Metafisica dell'essente (come propone Cacciari) o dell'essere (come proporrebbe chi ha letto Heidegger senza pregiudizi)? O entrambe?
Che ruolo dare alla metafisica?
Heidegger diceva di un superamento e di una fine; ma, stante il fatto che quello fisico è un àmbito non trascurabile e non assoluto, che esiste anche una ulteriorità e pure alterità ad esso, metafisica appunto, noi possiamo soltanto dare un senso relativo e particolare a detti superamento e fine.
Ad essere superata è la funzione di scoperta da parte della metafisica: in un Occidente dove gli studi psicologici, anche scientifici, si sono affermati, non ha più senso guidare metafisicamente gli intelletti per far loro scoprire lo spirito. C'è già la psicologia transpersonale che inquadra specificamente l'elemento spirituale e da decenni e decenni i chimici descrivono l'energia libera in reazioni materiali...
A finire è il ruolo guida del metafisico: oramai costui non fa più il mediatore tra la società e la religione, dato che viviamo in un pluralismo anche religioso e non c'è più l'oscillazione tra il trono e l'altare — non sempre infatti era relazione trono-altare — e i Terrori della Inquisizione Cattolica e della Rivoluzione Francese non si spartiscono più l'intera società. Questo significa che il teologo non è più costretto a chiedere il sistema al filosofo e può cercarlo, se vuole, liberamente. Certo con questo quadro non ho detto tutto... Nella cultura occidentale esiste non solo la fenomenologia anche l'ontologia; e quest'ultima non si occupa solo di essenti, pure di essere; e per studiare tale disciplina non è necessario farsi teologo o contendere il posto alla teologia...
Ma metafisica, e la metafisica, sono appunto anche altro. C'è da chiedersi: è davvero un atto filosofico la proposta assoluta di una metafisica dell'essente, che è venuta recentemente dal professor Cacciari, peraltro negando possibilità a una metafisica dell'essere? Non è forse còmpito del filosofo allargare gli orizzonti anziché chiuderli?
Non si possono risolvere i problemi della nostra società pensando solo all'ulteriorità. Questo lo fanno anche le sole scienze sociali ma non basta. Senza confrontarsi con l'alterità ci si chiude nel cerchio del mondo e proprio in una fase storica in cui si riscontra una crisi del mondo.
Giustamente la filosofia e la cultura contemporanee, sin dai tempi di Kierkegaard e anche dopo Heidegger, hanno fatto propria la categoria di alterità, non solo nella teologia ma anche nella politica, finanche nelle statistiche (quelle "diverse"); chi non sa ricorrere ad altro non sa risolvere i problemi che esistono nel mondo attuale.
Certo, a patto di non essere esclusivisti e intolleranti (come invece lo è stato Cacciari), si può dare un senso filosofico anche alla metafisica dell'essente. Ma resta necessità primaria una metafisica dell'essere, non con lo scopo di guidare la cultura della nostra società, ma — quanto meno — per ascoltare le ragioni degli altri, di Dio pure.
P.S.
Mentre scrivo, degli uccelli prepotenti che non sanno quante cose diverse fanno gli umani — per esempio affidano i pensieri ai segni della scrittura — mi trattano col loro canto come uno più illuso di quelli che scambiano la propria immagine riflessa per sé stessi e cercano di distrarmi... Non diversamente da quelli che innamorati degli essenti e della medesimezza emarginano o escludono o sottopongono finanche a circostanze sfavorevoli coloro che non pensano sempre la stessa cosa dietro ai presunti benpensanti (tra i nemici, anche i falsi medici che dicono di curare le 'ossessioni religiose' o peggio di 'insegnare la materia', timorosi in realtà del Mistero nell'universo, perché esso ricorda loro e ai loro numerosissimi complici di tirare avanti solo per circostanze fortuite).
Mauro Pastore
Ho terminato di emendare il mio testo di Metafisica dell'essere e mi è venuta spontanea una riflessione. Certo per chi fa della fisica la scienza delle scienze, facendo ruotare tutto attorno ad essa, non esisterebbe che la sola metafisica dell'essente; e per chi fa della scienza sperimentale tutto, non esiste alcuna metafisica. Quest'ultima posizione è smentita dalla esistenza di scienze basate su esperienza e non esperimenti, in particolare dalla psicologia; ma ci sono ostinati negatori. Ci sono pure quelli che pensano non solo la teologia come un gioco di parole ma pure l'ontologia come una mera riflessione linguistica; e costoro negano la metafisica dell'essere (che esiste anche se non la si pensa). Oltre a questi e non sempre in separazione da essi, ci sono i materialisti estremi che riducono tutto entro la fisica e alla sola meccanica. Se ne trovano nel marxismo. Storicamente, la riflessione di Hume, in parallelo con la teoria di Newton, precede le riflessioni di altri, parallele alla teoria della meccanica quantistica (in realtà la fisica quantistica non è solo una meccanica), mentre ora di nuovo c'è la fisica delle particelle e i tentativi disperati di inquadrarla meccanicamente e di metterci un pensiero uguale accanto. C'è una resistenza enorme a pensare liberamente l'energia, resistenza che tenta di negare che scienze come la chimica e l'acustica siano indipendenti, nella persuasione che l'energia sia solo quanto pertiene alla scienza fisica; e c'è pure di peggio, un'accanita rivolta contro la fisica non meccanica, nella persuasione che tutta la realtà materiale sia un meccanismo di causa ed effetto e che non esista altro che questo...
Ma — si badi! — ragionare su àmbito fisico e metafisico filosoficamente implica una considerazione generale non scientifica; significa cioè riferirsi a una conoscenza di tipo diverso della realtà, per cui il riferimento culturale primo non è il pensiero di Galilei, né di Newton né di Archimede, ma di Talete e degli altri filosofi presocratici come lui; e quello principale non passa per Wundt, Freud, Adler, Jung, Piaget (insomma la psicologia scientifica)... ma per Parmenide e Platone e Plotino.
Tale conoscenza è necessaria e precede quella scientifica, non viceversa; ma è gravemente avversata da quelli che hanno messo a punto la cosiddetta tecnoscienza, creando un pericoloso e spettacolare circolo vizioso che sembra la risoluzione per tutto. È, per dirla con le parole di Emanuele Severino, l'illusione del paradiso della tecnica; ma la vera tecnocrazia, checché se ne pensi, è di fatto in relazione alle durezze della vita e alle difficoltà della esistenza. Non se ne usi il pensiero per negare l'esigenza di andare oltre la semplice materialità.
Mauro Pastore
Detto senza ironia : evvai con il sancta sanctorum della filosofia/metafisica.
L'Essere ha cessato di essere una questione - fisica e metafisica - quando ha cessato di esserlo la trascendenza. Oggi ci si deve accontentare dell'e(sse)nte che c'è e che è certificabile del suo esserci, per cui la metafisica/filosofia è transitata armi e bagagli dall'Essere all'essente, diventando concreta, come da ultimo titolo di Cacciari. Questo per quanto riguarda l'ontologia, e la gnoseologia che su essa si applica.
La scienza ha dato il suo contributo rendendo sempre più problematica la cosa in sè, il noumeno kantiano. Sfondato il muro metafisico dell'atomo (democriteo) la cosa in sè è venuto meno lasciando orfani pure i marxisti più kantianamente fedeli all' "oggettività". Ci cascò pure Lenin quando criticò l'empiriocriticismo, ovvero il neopositivismo. Stalin ne fece una dottrina di stato, il diamat, e oggi si vede com'è andata a finire. Una debacle epistemologica che il marxismo si poteva risparmiare, senza mettere in discussione il nucleo umanistico della sua visione del mondo, che è la parte teorico-pratica che più doveva salvaguardare.
Essì che Marx, abbracciando Darwin e la dialettica, l'assist l'aveva dato verso una concezione più relativistica della realtà. Ma il pregiudizio kantiano era così radicato che anche il marxismo dovette pagare pegno.
Se non c'è la cosa in sè, crolla anche l'ultima thule dell'Essere, prospettiva che per i vetero- neo- post- kantiani significa l'orrido nichilismo, il Nulla. Morto un papa se ne fa un altro: il Nulla al posto dell'Essere. Meglio se in un rapporto più enantiomerico (porte girevoli) che dialettico, che salva Essere e Nulla in un girotondo metafisico racchiuso in se stesso.
La dimensione umana non ha nulla da perdere, come insegna il teologo francescano Ockham, dalla perdita dell'Essere, avendo una sua complessa attitudine trascendentale, ovvero spirituale, su cui mettere alla prova la propria libera psiche, per quanto possa esserlo (ma questo dipende solo dal detentore individuale di essa), immunizzandosi pure dal babau nichilista che dovrebbe imperversare in assenza dell'Essere e del suo trascendente fantasma.
Riguardo all'energia, il rattoppo è peggio del buco: dover ricorrere ad un fenomeno fisico per rianimare la dimensione spirituale dell'Essere lo trovo decisamente irriverente nei confronti di un antico, venerabile, concetto metafisico, scalzato dopo millenni di riflessione filosofica e ricerca scientifica, in cui ha dato molto per arrivare al suo superamento.
Neppure scomodare i presocratici giova alcunchè, in quanto la loro filosofia fu sempre molto "concreta", incentrata su un concetto di Tutto (Essere parmenideo) plurale: ta panta.
Citazione di: Ipazia il 04 Maggio 2024, 14:23:36 PMDetto senza ironia : evvai con il sancta sanctorum della filosofia/metafisica.
L'Essere ha cessato di essere una questione - fisica e metafisica - quando ha cessato di esserlo la trascendenza. Oggi ci si deve accontentare dell'e(sse)nte che c'è e che è certificabile del suo esserci, per cui la metafisica/filosofia è transitata armi e bagagli dall'Essere all'essente, diventando concreta, come da ultimo titolo di Cacciari. Questo per quanto riguarda l'ontologia, e la gnoseologia che su essa si applica.
La scienza ha dato il suo contributo rendendo sempre più problematica la cosa in sè, il noumeno kantiano. Sfondato il muro metafisico dell'atomo (democriteo) la cosa in sè è venuto meno lasciando orfani pure i marxisti più kantianamente fedeli all' "oggettività". Ci cascò pure Lenin quando criticò l'empiriocriticismo, ovvero il neopositivismo. Stalin ne fece una dottrina di stato, il diamat, e oggi si vede com'è andata a finire. Una debacle epistemologica che il marxismo si poteva risparmiare, senza mettere in discussione il nucleo umanistico della sua visione del mondo, che è la parte teorico-pratica che più doveva salvaguardare.
Essì che Marx, abbracciando Darwin e la dialettica, l'assist l'aveva dato verso una concezione più relativistica della realtà. Ma il pregiudizio kantiano era così radicato che anche il marxismo dovette pagare pegno.
Se non c'è la cosa in sè, crolla anche l'ultima thule dell'Essere, prospettiva che per i vetero- neo- post- kantiani significa l'orrido nichilismo, il Nulla. Morto un papa se ne fa un altro: il Nulla al posto dell'Essere. Meglio se in un rapporto più enantiomerico (porte girevoli) che dialettico, che salva Essere e Nulla in un girotondo metafisico racchiuso in se stesso.
La dimensione umana non ha nulla da perdere, come insegna il teologo francescano Ockham, dalla perdita dell'Essere, avendo una sua complessa attitudine trascendentale, ovvero spirituale, su cui mettere alla prova la propria libera psiche, per quanto possa esserlo (ma questo dipende solo dal detentore individuale di essa), immunizzandosi pure dal babau nichilista che dovrebbe imperversare in assenza dell'Essere e del suo trascendente fantasma.
Riguardo all'energia, il rattoppo è peggio del buco: dover ricorrere ad un fenomeno fisico per rianimare la dimensione spirituale dell'Essere lo trovo decisamente irriverente nei confronti di un antico, venerabile, concetto metafisico, scalzato dopo millenni di riflessione filosofica e ricerca scientifica, in cui ha dato molto per arrivare al suo superamento.
Neppure scomodare i presocratici giova alcunchè, in quanto la loro filosofia fu sempre molto "concreta", incentrata su un concetto di Tutto (Essere parmenideo) plurale: ta panta.
Il fatto è che, come diceva Bontadini, la riflessione metafisica nasce ponendo una questione; cercando o ricercando, verso un oltre. Se la questione muore, ciò accade per chi la rifiuta; e allora quell'oltre resta fuori dal pensiero filosofico ma resta esistente... E in tal caso come fare? Molti militanti come voi provavano ad attingere al mondo orientale; ma qui tradizionale è una dimensione filosofica, non una vera e propria filosofia: Buddha per la religione, Confucio per la saggezza, e allora non riuscivano, per odio antireligioso e rifiuto della saggezza (agli hippy degli
States durante gli anni '60 invece riusciva). In Urss questa situazione di mancanza restituiva molti direttamente allo stato primitivo; nel senso che la realtà dell'essere, privata degli assensi culturali, diventa occasione per regredire allo stato della pietra, dato che la espressione culturale non è solo un vezzo. Dietro tanti intellettuali molti operai si rendevano primitivi, seguiti dagli stessi intellettuali.
Su quello che hai detto su fisica e energia, io affermavo appunto che non esiste solo l'energia fisica. Dimenticarlo fa male alla salute.
Mauro Pastore
L'essere non e' qualcosa fisico, e' (gia') un pensiero e un "puro" concetto, quindi, voler fare la "metafisica dell'essere", e' come voler fare l'acqua bagnata o la luce luminosa: una ridondanza.
L'essere, o e' metafisico o non e'.
Perche', per contro, la fisica dell'essere quale sarebbe?
Che nel duemila prendiamo sul serio Parmenide come fisico, oltreche' come filosofo?
Secondo me nessuna.
Per questo, magari, metafisica dell'essente suona meglio.
Almeno l'essente, una fisica, eventualmente da superare, ce l'ha.
Sentiti libero di darmi del tu ::)
L'essere come assoluto mi sembra drastico, perchè mi pare che esitano diversi gradi dell'essere.
Qual'è il grado dell'essere dell'energia?
Secondo Einstein il grado è uguale a quello della massa, ma la nostra percezione non conferma ciò, e la percezione gioca ancora un ruolo importante in filosofia, mentre la fisica da essa col tempo si è emancipata, ponendosi oggi nella posizione di netta alternativa.
E' la nostra percezione che ha ancora bisogno della cosa in sè, mentre la fisica ha imparato a farne a meno, dopo aver spremuto dalla cosa in sè tutto ciò che poteva dargli.
Percezione e metodo scientifico si pongono adesso come sitemi alternativi e la filosofia non dovrebbe fare figli e figliastri.
L'essere è ciò che è, ed è significativo questo dire ridondante, perchè ci dice che ciò che è non si può dire, ma solo percepire.
Al contrario i nuovi enti ''maneggiati'' della fisica si possono dire, ma non percepire.
La metafisica non rischia di sparire, perchè ci sarà sempre qualcosa oltre il dicibile, non essendo il dire per sua natura esaustivo, anche se evolvendosi sposta il suo confine con l'indicibile, e quando il confine si sposta si grida al nichilismo.
Io Cacciari non l'ho capito, ma la sua metafisica concreta suona come un invasione di campo nella fisica, come se il confine fra i due si fosse spostato.
Se uno abita la metafisica per predilezione, quando il confine si sposta avrà appunto l'impressione che la metafisica si sia fatta un pò più concreta, mentre se uno abita per predilezione la fisica, quando il confine si sposta avrà l'impressione di una fisica sempre più astratta.
La metafisica concreta è l'alter ego della fisica astratta.
Fino a un certo punto ci è parso di capire ancora la nuova fisica trasformando mentalmente il nuovo mondo in cui viviamo in un analogia del vecchio, ritagliando alla cosa in se indirettamente ancora un residuo ruolo.
Anche le analogie però sono arrivate a fine corsa, e non riusciamo più a capire, e perchè non riusciamo più a capire?
Non riusciamo più a capire perchè la comprensione NON E' PIU' NECESSARIA, e tutto ciò che non è strettamente necessario in una sana economia di sopravvivenza viene accantonato.
Perchè la comprensione è parente stretta dell'evidenza, cioè della cosa in sè, e nel nuovo mondo di evidenze non ce ne sono più.
Il nuovo mondo c'è, ma non si può vedere, e per questo qualcuno pensa di poterlo ignorare.
Il vecchio mondo non è sparito perchè convive col nuovo, ma non si può dimostrare, pur rimanendo evidente, perchè l'evidenza non vale una dimostrazione, seppur entrambi giocano lo stesso ruolo, ma in mondi alternativi fra loro, nei quali insieme viviamo.
Questi mondi sono sempre meno riducibili l'uno all'altro, segno che il nuovo mondo sta giungendo a piena maturazione.
Two monds is melius che one?
Si, secondo me, anche se inglobare il nuovo è stato e continua ad essere problematico.
Dipende da quale valore in base alla nostra esperienza diamo alla diversità.
C'è infatti chi la considera una ricchezza e chi una maledizione, perchè i mondi nella realtà sono molti più di due, uno per ognuno di noi, un piccolo mondo a parte in cui ognuno di noi tende a rintanarsi.
Ognuno percepisce il nuovo mondo a modo suo.
Per alcuni non c'è più mondo, per altri è al contrario.
In effetti ce ne saranno sempre di più, arricchendosi il nostro fare di nuove alternative, perchè un mondo non è una cosa in se, ma il luogo delle nostre azioni.
E' il diverso modo in cui interagiamo con la realtà a tracciare mondi nuovi, e siccome non c'è un solo modo di farlo allora non c'è un mondo in sè.
La realtà non è il luogo delle nostre azioni, ma il luogo dei nostri modi di agire, e ad ogni modo corrisponde un mondo che si interfaccia con la realtà, che, finché il modo di agire è stato uno solo, è stato facile confondere con la realtà stessa.
La realtà è metafisica nella misura in cui riusciamo ad evocarla solo balbettando, come quando diciamo che è fatta di ciò che è in quanto è, e questa metafisica, pur mutando, non c'è pericolo che si estingua.
I nuovi mondi che si profilano sono tutte province del Logos, dove nulla è evidente, ed esiste solo ciò che si può dire e dimostrare, e potendosi diversamente dire, diversamente esisterà.
Citazione di: niko il 04 Maggio 2024, 23:29:16 PMChe nel duemila prendiamo sul serio Parmenide come fisico, oltreche' come filosofo?
Certo che lo prendiamo sul serio e se lo avessero preso sul serio anche i fisici e i filosofi ci saremmo risparmiata tanta pessima epistème fisica e metafisica, votata alla dimostrazione che il non-essere è.
Lo so che tu prediligi Eraclito e zigzagare nel tempo, come il tuo (e mio) maestro che a forza di vagare si è inabissato nell'abisso da cui lui stesso aveva messo in guardia, tradito dalla puttana somma della (grande) politica. Essì che con la gaia scienza e la profondità della superficialità greca era andato vicino alla verità (qualunque cosa essa sia).
Citazione di: iano il 05 Maggio 2024, 01:00:59 AML'essere come assoluto mi sembra drastico, perchè mi pare che esitano diversi gradi dell'essere.
Se proprio lo vogliamo riciclare in
chiave minore parmenidea, ovvero in ciò che dimostra di esserci (ta panta), è effettivamente così. Includendo pure i figli dell'immaginario.
CitazioneQual'è il grado dell'essere dell'energia?
Secondo Einstein il grado è uguale a quello della massa, ma la nostra percezione non conferma ciò, e la percezione gioca ancora un ruolo importante in filosofia, mentre la fisica da essa col tempo si è emancipata, ponendosi oggi nella posizione di netta alternativa.
Questa mi è davvero piaciuta, pur se odora di (legittima) metafisica. La massa è effettivamente transustanziazione dell'energia cosmica in
qualcosa capace di evolvere e noi chimici siamo i sacerdoti di tali meravigliosi processi.
CitazioneE' la nostra percezione che ha ancora bisogno della cosa in sè, mentre la fisica ha imparato a farne a meno, dopo aver spremuto dalla cosa in sè tutto ciò che poteva dargli.
Possiamo evolverci anche noi metafisici, no ! Come aveva già fatto Aristotele, capace di combinare Parmenide ed Eraclito secondo l'epistème più avanzata del suo tempo, realizzando una teoria della causalità assai più rigorosa di certi metafisici attuali e, forse, metafisicamente insuperabile.
CitazionePercezione e metodo scientifico si pongono adesso come sistemi alternativi e la filosofia non dovrebbe fare figli e figliastri.
Anche il metodo scientifico si basa sulla percezione: no microscopio, no virus. La buona filosofia colloca tutte le sue creature nel loro giusto posto e accoglie amorevolmente anche i nuovi nati.
CitazioneL'essere è ciò che è, ed è significativo questo dire ridondante, perchè ci dice che ciò che è non si può dire, ma solo percepire.
Al contrario i nuovi enti ''maneggiati'' della fisica si possono dire, ma non percepire.
Quelli della nuova fisica cialtrona che finge ipotesi, ma i nuovi enti per uscire dalla patacca ed entrare nella scienza devono essere pure essi percepiti attraverso la dimostrazione sperimentale. La quale si basa sempre più su astrazioni calcolate, ma alla fine il pargolo deve essere palpabile. O non-essere.
CitazioneLa metafisica non rischia di sparire, perchè ci sarà sempre qualcosa oltre il dicibile, non essendo il dire per sua natura esaustivo, anche se evolvendosi sposta il suo confine con l'indicibile, e quando il confine si sposta si grida al nichilismo.
Io Cacciari non l'ho capito, ma la sua metafisica concreta suona come un invasione di campo nella fisica, come se il confine fra i due si fosse spostato.
Cacciari si atteggia a profeta e questo rende difficile la comprensione, ma sotto l'aura professorale non fa altro che ribadire un messaggio di buonsenso filosofico, proprio della maieutica greca parzialmente deplatonizzata, ovvero la concretezza della riflessione metafisica (filosofia e metafisica sono la stessa cosa dice ad un certo punto della presentazione di "Metafisica concreta"). Tutto il contrario del nichilismo, che si nutre di nulla.
Anche su indicibile e dicibile di LW un po' di chiarezza va fatta:
logicamente dicibile è la tautologia della dimostrazione scientifica, ma ciò non comporta dogmaticamente la indicibilità di una riflessione metafisica condotta logicamente sul piano trascendentale delle ipotesi. Basta non ciullare sul manico della finzione: peccato mortale contro aletheia.
CitazioneSe uno abita la metafisica per predilezione, quando il confine si sposta avrà appunto l'impressione che la metafisica si sia fatta un pò più concreta, mentre se uno abita per predilezione la fisica, quando il confine si sposta avrà l'impressione di una fisica sempre più astratta.
Direi piuttosto, con Cacciari, che l'epistème ha alzato l'assicella della comprensione del reale. Sta al filosofo attrezzarsi di palestra, ed eventualmente asta, per superarla. Realizzando questo l'ottimo risultato:
CitazioneLa metafisica concreta è l'alter ego della fisica astratta.
(ma il "tutto" sempre sub iudice concreto, denominato Realtà).
Citazione di: Ipazia il 05 Maggio 2024, 09:34:24 AMAnche il metodo scientifico si basa sulla percezione: no microscopio, no virus. La buona filosofia colloca tutte le sue creature nel loro giusto posto e accoglie amorevolmente anche i nuovi nati.
Hai ragione. Anch'io a mio modo sono stato drastico. Sicuramente i due mondi alternativi di cui dico continuano a collaborare, ma essendo comunque alternativi dobbiamo aspettarci che questa mescolanza produca contraddizioni irrisolvibili, e l'usare giocoforza nomi vecchi per mondi nuovi di certo non aiuta.
Di questi due mondi alternativi quello percettivo mantiene la sua autosufficienza, cosa che effettivamente dell'altro si può dubitare.
Entrambi comunque sono figli della nostra interazione con la realtà, sono cioè formati dai sentieri che hanno tracciato i nostri passi, ed è presumibile che siano stati costruiti attingendo allo stesso manuale di edilizia, seppure solo del mondo nuovo conosciamo la sua costruzione, mentre l'altro per ignoranza della sua edificazione, non può che ridursi metafisicante ad un ciò che è atemporale, senza inizio e senza fine..
Ciò che è da rimarcare quindi è che non ci vuole necessariamente un manuale di costruzione per edificare un mondo, ma allo stesso tempo l'uso di manuali è ciò che a partire da un certo punto dell'evoluzione ci ha caratterizzati, mediando fra noi e la realtà, ma pagando lo scotto di una progressiva perdita di immediatezza ed evidenza.
Citazione di: Ipazia il 05 Maggio 2024, 09:34:24 AMCerto che lo prendiamo sul serio e se lo avessero preso sul serio anche i fisici e i filosofi ci saremmo risparmiata tanta pessima epistème fisica e metafisica, votata alla dimostrazione che il non-essere è.
Lo so che tu prediligi Eraclito e zigzagare nel tempo, come il tuo (e mio) maestro che a forza di vagare si è inabissato nell'abisso da cui lui stesso aveva messo in guardia, tradito dalla puttana somma della (grande) politica. Essì che con la gaia scienza e la profondità della superficialità greca era andato vicino alla verità (qualunque cosa essa sia).
Se proprio lo vogliamo riciclare in chiave minore parmenidea, ovvero in ciò che dimostra di esserci (ta panta), è effettivamente così. Includendo pure i figli dell'immaginario.
Si, forse non si e' capito in che senso ho usato il mio "oltreche' ": volevo dire, Parmenide e' stato un grande filosofo, ma non un grande fisico, dato che non ammetteva il divenire, la traformazione e la molteplicita'.
L'essere Parmenideo, non puo' che essere metafisico. Fisicamente, non solo non esiste... ma, anche come ipotesi di indagine e operativa che possiamo porre come "nascosta", ai sensi, non spiega un gran che'.
L'attualità di Parmenide non sta in ciò che afferma rispetto all'essere, ma da ciò che consegue rispetto al non-essere sul piano ontologico, una volta ripulito dal pregiudizio metafisico dell'assoluto e della perfezione parmenideo-platonica.
Riportando il principio sul piano degli enti, fornisce la strumentazione critica contro i non-e(sse)nti e i parti dell'immaginazione. Lasciando ai cultori dell'essere, ripulito dal divenire, solo la strada iperuranica del circolo dell'apparire severiniano, di fronte al quale pure Dio si deve adattare. Estremo territorio di una speculazione ontologica che, come l'ultimo giapponese, non si arrende di fronte alla vittoria, non necessariamente gloriosa ma incontrovertibile, dell'epistème scientifica.
Non gloriosa perchè ha le sue brave gatte da pelare, ma per lo meno non è relegata a vincere le sue battaglie solo nel mondo dell'immaginario.
Citazione di: PhyroSphera il 04 Maggio 2024, 10:11:05 AMMetafisica dell'essente (come propone Cacciari) o dell'essere (come proporrebbe chi ha letto Heidegger senza pregiudizi)? O entrambe?
Che ruolo dare alla metafisica?
Heidegger diceva di un superamento e di una fine; ma, stante il fatto che quello fisico è un àmbito non trascurabile e non assoluto, che esiste anche una ulteriorità e pure alterità ad esso, metafisica appunto, noi possiamo soltanto dare un senso relativo e particolare a detti superamento e fine.
Ad essere superata è la funzione di scoperta da parte della metafisica: in un Occidente dove gli studi psicologici, anche scientifici, si sono affermati, non ha più senso guidare metafisicamente gli intelletti per far loro scoprire lo spirito. C'è già la psicologia transpersonale che inquadra specificamente l'elemento spirituale e da decenni e decenni i chimici descrivono l'energia libera in reazioni materiali...
A finire è il ruolo guida del metafisico: oramai costui non fa più il mediatore tra la società e la religione, dato che viviamo in un pluralismo anche religioso e non c'è più l'oscillazione tra il trono e l'altare — non sempre infatti era relazione trono-altare — e i Terrori della Inquisizione Cattolica e della Rivoluzione Francese non si spartiscono più l'intera società. Questo significa che il teologo non è più costretto a chiedere il sistema al filosofo e può cercarlo, se vuole, liberamente. Certo con questo quadro non ho detto tutto... Nella cultura occidentale esiste non solo la fenomenologia anche l'ontologia; e quest'ultima non si occupa solo di essenti, pure di essere; e per studiare tale disciplina non è necessario farsi teologo o contendere il posto alla teologia...
Ma metafisica, e la metafisica, sono appunto anche altro. C'è da chiedersi: è davvero un atto filosofico la proposta assoluta di una metafisica dell'essente, che è venuta recentemente dal professor Cacciari, peraltro negando possibilità a una metafisica dell'essere? Non è forse còmpito del filosofo allargare gli orizzonti anziché chiuderli?
Non si possono risolvere i problemi della nostra società pensando solo all'ulteriorità. Questo lo fanno anche le sole scienze sociali ma non basta. Senza confrontarsi con l'alterità ci si chiude nel cerchio del mondo e proprio in una fase storica in cui si riscontra una crisi del mondo.
Giustamente la filosofia e la cultura contemporanee, sin dai tempi di Kierkegaard e anche dopo Heidegger, hanno fatto propria la categoria di alterità, non solo nella teologia ma anche nella politica, finanche nelle statistiche (quelle "diverse"); chi non sa ricorrere ad altro non sa risolvere i problemi che esistono nel mondo attuale.
Certo, a patto di non essere esclusivisti e intolleranti (come invece lo è stato Cacciari), si può dare un senso filosofico anche alla metafisica dell'essente. Ma resta necessità primaria una metafisica dell'essere, non con lo scopo di guidare la cultura della nostra società, ma — quanto meno — per ascoltare le ragioni degli altri, di Dio pure.
P.S.
Mentre scrivo, degli uccelli prepotenti che non sanno quante cose diverse fanno gli umani — per esempio affidano i pensieri ai segni della scrittura — mi trattano col loro canto come uno più illuso di quelli che scambiano la propria immagine riflessa per sé stessi e cercano di distrarmi... Non diversamente da quelli che innamorati degli essenti e della medesimezza emarginano o escludono o sottopongono finanche a circostanze sfavorevoli coloro che non pensano sempre la stessa cosa dietro ai presunti benpensanti (tra i nemici, anche i falsi medici che dicono di curare le 'ossessioni religiose' o peggio di 'insegnare la materia', timorosi in realtà del Mistero nell'universo, perché esso ricorda loro e ai loro numerosissimi complici di tirare avanti solo per circostanze fortuite).
Mauro Pastore
Sono totalmente dentro il tuo discorso.
Compreso quello dei passerotti che gorgheggiano spensierati, mentre mi perdo nella nebulosa di hegel.
Ah ah, è proprio vero, anch'io mi sono divertito a pensare quanto la vita, nel qui ed ora, e lontana dagli universali, sia semplice e profonda nello stesso tempo.
Cari passerotti, che mi insozzano il giardino.
Sai in un altra vita, prima cioè di aprire i minima moralia di Adorno, cercavo disperatamente qualche segno di apertura alla metafisica che ritengo grande, ossia quella di Heidegger.
Ma Cacciari è l'ennesimo prodotto pre-confezionato dell'industria culturale, insieme agli altri due filosofi che più vendono, ossia Galimberti e Sini.
La loro è una filosofia che chiude gli orizzonti.
Purtroppo la filosofia oggi si può pensare in quel breve lasso di tempo che parte da Hume-Kant, viene ri-elaborato dall'idealismo, e sfocia, di fatto finendo con Heidegger.
Accanto a loro tre autori incommensurabili, Leopardi, Kierkegaard e Nietzche.
Hai detto benissimo tu, sono questi autori che pensano la differenza.
Cosa è ente e cosa è essere?
la metafisica risponde alla domanda cosa è essere?
l'ontologia risponde alla domanda che cose è ente?
L'ultimo dei filosofi, ossia heidegger, in un libretto che mi ha sconvolto: che cosa è tempo?
Ammetto che non riesco a leggere l'aristotelismo di Heidegger, per cui forse hanno ragione nel dire che la sua filosofia è nazista, la gelassenait è il testamento a questo stoicismo revisitato.
Oggi nelle classifiche dei libri più letti di filosofia troviamo infatti lo stoicismo.
Ma in Heidegger vi è anche sant'agostino.
e allora alla domanda che cosa è tempo? heidegger risponde che ciò che è tempo è ciò che è uomo.
in questo senso heidegger parla di ESSENTE.
Non è l'essente dell'ente (di aristoteliana memoria) che sfocia poi nel nazismo della volontà di potenza.
ma è l'essente dell'uomo.
ecco che la domanda a cosa è l'uomo: l'apertura del DIO al tempo.
il tempo dell'abisso del pensiero e contemporaneamente del canto dell'uccello.
è l'uomo morale, e insieme è il santo trafitto dalla freccia (san sebastiano).
la filosofia dell'essere è dunque la filosofia che pensa la dimensione dell'ente uomo, come essente del DIO.
OSSIA COME ESSENTE DELLA LIBERTA'.
la visione di heidegger è apocalittica.
antigiudaica per eccellenza, ma se heidegger avesse studiato, è invece ESATTAMENTE la visione apocalittica giudaica.
L'apocalittica giudaica è contro il vitello d'oro.
La fede la vera fede, non è tanto nel cristo in sè, ma nel cristo, nel profeta che annuncia l'apocalisse (questo anche nell'islamismo).
Ma l'apocalisse è una perversione del tempo.
Una chiamata ad essere altro da quello che siamo nel qui e ora, e negli infiniti qui e ora che diventano universalità, linguaggio.
La differenza ontologica non è semplicemente la lezioncina dei filosofi moderni, essa è molto di più, va dentro fin dentro lo spirito della storia, e dunque degli uomini, e diventa la storia della fede nell'uomo.
Dell'uomo che naufraga nell'infinito oltre la collina (leopardi).
E' la legge del sangue, la legge dell'amore che unisce antigone alla sua famiglia e il destino della sua famiglia e il suo al suo amante.
gli spunti filosofici sono infiniti, e infinita l'eredità di kierkegaard.
kierkegaard come leopardi e come nice.
i filosofi che sono consapevoli della necessità della perversione.
e la necessità sta tutta nella libertà che il pensiero ci dona.
come tutti e 3 infine in coro dicono è il tempo dei nuovi dei, ossia dei nuovi uomini.
i discorsi ridicoli cacciari, zizek, sloterdijk filosofi che ho amato per via delle loro intuizioni, dei loro caratteri di ricerca nel giardino del re, loro clown al servizio dei potenti.
ovviamente non poteva che finire nel transumanesimo, dove l'uomo è il contrario del suo tempo, della sua perversione, ma diventa solo oggetto.
mero corpo morto nelle mani dei suoi carcerieri e torturatori.
l'orrore del nostro tempo è figlio del grido incomprensibile per la modernità di questi sommi autori.
Molto bene Mauro, forse dialetticamente non ti sono molto di aiuto, ho scelto da tempo: l'essere NON è l' ente.
e chiunque dica il contrario in questo caso ipazia o niko, ovvero i comunisti, è mio nemico nella teoria (e a quanto pare ultimamente anche nella pratica. CVD).
Saluti.
Green se vai avanti di questo passo non ti resta che l'Essere sionista. Gran brutta fine per un metafisico di belle speranze.
Citazione di: Ipazia il 07 Maggio 2024, 16:23:27 PMGreen se vai avanti di questo passo non ti resta che l'Essere sionista. Gran brutta fine per un metafisico di belle speranze.
E a me cosa me ne cale del sionismo?
Uno conto è la discussione politica, un conto la discussione sulla morale.
Sebbene io di base sono con te nel ragionare morale-politico, ossia ritengo dannoso pensare ad un Dio impersonificato.
Non di meno nell'ultimo quindicennio nei ritagli di tempo mi sono interessato della teologia politica, che pensa il pensiero apocalittico.
All'interno di questa teoria il comunismo, in quanto materialismo viene visto come limitante.
Infatti chi ragiona sulla violenza della storia, sullo stato d'eccezione noterà come non è tanto la questione politica del governo, ma della governabilità.
Secono gli apolattici (non quelli messi a buffa da Eco) la governabilità può darsi moralmente solo attraverso un immagine dell'uomo che va a morire.
L'uomo che muore per l'uomo, è la grande tradizione ebraica mistica, dove appunto il Dio è semplicemente un orrizonte limite, una vetta da raggiungere, per unire l'umanità.
Il comunismo invece ritiene che sia la materialità a garantire questa unità.
Il che è apprezzabile in una visione economica.
In una visione metafisica invece è semplicemente una forza contraria.
L'unione tra comunismo e cattolicesimo ha una sua tradizione.
Dietrich Bonhoeffer è un nome che pure il mio maestro pone come massimo esempio di moralità in vita, alla pari di Schweitzer.
Forse potrebbe essere un primo passo per avvicinare due modi di pensiero così diversi.
Una lettura futura che devo ai miei avi.
Purtroppo sono ancora dentro la malia dei nostri tempi, ogni movimento intellettuale, mi lascia senza forze.
E' anche per questo che lascio commenti ridicoli, abbastanza spesso.
Ma me lo sono messo come obiettivo, sto tentando di dare un senso sia alla vita, che alla politica da cui provengo, che è poi anche la tua.
Saluti.
La questione del sionismo è semplicemente legata ai dati storici, nella discussione filosofica non ha alcun peso.
O almeno ce lo ha nella funzione pubblica della storia, che sicuramente è un tema filosofico, ma a me interessa il giusto.
Sono molto più vicino al senso del vivere, che alle tematiche politiche.
Finchè sarà l'economia a scrivere la storia la filosofia non potrà non tenerne conto. Porre steccati tra politica e morale può funzionare come pharmacon individuale, oppiaceo raffinato infelicemente inconcludente.
Dallo zoon politikon a Hegel la filosofia ha intrecciato la sua visione con la politica, ignorando il primo motore mobile che sta sotto l'ambaradan. Marx ha completato il quadro che è insieme antropologico, storico e filosofico.
Da lì si riparte correggendo gli errori della teoria e della prassi, non tornando a caricature idealistiche del mondo erette a sistema.
Legittimo turarsi il naso, esiziale bendarsi gli occhi.
Citazione di: niko il 04 Maggio 2024, 23:29:16 PML'essere non e' qualcosa fisico, e' (gia') un pensiero e un "puro" concetto, quindi, voler fare la "metafisica dell'essere", e' come voler fare l'acqua bagnata o la luce luminosa: una ridondanza.
L'essere, o e' metafisico o non e'.
Perche', per contro, la fisica dell'essere quale sarebbe?
Ci possono essere due modi di pensare il verbo metafisico: nel senso di
oltre o di
al di là. Il materialista assolutista pensa solo il primo e così si concentra solo sul mondo; se poi si fa totalitario, come Marx ed Engels nel loro Manifesto, allora non c'è per lui neanche Schopenhauer a poterlo salvare dal disastro. Non basta cioè passare a una rappresentazione del mondo secondo la volontà, bisognerebbe che lui torni direttamente all'Assoluto.
Mauro Pastore
Citazione di: green demetr il 06 Maggio 2024, 23:32:17 PMovviamente non poteva che finire nel transumanesimo, dove l'uomo è il contrario del suo tempo, della sua perversione, ma diventa solo oggetto.
mero corpo morto nelle mani dei suoi carcerieri e torturatori.
[...]
Molto bene Mauro, forse dialetticamente non ti sono molto di aiuto, ho scelto da tempo: l'essere NON è l' ente.
e chiunque dica il contrario in questo caso ipazia o niko, ovvero i comunisti, è mio nemico nella teoria (e a quanto pare ultimamente anche nella pratica. CVD).
Saluti.
Certamente negando la distinzione tra essere e ente accade di pensare gli enti come fossero l'essere, smarrendo il senso dei limiti umani. Questo errore è alla base del
transumanesimo contemporaneo, che affermando la libertà dell'uomo non distingue più tra eros e tanatos, così comincia a fingere che un dente artificiale sia la stessa cosa di uno naturale... E quando, come Heidegger stesso mostrava, si pretende troppo dal principio di ragione, facendo della ontologia una organizzazione dittatoriale e dimenticando l'importanza del semplice elemento ontico... Ecco che qualcuno può mettere assieme i due errori... E così si incontra chi vuol mettersi un dente artificiale senza averne motivo.
Gli errori filosofici sono smentibili, il pensiero si può correggere; in tal senso si può dire che i mezzi filosofi sbadati non trovano il loro cattivo sèguito ma sono il sèguito di qualcun altro. Se il cosiddetto
transumanesimo è entrato in filosofia, è perché ce lo hanno messo con l'inganno, profittando della sbadatezza di qualcuno.
La trovata di Cacciari sulla metafisica concreta procura solo un beneficio superficiale e momentaneo; al che sarebbe necessario tornare alle distinzioni heideggeriane. Meglio sarebbe stato che molti ci avessero riflettuto meglio dall'inizio.
Mauro Pastore
Non occorre avere pregiudizi su Heidegger.
È sufficiente leggerlo senza neppure avere idea su chi sia.
Leggendo Essere e tempo, per esempio, cresce un qual fastidio interiore o invece non si avverte nulla che non vada?
Si segue lo scritto apprezzandone i contenuti razionali, oppure ci si domanda dove sia l'umanità?
Dov'è l'afflato etico?
Perché qui vi è la differenza sostanziale tra i due filosofi della Filosofia della esistenza: Jaspers e Heidegger.
Ed è una differenza abissale.
I termini utilizzati sono pressoché gli stessi, ma in Jaspers vi è fede nella Verità, mentre in Heidegger solo vuoto raziocinio.
Non riuscivo a farmi una ragione della repulsione che provavo ogni volta che mi approcciavo a Heidegger.
Finché comparve un articolo su MicroMega di uno stralcio pubblicato postumo della autobiografia di Jaspers.
Postumo per lo scrupolo di Jaspers.
E lì ho capito il perché del mio rigetto verso Heidegger!
H. aveva scopiazzato malamente da Jaspers le sue idee, per utilizzarle per la propria fama, ma senza davvero farle sue. Era un'opera puramente cerebrale.
H. è un corruttore. Che attira il lettore, che si convince sempre più di aver capito! Perché il percorso che offre è logico. E così non particolarmente difficile.
Ma in realtà soddisfa solo la volontà di potenza cerebrale.
È senz'anima.
Per rendersene conto bisognerebbe leggere Jaspers. Ma qui si fa difficile. Perché in definitiva semplice, è infatti l'anima che parla.
In Jaspers pulsa la vita, in H. vi è la morte.
Citazione di: green demetr il 06 Maggio 2024, 23:32:17 PMSono totalmente dentro il tuo discorso.
Compreso quello dei passerotti che gorgheggiano spensierati, mentre mi perdo nella nebulosa di hegel.
Ah ah, è proprio vero, anch'io mi sono divertito a pensare quanto la vita, nel qui ed ora, e lontana dagli universali, sia semplice e profonda nello stesso tempo.
Cari passerotti, che mi insozzano il giardino.
Sai in un altra vita, prima cioè di aprire i minima moralia di Adorno, cercavo disperatamente qualche segno di apertura alla metafisica che ritengo grande, ossia quella di Heidegger.
Ma Cacciari è l'ennesimo prodotto pre-confezionato dell'industria culturale, insieme agli altri due filosofi che più vendono, ossia Galimberti e Sini.
La loro è una filosofia che chiude gli orizzonti.
Purtroppo la filosofia oggi si può pensare in quel breve lasso di tempo che parte da Hume-Kant, viene ri-elaborato dall'idealismo, e sfocia, di fatto finendo con Heidegger.
Accanto a loro tre autori incommensurabili, Leopardi, Kierkegaard e Nietzche.
Hai detto benissimo tu, sono questi autori che pensano la differenza.
Cosa è ente e cosa è essere?
Preciso che non sono le tue le mie parole su questi tre autori.
Mauro Pastore
La differenza tra Jaspers e Heidegger è che il primo ci crede alla differenza tra ontico e ontologico, il secondo no. E quindi in lui risuona falsa. Doppiamente falsa perchè priva pure del noumeno kantiano, fuori tempo massimo, che poteva ancora dare un minimo di realtà all'ontologia dell'essere.
Nella visione heideggeriana non può esserci etica perchè il confronto è con l'epistème scientifica, nell'estremo tentativo di salvare un'ontologia metafisica sempre più in difficoltà di fronte alla sua "ontizzazione" scientifica. E pure tecnica, ma qui siamo già nel campo dell'etica e dell'esistenziale umano. La tecnoscienza o è una categoria etica o è aria fritta.
Resta filosoficamente valido il campo "ontico" dell'esserci delle cose, per le quali è sufficiente la lezione fenomenologica di Husserl. La metafisica concreta riannoda qui il discorso filosofico, al quale resta lo spazio epistemologico connesso alla ricerca scientifica, e soprattutto l'ambito esclusivo etico, per far valere le sue ragioni.
(liberando la natura dall'etica, l'epistème scientifica ha regalato molto più spazio alla filosofia)
Citazione di: PhyroSphera il 08 Maggio 2024, 08:53:45 AMCi possono essere due modi di pensare il verbo metafisico: nel senso di oltre o di al di là. Il materialista assolutista pensa solo il primo e così si concentra solo sul mondo; se poi si fa totalitario, come Marx ed Engels nel loro Manifesto, allora non c'è per lui neanche Schopenhauer a poterlo salvare dal disastro. Non basta cioè passare a una rappresentazione del mondo secondo la volontà, bisognerebbe che lui torni direttamente all'Assoluto.
Mauro Pastore
Io tutta 'sta differenza tra "oltre" e "al di la' " non la vedo: cio' che sta ad di la' sta sempre oltre, e cio' che sta oltre, sta sempre al di la', direi.
Piu' che altro, anche la dimensione della sola materia o sola immanenza, e' una dimensione di per se' gia' molto "orizzontata" e molto "liminare", intendo, gia' dotata di un limite e di un orizzonte intrinseco per la prospettiva umana che la abita anche al netto di ogni metafisica che vorrebbe completamente
oltrepassarla.Perche' l'uomo, che conosce lo spazio, il tempo,la materia, certo non per questo conosce
tutto lo spazio,
tutto il tempo, o
tutta la materia. La gran parete resta celata. Anche l'immanente, anche la posizione materiale umana, ha in se' un sacco di misconosciuti e inconoscibili.
Il nostro modo di abitare la materia e l'immanenza, e' gia' liminare e orizzontato, e' gia' in un certo senso necessariamente "scettico", necessitante una sospensione del giudizio, anche prima di ogni propria e compiuta metafisica.
Ecco che per me, la miglior metafisica, e' quella, diciamo cosi', "metacognitiva", cioe' quella che prova ad andare oltre l'orizzonte del noto, senza dimenticare e mettere da parte l'entro, cioe' quello che gia', essendo sperimentato e risaputo, e' noto.
Oltre lo spazio, il tempo e la materia, io personalmente sono assolutamente, e se vogliamo irrazionalmente, sicuro che, "viaggiando", oltre tutte le linee possibili in ogni modo e in ogni senso possibile, noi troveremo altro spazio, altro tempo e altra materia.
Non spiriti, dei, idee.
In questo senso, magari, il mio "oltre" non e', in senso proprio, un aldila'. Del resto, come potrebbe mai esserlo, senza contraddire la mia esperienza dell' "entro", e quindi, senza risultarmi inaccettabile?
Ma non e' detto che lo spazio, il tempo e la materia oltre il nostro orizzonte cognitivo, la nostra (non) metafisica secondo me umanamente "migliore" in quanto metacognitiva, non risponda, e magari pure meglio, ai problemi umani a cui oggi, risponde la metafisica (in generale).
Insomma, non c'e' un vero motivo per cui le umane inquietudini (chi siamo? Dove andiamo? Perche' ci andiamo? C'e' un senso?) debbano essere placate con quello che sta metafisicamente e radicalmente oltre, nel senso di sempre e per definizione del tutto al di la', dell'orizzonte, e cioe' le verita' ultime ed eterne della metafisica, e non, invece, dal paesaggio semplicemente non raggiunto ma teoricamente raggiungibile, quello che sta "oltre" un orizzonte (solo)
cognitivo e sensoriale; insomma, con quello che sta "oltre" qualcosa che fa da limite e da orizzonte fisicamente e materialmente, o, che e' quasi lo stesso, cognitivamente ed esperienzialmente.
L'al di la' "relativo" che e' e rimane al di la', al di la' di un orizzonte cognitivo intendo, solo finche' uno... non viaggia e non cammina, raggiungendolo.
E guadagna un po' di nuovo mondo sotto l'orizzonte.
Magari al costo di perderne un po' di altro, perche', quando di "smuove" l'orizzonte, sempre qualcosa si guadagna e qualcos'altro, si perde, nel novero del noto delle cose note.
Magari e' la materia, la storia e il paesaggio (temporaneamente) oltre l'orizzonte, che risponde, o rispondera', alle domande esistenziali, e non Dio o l'uomo-Dio.
O magari nessuno.
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2024, 12:18:12 PMNella visione heideggeriana non può esserci etica perchè il confronto è con l'epistème scientifica
Affermazione che non credo renda giustizia ad Heidegger; limitandosi ad «Essere e tempo»: il con-Esserci, l'essere-per-gli-altri, aver-cura vs prendersi-cura, l'inautentico, etc. meriterebbero considerazione, prima di precipitose conclusioni. Se ci si aspetta un breviario con comandamenti da (e)seguire o prediche sul paradigma da usare per distinguere il Bene dal Male, si resterà ovviamente delusi; se invece si apprezzano riflessioni sui fondamenti ontologici dell'etica, c'è molto da leggere (e da interpretare).
Citazione di: niko il 08 Maggio 2024, 15:04:50 PMIo tutta 'sta differenza tra "oltre" e "al di la' " non la vedo: cio' che sta ad di la' sta sempre oltre, e cio' che sta oltre, sta sempre al di la', direi.
L'oltre è contiguo, l'al di là non lo è.
L'al di la sembra messo in una posizione difficile da raggiungere, perchè c'è ben più di un confine comune da superare.
Alla tua metafisica quindi si adatta meglio l'oltre, credo.
Oltre il confine è terra di conquista per come mi pare la vedi tu.
Con l'al di là c'è una separazione non liminare.
Anch'io vedo la questione in termini di conquista, ma non basta nel mio caso superare un confine.
Per me la metafisica è il fondamento non visibile dell'edificio fisico, la cui immanenza è garantita finché non trovi le fondamenta nascoste, condizione necessaria per poterlo abbattere e poi eventualmente ricostruirlo.
La fisica è cioè un giocattolo che funziona finché non lo rompi per vedere come è fatto, che perciò appare esistere fuori dal tempo.
Una volta che lo hai rotto , dopo aver capito come si costruiscono i giocattoli, diventi un giocattolaio che costruisce giocattoli sempre più versatili, come ad esempio la meccanica quantistica, ma privi di immanenza.
Di fatto secondo me l'immanenza equivale all'ignoranza del come sia stato costruito l'edificio fisico.
Questa mancanza di immanenza potrebbe dare l'impressione di aver invaso il campo della metafisica, andando oltre il confine, laddove tutto appare più astratto, ma l'essenza della metafisica non è l'astrazione e se ti guardi indietro, il paesaggio che hai lasciato non è più lo stesso, per cui è come se hai guadagnato qualcosa pendendo qualcos'altro.
Ma di fatto hai ridefinito tutto ciò che stava al di qua e al di la.
Il nuovo paesaggio adesso sembra un ibrido dove rispetto alla vecchia fisica ciò che era astratto si è materializzato, e ciò che era solido sembra adesso più sfumato, un pò come se il solido e l'astratto fossero fatti della stessa sostanza, differenti solo per una forma che possiamo riplasmare.
Vattimo era un estimatore di Heidegger.
Ho avuto modo di avere un lungo confronto epistolare con lui.
Era in buona fede.
Qualche dubbio gli era alla fine venuto.
Ma è difficile accettare di essersi sbagliati a dar credito a un inganno così a lungo.
Sembra di rinnegare noi stessi. Sebbene sia invece proprio il contrario: è il riconoscimento dell'errore a farci fare un passo avanti.
D'altronde per Vattimo, fautore del pensiero debole, il fascino del pensiero forte di H. doveva essere irresistibile. Sebbene fosse una sola.
Non stupisce che tra chi apprezza H., e addirittura riesce a interpretarne un fondo etico, vi sia chi nega la Verità e consideri l'etica secondaria alla logica.
Che poi, gli autentici logici non possono che pensarla viceversa.
Proprio come fatto giorni fa con Hegel (e circa un mese fa con Wittgenstein), oggi con Heidegger ho chiamato in causa un testo. Non una sua interpretazione personale, ma il testo in ciò che dice, anche piuttosto chiaramente (ho citato parole e concetti presenti nel testo). "Moviola in campo": in tutti e tre i casi qualcuno, prima di me, ha citato quegli autori; di cui poi ho richiamato i testi, per evitare che se ne parlasse troppo a spanne; e in tutti e tre i casi ciò stava di fatto accadendo, come dimostrano i testi.
In fondo, i feedback che mi rimandano gli altri dopo aver letto ciò che ho scritto, sono sempre uno spunto interessante; probabilmente anche agli autori del passato piacerebbe, ma a quanto pare non hanno sempre la mia stessa fortuna; non mi resta dunque che, aldilà di ogni fraintendimento, sentirmi quasi privilegiato.
Citazione di: iano il 08 Maggio 2024, 16:54:44 PML'oltre è contiguo, l'al di là non lo è.
L'al di la sembra messo in una posizione difficile da raggiungere, perchè c'è ben più di un confine comune da superare.
Alla tua metafisica quindi si adatta meglio l'oltre, credo.
Oltre il confine è terra di conquista per come mi pare la vedi tu.
Con l'al di là c'è una separazione non liminare.
Anch'io vedo la questione in termini di conquista, ma non basta nel mio caso superare un confine.
Per me la metafisica è il fondamento non visibile dell'edificio fisico, la cui immanenza è garantita finché non trovi le fondamenta nascoste, condizione necessaria per poterlo abbattere e poi eventualmente ricostruirlo.
La fisica è cioè un giocattolo che funziona finché non lo rompi per vedere come è fatto, che perciò appare esistere fuori dal tempo.
Una volta che lo hai rotto , dopo aver capito come si costruiscono i giocattoli, diventi un giocattolaio che costruisce giocattoli sempre più versatili, come ad esempio la meccanica quantistica, ma privi di immanenza.
Di fatto secondo me l'immanenza equivale all'ignoranza del come sia stato costruito l'edificio fisico.
Questa mancanza di immanenza potrebbe dare l'impressione di aver invaso il campo della metafisica, andando oltre il confine, laddove tutto appare più astratto, ma l'essenza della metafisica non è l'astrazione e se ti guardi indietro, il paesaggio che hai lasciato non è più lo stesso, per cui è come se hai guadagnato qualcosa pendendo qualcos'altro.
Ma di fatto hai ridefinito tutto ciò che stava al di qua e al di la.
Il nuovo paesaggio adesso sembra un ibrido dove rispetto alla vecchia fisica ciò che era astratto si è materializzato, e ciò che era solido sembra adesso più sfumato, un pò come se il solido e l'astratto fossero fatti della stessa sostanza, differenti solo per una forma che possiamo riplasmare.
Si' allora, per me l'oltre, per come lo hai descritto tu, e' necessario e sincero, l'aldila' non sincero, e anche un po' superfluo.
Tutto e' terra di conquista, cognitiva intendo, non certo militare o altro.
Tutto e' oltre, e niente e' aldila'.
Il viaggio reale, il viaggio dell'eroe e dell'esploratore, risponde, e rispondera', a molte piu' domande di quelle a cui risponde la metafisica.
Spesso la risposta e' oltre l'orizzonte, ma non e' detto che sia sempre e comunque irragiungibile.
Spesso e' un dettaglio o un elemento ben entro l'orizzonte, ma troppo sottile da essere notato.
Proprio perche' siamo esseri orizzontati, non solo non possiamo sapere tutto, ma spesso ci troviamo in situazioni "limite" in cui non possiamo aggiungere conoscenta nuova, senza perdere conoscenza vecchia.
Il che e' appunto, la situazione e la metafora tipica di un "orizzonte".
Quindi, anche i cambi di paradigmi scientifici c'entrano, ma non solo quelli.
La sacrosanta possibilita', umana, di andare a "dare un'occhiata", oltre alcuni orizzonti, rende la (buona) metafisica "metacognitiva", cioe' congetturale e immagginifica.
La scienza, e' uno dei frutti migliori, della metafisica.
L'immagginazione e il mito, ne sono uno dei "semi", migliori, nel senso che logicamente e cronologicamente la precedono, valendo spesso molto di piu' di essa.
Citazione di: PhyroSphera il 08 Maggio 2024, 09:23:39 AMCertamente negando la distinzione tra essere e ente accade di pensare gli enti come fossero l'essere, smarrendo il senso dei limiti umani. Questo errore è alla base del transumanesimo contemporaneo, che affermando la libertà dell'uomo non distingue più tra eros e tanatos, così comincia a fingere che un dente artificiale sia la stessa cosa di uno naturale... E quando, come Heidegger stesso mostrava, si pretende troppo dal principio di ragione, facendo della ontologia una organizzazione dittatoriale e dimenticando l'importanza del semplice elemento ontico... Ecco che qualcuno può mettere assieme i due errori... E così si incontra chi vuol mettersi un dente artificiale senza averne motivo.
Gli errori filosofici sono smentibili, il pensiero si può correggere; in tal senso si può dire che i mezzi filosofi sbadati non trovano il loro cattivo sèguito ma sono il sèguito di qualcun altro. Se il cosiddetto transumanesimo è entrato in filosofia, è perché ce lo hanno messo con l'inganno, profittando della sbadatezza di qualcuno.
La trovata di Cacciari sulla metafisica concreta procura solo un beneficio superficiale e momentaneo; al che sarebbe necessario tornare alle distinzioni heideggeriane. Meglio sarebbe stato che molti ci avessero riflettuto meglio dall'inizio.
Mauro Pastore
Il problema ontico nell'Heidegger di Essere e Tempo, fa tutta la differenza negativa in questo mondo.
In questo senso io la prima parte di Essere e Tempo l'ho dimenticata in fretta.
Come dice Phil Heidegger è anche il filosofo della differenza dell'Essere, in quanto essere indimostrabile, tanto che per distinguerlo dal veccho Essere teologico, lo scrive barrandolo (mitiche le urla di sdegno di Volpi, che ovviamente non aveva capito niente).
Chi pensa che l'ESSERE heideggeriano sia l'essente, non ha capito nulla.
Però capisco anche la difficoltà, andiamo ad enunciarla.
In Essere e Tempo, si dice che l'ente umano (ossia il puro essente del genere astratto umano) non è altro che la sua medianità.
E' stra-evidente che si riferisce ad HEGEL.
Ed esattamente come Hegel ritiene che lo spirito sia dunque all'apparenza ente.
Ma sono solo giochi di parole, poichè questa apparenza pensa.
E dunque evidente che in Heidegger non ci si sposti di una virgola dall'ente aristotelico.
Se l'apparenza pensa, allora il suo sostrato è l'ente.
Cacciari queste cose le capisce bene, sia chiaro.
Il punto di loop di Heidegger non è però tanto questo. Ma il fatto che in Heidegger questa apparenza che "aspetta" che l'ente si manifesti, si confronta con ciò che questa apparenza evidentemente NEGA (come in Hegel).
Ma cosa è che nega? Noi DOBBIAMO notare che in Heidegger la domanda "CHE COSA" permane.
Ebbene ciò che nega non è tanto l'autoscienza di hegeliana memoria e che stiamo trattando in questi giorni nella mia discussione, quanto IL TEMPO.
Io vorrei ricordare come mi sono arrestato a lungo nel proseguire la lettura della FDS di Hegel, perchè Hegel NON risponde alla domanda su che cosa è il tempo.
In heidegger il tempo NON è un ENTE.
(o meglio preciseremo poi la sua ambiguità su questa cosa IMPORTANTISSIMA).
Infatti Heidegger come Hegel ragiona sul DILEGUARE delle cose.
Ma ciò che dilegua, può dileguarsi solo perchè esiste il tempo.
Il fatto che noi possiamo dire che esista qualcosa è solo perchè noi siamo dentro al tempo.
O come direbbe kant, siamo PRECEDUTI dal tempo.
Ma Heidegger risolve in quel meraviglioso libretto "che è cosa è tempo?" che il tempo non è che ci precede, semplicemente NOI SIAMO IL TEMPO.
Certo questa intuizione è la famosa meteora che fa campo bruciato, non è rimasto più nessuno ad ascoltare per DAVVERO.
Se noi siamo pura temporalità A MIO AVVISO noi non siamo un ENTE.
Mi pare talmente auto-evidente che faccio fatica a spiegarlo diversamente.
Ma Heidegger LO DEVE SPIEGARE (da bravo aristotelico).
E così arriva l'incontro con Nietzche, il crollo nervoso, e poi finalmente LA SVOLTA.
E va bene a tempo debito ne parleremo.
Ma cosa abbiamo lasciato indietro?
La medietà dell'essente, che sta autocoscientemente tra la domanda su "che cosa è che sta dietro l'apparenza", e "cosa è l'ESSERE".
Heidegger se la porta dietro come una palla al piede.
Non la risolve in alcuna maniera (o almeno abbiate pietà, rispetto alle decine di conferenze che ho ascoltato...a che se era una vita fa...oggi so che quelle conferenze erano dentro l'indusria culturale, e quindi non erano interessate a rispondere a niente. Le domande dei prof, degli esperti etc...era mera fuffa. Persino Volpi è mera fuffa. Parlare di NIENTE).
La filosofia si fa attraverso la problematicità dei Temi rispondendo ad essi e non al loro semplice elenco a pappagallo...ma va bè vi consiglio Adorno che ha una penna magistrale e cattivissima, io non devo aggiungere niente rispetto ai Minima Moralia).
Sicuramente aprirà gdl su di lui, ma già vi dico, che non potendo citare i testi (credo sia ancora sotto diritto d'autore) ne uscirà qualcosa di molto più prosaico e nojoso.
Ecco secondo me l'ambiguità (l'ha capita molto bene Severino nelle conferenze dell'esprit, oggi purtroppo ritirate.) sta nel fatto che Heidegger per tutta la vita oscilli fra la verità dell'essere barrato e la verità dell'essente dell'essere barrato, ossia l'essente uomo.
Essente uomo in quanto STORIA.
Ovviamente è lì l'errore, talmente ridicolo come errore, che a volte non me ne capacito.
Il suo è un messianesimo d'accatto, aspettare che l'essere barrato (che si manifesta SOLO nel qui e ora, rispetto a quello che noi siamo, ossia pura TEMPORALITA' puro QUI E ORA) si manifesti INVECE nella storia.
Ma perchè Heidegger necessitava di questo passaggio successivo: perchè la storia?
Perchè proprio la Germania?
Ecco che di nuovo bisogna andare ad ascoltare Volpi, che sono d'accordo nel dire come il maggior heideggeriano italiano e forse chi sà anche di più).
L'Heidegger che pensa la medietà, come se questa esistesse! e' QUESTO CHE NON SOPPORTO DI MARTIN, che poi si passano anni e anni a disambiguare qualcosa che poi una volta fatto: A chi o a che giova?
Il suo pensiero più importante è invece quello che domanda della barratura dell'essere, è quello che ripensa la filosofia come quell'errore originario di non pensare più l'essere.
E' l'heidegger che nega persino la barrazione (perchè la barrazione sarebbe una volontà di potenza umana! e ora, pensiamo a come invece non ha pensato a come il credere che l'uomo sia medietà tra CIELO e TERRA, quale pazzesca MANIA si è rivelata da sempre nella storia.
Ma come ha fatto a pensare così tanto all'essere? e così poco all'essente?
Queste sono cose che richiedono calma.
Perchè come dicevo anche Heidegger conosceva Scmitt!
Quando si dice che Heidegger è uno gnostico, putroppo per chi lo studia e deve stare lì una vita a spiegare perchè nonostante questo, è ancora un grande autore....quanto tempo sprecato!
Ma fino ad oggi solo pappagalli!
Quindi Phil sì e no. In parte ha ragione Ipazia voglio dire.
C'è tutto questa premessa di heidegger, che va tenuta di conto!
Poi certo i grandi temi di heidegger non possono valere una somma bocciatura.
Sul fatto di leggere alla lettera un autore: si ok, ma è più un lavoro da filologi che da filosofi, almeno questo è quello che penso.
Poi certo che la filolofia ha un peso determinante.
Purtroppo non sono un tale erudito e mi soffermo sulla problematicità MIA che riguarda la lettura di Heidegger, ossia il suo pensiero.
Frattanto ho appena iniziato Kierkegaard giù il cappello!
E' veramente molto strano che ho di lui un ricordo terribile. BOH!
Il Kierkegaard di Aut Aut è un narratore eccezionale. Se bastasse la narrazione per creare la realtà nessuna teologia potrebbe competere col Dio di Kierkegaard.
Citazione di: bobmax il 08 Maggio 2024, 09:27:31 AMNon occorre avere pregiudizi su Heidegger.
È sufficiente leggerlo senza neppure avere idea su chi sia.
Leggendo Essere e tempo, per esempio, cresce un qual fastidio interiore o invece non si avverte nulla che non vada?
Si segue lo scritto apprezzandone i contenuti razionali, oppure ci si domanda dove sia l'umanità?
Dov'è l'afflato etico?
Perché qui vi è la differenza sostanziale tra i due filosofi della Filosofia della esistenza: Jaspers e Heidegger.
Ed è una differenza abissale.
I termini utilizzati sono pressoché gli stessi, ma in Jaspers vi è fede nella Verità, mentre in Heidegger solo vuoto raziocinio.
Non riuscivo a farmi una ragione della repulsione che provavo ogni volta che mi approcciavo a Heidegger.
Finché comparve un articolo su MicroMega di uno stralcio pubblicato postumo della autobiografia di Jaspers.
Postumo per lo scrupolo di Jaspers.
E lì ho capito il perché del mio rigetto verso Heidegger!
H. aveva scopiazzato malamente da Jaspers le sue idee, per utilizzarle per la propria fama, ma senza davvero farle sue. Era un'opera puramente cerebrale.
H. è un corruttore. Che attira il lettore, che si convince sempre più di aver capito! Perché il percorso che offre è logico. E così non particolarmente difficile.
Ma in realtà soddisfa solo la volontà di potenza cerebrale.
È senz'anima.
Per rendersene conto bisognerebbe leggere Jaspers. Ma qui si fa difficile. Perché in definitiva semplice, è infatti l'anima che parla.
In Jaspers pulsa la vita, in H. vi è la morte.
Volendo mettere in luce anche gli aspetti negativi, non solo quelli positivi, si può dire che Heidegger pretese troppo dalle proprie ricerche e gettò tanto caos nel mondo accademico; si può anche dire in un certo senso che Jaspers faceva bene a inoltrare alla filosofia perenne, in mezzo alla crisi dei valori cui Heidegger non sapeva rimediare anzi cui aveva contribuito, disastrosamente per certi versi; ma quello di Jaspers era un riferimento che lui stesso non praticò alla fine. Di un'opera filosofica bisogna saper cogliere quello che di buono rimane e ciò che di buono aveva rappresentato e ciò vale pure per Heidegger. A voler essere critici, nei lavori di Jaspers non si trova soltanto qualcosa di grave su cui ridire ma delle vere e proprie intrusioni. Generalmente, una intrusione del negativismo, senza badare ai contesti; sicché finanche il linguaggio poetico di cui è cosparsa la sua opera suona inautentico, trasposto da un'altra cultura. Heidegger notò la più che sospetta insistenza di Jaspers, che formalmente era anche medico e psicologo, in una concezione sorpassata della mente e delle malattie mentali... In principio della pubblicazione di "Genio e follia" Jaspers tratta la schizofrenia come l'intruso e il nemico imbattibile e inconoscibile, reiterando un pregiudizio che è anche una perniciosa superstizione popolare, a dispetto degli studi scientifici della psicologia del profondo che sono anche e realmente medici... Sembra addirittura che certe metafore poetiche Jaspers le avesse rubate dai pazienti perseguitati nei manicomi; e se ad Heidegger molti imputarono la momentanea perdita dei valori culturali, a Jaspers si devono imputare direttamente delle intrusioni. Non a caso i criminali nazisti non vollero mai arrestarlo mentre Heidegger, tentando di dirigerli e illuso di scongiurarne la violenza estrema e gli errori, subì da loro anche torture... Jaspers non lasciò neppure propriamente un'opera, ma un insieme di pensieri presi da altri contesti. Nel caso per esempio del concetto di "Tutto avvolgente" Jaspers aveva saccheggiato la filosofia mistica ebraica della Cabala senza esprimerla adeguatamente. Tanto di buono si trova nei suoi libri ma se lo si prende altrimenti da come lui faceva, stando attenti a rifiutare le estraneità che lui intrometteva; estraneità ad un autentico itinerario filosofico, che non significa offrire una panoramica di concetti rimediati qua e là, e presentati come in un grande triste ricettario.
Mauro Pastore
Citazione di: niko il 08 Maggio 2024, 15:04:50 PMIo tutta 'sta differenza tra "oltre" e "al di la' " non la vedo: cio' che sta ad di la' sta sempre oltre, e cio' che sta oltre, sta sempre al di la', direi.
Non ce la vedi perché concepisci il mondo come tutto. Eppure basterebbe valutare la espressione della multidimensionalità nelle scienze matematiche per averne il dubbio.
Mauro Pastore
Citazione di: PhyroSphera il 10 Maggio 2024, 09:59:41 AMVolendo mettere in luce anche gli aspetti negativi, non solo quelli positivi, si può dire che Heidegger pretese troppo dalle proprie ricerche e gettò tanto caos nel mondo accademico; si può anche dire in un certo senso che Jaspers faceva bene a inoltrare alla filosofia perenne, in mezzo alla crisi dei valori cui Heidegger non sapeva rimediare anzi cui aveva contribuito, disastrosamente per certi versi; ma quello di Jaspers era un riferimento che lui stesso non praticò alla fine. Di un'opera filosofica bisogna saper cogliere quello che di buono rimane e ciò che di buono aveva rappresentato e ciò vale pure per Heidegger. A voler essere critici, nei lavori di Jaspers non si trova soltanto qualcosa di grave su cui ridire ma delle vere e proprie intrusioni. Generalmente, una intrusione del negativismo, senza badare ai contesti; sicché finanche il linguaggio poetico di cui è cosparsa la sua opera suona inautentico, trasposto da un'altra cultura. Heidegger notò la più che sospetta insistenza di Jaspers, che formalmente era anche medico e psicologo, in una concezione sorpassata della mente e delle malattie mentali... In principio della pubblicazione di "Genio e follia" Jaspers tratta la schizofrenia come l'intruso e il nemico imbattibile e inconoscibile, reiterando un pregiudizio che è anche una perniciosa superstizione popolare, a dispetto degli studi scientifici della psicologia del profondo che sono anche e realmente medici... Sembra addirittura che certe metafore poetiche Jaspers le avesse rubate dai pazienti perseguitati nei manicomi; e se ad Heidegger molti imputarono la momentanea perdita dei valori culturali, a Jaspers si devono imputare direttamente delle intrusioni. Non a caso i criminali nazisti non vollero mai arrestarlo mentre Heidegger, tentando di dirigerli e illuso di scongiurarne la violenza estrema e gli errori, subì da loro anche torture... Jaspers non lasciò neppure propriamente un'opera, ma un insieme di pensieri presi da altri contesti. Nel caso per esempio del concetto di "Tutto avvolgente" Jaspers aveva saccheggiato la filosofia mistica ebraica della Cabala senza esprimerla adeguatamente. Tanto di buono si trova nei suoi libri ma se lo si prende altrimenti da come lui faceva, stando attenti a rifiutare le estraneità che lui intrometteva; estraneità ad un autentico itinerario filosofico, che non significa offrire una panoramica di concetti rimediati qua e là, e presentati come in un grande triste ricettario.
Mauro Pastore
Do per scontato che chi scrive non conosca Jaspers.
Gli è cioè sconosciuto il pensiero, non ha letto alcuna opera, e non sa nulla della sua vita.
Per prima cosa era uno psichiatra, non uno psicologo.
Come psichiatra è tuttora studiato nelle università.
La sua opera Psicopatologia generale è tuttora un riferimento per la psichiatria.
Dedicandosi alla filosofia ha prodotto numerose opere fondamentali.
Tra cui il capolavoro: Filosofia.
Testi magari difficili, perché affrontano il semplice.
E probabilmente impossibili da affrontare per chi ha poca fede nella Verità.
Sì, la Verità è il faro di Jaspers.
Se vi è qualcuno che ha scopiazzato, e malamente, è stato Heidegger.
Che ha frequentato Jaspers a lungo per succhiarvi qualcosa di vendibile.
E poi lo ha ignorato nel momento del bisogno. Da buon filonazista.
Ma anche a prescindere dal nazismo in H., è sufficiente leggerlo cercandone l'umanità.
Perché il filosofo è tale solo se umano.
Viceversa H. mostra solo abilità di esposizione, ma senza anima.
Se non si coglie questo, significa che se ne è lasciati irretire.
Citazione di: bobmax il 10 Maggio 2024, 10:52:34 AMDo per scontato che chi scrive non conosca Jaspers.
Gli è cioè sconosciuto il pensiero, non ha letto alcuna opera, e non sa nulla della sua vita.
Per prima cosa era uno psichiatra, non uno psicologo.
Come psichiatra è tuttora studiato nelle università.
La sua opera Psicopatologia generale è tuttora un riferimento per la psichiatria.
Dedicandosi alla filosofia ha prodotto numerose opere fondamentali.
Tra cui il capolavoro: Filosofia.
Testi magari difficili, perché affrontano il semplice.
E probabilmente impossibili da affrontare per chi ha poca fede nella Verità.
Sì, la Verità è il faro di Jaspers.
Se vi è qualcuno che ha scopiazzato, e malamente, è stato Heidegger.
Che ha frequentato Jaspers a lungo per succhiarvi qualcosa di vendibile.
E poi lo ha ignorato nel momento del bisogno. Da buon filonazista.
Ma anche a prescindere dal nazismo in H., è sufficiente leggerlo cercandone l'umanità.
Perché il filosofo è tale solo se umano.
Viceversa H. mostra solo abilità di esposizione, ma senza anima.
Se non si coglie questo, significa che se ne è lasciati irretire.
Mai dare troppo per scontato in filosofia. Inoltre non si può tacere che senza formazione e pratica psicologica gli psichiatri non sono tali e quando si vuol sottrarre le loro affermazioni alle considerazioni psicologiche opportune non si fa alcun favore neppure alla medicina.
Heidegger definì la filosofia di Jaspers un fallimento, non per distruggere il lavoro altrui o per appropriarsene indebitamente ma per avviare un rapporto diverso con quanto di esso rimasto. Per combinarci qualcosa di buono con la filosofia indicata da Jaspers bisogna farne un lettura
altra, ricrearla. La sua manifestazione scritta è solo un simulacro e solo in quanto tale ha parte nell'evento filosofico. Inutile difendere i disastri di Jaspers menzionando un sistema culturale che è complice con la violenza della repressione manicomianale.
Non lo dico per giudicare ingenui e semplici sprovveduti, tanto più che i discorsi di Jaspers erano spesso proprio ingannevoli.
Sulla crisi del pensiero esistenziale tedesco del '900 disse bene Abbagnano, e non è giusto che si provi a gettare discredito su chi come me vuole denunciare una situazione che non ci sarebbe dovuta proprio essere nella cultura.
Non l'astio e illusione politici di Heidegger, ma, nel caso di Jaspers, l'essersi reso proprio fuori posto! Maneggiare concetti altissimi di filosofia e poi negare le conseguenze, favorevoli per l'umanità anche a prescindere delle applicazioni cioè solo per informazione, delle scoperte di Jung, Freud, Adler, sull'inconscio e le malattie anche più gravi, è per un filosofo più di un torto politico e pone fuori dalla vera medicina; che non è una sapienza esoterica riservata ai soli professionisti del settore.
Jaspers si interessava all'esistenza umana senza valutare tutte le prospettive positive disponibili per essa. Un disastro questo che non va negato solo perché impolitico.
Mauro Pastore
Citazione di: PhyroSphera il 10 Maggio 2024, 13:44:19 PMMai dare troppo per scontato in filosofia. Inoltre non si può tacere che senza formazione e pratica psicologica gli psichiatri non sono tali e quando si vuol sottrarre le loro affermazioni alle considerazioni psicologiche opportune non si fa alcun favore neppure alla medicina.
Heidegger definì la filosofia di Jaspers un fallimento, non per distruggere il lavoro altrui o per appropriarsene indebitamente ma per avviare un rapporto diverso con quanto di esso rimasto. Per combinarci qualcosa di buono con la filosofia indicata da Jaspers bisogna farne un lettura altra, ricrearla. La sua manifestazione scritta è solo un simulacro e solo in quanto tale ha parte nell'evento filosofico. Inutile difendere i disastri di Jaspers menzionando un sistema culturale che è complice con la violenza della repressione manicomianale.
Non lo dico per giudicare ingenui e semplici sprovveduti, tanto più che i discorsi di Jaspers erano spesso proprio ingannevoli.
Sulla crisi del pensiero esistenziale tedesco del '900 disse bene Abbagnano, e non è giusto che si provi a gettare discredito su chi come me vuole denunciare una situazione che non ci sarebbe dovuta proprio essere nella cultura.
Non l'astio e illusione politici di Heidegger, ma, nel caso di Jaspers, l'essersi reso proprio fuori posto! Maneggiare concetti altissimi di filosofia e poi negare le conseguenze, favorevoli per l'umanità anche a prescindere delle applicazioni cioè solo per informazione, delle scoperte di Jung, Freud, Adler, sull'inconscio e le malattie anche più gravi, è per un filosofo più di un torto politico e pone fuori dalla vera medicina; che non è una sapienza esoterica riservata ai soli professionisti del settore.
Jaspers si interessava all'esistenza umana senza valutare tutte le prospettive positive disponibili per essa. Un disastro questo che non va negato solo perché impolitico.
Mauro Pastore
Che uno psichiatra sia pure competente in psicologia è evidente.
Mentre lo psicologo non è psichiatra.
Il bene che può derivare dalla lettura di Jaspers è inestimabile.
Ma bisogna fare filosofia.
Nella parte della autobiografia di J. dedicata ai suoi rapporti con H., pubblicata postuma dalla moglie, si può comprendere chi fosse in realtà H.
Jaspers l'aveva tenuta per sé, essendo fin troppo un signore.
Interessante il colloquio tra i due, quando H. era andato a trovarlo per conoscerne il parere del suo Essere e tempo, ancora non pubblicato.
Le domande perplesse di J. e le non risposte di H. dicono tutto del personaggio.
Comunque è inutile insistere, visto che è evidente che nulla di Jaspers sai.
Citazione di: PhyroSphera il 10 Maggio 2024, 10:10:02 AMNon ce la vedi perché concepisci il mondo come tutto. Eppure basterebbe valutare la espressione della multidimensionalità nelle scienze matematiche per averne il dubbio.
Mauro Pastore
Allora,per come l'avete spiegata voi, la differenza, diciamo che io credo nell'oltre, ma non credo nell'aldila'.
Il viaggio dell'eroe, o quantomeno del viandante, e' molto piu' importante del viaggio del filosofo.
Di solito, la gente pensa che lo spirito sia irraggiungibile: a me piace pensare che lo "spirito", (ovvero la risposta sapienziale alle domande esistenziali) potrebbe essere solo la materia al di l'a' dell'orizzonte. Che e' prima di tutto un orizzonte conoscitivo.
Magari, oltre l'orizzonte, si puo' andare a dare un'occhiata.
Stante che la metafisica "vale", nella misura in cui "giova", alla vita.
Non esiste, una valutabilita' della metafisica "al di la' ", appunto... della sua funzione, umana e storica.
Il mondo, ha gia' un orizzonte. Non e' un tutto, se non a chiacchiere.
Ma non e' nemmeno detto, che il suo essere solo potenzialmente un tutto, se si potesse prescindere dal suo intrinseco orizzonte, sia, o faccia, problema.
A me, non me ne fa alcuno. Il mondo e', per modi di dire un tutto, ma e' un tutto che io non possa conoscere, quindi, non e' un tutto per me, ai miei occhi. Ne' mai lo sara'.
Avendo io un gia' cosi' importante orizzonte con cui "fare i conti", (l'orizzonte reale, storico, esistenziale e geografico) me ne faccio poco, del sovra-orizzonte, o dello pseudo-orizzonte, cosiddetto metafisico.
Citazione di: niko il 10 Maggio 2024, 14:58:34 PMIl mondo e', per modi di dire un tutto, ma e' un tutto che io non possa conoscere, quindi, non e' un tutto per me, ai miei occhi. Ne' mai lo sara'.
Avendo io un gia' cosi' importante orizzonte con cui "fare i conti", (l'orizzonte reale, storico, esistenziale e geografico) me ne faccio poco, del sovra-orizzonte, o dello pseudo-orizzonte, cosiddetto metafisico.
Per modo di dire, concordo, ma anche un modo di dire obbligato per come la vedo io.
Questo uno inoltre è in contrapposizione ad un mondo che ci appare come molteplicità, quindi da dove nasce la necessità di tirarlo in ballo?
A farla breve (ma breve non riesco mai a farla :) ) io parlo di uno per dire che nessuna molteplicità con cui il mondo ci appare è rappresentativa di essa in modo univoco.
E' una molteplicità rappresentativa del rapporto fra due ''UNI'' ;) che essendo un rapporto che varia, cambia la molteplicità con cui si manifesta l'uno in questo rapporto, e che sia il mondo come appare ai nostri sensi, o come lo disegna la scienza nella sua evoluzione, la sostanza non cambia.
Ogni molteplicità può essere assimilata/confusa con l'uno, andando oltre il suo carattere relativamente rappresentativo, nella misura in cui c'è dietro una metafisica che gli regge un gioco di assolutezza.
La metafisica fà questo gioco nella misura in cui non la si può negare, e finché non si riesce a negarla.
Una molteplicità varrebbe l'altra se non fosse che sono vestiti che non calzano bene a tutti, ed ad ognuno nella misura in cui cresce.
La metafisica è come la pelle del serpente, di cui ci accorgiamo solo quando la cambiamo, nei momenti di transizione da crescita, che sono anche momenti di crisi potenzialmente salutare.
Inoltre il rapporto che c'è fra l'uno e una delle sue possibili molteplicità rappresentative, mi sembra spieghi perchè fra i molteplici attori della rappresentazione agiscano forze che diversamente non sarebbero necessarie.
La metafisica dell'essere prescinde che fra gli essenti vi sia un rapporto dinamico.
Se questo rapporto dinamico invece c'è potrebbe spiegarsi col fatto che gli essenti hanno una nascitura e nascono insieme ai loro rapporti di forza.
L'uno è in sostanza un modo di trascendere la metafisica dell'essere che rende il mondo in cui viviamo meno rigido e più plasmabile, dove diversamente ogni essente è un paletto piantato nel terreno in modo indelebile, fra cui dover fare slalom, uno slalom la cui fatica col tempo diventa insostenibile.
Ho potuto ascoltare di nuovo Massimo Cacciari, direttamente, anche questa volta solo per poco tempo.
Ho incontrato una presentazione affatto diversa e non ho provato un vuoto di filosofia come era accaduto prima anzi ne ho constatato con interiore allegria la presenza.
Io lamentavo qui nel mio messaggio: metafisica concreta, essente... non è così che si smarrisce di nuovo l'essere, il cui pensiero non potrebbe essere mai concreto?
Stavolta Cacciari poneva la stessa visione intellettuale sotto una luce diversa: certo che Heidegger diceva con ragione che l'essere non è l'ente, ma era rimasto qualcosa di libero dal confonderli... Dunque in epoca di trionfo di tecnicismi si deve sottrarre la scienza alla dittatura tecnica e ricondurla alla politica e questa porla in rapporto reciproco con la filosofia... Tutelare il lavoro dello spirito! Così (non con queste parole, e con pochi cenni) il professor Cacciari dunque difendeva una considerazione trascendentale ma — stavolta — senza fare conflitti con una possibile concezione della trascendenza — o perlomeno tanto risultava dal poco ascoltato.
Che posso dire? Cacciari, che citava pure Marx, difendeva un approccio che io definirei profano alla realtà, anzi direi areligioso, non fideistico, soprattutto penso mondano. Avanzando i diritti alla concretezza e alla ulteriorità metafisica, non si curava di quel che io ho chiamato alterità; ma lo faceva entro un quadro diverso, fatto di una integrazione, aggiunta o forse recupero di una spiritualità pratica. Senza badare alle grandi premesse ma senza confliggervi — forse è stata anche una questione di uditori diversi?
Io penso che un'azione così ha un destino filosofico perché colma un vuoto, con attenzione al mondo e alle sue cose: può rimediare all'oblio del trascendentale. Ma il fuoco della controversia è secondo me altrove, proprio intorno alla necessità di premesse generali per le azioni. In profondità e ancor di più in altezza. Non un'ascesi profana ma l'accoglimento di una discesa, quindi per così dire una testimonianza, metafisica, ma centrata sul darsi dell'Essere...
Lascio così questo discorso, sperando incontri lettori curiosi ma che lo siano nel modo giusto, stavolta senza acredine né polemica.
Mauro Pastore
Vedi Pastore vedo in te un vecchio me.
Non è questione di acredine, è una questione fattuale: se Cacciari fa parte dell'industria culturale, non c'è dubbio che si riferisca all'ente, agli oggetti.
Egli vuole confinare la ricerca filosofica dentro quegli stessi oggetti che rendono la vita umana una prigione.
Saluti.