L'esperienza e la ragione

Aperto da Alberto Knox, 30 Aprile 2025, 23:44:54 PM

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Phil

«Assoluto», sia come aggettivo che come sostantivo, è per me una "antiquata parolaccia filosofica" che non è mai davvero fino in fondo quello che promette di essere (almeno fino a prova contraria). Se lo intendiamo come sinonimo di «condiviso», abbiamo un "assoluto" basato su una condivisione, ossia relativo e circoscritto al gruppo che lo condivide. Ha senso parlare di "assoluto" per qualcosa di circoscritto e relativo?
Se qualcosa viene identificato e riconosciuto come relativo ad un gruppo, o a un paradigma, o a un sistema assiomatico, etc. qual è il valore aggiunto di etichettarlo anche come assoluto (oltre a voler far convivere fianco a fianco relativismo e assolutismo, con conseguente paradosso, se non contraddizione)?
Come già ricordato, per secoli c'è stata la assoluta certezza che il sole si spostasse nel cosmo, perché così sembrava guardandolo dalla Terra e la meridiana (come fosse un esperimento di controllo) confermava, anno dopo anno, che quel moto era assolutamente affidabile.
Nella migliore delle ipotesi, «assoluto» è un modo più enfatico di dire «vero» (e l'enfasi è ciò che va "rasoiato", se si vuole essere rigorosi). Tutte le riflessioni scettiche e relativiste applicabili al concetto di verità sono ancor più applicabili al concetto di assoluto, specialmente se inteso come ab-solutus, indipendente dal resto (proprio da tale indipendenza, sia la scienza che la filosofia moderna ci mettono in guardia, ricordando come tutto sia relazione, interpretazione, etc.).

iano

#31
Citazione di: Phil il Oggi alle 15:14:12 PMNon so se sia solo un fraintendimento linguistico, ma per «costruire» (con-struire, "accumulare assieme") intendo comporre, usare elementi separati per creare un nuovo elemento (come con le lego o i mattoni, ma anche come differenti categorie costruiscono un paradigma). Ossia costruire è il processo inverso di isolare, identificare, etc. nel costruire molteplici elementi convergono in un'unità più "grande", il costruito, mentre nell'isolare-identificare un singolo elemento è estratto (o as-tratto) da una totalità più "grande" (uso le virgolette perché «grande» forse è termine inappropriato e generico, ma spero si capisca comunque il senso di ciò che intendo).
Per chiarire meglio come differenzio il costruire dall'identificare: se taglio una fetta da una torta, non costruisco una fetta, ma la isolo dalla totalità di cui fa(ceva) parte; così come se isolo il ragno da tutto ciò che vedo, lo identifico, non lo costruisco. Viceversa, se sommo in modo appropriato gli ingredienti "costruisco" una torta, così come se sommo differenti qualità del ragno ne costruisco la descrizione (e qui riemerge la dialettica fra ciò che vedo, fuori, e le categorie, dentro, con cui il visto viene identificato, fosse anche in modo fallace o illusorio).
Si tende, per economia di pensiero, a costruire col già costruito, ma il risultato rischia di essere chimerico, ritrovandosi con onde/particelle.
Il materiale di costruzione non manca mai, perchè qualcosa è stato già costruito.
La costruzione primaria, quella che si origina direttamente dalla realtà, per la quale il termine risulta etimologicamente improprio, potremmo dirla estrazione, ma anche qui la terminologia a disposizione non aiuta, per cui in ogni caso bisogna adattare vecchi termini a nuovi significati.
L'origine sta in una interazione primaria con la realtà del tutto incosciente, che da forma all'essere stesso interagente, secondo la casualità cui l'interazione è soggetta, e da cui gradualmente si sottrae in parte, che acquista coscienza gradualmente nel succedersi delle fasi di emergenza, una coscienza che prende il comando dell'interazione, relegando il caso in secondo piano.
Coscientemente noi non possiamo che costruire col già costruito.
La coscienza cresce insieme all'astrazione, che è astrazione di astrazione, anche se pure qui la terminologia non ci aiuta, se la intendiamo col suo significato originario, e dobbiamo quindi trarla ex novo dal contesto.
Qualunque termine usiamo coscientemente, costruire, estrarre , inevitabilmente connotiamo indirettamente in tal modo la realtà in modo pregiudiziale, ma purtroppo non possiamo inventarci termini nuovi che dai nostri pregiudizi siano epurati.

Inevitabilmente quanto inutilmente cerchiamo di rimandare la palla alla realtà, perchè la palla dalla realtà non si allontana mai, essendo il campo di gioco.

E anche qui quindi andrebbe precisato che quando parliamo di caso o determinazionismo, questi non sono attributi della realtà, ma i mattoni coi quali costruiamo di volta in volta un mondo capace agli effetti che relativamente ci riguardano, di stare al posto della realtà.
Secondo come mi ha istruito Alberto, porre la realtà dietro le quinte delle nostre rappresentazioni, significa mettere l'ontologia in panchina per sempre, lasciando il gioco alla sola epistemologia.
Siamo noi a dare significato al mondo, anche quando non  sappiamo di farlo, e questo ci rende possibile la sua comprensione,  anche quando ciò comporta operazioni designificanti inverse, difficili da percorre a ritroso, verso la fase dell'incoscienza, comportando ciò di disimparare tutto ciò che sappiamo, giungendo a quel nulla che è la realtà priva di sovrastrutture significanti.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

#32
Citazione di: Phil il Oggi alle 16:55:26 PMHa senso parlare di "assoluto" per qualcosa di circoscritto e relativo?
Ho scritto 1628 interventi su questo forum, non ne troverai nemmeno uno dove sostengo e promuovo termini quali assoluto  e tanto meno "verità assolute" . Su quest'ultime porto avanti una battaglia ormai da tempo per via delle conseguenze che il credere di possedere delle verità assolute ha portato nella storia e che purtroppo è ancora di una attualità sconvolgente. Forte di questa impostazione promuovo invece la libertà di pensiero e di esprimerlo.

Detto questo io porterei avanti il discorso che secondo me va dritto al cuore e al senso del titolo del topic.
Alcuni aspetti del pensiero umano sono fissati dalle interconnessioni del cervello , altri li abbiamo ereditati, come un "software genetico", dai nostri lontani antenati.
Il grande immanuel Kant sostenne che non tutte le categorie di pensiero derivano dall esperienza sensoriale del mondo. Pensava che alcuni concetti fossero "a priori" intendendo con questo che per quanto questi concetti non siano "verità necessarie" nel senso strettamente logico , tuttavia il pensiero sarebbe impossibile senza di essi . Pensa al concetto di causa e di sostanza , lui le chiama categoria a priori . Come esempio kant citava la nostra comprensione intuitiva dello spazio tridimensionale  circostante attraverso le regole della geometria euclidea , se non avessi, diceva,  la facoltà innata di ordine spaziale nelle tre dimensioni spaziali,  io non riuscirei a ordinare spazialmente le cose e di conseguenza lo spazio non lo percepirei così come lo percepiamo. Sfortunatamente gli scienziati hanno scoperto che la geometria euclidea è, in realtà,  sbagliata. molti scienziati e filosofi in genere suppongono che anche gli aspetti più basilari del pensiero umano debbano alla fine far riferimento alle osservazioni del mondo fisico.
I nostri processi mentali si sono evoluti nel modo in cui si sono evoluti precisamente perchè riflettono qualcosa nella natura del mondo fisico in cui viviamo.
Il nostro successo nello spiegare il mondo , non solo tramite l'osservazione e identificazione ma inteso anche come scienza e matematica è solo un caso fortunato oppure è inevitabile che gli organismi biologici che sono emersi dall ordine cosmico debbano riflettere quell ordine nelle loro facoltà conoscitive? . Avevo già espresso questo pensiero  (anche in diverse sedi del forum ) ma ora lo specificato meglio.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

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