La discussione aperta da Viator, "la coscienza priva di sensi" mi spinge ad aprire una discussione simile ma sul terreno più neutro della filosofia.
La domanda classica che può aprire il dibattito è "come può essere definita la coscienza umana?" Ha qualche attinenza con l'anima, come vuole una lunga tradizione spirituale oppure è solo la conseguenza di reazioni elettriche all'interno del cervello come invece proclamano alcuni importanti neuroscienziati (Damasio e Churchland)? Oppure si può pensare a qualche strada mediana o rivoluzionaria? I più diligenti potranno leggere la discussione "La coscienza di sé da un punto di vista neurologico" nella sezione scienze, con link a lectio magistralis dello stesso Damasio e Searle.
Escluderei fin dall'inizio l'idea di una (auto)coscienza specificamente umana. Gli organismi viventi hanno sviluppato molto presto caratteristiche autocoscienziali essendo la distinzione tra io e non-io la prima barriera autodifensiva di un vivente. Tali caratteristiche si sono sviluppate in maniera marcata negli umani, ma su una base naturale comune agli altri viventi. Linguaggio, ragionamento astratto e valori sociali (cultura) sono epifenomeni dello stato autocosciente.
La coscienza é costituita da (il flusso, la successione di) tutto ciò che viene esperito, cha "appare", di cui si ha consapevolezza: le percezioni o sensazioni materiali (misurabili, postulabili essere intersoggettive: visive, uditive, tattili e propriocettive, gustative, olfattive enterocettive, ecc.) e le percezioni mentali (non misurabili, meramente soggettive, non postulabili essere intersoggettive: pensieri, ricordi, immaginazioni, nozioni, predicazioni, ragionamenti, sentimenti, speranze, timori, desideri, aspirazioni, maggiore o minore soddisfazione di essi, ecc.).
La scienza (neurologica) dimostra che ogni certo determinato (e non altri) stato o evento cosciente necessariamente coesiste con un certo determinato processo neurofisiologico in un certo determinato cervello (o struttura affine in animali non vertebrati; e non altri). Cervello che (non più la scienza, ma una buona filosofia razionalistica induce a comprendere che) é a sua volta costituito da insiemi e successioni di percezioni facenti parte (attualmente o comunque potenzialmente; in teoria direttamente, di solito "per fortuna" solo indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico, almeno nel caso dei cervelli umani) di altre coscienze (altri flussi di esperienze, quelle di "osservatori") diverse da quella (dell' "osservato") alla quale gli eventi neurofisiologici di tale cervello stesso necessariamente coesistono.
Soggetto ed oggetti delle percezioni coscienti, esistenti anche se e quando tali percezioni non accadono, onde non cadere platealmente in contraddizione, devono per forza necessariamente essere (considerati essere) di diversa "natura ontologica" rispetto dalle percezioni coscienti stesse: altrimenti qualcosa (soggetti e oggetti delle percezioni) realmente sarebbe - accadrebbe anche se e quando realmente non fosse - accadesse.
Non possono essere considerati (essere costituiti da) insiemi - successioni di percezioni coscienti (o apparenze sensibili: dal greco e a là Kant: fenomeni) ma invece devono necessariamente essere considerati (essere costituiti da) qualcosa di in sé, non apparente (non fenomeni), ma invece solo congetturabile, pensabile essere reale (dal greco e a là Kant: noumeno).
Penso che (ho argomentato altre volte nel forum e sono ovviamente disponibilissimo a farlo ancora, ma qui e ora non ho tempo e spazio) il noumeno vada considerato in divenire poliunivocamente ("puntualmente ed univocamente") corrispondente ai fenomeni, materiali e mentali, delle varie coscienze.
E che per questo, nell' abito del nuomeno stesso, i soggetti delle esperienze fenomeniche coscienti non possano (essere considerati) essere qualcosa come delle "anime" immortali: con la morte (biologica) i cervelli non funzionano più in modo tale da credere che a ciascuno di essi possa corrispondere una determinata esperienza cosciente (e non altre), e poi si disfano e trasformano in altro, e dunque nell' ambito del noumeno non é pensabile persista qualcosa che possa essere considerato il soggetto di essa (a tale fu-cervello corrispondente), oltre che l' oggetto delle "altrui" sensazioni di tale fu-cervello (ad esse corrispondente nell' ambito di altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti).
(Sfido chiunque a dimostrare che questa concezione sarebbe meno conseguentemente naturalistica di qualsiasi monismo materialistico).
Salve. Al di là dell'osservazione di Ipazia, estremamente corretta, considero la coscienza funzione -ponte tra la psiche (lato conscio, cioè memoria consapevole - l'altro lato è l'inconscio - cioè memoria inconsapevole), tra psiche, dicevo, e la mente.
Solo l'uomo possiede tale bilateralità psichica.
Gli animali, sempre secondo me, sono dotati di psiche (contenente, come noi stessi alla nascita) solamente un istinto di sopravvivenza e una memoria puramente "archivistica" di tipo inconsapevole, la quale funge da "repertorio" per classificare i loro ricordi confrontandoli con gli eventi esterni in funzione della loro eventuale nocività ai fini della sopravvivenza.
La coscienza tipicamente umana, che rappresenta una ovvia evoluzione dello psichismo di tipo istintuale, è ciò che permise l'ulteriore evoluzione verso le funzioni mentali vere e proprie. In ciò la sua funzione di "ponte".
Infatti risulta che, in caso di latenza della coscienza (sonno, coma) la mente non riesca a fungere. Infatti in tali casi la eventuale attività onirica (sogno) rappresenta attività psichica, non certo mentale.
Avrete certo notato con quale facilità le nostre condizioni psichiche (umorali ?) siano in grado di influenzare la nostra mente. E come invece sia difficoltoso riuscire a regolare il proprio umore utilizzando "tecniche" mentali.
La coscienza è funzione (quasi) completamente unidirezionale. Viene usata dalla psiche per permettere alla mente di venir informata delle proprie necessità, mentre una direzione reciproca non è consentita se non in circostanze del tutto particolari.
Ciò perchè la psiche non può permettere che la sua necessità fondamentale (gestire l'istinto di sopravvivenza) possa venir influenzata dalle bazzeccole con cui la mente si trastulla e che potrebbero ostacolare le sue così fondamentali funzioni e pulsioni.
Saluti.
perché la materia cerebrale produca la coscienza è necessario che sia organizzata a produrre un'attività causale adeguata e proporzionata alla complessità dell'effetto. Dunque è necessario che fin dall'inizio la materia esista come materia formata e formata come materia dotata di vita cosciente. La materia lasciata a se stessa, senza forma sarebbe solo mera spazialità indefinita e indeterminata, è la logica interna che ne organizza le singole parti a renderla funzionale a produrre determinati effetti. Quello che trovo assurdo è l'idea per cui la vita (e conseguentemente la coscienza, che altro non è che una peculiare modalità della vita) possa essere la conseguenza derivata e secondaria di qualcosa che vita non è, cioè una pura materialità statica, che a un certo punto, non si sa perché, dovrebbe accendersi, negando se stessa come staticità, e producendo fenomeni complessi come la vita (cosciente e non) senza che fin dall'origine fosse già predisposta a produrre quegli effetti, cioè ad essere materia configuarata come dinamismo rivolto ad agire in una determinata direzione. La mia tesi è che la vita sia un fenomeno originario, non può essere la conseguenza di qualcosa che è "non-vita", perché l'azione causale necessaria a produrre la vita è a sua volta energia, dinamismo, e quindi vita, che quindi non sarebbe l'effetto secondario, ma azione causale originaria, che man mano si sviluppa sulla base di un senso prestabilito, la vita cosciente fin dall'inizio del suo sorgere possiede, anche se in moto latente, tutte le potenzialità inerenti l'idea di "coscienza" che poi si andranno progressivamente ad attualizzare. La vita, per definizione è autodispiegamento, "entelechia", dinamismo che si sviluppa a partire da un motore interno al soggetto a cui la vita va attribuita. Quindi la vita cosciente è già originariamente elemento formale che configura il cervello, altrimenti il cervello, inteso come pura materia sarebbe solo spazio passivo incapace di alcuna attività causale volta a produrre determinati effetti. E questo elemento formale e immateriale è ciò che possiamo chiamare "anima", forma che organizza lo spazio senza essere a sua volta delimitata spazialmente, delimitazione che le impedirebbe il suo porsi come tendenza unitiva volta a tenere unito lo spazio materico dandogli una certa organizzazione unitaria e funzionalità corrispondente alle proprietà del tipo di vita che si forma. Non sarebbe necessario pervenire a un dualismo sostanzialistico tra anima e materiale cerebrale, in quanto avremmo l'anima sarebbe solo forma e organizzazione interna sempre applicata però a un contenuto materico e spaziale. Il fatto che le neuroscienze o altre forme di sapere empirico, basate sull'esperienza sensibile, non riescano a individuare tale elemento immateriale non indica certo la sua assenza effettiva, ma solo i limiti epistemici dei metodi utilizzati, che basandosi sui sensi, adeguati al coglimento di realtà materiali, non possono che limitarsi a recepire gli effetti spazializzati sulla materia della forma che la rende funzionale, effetti adeguati ai sensi che li recepiscono, ma non la forma in sé che, in quanto unità dello spazio, coinciderebbe con l'unità individuale dell'Io. Ed ecco perché è nell'esperienza interna, nell'introspezione che avvertiamo la coscienza come insieme dinamico dei vissuti, cioè l'Io che riflette su se stesso, sulla sua unità individuale avverte l'unità della forma, della vita che opera dinamicamente sulla materia (potremmo intendere l'autocoscienza, coscienza da parte dell'Io della sua unità individuale come riflesso fenomenico dell'unità formale configurante la materia, che invece è concreto fattore ontologico), mentre nell'osservazione dall'esterno tale forma si manifesta solo nei suoi effetti spaziali sulla materia, cioè sull'ambito corrispondente alla modalità apprensiva in cui avviene tale osservazione dall'esterno, cioè i sensi corporei
Salve Davintro. Affermi che la vita non può nascere dalla materia bruta ed "inanimata".
Quindi poichè essa incarna una "dimensione" del tutto estranea alla materia, non dovrebbe avere nulla a che fare con essa materia, no ?
A prescindere da ciò chiedo : dove va a finire la vita con la morte di chi la ospita ? O forse saresti stato più chiaro nel parlare di "anima" anzichè di "vita" (evitando così confusioni biologiche) ? Saluti.
Citazione di: Ipazia il 11 Febbraio 2019, 23:07:52 PM
Escluderei fin dall'inizio l'idea di una (auto)coscienza specificamente umana.
Al contrario: piuttosto fin dall'inizio parlerei di una coscienza specificatamente umana...
Da tempo, diciamo, "accarezzo" l'idea di diventare vegetariano (per scelta etica). Rimando sempre il momento
ma non ha importanza; importante è invece, ritengo, notare che nessuna specie animale abbia di questi problemi.
Dunque, non dico questo ispirato da, chiamiamole, "potenze divine"; ma da quella che è una mera considerazione
empirica.
saluti
Sono convinto che autocoscienza (pensiero consapevole del proprio esistere, con un passato e un presumibile futuro, che potrebbe accadere in diversi modi) l' abbiano solo gli uomini, mentre glia altri animali (non credo vegetali, batteri e altre forme viventi) siano dotati di coscienza.
Obiezioni a Davintro
La materia cerebrale può produrre soltanto comportamenti (più o meno attivi o, almeno attualmente, omissivi), e non coscienza (anche perché é essa stessa "contenuto di" coscienza).
Ma credo che le neuroscienze dimostrino che la coscienza accompagna solo determinati eventi neurofisiologici (nemmeno tutti: non il sonno senza sogni) e non qualsiasi evento materiale.
Il pampsichismo secondo me presenta insuperabili elementi di incomprensibilità: se tutto il materiale é accompagnato da coscienza, allora c' é una coscienza corrispondente a ogni cervello ma anche a ogni somma arbitrariamente considerabile di cervelli, una corrispondente a ogni neurone ma anche a ogni somma arbitrariamente considerabile di neuroni, a ogni molecola ma anche a ogni somma arbitrariamente considerabile di molecole, a ogni particella-onda subatomica, ma anche a ogni somma arbitrariamente considerabile di particelle-onde subatomiche...
A qualsiasi parte finita arbitrariamente considerabile di materia corrisponderebbero infinite coscienze.
Tutti i viventi (e non solo i vegetali), per quel che se ne sa di sicuro, potrebbero anche essere degli zombi privi ci coscienza, e non ci sarebbe alcun modo per accertarcene.
Non c' é nulla di incomprensibile secondo me nel fatto che materia inanimata si organizzi (secondo le leggi di natura) a costituire organismi viventi o che sia assimilata da organismi viventi entrando (e poi uscendo) nel (dal) loro metabolismo secondo le leggi del divenire naturale.
La materia inorganica, esattamente come la materia vivente, non é "statica" ma "dinamica", divenendo secondo le stesse determinate modalità universali e costanti (se la conoscenza scientifica -vera- di essa é possibile).
L' azione causale necessaria a produrre la vita dalla materia non vivente é puramente e semplicemente la "normalissima azione delle leggi (non statiche ma dinamiche!) del divenire naturale".
Le scienze naturali non possono trovare (nei cervelli né altrove) la coscienza per il semplice fatto che le coscienze non sono nei cervelli, ma invece i cervelli sono nelle coscienze (nell' ambito delle quali sono percepiti).
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2019, 19:26:43 PM
Sono convinto che autocoscienza (pensiero consapevole del proprio esistere, con un passato e un presumibile futuro, che potrebbe accadere in diversi modi) l' abbiano solo gli uomini, mentre glia altri animali (non credo vegetali, batteri e altre forme viventi) siano dotati di coscienza.
La prima cosa da fare è, ritengo, mettersi d'accordo sul significato del termine...
Così il Dizionario Filosofico di N.Abbagnano lo definisce: "relazione intrinseca all'uomo interiore,
per la quale egli può conoscersi in modo privilegiato e perciò giudicarsi".
E lo distingue dalla "consapevolezza" ("percezione che l'uomo ha dei propri stati, idee, sentimenti,
volizioni etc.").
Ora: possiamo dire che un animale è consapevole ed un uomo cosciente? A me sembrerebbe plausibile.
Su questa base ripeto quanto dicevo: la mia intenzione di diventare vegetariano. come scelta etica,
è riferita al mio "sé" interiore, che ritengo di conoscere in maniera privilegiata e che giudico
su base etica e/o morale.
saluti
Non intendo arrampicarsi sugli specchi metafisici delle semantiche di coscienza e autocoscienza che sbattono inevitabilmente contro il tetto della nostra ignoranza sui pensieri che transitano nel snc di viventi non appartenenti alla nostra specie dei quali specchi concreti hanno già dato responsi positivi a tal proposito.
Aldiqua della nostra ignoranza, limitiamoci dunque all'unica intelligenza animale di cui abbiamo sufficiente conoscenza: la nostra. Magari evitando da subito di ingarbugliarci tra (auto)coscienza ed etica come suggerisce Ox, vezzo che lascia trasparire una matrice religiosa che mi è estranea e su cui non mi voglio immischiare.
Essa traspare pure, ma con più delicatezza da suscitare condivisione, nel dolente post di davintro. Pare davvero impossibile che tutta questa autocosciente grazia di Dio emerga dalla tavola periodica degli elementi ruotando attorno al numero 12, poco interessante anche dal punto di vista simbolico-cabalistico. Purtroppo, rispettando l'importante principio epistemologico del teologo francescano Guglielmo da Ockham, pare non vi sia ipotesi più plausibile di un'aggregazione di molecole organiche all'origine della vita e della formazione di un snc all'origine della (auto) coscienza. Forse il problema non nasce dai processi naturali, ma dall'esito autocosciente di tali processi. Autocosciente a tal punto da interrogarsi su di essi.
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2019, 20:23:12 PM
Aldiqua della nostra ignoranza, limitiamoci dunque all'unica intelligenza animale di cui abbiamo sufficiente conoscenza: la nostra. Magari evitando da subito di ingarbugliarci tra (auto)coscienza ed etica come suggerisce Ox, vezzo che lascia trasparire una matrice religiosa che mi è estranea e su cui non mi voglio immischiare.
Scusami la "cruda franchezza", ma devi solo spiegarmi perchè io ho l'intenzione di diventare vegetariano
laddove "altre" specie animali non si pongono questo problema.
Non serve tirare sempre in ballo Padre Pio o la Madonna di Medjiugorje...
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 12 Febbraio 2019, 20:31:03 PM
Scusami la "cruda franchezza", ma devi solo spiegarmi perchè io ho l'intenzione di diventare vegetariano
laddove "altre" specie animali non si pongono questo problema.
Non serve tirare sempre in ballo Padre Pio o la Madonna di Medjiugorje...
saluti
1) perché l'uomo, come il maiale, ha un'apparato digerente onnivoro;
2) perché ignori (o non consideri il fatto) che anche le carote sono esseri viventi.
3)...
Scusami Ipazia ma la tua risposta non mi convince, anche se condivido in parte la tua tesi. Credo che anche molte specie di animali superiori siano dotate di coscienza, intendendo con essa la capacità di pensare sé stessi nel mondo. Ma nel caso specifico di homo sapiens sono intervenuti diversi fattori che hanno amplificato la coscienza di base che condividiamo con i primati, i cetacei e i mammiferi più evoluti.
Con coscienza intanto intendo l'attitudine dell'essere umano di essere sempre sé stesso, con il passare del tempo e di avere consapevolezza di questa sestessita'. Nessun collegamento all'etica. La coscienza è la non indifferente possibilità che Jacopus si riconosca nel soggetto Jacopus anche a fronte di innumerevoli cambiamenti interni/esterni. Fatto notevole che non può essere spiegato agevolmente dai flussi sinaptici e dalle mappe neuronali. Ed è anche il motivo per cui la coscienza non può essere ridotta a un programma di software applicato ad un hardware, poiché il software non si domanda cos'è o se potrebbe essere diverso.
Detto questo è piuttosto verosimile pensare che la coscienza nell'uomo nel senso di presenza a sé stesso, sia estremamente potente. Ed è anche possibile che proprio questa potenza abbia permesso la creazione dei miti e delle religioni, insieme ad altri fattori più prosaici come l'invenzione del linguaggio prima e della scrittura poi.
In sostanza la cultura, l'amore per il sapere, la curiosità tipica dei primati ha moltiplicato l'effetto coscienza che un cervello di 1400 grammi già può sviluppare per proprio conto. Sapere che siamo la specie che ha creato il Colosseo, la Recherche, la relatività e la Bibbia, non fa altro che scolpire con aumentata efficacia quei processi coscienziali che sono originati inizialmente dalla struttura neurobiologica del SNC.
Lungi da me negare la specificità antropologica cui ho perfino riconosciuto una capacità trascendentale rispetto all'evoluzione naturale basata sulla trasmissione del DNA. L'autocoscienza umana, individuale e sociale, tramanda se stessa attraverso una memoria culturale infinitamente più sofisticata di quella degli animali sociali più evoluti. E interagisce con la natura fino alla realizzazione di un ambiente artificiale che ne ha potenziato a dismisura il vantaggio sui suoi competitori.
Ma attenzione a enfatizzare tutto ciò nella rappresentazione di uno Spirito superiore: il Colosseo, appunto. Ma anche le guerre religiose e imperialistiche, le pulizie etniche, la messa in schiavitù, la concentrazione di ricchezza e territorio oltre ogni necessità vitale. Se qualcuno vuole abbinare coscienza ed etica temo proprio che la specie più infernale siamo noi. E di ciò qualche nume, se esiste, dovrebbe pure rendere conto.
per Viator
non ho mai pensato a una totale estraneità della vita rispetto alla materia, ma a una distinzione necessitata dal dover rendere ragione di due distinti aspetti, quello della vita e quella della finitezza, nella conoscenza degli esseri viventi. La vita rende, direi quasi tautologicamente, ragione di se stessa, mentre la finitezza è data dalla componente materiale, a cui la vita è legata, per cui essa non è puro atto del tutto capace di autodeterminarsi, ma sempre in relazione con uno spazio nel quale si entra in contatto con dei condizionamenti esterni che impediscono che tutte le potenzialità insite nel concetto, nella forma dell'essere vivente, possano attuarsi pienamente: ad esempio, il linguaggio è certamente una proprietà insita nell'idea dell'anima razionale, della forma, ma la nostra componente spaziale e materiale ci lega a un certo ambiente esterno, che influenza le possibilità di poter esprimere al meglio tale proprietà, e fa sì che un uomo cresciuto in un ambiente come la giungla avrà quantomeno grandi problemi a sviluppare un linguaggio allo stesso livello di altri individui come lui nati con la stessa forma ideale dell' "umanità", ma cresciuti in città e aventi un'istruzione. Quindi non trovo un rapporto di separazione tra vita (e anima, che intendo come "principio vitale", quindi come concetto sempre necessariamente connesso a quello di "vita") e materia, ma di distinzione interna però a un'unità, a una complementarietà.
Non vorrei aprire il discorso della vita oltre la morte, perché si devierebbe troppo dal topic, mi limiterei a dire che il vincolo della finitezza, in quanto costitutivo della vita umana, anche accettando la possibilità di una vita oltre la morte, vincolerebbe la vita, dovrebbe imporre alla forma, cioè all'elemento più specificatamente vitale e dinamico, a mantenere, al fine della sua preservazione, un contatto con una componente identificabile con la materia (magari anche intendendola diversamente da come oggi concepiamo il nostro corpo)
Per Sgiombo
definendo la vita come quella condizione in cui un dinamismo è in atto a partire da un movente interno al soggetto a cui la vita viene attribuita, non troverei alcun ostacolo a comprendere tale condizione ad ogni materia vista come "dinamica", cioè capace di produrre azioni causali sulla base di una propria organizzazione interna. In parole povere, non trovo alcuna differenza concettuale tra "vita" e "dinamismo". Questo perché il dinamismo che tende a produrre vita può produrla, perché la vita, con tutte le sue proprietà insite nella specie particolare di "vita" a cui facciamo riferimento, è già presente come tendenza a orientare il dinamismo in direzione della progressiva attualizzazione delle proprietà che ne definiscono il concetto. Quella che trovo assurda è l'idea di dover dividere (il che è appunto frutto di una mentalità materialista, tesa a spezzettare, dividere, spazializzare, anziché cogliere l'unità, la durata complessiva di un processo) un tempo T1, in cui esisterebbe la materia "dinamica ma senza vita" e un tempo T2, in cui la vita sembrerebbe apparire dal nulla, senza alcun legame di continuità logica con il dinamismo presente nel momento T1. Se si vuole riconoscere le fasi del processo come connesse tra loro, allora è necessario che ogni fase sia già in qualche modo presente nelle precedenti, cioè che il dinamismo muova da un'origine in cui sia già predelineato ogni successivo sviluppo, cioè un dinamismo che esprime un'idea di sviluppo coerente con il suo punto di partenza, uno sviluppo autonomo e che dunque può tranquillamente essere ricondotto alla definizione di "vita". Anche il richiamo all' "organizzazione" mi pare rispecchi quello che provavo a intendere io con organizzazione, consistente in una forma che appunta organizza la materia imponendo una logica complessiva attrezzata a produrre determinati effetti, e nel caso degli esseri viventi, tale organizzazione si costituirà come organizzazione mirante allo sviluppo e alla preservazione della vita, a tutti gli effetti "organismo". In questa posizione non c'è rischio di pervenire a panpsichismi o animismi di sorta, anche se riconosco che potrei aver generato equivoci parlando di una "vita cosciente" presente fin dall'inizio nella materia. Non volevo dire che sin dall'inizio dell'innescamento del processo vitale degli esseri coscienti la coscienza sia già presente nella sua piena attualità, ma che è in qualche modo presente come tendenza a sviluppare progressivamente le sue proprietà, quindi come orientamento impresso al dinamismo che lo necessita internamente, fin dall'inizio. Fin dall'inizio la materia vivente a predeterminata a realizzarsi, nel caso degli esseri viventi coscienti, come vita cosciente. Il presupposto da cui cerco di muovere è l'idea che in ogni rapporto di causa-effetto, l'effetto non sia solo un momento secondario e accidentale, ma sia già contenuto necessariamente nella causa, in quanto fa sì che la causa produca quel tipo di effetto e non un altro. Condivido l'idea che la coscienza comprenda il cervello e non viceversa, quantomeno, la condivido nel senso che l'esperienza sensibile in cui il cervello viene osservato è uno tra le forme, non l'unica, in cui la vita cosciente si esprime, e quindi è impossibile pretendere di conoscere nel complesso dei suoi aspetti la coscienza, che in quanto soggetto stesso della stessa osservazione sensibile del cervello non può coincidere con le sue oggettivazioni visibili dall'esterno. Messa così, però mi pare che il discorso rientri nel riconoscimento della dualità tra soggettività vitale e dinamica che costituisce l'attività cosciente e la passività statica di un cervello che dal punto di vista dei sensi si coglierebbe come mera spazialità, che non troverei certo un'obiezione al mio punto di vista
Citazione di: Jacopus il 12 Febbraio 2019, 22:02:48 PM
La coscienza è la non indifferente possibilità che Jacopus si riconosca nel soggetto Jacopus anche a fronte di innumerevoli cambiamenti interni/esterni. Fatto notevole che non può essere spiegato agevolmente dai flussi sinaptici e dalle mappe neuronali.
Questo è un punto cruciale: la coscienza è la costante
memoria di noi stessi. Contenuta nelle aree del cervello che la contengono. Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza. Il nostro continuo mutare è in diretta relazione con le aree di memoria che passano in primo piano nella nostra intenzione e attenzione. Un reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.
Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2019, 22:41:21 PM
definendo la vita come quella condizione in cui un dinamismo è in atto a partire da un movente interno al soggetto a cui la vita viene attribuita, non troverei alcun ostacolo a comprendere tale condizione ad ogni materia vista come "dinamica", cioè capace di produrre azioni causali sulla base di una propria organizzazione interna. In parole povere, non trovo alcuna differenza concettuale tra "vita" e "dinamismo". Questo perché il dinamismo che tende a produrre vita può produrla, perché la vita, con tutte le sue proprietà insite nella specie particolare di "vita" a cui facciamo riferimento, è già presente come tendenza a orientare il dinamismo in direzione della progressiva attualizzazione delle proprietà che ne definiscono il concetto. Quella che trovo assurda è l'idea di dover dividere (il che è appunto frutto di una mentalità materialista, tesa a spezzettare, dividere, spazializzare, anziché cogliere l'unità, la durata complessiva di un processo) un tempo T1, in cui esisterebbe la materia "dinamica ma senza vita" e un tempo T2, in cui la vita sembrerebbe apparire dal nulla, senza alcun legame di continuità logica con il dinamismo presente nel momento T1.
Citazione
Se non c'é differenza fra materia tout court (o in generale) e materia vivente (o vita), allora non vedo dove starebbe il problema: tutto ciò che é materia é materia, ovviamente (tautologicamente).
Se si vuole riconoscere le fasi del processo come connesse tra loro, allora è necessario che ogni fase sia già in qualche modo presente nelle precedenti, cioè che il dinamismo muova da un'origine in cui sia già predelineato ogni successivo sviluppo, cioè un dinamismo che esprime un'idea di sviluppo coerente con il suo punto di partenza, uno sviluppo autonomo e che dunque può tranquillamente essere ricondotto alla definizione di "vita".
Citazione
Ma allora concordi con me che nella materia vivente non c' é nulla di più (di "vitalistico". sopra- o comunque preter- -naturale) che la materia tout court quale naturalissimamente diviene secondo le sue "normalissime" leggi (fisiche) quali si esplicano in certe determinate circostanze pure naturalissime.
Anche il richiamo all' "organizzazione" mi pare rispecchi quello che provavo a intendere io con organizzazione, consistente in una forma che appunta organizza la materia imponendo una logica complessiva attrezzata a produrre determinati effetti, e nel caso degli esseri viventi, tale organizzazione si costituirà come organizzazione mirante allo sviluppo e alla preservazione della vita, a tutti gli effetti "organismo". In questa posizione non c'è rischio di pervenire a panpsichismi o animismi di sorta, anche se riconosco che potrei aver generato equivoci parlando di una "vita cosciente" presente fin dall'inizio nella materia. Non volevo dire che sin dall'inizio dell'innescamento del processo vitale degli esseri coscienti la coscienza sia già presente nella sua piena attualità, ma che è in qualche modo presente come tendenza a sviluppare progressivamente le sue proprietà, quindi come orientamento impresso al dinamismo che lo necessita internamente, fin dall'inizio.
Citazione
"Impresso" o meglio insito del tutto naturalmente, senza alcuna teleologia, come pura e semplice manifestazione delle leggi fisiche (del determinismo) del divenire naturale e nient' altro.
Fin dall'inizio la materia vivente a predeterminata a realizzarsi, nel caso degli esseri viventi coscienti, come vita cosciente. Il presupposto da cui cerco di muovere è l'idea che in ogni rapporto di causa-effetto, l'effetto non sia solo un momento secondario e accidentale, ma sia già contenuto necessariamente nella causa, in quanto fa sì che la causa produca quel tipo di effetto e non un altro. Condivido l'idea che la coscienza comprenda il cervello e non viceversa, quantomeno, la condivido nel senso che l'esperienza sensibile in cui il cervello viene osservato è uno tra le forme, non l'unica, in cui la vita cosciente si esprime, e quindi è impossibile pretendere di conoscere nel complesso dei suoi aspetti la coscienza, che in quanto soggetto stesso della stessa osservazione sensibile del cervello non può coincidere con le sue oggettivazioni visibili dall'esterno. Messa così, però mi pare che il discorso rientri nel riconoscimento della dualità tra soggettività vitale e dinamica che costituisce l'attività cosciente e la passività statica di un cervello che dal punto di vista dei sensi si coglierebbe come mera spazialità, che non troverei certo un'obiezione al mio punto di vista
Citazione
Non comprendo l' ultima osservazione sulla dualità tra soggettività vitale e dinamica che costituisce l'attività cosciente e la passività statica di un cervello.
Comprendo invece una dualità fra aspetti materiali (comprendenti i cervelli) e componenti mentali della coscienza (fenomeni).
CitazioneJacopus:
La coscienza è la non indifferente possibilità che Jacopus si riconosca nel soggetto Jacopus anche a fronte di innumerevoli cambiamenti interni/esterni. Fatto notevole che non può essere spiegato agevolmente dai flussi sinaptici e dalle mappe neuronali.
Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2019, 00:18:06 AM
Questo è un punto cruciale: la coscienza è la costante memoria di noi stessi. Contenuta nelle aree del cervello che la contengono. Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza. Il nostro continuo mutare è in diretta relazione con le aree di memoria che passano in primo piano nella nostra intenzione e attenzione. Un reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.
La memoria intesa come configurazioni sinaptiche cerebrali determinate dalle esperienze pregresse e in varia misura condizionanti le esperienze future é una cosa.
I ricordi coscienti (che necessariamente coesistono e corrispondono biunivocamente, allorché accadono, a determinate attivazioni di tali configurazioni sinaptiche cerebrali; però in altre esperienze, di "osservatori", diverse da quella dell' "osservato"di cui qui si parla) sono altre cose (per quanto necessariamente coesistenti).
E' per questo che
Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza (non perché tali "fette di coscienza" si identificano con tali ben diverse aree cerebrali, ma perché non si danno le une senza le altre e viceversa), e al limite Un ipotetico reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2019, 22:32:45 PM
Lungi da me negare la specificità antropologica cui ho perfino riconosciuto una capacità trascendentale rispetto all'evoluzione naturale basata sulla trasmissione del DNA.
Ciao Ipazia
Beh, "lungi da te" non tanto, visto che nel primo dei tuoi interventi affermavi: "escluderei fin
dall'inizio l'idea di una (auto)coscienza specificamente umana" (cui io ho risposto: "Al contrario:
piuttosto fin dall'inizio parlerei di una coscienza specificatamente umana...").
Non ho, ovvero, affermato né santi né madonne (elementi che, permettimi, tu vedi dappertutto), ma
proprio quella specificità dell'uomo che adesso sembri condividere.
Visto appunto questa tua condivisione non mi sembra il caso di risponderti sui maiali e sulle carote.
saluti
Citazione di: Jacopus il 12 Febbraio 2019, 22:02:48 PM
Scusami Ipazia ma la tua risposta non mi convince, anche se condivido in parte la tua tesi. Credo che anche molte specie di animali superiori siano dotate di coscienza, intendendo con essa la capacità di pensare sé stessi nel mondo. Ma nel caso specifico di homo sapiens sono intervenuti diversi fattori che hanno amplificato la coscienza di base che condividiamo con i primati, i cetacei e i mammiferi più evoluti.
Con coscienza intanto intendo l'attitudine dell'essere umano di essere sempre sé stesso, con il passare del tempo e di avere consapevolezza di questa sestessita'. Nessun collegamento all'etica.
Ciao Jacopus
Scusami ma finchè non ci si mette d'accordo sul significato dei termini risulta molto difficile
intavolare una discussione...
In un precedente intervento citavo la definizione che di "coscienza" dà il Dizionario di N.Abbagnano.
Sulla base di quella, ritengo la tua definizione corrispondente non al significato di "coscienza", ma
a quello di "consapevolezza".
Il significato proprio di "coscienza" non può non aver a che fare con l'etica...
saluti
Ciao Ox. Ho precisato il mio significato di coscienza proprio per evitare fraintendimenti. É il significato accettato in campo neuroscientifico. Il tuo é collegato alla tradizione filosofica idealistica, quella che emerge anche nel linguaggio comune: "ma dai, abbi un po' di coscienza". Anche questa interpretazione del termine coscienza ha dei corrispettivi genetici e cerebrali (cosiddetto circuito dell'empatia,) ma a me interessava Una interpretazione più legata ai processi vitali e ai fondamenti dell'identità umana in quanto essere vivente consapevole di sé stesso. Una interpretazione che comunque si riverbera indirettamente anche nell'ambito del significato da te preferito di coscienza.
Citazione di: Jacopus il 13 Febbraio 2019, 14:15:02 PM
Ciao Ox. Ho precisato il mio significato di coscienza proprio per evitare fraintendimenti. É il significato accettato in campo neuroscientifico. Il tuo é collegato alla tradizione filosofica idealistica, quella che emerge anche nel linguaggio comune: "ma dai, abbi un po' di coscienza". Anche questa interpretazione del termine coscienza ha dei corrispettivi genetici e cerebrali (cosiddetto circuito dell'empatia,) ma a me interessava Una interpretazione più legata ai processi vitali e ai fondamenti dell'identità umana in quanto essere vivente consapevole di sé stesso. Una interpretazione che comunque si riverbera indirettamente anche nell'ambito del significato da te preferito di coscienza.
Ciao Jacopus
A parer mio le neuroscienze dovrebbero occuparsi di cose "materiali" (sinapsi, recettori etc.), non
spingersi in ambiti che non gli competono...
Da questo punto di vista, se esse dicono che la coscienza è la capacità di pensare se stessi nel mondo,
ritengo appunto che si spingano troppo "oltre" le proprie competenze (che sono, intendiamoci, indubbie).
Cosa vuol dire, infatti, capacità di pensare se stessi nel mondo? E' forse, questa definizione, poi
tanto diversa da quella di Heidegger quando dice: "l'esserci dell'uomo nel mondo progetta il suo essere
in possibilità"?
Forse che il "pensare se stessi" può escludere un pensar-si come relazione intima con un "sé" che, appunto
per questo, riesce e veder-si come un oggetto; come un "altro da sé" e, dunque, giudicar-si?
Perchè, ritengo, eccola qui la differenza: l'essere umano riesce a pensar-si e perciò a giudicar-si.
Ed ecco perchè l'etica non può essere esclusa...
saluti
Ciao Ox. Non a caso ho aperto questa discussione in filosofia e l'ho intitolato "neurofilosofia, mente, cervello". Heidegger è molto appropriato. Grazie per lo spunto. Approfondirò la tematica e proverò a rispondere.
Questo è il link per saperne di più sulla neurofilosofia:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Neurofilosofia
Si può ulteriormente suddividere la neurofilosofia in tre grandi campi di indagine: quella empirica, la prima a cui fa riferimento la Churchland, per la quale esiste solo il cervello (io come cervello), la neurofilosofia pratica, che è proprio quella che si occupa di questioni etiche o neuroetiche e la neurofilosofia teoretica che tende a conciliare e integrare le scoperte neuroscientifiche con un discorso logico argomentativo tradizionalmente filosofico, che è la prospettiva che più mi attrae.
Citazione di: Jacopus il 13 Febbraio 2019, 14:59:33 PM
Ciao Ox. Non a caso ho aperto questa discussione in filosofia e l'ho intitolato "neurofilosofia, mente, cervello". Heidegger è molto appropriato. Grazie per lo spunto. Approfondirò la tematica e proverò a rispondere.
Questo è il link per saperne di più sulla neurofilosofia:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Neurofilosofia
Si può ulteriormente suddividere la neurofilosofia in tre grandi campi di indagine: quella empirica, la prima a cui fa riferimento la Churchland, per la quale esiste solo il cervello (io come cervello), la neurofilosofia pratica, che è proprio quella che si occupa di questioni etiche o neuroetiche e la neurofilosofia teoretica che tende a conciliare e integrare le scoperte neuroscientifiche con un discorso logico argomentativo tradizionalmente filosofico, che è la prospettiva che più mi attrae.
Ciao Jacopus
A mio modo di vedere esistono i saperi particolari (che possono essere più o meno particolari...) ed
esiste la filosofia, che è il sapere generale che "unifica" i saperi particolari (senza per questo
essere il sapere gerarchicamente più importante, come diceva Aristotele).
Per questo motivo non può esistere la "neurofilosofia", ma al più un discorso di tipo filosofico
sul sapere neuroscientifico.
Non sembri un discorso cavilloso...
saluti
Citazione di: Jacopus il 11 Febbraio 2019, 22:46:51 PM
La discussione aperta da Viator, "la coscienza priva di sensi" mi spinge ad aprire una discussione simile ma sul terreno più neutro della filosofia.
La domanda classica che può aprire il dibattito è "come può essere definita la coscienza umana?" Ha qualche attinenza con l'anima, come vuole una lunga tradizione spirituale oppure è solo la conseguenza di reazioni elettriche all'interno del cervello come invece proclamano alcuni importanti neuroscienziati (Damasio e Churchland)? Oppure si può pensare a qualche strada mediana o rivoluzionaria? I più diligenti potranno leggere la discussione "La coscienza di sé da un punto di vista neurologico" nella sezione scienze, con link a lectio magistralis dello stesso Damasio e Searle.
Per quanto riguarda le posizioni dominanti che si riscontrano nella neurofilosofia attuale, in quanto, ante litteram, credo che si possano annoverare filosofi quali Merleau-Ponty, ad esempio che introdusse nei sui testi di fenomenologia ( di percezione ) il cervello e le sue reti correlandoli agli stati percettivi vissuti dal soggetto, trovo che si assista a una certo riduzionismo. Il concetto di coscienza (-di) è perfettamente ridotta a reti cerebrali, network neuronali, circuiti e sinapsi, pur nella loro complessità, in larghissima misura ignoti, non "solo" conseguenza. Ora, se da un lato posso concepire una correlazione tra il concetto di coscienza e il cervello, non mi sento di sovrapporli o identificarli, l'uno non è l'altro.
Vedo che Jacopus ha già risposto a Ox e sottoscrivo quanto da lui detto. Fin dall'inizio Jacopus aveva parlato di (auto)coscienza umana...
(D'ora in poi, per evitarmi complicazioni ortografiche userò solo il termine coscienza, intendendo con ciò l'autocoscienza che ne è il fondamento e la coscienza del mondo, e dell'altro, che su di essa si struttura: coscienza come interfaccia tra res cogitans e res extensa)
... Io mi sono cautelata affermando che se vogliamo capire quel fenomeno non possiamo partire da uno stadio già evoluto, ma lo dobbiamo considerare nel processo evolutivo dei viventi in generale. Chiarito ciò, parliamo pure solo della coscienza umana, vista anche la nostra ignoranza sul fenomeno in generale ed in particolare sulla coscienza di altri viventi.
La differenza tra coscienza e consapevolezza non mi convince. Puzza troppo di incenso antropocentrico. Più o meno legato a mitologie del "sesto giorno". Avendo avuto cani e gatti per casa questa distinzione mi pare assolutamente scolastica e inutile, sia sul piano scientifico che su quello filosofico.
Certo, e nell'ultimo post l'ho chiarito, non nego la specificità e originalità della coscienza umana nel contesto evolutivo generale. L'etica preferisco lasciarla a margine del discorso perchè introdurrebbe elementi di involuzione della coscienza umana rispetto al suo decorso evolutivo nel mondo dei viventi. Maiali e carote inclusi. Involuzione il cui tanfo non c'è incenso "magnifiche e progressive sorti" che possa coprire.
Tornando all'argomento, un'osservazione di Jacopus mi ha spostato l'attenzione su quello che potrebbe essere l'anello di congiunzione tra gli apparati neurofisiologici e le funzioni psichiche superiori dell'essere autocosciente, ovvero la memoria. E' nella memoria biologica-genetica ed esistenziale-culturale che si condensa il nostro ego individuale e sociale. Il contenitore è indubbiamente il cervello, e spetta alle neuroscienze individuare gli arcani percorsi e backup, mentre il contenuto è l'esperienza cogitante che costantemente a quel materiale archiviato ritorna e alimenta con nuovo, riconoscendosi in esso quale unità indissolubile.
.
Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2019, 19:20:35 PM
Certo, e nell'ultimo post l'ho chiarito, non nego la specificità e originalità della coscienza umana nel contesto evolutivo generale. L'etica preferisco lasciarla a margine del discorso perchè introdurrebbe elementi di involuzione della coscienza umana rispetto al suo decorso evolutivo nel mondo dei viventi. Maiali e carote inclusi. Involuzione il cui tanfo non c'è incenso "magnifiche e progressive sorti" che possa coprire.
Ciao Ipazia
In un discorso sulla "coscienza" (prendo per buona la definizione di Jacopus - che pur mi appare
riduttiva: "la capacità di pensare se stessi nel mondo") l'etica non può certo essere lasciata ai
margini, visto che è centrale.
Il "pensare se stessi nel mondo" non può che, come dicevo, voler dire pensarsi allo stesso tempo sia
come soggetto pensante che come oggetto pensato, e quindi come tale giudicar-si (e non ci si giudica
se non su una base etica/morale).
L'incenso lasciamolo alle chiese, come pure le "magnifiche e progressive sorti" dell'umanità a coloro
che, ingenuamente, credono all'innatezza dell'etica/morale...
saluti
L'etologia umana (e non solo) si fonda sull'innatismo delle pulsioni etiche negli animali sociali, dalla prima poppata o beccata, in cui il mondo è la tetta/becco della madre, a tutto quello che segue. La formazione e formalizzazione di questa pulsione etica non è naturale, ma culturale, epifenomenica. La coscienza umana è sociale ab origine e può benissimo essere indagata a prescindere dalla forma(lizzaz)zione etica, ma non dalla pulsione originaria che è genetica.
Salve Ipazia. "L'etologia umana (e non solo) si fonda sull'innatismo delle pulsioni etiche negli animali sociali, dalla prima poppata o beccata, in cui il mondo è la tetta/becco della madre, a tutto quello che segue".
Vero, notando però che l'innatismo etico consiste semplicemente nei comportamenti suggeriti dall'istinto di sopravvivenza, quindi esso esprime solo una tendenza inevitabilmente "egoistica", aspetto e definizione questa che la maggior parte dei lettori - per inevitabile deformazione cultural-mentale - troverà "dis-etico" e che quindi tenderà ad escludere dalla sfera dell'eticità.
Citazione di: viator il 13 Febbraio 2019, 22:11:22 PM
Salve Ipazia. "L'etologia umana (e non solo) si fonda sull'innatismo delle pulsioni etiche negli animali sociali, dalla prima poppata o beccata, in cui il mondo è la tetta/becco della madre, a tutto quello che segue".
Vero, notando però che l'innatismo etico consiste semplicemente nei comportamenti suggeriti dall'istinto di sopravvivenza, quindi esso esprime solo una tendenza inevitabilmente "egoistica", aspetto e definizione questa che la maggior parte dei lettori - per inevitabile deformazione cultural-mentale - troverà "dis-etico" e che quindi tenderà ad escludere dalla sfera dell'eticità.
No, io invece lo trovo proprio falso (scientificamente parlando, non eticamente).
La selezione naturale ha diffuso nel mondo animale l' istinto di sopravvivenza degli individui, delle specie e della vita tutta, il quale si avvale molto efficacemente dell' altruismo (tendenze comportamentali altruistiche) non meno che dell' egoismo (tendenze comportamentali egoistiche).
Tendenze comportamentali naturali che nell' uomo conoscono uno "spettacolarissimo" sviluppo creativo - differenziativo, una amplissima plasticità socialmente modulata (la storia umana come peculiare, eppure coerentissimo sviluppo della storia naturale).
Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2019, 19:20:35 PM
Tornando all'argomento, un'osservazione di Jacopus mi ha spostato l'attenzione su quello che potrebbe essere l'anello di congiunzione tra gli apparati neurofisiologici e le funzioni psichiche superiori dell'essere autocosciente, ovvero la memoria. E' nella memoria biologica-genetica ed esistenziale-culturale che si condensa il nostro ego individuale e sociale. Il contenitore è indubbiamente il cervello, e spetta alle neuroscienze individuare gli arcani percorsi e backup, mentre il contenuto è l'esperienza cogitante che costantemente a quel materiale archiviato ritorna e alimenta con nuovo, riconoscendosi in esso quale unità indissolubile.
.
Sono costretto a ri obiettarti (e ad obiettare a Jacopus; in accordo con Lou) che:
La memoria intesa come configurazioni sinaptiche cerebrali determinate dalle esperienze pregresse e in varia misura condizionanti le esperienze future é una cosa.I ricordi coscienti (che necessariamente coesistono e corrispondono biunivocamente, allorché accadono, a determinate attivazioni di tali configurazioni sinaptiche cerebrali; però in altre esperienze, di "osservatori", diverse da quella dell' "osservato"di cui qui si parla) sono altre cose (per quanto necessariamente coesistenti).E' per questo che Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza (non perché tali "fette di coscienza" si identificano con tali ben diverse aree cerebrali, ma perché non si danno le une senza le altre e viceversa), e al limite Un ipotetico reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.Il cervello non contiene altro che neuroni, cellule gliali, vasi sanguigni, liquor, ecc. "perfettamente" riducibili a molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: ben altre cose che l' ego individuale e sociale, i pensieri, la coscienza (che pure a determinati eventi cerebrali é inevitabilmente coesistente e biunivocamente correlata e viceversa).
Aldilà dei complessi e ancora oscuri meccanismi di funzionamento, la memoria ha sede nel snc (eventualmente con succursali periferiche facenti capo ad esso) cosa facilmente dimostrabile nel caso di incidenti e patologie. O tecniche strumentali.
La memoria é il nostro fluttuante e transeunte noumeno. Fluido nella sua pirandelliana multiversitá, ma sufficientemente coerente da identificarci ontologicamente di fronte a noi stessi e al mondo.
Citazione di: viator il 13 Febbraio 2019, 22:11:22 PM
Salve Ipazia. "L'etologia umana (e non solo) si fonda sull'innatismo delle pulsioni etiche negli animali sociali, dalla prima poppata o beccata, in cui il mondo è la tetta/becco della madre, a tutto quello che segue".
Vero, notando però che l'innatismo etico consiste semplicemente nei comportamenti suggeriti dall'istinto di sopravvivenza, quindi esso esprime solo una tendenza inevitabilmente "egoistica", aspetto e definizione questa che la maggior parte dei lettori - per inevitabile deformazione cultural-mentale - troverà "dis-etico" e che quindi tenderà ad escludere dalla sfera dell'eticità.
Direi di no perché la dipendenza del piccolo dall'adulto gli pone fin da subito la questione "sociale" della reciproca dipendenza e tale situazione si riconferma costantemente nella vita di branco fino a consolidare comportamenti etici maturi.
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2019, 22:35:14 PM
Sono costretto a ri obiettarti (e ad obiettare a Jacopus; in accordo con Lou) che:
La memoria intesa come configurazioni sinaptiche cerebrali determinate dalle esperienze pregresse e in varia misura condizionanti le esperienze future é una cosa.
I ricordi coscienti (che necessariamente coesistono e corrispondono biunivocamente, allorché accadono, a determinate attivazioni di tali configurazioni sinaptiche cerebrali; però in altre esperienze, di "osservatori", diverse da quella dell' "osservato"di cui qui si parla) sono altre cose (per quanto necessariamente coesistenti).
E' per questo che Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza (non perché tali "fette di coscienza" si identificano con tali ben diverse aree cerebrali, ma perché non si danno le une senza le altre e viceversa), e al limite Un ipotetico reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.
Il cervello non contiene altro che neuroni, cellule gliali, vasi sanguigni, liquor, ecc. "perfettamente" riducibili a molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: ben altre cose che l' ego individuale e sociale, i pensieri, la coscienza (che pure a determinati eventi cerebrali é inevitabilmente coesistente e biunivocamente correlata e viceversa).
L'esperienza soggettiva rimane infatti ancora un campo per lo più ignoto alla neuroscienza, che certamente ha il merito di chiarire, senza esaurire la problematicità della comprensione della coscienza umana, che, e vorrei sottolinearlo proprio a partire da diversi studi, ad esempio Endelman, che la stessa coscienza, così come la memoria non sono cose innanzitutto, ma processi non totalmente localizzabili in un dove o sede specifica: "lì ci sono i miei ricordi". Lì dove? apro la scatola cranica e li trovo o quel profumo di violette mi riporta a quell'esperienza di bambina quando con la nonna le coglievo? dov'è che comincia la memoria, nello stimolo, nella viola, nella mia relazione con essa, nell'esperienza, nel cervello, è qui? lì? qua? non è una scatola di fotografie, che la apri e ci trovi gli stessi ricordi, ma processualità e una costante opera di aggiornamento e presentificazione quell'atto che è capace di aprire e riaprire la scatola che cambia e ci cambia e diviene nel tempo, antichi rinnovamenti, il cui lato soggettivo rimane una incognita, la cui complessità riucibile a network non è eliminata, ma, semmai, riapre le stesse antiche domande, inevase.
Citazione di: Ipazia il 14 Febbraio 2019, 08:10:39 AM
Aldilà dei complessi e ancora oscuri meccanismi di funzionamento, la memoria ha sede nel snc (eventualmente con succursali periferiche facenti capo ad esso) cosa facilmente dimostrabile nel caso di incidenti e patologie. O tecniche strumentali.
La memoria é il nostro fluttuante e transeunte noumeno. Fluido nella sua pirandelliana multiversitá, ma sufficientemente coerente da identificarci ontologicamente di fronte a noi stessi e al mondo.
A quanto già obiettato da Lou aggiungo che la "memoria" intesa come determinate modificazioni di determinati centri del sistema nervoso centrale (aumenti e/o diminuzioni delle connessioni sinaptiche fra neuroni e della loro "forza") che "registrano" e "archiviano" nel tempo esperienze (nel senso di eventi neurofisiologici provocati da stimolazioni dei recettori sensoriali) e conseguentemente influiscono sul comportamento successivo, é ben altra cosa dai "ricordi coscienti" (anche se questi necessariamente accadono nell' ambito della coscienza* di un potenziale "osservato" in concomitanza - biunivoca corrispondenza con determinate attivazioni di tali aree cerebrali mnemoniche, peraltro nell' ambito -per lo meno potenzialmente- di altre, diverse esperienze coscienti**, quelle di reali o potenziali "osservatori": si tratta di due tipi di eventi fenomenici necessariamente coesistenti ma ben diversi. Come sono necessariamente coesistenti ma reciprocamente altri, ben diversi i due poli di un magnete).
I meccanismi fisiologici cerebrali sono già in gran parte chiari e tenderanno comunque ad essere sempre meno oscuri alla ricerca neurologica; la quale però potrà sempre e solo studiare eventi fisiologici cerebrali e corrispondenze fra essi e gli eventi coscienti, ma mai gli eventi coscienti in sé; potrà stabilire sempre meglio le correlazioni fra cervello e coscienza, ma non spiegarne la natura dei reciproci rapporti, al di là della simultaneità - corrispondenza biunivoca Che peraltro é un dato ontologico filosofico; e infatti quasi tutti i neurologici anche più geniali, quando si avventurano in considerazioni ontologiche generali, fraintendono come inesistenti rapporti di identità, anziché di necessaria coesistenza che é tutto quanto può dire la scienza).
Prima mettiamoci d'accordo su dove stanno le funzioni mentali, presupposto necessario per qualsiasi discorso ontologico. L'unica alternativa "forte" al sistema nervoso é quella spirituale o diversamente extracorporea. Oppure la terza via agnostica, che chiude ogni discussione. Nel frattempo le neuroscienze tramano nell'ombra ;D Diranno anche fesserie, ma almeno ci mettono la faccia. E di fesseria in fesseria ...
Quando si parla di un contenuto di coscienza esso è parte di un ciclo, tipo il ricordo: esso non è riducibile a un tratto neuronale o una singola funzione o localizzazione, ma necessita di una triade, corpo-mondo-altri e il loro cicli di azione/interazione: è esito di questi e da questi interdipendente, distribuito. Diciamo, con una parola, che il ricordo è "decentrato", rispetto al cervello. Che il cervello sia un elemento essenziale di questo ciclo, non significa che un ricordo cosciente possa essere riducibile a un suo tratto specifico localizzato.
Che mente, coscienza, pensiero, memoria, siano processi non lo metto in dubbio ed anzi ne ho sostenuto pure il carattere trascendentale, dotato di un suo grado di libertá. Ma devono la loro esistenza ad un substrato biologico che è il sistema nervoso, agendo sul quale tali processi si possono modificare fino ad annullarsi.
Allo stesso modo il substrato biologico che è il sistema nervoso, deve le sue caratteristiche a mente, coscienza, pensiero, mutando i quali, di pari passo muta il cervello stesso (se faccio un ragionamento o ascolto un discorso, o mi invento una trama letteraria, di conseguenza mutano certe connessioni sinaptiche nel mio cervello; esattamente come se tratto farmacologicamente o chirurgicamente il mio cervello, di conseguenza mutano i miei pensieri, le mie esperienze coscienti, la mia mente).
Di Lou non condivido la concezione estesa della mente (includete le relazioni sociali e in particolare culturali.
Però sono pienamente d' accordo con la "pars destruens" ("contro" Ipazia): nel cervello non si troverà mai la coscienza, pensieri, per il semplice fatto che (per il fatto di necessariamente coesistere a determinati eventi neurofisiologici cerebrali, nondimeno) la coscienza non vi si trova, con nulla di cerebrale si può identificare (ma invece con tantissimo di cerebrale solamente coesiste e co-diviene in corrispondenza biunivoca).
E' anzi il cervello, coi suoi eventi neurofisiologici studiati dalla scienza neurologica, a trovarsi nella coscienza (di chi lo osserva, lo studia).
Citazione di: Ipazia il 14 Febbraio 2019, 13:56:38 PM
Che mente, coscienza, pensiero, memoria, siano processi non lo metto in dubbio ed anzi ne ho sostenuto pure il carattere trascendentale, dotato di un suo grado di libertá. Ma devono la loro esistenza ad un substrato biologico che è il sistema nervoso, agendo sul quale tali processi si possono modificare fino ad annullarsi.
Il concetto di sistema nervoso, da altra prospettiva, non presuppone una coscienza, un cogito indagatore entro cui esso sorge? A me pare che le neuroscienze non tengano conto di questo dato fondamentale, anzi ritengo che lo obliterino, trascurando le premesse. A mio parere è una mancanza metodologica, o meglio, il metodo adottato dalle neuroscienze da per ovvia e nota questa premessa, forse la neurofilosofia potrà comprendere che il noto, proprio in quanto noto, non è conosciuto.
Citazione di: sgiombo il 14 Febbraio 2019, 15:19:02 PM
Allo stesso modo il substrato biologico che è il sistema nervoso, deve le sue caratteristiche a mente, coscienza, pensiero, mutando i quali, di pari passo muta il cervello stesso (se faccio un ragionamento o ascolto un discorso, o mi invento una trama letteraria, di conseguenza mutano certe connessioni sinaptiche nel mio cervello; esattamente come se tratto farmacologicamente o chirurgicamente il mio cervello, di conseguenza mutano i miei pensieri, le mie esperienze coscienti, la mia mente).
Di Lou non condivido la concezione estesa della mente (includete le relazioni sociali e in particolare culturali.
Però sono pienamente d' accordo con la "pars destruens" ("contro" Ipazia): nel cervello non si troverà mai la coscienza, pensieri, per il semplice fatto che (per il fatto di necessariamente coesistere a determinati eventi neurofisiologici cerebrali, nondimeno) la coscienza non vi si trova, con nulla di cerebrale si può identificare (ma invece con tantissimo di cerebrale solamente coesiste e co-diviene in corrispondenza biunivoca).
E' anzi il cervello, coi suoi eventi neurofisiologici studiati dalla scienza neurologica, a trovarsi nella coscienza (di chi lo osserva, lo studia).
Più che della mente, attualmente sono orientata a valutare una prospettiva estesa della coscienza. Della coscienza di te posso aver notizia attraverso questi scritti, in questo ambiente che mi informa, ad esempio. Perciò ritengo che essa possa estendersi al di là dei tuoi confini corporei.
Poi è roba su cui ci lavoro, con grandi limiti, ma è una prospettiva che di mio valuto stimolante e mi intriga.
Mi sembra la prospettiva della "Mente estesa", sostenuta fra i primi da Clark e Chalmers (di quest' ultimo ho molto apprezzato La mente cosciente, scritto però ormai più di 20 anni fa, quando ancora non aveva abbracciato questa teoria) e se ben ricordo sostenuta anche da Alva Noe in Perché non siamo il nostro cervello.
Personalmente non aderisco a questo orientamento, anche se ne accolgo la critica a molte correnti che vanno per la maggiore in filosofia della mente, come l' eliminativismo l' emergentismo e la teoria della sopravvenienza.
Secondo me, soprattutto mediante il linguaggio, si possono ragguagliare in qualche modo gli altri circa gli eventi della nostra propria coscienza, i nostri pensieri, convinzioni, desideri, ecc. e viceversa; ma ciò non fa della coscienza di ciascuno di noi qualcosa di esteso oltre ciò che direttamente sentiamo (di cui siamo immediatamente consapevoli), qualcosa che giunge come a fondersi, senza soluzioni di continuità per così dire, con le coscienze degli altri coi quali comunichiamo.
Comunque non posso non considerarla una prospettiva interessante, malgrado i miei dissensi.
Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2019, 21:04:55 PM
L'etologia umana (e non solo) si fonda sull'innatismo delle pulsioni etiche negli animali sociali, dalla prima poppata o beccata, in cui il mondo è la tetta/becco della madre, a tutto quello che segue. La formazione e formalizzazione di questa pulsione etica non è naturale, ma culturale, epifenomenica. La coscienza umana è sociale ab origine e può benissimo essere indagata a prescindere dalla forma(lizzaz)zione etica, ma non dalla pulsione originaria che è genetica.
Ciao Ipazia
Non vedo proprio come nella prima poppata/beccata possa essere riscontrato l'innatismo delle pulsioni
etiche...
Noto, da campagnolo verace, come piuttosto nelle cucciolate vi sia sempre un soggetto più debole degli
altri, che viene semplicemente lasciato morire quando, magari, la madre dispone di poco latte.
Ma direi di non andare troppo fuori tema, e tornare a quello della coscienza.
Sento disquisire molto sugli aspetti scientifici riguardanti neuroni, sinapsi, processi chimici o/e
elettrici, ma non sento nessuno dire che tutto questo riguarda semmai il, chiamiamolo, "vettore"
della coscienza, non LA coscienza...
Perchè per dire cosa è la coscienza bisogna per forza usare la filosofia ed i suoi termini propri,
ed a tal proposito ho proposto di adottare la definizione di Jacopus ("pensare se stessi nel mondo"),
ma vedo che la cosa è presto caduta nel dimenticatoio...
La coscienza dal punto di vista filosofico E' essenzialmente lo sdoppiarsi della dimensione unica.
Individueremo quindi un "io" e un "altro"; una interiorità ed una esteriorità; l'essere umano sarà
ritenuto capace di pensar-si come soggetto pensante e come oggetto pensato e così via con le varie
declinazioni che nella storia si sono succedute.
Del resto non ce lo ha ordinato il medico di occuparci di "coscienza", e se pensiamo che essa sia
riducibile a sinapsi, reti neurali etc, possiamo anche, semplicemente, smettere di parlarne (come infatti
fa una scienza degna di questo nome, che non si occupa certo di tali questioni).
saluti
per Sgiombo
una differenza fra materia inanimata e materia animata sarebbe possibile partendo dalla definizione di "vita" come condizione nella quale un ente è capace di sviluppo o movimento sulla base di un principio interno, quindi in effetti sembra esserci qualcos'altro al di là del riferimento generico a un "dinamismo". Possiamo chiamare dinamismo anche il volo della foglia sbattuta dal vento, foglia che però non rientrerebbe nella definizione di "essere vivente", in quanto il suo muoversi è totalmente determinato da un fattore esterno ad essa, cioè il vento, mentre esseri viventi come piante o animali, pur avendo la causa originante il movimento al di fuori di essi, perpetuano in modo automatico la tendenza (anche se non sufficiente, in quanto necessitante di integrazione con fattori esterni) ad attualizzare progressivamente le potenzialità insite nella loro natura originaria, quindi ammettiamo in essi un principio interno del dinamismo. Non tutti gli enti materiali avrebbero tale "motore interno" in loro stessi. Al di là di questo punto, importantissimo ma che ci porterebbe, penso, troppo fuori dal tema della discussione, che si tratti di materia animata o inanimata, ogni materia esiste con determinate caratteristiche che differenziano tra loro enti che condividono lo stesso tipo di materia, e questo, ne abbiamo già discusso molte altre volte, è la forma, la logica interna che organizza il complesso dello spazio che la materia occupa, e che non potrebbe svolgere tale ruolo di organizzazione se essa fosse a sua volta delimitata in uno spazio, cioè qualcosa di materiale, incapace così di applicarsi allo spazio della materia nel suo complesso, dandogli un'unità, e caratteristiche qualitative che differenziano il singolo oggetto materiale dagli altri. Ciò che fa di una sedia una "sedia" non può essere una parte dello spazio della sedia, cioè qualcosa di materiale, ma la logica unitaria che collega sulla base di un senso (in questo caso, l'idea di sedia nella mente di chi l'ha progettata) le singole parti della sedia fra loro senza essere a sua volta una parte. Nel caso del cervello umano possiamo chiamare "anima razionale", la logica organica, di per sé immateriale, ma sempre applicata su un materiale, che collega le singole parti tra loro in un'organizzazione funzionale, evitando che la materia, una volta lasciata a se stessa, non diventi massa informe e indifferenziata.
La dualità tra soggettività attiva della coscienza e staticità passiva del cervello osservato dall'esterno corrisponde a quella tra mente e materia. I fenomeni insiti nella nostra mente sono contenuti nelle nostre esperienze vissute che sentiamo dentro di noi, e in quanto "vissuti", sono attività dinamiche, nella nostra percezione interna sentiamo i nostri sentimenti come qualcosa di dinamico, che sorge, si amplifica, diminuisce d'intensità, si spegne ecc.. Tutto questo è assente nell'osservazione esteriore del cervello, considerato nella sua pura materialità, cioè colto dai sensi corporei. I sensi possono solo entrare in contatto con le cose nella misura in cui esse hanno materia, una spazialità. E nella misura in cui qualcosa occupa uno spazio manca di dinamismo, in quanto il dinamismo implicherebbe l'intervento di un principio a-spaziale che configura l'oggetto spaziale dandogli una determinata direzione e modalità di sviluppo e movimento, insomma un'unità di senso, per così dire, lasciato a se stesso, senza una forma, lo spazio sarebbe solo estensione, divisibile, passiva, senza alcuna organizzazione interna capace di imporre alla cosa in questione un suo autonomo e libero modo d'essere, anche contrastante i fattori esterni.
Salve Ox. Citandoti : "Non vedo proprio come nella prima poppata/beccata possa essere riscontrato l'innatismo delle pulsioni etiche...".
Dal momento che l'ethos non è altro che il comportamento, alla base di esso non può esserci che appunto l'istinto. Cioè l'innatismo. Dopo di che ci sarà molto tempo per far diventare l'etica una manifestazione molto complessa e molto nobile. Al punto da non poterne più riconoscere la base istintuale, come infatti avviene da parte di quasi tutti.
Citando invece Jacopus, la definizione "pensare se stessi nel mondo", molto bella e persino un poco poetica, mi sembra pecchi di tautologia. Si può pensare solo trovandosi in possesso di una coscienza (dormienti, svenuti, comatosi non pensano, al massimo sogneranno, svolgendo quindi una funzione psichica, mentre il pensiero è funzione mentale).
Quindi il pensiero è conseguenza del funzionamento di una coscienza, ne rappresenta uno degli effetti.
Quindi la definizione di Jacopus implicherebbe che uno degli effetti del possesso della coscienza (il pensiero) consisterebbe nella coscienza così come appunto definita da Jacopus.
Secondo me e come ho detto altrove poco fa in Lo spirito privo di sensi, la coscienza è, autocitandomi, "la funzione cerebrale che permette ad un corpo vivente (organismo) di trasformarsi da oggetto in soggetto". Parole oscure, vero ? In parole semplici è ciò che trasforma un vivente da organismo passivo e puramente ricettivo (oggetto degli influssi a lui esterni) a soggetto attivo ed anche reattivo (creatore di influenze verso l'esterno).
Tutto ciò si realizza appunto attraverso il possesso della memoria consapevole, quindi riguarda soltanto le forme di vita di una certa relativa complessità (tra cui l'uomo)..............................
Saluti.
Citazione di: Lou il 14 Febbraio 2019, 18:13:00 PM
Il concetto di sistema nervoso, da altra prospettiva, non presuppone una coscienza, un cogito indagatore entro cui esso sorge? A me pare che le neuroscienze non tengano conto di questo dato fondamentale, anzi ritengo che lo obliterino, trascurando le premesse. A mio parere è una mancanza metodologica, o meglio, il metodo adottato dalle neuroscienze da per ovvia e nota questa premessa, forse la neurofilosofia potrà comprendere che il noto, proprio in quanto noto, non è conosciuto.
Sì, ma è come pensare che non siano i bambini a nascere dall'utero, ma l'utero a nascere dal suo concetto. Per dirla con Phil: bisogna rispettare i piani del discorso. E anche la cronologia dei fatti, aggiungo io. Il che è certamente deterministico, ma dove ci vuole ... Ad esempio, ma questo riguarda sgiombo, trovo assai bizzarro lasciar volteggiare la coscienza nel limbo e poi negarle, sadicamente, il libero arbitrio.
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Febbraio 2019, 21:38:13 PM
Ciao Ipazia
Non vedo proprio come nella prima poppata/beccata possa essere riscontrato l'innatismo delle pulsioni etiche...
Noto, da campagnolo verace, come piuttosto nelle cucciolate vi sia sempre un soggetto più debole degli altri, che viene semplicemente lasciato morire quando, magari, la madre dispone di poco latte.
La natura non è la fata Turchina, ma chi sopravvive per tutta la vita saprà che deve la sua vita all'
altro/a. Tale imprinting etico primordiale è talmente forte da aver, in un secondo tempo, generato una coscienza - ma questo è un tratto specificamente umano - pro-gettata in un sogno provvidenziale in cui la Madre, ovvero il Padre (anche il patriarcato accampa diritti in campo etico) ti assicura la vita, incluso il post mortem.
Citazione
Ma direi di non andare troppo fuori tema, e tornare a quello della coscienza. Sento disquisire molto sugli aspetti scientifici riguardanti neuroni, sinapsi, processi chimici o/e elettrici, ma non sento nessuno dire che tutto questo riguarda semmai il, chiamiamolo, "vettore"
della coscienza, non LA coscienza... Perchè per dire cosa è la coscienza bisogna per forza usare la filosofia ed i suoi termini propri,
ed a tal proposito ho proposto di adottare la definizione di Jacopus ("pensare se stessi nel mondo"), ma vedo che la cosa è presto caduta nel dimenticatoio...
La coscienza dal punto di vista filosofico E' essenzialmente lo sdoppiarsi della dimensione unica. Individueremo quindi un "io" e un "altro"; una interiorità ed una esteriorità; l'essere umano sarà ritenuto capace di pensar-si come soggetto pensante e come oggetto pensato e così via con le varie declinazioni che nella storia si sono succedute. Del resto non ce lo ha ordinato il medico di occuparci di "coscienza", e se pensiamo che essa sia riducibile a sinapsi, reti neurali etc, possiamo anche, semplicemente, smettere di parlarne (come infatti fa una scienza degna di questo nome, che non si occupa certo di tali questioni).
saluti
Mi pare che il titolo della discussione e il chiarimento di Jacopus individuasse il focus nell'interfaccia "misteriosa" tra soma e psiche. Di questo, neurofilosoficamente, stiamo discutendo. La mia opinione è che la filosofia abbia un ruolo importantissimo nella formazione della coscienza, intesa anche metafisicamente come assunzione di forma, quindi essenza umana. Ma abbia altrettanto nulla da dire sui meccanismi che rendono possibile questo, da altri definito ed io condivido,
processo coscienziale, in gran parte ancora ineffabile. Processo su cui la Big Science non si risparmia di certo, perchè il condizionamento mentale è la bomba atomica del potere nella modernità e il capitale vola da solo in quella direzione. Quindi alla filosofia rimane il solito antico irrinunciabile compito di sputare contro il vento:
Povera, e nuda vai, Filosofia,
Dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l'altra via;
Tanto ti prego più, gentile spirto,
Non lassar la magnanima tua impresa.Ma lo faccia con le sue armi e sul suo piano logico, che non è alternativo, ma complementare e trascendentale rispetto al fondamento biologico da cui anche le funzioni psichiche traggono origine.
Citazione di: Ipazia il 15 Febbraio 2019, 09:51:41 AM
Sì, ma è come pensare che non siano i bambini a nascere dall'utero, ma l'utero a nascere dal suo concetto. Per dirla con Phil: bisogna rispettare i piani del discorso. E anche la cronologia dei fatti, aggiungo io. Il che è certamente deterministico, ma dove ci vuole ... Ad esempio, ma questo riguarda sgiombo, trovo assai bizzarro lasciar volteggiare la coscienza nel limbo e poi negarle, sadicamente, il libero arbitrio.
I bambini nascono dall' utero e non viceversa (salvo presto probabilmente in provetta; ma si tratterebbe comunque di una sorta di "utero artificiale"; naturalmente intendo per "nascita" il parto o suoi succedanei, dato che in provetta già da tempo accadono concepimenti).
Però sono i cervelli a trovarsi nelle esperienze coscienti di chi li osserva, così come i bambini nascono dagli uteri.
E non: le esperienze coscienti a trovarsi nei cervelli, così come gli uteri non nascono dai feti.
La coscienza non si trova in nessun "limbo" (e men che meno in alcun cervello), ma invece nella realtà; e al suo interno (della coscienza, che fa parte della realtà, si trovano le sensazioni materiali costituenti i cervelli E non viceversa; infatti nessuna esperienza cosciente é mai stata né mai sarà trovata in alcun cervello, ove vi sono solo cellule, sinapsi, potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans - sinaptiche, ecc.: nient' altro).
Non é questione di sadismo, ma di realismo: poiché, come dimostrano le neuroscienze, ogni determinata esperienza cosciente necessariamente diviene determinatamente in correlazione col divenire deterministico di un determinato cervello (o struttura nervosa corrispondente in animali diversi dai vertebrali), il divenire di ogni coscienza, pur non potendo essere considerato propriamente "deterministico" (e comunque non: casuale == liberoarbitrario), é comunque necessariamente in correlazione univoca col divenire deterministico di un cervello.
Se vogliamo essere realisti ed evitare di coltivare pie illusioni dobbiamo farcene una ragione.
CitazioneCitazione da: 0xdeadbeef - 14 Febbraio 2019, 21:38:13 pm
CitazioneCiao Ipazia
Non vedo proprio come nella prima poppata/beccata possa essere riscontrato l'innatismo delle pulsioni etiche...
Noto, da campagnolo verace, come piuttosto nelle cucciolate vi sia sempre un soggetto più debole degli altri, che viene semplicemente lasciato morire quando, magari, la madre dispone di poco latte.
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Ipazia:
La natura non è la fata Turchina, ma chi sopravvive per tutta la vita saprà che deve la sua vita all'altro/a. Tale imprinting etico primordiale è talmente forte da aver, in un secondo tempo, generato una coscienza
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CitazioneSgiombo:
Qui per "coscienza" mi sembra possa intendersi soltanto le disposizioni comportamentali (etologiche, nell' uomo declinate culturalmente) che costituiscono l' etica di fatto ben reale (per chi non voglia pregiudizialmente impedirsi di vederla non sopportando aprioristicamente che l' etica possa esistere in assenza di presupposti soprannaturali: divini, paradivini, "Sacrali" e così via fantasticando).
Su questo (e con questa precisazione: non di "coscienza" nel senso di "esperienza fenomenica" trattandosi) concordo pienamente con Ipazia (e mi rifiuto di ripetere ulteriormente le obiezioni già innumerevoli volte proposte a Oxdeadbeef che pervicacemente continua ad ignorarle; pertanto ignorerò anche il suo prevedibilissimo ribadire ulteriore la sua assurda pretesa negazione di questa lapalissiana evidenza fattuale perché mi sono stufato di ripetere sempre le stesse cose inutilmente. Sia ben chiaro che il mio tacere non sarà un acconsentire!).
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Citazione
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CitazioneOxdeadbeef:
Ma direi di non andare troppo fuori tema, e tornare a quello della coscienza. Sento disquisire molto sugli aspetti scientifici riguardanti neuroni, sinapsi, processi chimici o/e elettrici, ma non sento nessuno dire che tutto questo riguarda semmai il, chiamiamolo, "vettore"
della coscienza, non LA coscienza... Perchè per dire cosa è la coscienza bisogna per forza usare la filosofia ed i suoi termini propri,
ed a tal proposito ho proposto di adottare la definizione di Jacopus ("pensare se stessi nel mondo"), ma vedo che la cosa è presto caduta nel dimenticatoio...
La coscienza dal punto di vista filosofico E' essenzialmente lo sdoppiarsi della dimensione unica. Individueremo quindi un "io" e un "altro"; una interiorità ed una esteriorità; l'essere umano sarà ritenuto capace di pensar-si come soggetto pensante e come oggetto pensato e così via con le varie declinazioni che nella storia si sono succedute. Del resto non ce lo ha ordinato il medico di occuparci di "coscienza", e se pensiamo che essa sia riducibile a sinapsi, reti neurali etc, possiamo anche, semplicemente, smettere di parlarne (come infatti fa una scienza degna di questo nome, che non si occupa certo di tali questioni).
saluti
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Ipazia:
Mi pare che il titolo della discussione e il chiarimento di Jacopus individuasse il focus nell'interfaccia "misteriosa" tra soma e psiche. Di questo, neurofilosoficamente, stiamo discutendo. La mia opinione è che la filosofia abbia un ruolo importantissimo nella formazione della coscienza, intesa anche metafisicamente come assunzione di forma, quindi essenza umana. Ma abbia altrettanto nulla da dire sui meccanismi che rendono possibile questo, da altri definito ed io condivido, processo coscienziale, in gran parte ancora ineffabile. Processo su cui la Big Science non si risparmia di certo, perchè il condizionamento mentale è la bomba atomica del potere nella modernità e il capitale vola da solo in quella direzione. Quindi alla filosofia rimane il solito antico irrinunciabile compito di sputare contro il vento:
Povera, e nuda vai, Filosofia,
Dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l'altra via;
Tanto ti prego più, gentile spirto,
Non lassar la magnanima tua impresa.
Ma lo faccia con le sue armi e sul suo piano logico, che non è alternativo, ma complementare e trascendentale rispetto al fondamento biologico da cui anche le funzioni psichiche traggono origine.
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CitazioneSgiombo:
Ma il fatto é che la comprensione della natura della coscienza e dei rapporti fra materia e mente nell' ambito della coscienza fenomenica é precisamente argomento filosofico.
La scienza neurologica potrà studiare (e già lo fa egregiamente!) i meccanismi fisiologici del comportamento umano e le corrispondenze (e non affatto: identità!) fra eventi neurofisiologici (nelle coscienze* di osservatori) e coscienze** "di osservati).
Se pretende di fare filosofia coi suoi metodi scientifici finisce sempre inevitabilmente per affermare assurdità.
Risposta a Davintro
La materia vivente differisce dalla materia inorganica non perché segua diverse leggi (non naturali?!) del divenire, ma perché seguendo inesorabilmente le leggi naturali del divenire (indifferentemente tali per la materia inorganica e per la materia vivente: le stesse, medesime) tende limitatamente a conservarsi metabolicamente e a riprodursi evitando il crescere indefinito dell' entropia degli organismi viventi, i quali sono sistemi termodinamici aperti allo scambio della materia massiva e dell' energia con l' ambiente (compensando con una maggiore crescita complessiva dell' entropia dell' ambiente intero inteso come sistema termodinamico isolato, il mancato incremento dell' entropia degli organismi stessi; limitato nello spazio e nel tempo: senza morte, così come senza nascita, non ci sarebbe vita).
La materia diviene nello spazio e nel tempo secondo caratteristiche e modalità universali e costanti (se la conoscenza scientifica ne é possibile; cosa indimostrabile: Hume!).
Il senso dei concetti che denotano enti ed eventi materiali reali (che ne sono estensione) lo dà il pensiero che li connota (ovvero ne stabilisce le intensioni).
Ma se si tratta di concetti riferiti a reali denotati o estensioni, allora sono le loro connotazioni o intensioni che devono "adattarsi", (devono essere fatti corrispondere, essere adeguati) agli enti ed eventi reali e non viceversa (se si vuole ragionare di realtà e non di oggetti di immaginazione).
E' il concetto di "sedia" che deve adeguarsi alle sedie reali e non viceversa.
E quanto ai cervelli la logica organica, di per sé immateriale, ma sempre applicata su un materiale, che collega le singole parti tra loro in un'organizzazione funzionale, evitando che la materia, una volta lasciata a se stessa, non diventi massa informe e indifferenziata é una locuzione (a mio parere alquanto cervellotica) che per me può sensatamente significare soltanto che essi "funzionano secondo le naturalissime leggi della fisica - chimica.
Di immateriale nei cervelli e nel loro funzionamento non c' é nulla di reale.
Di immateriale ci sono realmente solo i fenomeni mentali che (come anche quelli materiali) non si rovano in alcun cervello ma invece a ciascun cervello vivo e regolarmente funzionante sono correlati (ma in una coscienza*, quella del "titolare" del cervello stesso che é altra, diversa dalle coscienze** nelle quali tale cervello si trova, nell' ambito delle quali viene osservato).
"Dinamici", nel senso di mutevoli, "non statici" sono sia i cervelli (vivi) che le coscienze che ad essi necessariamente corrispondono (e non: con essi si identificano) e viceversa.
Lo spazio é pienissimo di intensissimi fenomeni dinamici, dai fiammiferi che si accendono agli uragani, alle eruzioni vulcaniche e ai terremoti, alle esplosioni di supernove...
La materia non é meno dinamica del pensiero.
E' estesa nello spazio e diviene dinamicamente secondo le leggi naturali.
Citazione di: sgiombo il 15 Febbraio 2019, 15:30:40 PM
La coscienza non si trova in nessun "limbo" (e men che meno in alcun cervello), ma invece nella realtà; e al suo interno (della coscienza, che fa parte della realtà, si trovano le sensazioni materiali costituenti i cervelli E non viceversa; infatti nessuna esperienza cosciente é mai stata né mai sarà trovata in alcun cervello, ove vi sono solo cellule, sinapsi, potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans - sinaptiche, ecc.: nient' altro).
Non é questione di sadismo, ma di realismo: poiché, come dimostrano le neuroscienze, ogni determinata esperienza cosciente necessariamente diviene determinatamente in correlazione col divenire deterministico di un determinato cervello (o struttura nervosa corrispondente in animali diversi dai vertebrali), il divenire di ogni coscienza, pur non potendo essere considerato propriamente "deterministico" (e comunque non: casuale == liberoarbitrario), é comunque necessariamente in correlazione univoca col divenire deterministico di un cervello.
Se vogliamo essere realisti ed evitare di coltivare pie illusioni dobbiamo farcene una ragione.
Già. Il secondo paragrafo contraddice il primo: nessuna esperienza cosciente é mai stata né mai sarà trovata in assenza di un cervello, per cui, dimostrabile o non a Hume piacendo, il rapporto
univoco deterministico si chiude con buona pace di tutti. No brain, no party.
.
Come nessun cervello è mai stato trovato in assenza di esperienza cosciente.;)
Citazione di: Ipazia il 15 Febbraio 2019, 09:51:41 AM
Sì, ma è come pensare che non siano i bambini a nascere dall'utero, ma l'utero a nascere dal suo concetto. Per dirla con Phil: bisogna rispettare i piani del discorso. E anche la cronologia dei fatti, aggiungo io. Il che è certamente deterministico, ma dove ci vuole ... Ad esempio, ma questo riguarda sgiombo, trovo assai bizzarro lasciar volteggiare la coscienza nel limbo e poi negarle, sadicamente, il libero arbitrio.
Se non ti spiace il piano che propongo e ho proposto è una ottica non a successione cronologica, ma a strati costitutivi che, nel loro intreccio, fanno di noi dei soggetti psicofisici. Consideralo un piano discorsivo deviante dal tuo schema mentale, abbastanza incosciente nel non avvederti dell'operazione retroattiva che compie.
Anche le operazioni retroattive agiscono su piani diversi. Un piano è l'essere coscienti di un problema reale, un altro piano è risolverlo realmente. Per dirla con Gaber: se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione. Magari bastasse lo "schema mentale" e tutti fossero equipotenti !
Citazione di: Ipazia il 15 Febbraio 2019, 18:33:27 PM
Anche le operazioni retroattive agiscono su piani diversi. Un piano è l'essere coscienti di un problema reale, un altro piano è risolverlo realmente. Per dirla con Gaber: se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione. Magari bastasse lo "schema mentale" e tutti fossero equipotenti !
Le neuroscienze non risolvono, nè esauriscono il problema della coscienza, sebbene contribuiscano a scoprire territori ignoti, arricchendo ciò che sappiamo, di noi.
CitazioneSgiombo:
La coscienza non si trova in nessun "limbo" (e men che meno in alcun cervello), ma invece nella realtà; e al suo interno (della coscienza, che fa parte della realtà, si trovano le sensazioni materiali costituenti i cervelli E non viceversa; infatti nessuna esperienza cosciente é mai stata né mai sarà trovata in alcun cervello, ove vi sono solo cellule, sinapsi, potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans - sinaptiche, ecc.: nient' altro).
Non é questione di sadismo, ma di realismo: poiché, come dimostrano le neuroscienze, ogni determinata esperienza cosciente necessariamente diviene determinatamente in correlazione col divenire deterministico di un determinato cervello (o struttura nervosa corrispondente in animali diversi dai vertebrali), il divenire di ogni coscienza, pur non potendo essere considerato propriamente "deterministico" (e comunque non: casuale == liberoarbitrario), é comunque necessariamente in correlazione univoca col divenire deterministico di un cervello.
Se vogliamo essere realisti ed evitare di coltivare pie illusioni dobbiamo farcene una ragione.
Citazione di: Ipazia il 15 Febbraio 2019, 18:02:01 PM
Già. Il secondo paragrafo contraddice il primo: nessuna esperienza cosciente é mai stata né mai sarà trovata in assenza di un cervello, per cui, dimostrabile o non a Hume piacendo, il rapporto univoco deterministico si chiude con buona pace di tutti. No brain, no party.
.
La pretesa contraddizione la credi di trovare erroneamente tu, ma non c'é affatto (è una tua illusione; anzi: un paralogismo, cioé un' errore di ragionamento, non di percezione sensoriale).
Infatti correlazione necessaria =/= identificazione.
Ogni determinata esperienza cosciente (ripeto, in maniera logicissima, perfettamente coerente)
necessariamente diviene determinatamente in correlazione col divenire deterministico di un determinato cervello (Dunque nessuna esperienza cosciente é mai stata né mai sarà trovata in assenza di un cervello vivo e funzionante; ma esattamente allo stesso modo nemmeno alcun cervello vivo e funzionante diversamente che nella modalità "sonno senza sogni" o "coma" é mai stato né mai sarà trovato in assenza di un' esperienza cosciente; e dunque nessun cervello in assoluto é mai stato né mai sarà trovato in assenza di esperienza cosciente, se non contemporanea al ritrovamento stesso, per lo meno precedente o successiva: no consciousness, no brain, con buona pace di chi non capisce Hume).Il che é tutt' altro che affermare (questo sì -ammesso e non affatto concesso manco per il [censura]!- che sarebbe contraddittorio con l' affermazione appena precedente) che il divenire di Ogni determinata esperienza cosciente si idetifica col (é la stessa cosa che) il divenire deterministico di un determinato cervello; cosa che non solo non ho mai affermato, né qui, vé altrove, ma che anzi ho sempre recisamente negato a chiarissime lettere!
Essendo il cervello il sistema nervoso centrale dei processi psichici è chiaro che questa sua funzione è rilevabile solo nel momento in cui la svolge. Ma quello che mi preme asseverare è che quei processi psichici richiedono una "macchina" biologica denominata cervello. Il quale esiste anche in assenza di ogni sua definizione da parte della funzione autocoscente (o dei processi che in esso avvengono) che esso medesimo svolge. Lo so che Hume non è d'accordo, ma tutta la scienza, di cui anche i suoi fedeli si servono, funziona così.
No, questa non é scienza, sono sciocchezze.
La scienza ci dice solo che ci sono necessarie correlazioni fra coscienza e neurofisiologia cerebrale e basta!
Il resto é filosofia (nella fattispecie errata).
La macchina (dunque meccanismo deterministico e non liberoarbitrario!) biologica chiamata cervello é ben altro che l' esperienza cosciente: correlazione necessaria =/= identità!
Correlazioni così necessarie che se spegni il cervello si spegne anche la coscienza ;D Si può stiracchiare la coperta polemica finchè vuoi, ma alla fine è solo questo il responso. A meno che non chiamiamo in soccorso gli spiriti.
No, sei tu che cerchi disperatamente di tirare la coperta polemica dove non può andare.
Coesistenza necessaria =/= da identità
Altrimenti il polo nord e il polo sud di un magnete, che non possono esistere l' uno senza l' altro, sarebbero la stessa cosa (i magneti avrebbero un unico polo == due poli).
Gli spiriti poi, avranno casomai a che vedere col tuo preteso libero arbitrio, non certo col mio naturalismo conseguente!
La ("mia") coscienza diversa dal e necessariamente coesistente col cervello é ben diverso dalla ("tua") "volontà libera" in barba alle leggi naturali (oltre che da un' anima immortale)!
I fatti che fanno apparire la filosofia una "materia oscura" sono esattamente di questo tipo:
1) negare che ci sia libero arbitrio nelle preferenze personali;
2) negare che tutto quello che ci frulla nella mente abbia il suo ricettacolo, materiale e processuale, nel SNC.
Il motivo di tale oscurità consiste nel fatto che chiunque puó nella pratica falsificare tali negazioni. La seconda falsificazione è un tantino più ostica e conviene servirsi di un terzo "incluso" ("escluso" lo sarà dopo ...)
Citazione di: Ipazia il 16 Febbraio 2019, 17:18:57 PM
I fatti che fanno apparire la filosofia una "materia oscura" sono esattamente di questo tipo:
1) negare che ci sia libero arbitrio nelle preferenze personali;
2) negare che tutto quello che ci frulla nella mente abbia il suo ricettacolo, materiale e processuale, nel SNC.
Il motivo di tale oscurità consiste nel fatto che chiunque puó nella pratica falsificare tali negazioni. La seconda falsificazione è un tantino più ostica e conviene servirsi di un terzo "incluso" ("escluso" lo sarà dopo ...)
Io non ci vedo proprio nulla di oscuro.
Mentre trovo oscurissimo pretendere che il SNC (ove chiunque non ha mai trovato nulla di diverso da cellule, vasi sanguigni, assoni e sinapsi) possa essere
il ricettacolo, materiale e processuale di tutto quello che ci frulla nella mente, nonché affermare che ci sia libero arbitrio nelle preferenze personali e inoltre la conoscenza della natura materiale sia vera (veramente questo piuttosto che oscuro é contraddittorio).Se é così facile operare falsificazioni di 1 e di 2 non capisco cosa aspetti a illustrarcele.
1) Stamattina ero indecisa tra andare a sciare o fare un giro in bicicletta, liberoarbitrariamente ho scelto la prima (ma avrei potuto decidere di fare anche dell'altro).
2) Hai presente la differenza ontologica tra l'amputazione di un dito e un eeg piatto ?
Citazione di: viator il 14 Febbraio 2019, 23:43:33 PM
Salve Ox. Citandoti : "Non vedo proprio come nella prima poppata/beccata possa essere riscontrato l'innatismo delle pulsioni etiche...".
Dal momento che l'ethos non è altro che il comportamento, alla base di esso non può esserci che appunto l'istinto. Cioè l'innatismo. Dopo di che ci sarà molto tempo per far diventare l'etica una manifestazione molto complessa e molto nobile. Al punto da non poterne più riconoscere la base istintuale, come infatti avviene da parte di quasi tutti.
Citando invece Jacopus, la definizione "pensare se stessi nel mondo", molto bella e persino un poco poetica, mi sembra pecchi di tautologia.
Secondo me e come ho detto altrove poco fa in Lo spirito privo di sensi, la coscienza è, autocitandomi, "la funzione cerebrale che permette ad un corpo vivente (organismo) di trasformarsi da oggetto in soggetto".
Ciao Viator
Beh no, direi che l'etica e/o la morale non è "tutto" il comportamento, ma il comportamento rivolto al
"bene" (ove quello rivolto al "male" è ovviamente l'immoralità).
Da questo punto di vista, non penso proprio che nella prima poppata/beccata possa essere individuato
un comportamento rivolto al "bene", bensì una istintualità propria di ogni specie animale.
Con ciò non voglio svalutare l'importanza "etologica" di questa istintualità, ma semplicemente ricondurre
le parole al loro significato proprio.
Probabilmente il punto dirimente della questione è contenuto nella seguente domanda: "ma l'etica e/o la
morale hanno il loro fondamento nell'istintualità, diciamo, "animale"?
Secondo me se ne può discutere, perchè un fondamento istintuale è tutt'al più rilevabile in gruppi "parentali",
cioè in gruppi in cui valgono legami di sangue o di "cultura" (ad un livello superiore e specificatamente
umano), MAI fra gruppi rivali (voglio citare l'esempio degli scimpanzè, per non dire degli umani...),
nei quali, al contrario, il fondamento istintuale sembra essere di segno diametralmente opposto.
Di una cosa sono profondamente convinto: laddove si cerca di "ordinare" il molteplice e di ricondurlo
all'unità (come nell'affermazione "tranchant" che l'etica è innata) si compie un'operazione dal chiaro
sapore filosofico (magari credendo di pensare in maniera "analitico/scientifica").
Sulla "coscienza" la tua definizione mi sembra piuttosto condivisibile.
Come già dicevo, con la "coscienza" nell'essere umano si dà la capacità di pensar-si; e pensarsi sia
come soggetto pensante che come oggetto pensato.
Questo però ha a mio parere una importante implicazione. Se l'essere umano ha la capacità di pensarsi
come soggetto e come oggetto, questa avrà necessariamente la conseguenza di produrre un "giudizio".
Un giudizio su se stesso e sull'"altro" da lui che è, simultaneamente, il mondo e se stesso come oggetto
del pensiero del sé soggettivo.
E un giudizio sul "sé" sarà necessariamente formulato su un fondamento etico/morale.
saluti
Citazione di: Ipazia il 15 Febbraio 2019, 10:27:18 AM
La natura non è la fata Turchina, ma chi sopravvive per tutta la vita saprà che deve la sua vita all'altro/a. Tale imprinting etico primordiale è talmente forte da aver, in un secondo tempo, generato una coscienza - ma questo è un tratto specificamente umano - pro-gettata in un sogno provvidenziale in cui la Madre, ovvero il Padre (anche il patriarcato accampa diritti in campo etico) ti assicura la vita, incluso il post mortem.
La mia opinione è che la filosofia abbia un ruolo importantissimo nella formazione della coscienza, intesa anche metafisicamente come assunzione di forma, quindi essenza umana. Ma abbia altrettanto nulla da dire sui meccanismi che rendono possibile questo,
Ciao Ipazia
A parer mio stai troppo generalizzando (cioè stai troppo cercando di ordinare il molteplice caotico in
un "kosmos" dal chiaro sapore metafisico).
Se, ad esempio (ma ne potrei fare moltissimi), io ti citassi il Cuculo, che fa cadere le uova del, diciamo,
legittimo proprietario per sostituirle con il suo parleresti sempre di "imprinting etico primordiale"?
Sulla coscienza sono assolutamente d'accordo che la filosofia non ha nulla da dire circa il sapere specialistico,
che è proprio della scienza. Però individuerei il "problema" nell'esatto contrario di questo, e cioè nella
pretesa di certa scienza di occupare ogni spazio (il problema è cioè lo "scientismo").
Da questo punto di vista, la "neurofilosofia" è un termine privo di senso e significato...
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Febbraio 2019, 20:53:23 PM
Ciao Ipazia
A parer mio stai troppo generalizzando (cioè stai troppo cercando di ordinare il molteplice caotico in un "kosmos" dal chiaro sapore metafisico). Se, ad esempio (ma ne potrei fare moltissimi), io ti citassi il Cuculo, che fa cadere le uova del, diciamo, legittimo proprietario per sostituirle con il suo parleresti sempre di "imprinting etico primordiale"?
Certamente perché il cuculo non ha mica i pregiudizi metafisici sul Bene che hai tu. Per il cuculo l'etica è esattamente quella che è nella sua semantica: ethos techne, tecnica del vivere e dell'abitare. Che nel suo caso è, diciamo, originale, ma funzionalissima al suo "bene" riproduttivo. Così come insegnare al cucciolo carnivoro la predazione è basilare per il suo massimo "bene": sopravvivere.
Certamente l'etica umana e la sua interazione con la coscienza è un fenomeno molto più complesso, ma nelle sue fondamenta c'è il Bene comune di tutti i viventi.
Citazione di: Ipazia il 16 Febbraio 2019, 19:28:24 PM
1) Stamattina ero indecisa tra andare a sciare o fare un giro in bicicletta, liberoarbitrariamente ho scelto la prima (ma avrei potuto decidere di fare anche dell'altro).
Citazione
Ti é sembrato di farlo liberoarbitrariamente, questa é l' unica cosa certa.
Ma se é vera la conoscenza scientifica, allora l' hai fatto in corrispondenza biunivoca di determinati eventi neurofisiologici deterministicamente accaduti nel tuo cervello (che sono propriamente stati la causa di quei tuoi movimenti muscolari che hanno costituito il tuo andare a sciare; io ho fatto per gli stessi motivi e nello stesso modo circa il libero arbitrio o meno un bel giro in bici).
2) Hai presente la differenza ontologica tra l'amputazione di un dito e un eeg piatto ?
Citazione
Certo che sì!
(Ma non vedo che c' entri).
Ma tu piuttosto hai presente la differenza fra un' esperienza cosciente (per esempio il vedere un coloratissimo arcobaleno, l' amare qualcuno "alla follia", il ricordare un episodio della propria infanzia o il dimostrare un teorema di geometria da una parte, e dall' altra invece quei meccanismi neurofisiologici cerebrali (eventi micorscopici come potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans - sinaptiche accadenti un una "roba macroscopica roseogrigiastra molliccia, gommosa un po' viscida" che é un cervello), meccanismi (ergo: eventi deterministici) che a queste attività di coscienza necessariamente coesistono-codivengono (=/= si identificano)?
Salve Ox. Non sono assolutamente d'accordo nell'identificare l'etica come l'insieme dei comporatamenti e delle scelte orientate al bene.
Questo è il significato corrente, consuetudinario, discorsivo del concetto di etica all'interno della nostra cultura, largamente quanto "inconsapevolmente" ipocrita. E' stato recentemente coniato pure l'aggettivo opposto : "disetico", cioè "privo di etica o contrario all'etica" ma, poichè "etica" significa solo COMPORTAMENTO senza implicare alcuna ulteriore specificazione, DISETICO sarebbe allora "privo di comportamento !!".
Mentre la morale incarna l'insieme delle regole sociali di una comunità esclisivamente umana (non mi sembra che esistano morali animali) ed ha per scopo il bene sociale (sotto forma di utilità) della comunità stessa.....................
..............l'etica (umana od animale) non conosce il bene, ovvero non è orientata nè al bene nè al male, ma unicamente alla vantaggiosità dell'individuo che ne è il detentore. E la vantaggiosità potrà essere di tipo istintivo (tendenza alla sopravvivenza) sia per l'animale che per l'uomo, oppure anche di tipo speculativo (ovviamente solo per l'uomo). Saluti.
Molte tracce da seguire in questa discussione. Due precisazioni brevi e un pò laterali rispetto al nucleo centrale del tema.
Non credo che la coscienza si riduca alla memoria, la quale ha le proprie sedi cerebrali ormai appurate, la principale delle quali è l'ippocampo. Del resto va anche precisato che esistono diversi tipi di memorie, quella procedurale, quella dichiarativa, quella a breve e lungo termine, quella semantica, quella autobiografica. Sicuramente la coscienza è molto connessa alla memoria ma non si riduce ad essa.
Rispetto all'innatismo etico, argomento che sta molto a cuore a Ox. Il discorso può essere sintetizzato così: i bambini, persino i neonati, sono dotati già di forti capacità di compassione ed empatia, hanno un senso della giustizia che si evolve in modo equilibrato. Ma i bambini dell'homo sapiens sono membri di una specie estremamente complessa, dotata di una cultura estremamente complessa che può distorcere quell'imprinting di base, inserendosi direttamente nel patrimonio neuronale di ciascuno di noi, come magistralmente evidenziato da Franco Fabbro (identità culturale e violenza, Bollati B., 2018).
In merito alla distinzione proposta da Viator fra etica e morale. Premesso che i due termini hanno spesso significati coincidenti, la tua interpretazione di etica mi lascia piuttosto interdetto, trattandosi in realtà di un significato che potrebbe essere definito come "individualismo". In realtà la distinzione a mio giudizio è la seguente: la morale è il riferimento ai valori di giustizia, verità, bellezza, bontà del singolo mentre etico è il riferimento agli stessi valori da parte di un gruppo definito, nazionale, di classe, tribale, religioso e così via.
Citazione di: Jacopus il 16 Febbraio 2019, 23:31:51 PM
Molte tracce da seguire in questa discussione. Due precisazioni brevi e un pò laterali rispetto al nucleo centrale del tema.
Non credo che la coscienza si riduca alla memoria, la quale ha le proprie sedi cerebrali ormai appurate, la principale delle quali è l'ippocampo. Del resto va anche precisato che esistono diversi tipi di memorie, quella procedurale, quella dichiarativa, quella a breve e lungo termine, quella semantica, quella autobiografica. Sicuramente la coscienza è molto connessa alla memoria ma non si riduce ad essa.
Rispetto all'innatismo etico, argomento che sta molto a cuore a Ox. Il discorso può essere sintetizzato così: i bambini, persino i neonati, sono dotati già di forti capacità di compassione ed empatia, hanno un senso della giustizia che si evolve in modo equilibrato. Ma i bambini dell'homo sapiens sono membri di una specie estremamente complessa, dotata di una cultura estremamente complessa che può distorcere quell'imprinting di base, inserendosi direttamente nel patrimonio neuronale di ciascuno di noi, come magistralmente evidenziato da Franco Fabbro (identità culturale e violenza, Bollati B., 2018).
In merito alla distinzione proposta da Viator fra etica e morale. Premesso che i due termini hanno spesso significati coincidenti, la tua interpretazione di etica mi lascia piuttosto interdetto, trattandosi in realtà di un significato che potrebbe essere definito come "individualismo". In realtà la distinzione a mio giudizio è la seguente: la morale è il riferimento ai valori di giustizia, verità, bellezza, bontà del singolo mentre etico è il riferimento agli stessi valori da parte di un gruppo definito, nazionale, di classe, tribale, religioso e così via.
Sono d' accordo in particolare per la stigmatizzazione della confusione di "etica" e "individualismo" (il quale, almeno oltre un certo limite, é antietico, negatore dell' etica).
La stessa affermazione (Viator):
"
E' stato recentemente coniato pure l'aggettivo opposto : "disetico", cioè "privo di etica o contrario all'etica" ma, poichè "etica" significa solo COMPORTAMENTO senza implicare alcuna ulteriore specificazione, DISETICO sarebbe allora "privo di comportamento !!".Dimostra l' impraticabilità di una simile accezione dell' "etica" come comportamento senza caratterizzazione alcuna: "non comportamento" come contrario di "comportamento" non ha senso, contrariamente a "disetico" o "antietico" come "comportamento contrario all' etica".
Citazione di: Ipazia il 16 Febbraio 2019, 21:17:24 PM
Certamente perché il cuculo non ha mica i pregiudizi metafisici sul Bene che hai tu. Per il cuculo l'etica è esattamente quella che è nella sua semantica: ethos techne, tecnica del vivere e dell'abitare. Che nel suo caso è, diciamo, originale, ma funzionalissima al suo "bene" riproduttivo. Così come insegnare al cucciolo carnivoro la predazione è basilare per il suo massimo "bene": sopravvivere.
Certamente l'etica umana e la sua interazione con la coscienza è un fenomeno molto più complesso, ma nelle sue fondamenta c'è il Bene comune di tutti i viventi.
Ciao Ipazia
Esattamente questo è il punto centrale; che cerco di dirimere e spiegare (evidentemente male, visto
che non vengo compreso) in alcuni dei miei posts (in particolare ne: "La volontà di potenza da
un altro punto di vista").
Il cuculo, come gli anglosassoni, ha una concezione del "bene" come utile particolare...
Senonchè, a differenza degli anglosassoni che poi ammantano di metafisica questo crudo assunto (la
"mano invisibile", cioè Dio, fa sì che la somma degli utili particolari risulti nell'utile collettico
- che è tra l'altro la teoria filosofica a fondamento del liberismo), il cuculo persevera in maniera
coerentissima a considerare (...) il proprio utile come indiscusso bene (come di fatto E' nel liberismo...).
Ripeto quanto detto altrove: non mi sogno neppure di dire che è "vero" quel che io sostengo (e quel che
sostengo è la sacralità dell'etica). Mi limito a dire che quella del cuculo non è "etica", ma utilitarismo
(e, di conseguenza, che la concezione anglosassone, laddove "depurata" dal grossolano elemento metafisico,
risulta essere il medesimo utilitarismo del cuculo).
In altre parole, a fondamento del "bene comune di tutti i viventi" non può in alcun modo esservi l'utilitarismo
del cuculo (che infatti fa cadere le uova dal nido di un'altra specie per deporvi il proprio senza alcun riguardo
per il "bene comune di tutti i viventi".
Non esiste, in natura, un simile concetto, esso può essere solo e soltanto il "parto" culturale di una specie (l'uomo)
che lo assume in maniera "sacrale", cioè in maniera ab-soluta, unitaria, senza riguardo per un molteplice da cui NON
può originarsi.
saluti
Mi ricollego all'ultimo discorso di Ox. A mio parere ci sono aspetti biologici che implementano i valori etici, se con questi indichiamo la predisposizione ad aiutare e sostenere i nostri simili. L'aspetto biologico fondamentale è il lungo processo di autonomizzazione che serve alla prole dell'homo sapiens. Credo il più lungo in assoluto in natura. Un altro aspetto, che invece condividiamo con altre specie, è la predisposizione alla socialità come metodo per risolvere problemi, dalla caccia, all'agricoltura, fino alle missioni spaziali. Convivono però, accanto a questi imput, come nella favola di Schopenhauer sugli istrici, altri stimoli che sono self-related, egoistici, promossi per privilegiare la propria cerchia, più o meno grande (me stesso, la mia famiglia, la mia tribù, la mia città, la mia nazione, il mio mondo umano, il mio mondo in tutte le sue forme di vita, il mio mondo nella sua generale conformazione, geologica e biologica). La tendenza però è proprio quella ad allargare il proprio in-group. Un secolo fa a nessuno sarebbe venuto in mente di costituire dei gruppi di protesta perché in remote regioni della Cina amano mangiare i cani. Ciò non toglie che nel decorso della storia umana si siano verificati dei "ritorni al passato". La storia non è mai lineare e a lieto fine, anche perchè intervengono in esse le espressioni di infinite volontà che si sovrappongono in modo causale, casuale e libero-arbitrariamente. Ma è anche possibile individuare una tendenza di lungo periodo che conduce ad un allargamento di spazi etici, perlomeno nel senso di stabilire dei principi, la cui attuazione diviene in seguito problematizzata.
Questa tendenza all'allargamento etico è stata anche promossa dalle religioni, nel corso di molti secoli, a prescindere dalla funzione repressiva e parassitaria che spesso le istituzioni ecclesiastiche hanno costituito.
Ciò che ci dovremmo chiedere in un'altra discussione è se questo allargamento etico è anche dovuto al trasferimento di "lavoro" dall'uomo ai sistemi automatizzati e all'energia a buon mercato di cui disponiamo oggi.
Citazione di: viator il 16 Febbraio 2019, 22:44:20 PM
Salve Ox. Non sono assolutamente d'accordo nell'identificare l'etica come l'insieme dei comporatamenti e delle scelte orientate al bene.
Questo è il significato corrente, consuetudinario, discorsivo del concetto di etica all'interno della nostra cultura, largamente quanto "inconsapevolmente" ipocrita. E' stato recentemente coniato pure l'aggettivo opposto : "disetico", cioè "privo di etica o contrario all'etica" ma, poichè "etica" significa solo COMPORTAMENTO senza implicare alcuna ulteriore specificazione, DISETICO sarebbe allora "privo di comportamento !!".
Ciao Viator
Non so, questa è la prima voce che al mio pc appare quando su Google digito "etica definizione": "Dottrina o
indagine speculativa intorno al comportamento pratico dell'uomo di fronte ai due concetti del bene e del male".
Per quanto riguarda il rapporto fra etica e morale, riprendo la nota affermazione di Hegel per cui l'etica altro
non è se non la morale collettivamente intesa (concetto che mi pare condiviso anche dall'amico Jacopus).
Quindi, ecco, si tratta solo di mettersi d'accordo sui significati...
saluti
Il "bene comune di tutti i viventi" è la vita. Su questo bene si innerva biologicamente ogni comportamento etico. In questo dato c'è il minimo di metafisica che lo rende evidente ad una intelligenza cosciente. Che qualcuno ci metta il cappello e lo dirotti alla sua parrocchia filosofica pescando le ciliegie che gli fanno comodo non mi riguarda. Sullo sviluppo etico di tale bene comune e sui conflitti etici che esso determina si struttura la storia della coscienza umana secondo quanto già tratteggiato da Jacopus. Ma la coscienza umana è ancora meno riducibile all'etica che alla memoria. È un fenomeno complesso in cui si sommano tutti gli aspetti ontologici, epistemologici e tecnologici dell'esserci hic et nunc. Tenuto conto che alcune componenti sono più costanti ed altre più variabili. E che la vita è il leitmotiv di tutto.
.
Salve Ox. Cioè per Hegel, Jacopus e forse per te vale un completo ribaltamento di significati. La morale sarebbe l'insieme delle regole di comportamento INDIVIDUALE (cioè risulterebbe effetto dei comportamenti e scelte del singolo), mentre l'etica (ripeto ormai nauseato : ethos = comportamento) sarebbe......??.
Ma l'ETOlogia che sarebbe ? Non si occupa forse di reazioni, scelte, comportamenti di singoli individui (animali o non) ?. Saluti.
Citazione di: Jacopus il 17 Febbraio 2019, 17:01:20 PM
Mi ricollego all'ultimo discorso di Ox. A mio parere ci sono aspetti biologici che implementano i valori etici, se con questi indichiamo la predisposizione ad aiutare e sostenere i nostri simili.
Ciao Jacopus
Ma sì, dicevo infatti che un fondamento istintuale dell'etica è rilevabile in gruppi "parentali", cioè in
"comunità" che però, e lo trovo dirimente, la modernità sta sempre più obliando.
Solo che ritengo non si possa "esagerare" con il materialismo, ed affermare (come fa Ipazia) che l'etica
si fonda su un "bene comune di tutti i viventi" come concetto materiale (a quanto io ho capito lei sostiene
addirittura che questo vale anche per gli animali...).
In altre parole, ciò che io sostengo è, sì, che l'etica si fonda su un "bene comune di tutti i viventi", ma
che questo è un concetto culturale (e perdipiù fatto proprio in maniera "sacrale", visto che da esso è stata
espunta ogni traccia di relatività...).
Non sono d'accordo con te (o perlomeno lo trovo molto problematico) laddove affermi che è rilevabile una
tendenza di lungo periodo che conduce all'allargamento di spazi etici.
Non ritengo sia rilevabile un simile processo né in quella direzione né in quella contraria, nel senso che
trovo semmai siano rilevabili (entrambi) nel breve-medio periodo, non nel lungo.
saluti
Per OX. Eppure di prove ce ne sono innumerevoli, a meno che non si voglia per l'ennesima volta dimostrare il contrario con la reductio ad hitlerum, che potrebbe anche essere stato un incidente di percorso. Quello che sicuramente va tratteggiato è che questo percorso di allargamento etico riguarda solo il mondo occidentale, ovvero America del Nord, Europa e altri pochi accoliti, mentre nel resto del mondo questo miglioramento non c'è stato o se c'è stato ora sta velocemente scomparendo. Il problema è relativo alla memoria che abbiamo dei fatti storici molto lontani nel tempo, che ovviamente non possiamo avere se non non la rintracciamo nei libri e negli archivi.
Comunque non credo che oggi sia accettabile eticamente:
1) rinchiudere una persona in un sacco insieme ad alcuni gatti, perché accusata di stregoneria da un vicino di casa invidioso, e gettarlo in un fiume. Se si salva vuol dire che è innocente, se muore significa che è colpevole. Si trattava di un'ordalia, riconosciuto come rito processuale in molti paesi medioevali.
2) fare spettacoli a pagamento dove si incendiavano e impiccavano gatti. Spettacoli che si svolgevano a Parigi e in tutta la Francia nel 500-600.
3) Proporre per le donne adultere il taglio del naso, fino a lasciare un buco di almeno 1 cm e mezzo (proposta del presidente degli USA, Jefferson nel primo ottocento).
4) Sviluppare una guerra con milioni di morti come la prima e la seconda guerra mondiale (ed infatti il Vietnam è stata una sconfitta per gli USA, solo perchè avevano lasciato sul campo poche migliaia di caduti).
5) Far scontare la pena della frusta ad un proprio servo, se si aveva il rango di nobile.
6) Accettare la schiavitù come rapporto di lavoro eticamente corretto e giustificato anche religiosamente.
7) Rinchiudere nello stesso luogo (riformatorio e case di correzione) sia i bambini poveri e orfani, che coloro che avevano commesso dei reati.
8) Obbligare tutti i cittadini ad andare alla pubblica funzione religiosa, e nel caso di violazione dell'obbligo, la pena prevista era la fustigazione.
9) Essere passati per le armi se solo si aveva l'ardire di criticare il re o l'imperatore.
10) Essere tranquillamente uccisi se si obiettava a qualche prepotenza del signorotto locale (avete presente il marchese del Grillo..."perchè io so io...).
Potrei continuare ma credo che, con tutti i difetti e limiti e periodiche regressioni, se non viviamo nel migliore dei mondi possibili, viviamo in un mondo molto più confortevole che nel passato. Questo ovviamente non ci deve indurre a credere ad una sorta di automatismo della storia, come la storia stessa provvede ad illustrarci.
Citazione di: sgiombo il 16 Febbraio 2019, 21:23:55 PM
1)
Ipazia:
Stamattina ero indecisa tra andare a sciare o fare un giro in bicicletta, liberoarbitrariamente ho scelto la prima (ma avrei potuto decidere di fare anche dell'altro).
Sgiombo:
Ti é sembrato di farlo liberoarbitrariamente, questa é l' unica cosa certa.
Ma se é vera la conoscenza scientifica, allora l' hai fatto in corrispondenza biunivoca di determinati eventi neurofisiologici deterministicamente accaduti nel tuo cervello (che sono propriamente stati la causa di quei tuoi movimenti muscolari che hanno costituito il tuo andare a sciare; io ho fatto per gli stessi motivi e nello stesso modo circa il libero arbitrio o meno un bel giro in bici).
2)
Ipazia:
Hai presente la differenza ontologica tra l'amputazione di un dito e un eeg piatto ?
Sgiombo:
Certo che sì!
(Ma non vedo che c' entri).
Ma tu piuttosto hai presente la differenza fra un' esperienza cosciente (per esempio il vedere un coloratissimo arcobaleno, l' amare qualcuno "alla follia", il ricordare un episodio della propria infanzia o il dimostrare un teorema di geometria da una parte, e dall' altra invece quei meccanismi neurofisiologici cerebrali (eventi micorscopici come potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans - sinaptiche accadenti un una "roba macroscopica roseogrigiastra molliccia, gommosa un po' viscida" che é un cervello), meccanismi (ergo: eventi deterministici) che a queste attività di coscienza necessariamente coesistono-codivengono (=/= si identificano)?
Non ti rendi conto della contraddizione nelle tue risposte a 1 e 2 ?
O accettiamo un determinismo forte e allora tanto coscienza che libero arbitrio sono dipendenti dal soma, o cominciamo a ragionare per stadi evolutivi del vivente, facoltà emergenti che trascendono la mera materia e processo fisiologici e allora la coscienza, e il l.a. che ne è un attributo, afferiscono ad un proprio peculiare dominio ontologico.
A tal proposito ti rammento che la "
libertà di coscienza", che li coniuga, è una grande conquista della laicità, e ci ha liberato da alcuni orrendi mostri "etici" del passato. Del passato si spera, ma il peggio ritorna sempre e non è il caso di aiutarlo con alibi "deterministici".
Citazione di: Jacopus il 17 Febbraio 2019, 18:58:05 PM
Per OX. Eppure di prove ce ne sono innumerevoli, a meno che non si voglia per l'ennesima volta dimostrare il contrario con la reductio ad hitlerum, che potrebbe anche essere stato un incidente di percorso.
Ciao Jacopus
Se fosse come dici nella storia avremmo assistito ad un continuo, per quanto labile, progresso morale...
I tempi più cupi sarebbero dunque quelli, per certi versi fulgenti, dell'antichità classica, cui il
medioevo avrebbe rappresentato un superamento in termini qualitativi.
Non dico poi dell'Umanesimo e del Rinascimento, tanto splendidi sul terreno delle arti quanto
decadenti ed immorali su quello etico.
Insomma, io questo progresso non lo vedo; e se è certamente vero molto di quel che affermi è però
altrettanto vero che non la sola Germania nazista ha destato "scandalo" durante il sanguinario 900.
Che dire poi di aspetti molto meno considerati ma a mio avviso altrettanto significativi della, diciamo,
non rilevanza del progresso morale lungo la storia...
Guardiamo, ad esempio, alla condizione degli anziani, il cui ruolo da quello di guida e saggi
consiglieri è passato a quello di "zavorra". Oppure all'estrema indifferenza con cui ormai noi, pingui,
rammolliti ed immorali, guardiamo a quello che ci succede attorno...
Non voglio con questo dire che prima c'era un'"età dell'oro"; un "paradiso perduto"; un "tempo dei
patriarchi" di cui, allontanandoci nel tempo, si sono perse le virtù positive. Il mio non è un
discorso opposto ma speculare al tuo: io sostengo che la moralità è "più o meno" (appunto a seconda
di periodi storici medio-brevi) stata sempre la stessa.
saluti
@Ipazia e Sgiombo
Dagli ultimi sviluppi sul tema del topic possiamo essere d'accordo su un punto: che far dipendere dal Leib (corpo vivente) - che non è mero Korper - i vissuti di coscienza non equivale a una completa identificazione di coscienza e cervello? Che le esperienze coscienti e i vissuti di coscienza presentino un loro grado di irriducibilità a eventi cerebrali? O siamo in accordo su questo o parlare di statuti "ontologici" mi pare mettere altra carne sul fuoco prematuramente. Così come magari provare ad avventurarci nelle lande della Embodied Cognition.
Ciao Lou
Scusa se mi intrometto ma volevo farti una domanda (a te che mi sembri più "avvezza" di me nelle
questioni propriamente scientifiche): che differenza c'è, a livello neurologico, fra un agire morale
ed uno immorale?
saluto
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2019, 11:01:08 AM
CitazioneCitazione da: sgiombo - 16 Febbraio 2019, 21:23:55 pm
Citazione1)
Ipazia:
Stamattina ero indecisa tra andare a sciare o fare un giro in bicicletta, liberoarbitrariamente ho scelto la prima (ma avrei potuto decidere di fare anche dell'altro).
Sgiombo:
Ti é sembrato di farlo liberoarbitrariamente, questa é l' unica cosa certa.
Ma se é vera la conoscenza scientifica, allora l' hai fatto in corrispondenza biunivoca di determinati eventi neurofisiologici deterministicamente accaduti nel tuo cervello (che sono propriamente stati la causa di quei tuoi movimenti muscolari che hanno costituito il tuo andare a sciare; io ho fatto per gli stessi motivi e nello stesso modo circa il libero arbitrio o meno un bel giro in bici).
2)
Ipazia:
Hai presente la differenza ontologica tra l'amputazione di un dito e un eeg piatto ?
Sgiombo:
Certo che sì!
(Ma non vedo che c' entri).
Ma tu piuttosto hai presente la differenza fra un' esperienza cosciente (per esempio il vedere un coloratissimo arcobaleno, l' amare qualcuno "alla follia", il ricordare un episodio della propria infanzia o il dimostrare un teorema di geometria da una parte, e dall' altra invece quei meccanismi neurofisiologici cerebrali (eventi micorscopici come potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans - sinaptiche accadenti un una "roba macroscopica roseogrigiastra molliccia, gommosa un po' viscida" che é un cervello), meccanismi (ergo: eventi deterministici) che a queste attività di coscienza necessariamente coesistono-codivengono (=/= si identificano)?
Citazione da: Ipazia - Mon Feb 18 2019 11:01:08 GMT+0100 (Ora standard dell'Europa centrale)
Non ti rendi conto della contraddizione nelle tue risposte a 1 e 2 ?
O accettiamo un determinismo forte e allora tanto coscienza che libero arbitrio sono dipendenti dal soma, o cominciamo a ragionare per stadi evolutivi del vivente, facoltà emergenti che trascendono la mera materia e processo fisiologici e allora la coscienza, e il l.a. che ne è un attributo, afferiscono ad un proprio peculiare dominio ontologico.
A tal proposito ti rammento che la "libertà di coscienza", che li coniuga, è una grande conquista della laicità, e ci ha liberato da alcuni orrendi mostri "etici" del passato. Del passato si spera, ma il peggio ritorna sempre e non è il caso di aiutarlo con alibi "deterministici".
Sono purtroppo costretto a constatare (mi si perdoni: a malincuore, perché non intendersi fra compagni che credono e lottano per importanti obiettivi comuni mi lascia un po' di amaro in bocca; ma non c' é niente da fare) che il fraintendimento é totale.Cercherò di fare un altro tentativo di spiegarmi, poi probabilmente getterò la spugna.La risposta 1 dice che il divenire del tuo cervello, cui corrisponde il divenire dalla tua coscienza, se é vera la conoscenza scientifica, é deterministico; ovvero il divenire della tua coscienza (comprese le tue volontà, le tue scelte) propriamente non può dirsi deterministico, e tuttavia può ben dirsi in corrispondenza biunivoca con eventi deterministici: ogni "stato" del tuo cervello in qualsiasi istante é deterministico e ogni stato della tua coscienza* in qualsiasi istante é biunivocamente corrispondete allo stato (deterministicamente accadente) del tuo cervello in tale istante (nell'ambito di esperienze coscienti** di "osservatori" diverse dalla coscienza tua* di "osservata").La risposta 2 dice che tra divenire del tuo cervello (nelle coscienze** di chi lo osservi: roba viscida roseogrigiastra molliccia costituita da cellule, assoni, dendriti, potenziali d' azione, sollecitazioni e inibizioni trans - sinaptiche, ecc.) da una parte e il divenire della tua coscienza* (per esempio la visione di un arcobaleno, un amore "folle", dei ricordi d' infanzia, la dimostrazione di un teorema di geometria, ecc.) non vi é alcuna identità (sono enti ed eventi -fenomenici- reciprocamente altri, diversi) bensì corrispondenza biunivoca: per ogni singolo certo determinato "stato della tua coscienza* e non altri chi lo osservasse nelle opportune maniere troverebbe un singolo certo determinato "stato della tuo cervello" e non altri (nell' ambito della coscienza** propria dell' osservatore stesso, diversa dalla tua).Non v'é alcuna contraddizione fra di esse.Dicono la stessa cosa.Anzi, la prima é in un certo senso l' esplicitazione di una nozione implicitamente compresa nella seconda; ovvero letteralmente una deduzione, un giudizio analitico a priori: dalla premessa I della "corrispondenza biunivoca fra coscienza e cervello" e dalla premessa II del "divenire deterministico e non liberoarbitrario del cervello (se la conoscenza scientifica é vera)" si trae la conclusione deduttiva III che il divenire della coscienza é in corrispondenza biunivoca con il divenire deterministico e non liberoarbitrario del cervello.La coscienza non dipende dal soma (cervello) ma diviene "parallelamente" al (in corrispondenza biunivoca col) soma (cervello).Non c' é "stadio evolutivo" della vita che possa "trascendere" o comunque "non rispettare le leggi della fisica" per afferire ad alcun preteso "peculiare dominio ontologico" che, interferendo causalmente con la materia (vivente), ne violi le leggi naturali (fisiche - chimiche) del divenire.L' evoluzione (filogenetica; e anche ontogenetica) dei viventi, uomini compresi, con la loro straordinaria creatività e plasticità di comportamento in conseguenza delle esperienze ambientalmente condizionate (evoluzione che riguarda i loro cervelli e conseguentemente i loro comportamenti dai cervelli diretti, che non devono essere eliminati, in quanto troppo inadattivi, dalla selezione naturale; e non invece le loro coscienze, che potrebbero anche benissimo non esserci: potrebbe anche trattarsi di zombi e nessuno potrebbe accorgersene; nemmeno la selezione naturale) non può assolutamente derogare ("soprannaturalmente" o "preternaturalmente"; in senso letterale) dalle leggi fisiche - chimiche "generali" della materia tutta, vivente e non vivente; ma deve invece inderogabilmente avvenire come conseguenza delle leggi generali astratte (fisico - chimiche) del divenire in quanto "applicate a " o "vigenti ne-" le peculiari condizioni particolari concrete proprie della materia vivente stessa.La libertà di coscienza, di pensiero, di azione, la democrazia ecc., non c' entrano per niente col determinismo o alternativamente libero arbitrio del comportamento umano: si può lottare per queste conquiste di civiltà o contro di esse, e col medesimo grado di "accanimento", con i medesimi sforzi di volontà (più o meno intensi a seconda dei casi), sia che si agisca (più o meno "accanitamente") per libero arbitrio, sia che si agisca (più o meno "accanitamente" deterministicamente), sia che si creda (illudendosi o essendo nel vero) di agire liberoarbitrariamente, sia che si creda (illudendosi o essendo nel vero) di agire deterministicamente.Stammi bene!
Citazione di: Lou il 18 Febbraio 2019, 18:08:24 PM
@Ipazia e Sgiombo
Dagli ultimi sviluppi sul tema del topic possiamo essere d'accordo su un punto: che far dipendere dal Leib (corpo vivente) - che non è mero Korper - i vissuti di coscienza non equivale a una completa identificazione di coscienza e cervello? Che le esperienze coscienti e i vissuti di coscienza presentino un loro grado di irriducibilità a eventi cerebrali? O siamo in accordo su questo o parlare di statuti "ontologici" mi pare mettere altra carne sul fuoco prematuramente. Così come magari provare ad avventurarci nelle lande della Embodied Cognition.
Che
e esperienze coscienti e i vissuti di coscienza presentino un loro grado di irriducibilità a eventi cerebrali concordo (Ipazia mi sembra che li identifichi; ma staremo a vedere).Le differenze fra Leib (corpo vivente) e mero Korper non mi sono chiare. Ma per parte mia (non credo Ipazia) le esperienze coscienti e i vissuti di coscienza non sono punto riducibili a eventi cerebrali (né credo ne emergano o vi sopravvengano; men che meno che vi si identifichino "immediatamente")Apprezzo molto questo paziente tentativo do chiarificazione e reciproca intesa.
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Febbraio 2019, 18:37:57 PM
Ciao Lou
Scusa se mi intrometto ma volevo farti una domanda (a te che mi sembri più "avvezza" di me nelle
questioni propriamente scientifiche): che differenza c'è, a livello neurologico, fra un agire morale
ed uno immorale?
saluto
Mi scuso per l' invadenza (spero non venga preso per un intervento "a gamba tesa").
Secondo me (e credo di poter dire secondo le neuroscienze) a livello neurologico ogni agire ha un determinato corrispettivo; dunque fra un agire morale e un agire in violazione della morale vi sono certamente diversità nei circuiti nervosi che li determinano e che corrispondo, nella coscienza soggettiva di chi le compisse, alle due diverse scelte (differenze neurofisiologiche in linea puramente teorica, di principio constatabili empiricamente, di fatto certamente no; esattamente come in generale i corrispettivi neurologici di qualsiasi scelta).
Citazione di: sgiombo il 18 Febbraio 2019, 19:42:55 PM
Mi scuso per l' invadenza (spero non venga preso per un intervento "a gamba tesa").
Secondo me (e credo di poter dire secondo le neuroscienze) a livello neurologico ogni agire ha un determinato corrispettivo; dunque fra un agire morale e un agire in violazione della morale vi sono certamente diversità nei circuiti nervosi che li determinano e che corrispondo, nella coscienza soggettiva di chi le compisse, alle due diverse scelte (differenze neurofisiologiche in linea puramente teorica, di principio constatabili empiricamente, di fatto certamente no; esattamente come in generale i corrispettivi neurologici di qualsiasi scelta).
Ciao Sgiombo
Nessuna invadenza, figurati. Anzi ti ringrazio di questo tuo intervento.
Dunque, fammi capire: mi stai dicendo che fra un agire morale ed uno immorale vi sono delle differenze
"fisiche"? Che consisterebbero in cosa? In un diverso scambio chimico, elettrico o cos'altro?
Ma allora, se così fosse (tieni ben presente che io non posseggo nessun elemento di giudizio in
materia), hanno ragione coloro che "medicalizzano" ogni comportamento "deviato" (anche se su questo
punto ci sarebbe da chiedersi: "ci dice chi devia e chi no?").
C'è dunque da aspettarsi la pillola della moralità?
saluti
Ogni processo cosciente ha un corrispettivo processo neurofisiologico (e viceversa).
Quindi se decido di fare X, allora nel mio cervello accade una certa sequenza di eventi "a", se decido di fare Y un' altra sequenza di altri eventi fisiologici "b", ecc.
Se mi comporto moralmente nel mio cervello avvengono certi eventi neurofisiologici, se mi comporto immoralmente (quindi diversamente che moralmente) certi altri, diversi eventi neurofisiologici.
In linea meramente di principio, teorica (se per assurdo esistesse l' Intelligenza onnisciente di Laplace; che é stato il primo a precisare a chiarissime lettere che non esiste, anche se moltitudini di solerti denigratori per ignoranza o più verosimilmente in malafede lo ignorano) si potrebbe anche conoscere nel dettaglio quali particolari determinati eventi neurofisiologici corrispondono a quali determinati eventi di coscienza (per esempio scelte, volizioni) e viceversa.
Di fatto non ci si riuscirà mai per l' estrema complessità del cervello (non solo umano; umano a maggior ragione).
Quindi nessuna pretesa "pillola della moralità"!
Ci sono già state penosissime, obbrobriose (davvero immorali a loro volta) pretese "terapie chirurgiche dell' immoralità", le "lobotomie frontali".
Qualsiasi "terapia farmacologica" sarebbe inevitabilmente quasi altrettanto pretesa e obbrobriosa (il "quasi" perché generalmente le terapie farmacologiche, almeno se non prolungate troppo nel tempo, sono reversibili: metabolizzato il farmaco, di solito finisce per lo più senza apprezzabili conseguenze permanenti l' effetto "pseudoterapeutico"; mentre i cervelli e conseguentemente -per la necessaria corrispondenza, e non per un' inesistente identità; precisazione tanto per far fischiare le orecchie a Ipazia- le personalità dei lobotomizzati non sono più stati reintegrati).
Salve Ox. Devo dare ampiamente regione a Sgiombo. Scusa, ma gli psicofarmaci che sono ? Non riescono ad essere e mai potranno essere la "pillola della moralità" o "la pillola della felicità" ma TENDENZIALMENTE vorrebbero esserlo da parte di chi li realizza.
Ciò sulla base - scientifica od empirica, non importa - della capacità di alcuni composti chimici di influenzare psiche e mente. Spero tu non la consideri una "bufala", questa.
Ma perchè affermo che tali "pillole" non verranno mai inventate ? Le ragioni non sono di ordine spiritualistico, chimico, o neurologico. Sono, secondo me, di carattere squisitamente filosofico.
Riuscire a gestire farmacologicamente od in altro modo le superiori funzioni cerebrali non sarà mai possibile perchè il cervello di chi vorrebbe farlo (i ricercatori) è una realtà che si colloca al vertice della complessità dell'esistente. Ora, un organo (o comunque un ente) che consista e lavori ai livelli massimi della complessità strutturale e funzionale, può più o meno riuscire a gestire (plasmare, controllare, comprendere) tutto ciò che si trova in una condizione di minore complessità rispetto ad esso.
Non lo può fare nei confronti di ciò che possiede la sua stessa "completezza" e complessità. Ed il cervello dei ricercatori non potrà mai raggiungere la completa conoscenza e controllo della fisiologia di altrui "identici" strumenti (i cervelli dei pazienti).
Avete presente lo specchio ? Se mettiamo un cervello (anche scomposto nei suoi minimi componenti) davanti ad uno specchio, non riusciremo comunque mai a raggiungere la perfetta contezza di come esso sia fatto, anche solo anatomicamente. Tra l'originale e l'immagine riflessa ci sarà sempre un qualcosa che non potremo afferrare : La perdità di luminosità. Tutti gli specchi assorbono una parte della luce che li raggiunge. Saluti.
Secondo me sappiamo già di fatto moltissimo dei cervelli umani e animali e del loro funzionamento.
La "pillola della moralità" é impossibile per una motivo molto banalmente tecnico scientifico: l' estrema complessità di fatto dei cervelli.
Per gli stessi motivi per i quali -banalissimamente- non si possono fare dettagliate previsioni del tempo che in una qualsiasi località farà il giorno 22 Settembre dell' anno 2749 d. C. o "retrovisioni" di quello che ha fatto ivi il 18 Marzo 3941 a. C.
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Febbraio 2019, 18:37:57 PM
Ciao Lou
Scusa se mi intrometto ma volevo farti una domanda (a te che mi sembri più "avvezza" di me nelle
questioni propriamente scientifiche): che differenza c'è, a livello neurologico, fra un agire morale
ed uno immorale?
saluto
Ciao Ox, credo che sgiombo abbia già risposto chiaramente e ritengo sia certamente più competente di me in materia, comunque, esistono infatti studi che concernono per l'appunto la correlazione tra ciò che riteniamo morale e le scelte che compiamo con le diverse aree e attività cerebrali implicate, che, ovviamente, con le moderne tecniche di neuro imagining permettono indagini più precise e accurate rispetto al passato.
Ne indico uno, a titolo esemplificativo, mi spiace, ma non l'ho trovato tradotto in italiano.
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fnint.2017.00034/full
Ora, studi di questo genere li reputo importantissimi, mio malgrado pur gettando luce sugli aspetti, diciamo, di funzionamento e di descrizioni dell'organo cerebrale ammirevoli non spiegano il perchè riteniamo morale un tipo di comportamento o di scelta o di risposta, nè la genesi della scelta. E ritorno a ciò che già sostenni in merito alla coscienza: isolare un aspetto in un ciclo dove vi sono più aspetti non implica trovare la sede della nostra presunta moralità o eticità. E devo dire che, anche nell'articolo esemplificativo, lo studio necessita di stimoli estrinseci o esterni il cervello, necessita degli altri per sviluppare risposte "morali". Perciò, per comprendere la struttura etica, occorre una immersione dove l'attività cerebrale è la risultante forse, e non il motore, di una complessità di elementi che mi riesce difficile ridurre a sinapsi, biochimica, sistema nervoso, organi cerebrali, neuroni specchio e alla sola narrazione neuroscientifica e gli "attori", mi si conceda lo slang, che essa mette in atto. Anzi direi, la questione si fa più complessa.
***
Ho letto la tua domanda sulla "medicalizzazione", ecco direi che non trovo sia la risposta adeguata ai problemi etici in forza di due ordini di ragione:
- la prima è già stata menzionata e indica la complessità dei processi cerebrali in gioco, sebbene, in linea di principio, se si pensa che la sede della nostra moralità sia il cervello e le dinamiche neurobiologiche alla base, non fa una piega dedurne che, modificandole, si potrebbe "correggerne", diciamo così, il tiro, in nome poi di quale moralità. Ma mi taccio.
- la seconda è che, attenzione, che se apparentemente la scienza pare risolvere il problema morale, in realtà ne apre di nuovi. E ci troviamo da capo e di nuovo, ancora una volta, a domandarci, sulla moralità e l'etica.
Chiedo venia per il dilungarmi in questa risposta, che più che risposta, lo considero uno sviluppo, o, qualche sparsa riflessione sul tema.
Concordo con Lou sulla (relativa) autonomia di tutte le funzioni psichiche (l.a. compreso) rispetto al supporto biologico che le rende possibili e le alimenta. Questa autonomia pone la questione della loro specifica ontologia.
Checchè se ne minimizzino le possibilità di successo, le ricerche scientifiche sulla psiche, tanto nell'approccio neurofisiologico che psicologico, procedono spedite. Interessante anche il punto di vista Embodied Cognition introdotto da Lou.
La mia opinione è che da queste ricerche potremo capire cosa è e come funziona la coscienza, mentre per i contenuti etici che la "formano" lo spazio della ricerca è di tipo antropologico e filosofico.
Mi sembra evidente che non sono fra i "minimizzatori" ma anzi che sono fra i "valorizzatori" delle ricerche scientifiche neurofisiologiche.
Non minimizzo ma dichiaro del tutto nulle invece (in quanto pretese filosofiche assurde) le pretese possibilità, le infondate speranze di trovare la coscienza nel cervello, di ridurre la coscienza al cervello, di rilevarne il sopravvenire al o l' emergere dal cervello: lo esclude l' ontologia della coscienza e della materia (in generale e cerebrale in particolare).
Dalla neurologia già ora comprendiamo moltissimo di come la coscienza (che a mio parere non é dotata di libero arbitrio) corrisponda nel suo divenire al divenire (infatti deterministico) di determinate funzioni cerebrali (ma potremo ovviamente incrementare ulteriormente le nostre conoscenze).
A Sgiombo, Viator e Lou
Vi ringrazio dei preziosi chiarimenti su aspetti che perlopiù io ignoro.
Il cenno di Viator agli psicofarmaci mi ha però suscitato un'altra domanda (che tra l'altro ricollego
al concetto di "medicalizzazione"): cos'è la "normalità"?
Una volta ci si "stordiva" con l'alcool o con le droghe, che avevano presumibilmente lo stesso
effetto "fisico" degli psicofarmaci (ogni correzione in merito è la benvenuta); ma questa era in
tutto e per tutto una "alterazione" di uno stato preesistente, che definiremmo dunque "normale".
Ora, comumente si dice che: "in vino veritas" (un detto che sembrerebbe risalire, nonostante la
lingua in cui è espresso, all'800), cioè che nello stato di alterazione alcoolica cadono le
"maschere" e l'essere umano si mostra per ciò che realmente è.
Per quel che riguarda le droghe, è noto che i grandi capolavori del Rock (fra l'altro da me
amatissimi...) sono stati composti ed eseguiti spesso sotto l'effetto dell'LSD, una potente
droga che si dice amplificasse la percezione e la sensibilità.
Tutto questo per, come dire, far "rientrare" nel discorso la domanda che ponevo qualche intervento
addietro: ""ma l'etica e/o la morale hanno il loro fondamento nell'istintualità, diciamo, "animale"?"
(domanda alla quale la mia risposta era un deciso "no" ("perchè un fondamento istintuale è tutt'al
più rilevabile in gruppi "parentali", dicevo).
Ora, che rapporto lega o potrebbe legare questa "fisicità" dell'agire morale/immorale ad
un loro presunto fondamento istintuale? Ci vedete, voi, una relazione?
saluti
No, Mauro, mi dispiace ma su questo terreno ho deciso irrevocabilmente di non seguirti più perché, per essere franco, sono convinto che non vedi (che lo voglia deliberatamente o no) la realtà dei fatti e continui a inseguire irreali chimere a dispetto di qualunque sforzo fatto affinché te ne renda conto.
Sono convinto (senza poterlo provare) che i capolavori del Rock, che amo anch' io tantissimo, siano stati realizzati (quelli che lo sono stati: non tutti!) non grazie alle droghe allucinogene ma casomai malgrado esse.
Qualsiasi sostanza che alteri in maggiore o minor misura le funzioni del sistema nervoso centrale (farmaci, tipo tranquillanti o eccitanti, ecc.), alcool (a dosi "pesanti"!) o "droghe edonistiche" meno "popolari" o più "sofisticate", caffeina (pure a dosi "non convenzionali"), ecc. a mio parere dovrebbe essere usata solo in casi "estremi" di patologie pericolose per se stessi e per gli altri in quanto spesso scarsamente "maneggevoli" (cioé caratterizzate da effetti collaterali indesiderati scarsamente prevedibili e talora scarsamente gestibili); e comunque solo su prescrizione di specialisti che ne conoscano bene la farmacologia e gli effetti clinici (tutti quelli umanamente prevedibili).
L' uso a "scopo edonistico" di mezzi artificiali agenti sulla mente come conseguenza di una loro azione sul cervello ("parallelamente" al quale la mente funziona senza identificarvisi) mi sembra denotare una condizione di infelicità (patologica?), dal momento che i piaceri "naturali" (e autenticamente reali, non solo apparenti: non le illusioni o allucinazioni piacevoli) dovrebbero -salvo eventi decisamente sfortunati; ma non infrequenti, purtroppo- essere più che sufficienti per sentirsi appagati nella vita, secondo un "sano epicureismo".
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Febbraio 2019, 19:14:46 PM
A Sgiombo, Viator e Lou
Vi ringrazio dei preziosi chiarimenti su aspetti che perlopiù io ignoro.
Il cenno di Viator agli psicofarmaci mi ha però suscitato un'altra domanda (che tra l'altro ricollego
al concetto di "medicalizzazione"): cos'è la "normalità"?
Una volta ci si "stordiva" con l'alcool o con le droghe, che avevano presumibilmente lo stesso
effetto "fisico" degli psicofarmaci (ogni correzione in merito è la benvenuta); ma questa era in
tutto e per tutto una "alterazione" di uno stato preesistente, che definiremmo dunque "normale".
Ora, comumente si dice che: "in vino veritas" (un detto che sembrerebbe risalire, nonostante la
lingua in cui è espresso, all'800), cioè che nello stato di alterazione alcoolica cadono le
"maschere" e l'essere umano si mostra per ciò che realmente è.
Per quel che riguarda le droghe, è noto che i grandi capolavori del Rock (fra l'altro da me
amatissimi...) sono stati composti ed eseguiti spesso sotto l'effetto dell'LSD, una potente
droga che si dice amplificasse la percezione e la sensibilità.
Tutto questo per, come dire, far "rientrare" nel discorso la domanda che ponevo qualche intervento
addietro: ""ma l'etica e/o la morale hanno il loro fondamento nell'istintualità, diciamo, "animale"?"
(domanda alla quale la mia risposta era un deciso "no" ("perchè un fondamento istintuale è tutt'al
più rilevabile in gruppi "parentali", dicevo).
Ora, che rapporto lega o potrebbe legare questa "fisicità" dell'agire morale/immorale ad
un loro presunto fondamento istintuale? Ci vedete, voi, una relazione?
saluti
Non so se ho capito bene, ma, mi pare quasi che tu stia paventando l'idea che "l'istintualità", in fin dei conti, possa essere "indotta".
Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2019, 20:08:38 PM
No, Mauro, mi dispiace ma su questo terreno ho deciso irrevocabilmente di non seguirti più perché, per essere franco, sono convinto che non vedi (che lo voglia deliberatamente o no) la realtà dei fatti e continui a inseguire irreali chimere a dispetto di qualunque sforzo fatto affinché te ne renda conto.
Ciao Sgiombo
Francamente non capisco in cosa mai potrebbe consistere questa "realtà dei fatti" che io non vedo...
Ti riferisci forse all'innatezza della morale? E come mai potrebbe essere "innata" una condotta
rivolta al "bene" (questo il significato che io dò al termine "morale")?
Se anche l'uomo fosse un mero "caso"; una specie animale fra le tante (cosa che io temo fortemente
sia), mica potremmo parlare di una morale innata (forse ha una morale innata il mio gatto?)...
Da un certo punto di vista sei tu che insegui irreali chimere, attribuendo all'essere umano
"virtù" che le altre specie animali non possiedono...
saluti
Citazione di: Lou il 22 Febbraio 2019, 18:21:25 PM
Non so se ho capito bene, ma, mi pare quasi che tu stia paventando l'idea che "l'istintualità", in fin dei conti, possa essere "indotta".
Ciao Lou
Mah guarda, la mia tesi di fondo è che l'essere umano, se anche fosse una specie tra le tante (come
io ahimè temo), sarebbe una ben particolare specie...
Ora, come anche dico sopra in risposta all'amico Sgiombo, io ritengo che l'etica e/o la morale non
possano avere un fondamento nell'istintualità animale; e questo semplicemente perchè gli animali non
hanno un'etica e/o una morale, ma soltanto un istinto alla sopravvivenza e alla riproduzione.
Nei gruppi umani uniti da vincoli "parentali" (più arcaicamente di sangue ma anche, più modernamente,
di cultura) c'è senz'altro un fondamento istintuale, "animalesco" potremmo dire, dell'etica. Ma
da qui a teorizzare, come ha fatto l'essere umano, un'etica valida per tutti ed assolutamente ne passa,
perchè questo non può in alcun modo essere un mero "frutto materiale" dell'istintualità.
In altre parole (parola kantiane...), questo può solo e soltanto rappresentare un frutto del "dover
essere" (e il "dover essere" non è l'"essere" della "physis"), cioè un prodotto essenzialmente culturale.
Del resto non mi sembra si sia in grado di mostrare alcun fondamento "fisico" della morale (che era
la mia domanda di qualche intervento fa), se non che il comportamento morale, come quello immorale,
attivano certe dinamiche neurofisiologiche (diceva Sgiombo rispondendomi: "Ogni processo cosciente ha
un corrispettivo processo neurofisiologico e viceversa. Quindi se decido di fare X, allora nel mio
cervello accade una certa sequenza di eventi "a", se decido di fare Y un' altra sequenza di altri eventi
fisiologici "b", ecc").
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Febbraio 2019, 19:11:50 PM
Ciao Sgiombo
Francamente non capisco in cosa mai potrebbe consistere questa "realtà dei fatti" che io non vedo...
Ti riferisci forse all'innatezza della morale? E come mai potrebbe essere "innata" una condotta
rivolta al "bene" (questo il significato che io dò al termine "morale")?
Se anche l'uomo fosse un mero "caso"; una specie animale fra le tante (cosa che io temo fortemente
sia), mica potremmo parlare di una morale innata (forse ha una morale innata il mio gatto?)...
Da un certo punto di vista sei tu che insegui irreali chimere, attribuendo all'essere umano
"virtù" che le altre specie animali non possiedono...
saluti
Vedi le mie numerosissime precedenti risposte
Citazione di: sgiombo il 22 Febbraio 2019, 19:52:02 PM
Vedi le mie numerosissime precedenti risposte
Mah guarda, qui siamo davanti ad un caso abnorme di cecità (la mia o la tua)...
E' chiaro che non serve a nulla ripetere le medesime considerazioni, per cui (sempre che ti interessi)
io ripartirei dal primissimo passo.
La "morale" è da me intesa come la condotta rivolta al "bene" (senza specificare cos'è il "bene"). La
morale presuppone cioè una "azione", che può essere sia intesa come un vero e proprio agire che come
un "agire pensato", cioè un giudizio o una scelta.
Condividi questo significato?
saluti
No, non sono disposto a perdere altro tempo ripetendo sempre le stesse cose in risposta sempre alle stesse affermazioni.
Non é che una tesi diviene tanto più vera quanto più viene ripetuta sempre invariabilmente con i medesimi argomenti.
I frequentatori del forum hanno già materiale abbondante (e spessissimo piattamente ripetitivo) su cui riflettere a questo proposito.
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Febbraio 2019, 20:03:13 PM
La "morale" è da me intesa come la condotta rivolta al "bene" (senza specificare cos'è il "bene").
Se non specifichi cos'è il "bene" è come buttarsi in mare senza saper nuotare. Su wp vi è una buona definizione di etica e morale, laddove il "bene" è ricondotto ai mores od ethos di una comunità. Quindi un "bene" storicamente determinato su cui l'esercizio ermeneutico ci può aiutare ad individuare i denominatore comuni sui quali possiamo rischiare di dedurre delle costanti antropologiche, ovviamente limitate all'etologia umana.