Ho sempre considerato (sia pur non condividendolo o forse comprendendolo del tutto....) affascinante il pensiero del poeta Giacomo Leopardi, soprattutto ritengo che la sua statura filosofica sia da approfondire e sia stata sottovalutata. La filosofia di Leopardi, così come ci è stata tramandata dai testi scolastici, si basa sul concetto secondo cui ogni essere umano (o in generale essere vivente) tende istintivamente al piacere, alla felicità, ma si tratta di una felicità senza limiti nel tempo e nello spazio. Ora, il gravissimo problema consiste nel fatto che tutti i piaceri della vita sono invece FINITI, hanno un termine nel tempo e sono limitati nello spazio, di conseguenza l'uomo è condannato ad un'infelicità costante; di fatto per Leopardi il piacere è una somma illusione, poiché in realtà si tratta sempre o di un ricordo di una felicità provata in passato o dell'attesa di una felicità che verrà in futuro, per cui metaforicamente il sabato che preannuncia la festa è per il poeta ben più piacevole della domenica stessa. Il piacere è come un fantasma che ci sembra reale e vivo ma in realtà non c'è MAI! Tali concetti sono espressi nello Zibaldone e in maniera sistematica nelle Operette morali, un tipo di prosa spesso molto vicino alla poesia.
Ora mi chiedo: è proprio vero che il raggiungimento della felicità sia l'unico fine per cui la vita è degna di essere vissuta, tale che se non viene raggiunto la vita stessa è priva di valore? Inoltre Leopardi usa spesso il termine Nulla, egli afferma che tutte le cose vengono dal nulla e ad esso ritornano, ma poi egli dice che questo nulla è l'essenza stessa della vita. Non è chiaro però che cosa egli intenda con questo termine, infatti esso sembra essere considerato da Leopardi stesso in due accezioni: A) Nulla come NON-essere; B) Nulla come MALE, come senso di angoscia e di vuoto, equiparabile quindi al concetto di noia. Le due diverse accezioni sono inoltre ben poco sovrapponibili, tali quindi da generare una notevole ambiguità. Inoltre è opportuno precisare come la filosofia leopardiana entri in crisi se si considera come felicità e piacere non siano la stessa cosa: si può infatti provare godimento fisico ma essere infelici dentro, mentre si possono avere molti problemi ma essere comunque felici perché si crede in un ideale, in una fede religiosa o umana, e quindi pur nel dolore si prova comunque un senso di utilità e di realizzazione.
Inoltre nel caso della passione amorosa effettivamente si può dire come due amanti, quando raggiungono una profonda comunione e fusione dell'uno nell'altra, provino qualcosa che va oltre il tempo e lo spazio, quella felicità indefinita appunto che Leopardi vedeva come chimera: di conseguenza sembrerebbe si possa, nel pessimismo leopardiano, individuare un'eccezione nel panorama desolante dei piaceri negati. Ovviamente terminati quei momenti tutto torna come prima, ma mi sembra veramente arduo ritenere che anche la felicità derivata dall'amore sia così illusoria. Secondo voi le mie critiche a Leopardi sono fondate o l'impianto filosofico del poeta resta comunque valido?
Secondo me il pensiero di leopardi può esser vero e condivisibile fino a un certo punto.
Dal mio punto di vista, considerare tutta l'esistenza basata sul piacere (inteso come unico movente) e che questa poi si vada pure riconfigurando sostanzialmente con la felicita e' molto fallace e riduttivo
E se più che essere istintivamente portati al piacere (o non solo quello) non vi sia anche una propensione, sia pure più nascosta ma ancora più potente a trovare invece un equilibrio e/o una permanenza?
infatti (e tra parentesi) siamo talmente abituati all'agitazione, al "fare"..che difficilmente ce ne rendiamo più conto..
cosi mi sembra altrettanto ovvio che leopardi (e con lui, almeno in tal senso, tutto il pensiero occidentale) arrivi conseguentemente a considerare la cosiddetta felicita una chimera..tante' vero che la felicita, tra l'altro, non la puoi inseguire, questa finira sempre per sfuggire..
E dunque cosa sarebbe equilibrio/permanenza?...
be in poche parole esattamente il contrario di quanto sopra o forse in altri termini e solo apparentemente paradossali,nella sua .. assenza
che riprendendo il "nulla" o il NON ESSERE, non e' il male, il senso di vuoto cosi come lo intendeva (?) leopardi ma la fonte stessa di Tutto...insomma sta più "vicino" di quanto possiamo immaginare (o di quanto ci e' stato ripetutamente ed erroneamente inculcato...un mondo decisamente schizzato per non arrivare facilmente a comprenderlo :) )
Leopardi insieme a Nietzche è il pensatore più grande che la storia ci ha consegnato.
Ma infatti anche per Leopardi l'amore è una forza in grado di piegare per un attimo le maglie della gerarchia naturale, in alcuni momenti, e in particolare nella Ginestra, egli sembra vicino nel credere che questo squarcio temporale, sia destinabile come apertura dello spazio della speranza.
Ma è solo un attimo, mi dice un amico addetto ai lavori, che nelle ultime pagine dello Zibaldone (in cui è contenuta la filosofia grande del Maestro) egli torni alla nuda constatazione che ogni pensiero positivo sia solo una fantasma, destinato a schiantarsi contro la morte, la noia, la vecchiaia.
L'uomo è destinato a fare i conti con questo destino, Leopardi è il portatore fiero di vedere il Mondo quale esso è, e non tale quello che noi sognamo esso sia.
La poesia all'interno di un Mondo sognato, non avrebbe senso. La poesia è il dicibile ultimo con cui l'uomo indica una dimensione originaria a cui l'uomo tende, ma entro cui mai può navigare.
Vedi in particolare "L'infinito".
Dunque la critica che fai è senz'altro errata, Leopardi non nega affatto una dimensione trascendente del mondo, semplicemente egli fa notare che questa dimensione è all'interno di questo mondo, e perciò è una dimensione fantasmatica, illusoria, che produce le più efferate considerazioni non solo private ma anche pubbliche, quando venga scambiata per verità.
Secondo me le tue critiche verso la concezione filosofica di Leopardi non sono fondate.
In effetti nella poetica leopardiana il tema principale è l'infelicità di fondo. Perciò la distinzione tra piacere e felicità è irrilevante e l'amore non è libero dalla catena dell'illusione.
La riflessione filosofica di Leopardi non è un impianto chiuso e coerente. Il materialismo entropico del Cantico del gallo silvestre è ben diverso dal materialismo eterno del Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco: nel secondo caso, che condivido, il nulla non esiste. Anche la reazione all'infelicità è ben diversa nella chiusa finale del Dialogo di Plotino e di Porfirio, che condivido, da quella del Dialogo di Tristano e di un amico. Considero comunque sbagliato l'accostamento tra Leopardi e il nichilismo.
Citazione di: baylham il 16 Gennaio 2019, 11:05:48 AM
Secondo me le tue critiche verso la concezione filosofica di Leopardi non sono fondate.
In effetti nella poetica leopardiana il tema principale è l'infelicità di fondo. Perciò la distinzione tra piacere e felicità è irrilevante e l'amore non è libero dalla catena dell'illusione.
La riflessione filosofica di Leopardi non è un impianto chiuso e coerente. Il materialismo entropico del Cantico del gallo silvestre è ben diverso dal materialismo eterno del Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco: nel secondo caso, che condivido, il nulla non esiste. Anche la reazione all'infelicità è ben diversa nella chiusa finale del Dialogo di Plotino e di Porfirio, che condivido, da quella del Dialogo di Tristano e di un amico. Considero comunque sbagliato l'accostamento tra Leopardi e il nichilismo.
Non so bene di cosa tu stia parlando non conosco quei pezzi che citi, non sopporto viceversa chi vuol far credere che in Leopardi non esista un pensiero di fondo coerente e unitario
Mi par di capire che tu lo veda come un materialista, evidentemente non ha mai letto l'infinito o la Ginestra.
Per quanto riguarda il nichilismo sono d'accordo, d'altronde non so bene cosa significhi nichilismo per te.
La svalutazione di tutti i valori, è una semplice ricostruzione storica della morale. Anche Leopardi era in grado di riesumarla.
Ma infine ti prego di approfondire, perchè mi interessa, essendo un autore ai margini del mio ricercare, e a cui dedico troppo poco spazio.
nb
La noia e la malattia e la morte non sono il nulla comunque, non capisco il tuo travisamento.
Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2019, 10:05:09 AM
Mi par di capire che tu lo veda come un materialista, evidentemente non ha mai letto l'infinito o la Ginestra.
Spericolatissima e del tutto insostenibile acrobazia filologica o ermeneutica!
(intendo dire la negazione del materalismo leopardiano).
Citazione di: sgiombo il 17 Gennaio 2019, 10:19:46 AM
Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2019, 10:05:09 AM
Mi par di capire che tu lo veda come un materialista, evidentemente non ha mai letto l'infinito o la Ginestra.
Spericolatissima e del tutto insostenibile acrobazia filologica o ermeneutica!
(intendo dire la negazione del materalismo leopardiano).
Devi seguire quello che ci siamo scambiati, io nel mio primo post di risposta ho detto che la metafisica leopardiana è da rintracciare come impossibilità all'interno del mondo materiale.
Dire che Leopardi è un materialista come fanno i manuali scolastici, non vuol dire niente, per me materialisti sono gli utilitaristi, i liberali politici, gli scienziati apodittici.
Se vogliamo dire che è un materialista dobbiamo intenderlo nella sua giusta accezione, perchè quello che interessava a Leopardi era l'anima e non il mondo piccolo borghese, asfitico italiano, e non è che molto è cambiato, l'italia rimane provincia, ora in più colonia americana (dico a livello strettamente intelletule, culturale, nel ronzio dell'opinione pubblica comunque provinciale).
Ecco dunque si Leopardi materialista ma con tutti i CAVEAT del caso.
Citazione di: green demetr il 17 Gennaio 2019, 10:36:39 AM
Dire che Leopardi è un materialista come fanno i manuali scolastici, non vuol dire niente, per me materialisti sono gli utilitaristi, i liberali politici, gli scienziati apodittici.
Se vogliamo dire che è un materialista dobbiamo intenderlo nella sua giusta accezione, perchè quello che interessava a Leopardi era l'anima e non il mondo piccolo borghese, asfittico italiano, e non è che molto è cambiato, l'italia rimane provincia, ora in più colonia americana (dico a livello strettamente intelletule, culturale, nel ronzio dell'opinione pubblica comunque provinciale).
Non farti ingannare dagli utenti materialisti di questi forum da chi come Ipazia ritiene che la filosofia non debba occuparsi di anima
green .... quando ti ci metti hai delle fiammate geniali !! :) (non fa una grinza)
Invece era un materialista assoluto e tra i più convinti della storia del pensiero, leggendo a fondo lo Zibaldone (io l'ho letto TUTTO) si può notare come egli riducesse ogni ideale dell'uomo (anche quelli più apparentemente nobili....) all'utile e all'amor proprio (di fatto a motivi egoistici), a motivazioni di utile materiale, quindi negava fortemente che esistesse una dimensione spirituale come movente dell'agire umano. Bisogna dire le cose come stanno, non cercare di strumentalizzarne il pensiero per adattarlo alle nostre convinzioni, e la realtà del pensiero di Leopardi è appunto una visione disincantata di tutto l'agire umano.
A prescindere dal fatto che il pensiero di Leopardi resta valido, credo che si possa conseguire una felicità duratura, quell'armonia d'animo che rende il flusso della vita un piacevole viaggio. Bisogna fare un distinguo tra felicità e scellerato edonismo. I piacere fatui della vita ti portano fuori rotta, rendendoti la vita faticosa e stressante.
Ipazia non ha mai detto che la filosofia non debba occuparsi di anima, bensì che ha già dato facendo per millenni da ancella ai numi. L'anima è ciò che anima ogni animale. E' la trascendenza delle creature senzienti rispetto alla materia inanimata. Compito supremo della filosofia è occuparsi dell'anima umana e dei suoi sogni. Realizzarli il più possibile senza lasciarsi affondare dallo spirito di gravità che in Leopardi era esacerbato dall'ipocrisia delle "magnifiche sorti e progressive" di una borghesia che tra guerre e sfruttamento umano realizzava piuttosto un inferno in terra. Contro quel positivismo tronfio elevava l'amor fati della ginestra che vive sulle pendici di un vulcano, trovando il senso del suo esserci nel non chiederselo e indorarlo. Riportando l'anima all'infinito ritorno di stagioni e generazioni che riempiono di senso il nostro destino umano. Vivendo l'attimo fuggente di tutto ciò come fosse eterno.
Scusami green demetr per l'equivoco, la mia risposta era rivolta a Socrate78.
Sull'ateismo di Giacomino io sarei un pò dubbioso. Secondo una mia personale interpretazione, data da quel poco che ho letto di lui (letto però intensamente, versando lacrime e con un serio accapponamento di pelle...) direi che la sua era quasi una concezione buddhista del nulla nel quale l'esistenza o meno di Dio non era il problema principale dell'uomo perché, se c'era, questo Dio non s'occupava del destino delle 'sue' creature'.A corroborare la mia tesi che trattasi di caso tipico di 'disperato' che anela all'annientamento definitivo porto l'entusiasmo verso li suoi scritti di un altro 'ottimista' , cioè Schopenauer...anche lui 'anima indiana' in corpore occidentale...tra simili ci s'intende ovviamente...
Il prof Davide Casagrande osserva:
...a proposito di Dio e il suo rapporto con il nulla che lo fonda – e quindi non lo fonda –, Leopardi scrive:
«Io non credo che le mie osservazione circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio. [...] Ego sum qui sum, cioè ho in me la ragione di essere: grandi e notabili parole! Io concepisco l'idea di Dio in questo modo. [...] Io considero dunque Iddio non come il migliore di tutti gli esseri possibili, ma come racchiudente in se stesso tutte le possibilità, ed esistente in tutti i modi possibili. [...] Così resta in piedi tutta la Religione, e l'infinita perfezion di Dio».
Questa citazione spariglia le carte; chiunque voglia fare di Leopardi un gigante dell'ateismo non si è, evidentemente, preso la briga di leggere queste annotazioni del 1821. Rolando Damiani, in una conferenza dell'ottobre 2014, riguardo il tema della "religione" leopardiana, affermò che, d'essa, occorre parlare:
«In un senso anomalo [...] perché in Leopardi la religione non è un fatto né semplicemente confessionale, cioè di adesione confessionale alla dogmatica cristiana, questione che evidentemente per Leopardi si pone solo fino a un certo periodo della sua vita [...] e neanche nel senso di rifiuto del religioso in una prospettiva di laicismo ottocentesco, che è uno dei modi per i quali è passata l'accoglienza di Leopardi".
Nel dettato di Zibaldone 1619-1621; Leopardi legge la tradizionale formula di presentazione che Dio fa di sé stesso in Esodo 3, 14, come una dichiarazione ontologica di autosussitenza. Dio esiste in quanto deve esistere e, per riprendere alcune osservazioni fatte da Kierkegaard negli Atti dell'amore, il dover-essere fonda l'eternità dell'essere; Dio deve essere, dunque è eternamente. Avendo in sé la propria ragione necessaria – e sufficiente – d'esistenza, il Dio di Leopardi esiste "in tutti i modi possibili", ovvero ci appare come ci deve apparire.
Osserva ancora Damiani:
«Nel 1824, cioè nella piena maturità del pensiero, il Dio di Leopardi non è un dio malvagio, è un dio casomai impotente. Un dio che non può fino in fondo essere padrone del manifestato, cioè di ciò che egli stesso ha creato. Perché? Perché al di sopra di lui c'è un potere inconoscibile [...] che viene chiamato da Leopardi, tradizionalmente, 'ordo fatorum'. [...] Esso ha a che fare con l'Ἀνάγκη, la necessità [...]. Di essa, Leopardi fa un'ipostasi, ma un'ipostasi maligna» (perché era pessimista; nota del Sari. Se Giacomino fosse stato amato e di carattere ottimista forse diventava un'ipostasi begnigna...).
Da questo punto di vista, la necessità è un Über–Gott che sovrintende a Dio, ma prima ancora alle cose di questo mondo. In questo quadro, Dio si inserisce come motore, e pro-motore, di quel poco di bene che possiamo rintracciare nella storia: Dio è esperibile nello straordinario, certo, ma anche nella quotidianità del dolore, in cui Egli, pur volendo inserirsi per modificarla, non può:
«Dio poteva manifestarsi a noi in quel modo e sotto quell'aspetto che giudicava più conveniente: [...] Egli si è rivelato perché ha voluto e l'ha stimato conveniente, secondo le diverse circostanze delle sue creature»
«I suoi rapporti con gli uomini e verso le creature note, sono perfettamente convenienti a essi: sono dunque perfettamente buoni, e migliori di quelli che vi hanno le altre creature, non assolutamente, ma perché i rapporti di queste sono meno perfettamente convenienti»
Il che significa che Dio tenta d'accompagnare le sue creature e lo farebbe, se potesse. Vi è però la Necessità che, in qualche modo, fa resistenza e s'oppone all'assolutà bontà di Dio. Ciò che ciascuno di noi ottiene dal suo rapporto con Dio, è sempre e comunque il massimo che potrebbe avere. Ergo, ciò che otteniamo da Dio come atto d'amore puro, è il massimo che possiamo ottenere: chiedere di più sarebbe sfidare non solo Dio, ma la necessità che lo sovrasta.
L'abisso che ci separa da Dio è incolmabile, vasto, non giungiamo a lui se non saltuariamente. E questa Necessità, che supera Dio e supera l'uomo, questo ordo fatorum, insondabile e invincibile, come lo chiameremo? Lo chiameremo nulla: nulla di buono, nulla di razionale, nulla in ogni forma.
In questo senso dunque, l'Ἀνάγκη – il nulla – fonda tanto le cose del mondo quanto Dio, perché ordina le prime e frena l'azione del secondo. Ma affermare che Dio c'è, ma non può agire, è ben diverso dal dire ch'Egli non (c')è! Leopardi, esattamente come l'ultimo Sartre (ricordate la famosa intervista a Lèvy del 1980?) non era un ateo, piuttosto il testimone disincantato d'una sorta di "eclissi contemporanea del divino".
Leopardi sentiva la mancanza di Dio. N'era ossessionato. Lo cercava nelle forme del rito tradizionale (come dimostra l'ultima lettera prima della morte a Monaldo, in cui afferma d'essersi confessato e comunicato) ma faticava a scovarlo, assuefatto com'era dal "piacere fremebondo della disperazione". ( attaccamento al piacere della disperazione direbbe un buddhista di livello medio-basso... :( )
Il dibattito resta aperto, come si conviene di fronte a questi giganti...
Una conferma che il pensiero, le teorie, individuali e collettive, evolvono, maturano, con ripensamenti, parziali arresti, contraddizioni.
Poi ciascuno prende ciò che gli piace e respinge ciò che non gli piace.
Di Leopardi ho letto in gioventù i Canti e le Operette Morali, le sue pubblicazioni, e alcuni estratti scolastici dello Zibaldone.
Non sono leopardiano perché penso che la felicità sia effettivamente transitoria, ma non illusoria, e che allo stesso modo lo sia l'infelicità.
Comunque considero parti della filosofia di Leopardi superiori a tutte le filosofie di carattere religioso, buddismo compreso.
Anche le brevi citazioni che hai riportato Sariputra per me lo dimostrano. "Io non credo che le mie osservazione circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio" riafferma la negazione di ogni assoluto.
Il nulla leopardiano espresso nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco è un nulla relativo. La chiusura del Dialogo di Plotino e di Porfirio e il proposito della Ginestra è assai differente dalla noluntas di Schopenhauer e dal nichilismo.
Citazione di: baylham il 18 Gennaio 2019, 10:52:41 AM
Una conferma che il pensiero, le teorie, individuali e collettive, evolvono, maturano, con ripensamenti, parziali arresti, contraddizioni.
Poi ciascuno prende ciò che gli piace e respinge ciò che non gli piace.
Di Leopardi ho letto in gioventù i Canti e le Operette Morali, le sue pubblicazioni, e alcuni estratti scolastici dello Zibaldone.
Non sono leopardiano perché penso che la felicità sia effettivamente transitoria, ma non illusoria, e che allo stesso modo lo sia l'infelicità.
Comunque considero parti della filosofia di Leopardi superiori a tutte le filosofie di carattere religioso, buddismo compreso.
Anche le brevi citazioni che hai riportato Sariputra per me lo dimostrano. "Io non credo che le mie osservazione circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio" riafferma la negazione di ogni assoluto.
Il nulla leopardiano espresso nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco è un nulla relativo. La chiusura del Dialogo di Plotino e di Porfirio e il proposito della Ginestra è assai differente dalla noluntas di Schopenhauer e dal nichilismo.
Hai descritto, meglio di come potessi farlo io stesso, quello che é anche il mio atteggiamento verso questo grandissimo filosofo (oltre che poeta stratosferico).
Citazione di: baylham il 18 Gennaio 2019, 10:52:41 AMUna conferma che il pensiero, le teorie, individuali e collettive, evolvono, maturano, con ripensamenti, parziali arresti, contraddizioni. Poi ciascuno prende ciò che gli piace e respinge ciò che non gli piace. Di Leopardi ho letto in gioventù i Canti e le Operette Morali, le sue pubblicazioni, e alcuni estratti scolastici dello Zibaldone. Non sono leopardiano perché penso che la felicità sia effettivamente transitoria, ma non illusoria, e che allo stesso modo lo sia l'infelicità. Comunque considero parti della filosofia di Leopardi superiori a tutte le filosofie di carattere religioso, buddismo compreso. Anche le brevi citazioni che hai riportato Sariputra per me lo dimostrano. "Io non credo che le mie osservazione circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio" riafferma la negazione di ogni assoluto. Il nulla leopardiano espresso nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco è un nulla relativo. La chiusura del Dialogo di Plotino e di Porfirio e il proposito della Ginestra è assai differente dalla noluntas di Schopenhauer e dal nichilismo.
Naturalmente non concordo , ritenendo la filosofia buddhista ben superiore a quella leopardiana, se non altro perché 'fredda', non così emotiva e legata a stati d'animo negativi ( come nel caso di Nietzsche peraltro...).M a è una valutazione del tutto personale, ovviamente.Io non amo particolarmente Leopardi proprio perché altamente depressivo ( e non ne ho bisogno... ;) ;D ). Alcune poesie sono sublimi, altre 'pesanti', troppo colte, poco fruibili da tutti...Con questo non voglio sminuirne la grandezza. Trattasi, come ho già scritto, di un gigante della poesia... :)
Citazione di: Socrate78 il 09 Gennaio 2019, 20:39:49 PM
Ho sempre considerato (sia pur non condividendolo o forse comprendendolo del tutto....) affascinante il pensiero del poeta Giacomo Leopardi, soprattutto ritengo che la sua statura filosofica sia da approfondire e sia stata sottovalutata.
Ciao Socrate
A me sembra (lo dice esplicitamente nelle Operette Morali) che Leopardi abbia inseguito eccome il successo
nella vita, quindi che non abbia pensato al piacere che esso evidentemente procura come ad una illusione...
Mi pare di poter dire che per lui il successo (la fama letteraria come il successo con le donne...) fosse
la sola consolazione ad una vita altrimenti priva di qualsiasi senso o significato.
Dicendo che tutte le cose provengono dal Nulla ed al Nulla ritornano Leopardi tratteggia l'essenza stessa
del nichilismo (come afferma anche E.Severino).
Un Nulla che Leopardi intende sia come "non-essere" che come "male". Non vi trovo nulla di ambiguo, visto
che il "non-essere" anch'io lo intendo come "male" (non vedo come non lo possa essere).
saluti
I
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Gennaio 2019, 14:02:52 PM
Citazione di: Socrate78 il 09 Gennaio 2019, 20:39:49 PMHo sempre considerato (sia pur non condividendolo o forse comprendendolo del tutto....) affascinante il pensiero del poeta Giacomo Leopardi, soprattutto ritengo che la sua statura filosofica sia da approfondire e sia stata sottovalutata.
Ciao Socrate A me sembra (lo dice esplicitamente nelle Operette Morali) che Leopardi abbia inseguito eccome il successo nella vita, quindi che non abbia pensato al piacere che esso evidentemente procura come ad una illusione... Mi pare di poter dire che per lui il successo (la fama letteraria come il successo con le donne...) fosse la sola consolazione ad una vita altrimenti priva di qualsiasi senso o significato. Dicendo che tutte le cose provengono dal Nulla ed al Nulla ritornano Leopardi tratteggia l'essenza stessa del nichilismo (come afferma anche E.Severino). Un Nulla che Leopardi intende sia come "non-essere" che come "male". Non vi trovo nulla di ambiguo, visto che il "non-essere" anch'io lo intendo come "male" (non vedo come non lo possa essere). saluti
In effetti questo lo fa molto poco buddhista...questi ragazzi di solito non tengono in considerazione come cose di grande valore la fama, l'onore e la gloria...mi sa che devo approfondire 'sto punto.
Il Leopardi amava teneramente e idealizzava le donne e non solo la Paolina Ranieri, una giovane che spese anni a fargli da "badante", rapporto ricchissimo dal punto di vista umano ma zero da quello erotico si dice...ma un pò tutte apparivano ai suoi occhi dotate di doti e bellezze quasi trasfiguranti; tutte quelle che, in vario modo hanno attraversato la sua vicenda umana dolorosa: la Silvia/Teresa Fattorini, ad esempio. La Nerina/Maria Belardinelli, altro esempio canonico. O la Fanny Targioni Tozzetti che, come le altre, non si sarebbe mai potuta innamorare di lui (amavano le sue poesie e la sua cultura e basta...): «Mia cara, puzzava!» :( >:( , confidò infatti una Fanny priva di ogni misericordia a un' illustre giornalista. Il caso volle che l' illustre giornalista fosse napoletana e si chiamasse Matilde Serao. Conoscendo un pò le donne (ahimè o evviva ho avuto la... fortuna? Sfortuna? Chi lo sa...di averci molto a che fare...ehm...nel corso della mia vita) credo che al povero Giacomo fischiassero assai le orecchie in quel periodo...
Leopardi era una persona molto gentile...è dura amare con così grande trasporto e ardore...e poi dietro...mah! Sono sempre convinto che la nostra filosifia non prescinde mai dalla nostra vicenda umana...ne è sempre molto condizionata...
Resto dell'idea che non fosse nichilismo il suo. C'era in lui l'estremo desiderio d'essere (diverso e quindi amato)...l'annichilimento era rivolto alla sua condizione, ma secondo me amava disperatamente la vita...
disperatamente
C'è in Leopardi uno Streben eroico e l'intera sua produzione ed esistenza lo attestano, la cui figura della ginestra è immagine perenne, della inesausta e titatinica tendenza a voler trascendere i limiti della propria finitezza, condizione non solo "sua", ma che investe ogni esistenza umana, verso un ideale, un al di là, un infinito, quel mare in cui è dolce naufragare, che non è nulla, ma nemmeno essere, un pensiero poetante che non si arrende al nulla, senza appartenere all'essere.
È bellezza, dai tratti tragici, di chi senza sottrarsi al vero, lo canta, in una placida notte.
Citazione di: Socrate78 il 09 Gennaio 2019, 20:39:49 PM
Ho sempre considerato (sia pur non condividendolo o forse comprendendolo del tutto....) affascinante il pensiero del poeta Giacomo Leopardi, soprattutto ritengo che la sua statura filosofica sia da approfondire e sia stata sottovalutata. La filosofia di Leopardi, così come ci è stata tramandata dai testi scolastici, si basa sul concetto secondo cui ogni essere umano (o in generale essere vivente) tende istintivamente al piacere, alla felicità, ma si tratta di una felicità senza limiti nel tempo e nello spazio. Ora, il gravissimo problema consiste nel fatto che tutti i piaceri della vita sono invece FINITI, hanno un termine nel tempo e sono limitati nello spazio, di conseguenza l'uomo è condannato ad un'infelicità costante; di fatto per Leopardi il piacere è una somma illusione, poiché in realtà si tratta sempre o di un ricordo di una felicità provata in passato o dell'attesa di una felicità che verrà in futuro, per cui metaforicamente il sabato che preannuncia la festa è per il poeta ben più piacevole della domenica stessa. Il piacere è come un fantasma che ci sembra reale e vivo ma in realtà non c'è MAI! Tali concetti sono espressi nello Zibaldone e in maniera sistematica nelle Operette morali, un tipo di prosa spesso molto vicino alla poesia.
Nulla - Tutto è nula al mondo anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio ma più tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora più quieta conoscerò la vanità e l'irragionevoleza e l'immaginario. Misero me, èvano , e un nulla anche questo mio dolorore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi un un vuoto universale e in un'indolenza terribile che mi farà capace anche di dolermi ( Zib. pag, 72)
Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista per fin di male; l'esistenza è un male e ordianata al male; il fine dell'universo è il male; l'ordine, lo stato, le leggi, l'andamento naturale naturale dell'universo, non sono altro che male,né diretti ad altro che al male ... questo sistema non ardirei però estenderlo a dire che ,'universo esistente è il peggiore degli universi possibili, sostituendo così all'ottimismo il pessimismo. Chi può conoscere i limiti della possibilità? Zib pag 4174
Non c'è maggior piacere, né maggior felicità nella vita che il non sentirla - Zib, pag 3895
Illusione: Pare un assurdo e pure è esattamente vero, che tutto il reale essendo un nulla, non v'è altro di reale né altro di sostanza al mondo che le illusioni Zib, pag 99
Morte: la morte non è un male perché libera l'uomo da tutti i mali e insieme coi beni gli toglie i desideri. ( Pensieri)
Citazione di: Lou il 18 Gennaio 2019, 18:06:28 PM
C'è in Leopardi uno Streben eroico e l'intera sua produzione ed esistenza lo attestano, la cui figura della ginestra è immagine perenne, della inesausta e titatinica tendenza a voler trascendere i limiti della propria finitezza, condizione non solo "sua", ma che investe ogni esistenza umana, verso un ideale, un al di là, un infinito, quel mare in cui è dolce naufragare, che non è nulla, ma nemmeno essere, un pensiero poetante che non si arrende al nulla, senza appartenere all'essere.
È bellezza, dai tratti tragici, di chi senza sottrarsi al vero, lo canta, in una placida notte.
Un tertium datur ...
Il bagliore di uno smeriglio.
A Leopardi
Fossi aborto nel "funesto di natale"
- che maledico - mai sorto!
Fin dalla culla noia e dolore, null'altro
Recanatese, "tutto è male";
stolido chi non crede che la gente malviva
dal solido niente, nel niente arriva
sileno
"La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi la guarda superficialmente, e come molti l'accusano; ma di sua natura esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore, quell'odio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non vorrebbono esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a' loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che, giustamente o ingiustamente, essi, come tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non altro il lamento, a principio piú alto, all'origine vera de' mali de' viventi. ec. ec. (Recanati, 2 gennaio 1829)."
Ho ritrovato questa riflessione di Leopardi dallo Zibaldone, che considero profondissima.
Questa riflessione lo pone, per me, sopra qualunque religione o ideologia.
Qui non c'è traccia del nulla, a dimostrazione della varietà delle riflessioni di Leopardi, ma una logica conseguenza delle sue concezioni della felicità, c'è la biologia e l'ecologia dell'uomo e dei viventi, sia pur col suo pessimismo cosmico.
L'essenza del nichilismo
G. Leopardi, Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie (l824)
1 Sola nel mondo eterna, a cui si volve
2 Ogni creata cosa,
3 In te, morte, si posa
4 Nostra ignuda natura;
5 Lieta no, ma sicura
6 Dall'antico dolor. Profonda notte
7 Nella confusa mente
8 Il pensier grave oscura;
9 Alla speme, al desio, l'arido spirto
10 Lena mancar si sente:
11 Cosí d'affanno e di temenza è sciolto,
12 E l'età vote e lente
13 Senza tedio consuma.
14 Vivemmo: e qual di paurosa larva,
15 E di sudato sogno,
16 A lattante fanciullo erra nell'alma
17 Confusa ricordanza:
18 Tal memoria n'avanza
19 Del viver nostro: ma da tema è lunge
20 Il rimembrar. Che fummo?
21 Che fu quel punto acerbo
22 Che di vita ebbe nome?
23 Cosa arcana e stupenda
24 Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
25 Qual de' vivi al pensiero
26 L'ignota morte appar. Come da morte
27 Vivendo rifuggia, cosí rifugge
28 Dalla fiamma vitale
29 Nostra ignuda natura
30 Lieta no ma sicura;
31 Però ch'esser beato
32 Nega ai mortali e nega a' morti il fato.
(G. Leopardi, Tutte le opere, Sansoni, Firenze, l9885, vol. I, pag. l34)
Immagino quanto fosse difficile, anche per persone di grande intelligenza creativa e speculativa come il conte Giacomo Leopardi dello Stato Pontificio, liberarsi dal peso incombente di 1800 anni di cristianesimo. Come lo fu per Nietzsche che lottò diperatamente contro Cristo per tutta la vita fino ad impazzirne dopo aver cavato dal cilindro nientepopodimeno che un dio greco da mettergli contro.
A tutti costoro la morte di Dio apparve come l'epifania del Nulla, non avendo nulla di così possente a portata di mano per poterne colmare l'assenza, il vuoto. A noi postumi quel vuoto fa meno paura, anche se ciò con cui l'abbiamo colmato è il motivo stesso del suo, si spera non eterno, ritorno. Di questi atei della prima ora resta comunque il significato eroico della battaglia che intrapresero: contro la loro epoca e contro le loro paure. Pur nella lontananza, a loro bisogna sempre tornare per riempire di significato un mondo rimasto, dopo millenni, orfano di Dio e maggiorenne per forza.
Oltre Dio non vi è necessariamente il vuoto.
Dio è il fondamento della speranza escatologica. Il Nulla è fondamento dell'uomo qui ed ora. Senza Dio l'uomo è possibile.
Citazione di: Vittorio Sechi il 01 Aprile 2019, 23:31:56 PMOltre Dio non vi è necessariamente il vuoto. Dio è il fondamento della speranza escatologica. Il Nulla è fondamento dell'uomo qui ed ora. Senza Dio l'uomo è possibile.
Beh!..Se il nulla è il fondamento dell'uomo ne consegue che anche l'uomo è...nulla (niente di che, in parole povere... ;D ). Se ne deduce, per conseguenza, che anche Leo non era niente di che... ;)
Leopardi non ha alcuna ossessione della "morte di Dio", non è orfano di Dio, non ha assenza di Dio da colmare.
Per questo motivo Leopardi è ben superiore a tutte le religioni, atea compresa.
Il centro della sua riflessione è la felicità, o meglio il desiderio e l'impossibilità della felicità.
Da ciò deriva il suo pessimismo e spesso nichilismo.
Ma la reazione più matura è l'affermazione di sentimenti e valori quali l'amicizia, la solidarietà tra gli uomini.
Per me il capolavoro di Leopardi è L'infinito, che trovo estraneo al sentire nichilista.
Leopardi non credeva nella solidarietà tra gli uomini come qualcosa di realizzabile, né nel progresso verso un mondo migliore: egli era scettico verso tutto ciò che poteva rappresentare un vero progresso, infatti nelle Operette Morali e nello Zibaldone critica proprio l'ideologia illuminista che considera la storia un percorso progressivo verso il benessere e la felicità, verso un'umanità moralmente migliore. Sebastiano Timpanaro (di orientamento politico-culturale marxista) a mio avviso forza il pensiero di Leopardi presentandolo come un credente laico nelle utopie, forse per avvicinarlo al suo mondo ideologico, ma leggendo bene tutta la sua opera (Zibaldone, Operette Morali, ecc. ) egli tende semmai a deridere quelle ideologie basate sull'ottimismo progressista verso un mondo migliore. Leopardi, dal punto di vista della visione dell'uomo, lo trovo invece molto vicino ad Hobbes e a Nietzsche, cioè a quei filosofi che sono scettici sulla fondamentale bontà dell'essere umano.
Citazione di: Vittorio Sechi il 01 Aprile 2019, 23:31:56 PM
Oltre Dio non vi è necessariamente il vuoto.
Dio è il fondamento della speranza escatologica. Il Nulla è fondamento dell'uomo qui ed ora. Senza Dio l'uomo è possibile.
Concordo.
E aggiungo un corollario: morto Dio non é affatto vero che tutto sia lecito!
Citazione di: Socrate78 il 02 Aprile 2019, 15:32:36 PM
Leopardi non credeva nella solidarietà tra gli uomini come qualcosa di realizzabile, né nel progresso verso un mondo migliore: egli era scettico verso tutto ciò che poteva rappresentare un vero progresso, infatti nelle Operette Morali e nello Zibaldone critica proprio l'ideologia illuminista che considera la storia un percorso progressivo verso il benessere e la felicità, verso un'umanità moralmente migliore. Sebastiano Timpanaro (di orientamento politico-culturale marxista) a mio avviso forza il pensiero di Leopardi presentandolo come un credente laico nelle utopie, forse per avvicinarlo al suo mondo ideologico, ma leggendo bene tutta la sua opera (Zibaldone, Operette Morali, ecc. ) egli tende semmai a deridere quelle ideologie basate sull'ottimismo progressista verso un mondo migliore. Leopardi, dal punto di vista della visione dell'uomo, lo trovo invece molto vicino ad Hobbes e a Nietzsche, cioè a quei filosofi che sono scettici sulla fondamentale bontà dell'essere umano.
Credo che confonda Timpanaro (della cui amicizia epistolare mi onoro) con Luporini (Leopardi progressivo), pure lui marxista, e pure lui autorevolissimo studioso del grandissimo recanatese.
Su Leopardi credo che, come tanti
grandissimi, sia interpretabile in più di una maniera e utilissimamente e creativamente discutibilissimo.
Più che dell' illuminismo fu critico di un certo ottimismo romantico "provvidenzialeggiante" (e politicamente reazionario; tipico della restaurazione postbonapartistica):
Ad esso si riferisce con i versi famosissimi (e attualissimi, in questa fase storica di "restaurazione.2"!) della Ginestra:
Qui mira e qui ti specchia,Secol superbo e sciocco,Che il calle insino alloraDal risorto pensier segnato innantiAbbandonasti, e volti addietro i passi,Del ritornar ti vanti,E proceder il chiami.Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,Di cui lor sorte rea padre ti fece,Vanno adulando, ancoraCh'a ludibrio taloraT'abbian fra se. Non ioCon tal vergogna scenderò sotterraNon credo si possa negare che proprio nell' ultimo dei suoi canti la solidarietà fra gli uomini contro la matura "matrigna" consenta legittimamente di intravederne, da parte di Luporini (che probabilmente la enfatizza), una "vena progressiva", accanto ad altri atteggiamenti e suggestioni più disperatamente nichilistici.
Leopardi e Schopenauer sono contemporanei. Il tedesco nasce dieci anni anni prima e muore dopo, ma entrambi sono figli orfani dell'illuminismo e della rivoluzione francese che tante illusioni portarono sulle "magnifiche e progressive sorti" dell'umanità. A questa apocalisse reagirono ciascuno col suo (notevole) armamentario intellettuale facendo grande poesia e filosofia che ispirarono più generazioni di poeti e filosofi. Nietzsche viene un paio di generazioni dopo. Egli ha già elaborato il lutto, di cui gli rimane in eredità, con sincero compiacimento, la "morte di Dio". Morte su cui cerca fino alla fine di realizzare un nuovo testamento. Ridurre questi pensatori alla categoria del nichilismo in salsa filistea è segno di incomprensione totale, perchè essi sono creatori e la loro pars destruens è gia scritta nella storia di cui si limitano a prendere atto, decifrandone gli eventi e disvelandone le falsità. Diverse le vie d'uscita tentate, ma nessuno di loro si limitò a piangersi addosso e cospargersi di cenere.
In Leopardi son presenti, in un mix inscindibile, sia un profondo nichilismo (Severino sostiene che abbia raggiunto il fondo più abissale del nichilismo) quanto una forte tensione spirituale. La sua è una trascendenza atea, che non dialoga con entità sovrannaturali, e che indugia con stupore (dall'etimo colpire) nel mistero umbratile della morte. Un metafisico che rinuncia al cielo.
"1 Sola nel mondo eterna, a cui si volve
2 Ogni creata cosa,
3 In te, morte, si posa
4 Nostra ignuda natura;
5 Lieta no, ma sicura
6 Dall'antico dolor"
Questa è una dichiarazione tanto perentoria quanto inequivocabile. I primi sei versi sono antinomici. Esiste una sola 'cosa' eterna, mai creata, non soggetta a dissoluzione: la morte, cioè il Nulla, proprio ciò che per antonomasia 'non è', sebbene esista. Ad essa si volve (un verbo che richiama il moto, quindi il divenire ed il muoversi verso...) ogni creata cosa. Tutto ciò che è vivo è destinato al Nulla. Ciò lascerebbe intendere che il tragitto che si compie verso il nulla sia inframmezzato ed intriso di consistenza e di essere. Ma qui, per fugare ogni dubbio circa l'inconsistente consistenza di questa illusoria increspatura del Nulla, ci viene in aiuto "l'antologia dei pensieri" del recanatese: "Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio, ma più tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora più quieta conoscerò, la vanità e l'irragionevolezza e l'immaginario. Misero me, è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un voto universale, in un'indolenza terribile che mi farà incapace anche di dolermi (Zibaldone, 72 – uno fra I tanti).
Non vi e nulla che sfugga all'imperio protervo del Nulla. Leopardi esprime in prosa e poesia la nullificazione del reale.
Ma è davvero la sua la quintessenza del nichilismo?
Lo sarebbe, forse, se non non fosse anche l'autore di quel capolavoro di "teologia atea" e "filosofia mistica" rappresentato da 'L'infinito".
Non posso esimermi dal riportare l'intero testo:
"Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare."
Questo canto è al tempo stesso un'opera filosofica e un tuffo all'interno dell'anima. Un viaggio nel mondo del surreale che sovente conforta, talvolta addolora. Condotto sulle ali dell'immaginazione, svincolato, pertanto, dalla necessità di dover essere coerente e aderente alla realtà. È un volo leggero che si rende possibile attingendo linfa e nutrimento utilizzando lo scandaglio dell'immaginazione, per connettere il profondo dell'anima con un oltre che affascina e consola. Un'anima dolente, quella del poeta, ripiegata su sé stessa, che recupera da quel fondo abissale la forza vitale indispensabile per superare le distanze e immergersi in un mare che rende dolce il naufragio.
Il fulcro intorno a cui tutto ruota e su cui tutto poggia, la chiave di volta è l'immaginazione: il potere della mente di travalicare gli ostacoli, di andare oltre le siepi e le barriere, superare i monti e guardare oltre.
La siepe e il monte citati sono reali, fanno parte del paesaggio di Recanati. Leopardi si trova ad osservare l'orizzonte; parte di questa visione è impedita da questi due ostacoli. Invece di arrendersi all'impossibilità di osservare il mondo oltre la siepe, il poeta supplisce alla deprivazione sensoriale immergendo il secchio del suo speculare nel profondo pozzo dell'immaginazione. Ed è così che quel limite rappresentato dalla siepe e dal monte Tabor svolge il ruolo di suscitare ed innescare l'attività astrattiva della mente. Un ostacolo reale è istanza e psicopompo di un vagolare dell'anima entro un ambito irreale, o che quantomeno si sottrae ai sensi, stimolando lo spirito.
È un vero capovolgimento di relazione, quello che in questo breve testo viene sontuosamente descritto. Un limite che espande la visione, anziché tarparla. Una visione onirica, certo, ma pur sempre un qualcosa in più rispetto alla ristrettezza della realtà che si offre ai sensi. Inseguendo i pensieri eccitati dalla privazione sensoriale causata dal colle e dalla siepe, egli colma l'assenza attraverso l'attività dell'anima, e si riappropria di quell'immenso spicchio di universo che la concretezza delle cose gli preclude.
È quindi il limite – reale - il vero motore dell'immaginare, perché senza quella barriera che delimita le capacità fisiche e percettive, quelle astrattive non verrebbero innescate. Porsi davanti ad un limite, entrandoci in contatto, accende nell'animo umano la propensione a superarlo. L'intera storia della cultura e del sapere umano è progredita stazionando (singolarissimo, ma sensato, ossimoro) sul margine, è, infatti, una storia di orlo, che si muove sempre sul crinale verso cui convergono il noto e l'ignoto da esplorare. E si esplica facendo leva sulle indubitabili capacità creative della mente che proficuamente s'intrecciano con quelle astrattive dell'anima, quindi, in definitiva con l'immaginazione, che funge da ponte fra percezione dei sensi e quella dell'anima.
Leopardi è inattingibile, non può essere de-finito entro schemi razionali ed unidirezionati; scarta di lato e si sottrae ad ogni definizione e schema. È il significante che significa sé stesso, esaltando il caos che abita l'anima. Perciò non può essere definito univocamente ateo; ricusa Dio ed ogni alterità divina, ritrovandosi solo con sé stesso immerso in un Nulla mistico, che costituisce l'intera religione che la sua anima concepisce.