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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: daniele75 il 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM

Titolo: La morte
Inserito da: daniele75 il 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM
Chi non ha mai pensato alla fine certa che tocca ad ogni uomo. È così semplice come così terribile. Per millenni hanno cercato di alleviare il pensiero della morte con la logica e con la fede. È triste dirlo ma oltre c'è in nulla, uno stato di assenza di tempo e spazio, assenza di sensazioni, il defunto non sa di essere un morto. Secondo me l'uomo ha trovato con la bugia delle religioni un effetto placebo atto ad esorcizzare la morte, con promesse di vita eterna, paradiso, reincarnazioni e resurrezioni, tutte fandonie. Tutto per non accettare il crudele destino imposto dalla natura. Rimarrà di noi, solo le nostre opere, senza che noi potremo prendercene i meriti. C'è chi muore in giovane età, chi da vecchio su una sedia a rotelle, chi di cancro e così via. Tutti aspirano a durare più a lungo, diete, farmaci, vita salutare, attenzione ai pericoli, l'istinto di sopravvivenza prevale sempre, si interrompe solo con la morte. Spinti dagli istinti e dalla ricerca del piacere, ci complichiamo l'esistenza, stress, lavoro, impegni, pochissimo tempo da dedicare a noi stessi. Una corsa frenetica verso un burrone chiamato morte. Perché non rallentiamo e viviamo presenti e consapevoli che possa essere l'ultimo giorno?
Non si butta via il tempo, il tempo va masticato con calma come una buona fetta di torta, non inghiottita in un solo boccone, come si fa in occidente, ma in stile zen, meditando l'esistenza. La fede è secondo me un allucinogeno, se rimane in circolo nella mente per sempre di può esorcizzare la paura della morte, perché tanto poi c'è il paradiso. Quindi deduco che la fede è una psicosi, un vivere in una realtà parallela priva di logicità che però porta alla felicità. L'ateo mi preoccupa, che vive nel dubbio, lui è sano, sa che esiste il nulla dopo, non so, forse sarei dovuto nascere psicotico, avrei vissuto l'eternità con il pensiero. Uno che ha fede cieca non muore, non svegliateli.
A noi atei il compito di contemplare il nulla, la ragione, la filosofia. E i figli? Regaliamo loro il dono della vita, poi loro dovranno combattere con l'attesa della morte. Che senso ha tutto ciò? Uno sbocciare per poi fiorire, appassire e seccare per l'eternità? È chiaro che siamo reazioni chimiche a scadenza, non è una macchina perfetta l'uomo, chi lo dice è solo un positivista. L'uomo è difettoso, si ammala. La fede e la malattia mentale sono la via per sconfiggere il pensiero della morte.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: doxa il 09 Novembre 2019, 16:03:08 PM
Daniele a me sembra che tu copi da vari opuscoli i post di apertura dei tuoi topic !

Hai letto il testo del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, titolato "Essenza della religione" ?

Puoi trovare alcune risposte alle tue riflessioni.

Hai scritto
CitazioneA noi atei il compito di contemplare il nulla, la ragione, la filosofia

In che modo li contempli ? 
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 09 Novembre 2019, 16:17:49 PM
In meditazione, mentre ascolto musiche particolari penso al grande teatrino della vita e le sue prigioni degli istinti. Non ho copiato da nessuno, è farina del mio sacco.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 09 Novembre 2019, 16:21:15 PM
Citazione di: daniele75 il 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM
È chiaro che siamo reazioni chimiche a scadenza, non è una macchina perfetta l'uomo, chi lo dice è solo un positivista. L'uomo è difettoso, si ammala. La fede e la malattia mentale sono la via per sconfiggere il pensiero della morte.

Con questo ateismo perderemo sempre. Io lo chiamo ateoscientismo. Che é morte dell'umano, non solo del divino. La risposta al für den Tod sein, é esistere per la vita. Nostra e della nostra progenie. La prima parte del post la condivido: vivere ogni giorno come fosse l'ultimo. Ma con tutta la pienezza che merita. Siamo una formula chimica pensante. Autocoscienza dell'universo. Basta questo per godersi lo spettacolo e parteciparvi.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 09 Novembre 2019, 16:25:25 PM
Io mi godo ogni giorno come se fosse l'ultimo ma ammetto a me stesso una fine, che porta malinconia, che nascondiamo con il termine divino. Di divino non c'è niente. E solo chimica pensante. Appunto io mi godo i chimici, la serotonina la mia preferita :-)
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 09 Novembre 2019, 16:39:12 PM
Eppure è proprio la morte a donare significato alla vita.
 
Senza la morte saremmo perduti: il vuoto esistenziale sarebbe assoluto.
 
Invece la morte, ossia vivere consapevoli in ogni istante della morte, ci costringe a colmare questo vuoto.
 
Non è tanto che dopo non c'è nulla... è proprio ora che non c'è nulla!
 
Ed è meravigliso come questo nulla sia vita...
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 09 Novembre 2019, 16:43:29 PM
Rispetto il tuo punto di vista sulla fine, ti dà la carica per non vedere la realtà ultima. È come scrivere una bella poesia alla amata, come diceva Bukowski: qualsiasi cosa per tirare giù quelle mutandine. Tu stai facendo lo stesso con la filosofia.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 09 Novembre 2019, 16:50:50 PM
E se non fosse la serotonina, ma un gomitolo di stringhe quantistiche o un etereo diavoletto cartesiano ? Attenzione che dalla fede al fideismo il passo è breve. Riporre tutte le proprie motivazioni in una fumisteria da oppio biologica non è il massimo dell'esistenziale. 

E poi perché limitarsi borghesemente alla serotonina ? Un ateoscientisticamente corretto mix di  prodotti chimici esilaranti e finiamo la farsa in bellezza pirotecnica e coerenza logica ! Perché no ?!?
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 09 Novembre 2019, 16:57:17 PM
Non ho altro da aggiungere, la semplicità della vita non è un poesia indecifrabile e complicata, ma le parole espresse da un bimbo che non sa niente di filosofia del passato. Filosofeggiare con la propria mente senza attenersi ai vecchi ragionamenti altrui. Così di finisce solo per essere ripetitori passivi. Preferisco la semplicità del bambino filosofo, quello che ragiona verginemente.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 09 Novembre 2019, 17:20:46 PM
Citazione di: daniele75 il 09 Novembre 2019, 07:44:10 AM
È triste dirlo ma oltre c'è in nulla, uno stato di assenza di tempo e spazio, assenza di sensazioni, il defunto non sa di essere un morto.
Non essendo tu defunto e non disponendo di testimonianze di defunti non puoi affermarlo. Puoi solo ipotizzarlo.
Citazione di: daniele75 il 09 Novembre 2019, 07:44:10 AMviviamo presenti e consapevoli che possa essere l'ultimo giorno
Esattamente uno dei suggerimenti più importanti espressi da Sant'Ignazio di Loyola (il fondatore dell'ordine dei gesuiti). Come vedi le religioni (in questo caso quella cristiana) hanno dei punti di convergenza con il tuo pensiero e con quello di altri amici e amiche che qui scrivono.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Kobayashi il 10 Novembre 2019, 11:20:07 AM
Nella filosofia antica la meditazione sulla morte serviva a liberarsi dall'illusione (o meglio, dal grave errore filosofico) che ci fa credere che la propria serenità dipenda da un favorevole concatenamento di eventi. Questo concatenamento di eventi, di cui non abbiamo il controllo, può essere in ogni momento stravolto dalla morte (nostra o di chi ci sta vicino).
Per cui si pensa alla morte per ricordarsi di non attaccarsi troppo ai fatti esterni, a cose, situazioni o persone, da cui non deve dipendere la nostra pace interiore.
Pensando alla morte ci si allena. E irrobustendosi attraverso l'allenamento si può iniziare a vedere chiaramente alla vita.
La malinconia come effetto del pensiero della morte potrebbe essere visto, da questo punto di vista, come il segno di un allenamento inadeguato (o mai realmente iniziato).

Ora un paio di cose sul modo di interpretare la religione nel post di apertura.
La fede non è certezza dell'immortalità, ma determinazione a continuare a cercare la presenza di Dio nella propria vita nonostante la fragilità e l'incomprensibilità della sua azione (o di ciò che si interpreta essere azione-presenza del divino).
La vicenda di Gesù è straordinaria proprio perché da una parte la sua esperienza di Dio era così intensa da fargli utilizzare l'immagine di un Padre misericordioso (quindi Dio così presente nella vita di tutti come un buon padre di famiglia è presente con i propri figli) e convincerlo dell'approssimarsi ormai del Regno (quindi il divino che si manifesta pienamente e che conduce l'umanità a essere quella che deve essere: il motore della giustizia, dell'armonia, della custodia della Terra etc.); dall'altra, nel venerdì santo, ecco che si ritorna al silenzio, all'abbandono, all'assenza.

Ogni cristiano vive lo stesso paradosso. Da una parte quello che sente, o ha sentito in certi momenti decisivi della vita, lo costringono a credere a Dio, qualunque cosa sia; dall'altra l'esperienza della distanza, del vuoto, del silenzio, che rimettono continuamente in discussione la sensatezza della propria fede.
Ma il vero cristiano è una persona spirituale. E il fondamento della spiritualità consiste nell'idea che per avere accesso alla verità è necessario trasformarsi, cambiare se stessi, lavorare su se stessi.
Quindi l'immagine statica di un credente che una volta per tutte dice "sì, è tutto vero!" fa parte dell'immaginario rudimentale di un certo ateismo. In verità si tratta di un continuo lavoro su se stessi che ovviamente la patristica ha ripreso dalla filosofia greco-romana.
Per questo è importante riconoscere che l'approccio gnostico (è solo l'accesso alla verità a trasformarti e salvarti) e la teologia razionale (per conoscere Dio non ho bisogno di alcun esercizio, mi basta usare rettamente l'intelletto) non sono mai riusciti a distruggere completamente la base spirituale e filosofica dell'itinerario cristiano.

[su tutto questo vedere: "Ermeneutica del soggetto" di Focault]
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 10 Novembre 2019, 12:14:53 PM
Citazione di: Kobayashi il 10 Novembre 2019, 11:20:07 AM
.... si pensa alla morte per ricordarsi di non attaccarsi troppo ai fatti esterni, a cose, situazioni o persone, da cui non deve dipendere la nostra pace interiore.
Pensando alla morte ci si allena. E irrobustendosi attraverso l'allenamento si può iniziare a vedere chiaramente alla vita.
La malinconia come effetto del pensiero della morte potrebbe essere visto, da questo punto di vista, come il segno di un allenamento inadeguato (o mai realmente iniziato).

Effettivamente é così, anche per il bambino o l'animale che di quell'allenamento non hanno neppure bisogno perché si limitano a vivere senza interrogarsi sul senso della vita. Quindi, in una prospettiva immanente, va bene il bambino, ma fino in fondo, senza malinconie e artifici esistenziali intorno a mediatori chimici che con modica cifra se ne acquistano al mercato anche di più prodigiosi.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 10 Novembre 2019, 12:36:39 PM
Il popolo non ama vivere nel dubbio. Aspetta sempre qualche verità anche se fantastica. Il vuoto cosmico mentale non piace, meglio costruire dei muri di fede per non vedere l'infinito, specie per chi soffre di vertigini
Titolo: Re:La morte
Inserito da: anthonyi il 10 Novembre 2019, 13:42:23 PM
Citazione di: daniele75 il 10 Novembre 2019, 12:36:39 PM
Il popolo non ama vivere nel dubbio. Aspetta sempre qualche verità anche se fantastica. Il vuoto cosmico mentale non piace, meglio costruire dei muri di fede per non vedere l'infinito, specie per chi soffre di vertigini

Pensa invece che c'è chi è convinto, me compreso, che la fede sia proprio il canocchiale che ti permette di vedere quell'infinito, e che quelli che a quell'infinito non ci credono lo fanno solo perché quel canocchiale non lo sanno usare.
Un saluto
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 10 Novembre 2019, 13:48:33 PM
Sì chiama bias di conferma. È un meccanismo molto usato nella fede. Quindi la fede ti porterà in paradiso dopo la morte fisica? Il pensiero si manifestera senza materia pensante? Dio è lì su nei cieli che guarda le sue creature immorali autodistrutimve? Tra un po ci sarà l'apocalisse che spazza i malvagi? Ma per cortesia i non amo i film fantasy.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 10 Novembre 2019, 13:52:14 PM
In oltre aggiungo la dipendenza patologica della fede qui spiegata:

[font=Merriweather, "Times New Roman", Times, serif]Il mondo delle idee ed i suoi prodotti mentali non sono sostanze fisiche, ma possono diventare ossessioni esattamente come cibo, sesso e cocaina, perché sfruttano la stessa leva della gratificazione.[/font]

[font=Merriweather, "Times New Roman", Times, serif]Animalisti, tifosi di calcio, fashion victims, intellettuali, degustatori di vino, appassionati di serie TV, fanatici religiosi, atleti, innamorati, ognuno ha una droga personalizzata che funziona in modo molto simile allo zucchero o alla cocaina. Ed esattamente come un cocainomane, ognuno può diventare non solo dipendente dalla gratificazione stessa, ma addirittura schiavo di tutta la rete di pensieri che vi si muove intorno, rafforzata da emozioni amplificate in un frullato neurochimico.
Tutto provoca dipendenza perché il nostro cervello è costruito per inseguire fonti di piacere.[/font]
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Franco il 11 Novembre 2019, 14:55:33 PM
daniele75 ( = daniele):

Chi non ha mai pensato alla fine certa che tocca ad ogni uomo.

Franco ( F) :

a) Considerazione facilmente discutibile, giàcche non è certo che non siano esistiti e non esistano esseri umani capaci soltanto del pensiero della possibilità della morte come fine certa. Per non parlare di tutti quelli che al pensiero della fine certa non pervengono punto. Considerazione quest'ultima che intrattiene un rapporto essenziale con ciò che in un altro topic ho iniziato a tratteggiare come fede in senso cristiano.

b) Fine certa che "tocca"? Che è inteso qui con "toccare a" ?

c) concludo che daniele non ha punto notizia del pensiero di Emanuele Severino, cardine del quale è proprio la negazione della morte quale declinazione fondamentale della negazione del "giungere - alla - fine" delle cose.

daniele:

È così semplice come così terribile.

F:

Non è affatto semplice, anche in considerazione del modo in cui il f"enomeno" della morte è stato introdotto. Come se ne potrebbe parlare se si facesse a meno di termini come quello di "toccare"?

daniele:

Per millenni hanno cercato di alleviare il pensiero della morte con la logica e con la fede. È triste dirlo ma oltre c'è in nulla, uno stato di assenza di tempo e spazio, assenza t sensazioni, il defunto non sa di essere un morto.

F:

Oltre la morte c'è il nulla. Vorrei comprendere meglio.

a) cosa è esperito "di fatto" con la morte? La morte di chi e di cosa? Cosa si suppone che muoia? Oltre in che senso? E che cosa viene inteso con il termine "nulla"? E che cosa con il nulla oltre la morte? E che cosa con il nulla che c'è oltre? Domando come sia possibile pensare un nulla - essente-ci - oltre.

Correttamente, mi domando come sia possibile pensare un nulla essente oltre.

daniele:

Secondo me l'uomo ha trovato con la bugia delle religioni un effetto placebo atto ad esorcizzare la morte, con promesse di vita eterna, paradiso, reincarnazioni e resurrezioni, tutte fandonie.

F:

Il termine "uomo" è anche qui usato come un gigantesco calderone, nel quale è dato trovare tutto e nulla. Quanti sono stati e quanti sono gli individui umani capaci di pensare "la religione" come bugia ed effetto placebo?

daniele:

Tutto per non accettare il crudele destino imposto dalla natura.

F:
Crudele destino imposta dalla natura? Ha il sapore di un'antropomorfizzazione.

daniele:

Rimarrà di noi, solo le nostre opere, senza che noi potremo prendercene i meriti. C'è chi muore in giovane età, chi da vecchio su una sedia a rotelle, chi di cancro e così via. Tutti aspirano a durare più a lungo-

F:
Considerazioni di sapore schopenhaueriano. Ma detto di passaggio, Schopenhauer parla molto di vita. E lo fa in un modo per lo più trascurato dagli interpreti.

In ogni caso considerazioni assai interessanti. Tutti aspirerebbero a durare più a lungo. Quanto? Che senso ha aspirare a vivere più a lungo a fronte della certezza della morte? Morte che falcia a qualsiasi età e nelle forme più diverse. Di più, in cosa consiste quest'aspirazione? Forse a vivere più a lungo o non piuttosto alla vittoria sulla morte? Qual è il senso più intimo della civiltà della tecnica? Forse quello dell'aspirazione al superamento di ogni dolore e stato di indigenza? Se la risposta fosse affermativa, bisognerebbe chiedersi la possibilità della coesistenza dell'aspirazione al risolvimento di ogni sofferenza e di ogni stato d'indigenza e la speranza (il progetto) e la certezza della morte.

daniele:

La fede è secondo me un allucinogeno, se rimane in circolo nella mente per sempre di può esorcizzare la paura della morte, perché tanto poi c'è il paradiso. Quindi deduco che la fede è una psicosi, un vivere in una realtà parallela priva di logicità che però porta alla felicità.

F:

Anche qui  si pensa di far fuori facilmente l'esperienza di fede nel paradiso. La quale, malgrado tutti gli illuminismi, continua a determinare la vita di un numero incalcolabile di individui. Freudianamente si getta l'esperienza di fede nel calderone della malattia mentale. Ciò facendo si tradisce la convinzione che la psicologia di Sigmund Freud abbia svolto una funzione di emancipazione individuale e collettiva. Si tende - tra l'altro - a pensare la psicologia freudiana come concorso al superamento della mentalità patriarcale sul fondamento dell'interpretazione della fede religiosa quale fenomeno di psicopatologia collettiva. Ma le cose sono molto più complesse.

daniele:

L'ateo mi preoccupa, che vive nel dubbio, lui è sano, sa che esiste il nulla dopo, non so, forse sarei dovuto nascere psicotico, avrei vissuto l'eternità con il pensiero. Uno che ha fede cieca non muore, non svegliateli.

F:

Come sopra: che cosa si intende qui con "il nulla esistente dopo"? Che cosa viene inteso con un nulla esistente? Come può il nulla esistere? E addirittura esistere dopo? Come si fa a saperlo? Di fatto non si fa esperienza del "dopo". La morte è sempre quella degli altri. La constatazione fenomenologica non è la constatazione del dopo anche nel senso che la constatazione fenomenologica del "prima" nulla dice di una pluralità di coscienze. Non sarà questa una traccia per cominciare a non essere così convinti di un dopo - morte come annullamento?

L'impressione di fondo che ricavo dal post di daniele75 è qualcosa come un affrettarsi ad affermare la morte come annullamento.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 11 Novembre 2019, 15:01:11 PM
Ma cosa vuoi che ci sia dopo la morte se non l'assoluto silenzio senza tempo? Non ho fede, non mi è mai interessata. Il nulla è certo, inutile filosofeggiare con il destino certo. La morte è un off. Non c'è più elettricità tra i neuroni, fine, the end
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 11 Novembre 2019, 16:30:47 PM
Citazione di: Franco il 11 Novembre 2019, 14:55:33 PM
... si pensa di far fuori facilmente l'esperienza di fede nel paradiso. La quale, malgrado tutti gli illuminismi, continua a determinare la vita di un numero incalcolabile di individui.

No, si sa quanto difficile sia superare l'esperienza di fede nel paradiso. Che è una fede al quadrato: perchè no una più realistica esperienza di fede nell'inferno ? Nell'Ade oscura dei nostri meno allucinati antenati greci ? Anche le illusioni hanno i loro bias. Che moltiplicati miliardi di volte non cambiano di uno iota la loro sostanza illusionale.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 11 Novembre 2019, 16:41:16 PM
Io tramite le droghe ho visto l'inferno e il paradiso. Sono tutti prodotti del pensiero pilotato dai chimici. La fede è una droga blanda che crea dipendenza, disintossicatevi! :-)
Titolo: Re:La morte
Inserito da: anthonyi il 11 Novembre 2019, 17:12:46 PM
La mia convinzione, Daniele, è che tutte le verità spirituali siano percepibili interiormente. Naturalmente, come ogni uomo, io posso conoscere soltanto le mie percezioni interiori e quelle percezioni mi danno più certezze del necessario, per quanto mi riguarda.
Evidentemente tu hai percezioni differenti, quindi hai una tua verità atea dentro di te, potresti parlare di quella invece di intestardirti a sparlare della fede che tu dimostri non conoscere.
Non è che in questo ossessivo tentativo sei mosso da una forza interiore che magari ti da dei suggerimenti, una forza che conosce la fede e la combatte con tutte le sue forze, una forza anch'essa spirituale.
Un saluto
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 11 Novembre 2019, 17:17:46 PM
Per anni ho letto la bibbia, Corano, Tao te ching, sutra del Loto, veda etc etc. Le discordanze sono incredibili. Non ho nessuna fede nel mio interno. Credo principalmente in quello che può essere provato. La chiesa cattolica non ha niente a che fare con gli insegnamenti bibblici. Così come il buddha non ha mai detto di costruire sopra le sue parole una religione. Non parliamo di Maometto che è meglio. Allen ha detto: non ho niente contro Dio e il suo fan club che mi spaventa. Io son d'accordo con lui.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 11 Novembre 2019, 20:24:22 PM
L'inferno non è una questione di fede. 
L'inferno deve essere vissuto.

È il luogo dove inevitabilmente finisce chi cerca la Verità.

Perché l'inferno non è un luogo dell'aldilà, ma è disponibile qui, ora.

 Si può accedervi in ogni istante, è sufficiente riflettere sul male. 
Il male che c'è nel mondo, il male che è dentro di me, il male che io stesso sono.

L'inferno è luogo senza speranza.
E lì, e solo lì, Dio è certo.

Tutto il discorso che fai, Daniele, sembra fatto apposta per evitare di aprire quella porta, la porta dell'inferno.

Ma non è sufficiente negare il paradiso e aggrapparsi a questo mondo. Occorre entrare nell'inferno, senza speranza di uscirne, perché è impossibile!
Titolo: Re:La morte
Inserito da: anthonyi il 11 Novembre 2019, 22:21:25 PM
Citazione di: daniele75 il 11 Novembre 2019, 17:17:46 PM
Per anni ho letto la bibbia, Corano, Tao te ching, sutra del Loto, veda etc etc. Le discordanze sono incredibili. Non ho nessuna fede nel mio interno. Credo principalmente in quello che può essere provato. La chiesa cattolica non ha niente a che fare con gli insegnamenti bibblici. Così come il buddha non ha mai detto di costruire sopra le sue parole una religione. Non parliamo di Maometto che è meglio. Allen ha detto: non ho niente contro Dio e il suo fan club che mi spaventa. Io son d'accordo con lui.

Quindi tu sei spaventato da una persona che afferma di credere in Dio, nel paradiso, nell'inferno etc. E' per quale ragione di grazia, se uno crede in Dio ... crede anche di dover rispettare ogni essere umano, compreso te, quindi non hai da temere danni fisici. E' il maligno che ha paura di chi ha fede, e ha le sue ragioni.
Un saluto.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 12 Novembre 2019, 08:00:59 AM
Si conosco il punto di vista cristiano. 

L'"effetto Lucifero" è il risultato dell'annichilimento dell'individualità prodotto dal far parte di un gruppo. In teoria può attivarsi in qualsiasi comunità, in pratica avviene soltanto in quelle chiuse. Una tipologia di gruppi umani si caratterizza però per portare all'estremo il senso di identità e appartenenza di chi ne fa parte
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 12 Novembre 2019, 08:37:10 AM
E' molto giusto e molto saggio riflettere sulla morte. Lo è sempre stato in ogni tempo ed in ogni luogo ma lo è ancor di più oggi, nella punta avanzata del mondo occidentale. Dove la morte è stata resa, di fatto, un argomento tabù. Eliminata dall'orizzonte delle attività (in senso lato) umane.

Invece, sia da un punto di vista logico (è l'unica certezza di cui l'uomo dispone) che da un punto di vista emotivo (se ci si pensa bene allora ci si accorge che è un ragionamento quasi impossibile da sostenere, può portare all'impazzimento!) l'argomento merita un approfondimento importante.

Quando la morte tocca un nostro caro si comincia a comprendere qualcosina ma quando tocca a noi e ci rimane tempo per pensarci sopra.......allora si comincia ad entrare nel mistero della morte.

Nel frattempo che questi eventi così terribili, inevitabilmente, fatalmente, incrocino la nostra esistenza è sicuramente intelligente, giusto e saggio riflettere accuratamente sulla morte. Il solo atto di farlo, indipendentemente dai risultati raggiunti, predispone ad inquadrare nella (secondo me) giusta prospettiva l'intera esistenza umana.

Ben vengano dunque queste interessantissime discussioni anche se, a mio modesto avviso, nonostante il tema abbia ampio diritto di cittadinanza nella sezione "Filosofia", potrebbe essere anche guardato da un'altra, fondamentale angolatura, nella sezione "Spiritualità".

Avanti comunque, avanti senza distrazioni  ;)
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 12 Novembre 2019, 09:10:57 AM
Citazione di: Freedom il 12 Novembre 2019, 08:37:10 AM
Ben vengano dunque queste interessantissime discussioni anche se, a mio modesto avviso, nonostante il tema abbia ampio diritto di cittadinanza nella sezione "Filosofia", potrebbe essere anche guardato da un'altra, fondamentale angolatura, nella sezione "Spiritualità".

Certamente, perchè la spiritualità umana nasce intorno alla morte e al suo mistero postumo che solleva la questione del mistero originario e del senso di tutto ciò.

Ma in questa sede, dove pare siano i teisti ad avere il monopolio della spiritualità, meglio lasciarla nella sezione by partizan, dalle mammelle capienti, della filosofia, laddove la morte occupa pure una posizione centrale: nella questione ontologica, datata ma sempre latente e mai esaurita, dell'essere e del nulla.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: daniele75 il 13 Novembre 2019, 06:52:54 AM
Oh morte, tu che annullerai la mia memoria, dissolversi il mio corpo, come potrò io accettati e rassegnarmi? Che non sia mai! Io inventerò un Dio, una vita eterna, un paradiso. Non mi sconfigerai nel pensiero o morte, vivrò di illusioni, non mi avrai. La mia illusione diventerà realtà, e da psicotico ti tradirò! Una volta morto nella fede, chiuderò gli occhi con il sorriso. Che nessun psichiatra mi svegli! Lasciatemi sognare!
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Franco il 13 Novembre 2019, 16:32:17 PM
Citazione di: daniele75 il 11 Novembre 2019, 15:01:11 PM
daniele75:

Ma cosa vuoi che ci sia dopo la morte se non l'assoluto silenzio senza tempo? Non ho fede, non mi è mai interessata. Il nulla è certo, inutile filosofeggiare con il destino certo. La morte è un off. Non c'è più elettricità tra i neuroni, fine, the end
Franco:

a) Anche in questo topic ho iniziato a sottolineare la differenza tra l'aver - fede e l'aver fede in senso religioso nella sua forma cristiana.  

b) I concetti di nulla, di esser - ci, di esistenza costituiscono il filosofare in senso essenziale. Il filosofeggiare è un'altra cosa.  

c) L' ultima considerazione di daniele75 tradisce il grande vizio della concezione riduzionistica della coscienza. Una concezione che l'idealismo filosofico ha superato.  
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Franco il 13 Novembre 2019, 16:36:17 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Novembre 2019, 16:30:47 PM
Citazione di: Franco il 11 Novembre 2019, 14:55:33 PM
Franco:

... si pensa di far fuori facilmente l'esperienza di fede nel paradiso. La quale, malgrado tutti gli illuminismi, continua a determinare la vita di un numero incalcolabile di individui.

Ipazia:

No, si sa quanto difficile sia superare l'esperienza di fede nel paradiso. Che è una fede al quadrato: perchè no una più realistica esperienza di fede nell'inferno ? Nell'Ade oscura dei nostri meno allucinati antenati greci ? Anche le illusioni hanno i loro bias. Che moltiplicati miliardi di volte non cambiano di uno iota la loro sostanza illusionale.

Franco:

Vorrei comprendere meglio la negazione. A chi si rivolge? Forse a daniele 75 secondo il rilievo mossogli da Franco? Se così non fosse, allora si riproporrebbe - anche in ordine alla comprensione della morte - la questione del senso della fede religiosa. Tirare in ballo allucinogeni, stati illusionali e simili, significa ridurre semplicisticamente le cose. 



Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 13 Novembre 2019, 19:54:00 PM
Citazione di: Franco il 13 Novembre 2019, 16:36:17 PM
Vorrei comprendere meglio la negazione. A chi si rivolge? Forse a daniele 75 secondo il rilievo mossogli da Franco? Se così non fosse, allora si riproporrebbe - anche in ordine alla comprensione della morte - la questione del senso della fede religiosa. Tirare in ballo allucinogeni, stati illusionali e simili, significa ridurre semplicisticamente le cose.

I greci erano meno allucinati perchè avevano una concezione più realistica del post mortem rispetto ai cristiani: pochi assurgevano all'Olimpo, molti precipitavano nell'Ade. Indipendentemente dai meriti, ma secondo il capriccio degli dei. Che è quello che accade nella realtà dei paradisi in terra. Nessun motivo logico per non estendere l'analogia ai paradisi celesti, considerando che l'analogica antropomorfica è la base del pensiero religioso. Evidentemente a corrente alternata.

Nei forum atei girava una simpatica analogia contro l'argomento del numero di credenti nei numi. Te la risparmio perchè non voglio affondare il coltello nella piaga. Comunque non è un argomento valido: un tempo tutti credevano che il sole girasse intorno alla terra e si sbagliavano. Coi numi ci sono ottime probabilità che sia uguale.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 13 Novembre 2019, 20:42:41 PM
@Daniele

La morte è un'illusione.
Per il semplice fatto che, nell'Universo, l'energia non si crea e non si distrugge. Ma cambia forma.
E' il Primo principio della Termodinamica.
E noi siamo una forma di energia.
Anche lo spazio-tempo è una illusione creata dal nostro cervello (ce lo ha dimostrato Einstein con la Relatività).
Nella realtà vera dell'Universo, non c'è un prima...e non c'è un dopo. Non c'è un sopra e non c'è un sotto. Non c'è un qui e un aldilà.
Noi SIAMO parte di un TUTTO in perenne trasformazione. Punto.
Non siamo mai, in realtà, nati. E non moriremo mai. Perchè nell'Universo, nulla in realtà nasce e nulla in realtà muore. Ma tutto si trasforma.
E' il nostro cervello che costruisce per noi una "realtà virtuale" nella quale nasciamo e moriamo...nella quale siamo qui e poi non ci siamo più.
Nella realtà vera - quella che è oltre ciò che il nostro cervello percepisce - noi SIAMO. Punto.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 13 Novembre 2019, 21:24:26 PM
C'è solo un piccolo problema che non fa tornare i conti: io sono Ipazia non Universo.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 13 Novembre 2019, 21:28:17 PM
l'argomentazione atea per cui la fede sarebbe solo un tentativo di sfuggire al pensiero angosciante del Nulla dopo la morte a mio avviso ha il torto di capovolgere i termini della questione, considerando la formazione delle idee metafisiche su cui la fede fa leva come effetto di una causa consistente nel bisogno umano di autoingannarsi per evitare l'angoscia della finitezza. Causa ed effetto andrebbero invertiti, sulla base dell'evidenza che ogni timore nei confronti del possibile darsi di un qualsivoglia evento, come appunto il Nulla dopo la morte, è sempre l'altra faccia della medaglia della speranza del suo contrario, cioè la vita eterna. Paura e speranza non si danno mai l'una separata dall'altra, si correlano costantemente, senza alcuna anteriorità né logica né cronologica di una sull'altra (il correlato negativo dell'assenza della speranza non è la paura, può essere la tristezza, la malinconia, la rassegnazione, l'indifferenza, sentimenti ben diversi dalla paura). Se a ciò aggiungiamo un'altra evidenza, cioè che la speranza della vita eterna da sempre correlata al timore della sua mancanza implichi l'intuizione dell'idea di Eternità, allora dovremmo riconoscere come assurdo l'argomento ateo per cui tale idea si formerebbe come conseguenza successiva della paura del Nulla dopo la morte. Infatti sin dal primo istante in cui ci si pone il problema del dopo la morte e si comincerebbe a provare timore nei confronti della possibilità del Nulla, l'intuizione dell'idea di Vita Eternità, della cui esistenza abbiamo speranza sarebbe già presente nella nostra morte. Non si avrebbe alcun timore del Nulla dopo la morte se ad ogni istante questo timore non sia associato al pensiero di un'esistenza eterna, e dunque questo pensiero non può essere il prodotto originato del timore, espressione di un'attività psicologica umana che si dà nel tempo. Se così fosse, dovremmo ammettere un tempo in cui la paura del Nulla era presente in assenza della speranza del "non-Nulla", e dunque dell'idea di tale vita eterna, cosa illogica, sulla base del significato della paura. Questa originarietà dell'idea della vita eterna restituisce legittimità alla posizione metafisica e trascendentista: recuperando l'assunto cartesiano, dovremmo ammettere che la formazione di ogni idea implichi l'esperienza da parte del pensiero che la pensa di un ente che sia in qualche modo commisurato al senso dell'idea in questione. E se la finitezza è la condizione ontologica di ogni ente mondano, l'idea di un'esistenza eterna implica un rapporto spirituale tra la mente umana e una realtà sovramondana come Dio, unica ad essere adeguata a produrre in noi la presenza di tale idea, perché la rispecchia nel suo Essere. Il che non vuol dire che ogni rappresentazione storica di Dio delle varie religioni possa adempiere alla risoluzione di tale questione teoretica, cioè l'origine della presenza in noi di questa idea, ma che quantomeno un'idea generica di Dio come Causa sovratemporale che anche un deista potrebbe accettare, può assolvere a tale funzione esplicativa
Titolo: Re:La morte
Inserito da: viator il 13 Novembre 2019, 21:34:22 PM
Salve my friend. Per il mondo fisico è come dici. La morte non lo riguarda. Essa consiste in un fenomeno relativo e del tutto specifico che riguarderebbe solo i viventi in possesso di coscienza. Quindi l'uomo, quando tratta della morte non si occupa di una prospettiva reale, bensì solamente di un aspetto che egli teme sopra ogni altro : la perdita definitiva della coscienza di sè.

Io sono me stesso anche se vengo privato di tutte le mie parti, delle quali non posso (in realtà : non voglio) seguire il destino. D'altra parte la paura della morte svolge benissimo un proprio preciso ruolo biologico : assecondare l'istinto di sopravvivenza. Saluti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 13 Novembre 2019, 22:00:35 PM
L'idea di Dio non è legata soltanto alla paura della morte. Della morte tutti hanno paura, atei compresi. L'idea di Dio è un combinato disposto di speranza, paura e voglia di far tornare i conti che la nostra immaginifica mente partorisce: ovvero tutti quegli attributi divini di perfezione che da Platone ci siamo trovati sempre tra i piedi. Anzi è proprio questa fede intellettuale lo scoglio più duro da superare, perchè non ha quella barriera razionale che invece la natura, con le sue umanissime paura della morte e speranza di una vita eterna pone. Barriera che l'immanenza riconferma costantemente mostrandone l'illusionalità.

Al contrario la fede intellettuale può decodificare ogni aspetto del reale in simboli e metafore che rimandano ad un mondo dietro il mondo avendo come limite soltanto la facoltà immaginativa, praticamente infinita. Ed è l'unico infinito di cui si abbia un riscontro oggettivo.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 13 Novembre 2019, 23:32:16 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2019, 21:24:26 PM
C'è solo un piccolo problema che non fa tornare i conti: io sono Ipazia non Universo.
Il tuo "io" è una particolare forma di energia che si manifesta attraverso il tuo corpo.
Quel tuo "io" è una particolare frequenza - o fluttuazione - della Coscienza universale che è alla base della materia.
E quindi esiste, in una forma che il nosto cervello attuale non può captare, indipendentemente dal tuo corpo.
Esisteva prima del tuo corpo - in una forma potenziale o latente - ed esisterà dopo il tuo corpo in una forma che il nostro cervello non può percepire perchè è oltre la "gamma di frequenze" che il nostro cervello riesce a percepire.
In realtà noi SIAMO (indipendentemente dallo spazio e dal tempo)...in forme differenti.
Perchè? Perchè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Noi siamo una particolare frequenza - o fluttuazione o vibrazione - della Coscienza universale che è alla base di TUTTO. E, in quanto tale, esistiamo da sempre ed esisteremo per sempre.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 13 Novembre 2019, 23:36:24 PM
La fede deve necessariamente essere, in qualche modo, "illuminata" dalla ragione. Nel senso che non può essere cieca altrimenti precipita nel fanatismo.

Pur tuttavia la fede, la scintilla della fede, l'atomo originario della fede, la sorgente della fede dentro di noi, non so come altro parlarne, vi chiedo uno slancio del cuore per comprendere quello che desidero trasmettervi, la fede dicevo, è qualcosa che nasce da un non so che......che è attinente al sentimento.  

Nel caso della fede nella vita oltre la morte la paura può giocare un ruolo ma come il catalizzatore che suscita una reazione chimica. Null'altro. Nel senso che se suscita autentica fede allora nasce un "sentimento", una specie di certezza però non dimostrabile (lo so sembra un ossimoro!) che ci conduce ad essere sicuri senza tuttavia poterne discutere logicamente.

Questo, nella mia pur limitata esperienza, è la fede nella vita oltre la morte.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 14 Novembre 2019, 01:16:03 AM
Citazione di: davintro il 13 Novembre 2019, 21:28:17 PMl'argomentazione atea per cui la fede sarebbe solo un tentativo di sfuggire al pensiero angosciante del Nulla dopo la morte a mio avviso ha il torto di capovolgere i termini della questione, considerando la formazione delle idee metafisiche su cui la fede fa leva come effetto di una causa consistente nel bisogno umano di autoingannarsi per evitare l'angoscia della finitezza. Causa ed effetto andrebbero invertiti, sulla base dell'evidenza che ogni timore nei confronti del possibile darsi di un qualsivoglia evento, come appunto il Nulla dopo la morte, è sempre l'altra faccia della medaglia della speranza del suo contrario, cioè la vita eterna. Paura e speranza non si danno mai l'una separata dall'altra, si correlano costantemente, senza alcuna anteriorità né logica né cronologica di una sull'altra (il correlato negativo dell'assenza della speranza non è la paura, può essere la tristezza, la malinconia, la rassegnazione, l'indifferenza, sentimenti ben diversi dalla paura). Se a ciò aggiungiamo un'altra evidenza, cioè che la speranza della vita eterna da sempre correlata al timore della sua mancanza implichi l'intuizione dell'idea di Eternità, allora dovremmo riconoscere come assurdo l'argomento ateo per cui tale idea si formerebbe come conseguenza successiva della paura del Nulla dopo la morte. Infatti sin dal primo istante in cui ci si pone il problema del dopo la morte e si comincerebbe a provare timore nei confronti della possibilità del Nulla, l'intuizione dell'idea di Vita Eterna, della cui esistenza abbiamo speranza sarebbe già presente nella nostra morte. Non si avrebbe alcun timore del Nulla dopo la morte se ad ogni istante questo timore non fosse associato al pensiero di un'esistenza eterna, e dunque questo pensiero non può essere il prodotto originato del timore, espressione di un'attività psicologica umana che si dà nel tempo. Se così fosse, dovremmo ammettere un tempo in cui la paura del Nulla era presente in assenza della speranza del "non-Nulla", e dunque dell'idea di tale vita eterna, cosa illogica, sulla base del significato della paura. Questa originarietà dell'idea della vita eterna restituisce legittimità alla posizione metafisica e trascendentista: recuperando l'assunto cartesiano, dovremmo ammettere che la formazione di ogni idea implichi l'esperienza da parte del pensiero che la pensa di un ente che sia in qualche modo commisurato al senso dell'idea in questione. E se la finitezza è la condizione ontologica di ogni ente mondano, l'idea di un'esistenza eterna implica un rapporto spirituale tra la mente umana e una realtà sovramondana come Dio, unica ad essere adeguata a produrre in noi la presenza di tale idea, perché la rispecchia nel suo Essere. Il che non vuol dire che ogni rappresentazione storica di Dio delle varie religioni possa adempiere alla risoluzione di tale questione teoretica, cioè l'origine della presenza in noi di questa idea, ma che quantomeno un'idea generica di Dio come Causa sovratemporale che anche un deista potrebbe accettare, può assolvere a tale funzione esplicativa

errata corrige, nel passo "sarebbe già presente alla nostra morte", in realtà intendevo scrivere: "sarebbe già presente alla nostra mente". Spero il refuso non abbia compromesso l'intelligibilità in generale del messaggio. Chiedo scusa.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 14 Novembre 2019, 02:28:31 AM
Citazione di: Freedom il 13 Novembre 2019, 23:36:24 PM
La fede deve necessariamente essere, in qualche modo, "illuminata" dalla ragione. Nel senso che non può essere cieca altrimenti precipita nel fanatismo.

Pur tuttavia la fede, la scintilla della fede, l'atomo originario della fede, la sorgente della fede dentro di noi, non so come altro parlarne, vi chiedo uno slancio del cuore per comprendere quello che desidero trasmettervi, la fede dicevo, è qualcosa che nasce da un non so che......che è attinente al sentimento.  

Nel caso della fede nella vita oltre la morte la paura può giocare un ruolo ma come il catalizzatore che suscita una reazione chimica. Null'altro. Nel senso che se suscita autentica fede allora nasce un "sentimento", una specie di certezza però non dimostrabile (lo so sembra un ossimoro!) che ci conduce ad essere sicuri senza tuttavia poterne discutere logicamente.

Questo, nella mia pur limitata esperienza, è la fede nella vita oltre la morte.

Non se ne può discutere logicamente perché l'autentica fede è fede nella Verità.

E la Verità viene "prima" di qualsiasi logica. È per questo che appare come Nulla.

D'altronde il Bene necessariamente supera ogni realtà, annullandola in sé.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: anthonyi il 14 Novembre 2019, 08:07:19 AM
Citazione di: davintro il 13 Novembre 2019, 21:28:17 PM
l'idea di un'esistenza eterna implica un rapporto spirituale tra la mente umana e una realtà sovramondana come Dio, unica ad essere adeguata a produrre in noi la presenza di tale idea, perché la rispecchia nel suo Essere. Il che non vuol dire che ogni rappresentazione storica di Dio delle varie religioni possa adempiere alla risoluzione di tale questione teoretica, cioè l'origine della presenza in noi di questa idea, ma che quantomeno un'idea generica di Dio come Causa sovratemporale che anche un deista potrebbe accettare, può assolvere a tale funzione esplicativa

Ciao davintro, l'esistenza di un aldilà non comporta l'esistenza di Dio. Dio, inteso come origine e spiegazione del tutto, sia terreno che spirituale, è comunque motivato dal bisogno di spiegare l'esistenza della realtà terrena al di là dell'esistenza di quella spirituale. Non è un caso che alcune rappresentazioni teologiche negano la sopravvivenza dell'anima dopo la morte pur sostenendo l'esistenza di un Dio che in futuro creerà un nuovo mondo per coloro che risorgeranno.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 14 Novembre 2019, 08:50:31 AM
Citazione di: myfriend il 13 Novembre 2019, 23:32:16 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2019, 21:24:26 PM
C'è solo un piccolo problema che non fa tornare i conti: io sono Ipazia non Universo.
Il tuo "io" è una particolare forma di energia che si manifesta attraverso il tuo corpo.
Quel tuo "io" è una particolare frequenza - o fluttuazione - della Coscienza universale che è alla base della materia.
E quindi esiste, in una forma che il nosto cervello attuale non può captare, indipendentemente dal tuo corpo.
Esisteva prima del tuo corpo - in una forma potenziale o latente - ed esisterà dopo il tuo corpo in una forma che il nostro cervello non può percepire perchè è oltre la "gamma di frequenze" che il nostro cervello riesce a percepire.
In realtà noi SIAMO (indipendentemente dallo spazio e dal tempo)...in forme differenti.
Perchè? Perchè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Noi siamo una particolare frequenza - o fluttuazione o vibrazione - della Coscienza universale che è alla base di TUTTO. E, in quanto tale, esistiamo da sempre ed esisteremo per sempre.

Tutto molto bello. Peccato che manchi la dimostrazione sperimentale. Dei miei cari morti a cui chiesi di venirmi a dimostrare che sbagliavo, nemmeno l'ombra. Certo potrebbero essere in una dimensiona e forma a me iraggiungibile. Ma anche di questo manca qualsiasi straccio di dimostrazione.

Non resta che buttarla in "metafisica del profondo" come fa Bobmax. In cui al posto della logica e dell'esperimento si mette la fede. Di fronte alla quale mi taccio. Continuando a perseguire la mia fede. E la mia scommessa.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 14 Novembre 2019, 16:36:51 PM
La morte è un tema così ricco di storia e di narrazioni che forse si fa fatica a semplificarlo, tuttavia ho l'impressione che sia oggi uno dei temi classici più "sopravvalutati": la mia autocoscienza, autopercezione, autoconsapevolezza, autoetc., ha avuto un suo innesco biologico (dalla fecondazione alla nascita, etc.) a cui seguirà un disinnesco altrettanto bio-logico (differenti possono esserne le cause), che lascerà la materia del mio corpo priva di quell'attività (neurologica, vascolare, etc.) chiamata «vita». Fin qui ho pochi dubbi.
Pensare che a seguito dell'innesco biologico debba crearsi una (auto)coscienza eterna (attributo per sua definizione inverificabile) che continui la sua attività prescindendo dal corpo che l'ha ospitata (ipotesi infalsificabile nell'al di qua) mi sembra epistemologicamente piuttosto infondato, al netto di tutte le tradizioni culturali e dei topos letterari. Quali prove, che non siano narrazioni degli antichi (ricchi di fantasia ma poveri di nozioni), depone a favore di tale generazione di un'attività immateriale eterna partendo da un innesco biologico?
Quando la fiamma di una candela si spegne (tanto per usare un esempio originale), dove va? Oppure non va da nessuna parte, ma cambia semplicemente il suo stato fisico, non essendo più fiamma bensì fumo (non più uomo-vivo bensì cadavere)? L'uomo non è una candela, certo, ma intanto, fino a prova contraria, nonostante l'abbondanza di teorie infalsificabili (che non forniscono prove in merito), la vedo piuttosto semplice.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Jacopus il 14 Novembre 2019, 16:41:57 PM
La candela non può pensare sè stessa pensante. L'uomo sí. E pensare sè stesso è un processo incrementato da tutti gli ausili culturali che abbiamo inventato negli ultimi diecimila anni (miti compresi).
Per questo motivo ci chiediamo il senso della vita e il significato della morte ed un significato è quello mostrato dalle religioni.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 14 Novembre 2019, 23:31:22 PM
Citazione di: Phil il 14 Novembre 2019, 16:36:51 PMLa morte è un tema così ricco di storia e di narrazioni che forse si fa fatica a semplificarlo, tuttavia ho l'impressione che sia oggi uno dei temi classici più "sopravvalutati": la mia autocoscienza, autopercezione, autoconsapevolezza, autoetc., ha avuto un suo innesco biologico (dalla fecondazione alla nascita, etc.) a cui seguirà un disinnesco altrettanto bio-logico (differenti possono esserne le cause), che lascerà la materia del mio corpo priva di quell'attività (neurologica, vascolare, etc.) chiamata «vita». Fin qui ho pochi dubbi. Pensare che a seguito dell'innesco biologico debba crearsi una (auto)coscienza eterna (attributo per sua definizione inverificabile) che continui la sua attività prescindendo dal corpo che l'ha ospitata (ipotesi infalsificabile nell'al di qua) mi sembra epistemologicamente piuttosto infondato, al netto di tutte le tradizioni culturali e dei topos letterari. Quali prove, che non siano narrazioni degli antichi (ricchi di fantasia ma poveri di nozioni), depone a favore di tale generazione di un'attività immateriale eterna partendo da un innesco biologico? Quando la fiamma di una candela si spegne (tanto per usare un esempio originale), dove va? Oppure non va da nessuna parte, ma cambia semplicemente il suo stato fisico, non essendo più fiamma bensì fumo (non più uomo-vivo bensì cadavere)? L'uomo non è una candela, certo, ma intanto, fino a prova contraria, nonostante l'abbondanza di teorie infalsificabili (che non forniscono prove in merito), la vedo piuttosto semplice.

Nemmeno a me convince l'idea di un'anima totalmente affrancata dal corpo, proprio da un punto di vista logico-speculativo. Un'anima, una forma spirituale del tutto autosufficiente rispetto al rapporto con una base materiale, assurgerebbe a una condizione divina, quella dello Spirito assoluto, incompatibile con la sua condizione ontologica umana, finita e contingente. Ma l'impossibilità di vita umana del tutto slegata dalla materia non implica necessariamente la negazione di una vita eterna oltre la morte. Se il corpo va inteso come materia formata adeguata a supportare determinate funzioni vitali che nel loro complesso costituiscono la forma, l'essenza della vita, allora sarebbe ammettere possibile diverse tipologie di corporeità in corrispondenza di diverse forme definenti i vari modelli di "vita". Due ragazzi vanno a correre (supponendo abbiano grossomodo la stessa disposizione alla resistenza fisica, per evitare di complicare il senso dell'esempio). Il primo decide di fermarsi dopo 10 minuti, il secondo prosegue per mezzora. Quest'ultimo appena concluso l'esercizio incontra una persona che gli parla di un argomento che gli sta fortemente a cuore. Subito le sue energie si ricaricano immediatamente sospinte dallo stimolo mentale verso l'argomento di discussione, al punto che si sente persino più fresco ed energico del primo ragazzo, pur avendo appena concluso un esercizio fisico tre volte più prolungato. Ciò, nell'ottica di un'antropologia totalmente fisicalista e meccanicista sarebbe inconcepibile. In un'ottica di questo genere, ogni evento psichico, come l'aumento o perdita di forza vitale dovrebbe essere riconducibile a una causalità fisica del tutto prevedibile esteriormente, articolata nella polarità sforzo/dispersione energetica vs riposo/recupero. Invece l'esempio mostra l'influsso di una componente soggettiva, spirituale, motivazionale, il nostro sistema di valori, che, accanto alle cause fisiche, interviene sulla psiche rinvigorendone l'energia nel caso dei sentimenti positivi o esaurendola nel caso dei sentimenti negativi (direi, il caso della depressione). Penso che anche il più radicale riduzionista cultore delle neuroscienze non potrebbe immaginare una previsione scientifica così esatta delle reazioni psicologiche di fronte a stimoli di natura valoriale. Questa sfera motivazionale-spirituale, irriducibile alla causalità fisica, costituisce una fonte di autoricarimento delle energie psichiche, e se a ciò aggiungiamo il principio per cui l'abituale esercizio di una facoltà determina il formarsi di una disposizione stabile (come a livello fisico notiamo come dopo anni di allenamento un atleta raggiunga un livello di coordinazione o potenza che consente di utilizzare il corpo per raggiungere livelli di efficienza irraggiungibili per gli altri), allora troverei del tutto ragionevole ammettere che una persona abituata nel corso della vita a trarre forza soprattutto da valori spirituali (etica, conoscenza, politica, certe forme artistiche) piuttosto che sul possesso dei beni materiali, possa sviluppare una disposizione psichica ad alimentare la propria energia a partire da fonti distinte da quelle da cui attinge il corpo, e dunque a preservare, entro i limiti in cui sviluppa tale indipendenza, un certo livello di energia.  Se tutto questo discorso lo calibriamo col principio ricordato in precedenza, di negare per l'anima condizione divina di una condizione puramente spirituale, allora la soluzione più ragionevole appare essere che il livello di energia psichica spiritualmente alimentata (nulla di new age, mistico, cialtronesco, basti l'esempio di prima dell'entusiasmo per i valori personali che contrastano l'azione della causalità fisica nel caso dell'atleta, un fenomeno potenzialmente ricorrente e che tutti possono naturalmente constatare), necessiti sempre di un corpo, di un supporto materiale, ma di un tipo qualitativamente distinto e irriducibile dai corpi di cui abbiamo esperienza, corpi maggiormente adeguati a supportare materialmente delle forme vivente che hanno raggiunto, dopo il distacco dai corpi della vita precedente, un livello spirituale più elevato e profondo. Una tipologia di corpi impossibili da descrivere sulle basate delle attuali categorie intellettive tarate per il nostro attuale livello, ma che si potrebbero avvicinare all'idea di una "materia angelica", complesso di potenzialità di enti, il cui atto, la componente formale che configura la materia e la specifica ordinandola in distinte funzioni, non è puro come quello divino, ma occupa un livello ontologico superiore rispetto agli atti umani
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Jacopus il 15 Novembre 2019, 04:42:07 AM
Davintro. La ricarica psichica del tuo corridore dipende da fattori del tutto organici. Sono reazioni biochimiche ed ormonali che danno fondo alle nostre riserve di energie conservate in grassi. La possibilità di accedere a quelle fonti dipende a sua volta da altri fattori, come l'entusiasmo, la concentrazione, la resilienza, tutti aspetti caratteriali forgiati dall'interazione del SNC di ognuno di noi con il suo ambiente.
Prova a fare la controprova pensando ad due corridori reduci da una battaglia in vietnam e a due corridori ipervitaminizzati e reduci da una tre giorni in una SPA. Nel primo caso dubito fortemente che si possa attivare la "ghiandola pineale".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 15 Novembre 2019, 08:33:43 AM
Citazione di: davintro il 14 Novembre 2019, 23:31:22 PM
Ma l'impossibilità di vita umana del tutto slegata dalla materia non implica necessariamente la negazione di una vita eterna oltre la morte. Se il corpo va inteso come materia formata adeguata a supportare determinate funzioni vitali che nel loro complesso costituiscono la forma, l'essenza della vita, allora sarebbe possibile ammettere diverse tipologie di corporeità in corrispondenza di diverse forme definenti i vari modelli di "vita".

Ma la suggerisce alla grande e tutte le esperienze obiettive vanno in tale direzione. L'energia che anima le funzioni superiori della psiche è prodotta biologicamente in complessi processi bio-chimico-fisici la cui "staratura" comporta ineluttabilmente il venir meno della coscienza, la quale dimostra in tal modo di non poter sussistere senza il substrato materiale che la contiene. Basta una banale anestesia per averne la dimostrazione. L'unità psico-somatica è particolarmente elastica e l'organismo umano, anche attraverso forme di difesa biologica innate, è in grado di sopportare stili di vita e situazioni molto variegati ed estremi. Psiche e soma si evolvono congiuntamente. Le condizioni di vita di popolazioni allo stato di natura sono insopportabili per un modello metropolitano. E viceversa. Ma quando si stacca la spina, e il supporto materiale non offre i "nutrimenti" necessari alla psiche, non vi è differenza che tenga. Tutto il vissuto psichico scompare "come lacrime nella pioggia".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Sariputra il 15 Novembre 2019, 10:19:15 AM
Nessuno sa quanto è profondo il fango in cui cresciamo. 
Chi dice di sapere non sa, perché non conosce la profondità della crescita..
La morte è anche Silenzio. Gocce di pioggia che cadono lentamente ai piedi dei crisantemi. E' la loro malinconia che si aspetta qualcosa da noi? Se è la loro malinconia, i fiori sanno già la tua risposta..
Ardua è la lotta. Non esiste vittoria.
Come dire la parola "fine" se non esiste la "fine"? Tutto è un continuo finire senza mai finire, ma tutto è anche un continuo cominciare senza mai veramente cominciare. Principio e fine sono in definitiva parole senza senso, perchè non vi è inizio che non sia già da sempre alla fine. Così 'tutto è ' e 'tutto non è' alla fine riposano assieme...
E non è meglio riposare quando è venuto il momento?
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 15 Novembre 2019, 10:58:20 AM
Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2019, 08:33:43 AM
L'energia che anima le funzioni superiori della psiche è prodotta biologicamente in complessi processi bio-chimico-fisici la cui "staratura" comporta ineluttabilmente il venir meno della coscienza, la quale dimostra in tal modo di non poter sussistere senza il substrato materiale che la contiene. Basta una banale anestesia per averne la dimostrazione. L'unità psico-somatica è particolarmente elastica e l'organismo umano, anche attraverso forme di difesa biologica innate, è in grado di sopportare stili di vita e situazioni molto variegati ed estremi. Psiche e soma si evolvono congiuntamente. Le condizioni di vita di popolazioni allo stato di natura sono insopportabili per un modello metropolitano. E viceversa. Ma quando si stacca la spina, e il supporto materiale non offre i "nutrimenti" necessari alla psiche, non vi è differenza che tenga. Tutto il vissuto psichico scompare "come lacrime nella pioggia".

E tutto questo è magnifico!

Perché suggerisce che pure ciò che eravamo convinti ci fosse... in realtà non esisteva.

Il nostro io altro non era che illusione.

PS
Anche una banale anestesia totale può far percepire, nel momento del ritorno della coscienza, l'illusorietà dell'io. Sebbene questa esperienza venga di solito poi considerata un'allucinazione...
Titolo: Re:La morte
Inserito da: viator il 15 Novembre 2019, 12:08:34 PM
Salve. Per Ipazia : citandoti: "L'energia che anima le funzioni superiori della psiche è prodotta biologicamente in complessi processi bio-chimico-fisici la cui "staratura" comporta ineluttabilmente il venir meno della coscienza, la quale dimostra in tal modo di non poter sussistere senza il substrato materiale che la contiene. Basta una banale anestesia per averne la dimostrazione. L'unità psico-somatica è particolarmente elastica e l'organismo umano, anche attraverso forme di difesa biologica innate, è in grado di sopportare stili di vita e situazioni molto variegati ed estremi. Psiche e soma si evolvono congiuntamente. Le condizioni di vita di popolazioni allo stato di natura sono insopportabili per un modello metropolitano. E viceversa. Ma quando si stacca la spina, e il supporto materiale non offre i "nutrimenti" necessari alla psiche, non vi è differenza che tenga. Tutto il vissuto psichico scompare "come lacrime nella pioggia".
Entusiasmante "lectio elementaris". Brava e saluti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: niko il 15 Novembre 2019, 22:38:01 PM
Io penso che anche il nulla immaginato come destino che ci aspetta dopo la morte (come anche il paradiso, come anche la "vita eterna") eternizzi il soggetto, quindi può essere oggetto di paura, ma in fondo anche di speranza.

Il mondo materiale dove viviamo e di cui in quanto esseri corporei siamo un frammento è un mondo fatto solo di essere e divenire, un'ubiquità impenetrabile di essere e divenire che riempie e satura tutto lo spazio e tutto il tempo; nel mondo dell'essere e del divenire il nulla non ha luogo e non ha tempo, non esiste e non sussiste, è a distanza infinita da tutto il resto che esiste; il soggetto immaginando dopo la sua morte di andare a finire "nel nulla" ribadisce la sua pretesa di eterna verità e la sua pretesa di eterna distinzione egoica dal mondo, il nulla è un fuori-luogo rispetto al mondo reale e materiale in cui si potrebbe davvero morire, una tomba antropomorfa -faraonica- dove fingere di morire per -in realtà- non morire mai, è la pretesa che le categorie veritative e percettive già proprie dell'umano vivente possano esistere e trionfare anche da vuote: spazio vuoto, tempo vuoto, verbo vuoto, campo della coscienza vuoto.

Conosciamo il nulla "della morte" per analogia col sonno e con l'osservazione dei nostri simili morti, e lo conosciamo come un nulla gnoseologico, non come un nulla ontologico: i morti, e gli addormentati ci sono, ma non sanno di esserci, ci sono, ma non nello stesso senso in cui lo intendono i vivi normalmente.


Il nulla quindi come campo della possibilità che deriva ed è rivelato dal toglimento dell'insieme completo degli enti senza che questo toglimento completo degli enti sia e possa essere il toglimento dell'essere stesso come accadimento impersonale: togliendo l'insieme dei contenuti di coscienza resta il campo vuoto di una possibile e potenziale ulteriore coscienza, il consumarsi impersonale di qualcosa che comunque non è un nulla, un nulla gnoseologico che non è un nulla ontologico, l'appercezione come unità vuota, riferita al vuoto stesso.


L'autocoscienza è quello che definisce gli esseri evoluti, gli uomini nel loro sentirsi "animali superiori",  ma il punto è proprio che l'autocoscienza, a differenza della coscienza, che è sempre piena e pregna dei contenuti del mondo e con questi contenuti si identifica, può essere anche vuota, può essere anche pura coscienza di sé stessi in assenza di sensazione interna e stimolo esterno; per questo gli esseri autocoscienti hanno coscienza di morte, perché possono immaginare le loro categorie conoscitive anche come vuote, non perturbate dal mondo, dall'altro da sé, e immaginare questa condizione permanente come fantasmaticamente proiettata sul morto e sull'inanimato: possono, pur non conoscendo veramente la morte, farsene un'idea per analogia, per metafora, per narrazione.

E' l'estrema implosione del soggetto su sé stesso, pesare che la verità sia nell'essere della coscienza -come invariante- e non nel contenuto -variabile- che gli eventi del mondo apportano alla coscienza, pensare che le categorie kantiane possano esistere anche da vuote, ma questo già di per sé implica l'oblio, il pensare che quello che un tempo fu coscienza-del-mondo possa di passare all'eternità come coscienza-di-nulla.
Il nulla come inconoscibile quindi, cioè l'eternità stessa dell'anima e dell'essere disincarnato: tutto nell'anima è coscienza o conoscenza, l'inconoscibile non è un nulla qualsiasi, è specificamente il nulla dell'anima, dell'essere che si autodefinisce come cosciente e conoscente e si rispecchia in questa attività, che nel pensiero del suo eventuale (o certo) smettere di conoscere, nel pensiero del suo passare dalla conoscenza nell'oblio, vede tanto il suo divenire altro da quello che ora è, quanto il suo essere fin da ora un essere (conoscente) diverso dagli altri esseri (non conoscenti).

Il nulla è nulla, quindi è facile riconoscere che non è possibile andarci a finire nemmeno dopo la morte; quindi dopo la morte si pensa che ci sia un'alterità inconoscibile, un oblio, un nulla che non è il nulla assoluto -che non esiste- ma il nulla della cosa che nel quadro del divenire complessivo del tutto si è trasformata in altro da sé -il nulla della legna che diventa cenere, o di una cosa che non è un'altra-, ma questo oblio è il trionfo dell'anima, la cui nullità in morte è oblio, il che prova a posteriori che la sue essenza in vita è sempre stata -fu- conoscenza.

Non potendo andare nel nulla, si pensa di poter andare nell'oblio, ma questo vuol dire pensare di morire alla conoscenza che fin da adesso si è, e quindi pensare di essere conoscenza, e credere di comprovarlo avendo l'altro da se come limite alla conoscenza, come numeno, come  pensabile non-conoscibile. E' la vittoria della mente e dell'astrazione sulla materialità e sul corpo, sull'istinto.Si muore, e non si conosce più:questo è l'assunto di chi pensa dopo la sua morte di finire nell'oblio: egli ha quindi la soddisfazione di poter dire, in vita sono sempre stato conoscenza, non sono mai stato il mio corpo, il mio sangue, la mia molteplicità, i miei umori più sporchi. Egli ha la soddisfazione di porre l'anima, il razionale, la testa, sul corpo e sulla materialità. Il suo nulla è oblio, è un nulla di conoscenza, non è la putrefazione, non è l'essere mangiato dai vermi, non è la disgregazione del suo corpo. Questo oblio gli garantisce a posteriori di essere sempre stato quella coscienza che non è più. Che da un certo punto in poi non sarà più. E' il surrogato nascosto di quello che in una religione sarebbe un paradiso, o un ade, o un qualche tipo di posto dove sopravvivere. Passare dall'unità dell'essere all'unità del nulla non è un disgregarsi; è al limite un passaggio di campo. Egli muore alla sua coscienza e alla sua conoscenza, non al suo istinto animalesco e al suo corpo.  Ma come può la conoscenza morire realmente? Non ha corpo, non ha tempo... il suo assentarsi è comunque una continuazione dell'essere e non un nulla, un campo vuoto aperto all'ulteriorità, alla possiblità di nuova conoscenza. La finitezza della conoscenza è la sua verità. Non dipendere più dalla narrazione, dalle cose, dalla storia. E' necessario che l'esperienza della conoscenza a un certo punto finisca, se l'oggetto della conoscenza lo si pone come (almeno in parte) conoscibile ed eterno. Pensare di smettere di conoscere è, filosoficamente e psicologicamente, molto più accettabile che pensare di smettere di esistere, nel pensare di smettere di conoscere il problema della morte è comunque eluso. La morte è la molteplicità che già siamo, la non-conoscenza che già siamo. Non il fatto che smetteremo di conoscere, ma la vita come illusione, il fatto che non abbiamo mai conosciuto nulla.


Del resto, anche da un punto di vista materialistico, come non siamo sicuri del nulla, non possiamo essere sicuri neanche dell'oblio, perché le condizioni fisiche che generano il nostro corpo potrebbero essere reversibili. Nell'infinità del tempo e dello spazio è possibile che lo siano. Il nostro corpo, o la nostra coscienza, potrebbero essere rigenerabili, sia tecnicamente che naturalmente.

Se la vita è effetto, non sappiamo nulla della sua causa. Non conosciamo la possibilità o no del ripresentarsi di quella specifica causa che determina la nostra vita come effetto ciclicamente o distanza nello spazio e nel tempo, ripresentarsi che, se avvenisse, smentirebbe il nostro stesso sentirci unici, la nostra stessa coscienza di morte.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 15 Novembre 2019, 23:21:41 PM
è un errore dedurre dall'individuazione di reazioni fisiche/neurologiche concomitanti all'azione sulla nostra psiche di fattori spirituali che tali reazioni siano le cause esplicative dell'azione stessa, e non delle conseguenze concomitanti di qualcosa agente a livello più profondo e non esteriormente rilevabile. Lo dice la parola stessa, "reazione", cioè non la causa prima, ma l'effetto di qualcosa che viene prima, se non a livello cronologico, comunque logico. Le reazioni chimiche che si producono concomitanti all'afflusso di nuove energie nella risposta allo stimolo a cui attribuiamo soggettivamente importanza, non potrebbero essere la causa esplicativa dell'evento, in quanto il riconoscimento del valore verso cui è stimolato, si rivolge a enti ideali, dal senso intelligibile, di cui non abbiamo apprensione corporea. L'entusiasmo che posso provare leggendo un libro che cita valori in cui credo consiste in un afflusso energetico alimentato da fonti di cui non potrei avere alcuna esperienza fisica, cioè registrabile per via sensibile. Non vedo, non ascolto, non tocco l'amore, la libertà, la giustizia, l'amicizia, eppure ho un'intuizione di questi valori, e stimoli riferiti a tali idee suscitano una produzione di nuove energie, a testimonianza di una componente spirituale della nostra mente, che pur non avendo la facoltà di svincolare la coscienza dalla necessità di un supporto materiale, esprime una vitalità non ricavata da fonti materiali. Quindi direi che le reazioni organiche concomitanti al fenomeno del "ricarimento energetico" è un argomento valido in contrapposizione a un radicale dualismo cartesiano che vede fenomeni mentali e corporei in assenza di alcuna implicazione logica che li colleghi, e che non è la mia posizione, ma non riguardo un'impostazione aristotelica che vede anima e corpo come forma e materia, e dove la componente formale e immateriale segue proprie leggi distinte da quelle riferite all'aspetto di mera estensione spaziale, anche se da sola non basta a fondare una sostanza. Già il fatto che si parli  di "reazioni organiche" implica il trovarci in un contesto dove la realtà non si riduce a estensione materica, ma materia pervasa e organizzata da un principio formale/immateriale che la specifica attribuendole una funzionalità, appunto, organica definita come vita, funzionalità che la pura materia non potrebbe darsi (il cervello inteso come pura massa materica resta presente nel cadavere, a riprova che la vita non scaturisce direttamente da tale massa, ma da un'interiorità che la informa, che configura unitariamente le singole parti senza ridursi a una di essa o a una mera somma). Per quanto riguarda l'esempio dell'anestesia, direi che, essendo una condizione provvisoria al cui termine la coscienza riprende a produrre i suoi effetti, non si smentisce una relazione in cui la materia è strumento dello spirito: perché lo strumento funzioni deve operare in una certa efficienza, che l'anestesia sospende, impedendo allo spirito di esprimersi, ma tutto ciò non nega l'idea per cui la coscienza ricaverebbe la propria energia psichica anche da fonti immateriali. Il fatto che la condizione in cui il supporto materiale versa impedisca l'attualizzarsi delle funzioni in cui tale energia si esprime non toglie che le fonti che alimentano quest'energia non siano date dal supporto in questione, a meno di non confondere il fatto che un certo fattore (l'efficienza materiale) sia necessario per il darsi di un certo evento (l'attività cosciente), con quello per cui il fattore necessario diventi anche sufficiente. Il riduzionismo materialista nasce da questa confusione.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: doxa il 15 Novembre 2019, 23:51:07 PM
Ciao Niko.

Niko ha scritto
CitazioneIo penso che anche il nulla immaginato come destino che ci aspetta dopo la morte (come anche il paradiso, come anche la "vita eterna") eternizzi il soggetto, quindi può essere oggetto di paura, ma in fondo anche di speranza.
Il mio nulla dopo la morte non capisco come mi possa eternizzare. Me lo spieghi per favore ?
Il nulla dopo la morte non mi dà paura né speranza. A chi viene inumato rimane lo scheletro,  chi sceglie la cremazione rimangono le ceneri con diversa destinazione.

Citazionenel mondo dell'essere e del divenire il nulla non ha luogo e non ha tempo, non esiste e non sussiste, è a distanza infinita da tutto il resto che esiste; il soggetto immaginando dopo la sua morte di andare a finire "nel nulla" ribadisce la sua pretesa di eterna verità e la sua pretesa di eterna distinzione egoica dal mondo,
Col mio immaginare dopo la morte di andare a finire nel nulla non ribadisco nessuna pretesa di eterna verità e non ho la pretesa di distinzione egoica dal mondo. Credo che ci sia il nulla, ma ciò non mi turba, mi lascia indifferente.

CitazioneIl nulla quindi come campo della possibilità che deriva ed è rivelato dal toglimento dell'insieme completo degli enti senza che questo toglimento completo degli enti sia e possa essere il toglimento dell'essere stesso come accadimento impersonale: togliendo l'insieme dei contenuti di coscienza resta il campo vuoto di una possibile e potenziale ulteriore coscienza, il consumarsi impersonale di qualcosa che comunque non è un nulla, un nulla gnoseologico che non è un nulla ontologico, l'appercezione come unità vuota, riferita al vuoto stesso.
Questa tua proposizione non l'ho capita. Immaginami come un contadino semi-analfabeta e cerca di farmi comprendere con parole semplici ciò che vuoi dire, senza usare "toglimento".

Più volte in questo forum ho invitato i vari nick a non "incartarsi" nell'esprimere la loro opinione filosofica, ma di farsi capire dal "volgo" quando scrivono. La comunicazione serve per farsi comprendere da chi ci legge, da chi ascolta, non è autoreferenziale. 

Citazionegli esseri autocoscienti hanno coscienza di morte, perché possono immaginare le loro categorie conoscitive anche come vuote, non perturbate dal mondo, dall'altro da sé, e immaginare questa condizione permanente come fantasmaticamente proiettata sul morto e sull'inanimato: possono, pur non conoscendo veramente la morte, farsene un'idea per analogia, per metafora, per narrazione.
Anche questa non l'ho capita. Lo so, facilmente puoi rispondere che non è colpa tua se io sono "duro di comprendonio".

CitazioneIl nulla come inconoscibile quindi, cioè l'eternità stessa dell'anima e dell'essere disincarnato: tutto nell'anima è coscienza o conoscenza, l'inconoscibile non è un nulla qualsiasi, è specificamente il nulla dell'anima, dell'essere che si autodefinisce come cosciente e conoscente e si rispecchia in questa attività, che nel pensiero del suo eventuale (o certo) smettere di conoscere, nel pensiero del suo passare dalla conoscenza nell'oblio, vede tanto il suo divenire altro da quello che ora è, quanto il suo essere fin da ora un essere (conoscente) diverso dagli altri esseri (non conoscenti).
Non comprendo il nesso tra il nulla e l'eternità dell'anima e dell'essere disincarnato. Mah !

CitazioneIl nulla è nulla, quindi è facile riconoscere che non è possibile andarci a finire nemmeno dopo la morte; quindi dopo la morte si pensa che ci sia un'alterità inconoscibile, un oblio, un nulla che non è il nulla assoluto -che non esiste- ma il nulla della cosa che nel quadro del divenire complessivo del tutto si è trasformata in altro da sé -il nulla della legna che diventa cenere, o di una cosa che non è un'altra-, ma questo oblio è il trionfo dell'anima, la cui nullità in morte è oblio, il che prova a posteriori che la sue essenza in vita è sempre stata -fu- conoscenza.
Se si considera il nulla come vuoto perché è impossibile allocarci il post mortem ?

Il tuo post è lungo, è quasi mezzanotte, perciò preferisco fermarmi qui.
Buonanotte. 
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Jacopus il 16 Novembre 2019, 02:58:18 AM
Davintro. È un errore ricavare che vi siano forze spirituali contrapposte a quelle fisiche. Si tratta di una affermazione senza dimostrazione, che anzi, proprio a causa della sua particolare natura, se ne afferma l'impossibilità di una dimostrazione, ritenuta indegna e troppo terrestre per comprenderne la  dinamica.
Allo stesso modo si può dichiarare che la pazzia è causata dalla bile o che la terra è piatta.
Noi esseri umani siamo molto complessi e pertanto è vero che il nostro agire-non agire non dipende solo da reazioni biochimiche, altrimenti non saremmo appunto così complessi. Ma i principi di amore, libertà, giustizia, amicizia, non nascono da un nucleo di spiritualità non ben identificato, bensì dalla conformazione stessa del nostro SNC e, nella fattispecie, da tre sue caratteristiche peculiari che condividiamo solo, e solo molto parzialmente, con i primati superiori.
1- Plasticità. Il ns SNC, si adatta splendidamente al mondo circostante, sia a quello reale che a quello culturale. Pertanto credere, ad esempio, agli effetti della spiritualità, avrà delle conseguenze conportamentali, così come tutte le possibili altre credenze, compresa quella del metodo scientifico, o appunto, della libertà ( e tutti i suoi modelli), della giustizia ( e tutti i suoi modelli) e così via.
2 - Trasmissione di valori culturali. Il ns SNC è affiancato, ormai da millenni, da una serie sempre più estesa di ausili, affinché la generazione successiva non debba ripartire da zero. Questi ausili hanno registrato una storia di quei valori che tu citi (libertà, amore...), che è stata interiorizzata dal genere umano e dalla quale non possiamo prescindere. Un po' come non possiamo prescindere dalla nostra storia in quanto singoli esseri viventi.
3 - Configurazione cooperativa del SNC della specie homo sapiens. Quei valori rispecchiano la natura cooperativa ed empatica del SNC. La natura dell'uomo può virare verso l'egoismo e l'avidità apprendendole secondo quanto descritto al punto 1 e al punto 2, ma vi sono ormai moltissime evidenze che dimostrano come il nostro cervello sia organizzato in modo cooperativo ed empatico, al punto che ci commuoviamo per vicende altrui e sentiamo l'ingiustizia subita dagli altri, e siamo felici se siamo amati. A differenza della tesi spiritualistica, in questo caso vi è una vastissima letteratura scientifica che non elenco in questo post, ma che posso fornire a chi vuole approfondire l'argomento.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 16 Novembre 2019, 13:52:11 PM
E' del tutto velleitario desiderare di giungere ad una conclusione soddisfacente e definitiva sull'argomento della morte con il solo aiuto della razionalità.

Non ci si è riusciti in circa 5.000 anni di civiltà nonostante il grande progresso tecnologico-scientifico compiuto dal genere umano. Dubito sia oggi il giorno del disvelamento del mistero.

Mi pare più appropriato parlarne in termini di ipotesi, probabilità, possibilità. Chi assume un atteggiamento diverso rischia di fare la figura del presuntuoso e del superficiale.

Mi permetto infine di aggiungere che, a mio parere, il tema necessita, per essere affrontato a tutto tondo, di uno slancio del cuore, un vero e proprio afflato.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 16 Novembre 2019, 16:00:05 PM
Citazione di: niko il 15 Novembre 2019, 22:38:01 PM
Io penso che anche il nulla immaginato come destino che ci aspetta dopo la morte (come anche il paradiso, come anche la "vita eterna") eternizzi il soggetto, quindi può essere oggetto di paura, ma in fondo anche di speranza.

In effetti il nulla ė invenzione di un animale autocosciente che lo contrappone al proprio insoddisfatto antropocentrismo, rimestando la propria insoddisfazione per via mentale, visto che quella fisica nol consente. In natura vale il principio di conservazione e farsene una ragione eliminerebbe il nichilismo alla radice e ci permetterebbe di goderci la fetta di esperienza individuale, limitata nel tempo, che l'evoluzione naturale ci ha, bontà sua, concesso.

Citazione
L'autocoscienza è quello che definisce gli esseri evoluti, gli uomini nel loro sentirsi "animali superiori",  ma il punto è proprio che l'autocoscienza, a differenza della coscienza, che è sempre piena e pregna dei contenuti del mondo e con questi contenuti si identifica, può essere anche vuota, può essere anche pura coscienza di sé stessi in assenza di sensazione interna e stimolo esterno; per questo gli esseri autocoscienti hanno coscienza di morte, perché possono immaginare le loro categorie conoscitive anche come vuote, non perturbate dal mondo, dall'altro da sé, e immaginare questa condizione permanente come fantasmaticamente proiettata sul morto e sull'inanimato: possono, pur non conoscendo veramente la morte, farsene un'idea per analogia, per metafora, per narrazione.

Individuare nell'autocoscienza, quale suo carattere peculiare, la coscienza della propria mortalità ci può stare. Mi pare un po' riduttivo sul piano psicosomatico, ma metafisicamente regge. Per quanto all'autocoscienza umana penso si possa chiedere anche metafisicamente qualcosina di più di una luttuosa consapevolezza.

CitazioneE' l'estrema implosione del soggetto su sé stesso, pesare che la verità sia nell'essere della coscienza -come invariante- e non nel contenuto -variabile- che gli eventi del mondo apportano alla coscienza, pensare che le categorie kantiane possano esistere anche da vuote, ma questo già di per sé implica l'oblio, il pensare che quello che un tempo fu coscienza-del-mondo possa di passare all'eternità come coscienza-di-nulla....

Tralascio il seguito che sviluppa il concetto di un soggetto avviluppato nel suo cogitante tarlo conoscitivo. Personalmente non mi turba più di tanto "passare all'eternità come coscienza-di-nulla" dopo essermi fatta la mia passeggiata di imperfetta, ma appagante, coscienza-del-mondo, che mi godo nei limiti che conosco senza implodere in me stessa, tenendo fermo il timone del mio transeunte ego finché non giungerà al suo asseverato termine.

CitazioneDel resto, anche da un punto di vista materialistico, come non siamo sicuri del nulla, non possiamo essere sicuri neanche dell'oblio, perché le condizioni fisiche che generano il nostro corpo potrebbero essere reversibili. Nell'infinità del tempo e dello spazio è possibile che lo siano. Il nostro corpo, o la nostra coscienza, potrebbero essere rigenerabili, sia tecnicamente che naturalmente.

Qual'é il problema ? Come siamo stati gettati in questo mondo e ce la siamo sfangata, sopravviveremo anche alle eventuali reiterazioni con la stesso onestà intellettuale che ci ha permesso di vivere questo mondo senza popolarlo di fantasmi e paturnie.

CitazioneSe la vita è effetto, non sappiamo nulla della sua causa. Non conosciamo la possibilità o no del ripresentarsi di quella specifica causa che determina la nostra vita come effetto ciclicamente o distanza nello spazio e nel tempo, ripresentarsi che, se avvenisse, smentirebbe il nostro stesso sentirci unici, la nostra stessa coscienza di morte.

Come sopra. La consapevolezza della morte deriva da un approccio epistemicamente onesto con la realtà che epistemicamente ci é data. Se dopo morti dovessimo approdare ad una differente episteme, onestamente ci rapporteremo pure con essa. E magari neppure allora verremo a capo della causa. Ma  "vivremo" bene ugualmente nell'effetto che essa fa.
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Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 16 Novembre 2019, 17:31:26 PM
Citazione di: davintro il 15 Novembre 2019, 23:21:41 PM
Già il fatto che si parli  di "reazioni organiche" implica il trovarci in un contesto dove la realtà non si riduce a estensione materica, ma materia pervasa e organizzata da un principio formale/immateriale che la specifica attribuendole una funzionalità, appunto, organica definita come vita, funzionalità che la pura materia non potrebbe darsi (il cervello inteso come pura massa materica resta presente nel cadavere, a riprova che la vita non scaturisce direttamente da tale massa, ma da un'interiorità che la informa, che configura unitariamente le singole parti senza ridursi a una di essa o a una mera somma).

Jacopus ha già risposto con argomenti antropologico-evolutivi, che io desidero integrare a livello fisico e metafisico.

L'organico è pur sempre materia benché assai più complessa dell'inorganico. E' questa complessità che rende improponibile l'argomento del cervello morto. Ma perfino riducendo la questione a pura meccanica, il cervello morto é l'equivalente del PC rotto in cui non arriva più la corrente ai suoi device. Corrente che non ha nulla di spirituale, così come il sangue, impulsi elettrici, mediatori biochimici che alimentano il cervello e ne permettono la funzionalità psichica.

CitazionePer quanto riguarda l'esempio dell'anestesia, direi che, essendo una condizione provvisoria al cui termine la coscienza riprende a produrre i suoi effetti, non si smentisce una relazione in cui la materia è strumento dello spirito: perché lo strumento funzioni deve operare in una certa efficienza, che l'anestesia sospende, impedendo allo spirito di esprimersi, ma tutto ciò non nega l'idea per cui la coscienza ricaverebbe la propria energia psichica anche da fonti immateriali.

Peró rende lo "spirito" ben poca cosa se basta un po' di chimica per neutralizzarlo. Se invece ragioniamo in termini esclusivamente biologici l'episteme fila che é una meraviglia.

CitazioneIl fatto che la condizione in cui il supporto materiale versa impedisca l'attualizzarsi delle funzioni in cui tale energia si esprime non toglie che le fonti che alimentano quest'energia non siano date dal supporto in questione, a meno di non confondere il fatto che un certo fattore (l'efficienza materiale) sia necessario per il darsi di un certo evento (l'attività cosciente), con quello per cui il fattore necessario diventi anche sufficiente. Il riduzionismo materialista nasce da questa confusione.

O é piuttosto l'espansionismo spiritualista che fa confusione anteponendo un fattore esogeno, di cui i processi psicosomatici non hanno alcuna necessità, riuscendo comunque, come spigava Jacopus - ed in ció é anche sufficiente -, ad esprimere tutta la "spiritualità" a partire dal loro substrato biologico così come l'evoluzione naturale lo ha generato e perfezionato. Spirituale che si emancipa sulla materia a partire da essa. Trascendentale kantiano, etica, episteme, ...
Titolo: Re:La morte
Inserito da: viator il 16 Novembre 2019, 22:32:24 PM
Per Davintro. Citandoti : "ma tutto ciò non nega l'idea per cui la coscienza ricaverebbe la propria energia psichica anche da fonti immateriali".
Sembrerebbe quindi che secondo te o qualcun altro esisterebbero - del tutto distinte ed a quanto sembra pure incompatibili - una energia fisica ed una energia psichica.
Tu - credo - chiami energia psichica l'esistenza noumenica dello spirito, contrapponendola ad una pretesa "energia fisica", quella cioè che mostra i propri effetti sulle cose.
Esiste secondo me invece una sola energia, ed è immateriale (altrimenti dovremmo chiamarla materia). Quella che viene chiamata energia fisica non è l'energia in sè, ma solo l'insieme degli effetti, delle interazioni dell'immateriale (ma non per questo meno sostanziale e fisico !) con il materiale.

E' come dover distinguere tra la cosa in sè e gli effetti dell'esistenza della cosa in sè. Saluti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 16 Novembre 2019, 23:02:02 PM
Comprendo che uno gioca con le carte che ha in mano e nel caso di specie sono i 5 sensi + mente razionale.  Lo capisco dicevo, pur tuttavia non mi faccio ragione che l'arroganza umana riduca tutto quanto a ciò che può percepire. Penso a ciò che avrebbe risposto un antico filosofo greco rispetto a qualcuno che gli avesse parlato di raggi ultravioletti o raggi x. O alla possibilità di volare e addirittura di andare sulla Luna
Quallo che intendo dire è che la realtà cosiddetta materiale va, incontrovertibilmente va, al di là di ciò di cui abbiamo OGGI, contezza.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 17 Novembre 2019, 10:04:24 AM
Citazione di: Freedom il 16 Novembre 2019, 23:02:02 PM
Comprendo che uno gioca con le carte che ha in mano e nel caso di specie sono i 5 sensi + mente razionale.  Lo capisco dicevo, pur tuttavia non mi faccio ragione che l'arroganza umana riduca tutto quanto a ciò che può percepire. Penso a ciò che avrebbe risposto un antico filosofo greco rispetto a qualcuno che gli avesse parlato di raggi ultravioletti o raggi x. O alla possibilità di volare e addirittura di andare sulla Luna.
Quallo che intendo dire è che la realtà cosiddetta materiale va, incontrovertibilmente va, al di là di ciò di cui abbiamo OGGI, contezza.

Se fossimo stati davvero così arroganti  stupidi da ridurre tutto a ciò che possiamo percepire, non avremmo inventato neppure la ruota. Che la realtà materiale continui a porre enigmi penso sia nella consapevolezza di chi più a fondo la conosce. Basti pensare alla sfida che la malattia mortale per definizione continua a lanciarci.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 17 Novembre 2019, 12:10:50 PM
Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2019, 10:04:24 AM
Se fossimo stati davvero così arroganti  stupidi da ridurre tutto a ciò che possiamo percepire, non avremmo inventato neppure la ruota.
Potrei risponderti che quasi sempre le invenzioni, la fantasia, l'immaginazione, etc. sono state asservite alle necessità materiali (lavorative, militari, etc.) del momento. C'è, per fortuna, quel "quasi sempre". E dunque, vivaddio, esiste l'arte, la ricerca scientifica per amore della scienza, etc. Ma siamo sempre nell'ambito di ciò che si percepisce (laddove per percezione, credo tu possa essere d'accordo, rientra anche la fantasia, l'immaginazione, l'invenzione!). Ma hai ragione a rispondermi come mi hai risposto. Perché hai replicato al significato letterale di quanto da me affermato. Quello che tuttavia volevo significare ma non sono riuscito a far passare nel mio messaggio, era che non possiamo avvertire e dunque negare a priori, ciò che sfugge alla nostra percezione. Laddove, lo ribadisco per chiarezza, la percezione umana è costituita dai 5 sensi più la mente razionale e la mente irrazionale (quest'ultima parola l'avevo omessa e forse questa mancanza ha reso le mie parole non conseguenti a quello che volevo esprimere).

Ho citato i raggi ultravioletti e quelli x perché vennero scoperti quasi per caso. Specialmente gli ultravioletti. Come, tanto per fare una battuta "simpatica", l'LSD.

E qui mi fermo perché siamo in filosofia ma se fossimo in spiritualità.........allora farei balenare la possibilità di una qualche, possibile ma forse non probabile, scoperta spirituale. Che magari potrebbe aggiungere e/o introdurre elementi del tutto nuovi e sorprendenti.

Non è vietato contemplarlo e la mia ostinata speranza è che possa suggerire maggiore cautela e apertura mentale a chi affronta determinati temi.

Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2019, 10:04:24 AMChe la realtà materiale continui a porre enigmi penso sia nella consapevolezza di chi più a fondo la conosce. Basti pensare alla sfida che la malattia mortale per definizione continua a lanciarci.
;)  :)
Titolo: Re:La morte
Inserito da: niko il 17 Novembre 2019, 18:27:57 PM
Rispondo a chi mi ha detto di spiegarmi con parole più semplici...

Il nulla non esiste, e quindi in filosofia il nulla dopo la morte, come pensiero filosofico, è l'equivalente di quello che in antropologia è la tomba che segna l'inizio delle antiche civiltà, un costrutto -inesistente prima che l'uomo lo costruisse- che funge da luogo dove "riposare", cioè pretendere di sopravvivere, nell'immaginazione di un oltretomba di qualche tipo o nella memoria dei posteri.

La piramide è fatta di tufo, il nulla di pensiero, ma entrambi sono lì per eternizzare un defunto, la piramide fa segno a un al di là, e pure il nulla, come costrutto di pensiero, fa segno a un al di là, entrambe dicono: "il mondo dell'apparire non è completo, perché oltre a ciò che appare, oltre al mondo sensibile e materiale, c'è pure l'oltretomba e la vita impalpabile del defunto nella memoria, o, in alternativa, pure il nulla, che è comunque anch'esso un oltretomba, e un qualcosa che funge potentissimamente da richiamo del defunto alla memoria."

Il nulla è dunque un costrutto del pensiero inventato con funzione di tomba, una continuazione del culto dei morti con altri mezzi.

Il nulla è speranza come può essere speranza un paradiso con gli angioletti o un nirvana buddista, almeno per due ovvi motivi..

il primo: perché il nulla significa la possibilità di sopravvivere nella memoria dei posteri per chi ne è degno (basti pensare a tutti i popoli che avevano l'epica come enciclopedia tribale, i greci stessi prima della filosofia, chi muore da eroe entra nell'epica, cioè nella vita collettiva del popolo a cui appartiene, tema che c'è anche nei sepolcri del Foscolo).

Il secondo, ancora più grande e ancora più ovvio: perché il nulla è comunque redenzione dalla sofferenza, felicità negativa, non avere bisogni.
Una vita che finisce col nulla, finisce bene, almeno nella lezione di tutti i grandi filosofi che hanno definito il piacere come mera assenza di dolore senza dargli un connotato esistenziale positivo, mi viene in mente Schopenauer, per il quale la vita non finisce per niente con il nulla, ma se per ipotesi (sbagliata) finisse col nulla, finirebbe bene. Se si identifica la vita col desiderio, se si è profondamente romantici o irrazionalisti, non si può che desiderare la morte, se in essa si vede l'avvento del nulla per sé stessi, e quindi la fine dei propri desideri.

Inoltre da un punto di vista epicureo o comunque materialista come si riscontra nella maggior parte dei materialismi, pensare che la vita venga dal nulla e vada a finire nel nulla, giustifica anche in vita, a prescindere dal mio precedente discorso sulla felicità negativa, aver perseguito il piacere e non il dolore, perché il piacere, contrapposto al dolore, è l'unica cosa che vale davanti al nulla da cui veniamo e al nulla che ci aspetta, è l'unica misura dell'esistenza.

Ma il mio intervento voleva dire che la ragione stessa porta a superare il nulla come pensiero del dopo morte, perché il nulla assoluto non esiste, c'è il nulla relativo di quello che ora siamo (appunto diventare scheletro, diventare cenere) ma questo vuol dire diventare radicalmente altro e non annullarsi. Diventare un'alterità inconcepibile e inconoscibile. Infatti mentre il corpo può frammentarsi, il pensiero, il senso del sé, non può frammentarsi, lo diceva già Platone, per il quale l'immortalità dell'anima era data dal suo essere semplice e non composita: le cose composite sono passibili di distruzione -scomposizione-, le cose semplici no: dunque l'anima, che è semplice, sopravviverà al corpo, che è composito.

Con un po' più di razionalità il pensiero del nulla come destino del dopo morte, diventa pensiero dell'oblio, dell'ignoto, del non poter sapere neanche se dopo la morte ci sia il nulla o ci sia il radicalmente altro, ma questo non coglie secondo me ancora la realtà dell'uomo, che è psicosoma, unione di anima è corpo: volendo morire alla conoscenza, entrare dopo la morte nell'ignoto e non necessariamente nel nulla, l'anima vuole morire a se stessa, restare se stessa anche nella morte, vuole affermare di essere fin da ora, fin da  adesso che è viva, pura conoscenza, pura anima: l'oblio, l'entrata nell'inconoscibile, non è un nulla assoluto o qualsiasi, ma è il nulla specifico, "personalizzato" di chi già è, o si ritiene, un ente di pura coscienza/conoscenza: ma noi non siamo pura coscienza/conoscenza, siamo anche corpo e istinto, quindi il nostro destino non può essere solo l'oblio, nella misura in cui fin da ora non siamo solo conoscenza. Non possiamo morire a noi stessi come enti di pura conoscenza, perché non lo siamo, quindi ci sono buone ragioni filosofiche anche contro l'oblio e l'inconoscibilità.

Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 17 Novembre 2019, 19:17:09 PM
Da un punto di vista matematico, il nulla e il tutto si equivalgono.
Il nulla non si può identificare con lo 0 ma ci si avvicina. Perché + infinito - infinito = nulla
E' interessante notare come il punto (.) in geometria sia senza dimensione cioè 0 quindi parente stretto del nulla.
Così come in insiemistica lo zero è definito come l'insieme vuoto. Dunque ancora parente stretto del nulla.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 17 Novembre 2019, 19:21:44 PM
Citazione di: niko
Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.

L'etica dovrebbe quindi dipendere dalle "possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita"?
Davvero l'etica dovrebbe essere condizionata dall'idea di un eterno ritorno?
A mio avviso, considerazioni di questo tipo possono condurre solo ad una esaltazione della volontà di potenza.

Mentre l'Etica è una sola: Fede nel Bene.

Il nulla assoluto esiste, come possibilità, ed è essenzialmente la possibilità che la fede etica sia un'illusione.
E' l'horror vacui di fronte alla nullità di ogni possibile valore.
Che poco ha a che vedere con la morte in quanto tale, ma ha a che fare con la possibilità che il Bene non sia.

La paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 17 Novembre 2019, 19:24:51 PM
Citazione di: Freedom
Da un punto di vista matematico, il nulla e il tutto si equivalgono.

Non solo in matematica.

Il Tutto non è un qualcosa. E ciò che non è qualcosa è nulla.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Jacopus il 17 Novembre 2019, 20:07:29 PM
CitazioneLa paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.
Un principio molto interessante e in cui mi riconosco molto. Ti posso chiedere se è collegato a qualche teoria filosofica o spirituale? In generale il tuo modo di pensare mi sembra, nella mia ignoranza, qualcosa di attinente al buddismo, ma talvolta anche piuttosto severo con questo richiamo continuo al nulla.
Ciao e grazie.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: niko il 17 Novembre 2019, 20:37:16 PM
Citazione di: bobmax il 17 Novembre 2019, 19:21:44 PM
Citazione di: niko
Ricacciati fuori dal nulla e dall'oblio, rimane solo l'eterno ritorno come prospettiva del dopo morte, per questo invitavo a riflettere sulle possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita, il che determinerebbe in qualche misura come vivere, un'etica che dovrebbe valere anche per i vivi.

L'etica dovrebbe quindi dipendere dalle "possibilità naturali e tecnologiche che un corpo si riformi o esista fin da sempre come serie infinita"?
Davvero l'etica dovrebbe essere condizionata dall'idea di un eterno ritorno?
A mio avviso, considerazioni di questo tipo possono condurre solo ad una esaltazione della volontà di potenza.

Mentre l'Etica è una sola: Fede nel Bene.

Il nulla assoluto esiste, come possibilità, ed è essenzialmente la possibilità che la fede etica sia un'illusione.
E' l'horror vacui di fronte alla nullità di ogni possibile valore.
Che poco ha a che vedere con la morte in quanto tale, ma ha a che fare con la possibilità che il Bene non sia.

La paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.

Per me il nulla assoluto è, banalmente, la possibilità che non esista nulla. Neanche il nostro pensiero, neanche noi che scriviamo queste cose.

Altrettanto probabile della possibilità che invece esista qualcosa, altrettanto indimostrabile. L'essere potrebbe essere solo un decremento, o un frazionamento, o una visione prospettica del nulla. Da dentro non lo si può sapere.

Questa prospettiva che non esista nulla, niente di niente, ben lungi dall'annullare l'etica come un'illusione, rende possibili un sacco di prospettive etiche nuove e interessanti che se si suppone che esista qualcosa sono più difficili da accettare e da implementare, come quella di un'etica derivante dell'eterno ritorno, quindi per me ben venga, l'ipotesi del nulla assoluto. Semplifica un sacco di cose.

Per me l'etica non è qualcosa in cui avere fede, non è un oggetto di fede, ma una cosa che deve dare felicità, una strategia per essere felici.
Che me ne faccio del bene? Perché dovrei aver paura del vuoto? Il vuoto è leggerezza, è essere accolti da qualcosa che non cade mentre tutto il resto cade.

Dicevo nel mio intervento precedente di escludere il nulla assoluto, perché comunemente la gente lo esclude, comunque il punto è che anche se siamo già nel nulla assoluto, non c'è un nulla relativo della morte in cui andare, non c'è un inizio, non c'è una fine; il procedimento più comune è vedere quel nulla relativo, quello proprio del fenomeno morte, come un nulla assoluto (perché tale è per la coscienza, e tipicamente ci si identifica con la propria coscienza) ed escluderlo, ma nulla vieta di postulare che siamo già nel nulla, in un mondo complessivamente o localmente nullo, e quindi in un ulteriore nulla non possiamo precipitare da morti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 17 Novembre 2019, 20:49:42 PM
Citazione di: Jacopus il 17 Novembre 2019, 20:07:29 PM
CitazioneLa paura della morte deriva dall'attaccamento all'esserci mondano. Un attaccamento che svanisce quando in gioco vi è il Bene.
Un principio molto interessante e in cui mi riconosco molto. Ti posso chiedere se è collegato a qualche teoria filosofica o spirituale? In generale il tuo modo di pensare mi sembra, nella mia ignoranza, qualcosa di attinente al buddismo, ma talvolta anche piuttosto severo con questo richiamo continuo al nulla.
Ciao e grazie.

Ciao Jacopus
Ritengo che il mio modo di pensare risenta della Filosofia dell'Esistenza di Karl Jaspers, che considero mio maestro. E' dalla sua filosofia che ho tratto questo principio.
Anche se queste idee non hanno mai una sola origine... E poi ognuno di noi rielabora la propria filosofia, a seguito delle sue letture, delle esperienze, degli incontri.

Sono invece pervenuto al Nulla e all'inesistenza del libero arbitrio negli ultimi anni seguendo la mistica, in particolare quella cristiana.
Certo, il termine Nulla è anch'esso inadatto per dire l'indicibile, come qualsiasi altra parola.
E suscita una qual repulsione.
Ma, forse per questo mio modo di sentire drammatico,  l'ho trovato più consono a descrivere l'Assoluto.

Grazie a te Jacopus, e buona serata
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 18 Novembre 2019, 00:06:57 AM
per Jacopus

come scritto prima, sostituire una causalità spirituale con una prodotta dal sistema nervoso centrale nel rendere ragione di fenomeni psichici come il ricaricamento energetico è un argomento che va benissimo se si parla di contestare un dualismo radicale cartesiano che intende lo spirito come una sorta di sostanza del tutto indipendente da quella estesa corporea, capace di esercitare un potere causale del tutto sufficiente a produrre i fenomeni in questione. Di fronte a ciò, avrebbe buon gioco il progresso delle scienze naturali nel togliere allo "spirito" così inteso un tale potere, una volta riconosciuta la corrispondenza tra reazioni organiche e eventi psichici, attribuendolo al cervello. Ma, confermo, questo dualismo non è la mia posizione. La mia posizione poggia sul principio aristotelico che la materia esiste sempre e solo come materia formata, e mai come materia pura, mera spazialità indeterminata. Quindi per ammettere l'influenza di fonti spirituali nel formarsi dei fenomeni psichici, non c'è, volendo restare nell'ambito dell'immanenza antropologica, alcun bisogno di immaginare sostanze spirituali separate dal sistema nervoso centrale, anche restando nell'immanenza di quest'ultimo, è sufficiente riconoscere come il cervello, come ogni ente materiale, ha una componente materiale che lo rende esteso spazialmente, ma per esistere e funzionare come ente capace di sorreggere l'attività psichica e cosciente che contraddistingue l'essere umano, necessita di una componente formale, che appunto, come dici, lo con-FORMA, che lo vivifichi dall'interno e lo determini la sua materia come materia capace di operare in un modo specifico. L'esempio del cervello cadaverico serviva proprio come conferma empirica di ciò: se riconosciamo l'esistenza di una materia cerebrale priva di vita come quella di un cadavere, allora se ne dovrebbe dedurre che il principio vitale non sta nel cervello in quanto materia, altrimenti ogni materia in quanto tale sarebbe capace di produrre vita. Non sarebbe illogico pensare che il principio differenziante (senza bisogno di sostanzializzarlo!) tra due enti diversi (corpo vivo e cadavere) sia riconducibile a ciò che i due enti hanno in comune, cioè una egual materia, anziché a qualcosa che in uno dei due è presente e nell'altro no? Sarebbe come dire che la differenza che passa tra una pallina bianca e una pallina nera sia data dal loro essere palline, piuttosto che da due diverse colorature. Si tratta di evidente principio di correlazione tra causa (formale in questo caso) ed effetto


 la riconduzione della credenza in un'influenza spirituale a prodotto storico di un adattamento all'ambiente è un'affermazione che andrebbe chiarita... quali sarebbero i fini verso cui l'adattamento è funzionale? Se consistessero in finalità meramente materiali, di autoconservazione biologica o di prosecuzione della specie, in questo caso direi che la fede nell'esistenza dello spirito implicherebbe l'assunzione di scopi distinti da questi ultimi e quindi a disperdere energie che sarebbero sottratte agli impegni pratici e materiali, dunque si rivelerebbe, quantomeno per la maggior parte degli aspetti, un fattore controproducente in vista dell'adattamento (l'esempio più lampante è la possibilità del suicidio, la possibilità del rigetto del fine autoconservativo, che viene subordinato alla valutazione a partire da un modello ideale, cioè spirituale di "vita degna di essere vissuta", non per forza coincidente con la vita biologica). E sarebbe assurdo ipotizzare un adattamento che produce la fede e la visione di qualcosa che si rivela disfunzionale ai fini dell'adattamento stesso. Se invece per "adattamento" si intendesse un processo finalizzato a conseguire finalità anche di natura spirituale, verrebbe da chiedersi che senso avrebbe innescare un processo di adattamento teso alla soddisfazione di istanze provenienti da una dimensione in realtà inesistente. E se anche ipotizzassimo che tale soddisfazione fosse solo un ideale autoingannatorio resterebbe insoluta la questione di come nascerebbe questa illusione, come sarebbe possibile una coscienza realmente prodotta da cause unicamente fisiche che però arriva a elaborare l'idea di qualcosa che trascende la fisicità. Ammettere ciò vorrebbe dire assurdamente svincolare completamente la causa dell'esperienza di un'idea dal senso stesso dell'idea in questione, rompendo ogni rapporto di commisurazione o analogia tra causa ed effetto. Sarebbe come se un pesce sempre vissuto sin dalla nascita nell'acqua riuscisse a riflettere (anche elaborando modelli teorici piuttosto sistematici) riguardo la vita sulla terraferma.

sul punto 2) non direi di avere particolari appunti al riguardo, per quanto riguarda il 3) mi limiterei a dire che quando si parla di "letteratura scientifica" chiamata in causa a supportare punti di vista materialisti, che ci si riferisce a metodologie fondate sull'esperienza sensibile e dunque qualitativamente inadeguate alla conoscenza di realtà spirituali ("conoscenza" da intendersi come facoltà anche di giudicare in generale al riguardo, anche, eventualmente di poter arrivare a negare l' esistenza di realtà spirituali, cioè per dire che non esiste niente di spirituale devo comunque essere in grado di intendere il senso dell'oggetto in questione su cui pronuncio il giudizio di non-esistenza, cioè di essere in possesso di un punto di vista adeguato e corrispondente ad esso). Se si afferma che tale metodologia sia l'unica a partire da cui poter pronunciare giudizi razionali, occorrerebbe ammettere che l'oggetto a cui la metodologia è adeguata, il mondo sensibile, sia l'unico possibile. Come si nota, l'affermazione della fisicità come unica realtà possibile non è la conclusione scientifica di un ragionamento, ma la premessa dogmatica che si accetta fin dall'inizio e che muove a determinare la metodologia adeguata a studiare questo mondo come l'unica sensata da applicare. L'assunzione di questa premessa dogmatica è la componente fideista che grava su ogni pretesa positivista di applicare le scienze della fisica  in un contesto in cui non dovrebbero avere nulla a che fare per definizione, cioè la metafisica
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 18 Novembre 2019, 01:18:36 AM
per Ipazia

la mente umana non è riducibile a un pc, associando il corretto funzionamento di un software prodotto da fattori meccanici alla coscienza, da fattori meccanici, per il semplice motivo che il pc altro non è che una funzione prodotta dall'uomo che si limita a eseguire un programma dall'uomo imposto. Lo spirito non è una "funzione" pratica, ma condizione di libertà entro la quale il soggetto pone autonomamente delle finalità, a cui ciò che è pratico, funzionale viene ricondotto e subordinato. I limiti di questa condizione coincidono con quelli della libertà. Mentre l'energia del pc esiste come solo come funzione e dunque possiamo ricondurre la sua origine a una causalità meccanica prodotta esternamente da chi ha interesse che l'energia funzioni, in assenza della quale essa si esaurisce, la coscienza umana, entro i limiti in cui è libera dal determinismo naturale, cioè attribuisce valore a oggetti a prescindere dall'assolvimento di funzioni pratiche (pensiamo all'arte come espressione di pura bellezza, alla contemplazione del tutto disinteressata di una teoria filosofica/scientifica che ispira meraviglia e ammirazione per il suo rigore ed esaustività) muove da un principio interno ad essa, corrispondente alla sensibilità valoriale, che si alimenta a partire dall'esperienza dei valori a cui tale sensibilità è correlata. Un pc è creato da chi ha interesse che funzioni, chi avrebbe interesse a che la mia coscienza tragga godimento dalla visione di un quadro, dall'ascolto della musica, dalla lettura di un libro?

L'anestesia non "neutralizza" lo spirito, solo ne inibisce provvisoriamente la manifestazione degli effetti a livello esteriore e di autocoscienza superficiale del soggetto in questione. Se davvero si desse neutralizzazione, allora la riattivazione delle funzioni coscienti al termine degli effetti dell'anestetico andrebbe considerata una sorta di magia o creazione divina, far ricomparire qualcosa dal nulla. In realtà la riattivazione è data dallo sblocco dell'inibizione chimica che libera il pieno dispiegarsi degli ordinari effetti della coscienza, la cui energia spirituale era anche sotto anestesia pur sempre presente, solo, incapace di avvalersi di un supporto materiale alterato, e quindi repressa negli strati più latenti e profondi della psiche. Che questa limitazione dello spirito la renda "ben poca cosa" o "ben tanta cosa" è una questione che si presta a risposte tutte legittime, ma chiamanti in causa giudizi di valore unicamente soggettivi e personali che nulla incidono sul problema puramente teoretico. Dal mio punto di vista, anche con limitazioni del genere, la ricchezza delle potenzialità dello spirito nell'uomo resta gran cosa, ma è una posizione che lascia il tempo che trova.


Per Viator

forse non è del tutto esatto dire che ammetterei due diverse tipologie di energia, una spirituale, l'altra materiale, più precisamente noto una distinzione di diverse tipologie di FONTI di energia, quella che si può acquisire dall'ispirazione verso idee immateriali che hanno valore per la nostra coscienza, e quella alimentata materialmente come quella che si acquisisce con il cibo o il riposo. Però direi anch'io che esiste un'unica energia psichica, alimentata però da fonti diverse, in quanto possiamo notare come nel quotidiano l'energia ricavata da una fonte può essere utilizzata per il lavoro di una componente che si alimenta da un'altra fonte e viceversa. Al termine di uno sforzo fisico si ha difficoltà a concentrarsi anche verso attività intellettuali, come la lettura di un libro, anche lo spirito risente di una forte privazione dell'energia materiale, oppure l'entusiasmo per aver ricevuto una bella notizia produce un aumento di energie proveniente da fonte spirituale, cioè il valore esaltato dall'evento di cui veniamo informati, che sentiamo il bisogno di sfogare ballando, saltando, correndo, il valore affettivo (spirito) che attribuisco a un persona che vado a trovare alimenta l'energia che impiego per camminare in direzione del luogo dove è, applicata a uno sforzo fisico. Pensare in senso stretto a due diverse forme, e non solo fonti, di energia, rischierebbe di far ricadere nel separatismo delle sostanze cartesiano (intendendo l'energia come ciò tramite cui le proprietà di una cosa si uniscono in una sostanza autosufficiente per esistere), posizione che non condivido, come già ribadito a Jacopus.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 18 Novembre 2019, 09:03:57 AM
@davintro

Il paragone tra cervello e pc era solo di tipo funzionale, non formale in senso aristotelico. In entrambi i casi l'energia che li alimenta è conditio sine qua non perchè la parte materica funzioni. Venendo ad Aristotele, è evidente che la "forma" dell'unità psicosomatica umana è diversa dalla forma dell'unità macchinica pc, così come la coscienza umana ha un'intenzione assai diversa da quella della cpu. Ma permane la relazione biunivoca tra alimentazione biologica e snc/coscienza così come tra corrente elettrica e pc.

Qualcuno può allocare la coscienza umana in luoghi diversi dal sistema nervoso, ma tutte le dimostrazioni empiriche gli danno torto e quelle non empiriche lasciano il tempo che trovano. Quindi, restando su ciò che è obiettivamente asseverato non resta che approfondire la natura dell' "energia psichica", nella sua parte somatica e nei suoi caratteri trascendentali che la "scienza materialista" non nega avendo perfino allestito una scienza ad hoc che si chiama psicologia, che indaga il comportamento e le motivazioni in sè, senza farsi troppo influenzare dalle derive scientistiche che vorrebbero ridurre il tutto a neuroscienza e sociodarwinismo.

Io concordo con questa rivendicata autonomia epistemologica che sottrae l'agire umano non solo al "disegno intelligente" della divinità, ma pure a quello della natura deterministicamente intesa, lasciando all'umano quel margine di autonomia che il variegato spettro dei suoi comportamenti suggerisce e che la psicologia indaga nei suoi autogeni processi e manifestazioni. In ciò intendo lo spirituale umano, che però - occamisticamente - non necessita di alcun apporto esterno per esistere in tutta la sua compiutezza. Se qualcuno ce lo vuole aggiungere è puro, indimostrabile, atto di fede che dalla mia prospettiva epistemica diventa un suo "disegno intelligente", non della divinità che egli postula. Ovviamente accetto che pure il mio negare quel diavoletto alieno sia un atto di fede. Rafforzato però dal principio epistemologico, opinabile finchè si vuole ma giuridicamente fecondo, che l'onere della prova tocca a chi afferma.

L'indissolubile legame psicosomatico risolve anche i salti mortali della speculazione filosofica sul nulla fisico e i suoi derivati metafisici, accettando, con realismo filosofico, che la morte trasforma la materia e annichilisce la psiche, consegnandola, in ragione dei suoi meriti, alla memoria dei posteri. Cosciente di ciò, potrò inscrivere sulla mia tomba, vissuta ante litteram nel tempo in cui la posso concepire: hic iacet Ipazia, tota.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Sariputra il 18 Novembre 2019, 10:31:45 AM
La morte, direbbe Francesco, è nostra "sora" (sorella). Come una sorella ci vive accanto e ci fa morire a noi stessi continuamente. Sono solo due le nostre "sore": la Terra madre e la morte. Di nessuna delle due possiamo fare a meno. La terra ci sostiene e ci alimenta e la morte segna continuamente il tempo del nostro vivere. Attimo per attimo moriamo e rinasciamo...
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Franco il 18 Novembre 2019, 13:52:08 PM
Citazione
CitazioneFranco (=F):

Vorrei comprendere meglio la negazione. A chi si rivolge? Forse a daniele 75 secondo il rilievo mossogli da Franco? Se così non fosse, allora si riproporrebbe - anche in ordine alla comprensione della morte - la questione del senso della fede religiosa. Tirare in ballo allucinogeni, stati illusionali e simili, significa ridurre semplicisticamente le cose.


Ipazia:

I greci erano meno allucinati perchè avevano una concezione più realistica del post mortem rispetto ai cristiani: pochi assurgevano all'Olimpo, molti precipitavano nell'Ade. Indipendentemente dai meriti, ma secondo il capriccio degli dei. Che è quello che accade nella realtà dei paradisi in terra. Nessun motivo logico per non estendere l'analogia ai paradisi celesti, considerando che l'analogica antropomorfica è la base del pensiero religioso. Evidentemente a corrente alternata. 

Nei forum atei girava una simpatica analogia contro l'argomento del numero di credenti nei numi. Te la risparmio perchè non voglio affondare il coltello nella piaga. Comunque non è un argomento valido: un tempo tutti credevano che il sole girasse intorno alla terra e si sbagliavano. Coi numi ci sono ottime probabilità che sia uguale.

Citazione F:
Citazione Ipazia, non ci comprendiamo. Non si argomenta a sfavore della mia tesi richiamando una diversa - diversa nel grado dell'esperienza di allucinazione - configurazione etnica come quella antica dei greci. Una contro - argomentazione effettiva sarebbe quella capace di dimostrare il carattere  di allucino - geno e di allucinazione dell' esperienza cristiana. Cosa che il l tuo ragionamento non mostra. Altro è affermare che la fede religiosa abbia carattere di allucinazione, (= enunciazione della tesi del carattere di allucinazione) altro - ben altro - è dimostrare che l'abbia. Per dimostrarlo, dovresti - tra l'altro - e partendo dalla definizione di sostanza allucinogena, mostrare come questa inneschi - termine questo di innesco che introduco ironicamente in senso anti meccanicistico - il fenomeno della fede religiosa  declinata in senso cristiano. Ti auguro buon lavoro...


Affindare il coltello nella piaga? Mi chiedo quale piaga.

Continui a fraintendere il mio discorso. Nel senso che non riesci a tener ferma la distinzione tra la realtà della fede religiosa e la realtà del contenuto illusorio dell'oggetto di quella fede. Il che somiglia all'atteggiamento contro il quale sembri rivolgerti. Lo ripeto per l'ennesima volta: che il contenuto oggettuale della fede in parola possa essere un contenuto illusorio, non annulla quella fede, ossia il bisogno ( =la spinta, la necessità) che è quella stessa fede. Il credente in senso religioso - cristiano nulla sa di quel contenuto. Onde altro è discutere del contenuto illusorio di quella oggettualità,  altro - ben altro - è discutere della in - coscienza di quel contenuto. 

Per tornare alla questione della morte: altro è la convinzione che dopo la morte sia - scrivo sia - una condizione di beatitudine ultraterrena, altro è la convinzione che si muoia. La realtà di chi di quella beatitudine è convinto non cessa di essere perché altri ne mostrano il carattere illusorio. 


Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 18 Novembre 2019, 15:34:23 PM
Citazione di: Ipazia
L'indissolubile legame psicosomatico risolve anche i salti mortali della speculazione filosofica sul nulla fisico e i suoi derivati metafisici, accettando, con realismo filosofico, che la morte trasforma la materia e annichilisce la psiche, consegnandola, in ragione dei suoi meriti, alla memoria dei posteri. Cosciente di ciò, potrò inscrivere sulla mia tomba, vissuta ante litteram nel tempo in cui la posso concepire: hic iacet Ipazia, tota.

Davanti a quella tomba starà pensoso chi amava Ipazia.

E se resisterà alla cupa disperazione, così come riuscirà ad evitare di razionalizzare a tutti i costi l'evento svuotandone in tal modo il pathos... allora potrà finalmente chiedersi: "Chi, cosa amavo ed amo?"

Se l'amore era sincero, quello stesso amore potrà a quel punto rispondere: "L'amore ama se stesso"
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 19 Novembre 2019, 12:10:02 PM
Citazione di: myfriend il 13 Novembre 2019, 20:42:41 PM
Per il semplice fatto che, nell'Universo, l'energia non si crea e non si distrugge. Ma cambia forma.
E' il Primo principio della Termodinamica.
E noi siamo una forma di energia.
Anche lo spazio-tempo è una illusione creata dal nostro cervello (ce lo ha dimostrato Einstein con la Relatività).
Nella realtà vera dell'Universo, non c'è un prima...e non c'è un dopo. Non c'è un sopra e non c'è un sotto. Non c'è un qui e un aldilà.
Noi SIAMO parte di un TUTTO in perenne trasformazione. Punto.
Nella realtà vera - quella che è oltre ciò che il nostro cervello percepisce - noi SIAMO. Punto.
Ho avuto una intuizione simile qualche tempo fa:
https://www.riflessioni.it/forum/filosofia/14052-legge-di-conservazione-della-massa.html
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 19 Novembre 2019, 12:47:14 PM
Citazione di: Franco il 18 Novembre 2019, 13:52:08 PM
Per tornare alla questione della morte: altro è la convinzione che dopo la morte sia - scrivo sia - una condizione di beatitudine ultraterrena, altro è la convinzione che si muoia. La realtà di chi di quella beatitudine è convinto non cessa di essere perché altri ne mostrano il carattere illusorio.

Mai mi sognerei di negare la realtà di un'illusione. Mi limito a segnare il confine tra realtà e illusione, consegnando alla psicologia lo studio della realtà dell'illusione e alla biologia la realtà della realtà.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 19 Novembre 2019, 16:20:31 PM
Il nulla è da dove veniamo, il presente è l'esistenza, il nulla è dove andremo?
E questo avrebbe un senso logico,esistenziale, intuitivo?
Che senso ha : ?-esisto-?. Nascita e morte interrogativi e in mezzo l'esistenza?
Chi accetta questa non-logica, non solo ha demolito i paradigmi, ma anche se stesso.

Tutto si trasforma affinché nulla è? Appunto il nulla.
Noi veniamo dal nulla e torniamo nel nulla, e intanto appariamo? Non è la scienza degli apparati
sensitivi amplificati, di microscopi e telescopi che può dare risposte.
Che senso ha una vita fra due punti interrogativi: quale morale, etica, che senso ha gioire e soffrire se dal nulla torniamo? Ma dire nulla come luogo da dove veniamo e torniamo non è più il nulla , è qualcosa, e dire che tutto si trasforma è come dire che ciò che appare non-è, perché non apparirà per sempre per divenire cosa? Un'altra cosa fuori di sé?Un è che non-è.?

Ogni cosa ha un senso, persino la nostra ignoranza. La morte è solo un tempo, come una stagione.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Jean il 19 Novembre 2019, 17:29:33 PM
Citazione di: paul11 il 19 Novembre 2019, 16:20:31 PM
Il nulla è da dove veniamo, il presente è l'esistenza, il nulla è dove andremo?
E questo avrebbe un senso logico,esistenziale, intuitivo?
Che senso ha : ?-esisto-?. Nascita e morte interrogativi e in mezzo l'esistenza?
Chi accetta questa non-logica, non solo ha demolito i paradigmi, ma anche se stesso.

Tutto si trasforma affinché nulla è? Appunto il nulla.
Noi veniamo dal nulla e torniamo nel nulla, e intanto appariamo? Non è la scienza degli apparati
sensitivi amplificati, di microscopi e telescopi che può dare risposte.
Che senso ha una vita fra due punti interrogativi: quale morale, etica, che senso ha gioire e soffrire se dal nulla torniamo? Ma dire nulla come luogo da dove veniamo e torniamo non è più il nulla , è qualcosa, e dire che tutto si trasforma è come dire che ciò che appare non-è, perché non apparirà per sempre per divenire cosa? Un'altra cosa fuori di sé?Un è che non-è.?

Ogni cosa ha un senso, persino la nostra ignoranza. La morte è solo un tempo, come una stagione.

C'è un segno che distingue l'ombra dalla luce
un segno che separa il fiume dalla sponda,
un altro rende il senso quando ti traduce
in parola scritta il mister che ti circonda.

Ampio come fiume, sottile qual capello
il vento lo cancella e l'acqua lo scolpisce
pur se l'ama, come statua il suo scalpello
cui deve la forma che il pubblico stupisce.

L'imago vede il marmoreo manufatto
cinto qual corona da innumerosi tocchi
a trar la vita mentre il blocco vien disfatto
e infin uscirne dall'iride degli occhi.

Anche c'è un segno quando s'appressa il tempo
per quelli che cercano la rima di chiusura,
chi avanti di gettar la lega nello stampo
l'abbia ben pulito per bloccare la morsura.

Orbene questa traccia ci lega tutti quanti
qual filo dell'ordito sul qual cresce la trama
di magici color che lo spazio tien distanti
intanto che la notte affilerà la lama.

Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto
ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,
se v'è inizio e fine allora non è vuoto,
se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo.


La morte è uno dei miei interessi... quello cui dedico numerosi momenti di riflessione durante il giorno (sin che avrò la fortuna di viverne).
Realizzato che ogni discorso non ne scalfisce il mistero, personalmente ho trovato maggior soddisfazione con un differente approccio, quello poetico.
Il post dell'amico paul11 (forse) presenta delle affinità con questa mia poesia così ho sentito di unirli, cogliendo l'occasione per salutarlo.

(PS – la poesia è collegata ad un disegno – di Michelangelo – e chi fosse interessato può visionarla qui: https://www.lamacchinadiluce.com/2019/07/madonna-gennaio-2017.html  )


Cordialement
Jean  
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 19 Novembre 2019, 19:10:18 PM
Mi permetto di parassitare inadeguatamente i versi di Jean:

«C'è un segno che distingue l'ombra dalla luce
un segno che separa il fiume dalla sponda,
un altro rende il senso quando ti traduce
in parola scritta il mister che ti circonda»
e pare allora che il trambusto si riduce
al mite silenzio in cui tutto sprofonda.

«Ampio come fiume, sottile qual capello
il vento lo cancella e l'acqua lo scolpisce
pur se l'ama, come statua il suo scalpello
cui deve la forma che il pubblico stupisce»
ammaliata folla accalcata in gran ostello
la cui permanenza come inizia, così finisce.

«L'imago vede il marmoreo manufatto
cinto qual corona da innumerosi tocchi
a trar la vita mentre il blocco vien disfatto
e infin uscirne dall'iride degli occhi»
che misterioso è l'autore d'ogni impatto,
come se l'ignoto fosse in cerca di balocchi.

«Anche c'è un segno quando s'appressa il tempo
per quelli che cercano la rima di chiusura,
chi avanti di gettar la lega nello stampo
l'abbia ben pulito per bloccare la morsura»
chi percorre assorto il suo ultimo campo
per dar vita al perenne ciclo della natura.

«Orbene questa traccia ci lega tutti quanti
qual filo dell'ordito sul qual cresce la trama
di magici color che lo spazio tien distanti
intanto che la notte affilerà la lama»
e se ci vorran giorni, anni, oppure istanti,
c'accoglierà l'abbraccio della paziente dama.

«Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto
ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,
se v'è inizio e fine allora non è vuoto,
se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo»
e se restiamo muti e indugiamo un poco,
sarà nell'attesa il senso che cerchiamo?
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Franco il 20 Novembre 2019, 14:36:07 PM
Citazione
CitazioneFranco ( =F):

Per tornare alla questione della morte: altro è la convinzione che dopo la morte  sia - scrivo  sia - una condizione di beatitudine ultraterrena, altro è la convinzione che si muoia. La realtà di chi di quella beatitudine è convinto non cessa di essere perché altri ne mostrano il carattere illusorio. 



Ipazia:

Mai mi sognerei di negare la realtà di un'illusione. Mi limito a segnare il confine tra realtà e illusione, consegnando alla psicologia lo studio della realtà dell'illusione e alla biologia la realtà della realtà.

F:

Bene, ci siamo. Solo tenendo ben ferma la distinzione tra il piano della realtà della fede da quella della realtà del carattere illusorio di certi suoi contenuti, è possibile porre sul suo giusto terreno la problematica della fede religiosa quale declinazione fondamentale della necessità di pensare la morte come tra - passo da essere a essere e non da essere a nulla. Dico della necessita di pensare la morte come tra - passo , dunque della necessità di pensare la morte come ciò che non presenta i caratteri della definitivita'. 

Che la fede religiosa nell'essere dopo la morte sia ( = che essa sia una realtà) implica - tra l'altro - la posizione del problema fondamentale della semantizzazione di ciò che come nulla - dopo - la morte viene posto nella riflessione sul fenomeno della morte. Che cosa significherebbe il termine "nulla" nell'espressione "nulla - dopo - la - morte"? Perché, come fa daniele75, ci si affretta a dichiarare il nulla dopo la morte, ossia la morte come annichilimento? Non tradisce la formulazione stessa dell'affermazione dell'annullamento della morte (genitivo soggettivo) qualcosa come una concezione riduzionista della coscienza? Che cosa propriamente muore con la morte? Che il morto più non ci parli è forse la dimostrazione dell'annichilimento della sua coscienza? Rientra forse nella nostra capacità percettiva che il morto non sia più cosciente? Di più, come facciamo a pensare il dopo - morte del morto? Che cos'è il "fatto" del pensamento del dopo - morte? Prima o poi la morte ci tocca. Assistiamo alla morte di un certo numero di individui viventi, piante, animali, uomini.  Noi stessi saremo il contenuto morto dell'esperienza percettiva altrui. Non è forse la reciprocità di tale esperienza una traccia se non una prova della nostra eternità? Che cosa è infatti certo nel fenomeno della morte e del morire se non la reciprocità del pensare la morte altrui? 
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Jacopus il 20 Novembre 2019, 15:01:32 PM
CitazioneNon è forse la reciprocità di tale esperienza una traccia se non una prova della nostra eternità? 
Direi di no. La capacità di "metterci nei panni degli altri", compresi quelli funebri, fa parte della nostra architettura cerebrale, neuroni specchio, circuito dell'empatia, autoriflessivita'. Un cervello pertanto alquanto complesso, ma che non è collegabile al momento, ad una situazione di immortalità, se non nei termini della poesia o della religione.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: niko il 20 Novembre 2019, 16:25:55 PM
Intervengo di nuovo perchè mi dispiace non essere stato chiaro nei miei interventi precedenti, spero che adesso quello che voglio dire si capisca:

Riporto la definizione che da wikipedia, appoggiandosi al dizionario di filosofia Treccani, del concetto di vertità, perché questo si lega al nulla-dopo-la-morte come ultima e neanche tanto disperata eternizzazione del soggetto: il nulla come e tomba-aldilà in cui il soggetto e la coscienza continuano paradossalmente ad esistere, nel senso etimologico di esistenza, ricevendo l'essere dal nulla. Anche per pensare il nulla, cioè per essere morti, si deve ex-sistere, quantomeno perché si è l'ente per cui il nulla, come accordo delle cose alla parola, come coerenza esistenziale, è vero, è un fatto, mentre è falso, non è un fatto, in altre circostanze e per altri enti. C'è bisogno del contributo prospettico, e quindi esistenziale, del defunto perchè quel nulla assoluto a cui si suppone sia ridotta la coscienza del defunto (in cui si suppone sia sprofondata) sia vero, altrimenti quel nulla, come stato di fatto descrivibile a parole dai vivi e confrontato con lo stato di fatto del mondo, è falso, quantomeno perchè il mondo è il luogo dell'essere, e del divenire.

Anche in una definizione sociale della verità, il defunto è in un solipsismo, è in un nulla che percepisce solo lui, che è falso per tutti gli altri ma è vero per lui. Se veramente il defunto è nel nulla, quel nulla è un nulla che ha bisogno di lui come soggetto generico per essere vero, per (non) manifestarsi anche solo come nulla; non è un nulla autonomo, autosussistente. Defunto e nulla si eternizzano e si "danno l'essere" a vicenda: sono quella corrispondenza tra soggetto e oggetto, quell'uno, che in molte tradizioni filosofiche è la verità.

scrive wikipedia:

Con il termine verità(inlatinoveritas, in grecoἀλήθεια) si indica il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso (...) Per Parmenidela verità si fonda sull'indistinzione, o coincidenza, tra pensieroed essere, tra logicae ontologia, che avrebbe contraddistinto tutto il pensiero antico: egli non attribuisce alla verità nessuna determinazione, appellandosi piuttosto al rigore logicoche vede la verità rigorosamente contrapposta all'errore, per cui semplicemente l'«essere è», e il «non-essere non è. (...) Nellafilosofia modernail problema gnoseologico degli strumenti di ricerca della verità diventa preponderante, soprattutto in Cartesioche individua nel cogitoil metodo fondamentale per distinguere il vero dal falso; mentre Kantdarà per scontata la verità preoccupandosi piuttosto delle possibilità di accesso alla verità.

Ora, se la verità è:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

E' evidente che solo il defunto può essere in accordo con il nulla-della-morte e percepirlo come una realtà oggettiva, e solo per il defunto il nulla-della-morte esiste in senso assoluto e non può essere falso.
Dopo la morte il mondo continua ed è un'estensione eterna, infinita e soprattutto impenetrabile di essere, il nulla-della-morte non ha luogo e non ha tempo, non ha localizzazione se non nell'interiorità del defunto, che è assurdamente tratto fuori dal mondo, per quanto il mondo sia infinito, e non percepisce e non prova più nulla, ma questo vuol dire che l'interiorità del defunto non è annientata, non è realmente tolta come interiorità, perché è il luogo in cui fluisce ed è vero quel nulla, che non è vero da nessuna altra parte del mondo e in nessuna coscienza di essere ancora vivente, cioè da nessuna parte dell'essere sopravvivente al defunto.

E' evidente che il nulla della morte è un nulla gnoseologico e non ontologico, un nulla che si riduce all'indefinito e quindi al campo della coscienza come pura possibilità, pure virtualità. Nell'interiorità del defunto si da lo stato di cose che è correttamente descritto dalla parola "nulla", questo stato di cose non si da da nessuna altra parte del mondo e in nessuna altra coscienza che sia di essere ancora vivente, quindi nella parola nulla c'è, quantomeno per i vivi che la pronunciano, la convinzione che l'interiorità, il campo di coscienza del defunto, esista: appunto il nulla è una tomba, un costrutto per eternizzare i defunti, e in certi casi anche per pensare che stiano "bene", e che anche noi stremo bene, quando staremo nel "nulla".

Il nulla assoluto come realtà materiale non si trova da nessuna parte nell'eternità spaziale e temporale del mondo prima e dopo di noi, quindi è evidente che il suo "essere", il suo eventuale "essere vero" è uno stato psicologico, un fatto di coscienza, e quindi quel nulla non riesce realmente ad annullare la coscienza, ma solo a farla precipitare nell'oblio, nell'indefinito. Oblio che anche nel senso comune del termine (il termine oblio per come è usato di solito) è il nulla solo-della-coscienza, e non di tutto l'essere.

Ovviamente la coscienza che percepisce il nulla è spersonalizzata, non è la coscienza di qualcuno, ma la coscienza che corrisponde perfettamente a quel nulla che percepisce, ma qui si tocca appunto il problema del soggetto, e mi vengono in mente i filosofi che hanno pensato le forme generiche universali e impersonali del pensare (principalmente Cartesio e Kant) o la verità come corrispondenza di soggetto e oggetto (principalmente Hegel).


Ma anche pensando a Parmenide, se accettiamo l'identità di di essere e pensiero, non possiamo non accettare anche l'inverso di questa proposizione, cioè che il nulla, in quanto opposto dell'essere, sia la differenza intercorrente tra essere e pensiero, stante che l'essere è l'identità, di essere e pensiero.

Il nulla è pensiero che è falso perché non pensa l'essere; il pensiero che non si riferisce all'essere e non lo pensa è il nulla, perché è l'impossibile forma vuota del pensiero, vuota di contenuti, di fatti, di percezioni, di voci, eccetera. I morti sono nel nulla, e quindi nella differenza-tra-essere-e-pensiero: essi o sono senza pensare, o pensano il non essere, la forma vuota del pensiero, due stati minimi possibili di soggettività che nel nulla concepito come differenza di essere e pensiero sono lo stesso: allora la loro anima è lo stato larvale, quello che sopravvive nell'ade come coscienza vuota, incosciente.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 21 Novembre 2019, 14:40:32 PM
Ciao Niko,
percepisco una grande passione nei tuoi interventi.

Tuttavia mi riesce difficile seguirti. Questa difficoltà dipende senz'altro anche dai miei limiti, ma ritengo vi sia pure dell'altro.

Poiché mi pare d'intravedere in cosa possa consistere quest'altra possibile causa, che rende difficile la comprensione almeno per me, provo qui a descriverla. Scusami sin d'ora se non ti troverai d'accordo.

Ho l'impressione che vi sia come uno scoglio dove s'infrangono le ondate della tua passione.
Questo scoglio consiste nel cercare di trattare l'assoluto come fosse relativo, e ciò non è possibile.

Bene hai fatto a introdurre il tuo ultimo discorso proponendo una definizione di Verità.
Perché è proprio lì, a mio avviso, lo scoglio. Ossia nel presupporre "ovvio" dover dare una definizione del Vero.

Perché una definizione è senz'altro utile, indispensabile, se rimaniamo nell'ambito dell'esserci mondano. Ossia se consideriamo ciò che in sostanza è necessariamente "relativo".
Ma se desideriamo rivolgerci all'assoluto, allora non c'è definizione che tenga.

Nel nostro esserci, il "vero" può benissimo essere inteso come:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

Ma ciò è valido rimanendo però sempre consapevoli che questa "verità" è pur sempre relativa, mai assoluta.
L'accordo e la coerenza sono sempre relativi, mai assoluti. Così come non esiste alcun dato o realtà oggettiva veri di per sé.
E che quel "senso assoluto" è solo un modo di dire.
Consapevoli, inoltre, di quel "ciò" che non può certo essere assoluto, essendo un qualcosa, e anche di quel "non può essere falso".

Difatti la verità, nell'esserci (ossia nel relativo), non consiste mai di una semplice affermazione, che non avrebbe alcun senso. Ma consiste nel suo continuo imporsi come negazione di ogni possibile falsità.
L'A = A, per esempio consiste nella negazione di ogni possibile non A. Una negazione che necessita di essere continuamente riconfermata.

Tuttavia, questa "verità" non può essere Assoluta.
Per la semplice ragione, che l'Assoluto non può avere legame di sorta.
Neppure la necessità di negare ciò che non è!

Può sembrare una questione di lana caprina... ma non lo è affatto!

Che sia invece sostanziale, lo possiamo intuire se ci spingiamo ai limiti del comprensibile.

Per esempio, cercando di pensare il Tutto, possiamo cogliere che il Tutto non può essere "qualcosa"!
Difatti il Tutto è... assoluto.

Se invece non si avverte il limite, in cui si infrange inevitabilmente la mente che vorrebbe raggiungere l'assoluto, il pensiero finisce immancabilmente per avvitarsi su se stesso.

Capitava a Kant. E capita pure nei tuoi scritti. E' l'onestà intellettuale, che non vuole ingannarsi, e cerca la Verità. Senza però avvertirne il limite. E così vi rimbalza inconsapevole e prende a girare su se stessa.

Spero di non aver turbato al tua sensibilità. Perché non era per niente mia intenzione.

Ti auguro ogni bene  
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Franco il 21 Novembre 2019, 16:29:19 PM
Citazione
CitazioneFranco (=F):

Non è forse la reciprocità di tale esperienza una traccia se non una prova della nostra eternità? 


Jacopus:

Direi di no. La capacità di "metterci nei panni degli altri", cohmpresi quelli funebri, fa parte della nostra architettura cerebrale, neuroni specchio, circuito dell'empatia, autoriflessivita'. Un cervello pertanto alquanto complesso, ma che non è collegabile al momento, ad una situazione di immortalità, se non nei termini della poesia o della religione.

F:

Il mio discorso è ben più complesso e non è stato avvistato da Jacopus. Che questo sia vero è indicato almeno dalla circostanza nella quale jacopus ritiene di avanzare un rilievo critico facendo subito e dunque essenzialmente uso del linguaggio metaforico. Il quale a ben considerare è proprio quello del quale si sostanzia quella dimensione poetica e religiosa pur da lui medesimo considerate come le "sole collegabili ad una situazione di immortalità". 

Ciò che ho inteso iniziare a discutere non è affatto qualcosa come la "capacità di mettersi nei panni altrui" nel senso della capacità di immedesimarsi nell'aspettativa della morte, - il che è l'unica interpretazione possibile della metafora, salvo pensare di potersi immedesimare in un nulla di coscienza come nulla del dopo morte -  bensì la certezza della coscienza della reciprocità della esperienza della morte e del defunto. Che una serie di cuori smetta di battere non equivale al rilevamento fenomenologico della morte della coscienza. Come già iniziato a dire, si fa esperienza della morte degli altri, ossia si fa esperienza ( = è un contenuto fenomenologico) del venir meno di una serie di eventi corporei, (della parola, del battito cardiaco, della funzione respiratoria...) ma non del venir meno della coscienza. 
Titolo: Re:La morte
Inserito da: niko il 21 Novembre 2019, 16:47:12 PM
Citazione di: bobmax il 21 Novembre 2019, 14:40:32 PM
Ciao Niko,
percepisco una grande passione nei tuoi interventi.

Tuttavia mi riesce difficile seguirti. Questa difficoltà dipende senz'altro anche dai miei limiti, ma ritengo vi sia pure dell'altro.

Poiché mi pare d'intravedere in cosa possa consistere quest'altra possibile causa, che rende difficile la comprensione almeno per me, provo qui a descriverla. Scusami sin d'ora se non ti troverai d'accordo.

Ho l'impressione che vi sia come uno scoglio dove s'infrangono le ondate della tua passione.
Questo scoglio consiste nel cercare di trattare l'assoluto come fosse relativo, e ciò non è possibile.

Bene hai fatto a introdurre il tuo ultimo discorso proponendo una definizione di Verità.
Perché è proprio lì, a mio avviso, lo scoglio. Ossia nel presupporre "ovvio" dover dare una definizione del Vero.

Perché una definizione è senz'altro utile, indispensabile, se rimaniamo nell'ambito dell'esserci mondano. Ossia se consideriamo ciò che in sostanza è necessariamente "relativo".
Ma se desideriamo rivolgerci all'assoluto, allora non c'è definizione che tenga.

Nel nostro esserci, il "vero" può benissimo essere inteso come:

"il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso"

Ma ciò è valido rimanendo però sempre consapevoli che questa "verità" è pur sempre relativa, mai assoluta.
L'accordo e la coerenza sono sempre relativi, mai assoluti. Così come non esiste alcun dato o realtà oggettiva veri di per sé.
E che quel "senso assoluto" è solo un modo di dire.
Consapevoli, inoltre, per quel "ciò" che non può certo essere assoluto, essendo un qualcosa, e anche per quel "non può essere falso".

Difatti la verità, nell'esserci (ossia nel relativo), non consiste mai di una semplice affermazione, che non avrebbe alcun senso. Ma consiste nel suo continuo imporsi come negazione di ogni possibile falsità.
L'A = A, per esempio consiste nella negazione di ogni possibile non A. Una negazione che necessita di essere continuamente riconfermata.

Tuttavia, questa "verità" non può essere Assoluta.
Per la semplice ragione, che l'Assoluto non può avere legame di sorta.
Neppure la necessità di negare ciò che non è!

Può sembrare una questione di lana caprina... ma non lo è affatto!

Che sia invece sostanziale, lo possiamo intuire se ci spingiamo ai limiti del comprensibile.

Per esempio, cercando di pensare il Tutto, possiamo cogliere che il Tutto non può essere "qualcosa"!
Difatti il Tutto è... assoluto.

Se invece non si avverte il limite, in cui si infrange inevitabilmente la mente che vorrebbe raggiungere l'assoluto, il pensiero finisce immancabilmente per avvitarsi su se stesso.

Capitava a Kant. E capita pure nei tuoi scritti. E' l'onestà intellettuale, che non vuole ingannarsi, e cerca la Verità. Senza però avvertirne il limite. E così vi rimbalza inconsapevole e prende a girare su se stessa.

Spero di non aver turbato al tua sensibilità. Perché non era per niente mia intenzione.

Ti auguro ogni bene  


Ho capito in che senso non sei d'accordo, ma non ho capito in che senso non hai capito o non mi segui..

Vuoi relativizzare la verità? Ma è quello che anche io sto cercando di dire da tre post:

Il nulla dove vai a finire dopo la morte, non è una verità del mondo o di chi sopravvive, ma una tua prospettiva, una tua verità: una verità che pertiene a te (a te persona generica che pensi di finire nel nulla, che pensi sia questo il tuo destino): nella memoria di chi sopravvive, e nel mondo, quel nulla non c'è! C'è solo l'essere! Si vuole che quel nulla esista, almeno come nulla? Allora si deve ammettere che una pur minima parte della coscienza del defunto sopravviva, per percepire quel nulla che non è da nessuna altra parte e non è percepito da nessun altro..

Nel mondo che ti sopravvive e che ti ha preceduto da sempre e per sempre, ci saranno degli esseri immateriali, esseri di coscienza o di memoria nella mente dei vivi, e degli esseri materiali, sassi, aria, fuoco, pianeti eccetera, ma non certo il nulla: il nulla nel mondo non c'è! E nemmeno nella coscienza altrui, dove con altrui intendo dei vivi, che hanno ancora rappresentazioni e ricordi del mondo materiale! Se c'è, può essere solo nella tua, di coscienza, che deve persistere come coscienza vuota, indeterminata, senza più contatti con gli altri e con il mondo materiale: coscienza di nulla.

In parole povere, quando nasci, si apre una finestra che ti fa vedere una (piccola) parte del mondo, quando muori, la finestra si chiude e non vedi più niente, ma quella non-visione pertiene forse al mondo? E' uno stato del mondo? Niente affatto, pertiene a te! è un tuo stato! E se hai uno stato e qualcosa che ti pertiene, paradossalmente non sei annientato... quel nulla funziona come nulla gnoseologico ma non come nulla ontologico, ti fa avere una corrispondenza tra te stesso, che sei soggetto nullo, e il nulla che ti fa da mondo, da oggetto di percezione, che è oggetto nullo, ma questa corrispondenza è un uno, una verità.

Quindi quel nulla che è il nulla della morte, o tu ci sei che lo inveri, che non percependo e non provando niente lo rendi vero almeno per te laddove non è vero per nessun altro, e allora non sei definitivamente annientato, o la vita è sempre stata un falso, una prospettiva su qualcosa di più complesso o di più semplice che vita non è, e allora quel nulla ne è la continuazione.

Relativizzare una verità significa dargli un luogo e una storia... qui la verità da relativizzare è la verità del nulla-della-morte o del nulla-dopo-la-morte, e appunto, quale altro luogo, e quale altro tempo, per questo nulla, nell'infinità di un mondo pregno e impenetrabile di essere, che non l'interiorità del defunto, che non è più nell'essere e non è più nel mondo? Una cosa che non è nel mondo, che non ha un corrispettivo nel mondo, può stare solo in un'interiorità, in un soggetto, questa cosa nella mia prospettiva corrispondentista della verità può essere solo un errore, ma allora il nulla è errore come lo è la vita, nel nulla la vita continua con altri mezzi..

Quale è l'errore le la semplificazione vera del mio discorso? E' che naturalmente per essere più chiaro e più spiccio ho considerato il nulla una sostanza come un altra, un qualcosa che può essere vero per alcuni e falso per altri, che si aggiunge all'essere e lo completa, e non un'orizzonte impossibile e inattingibile, non come l'impensabile. Ma si può arrivare alle stesse conclusioni anche supponendo che il nulla non esista: il nulla non esiste, quindi non può essere nemmeno un destino o un punto di arrivo, quindi neanche nella morte si va a finire lì. La morte è solo l'oblio, la morte della coscienza, ma una coscienza inattiva, vuota, può essere davvero considerata come inesistente? secondo me no, continua a esistere come possibilità, come virtualità. Ogni negazione è una determinazione, quindi anche la negazione della coscienza che consegue alla morte è una determinazione riferita all'indeterminato, un campo di coscienza che si ripropone come campo virtuale, vuoto, ma impalpabilmente sussistente.

Questa semplificazione è dovuta al fatto che a me interessa indagare soprattutto le condizioni psicologiche e umane che hanno portato a pensare il nulla come destino dopo la morte, non tanto la verità della questione in se. E' evidente, anche solo per esclusione, che un supposto nulla che non sta nel mondo, che non ha corrispettivo nel mondo è uno stato di coscienza (immaginato dai vivi o reale anche per i morti non importa), un qualcosa pertinente anche alla psicologia e all'antropologia: i vivi, (e solo alcuni di loro) hanno immaginato questo stato di coscienza, lo stato di coscienza del nulla in cui si troverebbe chi non è più cosciente, spesso senza vederne le contraddizioni e le implicazioni etiche: pensa che addirittura in questa discussione mi è stato detto che un'etica basata sul pensiero di un eterno ritorno è un fantasma e una paturnia, cioè milioni di persone non si rendono neanche vagamente conto di come anche un'etica -spesso edonistica, raramente titanica o eroica in altro senso- basata sulla brevità della vita e sulla verità epistemica della morte possa essere una paturnia, al vaglio del reale funzionamento della natura e della tecnica, che per me è l'unica verifica possibile di ogni etica.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: doxa il 21 Novembre 2019, 18:18:44 PM
Niko ha scritto
CitazioneSi vuole che quel nulla esista, almeno come nulla? Allora si deve ammettere che una pur minima parte della coscienza del defunto sopravviva, per percepire quel nulla che non è da nessuna altra parte e non è percepito da nessun altro..

Nel mondo che ti sopravvive e che ti ha preceduto da sempre e per sempre, ci saranno degli esseri immateriali, esseri di coscienza o di memoria nella mente dei vivi,

Non capisco perché una minima parte della coscienza del defunto debba sopravvivere per ammettere l'esistenza del "nulla".

Quando si muore non c'è traccia di coscienza nel defunto. Perciò cosa c'entra la coscienza con il nulla post mortem ?

Dici anche
Citazioneil nulla nel mondo non c'è
Ma cosa c'entra il mondo con l'aldilà ?

Chi ha una fede religiosa pensa di andare verso la beatitudine, chi non l'ha può immaginare diverse soluzioni conseguenti la morte, fra le quali il "nulla", perciò, scusami, ma non riesco a seguirti nelle tue lunghe elucubrazioni.

Ci riesci a contenere la tua opinione su questo tema nel massimo di 5 righi ?

Nell'ambito radiotelevisivo il bravo giornalista deve riuscirci.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 21 Novembre 2019, 18:21:39 PM
Citazione di: niko il 21 Novembre 2019, 16:47:12 PM
Quale è l'errore le la semplificazione vera del mio discorso? E' che naturalmente per essere più chiaro e più spiccio ho considerato il nulla una sostanza come un altra e non un'orizzonte impossibile e inattingibile.

Soluzione cui era arrivato Parmenide già due millenni e mezzo fa, che non si limita a dire: il non essere non è, ma mette in guardia dallo scrutarne troppo l'abisso, affermando la "necessità" di questo non essere del non essere in quanto "sentiero del tutto inaccessibile" ad aletheia, alla verità. Questa "necessità" ha un potenziale etico che gli evocatori di fantasmi troppo spesso ignorano.

CitazioneMa si può arrivare alle stesse conclusioni anche supponendo che il nulla non esista: il nulla non esiste, quindi non può essere nemmeno un destino o un punto di arrivo, quindi neanche nella morte si va a finire lì.

Il "quindi" sottolineato è aporetico. La morte è un destino del vivente, inclusa la sua psiche: si va a finire lì e si chiudono tutti i cerchi logici, ermeneutici e reali.

CitazioneLa morte è solo l'oblio, la morte della coscienza, ma una coscienza inattiva, vuota, può essere davvero considerata come inesistente? secondo me no, continua a esistere come possibilità, come virtualità.

La morte non è oblio: è proprio morte. Non c'è una coscienza inattiva, vuota: non c'è proprio più.

CitazioneOgni negazione è una determinazione, quindi anche la negazione della coscienza che consegue alla morte è una determinazione riferita all'indeterminato, un campo di coscienza che si ripropone come campo virtuale, vuoto, ma impalpabilmente sussistente.

Nessuno nega la morte. La morte è un fenomeno naturale oggettivamente dimostrabile. Quel campo di coscienza, come giustamente prosegui, non è riferito al morto ma al vivo che si fa delle idee sull'indeterminato del post mortem. Ma anche qui non farei troppe ipotesi su quell'indeterminatezza dato il suo grado assai basso di relatività, visto che tutti i test sui cadaveri e le loro coscienze defunte lasciano poco spazio all'indeterminazione.  

Citazionequesta semplificazione è dovuta al fatto che a me interessa indagare soprattutto le condizioni psicologiche e umane che hanno portato a pensare il nulla come destino dopo la morte, non tanto la verità della questione in se.

Avessimo seguito il monito di Parmenide ci saremmo sgravati dal nulla e da tutte le paturnie correlate. Ma l'illusionalità umana è fatalmente attratta dall'abisso. E l'abisso ha guardato dentro di noi (cit.)

CitazioneE' evidente, anche solo per esclusione, che un supposto nulla che non sta nel mondo, che non ha corrispettivo nel mondo è uno stato di coscienza (immaginato dai vivi o reale anche per i morti non importa), un qualcosa pertinente anche alla psicologia e all'antropologia: i vivi, (e solo alcuni di loro) hanno immaginato questo stato di coscienza, lo stato di coscienza del nulla, spesso senza vederne le contraddizioni e le implicazioni etiche:

Questi pensieri sono alquanto confusi. Concordo sul fatto, ma non so se corrisponda a ciò che intendi dire, che la coscienza metafisica del nulla ha contraddizioni portatrici anche di implicazioni etiche.

Citazionepensa che addirittura in questa discussione mi è stato detto che un'etica basata sul pensiero di un eterno ritorno è un fantasma e una paturnia, cioè milioni di persone non si rendono neanche vagamente conto di come anche un'etica -spesso edonistica, raramente titanica o eroica in altro senso- basata sulla brevità della vita e sulla verità epistemica della morte possa essere una paturnia, al vaglio del reale funzionamento della natura o della tecnica, che per me è l'unica verifica possibile di ogni etica.

Anche qui non colgo i fili del ragionamento. Vedo di intuirne il senso a partire dalla citazione nicciana, ma tralasciando l'eterno ritorno che non è la soluzione del problema, ma una metafora di essa.

La soluzione sta nella creazione di valori radicati nel reale della vita umana così persuasivi, ovvero veridici in senso parmenideo, da risollevare il bradisismo valoriale subentrato alla "morte di Dio", riuscendo a competere, in meglio, col bagaglio valoriale perduto. In cui, giustamente come affermi, l'unico ethos persuasivo sia da ricercarsi nella dialettica in divenire - anche Eraclito ha la sua parte - tra physis e techne.

(chiedo scusa a bobmax se mi sono frapposta. Condivido la sua critica di fondo al modus operandi di niko e il bersaglio individuato. Non altrettanto, temo, potrò condividere le risposte alle questioni poste. Ma è bello così: sentire tutte le campane.)
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 21 Novembre 2019, 21:44:16 PM
@Niko
 
Non ti seguo proprio perché vuoi relativizzare la Verità.
Cioè appiattisci tutto all'esserci, anche ciò che può avere soltanto un significato metafisico.
 
Essere e Nulla, per esempio, alludono entrambi all'Assoluto, alla sua possibile ambivalenza, ma non hanno alcun significato nel nostro esserci mondano.
Noi diciamo "essere" ma intendiamo "esserci"!
Così come diciamo "nulla" ma intendiamo "non esserci".
 
Perché siamo sempre a valle della scissione soggetto/oggetto. E a valle di questa scissione è esserci. Mentre dell'Essere, ossia a monte della scissione, non sappiamo proprio un bel niente. L'Essere infatti equivale al Nulla.
 
Ora mi pare evidente dal tuo discorso che con nulla tu intendi il non esserci di qualcosa che "avrebbe potuto" esserci.
Di modo che tutto il tuo discorso resta appiattito sull'immanenza. Che è la composizione inestricabile di esserci e non esserci.
Magari parli di essere e nulla, ma intendi sempre esserci e non esserci.
 
In questo modo non riesci evidentemente ad avvertire l'assurdità della famosa domanda: "Perché c'è qualcosa e non piuttosto il nulla?".
Che non è affatto fondamentale come si è voluto far credere, è infatti una domanda vuota. Perché dà per scontato il significato di qualcosa e di nulla, ossia esserci e non esserci, e poi si pone la questione!
Ma è una questione finta!
E così si perde completamente la profondità metafisica che si cela dietro il Nulla.
 
Allo stesso modo, quando affermi: "Il nulla nel mondo non c'è!" non è che una frase vuota, perché intendi: non esserci = non c'è. Ma il non esserci è proprio il non c'è!
 
Vedi come il pensiero si contorce su se stesso?
Ciò avviene perché s'illude di comprendere. Mentre non vi è proprio niente che si possa "prendere"!
 
Ben diverso è l'approccio metafisico.
Dove, affermare: "Il Nulla non c'è!" può essere denso di significato.

Ma in quanto non siamo più mero esserci!
Ossia consapevoli del limite, per cui possiamo pure affermare "L'Essere non c'è!" con la stessa intensità.
Perché avvertiamo come l'Essere sia oltre la dicotomia esserci-non esserci. Cioè oltre la scissione originaria soggetto/oggetto.
 
(Non so Ipazia se condividi questa mia replica, ma anche se ciò non fosse, mi sa che non siamo poi tanto distanti uno dall'altra...)
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 21 Novembre 2019, 22:17:22 PM
Vedi bobmax io posso anche scientemente annullare il mio io e sentirmi parte di un Tutto che potrebbe essere anche Nulla, ma sono certa, al punto di giocarmi la testa che non avrò più, che questo esercizio mentale lo posso fare finchè ci sono, mentre non lo potrò più fare quando non ci sarò più.

Tu puoi anche dire che va bene così, che l'importante è arrivarci metafisicamente. A me non basta, dovrei arrivarci anche fisicamente. Al che tu risponderai che il metafisicamente basta e avanza e il fisicamente è un inganno dell'io. Ma ugualmente non mi convinceresti.

Resto pertanto legata al mio io e al mio esserci, e quando non ci sarò più il Nulla/Tutto/bobmax potrà anche dirmi: "lo vedi che avevo ragione !". Ma poiche io non ci sarò, non potrò nemmeno dargli la soddisfazione di rispondere: "Sì".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 21 Novembre 2019, 22:47:12 PM
Ma Ipazia, anche se comparisse Dio e mi dicesse: "Hai ragione!" non sarebbe comunque sufficiente...
 
Perché subito mi chiederei: "...Siamo certi che intendiamo la stessa cosa? E poi siamo sicuri che si tratti proprio di Dio? E se davvero lo è, come posso esserci ancora io?"
 
Insomma, ciò che conta è percepire il limite.
 
Poi non c'è ragione che tenga. Occorre fare il salto.
 
E il salto è sempre in una direzione: l'Amore.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Hlodowig il 22 Novembre 2019, 02:39:42 AM
Oppure, più semplicemente, il tentativo di comprenderne e concepirne da se stesso e per se stessa. (o/e viceversa)

La morte e di conseguenza, l' esistenza nelle sue innumerevoli forme, ne è il mezzo e ne è il prezzo.

Grazie ✋
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 22 Novembre 2019, 05:35:02 AM
Citazione di: Hlodowig il 22 Novembre 2019, 02:39:42 AM
Oppure, più semplicemente, il tentativo di comprenderne e concepirne da se stesso e per se stessa. (o/e viceversa)

La morte e di conseguenza, l' esistenza nelle sue innumerevoli forme, ne è il mezzo e ne è il prezzo.

Grazie ✋

Ritengo sia molto probabile.

La morte ne è il prezzo.

Ma è pure possibile vi sia qualche sconto anche in vita... :)
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 22 Novembre 2019, 07:18:11 AM
Citazione di: bobmax il 21 Novembre 2019, 22:47:12 PM
Ma Ipazia, anche se comparisse Dio e mi dicesse: "Hai ragione!" non sarebbe comunque sufficiente...

Perché subito mi chiederei: "...Siamo certi che intendiamo la stessa cosa? E poi siamo sicuri che si tratti proprio di Dio? E se davvero lo è, come posso esserci ancora io?"

Insomma, ciò che conta è percepire il limite.

L'immanenza. Che funziona così, è dialettica, lo so:

"Difatti la verità, nell'esserci (ossia nel relativo), non consiste mai di una semplice affermazione, che non avrebbe alcun senso. Ma consiste nel suo continuo imporsi come negazione di ogni possibile falsità.
L'A = A, per esempio consiste nella negazione di ogni possibile non A. Una negazione che necessita di essere continuamente riconfermata."

Ma ha anche in sè la proprietà di saltare...

CitazionePoi non c'è ragione che tenga. Occorre fare il salto.

Trascendentale. Nella direzione ...

CitazioneE il salto è sempre in una direzione: l'Amore.

... dell'amor fati: il punto più alto della riflessione nicciana. L'unico artificio che può chiudere ermeneuticamente il cerchio dell'eterno ritorno e partorire - dal Chaos o da Dike, non importa (e forse non lo sapremo mai) - la sua stella danzante. Amor fati che può trascendere la ferinità del Wille zur Macht dilatando il cerchio stesso dell'eterno ritorno. Come è stato e come sarà. Amen.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 22 Novembre 2019, 16:54:35 PM
Tuttavia, Ipazia, in che termini l'amor fati può essere considerato "il punto più alto della riflessione nicciana"?
 
Secondo me, solo come necessaria conclusione del pensiero nichilista.
 
Un pensiero cioè che s'immagina di cercare la Verità, ma che invece è implicitamente convinto di conoscerla già dall'inizio della ricerca stessa!
Perché incomincia a riflettere avendo già ben chiari e "certi" i presupposti. E questi presupposti sono per esso l'implicita Verità da cui tutto discende.
 
La grandezza di Nietzsche è infatti, a mio parere, questo voler portare il pensiero razionale fino alle sue estreme conseguenze. Quindi con coraggio, passione, ma non certo con particolare lungimiranza...
Perché date certe premesse, se si mantiene fermo il pensiero, senza permettergli di scartare di qua e di là, le conclusioni sono inevitabili.
 
E le premesse sono in sostanza l'io, il divenire e l'oggettività in sé.
 
Premesse che lo stesso Nietzsche ha senz'altro percepito, in più occasioni, non essere del tutto affidabili. Un dubbio che tuttavia non ha ascoltato, forse per il timore di auto ingannarsi.
 
Così abbiamo, con l'amore per il destino, il trionfo dell'io. Un io che seppur svuotato affronta impavido il divenire.
 
Se viceversa, mettiamo in forse ogni presupposto, non abbiamo più amore per il destino ma il destino espressione dell'Amore.

Dove non vi è più un io, ma Compassione.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 22 Novembre 2019, 18:34:41 PM
La compassione non manda avanti il mondo. Sono miliardi di laboriosi io a farlo. La parte trascendentale umana è un optional che serve a far funzionare meglio quella immanente fornendola di motivazioni, di senso. FN "sentiva" dove doveva andare a parare perchè vi è una sola alternativa all'immanenza: l'olocausto. Che prima o poi arriverà, ma almeno ci saremo rimboccati le maniche per posticiparlo.  Finchè le contraddizioni sanguinose di troppe bocche da sfamare non faranno deflagrare tutto.

FN ha fornito strumentario filosofico per una spiritualità atea in un mondo rimasto orfano dei numi. L'amor fati chiude coerentemente il cerchio dell'immanenza e le permette di riciclarsi. Per questo è il punto più alto di quel pensiero. Se l'eterno ritorno dell'immanenza si arresta, si spegne la luce per tutti, trascendenti compresi.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Jean il 22 Novembre 2019, 18:58:40 PM
Citazione di: Phil il 19 Novembre 2019, 19:10:18 PM
Mi permetto di parassitare inadeguatamente i versi di Jean:

«C'è un segno che distingue l'ombra dalla luce
un segno che separa il fiume dalla sponda,
un altro rende il senso quando ti traduce
in parola scritta il mister che ti circonda»
e pare allora che il trambusto si riduce
al mite silenzio in cui tutto sprofonda.

«Ampio come fiume, sottile qual capello
il vento lo cancella e l'acqua lo scolpisce
pur se l'ama, come statua il suo scalpello
cui deve la forma che il pubblico stupisce»
ammaliata folla accalcata in gran ostello
la cui permanenza come inizia, così finisce.

«L'imago vede il marmoreo manufatto
cinto qual corona da innumerosi tocchi
a trar la vita mentre il blocco vien disfatto
e infin uscirne dall'iride degli occhi»
che misterioso è l'autore d'ogni impatto,
come se l'ignoto fosse in cerca di balocchi.

«Anche c'è un segno quando s'appressa il tempo
per quelli che cercano la rima di chiusura,
chi avanti di gettar la lega nello stampo
l'abbia ben pulito per bloccare la morsura»
chi percorre assorto il suo ultimo campo
per dar vita al perenne ciclo della natura.

«Orbene questa traccia ci lega tutti quanti
qual filo dell'ordito sul qual cresce la trama
di magici color che lo spazio tien distanti
intanto che la notte affilerà la lama»
e se ci vorran giorni, anni, oppure istanti,
c'accoglierà l'abbraccio della paziente dama.

«Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto
ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,
se v'è inizio e fine allora non è vuoto,
se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo»
e se restiamo muti e indugiamo un poco,
sarà nell'attesa il senso che cerchiamo?

Mio caro Phil, onorato d'aver stimolato la vena creativa ch'è in te, rifuggo la parola "parassita" per sostituirla con "simbiosi".
Ed invero nel legger le tue gradite rime mi son accorto che due miei versi non erano di 14 sillabe (come son tutti).
Così mi hai fatto un piacere, potendo rimediar la situazione... e visto che c'ero ho rimaneggiato un po' i tuoi nella cadenza, portandoli anch'essi a 14 sillabe (correggendo una rima).
Questo è il risultato della nostra simbiosi... scriver della morte sfiorandola con grazia...
 

C'è un segno che distingue l'ombra dalla luce
un segno che separa il fiume dalla sponda,
un altro rende il senso quando ti traduce
in parola scritta il mister che ti circonda
e par allora che il trambusto si riduce
al mite silenzio in cui tutto sprofonda.
 
Ampio come fiume e sottile qual capello
il vento lo cancella e l'acqua lo scolpisce
pur se l'ama, come la statua lo scalpello
cui deve la forma che il pubblico stupisce,
ammaliata folla accalcata nell'ostello
il cui permaner s'inizia e poi finisce.
 
L'imago vede il marmoreo manufatto
cinto qual corona da innumerosi tocchi
a trar la vita mentre il blocco vien disfatto
e infin uscirne dall'iride degli occhi
che misterioso è l'autore dell'impatto,
quasi l'ignoto fosse in cerca di balocchi.
 
Anche c'è un segno quando s'appressa il tempo
per quelli che cercano la rima di chiusura,
chi avanti di gettar la lega nello stampo
l'abbia ben pulito per bloccare la morsura,
chi percorre assorto l'ultimo suo campo
per dar vita al perenne ciclo di natura.
 
Orbene questa traccia ci lega tutti quanti
qual filo dell'ordito sul qual cresce la trama
di magici color che lo spazio tien distanti
intanto che la notte affilerà la lama.
Se ci vorranno giorni, anni oppur istanti,
c'accoglierà l'abbraccio della paziente dama.
 
Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto
ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,
se v'è inizio e fine allora non è vuoto,
se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo.
Ma nel restare muti ed indugiar nel moto
sarà in quell'attesa il senso che cerchiamo?


 
Cordialement
Jean
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Caro Jean
contraccambio il saluto.

Sì,la tua bella poesia ha similitudine. Soprattutto l'ultima quartina
Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto

ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,

se v'è inizio e fine allora non è vuoto,

se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo.

Il primo mistero è da dove veniamo per nascere e non intendo l'aspetto fisico materiale.
Veniamo forse da un nulla, da un niente?
Essendo gettati nel mondo e non ne abbiamo ricordo, a meno che si creda alla metampsicosi
e qualcuno sappia raccontare di esistenze precedenti, e anche qui è un mistero........., noi guardiamo al dopo, al fatal destin.
Mi sembra del tutto logico chiedersi che l'esistenza fisica in sé e per sé non racchiuda verità, siamo attimi rispetto ai grandi cicli universali. Fermarsi all'esistenza in sé e per sé, non dà un senso, un percorso, una significazione, almeno dal punto di vista logico.
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?
Non c'è giudizio, non c'è verità........e intanto le logiche universalicon i suoi cicli  continuavano prima di noi e continueranno dopo noi.

Sì, è un "gioco" di richiami.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 23 Novembre 2019, 09:40:16 AM
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?

Questo è il peccato originale della filosofia che ha sostituito alla vita l'idea, riducendo la vita (comprensiva della morte) all'idea della vita (e all'esorcismo della morte). FN l'aveva capito, ma era umano troppo umano maschile per venirne fuori. E la vita, si sa, è femmina, fin dalle origini. Come ben sapevano i nostri neolitici antenati che incarnarono la trascendenza nella dea madre e pure i greci più antichi che la identificarono in Gea. Ma poi la popolarono di fantasmi divini e idee umane.

Da Platone in poi questa cattiva filosofia (tutt'altro che aria fritta perchè ha plasmato l'universo antropologico così come l'abbiamo preso in eredità) è divenuta inarginabile ed ha continuato a dibattersi nella campana di vetro dell'Essere, divenuto enigma insolubile una volta privato del suo supporto materiale reale, malamente rattoppato nell'esserci che non redime perchè il peccato originale continua ad agirlo. Insieme con la vexata quaestio del superamento o meno della metafisica. Altrettanto insolubile finchè si cerca il superamento solo nell'Idea, nella trascendenza. E nelle idee che la agitano, come canne al vento in un deserto inospitale. Ha ragione bobmax a chiamare in causa l'amore; ma quale amore ?
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 23 Novembre 2019, 16:32:11 PM
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?
Se non si deve esserlo per il minaccioso giudizio del tribunale celeste, si può esserlo per salvarsi dai tribunali terrestri; per tutto ciò che non è giudicato da tali tribunali (consuetudini, piccoli gesti, etc.) vale anche la domanda al contrario: «perché non essere virtuosi, morali, etici se... etc. ?».

L'ambiguo motto dostoevskiano (di cui si è già discusso) non tiene apparentemente presente il contesto umano: se fossimo nella giungla, tutto sarebbe lecito e vigerebbe la legge animale del più forte; tuttavia siamo, quasi tutti, abitanti di società legiferate e socialmente strutturate: se decidiamo di non comportarci in modo virtuoso, morale, etc. sappiamo già quali sono i rischi e gli eventuali benefici pre mortem (come quando chiediamo o meno la fattura per un servizio ricevuto); pur in assenza di valori religiosi, ci sono valori comuni nella società, nella cultura di ogni popolo, riflettendo sui quali ciascuno può compiere le sue scelte, senza necessariamente pensare al post mortem.
Che cosa ci sia dopo la morte è certamente rilevante per i credenti, ma resta eloquente il fatto che la maggior parte dei non credenti, in risposta alla tua domanda, pur confidando nell'assenza di giudizio divino post mortem, non tendano per questo a lasciarsi andare spensieratamente alle peggiori nefandezze, sebbene persuasi che
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Non c'è giudizio, non c'è verità........e intanto le logiche universalicon i suoi cicli  continuavano prima di noi e continueranno dopo noi.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 23 Novembre 2019, 16:55:20 PM
Citazione di: paul11
Veniamo forse da un nulla, da un niente?
Essendo gettati nel mondo e non ne abbiamo ricordo, a meno che si creda alla metampsicosi
e qualcuno sappia raccontare di esistenze precedenti, e anche qui è un mistero........., noi guardiamo al dopo, al fatal destin.
Mi sembra del tutto logico chiedersi che l'esistenza fisica in sé e per sé non racchiuda verità, siamo attimi rispetto ai grandi cicli universali. Fermarsi all'esistenza in sé e per sé, non dà un senso, un percorso, una significazione, almeno dal punto di vista logico.
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?

Ma noi siamo già ora nulla.

E non lo vogliamo ammettere, soprattutto a noi stessi.

Perché ci siamo persi in questo esserci, e lo abbiamo scambiato per la realtà, l'unica realtà...
E invece la realtà è il Nulla.

Solo nell'istante in cui tutto l'esserci si trasfigura, e si mostra per quello che è: l'amato, affiora in noi la consapevolezza di essere Nulla.

Ogni cosa si mostra allora nella sua veracità: manifestazione dell'Amore assoluto.

Al di là dell'esserci e non esserci, noi siamo Nulla, e allo stesso tempo Tutto.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 23 Novembre 2019, 20:17:37 PM
Citazione di: bobmax il 23 Novembre 2019, 16:55:20 PM
Solo nell'istante in cui tutto l'esserci si trasfigura, e si mostra per quello che è: l'amato, affiora in noi la consapevolezza di essere Nulla.

Ogni cosa si mostra allora nella sua veracità: manifestazione dell'Amore assoluto.

Al di là dell'esserci e non esserci, noi siamo Nulla, e allo stesso tempo Tutto.

In effetti in sala parto accade qualcosa di simile. Ma bisognerebbe ripartire da lì. Anche in filosofia.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 24 Novembre 2019, 00:31:58 AM
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2019, 09:40:16 AM
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?

Questo è il peccato originale della filosofia che ha sostituito alla vita l'idea, riducendo la vita (comprensiva della morte) all'idea della vita (e all'esorcismo della morte). FN l'aveva capito, ma era umano troppo umano maschile per venirne fuori. E la vita, si sa, è femmina, fin dalle origini. Come ben sapevano i nostri neolitici antenati che incarnarono la trascendenza nella dea madre e pure i greci più antichi che la identificarono in Gea. Ma poi la popolarono di fantasmi divini e idee umane.

Da Platone in poi questa cattiva filosofia (tutt'altro che aria fritta perchè ha plasmato l'universo antropologico così come l'abbiamo preso in eredità) è divenuta inarginabile ed ha continuato a dibattersi nella campana di vetro dell'Essere, divenuto enigma insolubile una volta privato del suo supporto materiale reale, malamente rattoppato nell'esserci che non redime perchè il peccato originale continua ad agirlo. Insieme con la vexata quaestio del superamento o meno della metafisica. Altrettanto insolubile finchè si cerca il superamento solo nell'Idea, nella trascendenza. E nelle idee che la agitano, come canne al vento in un deserto inospitale. Ha ragione bobmax a chiamare in causa l'amore; ma quale amore ?
E dovrei forse essere un ingenuo e illuso che crede di venire dalla polvere e andrà in polvere e calpesta quindi polvere e la sua vita è polvere?
Il materialismo e il naturalismo lo lascio a chi ha fatto della propria coscienza un orpello su un corpo fisico
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Sariputra il 24 Novembre 2019, 01:35:17 AM
La vita se ne sta nella morte quasi come una piccola isola all'interno di un mare che pare oscuro. Indagare questo, compito del marinaio umano, sia pure posto sugli orli o sulle cinture delle maree, è vera scienza, rispetto alla quale tutta la fisica e la tecnica non sono che bagatelle, trastulli d'animali.
Se superassimo questa volgarità in sembianze di bontà, celata in asettiche grida che si perdono in vuoti indifferenti, avremmo un'immagine diversa dell'uomo. Ma il tedio e la noia corrompono tutto e così non facciamo che correre su e giù lungo la sponda...
Alcuni, pochi, troppo nobili per assecondare la volgarità della vita o semplicemente troppo stanchi per combatterla, cercano il bianco, la solitudine. La nobiltà di questi esseri, che si puliscono con la luce dal sudiciume, risalta in maniera meravigliosa sulla loro maschera mortuaria o nelle foto lavate dalla pioggia su lapidi abbandonate.
Così che, anche se passi forestiero e di fretta, improvvisamente ti colgono..e ti fermi impietrito ad osservarle. Qualcosa nei volti ti parla e ti chiama. Così assapori la loro essenza al di là della morte, e la tua comunanza con loro. Sono volti o maschere in cui l'amore è divenuto un riflesso, reso opaco dal tempo.
Questa impressione è così forte che, talvolta, mi muove al pianto. Un'essenza densa impregna queste immagini. Quasi come sembianze primordiali che ci diventano nuovamente presenti in una specie di gioco magico. Un senso di vertigine ci coglie, mentre cadiamo in quest'aura, che però zampilla come fontana.
Assai atroce, davvero, è l'eterno divenire. Sempre di nuovo e di nuovo scorre, nello spazio ghiacciato, in una monotona ripetizione, in una canzone glaciale, questo morire grigio, demoniaco, senza alcuna sublimazione, senza riflesso...senza alcuna consolazione.
Ehi, marinaio!..Quando salpa la nave per l'altra riva?..
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 24 Novembre 2019, 10:24:26 AM
Citazione di: paul11 il 24 Novembre 2019, 00:31:58 AM
E dovrei forse essere un ingenuo e illuso che crede di venire dalla polvere e andrà in polvere e calpesta quindi polvere e la sua vita è polvere?

No di certo ! Puoi accedere ad un'illusione di ordine superiore. Soprannaturale e post mortem si prestano alla perfezione a tale esercizio. Nulla ė più democratico ed equamente ripartito dell'illusione. A ciascuno la sua. 

CitazioneIl materialismo e il naturalismo lo lascio a chi ha fatto della propria coscienza un orpello su un corpo fisico

E fai bene. Perchè mai accontentarsi di una coscienza polverosa quando la medesima coscienza dispone di un immaginario capace di superare i confini di Apeiron per giungere alla chiara, adamantina, luce del vuoto ?

Polvere e sudiciume lasciamoli al materialismo e naturalismo, del quale tutt'al più ci serviremo per inventare quelle maschere mortali che consolano e deliziano i superstiti nello struggente Departures di Yojiro Takita. Arte, orpello ? Chissà.

A noi polverosi e sudici mortali non resta che l'illusionale consolazione che un poeta affidò alla sua musica in versi: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 24 Novembre 2019, 11:20:37 AM
Ciò che noi vediamo, percepiamo, sentiamo, odoriamo, tocchiamo...cioè quella che noi definiamo "realtà" e che abbiamo davanti agli occhi e nella quale ci muoviamo è, a tutti gli effetti, una costruzione del nostro cervello di cui siamo totalmente inconsapevoli. E' il nostro cervello che ci fa percepire la realtà come fatta da una collezione di oggetti distinti e separati che si muovono nello spazio-tempo....che "nascono", "vivono" e poi "muoiono". Noi pensiamo che questa "realtà" sia reale...ma è solo una "realtà virtuale" costruita dal nostro cervello in cui noi siamo inseriti...come se fosse un videogame.

Il nostro cervello elabora segnali bio-elettrici che provengono dai nostri sensi e dal nostro sistema nervoso periferico. E costruisce nella nostra mente ciò che noi chiamiamo "realtà". In questo videogame costruito dal nostro cervello le cose "nascono", "crescono" e "muoiono".
Tutti i nostri pensieri, le nostre motivazioni, le nostre azioni nascono all'interno di questo videogame che esiste tutto e solo nella nostra testa. Noi pensiamo di agire "consapevolmente"....ma in realtà stiamo agendo all'interno di una realtà virtuale costruita dal nostro cervello e che esiste solo e tutta nella nostra testa e, di questo fatto, siamo totalmente inconsapevoli.

Al di là della realtà virtuale costruita dal nostro cervello...all'interno della quale esiste il nostro IO, i nostri pensieri, le nostre filosofie, le nostre fedi, la nostra gioia, la nostra sofferenza, le nostre paure, i nostri desideri e tutto il resto....esiste la realtà REALE che segue logiche del tutto diverse e della quale noi non siamo consapevoli perchè il nostro cervello non la capta e non la percepisce.

Quindi....noi non siamo consapevoli del fatto che la realtà che percepiamo con i nostri sensi è solo una "realtà virtuale" - un videogame - costruito dal nostro cervello e che esiste solo e tutta nella nostra testa...e pensiamo che tutto ciò che viviamo in questo videogame sia reale. E, inoltre, non siamo consapevoli nemmeno del fatto che, al di là di questa "realtà virtuale" creata dal nostro cervello, esiste una realtà REALE che segue logiche del tutto diverse che il nostro cervello non percepisce e non può percepire, ma che è, a tutti gli effetti, la vera e unica realtà esistente.

Comprendere questo dualismo è il primo passo verso la consapevolezza.
Poichè ci consente di porci due domande:
1- che cos'è la realtà virtuale (in cui esiste la "morte") creata dal nostro cervello e quali sono le dinamiche che la regolano? Come vivo io dentro questa realtà virtuale?
2- che cos'è la realtà REALE che esiste al di là del nostro cervello e quali sono le dinamiche che la regolano? Si può vivere in questa realtà REALE se si trova al di là di ciò che il nostro cervello riesce a percepire?

Questa è la vera e unica questione: comprendere e diventare consapevoli del dualismo della "caverna di Platone".
Tutto il resto è "aria fritta".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 24 Novembre 2019, 11:21:57 AM
Citazione di: Phil il 23 Novembre 2019, 16:32:11 PM
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?
Se non si deve esserlo per il minaccioso giudizio del tribunale celeste, si può esserlo per salvarsi dai tribunali terrestri; per tutto ciò che non è giudicato da tali tribunali (consuetudini, piccoli gesti, etc.) vale anche la domanda al contrario: «perché non essere virtuosi, morali, etici se... etc. ?».

L'ambiguo motto dostoevskiano (di cui si è già discusso) non tiene apparentemente presente il contesto umano: se fossimo nella giungla, tutto sarebbe lecito e vigerebbe la legge animale del più forte; tuttavia siamo, quasi tutti, abitanti di società legiferate e socialmente strutturate: se decidiamo di non comportarci in modo virtuoso, morale, etc. sappiamo già quali sono i rischi e gli eventuali benefici pre mortem (come quando chiediamo o meno la fattura per un servizio ricevuto); pur in assenza di valori religiosi, ci sono valori comuni nella società, nella cultura di ogni popolo, riflettendo sui quali ciascuno può compiere le sue scelte, senza necessariamente pensare al post mortem.
Che cosa ci sia dopo la morte è certamente rilevante per i credenti, ma resta eloquente il fatto che la maggior parte dei non credenti, in risposta alla tua domanda, pur confidando nell'assenza di giudizio divino post mortem, non tendano per questo a lasciarsi andare spensieratamente alle peggiori nefandezze, sebbene persuasi che
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Non c'è giudizio, non c'è verità........e intanto le logiche universalicon i suoi cicli  continuavano prima di noi e continueranno dopo noi.
Ti risulta che appunto lo Stato ammanetti con morali e sanzioni con sorrisi?
Di quali valori stiamo cianciando? Quelli nelle casseforti, nei paradisi fiscali, nei conti cifrati,
l'oro nelle cassette di sicurezza? Questi meschini personaggi privilegiati che hanno potere e denaro credono nel materialismo naturalismo e relativismo .
Quegli ignoranti antichi,soppiantati da quella straordinaria cultura che iniziò nella modernità e decade nella contemporaneo, già sapevano dell'ambiguità umana: da una parte materialismo e naturalismo e dall'altra morale. Non ci sono vie di mezzo, o meglio, rimane l'ambiguità del comportamento umano e oggi vince. Aristotele nel trattato "Politica" scriveva che vi sono tre servitù: di famiglia, il figlio verso il padre; economico, il servo verso il padrone; di guerra, il vinto verso il vincitore. E' forse cambiato qualcosa nella nostra santa civiltà attuale?

Gli onesti e tutti coloro che tirano a campare e sorreggono materialmente, naturalisticamente quei meschini che hanno potere e denaro, in termini sociali, devono sapere che fanno il loro gioco. Ma la cultura,daccapo, li ha sottomessi inculcandogli che la vita è un conto corrente :dare e avere. Se vuoi avere bisogna sottomettersi alla legge del branco, che significa prostrarsi a novanta gradi e dire signorsì,perchè il potente ha ragione anche se dice scempiaggini. Perdere la propria dignità per avere briciole consumistiche materiali? E questa è una società morale?
Della coscienza si è fatto orpello indimostrabile nella cultura scientista dove dimostrabile è ciò che è dato agli occhi e così hanno ridotto la cultura ad un nonvedente.
La menzogna non è più immorale, è tattica e strategia; l'ipocrisia non è immorale, è equilibri sottili di continui compromessi; l'onesto, il probo, sono solo strumenti per i loro fini, essendo mansueti al loro cinismo meschino che fiuta potere e denaro.

Non bisogna porselo il problema di cosa viene prima di un vagito e cosa venga dopo il rantolo, così abbiamo enfatizzato la polvere, la materia, il denaro, il potere.
E intanto il dubbio rode l'umano quando vede la morte altrui e avvicinarsi al propria.

Buon per te se non ci sarà un tribunale celeste, perchè la regola della terra da sempre è potere e denaro e non è degli umani la Giustizia che non è la legge.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 24 Novembre 2019, 11:31:31 AM
Un saggio indiano che di notte sognava di essere una farfalla rimase perennemente nel dubbio se era un saggio che di notte sognava di essere una farfalla o una farfalla che di giorno sognava di essere un saggio. Non si dice come la storia vada a finire ma, nella sua saggezza, suppongo che abbia cercato di vivere al meglio sia la sua condizione giornaliera di saggio che quella notturna di farfalla. E il dualismo si sciolse in un ... puff.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 24 Novembre 2019, 11:36:51 AM
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2019, 11:31:31 AM
Un saggio indiano che di notte sognava di essere una farfalla rimase perennemente nel dubbio se era un saggio che di notte sognava di essere una farfalla o una farfalla che di giorno sognava di essere un saggio. Non si dice come la storia vada a finire ma, nella sua saggezza, suppongo che abbia cercato di vivere al meglio sia la sua condizione giornaliera di saggio che quella notturna di farfalla. E il dualismo si sciolse in un ... puff.
Anche il bambino che fa i capricci "pensa" di vivere al meglio la sua condizione di bambino.
Poi, però, qualcuno diventa anche adulto....e sorride pensando al "sè" bambino che faceva i capricci.
Lo so....diventare adulti è una opzione non valida per tutti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 24 Novembre 2019, 11:37:32 AM
Citazione di: bobmax il 23 Novembre 2019, 16:55:20 PM
Citazione di: paul11
Veniamo forse da un nulla, da un niente?
Essendo gettati nel mondo e non ne abbiamo ricordo, a meno che si creda alla metampsicosi
e qualcuno sappia raccontare di esistenze precedenti, e anche qui è un mistero........., noi guardiamo al dopo, al fatal destin.
Mi sembra del tutto logico chiedersi che l'esistenza fisica in sé e per sé non racchiuda verità, siamo attimi rispetto ai grandi cicli universali. Fermarsi all'esistenza in sé e per sé, non dà un senso, un percorso, una significazione, almeno dal punto di vista logico.
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?

Ma noi siamo già ora nulla.

E non lo vogliamo ammettere, soprattutto a noi stessi.

Perché ci siamo persi in questo esserci, e lo abbiamo scambiato per la realtà, l'unica realtà...
E invece la realtà è il Nulla.

Solo nell'istante in cui tutto l'esserci si trasfigura, e si mostra per quello che è: l'amato, affiora in noi la consapevolezza di essere Nulla.

Ogni cosa si mostra allora nella sua veracità: manifestazione dell'Amore assoluto.

Al di là dell'esserci e non esserci, noi siamo Nulla, e allo stesso tempo Tutto.
Il tuo nulla è metaforico e poco chiaro se non viene descritto, definito.
Il mio nulla è logico.Non ci può essere nulla prima dell'esistenza, di ciò che è e ciò che è non può sparire nel nulla.
La trasformazione termodinamica esplicata da Severino nela famoso la legna e la cenere, non toglie l'essenza dell'essere in ciò che è della legna che si trasforma in cenere con il fuoco. Perchè ciò che era PRIMA non può non-essere DOPO.La legna è e non puà non-essere più quando appare la cenere.Sono due entità diverse.Noi crediamo che la sostanza porti con sè la forma, ma non è così.Anche l'acqua sublima in ghiaccio ed evapora in vapor acqueo.Gli stati fisici non sono leggi eterne, sono apparenze di uniche sostanze.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 24 Novembre 2019, 11:43:14 AM
Citazione di: paul11 il 24 Novembre 2019, 11:37:32 AM
Citazione di: bobmax il 23 Novembre 2019, 16:55:20 PM
Citazione di: paul11
Veniamo forse da un nulla, da un niente?
Essendo gettati nel mondo e non ne abbiamo ricordo, a meno che si creda alla metampsicosi
e qualcuno sappia raccontare di esistenze precedenti, e anche qui è un mistero........., noi guardiamo al dopo, al fatal destin.
Mi sembra del tutto logico chiedersi che l'esistenza fisica in sé e per sé non racchiuda verità, siamo attimi rispetto ai grandi cicli universali. Fermarsi all'esistenza in sé e per sé, non dà un senso, un percorso, una significazione, almeno dal punto di vista logico.
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?

Ma noi siamo già ora nulla.

E non lo vogliamo ammettere, soprattutto a noi stessi.

Perché ci siamo persi in questo esserci, e lo abbiamo scambiato per la realtà, l'unica realtà...
E invece la realtà è il Nulla.

Solo nell'istante in cui tutto l'esserci si trasfigura, e si mostra per quello che è: l'amato, affiora in noi la consapevolezza di essere Nulla.

Ogni cosa si mostra allora nella sua veracità: manifestazione dell'Amore assoluto.

Al di là dell'esserci e non esserci, noi siamo Nulla, e allo stesso tempo Tutto.
Il tuo nulla è metaforico e poco chiaro se non viene descritto, definito.
Il mio nulla è logico.Non ci può essere nulla prima dell'esistenza, di ciò che è e ciò che è non può sparire nel nulla.
La trasformazione termodinamica esplicata da Severino nela famoso la legna e la cenere, non toglie l'essenza dell'essere in ciò che è della legna che si trasforma in cenere con il fuoco. Perchè ciò che era PRIMA non può non-essere DOPO.La legna è e non puà non-essere più quando appare la cenere.Sono due entità diverse.Noi crediamo che la sostanza porti con sè la forma, ma non è così.Anche l'acqua sublima in ghiaccio ed evapora in vapor acqueo.Gli stati fisici non sono leggi eterne, sono apparenze di uniche sostanze.
In effetti...in base al Primo principio della Termodinamica - che non è un concetto filosofico - nell'Universo l'energia non si crea e non si distrugge...poichè NULLA in realtà "nasce" e NULLA in realtà "muore". Ma TUTTO (o IL TUTTO) cambia forma.
E noi - come ogni altra cosa del resto...compresa la legna del tuo esempio - siamo una "forma" o manifestazione di energia.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 24 Novembre 2019, 16:11:56 PM
Citazione di: myfriend il 24 Novembre 2019, 11:20:37 AMCiò che noi vediamo, percepiamo, sentiamo, odoriamo, tocchiamo...cioè quella che noi definiamo "realtà" e che abbiamo davanti agli occhi e nella quale ci muoviamo è, a tutti gli effetti, una costruzione del nostro cervello di cui siamo totalmente inconsapevoli. E' il nostro cervello che ci fa percepire la realtà come fatta da una collezione di oggetti distinti e separati che si muovono nello spazio-tempo....che "nascono", "vivono" e poi "muoiono". Noi pensiamo che questa "realtà" sia reale...ma è solo una "realtà virtuale" costruita dal nostro cervello in cui noi siamo inseriti...come se fosse un videogame. Il nostro cervello elabora segnali bio-elettrici che provengono dai nostri sensi e dal nostro sistema nervoso periferico. E costruisce nella nostra mente ciò che noi chiamiamo "realtà". In questo videogame costruito dal nostro cervello le cose "nascono", "crescono" e "muoiono". Tutti i nostri pensieri, le nostre motivazioni, le nostre azioni nascono all'interno di questo videogame che esiste tutto e solo nella nostra testa. Noi pensiamo di agire "consapevolmente"....ma in realtà stiamo agendo all'interno di una realtà virtuale costruita dal nostro cervello e che esiste solo e tutta nella nostra testa e, di questo fatto, siamo totalmente inconsapevoli. Al di là della realtà virtuale costruita dal nostro cervello...all'interno della quale esiste il nostro IO, i nostri pensieri, le nostre filosofie, le nostre fedi, la nostra gioia, la nostra sofferenza, le nostre paure, i nostri desideri e tutto il resto....esiste la realtà REALE che segue logiche del tutto diverse e della quale noi non siamo consapevoli perchè il nostro cervello non la capta e non la percepisce. Quindi....noi non siamo consapevoli del fatto che la realtà che percepiamo con i nostri sensi è solo una "realtà virtuale" - un videogame - costruito dal nostro cervello e che esiste solo e tutta nella nostra testa...e pensiamo che tutto ciò che viviamo in questo videogame sia reale. E, inoltre, non siamo consapevoli nemmeno del fatto che, al di là di questa "realtà virtuale" creata dal nostro cervello, esiste una realtà REALE che segue logiche del tutto diverse che il nostro cervello non percepisce e non può percepire, ma che è, a tutti gli effetti, la vera e unica realtà esistente. Comprendere questo dualismo è il primo passo verso la consapevolezza. Poichè ci consente di porci due domande: 1- che cos'è la realtà virtuale (in cui esiste la "morte") creata dal nostro cervello e quali sono le dinamiche che la regolano? Come vivo io dentro questa realtà virtuale? 2- che cos'è la realtà REALE che esiste al di là del nostro cervello e quali sono le dinamiche che la regolano? Si può vivere in questa realtà REALE se si trova al di là di ciò che il nostro cervello riesce a percepire? Questa è la vera e unica questione: comprendere e diventare consapevoli del dualismo della "caverna di Platone". Tutto il resto è "aria fritta".

così come la presenza alla nostra mente di idee riferite a un significato metafisico come "eternità", "perfezione", "infinito", irriducibili al poter essere spiegate tramite una sintesi fantastica di elementi semplici tratti dai sensi (in quanto, per definizione, "eternità", o "infinito" non sono una somma finita di parti, ma una totalità che trascende ogni composizione di parti che l'uomo può storicamente produrre) rimanda all'effettiva esperienza di realtà conformi a tali idee, come condizione del loro manifestarsi in noi, dall'altro lato l'esperienza della realtà sensibile, costituita da oggetti molteplici, limitati, finiti e, nel caso degli esseri viventi, destinati alla morte, rimanda all'esistenza di una realtà che produce in noi tale esperienza e che sia aderente al contenuto di questa. Cioè, se da un lato l'idea di esseri spirituali necessitano di essere ricondotte a delle realtà adeguate al loro senso, stante il salto qualitativo che differenzia il senso di ciò che si intende con "materiale" rispetto a "spirituale", che impedirebbe all'esperienza del primo di produrre in noi le proprietà che attribuiamo all'idea del secondo, dall'altro questa irriducibilità vale anche all'inverso: se la realtà materiale, molteplice, finita, contingente non esistesse, non potremmo nemmeno averne un'esperienza sensibile, la stessa pretesa "illusione"  circa la sua esistenza non potrebbe darsi. Che senso ha pensare ad una reale totalità spirituale che ci ingannerebbe inducendoci a pensare all'esistenza di una realtà distinta e opposta ad essa? Da dove ricaveremmo gli attributi di questa, in assenza di alcuna reale oggettività in cui sarebbero presenti che produrrebbe in noi "l'inganno"? La mia opinione è che non ha senso negare la finitezza riconducendo la convinzione della sua realtà ad una mancata consapevolezza, perché proprio in tale mancanza consiste la finitezza! La finitezza è proprio ciò che ci rende suscettibili di inganno. Se (e sarei d'accordo) il livello massimo di consapevolezza coincide con la piena esperienza dell'Universale (inteso non  come conoscenza generica, ma la visione di ogni particolarità, "sub specie universalis" all'interno di una prospettiva universale in cui si colgono le Cause prime del loro sorgere e dei collegamenti che li legano tra loro) allora direi che quanto più ci si allontana da tale livello (e dunque si cade nella possibilità dell'inganno) tanto più ciò è dovuto all'azione di una realtà opposta a quella dell'universale spirituale correlata a quel livello massimo, che ci distoglie da questo, ma per esercitare tale azione questa realtà, materiale, deve pur esistere (anche se condivido l'idea della non esistenza della materia allo stato puro, ma vedo la materia come componente di ogni realtà creata, sempre però "accompagnata" dalla forma immateriale). Così come la realtà del molteplice è razionalmente riconoscibile nel momento in cui chi afferma di aver svelato l'inganno, distinguendosi dal resto delle persone ancora rimaste nella caverna platonica, prigioniere dell'inganno, si distingue implicitamente dagli altri e dunque implicitamente riconosce una molteplicità comprendente la sua coscienza come coscienza distinta rispetto a quella degli altri, perché giunta a un livello spirituale superiore, e dunque non l'unica esistente. Se la molteplicità fosse un inganno sarebbe un inganno anche la pretesa di chiunque pensi di aver raggiunto uno stadio di consapevolezza superiore agli altri dall'alto del quale considerare gli altri come "ingannati". Insomma, a me pare che sia un monismo materialista, che vede l'ambito del transeunte, della mortalità come unica realtà intrascendibile, relegando a illusione ogni trascendenza spirituale, che un monismo spiritualista, che all'opposto vede la finitezza e la molteplicità materiale come del tutto illusoria, e vede come unica realtà una totalità spirituale indifferenziata cadano nello stesso errore, al tempo opposto e speculare, di non poter render ragione di una realtà adeguata a produrre in noi l'idea di ciò che dovrebbe essere illusorio, e che non si capisce da dove possa esser nata in noi, in assenza di una realtà conforme al suo senso
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 24 Novembre 2019, 16:57:57 PM
Citazione di: paul11 il 24 Novembre 2019, 11:37:32 AM
Citazione di: bobmax il 23 Novembre 2019, 16:55:20 PM
Ma noi siamo già ora nulla.

E non lo vogliamo ammettere, soprattutto a noi stessi.

Perché ci siamo persi in questo esserci, e lo abbiamo scambiato per la realtà, l'unica realtà...
E invece la realtà è il Nulla.

Solo nell'istante in cui tutto l'esserci si trasfigura, e si mostra per quello che è: l'amato, affiora in noi la consapevolezza di essere Nulla.

Ogni cosa si mostra allora nella sua veracità: manifestazione dell'Amore assoluto.

Al di là dell'esserci e non esserci, noi siamo Nulla, e allo stesso tempo Tutto.
Il tuo nulla è metaforico e poco chiaro se non viene descritto, definito.
Il mio nulla è logico.Non ci può essere nulla prima dell'esistenza, di ciò che è e ciò che è non può sparire nel nulla.
La trasformazione termodinamica esplicata da Severino nela famoso la legna e la cenere, non toglie l'essenza dell'essere in ciò che è della legna che si trasforma in cenere con il fuoco. Perchè ciò che era PRIMA non può non-essere DOPO.La legna è e non puà non-essere più quando appare la cenere.Sono due entità diverse.Noi crediamo che la sostanza porti con sè la forma, ma non è così.Anche l'acqua sublima in ghiaccio ed evapora in vapor acqueo.Gli stati fisici non sono leggi eterne, sono apparenze di uniche sostanze.

Verità logica?

Non esiste nessuna verità che provenga dalla logica!
La logica non è sorgente di Verità!

La logica serve, è indispensabile, per inoltrarci nel mondo.
Ma non offre in sé alcuna verità!
Permette di costruire un modello di come il mondo funziona. Un modello utile, importante, ma che non è la Verità.

Il tuo nulla logico è solo il risultato di presupposti che dai per scontati, e che scambi per "verità".

Come l'intendere con "essere" ciò che è semplicemente "esserci"

La logica di per se stessa è una legge vuota.
Che occorre alimentare ogni volta con ciò che stabiliamo essere "vero".
Un "vero" però sempre relativo.
Come l'essere della tua legna o i principi della termodinamica.
Sono tutti gradini, utili, indispensabili, per la nostra ricerca. Ma che MAI sono la Verità.

Davvero una strana fede la tua, a ben guardare...
Vorresti l'Assoluto, e poi questo Assoluto dovrebbe sottostare a leggi che tu consideri a loro volta assolute...

E poi, vuoi le definizioni?
Definizioni dell'Assoluto?

Davvero sei convinto che non esistano caposaldi del pensiero, che lo reggono e, proprio per questo, non possono essere definiti, ma solo vissuti?
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 24 Novembre 2019, 17:53:53 PM
@davintro

Questa non è filosofia.
Il fatto che la realtà che noi percepiamo e definiamo "reale" (dove percepiamo cose distinte e separate nello spazio-tempo e dove le cose "nascono" e "muoiono") sia di fatto un videogame (realtà virtuale) creato dal nostro cervello che esiste tutto e solo nella nostra testa è un dato di fatto...è una verità oggettiva. Una verità scientifica.

Come è anche verità oggettiva il fatto che la realtà REALE è al di là di ciò che il nostro cervello percepisce. E questa realtà REALE segue logiche ben diverse da quelle che noi "vediamo" e "sperimentiamo" all'interno del videogame costruito dal nostro cervello e che il nostro cervello ci fa percepire come reale e che abbiamo davanti agli occhi tutto il giorno...e in cui "viviamo".

Questi sono dati di fatto oggettivi....non sono "idee filosofiche". E' la situazione oggettiva nella quale ci troviamo.
Tu come ti poni di fronte a questa evidenza oggettiva? Di fronte a questo dualismo? Questa è la questione.
Tutto il resto è "aria fritta".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 24 Novembre 2019, 18:07:04 PM
Citazione di: bobmax il 24 Novembre 2019, 16:57:57 PM
Citazione di: paul11 il 24 Novembre 2019, 11:37:32 AM
Citazione di: bobmax il 23 Novembre 2019, 16:55:20 PM
Ma noi siamo già ora nulla.

E non lo vogliamo ammettere, soprattutto a noi stessi.

Perché ci siamo persi in questo esserci, e lo abbiamo scambiato per la realtà, l'unica realtà...
E invece la realtà è il Nulla.

Solo nell'istante in cui tutto l'esserci si trasfigura, e si mostra per quello che è: l'amato, affiora in noi la consapevolezza di essere Nulla.

Ogni cosa si mostra allora nella sua veracità: manifestazione dell'Amore assoluto.

Al di là dell'esserci e non esserci, noi siamo Nulla, e allo stesso tempo Tutto.
Il tuo nulla è metaforico e poco chiaro se non viene descritto, definito.
Il mio nulla è logico.Non ci può essere nulla prima dell'esistenza, di ciò che è e ciò che è non può sparire nel nulla.
La trasformazione termodinamica esplicata da Severino nela famoso la legna e la cenere, non toglie l'essenza dell'essere in ciò che è della legna che si trasforma in cenere con il fuoco. Perchè ciò che era PRIMA non può non-essere DOPO.La legna è e non puà non-essere più quando appare la cenere.Sono due entità diverse.Noi crediamo che la sostanza porti con sè la forma, ma non è così.Anche l'acqua sublima in ghiaccio ed evapora in vapor acqueo.Gli stati fisici non sono leggi eterne, sono apparenze di uniche sostanze.

Verità logica?

Non esiste nessuna verità che provenga dalla logica!
La logica non è sorgente di Verità!

La logica serve, è indispensabile, per inoltrarci nel mondo.
Ma non offre in sé alcuna verità!
Permette di costruire un modello di come il mondo funziona. Un modello utile, importante, ma che non è la Verità.

Il tuo nulla logico è solo il risultato di presupposti che dai per scontati, e che scambi per "verità".

Come l'intendere con "essere" ciò che è semplicemente "esserci"

La logica di per se stessa è una legge vuota.
Che occorre alimentare ogni volta con ciò che stabiliamo essere "vero".
Un "vero" però sempre relativo.
Come l'essere della tua legna o i principi della termodinamica.
Sono tutti gradini, utili, indispensabili, per la nostra ricerca. Ma che MAI sono la Verità.

Davvero una strana fede la tua, a ben guardare...
Vorresti l'Assoluto, e poi questo Assoluto dovrebbe sottostare a leggi che tu consideri a loro volta assolute...

E poi, vuoi le definizioni?
Definizioni dell'Assoluto?

Davvero sei convinto che non esistano caposaldi del pensiero, che lo reggono e, proprio per questo, non possono essere definiti, ma solo vissuti?
Stai come altri non rispondendo e girando in giro.
La logica è uno strumento del ragionare intellettivo, un corretto utilizzo dei linguaggi che sono costituiti di sintassi, che sono le regole, e semantica, che sono le parole.
Ho spesso scritto di logica predicativa aristotelica, di logica proposizionale che nasce dagli stoici e si riprende con Frege- Russell- Wittgenstein, ecc.
Una serie di parole  è dentro una proposizione e ogni parola ha senso nel discosrso  se denota qualcosa se predica qualcosa.
Quindi la logica, ribadisco, permette di capire se una proposizione, un'argomentazione è corretta e si dichiarano vere se c'è coerenza fra premesse, i medi argomentativi e dimostrativi e conclusione.


Quindi una verità logica è SOLO un corretto utilizzo di ragionamenti induttivi e deduttivi costruiti ad es. con inferenze sillogistiche .
Gli assiomi, i postulati, gli enunciati sono o esperienziali o tautologici (dichiarati evidenti).

Se mi dichiari un NULLA devi provarmi che "è", che ontologicamente è un ente e gnoseologicamente le sue relazioni argomentative sul piano logico.
Se così non è io ti rispondo "Nembo kid"

Quindi: 1) la premessa è un nulla 2) nasciamo e moriamo3) conclusione un nulla.
Che senso ha vivere se la premessa è la conclusione è "nulla"?
Relazione: a) dominio naturale terrestre.b) dominio universo
E' costituito di cicli di cui come la nostra esistenza: 1) origine nulla, 2)esiste la natura e l'universo
3) conclusione il nulla perché nessuno conosce la fine della natura terrestre tanto meno dell'universo.
Che senso hanno la natura e l'universo se non conosciamo l'origine e la conclusione? ma questo sul piano deduttivo esperienziale e non tauto-logico.

Si deduce che il problema ontologico della vita è simile ai domini di natura terrestre e universo.

Il problema quindi non è l'esistenza , esser-ci, è l'Essere che fa sintesi della stessa problematica di vita umana, vita naturale e vita universale. E questo non può gnoseologicamente dimostrarlo la scienza che dimostra solo sul piano sensibile.
Il ciclo della vita umana, i cicli della natura sono a loro volta dentro la grande ruota del ciclo dell'universo.

L'Essere per antonomasia è ciò che originò l'universo che sostanzia nelle forme dei cicli della vita: umana, naturale, universale. La verità è quindi la sintesi delle forme, essenze,  che corrispondono a tutti e tre i domini, non SOLO in uno.
C'è una unica verità originaria che determina la vita universale, quindi compresa quella naturale e la vita umana.
E non può essere il nulla, il non-essere. Il non-essere non genera esistenza.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 24 Novembre 2019, 18:49:36 PM
@Paul11

Ciò che chiami "nulla" è semplicemente non esserci.
Prima non c'ero, ora ci sono, in futuro non ci sarò.
Questa è la nostra realtà.
Un'inestricabile combinazione di esserci e non esserci.
 
Ossia scissione originaria soggetto/oggetto.
Dove ciò che c'è, prima non c'era e poi non ci sarà.

Occorre prestare massima attenzione a quel "ci" o a quel "vi"!

Non vi è nessun Essere di per sé!
Vi è solo questo gioco: esserci – non esserci.
 
Se il tuo desiderio è quello di sconfiggere il nichilismo, occorre attraversarlo! Non c'è altra strada.
E per attraversarlo bisogna vedere le sue carte.
E le sue carte dicono inequivocabilmente, attraverso la logica a te tanto cara... che nulla ha valore!
 
Perché la questione, ciò che è in gioco, è il Bene!
Non la sopravvivenza eterna, l'immortalità... che sono solo fughe dal nichilismo.
 
Il nichilismo ha però i piedi d'argilla.
Perché... il nulla valoriale che il nichilismo proclama si nutre dell'idea che l'esserci sia Verità assoluta!
E' infatti vano rincorrere un Essere che dimostri indiscutibilmente una durata eterna. Perché ciò non intacca minimamente, anzi aggrava la "verità" nichilista.
 
Viceversa, è proprio la constatazione che, seppur paradossalmente, l'Essere non c'è, a darci la possibilità di superare il nichilismo.
Togliendo alla radice ogni sua ragion d'essere.
E poiché ciò che non c'è possiamo ben chiamarlo Nulla... l'Essere è lo stesso Nulla.

Quindi... noi siamo nulla.

Ed è qui l'autentica libertà!
 
Ma se tu rimani ancorato all'esserci, allora pretendi che il Nulla debba essere "entificato" per poterlo considerare. Mentre il Nulla è l'annullamento di ogni possibile ente.
 
L'Essere non può esserci, proprio perché E'!
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 25 Novembre 2019, 00:56:45 AM
Citazione di: myfriend il 24 Novembre 2019, 17:53:53 PM@davintro Questa non è filosofia. Il fatto che la realtà che noi percepiamo e definiamo "reale" (dove percepiamo cose distinte e separate nello spazio-tempo e dove le cose "nascono" e "muoiono") sia di fatto un videogame (realtà virtuale) creato dal nostro cervello che esiste tutto e solo nella nostra testa è un dato di fatto...è una verità oggettiva. Una verità scientifica. Come è anche verità oggettiva il fatto che la realtà REALE è al di là di ciò che il nostro cervello percepisce. E questa realtà REALE segue logiche ben diverse da quelle che noi "vediamo" e "sperimentiamo" all'interno del videogame costruito dal nostro cervello e che il nostro cervello ci fa percepire come reale e che abbiamo davanti agli occhi tutto il giorno...e in cui "viviamo". Questi sono dati di fatto oggettivi....non sono "idee filosofiche". E' la situazione oggettiva nella quale ci troviamo. Tu come ti poni di fronte a questa evidenza oggettiva? Di fronte a questo dualismo? Questa è la questione. Tutto il resto è "aria fritta".

Premetto che mi lascia sempre perplesso che in uno spazio che dovrebbe essere dedicato alla filosofia si leggano argomenti che si presentano esplicitamente come "non filosofici" (e non è solo il caso di myfriend, noto sempre con amarezza un andazzo generale nel quale in un contesto filosofico come questo prevalgono con sempre maggiore insistenza argomenti tratti dalle scienze naturali, fondate su metodi sperimentali-induttivi, del tutto diversi da quelli rigorosamente filosofici, deduttivi, dialettici, speculativi, come a legittimare sempre di più il, a mio avviso pernicioso e scorretto, principio epistemologico scientista e positivista, che nega alla filosofia un autonomo spazio d'indagine ontologico, con relativa autonoma metodologia, all'interno del quale poter essere autosufficiente, non tenendo conto dell'irriducibile distinzione tra il piano di questioni di cui si occupa la filosofia, rispetto agli altri, attinenti alle scienze empiriche)

Che il nostro cervello sia la causa del nostro illuderci riguardo la realtà del mondo sensibile (quella all'interno della quale percepiamo la molteplicità degli oggetti, la loro finitezza), che invece sarebbe solo un mondo virtuale, è una posizione che può essere legittimata solo sulla base di uno studio della realtà del cervello, che essendo composta di materia, dovrebbe a sua volta essere uno studio fondato a sua volta sull'esperienza sensibile. Il problema epistemologico che sorge in modo evidente è: se i sensi ci ingannano nello spacciare un mondo virtuale come quello reale, come potrebbero essere adeguati all'autentica comprensione della realtà del cervello e della sua azione sui nostri campi percettivi? Il fatto che le neuroscienze possano utilizzare tecnologie sempre più raffinate non rimuove il problema. Queste tecnologie possono offrire un grande supporto alle nostre percezioni, ma mai sostituirle, sono funzionali all'ampliamento quantitativo del loro campo di osservazioni, ma non possono trasformarne la natura qualitativa, rendendola da falsificatoria a veritativa nella rappresentazione del reale. Anche perché questi supporti tecnologici, essendo prodotti a partire da una visione del mondo scientifica (progresso scientifico e tecnologico si implicano circolarmente) che dovrebbe essere falsa, dovrebbero a loro volta risultare inefficienti nel migliorare la validità di un punto di vista dal quale essi stessi nascono. Quindi resta la questione di individuare la tipologia di sapere entro la quale ci eleveremmo alla consapevolezza dell'inaffidabilità della percezione ordinaria dei fenomeni, oltre che rispondere alla questione, che prima sollevavo, di come una realtà virtuale, non esistente e dunque incapace di produrre effetti causali, riuscirebbe a produrre in noi l'inganno, la formazione  di una visione (molteplicità e finitezza) caratterizzata da attributi opposti, rispetto a l'unica realtà vera, eterna e universale. Il dualismo che traspare da questa impostazione è evidente, ma è di natura epistemologica, dunque filosofica, e qui mi riallaccio alla premessa di questo messaggio. La risoluzione del problema non può che chiamare in causa una soluzione filosofica/metafisica, una volta riconosciuto che il nostro apparato percettivo-concettuale, che ci porta a illuderci sulla realtà di ciò che rappresenta resta lo stesso apparato tramite cui le scienze naturali si occupano del cervello, cioè di quella realtà a cui si attribuisce il ruolo di responsabile dell'illusione, svelando quest'ultima come tale
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 25 Novembre 2019, 01:21:01 AM
ciao Bobmax,
A mio parere non è inestricabile se categorizzi i domini: universale, natura, umano e situalizzi bene il piano ontologico ed gnoseologico.

Il problema fondamentale è : a che serve esistere? L'esser-ci è posizionato come sul piano ontologico e gnoseologico rispetto all'Essere?
Il divenire della trasformazione che noi viviamo con l'esser-ci è gnoseologico è conoscenza su tutte le sfaccettature dell'essere; interessa quindi la logica, interessa lo spirito e l'anima, interessa i sentimenti, interessa il piano teoretico e pratico anche della realtà; perché non si può fare sintesi della vita senza tenere ancheconto  dell'esperienza fisica, quindi bisogna dialetticamente far sintesi del pensiero inteso come astrattezza e della realtà concreta come esperienza. Se la conoscenza non è totalizzante noi vediamo solo una sfaccettatura della verità.
L'esistenza, l'esser-ci è quindi nel dominio del divenire perché è qui che noi formalizziamo la conoscenza che permette di andare sul piano ontologico dell'Essere, quindi la vita ha senso come esperienza conoscitiva totalizzante,in quanto permette di intravvedere la verità nell'Essere.

Se non c'è alcun Essere dovresti formulare almeno un'ipotesi da dove viene l'universo, come si è formato il DNA, cromosomi, insomma la vita, e che senso ha vivere.

Noi attraversiamo quello che tu chiami nichilismo perché se la verità è incontrovertibile ed eterna, noi stiamo attraversando il divenire che è antitetico all'eterno e quindi dialetticamente è negativo.
Tutto ciò che appare e scompare in divenire è contraddittorio rispetto all'Essere che è verità.
Il nichilismo è credere che la verità sia nel divenire, in ciò che appare e scompare. Ma è necessario che per conoscere, la vita sia nel divenire, sia contraddittoria rispetto alla verità,Il piano gnoseologico deve essere in divenire, il piano ontologico della verità deve essere nell'eterno e adatto che se l'Essere è in un tempo diverso dell'esistenza esso è aletheia, è apparire e nascondimento  come forma, essenze, come sintesi del dominio dei fenomeni in divenire, poiché la nostra mente può avere riferimenti a iniziare dallo spazio e tempo e il nostro corpo è fisico e necessariamente dentro le regole della natura e della fisica.
Ma il vero depositario della conoscenza totalizzante è la coscienza, non è né solo la ragione e neppure solo i sentimenti, in quanto è il luogo della sintesi delle diverse modalità del conoscere, diversamente, daccapo, conosciamo solo sfaccettature della verità.

E il Bene che cosa è ? L'esistenza è contraddittoria rispetto al piano ontologio dell'Esseree per questo nel dominio dei fenomeni appare anche il Male, non solo il Bene, appare la gioa come il dolore. Noi viviamo nella contraddizione del divenire poiché ha regole contraddittorie rispetto all'Essere, ma ciò è necessario poichè la vita è esperienza fisica, corporea, mentale, coscienza e siamo qui per conoscere, per intravvedere la verità che è oltre il tempo del divenire e del trasformazioni.

Il nichilismo ha diverse interpretazioni. La prima è rompere con la tradizione ed è quella convenzionale. Personalmente e mi par qui di essere d'accordo con Severino, il nichilismo è credere che la verità sia nel tempo del divenire ,quando invece la verità non può che essere eterna.
Il nichilismo è anche ritenere che l'Essere non ci sia e quindi ridurre all'esistenza esperienziale e ai fenomeni fisici e quindi allo scientismo, la verità che non può che essere fallibile in un mondo che si trasforma in continuazione correndo dietro ai fenomeni e nuove scoperte.

Noi saremmo un nulla che conosciamo ed esistiamo?
L'Essere come ho scritto, non è l'esser-ci.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 25 Novembre 2019, 08:46:53 AM
Ciao Paul11

Il Bene è il Fondamento!

Se ci limitiamo al pensiero razionale, continuiamo a scavare senza costrutto, perché dimentichi di ciò che fonda questo stesso nostro pensiero.

Occorre capovolgere completamente le premesse!

Il Bene non è qualcosa che appare o meno nell'esserci, dove viviamo nella contraddizione, dove c'è pure il male.
Nell'esserci vi è un po' di male e un po' di bene, ma mai il Bene assoluto!

Tu ti domandi cosa sia il Bene...
Questa tua stessa domanda mostra la dimenticanza dell'Essere.
Vorresti porre davanti a te il Bene a guisa di un qualcosa, per poter stabilire che cos'è!
Vorresti conoscere ciò che ti fonda!

Per avvertire l'assurdità di questa pretesa, occorre andare all'inferno.
Solo lì infatti il Bene è certo.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 25 Novembre 2019, 09:26:54 AM
@davintro

Quindi resta la questione di individuare la tipologia di sapere entro la quale ci eleveremmo alla consapevolezza dell'inaffidabilità della percezione ordinaria dei fenomeni, oltre che rispondere alla questione, che prima sollevavo, di come una realtà virtuale, non esistente e dunque incapace di produrre effetti causali, riuscirebbe a produrre in noi l'inganno, la formazione  di una visione (molteplicità e finitezza) caratterizzata da attributi opposti, rispetto a l'unica realtà vera, eterna e universale.

Ho parlato di "realtà virtuale"....e non di "realtà non esistente". E tra le due cose c'è una bella differenza.
La "realtà virtuale" creata dal nostro cervello esiste, esiste eccome, non è una "illusione". Ma esiste tutta e solo nella nostra testa.
Questo è il primo punto fondamentale che, mi sembra, ti sfugga.
Se io ti dò un pizzicotto sul braccio, tu senti dolore (cioè il tuo cervello costruisce per te la sensazione di dolore) e quel dolore, all'interno del videogame creato dal cervello, è una sensazione "reale". Nessuno dice che quel dolore "non esiste" ed è pura illusione.
Ma tu senti dolore perchè il cervello è costruito in modo tale da creare una "realtà virtuale" - un videogame - in cui il tuo corpo viene percepito come entità distinta e separata da tutto il resto...e quindi il cervello crea la sensazione di "dolore" quando ti dò un pizzicotto sul braccio perchè queste sono le regole del videogame creato dal nostro cervello e nel quale siamo inseriti.
Quel "dolore" è quindi "reale"...ma è "reale" solo all'interno del videogame creato dal nostro cervello che esiste tutto e solo nella nostra testa.

Secondo punto. Questo dualismo tra realtà virtuale creata dal nostro cervello e realtà REALE presente al di là del nostro cervello, lo abbiamo scoperto grazie alla Scienza. Per fare un solo esempio...è grazie alla scienza che abbiamo scoperto che la nostra retina "filtra" solo una gamma precisa di onde elettromagnetiche (luce). Infrarossi e ultravioletti la nostra retina non li "vede". La nostra retina non vede atomi e molecole. Se tu osservi l'aria intorno a te non vedi le molecole di ossigeno...ma vedi uno "spazio vuoto".

Allora il problema della filosofia dove nasce? Il problema della filosofia nasce perchè elabora tutte le sue riflessioni all'interno del videogame creato dal cervello. Cioè la filosofia - come anche la religione - cerca le sue spiegazioni SOLO all'interno del videogame (esistenza e non esistenza...vita e morte...senso e non senso) ma non si è mai posta il problema che noi siamo all'interno di un videogame che, come tale, segue le sue regole (quelle create dal cervello). E nemmeno si è mai posta il problema che esiste una realtà REALE al di là del videogame creato dal nostro cervello e che questa realtà REALE segue logiche del tutto diverse rispetto a quelle del videogame. Cioè, la filosofia non affronta il dualismo tra "realtà virtuale"-videogame e realtà REALE. Per il semplice motivo che la filosofia IGNORA del tutto la realtà REALE e ignora il dualismo tra realtà virtuale e realtà REALE e si concentra unicamente all'interno del videogame come se la realtà REALE non esistesse.

Ad esempio, la filosofia non si pone la domanda cruciale: Se il nostro corpo è solo una entità virtuale creata dal nostro cervello all'interno del videogame, che cos'è in realtà il nostro corpo nella realtà REALE fuori dal videogame?
Altra domanda ignorata totalmente dalla filosofia: Perchè nel videogame percepiamo "nascita" e "morte" quando invece nella realtà REALE nulla nasce e nulla muore (Primo principio della termodinamica)? Cosa sono "nascita" e "morte", che noi percepiamo nel videogame, dal punto di vista della realtà REALE...o se le collochiamo nella realtà REALE?
La filosofia non si pone queste domande e, quindi, parla di "aria fritta".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 25 Novembre 2019, 12:56:36 PM
Citazione di: myfriend il 25 Novembre 2019, 09:26:54 AM
Ad esempio, la filosofia non si pone la domanda cruciale: Se il nostro corpo è solo una entità virtuale creata dal nostro cervello all'interno del videogame, che cos'è in realtà il nostro corpo nella realtà REALE fuori dal videogame?
Altra domanda ignorata totalmente dalla filosofia: Perchè nel videogame percepiamo "nascita" e "morte" quando invece nella realtà REALE nulla nasce e nulla muore (Primo principio della termodinamica)? Cosa sono "nascita" e "morte", che noi percepiamo nel videogame, dal punto di vista della realtà REALE...o se le collochiamo nella realtà REALE?
La filosofia attuale si pone questi problemi, dialoga con le scienze e, come sempre, cerca persino di sbilanciarsi per anticipare possibili esiti o percorsi di sviluppo delle scienze stesse, in attesa che esse li compiano o li dimostrino impercorribili (perché sono due approcci che anche quando percorrono la stessa strada, fianco a fianco, non possono pestarsi i piedi, avendo livelli di approfondimento, metodi, impostazioni, etc. ben differenti). La filosofia antica non è l'unica filosofia possibile, anzi, limitarsi ad essa significa per me continuare a pensare con categorie inattuali (o usarle metaforicamente), almeno tanto quanto riprenderle ed attualizzarle (alle luce di tutti ciò che quei filosofi non potevano sapere) è invece fertile terreno di indagine filosofica.
Non tutta la filosofia resta arroccata nella basilare logica aristotelica (come se dopo di lui tale disciplina non avesse fatto proliferare altre logiche) o diffida a priori dei sensi e della tecnica (come se la mente fosse più affidabile e potesse prescindere dagli input esterni), anziché indagare con sensi, tecnica e mente i rispettivi limiti (al riguardo ricordo sempre volentieri la metafora della barca di Neurath).
Quando si parla di filosofia, soprattutto nel vecchio continente, si rischia di ancorarsi agli inizi del '900, tuttavia la filosofia non è letteralmente morta durante quel secolo (tranne per chi pensa che «filosofia» sia sinonimo di «metafisica» classica, de gustibus), ha solo ritarato i suoi discorsi su tematiche contemporanee (come d'altronde fanno tutte le discipline umane, tecniche e non), discorsi che deludono sicuramente gli amanti della teoresi ontologica dell'"ancien regime" (teoresi tutt'ora praticabile), ma che restano nondimeno discorsi ritenuti filosofici, nel senso attuale del termine, da chi fa filosofia (docenti di filosofia, etc.).

Thomas Metzinger, Richard Rorty, Jaegwon Kim, etc. vengono considerati filosofi e, per le tematiche più contemporanee, credo abbiano qualcosa da dire sugli interrogativi che hai posto (a differenza di neoplatonici, neotomisti, etc.). Non lasciarti fuorviare da un forum di nietzschiani, spiritualisti e altre strambe correnti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 25 Novembre 2019, 13:04:05 PM
Citazione di: bobmax il 25 Novembre 2019, 08:46:53 AM
Ciao Paul11

Il Bene è il Fondamento!

Se ci limitiamo al pensiero razionale, continuiamo a scavare senza costrutto, perché dimentichi di ciò che fonda questo stesso nostro pensiero.

Occorre capovolgere completamente le premesse!

Il Bene non è qualcosa che appare o meno nell'esserci, dove viviamo nella contraddizione, dove c'è pure il male.
Nell'esserci vi è un po' di male e un po' di bene, ma mai il Bene assoluto!

Tu ti domandi cosa sia il Bene...
Questa tua stessa domanda mostra la dimenticanza dell'Essere.
Vorresti porre davanti a te il Bene a guisa di un qualcosa, per poter stabilire che cos'è!
Vorresti conoscere ciò che ti fonda!

Per avvertire l'assurdità di questa pretesa, occorre andare all'inferno.
Solo lì infatti il Bene è certo.
ciao Bobmax,
Se ogni cosa che esiste ha una sua significazione, persino il lager, le bestialità, il male ha una sua necessità nella regola universale; anche lo stesso morire, il dipartire.

Tu dici che il Bene è assoluto, potrei essere d'accordo come estrema sintesi. E' la dimostrazione del pensiero che manca per arrivare a definire Bene. Potrei dirti che l'inferno è già qui e ora, essendo
la terra infero rispetto al supero universale, , essendo qui nelle esistenze, nella vita, dove si combatte il Bene e il Male dove è difficile scegliere il grano dalla gramigna.

Se il Bene è assoluto è eterno come la verità, ma il divenire del destino umano ci offre la manifestazione anche del male, noi stessi possiamo fare del male, deve esserci una relazione a questo male necessario rispetto a quel Bene assoluto ed è proprio nel piano della nostra vita, esistenza, esser-ci, che deve rivelarsi questa diatriba come rivelazione,come verità.
E' il superamento del male che può essere anche in noi per arrivare a quel bene assoluto?
Questo è già uno dei significati della nostra esistenza
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 25 Novembre 2019, 16:57:22 PM
Citazione di: Phil il 25 Novembre 2019, 12:56:36 PM
Citazione di: myfriend il 25 Novembre 2019, 09:26:54 AM
Ad esempio, la filosofia non si pone la domanda cruciale: Se il nostro corpo è solo una entità virtuale creata dal nostro cervello all'interno del videogame, che cos'è in realtà il nostro corpo nella realtà REALE fuori dal videogame?
Altra domanda ignorata totalmente dalla filosofia: Perchè nel videogame percepiamo "nascita" e "morte" quando invece nella realtà REALE nulla nasce e nulla muore (Primo principio della termodinamica)? Cosa sono "nascita" e "morte", che noi percepiamo nel videogame, dal punto di vista della realtà REALE...o se le collochiamo nella realtà REALE?
La filosofia attuale si pone questi problemi, dialoga con le scienze e, come sempre, cerca persino di sbilanciarsi per anticipare possibili esiti o percorsi di sviluppo delle scienze stesse, in attesa che esse li compiano o li dimostrino impercorribili (perché sono due approcci che anche quando percorrono la stessa strada, fianco a fianco, non possono pestarsi i piedi, avendo livelli di approfondimento, metodi, impostazioni, etc. ben differenti). La filosofia antica non è l'unica filosofia possibile, anzi, limitarsi ad essa significa per me continuare a pensare con categorie inattuali (o usarle metaforicamente), almeno tanto quanto riprenderle ed attualizzarle (alle luce di tutti ciò che quei filosofi non potevano sapere) è invece fertile terreno di indagine filosofica.
Non tutta la filosofia resta arroccata nella basilare logica aristotelica (come se dopo di lui tale disciplina non avesse fatto proliferare altre logiche) o diffida a priori dei sensi e della tecnica (come se la mente fosse più affidabile e potesse prescindere dagli input esterni), anziché indagare con sensi, tecnica e mente i rispettivi limiti (al riguardo ricordo sempre volentieri la metafora della barca di Neurath).
Quando si parla di filosofia, soprattutto nel vecchio continente, si rischia di ancorarsi agli inizi del '900, tuttavia la filosofia non è letteralmente morta durante quel secolo (tranne per chi pensa che «filosofia» sia sinonimo di «metafisica» classica, de gustibus), ha solo ritarato i suoi discorsi su tematiche contemporanee (come d'altronde fanno tutte le discipline umane, tecniche e non), discorsi che deludono sicuramente gli amanti della teoresi ontologica dell'"ancien regime" (teoresi tutt'ora praticabile), ma che restano nondimeno discorsi ritenuti filosofici, nel senso attuale del termine, da chi fa filosofia (docenti di filosofia, etc.).

Thomas Metzinger, Richard Rorty, Jaegwon Kim, etc. vengono considerati filosofi e, per le tematiche più contemporanee, credo abbiano qualcosa da dire sugli interrogativi che hai posto (a differenza di neoplatonici, neotomisti, etc.). Non lasciarti fuorviare da un forum di nietzschiani, spiritualisti e altre strambe correnti.
Questo si è un discorso interessante.
Non si può far finta che le conclusioni alle quali è giunta la Scienza semplicemente non esistano.
Anzi...come giustamente hai detto tu, le conclusioni scientifiche attuali richiedono di essere inquadrate in una nuova visione filosofica.
Perchè la scienza si limita a dirci che "tutto è energia o manifestazione di forme di energia (anche il nostro corpo)...e che l'energia non si crea e non si distrugge ma cambia forma...e che l'energia nella sua essenza è pura astrazione e che quello che misuriamo sono solo i suoi effetti".
Ma non dice nulla su che cosa questo implica nella comprensione e nella ridefinizione della realtà.
Questo può farlo solo la filosofia...ma occorrono nuove categorie filosofiche e nuovi concetti filosofici.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 25 Novembre 2019, 17:17:14 PM
Citazione di: paul11 il 25 Novembre 2019, 13:04:05 PM
Citazione di: bobmax il 25 Novembre 2019, 08:46:53 AM
Ciao Paul11

Il Bene è il Fondamento!

Se ci limitiamo al pensiero razionale, continuiamo a scavare senza costrutto, perché dimentichi di ciò che fonda questo stesso nostro pensiero.

Occorre capovolgere completamente le premesse!

Il Bene non è qualcosa che appare o meno nell'esserci, dove viviamo nella contraddizione, dove c'è pure il male.
Nell'esserci vi è un po' di male e un po' di bene, ma mai il Bene assoluto!

Tu ti domandi cosa sia il Bene...
Questa tua stessa domanda mostra la dimenticanza dell'Essere.
Vorresti porre davanti a te il Bene a guisa di un qualcosa, per poter stabilire che cos'è!
Vorresti conoscere ciò che ti fonda!

Per avvertire l'assurdità di questa pretesa, occorre andare all'inferno.
Solo lì infatti il Bene è certo.
ciao Bobmax,
Se ogni cosa che esiste ha una sua significazione, persino il lager, le bestialità, il male ha una sua necessità nella regola universale; anche lo stesso morire, il dipartire.

Tu dici che il Bene è assoluto, potrei essere d'accordo come estrema sintesi. E' la dimostrazione del pensiero che manca per arrivare a definire Bene. Potrei dirti che l'inferno è già qui e ora, essendo
la terra infero rispetto al supero universale, , essendo qui nelle esistenze, nella vita, dove si combatte il Bene e il Male dove è difficile scegliere il grano dalla gramigna.

Se il Bene è assoluto è eterno come la verità, ma il divenire del destino umano ci offre la manifestazione anche del male, noi stessi possiamo fare del male, deve esserci una relazione a questo male necessario rispetto a quel Bene assoluto ed è proprio nel piano della nostra vita, esistenza, esser-ci, che deve rivelarsi questa diatriba come rivelazione,come verità.
E' il superamento del male che può essere anche in noi per arrivare a quel bene assoluto?
Questo è già uno dei significati della nostra esistenza
Mi permetto di intervenire.
Non si può fare filosofia ignorando ciò che la scienza ha scoperto. In particolare la scienza ha scoperto che il nostro cervello è fatto a strati...gli strati più interni (rettiliano e paleomammaliano) sono quelli che derivano dai rettili e dai primi mammiferi che eravamo 200milioni di anni fa e 500milioni di anni fa.
Se non si considera questo si parla di aria-fritta.
Cosa significa questo?
Significa che dentro il nostro cervello ci sono i comportamenti dei rettili di 500milioni di anni fa (territorialità, attacco e fuga, egoismo).
Dentro il nostro cervello ci sono i comportamenti dei primi mammiferi aggressivi violenti e sanguinari che eravamo 200milioni di anni fa...c'è l'aggressività del lupo che sbrana l'agnello...c'è la violenza inaudita del leone che uccide il suo rivale e anche i suoi cuccioli.
E' da lì che origina il "male". E' da lì che origina auschwitz.
Non è vero che il male è necessario per riconoscere il bene. Il male esiste perchè è dentro di noi...nel nostro cervello....e risiede nel nostro istinto animale, sanguinario, violento e aggressivo...comportamento che abbiamo ereditato dalla nostra storia evolutiva.

Poi, il nostro cervello, ha anche una componente aggiuntiva...nuova....specifica nostra. La neo-corteccia. Dove c'è intelligenza, creatività, compassione, libero arbitrio (che possiamo sintetizzare col "bene").

Un'altra cosa: tu diresti che il lupo che sbrana l'agnello è "male"? Diresti che il leone che uccide i cuccioli del suo rivale è "male"? Evidentemente no.
E perchè no?
Perchè noi diciamo che nella realtà animale l'istinto mantiene l'equilibrio della vita. Le piante crescono...gli erbivori mangiano le piante, i carnivori mangiano gli erbivori. Il leone uccide i cuccioli del suo rivale. Alcuni insetti impiantano nelle loro prede le larve dei propri "figli" e questi crescono nell'organismo ospite mangiando l'organismo dall'interno mentre è ancora vivo!!!....una cosa ORRIBILE. Ma diciamo che questo è male? No....perchè diciamo che nel mondo animale tutta questa VIOLENZA e CRUDELTA' serve a mantenere l'equilibrio della vita...l'equilibrio tra le specie. Se il lupo provasse pietà per l'agnello si estinguerebbe...e non avremmo più il lupo.

E allora...perchè la violenza e crudeltà nel mondo animale non sono "male", mentre nell'homo si?
E' questa LA DOMANDA.
La domanda NON E' perchè c'è il male...il male c'è perchè ce lo abbiamo dentro di noi...nel lupo che c'è dentro di noi...nel leone che c'è dentro di noi. Perchè il nostro cervello contiene i rettili e i mammiferi (con la loro aggressività e violenza) da cui discendiamo.
Quindi la domanda è: perchè il lupo che divora l'agnello non è male...perchè il leone che uccide i cuccioli del suo avversario non è male...mentre l'homo che uccide un bambino è male? E perchè diciamo che questo è male se la violenza che noi manifestiamo è la violenza che è incarnata nel nostro DNA che deriva da quello dei mammiferi carnivori sanguinari e violenti da cui discendiamo geneticamente e che è codificata nel nostro cervello?
Questa è la DOMANDA.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 25 Novembre 2019, 17:34:12 PM
Ed è malposta. Perchè se tu dai da mangiare al lupo, pur con tutto il suo "cervello rettiliano", diventa una cagnolone. Nel giro di qualche generazione, perchè il DNA non è acqua, ma nemmeno metafisica rettiliana. Il male non sta lì. Riprova, magari avrai più fortuna.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 25 Novembre 2019, 17:46:44 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Novembre 2019, 17:34:12 PM
Ed è malposta. Perchè se tu dai da mangiare al lupo, pur con tutto il suo "cervello rettiliano", diventa una cagnolone. Nel giro di qualche generazione, perchè il DNA non è acqua, ma nemmeno metafisica rettiliana. Il male non sta lì. Riprova, magari avrai più fortuna.
Come al solito non hai compreso la questione.
Se tu dai da mangiare al lupo, ciò non significa che il suo istinto sanguinario "non esiste". Continua ad esistere...solo che lo hai addomesticato.
Quindi, hai dato una risposta che non c'azzecca nulla.
L'istinto sanguinario esiste. Punto. Fa parte della nostra storia evolutiva. Poi noi abbiamo ANCHE la neo-corteccia con le sue NUOVE qualità che è proprio ciò che dobbiamo utilizzare per superare il "male".
Ed è proprio per questo che in noi si è sviluppata la neo-corteccia...per introdurre il "bene" nella realtà. Questo è lo SCOPO della neo-corteccia...e questo è lo SCOPO dell'homo sapiens.
Tuttavia...un homo che non sviluppa e coltiva adeguatamente la sua neo-corteccia (crescere e maturare in consapevolezza) sarà inevitabilmente guidato dalle parti ancestrali del suo cervello...cioè dalla sua natura animale aggressiva e sanguinaria.
E' per questo che è avvenuto Auschwitz.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 25 Novembre 2019, 19:09:28 PM
Hanna Arendt scompare di fronte a te. Rettilianità del male.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 25 Novembre 2019, 19:18:05 PM
il dolore è una sensazione soggettiva, per dirla alla Rosmini, una "modificazione del sentimento fondamentale corporeo", qualcosa che accade nel mio soggettivo vissuto, ma non consiste in una realtà extracoscienziale, in questo senso concordo con il considerarlo come realtà "virtuale", nell'accezione di virtuale che ora penso di aver inteso come venga qua utilizzata. La sensibilità, intesa di per sé, slegata dalle altre modalità di apprensione del mondo a cui è sempre mescolata nel concreto degli atti di esperienza tramite cui interagiamo col mondo, manca di intenzionalità, cioè non mira a rappresentare uno stato di cose oggettivo, quindi è incapace al fondare una conoscenza del reale al di là del virtuale. Una conoscenza di questo tipo potrebbe solo fondarsi sulla logica, sulla capacità del pensiero di analizzare le implicazioni coerenti tra le idee considerate nella loro essenza, in ciò a partire da cui le definiamo, per collocarle in un sistema di verità in cui essere razionalmente riconosciute come necessarie, dunque valenti oggettivamente, al di là della soggettività senziente. Questo è un punto di vista filosofico, cioè non fondato sui sensi, ma sulla logica deduttiva a priori, ed è l'unico punto di vista nel quale è possibile rendersi conto dei limiti della conoscenza sensibile riguardo alla rappresentazione del reale, in quanto, per rendersi conto di tali limiti occorre necessariamente adottare un punto di vista altro rispetto a quello a cui i limiti sono riferiti. Per questo il problema dell'uscita dal solipsismo, di una possibile conoscenza di un mondo oggettivo oltre la nostra esperienza soggettiva è sempre stato un classico tema gnoseologico e filosofico, dalla gnoseologia platonica, a quella aristotelica, allo scetticismo, ad Agostino, Cartesio, l'empirismo, il criticismo kantiano, la fenomenologia. Non inganni il fatto che la filosofia parta dal "videogame", dalla coscienza, nell'accezione fenomenologica questo non vuol dire restare chiusi nel videogame, al contrario, si tratta di un passaggio metodologico fondamentale in cui si analizzano le varie forme con cui la coscienza si relaziona al mondo, e si valutano i limiti entro cui ciascuna di queste forme appare legittimata a fondare discorsi sensati, evitando sovrapposizioni. Cioè un atteggiamento critico in cui si parte dalla soggettività per verificarne la validità di modi in cui intenzionalmente si riferisce a un mondo oggettivo posto oltre essa. Al contrario, sono proprio quei saperi fondati sulla sensibilità, come quelli naturalistici, che sono impossibilitati a risolvere il problema di una realtà oggettiva posta al di là della soggettività, proprio perché i sensi, a differenza del pensiero, non hanno intenzionalità, cioè non mirano ad alcun riferimento extrasoggettivo, ed è impossibile che una conoscenza fondata per via sensibile possa riconoscere i limiti della rappresentazione sensibile, altrimenti dovrebbe autoinvalidarsi misconoscendo la sua base fondativa. E non inganni nemmeno il fatto che fisici o altri scienziati naturalistici abbiano operato riflessioni di questo genere: la filosofia non va intesa come un gruppo di filosofi manualisticamente etichettati come tali, ma come forma mentis presente e operante, in modo più o meno esplicito e riflesso, in ogni persona dotata di raziocinio, a prescindere dal mestiere che svolge o dal campo di studi a cui si dedica. Quindi quando un fisico afferma che "tutto è energia" non sta pensando da fisico, ma da filosofo, perché sta affermando qualcosa che non può essere verificato per via sensibile, dato che il concetto di totalità trascende ogni finitezza delle cose che la sensibilità registra in noi, anche se poi applicherà questa intuizione filosofica (anche se non riconosciuta come tale) all'interno del suo specifico ambito di ricerca fisico. Questo perché la filosofia fonda i criteri primi e universali che tutte le altre scienze implicitamente devono applicare e inserire nelle loro metodologie, per quanto vengano per così dire "lasciati sullo sfondo", senza una tematizzazione ad hoc.

Intendendo "spiritualismo" come posizione di una realtà spirituale trascendente quella fisica, questa "stramba corrente" è in realtà l'unica entro la quale la possibilità di filosofare resta sensata, in quanto si attribuisce ad esso uno specifico ambito di indagine, distinto da quelli per i quali le scienze naturali appaiono sufficienti a esplicare le questioni. Una volta riconosciuto ciò, si può discutere se intendere questa trascendenza come trascendenza sostanziale, come nella metafisica teista oppure più come una forma logica globale applicata a un contenuto che però coincide immanentisticamente con quello del mondo materiale e storico, come nelle forme dell'idealismo moderno, ma in ogni caso resterà sempre un livello di realtà da indagare con una metodologia filosofica propria, non induttiva e sperimentale, ma deduttiva e dialettica, dato che nessuna induzione potrà mai giungere alla visione della totalità
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Freedom il 25 Novembre 2019, 19:24:44 PM
Gli ultimi post sono una interessante prospettiva del bene/male. Non riesco tuttavia a comprendere come si possano innervare nel tema della morte.

Comunque

Citazione di: myfriend il 25 Novembre 2019, 17:17:14 PM
Quindi la domanda è: perchè il lupo che divora l'agnello non è male...perchè il leone che uccide i cuccioli del suo avversario non è male...mentre l'homo che uccide un bambino è male? E perchè diciamo che questo è male se la violenza che noi manifestiamo è la violenza che è incarnata nel nostro DNA che deriva da quello dei mammiferi carnivori sanguinari e violenti da cui discendiamo geneticamente e che è codificata nel nostro cervello?
Questa è la DOMANDA.
Dal mio punto di vista anche gli animali commettono il male. Poi hanno meno responsabilità (forse nessuna) degli esseri umani perché hanno meno libero arbitrio (forse niente). Ma di male ne fanno eccome!

Ed anche gli uomini non hanno tutto 'sto libero arbitrio che sembra ma, per quel poco che vale la mia opinione, non è nemmeno tutto servo arbitrio. Quindi anche gli uomini hanno le loro belle responsabilità.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 25 Novembre 2019, 20:28:45 PM
Citazione di: Freedom il 25 Novembre 2019, 19:24:44 PM
Gli ultimi post sono una interessante prospettiva del bene/male. Non riesco tuttavia a comprendere come si possano innervare nel tema della morte.

Comunque

Citazione di: myfriend il 25 Novembre 2019, 17:17:14 PM
Quindi la domanda è: perchè il lupo che divora l'agnello non è male...perchè il leone che uccide i cuccioli del suo avversario non è male...mentre l'homo che uccide un bambino è male? E perchè diciamo che questo è male se la violenza che noi manifestiamo è la violenza che è incarnata nel nostro DNA che deriva da quello dei mammiferi carnivori sanguinari e violenti da cui discendiamo geneticamente e che è codificata nel nostro cervello?
Questa è la DOMANDA.
Dal mio punto di vista anche gli animali commettono il male. Poi hanno meno responsabilità (forse nessuna) degli esseri umani perché hanno meno libero arbitrio (forse niente). Ma di male ne fanno eccome!

Ed anche gli uomini non hanno tutto 'sto libero arbitrio che sembra ma, per quel poco che vale la mia opinione, non è nemmeno tutto servo arbitrio. Quindi anche gli uomini hanno le loro belle responsabilità.

Gli ultimi post sono una interessante prospettiva del bene/male. Non riesco tuttavia a comprendere come si possano innervare nel tema della morte.

Si innervano nel tema della morte perchè hanno una origine comune.

Il "male" risiede negli strati ancestrali del nostro cervello (cervello rettiliano e cervello limbico o paleomammaliano). E risiede lì perchè lì sono codificati gli istinti di base animali (egoismo, aggressività, violenza, territorialità, competizione, sottomissione al branco e al capo-branco, attacco e fuga, paura e fuga, dolore, gioia, gratificazione etc etc) che abbiamo ereditato dalla nostra storia evolutiva (cioè dai pesci, rettili e primi mammiferi).
Allo stesso modo la "morte" risiede lì, nello stesso punto. Cioè risiede nella parte ancestrale del nostro cervello dove stanno i meccanismi istintivi animali di base che elaborano gli impulsi bio-elettrici che provengono dai nostri sensi e dal sistema nervoso periferico e che, a partire da questi, costruiscono la "visione di realtà" (o "realtà virtuale" o videogame) in cui noi vediamo e percepiamo cose distinte e separate che si muovono nello spazio-tempo e che "nascono" e "muoiono".

Noi siamo inseriti in questo videogame creato dal nostro cervello. E, in questo videogame, c'è sia il "male" che la "morte".
E' la nostra neo-corteccia - la nostra "natura superiore" - che ci consente di comprendere che la percezione di realtà creata dal nostro cervello (dalla "natura inferiore" del nostro cervello) è solo un videogame che esiste tutto e solo nella nostra testa.

Certo è che la nostra natura superiore dobbiamo risvegliarla...coltivarla...altrimenti viviamo completamente risucchiati nel videogame creato dalla nostra natura inferiore e pensiamo che le cose davvero "nascono" e "muoiono"...cioè senza l'aiuto di una natura superiore adeguatamente consapevole e risvegliata, finiamo completamente risucchiati dalla nostra natura inferiore e dal videogame che essa crea...e pensiamo che il videogame sia reale...pensiamo che le cose davvero "nascono" e davvero "muoiono".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Sariputra il 25 Novembre 2019, 21:21:28 PM
"Morte" è un termine convenzionale per definire la cessazione delle funzioni vitali in un organismo vivente o di parte di esso ("quel ramo dell'albero è morto").Non significa ovviamente che si scompare nel nulla, come nella 'nascita' non si proviene dal nulla. Gli elementi che compongono il corpo cadaverico accelerano la loro trasformazione, mutano., si decompongono. Il termine 'de-composizione' illustra l'esito di questo processo che è la morte. Un corpo che si è composto si de-compone. Viene a mancare la necessaria correlazione funzionale tra gli organi che formano un 'vivente'. C'è qualcosa che cessa (la necessaria attività e correlazione funzionale degli organi). Questa è la morte. Dire che "in realtà non esiste la morte o la nascita" significa non osservare che qualcosa viene in essere ( l'inizio della necessaria attività e correlazione funzionale degli organi) e qualcosa cessa .
Il temine 'morte/death/mortem/मौत'' '  è una designazione mentale per quel particolare stato degli organi che compongono un corpo che cessano la loro attività e correlazione funzionale. Non si forma e cessa per 'magia' ma seguendo un processo. E' evidente che la realtà è un susseguirsi e intrecciarsi di processi, ma il linguaggio 'ferma' in definizioni questi processi che sfuggono altrimenti alla possibilità di conoscere che è de-finire. Quando conosco? Quando de-finisco , cioè quando descrivo con parole precise e appropriate le qualità, le caratteristiche essenziali di qualcosa. Naturalmente posso essere consapevole che nascita e morte sono processi e che non esiste un punto preciso (se non in senso convenzionale..) di nascita e uno di morte, ciononostante nascita e morte sono forme della conoscenza.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 25 Novembre 2019, 21:39:03 PM
@Sariputra

Ciò che noi vediamo, percepiamo, sentiamo, odoriamo, tocchiamo...cioè quella che noi definiamo "realtà" e che abbiamo davanti agli occhi e nella quale ci muoviamo è, a tutti gli effetti, una costruzione del nostro cervello di cui siamo totalmente inconsapevoli. E' il nostro cervello che ci fa percepire la realtà come fatta da una collezione di oggetti distinti e separati che si muovono nello spazio-tempo....che "nascono", "vivono" e poi "muoiono". Noi pensiamo che questa "realtà" sia reale...ma è solo una "realtà virtuale" costruita dal nostro cervello in cui noi siamo inseriti...come se fosse un videogame (Non è una "illusione" che non esiste...ma è un videogame creato dal nostro cervello che esiste tutto e solo nella nostra testa).

Il nostro cervello elabora segnali bio-elettrici che provengono dai nostri sensi e dal nostro sistema nervoso periferico. E costruisce nella nostra mente ciò che noi chiamiamo "realtà". In questo videogame costruito dal nostro cervello le cose "nascono", "crescono" e "muoiono".
Tutti i nostri pensieri, le nostre motivazioni, le nostre azioni nascono all'interno di questo videogame che esiste tutto e solo nella nostra testa. Noi pensiamo di agire "consapevolmente"....ma in realtà stiamo agendo all'interno di una realtà virtuale costruita dal nostro cervello e che esiste solo e tutta nella nostra testa e, di questo fatto, siamo totalmente inconsapevoli.

Al di là della realtà virtuale costruita dal nostro cervello...all'interno della quale esiste il nostro IO, i nostri pensieri, le nostre filosofie, le nostre fedi, la nostra gioia, la nostra sofferenza, le nostre paure, i nostri desideri e tutto il resto....esiste la realtà REALE che segue logiche del tutto diverse e della quale noi non siamo consapevoli perchè il nostro cervello non la capta e non la percepisce.

Quindi....noi non siamo consapevoli del fatto che la realtà che percepiamo con i nostri sensi è solo una "realtà virtuale" - un videogame - costruito dal nostro cervello e che esiste solo e tutta nella nostra testa...e pensiamo che tutto ciò che viviamo in questo videogame sia reale. E, inoltre, non siamo consapevoli nemmeno del fatto che, al di là di questa "realtà virtuale" creata dal nostro cervello, esiste una realtà REALE che segue logiche del tutto diverse che il nostro cervello non percepisce e non può percepire, ma che è, a tutti gli effetti, la vera e unica realtà esistente.

Comprendere questo dualismo è il primo passo verso la consapevolezza.
Poichè ci consente di porci due domande:
1- che cos'è la realtà virtuale o videogame (in cui percepiamo cose distinte e separate che si muovono nello spazio-tempo e dove le cose "nascono" e "muoiono") creata dal nostro cervello e quali sono le dinamiche che la regolano? Come vivo io dentro questa realtà virtuale?
2- che cos'è la realtà REALE che esiste al di là del nostro cervello (dove lo spazio-tempo non esiste e dove la "morte" non esiste e nemmeno la "nascita", perchè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma) e quali sono le dinamiche che la regolano? Si può vivere in questa realtà REALE se si trova al di là di ciò che il nostro cervello riesce a percepire e al di là del videogame - nel quale siamo inseriti - creato dal nostro cervello?

Questa è la vera e unica questione: comprendere e diventare consapevoli del dualismo della "caverna di Platone".
Tutto il resto è "aria fritta".
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 25 Novembre 2019, 22:19:00 PM
Citazione di: paul11
ciao Bobmax,
Se ogni cosa che esiste ha una sua significazione, persino il lager, le bestialità, il male ha una sua necessità nella regola universale; anche lo stesso morire, il dipartire.

Tu dici che il Bene è assoluto, potrei essere d'accordo come estrema sintesi. E' la dimostrazione del pensiero che manca per arrivare a definire Bene. Potrei dirti che l'inferno è già qui e ora, essendo
la terra infero rispetto al supero universale, , essendo qui nelle esistenze, nella vita, dove si combatte il Bene e il Male dove è difficile scegliere il grano dalla gramigna.

Se il Bene è assoluto è eterno come la verità, ma il divenire del destino umano ci offre la manifestazione anche del male, noi stessi possiamo fare del male, deve esserci una relazione a questo male necessario rispetto a quel Bene assoluto ed è proprio nel piano della nostra vita, esistenza, esser-ci, che deve rivelarsi questa diatriba come rivelazione,come verità.
E' il superamento del male che può essere anche in noi per arrivare a quel bene assoluto?
Questo è già uno dei significati della nostra esistenza

Ciao Paul11

L'inferno non è quello che tu descrivi, è ben altro.

Perché l'inferno non ha nulla a che vedere con l'eterno conflitto tra bene e male.

L'inferno è il ritrovarmi colpevole senza speranza di redenzione. E' lo scoprire di essere, proprio io, il Male!
Questa constatazione, che è assolutamente vera, mi condanna ipso facto all'inferno.
E l'inferno è per sempre.

In questa assoluta desolazione, il Bene brilla come non mai!
Il Bene è ora certo, come certa e giusta è la mia condanna per l'eternità.

Vi è altro modo per sincerarsi del Bene?

Non lo so.
Ma mi sa che l'inferno sia il destino inevitabile di chi cerca la Verità.

Vi si entra di propria volontà. Senza alcuna speranza di salvezza. Perché è impossibile!

Ma per Dio tutto è possibile...


Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 25 Novembre 2019, 22:58:36 PM
La morte é il vaso di Pandora. Impossibile restare it !
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 25 Novembre 2019, 22:59:48 PM
Citazione di: Phil il 25 Novembre 2019, 12:56:36 PM
Non lasciarti fuorviare da un forum di nietzschiani, spiritualisti e altre strambe correnti.
Citazione di: davintro il 25 Novembre 2019, 19:18:05 PM
Intendendo "spiritualismo" come posizione di una realtà spirituale trascendente quella fisica, questa "stramba corrente" è in realtà l'unica entro la quale la possibilità di filosofare resta sensata
A scanso di eventuali equivoci: con «strambe correnti» non mi riferivo né a Nietzsche né allo spiritualismo, ma alle altre posizioni che non ho citato (fra cui anche la mia, per intenderci).

Citazione di: davintro il 25 Novembre 2019, 19:18:05 PM
Una conoscenza di questo tipo potrebbe solo fondarsi sulla logica, sulla capacità del pensiero di analizzare le implicazioni coerenti tra le idee considerate nella loro essenza, in ciò a partire da cui le definiamo, per collocarle in un sistema di verità in cui essere razionalmente riconosciute come necessarie, dunque valenti oggettivamente, al di là della soggettività senziente. Questo è un punto di vista filosofico, cioè non fondato sui sensi, ma sulla logica deduttiva a priori, ed è l'unico punto di vista nel quale è possibile rendersi conto dei limiti della conoscenza sensibile riguardo alla rappresentazione del reale, in quanto, per rendersi conto di tali limiti occorre necessariamente adottare un punto di vista altro rispetto a quello a cui i limiti sono riferiti [...] sono proprio quei saperi fondati sulla sensibilità, come quelli naturalistici, che sono impossibilitati a risolvere il problema di una realtà oggettiva posta al di là della soggettività, proprio perché i sensi, a differenza del pensiero, non hanno intenzionalità, cioè non mirano ad alcun riferimento extrasoggettivo, ed è impossibile che una conoscenza fondata per via sensibile possa riconoscere i limiti della rappresentazione sensibile, altrimenti dovrebbe autoinvalidarsi misconoscendo la sua base fondativa.
Ciò sarebbe vero se partissimo dall'assunto che «tutti i sensi si sbagliano sempre»; per fortuna, non è così drammatica la situazione e sono spesso i sensi a correggere gli stessi sensi; solito esempio banale: il bastone immerso nell'acqua sembra spezzato allo sguardo, ma il tatto mi dice che non lo è (se lo tocco quando è immerso); poi la ragione mi conferma che non può spezzarsi e ricomporsi perfettamente a seconda che lo si immerga o meno; deduzione o induzione? Quella conferma dipende dall'"essenza" del legno che costituisce il bastone o dal non aver mai riscontrato un legno che si comporti in quel modo (spezzandosi e ricomponendosi)?
Da considerare che la generalizzazione e l'astrazione (che consentono di parlare di un "tutto" estensionalmente ipotetico) non sono affatto estranee ai metodi induttivi, nè alle scienze induttive; altrimenti non avremmo gran parte della scienza attuale e, soprattuto, della ricerca scientifica (inoltre, vado a memoria, anche l'intenzionalità è induttiva: la noesi del noema costruisce l'oggetto, con i suoi "adombramenti", non lo deduce; ai tempi di Husserl le neuroscienze avevano comunque un po' meno da dire rispetto a quelle attuali).
Osserverei en passant che un'induzione può falsificare mille deduzioni, ma non viceversa; per questo l'epistemologia deve riflettere su ciò che è falsificabile e ciò che non lo è (la filosofia metafisico-deduttiva può invece non porsi tale problema, nel bene e nel male).
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 25 Novembre 2019, 23:04:27 PM
ciao Myfriend
Sei in contraddizione, spinto dall'entusiasmo scientista.
1) la natura in sé e per sé ha una morale? Se dici di no allora...
2) Se l'uomo ha un cervello evolutivo e la natura non ha morale, neppure il cervello dovrebbe avere una morale e quindi non risiederebbe nessun parte o strato di cervello deputato al bene o al male.

Chiedilo alla scienza che in filosofia della mente, composta da neuroscienze e cognitivismo e spinta dal funzionalismo non sa la relazione fra mente e cervello, predicando occorrenze, identità e sopravvenienze, non sa nemmeno dove sia la coscienza.
Però, intanto, la filosfia analitica in logica utilizza operatori modali come: possibilità e necessità che appartengono alle filosfie antiche.
Sta a vedere che tutto ritorna...alla fine.
Ti risulta che nei neuroni al microscopio elettronico abbiano visto i non-vedenti materialisti-naturalisti-relativisti, un barlume di coscienza? Chiedilo ai pseudopensatori del postmodernismo che raccontano fiabe ,facendo da fiancheggiatori allo scientismo .

Ti risulta che gli animali linguisticamente sappiano pensare alla morte propria?
Lo strato più recondito del cervello spiega l'istinto di sopravvivenza, non l'egoismo, spiega gli automatismi metabolici funzionali, come la respirazione e il battito cardiaco che non sono atti volontari della corteccia cerebrale che con le aree di Broca e Wernicke sono deputate al linguaggio.

L'evoluzione scientifica.......la più gran bufala della storia.
Ti risulta che in milioni di anni qualche scimmia sia riuscita a costituire un barlume di area linguistica e abbia saputo collegarla alla laringe per modulare le parole?
Chiedi agli scientisti di fare una seduta medianica con l'ectoplasma di Darwin.
Dopo milioni di anni nessuna specie si evolve verso l'uomo: i virus sono ancora virus, il plancton è ancora lì, i muschi i licheni, come le amebee e i protozoi. Chissà perché ognuno sta al suo posto a mantenere la catena alimentare ed ecologica e costituire gli habitat.
Nulla è più adattativo dei virus e dei batteri che ci uccidono. Sono loro non le orche o i leoni ad ucciderci e si trovano dai geyser a sotto i ghiacci dell'Antardide.

L'evoluzione quindi spiegherebbe il nostro cervello?

Che il cervello si trovi in un videogame, in stato allucinogeno per droghe, in un cervello senza corpo in una vasca, se sia in coma e addirittura il cognitivismo ritene che ascoltano nello stato fetale,se pensa, se soffre o gioisce, vive e in quanto tale non modifica affatto i fondativi della filosofia . Non sposta affatto le domande e risposte sulla vita e morte, ed eventualmente il bene e il male.
La morale non è una categoria naturale, così come la mente pensa a geometrie ,logiche, matematiche che non sono ontologie appartenenti né alla natura e neppure alla materia. Ma intanto gli scientisti che non capiscono la mente e il cervello la usano per i loro scopi.
Semmai il nostro cervello è analogico al mondo, può leggere il mondo
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 25 Novembre 2019, 23:34:59 PM
Citazione di: bobmax il 25 Novembre 2019, 22:19:00 PM
Citazione di: paul11
ciao Bobmax,
Se ogni cosa che esiste ha una sua significazione, persino il lager, le bestialità, il male ha una sua necessità nella regola universale; anche lo stesso morire, il dipartire.

Tu dici che il Bene è assoluto, potrei essere d'accordo come estrema sintesi. E' la dimostrazione del pensiero che manca per arrivare a definire Bene. Potrei dirti che l'inferno è già qui e ora, essendo
la terra infero rispetto al supero universale, , essendo qui nelle esistenze, nella vita, dove si combatte il Bene e il Male dove è difficile scegliere il grano dalla gramigna.

Se il Bene è assoluto è eterno come la verità, ma il divenire del destino umano ci offre la manifestazione anche del male, noi stessi possiamo fare del male, deve esserci una relazione a questo male necessario rispetto a quel Bene assoluto ed è proprio nel piano della nostra vita, esistenza, esser-ci, che deve rivelarsi questa diatriba come rivelazione,come verità.
E' il superamento del male che può essere anche in noi per arrivare a quel bene assoluto?
Questo è già uno dei significati della nostra esistenza

Ciao Paul11

L'inferno non è quello che tu descrivi, è ben altro.

Perché l'inferno non ha nulla a che vedere con l'eterno conflitto tra bene e male.

L'inferno è il ritrovarmi colpevole senza speranza di redenzione. E' lo scoprire di essere, proprio io, il Male!
Questa constatazione, che è assolutamente vera, mi condanna ipso facto all'inferno.
E l'inferno è per sempre.

In questa assoluta desolazione, il Bene brilla come non mai!
Il Bene è ora certo, come certa e giusta è la mia condanna per l'eternità.

Vi è altro modo per sincerarsi del Bene?

Non lo so.
Ma mi sa che l'inferno sia il destino inevitabile di chi cerca la Verità.

Vi si entra di propria volontà. Senza alcuna speranza di salvezza. Perché è impossibile!

Ma per Dio tutto è possibile...
ciao Bobmax,
Quale sarebbe la colpa? Di esistere, di esser-ci?
La mia risposta è che necessariamente deve esserci un senso, un significato in tutto questo e qui davvero la logica si ferma .........e viene altro, quel totalizzante conoscere che riesce a scuoterci.
Per questo sono un credente. Quì siamo fra la luce e le tenebre, fra la vita e la morte.
Se ritieni il Bene come assoluto non ho nessun argomento logico per cui il Bene debba condannare la creatura umana:perchè mai? Perché mai il Bene condanna l'esistenza umana pregiudizievolmente,senza appello, senza giustizia? Non traggo nessun senso, nessun signifcato.
Noi possiamo fare del bene, comportarci bene
Persino un ateo che "sente" come un dovere di comportarsi onestamente, rettamente è indirizzato verso il bene, anche se non ci crede, anche se non lo comprende? Semplicemente lo "sente".
Non è forse dei semplici di cuore quel bene? Penso che infatti sia questa la strada di senso, l'orizzonte della vita per superare il timore della morte, qui nel divenire delle apparenze.
E' contraddittorio un Bene assoluto ed eterno ed un male eterno nel divenire incarnato da noi umani. Non regge il senso, anche se può essere pesante vivere.

La verità ,ribadisco, è da cercare in modo totalizzante, non solo per vie logiche, non solo per vie filosofiche, non solo per vie artistiche, coinvolge noi totalmente corpo e spirito, coscienza,anima.
E' un"sentire"interiore.
Se c'è il Bene c'è una Giustizia.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 25 Novembre 2019, 23:44:37 PM
@paul11

La natura manifesta le qualità della Coscienza cosmica che è alla base della materia.
Non si tratta di avere o non avere morale.
Si tratta delle qualità della coscienza cosmica.
Noi SIAMO coscienza cosmica (come ogni altra forma di materia) e manifestiamo determinate qualità della coscienza cosmica.

Per "egoismo" si intende quel comportamento dell'individuo atto a trarre beneficio solo per sè. E' egoista il coccodrillo che assale un altro coccodrillo per strappargli la preda di bocca. Ed è egoista l'homo che manda un lavoratore a lavorare in un capannone pieno di amianto per accrescere le proprie ricchezze.

Torniamo alle qualità della coscienza cosmica. La violenza, l'egoismo, l'aggressività sono qualità della coscienza cosmica che si manifestano nei rettili, nei mammiferi e anche nell'homo (negli strati inferiori del nostro cervello).
Noi abbiamo la neo-corteccia perchè in noi si potessero manifestare anche altre qualità della coscienza cosmica e cioè: intelligenza, creatività, compassione, libero arbitrio.

E proprio qui sta il problema. Noi viviamo il dualismo tra la nostra natura inferiore (strati inferiori del cervello che abbiamo ereditato dalla storia evolutiva: dove si manifestano le qualità di egoismo, aggressività, violenza) e la nostra natura superiore (strato superiore del cervello o neo-corteccia che è solo nostra ed è la nostra specificità: dove si manifestano intelligenza, creatività, compassione, libero arbitrio).
Solo noi viviamo questo dualismo.

L'agnello e la gazzella fanno l'agnello e la gazzella e mangiano l'erba.
Il lupo fa il lupo e mangia l'agnello.
Il leone fa il leone e mangia la gazzella.
Il sasso fa il sasso.
La galassia fa la galassia.
Sono tutte forme di materia che manifestano specifiche qualità della coscienza cosmica e sono vincolate alle leggi di natura (anch'esse manifestazioni della coscienza cosmica) che ne regolano il comportamento.
Non vivono nessun dualismo. Seguono semplicemente la loro natura per garantire l'intelligenza dell'equilibrio.

Noi, invece, possiamo, allo stesso tempo, distruggere le foreste e massacrare i bambini per costruire un oleodotto per arricchirci (egoismo, aggressività che derivano dalla nostra natura inferiore e animale che abbiamo ereditato dalla storia evolutiva) o possiamo costruire ospedali per curare i bambini, salvare le foche dall'estinzione e rimboschire le montagne (creatività, compassione, intelligenza, libero arbitrio che derivano dalla nostra natura superiore dove risiedono le qualità specifiche della nostra specie).
E' da questo dualismo che nascono i concetti di "male" e "bene".

Quando agiamo in modo intenzionale a partire dalla nostra natura inferiore e mettiamo la nostra natura superiore al servizio della natura inferiore (cioè mettiamo l'intelligenza-creatività-libero arbitrio al servizio dell'egoismo, aggressività) compiamo il "male".
Quando, invece, agiamo in modo intenzionale a partire dalla nostra natura superiore e mettiamo la nostra natura inferiore al servizio della natura superiore (cioè mettiamo l'egoismo, aggressività al servizio dell'intelligenza-creatività-libero arbitrio-compassione) compiamo il "bene".

Cioè noi abbiamo una natura superiore dove risiedono le nostre qualità specifiche (che sono manifestazioni della coscienza cosmica). E il nostro scopo è vivere basandoci su questa natura superiore che è la nostra specificità....mettendo la natura inferiore (che abbiamo ereditato dalla storia evolutiva) al servizio della natura superiore.
Questo è il nostro scopo.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 25 Novembre 2019, 23:55:50 PM
Citazione di: davintro il 25 Novembre 2019, 19:18:05 PM
Intendendo "spiritualismo" come posizione di una realtà spirituale trascendente quella fisica, questa "stramba corrente" è in realtà l'unica entro la quale la possibilità di filosofare resta sensata, in quanto si attribuisce ad esso uno specifico ambito di indagine, distinto da quelli per i quali le scienze naturali appaiono sufficienti a esplicare le questioni. Una volta riconosciuto ciò, si può discutere se intendere questa trascendenza come trascendenza sostanziale, come nella metafisica teista oppure più come una forma logica globale applicata a un contenuto che però coincide immanentisticamente con quello del mondo materiale e storico, come nelle forme dell'idealismo moderno, ma in ogni caso resterà sempre un livello di realtà da indagare con una metodologia filosofica propria, non induttiva e sperimentale, ma deduttiva e dialettica, dato che nessuna induzione potrà mai giungere alla visione della totalità

Non ridurrei lo spiritualismo immanentistico all'idealismo moderno. Anche una impostazione rigorosamente materialistica estrapola principi ideali dall'immanenza. Principi ideali che si coagulano in comportamenti etici che traggono i loro fondamenti da induzioni sulla realtà e deduzioni conseguenti. Posto che in ogni caso nessun teorema scientifico o filosofico può arrogarsi di possedere una "visione della totalità", ma soltanto di "totalità" contingenti e contestuali.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 26 Novembre 2019, 00:21:50 AM
Citazione di: myfriend il 25 Novembre 2019, 23:44:37 PM
@paul11

La natura manifesta le qualità della Coscienza cosmica che è alla base della materia.
Non si tratta di avere o non avere morale.
Si tratta delle qualità della coscienza cosmica.
Noi SIAMO coscienza cosmica (come ogni altra forma di materia) e manifestiamo determinate qualità della coscienza cosmica.

Per "egoismo" si intende quel comportamento dell'individuo atto a trarre beneficio solo per sè. E' egoista il coccodrillo che assale un altro coccodrillo per strappargli la preda di bocca. Ed è egoista l'homo che manda un lavoratore a lavorare in un capannone pieno di amianto per accrescere le proprie ricchezze.

Torniamo alle qualità della coscienza cosmica. La violenza, l'egoismo, l'aggressività sono qualità della coscienza cosmica che si manifestano nei rettili, nei mammiferi e anche nell'homo (negli strati inferiori del nostro cervello).
Noi abbiamo la neo-corteccia perchè in noi si potessero manifestare anche altre qualità della coscienza cosmica e cioè: intelligenza, creatività, compassione, libero arbitrio.

E proprio qui sta il problema. Noi viviamo il dualismo tra la nostra natura inferiore (strati inferiori del cervello che abbiamo ereditato dalla storia evolutiva: dove si manifestano le qualità di egoismo, aggressività, violenza) e la nostra natura superiore (strato superiore del cervello o neo-corteccia che è solo nostra ed è la nostra specificità: dove si manifestano intelligenza, creatività, compassione, libero arbitrio).
Solo noi viviamo questo dualismo.

L'agnello e la gazzella fanno l'agnello e la gazzella e mangiano l'erba.
Il lupo fa il lupo e mangia l'agnello.
Il leone fa il leone e mangia la gazzella.
Il sasso fa il sasso.
La galassia fa la galassia.
Sono tutte forme di materia che manifestano specifiche qualità della coscienza cosmica e sono vincolate alle leggi di natura (anch'esse manifestazioni della coscienza cosmica) che ne regolano il comportamento.
Non vivono nessun dualismo. Seguono semplicemente la loro natura per garantire l'intelligenza dell'equilibrio.

Noi, invece, possiamo, allo stesso tempo, distruggere le foreste e massacrare i bambini per costruire un oleodotto per arricchirci (egoismo, aggressività che derivano dalla nostra natura inferiore e animale che abbiamo ereditato dalla storia evolutiva) o possiamo costruire ospedali per curare i bambini, salvare le foche dall'estinzione e rimboschire le montagne (creatività, compassione, intelligenza, libero arbitrio che derivano dalla nostra natura superiore dove risiedono le qualità specifiche della nostra specie).
E' da questo dualismo che nascono i concetti di "male" e "bene".

Quando agiamo in modo intenzionale a partire dalla nostra natura inferiore e mettiamo la nostra natura superiore al servizio della natura inferiore (cioè mettiamo l'intelligenza-creatività-libero arbitrio al servizio dell'egoismo, aggressività) compiamo il "male".
Quando, invece, agiamo in modo intenzionale a partire dalla nostra natura superiore e mettiamo la nostra natura inferiore al servizio della natura superiore (cioè mettiamo l'egoismo, aggressività al servizio dell'intelligenza-creatività-libero arbitrio-compassione) compiamo il "bene".

Cioè noi abbiamo una natura superiore dove risiedono le nostre qualità specifiche (che sono manifestazioni della coscienza cosmica). E il nostro scopo è vivere basandoci su questa natura superiore che è la nostra specificità....mettendo la natura inferiore (che abbiamo ereditato dalla storia evolutiva) al servizio della natura superiore.
Questo è il nostro scopo.

Ciao Myfriend,
Un gatto di un mio vicino è più selvatico che domestico. Caccia topi, uccellini, ecc.
Un giorno di primavera un uccellino non ancora in grado di volare cadde dal nido e "urlava".
Arriva il gatto come un fulmine, ad un palmo dall'uccellino.........e si ferma, non lo attacca.
Non so se per empatia o cos'altro, ma il gatto lo ha lasciato stare e se ne è tornato sui suoi passi.

Ci sono eventi, a volte come rivelazioni, che escono dalle regole comuni e capitano anche a noi nella nostra esistenza, eventi inattesi, sorprendenti.

Non c'è egoismo negli animali c'è competizione di cibo. Ma la loro cassaforte è quasi sempre la quantità di cibo che riempie lo stomaco, Non hanno titoli, denaro, casseforti, non sterminano quasi mai e se lo fanno è in una condizione anomala,non naturale, come una faina dentro un pollaio, perché il pollaio non è naturale.

C'è chi chiama l'Essere, Bene, chi Coscienza cosmica. Tralasciando le elucubrazioni etimologiche delle parole mi trovo d'accordo con te sul discorso generale.
Sostengo infatti che vi sia un ordine(persino il disordine il caotico è dentro l'ordine), una regolarità che infatti permette a noi umani di leggere il mondo, in qualche modo persino di prevedere i fenomeni, i loro comportamenti.
Noi abbiamo una sfera della volontà che sfugge alle regole della natura terrena, ma dall'altra parte dobbiamo adattarci fisicamente al pianeta come temperatura e pressione e alle regole naturali della vita. Per questo sostengo che l'uomo sia "ambiguo".La sfera della volontà non è affatto il bene,è possibile che sia bene, ma non necessariamente, perché la volontà può fare il male. L'istinto,soprattutto di sopravvivenza non è bene o male, è neutro.
L'uomo può essere egoista, l'animale no. L'uomo ha sviluppato un pensiero e la facoltà della volontà per questo ha il libero arbitrio. L'uomo sfrutta un altro uomo e non ha un limite il suo accaparramento sui propri simili e lo sfruttamento della natura (che non è fare fruttare la natura).
Agisce seconda una propria coscienza, un atto di volontà, una libertà di scelta.
Il capobranco per quanto per diventarlo abbia duellato e senza uccidere, ora è il dominante, ma agisce per il branco, non lo sfrutta, lo difende. La nostra volontà può essere spinta verso due opposti, ciò che chiamiamo bene e male. Un uomo egoista non è colui che ruba perché non ha nulla da mangiare, ma colui che persevera avendo già abbondanza.
Gli animali si rubano il cibo perché hanno lo stomaco vuoto e non hanno frigoriferi....
Il capobranco animale quando mangia la preda era come la consuetudine, forse persa oggi, secondo cui il capofamiglia umano era il primo ad essere servito. Ma il capofamiglia e il capobranco non mangiano tutto quello che c'è,si servono solo per primi e lasciano poi agli altri che debbono sfamarsi.
E' così semplice.........eppure l'uomo ha complicato tutto.

La natura e l'universo danno segni e signifcati di armonia ed equilibrio. il nostro problema umano è nella sfera della volontà.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: paul11 il 26 Novembre 2019, 00:44:04 AM
Citazione di: Ipazia il 25 Novembre 2019, 23:55:50 PM

.....................
Posto che in ogni caso nessun teorema scientifico o filosofico può arrogarsi di possedere una "visione della totalità", ma soltanto di "totalità" contingenti e contestuali.
ciao Ipazia,
Ma è proprio questa la differenza.
Il "pregiudizio filosofico" postato da Donquixote, consiste nella ricerca della verità.
Per quel che penso, nessuno o forse quasi nessuno può arrogarsi una verità "certa"(chissà Buddha, Gesù......)
Ma è la tensione verso questa verità che fa la differenza. Perchè cambia la vita e la prospettiva della vita. Il pensare a verità parziali cambia il quadro di riferimento e di conseguenza la ricaduta è anche di come si interpreta la vita, la cultura, e tutto ciò che ne consegue e deriva.
Per rimanere in tema, se penso alla morte in un quadro di verità parziali, sarei tentato di interpretare la morte come in sè-e-per -sè, e lo capisco.
Ma se allargo la prospettiva e dal particolare umano la mia indagine va oltre seppur comprendendo i domini fisici e naturali, non mi bastano più i paradigmi scientifici, materiali e naturali delle apparenze.
Chi dei filosofi moderni e contemporanei ha trattato della morte? Solo coloro che sanno andare oltre i domini naturali e fisici. Perchè i problemi più inquietanti nell'uomo sono anche i più scomodi da trattare, da argomentare ,da darci un senso una significazione che non sia fine a se stessa.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 26 Novembre 2019, 06:05:52 AM
Ciao Paul11

Proprio non leggi ciò che scrivo.
Hai un pregiudizio che ti impedisce di vedere.

D'altronde l'inferno deve essere vissuto. Non può essere compreso razionalmente...

Ma il Bene chiama a sé.

In modo che noi si torni a essere quel nulla che da sempre siamo.

O con morte o con l'inferno.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 26 Novembre 2019, 08:50:29 AM
Citazione di: paul11 il 26 Novembre 2019, 00:44:04 AM
Citazione di: Ipazia il 25 Novembre 2019, 23:55:50 PM

.....................
Posto che in ogni caso nessun teorema scientifico o filosofico può arrogarsi di possedere una "visione della totalità", ma soltanto di "totalità" contingenti e contestuali.
ciao Ipazia,
Ma è proprio questa la differenza.
Il "pregiudizio filosofico" postato da Donquixote, consiste nella ricerca della verità.
Per quel che penso, nessuno o forse quasi nessuno può arrogarsi una verità "certa"(chissà Buddha, Gesù......)
Ma è la tensione verso questa verità che fa la differenza. Perchè cambia la vita e la prospettiva della vita. Il pensare a verità parziali cambia il quadro di riferimento e di conseguenza la ricaduta è anche di come si interpreta la vita, la cultura, e tutto ciò che ne consegue e deriva.
Per rimanere in tema, se penso alla morte in un quadro di verità parziali, sarei tentato di interpretare la morte come in sè-e-per -sè, e lo capisco.
Ma se allargo la prospettiva e dal particolare umano la mia indagine va oltre seppur comprendendo i domini fisici e naturali, non mi bastano più i paradigmi scientifici, materiali e naturali delle apparenze.
Chi dei filosofi moderni e contemporanei ha trattato della morte? Solo coloro che sanno andare oltre i domini naturali e fisici. Perchè i problemi più inquietanti nell'uomo sono anche i più scomodi da trattare, da argomentare ,da darci un senso una significazione che non sia fine a se stessa.

Era di pari avviso anche L.Wittgenstein

Citazione di: L.Wittgenstein - Tractatus logico-philosophicus6.52 Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta.
6.521 La soluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso. (Non è forse per questo che uomini, cui il senso delle vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che consisteva questo senso?).
6.522 Vi è davvero dell'ineffabile: esso mostra sé, è il Mistico.

Su quel Mistico si è molto vagheggiato. La mia versione lo accomuna al trascendentale di Kant e la "soluzione del problema della vita" non posso che trarla dall'unico Essere di cui abbia un'esperienza veridica: l'immanenza. E' quello il mare sulla cui onda contingenziale la mia tavola da surf misticheggia. Il più eticamente possibile.

Citazione di: paul11 il 26 Novembre 2019, 00:21:50 AM
Un gatto di un mio vicino è più selvatico che domestico. Caccia topi, uccellini, ecc.
Un giorno di primavera un uccellino non ancora in grado di volare cadde dal nido e "urlava".
Arriva il gatto come un fulmine, ad un palmo dall'uccellino.........e si ferma, non lo attacca.
Non so se per empatia o cos'altro, ma il gatto lo ha lasciato stare e se ne è tornato sui suoi passi.
...
Gli animali si rubano il cibo perché hanno lo stomaco vuoto e non hanno frigoriferi....
Il capobranco animale quando mangia la preda era come la consuetudine, forse persa oggi, secondo cui il capofamiglia umano era il primo ad essere servito. Ma il capofamiglia e il capobranco non mangiano tutto quello che c'è,si servono solo per primi e lasciano poi agli altri che debbono sfamarsi.
E' così semplice.........eppure l'uomo ha complicato tutto.

La natura e l'universo danno segni e significati di armonia ed equilibrio. il nostro problema umano è nella sfera della volontà.

Che sta nella neocorteccia. In realtà, come insegnano le neuroscienze, sta anche altrove (il sistema neuronico è assai elastico), ma senza entrare nei dettagli fisiologici, il nostro problema umano (del bene e del male) sta nelle funzioni superiori specificamente umane e non negli abissi evolutivi rettiliani.

Chi abbia letto e capito la lectio magistralis di Primo Levi non può che arrivare a questa conclusione: la deumanizzazione dell'ebreo, funzionale al suo sterminio, fu un'operazione del tutto intellettuale. Il male emerge in tutta la sua non-rettiliana natura nel ferroviere Adolf Eichmann il cui compito era di far viaggiare i treni carichi e in orario da ogni angolo dell'Europa nazista verso Auschwitz. Teoricamente avrebbe potuto non uccidere con le sue mani neppure una mosca, e fu pure difficile trovare qualche testimonianza di episodi "rettiliani" attribuibili a questo solerte, banale, impiegato del male.

Che il male stia tutto nella "neocorteccia" lo dimostra anche la sempre meno rettiliana conduzione della guerra ridotta a videogames in cui l'inferno e il nulla di bobmax si manifestano in tutta la loro eterea, ineffabile, virtualità tale da aprirci spiragli inquietanti sul Mistico. Un ritorno dal nulla al nulla tutto per via tecnologica, neocortecciale. Suprema metafisica della tecnologia applicata alla morte, direbbe un filosofo futurista.

"La natura e l'universo danno segni e significati di armonia ed equilibrio", certamente. Un gatto satollo, in tutta la sua saggezza rettiliana, lascia un uccellino indifeso al suo destino. Quello stesso uccellino che non avrebbe avuto scampo inquadrato nel neocortecciale mirino di un umano satollo.

In conclusione: il bene ed il male sono tutta farina del nostro sacco evolutivo e proprio nelle funzioni superiori dell'intelletto trovano la loro collocazione più spietata. Ci vuole molta filosofia in corpo per argomentare un massacro non con le ragioni di un Führer ma addirittura con quelle di Dio come fece l'abate Amoury a Bèziers.

Lo stesso F.Nietzsche, volendo andare al di là del bene e del male non potè far altro che trovarsi al di qua dei medesimi, dove vive pure il gatto del tuo vicino, limitando il lavorio della neocorteccia nicciana alla presa d'atto che il male, e il bene, siamo noi umani. Ed è forse in tale passaggio l'intuizione più feconda dell'eterno ritorno, la chiusura della sua circolarità ermeneutica. E pure l'aleteica persuasione che ciò di cui la natura ci dà segno vale ancora, e sempre oserei dire, come fondamento etico.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 26 Novembre 2019, 09:31:47 AM
Se solo cercassimo di credere nel Bene... questa stessa nostra fede, che in sostanza altro non sarebbe che fede nel Nulla, ci donerebbe la pace.

La ricerca sarebbe compiuta.

Perché non vi era nulla da cercare.

Questa pace ha però un prezzo da pagare:

La morte dell'io

Che può coincidere con la morte del corpo, e di solito così avviene, oppure andando all'inferno.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 10:06:51 AM
@ipazia

Chi abbia letto e capito la lectio magistralis di Primo Levi non può che arrivare a questa conclusione: la deumanizzazione dell'ebreo, funzionale al suo sterminio, fu un'operazione del tutto intellettuale. Il male emerge in tutta la sua non-rettiliana natura nel ferroviere Adolf Eichmann il cui compito era di far viaggiare i treni carichi e in orario da ogni angolo dell'Europa nazista verso Auschwitz. Teoricamente avrebbe potuto non uccidere con le sue mani neppure una mosca, e fu pure difficile trovare qualche testimonianza di episodi "rettiliani" attribuibili a questo solerte, banale, impiegato del male.

Quello che ti sfugge - tra le altre cose - è che una della caratteristiche della nostra natura inferiore è "la sottomissione al branco e al capo-branco"...e la "competitività tra branchi diversi che porta alla lotta per la supremazia territoriale e della propria razza...cioè della propria discendenza".
E' in queste qualità o caratteristiche della nostra natura inferiore che risiede il nazismo.
Che cos'era il nazismo se non un "branco"? Che cos'era Hitler se non il capo-branco? Che cos'era la persecuzione degli ebrei se non la lotta verso un "branco" avversario ritenuto ostile e pericoloso? La "paura" che un branco ostile ci minacci?
Che cos'era l'uccisione dei bambini se non la replica del "leone che uccide i cuccioli del capobranco rivale che ha sconfitto per imporre la sua razza e la sua discendenza"?

Certo...Adolf Eichmann non era sanguinario e violento. Non era lui che massacrava in prima persona gli ebrei. Lui, però, si muoveva nella logica del "branco" e lasciava ad altri il lavoro sporco.

Che cosa ho detto? Il male nasce quando la nostra natura superiore (intelligenza) viene messa al servizio della natura inferiore (appartenenza al branco, sottomissione al capobranco e lotta contro il branco rivale per la supremazia e il possesso territoriale e la supremazia della razza, cioè della discendenza).

Tu dici: la deumanizzazione dell'ebreo, funzionale al suo sterminio, fu un'operazione del tutto intellettuale.
Che è esattamente quello che ho detto io: mettere la natura superiore (intelligenza e razionalità) al servizio della natura inferiore (l'istinto del branco, del capobranco e della lotta contro un branco avversario per la supremazia terirtoriale e di razza).
Nasce così un pensiero logico-razionale che costruisce un "teorema" o una ideologia a partire da un istinto di base che appartiene alla nostra natura inferiore.

Tra l'altro...a questa logica del branco e della sottomissione al branco e al capobranco (papa), appartengono anche le religioni dove il branco avversario sono gli "infedeli" (religioni tra cui l'ateismo...dove il capobranco è il pensiero "mainstream" dominante organizzato da menti sofisticate che propagandano l'ateismo). Che sono, a tutti gli effetti, un'altra manifestazione della nostra natura inferiore (branco).

E' tutto molto chiaro.
Tutte cose che però a te sfuggono. Come tante altre.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Sariputra il 26 Novembre 2019, 10:44:03 AM
cit.:Certo...Adolf Eichmann non era sanguinario e violento. Non era lui che massacrava in prima persona gli ebrei. Lui, però, si muoveva nella logica del "branco" e lasciava ad altri il lavoro sporco.

C'erano anche grandi filosofi che seguivano Hitler. C'era M. Heidegger, c'era E. Junger...c'era moltissima gente comune che, non solo non considerava gli ebrei dei nemici pericolosi, ma prima dell'avvento del nazionalsocialismo ne era amica, sposa, parente...La questione è molto più complessa per l'essere umano che non per il leone. C'era gente che pensava ci volesse un dio per salvarci (anche se poi forse s'è capito di quale "dio col baffetto" s'intendeva parlare...), e nel frattempo sottoscriveva le leggi razziali . Tutti poi, sopravvissuti all'uragano di fuoco e di morte, negarono, abiurarono , dissero di esser stati costretti, di aver avuto paura...

Se la collaborazione di un intero popolo a un totalitarismo è un enorme problema, lo è a maggior ragione se riguarda i filosofi, un gruppo «particolarmente schivo e tranquillo» che godeva (e ha goduto nel dopoguerra) di un enorme prestigio.
(Yvonne Sherratt- "I Filosofi di Hitler"-Yvonne Sherratt ha scritto il libro di sintesi che mancava nello scaffale del cultore italiano di studi filosofici: la storia di come la filosofia tedesca, la filosofia per il ruolo che per lungo tempo ha ricoperto nella storia della cultura europea, sia stata coinvolta in tutte la vicende di violenze e violazioni dell'umano che iniziano con l'esaltazione nazionalista e attraverso il razzismo sfociano nel genocidio. La storia a cui ha girato intorno chiunque si sia formato dal dopoguerra in ambiti filosofici, con livelli di rimozione più o meno inversamente proporzionali al proprio livello di impegno politico in senso antifascista.
Ignorando di avere scheletri sepolti nel giardino ci siamo difesi da quella storia, a volte usando l'interpretazione come alibi, altre volte distinguendo gli uomini dai testi, in ogni caso ignorando alcuni dati fattuali incontrovertibili. Benché queste possano essere operazioni talvolta legittime se fatte con accortezza, consapevolezza e dichiarate in ambiti di ricognizione teorica ben circoscritti, non si può ignorare il radicamento del nazismo in determinato ambienti culturali; e viceversa all'interno di un sistema totalitario non si può non pensare alle pratiche politiche e agli atti di rilevanza istituzionale di studiosi intenti a opere di ingegno, che tendenzialmente aspirino ad avere risonanze esistenziale ed etiche.
Anche senza contare le interpolazioni e le reinterpretazioni ideologiche del nazionalismo, diverse ad esempio in Fichte o in Hegel, Nietzsche non avrebbe avuto bisogno del lavoro di riedizione della sorella per diventare un punto di riferimento antimoderno e reazionario. Durante la Grande guerra 150 000 copie di Also spracht Zarathustra vennero distribuite ai soldati tedeschi al fronte, in contesto e con effetti diversi comprensibilmente diversi da quelli che ha avuto sui post-strutturalisti francesi (o sugli allievi dei corsi di Teoretica della stagione 1992/96 che ho seguito).


Scrive Sherratt: «il passato della nazione brulicava di teorie riguardanti lo Stato forte, la guerra, il Superuomo, l'antisemitismo e, infine, il razzismo biologico. Al di sotto del nobile retaggio tedesco si celava questo lato oscuro. Dimentichi dei principi morali e senza alcuna preoccupazione concreta, i filosofi tedeschi avevano porto alla civiltà europea un calice avvelenato che Hitler avrebbe presto sfruttato a suo vantaggio».
«Quando Jaspers, uno dei colleghi a lui più vicini [caduto in disgrazia per aver sposato un'ebrea], gli chiese (a M.Heidegger): "Come può pensare che una persona priva di cultura come Hitler possa governare la Germania?", Heidegger, con gli occhi che scintillavano, rispose: "La cultura non ha importanza. Osservi le sue meravigliose mani!"».
Nell'assumere il rettorato, il professore aveva fatto stampare sul programma della cerimonia l'inno del partito nazista con l'indicazione che venisse cantato dopo il discorso del Führer; queste le parole: «Alzate le bandiere, serrate le file! Il reparto d'assalto marcia con passo fermo e coraggioso, i camerati, assassinati dal fronte rosso e dalla reazione, marciano con noi tra le nostre file».
A settant'anni di distanza dalla guerra, saltando fuori dal cerchio dell'indignazione o da una difesa istintiva del proprio canone formativo, in presenza di una documentazione molto vasta e articolata, è auspicabile anche in altri campi disciplinari l'apertura di ragionamenti seri sulla validità di teorie intrecciate a biografie intellettuali moralmente inaccettabili nei loro presupposti. Ne va della capacità di distinguere il senso delle parole delle vittime da quelle dei persecutori.

Nell'uomo l'intreccio di cultura e natura è estremamente complesso e spesso non è dato discernere quale elemento prevalga sull'altro. Per questo la riflessione etica assume grande importanza.

P.S. C'è qualcosa che mi ribolle in pancia quando penso che, grazie alla propaganda e all'opera di persuasione condotta anche da "maiali" come Heidegger (senza offesa per i porcastri, di cui ho intessuto un peana in difesa del nobile cinghiale..) qualche bambino sia finito nudo e tremante di paura in una camera a gas, mentre il nobile grande filosofo sia stato riverito e omaggiato (come altri che però, forse, erano meno compromessi..) poi in tutto il mondo...Scusate le sfogo!...

L'articolo completo:
https://www.doppiozero.com/materiali/teorie/i-filosofi-di-hitler


un saluto
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 26 Novembre 2019, 10:52:53 AM
Qui l'unico teorema indimostrabile, il non sequitur, è il passaggio dal rettile o branco al lager. L'ideologizzazione dell'intelletto buono sulla natura cattiva. Più plausibile un intelletto cattivo (o buono) su una natura "neutra", al di qua del bene e del male. Un intelletto che strumentalizza la ferinità a fini ideologici, del tutto intellettuali. Nella complessità di combinazioni accennata da Sariputra, ma in cui è sempre l'intelletto a determinare la "soluzione finale".
.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 10:57:28 AM
@Sariputra

Alla logica del branco e del capobranco appartiene anche la "soppressione e repressione del dissenso".
Il capobranco non ammette rivali e nemmeno ammette che qualcuno metta in discussione la sua supremazia e la sua autorità.
Tutti devono fare atto di sottomissione.
Chiunque volesse lavorare, nella germania nazista, doveva sottomettersi all'ideologia del branco e al capobranco. Altrimenti venivi cacciato dalle università e dai luoghi di lavoro.
Solo pochi coraggiosi hanno avuto il coraggio di ribellarsi alla logica del branco. Alcuni sono espatriati. Certo...anche perchè potevano permetterselo.
La logica del branco, che appartiene alla nostra natura inferiore, è intrinsecamente violenta e reprime ogni dissenso.
E la logica del branco...l'istinto animale del branco...è così potente che si ripresenta sempre nella storia umana...in forme diverse.
Vogliamo parlare delle monarchie? Di re e regine e di sudditi?
Vogliamo parlare delle religioni?
Vogliamo parlare del comunismo o del fascismo?
Sono tutte manifestazioni della natura inferiore del "branco" e del "capobranco".

E' una cosa talmente evidente che nemmeno vale la pena discuterla.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 11:02:55 AM
Citazione di: Ipazia il 26 Novembre 2019, 10:52:53 AM
Qui l'unico teorema indimostrabile, il non sequitur, è il passaggio dal rettile o branco al lager. L'ideologizzazione dell'intelletto buono sulla natura cattiva. Più plausibile un intelletto cattivo (o buono) su una natura "neutra", al di qua del bene e del male.
Non ho mai detto che la natura è cattiva.

Il leone uccide i cuccioli del suo avversario e va bene così. E' la sua natura di leone.
Il lupo sbrana l'agnello e va bene così. E' la sua natura di lupo.
Branchi di leoni combattono per la supremazia territoriale e va bene così. E' la loro natura di leoni.

Il male nasce quando noi HOMO mettiamo le nostre facoltà superiori al servizio degli istinti animali che sono in noi. Di quegli stessi istinti che sono presenti nei leoni e nei lupi e che sono presenti anche in noi negli strati inferiori del nostro cervello.
Se non ti è chiaro ti faccio un disegnino.  ;D
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 26 Novembre 2019, 11:22:23 AM
Il disegnino l'hai già fatto nella polemica con bobmax sull' etica: buio pesto.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: bobmax il 26 Novembre 2019, 11:32:46 AM
Sì Sariputra, è davvero rivoltante come soggetti di così basso spessore morale, come H., siano tanto considerati nel mondo.

Ciò dimostra la diffusa mancanza di autentico pensiero.

Ma è il nichilismo, che giace in ogni singolo cuore. 
E che possiamo estirpare solo noi stessi, con dolore.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 11:37:21 AM
Citazione di: Ipazia il 26 Novembre 2019, 11:22:23 AM
Il disegnino l'hai già fatto nella polemica con bobmax sull' etica: buio pesto.
Disegnino semplice:

Natura superiore messa al servizio della natura inferiore del branco: L'intelligenza, creatività, compassione, libero arbitrio messe al servizio dell'istinto del branco.

Nasce l'ideologia razionale di branco. C'è il dittatore, o re, o papa che è il capobranco. Il dissenso viene represso con la violenza. L'intelligenza e la creatività vengono usate per creare stumenti di repressione (vedi lager, gulag o inquisizione). Gli altri branchi vengono visti come nemici (infedeli, eretici, o razza inferiore o quello che vuoi), nasce il nazionalismo imperialista, gli altri branchi vengono aggrediti con la guerra per la supremazia territoriale, il branco si chiude e si vede in contrapposizione con altri branchi. Il branco si sente continuamente minacciato (il nemico alle porte...o il potere di satana). Il capobranco si sente minacciato e reprime ogni dissenso. La compassione è rivolta solo agli appartenenti al branco che si sottomettono al branco stesso.

Natura inferiore del branco messa al servizio della natura superiore: l'istinto del branco messo al servizio dell'intelligenza, creatività, libero arbitrio, compassione.

Nasce la "comunità". Dove il dissenso è previsto ed elaborato. Dove la leadership è condivisa e non esiste un capobranco. Dove le decisioni vengono prese sulla base del "consenso". Dove vige la legge della solidarietà reciproca. La compassione è aperta a tutti, dentro e fuori la comuità. La comunità è aperta a ingressi esterni (nei limiti del ragionevole). La comunità non si sente in contrapposizione col resto del mondo ma interagisce in modo fecondo. E' aperta ad ogni contributo che possa arricchire la sua esperienza. La comunità ha un proprio territorio e lo difende...ma non è aggressiva ed espansiva. Non vuole sottomettere altre comunità, ma interagisce col dialogo.

Ora che ti ho fatto il disegnino siamo tutti più contenti.  ;D
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 12:13:30 PM
P.S.
Cosa determina l'una o l'altra situazione?
Cosa determina la supremazia della natura inferiore rispetto alla natura superiore...o la supremazia della natura superiore rispetto alla natura inferiore?
Il nostro grado di consapevolezza.
Cioè...più coltiviamo, maturiamo la nostra consapevolezza (consapevolezza su chi siamo noi veramente...su cos'è il mondo esteriore...sul perchè siamo qui etc etc) più la nostra natura superiore prende il sopravvento...e più siamo in grado di mettere la natura inferiore al servizio della natura superiore.
Viceversa, sarà la nostra natura inferiore a prendere il sopravvento e a guidare i nostri comportamenti.

Il problema quindi non è l'etica o non-l'etica.
Ma è coltivare la nostra cosnapevolezza...crescere e maturare in consapevolezza. Più sei consapevole...e più l'etica viene da sè...e più il bene si manifesta. Senza bisogno di sottomettersi a un'etica che è sempre un meccanismo (la sottomissione a un'etica imposta da qualcuno) della nostra natura inferiore. Cioè dell'inconsapevolezza.

Un vero maestro spirituale non ti dice MAI sottomettiti a questa bellissimissima etica che io ti dò. Perchè sa benissimo che non c'è crescita di consapevolezza in questo. E quella sottomissione genererà solo ipocrisia.
Un vero maestro spirituale ti dice: lavora...rifletti...analizza....approfondisci e cresci in consapevolezza. E l'etica verrà da sè.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: viator il 26 Novembre 2019, 12:54:56 PM
Salve myfriend. Scusami. Pesco quasi a caso all'interno delle tue convinzioni : "Cioè noi abbiamo una natura superiore dove risiedono le nostre qualità specifiche (che sono manifestazioni della coscienza cosmica)".........................e provvedo ad integrare con mio commento ...............perchè, essendo noi i soli viventi che possiedono la capacità di mettersi davanti ad uno specchio e di trovarsi incredibilmente bravi e belli, (raccontandoselo pure !), è ovvio che noi si faccia parte di un aspetto della natura che noi stessi - dopo esserci guardati in giro e poi nuovamente allo specchio - abbiamo creato e denominato e ripartito in superiore (guarda caso, noi !!) ed inferiore (guarda caso, tutti gli altri viventi !!).

Ma non ti viene il sospetto che quanto noi diciamo di noi stessi possa rispecchiare i nostri desideri invece che il nostro ruolo all'interno del mondo ? Saluti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 13:22:53 PM
Citazione di: viator il 26 Novembre 2019, 12:54:56 PM
Salve myfriend. Scusami. Pesco quasi a caso all'interno delle tue convinzioni : "Cioè noi abbiamo una natura superiore dove risiedono le nostre qualità specifiche (che sono manifestazioni della coscienza cosmica)".........................e provvedo ad integrare con mio commento ...............perchè, essendo noi i soli viventi che possiedono la capacità di mettersi davanti ad uno specchio e di trovarsi incredibilmente bravi e belli, (raccontandoselo pure !), è ovvio che noi si faccia parte di un aspetto della natura che noi stessi - dopo esserci guardati in giro e poi nuovamente allo specchio - abbiamo creato e denominato e ripartito in superiore (guarda caso, noi !!) ed inferiore (guarda caso, tutti gli altri viventi !!).

Ma non ti viene il sospetto che quanto noi diciamo di noi stessi possa rispecchiare i nostri desideri invece che il nostro ruolo all'interno del mondo ? Saluti.
Non hai letto tutto.

Noi - homo sapiens - abbiamo una "natura superiore" (che manifesta qualità specifiche della Coscienza cosmica: intelligenza, creatività, compassione, libero arbitrio) che è data dalla neo-corteccia del nostro cervello.
E abbiamo anche una "natura inferiore" (che manifesta altre qualità specifiche della Coscienza cosmica: creazione della "realtà" a partire dai sensi, istinto di sopravvivenza, aggressività, violenza, competizione, egoismo, sottomissione al branco e al capobranco, protezione del branco, cura per i cuccioli, paura, gioia, attaccamento e dipendenza affettiva, sessualità, territorialità, protezione del territorio, antagonismo, attacco e fuga, paura e fuga) che è data dagli strati più interni del nostro cervello (cervello rettiliano e cervello limbico) che abbiamo ereditato dalle specie da cui discendiamo nella scala evolutiva (pesci, rettili, mammiferi).

Il concetto di "superiore" e "inferiore" è legato sia alla posizione degli strati del cervello che si sono sviluppati durante l'evoluzione (gli strati rettiliano e limbico che sono gli strati "inferiori" o più interni e la neo-corteccia che è lo strato "superiore" o più esterno) che alla scala evolutiva/temporale di queste qualità (le qualità "inferiori" sono quelle più antiche che sono nella parte inferiore della scala evolutiva - la nostra parte istintiva-animale - le qualtà "superiori" - esclusivamente nostre che ci differenziano dalle altre specie animali - sono quelle più recenti che si trovano nella parte superiore della scala evolutiva).

Non significa che noi siamo "superiori" agli altri animali. Poichè sia noi che gli altri animali - come anche un sasso, una pianta, una galassia o la sedia su cui sei seduto - siamo tutti manifestazioni della Coscienza cosmica...cioè di specifiche qualità della Coscienza cosmica.
Poichè TUTTO è Coscienza cosmica e manifestazione della Coscienza cosmica che è alla base della materia. E quindi non può esistere qualcosa di superiore rispetto a qualcos'altro che sia inferiore. Se TUTTO è Coscienza cosmica non c'è nè un superiore nè un inferiore.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 26 Novembre 2019, 15:11:26 PM
Citazione di: myfriend il 26 Novembre 2019, 12:13:30 PM
Il problema quindi non è l'etica o non-l'etica.
Ma è coltivare la nostra cosnapevolezza...crescere e maturare in consapevolezza. Più sei consapevole...e più l'etica viene da sè...e più il bene si manifesta. Senza bisogno di sottomettersi a un'etica che è sempre un meccanismo (la sottomissione a un'etica imposta da qualcuno) della nostra natura inferiore. Cioè dell'inconsapevolezza.
[...]Un vero maestro spirituale ti dice: lavora...rifletti...analizza....approfondisci e cresci in consapevolezza. E l'etica verrà da sè.
Non metto bene a fuoco questo passaggio dal cognitivo al comportamentale, dalla consapevolezza (della struttura della realtà, delle sue interpretazioni virtuali-umane, etc.) al giudizio etico («questo è bene, quello è male»). L'esito della consapevolezza di essere in un "videogame" (o "Matrix" o "Samsara" o altro) come può fondare la dicotomia etica «giusto/sbagliato» su cui orientare la prassi?
Se ogni etica, in quanto tale, non può che avere una funzione valutativa, basata su assiomi morali, etc. la consapevolezza dell'illusorietà tanto dell'idea di una coscienza individuale quanto delle sovrastrutture culturali, mi pare possa fondare piuttosto un'atarassia (passo successivo all'amor fati), ma non un'etica (che per esser tale dovrebbe basarsi appunto sulle idee di «coscienza individuale», «altro uomo», «valutazione delle azioni», «bene/male», etc.).
Salvo intendere per "etica" uno sviluppo etologico dell'uomo, in cui le scelte razionali e consapevoli siano l'evoluzione biologica, metaforicamente, del comportamento del gatto che non è abituato a cacciare se non ha fame o se ha una preda che non scappa (o non segue un pattern familiare al predatore). Tuttavia, in tal caso le categorie valutative di «bene» e «male» andrebbero sostituite con altre descrittive e, appunto, etologiche («stimolo/risposta», «bisogno/soddisfazione», etc.) ricadendo in quella "pulsione rettiliana" (se ho bene inteso), seppur evoluta, che privilegia l'istinto spontaneo più che la ragione (tirando in ballo la dialettica fra empatia, neuroni specchio, etc. e sedimentazioni e istituzioni culturali "contro-istintive").
Come hai già osservato, se non sbaglio, nel mondo etologico, chimico, quantistico, etc. il "bene morale" dell'individuo è un'idea tanto inconsistente ed illusoria quanto quella della coscienza individuale e dell'"io"...
Inoltre, se (ammesso e non concesso) si raggiungesse lo "stato" in cui non si potesse non fare il bene, verrebbe meno ogni etica e il bene non sarebbe più tale (al netto della discriminazione fra «linguaggio convenzionale» e «linguaggio ultimo», parafrasando Nagarjuna).

Detto più in sintesi: se sono consapevole di come funziona e cosa sia il cosmo, dalla galassia più lontana all'atomo più piccolo nel "mio corpo" (o di ciò che ritengo tale), dove troverò la risposta, o almeno qualche indizio, per affrontare un qualunque quesito etico (accoglienza migranti, teorie gender, bioetica, etc.)? In che senso "verrà da sè", dopo aver di fatto destrutturato tutto ciò che è necessario per fondare un'etica razionale umana?
Titolo: Re:La morte
Inserito da: viator il 26 Novembre 2019, 16:03:24 PM
Salve myfriend. OK. Devo scusarmi dell'averti fatto una osservazione inappropriata, cedendo all'impulso di commentare nel mio solito modo sarcastico (ma sempre privo di intenzioni malevole) una tua espressione isolata dal suo contesto. Buone cose a te.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: viator il 26 Novembre 2019, 16:18:01 PM
Salve Phil. Citandoti : "Detto più in sintesi: se sono consapevole di come funziona e cosa sia il cosmo, dalla galassia più lontana all'atomo più piccolo nel "mio corpo" (o di ciò che ritengo tale), dove troverò la risposta, o almeno qualche indizio, per affrontare un qualunque quesito etico (accoglienza migranti, teorie gender, bioetica, etc.)?".
Dal momento che bene, male, etica sono, come tu stesso ammetti ed io condivido, concetti relativi riferibili unicamente alla condizione umana, il tuo quesito di cui sopra perde secondo me ogni senso poichè tu lo riferisci ad una situazione in cui io risulterei onniscente, quindi in possesso di un attributo assoluto e completamente extraumano. Anzi, visto che non è che gli attributi assoluti rendano "simili a Dio", ma che risultano propri ed esclusivi di Dio................. Saluti.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 16:20:37 PM
Citazione di: viator il 26 Novembre 2019, 16:03:24 PM
Salve myfriend. OK. Devo scusarmi dell'averti fatto una osservazione inappropriata, cedendo all'impulso di commentare nel mio solito modo sarcastico (ma sempre privo di intenzioni malevole) una tua espressione isolata dal suo contesto. Buone cose a te.
Tranquillo, nessun problema. Un po' di vivacità e sarcasmo non hanno mai fatto del male a nessuno.  ;D
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 26 Novembre 2019, 16:43:05 PM
Citazione di: viator il 26 Novembre 2019, 16:18:01 PM
Salve Phil. Citandoti : "Detto più in sintesi: se sono consapevole di come funziona e cosa sia il cosmo, dalla galassia più lontana all'atomo più piccolo nel "mio corpo" (o di ciò che ritengo tale), dove troverò la risposta, o almeno qualche indizio, per affrontare un qualunque quesito etico (accoglienza migranti, teorie gender, bioetica, etc.)?".
Dal momento che bene, male, etica sono, come tu stesso ammetti ed io condivido, concetti relativi riferibili unicamente alla condizione umana, il tuo quesito di cui sopra perde secondo me ogni senso poichè tu lo riferisci ad una situazione in cui io risulterei onniscente, quindi in possesso di un attributo assoluto e completamente extraumano. Anzi, visto che non è che gli attributi assoluti rendano "simili a Dio", ma che risultano propri ed esclusivi di Dio................. Saluti.
Era una proposta sicuramente parossistica (un espediente narrativo-esemplificativo), ma non intendevo necessariamente alludere all'onniscienza; mi premeva piuttosto chiedere a myfriend, riferendomi alla sua prospettiva, delucidazioni sul rapporto che propone fra etica e conoscenze nozionistiche.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 17:37:32 PM
@Phil

Detto più in sintesi: se sono consapevole di come funziona e cosa sia il cosmo, dalla galassia più lontana all'atomo più piccolo nel "mio corpo" (o di ciò che ritengo tale), dove troverò la risposta, o almeno qualche indizio, per affrontare un qualunque quesito etico (accoglienza migranti, teorie gender, bioetica, etc.)? In che senso "verrà da sè", dopo aver di fatto destrutturato tutto ciò che è necessario per fondare un'etica razionale umana?

La domanda è interessante. Senza dubbio interessante.
La persona consapevole trova la risposta dentro di sè.
Come ho detto...la persona consapevole non è quella che NON ha un'etica. Ma è quella che non abbraccia un'etica che gli viene calata "dall'alto". Agisce in base a un processo valutativo interiore che tiene conto della complessità della realtà cercando la risposta più "integra" o "intera" possibile.
La persona consapevole è la persona delle risposte "complesse". Che, ad esempio sui migranti, non accetta nè la logica dell' "accogliamoli tutti" nè la logica del "respingiamoli tutti".

C'è una storiella Zen che spiega come agisce chi segue un'etica e come agisce, invece, una persona consapevole.
Pin è un allievo del maestro Pan. Pin e Pan stavano camminando per strada quando si imbatterono in una zuffa tra poliziotti e manifestanti. L'allievo Pin chiede al maestro Pan: "Maestro...quale fazione dobbiamo appoggiare?". Cioè, quale etica dobbiamo abbracciare?...Quella dei poliziotti per cui i manifestanti vanno repressi o quella dei manifestanti per cui i poliziotti sono servi del potere e vanno combattuti?
Il maestro Pan risponde: "Dobbiamo appoggiare sia gli uni che gli altri. Dobbiamo dire ai poliziotti che le istanze dei manifestanti vanno ascoltate e dobbiamo dire ai manifestanti di non attaccare la polizia per partito preso".

Questo è il punto: la persona consapevole è la persona delle risposte "complesse", perchè ha maturato la consapevolezza che la realtà è "complessa" e va valutata da diversi punti di vista. Non si può tagliare a fette con una visione etica semplicistica. La decisione finale deve riuscire a fondere le giuste istanze che provengono da tutte le parti. E non è una cosa semplice.

Gandhi, all'apice dello scontro tra induisti e musulmani, all'indomani dell'Indipendenza dagli inglesi, diede udienza a due combattenti...uno induista e uno musulmano. Ciascuno di loro lamentava che gli avversari avessero massacrato intere famiglie.
Gandhi chiese al musulmano di adottare un bambino induista rimasto senza genitori...e chiese all'induista di adottare un bambino musulmano rimasto senza genitori.
La persona consapevole è la persona delle risposte "complesse" che cerca di "fondere" in un'unica risposta le giuste istanze che provengono da tutte le parti. Che cerca di "tenere assieme" piuttosto che dividere.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 26 Novembre 2019, 17:40:57 PM
Citazione di: Phil il 26 Novembre 2019, 16:43:05 PM
Citazione di: viator il 26 Novembre 2019, 16:18:01 PM
Salve Phil. Citandoti : "Detto più in sintesi: se sono consapevole di come funziona e cosa sia il cosmo, dalla galassia più lontana all'atomo più piccolo nel "mio corpo" (o di ciò che ritengo tale), dove troverò la risposta, o almeno qualche indizio, per affrontare un qualunque quesito etico (accoglienza migranti, teorie gender, bioetica, etc.)?".
Dal momento che bene, male, etica sono, come tu stesso ammetti ed io condivido, concetti relativi riferibili unicamente alla condizione umana, il tuo quesito di cui sopra perde secondo me ogni senso poichè tu lo riferisci ad una situazione in cui io risulterei onniscente, quindi in possesso di un attributo assoluto e completamente extraumano. Anzi, visto che non è che gli attributi assoluti rendano "simili a Dio", ma che risultano propri ed esclusivi di Dio................. Saluti.
Era una proposta sicuramente parossistica (un espediente narrativo-esemplificativo), ma non intendevo necessariamente alludere all'onniscienza; mi premeva piuttosto chiedere a myfriend, riferendomi alla sua prospettiva, delucidazioni sul rapporto che propone fra etica e conoscenze nozionistiche.
La consapevolezza non è "conoscenze nozionistiche". Ma sono le conoscenze utilizzate per rielaborare la mia visione del mondo...la mia mappa di riferimento interiore dalla quale scaturiscono i miei pensieri, le mie azioni e le motivazioni delle mie azioni.

Se io "conosco" che tu ed io non siamo separati e che la separazione è solo un'illusione e non uso questa conoscenza in un lavoro interiore di ridefinizione delle mie mappe interiori di riferimento, quella conoscenza non serve a nulla.

Posso aver imparato anche tutta la Treccani a memoria....ma se non uso queste conoscenze per un lavoro interiore di ridefinizione delle mie mappe di riferimento interiori, a livello di consapevolezza non mi sono mosso di un centimetro.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 26 Novembre 2019, 21:42:04 PM
Citazione di: myfriend il 26 Novembre 2019, 17:37:32 PM
la persona consapevole non è quella che NON ha un'etica. Ma è quella che non abbraccia un'etica che gli viene calata "dall'alto". Agisce in base a un processo valutativo interiore che tiene conto della complessità della realtà cercando la risposta più "integra" o "intera" possibile.
La persona consapevole è la persona delle risposte "complesse"[...]
Questo è il punto: la persona consapevole è la persona delle risposte "complesse", perchè ha maturato la consapevolezza che la realtà è "complessa" e va valutata da diversi punti di vista. Non si può tagliare a fette con una visione etica semplicistica. La decisione finale deve riuscire a fondere le giuste istanze che provengono da tutte le parti.
[...]
La persona consapevole è la persona delle risposte "complesse" che cerca di "fondere" in un'unica risposta le giuste istanze che provengono da tutte le parti. Che cerca di "tenere assieme" piuttosto che dividere.
Capisco questa etica della "diplomazia", dell'«in medio stat virtus», della reciprocità, etc. tuttavia non mi sembra specificamente fondata su una consapevolezza della complessità del reale, né, soprattutto, sull'illusorietà dell'individualità della coscienza. Ad un'etica di questo tipo non si arriva necessariamente con la conoscenza (del cosmo, del cervello, del "videogame", etc.) ma anche semplicemente con un'impostazione cristiana, buddista, filantropica, non-violenta o altro, impostazioni contro cui non ho nulla in contrario, ma mi era parso che fosse stata prospettata una derivazione di tale etica da premesse cognitive, che qui si rivelano premesse valoriali (ovvero che considerano alcuni valori come assiomi fondanti una determinata etica). Certo, qualcuno aderirà a tali impostazioni senza la minima consapevolezza, solo per inerzia culturale, spirito gregario, etc. eppure, inversamente, direi che è anche plausibile che non si arrivi a tali valori partendo dallo studio epistemologico della realtà (anche perché questo studio tende a suggerire che tali valori non abbiano alcun ancoraggio "oggettivo" con il reale, riconducendoli alla dialettica a cui accennavo in precedenza fra natura e cultura, ben prima di decostruire l'autopercezione dell'"io").

Per voler sedare una rivolta spingendo le due fazioni al dialogo, magari trovando un denominatore comune di ragionevolezza in entrambe le (op)posizioni, non necessito di consapevolezza cognitiva particolare, mi basta avere un'indole pacifista e ragionevole; il credere ad una divinità che apprezza questo mio gesto, o credere al karma, etc. mi renderebbe poi ancor più motivato e convinto nella mediazione di pace (pur in totale assenza di consapevolezza della complessità e della struttura del reale).
Intendo dire che non riesco a vedere tale etica come "tappa avanzata" di una presa di coscienza della complessità dell'esistente (questo è lo scenario che suggerivi, se non ho frainteso), ma piuttosto come "canonica" applicazione di valori, appresi o auto-prodotti, in cui si crede, al di fuori da ogni dimostrazione "oggettiva" (o scientifica) che li riveli euristicamente preferibili ad altri, soprattutto se si è giunti alla conclusione che l'"io" è un'illusione percettiva. Lo spontaneismo del «verrà da sé»(cit.) riferito all'etica, mi pare ancora molto condizionato da fattori biografici, culturali, etc. piuttosto che univoca conseguenza logica di una consapevolezza cognitiva.
Se intendevi che "verrà da sè" ogni singolare e individuale prospettiva etica, in base alla consapevolezza raggiunta, si finisce quasi con l'avallare qualunque prospettiva etica con un'autofondazione tautologica (in cui la coscienza individuale viene esaltata e responsabilizzata, piuttosto che scollegata dal "videogame" e ricondotta alla totalità universale).

Se per «consapevolezza» intendi invece la consapevolezza di matrice buddista (la "retta consapevolezza" dell'ottuplice sentiero) o la presenza a sè stessi del mindfulness, allora non credo si possa collegare l'etica che ne consegue ad un approccio epistemologico o a nozioni scientifiche (e con «nozioni» non intendo nulla di dispregiativo, la conoscenza è fatta anzitutto da nozioni, intese come "atomi di conoscenza"; l'etica individuale è fatta forse perlopiù da sensazioni: sentire che è giusto, sentirsi in colpa, sentire il peso del rimorso, sentirsi bene per aver aiutato, etc. e questo sentire mi pare abbia le sue spiegazioni psicologiche, antropologiche, etc. anch'esse riferibili al suddetto dualismo natura/cultura, ma senza univocità negli esiti né fondazione etica nella conoscenza del reale: le suddette discipline scientifiche che studiano la genesi di tale sentire etico, non ne costituiscono il fondamento etico).
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
Phil scrive

"Ciò sarebbe vero se partissimo dall'assunto che «tutti i sensi si sbagliano sempre»; per fortuna, non è così drammatica la situazione e sono spesso i sensi a correggere gli stessi sensi; solito esempio banale: il bastone immerso nell'acqua sembra spezzato allo sguardo, ma il tatto mi dice che non lo è (se lo tocco quando è immerso); poi la ragione mi conferma che non può spezzarsi e ricomporsi perfettamente a seconda che lo si immerga o meno; deduzione o induzione? Quella conferma dipende dall'"essenza" del legno che costituisce il bastone o dal non aver mai riscontrato un legno che si comporti in quel modo (spezzandosi e ricomponendosi)?
Da considerare che la generalizzazione e l'astrazione (che consentono di parlare di un "tutto" estensionalmente ipotetico) non sono affatto estranee ai metodi induttivi, nè alle scienze induttive; altrimenti non avremmo gran parte della scienza attuale e, soprattuto, della ricerca scientifica (inoltre, vado a memoria, anche l'intenzionalità è induttiva: la noesi del noema costruisce l'oggetto, con i suoi "adombramenti", non lo deduce; ai tempi di Husserl le neuroscienze avevano comunque un po' meno da dire rispetto a quelle attuali).
Osserverei en passant che un'induzione può falsificare mille deduzioni, ma non viceversa; per questo l'epistemologia deve riflettere su ciò che è falsificabile e ciò che non lo è (la filosofia metafisico-deduttiva può invece non porsi tale problema, nel bene e nel male)."



Provo a rispondere per punti...
A rigor di termini, i sensi non sbagliano né correggono mai, per la semplice ragione che non giudicano, cioè non pongono il contenuto che recepiscono come uno stato di cose oggettivo di fronte alla quale tale presa di posizione può essere errata o meno. Anche nel caso in cui tutto ciò che i sensi recepiscono corrispondesse pienamente alla realtà oggettiva, ciò non porterebbe a porre la sensibilità come parametro sufficiente a legittimare razionalmente il valore di verità di una conoscenza fondata su di essi, perché il punto che provavo a esporre nel contesto della discussione con myfriend non è lo stabilire se i fenomeni sensibili siano o meno effettivamente coincidenti con la realtà, ma l' incapacità da parte della sensibilità di poter riflettere su se stessa (in virtù della sua immediatezza) e riconoscere la loro stessa funzionalità. Anche nel caso ci fosse piena coincidenza tra sensibilità e realtà, non sarebbe la sensibilità (e dunque una forma di sapere che trae da essa i contenuti) a poter garantire epistemologicamente tale condizione, ma un punto di vista che, interrogando i limiti del sensibile, deve per forza trascenderlo, cioè un sapere sovrasensibile, che è quello filosofico. Tutto questo varrebbe a maggior ragione nella prospettiva di myfriend, incentrata su un dualismo tra immagine sensibile del mondo, virtuale, e quella effettiva prodotta in noi dal nostro cervello: mi sembra logico che se i sensi fossero incapaci di trascendere il virtuale, il riconoscimento di una realtà oltre il "velo di maya" del virtuale, non potrebbe essere prodotto da un sapere come le scienze naturali che traggono dai sensi stessi il loro contenuto, ma dalla metafisica, che cogliendo l'intelligibile, si pone come il punto di vista entro cui l'insufficienza dei sensi è riconoscibile. Se le scienze induttive generalizzanti possono utilizzare la categoria del tutto, la possono utilizzare, ma non in quanto "induttive", ma in quanto, come provavo ad argomentare nel messaggio precedente, "filosofo", "fisico", "deduttivo", "induttivo" sono perlopiù degli idealtipi, che poi convivono nel concreto modo di pensare di ciascuno, e dunque la filosofia è una forma mentis che si annida, anche se non esplicitamente tematizzata, nella metodologia delle scienze sperimentali, offrendo le sue categorie specifiche come appunto quella di "totalità". Se ci attenessimo rigorosamente all'esperienza da cui l'induzione trae le generalizzazioni dovremmo limitarci a giudicare che "i cigni FINORA osservati sono bianchi", mentre la legge scientifico/zoologica "tutti i cigni sono bianchi" presuppone l'utilizzo della categoria "tutti", comprendente anche tutti i cigni finora mai osservati", e dunque un elemento non empirico, ma presente alla nostra mente in modo originario (se il termine "innato" infastidisce). Non è l'induzione che produce questa categoria, essa la utilizza come qualcosa già presente preesisente ad ogni esperienza. Quindi, se le scienze induttive utilizzano l'idea di totalità, la utilizzano non per loro "merito", ma in virtù della loro dipendenza da una prospettiva filosofica trascendentale, che resta sempre presupposto implicito e fondativo. L'intenzionalità fenomenologica (sempre se l'abbia ben inteso, mi capita sempre di imbattermi sempre in interpretazioni molto varie al riguardo) non è induttiva, ma "intuitiva", non ricava i noemi come generalizzazione di aspetti universali da una serie di determinazioni individuali della cosa a cui il noema è riferita, ma coglie un nucleo unitario come una sorta di X costante invariante, come sfondo comune di ogni nostro atto soggettivo noetico, indagante, ciascuno da diversi punti di vista, la cosa.  L'appresione del noema si da dunque necessariamente come contenuto fin dal primo istante dell'esperienza vissuta, come sua condizione strutturale, e non come una successiva conseguenza di una progressiva astrazione. Questo fa sì che il noema non vada visto tanto come una astrazione concettuale, ma come qualità vivente, concreta della nostra esperienza cosciente. L'induzione (ma forse sarebbe meglio dire l'esperienza) può smentire una deduzione nelle sue premesse, ma entro i limiti in cui le premesse presumono di poggiare, a loro volta, sull'esperienza. Tutto ciò che fischia è una locomotiva-Socrate fischia-Socrate è una locomotiva è un esempio di deduzione la cui premessa è facilmente smentibile dall'esperienza, ma questi sillogismi sono solo per Aristotele esempi applicativi di deduzione, la loro falsificabilità empirica non tocca l'essenza del metodo, che consiste nella necessità consequenziale dei passaggi logici che connettono le premesse alle conclusioni: l'esperienza può smentire le premesse su cui le deduzioni poggiano, ma mai i principi logici che strutturano formalmente il ragionamento, e la deduzione filosofica fa leva su questi ultimi, non sul contenuto empirico delle premesse, e in questo senso non è vero sia infalsificabile, e dunque non scientifica. Infatti proprio perchè gli assiomi logici costituiscono regole comuni a ogni pensiero, in via ipotetica ogni pensiero può provare a smentirne il valore di verità, che poi di fatto ciò sia impossibile (se provassi a contestare il principio di non contraddizione finirei per contraddirmi e dunque per autoinvalidare la critica) non attesta l'infalsficabilità e la non-scientificità del valore di verità delle regole, ma anzi ne conferma necessariamente e costantemente la sua validità, regge alla prova della falsificazione, solo la regge ad un livello superiore rispetto a quello delle verifiche empiriche delle scienze naturali, perché in ogni caso il tentativo di smentirle può in ogni momento essere provato e constatato come fallimentare
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Ipazia il 27 Novembre 2019, 07:52:54 AM
L'induzione contiene anche la memoria del cigno nero e ne deduce l'impossibilità di un sapere assoluto. Ma finché non compare il cigno nero quel sapere lo é a tutti gli effetti statisticamente asseverati. Su cui è possibile prevedere il futuro. Tutto il nostro agire (e sapere) é strutturato così. Il cigno nero immortalità da tempi immemorabili é apparso solo nei sogni e nelle leggende,  per cui la morte assume uno status di verità deducibile pressoché incontrovertibilmente a partire dall'esperienza induttiva.

Le difficoltà in filosofia nascono dalla difficoltà di unificazione dei paradigmi: non esiste una comunità filosofica paragonabile alla comunità scientifica. Anche se una certa "convergenza parallela" si sente nell'aria.
.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: myfriend il 27 Novembre 2019, 12:13:07 PM
@Phil

La storiella Zen, ovviamente, non va presa alla lettera.
Il senso della storiella non è che l'etica giusta è quella della "via di mezzo".
Il succo della storiella Zen è: non agire a partire da un'etica, ma osserva la realtà e comprendi la realtà...matura consapevolezza sulla realtà che sei e che vivi. E da questa nuova consapevolezza nascerà il comportamento adeguato.

Ma cosa vuol dire "osserva la realtà"..."comprendi la realtà"...."matura consapevolezza sulla realtà che sei e che vivi"?

Se un bambino viene maltrattato dai genitori che non si prendono cura di lui, quel bambino crescerà con la convinzione che il mondo "è un luogo pericoloso e infame in cui non bisogna fidarsi di nessuno"...perchè quando siamo bambini i nostri genitori sono il "mondo". Quindi quel bambino trasferirà sul "mondo" il fatto che non poteva fidarsi dei suoi genitori....e quindi "odierà" ogni figura "autoritaria" (cioè figure che ricoprono ruoli di autorità) e odierà il mondo perchè in ogni figura autoritaria e nel mondo continuerà a vedere i suoi genitori.
Quella esperienza della sua infanzia è finita nel sub-conscio (dimenticata dal conscio e dalla sua parte razionale) e continuerà a determinare la sua visione del mondo e la sua "realtà". E' una mappa di riferimento interiore "sbagliata" che determina la sua visione del mondo, i suoi comportamenti e il suo modo di relazionarsi col mondo.

Supponiamo che quel bambino, da adulto, abbracci l'etica cristiana del "ama il prossimo tuo come te stesso".
Sarà, probabilmente, portato ad amare le persone al suo stesso livello - anche se sarà sempre pervaso da un sentimento di diffidenza verso chiunque - ma continuerà ad odiare le figure autoritarie.
Che farà dunque? Andrà a confessarsi dal prete dicendo: "Lo so che devo amare il prossimo come me stesso....ma proprio non c'è l'ho fatta e ho preso a pugni il mio capo".
Probabilmente penserà che è stato fuorviato da satana...e che quando ha preso a pugni il suo capo ha commesso "peccato" perchè indotto da satana.
Quell'uomo continuerà a vivere il conflitto tra un'etica a cui aderire e l'impossibilità di aderirvi perchè le sue mappe interiori di riferimento sono mosse da un'altra logica.

Il suo comportamento sarà sempre inadeguato e commetterà sempre "peccato" perchè abbracciare un'etica non determina una sua crescita di consapevolezza. Perchè l'etica richiede solo che tu ti comporti in un certo modo. Non ti spinge a fare un lavoro su te stesso. Ed è per questo che abbracciare un'etica non determina una tua crescita...ma determina "l'ipocrisia". Cioè: nel mio sub-conscio ho delle mappe di riferimento che mi danno una certa visione del mondo e mi spingono a comportarmi in un certo modo...e razionalmente (conscio) abbraccio un'etica che mi suggerisce di comportarmi secondo una visione del mondo opposta. Quindi...io "esteriormente" cerco di comportarmi come mi suggerisce l'etica, ma intimamente sono determinato da una visione del mondo opposta. I miei comportamenti sono quindi "ipocriti" perchè non nascono da una mia intima convinzione interiore...ma sono solo comportamenti di "facciata".

Questa persona, se vuole maturare in consapevolezza, deve lavorare sulla sua Ombra...cioè analizzare e rivedere le sue convinzioni e motivazioni profonde (le sue mappe di riferimento interiori...o "fedi") e relazionarle con la sua esperienza passata e attuale. Solo in questo modo può maturare la nuova consapevolezza che il mondo non sono i suoi genitori...e che se i suoi genitori sono stati inaffidabili e violenti con lui questo non significa che il mondo è un luogo ostile e che tutte le figure autoritarie ce l'hanno con lui.
Finche non renderà "conscio l'inconscio" con questo lavoro di introspezione, questo adulto-bambino continuerà ad odiare il mondo e le figure autoritarie, perchè in esse continuerà a vedere la figura dei suoi genitori.

Una volta che avrà ri-elaborato le sue mappe interiori di riferimento e avrà maturato la consapevolezza che il mondo non sono i suoi genitori e, quindi, il mondo non è un luogo ostile, vivrà in modo diverso la sua relazione col mondo e non prenderà più a pugni il suo capo. E il suo comportamento sarà più sereno (cioè...una volta maturata una nuova consapevolezza, l'etica viene da sè).

Quello appena descritto è solo un esempio tra i tanti possibili.
Noi abbiamo una miriade di mappe interiori "sbagliate".
Ad esempio...noi intimamente pensiamo che il mondo è fatto di cose distinte e separate nello spazio-tempo...perchè il nostro cervello (la nostra natura inferiore) ce le fa percepire così. E pensiamo davvero che siamo individui separati in competizione gli uni con gli altri...perchè questa è la logica del videogame creato dal nostro cervello.
Ad esempio...noi intimamente pensiamo che le cose "nascono" e "muoiono"...che noi "nasciamo" e "moriamo"...perchè il nostro cervello (la nostra natura inferiore) ci fa percepire la realtà in questo modo.

Possiamo anche abbracciare l'etica de "ama il prossimo tuo come te stesso"....ma se intimamente - nel subconscio - abbiamo una mappa di riferimento che ci dice che tu ed io siamo separati e siamo in competizione per le risorse in questa realtà, abbracciamo un'etica che confligge con le nostre mappe di riferimento interiori. E, quindi, il nostro comportamento esteriore che segue quell'etica (o cerca di seguire quell'etica) è "ipocrita"...è, cioè, solo un comportamento di facciata. Ma non solo. Nonostante tutti i nostri sforzi di aderire "esteriormente" e razionalmente a quell'etica, saranno comunque sempre i comportamenti che nascono dalla nostra mappa interiore ad avere il sopravvento e diremo a noi stessi che abbiamo "peccato" per colpa di satana.

Ma c'è anche un caso molto più drammatico. La nostra natura inferiore (sub-conscio) ci porta a vivere secondo la logica del "branco". Il nostro cervello (natura inferiore), infatti, non solo ci dice che noi siamo entità distinte e separate....ma ci spinge a vivere in branco seguendo le logiche del branco e della protezione del branco. Chi ritiene che questa "mappa di riferimento interiore" sia effettivamente la realtà, può addirittura sviluppare (o aderire) a un'etica basata su questa mappa di riferimento. Ecco la nascita del nazismo...di Auschwitz. Anche il nazismo aveva una sua "etica". Un'etica fondata sulle dinamiche del branco (di cui ho già parlato in un altro post precedente). In questo caso, quindi, abbiamo un'etica che non si pone in contrasto con le dinamiche che regolano la nostra natura inferiore (come può essere quella cristiana dell'amore verso il prossimo)...ma che addirittura l'abbracciano. Cioè abbiamo un'etica che assume come vere e reali le dinamiche del videogame creato dal nostro cervello - cioè il massimo della inconsapevolezza. Per cui può nascere un'etica che giustifica la soppressione del più debole e l'eliminazione del "branco avversario", che giustifica la violenza e la repressione. E che si fonda su di esse.

Abbracciare un'etica "buona" può avere una utilità sociale...può farci dire "hai visto come sono buono?", ma non ci fa maturare in consapevolezza.
Se, invece, lavoriamo sulle nostre mappe di riferimento interiori e le ri-elaboriamo...le modifichiamo alla luce delle conoscenze acquisite (cioè alla luce di un lavoro serio e approfondito di "conoscenza" sia sulle dinamiche del mondo esteriore che sulle dinamiche del mondo interiore...lavoro che può avvalersi anche dei risultati ai quali è giunta la Scienza), cambia la nostra visione del mondo...cioè maturiamo in consapevolezza. Quindi cambia il nostro modo di relazionarci col mondo e l'etica verrà da sè.
Queste mappe sono profondamente radicate nel nostro sub-conscio e determinano il nostro modo di pensare e di relazionarci con il mondo. E queste mappe derivano dalle nostre esperienze pregresse (soprattutto nel periodo dell'infanzia) ma anche dal modo in cui è strutturata la natura inferiore del nostro cervello (che crea il videogame o "realtà virtuale" dove siamo tutti entità distinte e separate in competizione le une con le altre, dove c'è il branco e la sottomissione al branco e al capobranco, dove c'è l'EGO, l'egoismo e l'individualismo...dove c'è la dipendenza affettiva....dove c'è il videogame creato dal nostro cervello e che noi pensiamo che sia effettivamente reale).
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 27 Novembre 2019, 17:07:30 PM
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
A rigor di termini, i sensi non sbagliano né correggono mai, per la semplice ragione che non giudicano, cioè non pongono il contenuto che recepiscono come uno stato di cose oggettivo di fronte alla quale tale presa di posizione può essere errata o meno. Anche nel caso in cui tutto ciò che i sensi recepiscono corrispondesse pienamente alla realtà oggettiva, ciò non porterebbe a porre la sensibilità come parametro sufficiente a legittimare razionalmente il valore di verità di una conoscenza fondata su di essi
Credo dipenda molto dal tipo di oggetto che ci apprestiamo a conoscere: se è un oggetto sensibile, le percezioni (ovviamente elaborate da un cervello pensante) sono talvolta sufficienti (per conoscere e studiare una finestra, ad esempio); se parliamo di oggetti da conoscere del tipo di concetti, idee, etc., la questione è decisamente più complessa e sovrasensibile, perché tale conoscenza scopre il fianco alle problematiche della comunicabilità, interpretazione, verificabilità, etc. spesso in senso extra-empirico e ricade nella conseguente ambiguità logica (di cui sotto).

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
Se ci attenessimo rigorosamente all'esperienza da cui l'induzione trae le generalizzazioni dovremmo limitarci a giudicare che "i cigni FINORA osservati sono bianchi", mentre la legge scientifico/zoologica "tutti i cigni sono bianchi" presuppone l'utilizzo della categoria "tutti", comprendente anche tutti i cigni finora mai osservati", e dunque un elemento non empirico, ma presente alla nostra mente in modo originario (se il termine "innato" infastidisce).
Si può "lavorare" bene, sia in scienza che in filosofia, ponderando adeguatamente quel «finora» o un «fino a prova contraria»; non vedo alcuna necessità, né logica né pragmatica, di universalizzare (vecchio vizio dei filosofi): agisco e penso basandomi sulla casistica (e sulle sue previsioni annesse), senza precludermi la possibilità di gestire un'eccezione alla regola generale. «Finora tutti i cigni osservati sono bianchi» e se mi imbatto in un cigno nero, non deduco che non possa essere un cigno perché è nero, né lo classifico come (brutto) anatroccolo; piuttosto aggiorno la casistica e modifico la norma generale in «finora la gran parte dei cigni osservati sono bianchi». Se invece mi fidavo della legge universale «tutti i cigni sono bianchi», la confutazione empirico-induttiva di tale assioma comporta crisi nella struttura di pensiero che vi si fondava (praticamente, fuor di metafora, quello che è successo alla metafisica classica, alla logica aristotelica, alla geometria euclidea, etc. nel famigerato novecento).
Secondo me, in tutta la scienza onestamente sperimentale c'è quello sbiadito «finora» prima della generalizzazione che segue.

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
L'induzione (ma forse sarebbe meglio dire l'esperienza) può smentire una deduzione nelle sue premesse, ma entro i limiti in cui le premesse presumono di poggiare, a loro volta, sull'esperienza. Tutto ciò che fischia è una locomotiva-Socrate fischia-Socrate è una locomotiva è un esempio di deduzione la cui premessa è facilmente smentibile dall'esperienza, ma questi sillogismi sono solo per Aristotele esempi applicativi di deduzione, la loro falsificabilità empirica non tocca l'essenza del metodo, che consiste nella necessità consequenziale dei passaggi logici che connettono le premesse alle conclusioni: l'esperienza può smentire le premesse su cui le deduzioni poggiano, ma mai i principi logici che strutturano formalmente il ragionamento, e la deduzione filosofica fa leva su questi ultimi, non sul contenuto empirico delle premesse, e in questo senso non è vero sia infalsificabile, e dunque non scientifica.
La deduzione in sé non è falsificabile o meno, scientifica o meno: come ricordavo a donquixote, la logica formale (usiamo il singolare semplificando) consente ragionamenti validi, ma non necessariamente veri: il tallone d'Achille della logica è la "compilazione" dei suoi elementi, dei suoi assiomi, delle sue proposizioni, etc.. La conseguenza filosofica (e non) è che la validità logica non comporta affatto attendibilità veritativa: circoli viziosi, falsità, fallacie semantiche, etc. possono essere costituite da ragionamenti perfettamente validi dal punto di vista logico.
Per questo la logica deduttiva non serve a conoscere attendibimente se non è verificata "dal basso", dall'empiria, e ciò che non può essere verificato, o almeno potenzialmente falsificato, non è da considerare attendibile solo perché è logicamente coerente (come dimostrano le varie "prove logiche" dell'esistenza di un dio, dai medioevali a Godel: è un semplice concetto infalsificabile, non ha senso scomodare petitio principii o duellare sofisticamente partendo da assiomi e paradigmi differenti).

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
Infatti proprio perchè gli assiomi logici costituiscono regole comuni a ogni pensiero, in via ipotetica ogni pensiero può provare a smentirne il valore di verità, che poi di fatto ciò sia impossibile (se provassi a contestare il principio di non contraddizione finirei per contraddirmi e dunque per autoinvalidare la critica) non attesta l'infalsficabilità e la non-scientificità del valore di verità delle regole, ma anzi ne conferma necessariamente e costantemente la sua validità, regge alla prova della falsificazione, solo la regge ad un livello superiore rispetto a quello delle verifiche empiriche delle scienze naturali, perché in ogni caso il tentativo di smentirle può in ogni momento essere provato e constatato come fallimentare
Il principio di non contraddizione non fa eccezione al suddetto problema della "compilazione"; non sono esperto di logiche paraconsistenti (che tuttavia esistono e violano in modo controllato il principio di non contraddizione), quindi faccio un esempio banale: due rette parallele prolungate all'infinito, si toccano o non si toccano? Ognuna delle due risposte ha un suo sistema di riferimento non auto-contraddittorio; eppure, ci chiederebbe un "monista", qual'è allora la verità?
All'interno della validità della logica aristotelica (limitandoci quindi a quella più basilare, lasciando fuori quelle modali, le suddette paraconsistenti, il tema della temporalità, etc.) non abbiamo alcuna garanzia di conoscenza veridica, ma solo di formulazione logicamente valida (che, come ricordato, non esclude circoli viziosi, falsità, etc.). L'induzione ci dà i dati, gli elementi, le evidenze (per quanto fallibili e interpretabili) per ancorare, fino a prova contraria, la validità alla verità, pagando però il prezzo di perdere l'agognata universalità e/o assolutezza che faciliterebbero l'assiomatizzazione della conoscenza.


P.s.
Non intendo certo sconsigliare l'uso della deduzione o sminuire il ruolo fondamentale della logica formale, ma considerarne gli "angoli ciechi" è comunque interessante; su astrazione/innatismo deduttivo, metafisica, etc. discutemmo già abbastanza approfonditamente qui, per cui evito di innescare ripetizioni.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: davintro il 27 Novembre 2019, 19:12:39 PM
Citazione di: Phil il 27 Novembre 2019, 17:07:30 PM
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AMA rigor di termini, i sensi non sbagliano né correggono mai, per la semplice ragione che non giudicano, cioè non pongono il contenuto che recepiscono come uno stato di cose oggettivo di fronte alla quale tale presa di posizione può essere errata o meno. Anche nel caso in cui tutto ciò che i sensi recepiscono corrispondesse pienamente alla realtà oggettiva, ciò non porterebbe a porre la sensibilità come parametro sufficiente a legittimare razionalmente il valore di verità di una conoscenza fondata su di essi
Credo dipenda molto dal tipo di oggetto che ci apprestiamo a conoscere: se è un oggetto sensibile, le percezioni (ovviamente elaborate da un cervello pensante) sono talvolta sufficienti (per conoscere e studiare una finestra, ad esempio); se parliamo di oggetti da conoscere del tipo di concetti, idee, etc., la questione è decisamente più complessa e sovrasensibile, perché tale conoscenza scopre il fianco alle problematiche della comunicabilità, interpretazione, verificabilità, etc. spesso in senso extra-empirico e ricade nella conseguente ambiguità logica (di cui sotto).
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AMSe ci attenessimo rigorosamente all'esperienza da cui l'induzione trae le generalizzazioni dovremmo limitarci a giudicare che "i cigni FINORA osservati sono bianchi", mentre la legge scientifico/zoologica "tutti i cigni sono bianchi" presuppone l'utilizzo della categoria "tutti", comprendente anche tutti i cigni finora mai osservati", e dunque un elemento non empirico, ma presente alla nostra mente in modo originario (se il termine "innato" infastidisce).
Si può "lavorare" bene, sia in scienza che in filosofia, ponderando adeguatamente quel «finora» o un «fino a prova contraria»; non vedo alcuna necessità, né logica né pragmatica, di universalizzare (vecchio vizio dei filosofi): agisco e penso basandomi sulla casistica (e sulle sue previsioni annesse), senza precludermi la possibilità di gestire un'eccezione alla regola generale. «Finora tutti i cigni osservati sono bianchi» e se mi imbatto in un cigno nero, non deduco che non possa essere un cigno perché è nero, né lo classifico come (brutto) anatroccolo; piuttosto aggiorno la casistica e modifico la norma generale in «finora la gran parte dei cigni osservati sono bianchi». Se invece mi fidavo della legge universale «tutti i cigni sono bianchi», la confutazione empirico-induttiva di tale assioma comporta crisi nella struttura di pensiero che vi si fondava (praticamente, fuor di metafora, quello che è successo alla metafisica classica, alla logica aristotelica, alla geometria euclidea, etc. nel famigerato novecento). Secondo me, in tutta la scienza onestamente sperimentale c'è quello sbiadito «finora» prima della generalizzazione che segue.
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AML'induzione (ma forse sarebbe meglio dire l'esperienza) può smentire una deduzione nelle sue premesse, ma entro i limiti in cui le premesse presumono di poggiare, a loro volta, sull'esperienza. Tutto ciò che fischia è una locomotiva-Socrate fischia-Socrate è una locomotiva è un esempio di deduzione la cui premessa è facilmente smentibile dall'esperienza, ma questi sillogismi sono solo per Aristotele esempi applicativi di deduzione, la loro falsificabilità empirica non tocca l'essenza del metodo, che consiste nella necessità consequenziale dei passaggi logici che connettono le premesse alle conclusioni: l'esperienza può smentire le premesse su cui le deduzioni poggiano, ma mai i principi logici che strutturano formalmente il ragionamento, e la deduzione filosofica fa leva su questi ultimi, non sul contenuto empirico delle premesse, e in questo senso non è vero sia infalsificabile, e dunque non scientifica.
La deduzione in sé non è falsificabile o meno, scientifica o meno: come ricordavo a donquixote, la logica formale (usiamo il singolare semplificando) consente ragionamenti validi, ma non necessariamente veri: il tallone d'Achille della logica è la "compilazione" dei suoi elementi, dei suoi assiomi, delle sue proposizioni, etc.. La conseguenza filosofica (e non) è che la validità logica non comporta affatto attendibilità veritativa: circoli viziosi, falsità, fallacie semantiche, etc. possono essere costituite da ragionamenti perfettamente validi dal punto di vista logico. Per questo la logica deduttiva non serve a conoscere attendibimente se non è verificata "dal basso", dall'empiria, e ciò che non può essere verificato, o almeno potenzialmente falsificato, non è da considerare attendibile solo perché è logicamente coerente (come dimostrano le varie "prove logiche" dell'esistenza di un dio, dai medioevali a Godel: è un semplice concetto infalsificabile, non ha senso scomodare petitio principii o duellare sofisticamente partendo da assiomi e paradigmi differenti).
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AMInfatti proprio perchè gli assiomi logici costituiscono regole comuni a ogni pensiero, in via ipotetica ogni pensiero può provare a smentirne il valore di verità, che poi di fatto ciò sia impossibile (se provassi a contestare il principio di non contraddizione finirei per contraddirmi e dunque per autoinvalidare la critica) non attesta l'infalsficabilità e la non-scientificità del valore di verità delle regole, ma anzi ne conferma necessariamente e costantemente la sua validità, regge alla prova della falsificazione, solo la regge ad un livello superiore rispetto a quello delle verifiche empiriche delle scienze naturali, perché in ogni caso il tentativo di smentirle può in ogni momento essere provato e constatato come fallimentare
Il principio di non contraddizione non fa eccezione al suddetto problema della "compilazione"; non sono esperto di logiche paraconsistenti (che tuttavia esistono e violano in modo controllato il principio di non contraddizione), quindi faccio un esempio banale: due rette parallele prolungate all'infinito, si toccano o non si toccano? Ognuna delle due risposte ha un suo sistema di riferimento non auto-contraddittorio; eppure, ci chiederebbe un "monista", qual'è allora la verità? All'interno della validità della logica aristotelica (limitandoci quindi a quella più basilare, lasciando fuori quelle modali, le suddette paraconsistenti, il tema della temporalità, etc.) non abbiamo alcuna garanzia di conoscenza veridica, ma solo di formulazione logicamente valida (che, come ricordato, non esclude circoli viziosi, falsità, etc.). L'induzione ci dà i dati, gli elementi, le evidenze (per quanto fallibili e interpretabili) per ancorare, fino a prova contraria, la validità alla verità, pagando però il prezzo di perdere l'agognata universalità e/o assolutezza che faciliterebbero l'assiomatizzazione della conoscenza. P.s. Non intendo certo sconsigliare l'uso della deduzione o sminuire il ruolo fondamentale della logica formale, ma considerarne gli "angoli ciechi" è comunque interessante; su astrazione/innatismo deduttivo, metafisica, etc. discutemmo già abbastanza approfonditamente qui, per cui evito di innescare ripetizioni.

pur ritenendo di poter mantenere, nonostante questi appunti, nel complesso le mie convinzioni espresse in precedenza, preferisco per ora fermarmi qui riguardo la trattazione di questi temi, perché penso che ci sia il rischio di allontanarsi eccessivamente dal tema di partenza della discussione. Ovviamente con l'auspicio di poter riprendere le argomentazioni in altri contesti
Titolo: Re:La morte
Inserito da: Phil il 27 Novembre 2019, 20:03:29 PM
Hai ragione, in teoria saremmo in un topic che ha per tema la morte; coerentemente, il tema stesso è morto lasciando spazio ad un post mortem di discussioni su etica, "videogame", logica, etc. a metaforica dimostrazione di come sia un tema fatalmente sfuggente, indicibile, che ci rimbalza sempre nell'al di qua.
Titolo: Re:La morte
Inserito da: and1972rea il 26 Dicembre 2019, 22:12:09 PM
Citazione
È chiaro che siamo reazioni chimiche a scadenza, non è una macchina perfetta l'uomo, chi lo dice è solo un positivista. L'uomo è difettoso, si ammala. La fede e la malattia mentale sono la via per sconfiggere il pensiero della morte.
Se consistessimo davvero in alcune reazioni chimiche, basterebbe poter ripetere le stesse tal quali davanti ai nostri occhi per ottenere un clone identico a noi, ma basterebbe guardare questo individuo negli occhi per comprendere  che egli non sarebbe evidentemente affatto noi, e che il suo essere cosciente di sé stesso non sarebbe il nostro, né la nostra autocoscienza la sua, nonostante possa egli condividere con noi tutta la nostra memoria ed il nostro modo di percepire i fenomeni. Quindi, logicamente ,noi non possiamo affermare di essere ciò che vediamo di noi stessi, non possiamo consistere in una serie per quanto organizzata e relazionata di porzioni qualunque di materia elementare; insomma, non possiamo dire :" ecco, io sono semplicemente un gruppetto di atomi ben  organizzato che produce la mia esistenza fino a che, ovunque ,ogni volta che, e soltanto se si organizza in un certo modo" , questa affermazione non ha evidentemente alcun fondamento né razionale, né scientifico. Il mio suggerimento per affrontare il concetto di morte, quindi, è di non abbandonarsi all'irrazionalità ,all'immaginazione, alla suggestione di modelli che ci siamo creati fino ad ora per raccontare la nostra esistenza e ciò che sembra circondarci; noi siamo evidentemente molto più di tutto ciò che dobbiamo usare per vivere ,che è molto meno di tutto quello a cui dovremmo tendere nel cercare il fondamento della nostra esistenza .






Titolo: Re:La morte
Inserito da: Arjuna56 il 09 Febbraio 2020, 19:24:31 PM
Io credo nell'energia. L'universo è energia, non lo dico io ovviamente, ogni esistenza è energia. Ogni materiale ha energia seppur privo di coscienza. L'energia è nella cellula e nell'atomo. Inifniti atomi compongono l'universo, che è materia intriseca di energia, mutevole tra l'altro poichè l'universo come diceva il buon Albert, è curvo. Esattamente ad Onde. Si suddivide poi la materia visibile da quella invisibile, con la componente aggiuntiva dell'antimateria. Ma il discorso sull'anti materia è ancora in dibattito. La materia invisibile, la materia oscura, è la maggioranza nell'universo. Per semplificare nello spazio la parte oscura è materia intrinseca di energia. Detto ciò tutto è energia. Nella mia visione scientifica, l'energia si divide in conscia ed inconscia. La pietra è energia inconscia, la pianta è conscia tanto quanto l'animale. Studi recenti, giapponesi, individuano come le vibrazioni energetiche (tutto vibra nell'universo, nulla è statico) della pianta cambino a seconda di ciò che essa subisce. Se accarezzata le vibrazioni sono curve e dolci, se strappata sono acute e taglienti. L'esperimento indica che le piante hanno coscienza di ciò che gli accade e questo basta. 
CURIOSITÀ: Le piante comunicano tra loro tramite onde elettromagnetiche inviate dalle radici. 
Detto tutto ciò l'esistenza è energia, noi siamo energia e l'oriente mi sostiene in questa mia visione seppur con differenze.