Per ricollegarmi ad un recente topic rispondo alla domanda cosa intendo per realtà. Per realtà intendo ciò di cui possiamo fare esperienza e anche ciò di cui non possiamo fare esperienza. indipendentemente da ciò che la nostra mente conosce di un tale o di un altro evento. Ci sono cose di cui non possiamo fare esperienza ad esempio quando ci chiediamo da dove viene il mondo o come è nata la vita. è un dato di fatto che sia uno che l altra sono nate in qualche modo.
Nel collegare gli avvenimenti e immetterli in una struttura di comprensione , richiede l utilizzo di un sistema logico. Infatti gli eventi (o fenomeni) non appaiono immediatamente intelleggibili così come essi si presentano ai nostri sensi, di solito richiede un passo intermedio e di conoscenza di leggi o teorie correlato al fenomeno in esame, nel complesso tale procedura viene chiamata "teoria".
Ora se si sottopone la teoria a esperimento e i dati raccolti confermano la teoria essa si considererà attendibile e aquisirà fiducia per via dell esattezza matematica sottostante. La teoria, che non è altro che un sistema logico ha svelato il mistero attorno al fenomeno. A questo punto si potrebbe essere fiduciosi che tutti i fenomeni possono essere compresi e spiegati solo tramite il ragionamento logico.
Una tale assunzione però deve possedere delle fondamenta la cui solidità non lascia alcun dubbio.
Allora la mia domanda è questa ; è possibile provare per mezzo della ragione che la ragione ha una validità assoluta nello spiegare i fenomeni? e che è il metodo per eccellenza con il quale si può arrivare ad una vera conoscenza del mondo e di se stessi?
Dare per certo che la ragione sia l unico metodo valido per conoscere il mondo , la realtà, la verità, noi stessi è un atto di fede. Non si può certo negare che possano esistere fenomeni che non sono possibili da spiegare tramite il ragionamento umano. Perchè un fenomeno devrebbe per forza allinearsi alle nostre facoltà conoscitive e apparire infine logico tramite il rigore della matematica?
Anche seguendo la ragione tramite sistemi inattacabili di deduzione logica non si può arrivare la dove la logica diventa illogica , ovvero, la dove il campo della ragione, della razionalità e della logica non è sufficente per spiegare un fenomeno. Siamo convinti che tutto ciò che è reale debba avere anche una sua spiegazione razionale e svelabile tramite il ragionamento logico? Non è possibile, invece, che vi siano fenomeni che non hanno spiegazione alcuna e non solo da parte del genere umano ma , per estensione, da parte di qualsiasi altro possibile soggetto senziente?
ovviamente, non lo possiamo sapere.
Citazione di: Alberto Knox il 30 Aprile 2025, 23:44:54 PMPer ricollegarmi ad un recente topic rispondo alla domanda cosa intendo per realtà. Per realtà intendo ciò di cui possiamo fare esperienza e anche ciò di cui non possiamo fare esperienza. indipendentemente da ciò che la nostra mente conosce di un tale o di un altro evento. Ci sono cose di cui non possiamo fare esperienza ad esempio quando ci chiediamo da dove viene il mondo o come è nata la vita. è un dato di fatto che sia uno che l altra sono nate in qualche modo.
Nel collegare gli avvenimenti e immetterli in una struttura di comprensione , richiede l utilizzo di un sistema logico. Infatti gli eventi (o fenomeni) non appaiono immediatamente intelleggibili così come essi si presentano ai nostri sensi, di solito richiede un passo intermedio e di conoscenza di leggi o teorie correlato al fenomeno in esame, nel complesso tale procedura viene chiamata "teoria".
Ora se si sottopone la teoria a esperimento e i dati raccolti confermano la teoria essa si considererà attendibile e aquisirà fiducia per via dell esattezza matematica sottostante. La teoria, che non è altro che un sistema logico ha svelato il mistero attorno al fenomeno. A questo punto si potrebbe essere fiduciosi che tutti i fenomeni possono essere compresi e spiegati solo tramite il ragionamento logico.
Una tale assunzione però deve possedere delle fondamenta la cui solidità non lascia alcun dubbio.
Allora la mia domanda è questa ; è possibile provare per mezzo della ragione che la ragione ha una validità assoluta nello spiegare i fenomeni? e che è il metodo per eccellenza con il quale si può arrivare ad una vera conoscenza del mondo e di se stessi?
Dare per certo che la ragione sia l unico metodo valido per conoscere il mondo , la realtà, la verità, noi stessi è un atto di fede. Non si può certo negare che possano esistere fenomeni che non sono possibili da spiegare tramite il ragionamento umano. Perchè un fenomeno devrebbe per forza allinearsi alle nostre facoltà conoscitive e apparire infine logico tramite il rigore della matematica?
Anche seguendo la ragione tramite sistemi inattacabili di deduzione logica non si può arrivare la dove la logica diventa illogica , ovvero, la dove il campo della ragione, della razionalità e della logica non è sufficente per spiegare un fenomeno. Siamo convinti che tutto ciò che è reale debba avere anche una sua spiegazione razionale e svelabile tramite il ragionamento logico? Non è possibile, invece, che vi siano fenomeni che non hanno spiegazione alcuna e non solo da parte del genere umano ma , per estensione, da parte di qualsiasi altro possibile soggetto senziente?
ovviamente, non lo possiamo sapere.
Bene. Ho fatto esperienza di quello che hai detto (quello che hai detto è cioè reale) e ti chiedo: a livello filosofico perché sei (siamo) così interessato a dare una definizione della realtà? Non ti sembra che le scienze già rispondano a questo problema e al tempo stesso cerchino di colmare le proprie lacune?
Citazione di: daniele22 il 01 Maggio 2025, 08:57:32 AMBene. Ho fatto esperienza di quello che hai detto (quello che hai detto è cioè reale) e ti chiedo: a livello filosofico perché sei (siamo) così interessato a dare una definizione della realtà? Non ti sembra che le scienze già rispondano a questo problema e al tempo stesso cerchino di colmare le proprie lacune?
Naturalmente la scienza con le sue branche di specializzazione deve continuare a fare ricerca scientifica e questo è prettamente il loro lavoro . Ma la filosofia deve a mio avviso interpretare i dati che vengono dalle scoperte scientifiche , immetterli in una struttura di
significato, un intepretazione filosofica della natura e dei fenomeni al passo con i tempi per l uomo in termini di umanesimo e esistenzialismo e anche , e ne avremmo bisogno ,in termini Spirituali.
Anche gli scienziati interpretano i dati raccolti in una struttura di significato quando scrivono i loro saggi su questo o su quell altro argomento. Ma che cosa succede in questo caso? succede che due scienziati che hanno fatto le medesime ricerche e raccolto i medesimi dati forniscano in fine interpretazioni diverse.
Ci saranno sempre dei punti di vista opposti.
Citazione di: Alberto Knox il 01 Maggio 2025, 11:42:10 AMNaturalmente la scienza con le sue branche di specializzazione deve continuare a fare ricerca scientifica e questo è prettamente il loro lavoro . Ma la filosofia deve a mio avviso interpretare i dati che vengono dalle scoperte scientifiche , immetterli in una struttura di significato, un intepretazione filosofica della natura e dei fenomeni al passo con i tempi per l uomo in termini di umanesimo e esistenzialismo e anche , e ne avremmo bisogno ,in termini Spirituali.
Anche gli scienziati interpretano i dati raccolti in una struttura di significato quando scrivono i loro saggi su questo o su quell altro argomento. Ma che cosa succede in questo caso? succede che due scienziati che hanno fatto le medesime ricerche e raccolto i medesimi dati forniscano in fine interpretazioni diverse.
Ci saranno sempre dei punti di vista opposti.
Sono d'accordo con ciò che dici, ma terrei in piedi solo un topic, quello già avviato
Citazione di: daniele22 il 02 Maggio 2025, 09:39:35 AMSono d'accordo con ciò che dici, ma terrei in piedi solo un topic, quello già avviato
Ma questo non è un topic inerente a ciò che intediamo per realtà (quello iniziale era solo un contenuto inerente) ma piuttosto come si giunge alla conoscenza di ciò che riteniamo essere reale . Tramite l esperienza, ovvero tramite la sperimentazione e tramite la ragione.
il materiale quindi dalla conoscenza proviene dai sensi ma esso si adegua alle propietà della ragione per esempio nel chiedersi la causa che provoca un avvenimento.
Citazione di: Alberto Knox il 02 Maggio 2025, 12:24:13 PMMa questo non è un topic inerente a ciò che intediamo per realtà (quello iniziale era solo un contenuto inerente) ma piuttosto come si giunge alla conoscenza di ciò che riteniamo essere reale . Tramite l esperienza, ovvero tramite la sperimentazione e tramite la ragione.
il materiale quindi dalla conoscenza proviene dai sensi ma esso si adegua alle propietà della ragione per esempio nel chiedersi la causa che provoca un avvenimento.
Dipende da cosa intendi dicendo che il materiale della conoscenza proviene dai sensi. Lì infatti c'è tutto il fraintendimento sulla conoscenza
Citazione di: daniele22 il 03 Maggio 2025, 06:54:55 AMDipende da cosa intendi dicendo che il materiale della conoscenza proviene dai sensi. Lì infatti c'è tutto il fraintendimento sulla conoscenza
anzitutto gli eventi e gli oggetti si manifestano a noi solo ed esclusivamente nello spazio e nel tempo. L'intero universo è impegnato in una traformazione unidirezionale simbolizzata da un immaginaria freccia del tempo che punta dal passato al futuro. Così vediamo che l effetto è la conseguenza di una causa e non il contrario. è giusto? sì, ma fino ad un certo punto. le leggi del moto non distinguono il tempo "in avanti" dal tempo "all indietro" ; Dal punto di vista delle leggi del moto un film di una donna che prepara una torta proiettato a ritroso costituirebbe una sequenza perfettamente accettabile di eventi reali. Ma dal nostro punto di vista tale sequenza invertita è impossibile.
E questo perchè la causa non è la fuori ,
negli eventi o nei fenomeni . La causa è nella nostra mente. In una palla da calcio che rompe il vetro non vi è nessuna causa.
Ma questa causa la pensiamo, ecco che allora diventa principio di organizzazione del mondo...che non viene dagli eventi . Questo non significa che non esistano processi fisici irreversibili, anzi, la maggior parte dei processi fisici che si verficano nel mondo reale è irreversibile. Ma il principio di organizzazione del mondo che chiamiamo "causa" è un principio che sta nella nostra mente.
Ecco cosa intendo con ; lL materiale della conoscenza proviene dai sensi ma esso si adegua alle propietà della ragione per esempio nel chiedersi la causa che provoca un avvenimento.
La realtà, non dipende dai nostri schemi concettuali, se mai sarà il contrario.
Allora se è il contrario qual'è l 'origine del concetto logico/razionale a cui aderiamo nello spiegarci la realtà? Non può venire unicamente da noi perchè questa logica era già presente quando l'uomo non c'era. Probabilmente i concetti impressi più a fondo nella psiche , le cose che è difficile immaginare in un altro modo, il senso comune e la razionalità umana sono programmate geneticamente a un livello molto profondo del nostro cervello. Forse è inevitabili che esseri coscenti debbano riflettere quell ordine logico che sta alla base della natura del mondo fisico nelle loro facoltà conoscitive , è da quella logica nella natura che noi veniamo. Questa logica gli antichi filosofi la chiamavano Sophia , philsophía , per coloro che coniarono questo termine non voleva dire amore per la sapienza umana. Sophia era una propietà , prima ancora di alcuni esseri umani, della natura , del cosmo , abitato da armonia. Un itelligenza cosmica che abita l'essere e lo compenetra e fa si che questo essere possa formare ; vita, intelligenza, cuore , ragione , mente , sapienti e sono sapienti in quanto vivono, aderiscono ad una sophia che sta prima di loro. ed è grazie esattamente al fatto che il caos primordiale da subito era compenetrato da sophia , noi ci siamo.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 16:06:23 PMNon può venire unicamente da noi perchè questa logica era già presente quando l'uomo non c'era.
Puoi dimostrarlo, o ci stai presentando scorrettamente una tua legittima opinione come una verità?
.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 16:06:23 PMLa realtà, non dipende dai nostri schemi concettuali, se mai sarà il contrario.
Altrove si diceva giustamente di fare attenzione a non confondere epistemologia e ontologia; anche in questo caso tale «dipendenza» va distinta (come minimo) secondo i due ambiti, che sono inevitabilmente in rapporto dialettico, quindi risultano distinti ma non estranei l'uno all'altro.
La realtà
dipende dai nostri schemi concettuali poiché ogni volta che ne parliamo non possiamo fare a meno di usarne uno (semplice o complesso che sia) e
non dipende dai nostri schemi concettuali poiché anche in loro assenza ci sarebbe plausibilmente comunque una realtà (il famoso rumore dell'albero che cade mentre non c'è nessuno che lo ascolta). I nostri schemi concettuali
dipendono dalla realtà perché per essere ritenuti adatti a descriverla devono confrontarsi con essa e con le sue risposte, e i nostri schemi concettuali
non dipendono dalla realtà perché possono benissimo descrivere una realtà che non esiste, ma nonostante ciò condiziona la vita umana (come è successo per secoli con il geocentrismo basato sull'osservazione "scientifica" del moto solare rispetto all'orizzonte, in grado di scandire e segnare il tempo sulle meridiane).
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2025, 17:24:01 PMLa realtà dipende dai nostri schemi concettuali poiché ogni volta che ne parliamo non possiamo fare a meno di usarne uno (semplice o complesso che sia) e non dipende dai nostri schemi concettuali poiché anche in loro assenza ci sarebbe plausibilmente comunque una realtà (il famoso rumore dell'albero che cade mentre non c'è nessuno che lo ascolta).
Se il rumore dell'albero che cade è il prodotto della nostra interazione con la realtà, non c'è nessun rumore in mancanza di interazione, cioè in mancanza di uno o di entrambi i soggetti interagenti.
Citazione di: iano il 05 Maggio 2025, 17:47:21 PMSe il rumore dell'albero che cade è il prodotto della nostra interazione con la realtà, non c'è nessun rumore in mancanza di interazione, cioè in mancanza di uno o di entrambi i soggetti interagenti.
è in quel "Se" a monte della proposizione che dobbiamo trovare una quadra. Personalmente non ritengo che il rumore di un albero sia il prodotto della nostra interazione con la realtà perchè vorrebbe dire che laddove l uomo, per come è siffatto , è escluso dalla percezione sensibile e concettuale allora non vi è nulla.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 18:06:58 PMvorrebbe dire che laddove l uomo, per come è siffatto , è escluso dalla percezione sensibile e concettuale allora non vi è nulla.
Vi è infatti il nulla come
sunyata (v. buddismo), ossia
assenza determinata (non assoluta): assenza di identificazione, cristallizzazione e discriminazione (in oggetti, concetti, alberi, suoni, etc.) da parte dell'uomo; il che equivale a dire che "c'è ciò che c'è, nel divenire che è" (consapevolezza che l'uomo può avere anche nell'ascoltare, in presenza, il rumore dell'albero che cade, se riesce a non
identificare l'albero come albero, il rumore come rumore, etc. impresa non facile, ma "illuminante").
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2025, 18:26:50 PMVi è infatti il nulla come sunyata (v. buddismo), ossia assenza determinata (non assoluta): assenza di identificazione, cristallizzazione e discriminazione (in oggetti, concetti, alberi, suoni, etc.) da parte dell'uomo; il che equivale a dire che "c'è ciò che c'è, nel divenire che è" (consapevolezza che l'uomo può avere anche nell'ascoltare, in presenza, il rumore dell'albero che cade, se riesce a non identificare l'albero come albero, il rumore come rumore, etc. impresa non facile, ma "illuminante").
Se , per ipotesi, su un pianeta che gira attorno ad una stella nell universo vi sono abitanti alti un metro essi esistono sia che noi lo sappiamo o no. Sia che possiamo percepirli o meno, sia che siano a noi invisibili o meno, sia che ne abbiamo concetto o meno, sia che ne abbiamo esperienza o meno. E dire che il rumore esiste soltanto se vi è qualcuno in ascolto ha la stessa risposta filosofica. Non è l essere consapevole di un evento che lo fa esistere o meno.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 18:50:57 PMNon è l essere consapevole di un evento che lo fa esistere o meno.
Tuttavia, se non c'è nessuno ad
isolare ed identificare quell'evento da tutto il resto della realtà, quell'evento non esiste
in quanto tale (ossia isolato e identificato), ma esiste solo tutta la realtà (di cui quello che sarebbe stato un evento isolato se qualcuno lo avesse identificato, fa parte).
Se non hai il concetto di «evento», «albero», «alieno» o «pianeta», non possono esserci
per te né eventi, né alberi, né alieni, né pianeti (esisteranno per qualcun'altro); quel che c'è "al loro posto" è una realtà priva di
determinazioni (che in quanto tali richiedono sempre
a priori qualcuno che le ponga tramite identificazione; v. sopra: assenza
determinata, non assoluta).
Facendo un ulteriore passo: se non c'è un soggetto (quindi né tu né qualcun altro) identificante e discriminante, non possono esserci identità e discriminazioni, c'è solo realtà in divenire (e anche questi, «realtà» e «divenire», sono concetti, quelli più basilari che riescono a costeggiare il senso di questo discorso liminare).
In precedenza ho già fatto l'esempio del tramonto: il tramonto esiste solo se c'è qualcuno (umano o simile) in un determinato luogo, in una determinata ora, con in mente il concetto di tramonto (che quindi
isola e identifica quell'evento separandolo da tutto il resto). Senza quell'
osservatore identificante, come potrebbe esserci un tramonto? Per chi (considerando che il tramonto è un fenomeno ottico solo per qualcuno, per il suo sguardo verso l'orizzonte)? Senza occhio che guarda all'orizzonte, il tramonto non esiste (come fenomeno isolato e identificato).
Lo stesso, di certo con più "fatica teoretica", si può applicare anche alle identificazioni dei singoli eventi e dei singoli enti. Quando
proviamo a pensarli "senza di noi", di fatto, continuiamo a pensarli
per noi, quindi non rispettiamo la condizione del "senza di noi": pensiamo all'albero, lo
identifichiamo e diciamo «certo che c'è l'albero anche senza di noi», ma se ce lo stiamo immaginando, se lo pensiamo
distinto da tutto il resto, allora è come se fossimo lì (con le nostre categorie di classificazione degli enti), mentre il presupposto è che non ci siamo... e allora
chi identifica l'albero, distinguendolo da tutta l'altra realtà?
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2025, 19:31:04 PMTuttavia, se non c'è nessuno ad isolare ed identificare quell'evento da tutto il resto della realtà, quell'evento non esiste in quanto tale (ossia isolato e identificato), ma esiste solo tutta la realtà (di cui quello che sarebbe stato un evento isolato se qualcuno lo avesse identificato, fa parte).
Con un passo successivo possiamo asserire che se non pongo la mia attenzione su il ragno che in questo momento sta formando una piccola ragnatela nell angolo del mio soffitto tale ragno non esiste in quanto tale (ossia isolato e identificato dall osservatore) . Sta di fatto che mi accorgo di molte ragnatele che non avevo isolato e identificato nel mentre venivano formate dal mio ospite zampettante. Però mi accorgo che l esempio non è leale perchè mentre il rumore è un evento , la ragnatela permane nel tempo.
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2025, 19:31:04 PMFacendo un ulteriore passo: se non c'è un soggetto (quindi né tu né qualcun altro) identificante e discriminante, non possono esserci identità e discriminazioni, c'è solo realtà in divenire (e anche questi, «realtà» e «divenire», sono concetti, quelli più basilari che riescono a costeggiare il senso di questo discorso liminare).
E questo è il problema dell identità . Anche questo è uno strumento concettuale che diamo alla Res , chiamiamo gli alberi alberi per separarli dal resto della realtà, ma che cosa sia un abelro in se stesso non lo possiamo sapere.
Se il rumore dell albero che cade esiste perchè ne ho il concetto e posso isolarlo dagli altri eventi attorno a me (che non è altro che il focalizzare l evento) è indice di determinazione della realtà allora con un passo successivo , se la conoscienza è costruzione di concetto e esperienza allora non c'è differenza di principio tra il fatto che noi conosciamo l'oggetto X e il fatto che noi lo costruiamo. E questo non può essere vero.
Dire che quello che c'è risulta determinato da quello che ne sappiamo (concetto, isolazione e identificazione) è una radicalizzazione all ennesima potenza di kant.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 18:06:58 PMè in quel "Se" a monte della proposizione che dobbiamo trovare una quadra. Personalmente non ritengo che il rumore di un albero sia il prodotto della nostra interazione con la realtà perchè vorrebbe dire che laddove l uomo, per come è siffatto , è escluso dalla percezione sensibile e concettuale allora non vi è nulla.
Vi è sempre la realtà, ma retrocessa ad ipotesi necessaria, o promossa ad ente unico, come ciò senza di cui nessuna emergenza è possibile.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 20:13:46 PMSta di fatto che mi accorgo di molte ragnatele che non avevo isolato e identificato nel mentre venivano formate dal mio ospite zampettante. Però mi accorgo che l esempio non è leale perchè mentre il rumore è un evento , la ragnatela permane nel tempo.
Esatto, solo nel momento in cui di fatto isoli e identifichi le ragnatele, queste "escono" dalla realtà
indistinta (in cui già esistevano, proprio come il ragno, sebbene non in quanto tali) ed entrano nella realtà
determinata, nella tua classificazione di «ragnatela».
Con il suono accade lo stesso; gnoseologicamente entrambi (ragnatela e suono) esistono per te (o per chiunque altro) solo quando vengono identificati, altrimenti sono realtà indistinta (potremmo quasi dire: "non-ragnatela" e "non-suono", o comunque non esistono come ragnatela e suono).
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 20:13:46 PMse la conoscienza è costruzione di concetto e esperienza allora non c'è differenza di principio tra il fatto che noi conosciamo l'oggetto X e il fatto che noi lo costruiamo. E questo non può essere vero.
Questo è in realtà un "passo falso", perlopiù a causa del
non sequitur introdotto dall'«allora»; provo quindi a riformulare: se la conoscenza è "costruzione di concetto" (rappresentazione di un fenomeno nella coscienza, e sua interpretazione secondo paradigmi cognitivi) ed esperienza (ossia rapporto con ciò che c'è "fuori di noi", la cosiddetta realtà esterna), allora c'è molta differenza, di principio e di fatto, fra affermare che noi conosciamo l'oggetto x e affermare che noi costruiamo l'oggetto x.
La costruzione delle chiavi interpretative (concetti, categorie, etc.) non va confusa con la costruzione di ciò che viene interpretato, per quanto le chiavi interpretative risultino ovviamente condizionanti l'interpretazione. Riprendiamo il tuo esempio (senza scomodare ancora Giulio Cesare e Superman): la tua coscienza può (ri)conoscere la ragnatela, identificandola e interpretandola come tale, ma non può "costruirla come
esperienza" (poiché nell'esperienza c'è una componente
passiva, non intenzionale, una "sintesi passiva" diceva Husserl, se non ricordo male). Detto ancora più banalmente: sei stato tu a identificare la ragnatela, ma sei stato tu a farla?
Non a caso, non puoi guardare un muro senza ragnatela e costruire l'esperienza di percepire (o far emergere nella coscienza la rappresentazione di) una ragnatela. Come ricordato, c'è dialettica fra ontologia ed epistemologia o, più semplicemente, la realtà "risponde", dà
feedback, non è un insieme di pezzi Lego con cui poter costruire a piacimento sia un castello che un'astronave.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 20:13:46 PMDire che quello che c'è risulta determinato da quello che ne sappiamo (concetto, isolazione e identificazione) è una radicalizzazione all ennesima potenza di kant.
Il neo sulla guancia del ragno che ha tessuto la tela, c'è o non c'è
adesso?
E se c'è già da una settimana, non puoi forse determinarlo solo
dopo averlo identificato e studiato? L'esistenza del neo risulta quindi determinata (ma non "costruita") da quello che ne sai,
prima è solo una realtà possibile e indeterminata.
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2025, 18:26:50 PMVi è infatti il nulla come sunyata (v. buddismo), ossia assenza determinata (non assoluta): assenza di identificazione, cristallizzazione e discriminazione (in oggetti, concetti, alberi, suoni, etc.) da parte dell'uomo; il che equivale a dire che "c'è ciò che c'è, nel divenire che è" (consapevolezza che l'uomo può avere anche nell'ascoltare, in presenza, il rumore dell'albero che cade, se riesce a non identificare l'albero come albero, il rumore come rumore, etc. impresa non facile, ma "illuminante").
Sono d'accordo, anche se tutti i termini del tuo post non mi sono chiari, e in particolare l'assenza determinata in opposizione all'essere assoluta.
Io comunque intendo che è possibile tornare al nulla rispetto a ciò che fino un certo punto abbiamo inteso come realtà, nel senso che l'emergenza ammette l'operazione inversa, con la quale è possibile annullarla.
questa operazione inversa come ben dici non è per nulla facile, ma vale la pena tentarla, perchè nel realizzarla apprendiamo il processo di emergenza, che possiamo quindi coscientemente poi riprodurre, facendo risorgere un nuovo mondo dal nulla.
Possiamo cambiare quindi le emergenze producendone di nuove una volta appreso il processo, restando il fatto che di esse non possiamo comunque fare a meno, perchè se fra esse non vi è pur alcun fondamento della realtà, essendo vero semmai il contrario, non possiamo vivere che indirettamente la realtà dentro un mondo di quelle emergenze fatto.
Poi il fatto che costruire questi mondi è possibile ci potrebbe dire indirettamente qualcosa della realtà, ma già il sapere che la realtà queste costruzione ammette non è poco.
Potremmo azzardare ad esempio che se la pseudorealtà in cui viviamo è coerente, è perchè coerente è la realtà di fondo, quella vera, quella realtà che è vera perchè nasce da un affermazione che non può essere smentita.
Qualunque discriminazione che facciamo sulla realtà, affermando le emergenze di cui sarebbe fatta, contiene in nuce una ingiustizia sociale, per cui se non possiamo fare a meno di costruire su esse le nostre società, possiamo però sempre ricostruirle su nuove emergenze quando iniziano a farci male, come scarpe divenute troppo strette.
La notizia cattiva è che siamo costretti a vivere in una gabbia fatta di emergenze. La notizia buona è che non siamo condannati all'ergastolo, e che la speranza di un mondo nuovo è più giusto deve sempre sorreggerci.
E' una rivoluzione, ma non necessariamente violenta, come mi pare, correggimi se sbaglio, il buddismo suggerisce.
Più in breve si tratta ogni volta di rifare pace con noi, perchè questa pace va sempre rinnovata, in quanto esseri sempre mutevoli. Si tratta di inseguire continuamente la felicità che deriva dal sentirci pienamente ogni volta noi stessi nel cambiamento.
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2025, 23:03:43 PMRiprendiamo il tuo esempio (senza scomodare ancora Giulio Cesare e Superman): la tua coscienza può (ri)conoscere la ragnatela, identificandola e interpretandola come tale, ma non può "costruirla come esperienza"
sì è abbastanza chiaro dove ho inciapato Phil. Mi sono fregato con quel "
e esperienza" .Citazione di: Phil il 05 Maggio 2025, 23:03:43 PMIl neo sulla guancia del ragno che ha tessuto la tela, c'è o non c'è adesso?
E se c'è già da una settimana, non puoi forse determinarlo solo dopo averlo identificato e studiato? L'esistenza del neo risulta quindi determinata (ma non "costruita") da quello che ne sai, prima è solo una realtà possibile e indeterminata.
è chiaro che più studio il ragno e più scoprirò cose di cui ero all oscuro. Il risultato della mia analisi che porta esistenza di neo e di macchie e di peli sulla testa e sulla faccia del ragno è ovviamente reale e dimostrabile e verificabile da chiunque faccia analoga analisi sul mio simpatico ospite . Sta di fatto che analisi , determinazione dei risultati e modalità di descrizione non creano nessuna realtà che prima non c'era . certo era nel regno del possibile e non ancora rilevato dalla mia osservazione ma la mia osservazione non crea realtà, si limita a vedere quello che già c'è , la realtà così come mi appare dal microscopio non è un elaborazione concettuale . Per di più parliamo di casi particolari, non tutti i ragni hanno le macchie e i neo sulla guancia. Ora , lasciando perdere il ragno , se la conoscienza è costruzione di concetto , che differenza c'è fra l'oggetto che ci si presenta in quanto tale e che chiamerò X e quello che sappiamo sull oggetto X? innanzitutto stiamo allora parlando di ontologia (quello che c'è) e non dipende dagli schemi concettuali ed epistemolgia (quello che sappiamo dell 'oggetto X) che dipende dagli schemi concettuali.
A questo punto la filosofia basata sul concetto come costruzione del sapere fa un ragionamento alquanto sottile; dal momento che il sapere dipende dagli schemi concettuali , allora la conoscenza è intrinsicamente
costruzione (di idee, di concetti, di teorie, di formule) . Esattamente come avviene in matematica in cui conoscere che 6 più 2 fa 8 equivale a costruire l addizione 6+2=8 . In questo maniera è facile giungere a nuove conclusioni , ovvero che la sfera dell essere coincide in larga misura con quella del conoscibile e che il conoscibile equivale essenzialmente al costruibile.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 20:13:46 PMse la conoscienza è costruzione di concetto e esperienza allora non c'è differenza di principio tra il fatto che noi conosciamo l'oggetto X e il fatto che noi lo costruiamo. E questo non può essere vero.
In effetti io credo che noi possiamo conoscere solo le nostre costruzioni, perchè i dati che ricaviamo dall'esperienza sono lettera morta finché non gli diamo un significato, interpretandoli.
La realtà sensibile, cioè la realtà come ci appare, è il frutto di un lavoro di interpretazione sedimentato, per questo vedere equivale a comprendere, essendo il vedere il frutto di tutto questo lavoro,
essendo questa immediatezza di comprensione il capolinea di un duro e lungo lavoro evolutivo.
Quanto possa essere duro questo lavoro ce lo suggerisce il lavoro degli scienziati, che quella comprensione tentavano di ricostruire.
Un lavoro in cui non c'è nulla da capire, perchè la costruzione di una teoria equivale alla sua comprensione.
Se diciamo dunque di non comprendere è solo perchè ci aspettiamo di replicare l'immediatezza di cui sopra, restandone delusi, quando invece dovremmo rallegrarci di riuscire in qualche secolo a fare il lavoro che in milioni di anni ha fatto l'evoluzione.
Citazione di: iano il 06 Maggio 2025, 00:13:04 AMIn effetti io credo che noi possiamo conoscere solo le nostre costruzioni,
Conosciamo solo le nostre costruzioni ma puoi dire che conoscendo solo le costruzioni conosci l oggetto al pari di come conoscendo che 6+2 fa otto equivale a scrivere 6+2=8? Più in generale, se non c è distinzione fra costruzione conoscitiva e oggetto conosciuto in che cosa si differenza allora? Ci si ritrova a ridire che la mappa non è il territorio.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Maggio 2025, 08:23:31 AMConosciamo solo le nostre costruzioni ma puoi dire che conoscendo solo le costruzioni conosci l oggetto al pari di come conoscendo che 6+2 fa otto equivale a scrivere 6+2=8? Più in generale, se non c è distinzione fra costruzione conoscitiva e oggetto conosciuto in che cosa si differenza allora? Ci si ritrova a ridire che la mappa non è il territorio.
Si, il mondo non è la realtà, cosi come la mappa non è il mondo , secondo fasi di emergenza che susseguendosi producono maggiore astrazione, astrazioni di astrazioni in una successiva perdita di concretezza.
L'oggettività nasce da una fase di emergenza, nella successiva nascono le dozzine (dodici uova), dove un gruppo di oggetti diventano uno solo, ma diverso da ognuno di loro, meritandosi un suo nome, la dozzina appunto, e nella successiva nascono i numeri, che non si riferiscono a un gruppo di oggetti precisi, e perciò ogni gruppo possono contare, divenendo ''oggettivamente'' distinti da essi, meritandosi perciò a loro volta un nome tutto loro, ad esempio il dodici.
Il mondo che cosi viene a crearsi è il nostro modo di vivere la realtà che si evolve insieme a noi.
@ianoTralascio volutamente sia gli aspetti sociali ed esistenziali a cui hai accennato, sia la differenza fra assenza determinata ed assoluta, perché sono due deviazioni che ci porterebbero
offtopic; invece la questione della coerenza merita una riflessione:
Citazione di: iano il 05 Maggio 2025, 23:19:05 PMPotremmo azzardare ad esempio che se la pseudorealtà in cui viviamo è coerente, è perchè coerente è la realtà di fondo, quella vera, quella realtà che è vera perchè nasce da un affermazione che non può essere smentita.
Affermare che «è coerente la realtà di fondo» è comunque una proiezione delle nostre categorie (quella di coerenza) sulla realtà, stiamo ancora parlando non di come la realtà è, ma di come la identifichiamo (un po' come quando diciamo che è oggettivo che i corpi cadono realmente verso il basso: stiamo usando il concetto di «basso» e quello di «cadere» pensando che siano propri della realtà, quando sono invece propri della
descrizione umana della realtà).
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 23:47:35 PMsì è abbastanza chiaro dove ho inciapato Phil. Mi sono fregato con quel "e esperienza" .
Nessun inciampo o, per dirla diversamente, parlando di conoscenza è inevitabile inciampare nell'esperienza del mondo esterno, altrimenti non sarebbe conoscenza (e ancor meno scienza). L'esperienza è infatti ciò che distingue, in modo prezioso e inequivocabile, la differenza fra te che
identifichi la ragnatela (partendo dalla passività della percezione) e te che
costruisci la ragnatela (costruzione che non rientra nell'esperienza di nessuno, salvo tu sia un ragno che scrive su un forum, oppure tu possa percepire ragnatele a tuo piacimento, anche dove
la realtà non lo consente).
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 23:47:35 PMse la conoscienza è costruzione di concetto , che differenza c'è fra l'oggetto che ci si presenta in quanto tale e che chiamerò X e quello che sappiamo sull oggetto X?
Permane l'ingannevolezza di quel «se», poiché la conoscenza non è solo costruzione di concetto; non si può trascurare che sia anzitutto esperienza di ciò che ci circonda (v. sopra), per quanto istantaneamente mediata dai nostri paradigmi. Come detto, c'è
distinzione dialettica fra
input del mondo esterno ed elaborazione della coscienza; non possiamo scindere totalmente l'oggetto in quanto tale (il fantomatico noumeno) da ciò che sappiamo su di esso: nel momento in cui guardi il ragno, stai già applicando sincronicamente quello che sai su di esso (è un ragno, ha quel colore, è un animale, è piccolo, tesse la ragnatela, etc.). Ciò che sai del regno condiziona il tuo sguardo sul ragno, ma non "costruisce" il ragno, lo identifica e lo isola dal resto, ma ciò è possibile solo perché il ragno
è realtà, senza essere una tua costruzione (ma al massimo solo una tua identificazione, isolandolo dal resto).
Identificare non è costruire; così come, di notte, dirigere una lampada verso un albero, lo illumina, lo manifesta nella nostra coscienza, lo identifica, ma non lo costruisce (se non lo illuminassimo, potremmo comunque sbatterci e farci male perché
è realtà, a prescindere dal nostro identificarlo come albero, o abete, o tronco, o ostacolo, etc.).
Citazione di: Phil il 06 Maggio 2025, 11:23:48 AMIdentificare non è costruire; così come, di notte, dirigere una lampada verso un albero, lo illumina, lo manifesta nella nostra coscienza, lo identifica, ma non lo costruisce (se non lo illuminassimo, potremmo comunque sbatterci e farci male perché è realtà, a prescindere dal nostro identificarlo come albero, o abete, o tronco, o ostacolo, etc.).
Se da un continuo isoli funzionalmente una parte hai costruito un oggetto.
Assegnare identità a una parte di un continuo in ragione del mostrasi ciò funzionale alla nostra sopravvivenza (evitare direttamente di sbattere nella realtà, scansando indirettamente l'albero), significa costruire il mondo in cui viviamo, fatto di alberi, necessario alla nostra sopravvivenza, o meglio necessario per vivere attraverso esso indirettamente la realtà.
Ma questo è solo un esempio, perchè non è corretto, come mi facevi notare a proposito della coerenza, intendere come suoi propri i concetti attraverso i quali descriviamo e/o percepiamo la realtà, quindi la continuità o quantizzazione non sono proprietà della realtà, ma utili applicazioni che facciamo su di essa, di modo che essa ci apparirà, o riusciremo immaginarla funzionalmente, come continua piuttosto che quantizzata.
Ci sono secondo me buoni motivi ''filosofici'' per lasciare la realtà sullo sfondo della rappresentazione mondana, per il motivo che tutti quegli attributi che diamo all'oggettività, come l'esistenza di cose separate dalle altre, per quanto ciò faccia parte della nostra percezione sensibile, poi non riusciamo di fatto a dimostrarla.
Non riusciamo cioè a trovare l'esatto confine fra le cose, per quanto può convenire assegnarlo convenzionalmente, facendo una applicazione della matematica sulla realtà, talchè, quando di questa applicazione manchi la coscienza, possiamo credere quei confini come reali.
Dobbiamo epurare la filosofia da tutte le scorie della nostra percezione, non per sostituirvi qualcosa di più vero, ma per relativizzarla, come metodo fra tanti possibili di rapportarsi con la realtà.
Cioè, quando ricaviamo dati coi nostri strumenti e li interpretiamo, agendo di conseguenza sulla realtà, non stiamo facendo altro che diversamente percepirla, con l'avvertenza che quanto più avremo coscienza del processo, più astratto ci apparirà il risultato, e quanto meno ne abbiamo coscienza, come avviene per la percezione naturale, tanto più il risultato ci apparirà concreto.
La conoscenza è sempre un astrazione, ma non sempre dell'essere astrazione abbiamo coscienza, e la concretezza è un velo posto su questa coscienza.
Per quanto riguarda la percezione scientifica noi di questa concretezza ci sentiamo orfani, ma piuttosto che ammetterlo, diremo assurde le sue teorie, indipendentemente da quanto utili possano mostrasi, rivendicando in tal senso maldestramente a volte un primato della filosofia, facendogli un cattivo servigio, e solo per dissimulare la nostra irrazionale umana insoddisfazione.
Stiamo costruendo col sudore della fronte un nuovo paradiso in terra, immaginario, ma concretamente vivibile, dove la conoscenza non è più peccato.
Non so se l'assoluto sopravviverà, venendogli a mancare il supporto dell'evidenza che ci regala la nostra percezione naturale, ma bisogna trovare il coraggio di relativizzarla, per camminare su più gambe, diverse, ma coordinate fra di loro nell'andare, una delle quali è la scienza.
L'assoluto in fondo cos'è, se non un modo dissimulato, stante il doveroso mostrare umiltà, di affermare la nostra divinità?
Perchè non può essere che un Dio quell'essere che a un impercettibile cenno delle sue palpebre si ritrova la realtà, in tutta la sua evidenza, prostrata ai suoi piedi.
Questo è solo il residuo del vecchio paradiso, da cui non siamo stati cacciati, ma da cui stiamo uscendo per gradi, riattivando quella evoluzione che nel paradiso era rimasta sospesa;
perchè un paradiso fatto solo per gli uomini, che per averne diritto quindi devono restare per sempre tali, qualunque cosa siano.
L'assoluto è l'eterna sospensione dell'essere dal divenire.
Citazione di: Phil il 06 Maggio 2025, 11:23:48 AMpoiché la conoscenza non è solo costruzione di concetto; non si può trascurare che sia anzitutto esperienza di ciò che ci circonda (v. sopra), per quanto istantaneamente mediata dai nostri paradigmi. Come detto, c'è distinzione dialettica fra input del mondo esterno ed elaborazione della coscienza
Condivido e apprezzo questa mediazione e distinzione che fai tra oggetto percepito dai sensi (esperienza) e oggetto conosciuto dall intelletto , mediazione concettuale che è rappresentazione , identificazione ed elaborazione dei dati provenienti dall esperienza.
Non condivido quando dici che avendo identificato l'oggetto o il ragno allora tale realtà esce da uno stato di realtà indeterminato ed entra in uno stato determinato di realtà ( determinato dall osservatore).
Sebbene il tutto risulti squisitamente kantiano, non sono d'accordo. La realtà non entra e non esce da nessuna parte. Non si tratta di voler riformulare una definizione di realtà ma al tempo stesso siamo sempre noi a definirla. chi è che definisce la realtà ? l esperimento o l'esperimentatore ? se anche le leggi fisiche sono approssimazioni di quello che succede, noi vediamo i fenomeni non le leggi. Allora che diritto abbiamo di definire la realtà in un modo o nell altro? Di nuovo si ricade nel costruzionismo e quindi di nuovo si ricade ad un modello e il modello è astrazione della realtà . Di nuovo si arriva all uomo e alle sue idee. Interpretazioni, teorie, modelli, sono tutti artefici della mente. Se parlaimo in termini di realtà che viene determinata dalla nostra identificazione stiamo ancora parlando di uomini, non di realtà.
Citazione di: iano il 06 Maggio 2025, 14:05:10 PMSe da un continuo isoli funzionalmente una parte hai costruito un oggetto.
Non so se sia solo un fraintendimento linguistico, ma per «costruire» (con-struire, "accumulare assieme") intendo comporre, usare elementi separati per creare un nuovo elemento (come con le lego o i mattoni, ma anche come differenti categorie costruiscono un paradigma). Ossia costruire è il processo inverso di isolare, identificare, etc. nel costruire molteplici elementi convergono in un'unità più "grande", il costruito, mentre nell'isolare-identificare un singolo elemento è estratto (o as-tratto) da una totalità più "grande" (uso le virgolette perché «grande» forse è termine inappropriato e generico, ma spero si capisca comunque il senso di ciò che intendo).
Per chiarire meglio come differenzio il costruire dall'identificare: se taglio una fetta da una torta, non costruisco una fetta, ma la isolo dalla totalità di cui fa(ceva) parte; così come se isolo il ragno da tutto ciò che vedo, lo identifico, non lo costruisco. Viceversa, se sommo in modo appropriato gli ingredienti "costruisco" una torta, così come se sommo differenti qualità del ragno ne costruisco la descrizione (e qui riemerge la dialettica fra ciò che vedo, fuori, e le categorie, dentro, con cui il visto viene identificato, fosse anche in modo fallace o illusorio).
Citazione di: Alberto Knox il 06 Maggio 2025, 14:58:05 PMNon condivido quando dici che avendo identificato l'oggetto o il ragno allora tale realtà esce da uno stato di realtà indeterminato ed entra in uno stato determinato di realtà ( determinato dall osservatore).
[..] La realtà non entra e non esce da nessuna parte.
«Determinato» e «indeterminato» sono da intendere dal punto di vista dell'osservatore, non assoluto. Con «entrare», termini forse ambiguo, intendevo l'entrare della
realtà determinata del ragno (in quanto fenomeno isolato) nella coscienza dell'osservatore, non l'entrare della
realtà in generale (che come giustamente osservi, «non entra e non esce da nessuna parte»).
Citazione di: Phil il 06 Maggio 2025, 15:14:12 PMDeterminato» e «indeterminato» sono da intendere dal punto di vista dell'osservatore, non assoluto
Il ragno che ho visto io (determinandolo come realtà identificata) lo puoi vedere e identificare anche tu semplicemente verificandolo tu stesso, così lo può fare anche il resto del mondo, perchè allora non può essere una determinzione assoluta? Se un esperimento è verificabile , riproducibile e confermabile riportando il medisimo risultato non ha forse buon diritto di venire inteso come determinazione assoluta ? oppure il tuo è un atto di cautela?
«Assoluto», sia come aggettivo che come sostantivo, è per me una "antiquata parolaccia filosofica" che non è mai davvero fino in fondo quello che promette di essere (almeno fino a prova contraria). Se lo intendiamo come sinonimo di «condiviso», abbiamo un "assoluto" basato su una condivisione, ossia relativo e circoscritto al gruppo che lo condivide. Ha senso parlare di "assoluto" per qualcosa di circoscritto e relativo?
Se qualcosa viene identificato e riconosciuto come relativo ad un gruppo, o a un paradigma, o a un sistema assiomatico, etc. qual è il valore aggiunto di etichettarlo anche come assoluto (oltre a voler far convivere fianco a fianco relativismo e assolutismo, con conseguente paradosso, se non contraddizione)?
Come già ricordato, per secoli c'è stata la assoluta certezza che il sole si spostasse nel cosmo, perché così sembrava guardandolo dalla Terra e la meridiana (come fosse un esperimento di controllo) confermava, anno dopo anno, che quel moto era assolutamente affidabile.
Nella migliore delle ipotesi, «assoluto» è un modo più enfatico di dire «vero» (e l'enfasi è ciò che va "rasoiato", se si vuole essere rigorosi). Tutte le riflessioni scettiche e relativiste applicabili al concetto di verità sono ancor più applicabili al concetto di assoluto, specialmente se inteso come ab-solutus, indipendente dal resto (proprio da tale indipendenza, sia la scienza che la filosofia moderna ci mettono in guardia, ricordando come tutto sia relazione, interpretazione, etc.).
Citazione di: Phil il 06 Maggio 2025, 15:14:12 PMNon so se sia solo un fraintendimento linguistico, ma per «costruire» (con-struire, "accumulare assieme") intendo comporre, usare elementi separati per creare un nuovo elemento (come con le lego o i mattoni, ma anche come differenti categorie costruiscono un paradigma). Ossia costruire è il processo inverso di isolare, identificare, etc. nel costruire molteplici elementi convergono in un'unità più "grande", il costruito, mentre nell'isolare-identificare un singolo elemento è estratto (o as-tratto) da una totalità più "grande" (uso le virgolette perché «grande» forse è termine inappropriato e generico, ma spero si capisca comunque il senso di ciò che intendo).
Per chiarire meglio come differenzio il costruire dall'identificare: se taglio una fetta da una torta, non costruisco una fetta, ma la isolo dalla totalità di cui fa(ceva) parte; così come se isolo il ragno da tutto ciò che vedo, lo identifico, non lo costruisco. Viceversa, se sommo in modo appropriato gli ingredienti "costruisco" una torta, così come se sommo differenti qualità del ragno ne costruisco la descrizione (e qui riemerge la dialettica fra ciò che vedo, fuori, e le categorie, dentro, con cui il visto viene identificato, fosse anche in modo fallace o illusorio).
Si tende, per economia di pensiero, a costruire col già costruito, ma il risultato rischia di essere chimerico, ritrovandosi con onde/particelle.
Il materiale di costruzione non manca mai, perchè qualcosa è stato già costruito.
La costruzione primaria, quella che si origina direttamente dalla realtà, per la quale il termine risulta etimologicamente improprio, potremmo dirla estrazione, ma anche qui la terminologia a disposizione non aiuta, per cui in ogni caso bisogna adattare vecchi termini a nuovi significati.
L'origine sta in una interazione primaria con la realtà del tutto incosciente, che da forma all'essere stesso interagente, secondo la casualità cui l'interazione è soggetta, e da cui gradualmente si sottrae in parte, che acquista coscienza gradualmente nel succedersi delle fasi di emergenza, una coscienza che prende il comando dell'interazione, relegando il caso in secondo piano.
Coscientemente noi non possiamo che costruire col già costruito.
La coscienza cresce insieme all'astrazione, che è astrazione di astrazione, anche se pure qui la terminologia non ci aiuta, se la intendiamo col suo significato originario, e dobbiamo quindi trarla ex novo dal contesto.
Qualunque termine usiamo coscientemente, costruire, estrarre , inevitabilmente connotiamo indirettamente in tal modo la realtà in modo pregiudiziale, ma purtroppo non possiamo inventarci termini nuovi che dai nostri pregiudizi siano epurati.
Inevitabilmente quanto inutilmente cerchiamo di rimandare la palla alla realtà, perchè la palla dalla realtà non si allontana mai, essendo il campo di gioco.
E anche qui quindi andrebbe precisato che quando parliamo di caso o determinazionismo, questi non sono attributi della realtà, ma i mattoni coi quali costruiamo di volta in volta un mondo capace agli effetti che relativamente ci riguardano, di stare al posto della realtà.
Secondo come mi ha istruito Alberto, porre la realtà dietro le quinte delle nostre rappresentazioni, significa mettere l'ontologia in panchina per sempre, lasciando il gioco alla sola epistemologia.
Siamo noi a dare significato al mondo, anche quando non sappiamo di farlo, e questo ci rende possibile la sua comprensione, anche quando ciò comporta operazioni designificanti inverse, difficili da percorre a ritroso, verso la fase dell'incoscienza, comportando ciò di disimparare tutto ciò che sappiamo, giungendo a quel nulla che è la realtà priva di sovrastrutture significanti.
Citazione di: Phil il 06 Maggio 2025, 16:55:26 PMHa senso parlare di "assoluto" per qualcosa di circoscritto e relativo?
Ho scritto 1628 interventi su questo forum, non ne troverai nemmeno uno dove sostengo e promuovo termini quali assoluto e tanto meno "verità assolute" . Su quest'ultime porto avanti una battaglia ormai da tempo per via delle conseguenze che il credere di possedere delle verità assolute ha portato nella storia e che purtroppo è ancora di una attualità sconvolgente. Forte di questa impostazione promuovo invece la libertà di pensiero e di esprimerlo.
Detto questo io porterei avanti il discorso che secondo me va dritto al cuore e al senso del titolo del topic.
Alcuni aspetti del pensiero umano sono fissati dalle interconnessioni del cervello , altri li abbiamo ereditati, come un "software genetico", dai nostri lontani antenati.
Il grande immanuel Kant sostenne che non tutte le categorie di pensiero derivano dall esperienza sensoriale del mondo. Pensava che alcuni concetti fossero "a priori" intendendo con questo che per quanto questi concetti non siano "verità necessarie" nel senso strettamente logico , tuttavia il pensiero sarebbe impossibile senza di essi . Pensa al concetto di causa e di sostanza , lui le chiama categoria a priori . Come esempio kant citava la nostra comprensione intuitiva dello spazio tridimensionale circostante attraverso le regole della geometria euclidea , se non avessi, diceva, la facoltà innata di ordine spaziale nelle tre dimensioni spaziali, io non riuscirei a ordinare spazialmente le cose e di conseguenza lo spazio non lo percepirei così come lo percepiamo. Sfortunatamente gli scienziati hanno scoperto che la geometria euclidea è, in realtà, sbagliata. molti scienziati e filosofi in genere suppongono che anche gli aspetti più basilari del pensiero umano debbano alla fine far riferimento alle osservazioni del mondo fisico.
I nostri processi mentali si sono evoluti nel modo in cui si sono evoluti precisamente perchè riflettono qualcosa nella natura del mondo fisico in cui viviamo.
Il nostro successo nello spiegare il mondo , non solo tramite l'osservazione e identificazione ma inteso anche come scienza e matematica è solo un caso fortunato oppure è inevitabile che gli organismi biologici che sono emersi dall ordine cosmico debbano riflettere quell ordine nelle loro facoltà conoscitive? . Avevo già espresso questo pensiero (anche in diverse sedi del forum ) ma ora lo specificato meglio.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Maggio 2025, 19:45:08 PMIl nostro successo nello spiegare il mondo , non solo tramite l'osservazione e identificazione ma inteso anche come scienza e matematica è solo un caso fortunato oppure è inevitabile che gli organismi biologici che sono emersi dall ordine cosmico debbano riflettere quell ordine nelle loro facoltà conoscitive? . Avevo già espresso questo pensiero (anche in diverse sedi del forum ) ma ora lo specificato meglio.
La domanda resta un pò ambigua.
il successo è nostro o degli organismi biologici?
Se è degli organismi biologici la risposta è nella teoria di Darwin.
Il concetto di assoluto viene spesso contrapposto a quello di relativo. In realtà l'assoluto, che si può definire come incondizionato, si contrappone a condizionato e dipendente, ma non a relativo, in quanto non esclude una relazione con ciò che potrebbe dipendere da esso. L'eventuale esistenza di un principio incondizionato non esclude una realtà fatta di interconnessioni e di reciproca dipendenza di ogni elemento. Realtà che potrebbe dipendere da esso senza per questo essere priva di autonomia; o non dipendere da esso stabilendo una dualità.
Citazione di: iano il 07 Maggio 2025, 01:08:13 AMLa domanda resta un pò ambigua.
il successo è nostro o degli organismi biologici?
Se è degli organismi biologici la risposta è nella teoria di Darwin.
Noi stessi siamo organismi biologici e se la risposta è nella teoria di Darwin allora sarà tema di approfondimento . I processi del pensiero umano hanno origine nella struttura del cervello e nei compiti che questo , nel corso della sua evoluzione, ha imparato ad eseguire. L'operato del cervello a sua volta dipende dalle leggi della fisica e dalla natura del mondo fisico in cui abitiamo. Se, come hanno immaginato alcuni autori di fantascienza , la vita esistesse sulla superfice di una stella neutronica sarebbe arduo immaginarsi come tali esseri percepirebbero e concepirebbero il mondo. è possibile che il concetto di razionalità di un tale alieno sia così differente dal nostro che un tale essere non sarebbe affatto persuaso da quella che noi consideriamo un argomentazione razionale. ciò significa che il ragionamento umano è sospetto? siamo eccessivamente ottimisti nel supporre che si possono applicare i modelli di pensiero di dell homo sapiens ai grandi temi dell esistenza? non necessariamente , come ho detto i nostri porocessi mentali si sono evoluti in riflesso a qualcosa del mondo fisico in cui viviamo. Ci sorprende come il ragionamento umano abbia tanto successo nel comprendere quelle parti del mondo che la nostra percezione non può raggiungere direttamente. Non può invece sorprendere che la mente umana possa dedurre la legge dei corpi in caduta, perchè il cervello, evolvendosi, ha elaborato strategie atte a schivarli.