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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: 0xdeadbeef il 17 Giugno 2018, 17:16:42 PM

Titolo: La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 17 Giugno 2018, 17:16:42 PM
Scusate ma, anche in riferimento alle ultime discussioni, mi piacerebbe riproporre un vecchio argomento che postai cinque
anni fa sul vecchio forum. Spero di fare cosa gradita.

Qualche tempo fa, in occasione dell'uscita del suo romanzo "Il Cimitero di Praga", ad Umberto Eco fu chiesto se fosse
vero che gli Ebrei mangiavano i bambini (come nel romanzo era presunto, insomma).
La risposta di Eco è stata, a mio parere, di una coerenza filosofica sovrumana: "la verità è ciò che si dice", disse Eco,
facendo con ciò intendere che se a quell'epoca questo era ciò che veniva detto, allora era senz'altro vero (così come
oggi, che viene detto il contrario, è vero che gli Ebrei NON mangiavano bambini).
Se, come disse Nietzsche nei "Frammenti postumi", la modernità possiede una convinzione che non fu propria di nessuna
epoca, ossia che non c'è una verità, allora questa di Eco è la posizione più coerente che sia possibile immaginare.
un saluto
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: viator il 17 Giugno 2018, 19:25:44 PM
Salve Ox. Interessante coincidenza con recenti dichiarazioni circa l'esistenza di certezze. Non esistendo la verità assoluta, ciò che si dice non può che essere la verità relativa di chi sta parlando, ammesso che lo faccia sinceramente. Costui starà quindi parlando di ciò in cui crede e.......si è mai visto qualcuno che trovasse non vero ciò in cui crede ??.
Poi c'è la menzogna, che è cosa diversa dalla falsità. Poi c'è il paradosso del mentitore.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 17 Giugno 2018, 20:16:19 PM
Ciao Viator
Eh ho capito, ma anche chi ha fede dice che Dio è verità; ma è, Dio, realtà, fatto?
Perchè ciò di cui si sta parlando non è tanto ciò che si crede, ma se ciò che si crede, e si dice, corrisponde alla
realtà, al fatto.
Dunque: gli Ebrei mangiavano o non mangiavano i bambini? Qual'è la realtà che la "verità che si dice" occulta o
palesa? Che strumenti abbiamo per poterla svelare?
In realtà forse, dicevo in quel vecchio post, Eco dice quella cosa per provocare; per mettere in luce ciò a cui
porta la celebre affermazione di Nietzsche: "non esistono fatti, ma solo interpretazioni". Perchè lui, Eco,
afferma invece che c'è un limite all'interpretazione ("La soglia e l'infinito").
Dunque, se limite c'è, ci deve anche essere se non una verità che corrisponde al fatto, almeno una, come dire,
"direzione di verità"; una affermazione di verità che "trascende" (in senso kantiano) verso la realtà.
Una cosa, però, dev'essere chiara: nell'affermazione "ontologica" del relativo, cioè nel relativismo, il
risultato più coerente è quello che Eco ci mette "cinicamente" davanti...
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: viator il 17 Giugno 2018, 21:52:32 PM
Salve Ox. REALTA' : "Insieme dell'esistente (più correttamente.....uffa, a questo punto mi toccherà ogni volta precisare: INSIEME DEGLI ENTI) che generano o sono in grado di generare (al superamento di una certa soglia quantitativa) una percezione (sensoriale)
Definizione decisamente inelegante che trovo però abbastanza efficace. Tutti gli enti materiali sono reali. Tutte le radiazioni energetiche sono reali. Il tempo non è reale. Lo spazio non è reale. Pensieri ed emozioni non sono reali in quanto - per intensi che possano essere - non possono generarci percezione sensoriale della loro esistenza (pardon: insistenza). I concetti fanno parte dei pensieri. Le credenze fanno parte della realtà solo se costruite il legno od altri materiali adatti. Gli armadi invece sono sempre reali. Le convenzioni, le fedi etc fanno parte delle credenze. Ora, Dio è una ENTITA' :
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: viator il 17 Giugno 2018, 22:25:12 PM
Salve Ox. Dimenticavo. Sono d'accordissimo con Nietzche e non mi interessa minimamente la dieta attuale o trascorsa degli ebrei, non avendo tra l'altro afferrato il pensiero di Eco, personaggio coltissimo e superapprezzabile ma del tutto privo di volontà divulgative.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: cvc il 18 Giugno 2018, 09:47:53 AM
La verità è anzitutto una parola, quindi uno strumento con finalità comunicative che, nello specifico, serve a distinguere una cosa da una sua errata interpretazione.
La frase 'la verità è ciò che si dice' mi pare più una provocazione o un paradosso. Una mostruosità se la si analizza secondo la logica perché anche le bugie sono cose che si dicono, quindi ne deduciamo che tale proposizione afferma che le bugie che si dicono sono la verità.
Però bisogna guardare la luna e non il dito: cosa sottintende intrinsecamente la frase? Secondo me l'ottusità e la credulità umana che, platonicamente parlando, è talmente abituata a scambiare le ombre per gli oggetti che le proiettano da non saper riconoscere gli stessi oggetti alla luce del sole.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: baylham il 18 Giugno 2018, 12:01:04 PM
Alla posizione nietzschiana secondo cui non esistono fatti ma solo interpretazioni, Eco giustamente ribatteva che comunque rimane il problema di scegliere tra le diverse interpretazioni.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Kobayashi il 18 Giugno 2018, 13:42:13 PM
Io penso che ci siano due tipi di opposizione tra interpretazione e fatti:
- una possibile opposizione tra interpretazioni soggettive e il sapere pubblico (per cui io, ora, posso anche asserire di credere nell'esistenza di Dio ma poi mi sento chiamato a dar conto delle obiezioni argomentate dalla nostra cultura secolarizzata; più le mie idee saranno lontane dal sapere condiviso e più sarà difficile non solo dimostrarne la credibilità per gli altri, ma anche per me stesso - poiché il sapere condiviso in quanto tale agisce anche su di me);
- un'opposizione tra le interpretazioni (del sapere pubblico, quindi condivise più o meno da tutti) e la realtà; in questo caso il limite dell'interpretazione di un fatto dipende dai criteri interni al sapere condiviso (scienza, storiografia etc.); e la storia mostra come fenomeni (presumibilmente) simili, accaduti in periodi distanti nel tempo, possano essere letti in modo completamente diverso.
Il nostro sapere pubblico d'istinto ci dice che la scienza (naturale o sociale) ci conduce sempre più vicini a ciò che l'oggetto è nella realtà.
Ma l'epistemologia contemporanea ha abbondantemente chiarito quanto sia problematica una posizione del genere.
Quindi non rimane che accettare l'idea che anche questi criteri interni siano arbitrari (culturalmente arbitrari, per quanto efficaci), e sostenere il punto di vista di Eco (anche se appunto va problematizzato, secondo me).
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 18 Giugno 2018, 15:56:35 PM
Leggendo in tono sociolinguistico, più che filosofico, la frase caustica di Eco, ci ho visto questo: oltre a "fatti" e loro "interpretazioni", nella (post)modernità dilaga anche un terzo livello (da sempre presente ma in modo più marginale), quello di sedicenti interpretazioni che non hanno nemmeno fatti di riferimento, ovvero (pseudo)verità "costruite" (quelli che una volta si chiamavano "falsi storici"). 
Oltre all'interpretazione, fallibile e in buona fede, c'è notoriamente anche l'informazione volutamente viziosa e ritoccata; persino anche in campo statistico (il cosiddetto "p-hacking").
Ci stiamo addentrando nell'epoca della "post-verità" (per non annoiare, rimando a Wikipedia) dove la "vera verità" è subordinata alla "verità creduta", dove è vero solo ciò che è compatibile con le nostre credenze, ciò che siamo disposti a ritenere tale (c'è un "ismo" in merito, ma non ricordo quale); per la massa, la verità non deve più essere per forza dimostrata, è sufficiente sia convincente e condivisa ("da" e "con" i media, pubblici e privati).
Ad esempio, è lampante il caso delle "fake news" (e l'apparente antidoto del "fact-checking"), effetti collaterali del connubio fra informatizzazione e libera comunicazione (connubio anche con numerosi pregi, chiaramente); così come la figura dell'"influencer" è ormai quasi in competizione di credibilità (e annesso valore di marketing) con quella dell'"esperto in materia"; dinamiche sociali del nuovo millennio...
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 18 Giugno 2018, 16:41:11 PM
Per me "la" realtà esiste solo come concetto, quindi non come ente, o essente, sensibilmente percepibile.
Esistono (di una esistenza potenzialmente percebile dai sensi) semmai "le" realtà.
"La" realtà dunque (come l'assoluto) non può essere un sostantivo, perchè in essa non è individuabile nessuna
"sostanza".
Bisognerebbe quindi capire cosa l'amico Viator intende per "insieme": un concetto o un essente sensibilmente
percepibile, cioè "fisico"?
Non è comunque questo il punto in questione. Che invece è circa il "se" la verità che si dice corrisponda o
meno ad una realtà "fisica" (cioè se gli Ebrei, effettivamente, mangiavano o meno i bambini).
A tal proposito, io dico che se "non esistono fatti, ma solo interpretazioni" (Nietzsche), allora Eco ha
pienamente ragione. Perchè la verità, essendo necessariamente non corrispondente a nessun fatto fisico,
diventa di conseguenza "quella che in quel momento viene detta".
A questo proposito, vorrei dire all'amico CVC che su questo piano non può esistere nè verità né menzogna; a
meno di non considerare menzogna ciò che si oppone alla verità che in quel momento viene detta (se, ad
esempio, qualcuno avesse detto allora che gli Ebrei NON mangiavano bambini, ciò era menzogna).
Nè il "problema" è risolto da quanto annotato dall'amico Baylam, perchè una "scelta" che non poggia su una
precisa base conoscitiva è semmai una scelta di valore, non una enunciazione che pretende di svelare il vero.
E ciò naturalmente vale anche per il sapere "condiviso" di cui parla Kobayashi, visto che se è la condivisione
a far da discrimine, è facile ribattere che era allora senz'altro vero che gli Ebrei mangiassero i bambini.
Chiaramente, se Eco avesse ragione, le conseguenze sarebbero di portata immane.
Ad esempio chi o che cosa potrebbe squalificare a menzogna l'affermazione (a noi temporalmente più vicina)
che gli Ebrei sono un popolo deicida ed inferiore (e che per questo, magari, vanno internati nei lager)?
Su quale base conoscitiva potremmo mai affermare il contrario? Potremmo farlo, certo, su una base "condivisa",
ma quando tale condivisione venisse a mancare non avremmo nessuno strumento "reale" per opporci.
Potremmo farlo appellandoci a non ben definiti valori etici o morali; ma che arma spuntata sarebbe nell'epoca
della "morte di Dio" come morte di qualsiasi valore "universale"...
Le peggiori nefandezze sarebbero allora legittimate. E tale legittimazione consisterebbe (di fatto consiste già)
nell'equivalenza di qualsiasi affermazione.
Il discrimine sarebbe (è) allora solo ed esclusivamente la "potenza". Nient'altro che essa.
saluti

(mi scuso con Phil ma ho scritto prima di aver letto la sua risposta)
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 18 Giugno 2018, 20:48:49 PM
A Phil
Per poter parlare di un "falso storico", come di una "fake news", occorre conoscere la verità "ab-soluta", cioè
l'affermazione che corrisponde al fatto (cioè non che corrisponde ad una interpretazione di esso).
Occorre dunque correggere Nietzsche, perchè in questo caso si presume che il fatto esista (non solo, ma si
presume di conoscerlo).
Per coloro che, come dire, hanno occhi per vedere è chiaro che una "cosuccia" come questa mette radicalmente in
discussione tutta una cultura, la nostra, che almeno da Kant in poi pone il "relativo" come sua, diciamo, stella
polare (squalificando l'assoluto ad articolo per creduloni - neppure distinguendo, dicevo altrove, fra l'aggettivo
e il sostantivo)
Diciamo allora ancora che, forse, il "relativo" riguarda le cose non oggetto di percezione sensibile (i concetti,
insomma). Abbiamo però per così dire "debordato", creando un'impalcatura filosofica e culturale dai
piedi veramente d'argilla (appunto estendendo il relativo al tutto).
Tutto il nostro pensiero si "pasce" su affermazioni trancianti e semplicistiche, come appunto questa di Nietzsche.
Cui fanno da contraltare altre affermazioni trancianti e semplicistiche di segno opposto (come ad esempio la
proposizione dogmatica di certe teorie economiche o politiche).
Ciò che sembra persa per sempre è la "misura", la ponderatezza, e persino quel pragmatismo che, erroneamente,
consideriamo come una virtù ampiamente acquisita dalla modernità.
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: viator il 18 Giugno 2018, 21:25:15 PM
Salve. Per Oxdeadbeef: La realtà consiste in una certa parzialità dell'essere. Riguarda e consiste in- quella parte dell'essere che è da noi riconoscibile attraverso la percezione (fisica e fisiologica) delle sue cause e/o dei suoi effetti. Tutto il resto dell'essere (ciò che è senza tuttavia risultare percepibile) rappresenta l'ideatività.

L'insieme è la categoria che include tutti o parte degli elementi caratterizzati o caratterizzabili (definibili) da un attributo applicabile a ciascuno di essi. Saluti.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: epicurus il 19 Giugno 2018, 11:24:06 AM
Visto che riproponi un vecchio argomento, non posso che iniziare riproponendo innanzitutto la risposta che diedi 5 anni fa.  ;)


Voglio chiarire brevemente la posizione di Eco sulla verità. L'interpretazione del pensiero di Eco fatta da 0xdeadbeef è errata.

Quando Eco dice qualcosa come "non mi interessa quel tipo di verità, per me la verità è ciò che si
dice", non dice che una proposizione p è vera se e solo p è affermata.

Qui Eco si concentra sulla verità nelle opere di finzione. Eco distingue tra verità (nel senso genuino del termine) come "Parigi è capitale della Francia" e verità nella finzione come "Clark Kent è Superman". Eco è ben coscio ovviamente dell'enorme differenza tra le due concezioni di verità. Dire che '"Clark Kent è Superman" è vero', significa semplicemente che è vero che Clark Kent è Superman nel mondo fittizio dei fumetti DC. Mentre se diciamo '"Parigi è capitale della Francia" è vero' intendiamo vero nel mondo reale in cui viviamo.

Quando dice che '"gli Ebrei mangiavano i bambini" è vero', dice che è vero nel mondo fittizio delle leggende, cioè non è una sua creazione originale. Eco è interessato a raccontare queste "verità fittizie" nei suoi romanzi, come nel più famoso e acclamato "Il Pendolo di Focault", in cui gli interessa narrare le verità fittizie delle leggende complottistiche.

Leggete qui cosa pensa Eco del rapporto tra verità e finzione: qui.

Per quanto riguarda la posizione di Eco sul concetto classico di verità, egli è per sua stessa ammissione, un seguace di Charles Peirce. Per Peirce la verità si chiarisce nel "lungo periodo", è un limite ideale verso il quale una ricerca infinita tenderebbe. Una ricerca eseguita da un gruppo di esperti che cercano con tutte le loro forze di falsificare e verificare tesi, in un continuo processo di prova ed errore.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: baylham il 19 Giugno 2018, 15:34:28 PM
Non sono affatto convinto che "la verità è ciò che si dice" sintetizzi la posizione di Eco sulla verità.
Per cui vorrei verificare se Eco fece veramente questa asserzione e il contesto in cui la fece.
In rete ho trovato l'intervista che fece a Fazio a "Che tempo che fa" per la presentazione del romanzo Il cimitero di Praga, il cui protagonista è un falsario:  https://www.raiplay.it/video/2010/11/Umberto-Eco-a-Che-tempo-che-fa-79973209-f519-411d-b8a1-710c5260cac8.html
L'asserzione di cui sopra non trova convalida.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 19 Giugno 2018, 20:48:37 PM
Dunque Epicurus, come ti dicevo nella risposta successiva al tuo intervento in quell'"antico" post (oltre che nella
risposta a Viator in questo), io credo che Eco abbia inteso provocare e provocarsi.
Perchè in sostanza, credo l'affermazione di Eco vada letta alla luce del "non esistono fatti, ma solo
interpretazioni" di Nietzsche (oltre che, chiaramente, alla luce del pensiero di Peirce).
Dicevo allora (scusa le ripetizioni ma è per far capire un pò meglio a chi legge): "Innanzitutto, direi, se
diciamo che un qualcosa è "vero" a prescindere da ciò che si dice, allora questo non può significare altro
che della verità ne abbiamo un criterio oggettivo" (cioè privo di legami con il soggetto interpretante; cioè
ancora: assoluto).
E questo, trovo, vale sia per l'affermazione che "Clark Kent è Superman" sia per quella che "gli Ebrei
mangiavano (o non mangiavano) i bambini" (come vale per ogni altro enunciato, reale o di fantasia).
In altre parole, all'interno della sfera "fantastica" è vero, cioè è un fatto, che Clark Kent è Superman o
questa è solo un'interpretazione?
Naturalmente, diremo anche che Clark Kent/Superman NON è un essente reale (ma anche qui dovremo
misurarci con l'affermazione circa lo "status" di fatto o interpretazione di tale affermazione).
Evito, almeno per il momento, di disquisire sul pensiero di Eco in relazione alla semiotica di Peirce
(naturalmente tu, Epicurus, trovi qualcosa su quella vecchia discussione).
Per quanto riguarda quel che sostiene Baylam, io al tempo ne avevo letto da qualche parte, ma non ricordo
dove.
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 19 Giugno 2018, 22:33:07 PM
Sdoppiando il piano del discorso in "piano reale" e "piano fittizio", il problema della presunta verità viene, in certi casi, anch'esso sdoppiato (in una sorta di "mitosi"): nel caso di (con)testi notoriamente fittizi (libri e affini), è facile riconoscere che il piano non è quello della realtà; tuttavia, in narrazioni o discorsi meno limpidi e decifrabili (citavo il "piano delle fake news"), oltre al problema di valutazione vero/falso si (im)pone anche la questione del discernimento reale/fittizio.

L'esempio che segue è sciocco, tuttavia, come sempre, mi affido al vostro intuito nel coglierne il senso fra le righe: se dico a un bambino "Babbo Natale è tuo padre!", il pargolo, pur prendendo subito per vero ciò che gli racconto (e già ciò ci agevola), potrebbe non orientarsi facillmente fra (guardando dal suo punto di vista interlocutorio) le verità del piano della finzione (ovvero "Babbo Natale è una leggenda, chi ti porta i doni davvero è tuo padre") e la verità del piano della realtà ("tuo padre, la notte del 24 dicembre, si veste da vecchio barbuto e porta regali a tutti i bimbi del mondo" oppure, se il fanciullo è avvezzo alle telenovele "il tuo vero padre non è quello in salotto, bensì il vecchio che ha lasciato il tetto coniugale per trasferirsi al Polo Nord ad allevare renne, etc."). 
Se a questa incerta scissione fra i due piani, aggiungiamo che il nostro piccolo filosofo potrebbe iniziare a dubitare che gli si stia raccontando la verità, ecco che l'intricarsi delle insidie degli scenari che deve ponderare gli farà rimpiangere la semplicità del valore cristiano del Natale (e neanche tanto: "la nascita di Gesù è vera in realtà o solo nella finzione narrativa della Bibbia? Falsa nella realtà e vera nella Bibbia? Vera nella realtà ma descritta in modo falso nella Bibbia?", potrebbe iniziare a chiedersi il piccolo esegeta...).
Se poi a questi due piani (reale/fittizio), in ognuno dei quali bisognerebbe distinguere vero/falso, aggiungiamo le ulteriori "proposte" delle varie interpretazioni (più o meno consolidate storicamente), ci si ritrova in un labirinto di specchi (nel senso che più si riflette e peggio è  ;D ) in cui, o ci si affida alla scorciatoia "la verità è ciò in cui riesco a credere", oppure trovare l'uscita-verità (se c'è) comporta probabilmente ardue peripezie, lungo cammino e... alte possibilità che il Minotauro risolva i nostri dilemmi con le sue corna (nel senso di restare infilzati dalle "corna del dilemma", come si dice in retorica).

P.s.
Se ci sostituiamo al bambino e, al posto di Babbo Natale, mettiamo una spinosa questione politica, un cruciale evento storico o addirittura immani questioni filosofiche, possiamo ben immaginare perché (precorrendo le annesse questioni epistemologiche ed ermeneutiche) Nietzsche ci abbia suggerito l'opzione-scorciatoia.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Carlo Pierini il 20 Giugno 2018, 01:20:43 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Giugno 2018, 17:16:42 PM
Scusate ma, anche in riferimento alle ultime discussioni, mi piacerebbe riproporre un vecchio argomento che postai cinque
anni fa sul vecchio forum. Spero di fare cosa gradita.

Qualche tempo fa, in occasione dell'uscita del suo romanzo "Il Cimitero di Praga", ad Umberto Eco fu chiesto se fosse
vero che gli Ebrei mangiavano i bambini (come nel romanzo era presunto, insomma).
La risposta di Eco è stata, a mio parere, di una coerenza filosofica sovrumana: "la verità è ciò che si dice", disse Eco,
facendo con ciò intendere che se a quell'epoca questo era ciò che veniva detto, allora era senz'altro vero (così come
oggi, che viene detto il contrario, è vero che gli Ebrei NON mangiavano bambini).
Se, come disse Nietzsche nei "Frammenti postumi", la modernità possiede una convinzione che non fu propria di nessuna
epoca, ossia che non c'è una verità, allora questa di Eco è la posizione più coerente che sia possibile immaginare.
un saluto

Non c'è nulla di coerente. Se non c'è una verità, allora non è verità nemmeno <<non c'è una verità>>.
In altre parole, la verità NON POSSIAMO negarla, altrimenti neghiamo la nostra stessa negazione.
Se proprio vogliamo essere disfattisti, possiamo solo dire che NON CONOSCIAMO quale sia la verità.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: epicurus il 20 Giugno 2018, 12:34:52 PM
Incollo qui di seguito un pezzo di un saggio di Eco: "Di un realismo negativo". Non solo ci permette di capire esattamente la posizione di Eco, ma lo trovo interessante ai fini generali di questa discussione.

*****

A questa curiosa eresia ["non esistono fatti solo interpretazioni", nota di Epicurus] avevo da gran tempo reagito, a tal segno che a una serie di miei studi degli anni Ottanta avevo dato nel 1990 il titolo I limiti dell'interpretazione, partendo dall'ovvio principio che, perché ci sia interpretazione ci deve essere qualcosa da interpretare – e se pure ogni interpretazione non fosse altro che l'interpretazione di una interpretazione precedente, ogni interpretazione precedente assumerebbe, dal momento in cui viene identificata e offerta a una nuova interpretazione, la natura di un fatto – e che in ogni caso il regressus ad infinitum dovrebbe a un certo punto arrestarsi a ciò da cui era partito e che Peirce chiamava l'Oggetto dinamico. [...]

È vero che quando si cita lo slogan per cui non esistono fatti ma solo interpretazioni anche il piú assatanato tra i postmodernisti è pronto ad asserire che lui o lei non hanno mai negato la presenza fisica non solo dell'edizione Einaudi dei Promessi sposi, ma anche del tavolo da cui sto parlando. Il postmodernista dirà semplicemente che questo tavolo diventa oggetto di conoscenza e di discorso solo se lo si interpreta come supporto per un'operazione chirurgica, come tavolo da cucina, come cattedra, come oggetto ligneo a quattro gambe, come insieme di atomi, come forma geometrica imposta a una materia informe, persino come tavola galleggiante per salvarmi durante un naufragio. Sono sicuro che anche il postmodernista a tempo pieno la pensi cosí, salvo che quello che stenta ad ammettere è che non può usare questo tavolo come veicolo per viaggiare a pedali tra Torino e Agognate lungo l'autostrada per Milano. Eppure questa forte limitazione alle interpretazioni possibili del tavolo era prevista dal suo costruttore, che seguiva il progetto di qualcosa interpretabile in molti modi ma non in tutti.

L'argomento, che non è paradossale, bensí di assoluto buon senso, dipende dal problema delle cosiddette affordances teorizzate da Gibson (e che Luis Prieto avrebbe chiamato pertinenze), ovvero dalle proprietà che un oggetto esibisce e che lo rendono piú adatto a un uso piuttosto che a un altro. Ricorderò un mio dibattito con Rorty, svoltosi a Cambridge nel 1990, a proposito dell'esistenza o meno di criteri d'interpretazione testuali. Richard Rorty – allargando il discorso dai testi ai criteri d'interpretazione delle cose che stanno nel mondo – ricordava che noi possiamo certo interpretare un cacciavite come strumento per avvitare le viti ma che sarebbe altrettanto legittimo vederlo e usarlo come strumento per aprire un pacco.

Nel dibattito orale Rorty alludeva al diritto che avremmo d'interpretare un cacciavite anche come qualcosa di utile per grattarci un orecchio. Nell'intervento poi consegnato da Rorty all'editore l'allusione alla grattata d'orecchio era scomparsa, perché evidentemente Rorty l'aveva intesa come semplice boutade, inserita a braccio durante l'intervento orale. [...] Un cacciavite può servire anche per aprire un pacco (visto che è strumento con una punta tagliente, facilmente manovrabile per far forza contro qualcosa di resistente); ma non è consigliabile per frugarsi dentro l'orecchio, perché è appunto tagliente, e troppo lungo perché la mano possa controllarne l'azione per una operazione cosí delicata; per cui sarà meglio usare un bastoncino leggero che rechi in cima un batuffolo di cotone. C'è dunque qualcosa sia nella conformazione del mio corpo che in quella del cacciavite che non mi permette di interpretare quest'ultimo a capriccio.

[...]
Che non vi siano fatti ma solo interpretazioni viene attribuito a Nietzsche e credo che persino Nietzsche ritenesse che il cavallo che aveva baciato non lontano da qui esistesse come fatto prima che lui decidesse di farlo oggetto dei suoi eccessi affettivi. Però ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità, e queste responsabilità emergono chiaramente in quel testo che è Su verità e menzogna in senso extramorale. Qui Nietzsche dice che, poiché la natura ha gettato via la chiave, l'intelletto gioca su finzioni che chiama verità, o sistema dei concetti, basato sulla legislazione del linguaggio. Noi crediamo di parlare di (e conoscere) alberi, colori, neve e fiori, ma sono metafore che non corrispondono alle essenze originarie. Ogni parola diventa concetto sbiadendo nella sua pallida universalità le differenze tra cose fondamentalmente disuguali: cosí pensiamo che a fronte della molteplicità delle foglie individue esista una «foglia» primordiale «sul modello della quale sarebbero tessute, disegnate, circoscritte, colorate, increspate, dipinte – ma da mani maldestre – tutte le foglie, in modo tale che nessun esemplare risulterebbe corretto e attendibile in quanto copia fedele della forma originale».

L'uccello o l'insetto percepiscono il mondo in un modo diverso dal nostro, e non ha senso dire quale delle percezioni sia la piú giusta, perché occorrerebbe quel criterio di «percezione esatta» che non esiste, perché «la natura non conosce invece nessuna forma e nessun concetto, e quindi neppure alcun genere, ma soltanto una x, per noi inattingibile e indefinibile». Dunque un kantismo, ma senza fondazione trascendentale.

A questo punto per Nietzsche la verità è solo «un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi» elaborati poeticamente, e che poi si sono irrigiditi in sapere, «illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria», monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione solo come metallo, cosí che ci abituiamo a mentire secondo convenzione, avendo sminuito le metafore in schemi e concetti. E di lí un ordine piramidale di caste e gradi, leggi e delimitazioni, interamente costruito dal linguaggio, un immenso «colombaio romano», cimitero delle intuizioni.

Che questo sia un ottimo ritratto di come l'edificio del linguaggio irreggimenti il paesaggio degli enti, o forse un essere che rifiuta di essere irrigidito in sistemi categoriali, è innegabile. Ma rimangono assenti, anche dai brani che seguono, due domande: se adeguandoci alle costrizioni di questo colombaio si riesce in qualche modo a fare i conti col mondo, per esempio decidendo che avendo la febbre è piú opportuno assumere aspirina che cocaina (che non sarebbe osservazione da nulla); e se non avvenga che ogni tanto il mondo ci costringa a ristrutturare il colombaio, o addirittura a sceglierne una forma alternativa (che è poi il problema della rivoluzione dei paradigmi conoscitivi). Nietzsche non sembra chiedersi se e perché e da dove un qualche giudizio fattuale possa intervenire a mettere in crisi il sistema-colombaio.

Ovvero, a dir la verità, egli avverte l'esistenza di costrizioni naturali e conosce un modo del cambiamento. Le costrizioni gli appaiono come «forze terribili» che premono continuamente su di noi, contrapponendo alle verità «scientifiche» altre verità di natura diversa; ma evidentemente rifiuta di riconoscerle concettualizzandole a loro volta, visto che è stato per sfuggire a esse che ci siamo costruiti, quale difesa, l'armatura concettuale. Il cambiamento è possibile, ma non come ristrutturazione, bensí come rivoluzione poetica permanente. «Se ciascuno di noi, per sé, avesse una differente sensazione, se noi stessi potessimo percepire ora come uccelli, ora come vermi, ora come piante, oppure se uno di noi vedesse il medesimo stimolo come rosso e un altro lo vedesse come azzurro, se un terzo udisse addirittura tale stimolo come suono, nessuno potrebbe allora parlare di una tale regolarità della natura». [...]

In altre parole: una volta accettato il principio che dell'essere si parla solo in molti modi, che cosa è che ci impedisce di credere che tutte le prospettive siano buone, e che quindi non solo l'essere ci appaia come effetto di linguaggio ma sia radicalmente e altro non sia che effetto di linguaggio, e proprio di quella forma di linguaggio che si può concedere i maggiori sregolamenti, il linguaggio del mito o della poesia? L'essere allora, oltre che (come ha detto una volta Vattimo con efficace piemontesismo) «camolato», malleabile, debole, sarebbe puro flatus vocis. [...]

Decisione per nulla confortante, visto che, una volta regolati i conti con l'essere, ci ritroveremmo a doverli fare con il soggetto che emette questo flatus vocis (che è poi il limite di ogni idealismo magico). Qual è lo statuto ontologico di colui che dice che non vi è alcun statuto ontologico?
Non solo. Se è principio ermeneutico che non ci siano fatti ma solo interpretazioni, questo non esclude che ci possano essere per caso interpretazioni «cattive». Dire che non c'è figura vincente del poker che non sia costruita da una scelta del giocatore (magari incoraggiata dal caso) non significa dire che ogni figura proposta dal giocatore sia vincente. Basterebbe che al mio tris d'assi l'altro opponesse una scala reale, e la mia scommessa si sarebbe dimostrata fallace. Ci sono nella nostra partita con l'essere dei momenti in cui Qualcosa risponde con una scala reale al nostro tris d'assi?

Tornando al cacciavite di Rorty si noti che la mia obiezione non escludeva che un cacciavite possa permettermi infinite altre operazioni: per esempio potrei utilmente usarlo per uccidere o sfregiare qualcuno, per forzare una serratura o per fare un buco in piú in una fetta di groviera. Quello che è sconsigliabile farne è usarlo per grattarmi l'orecchio. Per non dire (il che sembra ovvio ma non è) che non posso usarlo come bicchiere perché non contiene cavità che possano ospitare del liquido. Il cacciavite risponde di sí a molte delle mie interpretazioni ma a molte, e almeno a una risponde di no.

Riflettiamo su questo no, che sta alla base di quello che chiamerò il mio realismo negativo. Il vero problema di ogni argomentazione «decostruttiva» del concetto classico di verità non è di dimostrare che il paradigma in base al quale ragioniamo potrebbe essere fallace. Su questo pare che siano d'accordo tutti, ormai. Il mondo quale ce lo rappresentiamo è certamente un effetto d'interpretazione, e sino a ieri lo interpretavamo come se i neutrini viaggiassero anch'essi alla velocità della luce e forse domani dovremo deciderci a cambiare idea mettendo in crisi una presunta costante universale. Il problema è piuttosto quali siano le garanzie che ci autorizzano a tentare un nuovo paradigma che gli altri non debbano riconoscere come delirio, pura immaginazione dell'impossibile. Quale è il criterio che ci permette di distinguere tra sogno, invenzione poetica, trip da acido lisergico (perché esistono pure persone che dopo averlo assunto si gettano dalla finestra convinte di volare, e si spiaccicano al suolo – e badiamo, contro i propri propositi e speranze), e affermazioni accettabili sulle cose del mondo fisico o storico che ci circonda? Poniamo pure, con Vattimo, una differenza tra epistemologia, che è «la costruzione di corpi di sapere rigorosi e la soluzione di problemi alla luce di paradigmi che dettano le regole di verifica delle proposizioni» (e ciò sembra corrispondere al ritratto che Nietzsche dà dell'universo concettuale di una data cultura) ed ermeneutica come «l'attività che si dispiega nell'incontro con orizzonti paradigmatici diversi, che non si lasciano valutare in base a una qualche conformità (a regole o, da ultimo, alla cosa), ma si dànno come proposte "poetiche" di mondi altri, di istituzione di regole nuove». Quale regola nuova la comunità deve preferire, e quale altra condannare come follia? Vi sono pur sempre, e sempre ancora, coloro che vogliono dimostrare che la terra è quadra, o che viviamo non all'esterno bensí all'interno della sua crosta, o che le statue piangono, o che si possono flettere forchette per televisione, o che la scimmia discende dall'uomo – e a essere flessibilmente onesti e non dogmatici bisogna pure trovare un criterio pubblico onde giudicare se le loro idee siano in qualche modo accettabili.
Di lí l'idea di un realismo negativo che si potrebbe riassumere, sia parlando di testi che di aspetti del mondo, nella formula: ogni ipotesi interpretativa è sempre rivedibile (e come voleva Peirce sempre esposta al rischio del fallibilismo) ma, se non si può mai dire definitivamente se una interpretazione sia giusta, si può sempre dire quando è sbagliata. Ci sono interpretazioni che l'oggetto da interpretare non ammette.

Poniamo che su quel muro sia dipinto uno splendido trompe l'oeil che rappresenta una porta aperta. Posso interpretarlo come trompe l'oeil che intende ingannarmi, come porta vera (e aperta), come rappresentazione con finalità estetiche di una porta aperta, come simbolo di ogni Varco a un Altrove, e cosí via, forse all'infinito. Ma se l'interpreto come vera porta aperta e cerco di attraversarla, batto il naso contro il muro. Il mio naso ferito mi dice che il fatto che cercavo di interpretare si è ribellato alla mia interpretazione.

Certamente la nostra rappresentazione del mondo è prospettica, legata al modo in cui siamo biologicamente, etnicamente, psicologicamente e culturalmente radicati cosí da non ritenere mai che le nostre risposte, anche quando appaiono tutto sommato «buone», debbano essere ritenute definitive. Ma questo frammentarsi delle interpretazioni possibili non vuole dire che everything goes.
In altre parole: esiste uno zoccolo duro dell'essere, tale che alcune cose che diciamo su di esso e per esso non possano e non debbano essere prese per buone.

Chi ha mai detto che i fatti che interpreto possano pormi dei limiti? Come posso fondare il concetto di limite?
Questo potrebbe essere un semplice postulato dell'interpretazione, perché se assumessimo che delle cose si può dire tutto non avrebbe piú senso l'avventura della loro interrogazione continua. A questo punto anche il piú radicale dei relativisti potrebbe decidere di assumere l'interpretazione del piú radicale dei realisti vecchio stampo, visto che ogni interpretazione vale l'altra.

Noi abbiamo invece la fondamentale esperienza di un limite di fronte al quale il nostro linguaggio sfuma nel silenzio: è l'esperienza della morte. Siccome mi avvicino al mondo sapendo che almeno un limite c'è, non posso che proseguire la mia interrogazione per vedere se, per caso, di limiti non ce ne siano altri ancora.

[...]
Se il continuum ha delle linee di tendenza, per impreviste e misteriose che siano, non si può dire tutto quello che si vuole. Il mondo può non avere un senso, ma ha dei sensi; forse non dei sensi obbligati, ma certo dei sensi vietati. Ci sono delle cose che non si possono dire.

Non importa che queste cose siano state dette un tempo. In seguito abbiamo per cosí dire «sbattuto la testa» contro qualche evidenza che ci ha convinto che non si poteva piú dire quello che si era detto prima.
Naturalmente ci sono dei gradi di costrizione.

Ci sono delle cose che non si possono dire. Ci sono dei momenti in cui il mondo, di fronte alle nostre interpretazioni, ci dice no. Questo no è la cosa piú vicina che si possa trovare, prima di ogni filosofia prima o teologia, alla idea di Dio o di legge. Certamente è un Dio che si presenta (se e quando si presenta) come pura negatività, puro limite, pura interdizione.

E qui debbo fare una precisazione, perché mi rendo conto che la metafora dello zoccolo duro può fare pensare che esista un nocciolo definitivo che un giorno o l'altro la scienza o la filosofia metteranno a nudo; e nello stesso tempo la metafora può fare pensare che questo zoccolo, questi limiti di cui ho parlato, siano quelli che corrispondono alle leggi naturali. Vorrei chiarire (anche a costo di ripiombare nello sconforto gli ascoltatori che per un attimo avevano creduto di ritrovare una idea consolatoria della realtà) che la mia metafora allude a qualcosa che sta ancora al di qua delle leggi naturali, che persisterebbe anche se le leggi newtoniane si rivelassero un giorno sbagliate – e anzi sarebbe proprio quel qualcosa che obbligherebbe la scienza a rivedere persino l'idea di leggi che parevano definitivamente adeguare la natura dell'universo. Quello che voglio dire è che noi elaboriamo leggi proprio come risposta a questa scoperta di limiti, che cosa siano questi limiti non sappiamo dire con certezza, se non appunto che sono dei «gesti di rifiuto», delle negazioni che ogni tanto incontriamo. Potremmo persino pensare che il mondo sia capriccioso, e cambi queste sue linee di tendenza – ogni giorno o ogni milione di anni. Ciò non eliminerebbe il fatto che noi le incontriamo.

Credo che ci siano dei rapporti tra questo mio modestissimo realismo negativo (per cui avvertiamo qualcosa fuori di noi e dalle nostre interpretazioni solo quando riceviamo un diniego) e l'idea popperiana per cui l'unica prova a cui possiamo sottoporre le nostre teorie scientifiche è quella della loro falsificabilità. Non sapremo mai definitivamente se una interpretazione è giusta ma sappiamo con certezza quando non tiene.
Credo di essermi attenuto a questo principio di realismo negativo sin da quando, all'inizio degli anni Sessanta, nel sostenere l'indispensabile collaborazione del fruitore a ogni testo artistico, intitolavo il mio libro Opera aperta. Questo apparente ossimoro mirava a sostenere che l'apertura, potenzialmente infinita, si misurava di fronte all'esistenza concreta dell'opera da interpretare. Che era poi da parte mia una ripresa dell'idea pareysoniana che l'interpretazione si articola sempre in una dialettica di iniziativa dell'interprete e fedeltà alla forma da interpretare.

Infinite sono le interpretazioni possibili del Finnegans Wake ma neppure il piú selvaggio tra i decostruzionisti può dire che esso racconta la storia di una contessa russa che si uccide gettandosi sotto il treno.

Potrei tradurre questa mia idea di realismo negativo in termini peirceani. Ogni nostra interpretazione è sollecitata da un oggetto dinamico che noi conosceremo sempre e solo attraverso una serie di oggetti immediati (l'oggetto immediato essendo già un segno, che può essere chiarito solo da una serie successiva di interpretanti, ciascun interpretante successivo spiegando sotto un certo profilo il precedente, in un processo di semiosi illimitata). Ma nel corso di questo processo produciamo degli abiti, delle forme di comportamento, che ci inducono ad agire sull'oggetto dinamico da cui eravamo partiti e a modificare la cosa in sé da cui eravamo partiti, offrendo un nuovo stimolo al processo della semiosi. Questi abiti possono avere o meno successo, ma quando non l'ottengono il principio del fallibilismo deve portarci a ritenere che alcune delle nostre interpretazioni non erano adeguate.

È sufficiente intrattenere questa idea minimale di realismo, che coincide benissimo col fatto che conosciamo i fatti solo attraverso il modo in cui li interpretiamo? Una volta Searle aveva detto che realismo significa che siamo convinti che le cose vadano in un certo modo, che forse non riusciremo mai a decidere in che modo vadano, ma che siamo sicuri che esse vadano in un certo qual modo anche se non sapremo mai quale. E questo ci basta per credere (e qui Peirce viene in soccorso a Searle) che in the long run, alla fin fine, sia pure sempre parzialmente noi possiamo portare avanti la torcia della verità.

La forma modesta del realismo negativo non ci garantisce che noi possiamo domani possedere la verità, ovvero sapere definitivamente what is the case, ma ci incoraggia a cercare ciò che in qualche modo sta davanti a noi; e la nostra consolazione di fronte a ciò che altrimenti ci parrebbe per sempre inafferrabile consiste nel fatto che noi possiamo sempre dire, anche ora, che alcune delle nostre idee sono sbagliate perché certamente ciò che avevamo asserito non era il caso.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
Citazione di: epicurus il 20 Giugno 2018, 12:34:52 PMIncollo qui di seguito un pezzo di un saggio di Eco: "Di un realismo negativo". Non solo ci permette di capire esattamente la posizione di Eco, ma lo trovo interessante ai fini generali di questa discussione.

Grazie mille epicurus per aver condiviso questo scritto, davvero interessante  8)



Comunque, se posso fare un breve commento all'idea del "realismo negativo"... ebbene è un'ottima tesi per restare "scettici" senza cadere in alcune versioni di "post-modernismo", "relativismo", "pensiero debole" ecc.  Inoltre mi sembra un'ottima argomentazione contro la teoria della coerenza della verità almeno in alcune sue forme, ovvero che la verità di una proposizione vera consiste nella coerenza con un insieme di un specifico insieme di proposizioni.



Tuttavia, mi pare una prospettiva piuttosto incompleta, almeno per chi cerca di "comprendere" la realtà.


In sostanza, come "confessione della propria ignoranza" è un'ottima prospettiva e molto rispettabile. Tuttavia non offre, a sua volta, spiegazioni sul perchè:
1) certe prospettive sono, effettivamente, false ("Ma se l'interpreto come vera porta aperta [n.d.r. anziché disegnata] e cerco di attraversarla, batto il naso contro il muro...");
2) non spiega perchè il "relativismo" è falso (o più precisamente: semplicemente utilizza il criterio empirico per falsificarlo. Ma non da una spiegazione soddisfacente in proposito - in sostanza è come dire: "è falso ma non saprei dirti il motivo");

3) certe prospettive sono "migliori" di altre (interpretare la porta aperta come semplice disegno su un muro).


Quindi come "critica" sia contro varie forme di "relativismo" che contro varie forme di "dogmatismo", il relativismo negativo è molto buono. Ma, personalmente, mi sembra una prospettiva troppo "pessimista". Personalmente ritengo che, per lo meno, le nostre "prospettive migliori" siano tali perchè sono in qualche modo un'approssimazione "della realtà" (e almeno dal punto di vista teorico, è possibile pensare ad una prospettiva che conosca la realtà in modo inerrante). Ritengo, quindi, che ci è possibile avere almeno una conoscenza parziale "delle cose" utilizzando la nostra mente concettuale ("parziale" e quindi parzialmente erronea - ma anche parzialmente veridica).



Per usare un esempio della fisica: non credo che la fisica, per ora, ci abbia fatto capire solamente che, ad esempio, la meccanica newtoniana non è una accurata descrizione "della realtà". Personalmente, ritengo invece che la fisica ci abbia fatto capire che le teorie più recenti sono migliori approssimazioni "della realtà" (così come la meccanica newtoniana è ancora un'ottima approssimazione). In sostanza, un semplice "realismo negativo" mi sembra molto incompleto! Tuttavia, è una prospettiva che rispetto  ;)



Detto ciò. Torno nel mio silenzio.  ;D  



P.S.
Colgo l'occasione per chiedere scusa per aver interrotto così bruscamente la mia partecipazione alle discussioni forumistiche.  Purtroppo, in questo periodo non riesco a trovare il tempo per mettermi a discutere seriamente.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 20 Giugno 2018, 20:20:33 PM
Ringrazio di cuore Epicurus per aver postato questo interessantissimo documento.
Naturalmente questa è la posizione autentica di Eco (così come rilevabile anche ne: "La soglia e l'infinito")
sul problema di cui stiamo trattando.
Senonchè rimane, come dire, "viva" la sua provocazione su di una verità "che si dice". Cioè su una
verità che è tale in vizio (non certo in virtù...) di un consenso generale che, sempre, viene fondato
dalla "potenza" in quel momento dominante.
Si diceva, allora, che gli Ebrei mangiassero i bambini come, più tardi, che fossero una razza inferiore e
malevola PERCHE', evidentemente, la cultura dominante di quei tempi "voleva" che così fosse.
E non si tratta di semplici menzogne...
Dal superamento idealistico della filosofia di Kant (che io vedo come fondante di tutta la semiotica), l'"io"
è venuto sempre più a configurarsi come l'autentico "creatore" della realtà.
Se, in altre parole, come in Hegel realtà e razionalità coincidono, questo vuol dire che coincidono fatto e
interpretazione del fatto (e coincidono nell'unico "luogo" in cui possono coincidere: nell'interpretazione).
Ecco, in estrema sintesi, come e da dove nasce la celebre affermazione di Nietzsche.
La provocazione di Eco è caustica e attualissima. Perchè tutta la nostra cultura è ancora impregnata di questo
"mortale veleno" che è l'Idealismo.
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: sgiombo il 21 Giugno 2018, 13:28:32 PM
Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
Citazione di: epicurus il 20 Giugno 2018, 12:34:52 PMIncollo qui di seguito un pezzo di un saggio di Eco: "Di un realismo negativo". Non solo ci permette di capire esattamente la posizione di Eco, ma lo trovo interessante ai fini generali di questa discussione.

Grazie mille epicurus per aver condiviso questo scritto, davvero interessante  8)



Quindi come "critica" sia contro varie forme di "relativismo" che contro varie forme di "dogmatismo", il relativismo negativo è molto buono. Ma, personalmente, mi sembra una prospettiva troppo "pessimista". Personalmente ritengo che, per lo meno, le nostre "prospettive migliori" siano tali perchè sono in qualche modo un'approssimazione "della realtà" (e almeno dal punto di vista teorico, è possibile pensare ad una prospettiva che conosca la realtà in modo inerrante). Ritengo, quindi, che ci è possibile avere almeno una conoscenza parziale "delle cose" utilizzando la nostra mente concettuale ("parziale" e quindi parzialmente erronea - ma anche parzialmente veridica).



Per usare un esempio della fisica: non credo che la fisica, per ora, ci abbia fatto capire solamente che, ad esempio, la meccanica newtoniana non è una accurata descrizione "della realtà". Personalmente, ritengo invece che la fisica ci abbia fatto capire che le teorie più recenti sono migliori approssimazioni "della realtà" (così come la meccanica newtoniana è ancora un'ottima approssimazione). In sostanza, un semplice "realismo negativo" mi sembra molto incompleto! Tuttavia, è una prospettiva che rispetto  ;)



Detto ciò. Torno nel mio silenzio.  ;D  



P.S.
Colgo l'occasione per chiedere scusa per aver interrotto così bruscamente la mia partecipazione alle discussioni forumistiche.  Purtroppo, in questo periodo non riesco a trovare il tempo per mettermi a discutere seriamente.

Concordo pienamente e spero che interrompa presto e pereferibilmente in via definitiva la tua astensione (un' "assenza" comunque ovviamente del tutto "giustificata") dal forum.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: sgiombo il 21 Giugno 2018, 13:37:02 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Giugno 2018, 20:20:33 PM
Ringrazio di cuore Epicurus per aver postato questo interessantissimo documento.
Naturalmente questa è la posizione autentica di Eco (così come rilevabile anche ne: "La soglia e l'infinito")
sul problema di cui stiamo trattando.
Senonchè rimane, come dire, "viva" la sua provocazione su di una verità "che si dice". Cioè su una
verità che è tale in vizio (non certo in virtù...) di un consenso generale che, sempre, viene fondato
dalla "potenza" in quel momento dominante.
Si diceva, allora, che gli Ebrei mangiassero i bambini come, più tardi, che fossero una razza inferiore e
malevola PERCHE', evidentemente, la cultura dominante di quei tempi "voleva" che così fosse.
E non si tratta di semplici menzogne...
Dal superamento idealistico della filosofia di Kant (che io vedo come fondante di tutta la semiotica), l'"io"
è venuto sempre più a configurarsi come l'autentico "creatore" della realtà.
Se, in altre parole, come in Hegel realtà e razionalità coincidono, questo vuol dire che coincidono fatto e
interpretazione del fatto (e coincidono nell'unico "luogo" in cui possono coincidere: nell'interpretazione).
Ecco, in estrema sintesi, come e da dove nasce la celebre affermazione di Nietzsche.
La provocazione di Eco è caustica e attualissima. Perchè tutta la nostra cultura è ancora impregnata di questo
"mortale veleno" che è l'Idealismo.
saluti

Credo (se ti ho capito, vecchio amico Mauro) che parlando di superamento idealistico della filosofia di Kant intendessi "preteso superamento" (forse sarebbe risultato più chiaro se avessi scritto "superamento" fra virgolette).

Credo di non semplificare eccessivamente (salvo sbagliarmi) che ciò di cui parlava, tra il sarcastico e l' ironico, in quella occasione Eco si possa identificare con l ' "ideologia" nel senso in cui la intendevano Marx ed Engels, cioé come "falsa coscienza" pretesa (e di fatto almeno in larga misura intesa, per o meno se dscretamente efficace) come vera.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 21 Giugno 2018, 18:00:47 PM
Certo, è proprio come dici ("superamento" in senso, al massimo, temporale).
In realtà, non vedo proprio come Kant possa essere "superato". Certo ci hanno provato in tanti, come ad esempio
Peirce e la semiotica in particolare, ma a mio parere non hanno fatto altro che riproporlo ma in maniera, come
dire, "intorbidata" e assai poco chiara e lineare.
Quanto ad Eco, in: "La soglia e l'infinito" ipotizza che la "cosa in sè" kantiana, o l'"evento" come lo chiama
Peirce, e il "fenomeno", o l'interpretato che dir si voglia, siano addirittura due oggetti distinti.
Come lo si possa dire a me appare un mistero...
Ma, cosa importante, l'Idealismo cerca davvero di "superarlo" nel senso pieno del termine.
Nell'Idealismo, e in Hegel o in Fichte è chiarissimo, la "cosa in sè" e il "fenomeno" sono sintetizzati. E lo
sono appunto nell'unico "luogo" ove potrebbero esserlo: nell'"io".
Ecco allora che nell'"iperidealista" Nietzsche (il quale a mio avviso supera, però estremizzandolo, l'Idealismo)
il fatto, la cosa in sè, semplicemente, scompare. E scompare appunto fagocitato dall'interpretato.
E', a parer mio, da tener ben presente che, a tutt'oggi, l'Idealismo ancora ammorba tutto il nostro pensiero
con quello che definisco il suo "veleno mortale".
Ecco perchè, ritengo, con quel "la verità è ciò che si dice" Eco esprima una estrema provocazione verso tutta la
cultura contemporanea. "Colpevole" di ragionare in termini in tutto e per tutto idealistici.
Certo, non vi ragiona più secondo i canoni classici dell'hegelismo, bensì attraverso il "superamento" di essi
che Nietzsche ha compiuto.
Però, i fondamenti sono rimasti tali e quali. Sicuramente l'"io" di Nietzsche non è più quell'"Iddio reale" di
cui parlava Hegel. E' semmai un "diavolo", che costruisce tutta la realtà sulla propria volontà di potenza.
Ma è rimasto sempre lui il "costruttore", il "creatore".
In verità, Marx (che io sempre considero un geniale economista e pensatore) cerca appunto di "superare" Hegel;
ma lo fa "rovesciandolo", cioè come specularmente mantenendone inalterate troppe premesse.
E' verissimo (e ho visto che, giustamente, spesso lo sottolinei) che Marx non rovescia Hegel cancellandone del tutto
l'"io" in favore della "materialità". Certo egli afferma che la struttura determina la sovrastruttura "in ultima
istanza". Ciò vuol dire che Marx sicuramente "sospetta" una influenza reciproca (e qui, davvero, egli riuscirebbe
a staccarsi nettamente da Hegel) fra le due sfere, ma non riesce poi a determinare rigorosamente tale pensiero
(o almeno questo a me sembra).
Probabilmente, a Marx non è seguito nessuno che sia stato in grado di riprenderne e a svilupparne il pensiero.
Troppi suoi epigoni hanno pensato ad un materialismo "scientifico", tradendo proprio quell'aggettivazione
di "storico" che il genio di Marx aveva intuito.
Anzi, se devo dirla tutta a me sembra che la "tragedia" della sinistra post-marxista (non parlo della odierna,
che persegue politiche di destra senza nemmeno saperlo) risieda, in nuce, proprio in questo.
saluti e stima da un vecchio amico.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 21 Giugno 2018, 23:53:15 PM
(Alcune considerazioni "grezze", in brain storming, suggerite dal "realismo negativo" di Eco)

Da un lato, la verità, o meglio, la realtà, ci pone dei limiti, falsificando (onestissimo il richiamo a Popper di Eco) sue interpretazioni (o meglio, suoi utilizzi) troppo sconnesse e difformi dai suoi attributi, e crea dunque un (de)limitato "intervallo di senso" in cui indagare o semplicemente "piegare" il senso della verità (Eco talvolta mischia un po' troppo le due carte, "senso-funzione" e "verità", ma glielo possiamo perdonare ;) ).

Dall'altro lato, tuttavia, se lasciamo da parte oggetti, funzionalità operativa, porte disegnate, etc. e ci rivolgiamo al piano sociale, è difficile negare che un'informazione ha conseguenze ed innesca effetti domino (sociali, politici, economici, etc.) se è creduta vera, non necessariamente se lo è. In tal senso, spesso non c'è falsificazione che possa limitare l'interpretazione, per quanto questa sia scorretta. 
Se chi credeva che la terra non girasse intorno al sole ha potuto uccidere sul rogo chi affermava ciò che invece oggi è "abbastanza oggettivamente" la verità, significa che la verità, su larga scala, è resa tale o dalla forza (del potere, delle armi, dei media, etc.) oppure dal radicamento nel senso comune, senza che vi siano restrizioni esterne che l'approssimino ad un vincolante intervallo di verosimiglianza. 
Nel contesto delle dinamiche umane, il falsificazionismo che delimita il campo della verità nel contesto degli studi empirico-scientifici, non funziona sempre (anzi...): la "falsa verità" può spesso essere imposta anche da suoi interpreti (magari involontariamente) senza che ci sia falsificazione che regga, ovvero ciò che si afferma e conferma pubblicamente come verità, non è necessariamente nemmeno vagamente affine alla verità più accuratamente studiata e verificata in merito, ma è la prima verità (quella socialmente accettata) che detta legge, "agisce", attiva ripercussioni, con buona pace dell'altra.

Pensiamo alle varie superstizioni o alle scaramanzie (che ancora esistono): per quanto non siano connesse ad una verità (rapporto causa/effetto dimostrato), sono da alcuni ritenute vere e funzionanti, e ciò basta per renderle praticate, senza smentite (da parte della verità) che le arresti o le contrasti; o almeno tali smentite non risultano cosi coercitive da non poter essere smarcate con una viziosa interpretazione ad hoc, che spiega il perdurare di tal usanze. 
Pensiamo anche alla politica: se un politico viene eletto grazie ad una interpretazione falsa del reale, di fatto, finirà con il cambiare la storia del paese, o almeno prendere decisioni che avranno contraccolpi enormi (magari internazionali), senza che la "vera verità" possa avere necessariamente una sua rivincita. Ulteriore esempio: è vero che Eva ha offerto una mela ad Adamo? Pare che nel testo originale non si specifichi di quale frutto si tratti, ma ormai nell'immaginario collettivo è "vero" che fu una mela, per cui affreschi, mosaici, illustrazioni, etc. sarebbero "ad onor del vero" da cambiare; eppure permane come vero, nel comun parlare, che quel frutto era una mela (insomma, non lo era, ma ormai lo è diventata  ;D ).

Liquidare la questione sostenendo che le "false verità", ovvero le interpretazioni erronee seppur consolidate socialmente, sono solo prova dell'ingenuità della massa o di estemporanei abusi di potere, significherebbe ignorare quanto la (macro)storia umana sia dettata proprio da questi due fattori: sappiamo che non è vero che gli ebrei erano il male o che la democrazia si esporta a cannonate, ma andiamolo a dire come consolazione a chi è morto sotto tale imposizione marchiata da "verità" (qualcuno ci credeva davvero magari); come accennato sopra, sappiamo che la politica manipola dati e crea verità, ma ciò non rende comunque modificabile il risultato di un'elezione e, più banalmente, sappiamo che i gatti neri non sono messaggeri del satanasso, ma quante gente ancora spera che non gli attraversino la strada o esegue gesti scaramantici vari?

Ecco che il non-vero produce effetti e conseguenze vere (con le fantomatiche "gambe corte" le menzogne ne fanno di strada, se gli si concede il tempo...). E quale "resistenza" ha (op)posto la verità (com suggeriva Eco in altro ambito) di fronte a questo suo essere rinnegata (o ignorata), qual'è stato il limite oltre il quale ha falsificato il suo disconoscimento? Declinando l'esempio di Eco su scala storico-sociale: il cacciavite è stato, ed è tuttora, usato spesso come cotton fioc e molti si sono fatti male, oppure continuano a pensare che il cacciavite debba fungere da penna per scrivere sui muri... 

Distingeuerei quindi la "verità performativa", quella che produce effetti veri, conseguenze, ripercussioni su vasta scala, solo per il fatto di essere creduta vera (e per esserlo deve risultare facile e ben "confezionata" oppure sospinta da una forza sgominante, sia quella dell'evidenza fattuale o quelle più umane e sociali) e "verità validata", quella magari meno conosciuta, meno impattante sui popoli, ma forse, seppur per un soffio, più "vera" in quanto "studiata" (fermo restando che non è detto che le due verità non possano talvolta coincidere).

Per cui, anche se sembrerà forse fuori luogo (in un forum di "filosofi"), pongo questa domanda: al di fuori del settore scientifico e tecnico, quanto è davvero rilevante la verità (anche potendola trovare), se la storia dell'uomo la fanno, a quanto sembra, le interpretazioni e le verità "che hanno successo" (più di quelle verificate con assoluta accuratezza)? 
Non intendo sostenere che non sia affatto importante accertarsi della verità, in ambito sociale o storico, ma solo notare come, a volte, la si rintraccia così in ritardo (la ricerca ha i suoi tempi) che non le si può più rendere adeguatamente giustizia, a causa di tutta "la storia degli effetti" che la non-verità ha già provocato (ormai il politico ha il suo posto in parlamento, ormai il gatto nero non è più un gatto qualunque e ormai Eva e Adamo hanno fatto un guaio sotto un melo...).


P.s.
Vista l'ora tarda (di scrittura), non garantisco la coerenza o l'assenza di "sbandamenti"  ;D
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: epicurus il 22 Giugno 2018, 11:02:53 AM
Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
Citazione di: epicurus il 20 Giugno 2018, 12:34:52 PMIncollo qui di seguito un pezzo di un saggio di Eco: "Di un realismo negativo". Non solo ci permette di capire esattamente la posizione di Eco, ma lo trovo interessante ai fini generali di questa discussione.

Grazie mille epicurus per aver condiviso questo scritto, davvero interessante  8)
Molto lieto di sapere che sia tu che 0xdeadbeef abbiate trovato interessante lo scritto.  ;)

Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PMComunque, se posso fare un breve commento all'idea del "realismo negativo"... ebbene è un'ottima tesi per restare "scettici" senza cadere in alcune versioni di "post-modernismo", "relativismo", "pensiero debole" ecc.  Inoltre mi sembra un'ottima argomentazione contro la teoria della coerenza della verità almeno in alcune sue forme, ovvero che la verità di una proposizione vera consiste nella coerenza con un insieme di un specifico insieme di proposizioni.

Tuttavia, mi pare una prospettiva piuttosto incompleta, almeno per chi cerca di "comprendere" la realtà.
Sì, Eco stesso è consapevole che la sua è un prospettiva minimale. Io stesso la condivido nel suo nucleo, ma ci aggiungo delle "estensioni", per così dire.  :)

Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
In sostanza, come "confessione della propria ignoranza" è un'ottima prospettiva e molto rispettabile. Tuttavia non offre, a sua volta, spiegazioni sul perchè:
1) certe prospettive sono, effettivamente, false ("Ma se l'interpreto come vera porta aperta [n.d.r. anziché disegnata] e cerco di attraversarla, batto il naso contro il muro...");
2) non spiega perchè il "relativismo" è falso (o più precisamente: semplicemente utilizza il criterio empirico per falsificarlo. Ma non da una spiegazione soddisfacente in proposito - in sostanza è come dire: "è falso ma non saprei dirti il motivo");

3) certe prospettive sono "migliori" di altre (interpretare la porta aperta come semplice disegno su un muro).


Quindi come "critica" sia contro varie forme di "relativismo" che contro varie forme di "dogmatismo", il relativismo negativo è molto buono. Ma, personalmente, mi sembra una prospettiva troppo "pessimista". Personalmente ritengo che, per lo meno, le nostre "prospettive migliori" siano tali perchè sono in qualche modo un'approssimazione "della realtà" (e almeno dal punto di vista teorico, è possibile pensare ad una prospettiva che conosca la realtà in modo inerrante). Ritengo, quindi, che ci è possibile avere almeno una conoscenza parziale "delle cose" utilizzando la nostra mente concettuale ("parziale" e quindi parzialmente erronea - ma anche parzialmente veridica).

Per usare un esempio della fisica: non credo che la fisica, per ora, ci abbia fatto capire solamente che, ad esempio, la meccanica newtoniana non è una accurata descrizione "della realtà". Personalmente, ritengo invece che la fisica ci abbia fatto capire che le teorie più recenti sono migliori approssimazioni "della realtà" (così come la meccanica newtoniana è ancora un'ottima approssimazione). In sostanza, un semplice "realismo negativo" mi sembra molto incompleto! Tuttavia, è una prospettiva che rispetto  ;)

Come dicevo sopra, anch'io reputo la teoria di Eco troppo minimalista. Quindi condivido la tua obiezione generale di fondo, vediamo però se riesco a mostrare che nella teoria di Eco, se non ci sono risposte completamente sviluppate alle tue domande, almeno ci sono i semi.

1. Non spiega perché certe prospettive sono effettivamente false.
Eco parla di zoccolo duro dell'essere, continuum, mondo, evidenze, Dio, puro limite... ecco, è questa la realtà di Eco, cioè ciò che rende vere o false le nostre credenze.

2. Non spiega perché il relativismo è falso.
Nella parte del testo si potrebbe reinterpretare il suo discorso nel senso che il relativismo è incoerente perché se diciamo che la realtà, o qualcosa, è relativo, allora quel qualcosa deve esserci e ciò non può essere relativo. Poi, tutto il suo brano è da leggersi come una critica al motto relativistico "everything goes".

3. Non spiega perché alcune teorie sono migliori di altre.
Qui ci ricolleghiamo al primo punto. Penso che Eco ti risponderebbe che comunque bisogna fare i conti con i vincoli che impone la realtà. E noi stiamo di volta in volta creiamo teoria sempre migliori, cioè teorie con minori punti di resistenza sulla realtà. Io credo che la concezione di Eco sia prima di tutto gnoseologica, cioè ci sta parlando dei limiti della nostra conoscenza della realtà, non di come la realtà è. Eco reinterpreta il fallibilismo e il falsificazionismo e li include nel suo realismo negativo. Il fatto dell'approssimazione alla verità credo sia da lui espressa quando dice "in the long run, alla fin fine, sia pure sempre parzialmente noi possiamo portare avanti la torcia della verità."


Citazione di: Apeiron il 20 Giugno 2018, 14:29:20 PM
Detto ciò. Torno nel mio silenzio.  ;D  

P.S.
Colgo l'occasione per chiedere scusa per aver interrotto così bruscamente la mia partecipazione alle discussioni forumistiche.  Purtroppo, in questo periodo non riesco a trovare il tempo per mettermi a discutere seriamente.
Mi unisco ad altri dicendoti che mi dispiace molto non averti con più presenza qui. Ma, purtroppo, anch'io in questo periodo fatico molto ad essere attivo sul forum.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: epicurus il 22 Giugno 2018, 11:15:26 AM
Citazione di: Phil il 21 Giugno 2018, 23:53:15 PMPer cui, anche se sembrerà forse fuori luogo (in un forum di "filosofi"), pongo questa domanda: al di fuori del settore scientifico e tecnico, quanto è davvero rilevante la verità (anche potendola trovare), se la storia dell'uomo la fanno, a quanto sembra, le interpretazioni e le verità "che hanno successo" (più di quelle verificate con assoluta accuratezza)?
Non intendo sostenere che non sia affatto importante accertarsi della verità, in ambito sociale o storico, ma solo notare come, a volte, la si rintraccia così in ritardo (la ricerca ha i suoi tempi) che non le si può più rendere adeguatamente giustizia, a causa di tutta "la storia degli effetti" che la non-verità ha già provocato (ormai il politico ha il suo posto in parlamento, ormai il gatto nero non è più un gatto qualunque e ormai Eva e Adamo hanno fatto un guaio sotto un melo...).
Ciao Phil, concordo con il tuo discorso. Ovviamente in prima analisi può shockare e disorientare notare come una falsità creduta vera possa avere importantissime e vastissime conseguenze. Ma, naturalmente, noi dobbiamo considerare, come giustamente fai anche tu, la componente performativa degli enunciati: con le parole, prima ancora di dire qualcosa, noi stiamo compiendo un atto nel mondo, con tutte le conseguenze del caso.

Quindi, a prescindere dalla verità o meno di un enunciato, le nostre parole hanno ovviamente conseguenze. John Austin fu il primo a sviluppare e sistematizzare questa concezione:
https://it.wikipedia.org/wiki/Atto_performativo
https://plato.stanford.edu/entries/speech-acts/
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: paul11 il 22 Giugno 2018, 14:15:12 PM
E' paradossale........
ma quando e dove risulta che Nietzsche abbia testualmente scritto"...la verità è finzione e tutto è interpretazione"?
Se qualcuno sa darmi l'indicazione ne sarei felice.
Se così non fosse risulterebbe ancora una volta che è stata messa in "bocca " a qualcuno, in questo caso Nietzsche, un'attribuzione deduttiva a sua volta interpretativa del pensiero di Nietzsche.
Quest'ultimo nel testo a cui fa riferimento U.Eco, ed è un testo gnoseologico od epistemologico qual dir si voglia, inizia col dire che
l'uomo utilizza la simulazione in quel misero intelletto, per far illudere lo stesso uomo di poter arrivare a capire una verità/realtà.
Mette in discussione il rapporto percettivo realtà/intelletto, mette in discussione il sistema linguistico e concettuale, tant'è che in sintesi sposa l'intuizione e non la logica, volge verso l'estetica. Essendo questo scritto circa del 1873 e sono solo nel decennio successivo i suoi
più acclamati scritti, dimostrano il motivo per cui utilizzerà la via dell'aforisma piuttosto della via concettuale nelle sue ,diciamo così ,tesi.
Per chiarezza, il sottoscritta non è un apologeta o un fan di Nietzsche.
Nietzsche non è un idealista, tutt'altro. L'idealismo oggi è cosa striminzita nel panorama culturale.
Non confonderei il criticismo di Kant con il successivo idealismo di Hegel.

Dal mio semplice balcone sul mondo ritengo che nessuna strada epistemologica può giungere all'episteme da sola.
Non può farlo la sola metafisica, nemmeno la scienza attuale, nemmeno la logica da sola, così come la filosofia del linguaggio, ma semmai tutte, nessuna esclusa, possono contribuire ad avvicinare  i due concetti di verità e realtà.

Più banalmente  e abbassando il livello culturale, il "sistema di credenza" è basato sull'autorità, autorevolezza, fiducia del "dicitore", da parte di colui che recepisce un messaggio, un evento, un'informazione.Sono i nostri genitori che da piccoli ci hanno detto che........
è la maestra, il professore che ci hanno insegnato che...........è il prete che ci ha detto che.......sono i telegiornali.....quel giornale o quella rivista importante che..........Tanto più è credibile il dicitore e tanto più è estensivo il messaggio recepito .Tanto più si ha fiducia del parlante e tanto più la credenza si salda in noi mentalmente.
E' altrettanto chiaro che un elemento di nuova informazione deve a sua volta avere una coerenza con le nostre preesistenti credenze.
"Gli ebrei mangiano i bambini"(si diceva anche dei comunisti.....) si scontra con la Torà che descrive le ritualità ,prescrizioni, comportamenti da tenere.
Quindi ci crede o chi ha un astio contro gli ebrei e nello stesso tempo non conosce la loro storia e costumi. 
Il ricevente deve quindi avere delle precondizioni di deficit culturale affinchè possa essere ricettivo un falso concetto una falsa notizia, ecc.

Nel marketing si divide la pubblicità del prodotto e quella del logo, del marchio societario.
Avere un marchio credibile e non "sputtanato", significa che i suoi prodotti sono attendibili
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: epicurus il 22 Giugno 2018, 15:09:50 PM
Ciao Paul,

non sono un intenditore di Nietzsche, tutt'altro, quindi non entro nella questione se Eco (o altri) lo abbiano interpretato correttamente o meno. Comunque, per completezza, inserisco qui di seguito il link al brano di Nietzsche a cui Eco si riferisce: Su verità e menzogna in senso extramorale.

Il brano è relativamente corto (poco più di 6 pagine), quindi si legge velocemente.  ;)
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: paul11 il 22 Giugno 2018, 16:29:05 PM
ciao Epicurus,
infatti avevo stampato e letto ieri il testo di Nietzsche; ho letto altri articoli di giornali di Umberto Eco nel periodo del neo realismo(non cinematografico), portato avanti qualche anno fa dal filosofo Ferraris, discepolo di Vattimo, e quest'ultimo prende le distanze dalla posizione del suo allievo ; infine ho letto un altrettanto articolo interessante di Severino(mi pare su Repubblica) dove racconta di uno scambi odi vedute ad una cena fra lui ,Eco e Ferraris.

Il grande problema epistemologico del rapporto o meglio relazione, fra nostra mente e realtà, con i relativi strumenti del linguaggio
sono tutt'ora in corso d'opera(è un'ovvietà la mia). Perchè,come sai, è difficile dire cosa significa oggettivamente realtà.La filosofia della mente. la soggettività, a sua volta è una problematica; infine il linguaggio che è lo strumento relazionale fra mente e oggetto(semiologia o semiotica, logica ,filosofia analitica o del linguaggio e chi come Nietzsche, ma non solo,  ci pone, anche e non solo, l'intuizione e quindi l'estetica.
Ci sono molte posizioni e "sottoposizioni" all'interno di stesse correnti di pensiero, e per quanto ne sappia ognuna ha delle sue buone ragioni  ma che da sole non reggono la sfida epistemologica.
Ne sappiamo di più oggi grazie agli effetti, non conoscendo tutt'ora le cause, intesa quest'ultima come"fenomenologia della mente umana".Si sa come "convincere" le persone, gli effetti psicologici testati. l'uso di simboli e parole e molto utilizzate nelle pratiche comunicative.
Il primo e vero enigma riguarda l'uomo "come è fatto".
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: sgiombo il 22 Giugno 2018, 17:06:38 PM
So di dire una cosa molto più semplice e banale della maggior arte delle delle considerazioni che sono già state proposte in questa discussione, ma secondo me

é ovvio che credenze false abbiano effetti reali, talora anche "pesanti", dal momento che credenze false che realmente accadano (il fatto che ci sia chi crede qualcosa di falso) sono fatti reali, interagenti causalmente con il resto della realtà.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 22 Giugno 2018, 22:17:37 PM
Esatto, per questo mi chiedevo quanto in fondo sia davvero rilevante la verità come informazione, se il suo fraintendimento (o la verità-realtà del suo essere negata, se preferisci) produce comunque effetti che possono essere superiori (quantitativamente e qualitativamente) a quelli della verità autentica. 
Il motto "la verità è ciò che si dice" credo possa essere interpretata in quest'ottica, ovvero "si fanno cose con le parole" parafrasando Austin (puntualmente citato da epicurus) più che "con la verità". Detto altrimenti, la "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte!) gadameriana è estranea a quella falsificazione dello "zoccolo duro" di cui parlava Eco, proprio perché le dinamiche sociali umane (non quelle della ricerca scientifica) possono essere alienate dalla verità senza subire contraccolpi o richiami del vero.
Il passaggio da "credenza falsa" al suo "effetto reale" è ovvio (come osservi) perché ricade nel nesso causale del tipo "ogni credenza (vera o falsa) produce effetti", il che conferma appunto la tesi che la verità non è poi così rilevante (storicamente ed esistenzialmente parlando), o lo è decisamente meno delle credenze in quanto tali.

Citazione di: paul11 il 22 Giugno 2018, 14:15:12 PME' paradossale........ ma quando e dove risulta che Nietzsche abbia testualmente scritto"...la verità è finzione e tutto è interpretazione"? Se qualcuno sa darmi l'indicazione ne sarei felice. Se così non fosse risulterebbe ancora una volta che è stata messa in "bocca " a qualcuno, in questo caso Nietzsche, un'attribuzione deduttiva a sua volta interpretativa del pensiero di Nietzsche.
Come hai osservato, è squisitamente ironico che in un topic su verità, finzione e interpretazione, una delle frasi cardine della questione risulti a sua volta oggetto di perplessità; lo ha detto davvero? Ormai è come se l'avesse fatto, e forse non importa neanche più... 

P.s.
Pare sia scritto nei "Frammenti postumi 1885-1887", p. 229.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: sgiombo il 23 Giugno 2018, 17:08:01 PM
In un impeto di "sfrenato ottimismo" (poco consono ai tempi assai grami in cui ci tocca di  viviere...) rileverei che la verità non é nemmeno necessariamente così irrilevante (storicamente ed esistenzialmente parlando), o non necessariamente sempre e comunque lo è decisamente meno delle credenze in quanto tali (fossero pure false).

Qualche volta, in una qualche misura (variabile al variare delle circostanze; ma generalmente nella misura in cui tende a smascherare le credenze false e sostituirle in quanto credenze reali) può anche darsi che sia più efficace delle credenze false.



...In questi tempo gramissimi, fra l' altro, la corporazione dei giornalisti al servizio di un potere sempre più impopolare e disumano (i cui miserabili fogliacci, se non fosse per le lautissime sovvenzioni sottratteci con le tasse -altro che i "forestali della Calabria" contro cui amano moralistcamente tuonare!- cioé se si sottoponessero alla logica del "mercaaaaaaaato", di cui si riempiono continuamente la bocca come le esercenti una certa antichissima professione se la riempiono spesso di qualcosa che non cito per non essere volgare, come peraltro dovrei, avrebbero tutti, nessuno escluso, chiuso i battenti da un bel pezzo) hanno la faccia di... (a-ri-autocensura) pretendere di censurare Internet (in cui almeno fra tante balle qualche verità ogni tanto trapela, contrariamente che sui loro abominevoli fogliacci...) con la oscena scusa delle "fake news" (in Italiano, da essi del tutto conseguentemente disprezzato: "bufale"; che non sarebbero naturalmente quelle dannosissime per la giustizia e per l' umanità da loro uniformemente propalate, come le famose "armi di distruzione di massa di Saddam", efficacemente servite a produrre centinaia di migliaia di morti di civili di tutte le età, o la tragicomica "strage di Timisoara" -la madre di tutte le moderne bufale- ecc., ecc.).



Compagni (mi rivolgo ai non molti che la pensano ancora come me e come me ammirano tantissimo e rimpiangono, fra gli altri, Robespierre e Stalin, chiedendo scusa ai tantissimi altri frequentatori del forum), dobbiamo stare al passo coi tempi:

"Con le budella del' ultimo giornalista impiccheremo l' ultimo manager (meglio se "bocconiano", della "London School of Ecomomy" o così via succhiando il sangue al popolo)!"


Per chi non la conoscesse:

https://www.youtube.com/watch?v=ziAJcO6QnIg
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: paul11 il 23 Giugno 2018, 23:58:31 PM
resistere Sgiombo................una vita di resistenza.

Citazione di: Phil il 22 Giugno 2018, 22:17:37 PMCome hai osservato, è squisitamente ironico che in un topic su verità, finzione e interpretazione, una delle frasi cardine della questione risulti a sua volta oggetto di perplessità; lo ha detto davvero? Ormai è come se l'avesse fatto, e forse non importa neanche più... P.s. Pare sia scritto nei "Frammenti postumi 1885-1887", p. 229.

Vero, ormai comunque sia è in "bocca" a Nietzsche e questo è un paradosso per Nietzsche e per chi lo studia.
Grazie per il suggerimento e adatto che sono un pignolo in fatto di ricerche,
ho cercato di tradurre dal tedesco cercando il termine "interpretationen" nei "Frammenti postumi".

NIETZSCHE- FRAMMENTI POSTUMI

(ricerca con il termine"interpretationen" nei frammenti postumi)

NF-1885,2 [108] - Frammenti postumi Autunno 1885 - Autunno 1886.
2 [108] Che il valore del mondo risieda nella nostra interpretazione (che forse altre interpretazioni sono possibili di quelle meramente umane) che le interpretazioni finora sono stime prospettiche, in virtù delle quali siamo nella vita, cioè nella volontà di potenza, di ricevere la crescita di potere, che ogni esaltazione degli uomini è il superamento di interpretazioni più ristrette, significa che ogni guadagno e l' espansione di potere che ne deriva solleva nuove prospettive e significa credere in nuovi orizzonti - questo passa attraverso i miei scritti.
Il mondo che ci riguarda è sbagliato, cioè non è un'esistenza fattuale, ma una poesia e un arrotondamento su una magra somma di osservazioni; è "nel fiume", come qualcosa che diventa, come una menzogna sempre mutevole che non si avvicina mai alla verità: perché non c'è "verità".

NF-1885,2 [109] - Frammenti postumi Autunno 1885 - Autunno 1886.
2 [109] L'"insensatezza degli eventi": la convinzione è il risultato di una visione della falsità di precedenti interpretazioni, una generalizzazione di impotenza e debolezza – nessuna fede necessaria. Presunzione dell'uomo: dove non vede il significato di negarlo!

NF-1885,2 [131] - Frammenti postumi Autunno 1885 - Autunno 1886.
Rousseau, la scienza dopo l'idealismo romantico spinozismo molto influente: 1) il tentativo di accontentarsi del mondo così com'è 2) la felicità e la conoscenza ingenuamente dipendenti (è l'espressione di una volontà di essere ottimisti, che tradisce una sofferenza profonda -) 3) tentativo di sbarazzarsi dell' ordine morale di "Dio", un mondo esistente prima della ragione ... "Quando l'uomo non si considera più malvagio smette di essere -" il bene e il male sono solo interpretazioni, e certamente non un fatto, non in se stesse. Si può venire dopo l'origine di questo tipo di interpretazione; Si può tentare di liberarsi dalla necessità radicata di interpretare moralmente, di liberarsi lentamente.

NF-1885,2 [185] - Frammenti postumi Autunno 1885 - Autunno 1886.
2 [185] (47) "Noi Immoralisti" veri critici all' ideale morale – l'uomo buono, il santo, il saggio - da diffamare le cosiddette cattive qualità – qual è il significato delle diverse interpretazioni morali? - Qual è il pericolo dell'interpretazione ora prevalente in Europa? - qual è la misura di ciò che può essere misurato?

NF-1886.7 [60] - Frammenti postumi Fine del 1886 - Primavera del 1887.
[60] Contro il positivismo, che si ferma al fenomeno, "ci sono solo fatti", direi: no, precisamente non esistono fatti , solo interpretazioni.Non possiamo trovare un fatto "in sé": forse è una sciocchezza voler qualcosa del genere. "È tutto soggettivo", tu dici: ma anche quella è interpretazione, il "soggetto" non è dato, ma qualcosa di aggiunto-fittizio, dietro di esso. Alla fine è necessario mettere l'interprete dietro l'interpretazione?


Rimango del mio parere, il modo di esprimersi di Nietzsche è come se fosse in "sospensione"; c'è il concetto, l'anti concetto, c'è estetica, e anti estetica, spiritualità ed emozione e anti spiritualità e e anti emozione.
Rimane ne dominio dell'ambigua(nel senso che vi sono più descrizioni e definizioni) concettualità, è anticitazionale perchè Nietzche, e quì rimane nel paradosso, può solo essere  
a sua volta interpretato.E' dentro un sistema a specchi
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 24 Giugno 2018, 10:30:48 AM
Citazione di: paul11 il 23 Giugno 2018, 23:58:31 PM
Rimango del mio parere, il modo di esprimersi di Nietzsche è come se fosse in "sospensione"; c'è il concetto, l'anti concetto, c'è estetica, e anti estetica, spiritualità ed emozione e anti spiritualità e e anti emozione.
Rimane ne dominio dell'ambigua(nel senso che vi sono più descrizioni e definizioni) concettualità, è anticitazionale perchè Nietzche, e quì rimane nel paradosso, può solo essere  
a sua volta interpretato.E' dentro un sistema a specchi


Ringrazio innanzitutto Paul11 per aver postato queste interessanti annotazioni sul celebre detto di Nietzsche
(o, a questo punto, a lui da sempre e comunemente attribuito).
Sono molto d'accordo con le parole finali di Paul, che metto in citazione. E, del resto, se ogni cosa che
esiste è interpretazione come non potrebbe esserlo anche quel detto (se non esiste il fatto non esiste neppure
il fatto costituito da questa affermazione, insomma)?
Mi sembra d'altronde che lo stesso Nietzsche lo dica chiaramente...
Dunque, sì, una considerazione tutto sommato banale. Ma è, se ci pensiamo, la medesima considerazione che viene
fatta, comunemente, a proposito del "relativo" e dell'"assoluto" (esiste solo il relativo).
Quindi, e su questo punto riprendo un pò Severino, trovo qui necessario mettere in rilievo il fatto (...) che
l'enunciazione di Nietzsche, laddove non voglia essere "ingenua", predichi, diciamo così, lo "status" di
interpretazione per... tutto fuorchè per se stessa.
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 24 Giugno 2018, 11:25:51 AM
Citazione di: paul11 il 23 Giugno 2018, 23:58:31 PM
NF-1885,2 [108] - Frammenti postumi Autunno 1885 - Autunno 1886.
Il mondo che ci riguarda è sbagliato, cioè non è un'esistenza fattuale, ma una poesia e un arrotondamento su una magra somma di osservazioni; è "nel fiume", come qualcosa che diventa, come una menzogna sempre mutevole che non si avvicina mai alla verità: perché non c'è "verità".
Affermazione molto disincantata e, nei limiti nietzschiani, quasi lapidariamente chiara (se fossimo al bar, si direbbe che "fa scopa" con il motto su fatti e interpretazioni). Concordo con lui (senza voler cavillare troppo sul senso di "osservazioni").

Citazione di: paul11 il 23 Giugno 2018, 23:58:31 PM
NF-1886.7 [60] - Frammenti postumi Fine del 1886 - Primavera del 1887.
[60] Contro il positivismo, che si ferma al fenomeno, "ci sono solo fatti", direi: no, precisamente non esistono fatti , solo interpretazioni.Non possiamo trovare un fatto "in sé": forse è una sciocchezza voler qualcosa del genere. "È tutto soggettivo", tu dici: ma anche quella è interpretazione, il "soggetto" non è dato, ma qualcosa di aggiunto-fittizio, dietro di esso. Alla fine è necessario mettere l'interprete dietro l'interpretazione?
Che il dominio dell'interpretazione sui fatti e che persino il soggetto interpretante siano solo un'interpretazione, è un'ulteriore dimostrazione (e non, come spesso si dice, una confutazione) della coerenza del ritenere possibili solo interpretazioni.
Sarebbe contraddittorio se Nietzsche avesse scritto "la verità assoluta è che tutto è interpretazione"; sostenere invece che "tutto è soggettivo" è comunque un'interpretazione e che anche il soggetto è "fittizio"(cit.), significa dare dimostrazione logica dell'egemonia della interpretazione (che può gaiamente prescindere dalla verità dei fatti, come si diceva nei post precedenti...).

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Giugno 2018, 10:30:48 AM
Dunque, sì, una considerazione tutto sommato banale. Ma è, se ci pensiamo, la medesima considerazione che viene
fatta, comunemente, a proposito del "relativo" e dell'"assoluto" (esiste solo il relativo).
Quindi, e su questo punto riprendo un pò Severino, trovo qui necessario mettere in rilievo il fatto (...) che
l'enunciazione di Nietzsche, laddove non voglia essere "ingenua", predichi, diciamo così, lo "status" di
interpretazione per... tutto fuorchè per se stessa.
Se affermasse ciò, sarebbe logicamente contraddittoria e filosoficamente ingenua.
Come accennavo, la coerenza sta invece proprio nel dire "tutto è interpretazione (o relativo o altro) compreso ciò che dico e compreso chi lo dice".
Ciò "suona male" solo se si ricercano valori assoluti (ma allora si è fuori contesto qui); d'altronde, cercare l'assolutezza in posizioni relativiste non può che essere fallimentare  ;)


P.s.
Mi accodo ai ringraziamenti a epicurus e paul11 per aver riportato testi interessanti.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 24 Giugno 2018, 13:59:00 PM
Citazione di: Phil il 24 Giugno 2018, 11:25:51 AM

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Giugno 2018, 10:30:48 AM
Dunque, sì, una considerazione tutto sommato banale. Ma è, se ci pensiamo, la medesima considerazione che viene
fatta, comunemente, a proposito del "relativo" e dell'"assoluto" (esiste solo il relativo).
Quindi, e su questo punto riprendo un pò Severino, trovo qui necessario mettere in rilievo il fatto (...) che
l'enunciazione di Nietzsche, laddove non voglia essere "ingenua", predichi, diciamo così, lo "status" di
interpretazione per... tutto fuorchè per se stessa.
Se affermasse ciò, sarebbe logicamente contraddittoria e filosoficamente ingenua.
Come accennavo, la coerenza sta invece proprio nel dire "tutto è interpretazione (o relativo o altro) compreso ciò che dico e compreso chi lo dice".
Ciò "suona male" solo se si ricercano valori assoluti (ma allora si è fuori contesto qui); d'altronde, cercare l'assolutezza in posizioni relativiste non può che essere fallimentare  ;)


P.s.
Mi accodo ai ringraziamenti a epicurus e paul11 per aver riportato testi interessanti.






Mah, non saprei. A me filosoficamente ingenua mi sembra l'affermazione: "tutto è interpretazione (compreso
ciò che dico e compreso chi lo dice)".
Se vado a rivedere ciò che dice Nietzsche in un altro dei "Frammenti": "nell'eterno fluire delle cose di
nulla potremmo dire che è (se lo diciamo è così, per vivere)", mi sembra palesarsi che quell'"è" fra "tutto"
e "interpretazione" è, sì, una finzione; ma una finzione necessaria, senza la quale cioè non potremmo dire
proprio nulla di nulla.
In altre parole, il Nietzsche che "dice" ("tutto è interpretazione") è un Nietzsche che, e per sua stessa
ammissione, finge. E NELLA finzione, abbiamo visto necessaria, è presente la relazione con un assoluto "finto"
quanto si vuole ma, appunto, necessario anch'esso.
Chiaramente siamo, come dire, abbondantemente nel contorto; nell'onanismo mentale vero e proprio.
Ma, ritengo, è il prezzo da pagare al linguaggio. Alla sua struttura assoluta; al suo "costruire" la realtà
e le cose SU se stesso (non il contrario, come verrebbe da pensare), come mi pare ti accennavo altrove.
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 24 Giugno 2018, 15:08:49 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Giugno 2018, 13:59:00 PM
Mah, non saprei. A me filosoficamente ingenua mi sembra l'affermazione: "tutto è interpretazione (compreso
ciò che dico e compreso chi lo dice)".
Non colgo l'ingenuità: se tutto (ogni suo elemento) è x, e io faccio parte del tutto, anche io devo essere x.
Se tutto è x, tranne me, si pone il problema di spiegare perché e come: o non faccio parte del tutto, oppure, pur facendone parte, non sono x.
E qui si può cadere nell'ingenuità filosofica del ritenersi "a parte", di (auto)concedersi una deroga dalla regola generale, solo per salvaguardare la propria posizione (come il maestro che dice "vietato parlare in classe!", parlando in classe, perché lui può ;) ).

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Giugno 2018, 13:59:00 PM
il Nietzsche che "dice" ("tutto è interpretazione") è un Nietzsche che, e per sua stessa
ammissione, finge.
"Finge" o "interpreta"?
Fingere significa simulare una verità, ovvero spacciare per tale ciò che non lo è; interpretare invece non è, per definizione, negare la verità.
Anche perchè, per parlare a ragione di "interpretazione falsa", dovremmo poter usare la verità come pietra di paragone; tuttavia non avendola (al netto della falsificazione empirica nell'uso degli enti spiegato da Eco), ecco che ci ritroviamo molteplici interpretazioni, solo interpretazioni. A questo punto il fingere, come negazione-della-verità, perde di senso (non conoscendo con certezza la verità).
La conseguenza, come ben osservi, è che la necessità pragmatico-esistenziale di parlare, agire, etc. ci porta ad usare (solo) interpretazioni, rendendo (quasi) irrilevante quale sia (e se sia) la verità.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 14:11:46 PM
(Perdonami Phil, ma impegnato in altre discussioni non avevo notato questa tua risposta).
A me l'ingenuità sembra risiedere nel fatto che si "apra" alla possibilità che anche l'affermazione: "tutto
è interpretazione" sia, appunto, un'interpretazione.
E la medesima cosa (ora non ricordo se l'ho già detta, nel caso scusamene) che Severino dice a proposito
del "tutto è relativo": tutto è relativo FUORCHE' questa affermazione (o altrimenti anche questa affermazione
sarebbe relativa, cioè si porrebbe al medesimo livello di legittimazione di qualsiasi altra).
In altre parole, quando dico: "tutto è interpretazione" affermo un qualcosa di cui "credo" la verità. E su
quale base potrei crederla se non su una base che così recita: "è assolutamente vero che tutto
è interpretazione" (è assolutamente vero che tutto è relativo)?
Per il resto, io credo che Nietzsche finga. Finge appunto perchè dice: "nell'eterno fuire delle cose di
nulla potremmo dire che è (se lo diciamo è così, per vivere)".
In Nietzsche è cioè evidente il carattere utilitaristico ("così, per vivere") del tempo presente del verbo
"essere" (e direi dell'intero linguaggio). Una declinazione che, nell'eterno e continuo divenire, o fluire,
delle cose non potrebbe aver luogo (come potrebbe, qualcosa, "essere" anche un solo istante laddove invece
muta costantemente?)
Da questo punto di vista, a me sembra che Nietzsche ci voglia dire che, nel divenire delle cose, solo il
silenzio più totale sarebbe "logico". Per cui sì, a mio parere Nietzsche letteralmente "spaccia" per verità
ciò che egli stesso ammette non essere verità (tutto E' interpretazione); ma d'altronde, ci fa sapere,
nemmeno l'affermazione contraria (non tutto E' interpretazione - esistono i fatti) sfugge a questa stessa
logica (nulla vi sfugge, perchè "vero" e logico è solo il silenzio).
Il suo "tutto è interpretazione" si situa allora ad un livello, diciamo, "linguistico" in cui la finzione è
assunta come necessaria (come non potrebbe esserlo?). A questo livello, la finzione è già, come dire,
assimilata, contemplata nel "già pensato", in parole povere nella necessità che così sia (e che non possa
essere diversamente).
E' DA questo livello in poi che, a parer mio, comincia l'interpretazione.
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 01 Luglio 2018, 15:01:45 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 14:11:46 PM
In altre parole, quando dico: "tutto è interpretazione" affermo un qualcosa di cui "credo" la verità. E su
quale base potrei crederla se non su una base che così recita: "è assolutamente vero che tutto
è interpretazione" (è assolutamente vero che tutto è relativo)?
(sottolineatura mia) Terrei ben distinti il "credere" (soggettivo) e l'"esser vero" (che si vorrebbe oggettivo): "credo che tutto sia interpretazione" o "la mia interpretazione è che tutto sia interpretazione" non equivale a "è assolutamente vero che tutto è interpretazione".
Le prime due frasi (auto)confermano l'ipotesi (non la certezza) che tutto sia interpretazione, senza creare meta-livelli veritativi; la terza frase invece si pone su un (meta)piano veritativo, piano che è tutto da fondare logicamente e da dimostrare epistemologicamente.

L'ingenua critica al relativismo (non solo di Severino) funziona dall'esterno: si presuppone a priori una verità assoluta, si rivolge poi lo sguardo al relativismo, e la si individua in quel motto (non trovando di meglio...). Il punto è che il relativismo, dal suo interno, non presuppone affatto una verità assoluta, per cui se essa viene imposta surrettiziamente dall'esterno, inevitabilmente, non funziona
Come accennavo:
Citazione di: Phil il 24 Giugno 2018, 11:25:51 AM
la coerenza sta invece proprio nel dire "tutto è interpretazione (o relativo o altro) compreso ciò che dico e compreso chi lo dice".
Ciò "suona male" solo se si ricercano valori assoluti (ma allora si è fuori contesto qui); d'altronde, cercare l'assolutezza in posizioni relativiste non può che essere fallimentare

Sarebbe come se un credente desse per necessaria a priori l'esistenza di un dio, si rivolgesse poi all'ateismo, e pensasse che la divinità di quella prospettiva (visto che per lui deve essercene sempre una) sia il Nulla, e infine concludesse che l'ateismo è contraddittorio perché sostiene che non esistono divinità tranne la sua, il Nulla.
Con il relativismo accade spesso la stessa (impropria) dinamica esegetica, solo che al posto della divinità c'è la verità assoluta  ;)


Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
Citazione di: Phil il 01 Luglio 2018, 15:01:45 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 14:11:46 PM
In altre parole, quando dico: "tutto è interpretazione" affermo un qualcosa di cui "credo" la verità. E su
quale base potrei crederla se non su una base che così recita: "è assolutamente vero che tutto
è interpretazione" (è assolutamente vero che tutto è relativo)?
(sottolineatura mia) Terrei ben distinti il "credere" (soggettivo) e l'"esser vero" (che si vorrebbe oggettivo): "credo che tutto sia interpretazione" o "la mia interpretazione è che tutto sia interpretazione" non equivale a "è assolutamente vero che tutto è interpretazione".
Le prime due frasi (auto)confermano l'ipotesi (non la certezza) che tutto sia interpretazione, senza creare meta-livelli veritativi; la terza frase invece si pone su un (meta)piano veritativo, piano che è tutto da fondare logicamente e da dimostrare epistemologicamente.

L'ingenua critica al relativismo (non solo di Severino) funziona dall'esterno: si presuppone a priori una verità assoluta,



Allora Phil, mi sembra che il tuo ragionamento suoni così: "credo sia tutto interpretazione ma non escludo
la possibilità che così non sia".
Ora, qual'è la base, il fondamento di questa ipotesi? In altre parole: su cosa credi sia tutto
interpretazione e su cosa ritieni esista la possibilità (reale o logica che sia) che non lo sia?
Mi sembra che, insomma, anche il tuo ragionamento implichi dei "meta-livelli veritativi" (e mi sembra
non esista la possibilità che così non sia).
Sottolinei giustamente che il "credere" è soggettivo e l'"essere vero" oggettivo (si vorrebbe). Ma
come posso conoscere le cose, quindi il mondo oggettivo, se non attraverso il soggettivo (cioè
attraverso il "credere")?
Ecco allora che il "credere", nel linguaggio, non può che assumere connotazioni oggettive (tanto
che non è una assurdità il dire: "credo sia assolutamente vero che...").
Tutto il mio discorso è in sostanza rivolto ad una "ricerca" (che ammetto faticosa) del carattere
necessariamente assoluto DEL LINGUAGGIO (non delle cose). Per cui non si supporrebbe a-priori una
verità assoluta (cioè con atto volontario), ma tale verità sarebbe già per così dire "inscritta"
nel linguaggio.
Da un certo punto di vista ed in definitiva mi sembrerebbe logico dire: "io non so se tutto sia
interpretazione o meno (come non so niente di niente)".
E comunque voglio ringraziarti della pazienza (oltre che dell'acume) che hai nel rispondere a
questi miei "contorcimenti mentali",
saluti e stima.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: viator il 03 Luglio 2018, 15:57:35 PM
Salve. L'interpretazione è la realtà. La verità è solo il nostro desiderio che l'interpretazione sia vera.
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Phil il 03 Luglio 2018, 16:58:45 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
Allora Phil, mi sembra che il tuo ragionamento suoni così: "credo sia tutto interpretazione ma non escludo
la possibilità che così non sia".
Ora, qual'è la base, il fondamento di questa ipotesi? In altre parole: su cosa credi sia tutto
interpretazione e su cosa ritieni esista la possibilità (reale o logica che sia) che non lo sia?
Il propendere per un'interpretazione non definitiva, secondo me, potrebbe essere dovuto all'incapacità (per adesso e fino a prova contraria) di trovarne una che non si riveli solo interpretazione, bensì verità (e quindi falsifichi tutte le altre interpretazioni fallaci). Se poi tale verità ci sia e sia individuabile, è un postulato sicuramente discutibile (ma non qui ed ora, direi...).
Se chiedessimo a Nietzsche di attribuire un valore di verità logico (V, F o altro) alla frase "ci sono solo interpretazioni", lui (suppongo) direbbe "vero", ma si tratterebbe della verità di un'affermazione, non di un assioma. La differenza logica e fondazionale è proprio questa; è la stessa differenza (esempi sciocchi, ma spero chiari) fra "il male esiste" (assioma etico-religioso), "per un punto passano infinite rette" (assioma matematico) e "per me domani piove" (affermazione vera, poiché è vero che per me domani piove, ma è comunque falsificabile). Tre frasi vere (la prima la condoniamo ;D ), ma la verità dell'ultima è meno "forte" delle altre, perchè è la verità di un'interpretazione di uno stato di cose (del cielo, dell'igrometro o altro).
Parimenti, sostenere che "non ci sono fatti, ma solo interpretazioni" sia essa stessa un'interpretazione, significa confinare la verità di tale assunto nella verità debole del "secondo me domani piove", senza farne un'assioma (che produrrebbe il famigerato meta-livello veritativo, per scongiurare l'autoconfutazione).

Non è quindi "per partito preso", per una meta-verità sempre già assunta a priori, che si può (non "deve") sostenere che "la frase x è un'interpretazione del fatto y"; non può infatti essere escluso, in teoria, che ci si imbatta in affermazioni che non siano solo un'interpretazione (ad esempio, ripescando il testo di Eco già citato, nella sua interpretazione ci sono numerosi casi che fanno eccezione, quelli in cui parlava di "zoccolo duro" della realtà).


Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
Sottolinei giustamente che il "credere" è soggettivo e l'"essere vero" oggettivo (si vorrebbe). Ma
come posso conoscere le cose, quindi il mondo oggettivo, se non attraverso il soggettivo (cioè
attraverso il "credere")?
Ecco allora che il "credere", nel linguaggio, non può che assumere connotazioni oggettive (tanto
che non è una assurdità il dire: "credo sia assolutamente vero che...").
In fondo l'autentico "oggettivo", per me, va pensato solo come noumenico, non perfettamente conoscibile, ma asintoticamente approssimabile. Non conosco mai la fantomatica "cosa in sè", ma sempre solo il suo manifestarsi (prospettico) a me e per me (Husserl docet). Banalmente: la percezione non è il percepito, e il percepito non è assoluto(sciolto) rispetto alla struttura pecettiva, quindi il percepito non è mai assolutamente oggettivo, dunque non può essere l'oggetto in sè.

Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
Tutto il mio discorso è in sostanza rivolto ad una "ricerca" (che ammetto faticosa) del carattere
necessariamente assoluto DEL LINGUAGGIO (non delle cose). Per cui non si supporrebbe a-priori una
verità assoluta (cioè con atto volontario), ma tale verità sarebbe già per così dire "inscritta"
nel linguaggio.
Concordo, il linguaggio si vuole assoluto (quel "si" è riflessivo), si presenta come tale; e per questo si condanna ad uno strutturale scollamento minimo dalla presunta oggettività (che si vorrebbe indipendente dal soggetto che usa il linguaggio, in una impossibile "prospettiva senza osservatore").

Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
E comunque voglio ringraziarti della pazienza (oltre che dell'acume) che hai nel rispondere a
questi miei "contorcimenti mentali"
Il ringraziamento è onestamente reciproco  :)
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 15:58:43 PM
Dunque mi par di capire tu propenda per un "falsificazionismo" alla Popper, insomma?
Sì, devo dire che la cosa mi appare plausibile. Senonchè, penso, siamo costretti ad assumere una certa cosa
per "vera" (anche se "fino a prova contraria"), ed in questo ritengo consista quell'assolutezza del
linguaggio di cui dicevo (Kant afferma che l'"io penso" sia l'"unità originaria dell'appercezione", ma mai
discorreremmo sempre premettendolo - aggiungo io).
Altrettanto plausibile mi sembra il riferimento a verità, o falsità, "forti o deboli" (il discorso sul "realismo
negativo" di Eco mi appare assai convincente).
Mi sembra resti assai poco da dire. Per quanto mi riguarda adesso vedo quelle affermazioni di Severino sotto
una luce diversa, e non posso più dire di essere "assolutamente" d'accordo...
Concludo ringraziandoti nuovamente e complimentandomi con te.
saluti
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 19:01:59 PM
EPICURUS
L'uccello o l'insetto percepiscono il mondo in un modo diverso dal nostro, e non ha senso dire quale delle percezioni sia la piú giusta,

CARLO
Hai un solo motivo per pensare che il diverso modo in cui un uccello o un lemure percepisce il mondo, CONTRADDICA il modo in cui lo percepisce la nostra conoscenza?

EPICURUS
A questo punto per Nietzsche la verità è solo «un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi» elaborati poeticamente, e che poi si sono irrigiditi in sapere, «illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria»,

CARLO
Anche la conoscenza pre-scientifica era «un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi» elaborati poeticamente. Nietzsche ci spiega le ragioni per le quali la conoscenza scientifica, pur essendo anch'essa «un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi» elaborati poeticamente, si è rivelata incommensurabilmente più efficace e dirompente della precedente, tanto da indurci a parlare di "rivoluzione scientifica"?
O forse si è solo limitato, come fai tu nei tuoi prolissi e inargomentati comizi, ad aprire bocca e darle fiato?
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: 0xdeadbeef il 12 Luglio 2018, 21:07:58 PM
A Carlo Petrini
Quelle cose non le ho scritte io, quindi chiedine conto a qualcun'altro.
Piuttosto, hai notato che su questo post contraddico Nietzsche e il detto di Eco ("la verità è ciò che si dice")?
O devo fartelo notare io?
saluti, buontempone....
Titolo: Re:La verità è ciò che si dice
Inserito da: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 21:32:51 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 12 Luglio 2018, 21:07:58 PM
A Carlo Petrini
Quelle cose non le ho scritte io, quindi chiedine conto a qualcun'altro.
Piuttosto, hai notato che su questo post contraddico Nietzsche e il detto di Eco ("la verità è ciò che si dice")?
O devo fartelo notare io?
saluti, buontempone....

CARLO
...Azz... scusa! Epicurus è il colpevole!
Comunque mi chiamo Pierini, non Petrini. 1 a 1!   ;D