Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?
Insomma, questo "spread" tra la critica filosofica della Scienza e la Scienza reale, non dipenderà forse dal fatto che sono proprio i SUOI (della critica) criteri di verità ad essere <<infondati, indimostrabili e non-provabili>>? Non dovremo forse RIFONDARE la critica sul modello scientifico il quale non attribuisce alcun valore epistemico a giudizi che non trovino conferma nella realtà dei fatti?
Salve. Che bizzarro quesito !! Certo che la critica della scienza è fondata, dal momento che permette o permetterebbe di rinfacciare alla scienza i suoi errori e le sue lacune. Che sempre ci sono state e sempre ci saranno.
Ma se io sino ad oggi ho usato cibarmi di un frutto che mi ha permesso di sopravvivere non smetterò certi di cibarmene per semplice solidarietà intellettuale con chi per mestiere mette in dubbio la fondatezza dell'esistenza di qualsiasi cosa, inclusi i frutti !
La fondatezza è una cosa, l'efficacia un'altra. Primo il vivere, cioè il prendere delle decisioni, poi lo speculare.
Naturalmente l'intento di tale quesito sarebbe quello di approfondire. Purtroppo, al termine di ogni profondità sull'argomento, credo proprio non si troverà nulla di vero e neppure di utile o divertente.
P.S.: Carlo mi rifiuto di credere che tu non sappia come mai la scienza sia risultata efficace benchè di dubitativa fondatezza filosofica. Sono sicuro che ti/ci hai posto tale domanda solo in forma manieristica. Salutoni.
Questo é il mio primo e ultimo intervento in questa discussione (col quale, con uno sforzo che oserei definire titanico, do fondo alla mia pazienza già provatissima).
Non dubito che Carlo Pierini ripeterà i suoi soliti altisonanti proclami apodittici scientistici e antifilosoficifilosofici, con l' imancabile stucchevole menzione del superamento del geocentrismo tolemaico, ecc., ecc., ecc.
Poiché non credo che la correttezza e verità di nessuna affermazione (né filosofica, né scientifica) cresca proporzionalmente al numero delle volte in cui viene ripetuta tale e quale, mi asterrò dal ripetere ulteriormente ma del tutto inutilmente le presenti obiezioni di fronte alla prevedibilissima solita reiterazione dei soliti proclami, che non costituisce in alcun modo un' argomentazione contro quanto da me qui affermato.
Mi dispiace dovertelo dire, caro Carlo Pierini, ma non hai capito proprio nulla della critica filosofia razionale della conoscenza scientifica (e in particolare di Hume, che fra l' altro -ti informo- guarda caso era un entusiasta ammiratore di Newton).
Essa non consiste affatto in un' immaginaria e del tutto irreale (del tutto falso é l' affermarlo) considerazione dei metodi delle scienze come "insignificanti" (e men che meno falsi), bensì in una critica razionale della conoscenza scientifica stessa, che negli esiti a mio modesto parere migliori giunge a dimostrare che essa presuppone come conditiones sine qua non talune tesi indimostrabili logicamente e non provabili empiricamente (segnatamente intersoggettività e divenire ordinato secondo modalità generali astratte universali e costanti del mondo fenomenico materiale).
Il che non significa affatto, contrariamente ai pregiudizi da te di continuo proclamati, che la conoscenza scientifica sia falsa:
Infondatezza razionale ovvero credenza infondata, arbitraria, fideistica =/= falsità
(due concetti diversissimi che confondi continuamente).
Dunque i filosofi che sottopongono a critica razionale la conoscenza scientifica non ne negano affatto (ma invece criticano razionalmente: concetto a evidentissimamente del tutto sconosciuto) la verità, e dunque, contrariamente a quanto ancora una volta preteso in un delirio inquisitorio nell' intervento introduttivo alla presente discussione, non hanno proprio nulla da spiegare circa i clamorosi successi pratici delle tecniche scientificamente fondate, che per loro non costituiscono minimamente un problema.
Semplicemente, in più dei superficiali scientisiti spregiatori (e spesso e volentieri deformatori caricaturali ) della filosofia, i quali, poverini, si cullano nella beata illusione che la conoscenza scientifica sia "al di là di ogni dubbio", possiedono la consapevolezza, di cui i poveri scientisti acritici purtroppo per loro mancano, della necessità di ammettere per fede -perché la conoscenza scientifica sia vera- taluni presupposti indimostrabili razionalmente e non provabili empiricamente (senza avere ovviamente per questo -anzi!- alcun impedimento all' acquisizione di qualsiasi conoscenza scientifica, anche in più dei poveri scientisti ignoranti di filosofia).
Citazione di: viator il 24 Luglio 2018, 21:26:25 PM
Salve. Che bizzarro quesito !! Certo che la critica della scienza è fondata, dal momento che permette o permetterebbe di rinfacciare alla scienza i suoi errori e le sue lacune. Che sempre ci sono state e sempre ci saranno.
CARLO"Criticare" significa valutare limiti e meriti di una cosa, mentre gli "epistemologi" moderni rimuovono sistematicamente dal loro orizzonte i meriti del metodo scientifico, nel timore di scoprire che tutte le elucubrazioni sui suoi limiti appaiano per quello che realmente sono: pedanterie prive di fondamento. VIATORLa fondatezza è una cosa, l'efficacia un'altra. CARLOSolo con delle verità fondate si costruisce qualcosa di efficace, mentre con le sciocchezze non si costruisce nulla.VIATOR
P.S.: Carlo mi rifiuto di credere che tu non sappia come mai la scienza sia risultata efficace benchè di dubitativa fondatezza filosofica. Sono sicuro che ti/ci hai posto tale domanda solo in forma manieristica. CARLOIo, infatti, lo so da cosa dipende il successo della scienza, e ho trattato l'argomento in questo thread:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-e-una-complementarita-di-opposti-e-i-numeri-sono-archeti-1117/
...e il fatto che non abbia ricevuto NESSUN commento, conferma la paura che hanno i "filosofi" moderni di confrontarsi con dei criteri di verità molto più evoluti e fondati delle loro sterili e astratte elucubrazioni estranee ad ogni confronto col mondo della conoscenza reale.Per questo ti sembrano bizzarre le mie domande: perché i "critici" si guardano bene dal porsele, illudendosi che i loro aprioristici e vuoti "no" valgano quanto le grandi idee a cui negano valore.
Citazione di: sgiombo il 24 Luglio 2018, 21:35:15 PM
Questo é il mio primo e ultimo intervento in questa discussione (col quale, con uno sforzo che oserei definire titanico, do fondo alla mia pazienza già provatissima).
Non dubito che Carlo Pierini ripeterà i suoi soliti altisonanti proclami apodittici scientistici e antifilosoficifilosofici, con l' imancabile stucchevole menzione del superamento del geocentrismo tolemaico, ecc., ecc., ecc.
Poiché non credo che la correttezza e verità di nessuna affermazione (né filosofica, né scientifica) cresca proporzionalmente al numero delle volte in cui viene ripetuta tale e quale, mi asterrò dal ripetere ulteriormente ma del tutto inutilmente le presenti obiezioni di fronte alla prevedibilissima solita reiterazione dei soliti proclami, che non costituisce in alcun modo un' argomentazione contro quanto da me qui affermato.
Mi dispiace dovertelo dire, caro Carlo Pierini, ma non hai capito proprio nulla della critica filosofia razionale della conoscenza scientifica (e in particolare di Hume, che fra l' altro -ti informo- guarda caso era un entusiasta ammiratore di Newton).
Essa non consiste affatto in un' immaginaria e del tutto irreale (del tutto falso é l' affermarlo) considerazione dei metodi delle scienze come "insignificanti" (e men che meno falsi), bensì in una critica razionale della conoscenza scientifica stessa, che negli esiti a mio modesto parere migliori giunge a dimostrare che essa presuppone come conditiones sine qua non talune tesi indimostrabili logicamente e non provabili empiricamente (segnatamente intersoggettività e divenire ordinato secondo modalità generali astratte universali e costanti del mondo fenomenico materiale).
Il che non significa affatto, contrariamente ai pregiudizi da te di continuo proclamati, che la conoscenza scientifica sia falsa:
Infondatezza razionale ovvero credenza infondata, arbitraria, fideistica =/= falsità
(due concetti diversissimi che confondi continuamente).
Dunque i filosofi che sottopongono a critica razionale la conoscenza scientifica non ne negano affatto (ma invece criticano razionalmente: concetto a evidentissimamente del tutto sconosciuto) la verità, e dunque, contrariamente a quanto ancora una volta preteso in un delirio inquisitorio nell' intervento introduttivo alla presente discussione, non hanno proprio nulla da spiegare circa i clamorosi successi pratici delle tecniche scientificamente fondate, che per loro non costituiscono minimamente un problema.
Semplicemente, in più dei superficiali scientisiti spregiatori (e spesso e volentieri deformatori caricaturali ) della filosofia, i quali, poverini, si cullano nella beata illusione che la conoscenza scientifica sia "al di là di ogni dubbio", possiedono la consapevolezza, di cui i poveri scientisti acritici purtroppo per loro mancano, della necessità di ammettere per fede -perché la conoscenza scientifica sia vera- taluni presupposti indimostrabili razionalmente e non provabili empiricamente (senza avere ovviamente per questo -anzi!- alcun impedimento all' acquisizione di qualsiasi conoscenza scientifica, anche in più dei poveri scientisti ignoranti di filosofia).
CARLO
Non hai risposto a nessuna delle mie domande. Continui, come tutti i tuoi "maestri" (Kant, Hume, Berkeley, ecc.), a raccontarti
ciò che la Scienza NON E', per paura di scoprire
ciò che ESSA E', che il suo successo dipende dalla superiorità dei suoi criteri di verità rispetto ai criteri di verità dei suoi critici, fondati solo su una logica astratta, invece che su una logica applicata all'osservazione delle conoscenze REALI della Scienza.
Se chi ti conosce bene ti giudicasse SOLO guardando a ciò che non sei, ho dei forti dubbi che l'immagine finale sarebbe quella di un
uomo.
Salve Carlo.Solo con delle verità fondate si costruisce qualcosa di efficace, mentre con le sciocchezze non si costruisce nulla..
Io modificherei : "Solo con delle verità pragmatiche (le esperienze sensoriali) si costruisce qualcosa di efficace".
Citazione di: viator il 25 Luglio 2018, 13:14:28 PM
CARLO.
Solo con delle verità fondate si costruisce qualcosa di efficace, mentre con le sciocchezze non si costruisce nulla..
VIATOR
Io modificherei : "Solo con delle verità pragmatiche (le esperienze sensoriali) si costruisce qualcosa di efficace".
CARLOLa tua sarebbe una modifica errata, perché le leggi e i principi della natura non si percepiscono con i sensi, ma con la filosofia. Per questo è una fortuna per la conoscenza che la mappa non sia il territorio: perché del territorio percepiamo solo i fenomeni, NON L'ORDINE che li relaziona, al quale si può risalire soltanto mediante l'interpretazione filosofica corretta dei fenomeni. <<Esse non est percipi, sed interpretatio perceptionum>>BABY K - Da zero a cento
https://youtu.be/XzuV0_cot-g
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo,
Dopo aver letto sciocchezze simili solo nelle prime due righe è inutile andare oltre.
Non si può mistificare in questo modo e pretendere di esser presi sul serio. Tutti sono capaci di filosofare, ma non tutti
sono capaci di comprendere il pensiero dei filosofi e la storia del pensiero in genere.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Luglio 2018, 14:37:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo,
Dopo aver letto sciocchezze simili solo nelle prime due righe è inutile andare oltre.
Non si può mistificare in questo modo e pretendere di esser presi sul serio. Tutti sono capaci di filosofare, ma non tutti
sono capaci di comprendere il pensiero dei filosofi e la storia del pensiero in genere.
saluti
CARLO
Non tengo conto di giudizi non argomentati.
Ricordi la famosa battuta del Prof. Henry Jones, padre di Indiana, nel film "Indiana Jones e l'ultima crociata"?:
<<L'archeologia si dedica alla ricerca dei fatti, non della verità. Se vi interessa la verità, l'aula di filosofia del professor Tyre è in fondo al corridoio>>.
Questa battuta è la metafora perfetta dell'ostilità reciproca che regna tra i filosofi e gli scienziati a causa sia del disprezzo dei "fatti" da parte dei filosofi, sia della sopravvalutazione dei "fatti" da parte degli scienziati i quali, all'opposto, tendono ad identificare la conoscenza
non con la verità intesa come
concordanza tra teorie e fatti, ma, brutalmente, con i fatti stessi.
Ed è così che si alimenta il distacco tra due estremismi: quello dei filosofi che gongolano di fronte all'ammissione che la scienza non cerca la verità, ma solo i "fatti in sé" che essi (i filosofi) giudicano inconoscibili, e quello degli scienziati che, invece, vedono nei loro progressi epistemologico-tecnologici la conferma dell'infondatezza delle "elucubrazioni" dei filosofi, dalle quali si tengono pertanto ben alla larga.
E così, grazie alle manipolazioni concettuali di Kant e dei suoi degni seguaci, abbiamo separato in compartimenti stagni non solo religione e conoscenza, ma anche filosofia e scienza. E' la frantumazione schizofrenica della cultura moderna, una Torre di Babele che si somma a quella -
più naturale, ma non meno "divisiva" - dovuta alla specializzazione disciplinare.<<Language is a virus>>!
LAURIE ANDERSON: Language is a virus
https://youtu.be/KvOoR8m0oms
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Luglio 2018, 15:37:53 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Luglio 2018, 14:37:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo,
Dopo aver letto sciocchezze simili solo nelle prime due righe è inutile andare oltre.
Non si può mistificare in questo modo e pretendere di esser presi sul serio. Tutti sono capaci di filosofare, ma non tutti
sono capaci di comprendere il pensiero dei filosofi e la storia del pensiero in genere.
saluti
CARLO
Non tengo conto di giudizi non argomentati.
Ti rendi conto di cosa hai scritto in quelle due righe?
Dire di Kant e di Hume che hanno sostenuto che i criteri di verità della scienza sono infondati, indimostrabili etc
significa semplicemente non avere la più pallida idea dell'argomento di cui si vorrebbe parlare (cerca in rete come
Kant considera la scienza del suo tempo, e vedi se non la considera anche lui come te, chiaramente errando,
definitiva, certissima etc.)
Ma cosa vuoi argomentare con simili presupposti...
Mah
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Luglio 2018, 20:14:31 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Luglio 2018, 15:37:53 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Luglio 2018, 14:37:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo,
OXDEADBEEF
Dopo aver letto sciocchezze simili solo nelle prime due righe è inutile andare oltre.
Non si può mistificare in questo modo e pretendere di esser presi sul serio. Tutti sono capaci di filosofare, ma non tutti
sono capaci di comprendere il pensiero dei filosofi e la storia del pensiero in genere.
saluti
CARLO
Non tengo conto di giudizi non argomentati.
OXDEADBEEF
Ti rendi conto di cosa hai scritto in quelle due righe?
Dire di Kant e di Hume che hanno sostenuto che i criteri di verità della scienza sono infondati, indimostrabili etc
significa semplicemente non avere la più pallida idea dell'argomento di cui si vorrebbe parlare (cerca in rete come
Kant considera la scienza del suo tempo, e vedi se non la considera anche lui come te, chiaramente errando,
definitiva, certissima etc.)
Ma cosa vuoi argomentare con simili presupposti...
CARLO
Non sviare il discorso. Sai benissimo qual è l'uso che fa l'epistemologia moderna dell'"inconoscibilità della cosa in sé", dello scetticismo di Hume, del "esse est percipi" di Berkeley, della "mappa che non è il territorio" di Korzybski, ...e via piagnucolando!
Carlo. A me sembra che il discorso lo stai sviando tu. Solo ora parli di interpretazioni della epistemologia moderna a proposito di Kant, Hume ed altri, mentre hai iniziato il discorso riferendoti proprio a loro come agli scettici e ai relativisti del metodo scientifico. Veramente non so spiegarmi molti dei tuoi interventi. Ci stai trollando tutti? Perchè questa spesso è la sensazione. Ti prego pertanto di esprimere le tue idee in modo sensato e coerente, perché altrimenti anche il miglior benintenzionato non è in grado di replicare, visto che non si conosce neppure il nocciolo del discorso.
Grazie.
Ne approfitto per fare una riflessione generale.
Tutti abbiamo un po' di spirito polemico e la convinzione, a volte, di essere nella verità.
E' normale.
Ma se queste cose dominano, le discussioni si riducono a semplici dispute.
Non è uno spreco di energia?
Nelle recenti discussioni c'erano interventi esageratamente polemici ma nello stesso tempo anche utenti che con una pazienza incomprensibile hanno seguito e contro-argomentato osservazioni appunto del tutto inconsistenti o ripetitive o comunque finalizzate alla pura espressione di giudizi personali definitivi, irrinunciabili.
Non meritano maggiore attenzione quegli interventi che presentano invece qualcosa di positivo, nel senso di idee che per azzardate che siano, offrono un allargamento della prospettiva su quel determinato oggetto?
Anche nella discussione assurdamente animata su Nietzsche ci sono stati alcuni interventi molto interessanti, ma sono finiti per perdersi nella massa di attacchi e difese che invece al contrario non hanno apportato nulla ma veramente nulla di interessante.
Un saluto a tutti.
Sono assolutamente d'accordo, Kobayashi. Anche le persone piu' rigide che frequentano questo forum hanno delle idee interessanti, che hanno il diritto di esprimere e che puo' arricchire tutti. Pero'...intanto bisogna avere la mente aperta e capace anche di ricredersi sulle proprie convinzioni...e in secondo luogo se nel corso di una stessa discussione cambia l'oggetto della critica...altro che relativismo...entriamo di diritto nel dadaismo.
Raccolgo volentieri il suggerimento di Kobayashi, infatti in questo topic mi sono già astenuto dal rilevare quanto di inconsistente (o "trollesco" @Jacopus ;) ) ci fosse in alcuni post (e "mea culpa!" per aver deviato un topic nietzschiano sul tema dell'"evitamento dei filosofi", sebbene forse proprio l'impostazione del topic fosse già votata al deragliamento...).
Secondo me, la domanda-guida di questo topic approccia il tema del fondamento dal lato più "sterile": che la critica sia fondata è piuttosto risaputo, e non potrebbe non esserlo (dal non-fondamento non possono arrivare critiche); la questione allora non è "se", piuttosto "come" è fondata la critica della scienza, ovvero, c'è una "scienza della critica" o la critica della scienza può avere fondamento solo nella periferia filosofica della scienza? Quali sono i fondamenti filosofici/scientifici possibili?
La filosofia deve ricordare costantemente alle scienze il ruolo dell'uomo (bioetica, ecologia, politica, etc.) oppure la scienza è criticabile solo per motivi "tecnici" (e potrebbe quindi essere portata avanti anche solo da automi)?
Marzullianamente: è la scienza che serve l'uomo (umanesimo), o è l'uomo che serve la scienza (scientocrazia)? E su quali fondamenti "imbrigliare" le sconfinate potenzialità della scienza umana?
Salve. Per Phil: Filosofia ed umanesimo sono i genitori della scienza e della tecnologia. I figli sono fatti di ciò che i genitori erano e sono, ma sono fatalmente destinati a diventare il nuovo ed il diverso inconsapevole e contrapposto alle proprie origini.
I genitori a questo punto, dopo un iniziale ammaestramento, non si illudano di poter dire ai figli cosa è bene che essi facciano.
Filosofia ed umanesimo si accontentino di contemplare e commentare ciò che i figli fanno.
Ciò perché essi sono il vecchio e i loro figli sono il giovane, per cui vale la sempiterna massima : "Ah, se gioventù sapesse !!.....Ah, se vecchiaia potesse !!".
E scusami se mi sono espresso troppo filosoficamente e troppo poco scientificamente. Salutoni.
gli obiettivi delle scienze empiriche non sono gli stessi di quella della filosofia, che pone tra i suoi ambiti la riflessione critica sui limiti e possibilità di una conoscenza razionale delle singole scienze. Essendo diversi gli obiettivi non ha senso fare un confronto, pretendendo di misurare la validità di un ambito sulla base dei parametri che sono sufficientemente adeguati per un altro. Filosofia e scienza sperimentali non sono come due corridori che competono per la stessa gara e di cui si possono rilevare i fallimenti perché uno dei due non arriva al risultato che invece ottiene l'altro, ma "corrono" in campi separati, l'uno (quello della filosofia) quello dell'individuazione di princìpi assoluti, evidenti, indubitabili, che restano tali indipendentemente dalle contingenze spazio-temporali, princìpi che possono sia essere riferiti alla sfera dell'esistenza (ontologia) o della fondazione razionale della conoscenza (gnoseologia e epistemologia), l'altro (le scienze sperimentali) devono limitarsi a un sapere costantemente provvisorio e incerto, perché fondato sull'esperienza, cioè su una dimensione per la quale ogni verifica successiva può in ogni momento smentire la pretesa di ricavare leggi universali sulla base dei dati precedentemente raccolti, e nella quale la non necessità della coincidenza fra fenomeni sensibili e realtà oggettiva lascia costantemente aperta la possibilità di inganni percettivi da parte di un soggetto riguardo la credenza che l'immagine soggettiva del mondo coincida col mondo in sé. Le innovazioni tecnologiche sono certamente più conseguenze di un sapere di questo tipo, perché presuppongono una conoscenza del mondo fisico, che ne permetta l'intervento umano teso a formare un materiale per produrre oggetti in vista di un agire pratico, mentre la filosofia è da questo punto di vista estremamente più sterile, in quanto il sapere trascendentale, valido al di là della contingenza spaziotemporale, non può essere ricavato nell'ambito dell'esperienza del mondo fisico, ma dall'intuizione di un mondo spirituale, che non può essere strumentalizzato per dei bisogni pratici e materiali, come ciò a cui la tecnologia è finalizzata. Non ha però senso considerare questa sterilità della filosofia come una sua imperfezione, che andrebbe corretta adeguandosi ai metodi delle scienze che perseguono obiettivi diversi da quelli perseguiti da essa. Il sapere delle verità assolute ed evidenti che il filosofo ricerca è abbastanza irrilevante per quanto riguarda la produzione di oggetti tecnologici (molto diverso, ovviamente, è il caso dell'individuazione delle finalità e ripercussioni etico-politiche della tecnologia). La produzione tecnologica implica un complesso di scelte tecniche che possono essere decise anche indipendentemente dal problema di una conoscenza indubitabile come quella che ricerca il filosofo, occorre prendere per forza una decisione, e quindi accontentarsi di stabilire quale tra diverse prospettive sia più valida, anche se non del tutto intrinsecamente evidente. Se devo progettare un aereo mi trovo forzato a stabilire quale tra diversi materiali è più efficace a essere utilizzato per creare velivoli il più possibile solidi e rapidi, e dovrò basarmi sul sapere empirico, sull'osservazione dei vari materiali, considerando quale tra le diverse visioni in merito appare più valida, anche se resta sempre quel margine di incertezza dato dalla possibilità di inganni percettivi, mentre la ricerca di un sapere totalmente evidente comporterebbe la stasi, la sospensione di qualunque decisione. Ma un conto è il piano pragmatico un altro quello teoretico: la filosofia è prima di tutto orientata a quello teoretico, e la filosofia della scienza dovrà tener fermo questo ideale regolativo di un sapere del tutto certo ed evidente come parametro di valutazione di quanto una certa metodologia scientifica sia più o meno adeguata ad esso, cioè sue possibilità e i suoi limiti, ed ecco perché, nella posizione di questo ideale di sapere svincolato dai condizionamenti spaziotemporali, la critica della scienza, l'epistemologia, implica sempre, di fondo una posizione metafisica (anche se non direttamente ontologica), quel punto di vista trascendentale in base a cui il filosofo della scienza è legittimato a valutare quanto la scienza che sottopone a critica è più o meno adeguata a quell'ideale di sapere assoluto ed evidente, in relazione a cui è possibile rilevare i limiti e possibilità. Ed ecco le mie perplessità sulla critica kantiana di voler operare una critica in questo senso concludendo con la negazione della scientificità della metafisica, finendo di fatto col segare il ramo su cui si è necessariamente appoggiato, vale a dire una intuizione degli aspetti necessari e aprioristici della conoscenza umana, una visione sovrasensibile che sfugge ai limiti entro cui ha preteso di demarcare l'ambito della scienza (il materiale dell'esperienza esteriore sensibile). Ma, fortunatamente, la gnoseologia kantiana non è certo l'unica possibile...
@Carlo
"perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia?"
Non sono due alberi, trovo impensabile la nascita della scienza moderna se non come filiazione della filosofia e, in ogni caso, per conoscenza pre-scientifica sono propensa a includervi il mito, non la filosofia - e soprattutto, non è scienza la filosofia?
A Daveintro
E' chiaro che una contrapposizione filosofia/scienza non ha alcun senso...
Io resterei, per così dire, più sul "classico" affermando che la filosofia è essenzialmente riflessione sul "tutto", sull'
interconnessione dei saperi particolari come ricerca (che può essere anche vana, intendiamoci) di ciò che vi è unitario nel
molteplice.
Da questo punto di vista, mi piace immaginare il sapere come una torre a tre piani. In quello più alto c'è l'arte, che vede
lontano ma non chiaro; in quello più basso c'è la scienza, che vede chiaro ma vicino; in mezzo la filosofia, forse "giusto
mezzo" fra il vedere chiaro e il vedere lontano...
Non sarei troppo d'accordo nel definire l'epistemologia come quella disciplina che: "dovrà tener fermo questo ideale
regolativo di un sapere del tutto certo ed evidente come parametro di valutazione di quanto una certa metodologia scientifica
sia più o meno adeguata ad esso".
Perchè mai dovrebbe essere così? Ma direi nemmeno la filosofia stessa, quindi presa in un senso più "largo", "dovrà" (tener
fermo etc.). E semplicemente perchè a parer mio la filosofia non "deve" un bel niente (dicevo appunto che la ricerca dell'
unitario nel molteplice può anche non dare risultato, ovvero dare come risultato la nullità di questa ricerca).
Sulla gnoseologia kantiana ti chiederei se è mai possibile non "segare il ramo su cui si è appollaiati"...
Certamente vi è in Kant una profonda "frattura" fra la Ragion Pura e quella Pratica, una "frattura" (epistemologica) che
Kant cerca di sanare, come dire, "a posteriori" relegando nel ruolo di "speranza" quel fondamento metafisico su cui
la Ragion Pratica si basa e di cui la Ragion Pura ha, come giustamente affermi, decretato la sostanziale nullità.
Ma, appunto, è forse possibile fare diversamente?
saluti
Citazione di: Lou il 26 Luglio 2018, 14:25:58 PM
LOU
"perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia?"
CARLO
Beh, se dovessi fare una lista delle scoperte realizzate dalla Scienza, cioè, dalla Filosofia della Natura, e delle creazioni tecnologiche che esse hanno permesso di realizzare da Galilei ai giorni nostri, mi servirebbero diverse migliaia di pagine. Non a caso è stata chiamata "rivoluzione scientifica".
E la cosa più strabiliante è che questa improvvisa e fulminea rivoluzione del pensiero si è originata da tre semplici perfezionamenti dei criteri in base ai quali la Filosofia cercava di interpretare il mondo:
1 - l'osservazione sistematica come base per la formulazione di asserti generali (induzione);
2 - L'introduzione del linguaggio matematico nella descrizione dei fenomeni naturali;
3 - la verifica degli asserti per mezzo di esperimenti confermativi (deduzione).
L'applicazione di questi tre semplici criteri di verità ha permesso alla Scienza di scoprire alcune leggi della natura e di acquisire così dei poteri che solo qualche secolo fa sarebbero stati definiti "magici": la cura di quasi tutte le malattie che affliggevano l'umanità; la possibilità di volare da una parte all'altra del mondo in poche ore e di comunicare in tempo reale tra luoghi lontanissimi; la possibilità di viaggiare fino alla Luna e di inviare delle sonde spaziali capaci di mostrarci da vicino i pianeti del sistema solare e di atterrare su comete; ...ecc..
LOU
Non sono due alberi, trovo impensabile la nascita della scienza moderna se non come filiazione della filosofia
CARLO
Più che filiazione, io direi che la Scienza *
è* Filosofia: è quella branca della Filosofia che ha affinato i propri criteri di verità per la comprensione del mondo fisico. E adesso siamo in attesa che anche la Filosofia dell'anima (psicologia) e la Filosofia di Dio (teologia) perfezionino anch'esse i propri criteri di verità e che scoprano anch'esse le leggi del pensiero e del creato, realizzando una seconda rivoluzione del sapere.
LOU
e, in ogni caso, per conoscenza pre-scientifica sono propensa a includervi il mito
CARLO
Anch'io includo il mito. Esso farà parte delle scienze teologiche come "verbum Dèi".
LOU
...e soprattutto, non è scienza la filosofia?
CARLO
Non ancora, ma prima o poi, quando avrà seguito l'esempio della Scienza e avrà scoperto la propria "matematica delle idee" in quegli oggetti misteriosi e ancora sconosciuti che chiamiamo "archetipi", sarà anch'essa una scienza rigorosa.
"Che il numero possegga anche uno sfondo archetipico non è solo una mia supposizione, ma anche una idea condivisa da certi matematici. [...] Definiamo psicologicamente il numero come un archetipo dell'ordine fattosi cosciente". [JUNG: Sincronicità - pg.54/55]
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-e-una-complementarita-di-opposti-e-i-numeri-sono-archeti-1117/
Citazione di: viator il 26 Luglio 2018, 12:52:27 PM
Salve. Per Phil: Filosofia ed umanesimo sono i genitori della scienza e della tecnologia. I figli sono fatti di ciò che i genitori erano e sono, ma sono fatalmente destinati a diventare il nuovo ed il diverso inconsapevole e contrapposto alle proprie origini.
I genitori a questo punto, dopo un iniziale ammaestramento, non si illudano di poter dire ai figli cosa è bene che essi facciano.
Filosofia ed umanesimo si accontentino di contemplare e commentare ciò che i figli fanno.
Ciò perché essi sono il vecchio e i loro figli sono il giovane, per cui vale la sempiterna massima : "Ah, se gioventù sapesse !!.....Ah, se vecchiaia potesse !!".
E scusami se mi sono espresso troppo filosoficamente e troppo poco scientificamente. Salutoni.
Ma nemmeno per sogno!
Il nuovo non é per niente necessariamente meglio del vecchio (e "innovazione", cioé novità forzata, novità
a tutti i costi, che sia meglio o peggio del vecchio, e non semplice novità "spontanea", quando capita, che può essere buona oppure cattiva e dunque da perseguirsi o meno a seconda dei casi, é per me in assoluto la peggiore parolaccia dell' ideologia corrente politicamente cosiddetta: peggio perfino di "eccellenza", di "meritocrazia", e di "antistatalismo mercantilista o mercatista"!).
Questo in generale.
E in particolare la critica razionale filosofica non deve assolutamete accontentarsi di
contemplare acriticamente e commentare servilmente ciò che la scienza fa, ma invece ne deve (fra l' altro) ricercare senza alcun tentennamento, remora o timore reverenziale gli elementi di forza e di debolezza, valutare significato reale (ed eventuali illusioni in proposito), condizioni e limiti di validità (e in particolare di verità).Per tornare alla metafora, non é che un genitore, dopo aver fatto un figlio, debba suicidarsi o che debba limitarsi a elogiarlo acriticamente: lo deve anche educare; e secondo me -alla faccia di Freud e seguaci politicamente corretti- con la necessaria severità.Quanto alla ipotesi (di Phil) di utilizzare i metodi delle scienze naturali in filosofia concordo con molto di quanto dice a questo proposito Davintro:Esiste un metodo generalissimo, quello della critica razionale (in sostanza il cartesiano "dubbio metodico") che é proprio della filosofia e anche delle scienze; e inoltre metodi più particolari (induzioni, ipotesi teoriche da "cimentare empiricamente", cioé da sottoporre a sempre in linea di principio possibile falsificazione oppure "irrobustimento" osservativo-sperimentale, ecc.) che sono propri delle scienze naturali.
Salve. Per Sgiombo : Ma non ti devi accalorare ! Io non mi sono mai sognato di dare il nuovo come migliore ! Trovo ridicolo esprimere giudizi di merito, di etica, di morale nel confronti di meccanismi naturali che trovo semplicemente INESORABILI e PERFETTAMENTE GIUSTIFICATI dalle cause che li generano.
D'altra parte so bene che moltissimi costruiscono la propria personale visione del mondo preoccupandosi solamente di stabilire se sia meglio l'uovo piuttosto che la gallina, piuttosto che viceversa. E' per questo che io vengo raramente capito.
Per quanto poi riguarda "E in particolare la critica razionale filosofica non deve assolutamente accontentarsi di contemplare acriticamente e commentare servilmente ciò che la scienza fa, ma invece ne deve (fra l' altro) ricercare senza alcun tentennamento, remora o timore reverenziale gli elementi di forza e di debolezza, valutare significato reale (ed eventuali illusioni in proposito), condizioni e limiti di validità (e in particolare di verità)"., io non ho detto cosa la filosofia deve fare o vuole fare ma solo cosa essa può fare in concreto. Salutoni.
SGIOMBO
Per tornare alla metafora, non é che un genitore, dopo aver fatto un figlio, debba suicidarsi o che debba limitarsi a elogiarlo acriticamente: lo deve anche educare; e secondo me - alla faccia di Freud e seguaci politicamente corretti- con la necessaria severità.
CARLO
E' vero. Ma quando il figlio [la Scienza] è un figlio prodigio che supera la madre [la filosofia], è il figlio che educa la madre.
Citazione di: viator il 26 Luglio 2018, 12:52:27 PM
Filosofia ed umanesimo sono i genitori della scienza e della tecnologia [...]
I genitori a questo punto, dopo un iniziale ammaestramento, non si illudano di poter dire ai figli cosa è bene che essi facciano.
Su quali
fondamenti (per riprendere il tema del topic) possiamo affermare che l'"iniziale ammaestramento" sia, di diritto e/o di fatto, concluso?
La scienza è dunque legittimata a svilupparsi sordamente, ovvero senza ascoltare considerazioni filosofiche su tematiche etiche, ecologiche, politiche, sociali, etc.?
Davvero alla filosofia non resta dunque che limitarsi a "contemplare e commentare", come un vecchio seduto su una panchina che sfoglia il giornale e scuote la testa o annuisce?
In fondo, ad esempio, la bioetica è un "vecchio genitore" di nemmeno 50 anni, già vogliamo pensionarlo ;D ?
@DavintroScommetterei che Kant, se nascesse oggi, si occuperebbe di processi cognitivi (e neuroscienze) per cercare il fondamento biologico-mentale dell'
a priori (delle modalità conoscitive umane); purtroppo, alla sua epoca era invece "spontaneo" saltare direttamente dai sensi alla trascendenza (dio, anima, etc.), bypassando l'"elaboratore mentale" che abbiamo nel cranio.
@CarloConsidererei che la filosofia non ambisce
tecnicamente a far volare aerei, curare malattie e a far comunicare via internet, tanto quanto la scienza non si occupa
contenutisticamente di politica, religione, estetica. La loro non-complementarietà è in questi casi un dato di fatto.
L'epistemologia è una proficua "terra di mezzo", ma ciò non toglie che, secondo me, è piuttosto improbabile che le scienze umane (teologia, filosofia, etc.) diventino un giorno "scienze rigorose"(cit.) e/o che possano compiere un percorso di
consolidamento empirico come quello delle scienze, poiché la loro "materia" di studio è empirica, costante e sperimentabile solo nella sua parte meno irrilevante (mentre per la scienza è quasi il contrario).
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?
Eppure, in fondo, le leggi logiche e la filosofia del linguaggio a cosa altro servono? Non hanno persino un'applicazione "reale" che ha ripercussioni sulla scienza?
PHILConsidererei che la filosofia non ambisce tecnicamente a far volare aerei, curare malattie e a far comunicare via internet, tanto quanto la scienza non si occupa contenutisticamente di politica, religione, estetica. CARLOInfatti la "filo-sofia" è l'amore per il sapere. E gli aerei che volano e la cura delle malattie sono i premi concreti per le verità conquistate. Il sapere, cioè, è ridondante: gratifica i bisogni della mente e i bisogni del corpo.Citazione da: Carlo Pierini - 24 Luglio 2018, 13:55:07 pmCitazioneperché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?
PHILEppure, in fondo, le leggi logiche e la filosofia del linguaggio a cosa altro servono? Non hanno persino un'applicazione "reale" che ha ripercussioni sulla scienza?CARLOLe regole della logica non sono fini a sé stesse, ma esprimono l'etica del linguaggio, il suo "dover essere" affinché non cada in errore e segua il cammino che porta alla verità, nello stesso modo in cui le regole morali sono il "dover essere" delle nostre azioni affinché seguano il cammino della giustizia.<<Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza>>. [Dante]
CARLO
"Più che filiazione, io direi che la Scienza *è* Filosofia: è quella branca della Filosofia che ha affinato i propri criteri di verità per la comprensione del mondo fisico."
______
La scienza è filosofia nel momento in cui si interroga sulle condizioni generali della pratica scientifica e del proprio stesso atteggiamento conoscitivo: è in questo porsi trascendentale rispetto a sè che la scienza si ritrova nel suo atto fondativo originario che per l'appunto, filosofia. È in campo filosofico che è possibile porre le basi epistemiche e rintracciare il criterio, meglio il Lògos, per la ricerca conoscitiva che permette di dar vita a un sapere razionale distinto da ogni altra forma di sapere.
Citazione di: viator il 26 Luglio 2018, 21:09:54 PM
Salve. Per Sgiombo : Ma non ti devi accalorare ! Io non mi sono mai sognato di dare il nuovo come migliore ! Trovo ridicolo esprimere giudizi di merito, di etica, di morale nel confronti di meccanismi naturali che trovo semplicemente INESORABILI e PERFETTAMENTE GIUSTIFICATI dalle cause che li generano.
D'altra parte so bene che moltissimi costruiscono la propria personale visione del mondo preoccupandosi solamente di stabilire se sia meglio l'uovo piuttosto che la gallina, piuttosto che viceversa. E' per questo che io vengo raramente capito.
Per quanto poi riguarda "E in particolare la critica razionale filosofica non deve assolutamente accontentarsi di contemplare acriticamente e commentare servilmente ciò che la scienza fa, ma invece ne deve (fra l' altro) ricercare senza alcun tentennamento, remora o timore reverenziale gli elementi di forza e di debolezza, valutare significato reale (ed eventuali illusioni in proposito), condizioni e limiti di validità (e in particolare di verità)"., io non ho detto cosa la filosofia deve fare o vuole fare ma solo cosa essa può fare in concreto. Salutoni.
CitazioneInnanzitutto non mi sono accalorato più di tanto, ho solo dato una risposta perentoria.
Oso sperare che dicendo "che moltissimi costruiscono la propria personale visione del mondo preoccupandosi solamente di stabilire se sia meglio l'uovo piuttosto che la gallina, piuttosto che viceversa" non ti riferisca (comunque "se del caso" erroneamente) a me; e men che meno alla filosofia.
Io invece ritengo non solo che la filosofia possa ma che debba (essendo un suo "ruolo costitutivo") sottoporre la conoscenza (anche) scientifica a rigorosa critica razionale.
Ricambio i salutoni.
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Luglio 2018, 21:50:16 PM
SGIOMBO
Per tornare alla metafora, non é che un genitore, dopo aver fatto un figlio, debba suicidarsi o che debba limitarsi a elogiarlo acriticamente: lo deve anche educare; e secondo me - alla faccia di Freud e seguaci politicamente corretti- con la necessaria severità.
CARLO
E' vero. Ma quando il figlio [la Scienza] è un figlio prodigio che supera la madre [la filosofia], è il figlio che educa la madre.
Citazione
Sgiombo:
E' semplicemente penoso e ridicolo pretendere di confrontare scienze e filosofia e stabilire far di esse (come fra opere di pittura e di musica o fra poesie e trattati di logica, fra calciatori e sollevatori di pesi, ecc.) "classifiche" nelle quali l' una supererebbe l' altra o viceversa, dal momento che si tratta di attività umane reciprocamente diverse e non di teorie alternative circa le stesse questioni.
(In particolare pretendere che il figlio [la Scienza] è un figlio prodigio che supera la madre [la filosofia], è il figlio che educa la madre é scientismo allo stato puro; e del peggiore e più banale).
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2018, 00:35:04 AM
@Davintro
Scommetterei che Kant, se nascesse oggi, si occuperebbe di processi cognitivi (e neuroscienze) per cercare il fondamento biologico-mentale dell'a priori (delle modalità conoscitive umane); purtroppo, alla sua epoca era invece "spontaneo" saltare direttamente dai sensi alla trascendenza (dio, anima, etc.), bypassando l'"elaboratore mentale" che abbiamo nel cranio.
CitazioneIo invece ritengo quello di Kant l' approccio giusto al problema (filosofico; e dunque non credo proprio che se vivesse oggi si dedicherebbe -per lo meno principalmente- alla neurologia) in quanto non credo che mente e cervello coincidano e che il cranio contenga alcunché di "mentale".
(per quanto la cosa posa eventualmente valere) Concordo al contrario con il resto di questo intervento.
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 01:51:36 AM
CARLO
Infatti la "filo-sofia" è l'amore per il sapere. E gli aerei che volano e la cura delle malattie sono i premi concreti per le verità conquistate. Il sapere, cioè, è ridondante: gratifica i bisogni della mente e i bisogni del corpo.
IL sapere ha anche scopi (e "riceve premi") puramente teorici, non pratici (è anche un fine "autogratificante", ovviamente per chi lo avverta come tale- oltre che un mezzo.
Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:26:44 AM
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2018, 00:35:04 AMCitazioneSGIOMBO
Io invece ritengo quello di Kant l' approccio giusto al problema (filosofico; e dunque non credo proprio che se vivesse oggi si dedicherebbe -per lo meno principalmente- alla neurologia) in quanto non credo che mente e cervello coincidano e che il cranio contenga alcunché di "mentale".
CARLO
Certo. Ma il problema è che tu hai relegato il "mentale" nello stesso limbo di inaccessibilità, di inconoscibilità e di impotenza (oltre che di nullità ontologica) in cui Kant relegò Dio. Il tuo dualismo, cioè, è solo una presa in giro, è un monismo mascherato, non esistendo alcuna dia-lettica (
dia=due) tra mente e cervello.
Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:29:56 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 01:51:36 AMCARLO
Infatti la "filo-sofia" è l'amore per il sapere. E gli aerei che volano e la cura delle malattie sono i premi concreti per le verità conquistate. Il sapere, cioè, è ridondante: gratifica i bisogni della mente e i bisogni del corpo.
SGIOMBO
IL sapere ha anche scopi (e "riceve premi") puramente teorici, non pratici (è anche un fine "autogratificante", ovviamente per chi lo avverta come tale- oltre che un mezzo.
CARLO
In ciò consiste, appunto, la superiorità del sapere scientifico: nel suo essere
doppiamente gratificante.
Cit. CARLO
"Più che filiazione, io direi che la Scienza *è* Filosofia: è quella branca della Filosofia che ha affinato i propri criteri di verità per la comprensione del mondo fisico."
LOU
La scienza è filosofia nel momento in cui si interroga sulle condizioni generali della pratica scientifica e del proprio stesso atteggiamento conoscitivo:
CARLO
E la filosofia si eleverà al rango di scienza quando, seguendo l'esempio della "sorella-prodigio" (la Scienza), scoprirà la propria "matematica" e la propria "verifica sperimentale" con cui perverrà alle leggi generali del pensiero filosofico, invece di sprecare il suo tempo a fare da saccente maestrina d'asilo con chi può solo darle preziose lezioni di conoscenza.
LOU
È in campo filosofico che è possibile porre le basi epistemiche e rintracciare il criterio, meglio il Lògos, per la ricerca conoscitiva che permette di dar vita a un sapere razionale distinto da ogni altra forma di sapere.
CARLO
La filosofia non è una scienza a sé, ma, come diceva Fichte, la "scienza di tutte le scienze". Dovrebbe quindi studiare le scienze reali, interrogarsi sui principi che sono comuni a tutte le scienze e su come sia possibile unificarli in un unico principio fondamentale del pensiero. Mentre la filosofia attuale naviga nella direzione opposta: quella di "decostruire", di dimostrare che non esistono criteri di verità affidabili, che la verità è un'illusione, che, come dice Vattimo: <<oggi non siamo a disagio perché siamo nichilisti, ma piuttosto perché siamo ancora troppo poco nichilisti>>!! ...Altro che porre le basi epistemiche per un sapere razionale!
E' per questo che chi, come me, propone l'idea, per quanto fondata, di un Principio universale è, non solo ignorato, ma addirittura oggetto di derisione e di insulti a-priori!
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 10:39:37 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:26:44 AM
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2018, 00:35:04 AM
CitazioneSGIOMBO
Io invece ritengo quello di Kant l' approccio giusto al problema (filosofico; e dunque non credo proprio che se vivesse oggi si dedicherebbe -per lo meno principalmente- alla neurologia) in quanto non credo che mente e cervello coincidano e che il cranio contenga alcunché di "mentale".
CARLO
Certo. Ma il problema è che tu hai relegato il "mentale" nello stesso limbo di inaccessibilità, di inconoscibilità e di impotenza (oltre che di nullità ontologica) in cui Kant relegò Dio. Il tuo dualismo, cioè, è solo una presa in giro, è un monismo mascherato, non esistendo alcuna dia-lettica (dia=due) tra mente e cervello.
CitazioneSgiombo:
Tu continui a polemizzare con un inesistente "Sgiombo" cui attribuisci pretese affermazuoni che invece sono tutte tue.
In particolare non ho mai considerato il mentale come noumeno o cosa in sè inaccessibile alla coscienza, ma invece sempre, immancabilmente e del tutto chiaramente e inequivocabilmente come qualcosa di fenomenico, apparente, accessibilissimo alla coscienza, di cui é parte (altrettanto che il materiale).
E come al solito pretendi indebitamente, pregiudizialmente, dogmaticamente che non possa darsi altro dualismo che interazionista.
(ma dove trovo mai l' enorme pazienza necessaria per continuare a rettificare le tue continue, reiteratissime deformazioni e travisamenti delle mie convinzioni?).
CARLO
CitazioneSe è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
APEIRON
Non conosco Korzybski e Bateson e conosco poco gli altri filosofi qui citati ma credo che ti sbagli.
1)Berkeley era un empirista piuttosto radicale. Siccome noi, in realtà, non "abbiamo esperienza diretta" della materia ma solo delle sensazioni per Berkeley (che riteneva come uniche fonti conoscitive l'esperienza e la ragione applicata ad essa) dedusse che, in realtà, l'esistenza della materia, intesa come "sostanza delle cose" indipendente dall'esistenza dei soggetti, è indimostrabile e, inoltre, è un concetto ridondante. Dunque Berkeley eliminò la materia dalla sua ontologia, sostenendo che esistono solo le anime (le creature) e Dio. Le "cose materiali" sono semplici contenuti mentali. Tuttavia Berkeley ritieneva che la scienza potesse darci informazioni su come questi contenuti mentali si evolvevano. Dunque, il sapere scientifico era una sorta di "fenomenologia", ovvero uno studio dell'esperienza. Come giustifica il vescovo irlandese la persistenza delle cose anche quando non sono percepite? Semplicemente, dicendo, che Dio pensa sempre e quindi le mantiene in essere. (Faccio notare che San Tommaso d'Aquino riteneva che Dio mantenesse in essere le cose).
2)Hume, invece, era un empirista ancora più radicale di Berkeley. Secondo Hume la ragione non può essere a rigore applicata all'esperienza, perché il sapere che possiamo avere dall'esperienza è solo deduttivo. Quindi, ad esempio, anche ripetendo un numero enorme di volte l'esperimento del piano inclinato non possiamo essere sicuri che il movimento non sia dovuto a mere coincidenze casuali. Quindi Hume effettivamente disse che il pensiero scientifico è infondato se cerchiamo una "certezza" esatta, come in matematica. Ma, in realtà, possiamo comunque avere certezze provvisorie, pronte ad essere modificate.
3)Kant, ironicamente ha tentato di fondare la scienza contro le obiezioni di Hume. Come? Secondo Kant la scienza studia il mondo fenomenico dell'esperienza. Come può essere un sapere valido? Il motivo è che secondo Kant noi rappresentiamo i fenomeni secondo determinate categorie, dovute alla struttura della nostra mente. Kant ritiene che queste categorie sono a-priori nella nostra esperienza. Per esempio, i fenomeni sono sempre nello spazio e nel tempo e, inoltre, sono soggetti alla causalità. La scienza quindi è giustificata come fenomenologia: studia seguendo le categorie della nostra mente la nostra esperienza. Secondo Kant, però, la scienza si giustifica solo nello studio dei fenomeni, nello studio dell'oggetto relativo ad un soggetto conoscente (perché tale è la forma della "conoscenza", la quale è una conoscenza di un soggetto riguardante un oggetto). Non possiamo però fare, a rigore, affermazioni su come è il "mondo indipendente da noi" perché non è "visto" dalla nostra mente. Ovviamente Kant ritiene che ci siano verità universali, inter-soggettive, che possono essere verificate da tutti (non è quindi un "relativista"). Una persona che soffre di allucinazioni ha una mente con una struttura leggermente diversa che le fa vedere le allucinazioni.
Dunque una "critica" alla scienza è presente SOLO in Hume. Ma Hume stesso era ben consapevole della "ragionevolezza" del sapere scientifico.
CARLO
CitazionePerché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?
APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.
Per quanto mi riguarda, divido la "realtà" in due (qui sono influenzato da quanto ho capito (poco!) del pensiero buddhista): realtà inter-soggettiva (o "relativa" o "convenzionale") e realtà ultima. La realtà inter-soggettiva è simile a quella di Kant. Noi possiamo fare scienza perché le nostre rappresentazioni sono simili grazie al fatto che le menti hanno una simile struttura. D'altro canto questo non è relativismo perché le rappresentazioni posseggono caratteristiche simili, come, ad esempio, il fatto di essere "regolari" (e quindi studiabili utilizzando le categorie dell'intelletto). D'altro canto, la rappresentazione è rappresentazione che dipende dal "contatto" tra un soggetto ed un oggetto. La "realtà ultima" è, invece, la realtà-così-come-è conosciuta da una conoscenza inerrante. Secondo Kant, il noumeno non può essere conosciuto perché le categorie dell'intelletto sono applicabili solo al fenomeno (che è l'oggetto conosciuto dal soggetto). Ma questo, secondo me, è troppo restrittivo perché non riesce a spiegare (1) perché le rappresentazioni si "formano" (2) perché le rappresentazioni hanno
quella determinata "regolarità" (perché, ad esempio, la relatività funziona meglio della meccanica classica). Se infatti rispondiamo come le rappresentazioni si formano finiamo per darne una spiegazione, secondo Kant, fenomenica andando a finire nella circolarità. Quindi, secondo me, è giusto supporre che possiamo avere, studiando i fenomeni, una conoscenza approssimata o imperfetta della "realtà ultima", della realtà-così-come-è. Dunque, le "verità" che estraiamo dallo studio dei fenomeni (quindi anche quelle scientifiche) sono anche approssimazioni della "realtà ultima" della "realtà-così-come-è".
Per evitare i due problemi sopracitati, secondo me, dobbiamo reintrodurre, in parte, la "metafisica classica". È vero infatti che noi abbiamo conoscenza diretta dei fenomeni. Tuttavia, ciò non significa che per forza non possiamo andare oltre. Tuttavia non pretendo di "dimostrare" con certezza "esatta" (equivalente a quella logica e matematica) il mio "modello". Invece, riconosco, che è un modello che posso variare se ne trovo di migliori :)
Citazione di: Apeiron il 27 Luglio 2018, 12:57:46 PM
CARLO
CitazioneSe è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
APEIRON
Non conosco Korzybski e Bateson e conosco poco gli altri filosofi qui citati ma credo che ti sbagli.
1)Berkeley era un empirista piuttosto radicale. Siccome noi, in realtà, non "abbiamo esperienza diretta" della materia ma solo delle sensazioni per Berkeley (che riteneva come uniche fonti conoscitive l'esperienza e la ragione applicata ad essa) dedusse che, in realtà, l'esistenza della materia, intesa come "sostanza delle cose" indipendente dall'esistenza dei soggetti, è indimostrabile e, inoltre, è un concetto ridondante. Dunque Berkeley eliminò la materia dalla sua ontologia, sostenendo che esistono solo le anime (le creature) e Dio. Le "cose materiali" sono semplici contenuti mentali. Tuttavia Berkeley ritieneva che la scienza potesse darci informazioni su come questi contenuti mentali si evolvevano. Dunque, il sapere scientifico era una sorta di "fenomenologia", ovvero uno studio dell'esperienza. Come giustifica il vescovo irlandese la persistenza delle cose anche quando non sono percepite? Semplicemente, dicendo, che Dio pensa sempre e quindi le mantiene in essere. (Faccio notare che San Tommaso d'Aquino riteneva che Dio mantenesse in essere le cose).
2)Hume, invece, era un empirista ancora più radicale di Berkeley. Secondo Hume la ragione non può essere a rigore applicata all'esperienza, perché il sapere che possiamo avere dall'esperienza è solo deduttivo. Quindi, ad esempio, anche ripetendo un numero enorme di volte l'esperimento del piano inclinato non possiamo essere sicuri che il movimento non sia dovuto a mere coincidenze casuali. Quindi Hume effettivamente disse che il pensiero scientifico è infondato se cerchiamo una "certezza" esatta, come in matematica. Ma, in realtà, possiamo comunque avere certezze provvisorie, pronte ad essere modificate.
3)Kant, ironicamente ha tentato di fondare la scienza contro le obiezioni di Hume. Come? Secondo Kant la scienza studia il mondo fenomenico dell'esperienza. Come può essere un sapere valido? Il motivo è che secondo Kant noi rappresentiamo i fenomeni secondo determinate categorie, dovute alla struttura della nostra mente. Kant ritiene che queste categorie sono a-priori nella nostra esperienza. Per esempio, i fenomeni sono sempre nello spazio e nel tempo e, inoltre, sono soggetti alla causalità. La scienza quindi è giustificata come fenomenologia: studia seguendo le categorie della nostra mente la nostra esperienza. Secondo Kant, però, la scienza si giustifica solo nello studio dei fenomeni, nello studio dell'oggetto relativo ad un soggetto conoscente (perché tale è la forma della "conoscenza", la quale è una conoscenza di un soggetto riguardante un oggetto). Non possiamo però fare, a rigore, affermazioni su come è il "mondo indipendente da noi" perché non è "visto" dalla nostra mente. Ovviamente Kant ritiene che ci siano verità universali, inter-soggettive, che possono essere verificate da tutti (non è quindi un "relativista"). Una persona che soffre di allucinazioni ha una mente con una struttura leggermente diversa che le fa vedere le allucinazioni.
Dunque una "critica" alla scienza è presente SOLO in Hume. Ma Hume stesso era ben consapevole della "ragionevolezza" del sapere scientifico.
CARLO
CitazionePerché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?
APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.
Per quanto mi riguarda, divido la "realtà" in due (qui sono influenzato da quanto ho capito (poco!) del pensiero buddhista): realtà inter-soggettiva (o "relativa" o "convenzionale") e realtà ultima. La realtà inter-soggettiva è simile a quella di Kant. Noi possiamo fare scienza perché le nostre rappresentazioni sono simili grazie al fatto che le menti hanno una simile struttura. D'altro canto questo non è relativismo perché le rappresentazioni posseggono caratteristiche simili, come, ad esempio, il fatto di essere "regolari" (e quindi studiabili utilizzando le categorie dell'intelletto). D'altro canto, la rappresentazione è rappresentazione che dipende dal "contatto" tra un soggetto ed un oggetto. La "realtà ultima" è, invece, la realtà-così-come-è conosciuta da una conoscenza inerrante. Secondo Kant, il noumeno non può essere conosciuto perché le categorie dell'intelletto sono applicabili solo al fenomeno (che è l'oggetto conosciuto dal soggetto). Ma questo, secondo me, è troppo restrittivo perché non riesce a spiegare (1) perché le rappresentazioni si "formano" (2) perché le rappresentazioni hanno quella determinata "regolarità" (perché, ad esempio, la relatività funziona meglio della meccanica classica). Se infatti rispondiamo come le rappresentazioni si formano finiamo per darne una spiegazione, secondo Kant, fenomenica andando a finire nella circolarità. Quindi, secondo me, è giusto supporre che possiamo avere, studiando i fenomeni, una conoscenza approssimata o imperfetta della "realtà ultima", della realtà-così-come-è. Dunque, le "verità" che estraiamo dallo studio dei fenomeni (quindi anche quelle scientifiche) sono anche approssimazioni della "realtà ultima" della "realtà-così-come-è".
Per evitare i due problemi sopracitati, secondo me, dobbiamo reintrodurre, in parte, la "metafisica classica". È vero infatti che noi abbiamo conoscenza diretta dei fenomeni. Tuttavia, ciò non significa che per forza non possiamo andare oltre. Tuttavia non pretendo di "dimostrare" con certezza "esatta" (equivalente a quella logica e matematica) il mio "modello". Invece, riconosco, che è un modello che posso variare se ne trovo di migliori :)
CARLO
Commenterò nel dettaglio questa tua "prolusione" dopo che avrai risposto alle domande che ho formulato nel post iniziale e che avrai commentato punto per punto quanto ho già scritto lì è in altri post che sono seguiti. Altrimenti dovrei perdere un sacco di tempo a ripetere il già detto o a chiarire fino allo sfinimento che i giudizi che vengono espressi sulle mie idee sono generici, distorti e che non corrispondono con quanto realmente io sostengo nei miei scritto.
Pertanto, per il momento rispondo solo ad un tuo breve passo:
APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.CARLOVorrei chiarire che la mia non è solo una congettura, ma una tesi che si basa su osservazioni oggettive, e che quindi non è liquidabile a-priori senza entrare nel merito - punto per punto - di ciò che affermo (infatti non ho mai detto che <<le proprietà della matematica sono intrinseche alla realtà>>)Al contrario, la tua una è vera e propria congettura , visto che 1 - l'idea sull'impossibilità di fondare qualsiasi verità è assolutamente arbitraria e priva di supporti;2 - questa stessa idea è autocontraddittoria, perché non si può pretendere di dire il vero se si nega fondatezza a ogni possibile verità.Pertanto, se ti interessa discutere l'argomento, comincia col rispondere alle mie domande iniziali, e poi vedrai che ...l'appetito vien mangiando! :)
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 11:50:50 AM
Cit. CARLO
"Più che filiazione, io direi che la Scienza *è* Filosofia: è quella branca della Filosofia che ha affinato i propri criteri di verità per la comprensione del mondo fisico."
LOU
La scienza è filosofia nel momento in cui si interroga sulle condizioni generali della pratica scientifica e del proprio stesso atteggiamento conoscitivo:
CARLO
E la filosofia si eleverà al rango di scienza quando, seguendo l'esempio della "sorella-prodigio" (la Scienza), scoprirà la propria "matematica" e la propria "verifica sperimentale" con cui perverrà alle leggi generali del pensiero filosofico, invece di sprecare il suo tempo a fare da saccente maestrina d'asilo con chi può solo darle preziose lezioni di conoscenza.
LOU
È in campo filosofico che è possibile porre le basi epistemiche e rintracciare il criterio, meglio il Lògos, per la ricerca conoscitiva che permette di dar vita a un sapere razionale distinto da ogni altra forma di sapere.
CARLO
La filosofia non è una scienza a sé, ma, come diceva Fichte, la "scienza di tutte le scienze". Dovrebbe quindi studiare le scienze reali, interrogarsi sui principi che sono comuni a tutte le scienze e su come sia possibile unificarli in un unico principio fondamentale del pensiero. Mentre la filosofia attuale naviga nella direzione opposta: quella di "decostruire", di dimostrare che non esistono criteri di verità affidabili, che la verità è un'illusione, che, come dice Vattimo: <<oggi non siamo a disagio perché siamo nichilisti, ma piuttosto perché siamo ancora troppo poco nichilisti>>!! ...Altro che porre le basi epistemiche per un sapere razionale!
E' per questo che chi, come me, propone l'idea, per quanto fondata, di un Principio universale è, non solo ignorato, ma addirittura oggetto di derisione e di insulti a-priori!
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. Derive di cui la crisi della filosofia trovo sia uno tra gli ingredienti che ha contribuito a crearle. Il postmodernismo, fortissimo nella sua pars destruens non ha avuto lo stesso slancio nella pars construens, ma, forse, le sue corde suonano l'atto decostruente come un momento di melodie creative.
Detto ciò e nonostante la narrazione scientifica in senso moderno risulti essere la narrazione più (con)vincente, ciò non la esime da critica e, soprattutto, figlia, abbastanza edipica a dire il vero, o sorella che sia, non esaurisce le interrogazioni che, volenti o nolenti, l'umano continua a porsi.
DAVINTRO
Filosofia e scienza sperimentali non sono come due corridori che competono per la stessa gara e di cui si possono rilevare i fallimenti perché uno dei due non arriva al risultato che invece ottiene l'altro, ma "corrono" in campi separati, l'uno (quello della filosofia) quello dell'individuazione di princìpi assoluti, evidenti, indubitabili, che restano tali indipendentemente dalle contingenze spazio-temporali, princìpi che possono sia essere riferiti alla sfera dell'esistenza (ontologia) o della fondazione razionale della conoscenza (gnoseologia e epistemologia),
CARLO
...E dopo due millenni e mezzo di ricerca, quanti di questi <<princìpi assoluti, evidenti, indubitabili>> ha scoperto la filosofia? Vuoi che te la dia io una risposta, oppure la conosci anche tu?
DAVINTRO
...l'altro (le scienze sperimentali) devono limitarsi a un sapere costantemente provvisorio e incerto, perché fondato sull'esperienza, cioè su una dimensione per la quale ogni verifica successiva può in ogni momento smentire la pretesa di ricavare leggi universali sulla base dei dati precedentemente raccolti,
CARLO
Hai una concezione della storia del sapere totalmente immaginaria e fuori della realtà. Le scienze sperimentali solo le sole ad aver svelato una tale quantità di verità indubitabili e di leggi della natura da aver dato luogo alla più grande rivoluzione di tutti i tempi, sia sul piano dell'affidabilità delle sue conoscenza sia sul piano dell'utilizzo di queste conoscenze nella trasformazione della materia sia a proprio immenso vantaggio che, purtroppo, per fini distruttivi.
Citazione di: Lou il 27 Luglio 2018, 18:30:39 PM
LOU
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. Derive di cui la crisi della filosofia trovo sia uno tra gli ingredienti che ha contribuito a crearle. Il postmodernismo, fortissimo nella sua pars destruens non ha avuto lo stesso slancio nella pars construens, ma, forse, le sue corde suonano l'atto decostruente come un momento di melodie creative.
Detto ciò e nonostante la narrazione scientifica in senso moderno risulti essere la narrazione più (con)vincente, ciò non la esime da critica e, soprattutto, figlia, abbastanza edipica a dire il vero, o sorella che sia, non esaurisce le interrogazioni che, volenti o nolenti, l'umano continua a porsi.
CARLOSono pienamente d'accordo. A questo proposito ti propongo un brano di Cassirer molto significativo:<<Che si fosse potuti arrivare a questa catastrofe, a questa disintegrazione dei nostri ideali di cultura etico-spirituali, non era, secondo Schweitzer, imputabile alla filosofia. Si trattava di un fatto emerso da altre condizioni nello sviluppo del pensiero. «Ma - spiega Schweitzer - la filosofia era colpevole perché non ammetteva il fatto... La vocazione ultima della filosofia è quella d'essere la guida e il guardiano della ragione in generale; sarebbe stato suo dovere, date le circostanze, confessare al mondo che gli ideali etici non erano più sorretti da alcuna concezione del mondo ma, sino a nuovo avviso, erano abbandonati a se stessi e dovevano farsi strada nel mondo con la loro sola forza intrinseca. Essa avrebbe dovuto esortarci a lottare a sostegno degli ideali su cui poggia la nostra civiltà... Non avrebbe dovuto risparmiare sforzo alcuno per rivolgere l'attenzione dei dotti e degli indotti al problema degli ideali della civiltà... Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna». Io credo che tutti noi, che negli ultimi decenni abbiamo lavorato nel campo della filosofia teoretica, meritiamo in certo senso questa censura di Schweitzer. Non mi escludo dal numero, né assolvo me stesso. Mentre conformavamo i nostri sforzi al concetto scolastico della filosofia, immersi nelle sue difficoltà fino a restar imprigionati nelle sue sottigliezze, troppo spesso abbiamo perso di vista l'autentico concetto della fìlosofìa nel suo nesso con il mondo.
Ma oggi non possiamo più tener chiusi gli occhi dinanzi al pericolo che ci minaccia. Oggi l'urgenza dei tempi ci ammonisce più vigorosamente e imperativamente che mai che sono di nuovo in giuoco per la filosofia le sue scelte ultime e supreme. Esiste davvero un qualcosa che chiamiamo verità teoretica oggettiva? Esiste davvero ciò che le generazioni precedenti hanno inteso come l'ideale della moralità, dell'umanità? Ed esistono proposizioni etiche universalmente vincolanti, che trascendano l'individuo, lo Stato, la nazione? In un'epoca in cui diviene possibile porre queste domande, la filosofia non può starsene in disparte, muta e inerte. Oggi come mai in passato è giunto per essa il momento di riflettere nuovamente su se stessa, su ciò che è e su ciò che è stata, sulla sua finalità fondamentale, sistematica, e sul suo passato storico-spirituale. [...] Senza la rivendicazione di una verità autonoma, oggettiva, indipendente, non soltanto la filosofia, ma tutte quante le scienze particolari, così della natura come dello spirito, perderebbero la loro stabilità e il loro senso. Nel nostro tempo non è dunque soltanto un'esigenza di metodo, ma un comune destino spirituale, che congiunge la filosofia alle scienze particolari, e lega strettamente l'una alle altre. Al pessimismo persuaso che l'ora della nostra cultura è suonata, che il «tramonto dell'Occidente» è ineluttabile, che null'altro possiamo fare se non contemplare questo tramonto in quieto raccoglimento; a questo pessimismo e fatalismo noi non intendiamo rassegnarci>>. [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.68/70]
<<Nel momento stesso in cui non ha più fiducia nel proprio potere, in cui cede il passo ad un atteggiamento meramente passivo, la fìlosofìa non è più in grado di assolvere il suo più importante compito educativo. Non può più insegnare all'uomo come sviluppare le sue facoltà attive al fìne di formare la sua vita individuale e sociale. Una filosofia la quale indulga a fosche predizioni circa il declino e l'inevitabile distruzione della cultura umana, una filosofia la cui attenzione sia totalmente concentrata sull'esser gettato dell'uomo, non può più fare il suo dovere. [...]
«Nel diciottesimo secolo e nei primi decenni del diciannovesimo - scrive Schweitzer - la filosofia s'era posta a guida del pensiero in generale. Allora la filosofia portava in idee elementari circa l'uomo, la società, la razza, l'umanità e la civiltà, alimentando così, in modo perfettamente naturale, una vivente filosofia popolare che a sua volta agiva sul pensiero in generale e teneva desto l'entusiasmo per la civiltà». Tutto ciò andò perduto durante la seconda metà dell'Ottocento. E la filosofia non si rese neppur conto della perdita. Non si accorse che la forza delle idee concernenti la civiltà ad essa affidate si affievoliva fino a svanire. Malgrado tutta la sua dottrina, la filosofia era divenuta straniera al mondo ed ai problemi di vita che concretamente occupavano l'uomo; e l'intero pensiero contemporaneo non prendeva parte alcuna nelle attività della sua epoca. [...] «La filosofia filosofò così poco sulla civiltà che non s'accorse che lei stessa e con essa l'epoca sua si svuotavano sempre più di civiltà. Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna»>>. [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.233/36]
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 18:40:08 PMDAVINTRO Filosofia e scienza sperimentali non sono come due corridori che competono per la stessa gara e di cui si possono rilevare i fallimenti perché uno dei due non arriva al risultato che invece ottiene l'altro, ma "corrono" in campi separati, l'uno (quello della filosofia) quello dell'individuazione di princìpi assoluti, evidenti, indubitabili, che restano tali indipendentemente dalle contingenze spazio-temporali, princìpi che possono sia essere riferiti alla sfera dell'esistenza (ontologia) o della fondazione razionale della conoscenza (gnoseologia e epistemologia), CARLO ...E dopo due millenni e mezzo di ricerca, quanti di questi <<princìpi assoluti, evidenti, indubitabili>> ha scoperto la filosofia? Vuoi che te la dia io una risposta, oppure la conosci anche tu? DAVINTRO ...l'altro (le scienze sperimentali) devono limitarsi a un sapere costantemente provvisorio e incerto, perché fondato sull'esperienza, cioè su una dimensione per la quale ogni verifica successiva può in ogni momento smentire la pretesa di ricavare leggi universali sulla base dei dati precedentemente raccolti, CARLO Hai una concezione della storia del sapere totalmente immaginaria e fuori della realtà. Le scienze sperimentali solo le sole ad aver svelato una tale quantità di verità indubitabili e di leggi della natura da aver dato luogo alla più grande rivoluzione di tutti i tempi, sia sul piano dell'affidabilità delle sue conoscenza sia sul piano dell'utilizzo di queste conoscenze nella trasformazione della materia sia a proprio immenso vantaggio che, purtroppo, per fini distruttivi.
Non va confusa la filosofia con la storia della filosofia: le diatribe tra le differenti scuole (che comunque, anche se in misura forse minore sono presenti anche nelle scienze sperimentali, vedi i dibattiti circa l'evoluzionismo darwiniano o le varie interpretazioni delle teorie dei quanti) riguardo i risultati della filosofia derivano, non da un'intrinseca ed essenziale imperfezione del metodo, ma dal fatto che questi risultati hanno delle implicazioni che toccano la sfera dei valori e dei sentimenti morali, che varia da persona a persona, ed impedisce che sulle questioni fondamentali della filosofia le persone abbiano quel totale distacco e freddezza necessari per pervenire a delle conclusioni il più possibile oggettive. Il metodo filosofico, proprio perché non basato sull'esperienza, ma sulla logica dialettica, è di per sé pienamente razionale, ma storicamente non riesce mai a essere applicato con il dovuto rigore richiesto, perché condizionato dai pregiudizi, dalla sensibilità valoriale, soggettiva, dei filosofi, intesi non in quanto tali, ma in quanto esseri umani. Non a caso la morale è considerata una ramificazione della filosofia, non delle altre scienze. Cioè il limite circa la possibilità per la filosofia di raggiungere conclusioni certe e inoppugnabili non è un limite che squalifica il metodo nella sua essenzialità, ma qualcosa che proviene da qualcosa di esterno ad esso, cioè la "debolezza" della natura umana, i cui sentimenti di valori sono maggiormente coinvolti nelle questioni filosofiche in un modo più intenso che in ogni altro genere di questione. L'individuazione del ruolo e il metodo della filosofia attengono alla sua essenza, non alle sue applicazioni storiche. Confondere le due cose misurando la prima sulla base delle seconde è un comune errore storicista ed empiristaPer quanto riguarda la presunta indubitabilità delle scienze sperimentali, non si tratta del tipo di concezione della storia del sapere che si ha, ma dell'analisi delle conseguenze a partire dall'individuazione del loro metodo. Un sapere fondato sull'esperienza non può mai raggiungere verità indubitabili al 100%, perché dovrebbe dare per scontata l'infallibilità dei strumenti percettivi, sia naturali (i 5 sensi corporei) che artificiali (microscopi, telescopi ecc.) nella loro funzione di far coincidere il complesso dei fenomeni che si manifestano alla nostra coscienza soggettiva e la cose stesse oggettive. L'incapacità di argomentare circa tale infallibilità (data dal fatto che, fermandoci all'ambito dell'esperienza, anche l'esperienza, un certo esperimento, in base a cui si cercherebbe di garantire l'infallibilità degli strumenti percettivi usati, dovrebbe a sua volta giustificare se stessa, cioè l'adeguatezza dei suoi strumenti, e così via, in un regresso aporetico all'infinito) preserva un margine quantomeno minimo di incertezza, di cui, come scritto nel precedente messaggio, potremmo anche non curarci a livello pragmatico, limitandoci a tenere per buoni i risultati che appaiono più probabili sotto il profilo quantitativo, per utilizzarli nelle produzioni di oggetti tecnologici, ma se l'obiettivo è invece puramente teoretico (cioè puramente contemplativo, senza voler strumentalizzare il sapere raggiunto per fini pratici), cioè quello di fissare una conoscenza del tutto certa e indubitabile, allora il margine va riconosciuto come impedente alla scienza empirica di poter assurgere a conoscenza di questo tipo, e quindi di essere un sapere davvero fondativo, che dovrebbe comprendere le premesse evidenti, a partire da cui dedurre un sistema razionale di conoscenze. Il realismo ingenuo del senso comune che ritiene di poter legittimare la credenza in determinato modo d'essere delle cose sulla base di una costanza abitudinaria delle nostre percezioni su di esse, va superato in favore di un realismo critico, che sa giustificare l'uscita dal solipsismo e il riconoscimento di una realtà oggettiva, nella misura in cui questa diviene necessaria per giustificare l'esistenza della nostra coscienza e delle esperienze fenomeniche soggettive, cioè ciò che, cartesianamente, è al riparo dalla possibilità di cancellazione sulla base dell'esercizio del dubbio riguardo la corrispondenza fra esse e la realtà. In sintesi, recuperare l'Oggetto partendo però metodologicamente dal Soggetto.
DAVINTRO
Un sapere fondato sull'esperienza non può mai raggiungere verità indubitabili al 100%, perché dovrebbe dare per scontata l'infallibilità dei strumenti percettivi, sia naturali (i 5 sensi corporei)
CARLO
Secondo te, non è vero al 100% che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra?
Non è vero al 100% che la Terra non è piatta, ma è uno sferoide?
Non è vero al 100% che il nostro sangue non è immobile (come si credeva fino al XVII° secolo) ma che circola nelle vene pompato dal cuore?
Non è vero al 100% che il fuoco non è una sostanza (chiamata flogisto, come si credeva fino al sec. XVIII), ma si tratta di una reazione chimica?
....
Vuoi che ti compili una lista di altre 2 o 3 mila verità inconfutabili, oppure ti bastano queste?
Ciao Carlo,
sicuramente c'è una realtà "minima" che prescinde dalla soggettività umana che è un limite.
Diversamente non si capirebbe come mai se sbatto contro un muro mi faccio male e domani è ancora là e poi ancora.
Potrei rispondere che tutto nasce dall'aporia del fondamento in filosofia.
Tagliando corto, ad un certo punto la filosofia ha compiuto delle scelte verso la pratica,
Significò abbandonare l'ontologia (l'essere), accettare il divenire(l'esperienza) e inserirvi i criteri di verità logica.
Il salto, come si sa è venuto da Galileo e direi Cartesio inizialmente.
I filosofi in realtà sono schierati su due fronti, banalizzo, dalla modernità ad oggi.
Kant è un precursore in quanto credette di scientificizzare la filosofia,come ben detto da davintro e aperion.
In realtà la scienza è figlia indiretta della filosofia, e diretta della Tecnica.
Proprio perché come hai descritto i processi induttivi e deduttivi nascono dalla logica predicativa(Aristotele) e proposizionale(stoici).
Kant, come antesignano prende da Hume l'indimostrabilità della realtà, descrivendo il procedimento cognitvo umano come proprio limite gnoseologico.Hume è a suo modo un precursore della filosofia della mente e quindi anche dell'epistemologia, perché già qui è intrinseca la fallibilità.
La tecnica, intesa come forma filosofica che sposa un modo esperienziale di approcciare nelle prassi, dà gli streumneti gnoseologici alla scienza, quest'ultima esplode come rivoluzione come capacità di poter categorizzare e sistematizzare i procedimenti esperienziali in teorie costruite proprio come le antiche geometrie e matematiche, in postulati, enunciati.
Un altro passaggio intanto era avvenuto, il soggetto è più importante dell'oggetto e muta il sistema relazionale epistemico.
Significa che l'uomo, nella filosofia antica era assoggettato all'ontologia di eterni, il procedimento gnoseologico era di tipo deduttivo e il pensiero si orientava su problematiche di armonizzazione fra natura, uomo, divino.
La tecnica sposando la prassi esperienziale, pone l'uomo al posto del divino e ritiene di modellare la natura.quindi il soggetto con la gnoseologia diventa propenderante fino ad annichilire l'ontologia..
Eì chiaro ,come ha ben detto davintro, che la morale antica poggiava sulle armonizzazioni fra divino, natura e uomo, il bene e il male, per così dire, era essere dentro o fuori le armonizzazioni dei tre soggetti ontologici.
Oggi assistiamo ad una crisi "scientifca" epistemologica, non solo filosofica.
L'abnorme soggettivismo e costruttivismo, ha debordato nel processo delle assiomatizzazioni.
Il passaggio del processo del elettromagnetismo di Maxwell, ha consentito la teoria delal relatività in quanto la velocità della luce venne ritenuta costante.Hilbert nel 1900 riformula lamatematica con 12 assiomi(se non ricordo male), la geometria euclidea viene riformulata mutando il postulato sulle parallele e si costruisce la geomtria delle ellisse e iprbolica.
Lì, nella grande fase di scoperte e invenzioni che hanno mutato lambiente umano, si è capito che bastava riformulare qualche assioma per mutare il modello di rappresentazione scientifico, ma poneva limiti ontologici e gnoseologici, L'epistemologo Feyarabend che prefersico a Poppper, disse una cosa reale: le teorie in realtà non vengono superate da nuove, ma semplicemnte si utilizzano quelle che meglio si confanno ad un ambiente ed ad uno scopo.
Significa che convivono le meccaniche di Galielo, Newton, Einstein e la quantistica, Dipende solo cosa vogliamo studiare. Einstein va bene fuori dall'atmosfera terrestre, ci bastano le convenzioni di Galileo e Newton dentro l'atmosfera terrestre.
Le teorie del multiverso, sono formulazioni matematiche
Le strumentazioni scientifiche sono solo amplificazione die sensi umani, intese come estensione delle frequenze elettromagnetiche, che noi umani abbiamo limitate dentro un range.
Ma tutto è sempre funzionale al limite gnoseologico di Hume
Quindi dire, che la tecnolgia non è nata con la scienza moderna, quando studiamo i lpassaggio dall'età del ferro a quella del bronzo, la scoperta ad esempio della polvere da sparo dei cinesi, le architetture con volte a tutto sesto che tengono in piedi ancora oggi colossali costruzioni senza bisogo dell 0ingegnere contemporaneo che fa i collaudi, sono segni che la scienza in fondo c'è sempre stata.
Fu l'esaltazione del soggetto umano nelle prassi sposando la Tecnica e divenendo consapevole del potere di modificare con l'artificio la natura spostando gli scopi del senso esistenziale nell'utile e funzionale al proprio ego che si sviluppò la scienza. La scienza in sé e per sé non fa cultura, semmai ci dà potere.questo potere fiducioso alla tecnica, questa sì che è cultura è la forma divinatoria decadente di affidamento ad un nuovo soggetto del nostro destino.
Inevitabilmente, per quanto ho scritto, sono mutate le etiche e le morali,così come i pensieri "deboli" e relativi sono in accordo al processo del modellare e mutare gli assiomi che tengono in piedi i fondamenti contemporanei del pensiero.
E' interessante quando dici che in fondo si tratterebbe di fare lo stesso salto alla filosofia per riguadagnare la differenza di "potenza" con la scienza.
Quì vi sono diverse modalità di approccio.
C'è chi ritenendo che il problema del potere della tecnica, nacque dall'aporia del fondamento, rimane di fatto in pratica in attesa che si compia il tragitto storico.
Altri ,che sto leggendo, cercando di disattivare i dispositivi culturali che reggono la decadenza, come il termine potenza, si tratterebbe di depotenziare la scienza, di depotenziare l'economia e di non ragionare più per scopi, ma di vivere "alla giornata".
Nel mondo attuale noi siamo trascinati via dal sistema tecnico , in cui le scienze e le pratiche politiche ed economiche, ormai corrono per conto loro , perché hanno acquisito un' ontologia di fatto data dalle prassi e noi ansiosamente dobbiamo reggere i tempi continui dei mutamenti .Questo è folle nichilismo e annichilimento umano. Ed è qui quindi il problema filosofico.
Sull'argomento, vi suggerisco di ascoltare questa breve trasmissione radiofonica (prima che tolgano il PODCAST):
http://www.radio24.ilsole24ore.com/programma/versioneoscar/puntate
Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 01:50:38 AM
Ciao Carlo,
sicuramente c'è una realtà "minima" che prescinde dalla soggettività umana che è un limite.
Diversamente non si capirebbe come mai se sbatto contro un muro mi faccio male e domani è ancora là e poi ancora.
Potrei rispondere che tutto nasce dall'aporia del fondamento in filosofia.
Tagliando corto, ad un certo punto la filosofia ha compiuto delle scelte verso la pratica,
Significò abbandonare l'ontologia (l'essere), accettare il divenire(l'esperienza) e inserirvi i criteri di verità logica.
Il salto, come si sa è venuto da Galileo e direi Cartesio inizialmente.
I filosofi in realtà sono schierati su due fronti, banalizzo, dalla modernità ad oggi.
Kant è un precursore in quanto credette di scientificizzare la filosofia,come ben detto da davintro e aperion.
In realtà la scienza è figlia indiretta della filosofia, e diretta della Tecnica.
Proprio perché come hai descritto i processi induttivi e deduttivi nascono dalla logica predicativa(Aristotele) e proposizionale(stoici).
Kant, come antesignano prende da Hume l'indimostrabilità della realtà, descrivendo il procedimento cognitvo umano come proprio limite gnoseologico.Hume è a suo modo un precursore della filosofia della mente e quindi anche dell'epistemologia, perché già qui è intrinseca la fallibilità.
La tecnica, intesa come forma filosofica che sposa un modo esperienziale di approcciare nelle prassi, dà gli streumneti gnoseologici alla scienza, quest'ultima esplode come rivoluzione come capacità di poter categorizzare e sistematizzare i procedimenti esperienziali in teorie costruite proprio come le antiche geometrie e matematiche, in postulati, enunciati.
Un altro passaggio intanto era avvenuto, il soggetto è più importante dell'oggetto e muta il sistema relazionale epistemico.
Significa che l'uomo, nella filosofia antica era assoggettato all'ontologia di eterni, il procedimento gnoseologico era di tipo deduttivo e il pensiero si orientava su problematiche di armonizzazione fra natura, uomo, divino.
La tecnica sposando la prassi esperienziale, pone l'uomo al posto del divino e ritiene di modellare la natura.quindi il soggetto con la gnoseologia diventa propenderante fino ad annichilire l'ontologia..
Eì chiaro ,come ha ben detto davintro, che la morale antica poggiava sulle armonizzazioni fra divino, natura e uomo, il bene e il male, per così dire, era essere dentro o fuori le armonizzazioni dei tre soggetti ontologici.
Oggi assistiamo ad una crisi "scientifca" epistemologica, non solo filosofica.
L'abnorme soggettivismo e costruttivismo, ha debordato nel processo delle assiomatizzazioni.
Il passaggio del processo del elettromagnetismo di Maxwell, ha consentito la teoria delal relatività in quanto la velocità della luce venne ritenuta costante.Hilbert nel 1900 riformula lamatematica con 12 assiomi(se non ricordo male), la geometria euclidea viene riformulata mutando il postulato sulle parallele e si costruisce la geomtria delle ellisse e iprbolica.
Lì, nella grande fase di scoperte e invenzioni che hanno mutato lambiente umano, si è capito che bastava riformulare qualche assioma per mutare il modello di rappresentazione scientifico, ma poneva limiti ontologici e gnoseologici, L'epistemologo Feyarabend che prefersico a Poppper, disse una cosa reale: le teorie in realtà non vengono superate da nuove, ma semplicemnte si utilizzano quelle che meglio si confanno ad un ambiente ed ad uno scopo.
Significa che convivono le meccaniche di Galielo, Newton, Einstein e la quantistica, Dipende solo cosa vogliamo studiare. Einstein va bene fuori dall'atmosfera terrestre, ci bastano le convenzioni di Galileo e Newton dentro l'atmosfera terrestre.
Le teorie del multiverso, sono formulazioni matematiche
Le strumentazioni scientifiche sono solo amplificazione die sensi umani, intese come estensione delle frequenze elettromagnetiche, che noi umani abbiamo limitate dentro un range.
Ma tutto è sempre funzionale al limite gnoseologico di Hume
Quindi dire, che la tecnolgia non è nata con la scienza moderna, quando studiamo i lpassaggio dall'età del ferro a quella del bronzo, la scoperta ad esempio della polvere da sparo dei cinesi, le architetture con volte a tutto sesto che tengono in piedi ancora oggi colossali costruzioni senza bisogo dell 0ingegnere contemporaneo che fa i collaudi, sono segni che la scienza in fondo c'è sempre stata.
Fu l'esaltazione del soggetto umano nelle prassi sposando la Tecnica e divenendo consapevole del potere di modificare con l'artificio la natura spostando gli scopi del senso esistenziale nell'utile e funzionale al proprio ego che si sviluppò la scienza. La scienza in sé e per sé non fa cultura, semmai ci dà potere.questo potere fiducioso alla tecnica, questa sì che è cultura è la forma divinatoria decadente di affidamento ad un nuovo soggetto del nostro destino.
Inevitabilmente, per quanto ho scritto, sono mutate le etiche e le morali,così come i pensieri "deboli" e relativi sono in accordo al processo del modellare e mutare gli assiomi che tengono in piedi i fondamenti contemporanei del pensiero.
E' interessante quando dici che in fondo si tratterebbe di fare lo stesso salto alla filosofia per riguadagnare la differenza di "potenza" con la scienza.
Quì vi sono diverse modalità di approccio.
C'è chi ritenendo che il problema del potere della tecnica, nacque dall'aporia del fondamento, rimane di fatto in pratica in attesa che si compia il tragitto storico.
Altri ,che sto leggendo, cercando di disattivare i dispositivi culturali che reggono la decadenza, come il termine potenza, si tratterebbe di depotenziare la scienza, di depotenziare l'economia e di non ragionare più per scopi, ma di vivere "alla giornata".
Nel mondo attuale noi siamo trascinati via dal sistema tecnico , in cui le scienze e le pratiche politiche ed economiche, ormai corrono per conto loro , perché hanno acquisito un' ontologia di fatto data dalle prassi e noi ansiosamente dobbiamo reggere i tempi continui dei mutamenti .Questo è folle nichilismo e annichilimento umano. Ed è qui quindi il problema filosofico.
CARLO
Hai toccato talmente tanti argomenti (senza approfondirne nessuno) che per una risposta esaustiva mi servirebbero un paio di mesi di tempo (che non ho) e qualche centinaio di pagine di precisazioni.
Pertanto, affinché sia chiaro, perlomeno, che
non sto difendendo la tesi dell'infallibilità della scienza, mi limito a porti una sola domanda: che differenza c'è, secondo te, tra "
fallibilità della conoscenza" e "
fallibilismo"?
CARLO
Vorrei chiarire che la mia non è solo una congettura, ma una tesi che si basa su osservazioni oggettive, e che quindi non è liquidabile a-priori senza entrare nel merito - punto per punto - di ciò che affermo (infatti non ho mai detto che <<le proprietà della matematica sono intrinseche alla realtà>>)
Al contrario, la tua una è vera e propria congettura , visto che
1 - l'idea sull'impossibilità di fondare qualsiasi verità è assolutamente arbitraria e priva di supporti;
2 - questa stessa idea è autocontraddittoria, perché non si può pretendere di dire il vero se si nega fondatezza a ogni possibile verità.
Pertanto, se ti interessa discutere l'argomento, comincia col rispondere alle mie domande iniziali, e poi vedrai che ...l'appetito vien mangiando! (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
APEIRON
Ciao Carlo,
OK cercherò di rileggere le risposte che tu stesso dai alle tue domande. Con la mia risposta ho cercato di spiegarti come sia Kant che Berkeley non hanno grossi problemi con la scienza (Kant stesso cercò di dare fondamento alla scienza). Riguardo ad Hume il suo approccio è uno scetticismo estremamente rigoroso e credo di aver spiegato al meglio delle mie possibilità che la sua critica è perchè secondo Hume ogni epistemologia basata sulla sola esperienza non può dare "certezze".
Rigurado alla mia congettura ( e sono felice di chiamarla tale, dopo spiego il motivo).
1- non ho mai detto una cosa del genere. Come ho detto (1) come Kant accetto le vertità universali del mondo fenomenico (ad esempio che la Terra non è piatta oppure che la relatività di Einstein spiega meglio le cose della teoria Newtoniana) (2) tali verità, però, si basano sullo studio dell'oggetto così come è per il soggetto (ovvero per la mente che conosce) e dunque bisogna tener conto anche del soggetto (ripeto, la differenza tra questa congettura e il relativismo è che, per il relativismo, dovremmo rinunciare a parlare di verità condivise cosa che, personalmente, ritengo molto erronea) (3) visto che c'è per così dire il contributo del soggetto, non vediamo la "realtà-così-come-è", ovvero in modo indipendente da come noi stessi rappresentiamo il mondo fenomenico (4) a differenza di Kant, però, non ritengo che la "realtà-così-come-è" sia completamente inaccessibile a noi e anzi ritengo che lo studio dei fenomeni ci fornisce una sorta di "approssimazione" della "realtà-così-come-è" (conoscibile da una mente inerrante, ovvero, che "vede le cose per quelle che sono". Ovviamente, l'esistenza di tale mente è una congettura). Il fondamento della vertit è proprio dato dalla "realtà-così-come-è" (cosa che è visibile da quella ipotetica mente). Se, ad esempio, notiamo che la relatività funziona meglio della meccanica newtoniana è ragionevole concludere che la relatività ci riesce a dare qualche informazione anche sulla "realtà-così-come-è" (e quindi sulla verità ultima, la conoscenza della mente inerrante).
2- non ho tolto il fondamento alla verità, anzi ho esplicitamente detto che c'è e che noi studiando il mondo fenomenico ne abbiamo una visione approssimata.
Riguardo al termine "congettura", non avevo alcuna intenzione "offensiva", visto che "congettura" è più o meno equivalente a "teoria". Ho anche espresso un giudizio positivo alla tua, dicendo che è "plausibile" :)
comunque se per te l'inglese non è un problema, ti segnalo un link dove Jung viene letto in chiave Kantiana http://www.friesian.com/jung.htm inoltre nello stesso sito l'autore espone il suo pensiero, parlando della sua affinità a diversi pensatori, tra cui Platone e Kant (e tra questi due trova diverse somiglianze e Kant viene interpretato anche come una sorta di platonico) http://www.friesian.com/ross/platonis.htm
P.S.
En passant, faccio notare che molti fisici del novecento erano stati influenzati (direttamente o indirettamente) da Kant e Hume. Tra questi anche Einstein :)
Citazione di: Apeiron il 28 Luglio 2018, 11:32:24 AM
Come ho detto (1) come Kant accetto le verità universali del mondo fenomenico (ad esempio che la Terra non è piatta oppure che la relatività di Einstein spiega meglio le cose della teoria Newtoniana) (2) tali verità, però, si basano sullo studio dell'oggetto così come è per il soggetto (ovvero per la mente che conosce) e dunque bisogna tener conto anche del soggetto (ripeto, la differenza tra questa congettura e il relativismo è che, per il relativismo, dovremmo rinunciare a parlare di verità condivise cosa che, personalmente, ritengo molto erronea) (3) visto che c'è per così dire il contributo del soggetto, non vediamo la "realtà-così-come-è", ovvero in modo indipendente da come noi stessi rappresentiamo il mondo fenomenico
Citazione
Fin qui (per quel che potesse interessare la mia opinione) concordo in pieno.
(4) a differenza di Kant, però, non ritengo che la "realtà-così-come-è" sia completamente inaccessibile a noi e anzi ritengo che lo studio dei fenomeni ci fornisce una sorta di "approssimazione" della "realtà-così-come-è" (conoscibile da una mente inerrante, ovvero, che "vede le cose per quelle che sono". Ovviamente, l'esistenza di tale mente è una congettura). Il fondamento della vertità è proprio dato dalla "realtà-così-come-è" (cosa che è visibile da quella ipotetica mente). Se, ad esempio, notiamo che la relatività funziona meglio della meccanica newtoniana è ragionevole concludere che la relatività ci riesce a dare qualche informazione anche sulla "realtà-così-come-è" (e quindi sulla verità ultima, la conoscenza della mente inerrante).
Citazione
A questo proposito concordo invece con Kant.
Secondo me se c' é una realtà in sé o noumeno (come credo arbitrariamente essendo indimostrabile logicamente a priori e non provabile empiricamente a posteriori), reale anche allorché, se e quando non accadono realmente fenomeni coscienti, allora tutta la conoscenza che possiamo avere di questa é limitata alla sua (eventuale) esistenza ed alla sua (eventuale) corrispondenza biunivoca con la realtà fenomenica (e il divenire di essa): altro non possiamo (eventualmente) saperne, al contrario della realtà fenomenica che ci appare alla coscienza, e di cui dunque possiamo dare descrizioni più o meno accurate e vere.
La conoscenza, sia di senso comune che scientifica (fra le quali ritengo esista una differenza meramente "quantitativa" o "di grado") é sempre e comunque inevitabilmente conoscenza di fenomeni, mai di cose in sé. Questa conoscenza (fondata anche su presupposti arbitrari, degni di dubbio in linea teorica o di principio che ne sono conditiones sine qua non; per lo meno di quella scientifica) tende di fatto (salvo controtendenze) a progredire, a farsi più completa, più esatta, meno "inquinata da credenze false", avvicinandosi per così dire "asintoticamente" a un ideale di conoscenza completa, assolutamente precisa, del tutto "monda da convinzioni errate e false" del mondo fenomenico (anzi, a rigore, solo della sua componente o "parte" materiale per quanto riguarda la conoscenza scientifica) per come é e diviene.
Ma non invece ad alcuna pur limitata conoscenza della realtà in sé o noumeno, che é diversa cosa dalla realtà fenomenica (materiale; intesa) nella sua completezza (conoscibile): passando da Newton ad Einstein e alla M Q ci siamo progressivamente avvicinati a una (ideale) conoscenza completa, esatta, scevra da errori e falsità del mondo fenomenico materiale (cui abbiamo accesso cosciente); la quale però é tutt' altro che una conoscenza delle cose in sé (se ci sono) reali indipendentemente dalla realtà delle sensazioni fenomeniche (delle quali l' "esse est percipi"): ma nella conoscenza delle cose in sé non siamo avanzati di un millimetro, a loro sua ipotetica conoscenza "perfetta" non si siamo per niente avvicinati.
P.S.: Sto per partire per le vacanze, allorché, come al solito, sarò scollegato da Internet.
Spero di riuscire a proseguire questa interessante discussione, eventualmente in Settembre (e mi scuso anticipatamente per l' eventuale ritardo delle mie risposte).
APEIRON
Rigurado alla mia congettura ( e sono felice di chiamarla tale, dopo spiego il motivo).
1- non ho mai detto una cosa del genere. Come ho detto (1) come Kant accetto le vertità universali del mondo fenomenico (ad esempio che la Terra non è piatta oppure che la relatività di Einstein spiega meglio le cose della teoria Newtoniana) (2) tali verità, però, si basano sullo studio dell'oggetto così come è per il soggetto (ovvero per la mente che conosce) e dunque bisogna tener conto anche del soggetto (ripeto, la differenza tra questa congettura e il relativismo è che, per il relativismo, dovremmo rinunciare a parlare di verità condivise cosa che, personalmente, ritengo molto erronea) (3) visto che c'è per così dire il contributo del soggetto, non vediamo la "realtà-così-come-è", ovvero in modo indipendente da come noi stessi rappresentiamo il mondo fenomenico (4) a differenza di Kant, però, non ritengo che la "realtà-così-come-è" sia completamente inaccessibile a noi e anzi ritengo che lo studio dei fenomeni ci fornisce una sorta di "approssimazione" della "realtà-così-come-è" (conoscibile da una mente inerrante, ovvero, che "vede le cose per quelle che sono". Ovviamente, l'esistenza di tale mente è una congettura). Il fondamento della vertità è proprio dato dalla "realtà-così-come-è" (cosa che è visibile da quella ipotetica mente).
CARLO
E' proprio questo l'errore fondamentale della concezione kantiana-humiana e, quindi, dell'epistemologia che ad essa si ispira. E' profondamente ambiguo sostenere che <<il fondamento della verità è dato dalla "realtà-così-come-è>>, perché, di fatto, nessuna delle verità con cui la Scienza ha rivoluzionato il pensiero e la vita materiale dell'uomo coincide rigorosamente con la "realtà-così-com'è", ma esse fanno parte di un processo progressivo che TENDE A descrivere la "realtà-così-com'è" attraverso l'acquisizione di un numero via via crescente di tante piccole verità indubitabili riguardanti sia i fenomeni (la Terra è rotonda, i pianeti girano intorno al Sole, ecc.), sia le leggi che governano le relazioni tra i fenomeni (legge di gravità, leggi della dinamica, dell'elettricità, della termodinamica, ecc.).
Infatti, la verità non si definisce come "la realtà così com'è" (verità = oggetto assoluto) ma come la concordanza rigorosa tra i fenomeni oggettivi osservati e la descrizione soggettiva di essi, cioè, come sosteneva Spinoza: <<ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>. Ed è con QUESTO concetto di verità che si è costruita la forma di conoscenza più feconda e rivoluzionaria che l'uomo abbia mai concepito (è per questo che nessuno risponde alle domande che ho formulato nel post di apertura).
Pertanto, è assolutamente infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile. Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"?
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 13:42:07 PM
Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"? infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile.
ciao Carlo,
dire fallibilismo e dire conoscenza fallibile in pratica sono la stessa cosa, in quanto l'agente conoscitivo, il soggetto è limitato.
Ho estrapolato citando una parte del tuo scritto.
Se tu ,Carlo Pierini, fossi una cosa-in sè, io, paul11 posso conoscerti solo dal fenomeno, dall'effetto, vale a dire per quello che scrivi nei post.
Quindi io non posso conoscerti come cosa-in-sè, ma come fenomeno reiterato nei tuoi post, e farmi un'idea di quello che sei, ma sarà sempre limitata per quanto possa essere approfondita la ricerca su di te.quindi è la relazione fra paul11 e Carlo Pierini, è gnoseologica.
E per quantio possa conoscerti anche di persona e avere un'idea sempre più approfondita ,non è detto che corrisponda ad una verità che è inesplicabile.
La scienza ha problemi ontologici(la cosa in sè) e cerca di risolverli descrivendo un oggetto.
Perchè funziona la scienza? Perchè non è necessario conoscere la cosa in sè e per sè, ma le sue descrizioni e proprietà ,le sue condizioni.
Ma da'latra parte Carlo Pierini, saresti davvero capace di descriverti come verità assoluta ,come una cosa in sè?
Dovresti sapere la tua vera natura, conoscere perfettamente il tuo corpo, le tue emozioni i tuoi sentimenti.
ora se l'uomo è impossibile da descrivere ontologicamente ed è lui il principio gnoseologico, come agente conoscitivo, noi che non conosciamo davvero noi stessi, come possiamo dire davvero il vero sempre di ogni cosa che è nel mondo?
Se noi non fossimo fallibili, non avremmo avuto necessità di una logica, non avremmo avuto bisogno di validare argomentazioni, perchè avremmo sempre e comunque dichiarato verità , mai falsità la nostra conoscenza sarebbe sempre stata certa e mai probabilmente vera. .Così pure nei processi di determinazione di una verità scientifica, dove la cautela è appunto la modalità per muoversi verso una conoscenza il più possibile veritiera, ma mai definitivamente certamente vera.
Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 18:42:38 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 13:42:07 PM
Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"? infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile.
PAUL
ciao Carlo,
dire fallibilismo e dire conoscenza fallibile in pratica sono la stessa cosa, in quanto l'agente conoscitivo, il soggetto è limitato.
CARLONon è così.1 - La conoscenza è fallibile perché procede anche per prove ed errori; ma la storia ci mostra che gli errori possono essere corretti e che è possibile giungere a verità indubitabili.2 - "Fallibilismo", invece, significa che TUTTE le conoscenze possibili sono fallibili e che dunque non esistono verità indubitabili. Il che è palesemente falso, perché la scienza è pervenuta a decine di migliaia di verità ormai pienamente accertate.PAUL11Perchè funziona la scienza? Perchè non è necessario conoscere la cosa in sè e per sè, ma le sue descrizioni e proprietà, le sue condizioni..CARLO...Ma la "cosa in sé" non è altro che la somma di TUTTE le proprietà-qualità e di TUTTE le verità che riguardano la cosa. Quindi sarebbe inconoscibile SOLO SE tale somma fosse infinita. Ma non ci sono motivi per pensare che una cosa finita abbia un numero infinito di proprietà/verità. Quindi è del tutto arbitrario postularne l'inconoscibilità.E comunque, se con le limitate conoscenze che la scienza ha accumulato in soli tre secoli, essa ha rivoluzionato il pensiero e ha trasformato radicalmente l'attività dell'uomo, evidentemente il problema della "cosa in sé" è una questione talmente marginale da non rappresentare alcun ostacolo per il progresso del sapere.PAUL11Carlo Pierini, saresti davvero capace di descriverti come verità assoluta, come una cosa in sé?CARLOOggi no, ma non si può escludere che tra diecimila (o centomila) anni di progresso delle scienze (fisica, biologia, psicologia, ecc.) sia possibile farlo. COSA lo impedisce? Per cui, sarebbe ora di finirla di considerare Kant e Hume dei geni dell'epistemologia e di cominciare a comprendere meglio le ragioni del successo strepitoso della scienza e di trasferire (mutatis mutandis) i suoi criteri anche alle scienze cosiddette dello spirito (filosofia, psicologia, teologia, ecc.) che sono assolutamente prive di criteri di verità e per le quali vige ancora la logica ancestrale e rudimentale dell'"ipse dixit"..
Citazione di: Apeiron il 28 Luglio 2018, 11:32:24 AM
comunque se per te l'inglese non è un problema, ti segnalo un link dove Jung viene letto in chiave Kantiana http://www.friesian.com/jung.htm inoltre nello stesso sito l'autore espone il suo pensiero, parlando della sua affinità a diversi pensatori, tra cui Platone e Kant (e tra questi due trova diverse somiglianze e Kant viene interpretato anche come una sorta di platonico) http://www.friesian.com/ross/platonis.htm
CARLOPurtroppo l'inglese non è il mio forte. Tuttavia, la concordanza tra il pensiero di Jung e quello di Kant è solo apparente. Per esempio, mentre Kant sostiene l'inconoscibilità di Dio, scrive Jung:"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
Si può rilevare una certa somiglianza tra i due punti di vista in scritti come questi:"So ben poco che cosa sia lo spirito in sé e per sé, ma so altrettanto poco che cosa siano gli istinti in sé e per sé. L'uno mi riesce altrettanto misterioso quanto gli altri, ma non posso neanche spiegare l'una cosa come un malinteso dell'altra. [...] Lo spirito è l'altro polo del mondo". [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg. 215]"L'Io, che in apparenza è ciò che immaginiamo di conoscere meglio di ogni altra cosa, è in realtà un fatto assai complesso che racchiude in sé oscurità insondabili". [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.105]
"L'esistenza psichica dell'inconscio collettivo si riconosce soltanto dalla presenza di contenuti capaci di divenire coscienti; possiamo perciò parlare di un inconscio solo in quanto siamo in grado di indicarne i contenuti quando questi si manifestano alla coscienza (sogni, visioni, intuizioni, ispirazioni, ecc.) sotto forma di immagini tipiche universalmente diffuse nella storia della cultura: gli archetipi". [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg. 3]
...Ma queste non sono affermazioni sull'inconoscibilità dell'Io o dell'inconscio, bensì un riferimento alle nostre conoscenze attuali.Infine, sembrano coincidere delle idee come queste:"Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me". [KANT: Critica della ragion pratica]"Paracelso considera la psiche oscura [l'inconscio] come un cielo notturno disseminato di stelle, un cielo in cui i pianeti e le costellazioni sono rappresentati dagli archetipi in tutta la loro luminosità e numinosità. Il cielo stellato è infatti il libro aperto della proiezione cosmica, il riflesso dei mitologemi, degli archetipi appunto". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.213] "La morale è una funzione dell'anima umana, ed è vecchia quanto l'umanità. Essa non è imposta dal di fuori, ma vive a priori in noi stessi: non la legge ma l'essenza morale, senza la quale la vita comune della società umana sarebbe impossibile". [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.65]...Ma dalle parole che ho evidenziato in grassetto si può cogliere la differenza sostanziale.
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 22:36:36 PM
Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 18:42:38 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 13:42:07 PM
Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"? infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile.
PAUL
ciao Carlo,
dire fallibilismo e dire conoscenza fallibile in pratica sono la stessa cosa, in quanto l'agente conoscitivo, il soggetto è limitato.
CARLO
Non è così.
1 - La conoscenza è fallibile perché procede anche per prove ed errori; ma la storia ci mostra che gli errori possono essere corretti e che è possibile giungere a verità indubitabili.
2 - "Fallibilismo", invece, significa che TUTTE le conoscenze possibili sono fallibili e che dunque non esistono verità indubitabili. Il che è palesemente falso, perché la scienza è pervenuta a decine di migliaia di verità ormai pienamente accertate.
PAUL11
Perchè funziona la scienza? Perchè non è necessario conoscere la cosa in sè e per sè, ma le sue descrizioni e proprietà, le sue condizioni.
.
CARLO
...Ma la "cosa in sé" non è altro che la somma di TUTTE le proprietà-qualità e di TUTTE le verità che riguardano la cosa. Quindi sarebbe inconoscibile SOLO SE tale somma fosse infinita. Ma non ci sono motivi per pensare che una cosa finita abbia un numero infinito di proprietà/verità. Quindi è del tutto arbitrario postularne l'inconoscibilità.
E comunque, se con le limitate conoscenze che la scienza ha accumulato in soli tre secoli, essa ha rivoluzionato il pensiero e ha trasformato radicalmente l'attività dell'uomo, evidentemente il problema della "cosa in sé" è una questione talmente marginale da non rappresentare alcun ostacolo per il progresso del sapere.
PAUL11
Carlo Pierini, saresti davvero capace di descriverti come verità assoluta, come una cosa in sé?
CARLO
Oggi no, ma non si può escludere che tra diecimila (o centomila) anni di progresso delle scienze (fisica, biologia, psicologia, ecc.) sia possibile farlo. COSA lo impedisce?
Per cui, sarebbe ora di finirla di considerare Kant e Hume dei geni dell'epistemologia e di cominciare a comprendere meglio le ragioni del successo strepitoso della scienza e di trasferire (mutatis mutandis) i suoi criteri anche alle scienze cosiddette dello spirito (filosofia, psicologia, teologia, ecc.) che sono assolutamente prive di criteri di verità e per le quali vige ancora la logica ancestrale e rudimentale dell'"ipse dixit".
.
ciao Carlo ,
è abbastanza chiaro che il fallibilismo è una definizione sul limite dell'agente conoscitivo.
questa corrente epistemologica è funzionale alla scienza moderna.
Sono abbastanza d'accordo sul tuo pensiero in generale, ma sbagli sulla capacità di trovare la verità nella scienza moderna che infatti riconosce la sua fallibilità.
Altro esempio: l'alchimia.
Il passaggio alla chimica-fisica moderna fu da una parte il metodo sperimentale galileano e dall'altra la natura non fu più ritenuta un tabù,si agisce sui diagrammi di causa effetto, poi più tardi arriverà la concezione organicistica e non più meccanicistica, anche se continuano a convivere per convenzione,
Questo passaggio dall'alchimia alla sistematizzazione moderna guadagna nella manipolabilità sulla materia ,ma perde l'essenza che era insita nell'alchimia della materia.La materia non è un semplice conglomerato di atomi e molecole con livelli energetici .
C'è qualche altra energia che a tutt'oggi non è spiegabile ad esempio nelle teorie dell'abiogenesi, su come è nata la vita.
Ma il medico riesce comunque a dare sollievo al paziente, anche se non conosce il principio della vita,perchè agisce sulla materialità, ma non sa se a sua volta esiste un meccanismo ancora più profondo, originario.
Il fatto che le discipline fisiche agiscano per tentativi sperimentali e spesso le scoperte sono del tutto casuali(si stava indagano su qualcosa e invece si è trovato dell'altro) la dice lunga sulla teoria della scienza, ma ciò non inficia la cpacità di manipolazione della materia.
il problema filosofico è che la scienza è dentro lo schema della Tecnica, in cui l'uomo cerca utilità e funzionalità per sè. egoisticamente
Avendo perso i principi ontologici che riconducevano alle essenze, e l'alchimia era ancora in quella cultura antica, l'uomo guadagna in potenza materialistica, ma perde nell'essenza esistenziale e dell'essere.Oggi si fida della tecnica e spinge la scienza a
trovare i rimedi
La cosa in sè non è la somma delle proprietà e parti. Jung non avrebbe trovato l'archetipo nei suoi pazienti se avesse seguito questa strada semplicistica.
Il concetto di inconoscibilità è dentro una cultura, quella scientifica moderna, a cui personalmente credo fino ad un certo punto.
Questa cultura nega del tutto gli oggetti ontologici a cui tu credi, come Dio, spirito, ecc, in quanto nello schema sperimentale scientifico moderno sono indimostrabili "fisicamente e materialmente".
Per questo io non ritengo la scienza cultura, perchè ha autolimitato il suo ambito e sbaglia quando si ritene cultura e fa autolimitare altre culture come la filosofia.
PAUL11
Sono abbastanza d'accordo sul tuo pensiero in generale, ma sbagli sulla capacità di trovare la verità nella scienza moderna
CARLO
Già ho risposto ieri alla medesima obiezione di Davintro
<<Secondo te, non è vero al 100% che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra?
Non è vero al 100% che la Terra non è piatta, ma è uno sferoide?
Non è vero al 100% che il nostro sangue non è immobile (come si credeva fino al XVII° secolo) ma che circola nelle vene pompato dal cuore?
Non è vero al 100% che il fuoco non è una sostanza (chiamata flogisto, come si credeva fino al sec. XVIII), ma si tratta di una reazione chimica?
....
Vuoi che ti compili una lista di altre 2 o 3 mila verità inconfutabili, oppure ti bastano queste?>>
PAUL11
...la scienza moderna infatti riconosce la sua fallibilità.
CARLO
Come ho già detto, "fallibilità" non significa che ogni verità scientifica sia fallibile (fallibilismo).
PAUL11
Altro esempio: l'alchimia.
Il passaggio alla chimica-fisica moderna fu da una parte il metodo sperimentale galileano e dall'altra la natura non fu più ritenuta un tabù, si agisce sui diagrammi di causa effetto, poi più tardi arriverà la concezione organicistica e non più meccanicistica, anche se continuano a convivere per convenzione,
Questo passaggio dall'alchimia alla sistematizzazione moderna guadagna nella manipolabilità sulla materia, ma perde l'essenza che era insita nell'alchimia della materia. La materia non è un semplice conglomerato di atomi e molecole con livelli energetici. C'è qualche altra energia che a tutt'oggi non è spiegabile ad esempio nelle teorie dell'abiogenesi, su come è nata la vita. Ma il medico riesce comunque a dare sollievo al paziente, anche se non conosce il principio della vita, perchè agisce sulla materialità, ma non sa se a sua volta esiste un meccanismo ancora più profondo, originario. (...)
Avendo perso i principi ontologici che riconducevano alle essenze, e l'alchimia era ancora in quella cultura antica, l'uomo guadagna in potenza materialistica, ma perde nell'essenza esistenziale e dell'essere.
CARLO
Sono totalmente d'accordo. L'alchimia vedeva la materia come una manifestazione dello spirito, come una realtà affine alla realtà spirituale e nella quale lo spirito stesso poteva rispecchiarsi analogicamente, nello stesso modo in cui, in Oriente, il taoismo considera lo Yin-Materia e lo Yang-Spirito come le due polarità fenomeniche del Principio-Tao trascendente. Infatti, per descrivere la mèta della loro ricerca (la Pietra Filosofale) gli alchimisti adottavano delle metafore che abbracciavano entrambe le realtà ultime, come, appunto, la pietra filosofale, lo hieròs gámos (matrimonio sacro), il salvator spiritus et naturae, l'homunculus, lo spiritus mercurialis, ecc..
Ma tutto ciò non vuol dire che la materia non sia ANCHE quel conglomerato di atomi e molecole descritto dalla scienza. E io sono sicuro che un giorno la visione alchemica e quella scientifica si fonderanno in una forma superiore di conoscenza.
E' interessante quanto scrive Jung a questo proposito:
<<La mancanza di risultati positivi ha gettato sull'alchimia un discredito che si è fatto sempre più ampio. Ma rimane ancora una serie di testimonianze che fanno chiaramente vedere come questi brancolamenti senza speranza dal punto di vista chimico assumano tutt'altro aspetto, se considerati sotto il profilo psichico. Come ho mostrato in "Psicologia e Alchimia (1944), durante il procedimento chimico si manifestavano quelle proiezioni psichiche che portavano alla luce i contenuti inconsci, spesso perfino in forma visionaria. Come ha riconosciuto la moderna psicologia clinica, in certi casi tali proiezioni possono rivelarsi della massima efficacia terapeutica. Non per nulla gli antichi "Artisti" identificavano la loro "nigredo" con la melanconia e celebravano l'Opus come un rimedio sovrano per tutte le "afflizioni dell'animo": l'esperienza aveva loro mostrato - e non v'era altro da aspettarsi - che se la borsa, invece di colmarsi d'oro, si svuotava ancora di più, la loro anima traeva profitto da quell'occupazione, supponendo, beninteso, che essi fossero riusciti a non soccombere di fronte a certi non trascurabili pericoli psichici.
Le proiezioni degli alchimisti non sono altro che contenuti inconsci che appaiono nella materia, quei medesimi contenuti che la psicoterapia moderna rende consci con il metodo dell'immaginazione attiva prima che essi si tramutino in proiezioni>>. [JUNG: Mysterium coniunctionis - pp.329-330]
<<Se il "Lapis philosophorum" fosse stato solo oro, gli alchimisti sarebbero stati dei ricconi; se fosse stato la panacea, avrebbero avuto un rimedio contro ogni malattia; se fosse stato l'elisir di lunga vita, sarebbero vissuti mille anni e forse più. Ma tutto questo non avrebbe reso necessario parlare del Lapis in termini religiosi. Se infatti quest'ultimo viene celebrato come il secondo avvento del Messia, allora bisogna supporre che gli alchimisti intendessero proprio qualcosa di questo genere. Essi concepivano l'Arte come un carisma, come un dono dello Spirito Santo o della Sapientia Dei; si trattava, comunque, pur sempre di opera umana, e il misterioso figlio di Dio veniva prodotto artificialmente nella storta, sebbene il fattore decisivo fosse proprio un miracolo divino>>. [JUNG: Mysterium coniunctionis - pp.327-8]
PAUL11
La cosa in sè non è la somma delle proprietà e parti. Jung non avrebbe trovato l'archetipo nei suoi pazienti se avesse seguito questa strada semplicistica.
CARLO
Io, invece, direi il contrario: che se Jung avesse dato retta all'idea kantiana di inconoscibilità del Trascendente, non avrebbe mai aperto la strada che ha portato alla conoscenza di quelle "cose in sé" che sono gli archetipi.
PAUL11
Questa cultura nega del tutto gli oggetti ontologici a cui tu credi, come Dio, spirito, ecc, in quanto nello schema sperimentale scientifico moderno sono indimostrabili "fisicamente e materialmente".
CARLO
Certo, la scienza si occupa SOLO di entità materiali-misurabili, quindi non può dire assolutamente nulla sulle entità metafisiche. Ma ciò non significa che esse siano inaccessibili alla conoscenza.
PAUL11
Per questo io non ritengo la scienza cultura, perché ha autolimitato il suo ambito e sbaglia quando si ritiene cultura e fa autolimitare altre culture come la filosofia.
CARLO
Infatti, le scienze della natura costituiscono SOLO UNA delle due polarità della cultura; l'ALTRA polarità è quella delle scienze dello spirito, sebbene quest'ultime non siano ancora pervenute alla determinazione di criteri di verità oggettivi comparabili a quelli che hanno trasformato l'antica Filosofia della Natura in una scienza affidabile ed estremamente feconda.
Insomma, le scienze della Natura non hanno alcuna colpa se le discipline dello spirito (tra cui la filosofia) sono ferme ad uno stadio ancora primitivo e non si sono mai evolute, come invece si è evoluta la scienza (nel dominio che le è proprio).
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 19:15:03 PM
Citazione di: Lou il 27 Luglio 2018, 18:30:39 PM
LOU
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. Derive di cui la crisi della filosofia trovo sia uno tra gli ingredienti che ha contribuito a crearle. Il postmodernismo, fortissimo nella sua pars destruens non ha avuto lo stesso slancio nella pars construens, ma, forse, le sue corde suonano l'atto decostruente come un momento di melodie creative.
Detto ciò e nonostante la narrazione scientifica in senso moderno risulti essere la narrazione più (con)vincente, ciò non la esime da critica e, soprattutto, figlia, abbastanza edipica a dire il vero, o sorella che sia, non esaurisce le interrogazioni che, volenti o nolenti, l'umano continua a porsi.
CARLO
Sono pienamente d'accordo.
A questo proposito ti propongo un brano di Cassirer molto significativo:
<<Che si fosse potuti arrivare a questa catastrofe, a questa disintegrazione dei nostri ideali di cultura etico-spirituali, non era, secondo Schweitzer, imputabile alla filosofia. Si trattava di un fatto emerso da altre condizioni nello sviluppo del pensiero. «Ma - spiega Schweitzer - la filosofia era colpevole perché non ammetteva il fatto... La vocazione ultima della filosofia è quella d'essere la guida e il guardiano della ragione in generale; sarebbe stato suo dovere, date le circostanze, confessare al mondo che gli ideali etici non erano più sorretti da alcuna concezione del mondo ma, sino a nuovo avviso, erano abbandonati a se stessi e dovevano farsi strada nel mondo con la loro sola forza intrinseca. Essa avrebbe dovuto esortarci a lottare a sostegno degli ideali su cui poggia la nostra civiltà... Non avrebbe dovuto risparmiare sforzo alcuno per rivolgere l'attenzione dei dotti e degli indotti al problema degli ideali della civiltà... Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna». Io credo che tutti noi, che negli ultimi decenni abbiamo lavorato nel campo della filosofia teoretica, meritiamo in certo senso questa censura di Schweitzer. Non mi escludo dal numero, né assolvo me stesso. Mentre conformavamo i nostri sforzi al concetto scolastico della filosofia, immersi nelle sue difficoltà fino a restar imprigionati nelle sue sottigliezze, troppo spesso abbiamo perso di vista l'autentico concetto della fìlosofìa nel suo nesso con il mondo.
Ma oggi non possiamo più tener chiusi gli occhi dinanzi al pericolo che ci minaccia. Oggi l'urgenza dei tempi ci ammonisce più vigorosamente e imperativamente che mai che sono di nuovo in giuoco per la filosofia le sue scelte ultime e supreme. Esiste davvero un qualcosa che chiamiamo verità teoretica oggettiva? Esiste davvero ciò che le generazioni precedenti hanno inteso come l'ideale della moralità, dell'umanità? Ed esistono proposizioni etiche universalmente vincolanti, che trascendano l'individuo, lo Stato, la nazione? In un'epoca in cui diviene possibile porre queste domande, la filosofia non può starsene in disparte, muta e inerte. Oggi come mai in passato è giunto per essa il momento di riflettere nuovamente su se stessa, su ciò che è e su ciò che è stata, sulla sua finalità fondamentale, sistematica, e sul suo passato storico-spirituale. [...] Senza la rivendicazione di una verità autonoma, oggettiva, indipendente, non soltanto la filosofia, ma tutte quante le scienze particolari, così della natura come dello spirito, perderebbero la loro stabilità e il loro senso. Nel nostro tempo non è dunque soltanto un'esigenza di metodo, ma un comune destino spirituale, che congiunge la filosofia alle scienze particolari, e lega strettamente l'una alle altre. Al pessimismo persuaso che l'ora della nostra cultura è suonata, che il «tramonto dell'Occidente» è ineluttabile, che null'altro possiamo fare se non contemplare questo tramonto in quieto raccoglimento; a questo pessimismo e fatalismo noi non intendiamo rassegnarci>>. [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.68/70]
<<Nel momento stesso in cui non ha più fiducia nel proprio potere, in cui cede il passo ad un atteggiamento meramente passivo, la fìlosofìa non è più in grado di assolvere il suo più importante compito educativo. Non può più insegnare all'uomo come sviluppare le sue facoltà attive al fìne di formare la sua vita individuale e sociale. Una filosofia la quale indulga a fosche predizioni circa il declino e l'inevitabile distruzione della cultura umana, una filosofia la cui attenzione sia totalmente concentrata sull'esser gettato dell'uomo, non può più fare il suo dovere. [...]
«Nel diciottesimo secolo e nei primi decenni del diciannovesimo - scrive Schweitzer - la filosofia s'era posta a guida del pensiero in generale. Allora la filosofia portava in idee elementari circa l'uomo, la società, la razza, l'umanità e la civiltà, alimentando così, in modo perfettamente naturale, una vivente filosofia popolare che a sua volta agiva sul pensiero in generale e teneva desto l'entusiasmo per la civiltà». Tutto ciò andò perduto durante la seconda metà dell'Ottocento. E la filosofia non si rese neppur conto della perdita. Non si accorse che la forza delle idee concernenti la civiltà ad essa affidate si affievoliva fino a svanire. Malgrado tutta la sua dottrina, la filosofia era divenuta straniera al mondo ed ai problemi di vita che concretamente occupavano l'uomo; e l'intero pensiero contemporaneo non prendeva parte alcuna nelle attività della sua epoca. [...] «La filosofia filosofò così poco sulla civiltà che non s'accorse che lei stessa e con essa l'epoca sua si svuotavano sempre più di civiltà. Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna»>>. [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.233/36]
Cassirer mi manca, leggo-grazie-quello che mi proponi e mi prendo tempo.
Però, e leggendoti, stai sicuro che "la" verità sia mera questione di terra piatta o tonda? La butto lì sta domanda, ma su la posta in gioco, in merito a verità, non ti pare differente?
Citazione di: Lou il 30 Luglio 2018, 01:39:43 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 19:15:03 PM
Citazione di: Lou il 27 Luglio 2018, 18:30:39 PM
LOU
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. [...]
CARLO
Sono pienamente d'accordo.
A questo proposito ti propongo un brano di Cassirer molto significativo:
[...]
LOU
Cassirer mi manca, leggo-grazie-quello che mi proponi e mi prendo tempo.
Però, e leggendoti, stai sicuro che "la" verità sia mera questione di terra piatta o tonda? La butto lì sta domanda, ma su la posta in gioco, in merito a verità, non ti pare differente?
CARLO
Trovi la mia risposta nel nuovo thread: "Perché un Principio universale?"
Per Oxdeadbeef
evitare di "segare" il ramo in cui si è" cioè evitare di delimitare l'ambito della conoscenza scientifica tagliando fuori la conoscenza chiamata alla riflessione critica sulla scienza stessa (riflessione che in questo modo dovrebbe autonegarsi come scientifica), è possibile nel momento in cui si riconosce, accanto al materiale fenomenico sensibile, che riportiamo alle categorie estetiche di spazio e tempo, un materiale fenomenico intelligibile, consistente nel complesso delle strutture trascendentali della mente, che in quanto "trascendentali", cioè operanti e presenti al di là delle contingenze empiriche spaziotemporali, non possono essere assimilati al materiale della sensibilità. La loro visione è a tutti gli effetti una visione metafisica, dato che il contenuto in questione non è di natura fisica, e se questa visione è ciò cui si fonda la critica della conoscenza, allora la scientificità di tale critica dovrebbe richiedere anche la validità scientifica della visione, cioè di una metafisica. Forse Kant non ha saputo trarre fino in fondo le conseguenze di questo discorso perché ha sovrapposto l'idea di "metafisica" quella di "ontologia", cioè ha associato l'idea di metafisica alla pretesa di far corrispondere un contenuto concettuale (in cui rientrerebbero le strutture trascendentali della conoscenza) ad un complesso di sostanze, esistenti reali ed autonome adeguato ad esso. Forse Kant è stato condizionato dalla necessità, storica, di doversi contrapporre alla metafisica cartesiana nella quale veniva operato un passaggio diretto dall'Io ancora formale e trascendentale (il cogito) a una sostanza autonoma (la res cogitans, l'anima) facendo coincidere metafisica e ontologia. Pur avendo parte di ragione nel contestare tale passaggio, Kant sarebbe caduto nell'errore di squalificare tout court la metafisica come scienza per evitare sovrapposizioni con l'ontologia, cioè per evitare la sostanzializzazione delle categorie a priori, non tenendo conto che è possibile riconoscere la validità della visione metafisica tesa a oggettivare un contenuto intelligibile, le condizioni a priori della conoscenza, cioè il contenuto della critica, senza per forza identificare tale contenuto con una sostanza reale come l' "anima" o "Dio".
Per Carlo Pierini
Se un giorno venissimo a scoprire che gli scopritori delle verità delle scienze sperimentali che oggi accettiamo come assodate erano in realtà vittime di disturbi dell'apparato percettivo, dovremmo rimettere in discussione le loro scoperte, che proprio dai loro strumenti percettivi soggettivi traggono la loro fonte. Possiamo considerare questa ipotesi come fantascientifica, improbabile, ma non escluderla al 100%. In questo caso la lingua italiana ci viene in aiuto per chiarire questa cosa attraverso l'espressione "PRATICAMENTE IMPOSSIBILE". Ciò che è "praticamente impossibile" si distingue a rigor di termini da ciò che è "ASSOLUTAMENTE IMPOSSIBILE". Quel "praticamente" sta ad attestare che il tipo di impossibilità che specifica non è in assoluto non-smentibile, ma consiste in un'improbabilità sufficiente a orientare una linea d'azione, appunto pratica, una linea d'azione che può consentirsi di trascurare l'ipotesi che l'evento a cui ci si sta riferendo possa davvero realizzarsi. Posso ritenere "praticamente impossibile" che nella mente di mio familiare, con cui ho vissuto per tanti anni possa sorgere l'idea di uccidermi o farmi intenzionalmente, e da ciò deriverà una linea d'azione che trascura quest'ipotesi e si incentrerà su una piena fiducia nei suoi confronti, anche se l'ipotesi che in un certo momento, in un attimo di follia imprevedibile dall'esterno, la sua personalità possa mutare non può essere esclusa al 100%. Diverso è il caso dei giudizi deducibili dagli assiomi della logica formale: Il principio di non contraddizione per cui, una volta data l'uguaglianza di A e B, e di B e C, si determina che A è uguale a C, fa sì che, stante le premesse, che A sia diversa da C, non sia "praticamente impossibile", ma "assolutamente impossibile". Cioè, non si tratta solo di un'improbabilità di cui un certo comportamento pratico può permettersi di non far caso, ma di un'impossibilità certa, che lascerebbe nella totale assurdità qualunque tentativo di negarla come tale. Ed è proprio verso questo ambito, questo modello di certezze assolute, che sfugge alle scienze sperimentali, perché non ricavabili empiricamente, che la filosofia si orienta, al di là delle sue difettose applicazioni storiche
Citazione di: davintro il 31 Luglio 2018, 00:59:19 AM
Per Carlo Pierini
Se un giorno venissimo a scoprire che gli scopritori delle verità delle scienze sperimentali che oggi accettiamo come assodate erano in realtà vittime di disturbi dell'apparato percettivo, dovremmo rimettere in discussione le loro scoperte, che proprio dai loro strumenti percettivi soggettivi traggono la loro fonte.
(...)
Diverso è il caso dei giudizi deducibili dagli assiomi della logica formale: Il principio di non contraddizione per cui, una volta data l'uguaglianza di A e B, e di B e C, si determina che A è uguale a C, fa sì che, stante le premesse, che A sia diversa da C, non sia "praticamente impossibile", ma "assolutamente impossibile".
CARLO
Hai un'idea
di scienza molto approssimativa.Che i pianeti girano intorno al Sole (e non intorno alla Terra come risultava dai nostri "
strumenti percettivi") lo abbiamo scoperto grazie alla Logica (matematica e geometria), a quella stessa Logica che impone A=C. ...Ergo, così com'è impossibile che A sia diverso da C, è altrettanto impossibile che i pianeti non girino attorno al Sole.
Infatti, la Fisica (intesa come scienza) non è la trascrizione passiva dei dati forniti dai nostri "apparati percettivi", ma è una
interpretazione su base logica di quei dati. La Fisica, cioè, non è altro che la Logica applicata ai fenomeni fisici.
Rispondo a
@sgiombo,
CitazioneLa conoscenza, sia di senso comune che scientifica (fra le quali ritengo esista una differenza meramente "quantitativa" o "di grado") é sempre e comunque inevitabilmente conoscenza di fenomeni, mai di cose in sé. Questa conoscenza (fondata anche su presupposti arbitrari, degni di dubbio in linea teorica o di principio che ne sono conditiones sine qua non; per lo meno di quella scientifica) tende di fatto (salvo controtendenze) a progredire, a farsi più completa, più esatta, meno "inquinata da credenze false", avvicinandosi per così dire "asintoticamente" a un ideale di conoscenza completa, assolutamente precisa, del tutto "monda da convinzioni errate e false" del mondo fenomenico (anzi, a rigore, solo della sua componente o "parte" materiale per quanto riguarda la conoscenza scientifica) per come é e diviene.
Ma non invece ad alcuna pur limitata conoscenza della realtà in sé o noumeno, che é diversa cosa dalla realtà fenomenica (materiale; intesa) nella sua completezza (conoscibile): passando da Newton ad Einstein e alla M Q ci siamo progressivamente avvicinati a una (ideale) conoscenza completa, esatta, scevra da errori e falsità del mondo fenomenico materiale (cui abbiamo accesso cosciente); la quale però é tutt' altro che una conoscenza delle cose in sé (se ci sono) reali indipendentemente dalla realtà delle sensazioni fenomeniche (delle quali l' "esse est percipi"): ma nella conoscenza delle cose in sé non siamo avanzati di un millimetro, a loro sua ipotetica conoscenza "perfetta" non si siamo per niente avvicinati.
Il punto è che il "noumeno" non è né uguale né diverso dal fenomeno. Perchè? Il fenomeno è "la realtà vista da noi", il noumeno è "la-realtà-così-come-è". Nota che il noumeno non è un'altra realtà rispetto i fenomeni. Per certi versi, il noumeno è il fenomeno ben compreso. Il problema di non ammettere la parziale conoscibilità del fenomeno è che non si spiega perchè (1) i fenomeni presentano regolarità (2) vi è una presenza di fenomeni e menti.
Buone vacanze!
Rispondo a
@Carlo:CitazioneE' proprio questo l'errore fondamentale della concezione kantiana-humiana e, quindi, dell'epistemologia che ad essa si ispira. E' profondamente ambiguo sostenere che <<il fondamento della verità è dato dalla "realtà-così-come-è>>, perché, di fatto, nessuna delle verità con cui la Scienza ha rivoluzionato il pensiero e la vita materiale dell'uomo coincide rigorosamente con la "realtà-così-com'è", ma esse fanno parte di un processo progressivo che TENDE A descrivere la "realtà-così-com'è" attraverso l'acquisizione di un numero via via crescente di tante piccole verità indubitabili riguardanti sia i fenomeni (la Terra è rotonda, i pianeti girano intorno al Sole, ecc.), sia le leggi che governano le relazioni tra i fenomeni (legge di gravità, leggi della dinamica, dell'elettricità, della termodinamica, ecc.).
Infatti, la verità non si definisce come "la realtà così com'è" (verità = oggetto assoluto) ma come la concordanza rigorosa tra i fenomeni oggettivi osservati e la descrizione soggettiva di essi, cioè, come sosteneva Spinoza: <<ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>. Ed è con QUESTO concetto di verità che si è costruita la forma di conoscenza più feconda e rivoluzionaria che l'uomo abbia mai concepito (è per questo che nessuno risponde alle domande che ho formulato nel post di apertura).
Pertanto, è assolutamente infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile. Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"
Concordo che le "verità scientifiche" date dallo studio dei fenomeni sono
verità nel senso vero della parola. Non ho mai sostenuto che servono una somma infinità di verità indubitabili. Quello che sostengo io è che per comprendere la "realtà-così-come-è" è necessario
cambiare qualitativamente la mente, una sorta di "metanoia" Platonica (una "seconda" metanoia, visto che la prima nasce dalla contemplazione delle verità del mondo fenomenico). Il discorso è che, anche se avessimo una teoria scientifica perfetta essa riguarderebbe solo la realtà fenomenica e non la "realtà-così-come-è". Perchè? perchè sarebbe pur sempre una conoscenza basata su una struttura della mente che per sua natura non percepisce "le cose come sono" ma le "rappresenta", le "distorce". Un motivo per cui nasce questa rappresentazione potrebbe essere evolutivo: potrebbe non convenirci a livello evolutivo vedere le cose come sono.
Tuttavia ciò non toglie che possiamo avere una conoscenza parziale della "verità ultima". Come? Vedendo le regolarità dei fenomeni come spiegavo nel mio precedente messaggio. In fin dei conti, il solo fatto che i fenomeni non siano modificabili a nostro piacimento e che le loro regole siano indipendenti dalla nostra volontà, significa che certe caratteristiche non dipendono da noi.
Per quanto riguarda Kant e Jung, ok! vedo la differenza. Ad ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili. In fin dei conti, per dimostrarle probabilmente serve una sorta di "realizzazione"/"risveglio". Ma una realizzazione non è una argomentazione filosofica...
Citazione di: Apeiron il 01 Agosto 2018, 23:38:09 PM
CitazioneE' proprio questo l'errore fondamentale della concezione kantiana-humiana e, quindi, dell'epistemologia che ad essa si ispira. E' profondamente ambiguo sostenere che <<il fondamento della verità è dato dalla "realtà-così-come-è>>, perché, di fatto, nessuna delle verità con cui la Scienza ha rivoluzionato il pensiero e la vita materiale dell'uomo coincide rigorosamente con la "realtà-così-com'è", ma esse fanno parte di un processo progressivo che TENDE A descrivere la "realtà-così-com'è" attraverso l'acquisizione di un numero via via crescente di tante piccole verità indubitabili riguardanti sia i fenomeni (la Terra è rotonda, i pianeti girano intorno al Sole, ecc.), sia le leggi che governano le relazioni tra i fenomeni (legge di gravità, leggi della dinamica, dell'elettricità, della termodinamica, ecc.).
Infatti, la verità non si definisce come "la realtà così com'è" (verità = oggetto assoluto) ma come la concordanza rigorosa tra i fenomeni oggettivi osservati e la descrizione soggettiva di essi, cioè, come sosteneva Spinoza: <<ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>. Ed è con QUESTO concetto di verità che si è costruita la forma di conoscenza più feconda e rivoluzionaria che l'uomo abbia mai concepito (è per questo che nessuno risponde alle domande che ho formulato nel post di apertura).
Pertanto, è assolutamente infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile. Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"
APEIRON
Concordo che le "verità scientifiche" date dallo studio dei fenomeni sono verità nel senso vero della parola. Non ho mai sostenuto che servono una somma infinità di verità indubitabili. Quello che sostengo io è che per comprendere la "realtà-così-come-è" è necessario cambiare qualitativamente la mente, una sorta di "metanoia" Platonica (una "seconda" metanoia, visto che la prima nasce dalla contemplazione delle verità del mondo fenomenico). Il discorso è che, anche se avessimo una teoria scientifica perfetta essa riguarderebbe solo la realtà fenomenica e non la "realtà-così-come-è".
CARLOCerto, ma non ci troviamo di fronte a due realtà separate e indipendenti. I fenomeni non sono altro che le manifestazioni della "realtà-così-com'è", le modalità attraverso le quali essa si offre alla conoscenza. Quindi non vedo alcuna ragione per sentenziarne l'inconoscibilità. Solo ciò che non si mostra all'esperienza è inconoscibile.APEIRONPerchè? Perchè sarebbe pur sempre una conoscenza basata su una struttura della mente che per sua natura non percepisce "le cose come sono" ma le "rappresenta", le "distorce". CARLOE chi l'ha detto che non ci sia una analogia/corrispondenza/complementarità ontologica tra la struttura della mente e la struttura della realtà?Se esiste un principio ultimo (come ormai è certo) il soggetto e gli oggetti del sapere discendono tutti da esso, quindi, in quanto ontologicamente simili/affini/analoghi, possono rispecchiarsi l'uno nell'altro. Infatti, la concezione di "conoscenza" assolutamente prevalente nella storia del pensiero si configura come un confronto analogico di principio tra due realtà simili: il soggetto e l'oggetto. "Il simile conosce il simile" scriveva Empedocle in ossequio al principio di analogia; "l'anima conosce il contrario" gli faceva eco Anassagora in ossequio al principio di opposizione; "...l'anima si unisce all'oggetto", rispondeva Plotino in ossequio al principio di unità degli opposti (analogia/similitudine, opposizione e unità dei termini dialettici sono i tre caratteri fondamentali del "trinitario" Principio di Complementarità). E poi:"Per Schelling, una pura attività soggettiva non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e un principio puramente oggettivo non potrebbe spiegare l'origine dell'intelligenza, della ragione e dell'io. Il principio supremo dev'essere quindi un Assoluto o Dio che sia insieme principio del soggetto e principio dell'oggetto, della ragione e della natura. Cioè che sia l'unità di entrambi. (...) La natura deve avere in sé un principio autonomo che la spieghi in tutti i suoi aspetti. E questo principio dev'essere identico con quello che spiega il mondo della ragione, dell'io, quindi la storia". [N. ABBAGNANO - Storia della Filosofia, vol. V - pp. 77-78]"Per M. Ficino, il principio dell'affinità si fa valere dapprima nella dottrina ontologica del pensiero, come abbiamo visto sopra. Poiché il soggetto del pensiero appartiene anch'esso all'ordine oggettivo dell'essere, anche l'atto del pensiero dovrà presentarsi come un rapporto reale del pensante e del pensato. Perciò ogni possibilità del conoscere si fonda su un'affinità originaria della mente con i suoi oggetti. E viceversa l'intelletto e il suo oggetto, appunto mediante la conoscenza, sono congiunti in un'unità concreta da cui risulta immediatamente la verità del pensiero". [P.O. KRISTELLER: Il pensiero filosofico di M. Ficino - pg.105]"La visione ermetica si fonda sull'analogia fra l'universo (macrocosmo) e l'uomo (microcosmo). [...] L'universo e l'uomo si rispecchiano l'uno nell'altro: tutto ciò che si trova nel primo deve trovarsi, in un modo o nell'altro, anche nel secondo. Tale corrispondenza potrà essere meglio intuita riconducendola alla relazione soggetto-oggetto, conoscente-conosciuto: il mondo, in quanto oggetto, si riflette a tal punto nello specchio del soggetto umano che non ci sarebbe possibile percepirlo al di fuori di quest'ultimo. [...] Queste due polarità possono anche essere distinte, ma in nessun caso separate. [...]Se il soggetto, in quanto polarità interiore della conoscenza, non fosse che un puro centro di sensibilità individuale legato alle vicende del corpo e sottomesso alle sue leggi, non sarebbe evidentemente «all'altezza» del suo oggetto; la conoscenza oggettiva del mondo sarebbe impossibile, non esisterebbe anzi nessun livello oggettivo di conoscenza". [TITUS BURCKHARDT: Alchimia - pg.35]"L'incontro del simile col simile, l'omogeneità, sono i concetti di cui Platone si serve per spiegare i processi conoscitivi: conoscere significa rendere simile il pensante al pensato. (...)Secondo S. Agostino, l'uomo può conoscere Dio in quanto egli stesso è immagine di Dio" (...)Tommaso, pur sanzionando esplicitamente il principio che ogni conoscenza avviene per assimilationem o per unionem della cosa conosciuta e del soggetto conoscente, afferma che "l'oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso" (...)Cusano dice esplicitamente che l'intelletto non intende se non si assimila all'oggetto; e Ficino dice che la conoscenza è l'unione spirituale con qualche forma spirituale". (...)Campanella afferma: "Noi conosciamo ciò che è, perché ci rendiamo simili ad esso". (...)Shelling affermava: "Nello stesso fatto del sapere, l'oggetto e il soggetto sono così uniti che non si può dire a quale dei due tocchi la priorità". (...)Il concetto del conoscere come processo di unificazione di soggetto e oggetto nell'idea domina da un capo all'altro la filosofia di Hegel". (...)Secondo Wittgenstein "ci dev'essere qualcosa di identico nell'immagine conoscitiva e nell'oggetto raffigurato, affinché quella possa essere l'immagine di questo". [N. ABBAGNANO: Dizionario di Filosofia - da p. 157 a p. 164]APEIRONPer quanto riguarda Kant e Jung, ok! vedo la differenza. Ad ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili. CARLONon è dimostrabile che ...siano teorie indimostrabili. :) Anzi, io ho raccolto un numero di osservazioni convergenti all'idea di universalità della Complementarità più che sufficiente a dimostrarne la fondatezza.
Grazie per la risposta e le citazioni. Citazione
Certo, ma non ci troviamo di fronte a due realtà separate e indipendenti. I fenomeni non sono altro che le manifestazioni della "realtà-così-com'è", le modalità attraverso le quali essa si offre alla conoscenza. Quindi non vedo alcuna ragione per sentenziarne l'inconoscibilità. Solo ciò che non si mostra all'esperienza è inconoscibile.
Come dicevo in risposta a @sgiombo, nemmeno io le considero separate ed indipendenti. In realtà, il fenomeno è il noumeno. Se così non fosse, cadremmo nel paradosso del "realismo indiretto" sostenuto da Cartesio, Spinoza, Locke ecc, ovvero che noi non abbiamo conoscenza delle cose esterne ma di "idee" presenti nella nostra mente nate dal contatto con "qualcosa di esterno". No, quello che sto dicendo io è che, in realtà, noi effettivamente vediamo le "cose esterne" ma è il modo in cui le vediamo che dipende dalla struttura della nostra mente. Se non si tiene conto di ciò, si sbaglia secondo me.
In sostanza è come se avessi sempre agli occhi degli occhiali da sole non riesci a "dimostrarlo". Perchè? perchè guardi sempre al mondo fenomenico e non analizzi lo strumento con cui cerchi di conoscere il mondo fenomenico. Credo che tu hai familiarità col concetto di "errore sistematico". Uno strumento di misura con errore sistematico sbaglierà sempre le misure. L'unico modo che hai per dimostrare che c'è un errore di quel tipo è confrontare le misure effettuate usando quello strumento con i risultati ottenuti usando gli altri. Ma usando solo quello strumento non ti puoi accorgere che c'è l'errore sistematico (o meglio, te ne puoi accorgere utilizzando le tue facoltà mentali. Ma in tal caso stai eseguendo un confronto)
.
CitazioneCARLO E chi l'ha detto che non ci sia una analogia/corrispondenza/complementarità ontologica tra la struttura della mente e la struttura della realtà? Se esiste un principio ultimo (come ormai è certo) il soggetto e gli oggetti del sapere discendono tutti da esso, quindi, in quanto ontologicamente simili/affini/analoghi, possono rispecchiarsi l'uno nell'altro. Infatti, la concezione di "conoscenza" assolutamente prevalente nella storia del pensiero si configura come un confronto analogico di principio tra due realtà simili: il soggetto e l'oggetto. "Il simile conosce il simile" scriveva Empedocle in ossequio al principio di analogia; "l'anima conosce il contrario" gli faceva eco Anassagora in ossequio al principio di opposizione; "...l'anima si unisce all'oggetto", rispondeva Plotino in ossequio al principio di unità degli opposti (analogia/similitudine, opposizione e unità dei termini dialettici sono i tre caratteri fondamentali del "trinitario" Principio di Complementarità). E poi: "Per Schelling, una pura attività soggettiva non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e un principio puramente oggettivo non potrebbe spiegare l'origine dell'intelligenza, della ragione e dell'io. Il principio supremo dev'essere quindi un Assoluto o Dio che sia insieme principio del soggetto e principio dell'oggetto, della ragione e della natura. Cioè che sia l'unità di entrambi. (...) La natura deve avere in sé un principio autonomo che la spieghi in tutti i suoi aspetti. E questo principio dev'essere identico con quello che spiega il mondo della ragione, dell'io, quindi la storia". [N. ABBAGNANO - Storia della Filosofia, vol. V - pp. 77-78] "Per M. Ficino, il principio dell'affinità si fa valere dapprima nella dottrina ontologica del pensiero, come abbiamo visto sopra. Poiché il soggetto del pensiero appartiene anch'esso all'ordine oggettivo dell'essere, anche l'atto del pensiero dovrà presentarsi come un rapporto reale del pensante e del pensato. Perciò ogni possibilità del conoscere si fonda su un'affinità originaria della mente con i suoi oggetti. E viceversa l'intelletto e il suo oggetto, appunto mediante la conoscenza, sono congiunti in un'unità concreta da cui risulta immediatamente la verità del pensiero". [P.O. KRISTELLER: Il pensiero filosofico di M. Ficino - pg.105] "La visione ermetica si fonda sull'analogia fra l'universo (macrocosmo) e l'uomo (microcosmo). [...] L'universo e l'uomo si rispecchiano l'uno nell'altro: tutto ciò che si trova nel primo deve trovarsi, in un modo o nell'altro, anche nel secondo. Tale corrispondenza potrà essere meglio intuita riconducendola alla relazione soggetto-oggetto, conoscente-conosciuto: il mondo, in quanto oggetto, si riflette a tal punto nello specchio del soggetto umano che non ci sarebbe possibile percepirlo al di fuori di quest'ultimo. [...] Queste due polarità possono anche essere distinte, ma in nessun caso separate. [...] Se il soggetto, in quanto polarità interiore della conoscenza, non fosse che un puro centro di sensibilità individuale legato alle vicende del corpo e sottomesso alle sue leggi, non sarebbe evidentemente «all'altezza» del suo oggetto; la conoscenza oggettiva del mondo sarebbe impossibile, non esisterebbe anzi nessun livello oggettivo di conoscenza". [TITUS BURCKHARDT: Alchimia - pg.35] "L'incontro del simile col simile, l'omogeneità, sono i concetti di cui Platone si serve per spiegare i processi conoscitivi: conoscere significa rendere simile il pensante al pensato. (...) Secondo S. Agostino, l'uomo può conoscere Dio in quanto egli stesso è immagine di Dio" (...) Tommaso, pur sanzionando esplicitamente il principio che ogni conoscenza avviene per assimilationem o per unionem della cosa conosciuta e del soggetto conoscente, afferma che "l'oggetto conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente stesso" (...) Cusano dice esplicitamente che l'intelletto non intende se non si assimila all'oggetto; e Ficino dice che la conoscenza è l'unione spirituale con qualche forma spirituale". (...) Campanella afferma: "Noi conosciamo ciò che è, perché ci rendiamo simili ad esso". (...) Shelling affermava: "Nello stesso fatto del sapere, l'oggetto e il soggetto sono così uniti che non si può dire a quale dei due tocchi la priorità". (...) Il concetto del conoscere come processo di unificazione di soggetto e oggetto nell'idea domina da un capo all'altro la filosofia di Hegel". (...) Secondo Wittgenstein "ci dev'essere qualcosa di identico nell'immagine conoscitiva e nell'oggetto raffigurato, affinché quella possa essere l'immagine di questo". [N. ABBAGNANO: Dizionario di Filosofia - da p. 157 a p. 164] APEIRON
Beh, secondo me una prospettiva "pseudo-Kantiana" per certi versi è compatibile con la complementarità che tu cerchi. Secondo Kant (e Schopenhauer) l'oggetto è sempre un oggetto-rispetto-ad-un-soggetto. Interpreto la cosa in questo modo. Anche quando immaginiamo un paese fantastico, lo immaginiamo sempre con caratteristiche abbastanza familiari. Ciò significa che mondo fenomenico (sia "empirico" che "immaginato") e soggetto sono correlati. Possiamo conoscere il mondo fenomenico proprio in virtù di questa correlazione (che sottointende la somiglianza). E ammetto pure una cosa: la filosofia di Kant non riesce davvero a spiegare questa correlazione.
Ma la conoscibilità del "manifesto" è spiegata. Perchè? grazie alla correlazione. Che dire però della natura della mente e dei fenomeni? E qui mi distanzio da Kant. Vediamo, per esempio, che non possiamo immaginarci un mondo completamente privo di leggi della fisica. Tuttavia, nel nostro mondo fenomenico vediamo che la Terra ruota attorno al Sole e non viceversa, che la Terra non è piatta ecc E non solo: queste proprietà ci sono note a posteriori, con lo studio dei fenomeni naturali. Mentre la "spazialità" è una caratteristica a priori della nostra esperienza, non così possiamo dire, invece, del fatto che la Terra non è piatta (se non vogliamo abbracciare una sorta di solipsimo). Perchè, dunque, il mondo fenomenico segue certe leggi rispetto ad altre? Qui la filosofia di Kant impone un silenzio. Secondo me, invece, le leggi sono quelle che sono perchè "approssimano" la "realtà-così-come-è". Ergo la filosofia di Kant, secondo me, non riesce a spiegare perchè le leggi della fisica sono quelle che sono e non altre. Dunque l'immagine che noi abbiamo del mondo è il fenomeno. Tale immagine del mondo, secondo me, è veramente "distorta". Perchè? perchè lo "strumento" è imperfetto. Nota che questo tipo di riflessione è presente in molti scritti dell'antichità. Nei testi indiani si dice che quasi tutti gli uomini sono in uno stato di "ignoranza" (avidya) che impedisce di far "comprendere" la natura della realtà. Simili idee si trovano in Platone e nel Cristianesimo (esempio: in 1Corinzi 13:12 San Paolo: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto." Un'immagine simile la trovi nel Fedone di Platone.)
Citazione
Per quanto riguarda Kant e Jung, ok! vedo la differenza. Ad ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili. CARLO Non è dimostrabile che ...siano teorie indimostrabili. :) Anzi, io ho raccolto un numero di osservazioni convergenti all'idea di universalità della Complementarità più che sufficiente a dimostrarne la fondatezza.
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Il fatto che ci siano opinioni di eminenti filosofi a sostegno di una tesi fornisce indizi e non prove. E temo che per dimostrare veramente la tua (interessante) teoria servirebbe una "illuminazione". Cosa che, però, è prima di tutto un'"esperienza" privata :)
Citazione di: Apeiron il 05 Agosto 2018, 21:48:16 PM
Grazie per la risposta e le citazioni.
CitazioneCARLO
Certo, ma non ci troviamo di fronte a due realtà separate e indipendenti. I fenomeni non sono altro che le manifestazioni della "realtà-così-com'è", le modalità attraverso le quali essa si offre alla conoscenza. Quindi non vedo alcuna ragione per sentenziarne l'inconoscibilità. Solo ciò che non si mostra all'esperienza è inconoscibile.
APEIRON
Come dicevo in risposta a @sgiombo, nemmeno io le considero separate ed indipendenti. In realtà, il fenomeno è il noumeno.
CARLOCome già ti dissi l'anno scorso, Kant ha manipolato, rovesciandolo (secolarizzandolo), il significato di noumeno , rispetto alla sua valenza originaria che Platone faceva coincidere essenzialmente con quella di "archetipo", di "modello originario della cosa fisica sensibile" esistente in sé metafisicamente come "idea divina". Quindi non c'è identità tra noumeno e "cosa", ma solo una corrispondenza analogica; per intenderci, lo stesso tipo di corrispondenza che Tommaso concepiva tra Principio e mondo, tra Dio e creato (il creato inteso come imago Dèi). E quella che Kant chiama la "cosa in sé" non è altro che la cosa corredata di tutte le proprietà-qualità-verità che la riguardano e che la relazionano col resto del mondo; quindi si tratta di un'entità conoscibile dall'osservazione delle sue manifestazioni fenomeniche. Ribadisco che è lecito considerare inconoscibile SOLO ciò che non si manifesta fenomenicamente all'esperienza.APEIRON...quello che sto dicendo io è che, in realtà, noi effettivamente vediamo le "cose esterne" ma è il modo in cui le vediamo che dipende dalla struttura della nostra mente. Se non si tiene conto di ciò, si sbaglia secondo me.
In sostanza è come se avessi sempre agli occhi degli occhiali da sole non riesci a "dimostrarlo". Perchè? perchè guardi sempre al mondo fenomenico e non analizzi lo strumento con cui cerchi di conoscere il mondo fenomenico. Credo che tu hai familiarità col concetto di "errore sistematico". Uno strumento di misura con errore sistematico sbaglierà sempre le misure. L'unico modo che hai per dimostrare che c'è un errore di quel tipo è confrontare le misure effettuate usando quello strumento con i risultati ottenuti usando gli altri. Ma usando solo quello strumento non ti puoi accorgere che c'è l'errore sistematico (o meglio, te ne puoi accorgere utilizzando le tue facoltà mentali. Ma in tal caso stai eseguendo un confronto).CARLOL'idea di "errore sistematico" è totalmente immaginaria e infondata. Se la nostra conoscenza fosse falsata da uno o più "errori sistematici", le decine di migliaia di scoperte e di realizzazioni tecnologiche della scienza sarebbero state assolutamente impossibili e non si sarebbe mai realizzata quella rivoluzione del pensiero che chiamiamo rivoluzione scientifica.Ed è proprio questo immenso successo interpretativo della scienza che inclina a pensare ci sia una analogia/corrispondenza/complementarità ontologica tra la struttura della mente e la struttura della realtà; che esista, cioè, un principio ultimo da cui discendonosia il soggetto che gli oggetti del sapere e, quindi, in quanto ontologicamente simili/affini/analoghi, possono rispecchiarsi l'uno nell'altro. Infatti, la concezione di "conoscenza" assolutamente prevalente nella storia del pensiero si configura come un confronto analogico di principio tra due realtà simili: il soggetto e l'oggetto.APEIRON
Dunque l'immagine che noi abbiamo del mondo è il fenomeno. Tale immagine del mondo, secondo me, è veramente "distorta". Perchè? perchè lo "strumento" è imperfetto. Nota che questo tipo di riflessione è presente in molti scritti dell'antichità. Nei testi indiani si dice che quasi tutti gli uomini sono in uno stato di "ignoranza" (avidya) che impedisce di far "comprendere" la natura della realtà. Simili idee si trovano in Platone e nel Cristianesimo (esempio: in 1Corinzi 13:12 San Paolo: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto." CARLOLa dicitura esatta è:<<La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto>>.Qui Paolo dice: <<quando verrà ciò che è perfetto>> alludendo alla futura venuta del "secondo Adamo", cioè del Cristo-Logos di cui Giovanni dice:"In principio era il Logos, il Logos era presso Dio e il Logos era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste". (Giovanni, 1:1-4)Leggi i miei due threads seguenti, nei quali ho approfondito il significato del Logos-Principio:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-simbolo-della-conoscenza-sulla-banconota-da-1-dollaro/https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-e-il-mito-biblico-dell'eden/Cit. APEIRONAd ogni modo, ti ripeto che apprezzo molti aspetti del tuo pensiero. Tuttavia, non cambio idea sul fatto che sono teorie indimostrabili. Cit. CARLO Non è dimostrabile che ...siano teorie indimostrabili. :) Anzi, io ho raccolto un numero di osservazioni convergenti all'idea di universalità della Complementarità più che sufficiente a dimostrarne la fondatezza.
APEIRON
Il fatto che ci siano opinioni di eminenti filosofi a sostegno di una tesi fornisce indizi e non prove. CARLOLo so. Infatti non alludevo alle citazioni dei filosofi, ma alle circa duemila pagine di osservazioni oggettive che ho raccolto in questi 25 anni di ricerca, tra cui le osservazioni di Jung nel campo della psicologia, quelle di Eccles in neurobiologia, quelle di una ampia schiera di storici delle idee religiose (che mostrano l'esistenza degli archetipi), e moltissime altre in diversi campi della ricerca.E, comunque, se non ho pubblicato quegli scritti è solo perché considererò conclusa la mia ricerca solo quando avrò dimostrato (se ci riuscirò) la validità del Principio nel campo della Fisica. Solo allora il Principio potrà considerarsi definitivamente e inoppugnabilmente dimostrato.APEIRONE temo che per dimostrare veramente la tua (interessante) teoria servirebbe una "illuminazione". Cosa che, però, è prima di tutto un'"esperienza" privata :)CARLOLe varie "illuminazioni" di cui parlo in alcuni threads, non sono solo "esperienze private", ma contengono importanti elementi di oggettività che puoi cogliere facilmente se leggi i miei resoconti. Se non li hai letti, te li linko qui per comodità:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-sogno-archetipico/https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?
Insomma, questo "spread" tra la critica filosofica della Scienza e la Scienza reale, non dipenderà forse dal fatto che sono proprio i SUOI (della critica) criteri di verità ad essere <<infondati, indimostrabili e non-provabili>>? Non dovremo forse RIFONDARE la critica sul modello scientifico il quale non attribuisce alcun valore epistemico a giudizi che non trovino conferma nella realtà dei fatti?
Ma prima della scienza come faceva l'uomo ad interagire utilmente con la realtà?
Il fatto che con la cosiddetta rivoluzione scientifica ci sia stato un salto notevole non comporta necessariamente una discontinuità nella qualità di questa interazione.
La contrapposizione se c'e,non è fra filosofia e scienza.
La scienza non è figlia della filosofia . ma una evoluzione in continuità dell'arte di arrangiarsi a questo mondo, arte che la filosofia ha assistito e continua ad assistere.
L'impressione che vi sia una discontinuità nasce da un salto quantitativo notevole mei modi in cui interagiamo col mondo.Questa interazione era già efficace prima e continua ad esserlo e continua a dare i suoi frutti.
Sulla bontà dei nuovi frutti non sono così certo.Vedremo come va' a finire.
Diciamo che fino a un certo punto è andata bene.
Il problema è, come dici in altro post, è che questa apparente discontinuità ha creato specializzazioni necessarie, fonti di fazioni contrapposte inevitabilmente.
La scienza non serve l'uomo , me l'uomo serve la scienza.La scienza è l'uomo.
Rimane da spiegare il motivo del salto quantitativo,non qualitativo,che la rivoluzione scientifica ha comportato , nelle "tecniche " di interazione con la realtà.
Clredo il motivo sia la presa di coscienza di queste tecniche.La loro esplicitazione.Questa è la strada che ha preso l'evoluzione umana, e ripeto vedremo come va' a finire.Io credo bene.
La critica della scienza si può vedere come la storia di questa presa di coscienza, quindi in se' non è da criticare.
La scienza non è figlia della filosofia ,ma entrambe fanno parte dell'arte di arrangiarsi a questo mondo in piena continuità,anche quando non sembra.
Infine chiedo scusa se mi esprimo con termini semplici a fronte dei tuoi post ben argomentati è che apprezzo molto.
Citazione di: iano il 25 Agosto 2018, 04:30:28 AM
La critica della scienza si può vedere come la storia di questa presa di coscienza, quindi in se' non è da criticare.
La scienza non è figlia della filosofia ,ma entrambe fanno parte dell'arte di arrangiarsi a questo mondo in piena continuità,anche quando non sembra.
CARLO
Sotto certi aspetti la scienza, più che figlia della filosofia,
è la filosofia stessa, è filosofia applicata alla comprensione/conoscenza del mondo fisico. Infatti, i filosofi del passato - fino a Newton - chiamavano la Fisica anche "Filosofia della della Natura".
In altre parole, filosofia e scienza costituiscono i fondamenti di quella che tu chiami "l'arte di arrangiarsi".
Citazione di: Apeiron il 01 Agosto 2018, 23:38:09 PM
Rispondo a @sgiombo,
CitazioneLa conoscenza, sia di senso comune che scientifica (fra le quali ritengo esista una differenza meramente "quantitativa" o "di grado") é sempre e comunque inevitabilmente conoscenza di fenomeni, mai di cose in sé. Questa conoscenza (fondata anche su presupposti arbitrari, degni di dubbio in linea teorica o di principio che ne sono conditiones sine qua non; per lo meno di quella scientifica) tende di fatto (salvo controtendenze) a progredire, a farsi più completa, più esatta, meno "inquinata da credenze false", avvicinandosi per così dire "asintoticamente" a un ideale di conoscenza completa, assolutamente precisa, del tutto "monda da convinzioni errate e false" del mondo fenomenico (anzi, a rigore, solo della sua componente o "parte" materiale per quanto riguarda la conoscenza scientifica) per come é e diviene.
Ma non invece ad alcuna pur limitata conoscenza della realtà in sé o noumeno, che é diversa cosa dalla realtà fenomenica (materiale; intesa) nella sua completezza (conoscibile): passando da Newton ad Einstein e alla M Q ci siamo progressivamente avvicinati a una (ideale) conoscenza completa, esatta, scevra da errori e falsità del mondo fenomenico materiale (cui abbiamo accesso cosciente); la quale però é tutt' altro che una conoscenza delle cose in sé (se ci sono) reali indipendentemente dalla realtà delle sensazioni fenomeniche (delle quali l' "esse est percipi"): ma nella conoscenza delle cose in sé non siamo avanzati di un millimetro, a loro sua ipotetica conoscenza "perfetta" non si siamo per niente avvicinati.
Il punto è che il "noumeno" non è né uguale né diverso dal fenomeno. Perchè? Il fenomeno è "la realtà vista da noi", il noumeno è "la-realtà-così-come-è". Nota che il noumeno non è un'altra realtà rispetto i fenomeni. Per certi versi, il noumeno è il fenomeno ben compreso. Il problema di non ammettere la parziale conoscibilità del fenomeno è che non si spiega perchè (1) i fenomeni presentano regolarità (2) vi è una presenza di fenomeni e menti.
Come dicevo in risposta a @sgiombo, nemmeno io le considero separate ed indipendenti. In realtà, il fenomeno è il noumeno. Se così non fosse, cadremmo nel paradosso del "realismo indiretto" sostenuto da Cartesio, Spinoza, Locke ecc, ovvero che noi non abbiamo conoscenza delle cose esterne ma di "idee" presenti nella nostra mente nate dal contatto con "qualcosa di esterno". No, quello che sto dicendo io è che, in realtà, noi effettivamente vediamo le "cose esterne" ma è il modo in cui le vediamo che dipende dalla struttura della nostra mente. Se non si tiene conto di ciò, si sbaglia secondo me.
CitazionePer definizione, e secondo logica (onde evitare di cadere in una patente contraddizione), "realtà vista da noi (= i fenomeni, le apparenze sensibili nell' ambito della "nostra coscienza)" =/= "realtà-in-sè (= il "noumeno" = la realtà quale é realmente anche allorché -se e quando- non appare alla nostra coscienza = allorché non é vista da noi").
Ovvero il noumeno un' altra, diversa realtà rispetto ai fenomeni (anche rispetto ai "fenomeni più o meno ben compresi"; rispetto ai fenomeni comunque siano compresi, più o meno bene).
Che i fenomeni (ma solo quelli materiali, non quelli materiali, altrettanto reali anche se non postulabili - indimostrabilmente- essere intersoggettivi!) presentano regolarità non é spiegabile in alcun modo (razionalmente, cioé senza ricorrere a Dio o altri indimostrabili enti "soprannaturali"), anche se se ne ammette la (ovviamente) parziale conoscibilità; e nemmeno é dimostrabile, come ci ha insegnato David Hume, pur essendo una conditio sine qua non della conoscibilità scientifica (per l' appunto dei soli materiali fra i fenomeni).
Idem per l' esistenza reale della totalità di ciò che (materiale e mentale, comunque fenomenico; ed eventualmente anche in sé) realmente esiste (che peraltro non ha senso pretendere di "spiegane" in quanto si spiegano -eventualmente- attraverso -eventuali- regolarità della realtà in toto "casi particolari" di essa, e non certamente la realtà in toto, oltre la quale, per definizione, null' altro esiste, nell' ambito delle regolarità del quale possa essere spiegata.
**************************
Non vedo nessun "paradosso del realismo indiretto":
Fino a prova contraria di ciò che vediamo (e sentiamo in generale; ivi comprese le sensazioni mentali o di pensiero, la cartesiana res cogitans), l' "esse est percipi": ciò che vediamo (e in generale sentiamo) é costituito solo ed unicamente, nella sua totale, completa "integralità", da sensazioni o apparenze (coscienti: fenomeni") "interne alla (facenti parte della) nostra coscienza e da nient' altro.
Se qualcosa di esterno alla nostra coscienza esiste (come credo, indimostrabilmente) per definizione é altra diversa cosa dalle sensazioni fenomeniche (materiali e mentali) che la nostra coscienza costituiscono, che della nostra coscienza fanno parte; é qualcosa che é reale anche indipendentemente dalla (eventuale) realtà dei fenomeni, anche allorché i fenomeni non sono reali; e dunque, onde non cadere un una plateale contraddizione, qualcosa di altro, di diverso da essi, ché altrimenti sarebbe qualcosa di reale anche se e quando non é reale!
Qualcosa di non sensibile (non apparente: dal greco e a là Kant "fenomeno") ma solo congetturabile: dal greco e a là Kant "noumeno".
La nostra mente (fenomeni "cogitantes") pensa e ragiona (e conosce) sui fenomeni esterni (materiali, "extensi"); ma i modi in cui vediamo le cose esterne (i fenomeni materiali) non dipendono affatto dalla nostra mente (dai nostri fenomeni "cogitantes"), la quale é costituita pure, allo stesso modo, da fenomeni coscienti.
Casomai dalla (struttura -fenomenica- della) nostra mente dipende (dipendono i fenomeni interni o di pensiero costituenti) la conoscenza dei fenomeni esterni.
Ciao
@sgiombo,
CitazioneCasomai dalla (struttura -fenomenica- della) nostra mente dipende (dipendono i fenomeni interni o di pensiero costituenti) la conoscenza dei fenomeni esterni.
Il punto centrale è proprio questo. C'è un'aporia, in un certo senso. Da questo link in inglese: http://www.friesian.com/undecd-1.htm ti lascio questa discussione sull'aporia(traduco io) dal filosofo Kelley L. Ross che pone il problema in modo estremamente chiaro:
Citazione"Thesis: That the real objects of experience are separate from us.
Reductio ad absurdum: But, if they are separate from us, we can only be immediately acquainted with our own minds, not with external objects. Thus, we can only know about external objects inferentially, and these inferences, from effect to cause, are not logically compelling. Therefore, we cannot know, nor have sufficient reason to believe, that the real objects of experience are separate from us.
Corollary: But, if what we know is not separate from us (as concluded), and we have real perceptual knowledge (non-scepticism), then we are directly acquainted with the real objects of experience (the antithesis)."
Traduzione mia: "Tesi: gli oggetti reali dell'esperienza sono separati [ovvero: completamente slegati] da noi.
Reductio ad absurdum: Ma, se sono separati da noi, abbiamo conoscenza della nostra stessa mente, non degli oggetti esterni. Quindi, possiamo solo conoscere gli oggetti deduttivamente, e queste deduzioni (inferences), dall'effetto alla causa, non sono logicamente inoppugnabili. Quindi, non possiamo conoscere, né avere ragione sufficiente per credere, che gli oggetti dell'esperienza sono separati da noi.
Corollario: Ma, se gli oggetti che conosciamo non sono separati da noi (come concluso), e noi abbiamo una reale conoscenza percettiva (non-scetticismo), allora conosciamo direttamente gli oggetti reali dell'esperienza (l'antitesi)."
"Antithesis: That we are directly acquainted with the real objects of experience.
Reductio ad absurdum: But, our perceptions are actually only contents of our own minds, dependent on our own existence, not on the existence of anything external to us. Thus, if we rule out solipsism, we must make inferences from our mental contents to real external objects. Therefore, we are not directly acquainted with the real objects of experience.
Corollary: But, if we are not directly acquainted with the real objects of experience (as concluded), and they exist (non-solipsism), then the real objects of experience are separate from us (the thesis)."
Traduzione mia: "Tesi: abbiamo conoscenza diretta degli oggetti dell'esperienza.
Reductio ad absurdum: Ma, le nostre percezioni sono in realtà solo contenuti della nostra mente, dipendenti dalla nostra stessa esisstenza, non dall'esistenza di altro di esterno da noi. Dunque, se noi escludiamo lo solpsismo, dobbiamo fare inferenze [deduzioni] dai nostri contenuti mentali agli oggetti reali [ed] esterni. Quindi, noi non abbiamo conoscenza diretta degli oggetti dell'esperienza.
Corollario: Ma, se non abbiamo conoscenza diretta degli oggetti reali dell'esperienza (come concluso), ed esistono (non-solipsismo), allora gli oggetti reali dell'esperienza sono separati da noi (la tesi)"
Per farla breve... se ammettiamo che gli oggetti dell'esperienza sono separati da noi dobbiamo ammettere inferenze logiche non "inoppugnabili" (compelling), anche perchè non abbiamo alcuna ragione (
strettamente parlando!!! ovviamente lo facciamo per ragionevolezza) di affermare che ciò vale nelle nostre esperienze fenomeniche private (come le nostre categorie dell'intelletto, ad esempio il rapporto causa-effetto)* vale anche con supposti oggetti esterni. Quindi, gli oggetti dell'esperienza sono solo privati e quindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo conoscere direttamente i nostri contenuti mentali, allora dobbiamo dedurre che abbiamo conoscenza degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni). Ma le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza e se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi. Quindi gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi. Ergo, come si vede, abbiamo un'aporia.
E questa è una cosa. La seconda è che,
a rigore, concetti come quello di causa-effetto vengono formati nel "mondo fenomenico", ovvero quello dell'esperienza. Quindi, quando tu scrivi:
Citazionema i modi in cui vediamo le cose esterne (i fenomeni materiali) non dipendono affatto dalla nostra mente
non sono d'accordo perchè, in fin dei conti, l'esperienza fenomenica è
sicuramente condizionata dalla nostra mente. Colori, suoni ecc sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze. Inoltre, come dicevo, la concettualizzazione si riferisce sempre ai fenomeni. Se vogliamo usare, ad esempio, la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni cadiamo nell'aporia che descrive Kelley L. Ross, visto che, in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant). Nel lavoro scientifico si
assume spesso e in modo ragionevole** che si possa andare oltre le apparenze. Assunzione che è ragionevole e che considero vera ma che è indimostrabile. Strettamente parlando, però, dobbiamo ammettere l'aporia.
Infine, sulla distinzione tra fenomeno e noumeno, vorrei far notare che, secondo me, da un certo punto di vista abbiamo ragione entrambi. Quando, ad esempio, considero l'apparenza di una mela la associo ad un oggetto esterno che causi tale apparenza, un oggetto noumenico congetturabile. Tuttavia, se evitiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che l'apparenza sia
la rappresentazione del noumeno. Il problema è che questa apparenza non è, in realtà, una creazione della nostra mente slegata all'oggetto noumenico. Ma, in realtà,
è l'oggetto noumenico che viene conosciuto dalla nostra mente, ovvero come si presenta a noi (visto-da-noi). Il fatto che tu vedi una "rappresentazione" è dovuto al fatto che
non hai una conoscenza
diretta e inerrante dell'oggetto noumenico (o almeno non
credo che abbiamo tale conoscenza), ovvero non è vero il realismo "naive". Se la conoscenza fosse "non distorta" noi non avremmo nella nostra esperienza delle "rappresentazioni", bensì avremmo, per così dire, gli oggetti-così-come-sono. Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico coinciderebbe con il mondo reale. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è. [Probabilmente, non mi sono fatto capire...chiedo scusa di ciò :-[ ]
Ricapitolando: per i realisti naive il mondo fenomenico, la realtà-come-la-vediamo-noi, coinicide con la realtà-così-come-è;
Per i realisti indiretti il mondo fenomenico è una
costruzione della nostra coscienza;
Nel mio "modello",
idealmente mondo fenomenico e realtà-così-come-è potrebbero coincidere ma la fallibilità, la limitatezza ecc della nostra mente fa in modo che abbiamo una "rappresentazione" distorta. Ma possiamo comunque parlare tranquillamente di verità inter-soggettive perchè la distorciamo in modo simile (o almeno così
credo in base ad argomenti ragionevoli) ;D se non ci fossero distorsioni avremmo una conoscenza diretta ed esatta e potremmo fare sempre inferenze inoppugnabili;
Per gli scettici il mondo fenomenico è slegato completamente alla realtà esterna oppure non è possibile sapere se c'è una realtà esterna (che è vero, vista l'aporia ;) );
Per i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico;
Per i relativisti oguno ha il suo mondo fenomenico ma, non essendoci alcuna "realtà-così-come-è" e non essendoci una "gerarchia", ogni mondo fenomenico è esatto;
Per alcuni scienziati, la scienza ci permette di vedere la realtà-così-come-è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.
Altra cosa... il fatto che i nostri concetti si formano nella nostra esperienza, lo si nota ovunque. Siamo costretti a ricorrere a concetti famialiari basati sulla nostra esperienza e cerchiamo di ricondurre tutto in termini di tali concetti senza pensare che, probabilmente, hanno un ambito di validità :)
*un punto importante della filosofia Kantiana è proprio che le categorie valgono nel mondo fenomenico. Lo scetticismo di Hume, per Kant, è superato perchè, ad esempio, la causalità vale nei fenomeni.
** in realtà, come sosteneva Wittgenstein da giovane (ci dice Russell), si potrebbe ancora parlare di verità scientifiche perfino con solipsismo. In realtà, l'attività scientifica non dipende in alcun modo dalla metafisica (non a caso, il positivismo logico e il fenomenalismo sono nati proprio nel tentativo di separare scienza e metafisica)
Apeiron: Per alcuni scienziati , la scienza ci permette di vedere la realtà-così- come è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.
Questo realismo ingenuo non è necessariamente un ostacolo al loro lavoro.
Si può ugualmente immaginare che questa posizione possa funzionare sia da incentivo che da ostacolo al loro lavoro.
Mi sembra che vi siano due categorie di scienziati:quelli che abbracciano o semplicemente ereditano questa posizione,con dose variabile di impiego di coscienza,e chi la rifiuta , rifiuto che comporta una dose alta di coscienza.
In un certo senso non c'è bisogno di sapere cosa stai facendo.Basta sapere come farlo.
Questo mi pare crei un parallelo fra il mondo della scienza e quello della percezione.
La vera posizione naive è quella di credere che si tratti di due mondi separati,cosicché il mondo della percezione è prettamente umano, perciò fallace,come la scienza stessa può provare,mentre quello scientifico e' per contrapposizione perfetto.Quindi non umano,quindi non si sa' bene cosa sia.
Uno strumento esterno all'uomo capace di proiettare l'uomo oltre i propri limiti ?
Ciò che ad alcuni sembra una bella favola e ad altri un racconto dell'orrore, ma purtroppo comunque qualcosa che ci deresponsabilizza,cosicché possiamo criticare variamente la scienza senza che ciò valga come un autocritica.
Una critica seria della scienza non può che essere fondata sull'uomo.
Una critica utile della scienza deve dirci in che modo possa dimostrarsi che la scienza sia fallace , allo stesso modo che la scienza ci dice come la percezione sia fallace.
Fatto ciò al posto del termine fallace,che è il prodotto della suddetta posizione naive,occorrerà sceglierne un altro più adatto,o semplicemente eliderlo.
Sia una percezione che una teoria scientifica non è né giusta ne sbagliata,ma solo più o meno utile.
Ma ora mettiamoci nei panni di un promettente studente in fisica.
Come facciamo ad incentivarlo?
Gli diremo che le teorie fisiche sono utili favolette o gli diremo che ci dicono la verità e che sempre nuove verità sono da scoprire?
O cosa diremo invece all'uomo comune?
Sara' di qualche utilità per lui sapere che vive dentro una favola ben congegnata?
Quindi forse la posizione naive ha comunque un suo perché che spiega la sua diffusione maggioritaria.
Se però sia ha l'ambizione di navigare agevolmente fra le nuove teorie fisiche essa sembra solo un ostacolo,ma quest'ambizione non sembra essere maggioritaria,appunto.
Il pericolo è che un agevole navigazione si contrapponga ai motivi per cui ci siamo imbarcati.
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
Superare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo.La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza , e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto.
Non possiamo assumere il senso di meraviglia,seppur diffuso , come discrimine,ricadendo nella saga dei miracoli , specie se si pretende che a questa saga la scienza abbia messo un punto di fine.
La critica della scienza dovrebbe scongiurare ciò, appunto, e mi sembra perciò ben fondata.
È sufficiente che essa ci dica che la scienza non è niente di nuovo,nonostante le apparenze,gettando al contempo luce su ciò che era prima della scienza.
L'apparemte discontinuità' si spiega , in breve, con una presa di coscienza sul modo in cui interagiamo con la realtà.
Questa presa di coscienza è la forza che ha prodotto l'accelerazione che tanta meraviglia desta.
Ma non c'e' nessuna discontinuità in ciò,in quanto la coscienza si è sempre usata in varia misura e in base all'occorremza, non essendo un bene in se' , ma uno strumento.
Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 01:14:36 AM
Apeiron: Per alcuni scienziati , la scienza ci permette di vedere la realtà-così- come è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.
Questo realismo ingenuo non è necessariamente un ostacolo al loro lavoro.
Si può ugualmente immaginare che questa posizione possa funzionare sia da incentivo che da ostacolo al loro lavoro.
Mi sembra che vi siano due categorie di scienziati:quelli che abbracciano o semplicemente ereditano questa posizione,con dose variabile di impiego di coscienza,e chi la rifiuta , rifiuto che comporta una dose alta di coscienza.
In un certo senso non c'è bisogno di sapere cosa stai facendo.Basta sapere come farlo.
Questo mi pare crei un parallelo fra il mondo della scienza e quello della percezione.
La vera posizione naive è quella di credere che si tratti di due mondi separati,cosicché il mondo della percezione è prettamente umano, perciò fallace,come la scienza stessa può provare,mentre quello scientifico e' per contrapposizione perfetto.Quindi non umano,quindi non si sa' bene cosa sia.
Uno strumento esterno all'uomo capace di proiettare l'uomo oltre i propri limiti ?
Ciò che ad alcuni sembra una bella favola e ad altri un racconto dell'orrore, ma purtroppo comunque qualcosa che ci deresponsabilizza,cosicché possiamo criticare variamente la scienza senza che ciò valga come un autocritica.
Una critica seria della scienza non può che essere fondata sull'uomo.
Una critica utile della scienza deve dirci in che modo possa dimostrarsi che la scienza sia fallace , allo stesso modo che la scienza ci dice come la percezione sia fallace.
Fatto ciò al posto del termine fallace,che è il prodotto della suddetta posizione naive,occorrerà sceglierne un altro più adatto,o semplicemente eliderlo.
Sia una percezione che una teoria scientifica non è né giusta ne sbagliata,ma solo più o meno utile.
Ma ora mettiamoci nei panni di un promettente studente in fisica.
Come facciamo ad incentivarlo?
Gli diremo che le teorie fisiche sono utili favolette o gli diremo che ci dicono la verità e che sempre nuove verità sono da scoprire?
O cosa diremo invece all'uomo comune?
Sara' di qualche utilità per lui sapere che vive dentro una favola ben congegnata?
Quindi forse la posizione naive ha comunque un suo perché che spiega la sua diffusione maggioritaria.
Se però sia ha l'ambizione di navigare agevolmente fra le nuove teorie fisiche essa sembra solo un ostacolo,ma quest'ambizione non sembra essere maggioritaria,appunto.
Il pericolo è che un agevole navigazione si contrapponga ai motivi per cui ci siamo imbarcati.
Ciao
@iano,come dicevo, il lavoro scientifico è indipendente dalle convinzioni filosofiche che lo scienziato ha. Perfino il solipsista potrebbe ugualmente essere scienziato.
Ad ogni modo, il "mondo scientifico" strettamente parlando
è il "mondo della percezione". Pensa all'illusione ottica: ci sembra di vedere, ad esempio, che un'immagine statica si muove. Come diciamo che ciò è una illusione? Studiando la nostra stessa esperienza e applicando le categorie intellettuali ad essa. Mi dirai, ma allora come fa un solipsista a riconoscere l'illusione dalla "realtà" se entrambe sono meri contenuti mentali? Lo fa, applicando il ragionamento alle sue percezioni.
La scienza
ci dice verità sul mondo fenomenico. Possiamo verificare "per esperienza diretta" le sue predizioni. Però, dallo studio della nostra esperienza non possiamo risolvere l'aporia citata in precedenza. Strano, no? Con la conoscenza scientifica diciamo, ad esempio, che le impressioni sensoriali derivano dal contatto tra i nostri organi di senso e le influenze del mondo esterno e ciò crea segnali che verranno interpretati dal cervello. Però... però, se facciamo attenzione questo semplicemente ci dice che studiando la nostra esperienza possiamo prevederne altre, non abbiamo
dimostrato la cosa. Inoltre, se le categorie intellettuali si applicano al mondo fenomenico possiamo usare la causalità per parlare di una causa del mondo fenomenico (e non solo usare la causalità per spiegare le relazioni
tra i fenomeni)?
Questa è l'aporia. Non c'è nessun problema ad affermare che la scienza ci permette di conoscere (almeno parzialmente) i fenomeni, ma se la causalità è una categoria dell'intelletto perchè mai una "realtà esterna" slegata dalla mente dovrebbe seguire le leggi della mente? La scienza non riesce a spiegarlo. Inoltre la scienza, di per sé, non riesce a dimostrare che il solipsismo è falso o se la materia esiste (ad esempio, non riesce a dirci se l'idealismo di Berkeley è vero o no),
Ti sembra sensato quello che sto dicendo?
Ne aprofitto per chiarire un paio di cose del mio intervento precedente:
Citazionequindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo conoscere direttamente i nostri contenuti mentali,
frase da sostituire con
Citazionequindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo, almeno parzialmente, conoscere direttamente i nostri contenuti mentali,
Sul realismo indiretto, inoltre, la differenza è che mentre il realismo indiretto ci dice che il nostro mondo percettivo è una costruzione mentale senza spiegare in alcun modo la relazione con quello "esterno", secondo me invece se c'è una "realtà esterna" il nostro mondo percettivo ne è una approssimazione. Una conoscenza perfetta dei fenomeni equivarrebbe a conoscere
tutte le loro caratteristiche e quindi anche se si riferiscono ad una realtà esterna e come. Anche perchè, una conoscenza perfetta "vedrebbe"
direttamente la realtà-così-come-è (e quindi avrebbe una conoscenza diretta della realtà esterna, se c'è, o avrebbe la certezza che non c'è se non c'è) così come noi "vediamo" direttamente la realtà-vista-da-noi :)
Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 02:11:27 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
IANOSuperare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo. La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza, e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto. (...) La scienza non è niente di nuovo, nonostante le apparenze.CARLOLe tue sono mistificazioni verbali allo stato puro. L'uomo non ha sempre inviato sonde su pianeti e comete, non è sempre sbarcato sulla Luna, non ha sempre guarito colera, peste, lebbra, vaiolo, malaria, tifo, tubercolosi, ecc., non ha sempre ricevuto notizie dal mondo schiacciando semplicemente un pulsante, ecc., ecc.. Tutte queste conquiste sono delle novità assolute; non apparenze, ma realtà concrete.
Citazione di: Apeiron il 02 Settembre 2018, 23:53:55 PM
CitazioneMI SCUSO PER LA PIGNOLERIA (probabilmente fastidiosa, ma a mio parere necessaria ai fini della chiarezza dei ragionamenti).
Ciao @sgiombo,
CitazioneCasomai dalla (struttura -fenomenica- della) nostra mente dipende (dipendono i fenomeni interni o di pensiero costituenti) la conoscenza dei fenomeni esterni.
Per farla breve... se ammettiamo che gli oggetti dell'esperienza sono separati da noi dobbiamo ammettere inferenze logiche non "inoppugnabili" (compelling), anche perchè non abbiamo alcuna ragione (strettamente parlando!!! ovviamente lo facciamo per ragionevolezza) di affermare che ciò vale nelle nostre esperienze fenomeniche private (come le nostre categorie dell'intelletto, ad esempio il rapporto causa-effetto)* vale anche con supposti oggetti esterni. Quindi, gli oggetti dell'esperienza sono solo privati e quindi se escludiamo uno scetticismo assurdo, ovvero che noi non possiamo in alcun modo conoscere direttamente i nostri contenuti mentali, allora dobbiamo dedurre che abbiamo conoscenza degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni). Ma le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza e se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi. Quindi gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi. Ergo, come si vede, abbiamo un'aporia.
Citazione
Il ragionamento mi sembra un po' contorto, ma se ben capisco ammette che ciò di cui abbiamo esperienza sono mere (inisemi - successioni di) sensazioni ovvero "apparenze (fenomeni) sensibili" (costituenti appunto la nostra coscienza).
Dunque non si tratta di cose in sé reali indipendentemente dalla nostra (eventuale) coscienza.
Ed invece eventuali (indimostrabili) oggetti delle sensazioni della nostra coscienza (in particolare delle nostre sensazioni materiali) non possono che essere altra cosa, ovvero cose reali in sé indipendentemente dalla nostra (eventuale: anche se e quando essa non é realmente in atto) coscienza, così come non possiamo non esserlo noi stessi, soggetti della nostra coscienza (ed eventualmente soggetti-oggetti riflessivamente nel caso delle esperienze fenomeniche coscienti mentali).
Secondo me il rapporto causa - effetto può essere postulato (ma non dimostrato: Hume) in termini rigorosi solo a proposito dei fenomeni materiali, in quanto misurabili quantitativamente e dunque passibili di astrazioni di caratteri generali del loro divenire esprimibili con certe determinate e precise equazioni matematiche.
Non può essere applicato in questi termini rigorosi, di calcolabilità matematica degli effetti dalle cause o viceversa, ai fenomeni mentali in quanto non misurabili quantitativamente, né tantomeno alla realtà in sé o noumeno, in quanto nemmeno percepibile con i sensi (e dunque a maggior ragione non misurabile).
Non vedo aporie nel fatto che abbiamo conoscenza [o meglio, secondo me, coscienza, sensazione empirica] degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni).
Le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza, ma secondo me nulla impone (non é una deduzione cogente) che se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi.
Questo lo possiamo solo credere (e personalmente lo credo) fideisticamente, indimostrabilmente.
Che significa che "gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi"?
In realtà sono i "contenuti fenomenici" dell' esperienza (le sensazioni coscienti) che possono essere creduti (ma non dimostrati) "derivare" da, o meglio essere in corrispondenza biunivoca con (e non propriamente trovarsi in un rapporto di causazione rigorosamente inteso come espressione di una legge del divenire esprimibile mediante equazioni matematiche) oggetti in sé separati da noi e non costituiti dalle nostre sensazioni fenomeniche (noumeno).
****************************************************************************************
E questa è una cosa. La seconda è che, a rigore, concetti come quello di causa-effetto vengono formati nel "mondo fenomenico", ovvero quello dell'esperienza. Quindi, quando tu scrivi:
Citazionema i modi in cui vediamo le cose esterne (i fenomeni materiali) non dipendono affatto dalla nostra mente
non sono d'accordo perchè, in fin dei conti, l'esperienza fenomenica è sicuramente condizionata dalla nostra mente. Colori, suoni ecc sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze. Inoltre, come dicevo, la concettualizzazione si riferisce sempre ai fenomeni. Se vogliamo usare, ad esempio, la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni cadiamo nell'aporia che descrive Kelley L. Ross, visto che, in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant). Nel lavoro scientifico si assume spesso e in modo ragionevole** che si possa andare oltre le apparenze. Assunzione che è ragionevole e che considero vera ma che è indimostrabile. Strettamente parlando, però, dobbiamo ammettere l'aporia.
Citazione
Qui mi sembra che tu confonda i concetti di "mente" e di "esperienza fenomenica cosciente" o più brevemente "coscienza".
La nostra mente é la parte "di pensiero" (res cogitans: ragionamenti, calcoli, deduzioni, ricordi, immaginazioni, sentimenti, "stati d' animo", ecc. "interiormente avvertiti") nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente; la quale, oltre ad essa comprende anche una parte materiale (res extensa: quanto percepito "esteriormente" con i cinque o sei sensi corporei).
Dunque colori, suoni, ecc. sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze; ma in quanto apparenze materiali (e non mentali) nell' ambito della nostra coscienza e non de- (quella parte della nostra coscienza che è) -la nostra mente.
La concettualizzazione si riferisce ai fenomeni (materiali o mentali), ma é diversa cosa dai fenomeni concettualizzati stessi: é costituita da altri, diversi fenomeni (esclusivamente mentali), cioé dai pensieri di fenomeni che ne sono oggetto (o "materia", "contenuto": "oggetto in un senso ben diverso da quello per cui le cose in sé sono "oggetto" -e/o soggetto- delle sensazioni fenomeniche).
Certo, se vogliamo usare la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni (ma ripeto che ritengo più corretto parlare di "relazione di coesistenza biunivocamente corrispondente", una causazione in senso rigoroso, nomologico essendo possibile postulare solo nell' ambito de i fenomeni materiali per via della loro misurabilità quantitativa), in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant); ma in questo non vedo alcuna aporia: le cose in sé, ben diverse, distinte dai fenomeni in un certo senso (lato, non rigoroso) "causano" i fenomeni (nel senso che necessariamente coesistono-codivengono in corrispondenza biunivoca con essi: dove starebbe mai il paradosso o al contraddizione?
Le scienze non vanno mai (non possono andare) alla inattingibile empiricamente cosa in sé, ma si limitano alla conoscenza dei fenomeni.
Infine, sulla distinzione tra fenomeno e noumeno, vorrei far notare che, secondo me, da un certo punto di vista abbiamo ragione entrambi. Quando, ad esempio, considero l'apparenza di una mela la associo ad un oggetto esterno che causi tale apparenza, un oggetto noumenico congetturabile. Tuttavia, se evitiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che l'apparenza sia la rappresentazione del noumeno. Il problema è che questa apparenza non è, in realtà, una creazione della nostra mente slegata all'oggetto noumenico. Ma, in realtà, è l'oggetto noumenico che viene conosciuto dalla nostra mente, ovvero come si presenta a noi (visto-da-noi). Il fatto che tu vedi una "rappresentazione" è dovuto al fatto che non hai una conoscenza diretta e inerrante dell'oggetto noumenico (o almeno non credo che abbiamo tale conoscenza), ovvero non è vero il realismo "naive".
Se la conoscenza fosse "non distorta" noi non avremmo nella nostra esperienza delle "rappresentazioni", bensì avremmo, per così dire, gli oggetti-così-come-sono. Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico coinciderebbe con il mondo reale. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è. [Probabilmente, non mi sono fatto capire...chiedo scusa di ciò :-[ ]
Citazione
Qui credo di averti ben capito.
Concordo sulla falsità del realismo "naive" che identifica i fenomeni coscienti (il cui "esse est percipi") con le cose in sé reali indipendentemente dalle esperienze coscienti (il cui "esse non est percipi", per così dire).
Ma:
- Ripeto che in termini rigorosi non si può parlare di autentica causazione fra noumeno e fenomeni (lo si può fare ma sol in senso decisamente lato e a rigore improprio).
-Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico (comunque reale anch' esso, non meno del noumeno) coinciderebbe con il mondo in sé o noumeno. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è-in sé (che sarebbe autocontraddittoriamente costituita da sensazioni fenomeniche reali anche se, "dove" e quando non esistono-accadono realmente).
- Il solipsismo si potrebbe forse evitare (indimostrabilmente, per fede) anche senza noumeno (per esempio ammettendo una sorta di "leibniziana armonia prestabilita" fra la "propria" ed altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti.
- (Soprattutto) quanto scrivi qui é una sorta di descrizione con altre parole del fatto che i fenomeni sono una cosa, il noumeno o cose in sé sono altra cosa; ben diverse "cose" che (però) divengono in reciproca corrispondenza biunivoca: ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre. Anch' io in altri interventi nel forum ho scritto che in un certo senso un determinato cervello in un determinato stato funzionale é la stessa cosa in sé che si manifesta come tale (determinati fenomeni materiali cerebrali) "in qualità di oggetto di sensazioni fenomeniche*" ad altre cose in sé "soggetti di sensazioni fenomeniche*" e che si manifesta come un certo stato mentale** (come determinati fenomeni cogitativi**: pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.) a se stessa riflessivamente "oggetto, oltre che soggetto", di sensazioni fenomeniche**".
Ricapitolando: per i realisti naive il mondo fenomenico, la realtà-come-la-vediamo-noi, coinicide con la realtà-così-come-è;
Per i realisti indiretti il mondo fenomenico è una costruzione della nostra coscienza;
CitazionePer me il mondo fenomenico non é propriamente una "costruzione" (arbitraria) della nostra coscienza, ma é ciò che accade nella nostra mente in relazione di ineludibile, necessaria, non arbitrariamente modificabile a piacere corrispondenza biunivoca con le cose in sé.
Nel mio "modello", idealmente mondo fenomenico e realtà-così-come-è potrebbero coincidere ma la fallibilità, la limitatezza ecc della nostra mente fa in modo che abbiamo una "rappresentazione" distorta. Ma possiamo comunque parlare tranquillamente di verità inter-soggettive perchè la distorciamo in modo simile (o almeno così credo in base ad argomenti ragionevoli) ;D se non ci fossero distorsioni avremmo una conoscenza diretta ed esatta e potremmo fare sempre inferenze inoppugnabili;
CitazioneMondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).
Per gli scettici il mondo fenomenico è slegato completamente alla realtà esterna oppure non è possibile sapere se c'è una realtà esterna (che è vero, vista l'aporia ;) );
CitazioneNon é dimostrabile (e nemmeno é dimostrabile che non ci sia (sospensione del giudizio!).
Ma non ci vedo nessuna aporia).
Per i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico;
CitazionePer i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico suo proprio di ciascuno di essi (ma potrebbe esistere anche se stesso come soggetto in sé del suo proprio mondo fenomenico).
Per alcuni scienziati, la scienza ci permette di vedere la realtà-così-come-è squarciando la limitazione data dal nostro mondo fenomenico.
CitazioneSe la realtà-così-come-é é il noumeno o realtà in sé, allora questa é una palese , assurda autocontraddizione.
Altra cosa é l' intersoggettività (peraltro indimostrabile) dei fenomeni materiali scientificamente conoscibili.
*un punto importante della filosofia Kantiana è proprio che le categorie valgono nel mondo fenomenico. Lo scetticismo di Hume, per Kant, è superato perchè, ad esempio, la causalità vale nei fenomeni.
CitazioneNon é superato, malgrado le illusioni di Kant, perché la causalità vale unicamente nei fenomeni e non é dimostrabile né provabile empiricamente.
** in realtà, come sosteneva Wittgenstein da giovane (ci dice Russell), si potrebbe ancora parlare di verità scientifiche perfino con solipsismo. In realtà, l'attività scientifica non dipende in alcun modo dalla metafisica (non a caso, il positivismo logico e il fenomenalismo sono nati proprio nel tentativo di separare scienza e metafisica)
CitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Settembre 2018, 12:54:27 PM
Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 02:11:27 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
IANO
Superare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo. La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza, e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto. (...) La scienza non è niente di nuovo, nonostante le apparenze.
CARLO
Le tue sono mistificazioni verbali allo stato puro. L'uomo non ha sempre inviato sonde su pianeti e comete, non è sempre sbarcato sulla Luna, non ha sempre guarito colera, peste, lebbra, vaiolo, malaria, tifo, tubercolosi, ecc., non ha sempre ricevuto notizie dal mondo schiacciando semplicemente un pulsante, ecc., ecc..
Tutte queste conquiste sono delle novità assolute; non apparenze, ma realtà concrete.
La storia dell'uomo è piena di novità assolute.
Cosa hanno di particolare le novità che elenchi?
Nessuna mistificazione,ma un invito a riflettere..Cio' che a te sembra un punto di discontinuità tale non è .
Se andare in America non è più fonte di meravlglia,anche andare sulla Luna non dovrebbe più esserlo.
In attesa di altri fantastici viaggi possiamo mettere a riposo il nostro senso di meraviglia.
Non c'è nessuna magia,nessun mistero alchemico.Normale routine,anche quando non sembra.Basta uscire dal senso di meraviglia e tornare coi piedi per terra o sulla Luna se preferisci, perché è la stessa cosa.
Citazione di: iano il 04 Settembre 2018, 09:39:22 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Settembre 2018, 12:54:27 PM
Citazione di: iano il 03 Settembre 2018, 02:11:27 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 13:55:07 PM
Se è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?
Perché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
IANO
Superare in breve tempo distanze enormi,anche in senso metaforico, è quantitativamente , ma non qualitativamente diverso dal superare distanze piccole,posto che qualificare una distanza è puramente soggettivo. La velocità, per sua natura , ammette accelerazioni, come norma , e non come eccezioni.
Cioè, senza la scienza, e con la scienza , l'uomo fa' sostanzialmente quello che ha sempre fatto. (...) La scienza non è niente di nuovo, nonostante le apparenze.
CARLO
Le tue sono mistificazioni verbali allo stato puro. L'uomo non ha sempre inviato sonde su pianeti e comete, non è sempre sbarcato sulla Luna, non ha sempre guarito colera, peste, lebbra, vaiolo, malaria, tifo, tubercolosi, ecc., non ha sempre ricevuto notizie dal mondo schiacciando semplicemente un pulsante, ecc., ecc..
Tutte queste conquiste sono delle novità assolute; non apparenze, ma realtà concrete.
IANO
La storia dell'uomo è piena di novità assolute.
CARLO
Bravo. E questa è la felice conseguenza della sua capacità di interpretare la realtà e di distinguere il vero dal falso; cioè di conoscere se stesso e il mondo.
IANO
Cosa hanno di particolare le novità che elenchi?CARLO
Me la devi dare tu una risposta: se tu fossi vittima di un'infezione grave, cos'ha di particolare l'esistenza di un antibiotico che ti salva la vita?
IANO
Cio' che a te sembra un punto di discontinuità tale non è .CARLO
Se non vedi discontinuità tra il morire di colera e il guarire dal colera, ...che altro puoi essere in grado di vedere?
@Carlo.
Adesso dovresti trarre le conseguenze ultime delle tue convinzioni e dire che la medicina contro il colera c'è l'hanno portata gli alieni o che in generale la scienza ci è stata calata dall'alto.Si tratta solo del nome alla moda che connota l'attivita' umana , la quale non ha salti miracolosi anche quando sembra.
Il vaccino per il colera non è sempre esistito , ma la medicina si, anche quando non si chiamava medicina.
E allora? Perfino i gatti sanno come curarsi il mal di pancia.
E se domani i gatti evolvendosi scoprissero il vaccino della peste felina ( esiste ? ) cosa starebbero facendo di tanto diverso del mangiare erba gatta?
A proposito.Il vaccino per la peste umana non esiste ancora.
Ciao @
sgiombo,CitazioneIl ragionamento mi sembra un po' contorto, ma se ben capisco ammette che ciò di cui abbiamo esperienza sono mere (inisemi - successioni di) sensazioni ovvero "apparenze (fenomeni) sensibili" (costituenti appunto la nostra coscienza).
Dunque non si tratta di cose in sé reali indipendentemente dalla nostra (eventuale) coscienza.
Ed invece eventuali (indimostrabili) oggetti delle sensazioni della nostra coscienza (in particolare delle nostre sensazioni materiali) non possono che essere altra cosa, ovvero cose reali in sé indipendentemente dalla nostra (eventuale: anche se e quando essa non é realmente in atto) coscienza, così come non possiamo non esserlo noi stessi, soggetti della nostra coscienza (ed eventualmente soggetti-oggetti riflessivamente nel caso delle esperienze fenomeniche coscienti mentali).
Da quanto ho capito io, il discorso è meno complesso. In pratica, per fare un esempio pensa ai colori. Il "colore" è una proprietà di oggetti esterni alla coscienza o, invece, sono contenuti mentali che caratterizzano l'esperienza cosciente? Se rispondi che i colori sono proprietà di oggetti esterni, non puoi giustificare il "salto" logico dovuto all'applicazione del principio di causa (o di altra spiegazione) per oggetti fuori dalla nostra esperienza - ovvero, a rigore, non puoi sapere che la tua percezione di colore è dovuto a "qualcosa di esterno". Se rispondi che i colori sono
solamente contenuti mentali
, invece, cadi in una sorta di "solipsismo" (anche perché, l'esempio dei colori si può estendere a tutta l'esperienza!).
CitazioneSecondo me il rapporto causa - effetto può essere postulato (ma non dimostrato: Hume) in termini rigorosi solo a proposito dei fenomeni materiali, in quanto misurabili quantitativamente e dunque passibili di astrazioni di caratteri generali del loro divenire esprimibili con certe determinate e precise equazioni matematiche.
Non può essere applicato in questi termini rigorosi, di calcolabilità matematica degli effetti dalle cause o viceversa, ai fenomeni mentali in quanto non misurabili quantitativamente, né tantomeno alla realtà in sé o noumeno, in quanto nemmeno percepibile con i sensi (e dunque a maggior ragione non misurabile).
Stranamente (dico "stranamente" perché ad entrambi piacciono filosofi come Kant, Berkeley, Hume :) ), ritengo invece che noi possiamo in realtà utilizzare il rapporto di causa-effetto e anche le osservazioni quantitive
alle sensazioni. In verità, se ci pensi, è quello che in pratica si fa. Esempio banale: prendi un righello e misuri la lunghezza di una linea. Quello che fai è prendere un righello che vedi, spostarlo e eseguire la misurazione della lunghezza. Come dicevo, anche un (idealista e) solipsista può eseguire le misure scientifiche. In tale scenario, tutti i risultati scientifici che si ottengono sono riferiti a sensazioni, a contenuti mentali. Non sono nemmeno pubbliche (un esempio meno "irreale" è una misurazione eseguita durante un sogno). Inoltre, rigorosamente, il rapporto causa-effetto è applicabile alle sensazioni. Perché? perché se diciamo che la materia è "esterna" a noi, cadiamo nel "paradosso" di prima. Infatti non possiamo giustificare l'uso del principio di causa-effetto su qualcosa che noi non conosciamo direttamente. Ad ogni modo, secondo me ci sono regolarità nella nostra esperienza cosciente sia di veglia che nel sogno. Per esempio, anche nel sogno si "vedono" linee di varie dimensioni, le quali si possono, in linea di principio "misurare".
Con la ragionevole assunzione della materia, diventa ragionevole assumere che anche la materia abbia proprietà quantitative :) ma non sono necessariamente d'accordo che i fenomeni mentali non possano essere sottoposti ad analisi quantitativa. Ovviamente non tutti. Ma in fin dei conti cos'è la lunghezza se non una quantità confrontando due fenomeni (righello e linea), che in linea di principio potrebbero essere immateriali, come nel sogno. In realtà, la "prova" Kantiana dell'esistenza della materia mi sembra uno dei punti deboli della sua filosofia. Infatti, in Kant c'è un ottimo equilibrio tra soggetto ed oggetto anche
senza l'assunzione della materia. Perché? Il soggetto è la coscienza e l'oggetto è il contenuto fenomenico (ciò di cui la coscienza ha, appunto, "coscienza"...scusa il giro di parole ma penso che hai capito ;D ). Parlare della materia (intesa come qualcosa che "sta dietro" ai fenomeni dell'esperienza), secondo me, significa andar fuori dal mondo fenomenico.
Spero di non averti frainteso :-[
CitazioneNon vedo aporie nel fatto che abbiamo conoscenza [o meglio, secondo me, coscienza, sensazione empirica] degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni).
Le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza, ma secondo me nulla impone (non é una deduzione cogente) che se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi.
Questo lo possiamo solo credere (e personalmente lo credo) fideisticamente, indimostrabilmente.
Che significa che "gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi"?
In realtà sono i "contenuti fenomenici" dell' esperienza (le sensazioni coscienti) che possono essere creduti (ma non dimostrati) "derivare" da, o meglio essere in corrispondenza biunivoca con (e non propriamente trovarsi in un rapporto di causazione rigorosamente inteso come espressione di una legge del divenire esprimibile mediante equazioni matematiche) oggetti in sé separati da noi e non costituiti dalle nostre sensazioni fenomeniche (noumeno)
Sul primo paragrafo posso essere anche d'accordo. Però si avrebbe la situazione assurda di soggetti completamente isolati l'uno dall'altro che hanno esperienze completamente private. In sostanza, ognuno vivrebbe per sé stesso. Tolto questo scenario, però, devi ammettere che non riesci a giustificare l'insorgere delle apparenze (se non derivano unicamente dalla nostra coscienza, cosa che però è stata esclusa). Sul discorso della corrispondenza biunivoca, vedi dopo.
Sul secondo non vedo differenza tra ciò che dici tu e la frase che hai citato ;)
CitazioneQui mi sembra che tu confonda i concetti di "mente" e di "esperienza fenomenica cosciente" o più brevemente "coscienza".
La nostra mente é la parte "di pensiero" (res cogitans: ragionamenti, calcoli, deduzioni, ricordi, immaginazioni, sentimenti, "stati d' animo", ecc. "interiormente avvertiti") nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente; la quale, oltre ad essa comprende anche una parte materiale (res extensa: quanto percepito "esteriormente" con i cinque o sei sensi corporei).
Dunque colori, suoni, ecc. sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze; ma in quanto apparenze materiali (e non mentali) nell' ambito della nostra coscienza e non de- (quella parte della nostra coscienza che è) -la nostra mente.
Ok... quindi per te "coscienza" significa "mente" + "contenuti mentali"? Per me "coscienza" e "mente" (in questo caso)* sono sinonimi. Secondo me, la coscienza/mente ha consapevolezza delle sensazioni.
* dico "in questo caso" perché a volte ho chiamato "mente" qualsiasi "cosa" che processa l'informazione. Ancora sto decidendo se tale utilizzo della parola "mente" è improprio. Ma tutto dipende dallo status ontologico dell'informazione, temo.
CitazioneLa concettualizzazione si riferisce ai fenomeni (materiali o mentali), ma é diversa cosa dai fenomeni concettualizzati stessi: é costituita da altri, diversi fenomeni (esclusivamente mentali), cioé dai pensieri di fenomeni che ne sono oggetto (o "materia", "contenuto": "oggetto in un senso ben diverso da quello per cui le cose in sé sono "oggetto" -e/o soggetto- delle sensazioni fenomeniche).
Certo, se vogliamo usare la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni (ma ripeto che ritengo più corretto parlare di "relazione di coesistenza biunivocamente corrispondente", una causazione in senso rigoroso, nomologico essendo possibile postulare solo nell' ambito de i fenomeni materiali per via della loro misurabilità quantitativa), in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant); ma in questo non vedo alcuna aporia: le cose in sé, ben diverse, distinte dai fenomeni in un certo senso (lato, non rigoroso) "causano" i fenomeni (nel senso che necessariamente coesistono-codivengono in corrispondenza biunivoca con essi: dove starebbe mai il paradosso o al contraddizione?
Le scienze non vanno mai (non possono andare) alla inattingibile empiricamente cosa in sé, ma si limitano alla conoscenza dei fenomeni.
Allora... sì, faccio una precisazione. Il "noumeno" è un concetto-limite che introduciamo quando riconosciamo che i fenomeni della nostra esperienza cosciente sono, appunto, mere sensazioni. Siccome abbiamo esperienza delle nostre sensazioni, concetti come "causa-effetto" possono essere applicati, a rigore, solo lì perché "qualcosa di esterno" per noi è inconoscibile (a priori, ovviamente). Il "noumeno" entra, dunque, se rifiutiamo l'ipotesi idealistica (=la realtà è semplicemente, usando il tuo cerco, mente e sensazioni mentali) e del realismo naive (=le nostre sensazioni coincidono con oggetti esterni - oppure, ci è possibile conoscere gli oggetti esterni tramite le sensazioni). Se diciamo che oggetti esterni causano l'insorgere delle sensazioni fenomeniche cadiamo nel realismo naive, visto che le "cose esterne" pur non apparendo nella nostra esperienza vengono conosciute come causa di essa da noi (ovviamente, parlo sempre a livello quanto più "razionale" possibile e non "ragionevole" ;) ).
Se, invece, utilizziamo la corrispondenza biunivoca, la cosa è diversa perché, in questo caso, non abbiamo più la pretesa di conoscere il noumeno. Infatti, se non ci fosse nulla dietro l'esperienza fenomenica
allora fenomeno e noumeno coincidono.
Tuttavia, se "pretendiamo" di conoscere proprietà del noumeno utilizzando la nostra esperienza fenomenica + categorie mentali, finiamo nell'aporia. Come dicevo, secondo me questo è l'errore di Kant (e di Schopenhauer) nell'assunzione dell'esistenza della materia. Infatti, la materia
non appare nella nostra esperienza (in fin dei conti, anche nel sogno tocchiamo muri, ma questi muri non sono materiali :) ). Ammettere l'esistenza di oggetti della cognizione non richiede necessariamente l'esistenza della materia.
CitazioneQui credo di averti ben capito.
Concordo sulla falsità del realismo "naive" che identifica i fenomeni coscienti (il cui "esse est percipi") con le cose in sé reali indipendentemente dalle esperienze coscienti (il cui "esse non est percipi", per così dire).
Ottimo! Qui secondo me sta anche la grandezza di Berkeley :)
Citazione- Ripeto che in termini rigorosi non si può parlare di autentica causazione fra noumeno e fenomeni (lo si può fare ma sol in senso decisamente lato e a rigore improprio).
Ok, ma in senso lato sì :)
Citazione-Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico (comunque reale anch' esso, non meno del noumeno) coinciderebbe con il mondo in sé o noumeno. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è-in sé (che sarebbe autocontraddittoriamente costituita da sensazioni fenomeniche reali anche se, "dove" e quando non esistono-accadono realmente).
- Il solipsismo si potrebbe forse evitare (indimostrabilmente, per fede) anche senza noumeno (per esempio ammettendo una sorta di "leibniziana armonia prestabilita" fra la "propria" ed altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Qui concordo ;)
Citazione- (Soprattutto) quanto scrivi qui é una sorta di descrizione con altre parole del fatto che i fenomeni sono una cosa, il noumeno o cose in sé sono altra cosa; ben diverse "cose" che (però) divengono in reciproca corrispondenza biunivoca: ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre. Anch' io in altri interventi nel forum ho scritto che in un certo senso un determinato cervello in un determinato stato funzionale é la stessa cosa in sé che si manifesta come tale (determinati fenomeni materiali cerebrali) "in qualità di oggetto di sensazioni fenomeniche*" ad altre cose in sé "soggetti di sensazioni fenomeniche*" e che si manifesta come un certo stato mentale** (come determinati fenomeni cogitativi**: pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.) a se stessa riflessivamente "oggetto, oltre che soggetto", di sensazioni fenomeniche**".
Personalmente, concepisco la "corrispondenza biunivoca" in modo differente. Secondo me, invece, la corrispondenza biunivoca semplicemente è da concepirsi a livello soggettivo, ovvero ammettendo la possibilità che un soggetto riesca a capire pienamente la relazione fenomeno-noumeno. Cosa intendo con ciò? Il noumeno è un concetto-limite che introduciamo quando capiamo la natura della realtà fenomenica. Tuttavia non sappiamo se noumeno e realtà fenomenica coincidono (ovvero non sappiamo se è vero il realismo naive, l'idealismo, il solipsismo o quant'altro). Quello che sappiamo, però, è che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno mentre la mente "infallibile", di cui parlavo, "vede" il noumeno (e sa che nella nostra limitata condizione dobbiamo distinguerli). Però, questo è il massimo che possiamo dire, in realtà. Ergo, tra fenomeno e noumeno in realtà, per così dire, non c'è vera distinzione "ontologica". In realtà è una distinzione creata a causa della limitatezza delle nostre menti. Quindi, in ultima analisi, la distinzione tra fenomeno e noumeno si riconduce alla distinzione tra le nostre menti e quelle eventuali che conoscono la relazione tra fenomeno e noumeno.
Dire "
ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre" è secondo me dire troppo, nel senso che assumi che il noumeno abbia determinate caratteristiche basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse.
CitazionePer me il mondo fenomenico non é propriamente una "costruzione" (arbitraria) della nostra coscienza, ma é ciò che accade nella nostra mente in relazione di ineludibile, necessaria, non arbitrariamente modificabile a piacere corrispondenza biunivoca con le cose in sé.
Mmm...forse "costruzione" non era la parola esatta. Ma non intendevo la costruzione come qualcosa di arbitrario, ma di condizionato dalle "proprietà" dalla nostra mente.
FINE PARTE 1
INIZIO PARTE 2
CitazioneMondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).
Come dicevo, la distinzione tra fenomeno e noumeno per me è di natura epistemologica e non ontologica. Ovvero, noi nella nostra limitatezza siamo costretti ad ammettere tale distinzione. Ad ogni modo, concordo con quanto dici. Quello che intendevo io era che dobbiamo conoscere la natura "ultima", per così dire, dei fenomeni. Per farlo però è necessario anche "uscire" dalle nostre limitazioni. Per esempio, per provare la verità o la falsità dell'idealismo, dovremmo riuscire ad avere tale certezza. In tal caso, avremmo la conoscenza della relazione tra fenomeno e noumeno.CitazioneNon é dimostrabile (e nemmeno é dimostrabile che non ci sia (sospensione del giudizio!).
Ma non ci vedo nessuna aporia).
Sì, hai ragione. Ho "mescolato" un po' le cose in questa parte ;DCitazionePer i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico suo proprio di ciascuno di essi (ma potrebbe esistere anche se stesso come soggetto in sé del suo proprio mondo fenomenico).
Ok, ma questo è vero perché il solipsista nega la realtà delle altre menti. Gli idealisti soggettivi (a la Berkeley) negano che ci siano "realtà" oltre a soggetti e contenuti mentali, ma il "mondo fenomenico" di ciascuno, di fatto, è la successione di apparenze. CitazioneSe la realtà-così-come-é é il noumeno o realtà in sé, allora questa é una palese , assurda autocontraddizione.
Altra cosa é l' intersoggettività (peraltro indimostrabile) dei fenomeni materiali scientificamente conoscibili.
Volevo dire che per alcuni scienziati, la "realtà-così-come-è" è conoscibile dall'indagine fenomenica (una forma sottile di realismo naive...).CitazioneNon é superato, malgrado le illusioni di Kant, perché la causalità vale unicamente nei fenomeni e non é dimostrabile né provabile empiricamente.
Hai ragione ;)CitazioneCitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.
Un solipsista può utilizzare il metodo scientifico. Per esempio, può fare verifiche sperimentali. L'inter-soggettività, secondo me, necessaria quando assumi che ci siano altre menti. A questo punto, utilizzi l'assioma dell'inter-soggettività per dire che la procedura dell'esperimento deve essere indipendente dal soggetto che conduce l'esperimento. Ma, questo perché il metodo scientifico è stato stabilito senza considerare l'eventualità del solipsismo. In realtà, il solipsista può fare teorie e test sperimentali. (Così come, in linea di principio, non è impossibile sognare di testare la teoria di Newton :) )CitazioneMI SCUSO PER LA PIGNOLERIA (probabilmente fastidiosa, ma a mio parere necessaria ai fini della chiarezza dei ragionamenti).
Nessun problema! Ho apprezzato, in realtà, la tua pignoleria. Ha aiutato anche a me a chiarire i miei pensieri :) Quindi, ti devo anche ringraziare, in realtà :)Ciao!Spero di non averti frainteso in alcuni punti. Gli argomenti sono piuttosto astrusi e quindi probabilmente in certi punti non ho capito quello che intendevi :) in tal caso, mi spiace!
CitazioneCitazioneCitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.
Su questo punto, inoltre, se prendiamo alla lettera la necessità della presenza di altri soggetti, non sarebbe nemmeno possibile fare scienza se, per esempio, rimane un unico soggetto. Si può pensare che, per esempio, ciò avvenga a causa di un cataclisma. In tal caso, come nel caso del solipsista avremmo un solo soggetto (anche se in questo caso, tale situazione è contingente) e inoltre potremmo anche avere la materia. Ciononostante, anche senza altri soggetti, il nostro ultimo essere umano sarebbe in linea di principio in grado di teorizzare e fare test sperimentali per le sue teorie
:)
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2018, 23:10:11 PM
Ciao, Apeiron, purtroppo mi sembra che siamo ben lontani dal comprenderci (...il che, volendo vedere il bicchiere mezzi pieno, é comunque interessante).
Riassumendo mi sembra soprattutto che tu tenda a confondere coscienza (che comprende la "res cogitans", ovvero mente, pensiero, ecc. e inoltre la res extenza") e mente (che della coscienza é solo una parte; e inoltre materia (che é l' altra parte della coscienza fenomenica e cosa in sé o noumeno, che non é né mente né materia (entrambe costituite di fenomeni) dal momento che é reale anche indipendentemente dall' eventuale realtà o meno dei fenomeni (tanto mentali quanto materiali), anche se e quando né materia né pensiero (entrambi costituiti da apparenze fenomeniche coscienti) sono invece reali.
Inoltre intendi erroneamente come meramente epistemica, metre é ontologica la differenza fra fenomeni e noumeno, identificando autocontraddittoriamente quest' ultimo con la (di fatto impossibile conoscenza integrale e "perfetta" dei fenomeni: si tratta di cose ben diverse, il noumeno essendo reale anche indipendentemente dai fenomeni, anche se e quando i fenomeni (indipendentemente da quanto "perfettamente" siano conosciuti) non lo sono.
CitazioneDa quanto ho capito io, il discorso è meno complesso. In pratica, per fare un esempio pensa ai colori. Il "colore" è una proprietà di oggetti esterni alla coscienza o, invece, sono contenuti mentali che caratterizzano l'esperienza cosciente? Se rispondi che i colori sono proprietà di oggetti esterni, non puoi giustificare il "salto" logico dovuto all'applicazione del principio di causa (o di altra spiegazione) per oggetti fuori dalla nostra esperienza - ovvero, a rigore, non puoi sapere che la tua percezione di colore è dovuto a "qualcosa di esterno". Se rispondi che i colori sono solamente contenuti mentali, invece, cadi in una sorta di "solipsismo" (anche perché, l'esempio dei colori si può estendere a tutta l'esperienza!).
La coscienza (esperienza cosciente, insieme di apparenze sensibili) é una cosa, la mente un' altra (é solo una parte della coscienza, i fenomeni mentali; l' altra essendo costituita dai fenomeni materiali).
E i colori sono contenuti coscienti (fenomeni, qualia) materiali, non mentali, facenti parte della coscienza: se fossero proprietà di oggetti esterni alla coscienza per definizione non li vedremmo, non sarebbero visti (da noi). Ergo: non sarebbero colori).
Il solipsismo non é razionalmente superabile, ma lo é irrazionalmente, "per fede" arbitraria, ingiustificata, postulando che c' é qualcosa di esterno alla coscienza (e non colorato, non fenomenico, ma in sé, onde non cadere in contraddizione) allorché nella coscienza c' è del colore (ma anche quando non c' é), biunivocamente al colore corrispondente.
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Citazione
CitazioneStranamente (dico "stranamente" perché ad entrambi piacciono filosofi come Kant, Berkeley, Hume :) ), ritengo invece che noi possiamo in realtà utilizzare il rapporto di causa-effetto e anche le osservazioni quantitive alle sensazioni. In verità, se ci pensi, è quello che in pratica si fa. Esempio banale: prendi un righello e misuri la lunghezza di una linea. Quello che fai è prendere un righello che vedi, spostarlo e eseguire la misurazione della lunghezza. Come dicevo, anche un (idealista e) solipsista può eseguire le misure scientifiche. In tale scenario, tutti i risultati scientifici che si ottengono sono riferiti a sensazioni, a contenuti mentali. Non sono nemmeno pubbliche (un esempio meno "irreale" è una misurazione eseguita durante un sogno). Inoltre, rigorosamente, il rapporto causa-effetto è applicabile alle sensazioni. Perché? perché se diciamo che la materia è "esterna" a noi, cadiamo nel "paradosso" di prima. Infatti non possiamo giustificare l'uso del principio di causa-effetto su qualcosa che noi non conosciamo direttamente. Ad ogni modo, secondo me ci sono regolarità nella nostra esperienza cosciente sia di veglia che nel sogno. Per esempio, anche nel sogno si "vedono" linee di varie dimensioni, le quali si possono, in linea di principio "misurare".
Con la ragionevole assunzione della materia, diventa ragionevole assumere che anche la materia abbia proprietà quantitative :) ma non sono necessariamente d'accordo che i fenomeni mentali non possano essere sottoposti ad analisi quantitativa. Ovviamente non tutti. Ma in fin dei conti cos'è la lunghezza se non una quantità confrontando due fenomeni (righello e linea), che in linea di principio potrebbero essere immateriali, come nel sogno. In realtà, la "prova" Kantiana dell'esistenza della materia mi sembra uno dei punti deboli della sua filosofia. Infatti, in Kant c'è un ottimo equilibrio tra soggetto ed oggetto anche senza l'assunzione della materia. Perché? Il soggetto è la coscienza e l'oggetto è il contenuto fenomenico (ciò di cui la coscienza ha, appunto, "coscienza"...scusa il giro di parole ma penso che hai capito ;D ). Parlare della materia (intesa come qualcosa che "sta dietro" ai fenomeni dell'esperienza), secondo me, significa andar fuori dal mondo fenomenico.
Spero di non averti frainteso :-[
Purtroppo mi hai frainteso.
Che noi possiamo in realtà applicare il rapporto di causa-effetto e anche le osservazioni quantitative alle sensazioni l' ho sempre affermato anch' io, ma limitatamente alle sensazioni materiali (di quanto é maggiore il desiderio di onestà della tentazione di rubare 1000 euro? E di quella di tradire un giuramento?); e dunque limitatamente alle sensazioni materiali é possibile rilevare precise leggi universali astratte del divenire esprimibili mediante equazioni algebriche, applicabili per stabilire effetto fra eventi particolari concreti rapporti di causa-effetto in senso rigoroso e non meramente vago e approssimativo.
E infatti righello e linea (tracciata su un foglio) sono sensazioni materiali. E lo sono anche in sogno (per quanto non intersoggettive, "illusorie" in questo caso).
La materia non si assume ma si constata empiricamente (non é la realtà in sé o noumeno, ma é parte della realtà fenomenica); e si constata immediatamente la sua misurabilità (al contrario del caso della parte mentale della realtà fenomenica).
Continui a confondere mente e coscienza: i fenomeni righello e linea non sono contenuti mentali (casomai lo sono i pensieri, predicati, ricordi, immaginazioni, ecc. di righelli e linee) ma invece contenuti di coscienza materiali. E come tali, al contrario di quelli mentali (desiderio di essere onesto, tentazione di rubare o di tradire un giuramnto) non sono mai misurabili (si può stabilire che l' aspirazione dell' onestà é maggiore della tentazione del furto o della menzogna: ma di quanto?!?!?!).
La materia sta nella coscienza (é costituita da fenomeni) e non "dietro" la coscienza: mica é la cosa in sé o noumeno!
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Citazione
CitazioneSgiombo:
Non vedo aporie nel fatto che abbiamo conoscenza [o meglio, secondo me, coscienza, sensazione empirica] degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni).
Le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza, ma secondo me nulla impone (non é una deduzione cogente) che se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi.
Questo lo possiamo solo credere (e personalmente lo credo) fideisticamente, indimostrabilmente.
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Apeiron:
Ok... quindi per te "coscienza" significa "mente" + "contenuti mentali"? Per me "coscienza" e "mente" (in questo caso)* sono sinonimi. Secondo me, la coscienza/mente ha consapevolezza delle sensazioni.
Sgiombo:
Che significa che "gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi"?
In realtà sono i "contenuti fenomenici" dell' esperienza (le sensazioni coscienti) che possono essere creduti (ma non dimostrati) "derivare" da, o meglio essere in corrispondenza biunivoca con (e non propriamente trovarsi in un rapporto di causazione rigorosamente inteso come espressione di una legge del divenire esprimibile mediante equazioni matematiche) oggetti in sé separati da noi e non costituiti dalle nostre sensazioni fenomeniche (noumeno).
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Apeiron:
Sul primo paragrafo posso essere anche d'accordo. Però si avrebbe la situazione assurda di soggetti completamente isolati l'uno dall'altro che hanno esperienze completamente private. In sostanza, ognuno vivrebbe per sé stesso. Tolto questo scenario, però, devi ammettere che non riesci a giustificare l'insorgere delle apparenze (se non derivano unicamente dalla nostra coscienza, cosa che però è stata esclusa). Sul discorso della corrispondenza biunivoca, vedi dopo.
Sul secondo non vedo differenza tra ciò che dici tu e la frase che hai citato ;)
Sgiombo:
Infatti i soggetti di esperienza (e le rispettive esperienze) sono isolati (trascendenti) l' un dall' altro; e il solipsismo non si può dimostrare falso; ma lo si può credere per fede, ammettendo arbitrariamente l' esistenza di altre coscienze oltre la propria immediatamente esperita di altri soggetti oltre a se stessi (e si può anche credere alla corrispondenza intersoggettiva (E non: identità) fra le diverse componenti materiali delle coscienze).
Se si chiamano "oggetti" tanto le cose in sé da noi (dalla nostra esperienza cosciente) separate (noumeno) quanto i contenuti della nostra coscienza (fenomeni) si fa confusione: sono cose ben diverse, non identificantisi.
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Che significa "mente + contenuti mentali"?
Sono meri sinonimi.
Mentre "coscienza" e "mente" non sono sinonimi per il semplice fatto che la coscienza comprende, oltre a- (i fenomeni costituenti) -la mente, anche (i fenomeni costituenti) -la materia.
La coscienza é (consiste di) sensazioni consapevoli (coscienti), sia mentali che materiali.
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Non comprendo il significato di "concetto-limite": per me quello di "noumeno" é puramente e semplicemente un concetto indicante ciò che é reale anche indipendentemente dalle (mere) sensazioni (fenomeni); fra quelle materiali delle quali (per la loro misurabilità) possiamo stabilire relazioni di causa-effetto vere e proprie, nomologiche.
Usando il mio gergo la realtà di cui può aversi certezza (immediatamente empirica é la coscienza (i fenomeni), con le sue componenti tanto mentali quanto materiali.
Se diciamo che oggetti esterni (alla coscienza: noumeno) "causano" (in senso lato, improprio, non propriamente nomologico, N.d.R: se si danno gli uni, allora si danno anche le altre = corrispondenza biunivoca fra loro) l' insorgere delle sensazioni fenomeniche non cadiamo nel realismo naive, visto che le "cose esterne" pur non apparendo nella nostra esperienza vengono conosciute come causa (in senso improprio o lato) di essa da noi: cadremmo nel realismo naive se identificassimo le cose esterne alla nostra coscienza (noumeno) con i fenomeni ad essa interni.
Se non ci fosse nulla (di in sé) dietro l'esperienza fenomenica allora, poiché i fenomeni, contrariamente al nopumeno, esisterebbero comunque come qualcosa di reale e non come "nulla", fenomeno e noumeno non coinciderebbero: sarebbe palesemente contraddittorio il pretenderlo!
Nell' ultimo periodo confondi la materia (che é fenomeni, contenuti di coscienza; accanto a quelli mentali) con il noumeno o cosa in sé.
Sono perfettamente materiali anche i muri sognati (i qualia che li costituiscono sono perfettamente identici in linea d principio a quelli dei muri visti da svegli; di diverso da questi hanno unicamente la mancanza di intersoggettività).
Ammettere l' esistenza di oggetti in sé delle sensazioni fenomeniche (da essi ben diversi, reali anche se e quando quelle non lo sono) é diversa cosa dall' ammettere (in realtà constatare empiricamente la materia; che é costituita da fenomeni).
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CitazioneSgiombo:
Qui credo di averti ben capito.
Concordo sulla falsità del realismo "naive" che identifica i fenomeni coscienti (il cui "esse est percipi") con le cose in sé reali indipendentemente dalle esperienze coscienti (il cui "esse non est percipi", per così dire).
Apeirom:
Ottimo! Qui secondo me sta anche la grandezza di Berkeley :)
Sgiombo:
Ma tu continui a confondere la cosa in sé o noumeno con la materia, il cui "esse est percipi" esattamente quanto l' "esse" della mente, essendo non cosa in sé ma invece sensazioni (fenomeni).
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2018, 23:11:05 PMSgiombo:
(Soprattutto) quanto scrivi qui é una sorta di descrizione con altre parole del fatto che i fenomeni sono una cosa, il noumeno o cose in sé sono altra cosa; ben diverse "cose" che (però) divengono in reciproca corrispondenza biunivoca: ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre. Anch' io in altri interventi nel forum ho scritto che in un certo senso un determinato cervello in un determinato stato funzionale é la stessa cosa in sé che si manifesta come tale (determinati fenomeni materiali cerebrali) "in qualità di oggetto di sensazioni fenomeniche*" ad altre cose in sé "soggetti di sensazioni fenomeniche*" e che si manifesta come un certo stato mentale** (come determinati fenomeni cogitativi**: pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.) a se stessa riflessivamente "oggetto, oltre che soggetto", di sensazioni fenomeniche**".
Apeiron:
Personalmente, concepisco la "corrispondenza biunivoca" in modo differente. Secondo me, invece, la corrispondenza biunivoca semplicemente è da concepirsi a livello soggettivo, ovvero ammettendo la possibilità che un soggetto riesca a capire pienamente la relazione fenomeno-noumeno. Cosa intendo con ciò? Il noumeno è un concetto-limite che introduciamo quando capiamo la natura della realtà fenomenica. Tuttavia non sappiamo se noumeno e realtà fenomenica coincidono (ovvero non sappiamo se è vero il realismo naive, l'idealismo, il solipsismo o quant'altro). Quello che sappiamo, però, è che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno mentre la mente "infallibile", di cui parlavo, "vede" il noumeno (e sa che nella nostra limitata condizione dobbiamo distinguerli). Però, questo è il massimo che possiamo dire, in realtà. Ergo, tra fenomeno e noumeno in realtà, per così dire, non c'è vera distinzione "ontologica". In realtà è una distinzione creata a causa della limitatezza delle nostre menti. Quindi, in ultima analisi, la distinzione tra fenomeno e noumeno si riconduce alla distinzione tra le nostre menti e quelle eventuali che conoscono la relazione tra fenomeno e noumeno.
Dire "ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre" è secondo me dire troppo, nel senso che assumi che il noumeno abbia determinate caratteristiche basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse.
Sgiombo:
Il noumeno non é il limite asintotico sempre avvicinabile mai raggiungibile della conoscenza dei fenomeni.Il noumeno (se c' é) é tutt' altra cosa dei fenomeni, é qualcosa di reale anche se e quando, allorché i fenomeni (per quanto perfettamente conosciuti siano, per quanto la loro conoscenza sia assoluta e integrale, oltre ogni limite di ignoranza ipotizzabile) non sono reali.Perciò sappiamo benissimo per logica elementare che noumeno e fenomeni (realtà fenomenica) non coincidono e non possono coincidere: sarebbe mostruosamente contraddittorio il pretenderlo!
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Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2018, 23:11:05 PM Apeiron;
Concordo che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno.
Sgiombo:
Ma nessuna mente, nemmeno ipotetica, per quanto infallibile e divina, potrebbe vedere il noumeno per il semplice fatto che il noumeno non si vede (né si percepisce coscientemente in alcun altro modo). Al limite un ipotetico Dio onnisciente (ipotesi a mio parere assai cervellotica) potrebbe conoscere,(sapere com' é) il noumeno, mai percepirlo sensibilmente per definizione.La distinzione fra fenomeni e noumeno é ontologica e del tutto indipendente dai nostri limiti mentali, in quanto si tratta di due ordini di enti-eventi tali che l' uno é reale anche se e quando, anche allorché l' altro non lo é (indipendentemente dall' eventuale realtà dell' altro o meno.Ma tu continui a confondere il noumeno con la perfetta conoscenza dei fenomeni. Postulo che ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondono unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre, e non lo ricavo da alcuna osservazione delle caratteristiche dei fenomeni (i quali sono tutt' altro che il noumeno: non ha senso, é autocontradittorio pretendere di parlare di determinate caratteristiche del noumeno basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse").E lo postulo onde spiegare l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti mente-cervello.
Mondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).
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CitazioneApeiron:
Come dicevo, la distinzione tra fenomeno e noumeno per me è di natura epistemologica e non ontologica. Ovvero, noi nella nostra limitatezza siamo costretti ad ammettere tale distinzione. Ad ogni modo, concordo con quanto dici. Quello che intendevo io era che dobbiamo conoscere la natura "ultima", per così dire, dei fenomeni. Per farlo però è necessario anche "uscire" dalle nostre limitazioni. Per esempio, per provare la verità o la falsità dell'idealismo, dovremmo riuscire ad avere tale certezza. In tal caso, avremmo la conoscenza della relazione tra fenomeno e noumeno.
Sgiombo:
Infatti confondi la conoscenza integrale, assoluta (natura "ultima") dei fenomeni con il noumeno.
In realtà la distinzione non é epistemologica ma ontologica: (anche) se e quando i fenomeni non esistono il noumeno continua ad esistere (e non a tutto del noumeno corrispondono fenomeni) e pretendere ce non vi sia tra di essi distinzione ontologica significa palesemente autocontraddirsi.
Non capisco proprio le ultime considerazioni sull' dualismo.
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Citazione
Sgiombo:
Se la realtà-così-come-é é il noumeno o realtà in sé, allora questa é una palese , assurda autocontraddizione.
Altra cosa é l' intersoggettività (peraltro indimostrabile) dei fenomeni materiali scientificamente conoscibili.
Apeiron:
Volevo dire che per alcuni scienziati, la "realtà-così-come-è" è conoscibile dall'indagine fenomenica (una forma sottile di realismo naive...).
Sgiombo:
Per me é né più né meno che una contraddizione, un' assurdità (certo, propria innanzitutto del realismo ingenuo, condiviso non tanto sottilmente quanto piuttosto grossolanamente da molti scienziati e non solo).
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Sgiombo:
Non capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.
Apèeiron:
Un solipsista può utilizzare il metodo scientifico. Per esempio, può fare verifiche sperimentali. L'inter-soggettività, secondo me, necessaria quando assumi che ci siano altre menti. A questo punto, utilizzi l'assioma dell'inter-soggettività per dire che la procedura dell'esperimento deve essere indipendente dal soggetto che conduce l'esperimento. Ma, questo perché il metodo scientifico è stato stabilito senza considerare l'eventualità del solipsismo. In realtà, il solipsista può fare teorie e test sperimentali. (Così come, in linea di principio, non è impossibile sognare di testare la teoria di Newton (http://file:///C:/Users/Acer/AppData/Local/Temp/msohtmlclip1/01/clip_image001.gif) )
Sgiombo:
Ma la scienza reale di fatto nega (senza necessariamente rendersene conto) il solipsismo pretendendo (giustamente, secondo me) l' intersoggettività delle sue osservazioni, esperimenti, conoscenze.
Anche in sogno si possono fare verifiche-falsificazioni sperimentali, ma allora non si tratta di scienza (casomai di sogni "scientifici", sogni di scienza").
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CitazioneApeiron:
Su questo punto, inoltre, se prendiamo alla lettera la necessità della presenza di altri soggetti, non sarebbe nemmeno possibile fare scienza se, per esempio, rimane un unico soggetto. Si può pensare che, per esempio, ciò avvenga a causa di un cataclisma. In tal caso, come nel caso del solipsista avremmo un solo soggetto (anche se in questo caso, tale situazione è contingente) e inoltre potremmo anche avere la materia. Ciononostante, anche senza altri soggetti, il nostro ultimo essere umano sarebbe in linea di principio in grado di teorizzare e fare test sperimentali per le sue teorie
(https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
Sgiombo:
Si, ma non si tratta della scienza di fatto reale.
Ciao
@sgiombo,CitazioneCiao, Apeiron, purtroppo mi sembra che siamo ben lontani dal comprenderci (...il che, volendo vedere il bicchiere mezzi pieno, é comunque interessante).
più che altro abbiamo anche un lessico diverso. Questo non aiuta, ma potrebbe essere un'occasione utile per entrambi per capire meglio i rispettivi punti di vista ;)
CitazioneLa coscienza (esperienza cosciente, insieme di apparenze sensibili) é una cosa, la mente un' altra (é solo una parte della coscienza, i fenomeni mentali; l' altra essendo costituita dai fenomeni materiali).
E i colori sono contenuti coscienti (fenomeni, qualia) materiali, non mentali, facenti parte della coscienza: se fossero proprietà di oggetti esterni alla coscienza per definizione non li vedremmo, non sarebbero visti (da noi). Ergo: non sarebbero colori).
Il solipsismo non é razionalmente superabile, ma lo é irrazionalmente, "per fede" arbitraria, ingiustificata, postulando che c' é qualcosa di esterno alla coscienza (e non colorato, non fenomenico, ma in sé, onde non cadere in contraddizione) allorché nella coscienza c' è del colore (ma anche quando non c' é), biunivocamente al colore corrispondente.
Ok... quindi per te la "coscienza" è quella che anche io chiamo "esperienza cosciente". Secondo me, invece, la coscienza equivale alla "consapevolezza", al fattore "cognitivo" dell'esperienza. Inoltre, tu non distingui tra contenuti mentali e mente - su questo in realtà non sono d'accordo perché, in realtà, si può avere cognizione di emozioni, ricordi, concetti ecc - ovvero la cognizione prende come oggetto i contenuti mentali. Ma, per continuare la discussione, direi di provare ad usare il tuo lessico.
Riguardo alla "materia", riprendo il discorso più avanti. Ad ogni modo, concordo pure che il colore esiste come fenomeno. Ma nell'ipotesi della realtà esterna, chiaramente è "legato" ad una proprietà di oggetti esterni. Tuttavia, come anche diceva Ross, non possiamo dare supporto alla nostra inferenza (ma accettarlo per fede). Tuttavia, un idealista "alla Berkeley" direbbe che sia il solipsismo che il "realismo" (credere in una realtà "oggettiva" esterna) sono errati. Questo per dire che l'alternativa al solipsismo non è necessariamente una forma di realismo.
CitazionePurtroppo mi hai frainteso.
Che noi possiamo in realtà applicare il rapporto di causa-effetto e anche le osservazioni quantitative alle sensazioni l' ho sempre affermato anch' io, ma limitatamente alle sensazioni materiali (di quanto é maggiore il desiderio di onestà della tentazione di rubare 1000 euro? E di quella di tradire un giuramento?); e dunque limitatamente alle sensazioni materiali é possibile rilevare precise leggi universali astratte del divenire esprimibili mediante equazioni algebriche, applicabili per stabilire effetto fra eventi particolari concreti rapporti di causa-effetto in senso rigoroso e non meramente vago e approssimativo.
E infatti righello e linea (tracciata su un foglio) sono sensazioni materiali. E lo sono anche in sogno (per quanto non intersoggettive, "illusorie" in questo caso).
La materia non si assume ma si constata empiricamente (non é la realtà in sé o noumeno, ma é parte della realtà fenomenica); e si constata immediatamente la sua misurabilità (al contrario del caso della parte mentale della realtà fenomenica).
Continui a confondere mente e coscienza: i fenomeni righello e linea non sono contenuti mentali (casomai lo sono i pensieri, predicati, ricordi, immaginazioni, ecc. di righelli e linee) ma invece contenuti di coscienza materiali. E come tali, al contrario di quelli mentali (desiderio di essere onesto, tentazione di rubare o di tradire un giuramnto) non sono mai misurabili (si può stabilire che l' aspirazione dell' onestà é maggiore della tentazione del furto o della menzogna: ma di quanto?!?!?!).
La materia sta nella coscienza (é costituita da fenomeni) e non "dietro" la coscienza: mica é la cosa in sé o noumeno!
Mi spiace di averti frainteso! Ad ogni modo, secondo me la tua definizione di "materia" è eccentrica (non prenderla come una critica ;) , anzi è un'occasione per chiarire anche le mie idee, come dicevo).
Personalmente, ritengo che il
materialismo sia la posizione secondo cui la "realtà ultima" è materiale, nel senso di una realtà
indipendente dall'esperienza cosciente. Inoltre, nel mio gergo, la materia oltre ad essere indipendente dalla coscienza, è una realtà che può essere soggetta a mutamento, interazioni ecc. Mi sorprende, dunque, il fatto che tu usi una definizione di "materia" tale da "inglobare" anche fenomeni che altri definirebbero "immateriali", come ad esempio, il caso del righello e della linea nel sogno. Infatti, l'argomento del sogno talvolta è utilizzato per
sfidare il materialismo (definito poco fa). L'argomento, in sostanza, è che non possiamo utilizzare la "tangibilità" delle cose nella nostra esperienza per dedurre l'esistenza di "materia". Credo che tu sei d'accordo che usando la
mia definizione di materia, per il materialista noumeno e materia coincidono.
Ad ogni modo, usando la tua definizione, concordo che ci sono aspetti materiali e "mentali" nella nostra esperienza. Tuttavia, secondo me, il rapporto causa-effetto può essere utilizzato anche per i fenomeni mentali, limitatamente al fatto che, per esempio, possiamo descrivere l'insorgenza di tali fenomeni come causata da altri (per esempio, siamo arrabbiati a
causa di...). Questo ci dice poco sulla "rabbia", ovviamente, ma almeno parzialmente ci dice che il fenomeno "mentale" rabbia insorge in determinate condizioni.
E qui si arriva alla questione che sollevavo: se non possiamo distinguere
empiricamente l'esperienza del sogno da quella della veglia in una realtà esterna (ovvero tra una realtà esterna "fittizia" e una "vera"), allora il nostro
corpo è (usando il tuo lessico) materiale ma
non indipendente dalla nostra esperienza cosciente. Quindi anche se accettiamo il
materialismo nella mia definizione (forse tu lo chiami "realismo"), nella nostra esperienza non abbiamo mai percezione diretta della "realtà esterna materiale", ma solo dell'aspetto materiale della nostra esperienza cosciente. Ergo, la scienza
a priori ci può parlare solo delle proprietà dell'aspetto materiale della nostra esperienza (ovvero dei fenomeni materiali).
CitazioneInfatti i soggetti di esperienza (e le rispettive esperienze) sono isolati (trascendenti) l' un dall' altro; e il solipsismo non si può dimostrare falso; ma lo si può credere per fede, ammettendo arbitrariamente l' esistenza di altre coscienze oltre la propria immediatamente esperita di altri soggetti oltre a se stessi (e si può anche credere alla corrispondenza intersoggettiva (E non: identità) fra le diverse componenti materiali delle coscienze).
Se si chiamano "oggetti" tanto le cose in sé da noi (dalla nostra esperienza cosciente) separate (noumeno) quanto i contenuti della nostra coscienza (fenomeni) si fa confusione: sono cose ben diverse, non identificantisi.
Ok, va bene ;) adesso mi è più chiaro!
CitazioneChe significa "mente + contenuti mentali"?
Sono meri sinonimi.
Mentre "coscienza" e "mente" non sono sinonimi per il semplice fatto che la coscienza comprende, oltre a- (i fenomeni costituenti) -la mente, anche (i fenomeni costituenti) -la materia.
La coscienza é (consiste di) sensazioni consapevoli (coscienti), sia mentali che materiali.
Come dicevo, non sono d'accordo sull'identificazione della mente con i contenuti mentali. La mente ha cognizione sia dei contenuti mentali (ricordi, immagini mentali, emozioni, concetti...) che di quelli materiali (corpo, righelli...).
In pratica, distinguo tra "la consapevolezza" (=mente, e nel mio gergo anche la coscienza) con "l'oggetto della consapevolezza" (che nel mio modello può essere sia materiale che mentale).
CitazioneNon comprendo il significato di "concetto-limite": per me quello di "noumeno" é puramente e semplicemente un concetto indicante ciò che é reale anche indipendentemente dalle (mere) sensazioni (fenomeni); fra quelle materiali delle quali (per la loro misurabilità) possiamo stabilire relazioni di causa-effetto vere e proprie, nomologiche.
Nel mio gergo, il noumeno è "la realtà ultima". Per me un "fenomenalista" (=esistono solo i fenomeni, la realtà è puramente fenomenica) direbbe che fenomeno e noumeno coincidono. Un "materialista" (nella mia accezione del termine), direbbe che il "noumeno" sono gli "oggetti materiali esterni che esistono indipendentemente dalle coscienze e che sono la causa delle coscienze". Per "realismo" intendo quella posizione per cui il noumeno è, almeno in parte, indipendente dalla nostra coscienza. Chiaramente, per un "fenomenalista" siccome non c'è una realtà "dietro" ai fenomeni, noumeno e fenomeno coincidono. Per te, il fenomenalità non ammette noumeno (non perché non siamo d'accordo, ma perché usiamo la parola "noumeno" in modi diversi).
CitazioneNon comprendo il significato di "concetto-limite": per me quello di "noumeno" é puramente e semplicemente un concetto indicante ciò che é reale anche indipendentemente dalle (mere) sensazioni (fenomeni); fra quelle materiali delle quali (per la loro misurabilità) possiamo stabilire relazioni di causa-effetto vere e proprie, nomologiche.
Provo a darti una spiegazione un po' più chiara di come uso il termine "noumeno". Nessuno può negare che ci sono apparenze. Tuttavia, ci è naturale chiederci se queste apparenze derivino da una realtà esterna o meno. Ora, le apparenze le chiamiamo "fenomeno". Se c'è una realtà esterna, i fenomeni sono una sorta di "rappresentazione" di tale realtà. Si introduce quindi il noumeno, intendendo con questa parola la "realtà ultima". Se è vero il realismo (che può essere anche Platonismo - in fin dei conti le sue Forme sono oggetti reali non sono "materia" e il Platonismo di Platone non è idealistico) o il materialismo (nella mia accezione) allora, il fenomeno
non è il noumeno ma una mera rappresentazione del noumeno. Se, invece, è vero il fenomenismo il fenomeno
è il noumeno, visto che non c'è una realtà "ultima" dietro ai fenomeni, indipendente da essi.
Chiamo "noumeno" "concetto-limite" perché è di natura provvisoria.
CitazioneSe diciamo che oggetti esterni (alla coscienza: noumeno) "causano" (in senso lato, improprio, non propriamente nomologico, N.d.R: se si danno gli uni, allora si danno anche le altre = corrispondenza biunivoca fra loro) l' insorgere delle sensazioni fenomeniche non cadiamo nel realismo naive, visto che le "cose esterne" pur non apparendo nella nostra esperienza vengono conosciute come causa (in senso improprio o lato) di essa da noi: cadremmo nel realismo naive se identificassimo le cose esterne alla nostra coscienza (noumeno) con i fenomeni ad essa interni.
Ok, posso concordare che non cadiamo nel realismo naive "classico". Ma se diciamo che l'analisi dei fenomeni materiali della nostra esperienza cosciente ci dà conoscenza della "realtà esterna" ci siamo molto vicini. Questo è vero, ovviamente, se noi avessimo
anche la certezza che c'è una realtà esterna e che possiamo conoscerla tramite l'analisi della nostra esperienza cosciente. Noi, invece, siamo in uno stato di "ignoranza", per così dire, perché, in fin dei conti,
non ne siamo certi. Ma se ne fossimo certi, non sarebbe nemmeno più "noumeno" nella mia accezione del termine. Perché? perché il "noumeno" è in realtà è stato introdotto come "congettura" e se
diventiamo certi che l'analisi della nostra esperienza cosciente ci fornisce conoscenza della "realtà esterna", allora è come se avessimo una "conoscenza diretta" di tale realtà esterna - e quindi in ultima analisi non è nemmeno più esterna. In questo "divenir certi", prendiamo conoscenza (in qualche modo) anche della realtà esterna e della relazione tra essa e il fenomeno. Nel tuo gergo il noumeno resterebbe "noumeno".
CitazioneSe non ci fosse nulla (di in sé) dietro l'esperienza fenomenica allora, poiché i fenomeni, contrariamente al nopumeno,esisterebbero comunque come qualcosa di reale e non come "nulla", fenomeno e noumeno non coinciderebbero: sarebbe palesemente contraddittorio il pretenderlo!
Nell' ultimo periodo confondi la materia (che é fenomeni, contenuti di coscienza; accanto a quelli mentali) con il noumeno o cosa in sé.
Sono perfettamente materiali anche i muri sognati (i qualia che li costituiscono sono perfettamente identici in linea d principio a quelli dei muri visti da svegli; di diverso da questi hanno unicamente la mancanza di intersoggettività).
Ammettere l' esistenza di oggetti in sé delle sensazioni fenomeniche (da essi ben diversi, reali anche se e quando quelle non lo sono) é diversa cosa dall' ammettere (in realtà constatare empiricamente la materia; che é costituita da fenomeni).
Usando i termini come li usi tu, sono totalmente d'accordo ;)
CitazioneMa tu continui a confondere la cosa in sé o noumeno con la materia, il cui "esse est percipi" esattamente quanto l' "esse" della mente, essendo non cosa in sé ma invece sensazioni (fenomeni).
Direi che questo equivoco è stato superato.
CitazioneApeiron:
Personalmente, concepisco la "corrispondenza biunivoca" in modo differente. Secondo me, invece, la corrispondenza biunivoca semplicemente è da concepirsi a livello soggettivo, ovvero ammettendo la possibilità che un soggetto riesca a capire pienamente la relazione fenomeno-noumeno. Cosa intendo con ciò? Il noumeno è un concetto-limite che introduciamo quando capiamo la natura della realtà fenomenica. Tuttavia non sappiamo se noumeno e realtà fenomenica coincidono (ovvero non sappiamo se è vero il realismo naive, l'idealismo, il solipsismo o quant'altro). Quello che sappiamo, però, è che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno mentre la mente "infallibile", di cui parlavo, "vede" il noumeno (e sa che nella nostra limitata condizione dobbiamo distinguerli). Però, questo è il massimo che possiamo dire, in realtà. Ergo, tra fenomeno e noumeno in realtà, per così dire, non c'è vera distinzione "ontologica". In realtà è una distinzione creata a causa della limitatezza delle nostre menti. Quindi, in ultima analisi, la distinzione tra fenomeno e noumeno si riconduce alla distinzione tra le nostre menti e quelle eventuali che conoscono la relazione tra fenomeno e noumeno.
Dire "ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre" è secondo me dire troppo, nel senso che assumi che il noumeno abbia determinate caratteristiche basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse.
Sgiombo:
Il noumeno non é il limite asintotico sempre avvicinabile mai raggiungibile della conoscenza dei fenomeni.Il noumeno (se c' é) é tutt' altra cosa dei fenomeni, é qualcosa di reale anche se e quando, allorché i fenomeni (per quanto perfettamente conosciuti siano, per quanto la loro conoscenza sia assoluta e integrale, oltre ogni limite di ignoranza ipotizzabile) non sono reali.Perciò sappiamo benissimo per logica elementare che noumeno e fenomeni (realtà fenomenica) non coincidono e non possono coincidere: sarebbe mostruosamente contraddittorio il pretenderlo!
Concordo... Ma per me "noumeno" è una congettura. Nel senso: abbiamo i fenomeni. Ci chiediamo. Essi "derivano" da qualcosa di esterno? Se pensiamo di "sì" allora i fenomeni non sono il "noumeno". Altrimenti, se rispondiamo di "no" (come fanno solipsismi e idealisti alla Berkeley) allora fenomeno e noumeno per me coincidono. Ovviamente, in ambo i casi, una volta conosciuto il "noumeno" e la sua relazione col fenomeno, il noumeno non è più una congettura. E quindi è un concetto che non serve più a niente.
Nella tua accezione del termine "noumeno", quanto dici ha perfettamente senso :)
Citazione Apeiron;
Concordo che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno.
Sgiombo:
Ma nessuna mente, nemmeno ipotetica, per quanto infallibile e divina, potrebbe vedere il noumeno per il semplice fatto che il noumeno non si vede (né si percepisce coscientemente in alcun altro modo). Al limite un ipotetico Dio onnisciente (ipotesi a mio parere assai cervellotica) potrebbe conoscere,(sapere com' é) il noumeno, mai percepirlo sensibilmente per definizione.La distinzione fra fenomeni e noumeno é ontologica e del tutto indipendente dai nostri limiti mentali, in quanto si tratta di due ordini di enti-eventi tali che l' uno é reale anche se e quando, anche allorché l' altro non lo é (indipendentemente dall' eventuale realtà dell' altro o meno.Ma tu continui a confondere il noumeno con la perfetta conoscenza dei fenomeni.Postulo che ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondono unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre, e non lo ricavo da alcuna osservazione delle caratteristiche dei fenomeni (i quali sono tutt' altro che il noumeno: non ha senso, é autocontradittorio pretendere di parlare di determinate caratteristiche del noumeno basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse").E lo postulo onde spiegare l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti mente-cervello.
Mondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).
Questo è un punto più complesso, in effetti. Come fa una mente a conoscere il noumeno senza averne percezione diretta? Nel tuo modello, quando apro gli occhi e vedo un albero, vedo sempre l'"albero fenomenico". L'albero noumenico è un oggetto esterno, che non potrò mai veramente conoscere e non potrò mai essere certo che esista.
Ora, se il noumeno non può mai essere "conosciuto empiricamente", come potrà una mente essere certa della sua esistenza? In fin dei conti, l'analisi dell'esperienza cosciente non può portare alla conclusione che tale "realtà esterna" ci sia o meno. Non è possibile nemmeno un approccio "puramente intellettuale", perché esso darebbe solo una teoria (che può essere corretta). Però, per avere conoscenza, si deve anche riuscire a verificare che la teoria è vera.
Quindi si deve avere conoscenza empirica della - e quindi "osservare" la - realtà-così-come-è. Ciò non implica necessariamente che tale "realtà-così-come-è" non possa esistere in modo indipendente dalla mente che ne ha conoscenza empirica...in fin dei conti il realismo naive assume che la materia (nella tua accezione del termine) coincida con il noumeno (nella tua accezione) e nel caso del realismo naive, i fenomeni materiali sono indipendenti dalla nostra esistenza :)
CitazioneSgiombo:
Ma la scienza reale di fatto nega (senza necessariamente rendersene conto) il solipsismo pretendendo (giustamente, secondo me) l' intersoggettività delle sue osservazioni, esperimenti, conoscenze.
Anche in sogno si possono fare verifiche-falsificazioni sperimentali, ma allora non si tratta di scienza (casomai di sogni "scientifici", sogni di scienza").
Sgiombo:
Si, ma non si tratta della scienza di fatto reale.
Ok, anche qui concordiamo.
Rimane un punto controverso. Se c'è una "realtà esterna" di cui non è possibile avere conoscenza empirica, come può esserci certezza della sua esistenza?
Citazione di: sgiombo il 06 Settembre 2018, 19:23:02 PM
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2018, 23:11:05 PMSgiombo:
Ma nessuna mente, nemmeno ipotetica, per quanto infallibile e divina, potrebbe vedere il noumeno per il semplice fatto che il noumeno non si vede (né si percepisce coscientemente in alcun altro modo). Al limite un ipotetico Dio onnisciente (ipotesi a mio parere assai cervellotica) potrebbe conoscere,(sapere com' é) il noumeno, mai percepirlo sensibilmente per definizione.La distinzione fra fenomeni e noumeno é ontologica e del tutto indipendente dai nostri limiti mentali, in quanto si tratta di due ordini di enti-eventi tali che l' uno é reale anche se e quando, anche allorché l' altro non lo é (indipendentemente dall' eventuale realtà dell' altro o meno.Ma tu continui a confondere il noumeno con la perfetta conoscenza dei fenomeni.Postulo che ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondono unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre, e non lo ricavo da alcuna osservazione delle caratteristiche dei fenomeni (i quali sono tutt' altro che il noumeno: non ha senso, é autocontradittorio pretendere di parlare di determinate caratteristiche del noumeno basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse").E lo postulo onde spiegare l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti mente-cervello.
Mondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).
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Ciao
sgiombo,lasciami chiarire la mia obiezione. Se il realismo diretto fosse vero, allora noi percepiremmo direttamente la "realtà-così-come-è" e quindi avremmo una "conoscenza empirica" o "diretta" della "realtà-così-come-è". Ora, tu dici che è una posizione problematica e postuli una "realtà-così-come-è" (che tu chiami anche noumeno) che è inconoscibile dall'esperienza empirica.
Abbiamo inoltre detto che, oltre all'esperienza diretta, anche l'inferenza applicata alla nostra esperienza non può "dimostrare" l'esistenza di tale "realtà". Per quanto diceva Kant (e qui, credo, concordiamo) una teoria puramente intellettuale (ovvero, non basata in alcun modo sull'esperienza) non può "dimostrare" che tale "realtà" ci sia (può fare al massimo un'ipotesi e tale ipotesi magari è giusta. Ma non può "dimostrare" o "verificare" tale ipotesi...).
A questo punto, però, tu assumi la possibilità di una mente che abbia conoscenza del noumeno. Ora, io interpreto la cosa nel senso che tale mente abbia "conoscenza certa" del noumeno e delle sue proprietà. Ora, se abbiamo stabilito che né l'esperienza diretta, né l'inferenza basata sull'esperienza e nemmeno un puro approccio intellettuale possono dare tale conoscenza, come giustifichi che una mente possa avere conoscenza
certa del noumeno e delle sue proprietà?
Secondo me, invece, l'unico modo per tornare i conti è che tale mente possa avere "conoscenza empirica" della "realtà-così-come-è", altrimenti tale mente dovrebbe affidarsi o all'inferenza basata sull'esperienza di un fenomeno supposto diverso dal noumeno o al puro intelletto. Ma abbiamo detto che né l'inferenza né il puro esercizio intellettuale può arrivare a dare una conoscenza
certa (e non meramente ipotetica, anche se eventualmente corretta). Vista la difficoltà, ritengo che per tale mente la "realtà-vista-da-tale-mente" coincida con la "realtà-così-come-è". In sostanza, per tale mente deve valere il realismo diretto.
Ciao!
Ovviamente un altro modo per conoscere il noumeno sarebbe ascoltare la testimonianza di chi lo conosce, ovvero per fede. Ovviamente, però, in questo caso si potrebbe affermare che non si ha conoscenza diretta (e ovviamente non si spiega come la mente che ha conoscenza, conosca ;D) ... Ma la conoscenza per fede, però, non è molto diversa da quella ipotetica (nel caso in cui, l'ipotesi descriva correttamente il noumeno). Ergo, senza conoscenza empirica non capisco come si possa avere conoscenza certa ;) infatti, tutti gli altri metodi ci forniscono solo ipotesi a cui facciamo affidamento (così come la fede non è altro che dare fiducia all'ipotesi che tale mente sia effettivamente a conoscenza del noumeno...). Ma senza conoscenza empirica, non abbiamo conoscenza diretta e quindi rimaniamo nella non-conoscenza ;)
Ciao Apeiron,
cercherò di precisare i punti di reciproca divergenza e di criticare il molto in cui dissento il più sinteticamente possibile, evitando il confronto "punto per punto", assai defatigante (per tutti, anche ammesso, in uno slancio di ottimismo forsennato, che a qualcun altro interessi la nostra discussione; mi sembra fra l' altro perfino di aver commesso qualche errore "tecnico" nei miei precedenti interventi, con taglie ripetizioni indebiti che ho rinunciato a correggere per la complicatezza estrema della situazione).
Coscienza é sinonimo di esperienza cosciente (e di insieme – successione di fenomeni).
Ma non di mente, dal momento che l' esperienza cosciente (in generale, considerata in toto) comprende sia i dati di coscienza mentali (la mente: pensieri, ragionamenti, "stati d' animo", desideri, ecc. che per l' appunto esperiamo o avvertiamo "interiormente"), sia quelli materiali (sensazioni visive, uditive, tattili-propriocettive, olfattive, gustative, enterocettive, ecc., che esperiamo, avvertiamo "esteriormente").
Queste distinzioni lessicali mi sembrano indispensabili per intendersi e non cadere in confusione.
La mia definizione di materia é "quella parte dell' esperienza fenomenica cosciente che é misurabile e postulabile -e non: dimostrabile né tantomeno constatabile!- essere intersoggettiva" (in sostanza la cartesiana "res extensa", intesa però, a là Berkley e Hume e non a là Kant, e cioè come meramente fenomenica: insieme-successione di "dati di coscienza" -e non: di mente- reale non in sé ma unicamente in quanto tale, se e quando e fintanto che gli insiemi-successioni di sensazioni fenomeniche stessi che integralmente ed esclusivamente la costituiscono realmente accadono).
Dunque la materia non va confusa con il noumeno o cose in sé, reali (se lo sono, dal momento che questo non é dimostrabile razionalmente né tantomeno -per definizione- constatabile empiricamente) anche allorché, se e quando sensazioni fenomeniche (in generale e in particolare quelle materiali) non lo sono (il "materialismo", in quanto é "la posizione secondo cui la "realtà ultima" è materiale, nel senso di una realtà indipendente dall'esperienza cosciente" é falso, per il semplice motivo che la "realtà ultima -noumeno o cose in sé; se realmente esiste- per definizione non é fenomenica, non appare alla coscienza, né come pensiero -anche l' idealismo é altrettanto falso!- né come materia).
Ed essendo la "materia" costituita (unicamente, nella sua integralità) da sensazioni coscienti o fenomeni (e nient' altro) e inoltre caratterizzata, in alternativa all' altrettanto fenomenico pensiero o mente, dalla misurabilità (oltre che postulabile ma indimostrabile e inconstatabile empiricamente intersoggettività) dei suoi "ingredienti" o "dati", allora anche la materia sognata e allucinatoriamente percepita ne fa parte a pieno titolo: é altrettanto misurabile e postulabile (ma indimostrabile e inconstatabile empiricamente) essere intersoggettiva di quella "autenticamente percepita", della quale sola peraltro di fatto postuliamo l' intersoggettività. Il fatto che non la postuliamo di fatto di quella onirica o allucinatoria é un elemento di diversità, ma non le impedisce di essere comunque postulabile altrettanto di quella "autenticamente percepita": la differenza che postuliamo é che nel caso di quest' ultima esistano reamente anche corrispondenti cose in sé che ne sono "oggetti" -e conseguentemente essa é da chiunque constatabile purché osservi adeguatamente, ovvero intersoggettiva- mentre nel caso della prima esistono solamente le determinate condizioni della cosa in sé "soggetto" corrispondenti all' esistenza di essa nell' esperienza cosciente ad esso "correlata", del tutto simili a quelle che accadono quando é in determinate relazioni con determinate cose in sé "oggetto di sensazione fenomenica", ma senza che lo sia: e infatti in questo caso (di allucinazioni o sogni) questa cosa in sé "soggetto" può manifestarsi a chiunque fenomenicamente, in qualità di "oggetto" di sensazioni fenomeniche materiali intersoggettive, come un determinato stato cerebrale -precisamente: corticale- del tutto identico a quello corrispondente alla sensazione "autentica" delle medesime "cose materiali" salvo il fatto di essere conseguente ad altri processi neurofisiologici -"endogeni"- diversi da quelli solitamente causati dalla sensazione di tali "cose materiali" stesse): la differenza nei due casi non riguarda minimamente la (materia fenomenica: sensazioni) ma solo le cose in sé o noumeno che ne sarebbe oggetto, realmente esistenti nel caso delle sensazioni "autentiche" ma non in quello delle sensazioni oniriche o allucinatorie.
Dunque i sogni e le allucinazioni dimostrano che non possiamo utilizzare la "tangibilità" delle cose materiali nella nostra esperienza per dedurre l'esistenza reale di cose in sé che ne siano "oggetto" (nel qual caso le sensazioni -o fenomeni- "autentiche" costituenti la materia sarebbero postulate essere intersoggettive).
Per il materialista noumeno e materia coincidono solo perché ipostatizza indebitamente le sensazioni materiali fraintendendole (falsamente) come cose in sé reali indipendentemente dal fatto che le si senta fenomenicamente nell'ambito di un' esperienza cosciente.
Il solipsismo non é superabile razionalmente (per deduzione analitica a priori né per constatazione empirica sintetica a posteriori), ma solo irrazionalmente, abbracciando una credenza arbitraria, per fede.
Il rapporto causa-effetto può essere utilizzato anche per i fenomeni mentali, limitatamente al fatto che, per esempio, possiamo descrivere l'insorgenza di tali fenomeni come causata da altri (per esempio, siamo arrabbiati a causa di...) solo in senso "lato", approssimativo, non rigoroso, non del tutto appropriato secondo me, dal momento che la non misurabilità dei fenomeni mentali stessi impedisce la formulazione di leggi del divenire espresse da equazioni algebriche attraverso le quali fare calcoli precisi e sicuri sui rapporti di coesistenza-successione causale fra tali eventi (fenomenici coscienti). Dunque questo ci dice che il fenomeno "mentale" rabbia tende vagamente, approssimativamente ad insorgere in determinate condizioni, ma non ci consente di calcolarle con sicurezza.
Le proprietà dell'aspetto materiale della nostra esperienza (ovvero dei fenomeni materiali), delle quali solo la scienza a priori (nel senso di "inevitabilmente per definizione", non di "per deduzioni analitiche") ci può parlare (ovvero: la materia) sono solo ed unicamente fenomeni e non cose in sé.
La coscienza ha cognizione (meglio: comprende i) sia dei contenuti mentali (ricordi, immagini mentali, emozioni, concetti...) che di quelli materiali (corpo, righelli...). Dunque se attribuiamo tutto ciò alla "mente" facciamo confusione identificando indebitamente anche i contenuti fenomenici coscienti materiali con "il mentale".
"L'oggetto della consapevolezza" (delle sensazioni coscienti, distinto da queste in quanto reale indipendentemente da esse) non può essere né materiale né mentale, dal momento che é cosa in sé o noumeno (casomai possono essere sia materiali che mentali i "contenuti" o "dati" -fenomenici!- della consapevolezza).
Il noumeno (se c'é) é per definizione integralmente indipendente dalla nostra coscienza: che vediamo l' albero o meno, la cosa in sé tale che allorché essa stessa -in qualità di "oggetto di sensazione cosciente"- é in determinati rapporti "estrinseci" con un' altra cosa in se "soggetto di sensazioni coscienti" in quest' ultima avvengono determinati eventi che corrispondono alla visione dell' albero nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente che le corrisponde o "le é propria", é comunque reale (indipendentemente dall' eventuale caso che si trovi ad essere "oggetto di esperienza cosciente" o meno).
Chiaramente, per un "fenomenalista" siccome non c'è una realtà "dietro" (o meglio: oltre) ai fenomeni, noumeno e fenomeno non coincidono, il secondo essendo reale, il primo no: sarebbe contraddittorio il pretenderlo!
Per me (e credo per tutti) il fenomenalista non ammette noumeno.
Concordo che "Nessuno può negare che ci sono apparenze. Tuttavia, ci è naturale chiederci se queste apparenze "derivino" da una realtà esterna (alla coscienza di cui fanno parte) o meno. Ora, le apparenze le chiamiamo "fenomeno". Se c'è una realtà esterna, i fenomeni sono una sorta di "rappresentazione" di tale realtà (e non affatto: tale realtà). Si introduce quindi il noumeno, intendendo con questa parola la "realtà ultima" in sé, reale, indipendente dai fenomeni (di cui fosse eventualmente manifestazione cosciente o meno).
Ma Se è vero il il materialismo (e non: il realismo) allora (autocontraddittoriamente) il fenomeno è il noumeno, reale anche indipendentemente dalle eventuali sensazioni coscienti; invece se é vero il realismo, allora il fenomeno éuna mera rappresentazione del noumeno, il quale é reale in sé, anche indipendentemente da essa. Se, invece, è vero il fenomenismo il fenomeno non è (autocontraddittoriamente) il noumeno, visto che non c'è una realtà "ultima" dietro ai fenomeni, indipendente da essi, ovvero: non c' é il noumeno, mentre il fenomeno c'é.
Un "concetto-limite" perché di natura provvisoria non può riferirsi alla conoscenza empirica del noumeno, che per definizione non può mai darsi, né provvisoriamente né definitivamente, né parzialmente, approssimativamente, limitatamente, "imperfettamente", né integralmente, "perfettamente", ma solo alla conoscenza empirica (in generale, e in particolare scientifica) dei fenomeni (che la scienza non può assolutamente superare per attingere alle cose in sé).
l'analisi della nostra esperienza cosciente non può fornirci alcuna conoscenza della "realtà esterna" (cose in sé, noumeno), dunque non é possibile alcuna una "conoscenza diretta" di tale realtà esterna -che infatti non sarebbe -autocontraddittoriamente- nemmeno più esterna alla nostra esperienza cosciente.
E' dunque assolutamente impossibile "divenir certi", prendere conoscenza (in qualche modo) anche della realtà esterna e della relazione tra essa e il fenomeno (si possono solo fare congetture ed eventualmente crederle vere per fede).
Anche per me me "noumeno" è una congettura. Nel senso: abbiamo i fenomeni. Ci chiediamo. Essi "derivano" da qualcosa di esterno? Se pensiamo di "sì" allora i fenomeni non sono il "noumeno". Altrimenti, se rispondiamo di "no" (come fanno solipsismi e idealisti alla Berkeley) allora fenomeno e noumeno non coincidono affatto: infattiil primo é reale, il secondo no. Ovviamente, in ambo i casi il noumeno e la sua relazione col fenomeno (in quanto tali, per ciò in cui consistono: dunque in nulla nel secondo caso), non sono che congetture indimostrabili, credibili solo per fede. Ma non per questo è un concetto che non serve più a niente: serve (se si é realisti) egregiamente per comprendere l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti coscienza- cervello.
Poiché il noumeno non può mai essere conosciuto empiricamente (né dimostrato logicamente), una mente (meglio: una coscienza; meglio ancora: un soggetto cosciente) non potrà mai essere certa della sua esistenza: potrà solo crederla arbitrariamente, per fede.
In fin dei conti, l'analisi dell'esperienza cosciente non può portare alla conclusione che tale "realtà esterna" ci sia o meno. Non è possibile nemmeno un approccio "puramente intellettuale", perché esso darebbe solo una teoria (delle ipotesi non provate; che può essere corretta: potrebbe essere vera o anche falsa).
Infatti per avere conoscenza certa, si deve anche riuscire a verificare che la teoria è vera.
Ma pretendere di avere conoscenza empirica della -e quindi "osservare" la - realtà-così-come-è é una patente autocontraddizione. Ciò non implica necessariamente che tale "realtà-così-come-è" non possa esistere in modo indipendente dalla mente che ne nonne ha conoscenza empirica ...in fin dei conti il realismo naive assume falsamente ed autocontraddittoriamente che la materia (nella tua accezione del termine) coincida con il noumeno (nella tua accezione) e nel caso del realismo naive, i fenomeni materiali sono falsamente ed autocontraddittoriamente indipendenti dalla nostra esistenza.
Se c'è (come credo arbitrariamente, per fede) una "realtà esterna" (alla coscienza: cioè delle cose in sé o noumeno) di cui non è possibile avere conoscenza empirica, non può in alcun modo esserci certezza della sua esistenza (dal momento che nemmeno é è possibile averne dimostrazione logica).
Citazione di: Apeiron il 08 Settembre 2018, 13:02:30 PM
CitazioneOvviamente un altro modo per conoscere il noumeno sarebbe ascoltare la testimonianza di chi lo conosce, ovvero per fede. Ovviamente, però, in questo caso si potrebbe affermare che non si ha conoscenza diretta (e ovviamente non si spiega come la mente che ha conoscenza, conosca ;D) ... Ma la conoscenza per fede, però, non è molto diversa da quella ipotetica (nel caso in cui, l'ipotesi descriva correttamente il noumeno). Ergo, senza conoscenza empirica non capisco come si possa avere conoscenza certa ;) infatti, tutti gli altri metodi ci forniscono solo ipotesi a cui facciamo affidamento (così come la fede non è altro che dare fiducia all'ipotesi che tale mente sia effettivamente a conoscenza del noumeno...). Ma senza conoscenza empirica, non abbiamo conoscenza diretta e quindi rimaniamo nella non-conoscenza ;)
Ma come potrebbe mai sensatamente (non autocontraddittoriamente) darsi che qualcuno (ma non una "mente", bensì un soggetto di esperienza cosciente in generale e in particolare nel suo ambito di conoscenza) conoscesse il noumeno dal momento che quest' ultimo "assolutamente", per chiunque sia soggetto di coscienza e di conoscenza non é per definizione rilevabile empiricamente nell' ambito della coscienza stessa (propria di chiunque; cioé non lo é nella coscienza di nessuno), e nemmeno é dimostrabile esistere realmente per inferenza logica ? ? ?
Ma infatti ripeto ancora che la conoscenza dell' esistenza reale del noumeno non é e non può essere certa: non si constata empiricamente, non si inferisce logicamente, la si può soltanto credere arbitrariamente, infondatamente, letteralmente "per fede".
Ciao
sgiombo,Citazionecercherò di precisare i punti di reciproca divergenza e di criticare il molto in cui dissento il più sinteticamente possibile, evitando il confronto "punto per punto", assai defatigante (per tutti, anche ammesso, in uno slancio di ottimismo forsennato, che a qualcun altro interessi la nostra discussione; mi sembra fra l' altro perfino di aver commesso qualche errore "tecnico" nei miei precedenti interventi, con taglie ripetizioni indebiti che ho rinunciato a correggere per la complicatezza estrema della situazione).
Grazie per il tuo sforzo, l'ho molto gradito ;)
CitazioneCoscienza é sinonimo di esperienza cosciente (e di insieme – successione di fenomeni).
CitazioneMa non di mente, dal momento che l' esperienza cosciente (in generale, considerata in toto) comprende sia i dati di coscienza mentali (la mente: pensieri, ragionamenti, "stati d' animo", desideri, ecc. che per l' appunto esperiamo o avvertiamo "interiormente"), sia quelli materiali (sensazioni visive, uditive, tattili-propriocettive, olfattive, gustative, enterocettive, ecc., che esperiamo, avvertiamo "esteriormente").
Citazione
CitazioneQueste distinzioni lessicali mi sembrano indispensabili per intendersi e non cadere in confusione.
Citazione
Citazione
CitazioneLa mia definizione di materia é "quella parte dell' esperienza fenomenica cosciente che é misurabile e postulabile -e non: dimostrabile né tantomeno constatabile!- essere intersoggettiva" (in sostanza la cartesiana "res extensa", intesa però, a là Berkley e Hume e non a là Kant, e cioè come meramente fenomenica: insieme-successione di "dati di coscienza" -e non: di mente- reale non in sé ma unicamente in quanto tale, se e quando e fintanto che gli insiemi-successioni di sensazioni fenomeniche stessi che integralmente ed esclusivamente la costituiscono realmente accadono)
OK, mi piace la tua definizione di materia. Non sono d'accordo con quelle di mente e coscienza, come ho già spiegato. Ma cercherò di usare le tue definizioni per non fare confusione! Comunque, sono totalmente d'accordo sulla materia, dopo questa precisazione.
CitazionePer il materialista noumeno e materia coincidono solo perché ipostatizza indebitamente le sensazioni materiali fraintendendole (falsamente) come cose in sé reali indipendentemente dal fatto che le si senta fenomenicamente nell'ambito di un' esperienza cosciente.
OK, concordo. Penso per un motivo diverso dal tuo, però.
CitazioneIl solipsismo non é superabile razionalmente (per deduzione analitica a priori né per constatazione empirica sintetica a posteriori), ma solo irrazionalmente, abbracciando una credenza arbitraria, per fede.
Citazione
Citazione
CitazioneIl rapporto causa-effetto può essere utilizzato anche per i fenomeni mentali, limitatamente al fatto che, per esempio, possiamo descrivere l'insorgenza di tali fenomeni come causata da altri (per esempio, siamo arrabbiati a causa di...) solo in senso "lato", approssimativo, non rigoroso, non del tutto appropriato secondo me, dal momento che la non misurabilità dei fenomeni mentali stessi impedisce la formulazione di leggi del divenire espresse da equazioni algebriche attraverso le quali fare calcoli precisi e sicuri sui rapporti di coesistenza-successione causale fra tali eventi (fenomenici coscienti). Dunque questo ci dice che il fenomeno "mentale" rabbia tende vagamente, approssimativamente ad insorgere in determinate condizioni, ma non ci consente di calcolarle con sicurezza.
CitazioneLe proprietà dell'aspetto materiale della nostra esperienza (ovvero dei fenomeni materiali), delle quali solo la scienza a priori (nel senso di "inevitabilmente per definizione", non di "per deduzioni analitiche") ci può parlare (ovvero: la materia) sono solo ed unicamente fenomeni e non cose in sé
Sono sostanzialmente d'accordo.
Citazione
CitazioneIl noumeno (se c'é) é per definizione integralmente indipendente dalla nostra coscienza: che vediamo l' albero o meno, la cosa in sé tale che allorché essa stessa -in qualità di "oggetto di sensazione cosciente"- é in determinati rapporti "estrinseci" con un' altra cosa in se "soggetto di sensazioni coscienti" in quest' ultima avvengono determinati eventi che corrispondono alla visione dell' albero nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente che le corrisponde o "le é propria", é comunque reale (indipendentemente dall' eventuale caso che si trovi ad essere "oggetto di esperienza cosciente" o meno).
CitazioneChiaramente, per un "fenomenalista" siccome non c'è una realtà "dietro" (o meglio: oltre) ai fenomeni, noumeno e fenomeno non coincidono, il secondo essendo reale, il primo no: sarebbe contraddittorio il pretenderlo!
CitazionePer me (e credo per tutti) il fenomenalista non ammette noumeno.
A questo punto, forse nemmeno per me esiste il noumeno per come lo intendi tu. Per me, infatti, l'inconoscibilita del noumeno è problematica visto che noi ipotizziamo il noumeno per spiegare le apparenze. Ma se ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno secondo me avremmo anche una parziale conoscenza del noumeno (se c'è). Nota che non è necessaria l'onniscienza ma una comprensione corretta del fenomeno per arrivare ad una comprensione parziale del noumeno. Il problema della tua teoria è che non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio. Abbiamo concordato che l'unica conoscenza certa è data da quella empirica. Quindi una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) che ci permette di comprendere in pieno il fenomeno è di natura empirica. Ovviamente, la conoscenza completa del fenomeno potrebbe anche dirci che non c'è noumeno.
Tuttavia, non riesco a capire il motivo per cui una cosa che esiste indipendentemente dalla nostra coscienza non può essere oggetto di conoscenza empirica (seppur parziale). Mi dirai: se lo fosse, sarebbe un fenomeno perché i fenomeni formano la nostra esperienza cosciente... Non mi convince, in realtà. Ma nemmeno con una trasformazione della coscienza? Capisco che per la tua definizione, il noumeno non può essere oggetto di conoscenza empirica. Ma la mia posizione è che dall'indipendenza ontologica non segue necessariamente l'inconoscibilita totale.
Non sarai d'accordo. Ma forse dobbiamo concordare di dissentire :)
Citazione di: Apeiron il 09 Settembre 2018, 09:43:21 AM
A questo punto, forse nemmeno per me esiste il noumeno per come lo intendi tu. Per me, infatti, l'inconoscibilita del noumeno è problematica visto che noi ipotizziamo il noumeno per spiegare le apparenze. Ma se ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno secondo me avremmo anche una parziale conoscenza del noumeno (se c'è). Nota che non è necessaria l'onniscienza ma una comprensione corretta del fenomeno per arrivare ad una comprensione parziale del noumeno. Il problema della tua teoria è che non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio. Abbiamo concordato che l'unica conoscenza certa è data da quella empirica. Quindi una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) che ci permette di comprendere in pieno il fenomeno è di natura empirica. Ovviamente, la conoscenza completa del fenomeno potrebbe anche dirci che non c'è noumeno.
Tuttavia, non riesco a capire il motivo per cui una cosa che esiste indipendentemente dalla nostra coscienza non può essere oggetto di conoscenza empirica (seppur parziale). Mi dirai: se lo fosse, sarebbe un fenomeno perché i fenomeni formano la nostra esperienza cosciente... Non mi convince, in realtà. Ma nemmeno con una trasformazione della coscienza? Capisco che per la tua definizione, il noumeno non può essere oggetto di conoscenza empirica. Ma la mia posizione è che dall'indipendenza ontologica non segue necessariamente l'inconoscibilita totale.
Non sarai d'accordo. Ma forse dobbiamo concordare di dissentire :)
Credo anch' io che dobbiamo concordare di dissentire.
Se ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno (anche senza che sia necessaria l'onniscienza ma solo una limitata comprensione corretta del fenomeno) secondo me non avremmo affatto alcuna conoscenza, nemmeno parziale del noumeno, che é tutt' altra cosa.Dunque una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) innanzitutto é impossibile per via empirica per definizione; inoltre, anche ammesso e non concesso, non ci ci permetterebbe affatto di comprendere in pieno il fenomeno.E parimenti la conoscenza completa del fenomeno non potrebbe assolutamente anche dirci se c' é o non c'è noumeno.Dall'indipendenza ontologica non segue necessariamente l' inconoscibilita totale (e infatti se parliamo del noumeno qualcosa ne dobbiamo pur sapere); ma dall' essere (per definizione) qualcosa di reale indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche, che esiste-diviene realmente anche se e quando le sensazioni fenomeniche non sono reali, e dunque é diverso -altra "cosa"-da qualsiasi (insieme - successione di) sensazione fenomenica segue necessariamente la sua inconoscibilità empirica (ne é ammissibile una eventuale limitata conoscibilità puramente congetturale)Il fatto che la mia teoria non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio, non é per niente un problema: si tratta di filosofia, non di scienza empirica!Secondo me la sua forza sta nel fatto che non si trovano a mio modesto parere soluzioni migliori (per forza ipotetiche) delle questioni dei rapporti cervello-coscienza e dell' intersoggettività delle sensazioni fenomeniche materiali.
@sgiombo,anche se rimaniamo su due posizioni diverse abbiamo varie convergenze. Inoltre, è stato un vero piacere per me questa discussione :)
Scrivi:
CitazioneIl fatto che la mia teoria non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio, non é per niente un problema: si tratta di filosofia, non di scienza empirica!
Certo! Era solo che:
CitazioneSe ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno (anche senza che sia necessaria l'onniscienza ma solo una limitata comprensione corretta del fenomeno) secondo me non avremmo affatto alcuna conoscenza, nemmeno parziale del noumeno, che é tutt' altra cosa.
Dunque una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) innanzitutto é impossibile per via empirica per definizione; inoltre, anche ammesso e non concesso, non ci ci permetterebbe affatto di comprendere in pieno il fenomeno.
E parimenti la conoscenza completa del fenomeno non potrebbe assolutamente anche dirci se c' é o non c'è noumeno.
se, ad esempio, diciamo che il fenomeno "appare" (perdona la rindondanza, ma voglio fare il pignolo ;D ) in dipendenza da una "realtà" indipendente dalla nostra coscienza (
noumeno), allora secondo me se fosse possibile una conoscenza completa del fenomeno, tale conoscenza ci darebbe una conoscenza parziale
anche del noumeno (visto che tra le varie "proprietà" del fenomeno, vi è quella che appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza). Inoltre, visto che l'inferenza applicata all'esperienza, la "fede" e la speculazione intellettuale non ci danno alcuna conoscenza del noumeno, risulta necessariamente (secondo me) che non è nemmeno conoscere
in modo certo totalmente il fenomeno (visto che sapere "che appare in dipendenza dal noumeno" implica che si conosca anche il noumeno) ;) A meno che, tale conoscenza non venga in modo empirico. Ma questo ci porta al "paradosso" (?) che il noumeno (se c'è) possa essere conosciuto empiricamente (ammetto che non sono sicurissimo che sia possibile!). Ovviamente, anche la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo) è da "verificare" (per avere la certezza che sia vera). E nuovamente, l'unica verifica possibile è data da una conoscenza completa (che in questo caso escluderebbe il "noumeno"). La mia posizione è che una conoscenza completa dei fenomeni sia in linea di principio possibile. Ma è un'assunzione abbastanza arbitraria. E sono dell'idea (e anche qui forse sbaglio) che per quanto detto sopra, tale conoscenza ci potrebbe dare informazioni sul "noumeno" (anche in senso "negativo", ovvero confermando la sua eventuale non-esistenza).
CitazioneIl fatto che la mia teoria non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio, non é per niente un problema: si tratta di filosofia, non di scienza empirica!
Secondo me la sua forza sta nel fatto che non si trovano a mio modesto parere soluzioni migliori (per forza ipotetiche) delle questioni dei rapporti cervello-coscienza e dell' intersoggettività delle sensazioni fenomeniche materiali.
Capito! Rispetto la tua teoria ;)
P.S. Ah, perdona la formattazione orrenda del mio post precedente. L'ho scritto con il telefono e abbastanza frettolosamente :)
Modifica: ad essere pignoli l'eventuale conoscenza completa del fenomeno non dimostrerebbe, nel caso in cui si stabilisse che il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno"), strettamente parlando " la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo)" ma solo che i fenomeni appaiono senza il "supporto" di tale "realtà indipendente". Ovviamente, ciò non toglie che ci possa essere una realtà indipendente ma
completamente slegata dai fenomeni (e quindi anche dalle coscienze ecc) - ovvero senza alcuna relazione con fenomeni e coscienze ecc.
Citazione di: Apeiron il 09 Settembre 2018, 19:14:10 PM
@sgiombo,
anche se rimaniamo su due posizioni diverse abbiamo varie convergenze. Inoltre, è stato un vero piacere per me questa discussione :)
CitazioneAnche da parte mia.
CitazioneSe ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno (anche senza che sia necessaria l'onniscienza ma solo una limitata comprensione corretta del fenomeno) secondo me non avremmo affatto alcuna conoscenza, nemmeno parziale del noumeno, che é tutt' altra cosa.
Dunque una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) innanzitutto é impossibile per via empirica per definizione; inoltre, anche ammesso e non concesso, non ci ci permetterebbe affatto di comprendere in pieno il fenomeno.
E parimenti la conoscenza completa del fenomeno non potrebbe assolutamente anche dirci se c' é o non c'è noumeno.
se, ad esempio, diciamo che il fenomeno "appare" (perdona la rindondanza, ma voglio fare il pignolo ;D ) in dipendenza da una "realtà" indipendente dalla nostra coscienza (noumeno), allora secondo me se fosse possibile una conoscenza completa del fenomeno, tale conoscenza ci darebbe una conoscenza parziale anche del noumeno (visto che tra le varie "proprietà" del fenomeno, vi è quella che appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza). Inoltre, visto che l'inferenza applicata all'esperienza, la "fede" e la speculazione intellettuale non ci danno alcuna conoscenza del noumeno, risulta necessariamente (secondo me) che non è nemmeno conoscere in modo certo totalmente il fenomeno (visto che sapere "che appare in dipendenza dal noumeno" implica che si conosca anche il noumeno) ;) A meno che, tale conoscenza non venga in modo empirico. Ma questo ci porta al "paradosso" (?) che il noumeno (se c'è) possa essere conosciuto empiricamente (ammetto che non sono sicurissimo che sia possibile!). Ovviamente, anche la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo) è da "verificare" (per avere la certezza che sia vera). E nuovamente, l'unica verifica possibile è data da una conoscenza completa (che in questo caso escluderebbe il "noumeno"). La mia posizione è che una conoscenza completa dei fenomeni sia in linea di principio possibile. Ma è un'assunzione abbastanza arbitraria. E sono dell'idea (e anche qui forse sbaglio) che per quanto detto sopra, tale conoscenza ci potrebbe dare informazioni sul "noumeno" (anche in senso "negativo", ovvero confermando la sua eventuale non-esistenza).
CitazioneNon vedo alcuna consequenzialità logica fra l' ammettere che il fenomeno appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza (noumeno), e la pretesa che allora se fosse possibile una conoscenza completa del fenomeno, tale conoscenza ci darebbe una conoscenza parziale anche del noumeno; (che tra le varie "proprietà" del fenomeno, se realmente esiste, vi è quella che appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza già lo sappiamo a priori, indipendentemente da quale che sia la completezza della nostra conoscenza dei fenomeni).
Modifica: ad essere pignoli l'eventuale conoscenza completa del fenomeno non dimostrerebbe, nel caso in cui si stabilisse che il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno"), strettamente parlando " la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo)" ma solo che i fenomeni appaiono senza il "supporto" di tale "realtà indipendente". Ovviamente, ciò non toglie che ci possa essere una realtà indipendente ma completamente slegata dai fenomeni (e quindi anche dalle coscienze ecc) - ovvero senza alcuna relazione con fenomeni e coscienze ecc.
Citazionel'eventuale conoscenza completa del fenomeno non consentirebbe di stabilire se il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno") (fenomenalismo) né il contrario: i fenomeni potrebbero anche apparire (0 essere reali) senza il "supporto" di tale "realtà indipendente (la cui esistenza credo per fede, non perché sia dimostrata né dimostrabile né tantomeno -per definizione- constatabile empiricamente.
Concordo che Ovviamente, ciò non toglie che ci possa essere una realtà indipendente ma completamente slegata dai fenomeni (e quindi anche dalle coscienze ecc) - ovvero senza alcuna relazione con fenomeni e coscienze ecc. (é un' ipotesi non autocontraddittoria, dunque pensabile sensatissimamente).
@sgiombo,Citazionel'eventuale conoscenza completa del fenomeno non consentirebbe di stabilire se il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno") (fenomenalismo) né il contrario: i fenomeni potrebbero anche apparire (0 essere reali) senza il "supporto" di tale "realtà indipendente (la cui esistenza credo per fede, non perché sia dimostrata né dimostrabile né tantomeno -per definizione- constatabile empiricamente.
Credo che qui ci sia il nostro punto di dissenso. Per me, una completa e certa conoscenza del fenomeno significa sapere con certezza
tutte le sue proprietà. Tra queste vi è, secondo me, l'apparire (o meno) in dipendenza dal "noumeno". Ergo, credo che se ammettiamo che possiamo conoscere completamente il fenomeno dobbiamo anche ammettere che è possibile conoscere se esso appare (o meno) in dipendenza dal noumeno.
Visto che tale "conoscenza certa" del fenomeno implica anche una conoscenza certa (può anche essere parziale ma deve essere certa) del noumeno (in particolare, come minimo, o si constata la sua presenza o la sua assenza) e siccome l'inferenza dall'esperienza, la "fede" e la speculazione non possono dare tale conoscenza, l'unica via è l'esperienza diretta.
Se non si ammette che empiricamente non si può sapere se vi è il noumeno o meno, allora secondo me non è possibile avere una conoscenza completa del fenomeno.
Citazione di: Apeiron il 11 Settembre 2018, 18:39:14 PM
@sgiombo,
Citazionel'eventuale conoscenza completa del fenomeno non consentirebbe di stabilire se il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno") (fenomenalismo)né il contrario: i fenomeni potrebbero anche apparire (0 essere reali) senza il "supporto" di tale "realtà indipendente (la cui esistenza credo per fede, non perché sia dimostrata né dimostrabile né tantomeno -per definizione- constatabile empiricamente.
Credo che qui ci sia il nostro punto di dissenso. Per me, una completa e certa conoscenza del fenomeno significa sapere con certezza tutte le sue proprietà. Tra queste vi è, secondo me, l'apparire (o meno) in dipendenza dal "noumeno". Ergo, credo che se ammettiamo che possiamo conoscere completamente il fenomeno dobbiamo anche ammettere che è possibile conoscere se esso appare (o meno) in dipendenza dal noumeno.
Citazione
Ma questo lo sappiamo già a priori, per definizione, anche conoscendo poco o nulla del fenomeno (non é mai stato in dubbio).
Quello che mi sembra evidente che tu pretendi e che io nego recisamente é che il noumeno possa identificarsi col (concetto-limite di) fenomeno "perfettamente conosciuto", il che é un' evidente contraddizione, cioé la pretesa di identificare ciò che non é reale (il fenomeno sia pur "perfettamente conosciuto" allorché non accade in quanto tale) con ciò che é reale (il noumeno anche allorché il fenomeno, fosse pure "perfettamente conosciuto, non accade).
Visto che tale "conoscenza certa" del fenomeno implica anche una conoscenza certa (può anche essere parziale ma deve essere certa) del noumeno (in particolare, come minimo, o si constata la sua presenza o la sua assenza) e siccome l'inferenza dall'esperienza, la "fede" e la speculazione non possono dare tale conoscenza, l'unica via è l'esperienza diretta.
CitazioneQualsiasi certezza e qualsiasi conoscenza sul noumeno può aversi unicamente per fede; pretendere di conseguirla per esperienza diretta significa cadere in una platealissima contraddizione (vedi sopra).
Se non si ammette che empiricamente non si può sapere se vi è il noumeno o meno, allora secondo me non è possibile avere una conoscenza completa del fenomeno.
CitazioneMa nessuno che non sia affetto da delirio di onniscenza ha mai preteso di avere una conoscenza completa dei fenomeni (a parte il fatto che che non si possa empiricamente sapere se vi è il noumeno o meno non lo devo certo "ammettere", dal momento che é quanto ho sempre sostenuto).
Ciao
@sgiombo,CitazioneMa nessuno che non sia affetto da delirio di onniscenza ha mai preteso di avere una conoscenza completa dei fenomeni (a parte il fatto che che non si possa empiricamente sapere se vi è il noumeno o meno non lo devo certo "ammettere", dal momento che é quanto ho sempre sostenuto).
Intendevo dire che una conoscenza completa è "logicamente possibile", non che "pretendo di averla".
CitazioneQualsiasi certezza e qualsiasi conoscenza sul noumeno può aversi unicamente per fede; pretendere di conseguirla per esperienza diretta significa cadere in una platealissima contraddizione (vedi sopra).
Va bene... come dicevo, non tutto ciò che è indipendente dalla nostra coscienza, secondo me, è inconoscibile. Ovvero, credo che il tuo concetto di "noumeno" sia troppo restrittivo. Ma ovviamente "secondo me" ;)
Però, non penso di portare argomentazioni a mio favore migliori di quelle che ho portato...
Citazione di: Apeiron il 12 Settembre 2018, 19:24:17 PM
Ciao Apeiron,
Ap.: Se non si ammette che empiricamente non si può sapere se vi è il noumeno o meno, allora secondo me non è possibile avere una conoscenza completa del fenomeno.
Citazione
CitazioneSg.: Ma nessuno che non sia affetto da delirio di onniscenza ha mai preteso di avere una conoscenza completa dei fenomeni (a parte il fatto che che non si possa empiricamente sapere se vi è il noumeno o meno non lo devo certo "ammettere", dal momento che é quanto ho sempre sostenuto).
CitazioneApeiron:
Intendevo dire che una conoscenza completa è "logicamente possibile", non che "pretendo di averla".
Ovvio.
Però avevi scritto che Se non si ammette che empiricamente non si può sapere se vi è il noumeno o meno, allora secondo te non è possibile avere una conoscenza completa del fenomeno.
Citazione di: Apeiron il 12 Settembre 2018, 19:24:17 PM
CitazioneAp.: Visto che tale "conoscenza certa" del fenomeno implica anche una conoscenza certa (può anche essere parziale ma deve essere certa) del noumeno (in particolare, come minimo, o si constata la sua presenza o la sua assenza) e siccome l'inferenza dall'esperienza, la "fede" e la speculazione non possono dare tale conoscenza, l'unica via è l'esperienza diretta.
Sg.: Qualsiasi certezza e qualsiasi conoscenza sul noumeno può aversi unicamente per fede; pretendere di conseguirla per esperienza diretta significa cadere in una platealissima contraddizione (vedi sopra).
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Apeiron:
.: Va bene... come dicevo, non tutto ciò che è indipendente dalla nostra coscienza, secondo me, è inconoscibile. Ovvero, credo che il tuo concetto di "noumeno" sia troppo restrittivo. Ma ovviamente "secondo me" ;)
Però, non penso di portare argomentazioni a mio favore migliori di quelle che ho portato...
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Però avevi scritto che Visto che tale "conoscenza certa" del fenomeno implica anche una conoscenza certa (può anche essere parziale ma deve essere certa) del noumeno (in particolare, come minimo, o si constata la sua presenza o la sua assenza) e siccome l'inferenza dall'esperienza, la "fede" e la speculazione non possono dare tale conoscenza, l'unica via è l'esperienza diretta.
Sì, scusami @sgiombo. Mi sono espresso male io.
Intendevo dire in entrambi i casi "conoscenza certa parziale". Nel senso che, anche se (per assurdo secondo te) riuscissimo a conoscere che i fenomeni appaiono grazie alla presenza del noumeno (ovvero se riuscissimo ad essere certi che vi è un noumeno) questo non ci darebbe una "conoscenza completa" del noumeno e/o del fenomeno. Ma comunque (secondo me), una conoscenza parziale.
Comunque, trovo molto interessante che siamo d'accordo che solo la conoscenza empirica può dare "conoscenza certa" (a parte per la matematica, la logica ecc ma in quel caso è un altro paio di maniche ;) ).
A mio parere si può essere certissimi dell'esistenza del noumeno (poi, certo, la conoscenza è un'altra cosa...).
Se, tanto per usare la terminologia della Semiotica, esiste un segno che contraddistingue un oggetto (cioè il fenomeno),
allora DEVE esistere necessariamente anche l'oggetto da quel segno designato (il noumeno).
Quanto e in che misura essi possono essere conosciuti? Può certamente essere conosciuto il fenomeno, cioè il "segno";
non può essere conosciuto il noumeno, in quanto già il solo pensarlo significa inserirlo all'interno di una catena
segnica (cioè farlo diventare un fenomeno), come giustamente affermò C.S.Peirce.
Ora, quanto vi è di oggettivo nella conoscenza del segno, cioè del fenomeno?
Vi può essere poco o molto, dipende. Sicuramente il segno, o fenomeno, non può essere conosciuto del tutto, perchè
ciò significherebbe conoscere l'oggetto "primo", o noumeno (la conoscenza fenomenica può svolgersi solo ed esclusivamente
all'interno di un "contesto", o catena segnica che dir si voglia, non fuori da essa come sarebbe richiesto da una conoscenza
totale).
Inutile dire che, come dicevo nell'altra discussione, Kant aveva già intuito tutto questo nella "Critica del Giudizio"
(in particolare nel "giudizio di gusto", o "riflettente")
saluti