Salve. Finalmente, a furia di sentir parlare della "cosa in sè" senza comprendere il senso di tale espressione.............sento, intuisco, vagheggio e spudoratamente mi sento di rivelare cosa essa possa essere secondo me.
Prendiamo una sedia. Essa è (anche) un oggetto materiale, un manufatto, talvolta potrebbe persino essere un'opera d'arte.....ma non sembra che in tali definizioni e specificazioni sia racchiuso il significato di "una sedia in sè".
Esistono le cause (le quali secondo me rappresentano il 50% dell'essere, cioè di ciò che permette alle "cose" di esistere, ma questo lo lasciamo perdere).......poi esistono gli effetti (sempre secondo me, l'altro 50% dell'essere......................).
Ma, dato l'essere delle cose" definito come qui sopra........................le "cose" (in sè)..................dove sono e cosa sono ?.
Io penso che, dal momento che esiste una causa (potenziale od attuale) dell'esistenza della sedia (il bisogno di sedersi) e che ne esiste necessariamente l'effetto (potenziale od attuale) - (il poggiarvi il sedere)...................la sedia in sè non possa che essere ciò che si frappone tra la causa e l'effetto, CIOE' LO STRUMENTO (*) CHE, GENERATO DA UNA CAUSA, PERMETTE DI DARE AD ESSA UN EFFETTO.
Quindi qualsiasi "cosa in sè", secondo il mio ardito e balzano punto di vista non sarebbe altro che uno STRUMENTO secondo la definizione sopra datane.
A questo punto vorrei solo pregare - nel caso questa mia abbia una qualche replica da parte vostra - di astenervi dal citare pareri, giudizi, trattazioni, riflessioni facenti parte della storia della filosofia e del "noumeno", limitandovi a criticarmi (personalmente o filosoficamente) od a sottopormi DEFINIZIONI alternative alla mia. Ringrazio e saluto.
(*) OVVIAMENTE LO STRUMENTO PUO' ESSERE SIA MATERIALE CHE IMMATERIALE !!
Non mi ritrovo in ciò che dici.
L'effetto è la percezione della sedia , della quale percezione ipotizzo una causa che chiamò la sedia in se'.
Esiste la sedia, non la sedia in sè. Il luogo delle cose in sè è il dizionario: un mero artificio semantico da prendere cum grano salis. Nulla di metafisico, ad eccezione del fumus cui la filosofia ama, dalla notte dei tempi, avvolgersi.
Salve iano. Ripartendo da quanto ho affermato io : "Io penso che, dal momento che esiste una causa (potenziale od attuale) dell'esistenza della sedia (il bisogno di sedersi) e che ne esiste necessariamente l'effetto (potenziale od attuale) - (il poggiarvi il sedere)...................la sedia in sè non possa che essere ciò che si frappone tra la causa e l'effetto"..........tu ribatti che "L'effetto è la percezione della sedia , della quale percezione ipotizzo una causa che chiamò la sedia in se'".
Cioè il bisogno di sedersi (causa) avrebbe generato - quale proprio effetto - la percezione sensoriale (da parte di quale o quali sensi ?) di una sedia che in sè potrebbe anche non esistere ?. Saluti.
Salve Ipazia. Citandoti : "Esiste la sedia, non la sedia in sè". Come vuoi. D'ora in poi chiamiamola "strumento sedia".
Inoltre io ho parlato di sedie, strumenti, cause, effetti.
Il termine metafisico secondo te quale sarebbe ? Il verbo essere ? Ma secondo me l'essere, consistendo in una metà causale ed una metà effettuale (credo che i concetti di causa ed effetto risultino piùttosto estranei alla metafisica), non ha affatto significato e natura metafisici.
D'altra parte il considerare il verbo e la condizione dell'essere quali espressione di una sussistenza metafisica provocherebbe il crollo logico di ogni proposizione scientifica che intenda utilizzarli. Saluti.
Il fumus metafisico è "la cosa in sè", che se vogliamo scomodare la copula (è), rientra nel campo dell'autoerotismo metafisico traendola (la copula) dalla funzionalità semantica del dizionario.
Ciao Viator.
Intendevo dire che non trovo senso in quello che hai scritto.
L'esposizione in se' è chiara e semplice , e non mi pare neanche metaforica.
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2020, 08:31:42 AM
Esiste la sedia, non la sedia in sè. Il luogo delle cose in sè è il dizionario: un mero artificio semantico da prendere cum grano salis. Nulla di metafisico, ad eccezione del fumus cui la filosofia ama, dalla notte dei tempi, avvolgersi.
Ma non mi pare che ci sia nulla di metafisico nella sedia in se'.
Io sono certo solo della mia percezione ,la sedia, e innocuamente suppongo che vi sia una causa , che chiamò sedia in se'.
Do' nomi diversi perché non si tratta della stessa cosa.
Non mi pare ci sia nulla di fumoso in ciò.
Non vi è nulla che sia in sé.
La "cosa in sé" non è che l'illusione dell'esistenza dell'oggetto di per se stesso. Mentre l'oggetto è sempre nella sua relazione con altro da sé.
La legge causa/effetto è indispensabile per dare un senso a ciò che avviene.
Ogni cosa deve necessariamente sottostare a questa legge.
Se non vi sottostesse sarebbe il caos. E il caos non è semplicemente disordine... ma l'annichilimento di ogni possibile determinazione, cioè di ogni cosa.
Vi sottostà al punto... che la cosa non esiste per niente di per se stessa, ma solo nella concatenazione di cause-effetti. Ossia nelle relazioni.
Ciò che c'è è infatti pura relazione.
Salve bobmax. Prendo atto delle tue considerazioni che purtroppo non posso condividere non riuscendo ad attribuire loro un senso. E dire che ogni tanto il mio modo di esprimermi viene (da altri) trovato criptico !. Grazie comunque e saluti.
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2020, 20:31:42 PM
Non vi è nulla che sia in sé.
La "cosa in sé" non è che l'illusione dell'esistenza dell'oggetto di per se stesso. Mentre l'oggetto è sempre nella sua relazione con altro da sé.
La legge causa/effetto è indispensabile per dare un senso a ciò che avviene.
Ogni cosa deve necessariamente sottostare a questa legge.
Se non vi sottostesse sarebbe il caos. E il caos non è semplicemente disordine... ma l'annichilimento di ogni possibile determinazione, cioè di ogni cosa.
Vi sottostà al punto... che la cosa non esiste per niente di per se stessa, ma solo nella concatenazione di cause-effetti. Ossia nelle relazioni.
Ciò che c'è è infatti pura relazione.
La situazione è paradossale.
Io non capisco Viator, che non capisce te, mentre io ti capisco.
Anzi è proprio la chiarezza del tuo esposto che mi rende facile criticarlo.
Io penso che le cause vadano cercate e pesate , ma se non riesci a trovarle non significa che non ci siano.
Quindi non si potrà mai dimostrare l'esistenza del Caos , e anzi non credo che ne esista una definizione vera.
Non è neanche definibile come il contrario dell'ordine.
Al massimo si può identificare col nostro stato d'animo quando disperiamo di trovare le cause.
Noi siamo in grado di fare ordine , ma non di fare caos , ma la massimo di simularlo.
Possiamo trovare ordini di diverso grado , magari diciamo così sempre decrescente , o se vuoi più complesso , fino ad approssimare il caos.
Ma non c'è un grado di ordine dopo il quale regna il caos.
È il concetto stesso di ordine ad avere carattere egemonico.
Non c'è un caso , che sia descrivibile , che non vi sottosta'.
È quelli che non sembrano descrivibili sono solo in attesa di descrizione .
Non so' se tu capisci me.😅
Salve iano. Dunque, secondo te : "L'effetto è la percezione della sedia , della quale percezione ipotizzo una causa che chiamò la sedia in se'."
Quindi abbiamo l'esistenza di una "cosa in sè" che però non sarebbe (giustamente : non può filosoficamente essere) la sedia intesa come oggetto materiale. Per distintinguere la sedia dal SENSO DELL'ESISTENZA DELLA SEDIA io infatti ho chiamato SEDIA quella materiale e "SEDIA IN SE'" il suo senso, cioè appunto l'effetto STRUMENTALE della sua esistenza.
La causa della percezione della sedia (materiale) è il fatto che essa risulti oggetto sensibile (visibile, toccabile, sollevabile etc:). La "sedia in sè"invece, appartenendo alla categoria delle definizioni astratte, non è percepibile (dai sensi) ma unicamente CONCEPIBILE.
La causa dell'esistenza della "sedia in sè" (concetto astratto) è coerentemente anch'essa astratta, e consiste nella UTILITA'-NECESSITA' di disporre di una sedia materiale (utilità e necessità sono concetti in sè astratti che tendono però a generare uno STRUMENTO materiale adatto a soddisfarli). Saluti.
Citazione di: viator il 10 Febbraio 2020, 21:23:13 PM
Salve iano. Dunque, secondo te : "L'effetto è la percezione della sedia , della quale percezione ipotizzo una causa che chiamò la sedia in se'."
Quindi abbiamo l'esistenza di una "cosa in sè" che però non sarebbe (giustamente : non può filosoficamente essere) la sedia intesa come oggetto materiale. Per distintinguere la sedia dal SENSO DELL'ESISTENZA DELLA SEDIA io infatti ho chiamato SEDIA quella materiale e "SEDIA IN SE'" il suo senso, cioè appunto l'effetto STRUMENTALE della sua esistenza.
La causa della percezione della sedia (materiale) è il fatto che essa risulti oggetto sensibile (visibile, toccabile, sollevabile etc:). La "sedia in sè"invece, appartenendo alla categoria delle definizioni astratte, non è percepibile (dai sensi) ma unicamente CONCEPIBILE.
La causa dell'esistenza della "sedia in sè" (concetto astratto) è coerentemente anch'essa astratta, e consiste nella UTILITA'-NECESSITA' di disporre di una sedia materiale (utilità e necessità sono concetti in sè astratti che tendono però a generare uno STRUMENTO materiale adatto a soddisfarli). Saluti.
Ma , temo che dipenda dal fatto che non ho una buona cultura filosofica , pretendendo però (non riesco a farne a meno) di fare filosofia.
Per me la "sedia materiale" coincide con la percezione , percezione intesa in senso lato , perché non faccio distinzione di scopo fra percezione e metodo scientifico di indagine e teorizzazione .
Per questo definivo innocua l'ipotesi di una sedia in se' , intesa come causa della mia percezione .
È come dire che io credo in una realtà fuori di me , sulla quale posso fare congetture , ma che non coinciderà mai con la mia percezione , ne' con la mia scienza.
In particolare non credo di poter dire che questa realtà, anche solo in parte , sia materiale.
La materia io la posseggo per 'effetto".
Posso al massimo assumere , fino a prova contraria, che la realtà sia materiale.
Ma quando poi le prove contrarie arrivano non posso mostrare sorpresa , meraviglia e incredulità .
Se non una cosa sperata , era una cosa attesa.
Nessuna sorpresa , al massimo un po' di disappunto , per il fatto che le nostre congetture prima o poi sono destinate a cadere permessere rimpiazzate da altre.
Noi sappiamo che la percezione non ci dice la verità ( c'è lo dice la nostra scienza).
Quindi abbiamo sperato che la scienza potesse dircela.
Ma in effetti sono fatte della stessa pasta.
Diverse modalità, diversi strumenti , ma un solo scopo.
Quale sia lo scopo , e se tale si può dire , è un altra storia.
Puoi dire in fondo che due persone percorrono la stessa strada anche se non ne conosci il nome.
Salve Ipazia. Citandoti . "Il fumus metafisico è "la cosa in sè", che se vogliamo scomodare la copula (è), rientra nel campo dell'autoerotismo metafisico traendola (la copula) dalla funzionalità semantica del dizionario".
Anzitutto abbiti i miei complimenti per la tua lapidarietà appena appena apodittica (ma questo te lo puoi tranquillamente permettere, secondo me).
Venendo al merito, son d'accordo sul fatto che la "cosa in sè" sia considerabile "fumus metafisico".
Resta il ruolo della copula, immensamente più fecondo di ogni autoerotismo se viene interpretata viatoristicamente come "la condizione per la quale le cause producono degli effetti". Saluti.
Se dico: "é un cane", qual'é la causa e qual'é l'effetto ?
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La questione degli "universali" é nota fin dall'antichità e i dizionari se ne fanno carico. Ma si tratta di semantica, non di metafisica. Se invece evoco un qualsiasi accidente in sé faccio metafisica, ma di quel tipo che, non venendone a capo, finisce in un sentiero interrotto, in fumo.
.
Citazione di: iano
La situazione è paradossale.
Io non capisco Viator, che non capisce te, mentre io ti capisco.
Anzi è proprio la chiarezza del tuo esposto che mi rende facile criticarlo.
Io penso che le cause vadano cercate e pesate , ma se non riesci a trovarle non significa che non ci siano.
Quindi non si potrà mai dimostrare l'esistenza del Caos , e anzi non credo che ne esista una definizione vera.
Non è neanche definibile come il contrario dell'ordine.
Al massimo si può identificare col nostro stato d'animo quando disperiamo di trovare le cause.
Noi siamo in grado di fare ordine , ma non di fare caos , ma la massimo di simularlo.
Possiamo trovare ordini di diverso grado , magari diciamo così sempre decrescente , o se vuoi più complesso , fino ad approssimare il caos.
Ma non c'è un grado di ordine dopo il quale regna il caos.
È il concetto stesso di ordine ad avere carattere egemonico.
Non c'è un caso , che sia descrivibile , che non vi sottosta'.
È quelli che non sembrano descrivibili sono solo in attesa di descrizione .
Non so' se tu capisci me.
Sì, Iano, ritengo di capirti.
E condivido il tuo pensiero.
Noi non possiamo "fare" caos.
Perché il caos è l'irrompere del caso. Che non c'è.
Se il caso fosse davvero esistente non vi sarebbe cosmo bensì caos.
E non sarebbe possibile alcun esser-ci.
Di modo che le cause certamente ci sono SEMPRE.
Basterebbe un solo evento, una sola cosa, che per davvero non avesse alcuna causa... e il nostro cosmo svanirebbe nel caos.
Buonasera, croce e delizia che fa rima con Ipazia, Citandoti : "Se dico: "é un cane", qual'é la causa e qual'é l'effetto ?".
Se io dico (dopo aver visto, udito, annusato, toccato, pensato o letto di un cane) "è un cane" la causa (variabile secondo le circostanze) sarà la mia percezione o concezione appena prodottasi, mentre l'effetto (anch'esso variabile secondo le circostanze) potrebbe essere il concepirne la potenziale pericolosità o amabilità, l'informare altri della sua presenza etc. etc. etc,.
Non c'è bisogno di grandi effetti o profondi significati perchè la copula funzioni, sai ?. Saluti.
Citazione di: viator il 10 Febbraio 2020, 22:56:41 PM
Buonasera, croce e delizia che fa rima con Ipazia, Citandoti : "Se dico: "é un cane", qual'é la causa e qual'é l'effetto ?".
Se io dico (dopo aver visto, udito, annusato, toccato, pensato o letto di un cane) "è un cane" la causa (variabile secondo le circostanze) sarà la mia percezione o concezione appena prodottasi, mentre l'effetto (anch'esso variabile secondo le circostanze) potrebbe essere il concepirne la potenziale pericolosità o amabilità, l'informare altri della sua presenza etc. etc. etc,.
Non c'è bisogno di grandi effetti o profondi significati perchè la copula funzioni, sai ?. Saluti.
Ma è una funzionalità semantica (che è lo scopo per cui esiste il
significante "cane"), non metafisico-ontologica (che è il
cane in sè, la caninità). In altri termini hai descritto la funzionalità della comunicazione, che è altra cosa, ma neppure questa in sè, e nel cui campo semantico la relazione causa-effetto è marginale. Un po' come l'aria che è fondamentale causa della vita biologica aerobica ma non mi dice nulla della biologia.
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2020, 20:31:42 PM
Non vi è nulla che sia in sé.
La "cosa in sé" non è che l'illusione dell'esistenza dell'oggetto di per se stesso. Mentre l'oggetto è sempre nella sua relazione con altro da sé.
Questa è la grande scoperta dell'episteme novecentesca, pilotata dalla scienza e fatta propria dalla filosofia: relatività, chimica, quantistica, psicosomatica, e infine logica, hanno demolito quello che restava del noumeno, riportandolo alla funzione
concettuale degli "universali" di scolastica aristotelica memoria il cui tempio transeunte è il dizionario. L'ultima speranza, legata alla "particella di Dio", si è sgonfiata nell'effimero mediatico. Noi e la sedia siamo fatti della stessa materia delle stelle e l'unica cosa che cambia è il modo in cui questa materia, e le forze che la legano, sono relazionate.
Venendo alla nostra amata disciplina l'esito di tale rivoluzione epistemologica fu questo:
Citazione di: L.Wittgenstein - Tractatus Logico-Philosophicus
1 Il mondo è tutto ciò che accade.
1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.
1.13 I fatti nello spazio logico sono il mondo.
1.2 Il mondo si divide in fatti.
2. Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose.
2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti.
2.12 L'immagine è un modello della realtà.
2.14 L'immagine consiste nell'essere i suoi elementi in una determinata relazione l'uno all'altro.
2.141 L'immagine è un fatto.
3. L'immagine logica dei fatti è il pensiero.
3.01 La totalità dei pensieri veri è un'immagine del mondo.
...
Avrei voluto nerettare, ma qui ogni parola ha senso e, per dirla con Grillo, un senso "elevato", da Genesi strutturata del pensiero moderno: le cose (in sè), non esistono, esistono i fatti che eraclitamente le relazionano e possiamo fissare in una istantanea (immagine) che a sua volta è essa stessa un fatto, inclusa l'opinione che dice che i fatti non esistono ed esistono solo le interpretazioni: qualcuno l'ha pensato, questo è un fatto.
CitazioneLa legge causa/effetto è indispensabile per dare un senso a ciò che avviene.
Avendo però l'accortezza di sottrarci alla imperialistica superstizione monodimensionale della
causa efficente. Già il divino Aristotele si rese conto che pure la causalità è relazionale e la ordinò in 4 "perchè" causali di cui wp vi rende conto senza tediarvi oltre. Kant complicò la cosa con le categorie e le sintesi a priori; in effetti le 4 cause sono attratte irresistibilmente verso una sintesi, che possiamo chiamare effetto. Ma, assai poco metafisicamente, a posteriori, non in sè. L'effetto dà un senso a ciò che avviene e innesca il tetragramma causale dell'effetto a venire.
CitazioneOgni cosa deve necessariamente sottostare a questa legge.
Se non vi sottostesse sarebbe il caos. E il caos non è semplicemente disordine... ma l'annichilimento di ogni possibile determinazione, cioè di ogni cosa.
Qui c'è un problema mica da poco. Possiamo al massimo farci un (f)atto di fede perchè non possediamo, con riferimento a LW qui sopra, tutti i pensieri "veri" sul mondo tali da darcene un'immagine "vera", per cui dobbiamo adattare la legge ai sistemi che riusciamo ad isolare - determinandoli - su cui possiamo dire la verità, ignorando metodologicamente ciò che sta al di fuori, caos o ordine che sia. Non dubito che coglierai l'aspetto
etico di tale atteggiamento epistemologico ed esistenziale.
CitazioneVi sottostà al punto... che la cosa non esiste per niente di per se stessa, ma solo nella concatenazione di cause-effetti. Ossia nelle relazioni.
Ciò che c'è è infatti pura relazione.
Per questo la modernità ha dovuto, constatata l'inaccessibilità dell'
Essere (copula
autoerotica auto- e panto- cratica), rassegnarsi alla condizione cadetta, il più confortevole possibile (ma anche no: anche il dramma è un fatto optabile), dell'
esserci, nella sua calda, ma un po' sudaticcia, relazionalità. Come dice il paraninfo di "Così fan tutte": "se non può ciò che vuole, vorrà alfin ciò che può".
.
Citazione di: viator il 10 Febbraio 2020, 21:45:30 PM
Resta il ruolo della copula, immensamente più fecondo di ogni autoerotismo se viene interpretata viatoristicamente come "la condizione per la quale le cause producono degli effetti".
L'essere come copula («è») definisce un'identità, non la condizione di un rapporto causale; il che non nega che tali identità definite siano in un rapporto causale, ma non è quello che dice l'«è» (che si occupa solo di fornire alla catena causale i suoi "protagonisti", ma questo è uno dei suoi ruoli, non la sua definizione). Definire qualcosa basandosi sul suo essere condizione di possibilità di altro, è spesso ambiguo: se (perdona la fantasiosa banalità dell'esempio) definisco il «voto degli elettori» come «ciò che rende possibile la democrazia», il mio interlocutore continuerà a non sapere cosa è davvero un voto (il sapere a cosa serve, senza sapere cos'è, non gioverà molto alla sua comprensione).
Se affermo «quello è il sito della Treccani» (dove posso trovare una definizione piuttosto condivisa di «cosa in sé») sto solo identificando qualcosa; tale qualcosa avrà certamente le sue cause e produrrà i suoi effetti, ma non è quello che dico nell'affermare «x è y». Se anche affermo «x è causa di y» sto semplicemente identificando la «x»: se essa sia «causa di y», o «effetto di y», o «sorella di «y», o altro, ciò che quell'«è» predica è un'identità (il principio di identità è non a caso l'asse portante di tutta la logica e di ogni discorso; senza le identità coinvolte, la causalità non ha significato: se non identifico prima «Tizio» e «Caio», non ha un "senso utile" affermare «Tizio è causa di Caio»).
Citazione di: Ipazia
CitazioneVi sottostà al punto... che la cosa non esiste per niente di per se stessa, ma solo nella concatenazione di cause-effetti. Ossia nelle relazioni.
Ciò che c'è è infatti pura relazione.
Per questo la modernità ha dovuto, constatata l'inaccessibilità dell'Essere (copula autoerotica auto- e panto- cratica), rassegnarsi alla condizione cadetta, il più confortevole possibile (ma anche no: anche il dramma è un fatto optabile), dell'esserci, nella sua calda, ma un po' sudaticcia, relazionalità. Come dice il paraninfo di "Così fan tutte": "se non può ciò che vuole, vorrà alfin ciò che può".
Sì, diciamo "essere" ma in realtà è sempre e solo "esserci". Pura relazionalità.
Difatti l'identità è un'illusione, perché mai A è uguale ad A.
L'identità è solo una semplificazione della razionalità, che forza il gioco imponendo che A = A.
Una semplificazione necessaria, indispensabile per il pensiero razionale, ma che non è la Verità.
La copula "è" dovrebbe essere sempre intesa come un "c'è". E ciò che c'è sono sempre e solo relazioni.
Relazioni che sono una concatenazione di cause ed effetti, senza soluzione di continuità.
Lo stesso pensiero lo immaginiamo composto da concetti ben definiti, stabili, che come mattoni mettiamo uno sull'altro per comporre il medesimo pensiero.
Ma non è affatto così!
Mantenere nella mente che A=A è il risultato di un continuo sforzo prodigioso della mente, che deve, per pensare, rinnovare ogni volta quel A=A.
Tuttavia si tratta solo di una semplificazione, utile, ma che ha come risvolto il nichilismo.
CitazioneSALVE IPAZIA. Sempre a proposito di : "Se dico: "é un cane", qual'é la causa e qual'é l'effetto ?".
Se io dico (dopo aver visto, udito, annusato, toccato, pensato o letto di un cane) "è un cane" la causa (variabile secondo le circostanze) sarà la mia percezione o concezione appena prodottasi, mentre l'effetto (anch'esso variabile secondo le circostanze) potrebbe essere il concepirne la potenziale pericolosità o amabilità, l'informare altri della sua presenza etc. etc. etc,.
Non c'è bisogno di grandi effetti o profondi significati perchè la copula funzioni, sai ?. Saluti.
Ma è una funzionalità semantica (che è lo scopo per cui esiste il
significante "cane"), non metafisico-ontologica (che è il
cane in sè, la caninità).
L'utilizzo del termine "cane" (che è anche un significante) ha l'effetto (magari potenziale) di generare delle emozioni e sensazioni in chi lo procunci, lo scriva o lo oda.......a condizione che costui ne conosca il significato (conosca l'italiano).La tacita convenzione che vige tra noi due e la stragrande (credo) maggioranza dei nostri lettori prevede che tutti noi si sia in grado di collegare il significante al suo significato, il quale quindi si trasforma automaticamente nella CAUSA (potenziale od attuale) delle nostre reazioni che sopra avevo accennato. Saluti.
Salve Ipazia (ed ora anche Phil). Tornando ancora a "E' UN CANE", possiamo giocherellare a cercare causa ed effetto di tutto ciò che componga e significhi tale lapidaria espressione :
- per l'espressione nella sua interezza (significato semantico) io avrei già provveduto attraverso il mio intervento che tu hai recentemente criticato.
- Venendo alla "copula" "E'.....", semanticamente e linguisticamente essa provvede a collegare tra di loro ciò che precede a ciò che la segue, fornendo in pratica ad un'affermazione (il significante precedente rappresentante una causa) un significato conseguente (quindi l'effetto di una causa). Copula infatti è la connessione tra termini che da soli potrebbero non avere alcun senso ma che attraverso l'uso del verbo ESSERE lo acquistano attraverso il completamento di un ciclo causa/effetto. La funzione della copula quindi si apre e si collega automaticamente al significato filosofico-esistenziale del verbo ESSERE definito da me – come immarcescibilmente ripeto ogni volta che ne abbia l'occasione – come "LA CONDIZIONE PER LA QUALE LE CAUSE PRODUCONO I LORO EFFETTI".
- Proseguendo nell'aspetto filosofico-esistenziale dell' ESSERE, cerchiamo di stabilire cosa esso possa risultare "in se'". Abbiamo visto che l'essere non viene da me considerato una causa od un effetto, ma solo una CONDIZIONE che permette il DIVENIRE (la sequenza cause-effetti). Ma in cosa può consistere la condizione che consente il divenire ? Semplicemente e deludentemente nella percezione (facciata fisica dell'essere) e/o nel concepimento (capacità di relazionare tra loro i concetti) (facciata metafisica dell'essere). Purtroppo tale sdoppiamento andrebbe approfondito ma non esiste certo la possibilità di farlo ora e qui. Perciò l'essere "in sè?" secondo me consiste nella biologica capacità di percepire poi integrata dalla esclusivamente umana capacità di concepire (guarda caso, tornando in tal modo al significato di "copula").
- Sul significato di "cane" (letterale, semantico, zoologico etc.) spero che non mi venga chiesto da qualcuno.
- Circa il "cane in sè" (l'idea di "cane", la "caninità") tale concetto incarna tutto l'insieme degli aspetti di una certa cosa (in questo caso vivente) che – se presenti – generano nell'osservatore il concetto di "caninità" (che poi l'osservatore possa sbagliarsi nell'attribuire tale concetto, sono affari suoi). Poi, come tutte le "cose in sè", il "cane in sè" potrà avere o non avere una propria realtà esistenziale..............in particolare, ad esempio, se noi non ricaveremo mai percezioni, emozioni, nozioni, concezioni, effetti dalla sua esistenza..................vorrà dire che esso PER NOI non esiste. Il che non dovrebbe impedirgli di nascere, nutrirsi, riprodursi continuando ad esserCI inesistente. Saluti.
Citazione di: viator il 11 Febbraio 2020, 16:32:08 PM
Salve Ipazia (ed ora anche Phil). Tornando ancora a "E' UN CANE", possiamo giocherellare a cercare causa ed effetto di tutto ciò che componga e significhi tale lapidaria espressione :
- per l'espressione nella sua interezza (significato semantico) io avrei già provveduto attraverso il mio intervento che tu hai recentemente criticato.
- Venendo alla "copula" "E'.....", semanticamente e linguisticamente essa provvede a collegare tra di loro ciò che precede a ciò che la segue, fornendo in pratica ad un'affermazione (il significante precedente rappresentante una causa) un significato conseguente (quindi l'effetto di una causa). Copula infatti è la connessione tra termini che da soli potrebbero non avere alcun senso ma che attraverso l'uso del verbo ESSERE lo acquistano attraverso il completamento di un ciclo causa/effetto. La funzione della copula quindi si apre e si collega automaticamente al significato filosofico-esistenziale del verbo ESSERE definito da me – come immarcescibilmente ripeto ogni volta che ne abbia l'occasione – come "LA CONDIZIONE PER LA QUALE LE CAUSE PRODUCONO I LORO EFFETTI".
Phil ha spiegato assai bene la questione. La copula ha un significato principale di
identità (=), ed uno secondario di
esistenza. E' del tutto priva di quello che la scienza logica chiama
implicazione (⇒) che pone la relazione causale.
In questo
link si tratta la questione logica "causalità" più a fondo.
Citazione
- Proseguendo nell'aspetto filosofico-esistenziale dell' ESSERE, cerchiamo di stabilire cosa esso possa risultare "in se'". Abbiamo visto che l'essere non viene da me considerato una causa od un effetto, ma solo una CONDIZIONE che permette il DIVENIRE (la sequenza cause-effetti). Ma in cosa può consistere la condizione che consente il divenire ? Semplicemente e deludentemente nella percezione (facciata fisica dell'essere) e/o nel concepimento (capacità di relazionare tra loro i concetti) (facciata metafisica dell'essere). Purtroppo tale sdoppiamento andrebbe approfondito ma non esiste certo la possibilità di farlo ora e qui. Perciò l'essere "in sè?" secondo me consiste nella biologica capacità di percepire poi integrata dalla esclusivamente umana capacità di concepire (guarda caso, tornando in tal modo al significato di "copula").
Mischiare essere/divenire, causa/effetto, percezione/concepimento, con la "cosa in sè" supera tutte le mie facoltà cognitive.
Citazione- Circa il "cane in sè" (l'idea di "cane", la "caninità") tale concetto incarna tutto l'insieme degli aspetti di una certa cosa (in questo caso vivente) che – se presenti – generano nell'osservatore il concetto di "caninità" (che poi l'osservatore possa sbagliarsi nell'attribuire tale concetto, sono affari suoi). Poi, come tutte le "cose in sè", il "cane in sè" potrà avere o non avere una propria realtà esistenziale..............in particolare, ad esempio, se noi non ricaveremo mai percezioni, emozioni, nozioni, concezioni, effetti dalla sua esistenza..................vorrà dire che esso PER NOI non esiste. Il che non dovrebbe impedirgli di nascere, nutrirsi, riprodursi continuando ad esserCI inesistente. Saluti.
Gli "universali" sono una conquista logica che risale al mondo platonico delle idee. La caninità ha pure il vantaggio di non sporcare casa e non pesare sul mantenimento. Ma la differenza sostanziale rispetto al cane, con riferimento al carattere esistenziale della copula, è che: Il cane è, la caninità non è.
Sopra la sedia c'è un granellino di sabbia.
Mi domando, la sedia con sopra il granellino di sabbia è un'altra cosa in sé, distinta dalla sedia e dal granellino di sabbia?
Salve baylham. Poichè "la cosa in sè" è concetto umano, possiamo attribuirlo a ciò che ci piace. Starà poi alla capacità dialettica di chi lo attribuisce il riuscire a convincerne altri.
Secondo me sedia e granello di sabbia sono due distinte "cose in sè". Se tu invece vuoi considerarli una unica "cosa in sè", va benissimo.
Anche l'insieme di tutto ciò che esiste può venir considerato una "cosa in sè". Per alcuni è addirittura "Dio in sè".
Certo, aumentando contenuti e diversificazione di ciò che vogliamo definire quale "cosa in sè", aumenta la fatica del doverlo "reificare". Diventa un lavoro da metafisici quasi professonali. Saluti.
Salve Ipazia. Grazie. Ho dato un'occhiata al "link" in "Quaderni di sociologia", scorrendone le prime trenta righe.
Quello accademico-social-statistico non è linguaggio adatto a me in quanto - come al solito - si svolge attraverso l'analisi, di essa vivendo.
Una cultura ed una modalità di espressione che non vogliano o non riescano ad esprimere una sintesi.................................lasciamo pure perdere.
A questo punto però mi accorgo anche di averti-avervi risparmiato le mie - come al solito balzane, criptiche e sintetiche - definizioni di causa e di effetto (i quali due ad opinione o nozione di molti di voi non avrebbero nulla a che vedere con l'essere ed il divenire) :
- causa : lo stato del mondo precedente una sua qualsiasi trasformazione:
- effetto : lo stato del mondo successivo a una sua qualsiasi trasformazione.
Infine, citando Phil :
"L'essere come copula («è») definisce un'identità, non la condizione di un rapporto causale" rimarco di aver affermato che
la condizione incarnata dall'essere è costituita dalla doppia IDENTITA' (se vogliamo chiamarla così) del mondo quale contenitore fisico del percepibile e contenitore metafisico del concepibile. Infatti sfido chiunque ad indicarmi cosa mai possa essere che non sia percepibile o concepibile. Saluti.
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2020, 21:31:27 PM
Salve. Finalmente, a furia di sentir parlare della "cosa in sè" senza comprendere il senso di tale espressione.............sento, intuisco, vagheggio e spudoratamente mi sento di rivelare cosa essa possa essere secondo me.
Prendiamo una sedia. Essa è (anche) un oggetto materiale, un manufatto, talvolta potrebbe persino essere un'opera d'arte.....ma non sembra che in tali definizioni e specificazioni sia racchiuso il significato di "una sedia in sè".
Esistono le cause (le quali secondo me rappresentano il 50% dell'essere, cioè di ciò che permette alle "cose" di esistere, ma questo lo lasciamo perdere).......poi esistono gli effetti (sempre secondo me, l'altro 50% dell'essere......................).
Ma, dato l'essere delle cose" definito come qui sopra........................le "cose" (in sè)..................dove sono e cosa sono ?.
Io penso che, dal momento che esiste una causa (potenziale od attuale) dell'esistenza della sedia (il bisogno di sedersi) e che ne esiste necessariamente l'effetto (potenziale od attuale) - (il poggiarvi il sedere)...................la sedia in sè non possa che essere ciò che si frappone tra la causa e l'effetto, CIOE' LO STRUMENTO (*) CHE, GENERATO DA UNA CAUSA, PERMETTE DI DARE AD ESSA UN EFFETTO.
Quindi qualsiasi "cosa in sè", secondo il mio ardito e balzano punto di vista non sarebbe altro che uno STRUMENTO secondo la definizione sopra datane.
A questo punto vorrei solo pregare - nel caso questa mia abbia una qualche replica da parte vostra - di astenervi dal citare pareri, giudizi, trattazioni, riflessioni facenti parte della storia della filosofia e del "noumeno", limitandovi a criticarmi (personalmente o filosoficamente) od a sottopormi DEFINIZIONI alternative alla mia. Ringrazio e saluto.
(*) OVVIAMENTE LO STRUMENTO PUO' ESSERE SIA MATERIALE CHE IMMATERIALE !!
Ah ah e va bene lasciamo pure i pensatori classici da parte.
In effetti non c'è bisogno. Io penso che lo strumento non sia ciò che sta in mezzo alla causa-effetto, bensì faccia parte delle varie forme della causalità.
D'altronde in latino esisto proprie il causale strumentale (la preposizione ob).
Comunque mi suona nuova e allegra la dimensione del "in sè" che significa molto banalmente cio che è (la tautologia la cosa in sè è la cosa in sè, ossia a=a).
In effetti hai ragione a fare questo parallelismo, che evidentemente viene da una tua intuizione squisita.
In effetti la causalità è proprio il problema di voler a tutti i costi introdurre qualcosa per poi volerlo ri-dimostrare tramite le categorie classiche della logica.
(ma che bisogna c'era? visto che lo avevi introdotto ex-abrupto!)
Allora tanto valeva dire che a è uguale ad a, perchè b lo permette.
ossia non partire da una tautologia ma da una premessa del tipo. se esiste un b che permette un a, allora esiste un a.
e chiamare queste necessità (del possibile) il famoso in sè.
E bravo il nostro viator!
ps.
ovviamente questo non può accadere per quell'oggetto particolare che è l'esistente, e di cui il b famoso di sopra sarebbe l'ESSERE, che appunto nella tradizione classica è il vero in sè. La causalità dunque ovviamente è un accidente, e non un in sè.
giusto per ridare la voce alla tradizione filosofica ;)
pps.
ma nel caso di kant la critica suppongo non volontaria di viator è ficcante! :)
Citazione di: viator il 11 Febbraio 2020, 22:10:33 PM
A questo punto però mi accorgo anche di averti-avervi risparmiato le mie - come al solito balzane, criptiche e sintetiche - definizioni di causa e di effetto (i quali due ad opinione o nozione di molti di voi non avrebbero nulla a che vedere con l'essere ed il divenire) :
- causa : lo stato del mondo precedente una sua qualsiasi trasformazione:
- effetto : lo stato del mondo successivo a una sua qualsiasi trasformazione.
Queste definizioni mi hanno fatto venire in mente, per associazione di idee, una fallacia (errore logico) chiamata «
post hoc ergo propter hoc» ovvero «dopo di ciò quindi a causa di ciò», fallacia che consiste nel confondere la consecuzione temporale con la conseguenza causale. Stando alla definizione proposta si rischia infatti di tradurre «x è causa di y» con «x è lo stato del mondo precedente la sua trasformazione in y»: se è vero che le cause precedono sempre i rispettivi effetti, è anche vero che lo stato
del mondo prima di un evento non ne è sempre la causa. Ad esempio, se mentre digito qui un post, mi arriva una chiamata di un
call center, probabilmente il mio digitare non è causa della telefonata, anche se fa parte dello stato
del mondo prima dello squillo (e cessa all'accadere dello squillo); verosimilmente non è lo stato
del mondo che origina la chiamata, ma solo alcuni fattori, chiamati appunto «cause». Chiaramente, questo esempio è piuttosto trasparente, ma rintracciare la giusta causa in tutti gli eventi pertinenti che precedono un fenomeno non è sempre impresa facile, per cui, secondo me, non se ne può fare solo una questione generica di "precedere la trasformazione" e di «stato del mondo».
Citazione di: baylham il 11 Febbraio 2020, 19:21:54 PM
Sopra la sedia c'è un granellino di sabbia.
Mi domando, la sedia con sopra il granellino di sabbia è un'altra cosa in sé, distinta dalla sedia e dal granellino di sabbia?
Allora la cosa in sè è un concetto unico, ossia non esiste la sedia come cosa in sè.
esiste la sedia in quanto cosa in sè. Ossia la sedia è una delle infinite manifestazioni dell'identico.
dunque la sedia, il granello di sabbia e la sedia con il granello di sabbia sopra, sono 3 (!) e non 2 manifestazioni dell'1 che è la cosa in sè.
Attenzione persino due maestri come vattimo e ferraris si confusero all'epoca del discorso sul neo-realismo, riportati sulla retta via dal sempre attento Severino (che perdita scioccante per il mondo filosofico!).
ciao baylham
x Ipazia e Phil
ciao mi chiedevo al di là dei vari formalismi logici e paratattici, perchè non riusciate a vedere la ficcante critica di viator.
infatti ripartiamo da cane, e dal concetto del in sè.
Come sappiamo il problema di kant è la giustificazione del fatto che esista un in sè (egli introduce poi un altro in sè, che è la libertà, per cui di fatto a mio modo di vedere è ingiustamente criticato sulla prima questione lasciata aperta nella ragion pura, ma appunto non è che kant abbia finito lì, è andato avanti nella ricerca, Giusto in parentesi ed en passant).
Di fatto voler giustificare quella che in fine dei conti è una semplice presa di posizione di partenza, rientra nel più gran novero delle questioni finalisitiche a cui di fatto la filosofia tende.
secondo me viator attinge a questa intuizione, che in fin dei conti il finalismo della filosofia, spesso si dimentica di se stesso.
Ed entra in un loop impossibile da sciogliere, se non quando si ricorda del perchè la filosofia è nata. Appunto come libertà di scelta umana.
in fin dei conti la cara vecchia idea di causalità, oggi così snobbata, rientra e rientrerò sempre dalla finestra ampia della filosofia, ossia dal suo vero scopo.
poichè le cause aiuatano grandemente ad ottenere una conoscenza, e dunque una finalità indirizzante. che poi si chiamerà infine scienza.
la questione formale degli universali ricordiamoci è sempre legata all'idea del deus ex machina, che infesta da sempre la filosofia.
certo come dici tu phil un errore logico-filosofico gigantesco, e non per questo meno straordinariamente importante per l'intera tradizione occidentale, ossia in fin dei conti noi.
Noi partiamo sempre da quella vecchia idea dell'auctoritas!
sinceramente ho trovato l'intervento di viator squisito nel suo pragmatismo insieme innocente e terribilmente indicatorio di certi loop della filosofia (non ho mai capito perchè abbia ancora così successo questa idea del "in sè delle cose". Ma chi se ne frega, andiamo avanti per carità! ;D ;)
L'"in sè" della sedia è il suo essere "sedia". Se volesse fare , che so...il tavolo, non sarebbe più "in sè". Infatti , vedendola fare il tavolo, si dice :"Quella sedia non è in sè". Se un uomo si mette a fare il cane, latrando e uggiolando, non è più evidentemente "in sé", ma non è neppure un cane. Infatti un cane perfettamente "in sé", osservandolo perplesso, e non decifrando i suoni sconclusionati emessi dall'uomo "fuori di sé", può decidere di morderlo, al che l'uomo può anche, sopraffatto dal dolore, tornare "in sè" e rifilare un calcione al cane che, "fuori di sé" dalla paura, potrebbe fuggire lontano dall'uomo tornato "in sè"...
Quindi, ricapitolando:"in sè" s'intende quando un fenomeno, cosa, persona o bestia è "centrato in sè". L'uomo fa l'uomo; il cane fa il cane e la sedia fa la sedia. "In" equivale a "dentro". Infatti si dice: "Sei 'in' casa?" intendendo "Sei dentro casa?". Ne consegue che l'"in sè" della sedia sta nella sua "sedianità" (cioè nel suo fare la sedia e non il tavolo-"stare dentro" il suo essere sedia). L'"in sè" dell'uomo sta nel suo fare l'uomo (perché "essere l'uomo" è "fare l'uomo"), cioè nella sua "umanità". L'essere del cane nella sua "caninità", e via dicendo...
Questa "umanità" dell'uomo non è trovabile, né misurabile, eppure c'è. Infatti non si vede un uomo volare come un uccello, come non si vede un airone dire messa cantata. Questo perché l'uccello ha la sua "uccellità", e in più non viene neppure accettato in seminario, mentre l'uomo non ce l'ha (purtroppo...). Come sempre ci viene in soccorso LUI, il dizionario:
In partic., nel linguaggio filos. la locuz. "in sé" indica la realtà nella sua propria e vera natura, indipendentemente dai suoi attributi accidentali o da un modo soggettivo di considerarla.(diz.Treccani)
Quindi quale può essere la vera natura della sedia se non essere "sedia" ?Quella dell'uomo se non essere "uomo"? Quella del cane se non essere "cane"? E questo indipendentemente dai suoi attributi accidentali. Se anche l'uomo, infatti, si mette a fare il cane, tentando di latrare, non per questo smette di essere uomo, diventando cane. Mai si è visto un accalappiacani mettere nel furgone un uomo che tenta di fare il cane. L'accalappiacani riconosce l'"umanità" dell'uomo, infatti, e quindi, al massimo, dopo aver chiamato l'ambulanza...gli lancia un biscotto. Il dizionario poi è incredibile! Aggiunge pure: "indipendentemente dal modo soggettivo di considerarla". Infatti se anche consideriamo soggettivamente che la sedia è un tavolo e apparecchiamo per la cena sopra di essa, sedendoci invece sul tavolo, non per questo la sedia smette di essere "in sé" una sedia diventando un tavolo. Così come un uomo che, per esempio, scodinzola usando un braccio al posto della coda, smette di essere uomo diventando un cane. E' evidente che rimane un uomo!.. ::)
Se poi questo "in sé" della sedia sia da considerarsi dotato di natura propria, autonoma, indipendente, stabile e duratura, questo no. Infatti la sedia non è "intrinsecamente sedia", in quanto aggregato di infiniti "non-sedia" (basti pensare ai chiodi, alla colla,alla vernice, ai feltrini,ecc. Per allargarci poi al falegname che l'ha costruita, alla sega, alla pialla, e via dicendo...E poi al legno usato, alla pianta, alla terra, agli elementi minerali, all'aria, e via dicendo...)
@Sariputra.
Chiaro.
La natura della sedia in se' sta oltre là soggettività, che sia la nostra singola o dell'umanità intera.
Questa natura può quindi essere oggetto di fede o di ipotesi.
Quindi , grazie alla mia ignoranza filosofica , da semplice rappresentante del popolo 😁 , confermo che non ho capito l'oggetto di questa discussione , anche se intuisco che trattasi di roba filosofica fondamentale. Ma...
In parole povere? 😊
In parole povere...uhm! :-\
"C'è" la "sedia". Infatti , se qualcuno la prende in mano e te la dà sulla gobba, chiaramenti senti che c'è la sedia. Ma , dopo che si è sfasciata sul tuo groppone... non "C'è" più . Questo perché non è intrinsecamente data, al netto delle parti che la costituiscono...Se fosse dotata di natura propria permarrebbe come sedia "in sè" anche dopo sfasciata. Ma così non è. Adesso hai pezzi di legno buoni per la stufa...
Ma finchè è "in sè" una sedia, l'uomo che l'afferra con ambo le mani per infierire su di te, non pensa. "Prendo questi pezzi di legno e glieli dò sul groppone a Iano", ma bensì: "Prendo questa sedia e gliela dò sul groppone a Iano".
Salve Sariputra. Ottime osservazioni le tue, fornite a livello di buonsenso. Infatti l'"in sè" della sedia (e di tutto il resto) consiste nelle, sue caratteristiche ESSENZIALI, cioè COMPLETAMENTE ED UNICAMENTE SPECIFICHE.
Quindi "la sedia in sè" non può consistere nel materiale in cui è fatta (oggetti di legno, plastica, metallo, vetro...sai quanti ce ne sono), negli accessori di cui è dotata, (imbottiture, feltrini etc:), nelle sue parti (braccioli, schienali, ripiani, gambe le hanno anche le poltrone), neppure nella sua forma (nei musei sono esposte anche opere in forma di sedia)............
LA SEDIA IN SE' (ED OGNI ALTRA COSA E CONCETTO IN SE') E' INDIVIDUABILE E DEFINIBILE ATTRAVERSO LA FUNZIONE PER LA QUALE TAL COSA ESISTE, PER LA QUALE LA NATURA L'HA PRODOTTA (indipendentemente da eventuali nostre successive interpretazioni) O PER LA QUALE L'UOMO L'HA CONCEPITA.
Naturalmente noi poi saremo liberissimi di affermare che "le cose in sè" non esistono, Se sono naturali, possiamo ignorarne l'esistenza e soprattutto mistificarne o non riconoscerne la funzione. Se sono nostre concezioni, a maggior ragione potremo dar loro significato e funzione tutt'altro che univoche, falsificando quindi l'essenzialità di un loro significato "in sè". Saluti.
Salve Iano. Per cercare di capire cosa sia "la cosa in sè" secondo me potresti limitarti a confrontare il significato della Enciclopedia Treccani, che riporto qui sotto :
In partic., nel linguaggio filos. la locuz. "in sé" indica la realtà nella sua propria e vera natura, indipendentemente dai suoi attributi accidentali o da un modo soggettivo di considerarla.(diz.Treccani)
con ciò che ho appena scritto nel mio intervento di poco qui precedente :
Infatti l'"in sè" della sedia (e di tutto il resto) consiste nelle, sue caratteristiche ESSENZIALI, cioè COMPLETAMENTE ED UNICAMENTE SPECIFICHE.
Quindi "la sedia in sè" non può consistere nel materiale in cui è fatta (oggetti di legno, plastica, metallo, vetro...sai quanti ce ne sono), negli accessori di cui è dotata, (imbottiture, feltrini etc:), nelle sue parti (braccioli, schienali, ripiani, gambe le hanno anche le poltrone), neppure nella sua forma (nei musei sono esposte anche opere in forma di sedia)............
LA SEDIA IN SE' (ED OGNI ALTRA COSA E CONCETTO IN SE') E' INDIVIDUABILE E DEFINIBILE ATTRAVERSO LA FUNZIONE PER LA QUALE TAL COSA ESISTE, PER LA QUALE LA NATURA L'HA PRODOTTA (indipendentemente da eventuali nostre successive interpretazioni) O PER LA QUALE L'UOMO L'HA CONCEPITA.
Beh!...Non c'è solo la funzione, c'è anche la 'forma'. Infatti la sedia, l'uomo e il cane hanno anche forma diversa. Quindi definiamo una sedia come "sedia" anche perché oltre alla funzione diversa...che so...dal tavolo (sedersi o mangiarci sopra), ne ha pure una forma differente. Lo stesso vale per l'uomo, che definiamo come "uomo", anche perché ha una forma diversa dal cane o dalla sedia (Vabbè, non sempre, ci sono certe facce in giro :o ...ma non stiamo a sottilizzare!).
@Viator
Direi allora che la mia incomprensione deriva dal fatto che ho inteso sedia come esempio di oggetto , al di la' della sua funzione specifica .
Da quello che scrive Sariputra sospetto che la questione risieda nell'evemtuale inefficacia del riduzionismo Newtoniano,cioè , ridotta la sedia nelle sue parti ( analisi ) , ricostruiamo la sedia ( sintesi) , toccando così con mano la possibile causa che l'ha generata.
Se questa è una metafora posso provare a capire.
Ma stiamo parlando proprio di una sedia che non sta per esempio di generico oggetto , ma proprio di una sedia.
Non mi è palese l'obbiettivo cui vuoi giungere.
Come dice Sariputra tutto può prestarsi ad essere sedia tal quale è, in base alla forma che si ritrova , indipendentemente dalla causa che l'ha generata.
E dunque ?
Su certe sedie improvvisate non tutti potrebbero convergere sulla sua natura , perché siamo noi ad attribuirgli una natura.
La natura delle cose per me è solo la natura supposta come causa della mia percezione , e rimane tale anche se la percezione fosse una dolorosa riduzione in parti della sedia sulla mia schiena , per rispondere a Sariputra😅.
Io non ho alcuna certezza dell'esistenza di alcun oggetto , compresa la sedia e compresi possibili attributi.
Ma ritengo altamente conveniente (far finta di ) credere di avere questa certezza.
Il riduzionismo , in questo quadro ipotetico , sempre sospeso , acquista carattere di potente strumento il cui uso nulla può ostacolare , neanche la conclusione che noi , o la sedia , siamo fatti di parti dalla cui natura in se',non si possa risalire alla nostra natura o a quella della sedia.
Uno strumento è solo uno strumento , e travisarne la funzione non ne agevola l'uso.
Ma non so' ho azzeccato l'argomento è ringrazio Viator per la pazienza e disponibilità.
In questi ultimi interventi oserei usare il famoso slogan: "Sariputra at his best". Sul topic del discorso invece mi permetto di dissentire. L'uomo non è una cosa come la sedia e neppure come il cane. Infatti a nessuna sedia è mai passato per la testa di definirsi tavolo, mentre a qualche persona, purtroppo non completamente sana, questo desiderio potrebbe essersi insinuato. Quindi se ci poniamo nella mente dell'uomo-sedia, cosa è davvero l'in-sè? Se lo rappresentiamo solo come uomo neghiamo quello che sta cercando di dirci in quanto sedia, se lo consideriamo sedia, colludiamo con il suo delirio e non sempre questo è di aiuto ( direi mai, ma anche questo è un lungo discorso).
L'in-sè allora lo possiamo concepire come il tentativo di tutelare e preservare il diritto all'esistenza dell'essere, indipendentemente dalla sua funzione strumentale, che è stata la prima spaventosa interpretazione di Viator.
Per capire la questione a fondo consiglio comunque di leggere o rileggere "uno, nessuno, centomila".
L'in-sè degli oggetti pur interessante, rimanda sempre, a mio parere alla questione fondamentale: all'insè dell'uomo. È solo un addentellato mistico ad un problema reale (chi sono io?).
Credo (correggetemi se sbaglio) che stando alla teoria degli "in sé", dovrebbero esserci un granellino-in-sé, sopra una sedia-in-sé, appoggiata su un pavimento-in-sé e composta da uno schienale-in-sé, gambe-in-sé, feltrini-in-sé, etc. a dimostrazione di come l'"in sé" sia un
trompe l'oeil concettuale, l'irraggiungibile "terra promessa" del
flaneur metafisico che non si accorge che l'identificazione (A=A) è un'attività mentale che divide arbitrariamente la realtà a seconda della "messa a fuoco", consentita dai sensi o dagli strumenti dell'uomo (lo stesso "in sè" di me, ovvero il mio "io-in-sé" potrebbe essere scisso atomicamente in qualia, pensieri, etc. o essere considerato mereologicamente nel suo insieme, "persona").
Una certa prospettiva (innominabile) insegna che l'"in-sé" è solo il "per-me"
congetturalmente distillato dalle elaborazioni/mediazioni del soggetto, quindi l'"in-sé" è un nulla, perché tolta la concettualizzazione attuata dal "per-me", l'"in-sé" non sussiste "per-sé" (ovvero i concetti non esistono se non c'è qualcuno che li pensa, non me ne voglia Platone, e la realtà fuori dai concetti non è fatta di divisioni concettuali, essendo reale e non, appunto, concettuale).
P.s.
Per una
lectio magistralis sulla "sedialità", potete andare al minuto 2:37 di
questo video.
La vecchia e rispettabile filosofia dalla quale non si potrebbe prescindere , se non per ignoranza , come nel mio caso , è legata a doppio filo alla percezione .
Io parto dall'assunto , non dimostrabile , che tutto ciò che si può fare coscientemente lo si può fare anche incoscientemente , seppure con diverse modalità.
Assumo ciò perché mi pare aiuti a capire molte cose.
La scienza è nata da un incremento evoluzionistico dell'uso della coscienza.
È un modo "diverso" di percepire , ma non sostanzialmente diverso.
Essa ha allentato il legame fra percezione è filosofia.
Se la filosofia esiste ancora , e per me necessariamente esiste , bisogna prendere atto di ciò.
Si possono riannodare , e si devono riannodare i fili , e in fondo tutto sembra diventare più semplice.
Qui spesso si parla di valori, e ci si rammarica del loro ridimensionamento.
I valori , anche essi ci saranno sempre necessariamente , ma vanno ridefiniti.
Là semplicità, per quanto possa sembrare un parente povero come valore , è uno di questi.
Non è quello che si mette come primo in classifica.
Ma chi può negare che lo sia.
Sta seduto al banco di dietro , perché non ama esporsi.
Ma alla fine viene sempre promosso passando da un epoca filosofica all'altra.
La scienza ci suggerisce come semplificare il nostro quadro filosofico , o meglio ci suggerisce di adeguarlo , semplificandolo , ciò che ad alcuni appare come la fine della filosofia , ma non è.
I discorsi filosofici complicati hanno la loro ragione solo se alla fine approdano alla semplicità , perché quello è un valore irrinunciabile , per quanto banale , se volete.
Gli scienziati lo chiamano rasoio di Occam.
Non c'e' nessuna ragione per assumerlo , se non che' funziona.
Funziona ed è semplice assumere che esista una realtà, sebbene indimostrabile , e io l'assumo.
Questa è la realtà in se' , che si può declinare nella realtà della sedia del cane e dell'uomo.
Ma se anche conoscessimo la realtà della sedia del cane e dell'uomo , in se' , da queste non potremmo indurre la natura dell'intera realtà in se'.
Non occorre conoscere la realtà in se' , se c'è.
Piacerebbe anche a me , ma temo che la cosa sia priva di senso.
La realtà in se' è solo una ipotesi di realtà fatta in modo inconscio, a livello di percezione .
Ciò ha fatto si che ci siamo trascinati fino ai nostri giorni una ingenua certezza della realtà, che non potrebbe essere messa in dubbio se per dimostrartela ti rompono una sedia sul groppone 😅 , ma non è così.
O meglio , non importa se è così.
Non serve saperlo.
Questo ci dice la scienza , la nostra nuova presa di coscienza.
Questa consapevolezza è anche una presa di coscienza dei nostri strumenti per quel che validino , e non valgono poco , se vengono usati per quel che sono senza concedersi lussuosi intoppi metafisici.
Se io imparo un mestiere del falegname, non devo inventare gli strumenti del lavoro .
Ci sono già. Fanno parte di una "realtà " assodata.
Una realtà che diventa ingenua , non assodata ,quando prendo coscienza del fatto che posso costruire nuovi strumenti , e che non esiste un mestiere del falegname in se'.
Questa sarebbe una risorsa ,non un problema , a meno che io non mi sia identificato con l'essere realmente un falegname.
Ho necessità di un io , ma devo essere pronto ad abbandonarlo all'occorrenza per un nuovo io.
È l'eterno gioco fra conservazione , affermazione , e progresso , ridefinizione.
Tutto si riduce a un gioco, ma un nel gioco.
Un gioco che potrebbe essere anche più serio di quanto occorre che sia , ma che non ci è dato sapere , ma solo credere.
Così è se vi pare , uno nessuno e centomila , come da buon siciliano vi posso garantire😅
Naturalmente tutto funziona se i romanzi "nichilistici" sulla realtà li si legge fino in fondo , e non li si abbandona a metà ' .
È mi pare che tutti amino leggere la realtà fino in fondo , anche se alla fine non si trova la risposta che tutti in fondo in fondo sapevano che non avrebbero trovato.
L'
in sè presuppone una proprietà intrinseca delle cose che dovrebbe essere tale a prescindere da ogni intervento esterno e in ogni contesto. Severino aggira l'ostacolo dicendo che il divenire non esiste per cui la
sedia in sè severiniana, al pari del personaggio più eccellente della fiction filosofica, è sempre esistita e sempre sarà.
Ma è un artifizio (per restare sul neutro) che trae ispirazione dal primo della serie, il mondo platonico delle idee, che eternizza triangoli e rette parallele, i quali, anche ad andarle a cercare con la lampada di Diogene, per tutto il tempo che l'universo ancora ci concede, non li si troverebbe punto.
Il peccato originale dell'
idealismo, che ne costituisce pure la sua invisibile faccia
nichilistica della luna, è avere invertito l'episteme con i ta onta, l'epistemologia con l'ontologia, al punto di subordinare la sua bestia nera: la
realtà, al principio metafisico invertito, come vuole fare
Sauron coi suoi anelli.
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2020, 21:31:27 PM
Salve. Finalmente, a furia di sentir parlare della "cosa in sè" senza comprendere il senso di tale espressione.............sento, intuisco, vagheggio e spudoratamente mi sento di rivelare cosa essa possa essere secondo me.
Prendiamo una sedia. Essa è (anche) un oggetto materiale, un manufatto, talvolta potrebbe persino essere un'opera d'arte.....ma non sembra che in tali definizioni e specificazioni sia racchiuso il significato di "una sedia in sè".
Esistono le cause (le quali secondo me rappresentano il 50% dell'essere, cioè di ciò che permette alle "cose" di esistere, ma questo lo lasciamo perdere).......poi esistono gli effetti (sempre secondo me, l'altro 50% dell'essere......................).
Ma, dato l'essere delle cose" definito come qui sopra........................le "cose" (in sè)..................dove sono e cosa sono ?.
Io penso che, dal momento che esiste una causa (potenziale od attuale) dell'esistenza della sedia (il bisogno di sedersi) e che ne esiste necessariamente l'effetto (potenziale od attuale) - (il poggiarvi il sedere)...................la sedia in sè non possa che essere ciò che si frappone tra la causa e l'effetto, CIOE' LO STRUMENTO (*) CHE, GENERATO DA UNA CAUSA, PERMETTE DI DARE AD ESSA UN EFFETTO.
Quindi qualsiasi "cosa in sè", secondo il mio ardito e balzano punto di vista non sarebbe altro che uno STRUMENTO secondo la definizione sopra datane.
A questo punto vorrei solo pregare - nel caso questa mia abbia una qualche replica da parte vostra - di astenervi dal citare pareri, giudizi, trattazioni, riflessioni facenti parte della storia della filosofia e del "noumeno", limitandovi a criticarmi (personalmente o filosoficamente) od a sottopormi DEFINIZIONI alternative alla mia. Ringrazio e saluto.
(*) OVVIAMENTE LO STRUMENTO PUO' ESSERE SIA MATERIALE CHE IMMATERIALE !!
ciao Viator
La sedia non è un oggetto naturale, è un artefizio umano costruito, ideato, per poter dare riposo ,comodità alle proprie terga.
La causa dell'ideazione e creazione è la necessità di un riposo comodità che ne diventa anche effetto della causa.
Lo strumento artificiale nasce , quindi è causa, di una necessità umana che diventa, nel caso della sedia, anche effetto.
Ora quell' in-sè, è la ragione per cui la sedia è.
salutoni
Se l'esistenza della sedia dipendesse esclusivamente dalla sua relazione col soggetto che la definisce come "sedia" non troveremmo uomini, cani o sedie, ma solo definizioni soggettive. Ma questo evidentemente non è. Infatti, indipendentemente dal fatto che io definisca "uomo" un cane, il cane permane nella sua forma, esistente indipendentemente dal mio giudizio soggettivo. Se io infatti, come controprova, chiamo "cane" un uomo, ricevo magari un pugno in faccia e non un morso nel polpaccio. Così, dolorosamente, constato che un "uomo" non è un "cane", indipendentemente dal giudizio soggettivo. Infatti una caratteristica dell'"umanità" è quella, tra le altre cose, di sferrare pugni, mentre quella della "caninità" è di mordicchiare polpacci e glutei. Si potrebbe allora dire che il mordicchiare è un "in sè" -> relativo alla "caninità"? No, perché anche l'uomo morde, per esempio le donne i lobi delle tue orecchie mentre stanno...ehm!...Epperò nessuna donna (salve le consuete eccezioni che non fanno la regola...) si mette a mordere le tue caviglie ringhiando, in quei momenti... :'(
(tralascio volutamente di menzionare le suocere al riguardo...non che ci vada a letto, ovviamente...è che...no, lasciamo perdere!).
Se venti persone guardano il sole e diciannove dicono che è giallo e uno invece dice che è verde, chi ha ragione? hanno ragione le diciannove che dicono giallo e non quella che dice verde perché daltonica. La "giallità" del sole è quindi un "assoluto". E' però un assoluto --> relativo alla retina degli osservatori. Ogni cosa si può definire come "assoluta" o "relativa", ma il sole esiste indipendentemente dal fatto che sia visto come "giallo" oppure "verde".
Infatti, sia che tu lo definisca come giallo oppure verde, ti scotti! Una caratteristica dalla "solità" è infatti quella di scaldare la pelle e le membra...Ogni cosa infatti esiste e non esiste contemporaneamente. La sedia giù sul groppone esiste evidentemente, ma nello stesso tempo non troviamo nessuna "sedia" al netto delle parti che ne danno forma. Infatti, quand'è sfasciata...dove è andato l'"in sè" della sedia? La sedia ha perduto il suo "in sè"...ora c'è l'"in sè" dei resti, dei pezzi di legno,ecc.
Ecco quindi la formula: A è A perché è anche non-A. La "sedia" è "in sè" una sedia proprio perchè è "anche non-sedia" (un aggregato di infiniti non-sedia. Epperò è anche esistente come sedia, visti i lividi e gli ematomi sulla schiena).
Il fatto di essere "anche" non-sedia permette infatti il divenire della sedia. Come permette il divenire dell'uomo e del cane. Infatti se fosse solo "in sè" non potrebbe divenire. Sarebbe "sedia" cristallizzata, in eterno...
Tutto questo però è "il gioco sullo schermo". "Chi" sta guardando il film? Infatti c'è sempre l'osservatore dell'"in sè" della sedia, dell'uomo e del cane...
Mi sembra di concordare con @iano, in questo... ::)
Citazione di: green demetr il 12 Febbraio 2020, 00:28:08 AM
in fin dei conti la cara vecchia idea di causalità, oggi così snobbata, rientra e rientrerò sempre dalla finestra ampia della filosofia, ossia dal suo vero scopo.
poichè le cause aiuatano grandemente ad ottenere una conoscenza, e dunque una finalità indirizzante. che poi si chiamerà infine scienza.
Certo, ma quantomeno facciamo tesoro della contestualizzazione causale posta da Aristotele che, almeno a livello filosofico, arricchisce il concetto oltre la semplificazione della causa efficiente, che funziona bene nella scienza ma non risolve l'ambiguità del "perchè" (causale, finale, perchè è così,...)
Se oggi pure la scienza non si fida ciecamente della causa efficiente non è per snobbismo, ma perchè è scienza: Se una casa crolla in seguito ad un terremoto, la causa è il terremoto o il progettista della casa ? Ma non basta: Se il progettista è bravo e tara la casa per il rischio sismico calcolato e arriva un terremoto di magnitudo mai esperita facendo crollare la casa, qual'è la causa ?
Basta uscire dalle formule metafisiche onnicomprensive per cogliere tutta la complessità della causalità reale. E con quelle scientifiche non va meglio: per quanto si rispetti il principio di Archimede e tutta la scienza susseguente, le navi affondano lo stesso e allora qual'è la causa ?
Citazionela questione formale degli universali ricordiamoci è sempre legata all'idea del deus ex machina, che infesta da sempre la filosofia.
Infatti la loro utilità è in altri ambiti: logici, matematici, linguistici. La filosofia si occupi d'altro dove ha ancora molto da dire e da fare.
Citazione(non ho mai capito perchè abbia ancora così successo questa idea del "in sè delle cose". Ma chi se ne frega, andiamo avanti per carità! ;D ;)
Concordo totalmente. Ma prima seppelliamo il cadavere. Anzi, meglio la cremazione. Più sicura.
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2020, 14:59:59 PM
La "sedia" è "in sè" una sedia proprio perchè è "anche non-sedia" (un aggregato di infiniti non-sedia. Epperò è anche esistente come sedia, visti i lividi e gli ematomi sulla schiena).
Il fatto di essere "anche" non-sedia permette infatti il divenire della sedia. Come permette il divenire dell'uomo e del cane. Infatti se fosse solo "in sè" non potrebbe divenire. Sarebbe "sedia" cristallizzata, in eterno...
Tutto questo però è "il gioco sullo schermo". "Chi" sta guardando il film? Infatti c'è sempre l'osservatore dell'"in sè" della sedia, dell'uomo e del cane...
Alludevo esattamente a questo: «l'osservatore è misura di tutte le cose», nel senso che le concettualizza; il che non significa che tali concetti non abbiano una qualche corrispondenza reale e un qualche fisicità, ma solo che tale corrispondenza trova definizione e "senso" per l'osservatore, che concettualizza l'"in sé" dell'oggetto secondo i suoi mezzi, quindi sempre come un "per lui". D'altronde, posso rompere la sedia sulla schiena di qualcuno anche senza averla concettualizzata come sedia, mi basta sia un aggregato di materia
a misura d'uomo.
Ad esempio, se vado oltre i miei nudi limiti percettivi, alcuni strumenti mi spiegano che esistono anche i virus, e sulla loro schiena non ho sedie abbastanza piccole da rompere; inoltre, verosimilmente, quello che io chiamo «sedia» per quel virus è invece un "pianeta". Parimenti, per riconoscere che il sole (o meglio, quell'aggregato circoscritto secondo i sensi umani che così viene chiamato) è giallo, devo fare un discorso
fra umani, tutti dotati del concetto di "giallo", tuttavia posso anche ricordarmi (come suggerisci) che il giallo-in-sé sia solo questione di capacità elaborative del sistema percettivo umano, tanto quanto l'identificazione del sole è basata su criteri umani, così come lo scottarsi è basato su differenza termica rispetto al corpo
umano, etc.
Ovviamente, essendo umani ragioniamo da umani, ma con un piccolo sforzo di "proiezione" possiamo essere consapevoli di quanto l'antropocentrismo, prospettico e percettivo, sia vincolante nella nostra concettualizzazione del reale, che ci sembra "a misura d'uomo" solo perché quello siamo (quindi, secondo me, postulare un'"oggetto in sé" che sia meta-umano, è un vecchio vezzo filosofico, mentre la scienza sta già affondando da tempo le "
umane mani" nel reale senza farsi però troppe... congetture meta-umane).
Credo che la scienza non faccia proprio molte congetture sul "senso" delle cose. E quando le fa sono...diciamo mediocri?
Questo perché il "tipo" scienziato , sin da piccolo, non ha alcun interesse per la riflessione sul senso delle cose. E' affascinato da "come" le cose funzionano. Questo è ovviamente un limite del tipo scienziato. Infatti, fin da imberbi, si distinguono i due tipi: c'è il piccolo scienziato che, quando gioca, ti smonta il carro armato indifferente alle tue proteste, e c'è il piccolo filosofo che si domanda che डिक di senso ha giocare con il piccolo scienziato, se è noiosissimo, non gli importa un fico secco del gioco, e ti smonta tutti i tuoi giocattoli per vedere come funzionano.
Credo che tutti noi abbiamo giocato qualche volta con tipi così...E' uno strazio! Veramente...
Per questo gli scienziati, in generale, ma ci sono anche eccezioni, credo non dedichino più di qualche minuto alla riflessione sul senso delle cose. Sono appassionati a quello che stanno facendo. Giustamente, dal loro punto di vista...per carità! Se non ci fossero, non ci metteremmo le mascherine, giusto? E, anche se le mascherine non hanno un "in sè", sono pur sempre utili per non morire subito ma più in là, dicono...
Per questo la scienza affonda le mani nell'"umano reale", senza porsi nemmeno la domanda su "cos'è il reale" e che significato abbia "per me" (non per il tipo scienziato. Lui il 'significato' se l'è già trovato: smontare per vedere come funziona! Oppure montare qualcosa per smontare dell'altro. In fondo cosa si regala al piccolo scienziato? I Lego ovviamente...). :-\
Salve Iano. Riallacciandomi al tuo intervento nr.36 :"Come dice Sariputra tutto può prestarsi ad essere sedia tal quale è, in base alla forma che si ritrova , indipendentemente dalla causa che l'ha generata.
E dunque ?".
Purtroppo la forma è insufficiente e pure del tutto fuorviante nel poter riconoscere una "cosa in sè". Un blocco di cioccolato sagomato a mo' di sedia non credo potrebbe svolgere la propria FUNZIONE. Saluti.
Possiamo dire che l'"in sè" della sedia è l' insieme di tutte le sue caratteristiche. In assenza di una delle quali viene a mancare l'"in sè" della sedia. In un oggetto, qual'è una sedia, la caratteristica più importante è la sua funzione, ma non manca , in certi casi, anche l'importanza del suo significato simbolico (il trono..). Poi anche la forma, che è in dipendenza dalla funzione. Infatti, se nella seduta mettiamo dei pungoli, la funzione della sedia in sè viene a mancare per sedersi. Potrebbe però diventare un insolito oggetto d'arredamento artistico, in ambienti frequentati da persone "fuori di sè". Per un fachiro la presenza dei pungoli potrebbe essere la caratteristica più importante della sedia...
Le cose cambiano se però consideriamo l'"in sè" di un essere vivente. Qui i contorni si fanno più complessi. La definizione delle caratteristiche più problematica. Qual'è la "funzione in sè" di un essere umano? A cosa serve? Si può considerare come un semplice oggetto? Come una sedia?...
Ciao Sariputra.
Se 19 dicono che il sole è giallo e uno dice che è verde , nessuno di loro ha ragione , ma la maggioranza di loro concordano su qualcosa , e questo ha delle conseguenze nella misura in cui l'agire umano dipende dalla socialita'.
Non è che quello vede verde è difettoso , perché egli sta esprimendo la sua soggettività, al pari degli altri.
Il mistero è come facciano i 19 a sincronizzare la loro soggettività, senza accordarsi prima.
Una spiegazione è che il sole in se' è giallo, e che uno su venti fa' difetto , ma che il sole è giallo in se'non significa nulla perché nessuno sa' cos'è il giallo ,in quanto ci limitiamo a percepirlo .
Per capire come ciò possa avvenire (perché noi non sappiamo come avviene) si può assumere che la scienza sia un parallelo della percezione.
Nella scienza sappiamo come ci sincronizziamo dopo travagliato percorso , e le teorie su cui convergiamo non hanno un valore in se' , ma lo derivano dal consenso ricevuto.
Il giallo è quel consenso nel linguaggio della percezione .
Consenso che non richiede unanimità assoluto.
C'è sempre quello che la vede " verde".
Constatiamo là possibili di larghe convergenze , le quali consentono un governo per l'umanita' , la quale anzi perciò può chiamarsi tale.
Se cani e sedie potessero ugualmente convergere , li includeremmo in tale umanità, allargando opportunamente la tolleranza formale in ingresso.
La convergenza può essere raggiunta perché col dialogo le posizioni di partenza possono essere addomesticate e mutare , convergendo eventualmente , e alla fine tutti o quasi , vedono giallo.
Noi sappiamo , dal punto di vista percettivo , che con opportuno esercizio , possiamo modificare le nostre percezioni.
L'ipotesi del parallelo sembra funzionare, o no?🙏
Il dizionario dice che la ragione è:
Il fondamento oggettivo e intelligibile di qualche cosa, ciò per cui una cosa è o per cui una cosa si fa; e quindi causa, motivo legittimo, che spiega o giustifica un fatto.
Se diciannove persone dicono che il sole appare giallo, e una soltanto verde, ciò definisce un'oggettività. Infatti per uscire dall'oggettività del sole che appare come giallo dobbiamo ipotizzare un osservatore esterno (per una mosca il sole può apparire diverso, per esempio..). Allo stesso modo dobbiamo considerare qualunque affermazione che si ritiene come oggettiva.Infatti ho scritto che appare oggettivamente giallo relativamente alla retina. Non significa che è giusto o sbagliato, ma una retina umana ritenuta oggettivamente sana vede oggettivamente il sole giallo. Questo stabilisce un "assoluto":tutte le retine umane ritenute oggettivamente sane vedono il sole giallo. Paul Tillich lo spiega meglio di me ne: "La mia ricerca degli assoluti" prendendo ad esempio il colore 'rosso'. Non è che vederlo giallo è 'migliore' di vederlo verde. Soltanto significa che quello che lo vede verde va dall'oculista, mentre i diciannove che lo vedono giallo no...E non è una cosa di poco conto, se ci pensiamo. Infatti, su queste basi, nasce spesso l'intolleranza, la sofferenza data dal sentirsi diversi, ecc.
E' vero che "quello che vede il sole verde esprime la sua soggettività" ma avrà difficoltà con la patente dell'auto, a scuola, ecc.; perché il 'mondo' è fatto da persone che vedono oggettivamente il sole giallo e ritengono che lo sia...
un saluto :)
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2020, 18:29:05 PM
Possiamo dire che l'"in sè" della sedia è l' insieme di tutte le sue caratteristiche. In assenza di una delle quali viene a mancare l'"in sè" della sedia. In un oggetto, qual'è una sedia, la caratteristica più importante è la sua funzione, ma non manca , in certi casi, anche l'importanza del suo significato simbolico (il trono..). Poi anche la forma, che è in dipendenza dalla funzione. Infatti, se nella seduta mettiamo dei pungoli, la funzione della sedia in sè viene a mancare per sedersi. Potrebbe però diventare un insolito oggetto d'arredamento artistico, in ambienti frequentati da persone "fuori di sè". Per un fachiro la presenza dei pungoli potrebbe essere la caratteristica più importante della sedia...
Le cose cambiano se però consideriamo l'"in sè" di un essere vivente. Qui i contorni si fanno più complessi. La definizione delle caratteristiche più problematica. Qual'è la "funzione in sè" di un essere umano? A cosa serve? Si può considerare come un semplice oggetto? Come una sedia?...
Ti sei già risposto da solo pensando all'essere umano (per il quale già il concetto di persona
in sè è assai critico: vedi ivg).
Ma funziona lo stesso ragionamento anche con la sedia. Una sedia di plastica è
in sè uguale ad una sedia di legno (A=A) ? Un oggetto è riducibile alla sua funzionalità o dobbiamo considerare anche sostanza, forma, colore, dimensione ? La funzionalità è data così inequivocabilmente ? (ottimo l'esempio di Phil, ma pure altri se ne potrebbero fare)
Metafisicamente il principio d'identità non lascia vie d'uscita: A=A senza resto alcuno, senza sconti. Al contrario, l'ontologia realista non ha bisogno del feticcio noumenico per esperire il mondo, le basta il dizionario e di sconti ne fa parecchi, ma è sufficientemente rigorosa da distinguere una sedia da un tavolo e una sedia di legno da una di plastica o di ferro.
La grande sfiga dei noumenopatici è la ricerca fondamentale che ha sfondato il muro atomico e quello tra materia ed energia, consegnando l'
in sè e per sè al museo della filosofia.
.
@Sariputra.
Sull'origine dell'intolleranza hai fatto centro.
Anche se i requisiti formali ( colore della pelle etc...) sembrano la causa di ammissione o esclusione , in effetti conta il contenuto .
Se vedi verde invece di giallo non ti ammettono alla guida , ma vedere verde non è un difetto in se' , ma solo la patente di appartenga ad una minoranza.
Vedere giallo , allo stesso modo non è un pregio in se' , se non nella misura che certifica la tua appartenenza a una maggioranza.
Ma se la verità ha un valore in se' essa non può dipendere da un referendum.
Chi vede verde è diverso , ma non sbagliato.
Se la soggettività imperasse , allora la statistica direbbe che ognuno vede a modo suo e ognuno vede un colore diverso.
Il fatto che vi sia ampia convergenza ci dice che la soggettività non è l'attore principale in commedia.
Tutti vorremmo entrare a far parte del partito dell'in se'.
Ma questo partito non esiste in verità.
Il giallo non è il colore del sole ,ma il colore di un ampia convergenza percettiva , che non nasce bella e fatta , ma si costruisce nel tempo e nel tempo può mutare.
Questo non è facile da vedere nei tempi evolutivi che portano ad una convergenza percettiva , ma nel campo della scienza si , e se il parallelo fra percezione e scienza funziona come a me pare, allora il giallo è telefonato e l'assassino si sa' gia' dalla prima pagina.
Nella scienza i tempi si restringono , ma lo scotto da pagare è una maggiore difficoltà nel ricostruire un senso comune stabile , quel senso per cui tutti vediamo come se avessimo una sola retina che non è ne' sana ne' ammalorata , ma unica.
Questi sono i pro e i contro dell'uso della coscienza .
Qualcosa guadagniamo e qualcosa perdiamo.
Ma il mio nichilismo è positivo perché invita a focalizzarsi sul guadagno e non sulla perdita.
Le equazioni della scienza sono belle come sono belli i colori , ma entrambi non hanno nulla a che fare con la realtà in se' , per il fatto che ne sono solo parte.
Citazione di: viator il 12 Febbraio 2020, 17:39:18 PM
Salve Iano. Riallacciandomi al tuo intervento nr.36 :"Come dice Sariputra tutto può prestarsi ad essere sedia tal quale è, in base alla forma che si ritrova , indipendentemente dalla causa che l'ha generata.
E dunque ?".
Purtroppo la forma è insufficiente e pure del tutto fuorviante nel poter riconoscere una "cosa in sè". Un blocco di cioccolato sagomato a mo' di sedia non credo potrebbe svolgere la propria FUNZIONE. Saluti.
La parola magica per me è funzione .
Se mi dovessi inventare una corrente filosofica la chiamerei funzionalismo ( che magari c'è gia' e io non lo so').
Riconoscere che percezione e scienza abbiano la stessa funzione non sembra difficile , senza bisogno di conoscere lo scopo di questa funzione.
La percezione ci permette di sederci .
Con la scienza costruiamo sedie , dopo aver preso coscienza del "sedersi".
Perché ci si può sedere anche senza sapere di farlo.
Ma se lo sai è diverso.
Forse meglio , forse peggio.
Il mondo sembra essere cambiato.
Chi si siede più sui sassi? Mi auguro solo che la rivoluzione filosofica non consista nel considerare la sedia al posto del più classico tavolo.
Solo una battuta scherzosa , scappata dalla tastiera .
Con stima , Iano.😊
Salve iano. Tutta la mia stima a te. - Salve Sariputra ed Ipazia. Citando da Sariputra : "Qual'è la "funzione in sè" di un essere umano? A cosa serve? Si può considerare come un semplice oggetto? Come una sedia?...".
La funzione dell'essere umano (come già affermavo all'interno del topic "Dei diritti e dei doveri") è il vivere ed il riprodursi. Tutti gli altri significati umani sono facoltativi, eventuali, soggettivi, condizionali etc. etc. etc. anche se ciò incontrerà la contrarietà (ed in qualche caso il disgusto) del 93% dei lettori-utenti.
Citando invece da Ipazia : "Ma funziona lo stesso ragionamento anche con la sedia (?). Una sedia di plastica è in sè uguale ad una sedia di legno (A=A) ?". La diversità tra le due non consiste nell'essere o meno "sedie in sè", ma nel fatto che plastica e metallo sono materiali "in sè" diversi. Lo stesso accade per il fattore "forma" e per ogni altro aspetto diverso dal concetto di "funzione".
Poi : "Un oggetto è riducibile alla sua funzionalità o dobbiamo considerare anche sostanza, forma, colore, dimensione ? La funzionalità è data così inequivocabilmente ?". Secondo me sì, valendo ciò sia per gli oggetti che per i concetti che per le persone che per i viventi, e le ragioni sarebbero proprio quelle che ho appena menzionato dei due brevi paragrafi soprastanti. Circa invece "(ottimo l'esempio di Phil, ma pure altri se ne potrebbero fare)", chiedo perdono ma non riesco a ricollegarmi a quanto affermato da Phil nello specifico.
Infine : "La grande sfiga dei noumenopatici è la ricerca fondamentale che ha sfondato il muro atomico e quello tra materia ed energia, consegnando l'in sè e per sè al museo della filosofia". Sono d'accordo e per parte mia considero ovviamente certe tenzoni dialettiche come un interessante "divertissement" cui sarebbe bene si dedicassero solo anime disincantate. Saluti.
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2020, 16:53:26 PM
c'è il piccolo scienziato che, quando gioca, ti smonta il carro armato indifferente alle tue proteste, e c'è il piccolo filosofo che si domanda che डिक di senso ha giocare con il piccolo scienziato, se è noiosissimo, non gli importa un fico secco del gioco, e ti smonta tutti i tuoi giocattoli per vedere come funzionano.
[...]In fondo cosa si regala al piccolo scienziato? I Lego ovviamente...
Eppure, parlando proprio di smontare giocattoli e di costruzioni Lego, c'è una corrente filosofica chiamata decostruzionismo, che nel novecento (e dopo) ha avuto una sua risonanza, piuttosto trasversale e interdisciplinare. Anche fare il rompiscatole/rompi-giocattoli può avere talvolta una sua valenza filosofica (oltre che epistemologica).
Ci sono indubbiamente filosofi che giocano senza sentire il bisogno di curiosare dentro i propri giocattoli, che preferiscono stare al gioco senza volersi "addentrare" in tutto quello che c'è in gioco, che non violano la struttura dei balocchi perché poi potrebbero non saperli rimontare (o li scoprirebbero meno portentosi di quel che sembravano); nondimeno, anche lo "smontare per capire", profanando la sacralità del feticcio (sia esso l'Essere, il noumeno o altro), è
oggi considerato un gesto filosofico (non il solo possibile, ovviamente).
Se uso la sedia come scala per prendere le stoviglie sul ripiano più alto della cucina essa è ancora una sedia in sé (venendo meno il suo in sé funzionale di sedia e non di scala) ?
L'esempio di Phil riguarda invece la sedia come arma impropria a "misura d'uomo" (Protagora)
E' però vero pure il contrario, come in un gioco di specchi. Infatti ci sono scienziati ai quali non interessa il senso di quello che fanno, non gli interessa il gioco, ma solo lo smontare e rimontare per provare la soddisfazione della loro passione.
Comunque la mia non è una critica alla fede nella scienza, della quale anch'io uso, piuttosto una critica alla fede che la scienza ti dia un senso. E' un'altra cosa...Per questo dico che al piccolo scienziato non interessa il senso del gioco che fa. La sua motivazione è diversa da quella del piccolo filosofo.
I feticci poi ce li abbiamo un pò tutti, scienziati compresi. Infatti è difficile trovare scienziati che profanano la sacralità della scienza, non si sente mettere molto in discussione da parte loro (forse temono di scoprire che, in fondo, non ha molto senso che so... impegnarsi per costruire una bomba atomica?.. :-\ )...
@ Sariputra.
Ma naturalmente esistono scienziati credenti e scienziati filosofi.
Un esempio di scienziato filosofo a 360 gradi è Frank Wilczek di cui sto leggendo " Una bellissima domanda"
Scoprire il disegno profondo della natura.
Premio Nobel per la fisica , con estesa cultura filosofica , divulgatore eccezionale , secondo me.
Con la scusa di leggere un saggio di divulgazione scientifica , va' a finire che mi faccio una cultura filosofica vera.
In effetti ha del patologico che io , che pretendo di fare filosofia , giri poi alla larga dei testi di filosofia.
Credo che il motivo sia il seguente.
I più grandi scienziati sono anche eccellenti filosofi , mentre è molto più raro riscontrare il contrario , e tendo più ad affidarmi a maestri completi , non alienati da antipatie per l'uno o l'altro campo.
Comunque quelli che amano smontare e montare sono gli ingegneri , che poco hanno a spartire con gli scienziati.
Non tutti gli scienziati poi si sporcano le mani e le università non potrebbero andare avanti senza i tecnici di laboratorio.
Sì, sono assolutamente d'accordo. Ci sono tanti scienziati interessati anche a temi filosofici o spirituali. Mi viene in mente David Bohm e la sua teoria dell'ordine implicato ripresa da una frase famosa di Krishnamurti...
Le generalizzazioni sono sempre sbagliate (da ambo le parti...). Come i luoghi comuni...
Un esempio di scienziato filosofo è Newton.
Guardate cosa scrive?
...che un corpo possa agire a distanza su di un altro attraverso il vuoto, senza la mediazione di qualche altra cosa in virtù della quale, e per mezzo della quale, l'azione a distanza o la forza possa essere trasferita da un corpo all'altro, è per me una assurdità così grande da farmi credere che nessun uomo il quale abbia una reale consapevolezza nelle materie filosofiche possa mai farla propria.
Gia' dico io , e allora com'e' che i filosofi l'hanno fatta propria?
Sono queste dinamiche del pensiero in parallelo alle dinamiche della fisica ,che dovrebbero interessarci , più che la tensione alla verità.
Ed ecco l'illuminante commento di Frank Wilczek:
-Perché l'intensita' della forza dovrebbe dipendere esattamente da quanto "nulla" si frappone?
La stessa cosa l'ho trovata esposta in tanti modi equivalenti , ma nessuno ha l'efficacia di questa secondo me.
E il libro sopracitato è pieno di queste chicche.
Sempre secondo Frank , in una splendida sintesi , la descrizione del mondo è divisa in due parti:
-le equazioni dinamiche.
-le condizioni iniziali.
Per Newton se conosciamo le condizioni iniziali allora conosciamo il futuro è il passato.
Ma mentre la conoscenza delle equazioni è completa , problematica è la determinazione delle condizioni iniziali.
In pratica quindi la cosa funziona abbastanza se piccoli errori nelle condizioni iniziali non determinano grandi variazioni nel periodo di interesse .
Se invece le variazioni non sono piccole, anche nel breve periodo , allora la teoria del caos prova a metterci una pezza.
L'altrnativa , è lo spazio tempo , un blocco che è, ma non cambia.
Parmenide?
Lo scienziato in sè esiste tanto quanto la cosa in sè.
Se per definire gli oggetti d'uso comune con una buona definizione ontologica basta un dizionario, quando ci inoltriamo nell'immateriale delle istituzioni e nell'astratto dei concetti, il dizionario diventa enciclopedico, enciclopedia, e il massimo di oggettività/verità/definizione lo si trova nella variazione semantica della storia di quell'istituzione o concetto.
Dio, Essere, stato, giustizia, libertà, ... sono oggetti sfuggenti ad ogni de-finizione in sè e malgrado tutti i tentativi illuministici che risalgono fino al dio della Genesi (et lux fuit) e al non-dio della Buddhi passando per caverne platoniche, tremolanti lampade ciniche fino al pirotecnico illuminismo settecentesco, la cosa in sè continua, in compagnia della sua omologa orientale Maya, a negarsi ad ogni disvelamento luminoso, dissimulando nella rivelazione il suo costante ri-velarsi.
La frustrazione dello svelamento inconcludente apre le porte al mistero nel cui nulla, tutto è ammesso. Ma non nella illusionistica ragione in sè delle cose, bensì nella fede delle cose in sè. Integralisticamente nichilista o nichilisticamente integralista ? Fate voi.
Una parte cruciale del lavoro scientifico consiste nel respingere ogni residuo soggettivo per non conservarne che alcune costanti strutturali. Più in generale, le scienze della natura riposano sull'esclusione della singolarità degli eventi, della loro unicità storica, a profitto di quanto di tipico, di generale, di ripetibile a volontà possa essere estratto. Tale lineamento del metodo è tanto marcato, tanto profondamente inculcato nei futuri ricercatori, che talvolta esso si trasforma in loro in un riflesso di rigetto. Tratti di soggettività in un discorso o una pratica suscitano in molti di loro un movimento di arretramento; elementi di singolarità provocano una reazione di allontanamento; il riferimento all'esperienza ravviva un timore di illusione, di apparenza. Senza nemmeno parlare della partecipazione probabile di questo riflesso condizionato al « malessere nella nostra civiltà », bisogna sottolineare che esso lascia perdere degli interi aspetti della nostra condizione e del nostro ambito di vita.
(Michel Bitbol)
Lasciar perdere interi aspetti della nostra condizione e del nostro ambito di vita. E' questo che intendevo quando paragonavo il piccolo scienziato al bimbo che smonta ma non si interessa al gioco nel suo complesso, all'interazione esperienziale con l'altrui soggettività. Il non trascurare l'ambito "intero" della vita di persone incarnate qui e ora è allora campo d'indagine per la filosofia, la riflessione esistenziale, la spiritualità che non trascurano l'importanza di comprendere l'oggetto, ma vedono pure le necessità del soggetto 'incarnato' che cerca un senso al suo essere "gettato nel mondo e averne dolorosa coscienza"...
Salve Ipazia . Citandoti : "Se uso la sedia come scala per prendere le stoviglie sul ripiano più alto della cucina essa è ancora una sedia in sé (venendo meno il suo in sé funzionale di sedia e non di scala) ?
L'esempio di Phil riguarda invece la sedia come arma impropria a "misura d'uomo" (Protagora)".
Ripeto che la "cosa in sè" consiste nella sua funzione (originaria, cioè quale creata o concepita) ATTUALMENTE o POTENZIALMENTE FRUIBILE. Perciò la sedia, utilizzata come scala o come arma od in qualsiasi altro modo diverso da ciò per cui è stata creata dalla natura (e non è questo il caso), da Dio (non commento tale ipotesi) o dall'uomo.............resta sempre una "sedia in sè" potenzialmente ma connaturalemente tale, anche se pervertitamente-strumentalmente diversamente utilizzata dal sedervisi.
Infatti se io uso una sedia come scala non dico: "Userò quella scala", ma bensì" Userò quella sedia come scala" implicitamente affermando l'"In sè" della sedia, cioè che non è una scala. Non dirò infatti"La sedia è una scala".Lo stesso se la userò come arma: "Userò quella sedia come un 'arma" e non "La sedia è un'arma".
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2020, 09:53:07 AM
Senza nemmeno parlare della partecipazione probabile di questo riflesso condizionato al « malessere nella nostra civiltà », bisogna sottolineare che esso lascia perdere degli interi aspetti della nostra condizione e del nostro ambito di vita.[/i]
(Michel Bitbol)
Lasciar perdere interi aspetti della nostra condizione e del nostro ambito di vita. [...] Il non trascurare l'ambito "intero" della vita di persone incarnate qui e ora è allora campo d'indagine per la filosofia,
Credo che l'apparente ambiguità di tale "interezza" sia la chiave di volta dell'autocomprensione (o autosmontaggio, autodiagnosi, etc.) della filosofia: «lasciar perdere
interi aspetti della nostra condizione»(Bitbol) non equivale a «trascurare l'
ambito intero della vita di persone incarnate qui ed ora»(Sariputra). Che l'idraulico "lasci perdere" la pittura delle pareti, perché riconosce che non ha gli strumenti per occuparsene, non comporta che l'imbianchino, partendo dalle pareti, debba poi occuparsi anche di idraulica, soprattutto se può farlo solo disegnando tubi e rubinetti con mirabile
trompe l'oeil... l'acqua disegnata non è l'acqua reale (il mirabolante oggetto in sé dei filosofi, non è l'oggetto fisico, chimico, quantistico etc. degli scienziati).
Finché la filosofia non accetta che alcuni suoi "temi classici", sono stati da tempo non risolti, ma decostruiti e riformulati e analizzati da altre discipline, continueremo a
dipingere "rivoluzioni filosofiche" (ad esempio partendo dall'assioma indimostrato che il noumeno esiste); nel frattempo, il versante soggettivo viene studiato dalla neuroscienze e quello oggettivo dalla chimica, fisica, etc.
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2020, 09:53:07 AM
la riflessione esistenziale, la spiritualità che non trascurano l'importanza di comprendere l'oggetto, ma vedono pure le necessità del soggetto 'incarnato' che cerca un senso al suo essere "gettato nel mondo e averne dolorosa coscienza"...
Questo è l'ambito in cui mi pare abbia più senso la riflessione filosofica (per adesso), soprattutto quando/se riconosce che l'importanza di comprendere l'oggetto
in sé può acquisirla con "copia e incolla" dalle scienze che se occupano meglio di lei.
Mi pare che la filosofia, soprattutto quella classica, per sua "natura", sia un po' restia all'umiltà e a lasciare la presa dai suoi feticci; in questo la scienza è esempio di ragionevole cedevolezza: quando un'ipotesi viene falsificata o un paradigma non funziona più, lo si abbandona (in filosofia parliamo talvolta ancora il "metafisichese" di Platone e pur di non abbandonarlo, cerchiamo improbabili "sincretismi" con le lingue dei saperi contemporanei).
P.s.
L'oggetto in sé, filosoficamente, appartiene all'ontologia; mi sembra che qui si stia passando gradualmente alla semantica e alla semiotica (uso delle parole rispetto alle "cose").
En passant, segnalo
questo articolo che ci suggerisce come potrebbe impiegarsi una filosofia contemporanea che voglia scrollarsi di dosso la polvere, ma non la memoria, della sua stessa biblioteca.
Mah!...Non sono molto d'accordo. Infatti trovo "cedevolezza" e capacità di mettersi in discussione anche nei filosofi, nei teologi, ecc. Ce n'è moltissima, basta informarsi, appassionarsi , saper scrutare...
O riteniamo...che so...che il Buddhadhamma ;D attuale sia uguale a quello di 2.500 anni fa?
Ma non si può pretendere da questa discipline una 'dimostrazione scientifica' delle loro riflessioni, convincimenti, capacità di studiare un 'senso' all'esperienza soggettiva del vivere, ecc.
Se si 'pretende' una risposta scientifica è come pretendere dall'imbianchino che aggiusti il tubo al posto dell'idraulico...
Attenzione al pregiudizio che TUTTO deve essere scientificamente dimostrato. E SOLO scientificamente. Perché si entra , con tutti e due i piedi, dritti nel dogmatismo.
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2020, 13:39:43 PM
Ma non si può pretendere da questa discipline una 'dimostrazione scientifica' delle loro riflessioni, convincimenti, capacità di studiare un 'senso' all'esperienza soggettiva del vivere, ecc.
Se si 'pretende' una risposta scientifica è come pretendere dall'imbianchino che aggiusti il tubo al posto dell'idraulico...
Attenzione al pregiudizio che TUTTO deve essere scientificamente dimostrato. E SOLO scientificamente.
Non credo di aver avanzato quella pretesa, né aver sostenuto quel pregiudizio (piuttosto sono sostenitore del nesso filosofia-esistenzialismo-estetica).
Il mio invito è proprio affinché ognuno faccia il suo mestiere, senza confonderli: non mi aspetto dai filosofi dimostrazioni scientifiche, come non mi aspetto dagli scienziati orizzonti di senso esistenziale. Auspico solo che, così come gli scienziati abbandonano un'ipotesi perché falsificata dai fatti, parimenti i filosofi abbandonino la speculazione su un concetto quando esso non ha più senso né referente (come nel caso dell'"oggetto in sé" nel 2020). Si tratta comunque di un auspicare basato su gusti personali, non mi erigo certo a timoniere della ricerca filosofica mondiale.
P.s.
Il nesso differenziale fra «cedevolezza» e «mettersi in discussione» meriterebbe una apposita seduta di riflessioni, ma in questo topic siamo "seduti su un'altra sedia"...
Citazione di: Phil il 13 Febbraio 2020, 12:29:27 PM
Finché la filosofia non accetta che alcuni suoi "temi classici", sono stati da tempo non risolti, ma decostruiti e riformulati e analizzati da altre discipline, continueremo a dipingere "rivoluzioni filosofiche" (ad esempio partendo dall'assioma indimostrato che il noumeno esiste); nel frattempo, il versante soggettivo viene studiato dalla neuroscienze e quello oggettivo dalla chimica, fisica, etc.
....
P.s.
L'oggetto in sé, filosoficamente, appartiene all'ontologia; mi sembra che qui si stia passando gradualmente alla semantica e alla semiotica (uso delle parole rispetto alle "cose").
Che è l'unica via, seppur aporetica, rimasta aperta alla cosa in sè e alle sue rivoluzioni retoriche.
Citazione di: Phil il 13 Febbraio 2020, 13:06:49 PM
En passant, segnalo questo articolo che ci suggerisce come potrebbe impiegarsi una filosofia contemporanea che voglia scrollarsi di dosso la polvere, ma non la memoria, della sua stessa biblioteca.
L'ho prenotato in biblioteca. Dalla presentazione si comincia a sentire odore di rivoluzione filosofica: epistemologia come metafisica alla base di una semantica attuale (e actual) del mondo.
Cedevolezza , capacità di mettersi in discussione.
L'andare contro se stessi è la caratteristica dei geni e di solito quando si parla di geni ai giorni nostri si parla di scienziati.
Perché il sistema lo si modifica dall'interno.
Questo è più facile che succeda agli scienziati , quando si pongono con rigore di fronte ai fatti , se sono anche filosofi.
Ma quali fatti dovrebbero indurre i puri filosofi a simile rivoluzione?
Una rivoluzione filosofica puo' nascere da un cambio di prospettiva indotto da cosa?
Uno scienziato è genio potenziale se capace di andare contro la sua filosofia.
Un filosofo è capace solo di mettersi contro i filosofi.
Agli albori del sapere non vi era distinzione professionale tra filosofia "pura" e filosofia naturale. Il sapiente si occupava di tutto. Oggi la vastità del sapere è tale da escludere un sapiente di livello professionale onnisciente. Però credo che una buona base di conoscenze scientifiche e filosofiche sia indispensabile per capire il mondo e non subirlo. Nessun grande genio, anche in epoche in cui l'accesso al sapere era assai più difficile, ha potuto limitarsi a coltivare il suo orticello specialistico. Questo vale anche per chi occupa l'elite del sapere contemporaneo per cui, tornando alle origini, auspico il successo della figura sociale dello scienziato-filosofo e la cooperazione di specialisti diversi sulla base di una koinè filosofica condivisa, liberata dalle incrostazioni di metafisiche da museo. Il link di Phil ricalibra la metafisica intorno al discorso epistemologico, come nell'epoca classica quando tutto iniziava dalla cosmogonia; prima che il dualismo cartesiano giocasse uno scherzo da prete millenario, trasferendo l'ontologia nel mondo dei sogni.
Proverei a coniugare due spunti sulla "rivoluzione":
Citazione di: iano il 13 Febbraio 2020, 18:04:42 PM
Una rivoluzione filosofica puo' nascere da un cambio di prospettiva indotto da cosa?
Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2020, 17:10:29 PM
si comincia a sentire odore di rivoluzione filosofica: epistemologia come metafisica alla base di una semantica attuale (e actual) del mondo.
Per me l'urgenza filosofica è sempre contemporanea: nel '900 la richiesta di senso sull'altare filosofico riguardava il ruolo della tecnica, la guerra, l'economia, le religioni (al plurale), etc. adesso tale richiesta interroga
anche sulle tematiche di internet, della globalizzazione, del virtuale, etc. mentre la tecnica manda robottini su Marte e la scienza gioca con gli acceleratori di particelle, probabilmente la filosofia è "fuori tempo" se si intestardisce nel progetto, in lingua "esoterica", di (dis)spiegare l'Essere o trovare la regola aurea della Verità.
I ragazzi che alle superiori studiano un po' di chimica e fisica, inevitabilmente vedono la filosofia come onanismo astruso, «con o senza il quale tutto resta tale e quale», oppure come letterario progenitore della psicologia e della sociologia (il che non è totalmente errato). Certo, non è per loro che il ricercatore dipana saggi di filosofia (per fortuna), ma i loro commenti possono essere comunque un utile monito di "non snobbare il tablet per amore della pergamena".
Senza scomodare il concetto di «rivoluzione» filosofica, basterebbe secondo me quello di evoluzione, nel senso di "tenere il passo" con l'attualità per come appare nel "gazzettino dello
zeitgeist", senza negarsi persino qualche scommessa sul futuro.
@Ipazia.
Se la nuova scienza nasce dalla coscienza del proprio fare , la nuova filosofia dovrebbe nascere dalla coscienza del proprio pensare.
Siamo tutti " scienziati e filosofi" , ma non tutti lo sappiamo.
La propria filosofia guida il fare , anche di chi non sa' di averne una.
A me sembra che quando ci si scaldava la sera davanti al bracere tutti , momentaneamente sollevati dal fare , si concedevano una pausa di filosofia in piena naturalezza.
Non occorreva che il contadino , l'operaio , la casalinga , giustificassero certi discorsi , che lasciato l'ambito ristretto del quotidiano , si allargavano verso ogni orizzonte.
Non c'era allora pudore che impedisse ciò.
Basta va solo che si presentasse il tempo per farlo, e la cosa andava da se'.
Non sembra sia più cosa naturale.
Ma invece lo è.
Però ci siamo inibiti.
Il pensiero è quella cosa con il quale o senza il quale si rimane tali e quali.
No ovviamente .
Come dice Phil rimane un urgenza , magari per alcuni una condanna.
Ma tutti devono fare i conti coi propri pensieri.
Pensiero è diventato quasi sinonimo di problema mentre è la soluzione.
@Phil.
Bisognerebbe risdoganare la curiosità, il senso di meraviglia , come normalità.
Nn possono darsi nuovi alti campioni filosofici senza un esteso vivaio in basso.
Ciò che caratterizza i nostri tempi è ipocrisia , dissimulazione .
Nessuno nega gli alti valori , ma tutti cercano il modo di sopravvivere ad essi.
Come fossero innegabili , ma in conflitto pratico col presente.
Siccome nessuno li nega , nessuno li critica , nessuno li cambia.
Caro Jano tutto ciò che auspichi, nel desiderio collettivo, esiste già. I "festival" filosofici fanno il pienone e la filosofia professionale si sta ritagliando una nuova professionalità nel counseling dove può svolgere le altamente richieste prestazioni tuttologiche di cura dell'anima, senza i lacci e lacciuoli ideologici e sociali del prete, psicologo, economista e politicante. Prosperano i ricettari sulla felicità possibile ed è inevitabile che il rinnovamento di linguaggio e contenuti teorici debba modellarsi sull'evolversi della vita sociale.
Il che è pure dimostrazione in vivo che è sempre la struttura il sensibile a comandare e la sovrastruttura il sovrasensibile ad adeguarsi, con maggiore o minore lungimiranza, allo Spirito dei tempi, sempre più immanente, più terrestre, per cui forse bisognerebbe recuperare la inquietante intuizione goethiana dell'Erdgaist, Spirito della terra. Compito questo che solo la filosofia può consapevolmente svolgere.
Molteplici sono le resistenze perchè è il "sensibile" in gioco e gli interessi coinvolti esercitano una pressione infernale sul "sovrasensibile". Ma ce la si può, come è sempre avvenuto, fare. Almeno nel pensiero. Evoluzione, Rivoluzione, chissà !
Ma quale sarebbe poi il motivo per il quale l'uomo debba "evolversi" o "rivoluzionarsi"? Per diventare "migliore"? Rispetto a quale metro di misura? Il "progresso" ? Rispetto a cosa? Qual'è il "senso" di dover far fatica per "migliorarsi" ? Il "benessere"? E chi lo stabilisce qual'è il bene-essere? La scienza? Una statistica? Un sondaggio? Un'inchiesta? Quanto è lunga la vita? Quante volte facciamo l'amore alla settimana?Il fatto che ognuno può "godersela" come vuole? Di quante volte diminuiamo l'impronta di CO2? Qual'è il metro? Chi stabilisce l'unità di misura? E perché "andare avanti" invece che "tornare indietro" o "stare fermi"? Perché si sta meglio? Rispetto a cosa? E chi sta "meglio"? Rispetto alla "natura"? Ma chi stabilisce che alla natura interessi il bene-essere ? L'"umanità"? Il socialismo? La religione? Perché lo pensa mio cugggino? Perché così fan tutti? Perché "non lo so ma mi adeguo"? Perché ho visto, fuori in strada, tutti correre e corro anch'io? Perchè l'han detto gli intelligenti? Perché al telegiornale lo dicono? Perché è "giusto"? E chi stabilisce che è "giusto"? E perché lo stabilisce lui cos'è "giusto"? Perché è un filosofo? Un prete? Uno scienziato?Un politico? E perché loro sanno cos'è "giusto" per me e io non lo so?Perché è l'"evoluzione"? Perché è il tempo? Perché non ho tempo per pensarci da me stesso? Perché è faticoso ed è meglio che ci pensino gli altri? Perché non sono "all'altezza"? Perché "è così da sempre e non puoi farci niente"? Perché sono un dalit?...
Tante domande senza risposta...
Ma sono sicuro che arriva di certo qualcuno per darmi la sua... ::)
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2020, 14:43:50 PM
L'in sè presuppone una proprietà intrinseca delle cose che dovrebbe essere tale a prescindere da ogni intervento esterno e in ogni contesto. Severino aggira l'ostacolo dicendo che il divenire non esiste per cui la sedia in sè severiniana, al pari del personaggio più eccellente della fiction filosofica, è sempre esistita e sempre sarà.
Ma è un artifizio (per restare sul neutro) che trae ispirazione dal primo della serie, il mondo platonico delle idee, che eternizza triangoli e rette parallele, i quali, anche ad andarle a cercare con la lampada di Diogene, per tutto il tempo che l'universo ancora ci concede, non li si troverebbe punto.
Il peccato originale dell'idealismo, che ne costituisce pure la sua invisibile faccia nichilistica della luna, è avere invertito l'episteme con i ta onta, l'epistemologia con l'ontologia, al punto di subordinare la sua bestia nera: la realtà, al principio metafisico invertito, come vuole fare Sauron coi suoi anelli.
Si ma gli enti si danno solo in quanto situati all'interno della categoria dell'esistenza.
Se dico ente è automatico dire essere.
Come sappiamo noi siamo qualcosa che si dice uomo, ma il senso dell'esserci, non è minimamente assimilabile al concetto di forma-sostanza.
Attingiamo a qualcosa di duro a qualcosa su cui rimbalziamo ogni volta che ci sforziamo psicologicamente, o ogni volta che una malattia ci prostra.
E' su questo impenetrabilità della natura che deriviamo l'intero asse ente-essere.
Come se l'ente fosse un niente, e l'essere (la morte) fosse l'unica verità.
E' di fronte alla morte che deriva l'idealismo che si interroga sulla destinalità del soggetto.
L'unico ente che conta come dice Phil siamo noi.
Le idee di Mondo-Anima-Dio sono derivate, mediate direbbe heidegger, da noi stessi.
E noi siamo niente senza ammettere che un Essere esista.
Insomma Ipazia l'iperuranio è solo una banalizzazione manualitstica, che non rende minimante conto del vero problema sotteso.
Te lo dico, perchè ultimamente lo ripeti spesso.
Concordo sul fatto che la filosofia stessa si dimentichi di se stessa molto spesso, e quindi possiamo liquidare le questioni falsamente poste, o mal poste, come versioni dell'iperuranio.
Concordo che siamo in tempi dove forse è meglio concentrarci sulle prassi.
Ma la filosofia non è solo finalismo, è anche fondazione a partire dal nostro terrore come umani.
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2020, 10:06:04 AM
Ma quale sarebbe poi il motivo per il quale l'uomo debba "evolversi" o "rivoluzionarsi"? Per diventare "migliore"? Rispetto a quale metro di misura? Il "progresso" ? Rispetto a cosa? Qual'è il "senso" di dover far fatica per "migliorarsi" ? Il "benessere"? E chi lo stabilisce qual'è il bene-essere? La scienza? Una statistica? Un sondaggio? Un'inchiesta? Quanto è lunga la vita? Quante volte facciamo l'amore alla settimana?Il fatto che ognuno può "godersela" come vuole? Di quante volte diminuiamo l'impronta di CO2? Qual'è il metro? Chi stabilisce l'unità di misura? E perché "andare avanti" invece che "tornare indietro" o "stare fermi"? Perché si sta meglio? Rispetto a cosa? E chi sta "meglio"? Rispetto alla "natura"? Ma chi stabilisce che alla natura interessi il bene-essere ? L'"umanità"? Il socialismo? La religione? Perché lo pensa mio cugggino? Perché così fan tutti? Perché "non lo so ma mi adeguo"? Perché ho visto, fuori in strada, tutti correre e corro anch'io? Perchè l'han detto gli intelligenti? Perché al telegiornale lo dicono? Perché è "giusto"? E chi stabilisce che è "giusto"? E perché lo stabilisce lui cos'è "giusto"? Perché è un filosofo? Un prete? Uno scienziato?Un politico? E perché loro sanno cos'è "giusto" per me e io non lo so?Perché è l'"evoluzione"? Perché è il tempo? Perché non ho tempo per pensarci da me stesso? Perché è faticoso ed è meglio che ci pensino gli altri? Perché non sono "all'altezza"? Perché "è così da sempre e non puoi farci niente"? Perché sono un dalit?...
Tante domande senza risposta...
Ma sono sicuro che arriva di certo qualcuno per darmi la sua... ::)
Ma Sariputra, è proprio la mancanza di una "risposta" a permettere il nostro esserci!
Se vi fosse una risposta... game over.
Senza risposta lo Spirito continua a giocare. Ritraendosi.
Tuttavia lascia pure delle tracce, cifre, che alludono a una risposta possibile. Perché il gioco possa infine concludersi.
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2020, 10:06:04 AM
Ma quale sarebbe poi il motivo per il quale l'uomo debba "evolversi" o "rivoluzionarsi"? Per diventare "migliore"? Rispetto a quale metro di misura? Il "progresso" ? Rispetto a cosa? Qual'è il "senso" di dover far fatica per "migliorarsi" ? Il "benessere"? E chi lo stabilisce qual'è il bene-essere? La scienza? Una statistica? Un sondaggio? Un'inchiesta? Quanto è lunga la vita? Quante volte facciamo l'amore alla settimana?Il fatto che ognuno può "godersela" come vuole? Di quante volte diminuiamo l'impronta di CO2? Qual'è il metro? Chi stabilisce l'unità di misura? E perché "andare avanti" invece che "tornare indietro" o "stare fermi"? Perché si sta meglio? Rispetto a cosa? E chi sta "meglio"? Rispetto alla "natura"? Ma chi stabilisce che alla natura interessi il bene-essere ? L'"umanità"? Il socialismo? La religione? Perché lo pensa mio cugggino? Perché così fan tutti? Perché "non lo so ma mi adeguo"? Perché ho visto, fuori in strada, tutti correre e corro anch'io? Perchè l'han detto gli intelligenti? Perché al telegiornale lo dicono? Perché è "giusto"? E chi stabilisce che è "giusto"? E perché lo stabilisce lui cos'è "giusto"? Perché è un filosofo? Un prete? Uno scienziato?Un politico? E perché loro sanno cos'è "giusto" per me e io non lo so?Perché è l'"evoluzione"? Perché è il tempo? Perché non ho tempo per pensarci da me stesso? Perché è faticoso ed è meglio che ci pensino gli altri? Perché non sono "all'altezza"? Perché "è così da sempre e non puoi farci niente"? Perché sono un dalit?...
Tante domande senza risposta...
Ma sono sicuro che arriva di certo qualcuno per darmi la sua... ::)
«Un monaco chiese a Hsiang Lin: "Qual è il significato della venuta del Patriarca dall'occidente?".
Hsiang Lin disse: "Sedere a lungo diventa faticoso".»
(da
La raccolta della roccia blu)
Citazione di: green demetr il 14 Febbraio 2020, 10:23:02 AM
... gli enti si danno solo in quanto situati all'interno della categoria dell'esistenza.
Se dico ente è automatico dire essere.
Come sappiamo noi siamo qualcosa che si dice uomo, ma il senso dell'esserci, non è minimamente assimilabile al concetto di forma-sostanza.
Attingiamo a qualcosa di duro a qualcosa su cui rimbalziamo ogni volta che ci sforziamo psicologicamente, o ogni volta che una malattia ci prostra.
E' su questo impenetrabilità della natura che deriviamo l'intero asse ente-essere.
Come se l'ente fosse un niente, e l'essere (la morte) fosse l'unica verità.
E' di fronte alla morte che deriva l'idealismo che si interroga sulla destinalità del soggetto.
L'unico ente che conta come dice Phil siamo noi.
Le idee di Mondo-Anima-Dio sono derivate, mediate direbbe heidegger, da noi stessi.
E noi siamo niente senza ammettere che un Essere esista.
D'accordo sull'eterno ritorno dell'essere, ma mi pare che il "cogito ergo sum" l'abbia risolto senza tanti drammi e certamente Phil, e prima di lui Wittgenstain, hanno ragione. L'impermeabilità della natura diventa meno dura e impenetrabile prendendo atto che il cogito nasce dalla res extensa e che il miglior significato possibile si trova nell'armonizzazione con essa... Chi vol'
esser lieto sia, di doman non v'è certezza... Mica se la passò male il buon, e non certo ingenuo o banale, Lorenzo.
CitazioneInsomma Ipazia l'iperuranio è solo una banalizzazione manualistica, che non rende minimante conto del vero problema sotteso.
Te lo dico, perchè ultimamente lo ripeti spesso.
Concordo sul fatto che la filosofia stessa si dimentichi di se stessa molto spesso, e quindi possiamo liquidare le questioni falsamente poste, o mal poste, come versioni dell'iperuranio.
Quindi neppure tu sottovaluti l'eterno ritorno dell'iperuranio. Abbiamo inventato Mondo-Anima-Dio per vincere il terrore delle domande senza risposta, ma l'abbiamo pure
decostruito (come ama ripetere spesso Phil) e, orfani permettendo, non è successo nulla. Viviamo mediamente come prima, con qualche alto e basso in più, che quantomeno allargano il ventaglio della libertà (e della verità).
CitazioneConcordo che siamo in tempi dove forse è meglio concentrarci sulle prassi.
Ma la filosofia non è solo finalismo, è anche fondazione a partire dal nostro terrore come umani.
Ri-fondazione, forse, a questo stadio della riflessione filosofica, ... dalla Lebenswelt. Tornando a leggere Epicuro, se vogliamo, in topic, "sederci" sui fondamenti (con qualche grano salis di terrore in meno).
Perché, anche nei forum, per esempio, quando si discute si vuole sempre "vincere"? Perché vogliamo tutti dimostrare di "avercelo più lungo"? E' forse questo il vero senso della vita? Anche di chi non ammette ci sia un senso? :-\
Salve Sariputra : "A proposito dei tuoi saporiti ma inutili quesiti :Ma quale sarebbe poi il motivo per il quale l'uomo debba "evolversi" o "rivoluzionarsi"? Per diventare "migliore"? Rispetto a quale metro di misura? Il "progresso" ? Rispetto a cosa? Qual'è il "senso" di dover far fatica per "migliorarsi" ? Il "benessere"? E chi lo stabilisce qual'è il bene-essere? La scienza? Una statistica? Un sondaggio? Un'inchiesta? Quanto è lunga la vita? Quante volte facciamo l'amore alla settimana?Il fatto che ognuno può "godersela" come vuole? Di quante volte diminuiamo l'impronta di CO2? Qual'è il metro? Chi stabilisce l'unità di misura? E perché "andare avanti" invece che "tornare indietro" o "stare fermi"? Perché si sta meglio? Rispetto a cosa? E chi sta "meglio"? Rispetto alla "natura"? Ma chi stabilisce che alla natura interessi il bene-essere ? L'"umanità"? Il socialismo? La religione? Perché lo pensa mio cugggino? Perché così fan tutti? Perché "non lo so ma mi adeguo"? Perché ho visto, fuori in strada, tutti correre e corro anch'io? Perchè l'han detto gli intelligenti? Perché al telegiornale lo dicono? Perché è "giusto"? E chi stabilisce che è "giusto"? E perché lo stabilisce lui cos'è "giusto"? Perché è un filosofo? Un prete? Uno scienziato?Un politico? E perché loro sanno cos'è "giusto" per me e io non lo so?Perché è l'"evoluzione"? Perché è il tempo? Perché non ho tempo per pensarci da me stesso? Perché è faticoso ed è meglio che ci pensino gli altri? Perché non sono "all'altezza"? Perché "è così da sempre e non puoi farci niente"? Perché sono un dalit?...
Tante domande senza risposta...
Ma sono sicuro che arriva di certo qualcuno per darmi la sua...".
.......................................................eccomi ! Ma è tutta colpa dell'entropia, la quale se ne frega dei significati, quesiti, esiti, interpretazioni umane del suo svolgersi che consiste semplicemente nel rimestare, diversificare, ridistribuire l'energia - non importa con quali esiti locali - altrimenti il mondo, arrestandosi, morirebbe. Ciò rappresenta semplicemente il trionfo della prassi sulla filosofia. Saluti.
Ah..ecco perchè!..Così @Viator quando il povero ti chiede perché sta morendo di fame , tu gli dici: "Ma figliolo è tutta colpa dell'entropia!". Al che, mentre ti sta sgozzando con gusto, ai tuoi lamenti ti dirà:"Perché ti lamenti? E' solo l'entropia!"... ;D
Salve Sariputra. Citandoti : "Ah..ecco perchè!..Così @Viator quando il povero ti chiede perché sta morendo di fame , tu gli dici: "Ma figliolo è tutta colpa dell'entropia!". Al che, mentre ti sta sgozzando con gusto, ai tuoi lamenti ti dirà:"Perché ti lamenti? E' solo l'entropia!"...".
Non ho capito se tu - a certe domande - cerchi una risposta secondo la tua o la altrui ragione (non importa se giuste o sbagliate (le ragioni e le domande)) oppure se cerchi solo delle risposte che soddisfino i tuoi personali modi di sentire=sentimenti.
Io all'affamato risponderei come ho risposto a te, dopodichè gli allungherei un panino oppure cinque Euro.
Tu invece che faresti ? Gli proporresti quanche altro centinaio di domande assai profonde e attenderesti le sue risposte (presumubilmente più sensate delle mie visto che si tratterebbe di soggetto razionalmente meno coinvolto di me ma fisicamente, esistenzialmente, sentimentalmente molto più coinvolto di me ?).
Gli atteggiamenti come i tuoi io li attribuisco ad eccessivo uso di candeggina (eccesso di candore). Saluti.
Perché? Il candore sarebbe un difetto? E' un pregio il cinismo?
Io non cerco da voi risposte che "mi soddisfino", siete voi che continuate a dare risposte che vi soddisfano! E quante certezze avete!...
Le mie domande in quel post erano retoriche...non si doveva rispondermi... ;D
Infatti avevo scritto: "Tante domande senza risposta...
Ma sono sicuro che arriva di certo qualcuno per darmi la sua... (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/rolleyes.gif)
Salve Sariputra. Citandoti (timidamente.......non so se il risponderti lo trovi ammissibile) : "Perché, anche nei forum, per esempio, quando si discute si vuole sempre "vincere"? Perché vogliamo tutti dimostrare di "avercelo più lungo"? E' forse questo il vero senso della vita? Anche di chi non ammette ci sia un senso?".
Per molti (circa la metà delle persone) il senso della vita (umana e del singolo) consiste nell'autoaffermazione, Ciò è ad esempio tipico degli estroversi. Non degli introversi (come me e te, ad esempio).
Gli introversi non tendono a riempire di sè il mondo, al contrario (ma con risultati esistenziali perfettamente equivalenti) essi vorrebbero riempirsi di mondo, con tutto ciò che ne è implicato e che noi due conosciamo benissimo nonostante tu prediliga il sentire mentre io prediliga l'immaginare.
Certo, ci sono coloro che che non ammettono un senso della vita. O lo ignorano o lo temono o lo negano. Io sono lontano anni luce dalla loro visione del mondo poichè il senso della vita credo proprio che ci sia e consista, come ho affermato anche qui dentro, nel doversi (augurabilmente ma non obbligatoriamente) riprodurre. Saluti.
Mettiamoci pure che in un forum c'è pure chi non è interessato a vincere o perdere ma solo a conversare scambiandosi delle idee.
Salve di nuovo, Sari. Mi permetto : "Perché? Il candore sarebbe un difetto? E' un pregio il cinismo?
Io non cerco da voi risposte che "mi soddisfino", siete voi che continuate a dare risposte che vi soddisfano! E quante certezze avete!...".
Voglio scusarmi per aver risposto quando avrei dovuto tacere. In effetti con il mio cinismo (consistente nel non trovare risposte di tipo intimistico ai tuoi autoquesiti) non ho avuto pudore e rispetto per i tuoi modi di sentire certe cose.
Tu non ci crederai ma io sono un sostenitore della fondamentale supremazia, fecondità ed efficacia esistenziale del sentire (sentimento=irrazionale) sul sapere (=razionalizzabile).
Ovvio che il candore sia una virtù. Ma io parlavo di TROPPO candore ed il difetto secondo me risiedeva appunto nell'eccesso il quale, come noto, virtù non è mai.
Infine, per quanto riguarda il mio personale rapporto con le certezze, vedere quanto compare da un pò di tempo in calce a ciascuno dei miei interventi, incluso il presente. Saluti.
"Quindi neppure tu sottovaluti l'eterno ritorno dell'iperuranio. Abbiamo inventato Mondo-Anima-Dio per vincere il terrore delle domande senza risposta, ma l'abbiamo pure decostruito (come ama ripetere spesso Phil) e, orfani permettendo, non è successo nulla. Viviamo mediamente come prima, con qualche alto e basso in più, che quantomeno allargano il ventaglio della libertà (e della verità)." cit Ipazia
Da bravo nicciano, non mi interessano le verità, infatti sono sempre "supposte" verità,
mi interessano le prassi, con cui l'uomo tenta di conoscere se stesso, per dispiegare la propria libertà di essere, qualunque cosa sia questa(finora non è andata benissimo).
All'interno di queste pratiche il rapporto con gli altri è fondamentale, tanto quanto quello con l'Altro. Mi pare che il compito odierno della filosofia sia ancora questo.
E si fa fatica, molta fatica.
Siamo tutti alienati e anestetizzati, il motto di Lorenza il Magnifico vale sempre se applicato a Netflix?
Ma non ti rendi conto che stiamo vivendo malissimo?
Diceva Lacan in uno dei suoi ultimi discorsi, dov'è la differenza sessuale?
In un epoca dove il gender diventa uno studio, capiamo che l'ideologia sta dilagando?
Sul dualismo cartesiano mi lasci perplesso a dire poco.
Il dualismo cartesiano e la battaglia tutta americana dell'analitica fra monismi e dualismi, hanno tutti un grave di problema aporetico, dettato dalla insana "moda" umana di costruire un assioma e da lì costruire un discorso. (cosa garantisce cosa?)
Io penso che sia la fenomenologia a contare, tutto il resto sono solo fantasie.
Insomma manteniamo l'attenzione desta, anche se come sai vengo da 3 mesi da zombie. Purtroppo ripeto non è facile affatto!
Il dispendio di enegia intellettuale, in un mondo simile che abitiamo, non aiuta!
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2020, 10:06:04 AM
Ma quale sarebbe poi il motivo per il quale l'uomo debba "evolversi" o "rivoluzionarsi"?
Nessuno che noi si sappia e noi siamo in gran parte ciò che non si sa'.
Poi , osservandoci ci pare di intravedere qualche motivo , ma se anche fossimo noi metro , il metro non si misura.
L'occhio stesso non dovrebbe vedersi se non riflettendosi , ma il pensiero come si riflette?
Così io riflettevo sul fatto che le nostre critiche derivano dal sentirci parte di qualcosa.
Quando invece ci sentiamo soli la nostra priorità è aderire a qualcosa , la prima che passa.
Il mondo dei social è una lente di ingrandimento su ciò.
Ma queste sono non risposte a non domande .😊
Ciao Sari , a noi tutti qui caro.
O non te ne sei accorto?
Citazione di: Ipazia il 14 Febbraio 2020, 07:57:30 AM
Caro Jano tutto ciò che auspichi, nel desiderio collettivo, esiste già. I "festival" filosofici fanno il pienone e la filosofia professionale si sta ritagliando una nuova professionalità nel counseling dove può svolgere le altamente richieste prestazioni tuttologiche di cura dell'anima, senza i lacci e lacciuoli ideologici e sociali del prete, psicologo, economista e politicante. Prosperano i ricettari sulla felicità possibile ed è inevitabile che il rinnovamento di linguaggio e contenuti teorici debba modellarsi sull'evolversi della vita sociale.
Il che è pure dimostrazione in vivo che è sempre la struttura il sensibile a comandare e la sovrastruttura il sovrasensibile ad adeguarsi, con maggiore o minore lungimiranza, allo Spirito dei tempi, sempre più immanente, più terrestre, per cui forse bisognerebbe recuperare la inquietante intuizione goethiana dell'Erdgaist, Spirito della terra. Compito questo che solo la filosofia può consapevolmente svolgere.
Molteplici sono le resistenze perchè è il "sensibile" in gioco e gli interessi coinvolti esercitano una pressione infernale sul "sovrasensibile". Ma ce la si può, come è sempre avvenuto, fare. Almeno nel pensiero. Evoluzione, Rivoluzione, chissà !
Hai ragione.Mi sono un po' sfogato.
😊
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2020, 10:06:04 AM
Ma quale sarebbe poi il motivo per il quale l'uomo debba "evolversi" o "rivoluzionarsi"?
Nessuno, accade senza alcun dovere. La differenza è solo nel punto di vista sull'accadimento e la fenomenologia può essere facilmente descritta. Escluso il dovere, rimane aperta la questione complessa della causalità, ma il parlarne implica la stesura di uno o più trattati di antropologia.
cit ipazia
"D'accordo sull'eterno ritorno dell'essere, ma mi pare che il "cogito ergo sum" l'abbia risolto senza tanti drammi e certamente Phil, e prima di lui Wittgenstain, hanno ragione. L'impermeabilità della natura diventa meno dura e impenetrabile prendendo atto che il cogito nasce dalla res extensa e che il miglior significato possibile si trova nell'armonizzazione con essa... Chi vol'esser lieto sia, di doman non v'è certezza... Mica se la passò male il buon, e non certo ingenuo o banale, Lorenzo."
non esiste una res cogitans e una extensa.
il dualismo cartesiano è un evidente errore, che giò cartesio conosceva ma che per quieto vivere, ossia l'impossibilità di dire che dio non esiste e dunque neppure la natura.
esiste solo un cogito, una mente, che contiene in essa sicuramente un parte di estensione. In attesa che le scieze molecolari vengano spiegate. Ma come sappiamo oggi siamo ancora fermi all'ingenua idea di qualcosa che emerge da un mondo entropico all'altro delle millesime condizioni energetiche particellari.
Spiegazioni molto vaghe e che trovo quasi infantili.
Ma di nessuna interessa pratico, che esista una mente è certo, proprio a partire dall'idea di un io, che è dentro questa mente. Un costrutto mentale, che possa dirsi tale, sà già con certezza, presentandosi come costrutto, soggetto-oggetto appunto come analizzato meglio dagli idealisti tedeschi.
Il problema semmai è il costrutto non mentale dell'equazione che produce la mente, ossia appunto l'oggetto, chiamato cosa in sè, natura, etc.... e che già genialmente cartesio chiamava il demone maligno. Non potendolo chiamare fenomeno, si inventò quel nome assimilandolo al Deu ex machina che avrebbe fatto da mediatore, tra le 2 res.
E' il fenomeno ciò che riguarda la vita e le prassi.
Non capirò mai questo bisogno di armonizzazione, come se ancora un Dio esistesse.
Dio è morto santo cielo!! ma quando ce ne faremo una ragione?
Che bisogno c'è di ritornare ai dualismi ottusi, o ai monismi che dimenticano il reale????
Se mai esiste un dualismo è dentro alla parte extensa diremmo oggi, ma essendo dentro la mente, non c'è bisogno di alcuna armonizzazione. Ah quanto mi manca il buon Sgiombo!
Che fatica fare uso delle parole!!!
cit ipazia
"Quindi neppure tu sottovaluti l'eterno ritorno dell'iperuranio. Abbiamo inventato Mondo-Anima-Dio per vincere il terrore delle domande senza risposta, ma l'abbiamo pure decostruito (come ama ripetere spesso Phil) e, orfani permettendo, non è successo nulla. Viviamo mediamente come prima, con qualche alto e basso in più, che quantomeno allargano il ventaglio della libertà (e della verità)."
Ma certo Ipazia, su questo siamo ampiamente d'accordo.
Ma come sai il mondo filosofico sta girando a destra, anche nel modo di pensare dico.
Basta fare un giro sui forum americani, per capire quanto distante siano dal poter discutere come pur fra le molte cadute di penne (ah quanti utenti eccezionali ho avuto piacere di conoscere, che non scrivono più!) avviene in italia!
Gli utenti meno avezzi a certe nostre discussioni, infatti parlano come americani....un chiaro sintomo, come se ce ne fosse bisogno d'altri(basterebbero le geopolitiche a testimoniarlo), di come le ideologie funzionano alla grandissima!
Io lo chiamo un DE-PENSAMENTO.
Ma è ovvio che gli iper-urani tornano a profusione!!!
Fai bene a insistere.
Devo dire che mi sono scocciato, dopo 10 anni di dura polemica con qualsiasi uno fosse di loro, che chiamavo uomini-macchina.
Dico avrò il diritto di tacere di queste cose!
cit ipazia
"Ri-fondazione, forse, a questo stadio della riflessione filosofica, ... dalla Lebenswelt. Tornando a leggere Epicuro, se vogliamo, in topic, "sederci" sui fondamenti (con qualche grano salis di terrore in meno)."
Si penso anche io che Epicuro abbia detto bene.
Ma è un dire, diverso il vivere. Certo va ricordato quel dire.
Detto questo io parlo di fondamento, nel senso hegeliano.
Per dirla in breve, ossia dalla sfacelo del soggetto imploso, ossia che si presenta già imploso.
Ossia già dentro il movimento negativo.
Il terrore vero quello che ti fa battare i denti, sinceramente
non l'ho mai vissuto.
Angoscia reale, angoscia fantasmatica, quelle sì.
Il terrore che in molti dicono di aver percepito nella meditazione su DIO, nemmeno.
Il punto è che non vedo come arrivare nemmeno a pensarlo il terrore (o meglio il fantasma del terrore, perchè la morte è reale), quando siamo ancora dentro al fantasma dell'orrore.
Inoltre a parte queste fantasmatiche (presunzione di minaccia esterna reale), ce ne sono altre, la psicanalisi ne ha individuate altre due, ma si presume ne siano molte di più.
Io credo siamo ancora agli albori, anzi l'albore deve ancora iniziare, siamo ancora nel buio che inizia a essere schiarato, dall'analisi sull'uomo.
Molto tempo in fin dei conti è stato speso dietro le metafisiche generali.
Insomma Ipazia la "nostra" è una forma di resistenza partigiana del pensiero.