Ogni spiritualità richiede un minimo di senso critico, altrimenti ogni impostore potrebbe fregiarsi del titolo di maestro.
Senza dubbio anche la critica ha i suoi punti deboli: infatti, per criticare una cosa qualsiasi devo servirmi di criteri, i quali risulteranno inevitabilmente criticabili.
Sarà bene osservare che limitatezza non significa nullità: che la critica sia criticabile non significa che essa sia nient'altro che spazzatura, ma solo che ha i suoi limiti.
A questo punto però mi sembra di notare una differenza: se penso alle spiritualità più diffuse, come per esempio le religioni, o ad altre vie più o meno definibili come religioni, trovo che esse non praticano la stessa umiltà praticata dalla critica. La critica infatti, riconoscendo di essere essa stessa criticabile, fa atto di umiltà, riconosce i propri limiti e si offre come modesto strumento al servizio di chi voglia avere la pazienza di utilizzarla.
Le spiritualità no: trovo che esse invece si offrono come pacchetti del tipo "prendere o lasciare", "tutto o niente"; è ammesso al loro interno uno spazio di critica e ricerca, ma, appunto, al loro interno, cioè a patto che ci si mantenga al di qua dei paletti da esse prestabiliti. La critica no: essa non pone alcun paletto, si offre nuda e inerme, pronta ad essere sottoposta a qualsiasi trattamento.
Senza dubbio ha valore il fatto che, se le spiritualità sono seguite da un così gran numero di persone, vuol dire che tali persone sperimentano tra di loro un capirsi, un intendersi, un trovarsi bene. D'altra parte, la critica mi ricorda che non ci sarebbe da meravigliarsi se anche l'intero nostro pianeta si lasciasse ingannare da un'impostura qualsiasi: il fatto che le spiritualità siano seguite da un gran numero di persone che dicono di trovarcisi bene non dice nulla sul loro valore come mezzo effettivo, ottimale, di crescita e di realizzazione umana.
Ora, se la critica è umilissima, ma non sa costruire nulla di positivo, e le spiritualità, al contrario, offrono vita, ma sembrano sopravvivere solo nella misura in cui si sottraggono al sospetto, non ne consegue la necessità attuale di un dialogo più serrato tra critica e spiritualità?
Ho trovato significativo il tentativo di Sariputra di una specie di dialogo tra spiritualità e filosofia (quest'ultima si potrebbe considerare equivalente a critica) nel thread
Cos'è un ente? Perchè è diverso da un niente?A questo proposito credo che un dialogo di questo tipo meriterebbe di essere portato avanti con maggiore consapevolezza della sua importanza e quindi con più metodo, maggiore sistematicità.
Citazione di: Fharenight il 24 Gennaio 2017, 14:07:46 PM
Trovo giusto quello che scrivi. Il fatto è che la spiritualità forse nasce da un un profondo anelito, da un forte desiderio dell uomo di superare i propri limiti, le ingiustizie, il dolore, e dunque, di conseguenza, non è molto incline a lasciarsi "violentare"dalla critica, anche perché, un eccesso di critica sciuperebbe o ucciderebbe la speranza. Ecco perché si rifugia piú volentieri nei pacchetti precostituiti delle religioni.
Angelo Cannata, di te mi ha collpito il fatto che nel tuo profilo hai voluto specificare e mettere in bella mostra che sei un ex prete, ateo, relativista, antimetafisico; mi incuriosisce sapere il perché.
Inoltre vorrei tanto che ci parlassi di come hai fatto a passare dall'essere un prete all'ateismo, all'antimetafisico.e al relativismo; qual è stato il percorso che ti ha portato al cambiamento, percorso sia personale tuo, intimo, con la tua coacienza, spirituale, e sia dal punto di vista puramente razionale, intellettuale e di studi che hai affrontato per consolidare la tua ultima scelta che è praticamente agli antipodi di un religiso. Se vuoi parlarne puoi aprire un topic apposito.
I
Ho messo in mostra alcune mie caratteristiche nel mio profilo perché in realtà mi piacerebbe che lo facessero anche altri. Voglio dire, a volte mi capita di navigare qua e là tra tutti i post di Logos, vedo il ritornare di certi nick e sento il bisogno di ricordarmi come la pensa colui che sta dietro quel nick, qual è la sua mentalità; questo mi faciliterebbe moltissimo la lettura dei post. Ovviamente, mi rendo conto che mettere ad altri delle etichette è sempre riduttivo, mettersele da se stessi può esserlo ancora di più, se non perfino difficilissimo o impossibile.
E allora ho pensato di farlo intanto io su di me: cioè, penso che sia utile per chiunque, nel leggere i miei post, avere già in breve un rapido quadro di chi sono io, per, appunto, inquadrare già in anticipo i miei messaggi prima di leggerli.
Per quanto riguarda la descrizione del mio percorso, mi fa piacere, proverò ad aprire un topic apposito, fermo restando che sarò pronto e disponibile alla sua eliminazione se dovesse risultare come un farmi pubblicità.
La critica, lungi dall'essere umile (nel senso di humus, terreno fertile da cui possa sbocciare una qualche certezza), è invece la più becera forma di arroganza: è l'arroganza tipica degli ignoranti, che invidiosi della sapienza altrui non sanno fare altro che metterla in discussione nei modi più risibili e vergognosi; è una forma di parassitismo fra le più diffuse nel mondo moderno, tipica della vigliaccheria intellettuale di coloro che non sanno e sono infastiditi da coloro che invece, magari a volte non sapendo, hanno comunque il coraggio di esporsi e di rischiare con l'onesto intento di sapere di più o di meglio. Esistono critici di ogni materia: dall'arte alla religione, dalla gastronomia allo sport, dalla politica al diritto, e tutti sono accomunati dall'arroganza di chi, dal basso della propria insipienza, giudica senza correre il rischio di poter essere a sua volta giudicato. Vi sono critici d'arte che assegnano a chiunque patenti di artista senza aver a loro volta mai prodotto un'opera d'arte; vi sono critici gastronomici che assegano o tolgono "stellette" ma non sono in grado di cuocere un uovo senza bruciarlo; vi sono critici di calcio che redigono "pagelle" senza aver mai tirato un calcio ad un pallone; vi sono centinaia di critici della politica che a sentirli parlare i problemi sarebbero tutti risolti in un attimo, poi non si sa come mai nessuno di loro è disponibile a dimostrarlo sul campo; vi sono critici delle religioni che si costruiscono una religione come pare a loro e completamente differente da quel che è per poi poterla confutare con successo. La maggior parte dei giornalisti è passata dal ruolo di cronista a quello di critico, e costruisce la propria carriera su parole perlopiù campate in aria, senza mai avere la necessità di dimostrare di essere in grado di fare meglio di coloro che critica, o di avere un pensiero più vero di quello che mette in discussione. Tutti che si vantano di fare i critici "di mestiere" e nascono tali dal nulla, ma non sanno che il critico è colui che ha una grande sapienza ed esperienza in un mestiere e sono proprio queste che lo promuovono al ruolo di critico. Se uno non ha mai fatto politica come può criticare la politica? Se uno non ha mai studiato e capito la metafisica, la religione, la teologia ma ha fatto tutt'altro nella vita su quali basi può criticarle? E poi la critica moderna, a differenza di quella antica che era almeno più onesta, è anche intellettualmente truffaldina, perchè non offre alternative al pensiero che si permette di criticare: se si pensa che una affermazione è falsa è perchè, ovviamente, si dovrebbe conoscere quella vera, ma invece la critica moderna anzichè sostituire affermazione vere a quelle false si limita a contestare qualunque affermazione, sic et simpliciter, limitandosi a formulare fantasiose ipotesi alternative o domande del tipo "ma non potrebbe essere invece...?". Anche l'ultimo degli ignoranti è in grado di contestare qualunque affermazione basandosi sulla propria immaginazione e dunque è l'ignoranza, sotto le spoglie "colte" della critica, a dominare l'intellettualità moderna. E poi, quando anche l'immaginazione fa difetto e non hanno più argomenti, i critici ignoranti (o gli ignoranti critici, che è lo stesso) spostano la loro critica dal merito alla persona, contestando il solo fatto che qualcuno si possa dichiarare sicuro di ciò che afferma, tacciandolo per ciò stesso di superbia e arroganza, quindi di fatto dimostrando viceversa la loro superbia e la loro arroganza. Questi soldati del dubbio che fanno professione di umiltà sempre dichiarata e mai esibita dovrebbero innanzitutto porsi il dubbio se sia sensato criticare un pensiero, un'opera, un comportamento, un'idea senza avere un'alternativa migliore da proporre (come facevano del resto i critici "seri" e onesti, anche se molti di questi hanno proposto alternative false e peggiori), e magari andarsi prima a studiare il concetto stesso di critica che presuppone una profonda conoscenza della materia che ci si propone di criticare.
Angelo, scusami, perché usi il sostantivo spiritualità come sinonimo di religione ? In un topic nel forum dedicato alla spiritualità si è giunti a "concordare" che anche gli atei possono aspirare alla spiritualità, capace di permeare l'esistenza personale. Allora è meglio definire cosa s'intende per spiritualità e se è necessaria una religione per aspirare alla spiritualità. In merito parli di criteri, quali ?
Citazione di: Fharenight il 24 Gennaio 2017, 14:22:33 PM
Citazione di: Fharenight il 24 Gennaio 2017, 14:07:46 PMAngelo Cannata, di te mi ha collpito il fatto che nel tuo profilo hai voluto specificare e mettere in bella mostra che sei un ex prete, ateo, relativista, antimetafisico; mi incuriosisce sapere il perché.
Inoltre vorrei tanto che ci parlassi di come hai fatto a passare dall'essere un prete all'ateismo, all'antimetafisico.e al relativismo; qual è stato il percorso che ti ha portato al cambiamento, percorso sia personale tuo, intimo, con la tua coacienza, spirituale, e sia dal punto di vista puramente razionale, intellettuale e di studi che hai affrontato per consolidare la tua ultima scelta che è praticamente agli antipodi di un religiso. Se vuoi parlarne puoi aprire un topic apposito.
Fatto: ho aperto un nuovo topic
qui.
Citazione di: altamarea il 24 Gennaio 2017, 15:11:01 PM
Angelo, scusami, perché usi il sostantivo spiritualità come sinonimo di religione ? In un topic nel forum dedicato alla spiritualità si è giunti a "concordare" che anche gli atei possono aspirare alla spiritualità, capace di permeare l'esistenza personale. Allora è meglio definire cosa s'intende per spiritualità e se è necessaria una religione per aspirare alla spiritualità. In merito parli di criteri, quali ?
Non l'ho usato come sinonimo di religione, ma come ambito più vasto in cui possono rientrare anche le religioni. Infatti ho scritto "
... se penso alle spiritualità più diffuse, come per esempio le religioni, o ad altre vie più o meno definibili come religioni...".
Purtroppo, a tutt'oggi, non esiste una definizione di spiritualità chiara, definita, precisa e universalmente condivisa. Troverai definizioni in dizionari, enciclopedie e fonti di ogni genere, ma peccano tutte inevitabilmente di approssimazione e lasciano campo aperto a discussioni infinite.
Ai fini del topic che ho aperto, intendo come spiritualità tutto ciò che si possa pensare come
esperienza interiore.
Ho parlato di criteri riguardo alla critica. Un esempio semplicissimo di criterio per la critica è il principio di non contraddizione:
l'essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere. Questo principio consente di esprimere delle critiche: per esempio, se uno mi dice che "un sasso è un oggetto fisico, ma non è un oggetto fisico", il principio di non contradddizione mi porta a sollevare una critica. In base a ciò che ho detto, tuttavia, anche il principio di non contraddizione è soggetto a sua volta a poter essere criticato.
** scritto da altamarea:
CitazioneAngelo, scusami, perché usi il sostantivo spiritualità come sinonimo di religione ? In un topic nel forum dedicato alla spiritualità si è giunti a "concordare" che anche gli atei possono aspirare alla spiritualità, capace di permeare l'esistenza personale. Allora è meglio definire cosa s'intende per spiritualità e se è necessaria una religione per aspirare alla spiritualità.
Secondo me non è che per aspirare (o sperimentare) alla spiritualità è necessaria una religione, ma che è inevitabile non entrare in una disciplina ("anche personalizzata") di stile religioso a chi segue un percorso o una esperienza spirituale
, mettendo al centro la sua essenza volta alla ricerca del suo Sé, non connessa con la materia e al tempo stesso con tutto, accettando aspetti "sovrannaturali" come la propria anima riguardo a tutto ciò che ci circonda. (da "Differenze tra religione e spiritualità)
La spiritualità pensa di "violare", in qualche modo, i dogmi religiosi, ossia, di non farne parte, senza riflettere sull'eventualità che forse ne ha già generati altri: giacché il semplice rapportarsi con il proprio spirito o andare col pensiero oltre la fisicità è già un'azione di fiducia, quindi speranza, quindi dogma nel momento che diviene un rito quotidiano, o un ordine di prassi abitudinario.
Inoltre, siccome nulla accade per caso, mentre scrivevo ho "incontrato" questo pensiero di John Stuart Miller (sicuramente voi sapete chi sia, io no) che penso faccia a proposito, chiarisca meglio il punto:
"La riflessione filosofica, che alle persone superficiali sembra essere estranea agli affari mondani e agli intessi materiali dell'uomo, è invece la cosa al mondo che più incide su di loro, e che sul lungo periodo sopravanza ogni tipo di influenza".Se incide la riflessione filosofica, quanto più la spiritualità.
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM
Ogni spiritualità richiede un minimo di senso critico, altrimenti ogni impostore potrebbe fregiarsi del titolo di maestro...
E' un discorso senz'altro interessante, ma secondo me occorrerebbe distinguere due aspetti della critica. Se il problema è quello di garantire un'ortodossia del discorso secondo un principio di correttezza, il problema si risolve piuttosto facilmente con un metodo o una regola, un po' come quando si correggono in uno scritto gli errori di ortografia o di grammatica (e naturalmente ci vorranno dei "grammatici" che ben conoscono le regole stabilite e quindi abbiano la competenza necessaria per applicarle correttamente per esprimere giudizi conformi a regola). Diverso è invece se la critica si applica al valore del contenuto semantico rappresentativo del discorso o alle ragioni "meta- metodologiche" per cui si stabilisce quel metodo di giudizio. In questo senso nessun discorso impostato su una trascendenza della verità (trascendenza che può essere non solo di tipo religioso, ma anche ateo, comunque metafisico) non può tollerare alcuna critica, ma non per ragioni di superbia, semplicemente perché nessuna idea di trascendenza può coesistere con il dubbio, che è come il tarlo che divora il legno.
Ogni sistema trascendente in realtà ha già in sé il proprio dubbio (quindi il proprio tarlo), ma resiste fintantoché riesce a reprimerlo o rimuoverlo, se cede allora il crollo (che può cominciare da una lieve incrinatura) finirà con l'essere inevitabile e non si può reprimere e rimuovere all'infinito.
Per questo non credo possa esservi alcuna forma religiosa, basata su una concezione trascendente della Verità, che possa tollerare la critica ai suoi principi, se mostra di farlo (magari anche per rendersi più accettabile) è perché ha già ha ceduto, già non è più religione.
Da un punto di vista filosofico, quando Parmenide all'inizio del suo poema sull'Essere, fa pronunciare alla Dea la raccomandazione di giudicare le sue parole secondo il logos e non perché è lei, la Dea, a dirgliele, lui, Parmenide ha già ucciso la Dea in nome del Logos, della coerenza logica del discorso e ha avviato una serie di catastrofi divine e filosofiche senza fine, ha avviato la storia della filosofia dell'Occidente (Terra del Tramonto).
Questo, appunto perché la critica, si può certo rivolgere alla critica stessa (come inizierà a fare formalmente Cartesio), tentando così ogni volta di stabilire la giusta ragione di quel criticare, ma ripetendo così all'infinito la domanda sulla domanda, sulla domanda ...
E' il punto in cui è arrivata la filosofia oggi, perfettamente spiegato all'inizio di questa lunga lezione da Ronchi
https://www.youtube.com/watch?v=r1ZyZBT9mfM: uno sprofondare infinito alla ricerca del significato che sempre si nega, perché sempre si interroga criticamente sulla sua ragione. Ronchi suggerisce una soluzione a questo increscioso problema (istituire una differenza qualitativa nel pensiero che peraltro lui trova già istituita nella filosofia di Bergson), che però a mio avviso non fa che spostare il problema, ripetendolo identico in altro luogo filosofico. A mio avviso si tratta invece di accettare l'assoluta inconoscibilità dell'assoluto totale che si rivela conoscibile solo parzialmente, nel relativo. Come dice Sini si tratta di rendersi conto che la totalizzazione (che l'assoluto sempre pretende per essere tale), è sempre un percorso di parzialità in atto. Dunque che non c' la Verità (l'episteme), ma solo le verità (le opinioni, la doxa) che via via la percorrono senza mai poterla esprimere come Verità, se non proprio nel loro percorrerla, sorgendo e tramontando.
** scritto da maral:
CitazioneA mio avviso si tratta invece di accettare l'assoluta inconoscibilità dell'assoluto totale che si rivela conoscibile solo parzialmente, nel relativo. Come dice Sini si tratta di rendersi conto che la totalizzazione (che l'assoluto sempre pretende per essere tale), è sempre un percorso di parzialità in atto. Dunque che non c'è la Verità (l'episteme), ma solo le verità (le opinioni, la doxa) che via via la percorrono senza mai poterla esprimere come Verità, se non proprio nel loro percorrerla, sorgendo e tramontando.
Forse, se mi è consentito, sarebbe più opportuno sostituire il
"che non c'è" con il
"che non conosciamo" o "che non ci è concesso conoscere".
Francamente, per me che sperimento quotidianamente la conoscenza attraverso la fede, e meno per mezzo della scienza (anche se coadiuva tanto la mia esperienza di comprensione intuitiva e corporea), trovo incantevole questo assioma:
"... accettare l'assoluta inconoscibilità dell'assoluto totale che si rivela conoscibile solo parzialmente, nel relativo..." - anche perché mi sembra quello appropriato per definire filosoficamente l'atto reale dell'abbandonarsi per conoscersi, del lasciar accadere gli eventi per sostenere la speranza,
del fare nel non fare (cit. C. Jung) per divenire un fatto, e non un qualcosa, eterno.
Pace & Bene
Citazione di: maral il 25 Gennaio 2017, 17:14:49 PM
Se il problema è quello di garantire un'ortodossia del discorso secondo un principio di correttezza, il problema si risolve piuttosto facilmente con un metodo o una regola...
Diverso è invece se la critica si applica al valore del contenuto semantico
Mi sembra che una qualsiasi spiritualità seria possa perfino rivendicare un suo diritto di oltrepassare qualsiasi norma discorsiva, sia da un punto di vista strutturale che da un punto di vista semantico.
Per renderci conto di ciò basta prendere in considerazione arti quali la letteratura, la musica, la pittura: in esse i linguaggi vengono spesso stravolti, violentati, senza che per questo risulti sminuito il loro valore artistico.
Penso che la questione consista non tanto nel rispettare ortodossie o riuscire a resistere alla critica, quanto nel mostrarsi disponibili ed aperti ad essa. Per esempio, un quadro di un pittore stravagante, o una poesia fatta di parole sconclusionate potrebbero non resistere ad una critica; ma qualche anno dopo potrebbe venir fuori che era stata la critica ad essere cieca e non aver saputo vedere il valore artistico di quelle opere. In tutto ciò il problema non sta né nell'artista stravagante, né nel critico: entrambi fanno ciascuno il proprio mestiere, ovviamente con la maggiore onestà possibile.
Il problema serio si verrebbe invece a creare quando l'artista pretendesse di rifiutare qualsiasi confronto con la critica, per esempio affermando che la sua opera ha valore assoluto e che qualsiasi critica non vale niente. Questo è ciò che mi sembra porre seriamente in questione una spiritualità qualsiasi: quando essa pretendesse di oltrepassare ogni possibilità critica, presente e futura, rifiutando nei fatti il confronto, il dialogo. A questo scopo, in ambito di spiritualità, si usa spesso una rivendicazione di ascoltare o parlare col cuore, si fa riferimento a cose che la mente non può capire, cose che possono essere comprese solo con lo spirito e mai col senso critico o con la mente. Un discorso del genere ignora che la critica non è solo critica razionale: la critica è spesso critica umana, cioè esercitata da umani i quali si servono anche della propria sensibilità, ovviamente soggettiva e quindi umile, ma non per questo ignara del proprio valore. Per esempio, per criticare il quadro di un pittore, il critico d'arte sa di dover e poter fare appello alla propria sensibilità personale, educata dallo studio delle altre opere d'arte, una sensibilità soggettiva e umile, ma seria. Non mi sembra che siano mai esistiti pittori, poeti o musicisti i quali abbiano rivendicato che la loro opera oltrepassi qualsiasi possibilità di critica umana. In spiritualità questo invece avviene e proprio questi casi mi fanno nascere il sospetto di impostura, la quale pretende di difendersi da una critica di cui in realtà ignora le potenzialità.
In altre parole, a volte sembra che certi "spirituali" dicano: "Se mi disapprovi, vuol dire che stai giudicando con la mente; se mi approvi, stai giudicando col cuore", trascurando che un critico è in grado di servirsi anche del proprio cuore e che un cuore sincero, serio e aperto è in grado anche di disapprovare certe spiritualità.
I miei "two cents": tutto dipende dalle definizione che si danno alle parole. Allora se per spiritualità si intendo lo studio della nostra mente allora sinceramente non vedo conflitto tra ricerca e spiritualità. Ben diverso è se questo studio è in realtà rivolto ad esempio alla "salvezza", alla "liberazione" o all'etica. In tal caso la spiritualità per forza ha dei paletti che sono appunto i suoi obiettivi.
La critica di cui parli è antitetica a mio giudizio ad ogni spiritualità di questo secondo tipo perchè la critica essenzialmente ha come metodologia il dubitare di tutto e se portata allo stremo diventa una ricerca completamente cieca perchè mette in discussioni oltre che il trovato anche il ricercato.
Motivo per cui a mio giudizio prima bisogna scegliere che obbiettivo dare alla propria spiritualità e poi applicare una metodologia rigorosa e scettica al processo di ricerca. Ad esempio metti che vuoi "cercare la perfetta felicità". Compreso il concetto, se lo vuoi cercare fino in fondodevi prima di tutto togliere tutto ciò che non è la perfetta felicità. Quindi prima di trovare il ricercato devi averlo realizzato veramente e per fare ciò devi soprattutto capire cosa non è il tuo obiettivo. Tutte le "vie negative" mi piacciono proprio per questo motivo: hanno un obiettivo e lo ricercano in modo rigoroso, ossia "purificando" la propria comprensione dell'obiettivo stesso. Tuttavia a differenza della pura ricerca senza paletti, questa ricerca è direzionata. Detto ciò piuttosto di una ricerca senza paletti si dovrebbe scegliere il Silenzio.
Citazione di: Duc in altum! il 25 Gennaio 2017, 20:14:17 PM
Forse, se mi è consentito, sarebbe più opportuno sostituire il "che non c'è" con il "che non conosciamo" o "che non ci è concesso conoscere".
Forse si potrebbe dire che non ci è concesso conoscere nella sua totalità, ma non perché questa conoscenza è negata a priori, ma proprio perché solo nella immanenza di parzialità che si danno in atto la si conosce. Ossia non conosciamo la Verità in essenza, ma conosciamo, perché lo percorriamo vivendolo, il percorso in cui tale Verità si manifesta sempre parzialmente e dunque in modo dubitabile, ossia in forma di domanda continua in cui i nostri tentativi di risposta tracciano quel percorso in cui sentiamo esserci comunque la Verità che nessuna risposta può definire. Una Verità la cui essenza totale è proprio il dipanarsi della nostra stessa esistenza proprio per come essa in ogni momento accade.
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Gennaio 2017, 23:08:21 PM
In altre parole, a volte sembra che certi "spirituali" dicano: "Se mi disapprovi, vuol dire che stai giudicando con la mente; se mi approvi, stai giudicando col cuore", trascurando che un critico è in grado di servirsi anche del proprio cuore e che un cuore sincero, serio e aperto è in grado anche di disapprovare certe spiritualità.
Appunto per questo Parmenide (paradossalmente proprio il filosofo dell'Essere assoluto) fa dire alla dea "giudica con il logos quanto ti vengo dicendo", ossia con la tua mente raziocinante che deve dubitare di quello che ti dico, non prenderlo come rivelazione (ed è chiaro che la rivelazione non può fare appello che al cuore al "è così perché sento che è così"). In fondo la Dea è quello stesso cuore che chiede di essere giudicato dalla mente esponendosi così alle ragioni del dubbio. E' da questo atto nasce la filosofia e dalla filosofia la scienza occidentale. Ma per completare il discorso, la ragione della mente deve a sua volta accettare di sottomettersi al cuore, che non esprime verità in termini di risposte logiche, ma che vive nel darsi quotidiano dell'esistenza stessa, senza che il ciclo che così viene a istaurarsi abbia mai termine in nome di una trascendenza (esistenziale, razionale o religiosa) che si eleva al di sopra di esso per intenderlo come una sorta di circolo vizioso a cui occorre porre termine. Così "il cuore" e "la ragione" non sono che le polarità di un'unità circolare sempre in atto che si divide affinché tra esse possa davvero nascere un circolo virtuoso che non necessita di un assoluto, giacché semplicemente sa di viverlo proprio mentre lo mette in dubbio relativizzandolo.
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PMOgni spiritualità richiede un minimo di senso critico, altrimenti ogni impostore potrebbe fregiarsi del titolo di maestro.
ti rispondo per come la spiritalità buddista vede il suo maestro:
Innanzi tutto OGNI spiritualità richiede un MASSIMO di senso critico. Stiamo parlando di una ricerca, di una crescita, di un raggiungere un livello di comprensione delle cose che va "oltre" il senso comune. Per far questo è OBBLIGATORIO (almeno nel buddismo) il senso critico. Questo avviene anche e sopratutto nella ricerca del PROPRIO maestro visto che nessuno si fregia del titolo di "maestro" ma sono gli altri a riconoscerlo tale per le sue caratteristiche.
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM
Senza dubbio anche la critica ha i suoi punti deboli: infatti, per criticare una cosa qualsiasi devo servirmi di criteri, i quali risulteranno inevitabilmente criticabili.
Sarà bene osservare che limitatezza non significa nullità: che la critica sia criticabile non significa che essa sia nient'altro che spazzatura, ma solo che ha i suoi limiti.
A questo punto però mi sembra di notare una differenza: se penso alle spiritualità più diffuse, come per esempio le religioni, o ad altre vie più o meno definibili come religioni, trovo che esse non praticano la stessa umiltà praticata dalla critica. La critica infatti, riconoscendo di essere essa stessa criticabile, fa atto di umiltà, riconosce i propri limiti e si offre come modesto strumento al servizio di chi voglia avere la pazienza di utilizzarla.
Se tra le spiritualità più diffuse includi anche il buddismo posso dirti che, almeno per quello che ci hanno insegnato in istituto, ci ricordano spesso questa frase:
Non credere a nulla, semplicemente per sentito dire, non importa dove l'hai letta o chi l'ha detto, neppure se l'ho detto io, a meno che non sia affine alla tua ragione e al tuo buon senso.Non credere nelle tradizioni, perché sono state tramandate per molte generazioni.Non credere in niente, solo perché se ne parla tanto, o è sostenuto dalla stragrande maggioranza degli uomini.Non credere semplicemente perché è scritto nei tuoi libri religiosi.Non credere solo per l'autorità dei tuoi insegnanti e degli anziani.Ma se dopo l'osservazione e l'analisi personale, scopri che è d'accordo con la ragione, ed è favorevole al bene e beneficio di tutti, allora accettala e vivi per essa. (BUDDHA)il Dalai Lama ultimamente ha aggiunto che in caso disputa tra la scienza (nuove scoperte scientifiche) ed il Dharma, la prima provasse di aver rangione, beh... allora essa ha ragione. (naturalmente analizzando i "fatti" )Citazione di: Angelo Cannata il 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM
Senza dubbio ha valore il fatto che, se le spiritualità sono seguite da un così gran numero di persone, vuol dire che tali persone sperimentano tra di loro un capirsi, un intendersi, un trovarsi bene. D'altra parte, la critica mi ricorda che non ci sarebbe da meravigliarsi se anche l'intero nostro pianeta si lasciasse ingannare da un'impostura qualsiasi: il fatto che le spiritualità siano seguite da un gran numero di persone che dicono di trovarcisi bene non dice nulla sul loro valore come mezzo effettivo, ottimale, di crescita e di realizzazione umana.
Ora, se la critica è umilissima, ma non sa costruire nulla di positivo, e le spiritualità, al contrario, offrono vita, ma sembrano sopravvivere solo nella misura in cui si sottraggono al sospetto, non ne consegue la necessità attuale di un dialogo più serrato tra critica e spiritualità?
beh... posso dirti cio' di cui abbiamo parlato nell'ultimo incontro dove vi era una bella moltitudine di persone molto differenti: Dai laureandi in fisica, a psicologi, ad ebrei, a mussulmani a cattolici a buddisti naturalmente.
Beh... ti ripeto quel che ho appreso.
Ogni persona percorre la sua strada con il mezzo che piu' gli è congeniale in quel momento. La strada è la stessa. La direzione è sempre la risposta alle "Domande". Chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo ecc... ecc...
Ecco quindi che c'è chi usa Il fuoristrada, chi invece la macchina sportiva, chi l'utilitaria ecc... ecc... ma tutti vanno nella stessa direzione. E' insensato dire all'altro che macchina deve usare.Ecco quindi che, secondo me, si deve fare enorme distinzione tra SPIRITUALITA', RELIGIONE, ISTITUZIONE. Spesso le cose non vanno d'accordo :)ciao :)
Citazione di: Apeiron il 26 Gennaio 2017, 11:29:32 AM
I miei "two cents": tutto dipende dalle definizione che si danno alle parole. Allora se per spiritualità si intendo lo studio della nostra mente allora sinceramente non vedo conflitto tra ricerca e spiritualità. Ben diverso è se questo studio è in realtà rivolto ad esempio alla "salvezza", alla "liberazione" o all'etica. In tal caso la spiritualità per forza ha dei paletti che sono appunto i suoi obiettivi.
La critica di cui parli è antitetica a mio giudizio ad ogni spiritualità di questo secondo tipo perchè la critica essenzialmente ha come metodologia il dubitare di tutto e se portata allo stremo diventa una ricerca completamente cieca perchè mette in discussioni oltre che il trovato anche il ricercato.
Motivo per cui a mio giudizio prima bisogna scegliere che obbiettivo dare alla propria spiritualità e poi applicare una metodologia rigorosa e scettica al processo di ricerca. Ad esempio metti che vuoi "cercare la perfetta felicità". Compreso il concetto, se lo vuoi cercare fino in fondodevi prima di tutto togliere tutto ciò che non è la perfetta felicità. Quindi prima di trovare il ricercato devi averlo realizzato veramente e per fare ciò devi soprattutto capire cosa non è il tuo obiettivo. Tutte le "vie negative" mi piacciono proprio per questo motivo: hanno un obiettivo e lo ricercano in modo rigoroso, ossia "purificando" la propria comprensione dell'obiettivo stesso. Tuttavia a differenza della pura ricerca senza paletti, questa ricerca è direzionata. Detto ciò piuttosto di una ricerca senza paletti si dovrebbe scegliere il Silenzio.
Effettivamente, in ogni discussione riguardante la spiritualità è comprensibile che prima o poi venga fuori sempre il problema della sua definizione. È per questo che nel post di partenza ho cercato di usare soprattutto il plurale:
le spiritualità, più che
la spiritualità: mi sembra che sia più facile individuare singole spiritualità che trovare un significato chiaro e definito per la spiritualità in sé stessa.
Se parliamo di spiritualità al plurale mi sembra possibile individuarle tenendo conto degli obiettivi che si propongono; al contrario, credo che individuare obiettivi per la spiritualità al singolare servirebbe solo ad avviare dibattiti infiniti, poiché la spiritualità in sé non può essere ingabbiata in un obiettivo predefinito; come minimo sarebbe un obiettivo non unanimemente condiviso.
Una ricerca senza paletti rischierebbe di intorbidare l'essere stesso della spiritualità, se ancora ce ne fosse bisogno oltre il torbido che già c'è, così come avviene nelle arti: per esempio, leggendo certe poesie può nascere il dubbio se quella possa ancora chiamarsi poesia. Fermo restando che sono le pratiche, nel loro divenire storico, a definire, nel suo divenire, cos'è la spiritualità.
Per una definizione di spiritualità che sia più utile e fruttuosa di quelle che circolano oggi, mi sembra ovvio che si dovrebbe mettere in conto anzitutto un sforzo di rispetto per come questa parola è intesa oggi, aggiungendo un lavoro di orientamento a rendere questa parola capace di sostenere il confronto con le pratiche culturali di oggi più serie e aperte.
Citazione di: maral il 26 Gennaio 2017, 12:44:17 PM
... sempre parzialmente...
... cuore che chiede di essere giudicato dalla mente...
Un orientamento per il particolare mi sembra essere caratteristico della filosofia di oggi, considerando quello che a me sembra ormai fallimento dello stile universalistico, assolutistico del filosofare greco. A partire da ciò mi sembra che la filosofia oggi propenda per orientarsi al concreto, alla politica, al sociale, proprio perché sono modi ottimi di andare al particolare.
In questo senso anche la dialettica cuore-mente potrebbe essere interpretata come dialettica universale-particolare: la mente infatti esercita la critica in nome di criteri universali, mentre il cuore contrappone ad essa intuizioni che sfuggono ai tentivi della mente di irretire ogni cosa in qualche critica razionale.
A questo punto potremmo sospettare che anche la dialettica critica-spiritualità, esprimibile anche come filosofia-spiritualità, si potrebbe considerare come dialettica universale-particolare: la spiritualità, cioè, non sarebbe che uno sbocco inevitabile di una filosofia che vede crollare le sue pretese generaliste. Potremmo considerare la spiritualità un soffermarsi col cuore su particolari filosofie che la filosofia universalista classica deve ammettere di non saper più gestire. Ciò non significa che la critica filosofica, razionale, abbia fatto il suo tempo; basta solo aggiungere che la critica in sé non è solo filosofica, razionale, ma anche artistica e spirituale.
Citazione di: bluemax il 26 Gennaio 2017, 12:47:00 PM
Ecco quindi che, secondo me, si deve fare enorme distinzione tra SPIRITUALITA', RELIGIONE, ISTITUZIONE. Spesso le cose non vanno d'accordo
Per poter distinguere queste tre cose, in modo da evitare tra esse conflitti o confusioni, bisogna definirle. Nonostante la mancanza di chiarezza che oggi esiste sul termine spiritualità, credo che qualche precisazione condivisibile si possa tentare.
Per prima cosa taglierei fuori l'istituzione: mi sembra fuor di dubbio che essa è solo uno strumento al servizio delle attività per cui essa si presta: l'istituzione non è mai il fine, l'obiettivo, ma solo un mezzo.
Per questo riguarda spiritualità e religione, mi sembra condiviso da chiunque ormai che ogni religione ha la sua spiritualità, ma non ogni spiritualità ha la sua religione: anche gli atei possono rivendicare una loro spiritualità e anche arti come la musica, la pittura, la letteratura contengono senza dubbio una loro spiritualità o possono perfino essere considerate in se stesse forme di spiritualità. Penso che non ci siano difficolà a pensare che anche lo sport ha una sua spiritualità, a volte espressamente dichiarata, se pensiamo ad esempio alle arti marziali.
Da tutto ciò mi sembra scaturire che la spiritualità è qualcosa di più vasto della religione. Ogni religione ha la sua spiritualità, ma ogni religione può anche essere considerata, o almeno credo che lo si possa fare senza troppi problemi, una forma di spiritualità.
Una volta fatto questo tentativo di chiarimento, possiamo considerare i disaccordi, gli eventuali conflitti a cui hai fatto cenno.
Diverse religioni, come anche diverse spiritualità, possono entrare in conflitto tra loro. I conflitti ovviamente non piacciono a nessuno, ma non è detto che la cosa migliore da fare sia eliminarli, rischiando di voler appiattire o uniformare tutto in un "vogliamoci bene": li si può anche trasformare in occasioni di crescita. Questo può valere anche per il rapporto tra critica e spiritualità: piuttosto che proporsi il prevalere di una delle due come soluzione pacificante, soluzione che alla fine può risultare infantile, può essere molto più fruttuoso favorire la diversità e un continuo confronto dialettico tra diversi, proprio affinché ci sia crescita.
Citazione di: donquixote il 24 Gennaio 2017, 14:55:19 PMLa critica, lungi dall'essere umile (nel senso di humus, terreno fertile da cui possa sbocciare una qualche certezza), è invece la più becera forma di arroganza: è l'arroganza tipica degli ignoranti, che invidiosi della sapienza altrui non sanno fare altro che metterla in discussione nei modi più risibili e vergognosi; è una forma di parassitismo fra le più diffuse nel mondo moderno, tipica della vigliaccheria intellettuale di coloro che non sanno e sono infastiditi da coloro che invece, magari a volte non sapendo, hanno comunque il coraggio di esporsi e di rischiare con l'onesto intento di sapere di più o di meglio. Esistono critici di ogni materia: dall'arte alla religione, dalla gastronomia allo sport, dalla politica al diritto, e tutti sono accomunati dall'arroganza di chi, dal basso della propria insipienza, giudica senza correre il rischio di poter essere a sua volta giudicato. Vi sono critici d'arte che assegnano a chiunque patenti di artista senza aver a loro volta mai prodotto un'opera d'arte; vi sono critici gastronomici che assegano o tolgono "stellette" ma non sono in grado di cuocere un uovo senza bruciarlo; vi sono critici di calcio che redigono "pagelle" senza aver mai tirato un calcio ad un pallone; vi sono centinaia di critici della politica che a sentirli parlare i problemi sarebbero tutti risolti in un attimo, poi non si sa come mai nessuno di loro è disponibile a dimostrarlo sul campo; vi sono critici delle religioni che si costruiscono una religione come pare a loro e completamente differente da quel che è per poi poterla confutare con successo. La maggior parte dei giornalisti è passata dal ruolo di cronista a quello di critico, e costruisce la propria carriera su parole perlopiù campate in aria, senza mai avere la necessità di dimostrare di essere in grado di fare meglio di coloro che critica, o di avere un pensiero più vero di quello che mette in discussione. Tutti che si vantano di fare i critici "di mestiere" e nascono tali dal nulla, ma non sanno che il critico è colui che ha una grande sapienza ed esperienza in un mestiere e sono proprio queste che lo promuovono al ruolo di critico. Se uno non ha mai fatto politica come può criticare la politica? Se uno non ha mai studiato e capito la metafisica, la religione, la teologia ma ha fatto tutt'altro nella vita su quali basi può criticarle? E poi la critica moderna, a differenza di quella antica che era almeno più onesta, è anche intellettualmente truffaldina, perchè non offre alternative al pensiero che si permette di criticare: se si pensa che una affermazione è falsa è perchè, ovviamente, si dovrebbe conoscere quella vera, ma invece la critica moderna anzichè sostituire affermazione vere a quelle false si limita a contestare qualunque affermazione, sic et simpliciter, limitandosi a formulare fantasiose ipotesi alternative o domande del tipo "ma non potrebbe essere invece...?". Anche l'ultimo degli ignoranti è in grado di contestare qualunque affermazione basandosi sulla propria immaginazione e dunque è l'ignoranza, sotto le spoglie "colte" della critica, a dominare l'intellettualità moderna. E poi, quando anche l'immaginazione fa difetto e non hanno più argomenti, i critici ignoranti (o gli ignoranti critici, che è lo stesso) spostano la loro critica dal merito alla persona, contestando il solo fatto che qualcuno si possa dichiarare sicuro di ciò che afferma, tacciandolo per ciò stesso di superbia e arroganza, quindi di fatto dimostrando viceversa la loro superbia e la loro arroganza. Questi soldati del dubbio che fanno professione di umiltà sempre dichiarata e mai esibita dovrebbero innanzitutto porsi il dubbio se sia sensato criticare un pensiero, un'opera, un comportamento, un'idea senza avere un'alternativa migliore da proporre (come facevano del resto i critici "seri" e onesti, anche se molti di questi hanno proposto alternative false e peggiori), e magari andarsi prima a studiare il concetto stesso di critica che presuppone una profonda conoscenza della materia che ci si propone di criticare.
Condivido pienamente questo pensiero. Aggiungo che a mio avviso il dubbio per il vero filosofo deve essere un percorso, uno strumento di ricerca, non la meta finale, qualcosa che ha in sé il proprio fine. Razionalità vuol dire non accettare di dare per scontato nessuna affermazione fintanto che sono ipotizzabili obiezioni, alternative credibili, mentre nel momento in cui la critica giunge all'obiettivo di isolare delle verità evidenti le cui obiezioni appaiono assurde o autocontraddittorie, ostinarsi a dubitare diviene un dogmatico impuntarsi che non accetta pregiudizialmente di riconoscere l'evidenza, e la critica si manifesta non più come costruttiva, tesa a far emergere qualcosa di positivo, ma distruttiva. Ciò che fa sorgere nell'uomo lo stimolo alla ricerca è l'affrancamento da una condizione di negatività, di smarrimento, di assenza di punti di riferimento intellettuali e morali, che emerge a un certo momento all'interno del corso della nostra esperienza del mondo ordinaria ingenua e affidiamo alla scienza ed alla filosofia il tentativo di trovare nuove risposte, nuovi valori, nuovi criteri da porre come stabili riferimenti della nostra vita al posto delle arbitrarie credenze da falsificare. Una volta che la ricerca e il dubbio divengono autoreferenziali e viene rimosso l'orizzonte teleologico del raggiungimento delle verità, delle risposte, delle certezze, la ricerca finisce col ridursi ad un gioco intellettualistico del dubbio che si crogiola nel perpetuare sé stesso all'infinito, e viene rimossa la drammaticità della condizione esistenziale concreta da dove sorge l'esigenza della ricerca e del dubbio: trovare delle risposte più solide di quelle del senso comune pre-filosofico e pre-scientifico
Direi che la critica è una componente della spiritualità ma che non ne esaurisce la complessità della struttura. Spirito è ciò che nell'uomo lo porta ad ergersi al di là del caos, della contingenza del divenire, che lo porta cercare un ordine all'interno del quale tale divenire acquisisca un senso per la nostra vita, ricondurre la molteplicità delle cose all'unità di un sistema ordinato di concetti, criteri, principi, valori, verità. Il compito della critica razionale è quello di demistificare l'arbitraria pretesa di verità degli ordini, dei sistemi ideologici, religiosi che nell' immediatezza ingenua del senso comune presumono che la loro visione sia la più adeguata a rappresentare il reale, demistificare per lasciare il posto non al vuoto, ma a sistemi, modelli interpretativi più validi. Ma perché la volontà metta in moto la critica in questo senso necessita di essere guidata da una fede, un fede nella possibilità dell'esistenza della verità, di una realtà che incarni un'idea di bene, soprattutto una fede nelle possibilità umane di raggiungere la loro conoscenza, o quantomeno avvinarcisi ponendo tali principi come ideali regolativi della ricerca. Questa fede non è irrazionalità, piuttosto a-razionale presupposto della messa in moto della razionalità stessa per il tramite della volontà, razionalità che privata di tale elemento di fede vedrebbe il suo criticare, dubitare immotivato, senza scopo, insensato, un autoreferenziale girare su se stessa slegato dalle esigenze vitali della persona, privato da un oggetto a cui applicare la sua criticità. Spiritualità è proprio questa dinamica integrale della persona in cui fede nella verità, bene, (aggiungerei nella bellezza) e ragione si richiamano vicendevolmente attraverso il medium della volontà.
** scritto da Maral:
CitazioneForse si potrebbe dire che non ci è concesso conoscere nella sua totalità, ma non perché questa conoscenza è negata a priori, ma proprio perché solo nella immanenza di parzialità che si danno in atto la si conosce.
Mi entusiasma questa tua riflessione e maniera di filosofare, però, dunque, mi chiedo: sarà quindi fortuito, accidentale, visto che non ci è negata "a priori", che la Verità non si da tutta intera, presentandosi invece parzialmente?
CitazioneOssia non conosciamo la Verità in essenza, ma conosciamo, perché lo percorriamo vivendolo, il percorso in cui tale Verità si manifesta sempre parzialmente e dunque in modo dubitabile, ossia in forma di domanda continua in cui i nostri tentativi di risposta tracciano quel percorso in cui sentiamo esserci comunque la Verità che nessuna risposta può definire. Una Verità la cui essenza totale è proprio il dipanarsi della nostra stessa esistenza proprio per come essa in ogni momento accade.
Bello, molto bella questa riflessione, soprattutto per quel che riguarda
"...i nostri tentativi di risposta.. alla Verità ..che nessuna risposta può definire...". Però secondo me, siccome i tentativi di risposta sono differenti, da persona a persona, o la Verità include tutto, quindi la differenza è solo un'illusione (nel senso ci ritroveremo tutti al Roxi bar), o essa non accade in ogni momento della nostra esistenza (nel senso che non permettiamo, noi, il suo dipanarsi totale).
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Gennaio 2017, 15:28:28 PMCitazione di: Apeiron il 26 Gennaio 2017, 11:29:32 AMI miei "two cents": tutto dipende dalle definizione che si danno alle parole. Allora se per spiritualità si intendo lo studio della nostra mente allora sinceramente non vedo conflitto tra ricerca e spiritualità. Ben diverso è se questo studio è in realtà rivolto ad esempio alla "salvezza", alla "liberazione" o all'etica. In tal caso la spiritualità per forza ha dei paletti che sono appunto i suoi obiettivi. La critica di cui parli è antitetica a mio giudizio ad ogni spiritualità di questo secondo tipo perchè la critica essenzialmente ha come metodologia il dubitare di tutto e se portata allo stremo diventa una ricerca completamente cieca perchè mette in discussioni oltre che il trovato anche il ricercato. Motivo per cui a mio giudizio prima bisogna scegliere che obbiettivo dare alla propria spiritualità e poi applicare una metodologia rigorosa e scettica al processo di ricerca. Ad esempio metti che vuoi "cercare la perfetta felicità". Compreso il concetto, se lo vuoi cercare fino in fondodevi prima di tutto togliere tutto ciò che non è la perfetta felicità. Quindi prima di trovare il ricercato devi averlo realizzato veramente e per fare ciò devi soprattutto capire cosa non è il tuo obiettivo. Tutte le "vie negative" mi piacciono proprio per questo motivo: hanno un obiettivo e lo ricercano in modo rigoroso, ossia "purificando" la propria comprensione dell'obiettivo stesso. Tuttavia a differenza della pura ricerca senza paletti, questa ricerca è direzionata. Detto ciò piuttosto di una ricerca senza paletti si dovrebbe scegliere il Silenzio.
Effettivamente, in ogni discussione riguardante la spiritualità è comprensibile che prima o poi venga fuori sempre il problema della sua definizione. È per questo che nel post di partenza ho cercato di usare soprattutto il plurale: le spiritualità, più che la spiritualità: mi sembra che sia più facile individuare singole spiritualità che trovare un significato chiaro e definito per la spiritualità in sé stessa. Se parliamo di spiritualità al plurale mi sembra possibile individuarle tenendo conto degli obiettivi che si propongono; al contrario, credo che individuare obiettivi per la spiritualità al singolare servirebbe solo ad avviare dibattiti infiniti, poiché la spiritualità in sé non può essere ingabbiata in un obiettivo predefinito; come minimo sarebbe un obiettivo non unanimemente condiviso. Una ricerca senza paletti rischierebbe di intorbidare l'essere stesso della spiritualità, se ancora ce ne fosse bisogno oltre il torbido che già c'è, così come avviene nelle arti: per esempio, leggendo certe poesie può nascere il dubbio se quella possa ancora chiamarsi poesia. Fermo restando che sono le pratiche, nel loro divenire storico, a definire, nel suo divenire, cos'è la spiritualità. Per una definizione di spiritualità che sia più utile e fruttuosa di quelle che circolano oggi, mi sembra ovvio che si dovrebbe mettere in conto anzitutto un sforzo di rispetto per come questa parola è intesa oggi, aggiungendo un lavoro di orientamento a rendere questa parola capace di sostenere il confronto con le pratiche culturali di oggi più serie e aperte.
Le spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'
inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve
accettare se vuole seguirla (questa è la
fede intesa appunto come "fiducia"). Se
non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco
Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama
davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa).
La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica
non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
Citazione di: Apeiron il 27 Gennaio 2017, 13:06:00 PM
Le spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve accettare se vuole seguirla (questa è la fede intesa appunto come "fiducia"). Se non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco
Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa).
La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
Perché ingabbiare la spiritualità in questi paletti? Vuoi vietare una spiritualità che non intenda porsi alcun obiettivo? Vogliamo mettere in carcere quanti vogliano praticare una spiritualità priva di dottrine? Vogliamo mandare al manicomio quanti si proponessero di creare una spiritualità che non voglia adottare alcun metodo definito?
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Gennaio 2017, 10:03:56 AM
Citazione di: Apeiron il 27 Gennaio 2017, 13:06:00 PM
Le spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve accettare se vuole seguirla (questa è la fede intesa appunto come "fiducia"). Se non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco
Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa).
La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
Perché ingabbiare la spiritualità in questi paletti? Vuoi vietare una spiritualità che non intenda porsi alcun obiettivo? Vogliamo mettere in carcere quanti vogliano praticare una spiritualità priva di dottrine? Vogliamo mandare al manicomio quanti si proponessero di creare una spiritualità che non voglia adottare alcun metodo definito?
Un conto sono i professionisti della critica, un conto è la critica stessa. La spiritualità in un certo senso è acritica, perchè il raggiungimento degli obbiettivi che si pone coincide con l'assenza di critica (o autocritica). Per questo vengono tutelate tutte le forme di spiritualità, anche le più assurde, perchè all'interno di esse troverai sempre qualcuno che ti giurerà di aver "trovato qualcosa"..o meglio, non saper criticare ulteriormente ciò che ha trovato (al contrario, non avrebbe ancora trovato niente). Di riflesso, esisterà qualcuno "non più criticabile" (il maestro). Non è questione di mettere alla sbarra tutte le spiritualità che non hanno un obbiettivo, è questione che queste spiritualità...semplicemente non esistono, o non vengono riconosciute, o sono in una forma cosi embrionale da non poter vantare ancora qualcuno che "ha trovato qualcosa" ed è per questo "al di la della critica".
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Gennaio 2017, 15:50:49 PM
Un orientamento per il particolare mi sembra essere caratteristico della filosofia di oggi, considerando quello che a me sembra ormai fallimento dello stile universalistico, assolutistico del filosofare greco. A partire da ciò mi sembra che la filosofia oggi propenda per orientarsi al concreto, alla politica, al sociale, proprio perché sono modi ottimi di andare al particolare.
In questo senso anche la dialettica cuore-mente potrebbe essere interpretata come dialettica universale-particolare: la mente infatti esercita la critica in nome di criteri universali, mentre il cuore contrappone ad essa intuizioni che sfuggono ai tentivi della mente di irretire ogni cosa in qualche critica razionale.
A questo punto potremmo sospettare che anche la dialettica critica-spiritualità, esprimibile anche come filosofia-spiritualità, si potrebbe considerare come dialettica universale-particolare: la spiritualità, cioè, non sarebbe che uno sbocco inevitabile di una filosofia che vede crollare le sue pretese generaliste. Potremmo considerare la spiritualità un soffermarsi col cuore su particolari filosofie che la filosofia universalista classica deve ammettere di non saper più gestire. Ciò non significa che la critica filosofica, razionale, abbia fatto il suo tempo; basta solo aggiungere che la critica in sé non è solo filosofica, razionale, ma anche artistica e spirituale.
La filosofia nasce dall'esigenza umana di stabilire un verità per tutti su cui tutti nella polis possano concordare nel logos. ossia nel ragionamento e nel discorso logico. In questo intento la filosofia fallisce e certo non perché non si era impegnata a sufficienza, ma perché ogni modello filosofico inevitabilmente, prima o poi mostra il suo limite e la sua parzialità. A fronte di questo fallimento radicale la filosofia da una parte diventa pura forma di indagine analitica sul discorso, dall'altra si rassegna e lascia alla tecnica che si rende ignara del suo passato, il compito di esplorare l'assoluto, una tecnica intesa sia come volontà di potenza che come pura prassi, priva di qualsiasi fine.
Resta non facile stabilire una dialettica tra ragione e cuore, perché a ogni passo si barcolla, come a camminare sul filo, in bilico sul nichilismo di uno sprofondo senza fine, da cui si è sempre in qualche modo attratti, come l'unico assoluto ancora possibile.
Citazione di: maral il 28 Gennaio 2017, 14:05:42 PM
La filosofia nasce dall'esigenza umana di stabilire un verità per tutti...
Resta non facile stabilire una dialettica tra ragione e cuore...
Mi pare che un sacco di filosofie siano andate e vadano in direzione opposta, nel tentativo di criticare il concetto stesso di verità. La spiritualità potrebbe anche essere considerata proprio una via che, a differenza della filosofia, tenta di far esistere un dialogo fruttuoso, costruttivo, proprio tra ragione e cuore. La critica è distruttiva, ma non è detto che, se ben gestita, non possa essere utilizzata al servizio di costruzioni più solide e anche belle.
Citazione di: Duc in altum! il 26 Gennaio 2017, 19:31:26 PM
Mi entusiasma questa tua riflessione e maniera di filosofare, però, dunque, mi chiedo: sarà quindi fortuito, accidentale, visto che non ci è negata "a priori", che la Verità non si da tutta intera, presentandosi invece parzialmente?
Mp. non penso che sia fortuito, ma piuttosto è il solo modo in cui la verità può mostrarsi; nella parzialità che muove il cammino dell'esistenza e non nell'assoluto dell'essenza. Riconoscere questa parzialità come parzialità e non come tutto è il solo modo per aderire al tutto della Verità.
CitazioneBello, molto bella questa riflessione, soprattutto per quel che riguarda "...i nostri tentativi di risposta.. alla Verità ..che nessuna risposta può definire...". Però secondo me, siccome i tentativi di risposta sono differenti, da persona a persona, o la Verità include tutto, quindi la differenza è solo un'illusione (nel senso ci ritroveremo tutti al Roxi bar), o essa non accade in ogni momento della nostra esistenza (nel senso che non permettiamo, noi, il suo dipanarsi totale).
Non possiamo non permetterlo noi, perché ne siamo parte e la parte non può opporsi al tutto, è sempre in ogni caso nel tutto dato che ne è parte insieme a ogni altra parte. La differenza da persona a persona è ancora parte della Verità che proprio in questa differenza via via si rivela, una Verità che nulla esclude di ciò che in essa è parte, proprio perché non è verità di parte e solo la verità di parte, quando si pretende verità di tutto, solo escludendo ciò che per essa è altro, può illudersi di esserlo.
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Gennaio 2017, 18:58:51 PM
Mi pare che un sacco di filosofie siano andate e vadano in direzione opposta, nel tentativo di criticare il concetto stesso di verità.
La critica sulla verità è sempre stata presente nella storia della filosofia, ma non per distruggere il concetto di verità, ma almeno fino alla metà del XIX secolo (ed Hegel rappresenta il culmine di questo percorso) nel tentativo di dare un fondamento sicuro alla verità, che ovviamente non poteva essere quella del mito. La critica distrugge, ma fino a quel momento si distruggeva con l'intento di fondare l'indistruttibile, mentre è proprio questo intento che si scopre (e non è una scoperta da poco, ma è sconvolgente) che quell'intento stesso è di fatto distruttibile, che è già andato distrutto. Questo significa la morte di Dio in Nietzsche (che lo annuncia con queste parole estremamente significative che meritano di essere rilette e meditate:
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaN/NIETZSCHE_%20DIO%20E%20MORTO.htm. Non è certo della morte del Dio della religione ciò di cui qui si parla, è la morte radicale e definitiva di ogni possibilità di pensare la metafisica. Husserl e poi Heidegger tenteranno nel secolo successivo di ridare vita alla metafisica rileggendola in forma fenomenologica trascendentale, ontologica esistenziale, infine proprio a partire dal linguaggio poetico, ma entrambi falliranno: il primo morendo prime di aver portato a termine il lavoro che doveva essere fondamentale "La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale", il secondo abbandonando definitivamente ogni progetto filosofico in merito, rendendosi conto della totale impossibilità della stessa ontologia.
CitazioneLa spiritualità potrebbe anche essere considerata proprio una via che, a differenza della filosofia, tenta di far esistere un dialogo fruttuoso, costruttivo, proprio tra ragione e cuore. La critica è distruttiva, ma non è detto che, se ben gestita, non possa essere utilizzata al servizio di costruzioni più solide e anche belle.
Mi riesce difficile però qui capire cosa intendi per spiritualità. In che cosa consiste per te la spiritualità.
Citazione di: maral il 28 Gennaio 2017, 23:17:54 PM
CitazioneLa spiritualità potrebbe anche essere considerata proprio una via che, a differenza della filosofia, tenta di far esistere un dialogo fruttuoso, costruttivo, proprio tra ragione e cuore. La critica è distruttiva, ma non è detto che, se ben gestita, non possa essere utilizzata al servizio di costruzioni più solide e anche belle.
Mi riesce difficile però qui capire cosa intendi per spiritualità. In che cosa consiste per te la spiritualità.
All'interno di questo discorso, la spiritualità mi viene a risultare come sbocco della filosofia. La filosofia, nel momento in cui prende atto del fallimento della razionalità, delle generalizzazioni universalistiche, della metafisica, può sospettare che esistano altre vie praticabili, per il tentativo di nuove sintesi, che non trascurino il cammino fatto nel passato, ma nel contempo provino ad aprirsi a stili di pensiero differenti.
Ora, uno stile, una via di pensiero differente mi sembra quella per certi versi percorsa dalle arti: una via che, piuttosto che voler essere comprensione della realtà, irretimento di essa entro connessioni logiche, cerca di seguire il narrare, e quindi il particolare invece che i criteri universali, l'emozione, piuttosto che il ragionamento, lo sperimentare piuttosto che il capire, il cuore, piuttosto che la mente. Tutti questi "piuttosto" che ho detto sarebbero da intendere non come negazione della loro controparte, ma, come ho detto, tentativi di costruire nuove sintesi che facciano tesoro del concettualizzare astratto e del narrare particolaristico, del cuore e della mente.
Da questo punto di vista le arti sono già spiritualità, ma il loro scopo primario non è essere spiritualità tale e quale. Se io leggo un romanzo o una poesia, vivo una spiritualità, ma leggere una poesia con lo scopo esplicito di vivere una spiritualità significa fare di quella poesia non più una semplice esperienza letteraria, ma qualcosa di più essenziale, centrale per il senso della mia vita.
Ma chi più della filosofia ha mai cercato il senso della vita? La filosofia però l'ha cercato con metodi specialmente fatti di ragione, critica, logica, sistematicità. Ora, se la filosofia prendesse dalle arti un po' di spirito volto all'emozione e dalle religioni un intento di pratica centrale per il senso della vita, mi sembra che il risultato sarebbe nient'altro che coltivazione di una spiritualità o della spiritualità tale e quale.
Questo è ciò che intendo come prospettiva di dialogo fruttuoso che mi piace intravedere tra mente e cuore, altrimenti esprimibile, a mio parere, come nient'altro che spiritualità.
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Gennaio 2017, 10:03:56 AMCitazione di: Apeiron il 27 Gennaio 2017, 13:06:00 PMLe spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve accettare se vuole seguirla (questa è la fede intesa appunto come "fiducia"). Se non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa). La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
Perché ingabbiare la spiritualità in questi paletti? Vuoi vietare una spiritualità che non intenda porsi alcun obiettivo? Vogliamo mettere in carcere quanti vogliano praticare una spiritualità priva di dottrine? Vogliamo mandare al manicomio quanti si proponessero di creare una spiritualità che non voglia adottare alcun metodo definito?
Angelo, non ho mica detto questo :) Ho detto che una critica senza obbiettivi è una critica cieca. Al peggio se è completamente senza obbiettivi diventa uno "sport". Secondo me la critica di cui tu parli, da quello che ho potuto leggere dai tuoi interventi su questo forum, è nient'affatto una critica senza una direzione predefinita. La tua critica ti vuole portare alla verità. E sincertamente la tua passione per la verità la si vede anche dal tuo cammino. Una persona non lascia una religione se non è mossa da una ricerca della verità.
Però bisogna anche essere coscienti che l'eccesso del dubbio è esso stesso pericoloso, motivo per cui può succedere che al manicomio uno ci vada per conto suo senza essere mandato là da nessuno perchè il dubbio è comunque sempre una sofferenza. Di certo l'ipocrisia di chi dice "io conosco la verità" senza mai aver avuto un fisiologico vacillamento nelle sue convinzioni (cosa che può avvenire solo con un minimo di critica...) è dovuta essenzialmente alla paura. L'ideale è a mio giudizio una sorta di via di mezzo.
E poi la mia era una critica alle istituzioni spirituali che non ammettono (o non ammettevano) nemmeno la critica interna.
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 11:09:07 AM
La tua critica ti vuole portare alla verità.
In effetti ogni tanto mi è capitato di pensare che prendere atto del relativismo possa essere considerato nient'altro che ricerca di una verità, che sia aderente a come stanno le cose più di quanto lo è la metafisica. La metafisica trascura il coinvolgimento del soggetto nel processo della conoscenza, mentre invece il relativismo ne tiene conto.
Una volta che però il relativismo approda ad una presa d'atto dell'impossibilità di ogni verità, il relativista si trova a doversi chiedere che senso possa avere il suo sforzo di tener conto della soggettività, visto che esso non può essere motivato dalla ricerca di una verità più completa di quella metafisica.
A questo punto, per me, lo sforzo di tener conto della soggettività, non potendo essere considerato uno sforzo di verità, si può definire come sforzo di realizzare al meglio il nostro essere umani. Non sappiamo esattamente cos'abbia di esclusivo il nostro essere umani; oggi mi sembra che si possa tener conto di una nostra sensazione di poter partecipare attivamente all'evolversi del nostro essere. Si potrebbe chiamare anche sensazione di libertà. L'esistenza della libertà non è dimostrabile, ma mi sembra che la sensazione che ne abbiamo, vera o falsa che sia, valga la pena di essere sfruttata.
Dunque, rispetto alla metafisica, preferisco tener conto della soggettività non per raggiungere una verità più completa, ma perché ciò mi dà la sensazione di realizzare in maniera più completa e arricchente il mio essere umano.
Questa motivazione vale anche per altri atteggiamenti che preferisco ad altri, tra cui la critica e il dubbio ad oltranza: scelgo critica e dubbio perché ogni affermazione di verità mi appare limitante, in quanto, occultamente, nega il suo opposto. Se decido, per esempio di accettare come verità indiscutibile che il sangue umano è rosso, sto automaticamente scoraggiando o perfino vietando alla mia mente di ipotizzare qualcosa di diverso, provare ad effettuare ricerche in proposito, esplorare modi diversi di pensare. Questo scoraggiamento per certi versi è utile, poiché permette di evitare di sprecare tempo in ricerche inutili o già compiute da altri, ma è anche micidiale perché è disonesto quanto alla motivazione. Infatti la metafisica non dice che non serve sprecare tempo in ricerche inutili o già fatte, ma che è meglio non farle, anzi, non si devono proprio fare, perché la verità è quella e tutto ciò che le si oppone è falsità da mettere al bando. Questa è quella che trovo una grave disonestà della metafisica: secondo essa bisogna seguire la verità prestabilita non per economia di risorse, ma perché quella è la verità. Ciò per me è falso, allo stesso modo in cui è falso dire che il sangue è rosso: la verità non è che il sangue è rosso, ma che i risultati di tutte le ricerche compiute finora consigliano di trattare il sangue come oggetto rosso. C'è differenza.
Ho chiamato quest'ultima affermazione "verità" per semplicità di linguaggio, ma, in base a ciò che ho detto prima, preferisco quest'ultima affermazione non perché sia più vera, o più completa, ma solo perché mi dà la sensazione di farmi realizzare meglio, con più completezza e ricchezza, le mie facoltà di cui ho sensazione come essere umano, tra cui la mia facoltà di collaborare liberamente alla mia evoluzione di essere umano.
@Angelo Cannata
E su affermazioni indimostrabili/infalsificabili ci possono essere errori? Dire che ad esempio esiste una "verità assoluta" che noi conosciamo in modo approssimato e distorto è una affermazione indimostrabile. Ha senso però parlare di "errore" in questo caso? :)
Citazione di: Angelo Cannata il 29 Gennaio 2017, 11:52:03 AM
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 11:09:07 AM
La tua critica ti vuole portare alla verità.
In effetti ogni tanto mi è capitato di pensare che prendere atto del relativismo possa essere considerato nient'altro che ricerca di una verità, che sia aderente a come stanno le cose più di quanto lo è la metafisica. La metafisica trascura il coinvolgimento del soggetto nel processo della conoscenza, mentre invece il relativismo ne tiene conto.
Una volta che però il relativismo approda ad una presa d'atto dell'impossibilità di ogni verità, il relativista si trova a doversi chiedere che senso possa avere il suo sforzo di tener conto della soggettività, visto che esso non può essere motivato dalla ricerca di una verità più completa di quella metafisica.
A questo punto, per me, lo sforzo di tener conto della soggettività, non potendo essere considerato uno sforzo di verità, si può definire come sforzo di realizzare al meglio il nostro essere umani. Non sappiamo esattamente cos'abbia di esclusivo il nostro essere umani; oggi mi sembra che si possa tener conto di una nostra sensazione di poter partecipare attivamente all'evolversi del nostro essere. Si potrebbe chiamare anche sensazione di libertà. L'esistenza della libertà non è dimostrabile, ma mi sembra che la sensazione che ne abbiamo, vera o falsa che sia, valga la pena di essere sfruttata.
Dunque, rispetto alla metafisica, preferisco tener conto della soggettività non per raggiungere una verità più completa, ma perché ciò mi dà la sensazione di realizzare in maniera più completa e arricchente il mio essere umano.
Questa motivazione vale anche per altri atteggiamenti che preferisco ad altri, tra cui la critica e il dubbio ad oltranza: scelgo critica e dubbio perché ogni affermazione di verità mi appare limitante, in quanto, occultamente, nega il suo opposto. Se decido, per esempio di accettare come verità indiscutibile che il sangue umano è rosso, sto automaticamente scoraggiando o perfino vietando alla mia mente di ipotizzare qualcosa di diverso, provare ad effettuare ricerche in proposito, esplorare modi diversi di pensare. Questo scoraggiamento per certi versi è utile, poiché permette di evitare di sprecare tempo in ricerche inutili o già compiute da altri, ma è anche micidiale perché è disonesto quanto alla motivazione. Infatti la metafisica non dice che non serve sprecare tempo in ricerche inutili o già fatte, ma che è meglio non farle, anzi, non si devono proprio fare, perché la verità è quella e tutto ciò che le si oppone è falsità da mettere al bando. Questa è quella che trovo una grave disonestà della metafisica: secondo essa bisogna seguire la verità prestabilita non per economia di risorse, ma perché quella è la verità. Ciò per me è falso, allo stesso modo in cui è falso dire che il sangue è rosso: la verità non è che il sangue è rosso, ma che i risultati di tutte le ricerche compiute finora consigliano di trattare il sangue come oggetto rosso. C'è differenza.
Ho chiamato quest'ultima affermazione "verità" per semplicità di linguaggio, ma, in base a ciò che ho detto prima, preferisco quest'ultima affermazione non perché sia più vera, o più completa, ma solo perché mi dà la sensazione di farmi realizzare meglio, con più completezza e ricchezza, le mie facoltà di cui ho sensazione come essere umano, tra cui la mia facoltà di collaborare liberamente alla mia evoluzione di essere umano.
Mi sembra tu abbia una visione della metafisica come equivalente alla dottrina religiosa. La metafisica è parte della filosofia per cui indica che c'è qualcuno che si pone delle domande di argomenti che certamente sono oggetto di dottrina, ma che non vengono posti come verità a priori.
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 13:51:53 PM
@Angelo Cannata
E su affermazioni indimostrabili/infalsificabili ci possono essere errori?
Non ci possono essere errori. Infalsificabile significa proprio questo: significa che riguardo ad una certa affermazione non esiste alcuna possibilità di individuare eventuali errori, eventuali falsità.
Citazione di: anthonyi il 29 Gennaio 2017, 13:57:02 PM
Mi sembra tu abbia una visione della metafisica come equivalente alla dottrina religiosa. La metafisica è parte della filosofia per cui indica che c'è qualcuno che si pone delle domande di argomenti che certamente sono oggetto di dottrina, ma che non vengono posti come verità a priori.
Sì, in effetti per me la metafisica ha le stesse caratteristiche di una religione.
Tu dici che la metafisica non pone le sue affermazioni come apriori. Si tratta di vedere apriori rispetto a che cosa. Senza dubbio la metafisica non fa affermazioni previe al ragionare. In questo senso, rispetto al ragionare, la metafisica non è aprioristica. Però non tiene conto del soggetto. La metafisica ragiona, ritiene di aver individuato delle verità, decide di considerarle oggettive, ma in tutto questo processo tralascia il fatto che esso è stato portato avanti da una mente umana che non può effettuare controlli immuni dall'intromissione di se stessa. Perciò, rispetto al prendere in considerazione il soggetto, trovo che la metafisica faccia affermazioni apriori, poiché trascura completamente questo passaggio.
C'è una passo significativo, davvero molto metafisico nel vangelo, non per nulla si trova nel vangelo più filosofico: Gv 19,21-22: " I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto»."
Caro @Angelo Cannata la proposizione "i 31 piani di esistenza del samsara sono impermanenti" stando a quanto abbiamo detto non è "errata" né "corretta". Motivo per cui a questa "verità" (o sospetta tale) non possiamo far altro che porla al di là della critica, ossia rifiutarla o accettarla per fede magari dopo che abbiamo "provato a sentire" se ci fa star meglio o no.
Si potrebbe dire che la critica può rifinire la spiritualità fin dove essa può asserire qualcosa. Ma la critica non può "falsificare" le affermazioni delle varie spiritualità che sono oltre l'indagine critica stessa.
Lo scetticismo è non inconfutabile, ma apertamente insensato, se vuol mettere in dubbio ove non si può domandare.(Wittgenstein)
Se cerco di confutare una persona che crede alla seconda venuta di Gesù o all'esistenza dei regni dei devas indu-buddisti non ci riuscirò mai con la critica perchè sono affermazione non-testabili. Ma la non-testabilità a mio giudizio non implica l'insensatezza (come affermavano i positivisti logici) o la falsità. Questo è il mistero. Di certo se vuoi trovare certezza critica non riuscirai mai a trovare ciò in nessuna spiritualità e nessuna religione. A mio giudizo se vuoi incamminarti in un sentiero spirituale devi accettare anche che la critica ad un certo punto si fermi ed è proprio questa la difficoltà.
Ciao :D
P.S. Nel passo evangelico che hai citato non vedo la "metafisica" di cui parli. Potresti in due righe scrivere come lo interpreti (se ti va)? :)
Riguardo alla critica della spiritualità, trovo ovvio che la spiritualità (intendo una spiritualità seria, non superstiziosa o magica, come quelli che pretendono di compiere viaggi astrali o fruire spiritualmente di energie quantiche) non possa essere criticata da una critica scientifica.
Essa però può essere criticata da una critica umanistica, o proprio spirituale. Per esempio, ci sono spiritualità che possono essere accusate di prendere in considerazione solo la vita intima dell'individuo, trascurando troppo l'esperienza spirituale della socialità; oppure spiritualità che si allontanano troppo dalla concretezza, disinteressandosi di politica, problemi sociali; o altre spiritualità che creano sensi di colpa. Tutte queste non sono certo critiche scientifiche alla spiritualità e una spiritualità seria non avrà alcuna paura di misurarsi con esse: da un misurarsi tra la spiritualità e critiche di questo genere può venire solo del bene, solo un entusiasmo di crescere. È questo che mi rende stranito di fronte alla paura che tanti mostrano nei confronti della critica applicata alla spiritualità, come se da un tale criticare potesse seguire nient'altro che rovina, egoismo, presunzione, bombe atomiche e dinamite.
Riguardo a Gv 19,19-22
Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto».
Pilato pose un titolo sulla croce. I sommi sacerdoti cercano si sminuire al massimo la portata quel titolo, inteso ad informare i passanti sul motivo per cui quell'uomo era stato crocifisso. Storicamente questa preoccupazione dei sommi sacerdoti è poco fondata: non avevano motivo di temere che i passanti ritenessero Gesù davvero re dei Giudei. È più facile pensare che l'evangelista voglia presentare l'intenzione dei Giudei di relegare il titolo a un'opinione di Gesù. Pilato, per pigrizia o per ribadire chi è che comanda, si rifiuta di correggere il titolo. In questa inesorabilità dell'affermazione che rimane espressa come verità oggettiva, quindi metafisica, e non viene ricondotta ad affermazione soggettiva di Gesù, come i sacerdoti avrebbero voluto, è possibile vedere un'interpretazione dei fatti, da parte dell'evangelista, come di un destino che non è possibile modificare; c'è un destino, che poi sarebbe il piano di Dio, inteso a stampare la verità sulla faccia della terra in maniera inesorabile, facendosi beffe degli uomini in maniera da far loro dire (e in questo caso scrivere) involontariamente tale verità. Si può vedere ciò anche quando Pilato, in Gv 18,37 chiede a Gesù "Dunque tu sei re?" ed egli risponde "Tu lo dici; io sono re", come a dire "il destino inesorabile ha condotto la tua bocca a proclamare la verità, facendosi beffe di te, che credi di avere in mano il destino mio".
Citazione di: Angelo Cannata il 29 Gennaio 2017, 22:28:01 PMRiguardo alla critica della spiritualità, trovo ovvio che la spiritualità (intendo una spiritualità seria, non superstiziosa o magica, come quelli che pretendono di compiere viaggi astrali o fruire spiritualmente di energie quantiche) non possa essere criticata da una critica scientifica. Essa però può essere criticata da una critica umanistica, o proprio spirituale. Per esempio, ci sono spiritualità che possono essere accusate di prendere in considerazione solo la vita intima dell'individuo, trascurando troppo l'esperienza spirituale della socialità; oppure spiritualità che si allontanano troppo dalla concretezza, disinteressandosi di politica, problemi sociali; o altre spiritualità che creano sensi di colpa. Tutte queste non sono certo critiche scientifiche alla spiritualità e una spiritualità seria non avrà alcuna paura di misurarsi con esse: da un misurarsi tra la spiritualità e critiche di questo genere può venire solo del bene, solo un entusiasmo di crescere. È questo che mi rende stranito di fronte alla paura che tanti mostrano nei confronti della critica applicata alla spiritualità, come se da un tale criticare potesse seguire nient'altro che rovina, egoismo, presunzione, bombe atomiche e dinamite. Riguardo a Gv 19,19-22 Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto». Pilato pose un titolo sulla croce. I sommi sacerdoti cercano si sminuire al massimo la portata quel titolo, inteso ad informare i passanti sul motivo per cui quell'uomo era stato crocifisso. Storicamente questa preoccupazione dei sommi sacerdoti è poco fondata: non avevano motivo di temere che i passanti ritenessero Gesù davvero re dei Giudei. È più facile pensare che l'evangelista voglia presentare l'intenzione dei Giudei di relegare il titolo a un'opinione di Gesù. Pilato, per pigrizia o per ribadire chi è che comanda, si rifiuta di correggere il titolo. In questa inesorabilità dell'affermazione che rimane espressa come verità oggettiva, quindi metafisica, e non viene ricondotta ad affermazione soggettiva di Gesù, come i sacerdoti avrebbero voluto, è possibile vedere un'interpretazione dei fatti, da parte dell'evangelista, come di un destino che non è possibile modificare; c'è un destino, che poi sarebbe il piano di Dio, inteso a stampare la verità sulla faccia della terra in maniera inesorabile, facendosi beffe degli uomini in maniera da far loro dire (e in questo caso scrivere) involontariamente tale verità. Si può vedere ciò anche quando Pilato, in Gv 18,37 chiede a Gesù "Dunque tu sei re?" ed egli risponde "Tu lo dici; io sono re", come a dire "il destino inesorabile ha condotto la tua bocca a proclamare la verità, facendosi beffe di te, che credi di avere in mano il destino mio".
Ti ringrazio della spiegazione Angelo.
Eh le critiche di cui parli sono più o meno le critiche che ho in mente io. Sono però "interne" alla spiritualità e non esterne. Ossia posso cambiare l'atteggiamento con la dottrina senza cambiare la dottrina stessa, posso correggere dettagli della dottrina senza che il "nucleo" sia stravolto... Anzi proprio questo serve il
dialogo.
Non credo che si possa identificare con precisione il nucleo di una dottrina, una religione o una spiritualità: per identificarlo bisognerebbe esprimerlo a parole e per identificare il significato di una parola non si può fare altro che dirlo con altre parole, e così all'infinito, con parole sempre diverse, che proprio per questo mettono seriamente in questione l'idea che ci sia un nucleo rimasto intatto.
In ambito cattolico si era occupato di questa questione il cardinale Newman, ma mi sembra che alla fine egli non abbia fatto altro che presentare un superficiale ottimismo sulla conservazione di un nucleo che rimane intatto; ottimismo proprio perché superficiale.
Inoltre, l'idea di un nucleo che rimanga intatto contrasta con l'idea che tutto diviene.
Però dire che tutto diviene ha già la pretesa di essere un nucleo che non muta, ha cioè la pretesa che sia vero che tutto diviene. Il problema è che un nucleo che si sottragga alla critica proprio non può apparire, nel momento stesso in cui appare si espone alla sua contraddizione proprio per il fatto che appare. A questo punto o il nucleo di tutto è niente, oppure lasciamo stare il tutto e il niente, troppo oltre le nostre portate, accontentiamoci di oscillarci in mezzo.
Ciò corrisponde alla solita obiezione che si fa al relativismo: se dici che tutto è relativo, con ciò stesso stai già pretendendo di affermare una verità.
Di fronte a questa critica, il relativista precisa che egli non sostiene che "tutto è relativo", ma che "forse tutto è relativo". Allo stesso modo, l'affermazione esatta non è "tutto diviene", ma "sembra che tutto divenga". Questa relativizzazione delle affermazioni del relativista, tuttavia, non apre spazio a certezze, poiché a me personalmente viene a risultare che nessuno fino ad oggi ha mai saputo presentare certezze capaci di resistere a qualsiasi critica. Questo era lo scopo che, per esempio, si era proposto Cartesio.
Va aggiunto inoltre che il relativista sottopone a critica il significato stesso delle parole e la struttura delle frasi. In questo senso, il significato stesso di una parola come "divenire" non viene considerato dal relativista come qualcosa di chiaro e certo.
Si può anche tener presente che, come ho detto altre volte, il relativista è in realtà un ex metafisico. È nei suoi panni di metafisico che egli osserva che tutto scorre, così come osserva che nel compiere affermazioni sarebbe bene tener conto del soggetto. È nella fase successiva che poi tutto salta in aria: sia il divenire che il soggetto, una volta introdotti nel pensare, mettono in crisi tutto e non c'è bisogno di dichiarare tale crisi con affermazioni dogmatiche; la sensazione che si ha è la percezione umana di un castello crollato. Può darsi che tale percezione sia illusoria, ma al presente non mi risulta che qualcuno sia riuscito a mostrare qualcosa che si regga in piedi.
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneDi fronte a questa critica, il relativista precisa che egli non sostiene che "tutto è relativo", ma che "forse tutto è relativo". Allo stesso modo, l'affermazione esatta non è "tutto diviene", ma "sembra che tutto divenga". Questa relativizzazione delle affermazioni del relativista, tuttavia, non apre spazio a certezze, poiché a me personalmente viene a risultare che nessuno fino ad oggi ha mai saputo presentare certezze capaci di resistere a qualsiasi critica.
Pura utopia estrosa, giacché la certezza esiste nell'atto pratico della scelta eletta, lì non c'è più critica che possa fare da resistenza alla decisione perpetrata, ma solo azione decisiva.
Quando hai deciso, nei fatti e non in velleità, di essere ex,
il forse tutto è relativo è svanito, sei divenuto ex, è una certezza che sei ex; certo forse sarà una scelta buona e giusta o l'inverso, ma questa è un'altra scommessa, quella precedente è già fatta, è già notizia assoluta sicura. La critica ormai, a quel punto completo, può essere solo sul suo futuro, poiché la tua decisione è già un presente certo che ha resistito (giacché la vivi, la sperimenti) a qualsiasi critica, ossia, le critiche sono scivolate addosso alla tua scelta, dunque in quel momento (poi domani decidi nuovamente di non essere più ex) non c'è più il relativismo, ma solo l'assoluto: sei un ex.
I forse, i se e i sembra se li porta via il vento, ciò che conta è l'esclusività della decisione assoluta, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, fino a definire chi abbiamo desiderato essere.
P.S. = l'ex significa per tutti i tuoi ex decisi (ed esposti), nessuno in particolare.
Pace&Bene
Sembra che ci fosse un tempo, ma tanto tempo fa, in cui certe presupposte persone nel presumibile momento in cui sembrava che facessero certe immaginarie ipotesi forse arrivava un ipotetico "pellicano" a sirene spiegate e due supposti infermieri con l'apparente fisico di culturisti fantasticavano di legarle con apparenti camicie di forza e congetturavano di trasportarle in un presunto luogo con dubbie pareti imbottite in cui non potessero immaginare di danneggiare se stessi e gli altri. Ma sembra, eh...
@Duc in altum!
Sarà così per te e ho totale rispetto del tuo modo di vedere, così come ho totale rispetto di chi è metafisico e ritiene di avere certezze. Il fatto che le certezze del metafisico non convincano me non significa certo che a causa di ciò siano illegittime: può sempre darsi che sia io a non riuscire a vedere bene, a capire le certezze del metafisico. Se io critico in continuazione le certezze del metafisico non è per mancargli di rispetto, ma solo per il piacere di discutere. Mi pare che i forum esistano proprio per questo.
Non capisco perché non si debba avere allo stesso modo rispetto di come io vedo le cose, di come sembra a me. Per te ciò che hai detto sarà certezza, per me non lo è. Io non sono per niente certo neanche di esistere, figurati se sono certo di essere un ex sacerdote; d'altra parte, sfido chiunque a spiegarmi cosa significa il verbo esistere.
È il solito discorso di certi cristiani che si ostinano a considerare gli atei dei credenti, poiché anche gli atei credono pur sempre in qualcosa. Chi parla in questi termini non fa altro che mostrare la propria incapacità non solo ad uscire dai propri schemi, ma soprattutto a rispettare quelli altrui. Io posso capire che per un cane io non sono altro che uno strano cane che sta in piedi, per un pesce non sono altro che uno strano pesce che vive fuori dall'acqua. Però dal cane mi sento più rispettato di quanto mi senta rispettato da chi cerca a tutti i costi di farmi rientrare nei suoi schemi.
Duc in altum!, non mi ci vorrebbe niente a capovolgere il discorso e dirti che in realtà non sei certo di niente, credi di avere certezze, ma i tuoi sono solo dubbi mascherati. Ma parlando così non avrei risolto niente, non mostrerei altro che incapacità di uscire fuori dai miei schemi di dubbio, così come tu, in base a questa critica che sto proponendo, mostri incapacità di uscire dai tuoi schemi di certezze: che facciamo allora, ci chiudiamo ognuno nei propri schemi e facciamo vedere come siamo bravi ad inglobare l'altro nel nostro schema? Ma questo sanno farlo tutti.
Vogliamo provare a vedere se per caso riusciamo a fare qualcosa di diverso, forse migliore? Oppure ci fa felici il piacere banale di essere riusciti ad inglobare l'altro nel nostro schema?
Citazione di: donquixote il 23 Febbraio 2017, 20:44:23 PM
Sembra che ci fosse un tempo, ma tanto tempo fa, in cui certe presupposte persone nel presumibile momento in cui sembrava che facessero certe immaginarie ipotesi forse arrivava un ipotetico "pellicano" a sirene spiegate e due supposti infermieri con l'apparente fisico di culturisti fantasticavano di legarle con apparenti camicie di forza e congetturavano di trasportarle in un presunto luogo con dubbie pareti imbottite in cui non potessero immaginare di danneggiare se stessi e gli altri. Ma sembra, eh...
sgiombo ce l'ha con me perché l'ho accusato di essere pronto a mandare gente al manicomio. Dopo le sue proteste alla mia affermazione,
mi augurò di guarire, confermando ciò che avevo detto. Non è una novità che metafisici e tradizionalisti mostrino particolare simpatia per la prospettiva di mandare gente al manicomio.
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Febbraio 2017, 21:06:05 PM
Citazione di: donquixote il 23 Febbraio 2017, 20:44:23 PMSembra che ci fosse un tempo, ma tanto tempo fa, in cui certe presupposte persone nel presumibile momento in cui sembrava che facessero certe immaginarie ipotesi forse arrivava un ipotetico "pellicano" a sirene spiegate e due supposti infermieri con l'apparente fisico di culturisti fantasticavano di legarle con apparenti camicie di forza e congetturavano di trasportarle in un presunto luogo con dubbie pareti imbottite in cui non potessero immaginare di danneggiare se stessi e gli altri. Ma sembra, eh...
sgiombo ce l'ha con me perché l'ho accusato di essere pronto a mandare gente al manicomio. Dopo le sue proteste alla mia affermazione, mi augurò di guarire, confermando ciò che avevo detto. Non è una novità che metafisici e tradizionalisti mostrino particolare simpatia per la prospettiva di mandare gente al manicomio.
Non si può sapere se un ipotetico sgiombo abbia una supposta opinione su qualcuno, perchè forse non esiste sgiombo, e probabilmente non esiste nemmeno qualcuno. Chissà... E pare che nessuno faccia congetture intorno al manicomio, perchè non si sa bene cosa questo possa essere, non v'è certezza alcuna, e nemmeno è sicuro che esista la congettura, dunque apparentemente non è possibile. È inoltre una mera ipotesi che vi siano novità, poichè il nuovo presuppone un divenire, ma sembra che questo non sia certo (o forse lo è... mah; o magari lo è a giorni alterni, forse). E potrebbe anche essere che metafisici provano simpatia, ma l'altra metà magari no, non si può sapere per certo, o forse i tradizionalisti potrebbero credere di essere in manicomio (se sapessero cos'è) in mezzo alla gente a giocare al gioco della prospettiva, che sembra che sia una specie di girotondo che forse si fa tenendosi per mano con un ipotetico scolapasta in testa (o forse era la testa sopra il colapasta? boh... è uguale, tanto tutto è relativo).
Ottimo! Questo a mio parere è l'atteggiamento corretto.
Come base ci siamo. Si tratta poi di proseguire l'approfondimento considerando la nostra percezione della condizione umana.
Ottimo! Questo a mio parere è (forse) l'atteggiamento corretto.
Devo ammettere che mi piace il sottile sense of humour che permea il relativismo... :)
La percezione della condizione umana tuttavia è quanto di più soggettivo si possa immaginare. :-\
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneSarà così per te e ho totale rispetto del tuo modo di vedere, così come ho totale rispetto di chi è metafisico e ritiene di avere certezze. Il fatto che le certezze del metafisico non convincano me non significa certo che a causa di ciò siano illegittime: può sempre darsi che sia io a non riuscire a vedere bene, a capire le certezze del metafisico. Se io critico in continuazione le certezze del metafisico non è per mancargli di rispetto, ma solo per il piacere di discutere. Mi pare che i forum esistano proprio per questo.
Benissimo, concordo pienamente, ma l'inevitabilità della fede in qualcosa (o in qualcuno) non è un mio modo di vedere, ma, piaccia o non piaccia, un dogma ontologico terrestre, come quello che se non si respira si muore e se non si mangia si sviene.
Tu puoi criticare la critica alla critica della critica, fatti tuoi, amen e così sia, ma quando esistenzialmente scegli, la critica è giunta a una conclusione nell'azione da te esercitata. Sei diventato come me che scelgo in funzione del Vangelo o come chi decide cosa essere in virtù della causalità scientifica. Se così non fosse, ossia, se fosse possibile svignarsela dalla responsabilità della fede (così come quella di respirare e mangiare), un eventuale giudizio trascendente non sarebbe cosa, giacché ci sarebbe il sotterfugio per evitarlo: poter esistere senza decidere in virtù della fede.
Il problema umano basilare non è la divergenza sull'oggetto di fede, ma proprio questo credere di poter esistere senza avere fede. Il far diventare dogma l'illusione di esistere in un limbo dove si può scegliere senza decidere per fede, E' difficile comprendere e farsi ascoltare da chi pensa che l'oggettività di respirare e mangiare non è necessaria per essere umano.
Per fare questo dovresti dimostrare che tu esisti, ti relazioni e ami senza scegliere, senza mai decidere, ma se tu potessi far questo, già ti starei vedendo sui TG, poiché saresti il primo nell'Universo, saresti il primo ex/umano, diverresti un extraterrestre.
CitazioneNon capisco perché non si debba avere allo stesso modo rispetto di come io vedo le cose, di come sembra a me. Per te ciò che hai detto sarà certezza, per me non lo è. Io non sono per niente certo neanche di esistere, figurati se sono certo di essere un ex sacerdote; d'altra parte, sfido chiunque a spiegarmi cosa significa il verbo esistere.
Io ho solo espresso una riflessione, in nessuna parte ti ho mancato di rispetto, certo contraddico totalmente questa teoria del poter esistere senza fede, giacché, come ho scritto e detto sopra, solo se ci si confronta francamente su due fedi differenti, la maieutica del noumeno può indicarci i nostri errori e le qualità della controparte, e quindi possiamo divenire, non più buoni o giusti, ma più veri, fine ultimo nella ricerca della Verità.
Inoltre io ho la terza media e grammaticalmente non so cosa significa il verbo esistere, ma posso enunciare, per esperienza (quindi secondo me), che per esistere basta respirare e mangiare, e che per vivere è indispensabile tanta fede, ma proprio tanta fede.
CitazioneÈ il solito discorso di certi cristiani che si ostinano a considerare gli atei dei credenti, poiché anche gli atei credono pur sempre in qualcosa. Chi parla in questi termini non fa altro che mostrare la propria incapacità non solo ad uscire dai propri schemi, ma soprattutto a rispettare quelli altrui.
Penso di averti già risposto nel mio primo commento, non è un mio schema, ma quello che sperimentiamo o per caso o per volere.
Poi se la circostanza che qualcuno ti confuti che il dichiararsi senzadio non è sinonimo oggettivo e reale di essere privi di fede, la ritieni un'incapacità, farò del mio meglio per convivere con questa mia deficienza, tanto per me: l'ateismo e' più fideistico di qualsiasi religione. Credere che cento miliardi di galassie si siano auto-create e auto organizzate secondo leggi finissime e costanti universali non ha nulla di razionale.
Citazione di: Jean il 24 Febbraio 2017, 19:34:12 PMLa percezione della condizione umana tuttavia è quanto di più soggettivo si possa immaginare. :-\
Non ho detto che la condizione umana sia qualcosa di oggettivo. Il relativista la prende in considerazione perché egli è un ex metafisico che ha deciso di tener conto del soggetto. Una volta che quest'operazione ha demolito la metafisica, il soggetto, cioè l'uomo, si viene a trovare in una situazione contraddittoria: non può più servirsi della metafisica, poiché essa è crollata, ma è costretto a servirsene, perché l'esistenza umana gli fa sperimentare delle condizioni di necessità. Questa è la condizione umana; è senza dubbio una concezione soggettiva, ma non mi pare che finora altri siano stati capaci di offrire descrizioni o orientamenti migliori. Non sto parlando d'altro che dell'essere per la morte inteso da Heidegger: tutto ci necessita, ci spinge a dover vivere, anche attraverso il piacere di vivere, ma nello stesso tempo tutto è anche portatore di non vita, di morte.
In questa condizione ci sono delle necessità a cui non possiamo sottrarci, ma su alcune cose possiamo tentare di intervenire. Tra queste mi sembra che ci sia il modo di pensare: è possibile provare a pensare in modi non metafisici, e soprattutto che si sforzino di non essere violenti. Se vedo una pietra che mi sta cadendo in testa, la vita mi obbliga ad essere metafisico, a fare violenza alla mia libertà di pensiero. Però posso evitare almeno di essere io a lanciare pietre ad altri, di fare violenza alla loro libertà di pensiero.
Citazione di: Duc in altum! il 24 Febbraio 2017, 20:02:44 PM... non è un mio schema ...
Non pensi di essere un essere umano? Se non è un tuo schema, sarà schema di qualcun altro, ma puoi affermare che si tratta di qualcosa non partorito da menti umane? E se è partorito inevitabilmente da menti umane, come puoi sostenere che non si tratta dello schema mentale di qualche essere umano?
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneE se è partorito inevitabilmente da menti umane, come puoi sostenere che non si tratta dello schema mentale di qualche essere umano?
Potresti usare questo "inevitabilmente" se sapessi con certezza come ha avuto origine la mente umana, il pensiero, la ragione, ma visto che non lo sai, e si può ben denotare che però ne fai uso, sei nuovamente (come se poi potresti uscirne! :-\ ) nel campo della fede.
Se per te il pensiero o la fede umana sono facoltà prettamente partorite dall'uomo e non da un accidente o da Dio, dovresti accettare, per la stessa equivalenza, che anche mangiare e respirare sono circostanze create da uno schema mentale, poiché le tre funzioni sono inscindibili dall'esistenza umana terrestre.
Quindi, ribadisco (e come tu ben dici), lo schema non è mio, esso o è stato generato da una mente superiore o è una causalità iniziata da un imprevisto, in ogni caso, cosa più importante e fondamentale, non è per merito umano, non c'è nessun merito umano, se non quello di usufruire del suo effetto. Non esiste conoscenza o convinzione che non si radichi in un atto di fede. L'uomo non sa, crede. E non l'ho inventato io, provare per credere.
Citazione di: Duc in altum! il 24 Febbraio 2017, 21:00:41 PM
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneE se è partorito inevitabilmente da menti umane, come puoi sostenere che non si tratta dello schema mentale di qualche essere umano?
Potresti usare questo "inevitabilmente" se sapessi con certezza come ha avuto origine la mente umana...
Non è la prima volta che noto che intrometti nel discorso dei fattori che non sono altro che un cambiare discorso, poiché non c'entrano niente con quello che stiamo dicendo. Questo mi ha scoraggiato spesso dalla voglia di proseguire le discussioni con te.
Nel discorso che stiamo facendo, credere o non credere in Dio non ha alcuna rilevanza; a meno che tu non ritenga irrinunciabile parlare della tua fede in Dio anche quando si discute di chi ha vinto l'ultima partita di calcio o del sapore che aveva l'ultimo pranzo. Se per te è proprio irrinunciabile, per me non ha senso proseguire.
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneNon è la prima volta che noto che intrometti nel discorso dei fattori che non sono altro che un cambiare discorso, poiché non c'entrano niente con quello che stiamo dicendo.
Come non c'entra niente ...diciamo che non ti conviene! ???
Se tu mi confuti che lo schema della mia riflessione sull'inevitabilità della fede è obbligatoriamente di provenienza di qualcuno o qualcosa umano, e io ti faccio notare che questa è
una tua personale ragione di fede, giacché non sappiamo ancora se questo principio è così, non dovresti fare appello a che sto cambiando discorso, ma a rispondere nel merito. Così come io ho fatto.
CitazioneNel discorso che stiamo facendo, credere o non credere in Dio non ha alcuna rilevanza; a meno che tu non ritenga irrinunciabile parlare della tua fede in Dio anche quando si discute di chi ha vinto l'ultima partita di calcio o del sapore che aveva l'ultimo pranzo. Se per te è proprio irrinunciabile, per me non ha senso proseguire.
Come non ha rilevanza?!?! Tu dici:
"...non pensi di essere un essere umano? Se non è un tuo schema, sarà schema di qualcun altro, ma puoi affermare che si tratta di qualcosa non partorito da menti umane? E se è partorito inevitabilmente da menti umane, come puoi sostenere che non si tratta dello schema mentale di qualche essere umano?..." - pretendendo che io debba pensare come il tuo schema impone, cioè, di ragionare dall'essere umano già fatto, già ente razionale, ovviando come e perché sia possibile questo avvenimento.
Tu puoi benissimo non proseguire, questo è un tuo problema, ma non puoi reclamare che uno non svilisca una riflessione incoerente e contraddittoria.
Chiese uno scienziato a Dio: "Giochiamo a fare l'uomo?"Dio disse: "Da cosa vuoi partire?"Lo scienziato rispose: "Dalla terra, come te..." e prese alcune palate di terra.
Allora Dio replicò: "No, figliolo, prendi la terra che hai creato tu..."
...ecco, tu vuoi discutere senza metafisica usando
palate di concetti umani che neanche hai creato tu!! ;)
Rilevo (positivamente) che il vostro confronto ha dato corpo al titolo:
Angelo la critica Duc e le spiritualità...
** scritto da Jean:
CitazioneRilevo (positivamente) che il vostro confronto ha dato corpo al titolo:
Angelo la critica Duc e le spiritualità...
Non è confronto tra spiritualità e critica, ma tra utopia e realtà dei fatti. Infatti
@Angelo Cannata a un certo punto sostiene di non essere certo neanche di esistere, mentre stamane la sveglia gli ricorderà molto bene che esiste e che deve scegliere tra vivere o sopravvivere; e che con la critica alla critica della critica né respira, né mangia, né ama.