Se i molti fossero, il non essere di una cosa sarebbe qualcosa, sarebbe "altro". I molti sarebbero quindi definiti dal non essere degli altri. Ma in base a quale criterio(qual è il principio) i molti sono definiti cosí e non in un altro modo? Come possono le cose essere così DEFINITE per principio? La questione si risolve solo negando l'esistenza del molteplice: il non essere di una cosa non è, quindi la cosa è una sola. Poiché è una sola, non è definita dal non essere di qualcosa, ma solo ed ESCLUSIVAMENTE dal non essere del nulla, che è una verità evidente(nulla=non essere, per definizione). Questa cosa, che coincide con l'essere parmenideo, non ha quindi forma, e non è definita né spazialmente, né nel tempo: al di fuori di essa c'è il nulla, quindi né spazio né tempo. Tale cosa è dunque eterna ed immutabile.
Ora, poiché io esisto(se siete coscienti potete capirmi), ed esiste una sola cosa, esisto solo io. Le persone(noi) sono in realtà un unico IO. Noi siamo il tutto, che è la semplice non esistenza del nulla, e non è un ente astratto e definito, ma il totale concreto. Io sono tutto, eterno ed immutabile. Il molteplice è astrazione: concreto percepire separatamente. Ma tutto il percepire, che è la non esistenza del nulla, avviene tutta in un "eterno istante".
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PM
Se i molti fossero, il non essere di una cosa sarebbe qualcosa, sarebbe "altro". I molti sarebbero quindi definiti dal non essere degli altri.
Quando dici "se i molti fossero" vuoi dire "se esistesse più di un oggetto"?
Cosa intendi per "il non essere di una cosa"?
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PMMa in base a quale criterio(qual è il principio) i molti sono definiti cosí e non in un altro modo? Come possono le cose essere così DEFINITE per principio? La questione si risolve solo negando l'esistenza del molteplice: il non essere di una cosa non è, quindi la cosa è una sola.
Non potremmo ammettere che la partizione del reale nei più svariati e bizzarri modi (compreso il caso estremo del ritenere che esista un unico oggetto) è un'attività umana, e che ogni modo possibile è legittimo? Alla fine utilizzeremo una partizione/catalogazione del mondo di un tipo o di un altro a secondo dei contesti, degli scopi che abbiamo in una data situazione.
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PMOra, poiché io esisto(se siete coscienti potete capirmi), ed esiste una sola cosa, esisto solo io. Le persone(noi) sono in realtà un unico IO.
Se esiste un solo oggetto, allora non esisti solo tu. Esiste solo tale oggetto che è l'unico ad esistere. Ma perché mai dovremmo dire "esiste un solo oggetto" e poi aggiungere che tutti i singoli oggetti che ci sono
in realtà sono quell'unico oggetto? Che vantaggio avremmo nel parlare in questo modo?
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PMMa tutto il percepire, che è la non esistenza del nulla, avviene tutta in un "eterno istante".
La tua coscienza si sviluppa nel tempo. Com'è possibile allora che la tua coscienza, e tutto il resto, sia fuori dal tempo.
"Quando dici "se i molti fossero" vuoi dire "se esistesse più di un oggetto"?
Cosa intendi per "il non essere di una cosa"?"
Con i "molti" intendo singole unità ontologicamente definite dal non essere delle altre, ossia ciascuna con tutte le caratteristiche concrete che le altre altre cose non hanno. Il non essere di qualcosa è o il nulla o almeno un'altra cosa.
Se esiste un solo oggetto, ed io esisto, logicamente io coincido con quell'oggetto, cioè esisto solo io. Esiste un solo oggetto, e tutti i singoli oggetti sono astrazioni, manifestazioni dell'uno necessarie per la sua concretezza, cioè per la sua esistenza. Tuttavia, in quanto concretamente esiste solo l'uno, esse sono tutte percepite in un unico ed eterno istante.
Infatti tale attività di astrazione è solo umana. Per questo è necessario che il concreto non sia, come l'astratto, configurabile in alcun modo. E la soluzione è quindi negare il molteplice.
La coscienza non si sviluppa nel tempo: essa è l'uno, che necessariamente si manifesta nell'astratto come sensazioni distinte. Tutta la tua vita(e quella di tutti, poiché tu se tutti), seppur percepita come mutamento, avviene tutta in un unico eterno istante.
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 15:22:56 PM
"Quando dici "se i molti fossero" vuoi dire "se esistesse più di un oggetto"?
Cosa intendi per "il non essere di una cosa"?"
Con i "molti" intendo singole unità ontologicamente definite dal non essere delle altre, ossia ciascuna con tutte le caratteristiche concrete che le altre altre cose non hanno. Il non essere di qualcosa è o il nulla o almeno un'altra cosa.
Cerchiamo di vederla dal punto di vista insiemistico. Consideriamo il dominio generale dei numeri naturali (0, 1, 2, ...). Ora consideriamo l'insieme A={10, 20}. Potremmo dire che il concetto del "non essere di una cosa" coincide con la negazione insiemistica. Quindi il non essere di A, cioè la negazione di A, è l'insieme che comprende tutti i numeri ad eccezione per 10 e 20.
Riconsideriamo ora quello che avevi scritto in apertura:
Se i molti fossero, il non essere di una cosa sarebbe qualcosa, sarebbe "altro". I molti sarebbero quindi definiti dal non essere degli altri. Ma in base a quale criterio(qual è il principio) i molti sono definiti cosí e non in un altro modo? Come possono le cose essere così DEFINITE per principio? La questione si risolve solo negando l'esistenza del molteplice: il non essere di una cosa non è, quindi la cosa è una sola.Se ci fossero oggetti distinti tra loro (con proprietà distinte), la negazione dell'insieme con un singolo oggetto sarebbe un insieme non vuoto, composto da altri oggetti.
Questa è la mia riformulazione. Ho sbagliato qualcosa e in caso dove? Fino a qui non ci vedo nulla di problematico, in particolare non vedo che la conseguenza sia che esiste un solo oggetto.
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 15:22:56 PM
Se esiste un solo oggetto, ed io esisto, logicamente io coincido con quell'oggetto, cioè esisto solo io. Esiste un solo oggetto, e tutti i singoli oggetti sono astrazioni, manifestazioni dell'uno necessarie per la sua concretezza, cioè per la sua esistenza.
Quindi in realtà tu non esisti, cioè sei solo un'astrazione.
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 15:22:56 PMTuttavia, in quanto concretamente esiste solo l'uno, esse sono tutte percepite in un unico ed eterno istante.
Chi è che percepisce? Esiste solo un unico oggetto, quindi tale oggetto percepisce? E cosa percepisce? Esiste solo un unico oggetto, quindi viene percepito solo quell'unico oggetto. Quindi tale unico oggetto percepisce se stesso e basta... Quindi ha senso dire "l'unico oggetto percepisce", ma ha senso anche dire "l'unico oggetto è rosso"?
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 15:22:56 PMInfatti tale attività di astrazione è solo umana.
Ma se esiste solo un unico oggetto, non si può dire che qualcosa è solo umana. Dovremmo dire "tale attività di astrazione è dell'unico oggetto esistente". No?
"Se ci fossero oggetti distinti tra loro (con proprietà distinte), la negazione dell'insieme con un singolo oggetto sarebbe un insieme non vuoto, composto da altri oggetti."
Infatti è questo il punto: perché il concreto è formato da tali oggetti e non da altri? Evidentemente tali oggetti non rappresentano il concreto: esso deve essere uno, affinché sia tale per la sola non esistenza del nulla.
Io che scrivo, pepe98, è solo un'astrazione. Io che percepisco, invece, esisto. Colui che scrive è un'identificazione astratta. Il percepire è identità concreta.
L'oggetto è autopercezione. L'oggetto non è rosso, poichè il rosso è definito, è astrazione, quindi proprietà di oggetti astratti.
Quando comunichiamo parliamo per astrazioni, e la difficoltà è far cogliere intuitivamente il concreto nella sua interezza pur ragionando su concetti astratti come l'umanità.
Se ritieni che esiste solo l'Uno senza molteplicità alcuna allora ti interesserà la filosofia di Spinoza o dell'Advaita Vedanta.
Ritengo però che questo tipo di filosofia non lasci - se portata a termine - nemmeno l'esistenza dell'"uno" perchè anche la comprensione del concetto di "uno" richiede la comprensione del concetto di "molti", di "nulla" ecc. Idem per "soggetto" e "oggetto", "esistenza" e "non-esistenza", "io" e "non-io". Piuttosto si può andare oltre anche il concetto di "uno senza secondo" e fare come (credo che facciano) i buddisti con la dottrina dell'anatta. Ossia il completo superamento dei dualismi del tipo "soggetto-oggetto", "questo-quello" ecc. Ovviamente tutto questo finisce per andare oltre il limite della filosofia e quindi non rimane che raggiungere uno stato di "nobile silenzio".
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PM
Se i molti fossero, il non essere di una cosa sarebbe qualcosa, sarebbe "altro".
CitazionePer la negazione (il non essere) di una determinata cosa si intende l' essere di "altro da essa", ovvero l' essere di qualsiasi altra cosa da essa diversa, ivi compresa quella cosa -diversa da quella determinata cosa che é negata- la quale é (costituita da; che dicesi) il "nulla", ovvero il non esistere di alcunchè, di alcuna cosa (compresa quella determinata che viene negata da cui siamo partiti).
I molti sarebbero quindi definiti dal non essere degli altri. Ma in base a quale criterio(qual è il principio) i molti sono definiti cosí e non in un altro modo? Come possono le cose essere così DEFINITE per principio? La questione si risolve solo negando l'esistenza del molteplice: il non essere di una cosa non è, quindi la cosa è una sola.
CitazioneCiascuna delle cose di una pluralità di cose si definisce distinguendola dalle altre cose; ovvero: le diverse cose si distinguono reciprocamente definendole secondo i più disparati criteri arbitrari.
Infatti nel mondo reale (e anche per quel che la riguarda, evitando possibilmente di confonderla col mondo reale, nella fantasia), si possono "ritagliare le più disparate cose" nel tempo e nello spazio secondo quello che potremmo chiamare "principio di arbitrarietà mereologica".
Di fatto si tende a definire gli oggetti (enti ed eventi) che si pensano (specialmente se sono reali) secondo "generi naturali", cioé non secondo un arbitrio del tutto casuale, "sfrenato", cioé si tende a definire oggetti considerando i quali é possibile ammettere (ma non dimostrare logicamente né mostrare empiricamente: Hume!) induttivamente una relativa costanza od ordine del divenire della realtà (per lo meno della sua parte naturale materiale), secondo determinate modalità o leggi universali e costanti: in questo modo si vive ragionevolmente bene secondo il senso comune e,a un maggiore grado di sofisticazione e fondatezza razionale, secondo la scienza.
Non c' é dunque nessuna questione da risolvere e dunque non ha senso proporre come soluzione la negazione dell' esistenza del molteplice, con tutto quel che ne deduci. (vedi sotto l' ultima citazione, cui non ritengo sia necessario opporre ulteriori repliche
Poiché è una sola, non è definita dal non essere di qualcosa, ma solo ed ESCLUSIVAMENTE dal non essere del nulla, che è una verità evidente(nulla=non essere, per definizione).
CitazionePer definire una cosa non basta distinguerla da tutto il resto delle cose reali (se ce ne sono altre ), ma anche dalle sue parti (nel tempo e nello spazio) che possono essere arbitrariamente considerate (a meno che l' unica cosa esistente fosse un punto geometrico per una durata temporale infinitamente piccola, istantanea) e anche da eventuali altre cose immaginarie.
Per esempio consideriamo l' universo fisico (ammettendo senza concederlo, "per comodità di ragionamento", che non esista altro, per esempio di mentale): definendolo lo distinguiamo non solo dalle infinite sue parti considerabili (una potrebbe essere il "sistema locale" di galassie di cui facciamo parte); e inoltre non solo dal "nulla -l' alcunché- di materiale" che é reale oltre ad esso; ma anche da un' infinità di altre cose (materiali: atomi, pianeti, stelle, galassie, ammassi di galassie, ecc., ecc., ecc. inesistenti ma pensabili.; e anche immateriali -pensieri- e perfino soprannaturali: Dio, angeli, demoni, ecc.) che non sono reali ma che sono pensabilissime e ipotizzabili sensatissimamente, e che si possono anche predicare, credere (falsamente ma del tutto sensatamente, secondo l' ipotesi data) essere reali: per predicare la verità (secondo l' ipotesi considerata) che tutte queste altre cose -materiali e non- non esistono bisogna pensarle e distinguerle, attraverso le rispettive definizioni, dall' universo fisico-materiale reale.
Questa cosa, che coincide con l'essere parmenideo, non ha quindi forma, e non è definita né spazialmente, né nel tempo: al di fuori di essa c'è il nulla, quindi né spazio né tempo. Tale cosa è dunque eterna ed immutabile.
Ora, poiché io esisto(se siete coscienti potete capirmi), ed esiste una sola cosa, esisto solo io. Le persone(noi) sono in realtà un unico IO. Noi siamo il tutto, che è la semplice non esistenza del nulla, e non è un ente astratto e definito, ma il totale concreto. Io sono tutto, eterno ed immutabile. Il molteplice è astrazione: concreto percepire separatamente. Ma tutto il percepire, che è la non esistenza del nulla, avviene tutta in un "eterno istante".
Il concreto non è un concetto astratto, è solo intuibile attraverso la comunicazione, ma non definibile. Tuttavia l'idea dell'uno credo sia la più "utile"per descriverlo. Ma più che un uno inteso come "non molteplice"(che non negherebbe necessariamente l'esistenza del molteplice) è, come ho detto, il più evidente "non nulla", o essere (il nulla si auto-nega, essendo non essere). E dal momento che credo che l'esistenza non possa avere altra definizione che questa, poiché altrimenti sarebbe definita in un modo tra molti possibili, e ció mi sembra assurdo, poiché ritengo l'esistenza pura necessità, bisogna intuire la sua interezza, pur ricorrendo a concetti astratti(che quindi implicano l'esistenza di un concetto contraddittorio, poiché sono definiti come A=/=(non A)). Se dici che l'uno implica i molti è perché stai parlando di concetti (A==>(non A) nell'insieme dei concetti), non dell'essenza concreta. Andare oltre significa ammettere che l'essere non è definibile. TUTTAVIA questa non definibilità dell'essere non nega che possa essere intuito, e come intuirlo se non parlando di assoluta necessità e parlando quindi di unità e non configurabilità. Io credo che chiunque non sia un robot possa capire: se parliamo di pure astrazioni non possiamo conoscere l'essenza, che va al di là dell'astratto!
Trovo che l'esistenza descritta da me descriva molto bene l'assoluta asistematicità dell'esistenza, quindi l'assoluta necessità. Trovo assurdo qualsiasi tentativo di limitare l'esistenza. Come può il nulla limitare l'esistenza???
Citazione di: pepe98 il 20 Luglio 2017, 11:18:29 AM
Il concreto non è un concetto astratto, è solo intuibile attraverso la comunicazione, ma non definibile. Tuttavia l'idea dell'uno credo sia la più "utile"per descriverlo. Ma più che un uno inteso come "non molteplice"(che non negherebbe necessariamente l'esistenza del molteplice) è, come ho detto, il più evidente "non nulla", o essere (il nulla si auto-nega, essendo non essere). E dal momento che credo che l'esistenza non possa avere altra definizione che questa, poiché altrimenti sarebbe definita in un modo tra molti possibili, e ció mi sembra assurdo, poiché ritengo l'esistenza pura necessità, bisogna intuire la sua interezza, pur ricorrendo a concetti astratti(che quindi implicano l'esistenza di un concetto contraddittorio, poiché sono definiti come A=/=(non A)). Se dici che l'uno implica i molti è perché stai parlando di concetti (A==>(non A) nell'insieme dei concetti), non dell'essenza concreta. Andare oltre significa ammettere che l'essere non è definibile. TUTTAVIA questa non definibilità dell'essere non nega che possa essere intuito, e come intuirlo se non parlando di assoluta necessità e parlando quindi di unità e non configurabilità. Io credo che chiunque non sia un robot possa capire: se parliamo di pure astrazioni non possiamo conoscere l'essenza, che va al di là dell'astratto!
Trovo che l'esistenza descritta da me descriva molto bene l'assoluta asistematicità dell'esistenza, quindi l'assoluta necessità. Trovo assurdo qualsiasi tentativo di limitare l'esistenza. Come può il nulla limitare l'esistenza???
CitazioneIl nulla, essendo non essere non (non necessariamente, non di per sé) si nega; lo si può del tutto correttamente, sensatamente (se veracemente o meno é un altro discorso non limitato al pensiero ma legato alla -vincolato dalla- realtà) affermate oppure negare di se stesso ("c' é il nulla" oppure "non c' é il nulla" ovvero "c' é qualcosa") e di qualsiasi altra cosa.
Un concetto definito negando altri concetti (A =/= non-A) non é contraddittorio (lo sarebbe casomai un concetto definito negando se stesso (A = non-A).
L' assoluta necessità é propria di ciò che realmente accade qualsiasi cosa sia (nel senso che non può realmente -anche- non accadere per definizione; casomai può essere pensato non accadere realmente) e di ciò che realmente non accade qualsiasi cosa sia (nel senso che non può realmente -anche- accadere per definizione; casomai può essere pensato accadere realmente).
Pretendere di attribuire necessariamente a priori la necessità dell' accadere (o anche del non accadere) realmente a qualcosa di determinato (anziché a "qualsiasi cosa") é cadere nella fallacia della "prova ontologica" dell' esistenza di Dio, passando indebitamente dalla necessità della realtà quale che sia alla necessità di una determinata realtà.
Citazione di: pepe98 il 20 Luglio 2017, 11:18:29 AMIl concreto non è un concetto astratto, è solo intuibile attraverso la comunicazione, ma non definibile. Tuttavia l'idea dell'uno credo sia la più "utile"per descriverlo. Ma più che un uno inteso come "non molteplice"(che non negherebbe necessariamente l'esistenza del molteplice) è, come ho detto, il più evidente "non nulla", o essere (il nulla si auto-nega, essendo non essere). E dal momento che credo che l'esistenza non possa avere altra definizione che questa, poiché altrimenti sarebbe definita in un modo tra molti possibili, e ció mi sembra assurdo, poiché ritengo l'esistenza pura necessità, bisogna intuire la sua interezza, pur ricorrendo a concetti astratti(che quindi implicano l'esistenza di un concetto contraddittorio, poiché sono definiti come A=/=(non A)). Se dici che l'uno implica i molti è perché stai parlando di concetti (A==>(non A) nell'insieme dei concetti), non dell'essenza concreta. Andare oltre significa ammettere che l'essere non è definibile. TUTTAVIA questa non definibilità dell'essere non nega che possa essere intuito, e come intuirlo se non parlando di assoluta necessità e parlando quindi di unità e non configurabilità. Io credo che chiunque non sia un robot possa capire: se parliamo di pure astrazioni non possiamo conoscere l'essenza, che va al di là dell'astratto! Trovo che l'esistenza descritta da me descriva molto bene l'assoluta asistematicità dell'esistenza, quindi l'assoluta necessità. Trovo assurdo qualsiasi tentativo di limitare l'esistenza. Come può il nulla limitare l'esistenza???
Se non vuoi limitare l'esistenza perchè dire "tutto è uno"? Non è meglio liberarsi dalle varie etichette che assegnamo alla realtà? Da questo puoi capire come la dottrina del "non-sé" buddista coincide per certi versi con la massima libertà.
Se non vuoi limitare l'esistenza perchè dire "tutto è uno"? Non è meglio liberarsi dalle varie etichette che assegnamo alla realtà? Da questo puoi capire come la dottrina del "non-sé" buddista coincide per certi versi con la massima libertà.
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Perché è la molteplicità che limita l'esistenza: essa risulterebbe definibile concretamente come insieme di un certo numero di enti, con differenze DEFINITE. Ma perché gli enti si differenziano(si definiscono) per queste caratteristiche e non per altre??? Sarebbe totalmente assurdo che l'esistenza nella sua totalità risulti definibile in un certo modo e non in un altro. Per questo è necessario parlare di unità, o, come suggeriva Anassimandro(pur non conoscendo le caratteristiche dell'essere parmenideo), di infinito. Sono tutti concetti utili per capire l'esistenza, tuttavia non adatti ad esprimere adeguatamente la sua totalità. Oltre ad uno ed infinito gli si puó associare(ma non identificare, come già detto per gli altri concetti) il concetto di nulla: questo monismo, è in fondo un nichilismo, poiché è la negazione di un assoluto ordine dei fenomeni: dire che l'essenza concreta dei fenomeni è questo uno, infinito, nulla (lo chiamo spesso super-razionale), significa dire che i fenomeni sono un tutt'uno, cioè percepiti contemporaneamente ed eternamente dall'unico io(che coincide con il concreto super-razionale, che sono letteralmente io(tu)).
Io mi identifico quindi con l'intera esistenza, che è percepire.
Citazione di: pepe98 il 22 Luglio 2017, 15:01:55 PMSe non vuoi limitare l'esistenza perchè dire "tutto è uno"? Non è meglio liberarsi dalle varie etichette che assegnamo alla realtà? Da questo puoi capire come la dottrina del "non-sé" buddista coincide per certi versi con la massima libertà.
Perché è la molteplicità che limita l'esistenza: essa risulterebbe definibile concretamente come insieme di un certo numero di enti, con differenze DEFINITE. Ma perché gli enti si differenziano(si definiscono) per queste caratteristiche e non per altre??? Sarebbe totalmente assurdo che l'esistenza nella sua totalità risulti definibile in un certo modo e non in un altro. Per questo è necessario parlare di unità, o, come suggeriva Anassimandro(pur non conoscendo le caratteristiche dell'essere parmenideo), di infinito. Sono tutti concetti utili per capire l'esistenza, tuttavia non adatti ad esprimere adeguatamente la sua totalità. Oltre ad uno ed infinito gli si puó associare(ma non identificare, come già detto per gli altri concetti) il concetto di nulla: questo monismo, è in fondo un nichilismo, poiché è la negazione di un assoluto ordine dei fenomeni: dire che l'essenza concreta dei fenomeni è questo uno, infinito, nulla (lo chiamo spesso super-razionale), significa dire che i fenomeni sono un tutt'uno, cioè percepiti contemporaneamente ed eternamente dall'unico io(che coincide con il concreto super-razionale, che sono letteralmente io(tu)). Io mi identifico quindi con l'intera esistenza, che è percepire. [/quote]
Non ti identifichi con tutta l'esistenza, semmai "dissolvi l'io" e trascendi le "distinzioni": rimane solo
l'esistenza. In ogni caso non puoi nemmeno dire che questo "io" sarebbe razionale E coincidente col tutto, visto che la razionalità implica la capacità di creare distinzioni e questo "io cosmico" non potrebbe creare una distinzione: se esso è Tutto allora come fa a distinguer
si (e quindi percepire sé stesso...). Il problema è che moltissimi filosofi confondono la dissoluzione dell'io con l'identificazione col Tutto. Piuttosto l'idea è di sentirsi "parte" del Tutto, uniti al "Tutto", uniti alla "realtà suprema", assorbiti nel Tutto, una manifestazione temporanea del Tutto, uno col "Tutto" fino a "dissolversi nel Tutto" come la goccia di inchiostro si diffonde nell'acqua. Dire che "io sono tutto" mi pare quasi un delirio di grandezza: anziché dare l'idea di mettere da parte il desiderio di possesso e di onnipotenza finisce per cavalcarlo. Quindi tutti quelli che dicono "io sono il Tutto" e allo stesso tempo dicono che l'illuminato è "senza desideri, in pace, libero, equanime,
umile ecc" secondo me non si rendono conto di quanto il loro messaggio si possa fraintendere.
In realtà la cosa è molto semplice: uno e molti sono perfettamente complementari, non si escludono, ma sono l'uno in conseguenza degli altri e viceversa. L'uno è l'unità a cui i molti ontologicamente tendono, i molti sono il modo di apparire dell'uno significando - l'aveva già detto Aristotele nel primo libro della metafisica: l'essere (uno) si dice in molti modi e non c'è altro modo di dirlo. Se non aprisse ai molti, l'uno non esisterebbe, equivarrebbe al nulla. Ma l'uno e il nulla sono peraltro già due.
Apeiron: infatti io chiamo l'esistenza nella sua totalità "soprarazionale", anziché razionale, poiché ogni definizione per descriverla è funzionare solo alla comunicazione.
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PM
Se i molti fossero, il non essere di una cosa sarebbe qualcosa, sarebbe "altro". I molti sarebbero quindi definiti dal non essere degli altri. Ma in base a quale criterio(qual è il principio) i molti sono definiti cosí e non in un altro modo? Come possono le cose essere così DEFINITE per principio? La questione si risolve solo negando l'esistenza del molteplice: il non essere di una cosa non è, quindi la cosa è una sola. Poiché è una sola, non è definita dal non essere di qualcosa, ma solo ed ESCLUSIVAMENTE dal non essere del nulla, che è una verità evidente(nulla=non essere, per definizione). Questa cosa, che coincide con l'essere parmenideo, non ha quindi forma, e non è definita né spazialmente, né nel tempo: al di fuori di essa c'è il nulla, quindi né spazio né tempo. Tale cosa è dunque eterna ed immutabile.
Ora, poiché io esisto(se siete coscienti potete capirmi), ed esiste una sola cosa, esisto solo io. Le persone(noi) sono in realtà un unico IO. Noi siamo il tutto, che è la semplice non esistenza del nulla, e non è un ente astratto e definito, ma il totale concreto. Io sono tutto, eterno ed immutabile. Il molteplice è astrazione: concreto percepire separatamente. Ma tutto il percepire, che è la non esistenza del nulla, avviene tutta in un "eterno istante".
Questo è l'antico dilemma "identità-unità, oppure alterità-molteplicità tra gli enti?", che Parmenide risolveva in un Uno immanente che cancellava ogni alterità-molteplicità (En to pan) e che Eraclito risolveva nell'idea (opposta-contraddittoria rispetto alla parmenidea) di un assoluto "Panta rei", cioè di una molteplicità assoluta che cancellava ogni unità. L'apparente contraddizione si risolve - salvando sia l'Unità che la molteplicità - nel momento in cui introduciamo l'idea di un Uno-Principio non-immanente, ma TRASCENDENTE, che è ARCHETIPO (inteso proprio in senso platonico) di ogni ente e, quindi, di cui ogni ente è "immagine e somiglianza", cioè, analogia strutturale, ontologica. In virtù di questa analogia VERTICALE, ogni ente sarà analogia ORIZZONTALE di ogni altro ente e, quindi, come nell'idea di "matrimonio IN Dio" (la dualità che converge in una unità superiore), avremo una molteplicità di enti reciprocamente complementari e convergenti IN un Uno trascendente il quale, proprio in quanto non appartenente alla realtà immanente, NON ne annulla la molteplicità (l'unità del Tao non annulla la dualità di Yin e Yang proprio in quanto questi sono strutturalmente analoghi-complementari all'Uno).Un esempio sintetico: una molteplicità ontologica di uomini che trova la propria unità in un ideale superiore trascendente. Ecco, l'"elemento comune", il "terzo uomo" di Aristotele è il Principio-Uno, ma senza alcun "regresso all'infinito" proprio perché l'UNO contiene in sé il molteplice essendo il modello metafisico ultimo di ogni uomo particolare che costituisce la molteplicità (l'uomo fatto a "immagine e somiglianza" dell'Uno). E' per questo che la mitologia cristiana considera la Croce (verticalità/orizzontalità) e la Trinità (il Tre è l'Uno) come figure simboliche sacre: perché sono la chiave filosofica che apre la porta di una relazione ontologica tra la molteplicità degli uomini e l'Unità divina senza cancellare la sovranità ontologica dell'individuo di fronte ad un Uno che, altrimenti, divorerebbe i suoi figli, come il mitico Saturno: http://www.arteworld.it/wp-content/uploads/2014/11/Saturno-che-divora-i-suoi-figli-goya-analisi.png
Citazione di: maral il 23 Luglio 2017, 17:40:19 PM
In realtà la cosa è molto semplice: uno e molti sono perfettamente complementari, non si escludono,
Sì, ma non farlo sapere ai matematici, i quali, invece, sostengono che 1=500 sia un'eresia. Sono degli sciocchi? :)
In altre parole, se vuoi fare di 500 un'unità, devi spostare l'Uno su un piano superiore (metafisico) verso cui far convergere delle proprietà essenziali di ciascuno dei 500, così da non dover annullare la loro molteplicità ontologica. Questo significa "complementarità": convergenza verso un "uno" comune che rappresenti significativamente ciascun ente che costituisce la molteplicità. Altrimenti scatta il principio di non contraddizione: "1
non può equivalere a 500".
Un esempio di "unità molteplice" è rappresentato, per esempio dal concetto di Trinità, o meglio, di Uni-Trinità, che è talmente complicato che i preti stessi hanno preferito stabilirlo come dogma (senza tante chiacchiere) e contemplarlo come "Mistero". ...Quindi, senza saperlo, ti sei messo in un bel ginepraio!!! :)
A questo proposito, senti cosa dice padre Pizzarro / Guzzanti: ;D
https://youtu.be/x-zuD1D56L0?t=656