Principio più o meno negli stessi termini in cui a volte anch'io parlo del Principio di Complementarità, tranne in un "piccolo" dettaglio: l'impossibilità di conoscerlo!Allora io mi (vi) chiedo: - Su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile conoscere il Principio? - Per quale ragione, cioè, un Principio che governa-modella il mondo dovrebbe essere <<pensabile soltanto dall'intelletto puro>> e non desumibile dall'osservazione del mondo?- Il principio di gravitazione è stato solo un pensiero puro di Newton, oppure Newton ne ha desunto l'esistenza e la "forma" (F=GmM/r^2) dall'osservazione dei moti planetari? A me risulta...la seconda che ho detto:<<Isaac NEWTON DEDUSSE DALLE LEGGI DI KEPLERO la spiegazione dinamica dei moti planetari introducendo, quale causa del moto, una forza, detta forza di gravitazione universale. Newton dimostrò anche il teorema inverso, ossia che dalla sua legge generale del moto e dalla forza di gravità si ottengono, in maniera equivalente, le leggi di Keplero>>.
https://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_di_Keplero
<< Il punto di partenza è costituito DALLE LEGGI DI KEPLERO. A questa base Newton aggiunge la dinamica, che abbiamo discusso nel capitolo 5, e formula la legge della gravitazione universale>>.
http://www.mat.unimi.it/users/antonio/meccanica/Meccan_7.pdf
<<...Fu la generalizzazione delle LEGGI DI KEPLERO che portò Newton alla sua teoria universale della gravitazione;
http://educa.univpm.it/storia/94119dlk.html
<<Newton trovò la legge della gravitazione universale (...) "DEDUCENDOLA" DALLE LEGGI DI KEPLERO>>
http://lcalighieri.racine.ra.it/Rivol_copOLD/Newton/LEGGI%20KEPLERO.htm
...E allora perché Kant parla di un Principio che è SOLO pensabile e che quindi non può <<...applicarsi a oggetti di un'esperienza possibile, cioè al mondo dei sensi>>? Forse perché proiettava la sua ignoranza abissale su ogni concetto importante per la conoscenza? Un disturbo mentale? Una sua tendenza coatta alla critica a oltranza? ...Pare proprio di sì:http://www.lercio.it/la-moglie-di-kant-chiede-il-divorzio-non-lo-sopporto-piu-e-tutta-una-critica/:)
Allora guarda, premettendoti che certi termini che usi (altrove), semplicemente, non stanno bene nella bocca di
un signore di 68 anni (così leggo) che si vorrebbe almeno pacato, se non proprio saggio (e fanno di te una specie
di Sgarbi, patetico personaggio del quale non sentiamo assolutamente la mancanza), ti invito a giudicare l'opera
di Kant nella sua portata filosofica, e non solo riduttivamente in quella epistemologica.
Ti ripeto, da grande ammiratore del filosofo tedesco, che io reputo il più grande di tutti, che sia l'intera
filosofia che l'epistemologia di Kant è criticabile sotto diversi aspetti.
Ad esempio, a me pare (e non solo a me) che vi sia una profonda "frattura" fra la Ragion Pura e quella Pratica,
ove l'agire sotteso alla seconda non trova fondamento negli enunciati della prima.
Eppure, e il tuo continuo postare sull'argomento ne è testimonianza, Kant è stato se non il più grande (come
io lo reputo) almeno uno dei più grandi. Perchè non si parla tanto e così a lungo di uno che "spara cazzate".
Il concetto di "cosa in sè" è usato da Kant per fondare un intero sistema filosofico; un sistema che abbraccia
ogni aspetto, da quello propriamente epistemico a quello, direi soprattutto, morale (quindi di seguito politico
e giuridico, fino ad arrivare a quello religioso).
Ci si chieda, almeno per una volta e sia pur di sfuggita, visto che il "furore" epistemologico imperversa ovunque
ed anche su questo forum, QUALE sistema è fondato dalla scienza propriamente detta (visto che scienza e tecnologia
sono MEZZI, quindi strumenti che necessitano di un "qualcuno" che li adopera...).
La "cosa in sè" è un concetto filosofico che "serve" a Kant per fondare la sua tesi circa il "limite". Mai potrebbe
istituire quel "tribunale della ragione", che avversa la ragione assoluta degli Illuministi, senza quel concetto.
Mai potrebbe fondare le sue tesi politiche e giuridiche che vanno decisamente contro l'assolutismo precedente e
il totalitarismo a lui successivo.
Chiaramente, come ogni filosofo che si rispetti, cerca di dare un fondamento razionale a quella tesi di base.
Ci riesce? Beh, con luci ed ombre, come del resto fa notare intelligentemente Davintro.
Davanti ad un albero che un indigeno della Nuova Guinea valuterà magari sulla base di certe caratteristiche per
farne una piroga, mentre un mobiliere occidentale sulla base delle venature del legno onde ottenerne un mobile
di qualità, Kant ipotizza un "albero in sè", un mero ed astratto concetto che gli serve ad evitare di appiattirsi
su definizioni e valutazioni di chiaro sapore etnocentrico.
E' un errore terribile valutare la "cosa in sè" limitandosi ai soli aspetti epistemici.
saluti
Kant, a sua insaputa :o, è l'oggetto/soggetto ideologico del pensiero filosofico posteriore a lui .
Ha creduto in buona fede che la rivoluzione scientifica galileana dovesse percorrere anche il pensiero filosofico iniziato da Cartesio.
L'esaltazione della creatività umana, porrà l'intelletto umano al centro dell'umanesimo e dell'illuminismo che finirà nei concetti positivistici.
Ma altrettanto Kant è del tutto ignorato dal pensiero della grande filosofia che porrà ancora le problematiche ontologiche della cultura occidentale da Nietzsche in poi dividendo il pensiero della filosofia analitica anglo sassone che si esplicherà negli USA, da quello continentale europeo.
Perchè?
Perchè sposta obnulando l'ontologia, il focus del pensiero filosofico ora sarà su quel "io penso, io sono, io dubito, io conosco......."
Non ha più importanza per Kant che la cosa in sè sia un indimostrabile come già prima aveva detto Hume, o che vi sia Dio o non Dio.
Il "noumeno" kantiano è un'invenzione per non dire, per non argomentare di ciò che l'"io penso......." non può dire.
Vuol dire che non è importante ontologicamente la cosa in sè, ma come io la penso su quella cosa in sè.
E chiaro semmai cosa determinerà lo spostamento dall'ontologia al processo gnoseologico nella cultura occidentale?
In sintesi, che la verità non è necessaria, basta che un concetto sia utile e funzionale alla tecnica......appunto al relativismo
.e aggiungerei
quando la SACRA legge scientifica della termodinamica è "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" è insita la contraddizione severiniana
fra una verità eterna"nulla si crea e nulla si distrugge......." dal " tutto si trasforma" il divenire delle metamorfosi per cui si manifesta ora per non essere più e diventare altro da sè"
Se l'episteme è cercato e focalizzato nella trasformazione, dimenticando ciò che è e quindi non può essere distrutto, allora la "sua" trasformazione e ritenerle verità in divenire sono contraddittorie alla sua essenza "originaria" che invece è un immutabile eterno e quindi verità.
Infatti l'ontologia contemporanea del pensiero filosofico semmai svolge la tematica fra eterno ed esistenza, laddove l'esistenza raccoglie le essenze che non possono che essere immutabili
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 10:17:06 AM
Il concetto di "cosa in sè" è usato da Kant per fondare un intero sistema filosofico;
CARLOIo direi, invece, che è usato da Kant per distruggere qualsiasi sistema filosofico (non c'è filosofia decostruttivista che non si richiami a lui) e qualsiasi sistema di conoscenza, dopo aver decretato l'inconoscibilità SIA del mondo fisico CHE della realtà metafisica e lasciando in piedi (si fa per dire) solo LE SUE sentenze, sebbene prive di adeguati processi.OXDEADBEEFTi ripeto, da grande ammiratore del filosofo tedesco, che io reputo il più grande di tutti, che sia l'intera
filosofia che l'epistemologia di Kant è criticabile sotto diversi aspetti.
CARLOInfatti io lo sto criticando sotto diversi aspetti. Ma la tua prolusione non dà alcuna risposta alle mie critiche. Ancora non ho capito in che consiste la sua grandezza, al di là di molte buone intuizioni (pessimamente sviluppate) e di un indubbio talento letterario. Talento che, tuttavia, è una vera e propria disgrazia quando veicola idee aberranti, perché ognuno di noi tende ad associare alla bellezza anche la verità.Insomma, detto trivialmente, Kant ha scritto un sacco di puttanate, ma l'ha fatto con estrema eleganza.Ma se, invece, credi davvero che sia un grande filosofo, prova a rispondere alle mie poche e semplici domande.
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 11:22:37 AM
quando la SACRA legge scientifica della termodinamica è "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" è insita la contraddizione severiniana
CARLO
Per la scienza questa legge è sacra fino a un certo punto, cioè, a partire da quel mistero scientifico chiamato Big-Bang in poi.
PAUL11
Se l'episteme è cercato e focalizzato nella trasformazione, dimenticando ciò che è e quindi non può essere distrutto, allora la "sua" trasformazione e ritenerle verità in divenire sono contraddittorie alla sua essenza "originaria" che invece è un immutabile eterno e quindi verità.CARLONon c'è contraddizione tra essere e divenire nel momento in cui poni un divenire governato da leggi immutabili, cioè, da leggi che appartengono all'essere. Infatti "ciò che è" è l'energia, e la sua trasformazione è retta da leggi immutabili del tipo E=mc^2
Salve Carlo ed Ox. Naturalmente voi conoscete il principio d'indeterminazione. Il discutere dei concetti altera i concetti. Mi siete "oscuri" esattamente alla maniera in cui io vi sarò "delirante". Salutoni.
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 12:19:26 PM
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 11:22:37 AM
quando la SACRA legge scientifica della termodinamica è "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" è insita la contraddizione severiniana
CARLO
Per la scienza questa legge è sacra fino a un certo punto, cioè, a partire da quel mistero scientifico chiamato Big-Bang in poi.
PAUL11
Se l'episteme è cercato e focalizzato nella trasformazione, dimenticando ciò che è e quindi non può essere distrutto, allora la "sua" trasformazione e ritenerle verità in divenire sono contraddittorie alla sua essenza "originaria" che invece è un immutabile eterno e quindi verità.
CARLO
Non c'è contraddizione tra essere e divenire nel momento in cui poni un divenire governato da leggi immutabili, cioè, da leggi che appartengono all'essere. Infatti "ciò che è" è l'energia, e la sua trasformazione è retta da leggi immutabili del tipo E=mc^2
la risposta è nella mia proposizione successiva:
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 11:22:37 AM. Infatti l'ontologia contemporanea del pensiero filosofico semmai svolge la tematica fra eterno ed esistenza, laddove l'esistenza raccoglie le essenze che non possono che essere immutabili
Ma la scienza una legge lo trae dal manifesto, dall'apparenza del fenomeno non è importante l'essenza.
Non cerca l'immutabile, ma l'osservabile, lo sperimentabile, il verificabile in quanto a sua volta è manipolabile, trasformabile dalla tecnica ai fini speculativi utilitaristici e funzionali all'uopo.
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 13:05:48 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 12:19:26 PM
CARLO
Non c'è contraddizione tra essere e divenire nel momento in cui poni un divenire governato da leggi immutabili, cioè, da leggi che appartengono all'essere. Infatti "ciò che è" è l'energia, e la sua trasformazione è retta da leggi immutabili del tipo E=mc^2
la risposta è nella mia proposizione successiva:
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 11:22:37 AM . Infatti l'ontologia contemporanea del pensiero filosofico semmai svolge la tematica fra eterno ed esistenza, laddove l'esistenza raccoglie le essenze che non possono che essere immutabili
Ma la scienza una legge lo trae dal manifesto, dall'apparenza del fenomeno non è importante l'essenza.
Non cerca l'immutabile, ma l'osservabile, lo sperimentabile, il verificabile in quanto a sua volta è manipolabile, trasformabile dalla tecnica ai fini speculativi utilitaristici e funzionali all'uopo.
CARLONon esiste altro modo di rivelare l'essenza che quello di desumerlo dall'osservazione dei fenomeni. Come diceva Nietzsche, l'essenza più autentica delle cose è celata nelle profondità della Natura, e per farla emergere ci si deve affannare non poco.
Va bene come inizio l'osservazione della natura, ma l'essenza non è nel fenomeno manifesto e Nietzsche non è certo un naturalista.
Ad esempio Jung studia Dio anche ontologicamente o solo come effetto sull'uomo in termini psichici?
L'archetipo si manifesta non dall'esperienza che è il manifestato della natura.
E' o non e una reminiscenza e quindi un'anamnesi in termini filosofici?
Quale natura ontologica ha l'archetipo o non lo ha.Se non lo fosse sarebbe manifestazione di un qualcosa d'altro di ontologico.
Questo esempio sopra esposto , relativo a Kant significa che questi smette di indagare ontologicamente, ma non può ancora saltare ,nel suo tempo storico in cui era, alla negazione dell'ontologia.Cerca di salvare "capra e cavoli", ma si pone come soggetto ,come agente conoscitivo che relaziona gli oggetti fisici, morali, ecc. che perdono la connotazione ontologica per acquisire quella gnoseologica .L'errore di Kant, con il senno di poi, è aver ritenuto che il processo conoscitivo umano potesse avere e sostituire i concetti ontologici su cui erano poste le verità.
Questo porta verso due direttrici :il positivismo o verso l'idealismo.
Il positivismo si pone antimetafisco e quindi del noumeno e della cosa in sè poco o niente gli importerà.
Il massimo della metafisica è la legge scientifica che tu poni .La legge scientifica avrebbe caratteristica di un eterno e quindi ontologicamente vera se non fosse fondata sui limiti conoscitivi umani e sull'altro limite, la manifestazione, le apparenze delle cose. La conoscenza diventa una relazione instabile fra un soggetto limitato e una cosa non vera,se non come manifestazione= relativismo= opinione. perchè ciò che esiste come apparenza in sè e per se(la cosa in sè) non è detto che sia ontologicamente vero e infatti l'epistemologia moderna si inventa la fallibilità.Ma questo è riconoscersi ontologicamente in un sistema contraddittorio, dove la stessa conoscenza è fittizia, mai definitiva, sempre in divenire per altre contraddizioni. per nuove apparenze e manifestazioni.
Hegel all'opposto, che è contro il sistema scientifico moderno,invece spingerà a contenere concettualmente nella coscienza dell'agente conoscitivo la negazione della "cosa in sè" con il processo dialettico che si pone fino allo spirito.
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 11:44:59 AM
Ma se, invece, credi davvero che sia un grande filosofo, prova a rispondere alle mie poche e semplici domande.
La risposta alle tue domande è semplicissima: la "cosa in sè", da un punto di vista scientifico, è irrilevante.
Cos'altro potrebbe risponderti uno che, come dicevo, è convinto che Einstein abbia ragione da vendere quando
afferma: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"?
E del resto, come può la scienza valutare come rilevante un qualcosa assunto come inconoscibile?
Però (c'è un però, ed è grande come una montagna...), questa risposta è valida solo dal punto di vista
scientifico, cioè è valida solo per una parte del sapere, non certo per ciò che cerca, ambisce, di
essere "tutto" il sapere.
La mia contro-domanda è quindi la seguente: cosa rappresenta, da un punto di vista filosofico, la "cosa
in sè"?
Probabilmente dirai: "ugualmente l'irrilevanza". Beh, ti dirò che da uno che parla di "armonie spinoziane",
di sintesi soggetto-oggetto e di magnifiche e progressive sorti dell'umanità (cioè da parte di un idealista)
non mi aspetto risposta diversa.
Se poi tu avessi un'altra risposta sono tutt'orecchi...
saluti
PS
Ti resta in teoria anche l'opzione positivista (cioè scientista) ma mi hai dimostrato già di non appartenere
a quella, diciamo, "schiera". Difficile tu abbia una terza via (come giustamente sottolinea anche Paul11
nell'intervento precedente).
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 20:09:21 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 11:44:59 AM
Ma se, invece, credi davvero che sia un grande filosofo, prova a rispondere alle mie poche e semplici domande.
La risposta alle tue domande è semplicissima: la "cosa in sè", da un punto di vista scientifico, è irrilevante.
Cos'altro potrebbe risponderti uno che, come dicevo, è convinto che Einstein abbia ragione da vendere quando
afferma: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"?
CARLO
No, sulla "cosa in sé ho detto tutto quello che c'era da dire (vedi il mio ultimo breve intervento riassuntivo su "L'elettrone in sé"). Intendevo le tre domande che ho posto nel post d'apertura di questo 3d:
1 - Su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile conoscere il Principio? 2 - Per quale ragione, cioè, un Principio che governa-modella il mondo dovrebbe essere <<pensabile soltanto dall'intelletto puro>> e non desumibile dall'osservazione del mondo?3 - Il principio di gravitazione è stato solo un pensiero puro di Newton, oppure Newton ne ha desunto l'esistenza e la "forma" (F=GmM/r^2) dall'osservazione dei moti planetari?OXDEADBEEF
E del resto, come può la scienza valutare come rilevante un qualcosa assunto come inconoscibile?Però (c'è un però, ed è grande come una montagna...), questa risposta è valida solo dal punto di vistascientifico, cioè è valida solo per una parte del sapere, non certo per ciò che cerca, ambisce, diessere "tutto" il sapere.CARLO
Gli inosservabili-inconoscibili hanno lo stesso valore NULLO in OGNI disciplina del sapere, compresa la teologia, la quale non specula oziosamente su Dio ("Non nominare....ecc.") ma a partire dalle Sue manifestazioni nelle visioni mistiche dei profeti e nell'ispirazione degli autori dei libri sacri.
OXDEADBEEFTi resta in teoria anche l'opzione positivista (cioè scientista) ma mi hai dimostrato già di non appartenerea quella, diciamo, "schiera". Difficile tu abbia una terza via (come giustamente sottolinea anche Paul11nell'intervento precedente).CARLOSe leggi questo thread:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/puoi farti un'idea generale di qual'è la mia "terza via". E se leggi anche gli altri da me postati da giugno fino ad oggi potrai metterla a fuoco ancora meglio.
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 18:31:49 PM
Va bene come inizio l'osservazione della natura, ma l'essenza non è nel fenomeno manifesto e Nietzsche non è certo un naturalista.
Ad esempio Jung studia Dio anche ontologicamente o solo come effetto sull'uomo in termini psichici?
CARLO
Jung
RISALE all'ontologia divina
A PARTIRE dal suo manifestarsi nell'anima umana, sia sul piano
individuale - sogni archetipici, visioni, ispirazioni, ecc. - sia sul piano
collettivo: storia comparata dei simboli e delle idee mitico-religiose. Quindi non esiste una scorciatoia per la conoscenza di Dio (o dei suoi archetipi) che non passi per lo studio comparato delle Sue manifestazioni.
PAUL11
L'archetipo si manifesta non dall'esperienza che è il manifestato della natura.CARLOL'archetipo si manifesta anche nell'esperienza individuale. Se leggi questi miei due 3d, avrai un'idea un po' più precisa:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/PAUL11E' o non e una reminiscenza e quindi un'anamnesi in termini filosofici?Quale natura ontologica ha l'archetipo o non lo ha. Se non lo fosse sarebbe manifestazione di un qualcosa d'altro di ontologico.CARLO
Ciò che ho accennato sopra sul manifestarsi del divino vale negli stessi termini per l'archetipo, potendosi definire l'archetipo come un aspetto di Dio, un suo "raggio", una sua idea vivente.
PAUL11Questo esempio sopra esposto , relativo a Kant significa che questi smette di indagare ontologicamente, ma non può ancora saltare ,nel suo tempo storico in cui era, alla negazione dell'ontologia. Cerca di salvare "capra e cavoli", ma si pone come soggetto ,come agente conoscitivo che relaziona gli oggetti fisici, morali, ecc. che perdono la connotazione ontologica per acquisire quella gnoseologica .L'errore di Kant, con il senno di poi, è aver ritenuto che il processo conoscitivo umano potesse avere e sostituire i concetti ontologici su cui erano poste le verità.CARLO
Esattamente. Ha de-ontologizzato Dio, la mente umana e il mondo, dissolvendo il concetto di verità e di conoscenza. Cioè, ha creato le basi del relativismo, del "pensiero debole" e del decostruzionismo; in breve, della distruzione della filosofia. Abbiamo solo una fortuna: che i suoi scritti sono così contorti, labirintici, e pesanti che resteranno sempre un "prodotto culturale di nicchia".
PAUL11
Questo porta verso due direttrici :il positivismo o verso l'idealismo.Il positivismo si pone antimetafisco e quindi del noumeno e della cosa in sè poco o niente gli importerà.Il massimo della metafisica è la legge scientifica che tu poni .La legge scientifica avrebbe caratteristica di un eterno e quindi ontologicamente vera se non fosse fondata sui limiti conoscitivi umani e sull'altro limite, la manifestazione, le apparenze delle cose. La conoscenza diventa una relazione instabile fra un soggetto limitato e una cosa non vera,se non come manifestazione= relativismo= opinione. perchè ciò che esiste come apparenza in sè e per se (la cosa in sè) non è detto che sia ontologicamente vero e infatti l'epistemologia moderna si inventa la fallibilità. Ma questo è riconoscersi ontologicamente in un sistema contraddittorio, dove la stessa conoscenza è fittizia, mai definitiva, sempre in divenire per altre contraddizioni. per nuove apparenze e manifestazioni.Hegel all'opposto, che è contro il sistema scientifico moderno,invece spingerà a contenere concettualmente nella coscienza dell'agente conoscitivo la negazione della "cosa in sè" con il processo dialettico che si pone fino allo spirito.CARLO
Beh, hai messo molta "carne sul fuoco", ma concordo pressoché su tutto. Kant ha fatto più danni alla filosofia di quanti possa farne un elefante in una cristalleria.
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 22:44:38 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 20:09:21 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 11:44:59 AM
Ma se, invece, credi davvero che sia un grande filosofo, prova a rispondere alle mie poche e semplici domande.
La risposta alle tue domande è semplicissima: la "cosa in sè", da un punto di vista scientifico, è irrilevante.
Cos'altro potrebbe risponderti uno che, come dicevo, è convinto che Einstein abbia ragione da vendere quando
afferma: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"?
CARLO
No, sulla "cosa in sé ho detto tutto quello che c'era da dire (vedi il mio ultimo breve intervento riassuntivo su "L'elettrone in sé"). Intendevo le tre domande che ho posto nel post d'apertura di questo 3d:
1 - Su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile conoscere il Principio?
2 - Per quale ragione, cioè, un Principio che governa-modella il mondo dovrebbe essere <<pensabile soltanto dall'intelletto puro>> e non desumibile dall'osservazione del mondo?
3 - Il principio di gravitazione è stato solo un pensiero puro di Newton, oppure Newton ne ha desunto l'esistenza e la "forma" (F=GmM/r^2) dall'osservazione dei moti planetari?
Beh, credo proprio di aver già risposto dicendo che la "cosa in sè" da un punto di vista scientifico è irrilevante,
non credi?
Credo in altre parole che quella risposta contempli altre risposte che potrei dare...
Ma così, per divertirci, proviamo a rispondere nel dettaglio.
1) Il "Principio" intendendo con questo la "cosa in sè" (intenzione sbagliata)? Bah, è impossibile conoscere la "cosa
in sè" perchè è impossibile osservare gli oggetti da un punto di vista privilegiato, cioè non relativo al soggetto
che li osserva. Se poi tu chiami "Principio" (con tanto di maiuscola...) questa cosa qui, beh, potrebbe aprirsi un,
come dire, "oceano"...
2) Ah, ecco spiegato il "Principio"...
No no, "governa e modella il mondo" è una terminologia idealista che non mi appartiene (né credo proprio sarebbe
appartenuta a Kant). Per Kant (e per me che ne sono "devoto discepolo") cioè che "governa e modella il mondo"
è il dato empirico, cioè il dato ricavato dall'osservazione e dalla conoscenza del "fenomeno".
Tale dato è semmai "attenuato" dalla consapevolezza che il "fenomeno" non esaurisce tutto il sapere (come nella
tesi riguardante il rapporto fra moralità e legalità).
3) Qui rischio di dire sciocchezze. Presumo abbia osservato i moti planetari (come ha osservato e esperito la celebre
mela che gli è caduta in testa). Mi sembrerebbe strano che Kant, il quale aveva grande stima di Newton, ammirasse
così tanto uno scienziato che non si basa sul dato empirico.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Luglio 2018, 19:54:48 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 22:44:38 PMCARLO
Sulla "cosa in sé ho detto tutto quello che c'era da dire (vedi il mio ultimo breve intervento riassuntivo su "L'elettrone in sé"). Intendevo le tre domande che ho posto nel post d'apertura di questo 3d:
1 - Su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile conoscere il Principio?
2 - Per quale ragione, cioè, un Principio che governa-modella il mondo dovrebbe essere <<pensabile soltanto dall'intelletto puro>> e non desumibile dall'osservazione del mondo?
3 - Il principio di gravitazione è stato solo un pensiero puro di Newton, oppure Newton ne ha desunto l'esistenza e la "forma" (F=GmM/r^2) dall'osservazione dei moti planetari?
Beh, credo proprio di aver già risposto dicendo che la "cosa in sè" da un punto di vista scientifico è irrilevante,
non credi?
CARLOFuori della scienza è ancora più irrilevante! Per esempio, nella logica, ha qualche rilevanza sapere cos'è "la moltiplicazione in sé"? Oppure, cosa sono i "numeri in sé"? E in psicologia, dove spesso si analizza il contenuto dei sogni, che rilevanza può avere cos'è "in sé" una certa immagine onirica? E per conoscere il contenuto di un libro, è importante sapere cos'è "l'inchiostro in sé" con cui sono scritti i caratteri? O qual'è il "significato in sé" della parola "gallina"?Insomma, l'"in sé" inteso kantianamente non ha alcun significato in NESSUN CASO. Ha invece significato nel senso comune in cui è usato: per distinguere una "cosa" di cui conosciamo solo alcune proprietà, dalla "cosa in sé" originaria, cioè, completa di TUTTE le sue proprietà-caratteristiche (conosciute e non).OXDEADBEEFCredo in altre parole che quella risposta contempli altre risposte che potrei dare...
Ma così, per divertirci, proviamo a rispondere nel dettaglio.
1) Il "Principio" intendendo con questo la "cosa in sè" (intenzione sbagliata)? Bah, è impossibile conoscere la "cosa
in sè" perchè è impossibile osservare gli oggetti da un punto di vista privilegiato, cioè non relativo al soggetto
che li osserva. Se poi tu chiami "Principio" (con tanto di maiuscola...) questa cosa qui, beh, potrebbe aprirsi un,
come dire, "oceano"...
2) Ah, ecco spiegato il "Principio"...
No no, "governa e modella il mondo" è una terminologia idealista che non mi appartiene (né credo proprio sarebbe
appartenuta a Kant). Per Kant (e per me che ne sono "devoto discepolo") cioè che "governa e modella il mondo"
è il dato empirico, cioè il dato ricavato dall'osservazione e dalla conoscenza del "fenomeno".
Tale dato è semmai "attenuato" dalla consapevolezza che il "fenomeno" non esaurisce tutto il sapere (come nella
tesi riguardante il rapporto fra moralità e legalità).
3) Qui rischio di dire sciocchezze. Presumo abbia osservato i moti planetari (come ha osservato e esperito la celebre
mela che gli è caduta in testa). Mi sembrerebbe strano che Kant, il quale aveva grande stima di Newton, ammirasse
così tanto uno scienziato che non si basa sul dato empirico.
CARLOSi può dare una risposta unica: per dare inizio alla rivoluzione scientifica è stato sufficiente pervenire alla relazione F=GmM/r^2; e il fatto di non sapere cos'è "in sé" il principio gravitazionale, non gliene può fregare niente a nessuno.Ergo, è una cazzata elevata al quadrato parlare, come fa Kant, di <<inconoscibilità del Principio>>. Se fosse inconoscibile, Newton non sarebbe mai pervenuto alla famosa formula di cui sopra. Dire "il principio in sé" è come dire "il 5 in sé": è solo una inutile ridondanza verbale.E adesso qualche American Graffiti:
FATS DOMINO - Blueberry Hill
https://youtu.be/bQQCPrwKzdoJOHNNY TILLOTSON - Poetry in motion
https://youtu.be/1Z-kMLxLT_gTERESA BREWER - Music, music music!
https://youtu.be/HXYwP6PNYRA?t=5NEIL SEDAKA - Oh Carol
https://youtu.be/F3P8AMvEQmQ
un modello gnoseologico come quello kantiano, che pone il materiale fenomenico sensibile come limite della scienza mi pare debba coerentemente escludere il problema della determinazione di un "Principio", inteso nell'accezione di un ente come Causa prima esplicativa del reale, in quanto la sua individuazione sarebbe impossibile da circoscrivere in un determinato spazio-tempo, cioè all'interno delle categorie estetiche, che sono per Kant la necessaria porta d'ingresso di ogni materiale organizzabile scientificamente, essendo questa Causa Prima qualcosa di trascendente ogni tempo e ogni spazio. Eppure la questione potrebbe complicarsi nel momento in cui si ipotizza come la nozione di "princìpio" possa assumere un significato non riducibile a quello di "causa prima", quantomeno nell'accezione aristotelica di "causa efficiente", che è quella con cui più comunemente viene a identificarsi (e a confondersi) l'idea di causa in generale. Inteso come "causa prima efficiente" il Principio verrebbe a porsi come forza producente ogni forma di divenire, cioè il mondo di cui abbiamo esperienza spaziotemporale, non soggetto esso stesso a "divenire". Ma forse, accanto a questa connotazione, è possibile pensare a un significato alternativo del "principio": non intenderlo come riferibile a una sostanza che come causa efficiente produce il divenire della realtà di cui abbiamo esperienza fenomenica-sensibile, ma come un complesso di norme che strutturano l'attività della coscienza soggettiva che fa esperienza del mondo. L'individuazione kantiana della struttura apriori della conoscenza può essere visto come " individuazione di princìpi", anche se non riferito alla spiegazione naturalistica del mondo esterno, ma alle condizioni trascendentali, cioè necessarie e universali, della conoscenza. Per capire come,il trasferimento dell'analisi dei fondamenti, dal mondo esterno, alla mente soggettiva (la cosiddetta "rivoluzione copernicana") possa preservare l'ideale filosofico della "ricerca dei "princìpi", anche se in un senso modificato, bisogna risalire alla distinzione essenza-esistenza. Il trasferimento dell'analisi dei princìpi dall'oggetto al soggetto sospendendo la pretesa di una ingenua corrispondenza dei fenomeni soggettivi con delle esistenze indipendenti dal nostro pensiero, sospende la questione dell'esistenza delle cose ma ne lascia l'evidenza dell'essenza: l'esistenza degli oggetti è in fondo un'accidentalità rispetto alle loro idee. Ciò che specifica e definisce la qualità di una cosa non è il fatto della loro esistenza. Se anche l'albero del mio giardino non esistesse non per questo muterebbe la sua essenza, ciò che lo specifica come "albero" e che ci permette di definirlo come tale, ciò in base a cui giudichiamo di avere di fronte a noi un albero quando ne abbiamo una percezione. Ora, mentre l'esistenza trascendente di tale albero può essere messa in dubbio nell'ipotesi per chi lo vede di essere vittima di un'allucinazione, non si può mettere in dubbio il vissuto immanente alla mia coscienza dell'albero, che resta tale a prescindere dall'effettiva realtà dell'albero nel mondo esterno, l'idea dell'albero che nel mio vissuto coscienziale riconosco consiste dunque nell'essenza della cosa. Dunque intendendo come "princìpi" ciò che delle cose resta tale indipendentemente da ogni accidentalità o contingenza empirica, la loro dimensione di apriorità, proprio la considerazione delle cose come fenomeni a una coscienza (non la mia singola coscienza empirica, ma una coscienza nella sua struttura trascendentale) permette di disverlarli, di individuare leggi di rapporto essenziali e universalmente valide, perché slegate dalla considerazione della loro esistenza di fatto (che può esserci come non esserci). Inoltre, in questo modo di considerare i princìpi non sarebbe necessario nemmeno rompere del tutto il riferimento alla causalità. I princìpi, intesi come essenze del contenuto dei vissuti coscienti non sarebbero più certamente da vedersi come Cause prime EFFICIENTI, che producono l'esistenza delle realtà ad esse corrispondenti (a meno di non accettare una sorta di "idealismo magico" che vede il pensiero umano creare tramite un'energia mentale la realtà degli oggetti che pensa, come se io avessi la possibilità di creare la realtà effettiva di un albero dorato tramite l'immagine mentale che posso creare nella mia coscienza), ma resterebbero come cause FORMALI, cioè quel tipo di causalità che individua l'essenza della cosa in questione, l'idea che lo specifica come tale e lo differenzia dall'altra, anche se è un tipo di causalità che comunemente viene meno considerata come "causa", perché la nostra esperienza sempre diacronica del mondo ci condiziona a riconoscere la causa solo come ciò che temporalmente precede i suoi effetti, mentre è chiaro che la causa formale non possiede alcuna priorità temporale sulla cosa a cui si riferisce, ma solo logica, quindi è riconoscibile ad un livello più "astratto" e intellettualistico, ma non per questo meno autentico. Ciò che penso abbia impedito a Kant di giungere a questo tipo di rivalutazione dei princìpi come oggetto della filosofia, e l'essere troppo condizionato dal clima empiristico della sua epoca, e non aver colto questo legame tra fenomeno ed essenza, ponendo questo dualismo tra fenomeno e noumeno come dimensioni gnoseologicamente contrapposte
Vorrei sommessamente far notare a Carlo Pierini (che indegnamente e in maniera penosamente ridicola lo tratta come un ciarlatano) che Kant, oltre a scrivere tantissimo e di importantissimo di filosofia, ha formulato una teoria scientifica sull' origine del sistema solare (molto simile a quella quasi contemporamenamente proposta da Laplace, e infatti nota come "teoria di Kant - Laplace") sicuramente all' altezza dello "stato dell' arte" delle scienze naturali ai suoi tempi e a mio parere ad oggi sostanzialmente non falsificata.
Obiezione a Davintro
Ma allora la conoscenza delle "essenze" é conoscenza analitica a priori" che arbitrariamente stabilisce concetti e li mette in relazione secondo regole logiche arbitrarie, ma non ci dice nulla, non ci informa minimamente informa circa la realtà (ciò che realmente é/accade o meno).
Non capisco questa affermazione (credo fondamentale):
"Dunque intendendo come "princìpi" ciò che delle cose resta tale indipendentemente da ogni accidentalità o contingenza empirica, la loro dimensione di apriorità, proprio la considerazione delle cose come fenomeni a una coscienza (non la mia singola coscienza empirica, ma una coscienza nella sua struttura trascendentale) permette di disvelarli, di individuare leggi di rapporto essenziali e universalmente valide, perché slegate dalla considerazione della loro esistenza di fatto (che può esserci come non esserci)".
Mi sembra che qui si proponga un salto indebito fra "analiticità a priori" di ciò che delle cose resta tale indipendentemente da ogni accidentalità o contingenza empirica e sinteticità a posteriori delle cose come fenomeni a una coscienza ([anche se] non la mia singola coscienza empirica, ma una coscienza nella sua struttura trascendentale[ma che significa?]).
Le leggi di rapporto essenziali e universalmente valide nell' empiria fenomenica (sinteticamente a posteriori) le possiamo semplicemente rilevare per induzione (per arbitraria credenza indimostrabile: Hume!): sono "slegate dalla considerazione della loro [contingente] esistenza di fatto in quanto generali – astratte, ma non per questo non sono sintetiche a posteriori e dunque (Hume!) soggette a insuperabile dubbio scettico.
La considerazione (soggettiva, mentale da parte del soggetto di conoscenza) delle cause FORMALI, cioè quel tipo di causalità che individua l'essenza della cosa in questione, l'idea che lo specifica come tale e lo differenzia dall'altra mi sembra semplicemente uno stabilire arbitrariamente (le connotazioni o intensioni di) concetti per definizione (in altro modo non riesco a comprendere queste parole), anche se si tratta di concetti dotati, per constatazione empirica (e dunque sintetica a posteriori, con tutti i limiti di certezza del caso, in particolare circa l' induzione di rapporti universali e costanti di causalità fra di esse), di denotazioni o estensioni reali (anche se stratta di "ritagliare mentalmente -comunque secondo criteri arbitrari, soggettivi- la realtà" e non di crearla secondo una sorta di "idealismo magico".
Citazione di: davintro il 14 Luglio 2018, 16:05:09 PM
un modello gnoseologico come quello kantiano, che pone il materiale fenomenico sensibile come limite della scienza mi pare debba coerentemente escludere il problema della determinazione di un "Principio", inteso nell'accezione di un ente come Causa prima esplicativa del reale,
CARLO
Un Principio non è una astratta "Causa prima", ma un'entità metafisica che stabilisce un ordine di relazione delle cose create, così come i principi costituzionali stabiliscono un ordine di relazione tra gli uomini e così come il principio di gravità stabilisce un ordine di relazione tra le grandezze "forza", "massa" e "distanza". Pertanto, dall'osservazione di quest'ordine è possibile risalire al principio che lo governa.
In teologia, questo stesso concetto si esprime nell'idea di un mondo <<fatto a immagine e somiglianza del Principio>> o, come diceva Tommaso, di un mondo che è <<analogia Entis>>, cioè, analogia di Dio.
A Davintro (come a tutti)
In Aristotele, la causa "efficiente" è la causa "motrice"; la causa da cui proviene la "spinta iniziale".
Kant, come noto, sposta questo concetto dal, chiamiamolo, mondo degli oggetti a quello dei soggetti, ma
ne mantiene inalterate tutte le caratteristiche (e, in primis, quella di "necessità", cioè quello di un
rigoroso determinismo che sussiste(rebbe) fra la causa e l'effetto).
Tutto ciò è evidente frutto di una tesi che non mette in discussione le basi della meccanica newtoniana e
della scienza (di allora), ma le considera come "a-priori", indiscutibili, certissime.
Ciò può essere senz'altro visto come "individuazione di principi", ma principi come dicevo fondati sul dato
empirico, scientifico (come allora inteso), non su un'idea come quella della "cosa in sè" che Carlo Pierini dà
ad intendere si ponga in Kant come "Principio" ("su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile
conoscere il Principio?", questa era la sua domanda).
Sappiamo bene che per Kant la "cosa in sè" non ha e non può avere nessuna rilevanza scientifica. Quindi è
da escludersi categoricamente che egli pensi quel termine, Principio, SE NON come elemento di riferimento per
l'eleborazione innanzitutto della sua teoria sulla morale e sul diritto.
Sarà Carnap (mi par di ricordare, vado a naso...) ad affermare che la relatività, nel momento in cui confuta
le teorie kantiane basate sull'a-priorismo (e allora sembrava che TUTTO Kant ne fosse confutato), in realtà
ne rafforza e consolida la tesi forse più importante, quella della "cosa in sè".
E' semmai da questo punto che la "cosa in sè" assume un interesse che può essere in qualche modo anche scientifico;
ma non prima, non per Kant stesso (troppo condizionato dal clima empiristico della sua epoca, come ben dici).
Ora, dire: "l'idea dell'albero che nel mio vissuto coscienziale riconosco consiste dunque nell'essenza della cosa"
è un'affermazione che Kant non avrebbe credo mai ammesso.
Cosa vuol dire "essenza"? Si intende tal termine nel senso aristotelico di "sostanza" o in altro modo?
Se confrontiamo un attimo questa affermazione con ciò che dice Einstein, e che spesso mi piace citare ("è la
teoria a decidere cosa possimo osservare"), vediamo che il termine "essenza" può assumere due significati
fondamentali. Il primo è nel senso di una "essenzialità" riferita ad una presunta "efficacia" all'interno di
una specifica teoria (che mi pare il senso più autenticamente scientifico di essa). Il secondo invece non può
essere riferito che ad una visione più "larga" e metafisica, per cui "essenza" è il Vero che una presunta (e
privilegiata) teoria può arrivare a scoprire.
Ma l'autentico dilemma a questo punto consiste a mio parere nel dire se la teoria di un pazzo "vale" la teoria
di un uomo assennato. Cioè nel dire quanto ed in che misura il fenomeno può avvicinarsi alla "cosa in sè".
Si tratta allora di vedere se è possibile stabilire almeno una, chiamiamola, "direzione di verità". Di vedere
cioè se la celebre "montagna coperta dalle nubi" di Popper sia "in quella direzione o nell'altra".
Quali elementi possediamo per stabilire se la cima della montagna si trovi "più o meno" da quella parte ma non
certo dalla parte opposta (dò per scontato tu conosca quella metafora...)?
Da questo punto di vista sia le tesi della meccanica quantistica sia quanto letto di U.Eco a proposito del "realismo negativo"
(il post era "La verità è ciò che si dice") mi sembrerebbe piuttosto plausibile e convincente.
Cosi' come non del tutto peregrino mi sembra il tuo riferimento alle cause "formali". Cioè quel tipo di causalità
NON che, a parer mio, individua l'essenza della cosa in questione, ma che individua appunto la "direzione".
In definitiva rimane a mio avviso in piedi la contrapposizione kantiana fra fenomeno e noumeno. Una contrapposizione
certo non "forte" così come lo era in Kant (ma poi lo era veramente?); ma una contrapposizione che rimane comunque
"salda".
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 11:30:05 AM
A Davintro (come a tutti)
In Aristotele, la causa "efficiente" è la causa "motrice"; la causa da cui proviene la "spinta iniziale".
Kant, come noto, sposta questo concetto dal, chiamiamolo, mondo degli oggetti a quello dei soggetti, ma
ne mantiene inalterate tutte le caratteristiche (e, in primis, quella di "necessità", cioè quello di un
rigoroso determinismo che sussiste(rebbe) fra la causa e l'effetto).
Tutto ciò è evidente frutto di una tesi che non mette in discussione le basi della meccanica newtoniana e
della scienza (di allora), ma le considera come "a-priori", indiscutibili, certissime.
Ciò può essere senz'altro visto come "individuazione di principi", ma principi come dicevo fondati sul dato
empirico, scientifico (come allora inteso), non su un'idea come quella della "cosa in sè" che Carlo Pierini dà
ad intendere si ponga in Kant come "Principio" ("su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile
conoscere il Principio?", questa era la sua domanda).
Sappiamo bene che per Kant la "cosa in sè" non ha e non può avere nessuna rilevanza scientifica. Quindi è
da escludersi categoricamente che egli pensi quel termine, Principio, SE NON come elemento di riferimento per
l'eleborazione innanzitutto della sua teoria sulla morale e sul diritto.
Sarà Carnap (mi par di ricordare, vado a naso...) ad affermare che la relatività, nel momento in cui confuta
le teorie kantiane basate sull'a-priorismo (e allora sembrava che TUTTO Kant ne fosse confutato), in realtà
ne rafforza e consolida la tesi forse più importante, quella della "cosa in sè".
E' semmai da questo punto che la "cosa in sè" assume un interesse che può essere in qualche modo anche scientifico;
ma non prima, non per Kant stesso (troppo condizionato dal clima empiristico della sua epoca, come ben dici).
Ora, dire: "l'idea dell'albero che nel mio vissuto coscienziale riconosco consiste dunque nell'essenza della cosa"
è un'affermazione che Kant non avrebbe credo mai ammesso.
Cosa vuol dire "essenza"? Si intende tal termine nel senso aristotelico di "sostanza" o in altro modo?
Se confrontiamo un attimo questa affermazione con ciò che dice Einstein, e che spesso mi piace citare ("è la
teoria a decidere cosa possimo osservare"), vediamo che il termine "essenza" può assumere due significati
fondamentali. Il primo è nel senso di una "essenzialità" riferita ad una presunta "efficacia" all'interno di
una specifica teoria (che mi pare il senso più autenticamente scientifico di essa). Il secondo invece non può
essere riferito che ad una visione più "larga" e metafisica, per cui "essenza" è il Vero che una presunta (e
privilegiata) teoria può arrivare a scoprire.
Ma l'autentico dilemma a questo punto consiste a mio parere nel dire se la teoria di un pazzo "vale" la teoria
di un uomo assennato. Cioè nel dire quanto ed in che misura il fenomeno può avvicinarsi alla "cosa in sè".
Si tratta allora di vedere se è possibile stabilire almeno una, chiamiamola, "direzione di verità". Di vedere
cioè se la celebre "montagna coperta dalle nubi" di Popper sia "in quella direzione o nell'altra".
Quali elementi possediamo per stabilire se la cima della montagna si trovi "più o meno" da quella parte ma non
certo dalla parte opposta (dò per scontato tu conosca quella metafora...)?
Da questo punto di vista sia le tesi della meccanica quantistica sia quanto letto di U.Eco a proposito del "realismo negativo"
(il post era "La verità è ciò che si dice") mi sembrerebbe piuttosto plausibile e convincente.
Cosi' come non del tutto peregrino mi sembra il tuo riferimento alle cause "formali". Cioè quel tipo di causalità
NON che, a parer mio, individua l'essenza della cosa in questione, ma che individua appunto la "direzione".
In definitiva rimane a mio avviso in piedi la contrapposizione kantiana fra fenomeno e noumeno. Una contrapposizione
certo non "forte" così come lo era in Kant (ma poi lo era veramente?); ma una contrapposizione che rimane comunque
"salda".
saluti
CARLO
...Che - tradotto in linguaggio umano - ...significa...??