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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: bobmax il 04 Luglio 2024, 06:44:40 AM

Titolo: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 04 Luglio 2024, 06:44:40 AM
L'ontologia consiste nell'illusione di studiare l'essere attraverso categorie.
Mentre le categorie si riferiscono sempre all'esistere, mai all'essere.

L'ontologia è perciò in realtà sempre e soltanto una sistemazione della interpretazione di ciò che esiste. Mai di ciò che è.
L'ontologia è analisi dell'esistente che procede, in quanto analisi, tramite distinzioni.

Per comprendere occorre infatti separare per poi relazionare.
La separazione è indispensabile per dare un senso alla esistenza.
Perché solo sulla base della separazione è possibile poi valutare le eventuali relazioni.

Ma se questo approccio, fondamentale per il pensiero razionale, viene poi inteso come ontologia, ossia studio dell'essere, ecco che siamo perduti lungo il sentiero della notte.

Ben altra è la strada della ricerca dell'Essere.
Che non consiste nell'analisi, nella separazione, cioè nell'avanzare nell'esistente. Si tratta invece di fare un passo indietro e ascoltare.
È l'apertura che è richiesta.
Non il possesso, ma l'accettazione.

Perciò non l'ontologia, ma la periecontologia (Jaspers), che è apertura all'Essere
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 08 Luglio 2024, 14:35:04 PM
La debolezza della ontologia è proprio in ciò che la costituisce: le categorie.
Categorie, che invece di essere intese come mere modalità interpretative dell'esistente, sono considerate "verità" certe dalla stessa ontologia.

E poiché poi inevitabilmente queste verità finiscono con il traballare, quando si giunge al limite del comprensibile, ecco che diventa naturale supporre ulteriori piani ontologici!
Cioè ontologie supplementari che spieghino, risolvano in qualche modo, l'empasse.

Cosa non ci si inventa pur di non affrontare il Nulla...
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 13 Luglio 2024, 09:55:14 AM
L'ontologia esprime la dimenticanza dell'Essere.
Ne è la dimostrazione più esplicita.
L'uomo vi si perde, seguendo imperterrito il sentiero della notte.
Insegue le sue stesse creazioni, in cui crede ciecamente. E queste stesse creazioni sono causa della sua rovina: nichilismo.

Qui e là vi è ancora qualcuno immune a questa auto allucinazione?
Quanti saranno?
Chissà...
Intanto qui lo "stile" si va facendo vieppiù grossolano, se non addirittura in certi casi becero.

Avrà mai un senso criticare l'ontologia in questo ambiente?
O anche solo fare un tentativo di riflessione filosofica?

Magari sì, almeno per quelli che raramente compaiono o anche solo leggono senza mai partecipare.
Speriamo in loro.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: niko il 13 Luglio 2024, 15:03:35 PM
Citazione di: bobmax il 13 Luglio 2024, 09:55:14 AML'ontologia esprime la dimenticanza dell'Essere.
Ne è la dimostrazione più esplicita.
L'uomo vi si perde, seguendo imperterrito il sentiero della notte.
Insegue le sue stesse creazioni, in cui crede ciecamente. E queste stesse creazioni sono causa della sua rovina: nichilismo.

Qui e là vi è ancora qualcuno immune a questa auto allucinazione?
Quanti saranno?
Chissà...
Intanto qui lo "stile" si va facendo vieppiù grossolano, se non addirittura in certi casi becero.

Avrà mai un senso criticare l'ontologia in questo ambiente?
O anche solo fare un tentativo di riflessione filosofica?

Magari sì, almeno per quelli che raramente compaiono o anche solo leggono senza mai partecipare.
Speriamo in loro.


Abbiamo dunque capito che quelli che compaiono spesso invece, ti stanno tutti molto simpatici  :D
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 14 Luglio 2024, 17:30:06 PM
Citazione di: bobmax il 04 Luglio 2024, 06:44:40 AML'ontologia consiste nell'illusione di studiare l'essere attraverso categorie.
Mentre le categorie si riferiscono sempre all'esistere, mai all'essere.
L'ontologia è perciò in realtà sempre e soltanto una sistemazione della interpretazione di ciò che esiste. Mai di ciò che è.
L'ontologia è analisi dell'esistente che procede, in quanto analisi, tramite distinzioni.
Per comprendere occorre infatti separare per poi relazionare.
La separazione è indispensabile per dare un senso alla esistenza.
Perché solo sulla base della separazione è possibile poi valutare le eventuali relazioni.
Ma se questo approccio, fondamentale per il pensiero razionale, viene poi inteso come ontologia, ossia studio dell'essere, ecco che siamo perduti lungo il sentiero della notte.
Ben altra è la strada della ricerca dell'Essere.
Che non consiste nell'analisi, nella separazione, cioè nell'avanzare nell'esistente. Si tratta invece di fare un passo indietro e ascoltare.
È l'apertura che è richiesta.
Non il possesso, ma l'accettazione.
Perciò non l'ontologia, ma la periecontologia (Jaspers), che è apertura all'Essere
L'Essere, così come accennato da te, sembra un Dio sconosciuto che non può essere mai raggiunto, definito, ma solo contemplato.
Nell'ontologia l'essenza, la forma, di una cosa singola, trascende la sua esistenza.
La metafisica non mi sembra ossessionata dalla classificazione della realtà. È la scienza, nella sua versione più ingenua, che mira a catalogare le cose del mondo e che è convinta che tutto il reale sia ciò che appare (per cui non so se Heidegger, che parte da questa idea, quella della nozione di Essere ridotto a pura presenza, e quindi alla questione della dimenticanza dell'Essere etc., non pensava forse a una generica metafisica degenerata prodotta dal positivismo, piuttosto che alla metafisica classica).
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 14 Luglio 2024, 17:53:30 PM
Citazione di: Koba II il 14 Luglio 2024, 17:30:06 PMÈ la scienza, nella sua versione più ingenua, che mira a catalogare le cose del mondo e che è convinta che tutto il reale sia ciò che appare
Più che altro siamo noi ad esserne convinti, per cui questo è stato anche il punto di partenza della scienza, se è vero che la scienza siamo noi.
Questa convinzione credo che sia basata sull'immediatezza dell'apparenza, cioè sull'evidenza, che però la scienza ha fatto venir meno ponendosi nel tempo sempre più come mediatrice.
Da ciò la verità, che faceva rima con l'evidenza, ha iniziato a perdere qualcosa nella nostra considerazione.
Io sono però convinto che le apparenze possano salvarsi, se non le mettiamo in contrapposizione con la scienza, ma in alternativa ad essa, o viceversa, se vogliamo riconoscergli la precedenza storica.
Cercare di tenere in vita l'essere, per quanto facendolo arretrare di un passo, è un modo come un altro per cercare di salvare le apparenze, che però non si pongono in alternativa, come percorso parallelo alla scienza.

In sostanza si è considerata la scienza come promessa di vera verità, in alternativa all'illusione delle apparenze.
In pratica una azione rivoluzionaria veritativa che però è fallita, e adesso ci troviamo in piena reazione, uguale e contraria.
Nessuna nuova verità ha preso il posto delle evidenze, perchè ad esse la verità è strettamente legata.



Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 14 Luglio 2024, 18:02:48 PM
A me sembra invece che la scienza moderna cerchi le leggi generale, andando quindi al di là dell'apparenza. Mentre un certo collezionismo pseudo-scientifico, che parte dall'idea della natura come risolta, chiara, quando così non lo è mai per i veri scienziati, è tentata a farsi ontologia definitiva del creato.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 14 Luglio 2024, 18:44:05 PM
Citazione di: Koba II il 14 Luglio 2024, 17:30:06 PML'Essere, così come accennato da te, sembra un Dio sconosciuto che non può essere mai raggiunto, definito, ma solo contemplato.
Nell'ontologia l'essenza, la forma, di una cosa singola, trascende la sua esistenza.
La metafisica non mi sembra ossessionata dalla classificazione della realtà. È la scienza, nella sua versione più ingenua, che mira a catalogare le cose del mondo e che è convinta che tutto il reale sia ciò che appare (per cui non so se Heidegger, che parte da questa idea, quella della nozione di Essere ridotto a pura presenza, e quindi alla questione della dimenticanza dell'Essere etc., non pensava forse a una generica metafisica degenerata prodotta dal positivismo, piuttosto che alla metafisica classica).

Ma la contemplazione appartiene all'esistenza. Cioè richiede che vi sia separazione.
Perciò l'Essere non direi che è un Dio che si può contemplare... Piuttosto lo si può essere.

La metafisica secondo me non può che avere come indagine il Nulla.
Cioè il Nulla che traspare dietro ogni possibile conoscenza.
La metafisica è lo sviluppo della consapevolezza della Trascendenza, che si annuncia ai limiti del nostro sapere.

È la crisi del conosciuto ciò a cui aspira la metafisica.

L'errore consiste nello scambiare ciò che è soltanto limite, con qualcosa di invece realmente esistente.
Per esempio l'infinito che diventa cosa concreta, da poter attualizzare elaborandolo a piacimento, come fa Cantor.
Mentre l'infinito non c'è, è solo limite.

L'ontologia, nel momento in cui diventa sistematica dell'esistente, perde la metafisica senza neppure rendersene conto.
È perdendo la metafisica non è più neppure scienza, ma, come ben dici, pseudoscienza.

Difatti un autentico scienziato ha necessariamente ben presenti le "verità" metafisiche che reggono la propria scienza.
E, appunto, si guarda bene dal trattarle come cose conosciute, assodate, possedute.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 14 Luglio 2024, 18:52:01 PM
Citazione di: Koba II il 14 Luglio 2024, 18:02:48 PMA me sembra invece che la scienza moderna cerchi le leggi generale, andando quindi al di là dell'apparenza.
Fino a un certo punto siamo stati guidati utilmente dalle apparenze, quindi un certo merito gli va riconosciuto, e inoltre non abbiamo bisogno di abbandonarle, ma possiamo usarle con la nuova consapevolezza che su esse la scienza ci ha dato.
Di sicuro non diremo più ''non ci credo finché non lo vedo'' per quanto qualcuno ancora lo dica.
Cioè non legheremo più la verità all'evidenza, non sapendo però più a cosa altro legarla.
La scienza non va al di la delle apparenze, ma si pone in alternativa ad esse, svolgendo ognuna a suo modo lo stesso ruolo.
Ciò che in un modo è verità, nell'altro è falsificabilità cioè dubbio sistematico.
Non siamo andati oltre le apparenze, ma oltre la verità.
Ci è parso di poter andare oltre le apparenze, trovandoci però con apparenze di diversa specie, quelle evocate dalle teorie scientifiche, fantasmi coi quali dobbiamo imparare a convivere.
Ora sappiamo in che modo nascono le apparenze, perchè attraverso il metodo scientifico siamo noi ad evocarle, ma resteranno fantasmi che più non si incarneranno in evidenze.
Basta togliere all'apparenza il suo connotato negativo, e il gioco è fatto.
L'apparenza è il prodotto della nostra interazione con la realtà, interazione che si è evoluta, essendoci noi evoluti, nel metodo scientifico.
In questa evoluzione c'è una continuità, che può noi raccontiamo come una sequenza di discontinuità, come rivoluzioni che sembrano nascere dal nulla.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 24 Agosto 2024, 21:13:48 PM
Citazione di: bobmax il 04 Luglio 2024, 06:44:40 AML'ontologia consiste nell'illusione di studiare l'essere attraverso categorie.
Mentre le categorie si riferiscono sempre all'esistere, mai all'essere.

L'ontologia è perciò in realtà sempre e soltanto una sistemazione della interpretazione di ciò che esiste. Mai di ciò che è.
L'ontologia è analisi dell'esistente che procede, in quanto analisi, tramite distinzioni.

Per comprendere occorre infatti separare per poi relazionare.
La separazione è indispensabile per dare un senso alla esistenza.
Perché solo sulla base della separazione è possibile poi valutare le eventuali relazioni.

Ma se questo approccio, fondamentale per il pensiero razionale, viene poi inteso come ontologia, ossia studio dell'essere, ecco che siamo perduti lungo il sentiero della notte.

Ben altra è la strada della ricerca dell'Essere.
Che non consiste nell'analisi, nella separazione, cioè nell'avanzare nell'esistente. Si tratta invece di fare un passo indietro e ascoltare.
È l'apertura che è richiesta.
Non il possesso, ma l'accettazione.

Perciò non l'ontologia, ma la periecontologia (Jaspers), che è apertura all'Essere
Quando vedo, odo "onto..." ne comprendo quel tanto che non riesco di fatto ad usare quel "onto...". È probabile che in questo forum non l'abbia mai pronunciato. Mi chiedo a volte comunque se l'essere delle cose "esista", nel senso che sarebbe solo ineffabile, non misurabile, oppure non esista proprio, sia cioè un'illusione bella e buona. Io propendo per la prima, molto incertamente però
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 24 Agosto 2024, 21:36:37 PM
La complessità del reale è pari soltanto alla nostra ignoranza. Abbiamo inventato l'Essere per illuderci di averla compresa, racchiudendola nel Tutto che l'Essere è. Con le sue controfigure storicamente determinate in successione: Dio, Natura, Universo, ...

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

Abbiamo semplicemente racchiuso la realtà in "nomina nuda" in ossequio al feticcio del logos, che biblicamente assegna all'uomo (maschile patriarcale) il compito di dare un nome alle cose.

Smaltita la sbornia non resta che ricondurre il logos al laboratorio degli attrezzi utili per rendere condivisibile il mondo e i concetti, sapendo che si tratta di lanciare la nostra ignoranza oltre l'ostacolo, con estrema umiltà.

Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 24 Agosto 2024, 21:55:25 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2024, 21:36:37 PMSmaltita la sbornia non resta che ricondurre il logos al laboratorio degli attrezzi utili per rendere condivisibile il mondo e i concetti, sapendo che si tratta di lanciare la nostra ignoranza oltre l'ostacolo, con estrema umiltà.
Giusto, io però mi chiedo se sia proprio parlare dell' ignoranza di un essere vivente il quale siccome sopravvive, dimostra con ciò di saperne abbastanza.
E' pur vero che noi perseguiamo anche un sapere come  fine a se stesso, ma di fatto è un modo di possedere già una soluzione a un problema che potrebbe presentarsi, ripetendo in tal modo culturalmente lo schema dell'evoluzione biologica, delle cui mutazioni pseudo-casuali nessuna ha un preciso fine.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 25 Agosto 2024, 07:34:40 AM
Citazione di: daniele22 il 24 Agosto 2024, 21:13:48 PMQuando vedo, odo "onto..." ne comprendo quel tanto che non riesco di fatto ad usare quel "onto...". È probabile che in questo forum non l'abbia mai pronunciato. Mi chiedo a volte comunque se l'essere delle cose "esista", nel senso che sarebbe solo ineffabile, non misurabile, oppure non esista proprio, sia cioè un'illusione bella e buona. Io propendo per la prima, molto incertamente però

Esistere significa stare. E si sta sempre in un luogo.
Il luogo non è nulla. Perché a sua volta esiste, cioè sta.
Ma dove sta il luogo?

In un altro luogo che lo avvolge.
Che vi sia un altro luogo, che contiene quello in cui siamo, lo si dà per scontato.
Ogni cosa è in un luogo, e il luogo è a sua volta qualcosa che è in un suo proprio luogo.

Però se consideriamo tutto quello che c'è, in che luogo sta?
Il Tutto può avere un luogo dove stare?

Non può stare in alcun luogo.
Perché non si sta nel nulla.
Ma se non sta, il Tutto non esiste.

L'essere non è ineffabile, non misurabile, sebbene esistente.
L'essere proprio non esiste.
L'Essere è.

L'autentica, unica libertà è tutta nell'Essere che non esiste.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 25 Agosto 2024, 08:55:13 AM
Citazione di: bobmax il 25 Agosto 2024, 07:34:40 AMEsistere significa stare. E si sta sempre in un luogo.
Il luogo non è nulla. Perché a sua volta esiste, cioè sta.
Ma dove sta il luogo?

In un altro luogo che lo avvolge.
Che vi sia un altro luogo, che contiene quello in cui siamo, lo si dà per scontato.
Ogni cosa è in un luogo, e il luogo è a sua volta qualcosa che è in un suo proprio luogo.

Però se consideriamo tutto quello che c'è, in che luogo sta?
Il Tutto può avere un luogo dove stare?

Non può stare in alcun luogo.
Perché non si sta nel nulla.
Ma se non sta, il Tutto non esiste.

L'essere non è ineffabile, non misurabile, sebbene esistente.
L'essere proprio non esiste.
L'Essere è.

L'autentica, unica libertà è tutta nell'Essere che non esiste.
Potrei ribattere, deformando però la semantica, dicendo che esistere possa pure significare "agire in un luogo", ma non è tanto questo a risolvere ill motivo della mia incertezza. Quello che mi disturba è il concetto di "cosa in sé", che sia cioè questo concetto a fuorviare potenzialmente il nostro pensare. Cioè, la "cosa in sé ", a mio parere, non potrebbe essere assimilata all'essenza della cosa; quindi io risolvo senz'altro che la "cosa in sé' non esista, ma non risolvo il problema dell'essenza, proprio per il motivo di cui sopra, cioè che "esistere" possa essere visto come "agire in un luogo"
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 25 Agosto 2024, 09:04:55 AM
Citazione di: iano il 24 Agosto 2024, 21:55:25 PMGiusto, io però mi chiedo se sia proprio parlare dell' ignoranza di un essere vivente il quale siccome sopravvive, dimostra con ciò di saperne abbastanza.

L'evoluzione è un'abile giocatrice di dadi, dopo averli gettatti per centinaia di milioni di anni solari. Senz'altro più  abile del sedicente homo sapiens.

CitazioneE' pur vero che noi perseguiamo anche un sapere come  fine a se stesso, ma di fatto è un modo di possedere già una soluzione a un problema che potrebbe presentarsi, ripetendo in tal modo culturalmente lo schema dell'evoluzione biologica, delle cui mutazioni pseudo-casuali nessuna ha un preciso fine.

Bisogna imparare a navigare. Qualcosa abbiamo imparato, anche metodologicamente. Ma siamo mediamente ancora terribilmente ignoranti, e covidemia e politica ne sono dimostrazione.

(La nichilistica seduzione dell'ineffabile agisce ancora pesantemente sulla psiche umana, producendo gregge e padrone, terreno e celeste. Lezione di Nietzsche sempre attuale: cercasi Ulisse disperatamente.)
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 25 Agosto 2024, 10:24:37 AM
Citazione di: daniele22 il 25 Agosto 2024, 08:55:13 AMPotrei ribattere, deformando però la semantica, dicendo che esistere possa pure significare "agire in un luogo", ma non è tanto questo a risolvere ill motivo della mia incertezza. Quello che mi disturba è il concetto di "cosa in sé", che sia cioè questo concetto a fuorviare potenzialmente il nostro pensare. Cioè, la "cosa in sé ", a mio parere, non potrebbe essere assimilata all'essenza della cosa; quindi io risolvo senz'altro che la "cosa in sé' non esista, ma non risolvo il problema dell'essenza, proprio per il motivo di cui sopra, cioè che "esistere" possa essere visto come "agire in un luogo"


Secondo me l'incertezza è doverosa. Proprio per quel "luogo" dove si agisce, che non può mai essere certo.

Però in cosa consisterebbe la certezza che manca?
Quale certezza sarebbe necessaria?
È forse una certezza logica?

Ma non è questo un assurdo?
Stiamo infatti parlando di ciò che sta a monte di ogni possibile logica.
È l'Essere!

E allora? Come essere certi?
Cos'è questa certezza, che prescinde da qualsiasi ragionamento razionale?

Perché qui non è più nemmeno questione di fede, bensì di certezza.
Infatti "chi crede non è ancora figlio di Dio"

La certezza può essere solo etica!
E l'etica nasce solo da te stesso, è te stesso.
Infatti tu sei Essere, che altro mai saresti...



Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 25 Agosto 2024, 11:48:29 AM
Citazione di: bobmax il 25 Agosto 2024, 10:24:37 AMSecondo me l'incertezza è doverosa. Proprio per quel "luogo" dove si agisce, che non può mai essere certo.

Però in cosa consisterebbe la certezza che manca?
Quale certezza sarebbe necessaria?
È forse una certezza logica?

Ma non è questo un assurdo?
Stiamo infatti parlando di ciò che sta a monte di ogni possibile logica.
È l'Essere!

E allora? Come essere certi?
Cos'è questa certezza, che prescinde da qualsiasi ragionamento razionale?

Perché qui non è più nemmeno questione di fede, bensì di certezza.
Infatti "chi crede non è ancora figlio di Dio"

La certezza può essere solo etica!
E l'etica nasce solo da te stesso, è te stesso.
Infatti tu sei Essere, che altro mai saresti...




Nel manifestarsi del non ancora manifesto ad essere incerto ai nostri occhi non sarebbe il luogo, bensì la causa per cui si manifesti un'azione in un luogo spazio temporale certo. Il problema per me tocca pure la fisica.
La certezza necessaria non riguarderebbe pertanto la cosa in sé, concetto fuorviante in quanto si pretende di trattarlo al di fuori del moto, cioè come se la cosa fosse un'immagine avulsa dal divenire e predicandola infine attraverso quello che non è, ma il perché l'eventuale essenza (possiamo anche richiamarla cosa in sé volendo) nel suo divenire sia ineffabile, e sarebbe questa certezza, sempre a mio incerto giudizio, di natura logico razionale
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 12:59:20 PM
La critica della ragion pura è terminata con l ammissione di inconoscibilità del noumeno (o cosa in sè) ma al contempo, con l'esaltazione della conoscibilità del fenomeno. Il fenomeno sarà il limite della conoscenza illuminista e i fenomeni gli umoni li conoscono allo stesso modo perchè hanno le stesse intuizioni pure di spazio e tempo , hanno le stesse categorie a priori perciò conoscono il fenomeno, il fenomeno è l'oggetto della conoscenza , l'esperienza è il limite della conoscenza. Del noumeno non possiamo fare esperienza , quindi non può essere oggetto della conoscenza di conseguenza la maetefisica, l idea di Dio, di anima , di mondo ma anche dell oggetto prima dell esperienza.

Qual'è il problema di queste affermazioni?
Se posso conoscere solo ciò che mi è dato sperimentare in quanto fenomeno allora come posso dire che il noumeno esiste dato che non lo posso sperimentare?
questa è la prima contraddizione mossa dai filosofi idealisti da Fitche in poi.
Ma Fitche non si ferma a questa contraddizione e dice che se il noumeno esiste, allora dobbiamo renderlo conoscibile.
E lo fa partendo dall Io che sarà tutt altra cosa dell "io penso" kantiano , l io per kant è il soggetto conoscitivo e individuale che si rapporta al mondo e lo conosce in maniera universale , (la luna appare a tutti allo stesso modo) ma resta il fatto che sia una conoscenza individuale e noi non creiamo la natura ma la conosciamo per come ci appare , non come essa è in sè . Fitche dice no,  per poter conoscere l oggetto prima dell esperienza bisogna infinitizzare l io . Compie così questa rivoluzione passando dall io soggettivo di Knox a soggetto io infinito universale. Per Fichte esiste una soggettività infinita universale che è conoscitiva ma è anche agente creativo. Questa deduzione trascendentale e assoluta di fitche postula che la realtà deriva dall io , così come l'uomo, l albero , il cane. l'io di cui parla Fitche non è Dio, è un soggetto universale dove tutto è nell io , tutto è creato dall io e nell io. L'io genera se stesso e la realtà conoscitiva, al di fuori dell io non vi è nulla. L'essere è dunque un Io infinito creatore di se stesso e della realtà. Allora ecco che idealisticamente hai risolto il problema del noumeno, se esiste un io infinito che crererà se stesso ,che crererà l uomo e che crererà la natura allora l'io soggettivo limitato e finito nel tempo e nello spazio incontrerà si l albero( l'io è il soggetto e l albero è l oggetto) ma siamo entrambi parte dell io infinito. Quando mi rapporto con l albero non c'è dunque uno scarto fra un soggetto e un fenomeno  ma è un rapporto diretto , quello che appare è parte dell io infinito , quello che conosce è come conosce in quanto parte dell io infinito e siamo entrambi parte di un io soggetto infinito.

Vorrei anche dire che non sono d'accordo con l idealismo di Fitche , il noumeno è inconoscibile all uomo ,punto.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 13:31:30 PM
Se vogliamo parlare di matafisica allora bisogna ammettere che il lavoro di Fitche è stato quello di eliminare la domanda di cosa sia il noumeno in quanto albero come fenomeno coincide con il noumeno così come il soggetto conoscitivo coincide come soggetto/oggetto e cosa in sè in quanto parte  (così come l'albero , il sole e le stelle ecc) dell io infinito che ha posto se stesso, ha posto l albero e a posto me , soggetto individuale conoscitivo  che guardo l albero. l albero come fenome e l 'albero come noumeno, in quanto prodotti dall io infinito universale coincidono, fenomeno e cosa in sè coincidono . Knox che guarda l albero come soggetto conoscitivo coincide come soggetto/oggetto conosciuto e conoscente . Non c'è piu distinzione fra fenomeno e noumeno perchè sono/siamo entrambi parte dell io infinito. Dunque la corrispondenza fra soggetti/oggetti è biunivoca, è una corrispondenza assoluta .





Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 25 Agosto 2024, 14:57:21 PM
Ogni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione.
Non importa che poi si sostenga l'inconoscibilità (o al contrario la conoscibilità) della cosa in sé: entrambe le prospettive sono già in partenza inficiate da questo errore logico-ontologico.
Per esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento?
Di fatto stiamo costruendo un'immagine mentale che consiste nella cosa isolata in una specie di spazio vuoto.
Ma se la stiamo immaginando vuol dire, di nuovo, che la stiamo osservando (anche se solo interiormente), che è il nostro Io il soggetto che osserva, anche se fingiamo l'assenza di ogni osservatore.
Parlare di mappa e territorio si vede bene che in fondo non ha alcun senso.
L'unica questione vera è la domanda sull'adeguatezza dei nostri discorsi non rispetto alla cosa così com'è nel suo puro isolamento, ma rispetto a come la cosa ci appare, a come essa si manifesta.
Il problema è l'adeguatezza dei segni linguistici scelti nel dar conto dell'osservazione che stiamo conducendo sulla cosa, osservazione che non può essere di tipo panottico, ma sempre relativa ad una specifica prospettiva.
Se ci chiediamo poi se vi sia qualcosa che possa rappresentare una base, un fondamento, qualcosa che sappia indicare i confini di ciascuno dei due poli, l'osservato e l'osservatore, dobbiamo ammettere che non c'è alcun fondamento.
L'Io sprofonda nell'inconscio, poi nel corpo, poi nei corpi e nei pensieri di coloro che ci hanno preceduti. L'Io che ogni giorno di nuovo emerge e si struttura e reagisce a ciò che lo circonda, di modo che ogni cambiamento ambientale comporta un mutamento che può essere irrilevante così come radicale.
E poi c'è la cosa che "risponde" in base a come viene interrogata. Ma ogni risposta, ogni sua determinazione, nega o "sovrascrive" tutte le altre.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 25 Agosto 2024, 15:23:32 PM
La falsificazione del noumeno o cosa in sé (che secondo dottrina kantiana sono su piani diversi) è avvenuta per via epistemica, piuttosto che metafisica (messasi presto sul carro del vincitore), dopo che la ricerca ha mostrato l'inconsistenza di ogni teoria essenzialista (fin oltre il livello atomico) applicata agli enti strutturati che formano l'universo.

Concetto quest'ultimo che ha preso il posto del Tutto divinizzato che ha prodotto e continua a produrre religioni e mitologie. Sostituzione anche eticamente benefica, perche ha ricondotto l'etica ai soggetti responsabili reali, e disinnescato l'irrazionalismo.



Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 20:06:50 PM
Citazione di: Koba II il 25 Agosto 2024, 14:57:21 PMOgni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione.
Non importa che poi si sostenga l'inconoscibilità (o al contrario la conoscibilità) della cosa in sé: entrambe le prospettive sono già in partenza inficiate da questo errore logico-ontologico.
possiamo riassumere il tutto dicendo che la conoscenza data all uomo è una conoscenza puramente empirica. Perfettamente in accordo con Hume.

E questo chiude i conti con qualsiasi idea metafisica, di sostanza, di essenza e di verità assolute.

Citazione di: Koba II il 25 Agosto 2024, 14:57:21 PMPer esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento?
non come sarà in realtà , ma  che cos'è al di la delle caratteristiche accidentali che la caratterizzano. Se siamo di fronte ad una rosa possiamo elencarne le caratteristiche; è rossa, è profumata, ha le spiene, è piantata in giardino, ha i petali vellutati ecc. ma se togli tutte queste caratteristiche accidentali rimane quella che Aristotele chiama la prima categoria "la rosa è" questa è la sostanza Aristotelica . Oltre i modi con  cui la rosa si manifesta ai nostri sensi ( profumo, spine, sta in giardino, rossa) esiste per Aristotele un substratum, egli si chiede che cos'è la rosa al di là che ha le spine che è rossa e che è piantata nel giardino. Al di la di queste caratteristiche la rosa è . Quella è la sostanza , quello che è intrinsecamente , quello che la descriverebbe in modo sostanziale il suo essere rosa, la sua interiorità (se si può dire così nei riguardi di una rosa)  che fa da unficatore sulle quali poggiano le caratteristiche sensibili. Ma potendo conoscere solo ciò di cui facciamo esperienza quella iteriorità essenziale , intima , sostanziale della rosa noi non la possiamo conoscere ,non possiamo accedervi per farne esperienza. Hume nega la sua stessa esistenza , kant la postula come la X ignota, la filosofia del limite . Il noumeno è quel limite. Hume invece sostiene che se anche ci fosse a noi non è dato saperlo.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 25 Agosto 2024, 20:40:50 PM
L'ontologia ha fatto passi enormi non solo dai tempi di Aristotele, ma pure di Hume e Kant, portandosi via le "essenze" di tutti i generi, ricondotte al dominio classificatorio, pur rispettabile, della logica. C'erano arrivati anche i nominalisti della scolastica medioevale: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus". Oggi potremmo retrocedere l'essenza della rosa al suo dna, che però non è nulla più che un aggregato di atomi, diverso dai semi e diverso dal fiore che uno si aspetta di acquistare dal fiorista o raccogliere in giardino.

Pertanto tornano utili i dizionari che adeguano le loro voci allo stato in itinere dell'epistème. Almeno a livello logico (logos), qualcosa di essenziale, comunicabile e condivisibile, l'abbiamo ottenuto. Con tanta metafisica in meno. E parecchia semantica in più.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 21:02:52 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2024, 20:40:50 PMC'erano arrivati anche i nominalisti della scolastica medioevale: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus".
"cosa vi è in un nome? quello che chiamiamo rosa non cesserebbe d'avere il suo profumo dolce se la chiamassimo con altro nome"

William Shakespeare in Romeo e Giulietta.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 25 Agosto 2024, 22:47:34 PM
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 21:02:52 PM"cosa vi è in un nome? quello che chiamiamo rosa non cesserebbe d'avere il suo profumo dolce se la chiamassimo con altro nome"

William Shakespeare in Romeo e Giulietta.

E se il gradimento per il nome influenzasse la sensazione?
Fare un esperimento in questo specifico caso forse non è facile, ma in casi assimilabili, si è dimostrato che i presunti dettagli  inessenziali, possono contribuire alle nostre sensazioni , fino a poterne divenire la causa principale.
Assumere la stessa sostanza diversamente nominata, come placebo o medicina,  può lasciarti indifferente o darti una sensazione di benessere.
In questi casi è evidente che non è la sostanza ad agire direttamente, ma indirettamente attraverso il nostro pregiudizio veicolato dal nome.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 22:56:24 PM
Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 22:47:34 PME se il gradimento per il nome influenzasse la sensazione?
Fare un esperimento in questo specifico caso forse non è facile, ma in casi assimilabili, si è dimostrato che i dettagli presumibilmente inessenziali, invece contribuisco alle nostre sensazioni , fino a divenire in alcuni casi essenziali.
La stessa sostanza ad esempio può lasciarti indifferente o darti una sensazione di benessere, asseconda che la chiami placebo o medicina.
bhe, questo si dovrebbe chiamare adequatio del nomen alla res. Adeguare il nome che diamo alla reatà fenomenica.

Torniamo all esempio della rosa che è di semplice comprensione. Il nome "rosa" si adegua in maniera armonica alla res della rosa , ovvero così come ci appare e il profumo che emana. Quindi se vorremmo potremmo scrivere un teorema che dice ; quando il nome risulta in armonia alla res , il nome persiste. Quando invece c'è conflitto fra nome e res , il nome tende ad essere modificato nel tempo.

Abbiamo esempi di questo tipo? sicuramente qualcuno sì , come ad esempio " vecchio testamento" modificato in "antico testamento" e poi modificato ancora in primo testamento. Perchè lo hanno modificato, perchè il nome non risultava in armonia , c'era un conflitto fra il nome che davamo e la realtà che percepivamo. Quando invece il nome non è in conflitto ma che anzi da significato e senso all esperienza ecco che si solidifica nel tempo.
Dottore è un nome che non verrà mai cambiato perchè soddisfa chi lo pronuncia e chi lo riceve. Anche se a ben guardare c'è chi vorrebbe essere chiamata "dottora".
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 25 Agosto 2024, 23:00:59 PM
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 22:56:24 PMAbbiamo esempi di questo tipo? sicuramente qualcuno sì , come ad esempio " vecchio testamento" modificato in "antico testamento" e poi modificato ancora in primo testamento. Perchè lo hanno modificato, perchè il nome non risultava in armonia , c'era un conflitto fra il nome davamo e la realtà che percepivamo
Però hai cambiato l'aggettivo, non il nome. :)
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 23:04:22 PM
Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 23:00:59 PMPerò hai cambiato l'aggettivo, non il nome.
il nome in questo caso lo identifico in "vecchio testamento" nome che diamo ad una sezione della bibbia
                                                      "antico testamento"   nome... ""         ""
                                                        "primo testamento" nome.... ""         ""

Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 25 Agosto 2024, 23:17:54 PM
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 23:04:22 PMil nome in questo caso lo identifico in "vecchio testamento" nome che diamo ad una sezione della bibbia
                                                      "antico testamento"  nome... ""        ""
                                                        "primo testamento" nome.... ""        ""


Si, capisco, ma in fondo potrebbe anche considerarsi solo il cambio del termine in generale, al di là dell'appartenenza grammaticale.
In analogia ad esperimenti simili fatti, posso immaginare il seguente.
Chiediamo a soggetti di dare un giudizio sul gradimento di diversi vini rossi, bendandoli per che la diversa gradazione del colore non possa influenzare il il loro giudizio.
Poniamo che essi, essendo amanti del rosso, ma non del bianco, dichiarino di averli graditi tutti in generale, non trovando però sostanziali differenze di gusto.
Quindi gli togliamo la benda e li informiamo che hanno bevuto solo vini bianchi.
Esperimenti simili sono stati fatti, e secondo alcuni di essi addirittura il sapere cosa la gente beveva davvero, non perciò il sapore  corrispondeva  a ciò che sapevano di bere.
Infatti se bevevano acqua colorata con un color arancio insapore, pur sapendolo, non riuscivano ad eliminare la sensazione di un pur leggero retrogusto di aranciata. :)

La fenomenologia della rosa non può separarsi dal pregiudizio chi la odora, o anche solo la nomina.
Un bel fiore può apparirti meno bello una volta conosciutone il nome.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 23:45:07 PM
Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 23:17:54 PMPoniamo che essi, essendo amanti del rosso, ma non del bianco, dichiarino di averli graditi tutti in generale, non trovando però sostanziali differenze di gusto.
Quindi gli togliamo la benda e li informiamo che hanno bevuto solo vini bianchi.
Esperimenti simili sono stati fatti, e secondo alcuni di essi addirittura il sapere cosa la gente beveva davvero, non perciò il sapore  corrispondeva  a ciò che sapevano di bere.
Infatti se bevevano acqua colorata con un color arancio insapore, pur sapendolo, non riuscivano ad eliminare la sensazione di un pur leggero retrogusto di aranciata.
l esperimento è interessante ma sta di fatto che continuiamo a chiamare le cose con il loro nome "vino rosso" , "vino bianco"... "aranciata". Il tuo esperimento dimostra come i nomi influenzano l intersoggettività esperienzale con la res , forse per l abitudine. Siamo abituati a far coincidere il nome con l esperienza che ne abbiamo o che ne abbiamo avuto, così se mi dicono che sto bevendo un vino rosso , la mia percezione gustativa è influenzata dalle esperienze che da tale nome si sono poi rilevate attraverso il gusto e le sensazioni piacevoli che ne ho percepito nel passato.
Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 23:17:54 PMLa fenomenologia della rosa non può separarsi da chi la odora.
entrambi siamo messi in gioco, l'oggetto rosa si mette in gioco in quanto oggetto e io mi metto in gioco come soggetto conoscitivo , la rosa si presta , potremmo dire, ad essere conosciuta, e io mi presto , con i miei modi della percezione a conoscerla.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 26 Agosto 2024, 03:29:07 AM
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 23:45:07 PMl'oggetto rosa si mette in gioco in quanto oggetto e io mi metto in gioco come soggetto conoscitivo , la rosa si presta , potremmo dire, ad essere conosciuta, e io mi presto , con i miei modi della percezione a conoscerla.
Possiamo dirlo finché al variare dei modi La rosa ''sostanzialmente resta'', ma cosa succede quando sperimento un nuovo modo col quale la sua supposta sostanza sembra sparire, osservandola ad esempio con un microscopio col quale vedo un agglomerato di atomi?
Come faccio allora a risalire da quel grumo di atomi alla rosa, se già non sapessi che ne sono parte?
sappiamo di essere in grado di farlo se da da poche stelle siamo risaliti all'intero universo, o quasi, perchè quest'opera in effetti non è conclusa.
Così siamo risaliti alla galassia allo stesso modo che risaliremmo alla rosa, ma senza  chiederci quale sia l'essenza della galassia, ma chiedendoci semmai quale sia l'essenza dell'universo che viene così a delinearsi progressivamente.
Alla fine dovremo ammettere che chiamiamo convenzionalmente galassia un gruppo ravvicinato di stelle, e rosa un gruppo ravvicinato di atomi.
Nessuna novità. l'atomismo non lo abbiamo inventato noi.
Quello che gli atomisti non potevano sapere è che guardando dentro l'atomo non c'è in esso un essenza che ci impedisce di vedere oltre, ponendosi come barriera insuperabile alla conoscenza.
Di fatto abbiamo scambiato quindi i relativi limiti del nostro modo di osservare, con un limite che ci poneva ciò che osservavamo.
Dunque in che nuovo senso  possiamo dire ancora oggettiva la nostra conoscenza, se l'oggetto di questa conoscenza si mostra così sfuggente?
In questo nuovo senso io direi che oggettivamente la realtà a parità di sollecitazione risponde sempre allo stesso modo.
Il modo di osservare prende cioè il sopravvento su ciò di cui la realtà sembra essere fatta se osservata in un certo modo.
inoltre seppure vi fosse un ''oggetto'' da osservare, il principio di indeterminazione ci dice che ciò che vediamo è in effetti l'oggetto così come la nostra osservazione lo ha modificato.
Se c'è un limite quindi questo non è relativo all'osservato, né all'osservatore, ma all'osservazione, relativo cioè al rapporto fra osservatore e osservato.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 26 Agosto 2024, 04:11:32 AM
Possiamo dunque dire che non la rosa, ma la realtà si presti ad essere osservata, e che la rosa sia invece il prodotto di un relativo modo di osservarla?
Che la rosa sia cioè  il prodotto relativo a un modo, che non è univoco, essendo diversi i possibili modi, di osservare la realtà?

Quello che sappiamo ''oggettivamente''  è che se ripetiamo l'osservazione, avendola tarata ad esempio sulla ''modalità rosa'', ancora un altra rosa apparirà.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 26 Agosto 2024, 08:45:51 AM
Citazione di: Koba II il 25 Agosto 2024, 14:57:21 PMOgni atto conoscitivo ...
Ciao, citandoti:
"Ogni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione."
Sono d'accordo nella prima parte. Per la seconda parte, porre il problema di come sia la realtà in sé sarebbe a mio giudizio un errore fintanto che si consideri un approccio al problema come tu giustamente lo delinei così come vado a citarti:
"Per esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento? Di fatto stiamo costruendo un'immagine mentale che consiste nella cosa isolata in una specie di spazio vuoto."
Però, se io cerco di inquadrare la realtà o la cosa (essere umano in particolare) nella dimensione del divenire, ¿cosa posso dedurne?. Posso dedurne che nel manifestarsi del fenomeno, l'agente causativo che sta agendo nell'individuo, incerto ai nostri occhi, sarebbe incerto soprattutto perché la realtà, la cosa, mettono in scena un esperimento, inconsapevole a noi almeno fino a un certo punto, ma comunque esperimento la cui peculiarità sarebbe la sua irripetibilità ... poi ci sono i professionisti che generano degli artefatti, ma questo è un altro discorso ... Per dirla con Eraclito insomma, non ci si bagna due volte nello stesso fiume, ma la seconda volta probabilmente, non certamente, troverò ancora un fiume. E così mi chiedo: come reagirà il mio esserci (o essere?) nel secondo fiume? Posso risolvere la domanda rinunciando all'immobiltà dell'essere, subordinandolo al divenire e rendendolo così "permanente", ma con la possibilità di fluttuare istante dopo istante.
Citandoti ancora:
"Ma se la stiamo immaginando (la realtà) vuol dire, di nuovo, che la stiamo osservando (anche se solo interiormente), che è il nostro Io il soggetto che osserva, anche se fingiamo l'assenza di ogni osservatore.
Parlare di mappa e territorio si vede bene che in fondo non ha alcun senso."
Beh, nel mio caso sfondi una porta aperta visto che a mio vedere c'è coincidenza tra realtà e conoscenza, entrambe soggettive. E infatti, citandoti nuovamente:
"Se ci chiediamo poi se vi sia qualcosa che possa rappresentare una base, un fondamento, qualcosa che sappia indicare i confini di ciascuno dei due poli, l'osservato e l'osservatore, dobbiamo ammettere che non c'è alcun fondamento."
In realtà un fondamento c'è, ma lo vedo solo io e sarebbe il nostro solipsismo, inconsapevole!!. Proseguendo:
"L'Io sprofonda nell'inconscio, poi nel corpo, poi nei corpi e nei pensieri di coloro che ci hanno preceduti."
Giusto, infatti, fatta salva la conoscenza che deriva da esperienza personale il resto sarebbe tutto eterodiretto evidenziando una naturale prospettiva di escalation della conoscenza che si compie mettendo in competizione tra loro i partecipanti ed evidenziando chi possa saperne di più: corsa molto pretenziosa, che sicuramente ha prodotto molta tecnologia, ma assai poco in termini di filosofia. Nota: Abitudine all'escalation, altro tratto costante nelle vicende umane.
Quello che ti contesterei alla fine dei giochi è questo tuo dire:
"L'unica questione vera è la domanda sull'adeguatezza dei nostri discorsi non rispetto alla cosa così com'è nel suo puro isolamento, ma rispetto a come la cosa ci appare, a come essa si manifesta.
Il problema è l'adeguatezza dei segni linguistici scelti nel dar conto dell'osservazione che stiamo conducendo sulla cosa, osservazione che non può essere di tipo panottico, ma sempre relativa ad una specifica prospettiva."
C'è qualcosa che forse mi sfugge, ma se il problema fosse un uso improprio dei segni linguistici non posso certo credere che il problema sia questo. Può succedere nelle fasi iniziali di un dialogo, ma nel suo svolgimento ci si dovrebbe dar conto degli equivoci che emergono. E Cacciari? Non penso che il professore che pretende di mettere in discussione i paradigmi della filosofia moderna e contemporanea possa avere dialoghi con suoi pari in cui vi sia un uso improprio dei segni linguistici. Il problema sarebbe invece a mio vedere quello che ho già citato, ma che vedo solo io: il nostro solipsismo inconsapevole e pretenzioso oltre misura
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 26 Agosto 2024, 13:23:40 PM
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 20:06:50 PMpossiamo riassumere il tutto dicendo che la conoscenza data all uomo è una conoscenza puramente empirica. Perfettamente in accordo con Hume.

No, perché appunto l'osservatore non è puro, non è un Io trascendentale, e i dati grezzi che raccoglie sono già impregnati di teoria.

Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 20:06:50 PMnon come sarà in realtà , ma  che cos'è al di la delle caratteristiche accidentali che la caratterizzano. Se siamo di fronte ad una rosa possiamo elencarne le caratteristiche; è rossa, è profumata, ha le spiene, è piantata in giardino, ha i petali vellutati ecc. ma se togli tutte queste caratteristiche accidentali rimane quella che Aristotele chiama la prima categoria "la rosa è" questa è la sostanza Aristotelica . Oltre i modi con  cui la rosa si manifesta ai nostri sensi ( profumo, spine, sta in giardino, rossa) esiste per Aristotele un substratum, egli si chiede che cos'è la rosa al di là che ha le spine che è rossa e che è piantata nel giardino. Al di la di queste caratteristiche la rosa è . Quella è la sostanza , quello che è intrinsecamente , quello che la descriverebbe in modo sostanziale il suo essere rosa, la sua interiorità (se si può dire così nei riguardi di una rosa)  che fa da unficatore sulle quali poggiano le caratteristiche sensibili. Ma potendo conoscere solo ciò di cui facciamo esperienza quella iteriorità essenziale , intima , sostanziale della rosa noi non la possiamo conoscere ,non possiamo accedervi per farne esperienza. Hume nega la sua stessa esistenza , kant la postula come la X ignota, la filosofia del limite . Il noumeno è quel limite. Hume invece sostiene che se anche ci fosse a noi non è dato saperlo.

In Aristotele il problema dell'ousia, dell'essenza, è innanzitutto il problema lasciato aperto da Platone sul rapporto tra mondo intelligibile e mondo sensibile. La rosa è tale perché partecipa (in modo imperfetto) all'idea/essenza della rosa. Ma come avviene questa partecipazione?
La soluzione che fornisce Aristotele ha a che fare con la dottrina delle cause e con i concetti di atto e potenza (1).
In fondo il vero problema non è tanto la possibilità di riconoscere che la rosa sia una rosa, fuori dal tempo.
Il problema sta nel capire come l'identità della rosa si mantenga nonostante i mutamenti a cui è sottoposta, come tutte le cose di questa terra.
La sostanza è pura potenzialità che va assumendo una specifica forma, che realizza appieno la sua forma, perché i processi della natura seguono dei fini.
Fa parte della natura della rosa crescere, sbocciare, svilupparsi in modo da diventare quello che deve e vuole essere: una rosa.
Non è la forma ad essere misteriosa, piuttosto il suo perché.
Se però togliamo ogni teleologia, come ha fatto la filosofia moderna nella gigantesca polemica contro la tradizione aristotelico-tomistica (a favore della scienza moderna), il perché rimane senza risposta, il perché delle regolarità, della permanenza dell'identità nei mutamenti progressivi: il perché diventa per forza di cose qualcosa che non potremo mai conoscere.

Ma c'è un perché?


(1) "Realmente gli esperimenti hanno mostrato la completa mutabilità della materia. Tutte le particelle elementari possono, ad energie sufficientemente alte, essere trasmutate in altre particelle, o possono semplicemente venir create dall'energia cinetica o risolversi in questa, ad esempio in radiazione. Ed è questa la prova finale dell'unità della materia. Tutte le particelle elementari sono fatte della stessa sostanza, che può esser chiamata energia o materia universale; sono soltanto forme diverse in cui la materia può manifestarsi.
Se confrontiamo questa situazione con i concetti aristotelici di materia e forma, possiamo dire che la materia di Aristotele, che è pura "potentia", dovrebbe essere paragonata al nostro concetto di energia, che passa all'attualità per mezzo della forma quando viene creata la particella elementare".
["Fisica e filosofia", Werner Heisenberg, ed. Feltrinelli, p. 160]
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 26 Agosto 2024, 13:27:34 PM
Citazione di: daniele22 il 26 Agosto 2024, 08:45:51 AMCiao, citandoti:
"Ogni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione."
Sono d'accordo nella prima parte. Per la seconda parte, porre il problema di come sia la realtà in sé sarebbe a mio giudizio un errore fintanto che si consideri un approccio al problema come tu giustamente lo delinei così come vado a citarti:
"Per esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento? Di fatto stiamo costruendo un'immagine mentale che consiste nella cosa isolata in una specie di spazio vuoto."
Però, se io cerco di inquadrare la realtà o la cosa (essere umano in particolare) nella dimensione del divenire, ¿cosa posso dedurne?. Posso dedurne che nel manifestarsi del fenomeno, l'agente causativo che sta agendo nell'individuo, incerto ai nostri occhi, sarebbe incerto soprattutto perché la realtà, la cosa, mettono in scena un esperimento, inconsapevole a noi almeno fino a un certo punto, ma comunque esperimento la cui peculiarità sarebbe la sua irripetibilità ... poi ci sono i professionisti che generano degli artefatti, ma questo è un altro discorso ... Per dirla con Eraclito insomma, non ci si bagna due volte nello stesso fiume, ma la seconda volta probabilmente, non certamente, troverò ancora un fiume. E così mi chiedo: come reagirà il mio esserci (o essere?) nel secondo fiume? Posso risolvere la domanda rinunciando all'immobiltà dell'essere, subordinandolo al divenire e rendendolo così "permanente", ma con la possibilità di fluttuare istante dopo istante.
Citandoti ancora:
"Ma se la stiamo immaginando (la realtà) vuol dire, di nuovo, che la stiamo osservando (anche se solo interiormente), che è il nostro Io il soggetto che osserva, anche se fingiamo l'assenza di ogni osservatore.
Parlare di mappa e territorio si vede bene che in fondo non ha alcun senso."
Beh, nel mio caso sfondi una porta aperta visto che a mio vedere c'è coincidenza tra realtà e conoscenza, entrambe soggettive. E infatti, citandoti nuovamente:
"Se ci chiediamo poi se vi sia qualcosa che possa rappresentare una base, un fondamento, qualcosa che sappia indicare i confini di ciascuno dei due poli, l'osservato e l'osservatore, dobbiamo ammettere che non c'è alcun fondamento."
In realtà un fondamento c'è, ma lo vedo solo io e sarebbe il nostro solipsismo, inconsapevole!!. Proseguendo:
"L'Io sprofonda nell'inconscio, poi nel corpo, poi nei corpi e nei pensieri di coloro che ci hanno preceduti."
Giusto, infatti, fatta salva la conoscenza che deriva da esperienza personale il resto sarebbe tutto eterodiretto evidenziando una naturale prospettiva di escalation della conoscenza che si compie mettendo in competizione tra loro i partecipanti ed evidenziando chi possa saperne di più: corsa molto pretenziosa, che sicuramente ha prodotto molta tecnologia, ma assai poco in termini di filosofia. Nota: Abitudine all'escalation, altro tratto costante nelle vicende umane.
Quello che ti contesterei alla fine dei giochi è questo tuo dire:
"L'unica questione vera è la domanda sull'adeguatezza dei nostri discorsi non rispetto alla cosa così com'è nel suo puro isolamento, ma rispetto a come la cosa ci appare, a come essa si manifesta.
Il problema è l'adeguatezza dei segni linguistici scelti nel dar conto dell'osservazione che stiamo conducendo sulla cosa, osservazione che non può essere di tipo panottico, ma sempre relativa ad una specifica prospettiva."
C'è qualcosa che forse mi sfugge, ma se il problema fosse un uso improprio dei segni linguistici non posso certo credere che il problema sia questo. Può succedere nelle fasi iniziali di un dialogo, ma nel suo svolgimento ci si dovrebbe dar conto degli equivoci che emergono. E Cacciari? Non penso che il professore che pretende di mettere in discussione i paradigmi della filosofia moderna e contemporanea possa avere dialoghi con suoi pari in cui vi sia un uso improprio dei segni linguistici. Il problema sarebbe invece a mio vedere quello che ho già citato, ma che vedo solo io: il nostro solipsismo inconsapevole e pretenzioso oltre misura
Sono d'accordo con te sia sul solipsismo che sullo spirito competitivo di coloro che si dedicano al sapere (basta pensare a personaggi come Eraclito e Parmenide, ma anche in Socrate si nota un certo disprezzo dell'altro, occultato dal sarcasmo – su ciò Nietzsche ci aveva visto giusto, come sempre).
Per quanto riguarda invece la questione del problema dell'adeguatezza del sistema di segni, si può interpretare l'uso della matematica o della logica formale proprio come tentativo (riuscito) di eliminare l'elemento simbolico e quindi ambiguo, infinitamente interpretabile, del linguaggio naturale.
Precisione straordinaria di un sistema destinato però ad essere incompleto (teoremi di Gödel), cioè a inglobare alcuni principi di cui il sistema stesso non può dar conto (anche qui: una specie di assenza di fondamento).
Quindi siamo destinati o al fraintendimento infinito del dialogo o ad una precisione semantica che però si basa sulla fede in alcuni principi di base. Dunque in ogni caso non c'è modo di costringere l'altro a convincersi dei nostri risultati.
In effetti la situazione è un po' paradossale, e se non sbaglio ne parla anche Cacciari nella conferenza postata da green demetr, riferendosi al mito della caverna: perché colui che ha ricevuto il dono di "vedere" torna indietro per liberare i prigionieri?
Altruismo o smisurata presunzione?
Cacciari, che conosco solo per la lettura e rilettura di "Metafisica concreta" (un grande libro di filosofia, veramente notevole), evidentemente crede nell'elemento politico della filosofia, e non si risparmia.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:15:30 PM
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 13:23:40 PMIn fondo il vero problema non è tanto la possibilità di riconoscere che la rosa sia una rosa, fuori dal tempo.
ma non è mai stato questo il vero problema che si stava affrontando in questa sede.
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 13:23:40 PMsono soltanto forme diverse in cui la materia può manifestarsi.
mi sembra un punto essenziale , quel "soltanto" non sminuisce affatto la potenza di questa assunzione ma anzi ci deve far riflettere su come può l'universo, una volta venuto alla luce, generare in seguito cose completamente nuove seguendo le leggi della natura , in altre parole; qual'è la sorgente della potenza creativa dell universo?
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:26:21 PM
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 13:23:40 PM
Citazionepossiamo riassumere il tutto dicendo che la conoscenza data all uomo è una conoscenza puramente empirica. Perfettamente in accordo con Hume.

No, perché appunto l'osservatore non è puro, non è un Io trascendentale, e i dati grezzi che raccoglie sono già impregnati di teoria.
ma conoscenza empirica non significa conoscenza perfetta della realtà, significa un metodo che parte dai fenomeni così come si presentano a noi. Che poi tale osservazione si sviluppa in analisi successive , appunto con le teorie , non infincia il fatto che l'uomo, così come siffatto, non può andare oltre al fenomeno di come gli appare . In questo senso l'uomo può avere solo una conoscenza empirica del mondo.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 26 Agosto 2024, 17:38:33 PM
Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:26:21 PMma conoscenza empirica non significa conoscenza perfetta della realtà, significa un metodo che parte dai fenomeni così come si presentano a noi. Che poi tale osservazione si sviluppa in analisi successive , appunto con le teorie , non infincia il fatto che l'uomo, così come siffatto, non può andare oltre al fenomeno di come gli appare . In questo senso l'uomo può avere solo una conoscenza empirica del mondo.
Nessuno mette in discussione la bontà del principio dell'empirismo secondo cui, nella conoscenza, si deve partire dall'esperienza.
Il problema che però viene posto fin dall'inizio da Platone è il seguente: come faccio a riconoscere la rosa se non ho conoscenza di una rosa, o di un fiore o del mondo vegetale in generale?
Avrò di essa singole sensazioni che non sarò in grado di articolare insieme, quindi non potrò mai fare esperienza della rosa. Resterà per me qualcosa di inattingibile.
Cioè la conoscenza empirica presuppone necessariamente una conoscenza anteriore (non per forza innata, come voleva Platone).
Nella conoscenza scientifica la cosa è ancora più evidente: certo, si parte dall'osservazione del fenomeno, ma già scegliendo la strumentazione attraverso cui condurre le misurazioni "incanalo" l'esperienza secondo una specifica direzione. Così vedrò o non vedrò ciò che mi aspetto di trovare.

Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:15:30 PMma non è mai stato questo il vero problema che si stava affrontando in questa sede.
[...]
mi sembra un punto essenziale , quel "soltanto" non sminuisce affatto la potenza di questa assunzione ma anzi ci deve far riflettere su come può l'universo, una volta venuto alla luce, generare in seguito cose completamente nuove seguendo le leggi della natura , in altre parole; qual'è la sorgente della potenza creativa dell universo?
Ma non sei stato tu a porre la questione aristotelica dell'ousia?
Comunque sia, seguendo Aristotele, scegliendo di trattare la questione della forma della cosa come effetto di una causa, concatenando le cose in rapporti causali, inevitabile è arrivare a porre la questione della Causa prima, dell'Inizio, dell'Origine.
Quella scienza che non ha abbandonato il paradigma deterministico è costretta anch'essa a interrogarsi sull'Inizio? Ponendosi quindi nel proprio compimento come vera metafisica?
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 18:24:03 PM
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 17:38:33 PMIl problema che però viene posto fin dall'inizio da Platone è il seguente: come faccio a riconoscere la rosa se non ho conoscenza di una rosa, o di un fiore o del mondo vegetale in generale?
Avrò di essa singole sensazioni che non sarò in grado di articolare insieme, quindi non potrò mai fare esperienza della rosa. Resterà per me qualcosa di inattingibile.
Appunto, possiamo quindi avere solo una conoscenza fenomenica della rosa , la possiamo toccare, vedere, sentire con l olfatto, descriverla per come ci appare, avere un idea di rosa nella mente ma non possiamo accedere alla sua essenza o interiorità (sempre ammesso che si possa usare tale termine nei confronti di una rosa). Per tale motivo la conoscenza è limitata all esperienza empirica.
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 17:38:33 PMCioè la conoscenza empirica presuppone necessariamente una conoscenza anteriore (non per forza innata, come voleva Platone).
questo non può essere vero, il bambino si scotterà molte volte prima di dedurne una legge organizzata, il fuoco brucia.
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 17:38:33 PMNella conoscenza scientifica la cosa è ancora più evidente: certo, si parte dall'osservazione del fenomeno, ma già scegliendo la strumentazione attraverso cui condurre le misurazioni "incanalo" l'esperienza secondo una specifica direzione. Così vedrò o non vedrò ciò che mi aspetto di trovare.
certo se guardiamo il mondo dal punto di vista matematico esso ci appare computabile , se lo guardiamo dal punto di vista newtoniano o meccanicistico esso ci apparirà deterministico , se lo guardiamo dal punto di vista di Einstein ci apparirà relativo, se lo guardiamo dal punto di vista della meccanica quantistica ci appare probabilistico, se lo guardiamo dal punto di vista olistico si scoprono sistemi dove il tutto non corrisponde affatto alla somma delle sue parti, che sono la stragran maggioranza dei sistemi naturali. Non dobbiamo stupirci, diceva kant, se mettendo degli occhiali con le lenti rosa il mondo ci apparirà roseo.  Noi stessi,con le nostre forme della percezione , siamo un paio di occhiali con i quali conosciamo il mondo. E la conoscenza non può altro che essere limitata all empirismo, ovvero all esperienza.
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 17:38:33 PMMa non sei stato tu a porre la questione aristotelica dell'ousia?
ho portato la questione della prima categoria Aristotelica che è la sostanza ma nessuno fin ora aveva posto la rosa fuori dal tempo. Non serve immaginarla fuori dal tempo per parlare di sostanza.
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 17:38:33 PMComunque sia, seguendo Aristotele, scegliendo di trattare la questione della forma della cosa come effetto di una causa, concatenando le cose in rapporti causali, inevitabile è arrivare a porre la questione della Causa prima, dell'Inizio, dell'Origine.
Quella scienza che non ha abbandonato il paradigma deterministico è costretta anch'essa a interrogarsi sull'Inizio? Ponendosi quindi nel proprio compimento come vera metafisica?
la mia risposta è NO. Non è l'inizio la questione fondamentale, questione che faccio risalire partendo da una premessa; Esistono evidentemente dei processi fisici che sono in grado di trasformare il vuoto ( o qualcosa ad esso di molto simile)  in stelle, pianeti, cristalli , nuvole e persone. Quindi la domanda non è come è iniziato l universo ma quale sia la sorgente di questa potenza creativa . I processi fisici conosciuti possono spiegare la inesauribile creatività della natura?
o vi sono altri processi organizzativi che plasmano la materia e l energia e la spingono verso stati più elevati di ordine e complessità? Solo di recente gli scienziati hanno iniziato a comprendere in che modo strutture complesse ed organizzate possono emergere da strutture amorfe e dal caos. Ricerche condotte in settori diversi quali la turbolenza dei fluidi, la crescita dei cristalli e le reti neurali rivelano la straordinaria porpensione posseduta dai sistemi fisici a generare spontaneamente nuovi stati ordinati. è chiaro che esistono dei processi autoadattanti in ogni branca della scienza. la questione fondamentale è un principio organizzatore non tanto come è inziato il big bang.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 27 Agosto 2024, 12:20:22 PM
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 13:27:34 PMSono d'accordo con te sia sul solipsismo che sullo spirito competitivo di coloro che si dedicano al sapere (basta pensare a personaggi come Eraclito e Parmenide, ma anche in Socrate si nota un certo disprezzo dell'altro, occultato dal sarcasmo – su ciò Nietzsche ci aveva visto giusto, come sempre).
Per quanto riguarda invece la questione del problema dell'adeguatezza del sistema di segni, si può interpretare l'uso della matematica o della logica formale proprio come tentativo (riuscito) di eliminare l'elemento simbolico e quindi ambiguo, infinitamente interpretabile, del linguaggio naturale.
Precisione straordinaria di un sistema destinato però ad essere incompleto (teoremi di Gödel), cioè a inglobare alcuni principi di cui il sistema stesso non può dar conto (anche qui: una specie di assenza di fondamento).
Quindi siamo destinati o al fraintendimento infinito del dialogo o ad una precisione semantica che però si basa sulla fede in alcuni principi di base. Dunque in ogni caso non c'è modo di costringere l'altro a convincersi dei nostri risultati.
In effetti la situazione è un po' paradossale, e se non sbaglio ne parla anche Cacciari nella conferenza postata da green demetr, riferendosi al mito della caverna: perché colui che ha ricevuto il dono di "vedere" torna indietro per liberare i prigionieri?
Altruismo o smisurata presunzione?
Cacciari, che conosco solo per la lettura e rilettura di "Metafisica concreta" (un grande libro di filosofia, veramente notevole), evidentemente crede nell'elemento politico della filosofia, e non si risparmia.

Anche!, al sapere, mi riferivo parlando di una generale attitudine umana alla logica dell'escalation che va dalle liti in ambito familiare, alle liti per strada, alle guerre tra mafie e guerre tra stati tanto per citarne qualcuna. Guerre o liti che con grande sforzo verrebbero in parte sedate in modi pacifici, soprattutto tra Stati, forse anche perché lì sarebbe più grande la distanza tra il vertice di Stato e l'individuo. E l'escalation pervade pure la produzione di tecnologie. ovviamente.
Detto ciò mi rendo conto che la matematica è una modalità del pensiero, ma dato che in filosofia la valuta corrente sarebbe ancora il verbo pretenderei dai risultati matematici almeno una traduzione, trasposizione, in forma verbale. Ti dirò tra l'altro che in passato fantasticai pure se potessero esserci delle analogie tra le operazioni fondamentali della matematica (+ - : x) compresi gli operatori come logaritmi etc e gli snodi in sequenza, ovvero i leganti che tengono in piedi i periodi (intendi analisi del periodo) di cui si costituisce un discorso.
Tralasciando, comunque possa essere e giusto per inquadrarti il mio pensiero, tutto è partito da una domanda che continuava a riaffiorare quando ero colpito da certe cose che vedevo, tanto per strada quanto nei media: perché la gente proclama di volere pace e giustizia e ottiene invece il contrario di ciò che vuole? Scommisi in fretta sul fatto che dovesse esserci qualcosa che non quadrasse nella nostra mente. Data la domanda va quindi quasi da sé che il destino della mia filosofia debba compiersi nella politica. Ma prima doveva comprendere. Doveva comprendere a fondo questa costante trasgressione dell'imperativo ipotetico di memoria kantiana. Una volta compreso, come riterrei di avere fatto, mi sono subito reso conto di quale fosse il nocciolo del problema. Ed è un problema che ha a che fare con la grande ignoranza, quella che comprende tutta l'umanità, eccezion fatta per qualche individuo che magari agisce per farla comprendere agli altri invece che sfruttarla solo per se stesso. Perché fintanto che non si riesca a comprendere l'infondatezza della separazione tra conoscente e conosciuto e realizzando di conseguenza la sinonimia tra conoscenza (consapevolezza) e realtà, nulla potrà accadere di buono, nessuno cambierà mai le proprie convinzioni più profonde. Questa separazione infatti, legittimata dalla struttura della nostra stessa lingua ingannatrice, pone il soggetto in una condizione per cui egli è del tutto legittimato ad affermare una superiorità della propria conoscenza sulla realtà rispetto ad altri, fatto che a volte può pure corrispondere al vero ... vien da dire purtroppo perché tale fatto altro non farebbe che rinforzare l'idea che vi sia una conoscenza superiore, laddove in realtà vi sarebbe solo una grande ignoranza collettiva da colmare. 
Penso infine che colui che torna a liberare i prigionieri, a meno che non gli passi per la testa che sia vano e quindi non lo faccia, lo faccia infine perché è sanamente egoista all'interno di un gruppo, come dire che comprende l'importanza dell'altruismo in subordine al proprio legittimo egoismo naturale, sempre ammesso che desideri veramente un po' più di pace e giustizia. Un inciso finale come se già non bastasse: il discorso egoismo/altruismo andrebbe anche valutato alla luce di eventuali differenze di intendere il reale che possano sussistere tra maschio e femmina, proprio perché è la femmina a gettare nel mondo la vita


Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 28 Agosto 2024, 11:12:19 AM
Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 18:24:03 PMAppunto, possiamo quindi avere solo una conoscenza fenomenica della rosa , la possiamo toccare, vedere, sentire con l olfatto, descriverla per come ci appare, avere un idea di rosa nella mente ma non possiamo accedere alla sua essenza o interiorità (sempre ammesso che si possa usare tale termine nei confronti di una rosa). Per tale motivo la conoscenza è limitata all esperienza empirica.


Non c'è un modo più semplice di dirlo...
Proviamo comunque con Heidegger: "Come possiamo, in linea di massima, anche solo cercare un albero se non abbiamo già da prima la chiara rappresentazione di quello che sia un albero in generale?" ("Introduzione alla metafisica", ed. Mursia, p.89).
Fin dall'inizio siamo immersi in una lingua, in una cultura. Senza di esse non sapremmo unire le singole sensazioni per costruire la percezione dell'albero che ci sta davanti.
"Anche se avessimo mille occhi, mille orecchie, mille mani, molti altri sensi ed organi, qualora la nostra essenza non risiedesse nella potenza del linguaggio, tutto l'essente rimarrebbe chiuso per noi: l'essente che noi siamo non meno di quello diverso da noi" ("Introduzione alla metafisica", p.92).

Ma il tema del topic non è l'origine dell'essenza della cosa, se puramente empirica o innata o derivante dal linguaggio e via dicendo secondo varie sfumatura, ma se l'ontologia sia la causa di un generale smarrimento del senso dell'essere.

Io, per ora, dico di no.
Innanzitutto l'ontologia non è necessariamente l'attività del catalogare gli essenti. Può essere questo, e sì, così facendo, perdendo l'attitudine a interrogare l'essente, volendolo solo "archiviare", sistemare, finisce per rinnegare la stessa natura della filosofia, che è l'interrogazione; e quindi, di necessità, anche la domanda sul senso dell'essere finisce per svanire.
Tuttavia se l'ontologia si concentra sulla problematicità dell'essente, sulla sua infondatezza originaria, sulla singolarità di ogni cosa che resiste agli assalti del collezionista peripatetico, allora non si può, al contrario, individuare in essa una strada che apra al senso dell'essere?
È poi così fondamentale la differenza tra essere ed essente? Più di quella tra i vari essenti o tra l'essente singolo e il suo concetto?
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 28 Agosto 2024, 16:59:22 PM
Se si prende in seria considerazione la possibilità che lo scopo della esistenza non sia che lo sviluppo dell'etica, cioè il diventare sempre più consapevoli del bene e del male, allora si può ben ipotizzare come non vi sia altra legge che questa: l'evoluzione etica.

Tutto il resto, in definitiva non ha una sua propria realtà, esiste solo perché funzionale all'Etica.
Ogni altra legge che governa l'universo non è che la trama, la struttura che permette lo sviluppo delle vicende di vita.
Cioè non vi sono leggi fisiche assolute a cui l'universo sottostà, perché tutto quello che c'è ha solo lo scopo di far avvenire la metamorfosi: dal non essere all'Essere.

Quindi non ha una realtà sua propria neppure la legge di causa-effetto. Cioè niente di ciò che avviene è causato da qualcos'altro.

E allora cosa è davvero reale?

L' Uno, cioè l'Essere, ovvero il Nulla.
Che è il Padre che genera il figlio gettandolo nel mondo, e il mondo è Dio.
Ma il figlio non è perduto nel mondo, sebbene a volte l'orrore lo attanagli.
Vi è l'Etica, che pian piano lo riporterà al Padre
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 17:52:01 PM
Citazione di: Koba II il 28 Agosto 2024, 11:12:19 AMTuttavia se l'ontologia si concentra sulla problematicità dell'essente, sulla sua infondatezza originaria, sulla singolarità di ogni cosa che resiste agli assalti del collezionista peripatetico, allora non si può, al contrario, individuare in essa una strada che apra al senso dell'essere?
È poi così fondamentale la differenza tra essere ed essente? Più di quella tra i vari essenti o tra l'essente singolo e il suo concetto?
premetto che non vedo in  tutto lo strologare che fa Martin Heidegger in essere e tempo una conclusione esaustiva sul senso dell esserci  (non a caso evidenzio la ci finale poichè la tua domanda posta il senso dell essere , Hidegger pone il senso dell esserci) . Parliamo di ontologia ma si può impostare un ontologia atea, agnostica o credente per portare il lettore verso tali posizioni piuttosto che un altra. Io non credo che il senso della vita si possa trovare tramite una ricerca ontologica basata sulla ragione e sulla logica, logica e ragione debitamente esercitata.  il senso dell 'esserci di Heidegger non è sufficente perchè non da alcuna risposta al significato della vita. Ma la ragione o l'ontologia, non riesce ad essere esaustiva nemmeno per quanto riguarda la conoscenza del mondo fisico, nemmeno riguardo all ente. Naturalmente la ragione fornisce dati, esattezze  tramite l'esperienza e le elaborazioni concettuali . Ma quando si tratta poi di pensare a queste esattezze, e di dare un significato complessivo a loro, Per giungere esattamente al significato complessivo della natura dell universo , dove solo all interno del quale può prendere ragione e consistenza la domanda sul senso dell esistenza. O il senso della mia vita posso forse porlo da me? il senso della mia vita mi è dato da qualcosa di molto più grande di me nel quale io sono iscritto!
Ebbene, quando si tratta di capire il significato ultimo della natura , ecco che le esattezze che la ragione consegna , vengono interpretate diversamente dagli stessi che la producono, dagli stessi scienziati. Dico questo non per cadere nell irrazionalismo o nella misteriosità o nel rifugio dell inesplicabile   ma per prendere consapevolezza che  il nostro rapporto col tutto non è racchiudibile, formalizzabile e catturabile dal pensiero umano , non si può dare quella prospettiva razionalista che dice; "ti dimostro il senso della vita" sintetizzandolo in un sistema.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 28 Agosto 2024, 19:13:57 PM
Citazione di: bobmax il 28 Agosto 2024, 16:59:22 PMSe si prende in seria considerazione la possibilità che lo scopo della esistenza non sia che lo sviluppo dell'etica, cioè il diventare sempre più consapevoli del bene e del male, allora si può ben ipotizzare come non vi sia altra legge che questa: l'evoluzione etica.
Tutto il resto, in definitiva non ha una sua propria realtà, esiste solo perché funzionale all'Etica.
Ogni altra legge che governa l'universo non è che la trama, la struttura che permette lo sviluppo delle vicende di vita.
Cioè non vi sono leggi fisiche assolute a cui l'universo sottostà, perché tutto quello che c'è ha solo lo scopo di far avvenire la metamorfosi: dal non essere all'Essere.
Quindi non ha una realtà sua propria neppure la legge di causa-effetto. Cioè niente di ciò che avviene è causato da qualcos'altro.
E allora cosa è davvero reale?
L' Uno, cioè l'Essere, ovvero il Nulla.
Che è il Padre che genera il figlio gettandolo nel mondo, e il mondo è Dio.
Ma il figlio non è perduto nel mondo, sebbene a volte l'orrore lo attanagli.
Vi è l'Etica, che pian piano lo riporterà al Padre.
A me sembra evidente che l'esistenza di per sé non ha alcuno scopo.
Dopodiché posso decidere che la cosa più importante sia l'etica, e quindi imporre a me stesso che il perseguimento del bene sia il fine della mia esistenza, ma si tratta appunto di una decisione soggettiva.
Così anche tutto il discorso seguente, cioè che la realtà va presa e interpretata solo in funzione del mio cammino verso il bene, realtà che di per sé non esiste, non ha fondamento, tutte queste conclusioni paradossali vengono dalla mia decisione iniziale.
Sono funzionali alla mia decisione iniziale, che potrebbe però anche essere solo una pazzia: pensare che il mondo sia appunto il teatro della mia missione verso il bene, che il mondo esista solo per questo.
Che questo possa essere solo un grande inganno, bisogna pur considerarlo...

In questo racconto non sembra esserci interesse per la comprensione del mondo. Quindi non c'è spazio per la conoscenza.
E intendo per conoscenza anche lo sforzo della filosofia di interpretare il mondo.
È una visione che si pone fuori dalla filosofia.
Sia chiaro, non metto in discussione la legittimità di un approccio del genere. Un approccio mistico-mitologico (che per qualche strana associazione involontaria, probabilmente del tutto arbitraria, mi ha riportato alla memoria "L'epopea di Gilgameš").
Metto in discussione la possibilità che un racconto del genere possa essere articolato in un vero discorso filosofico.
Quindi un eventuale adesione ad esso non potrebbe mai scaturire dalla forza delle argomentazioni, ma solo da un atto di fede basato, come in tutte le religioni, non dal vero, ma dal bene o dal bello.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 28 Agosto 2024, 19:16:37 PM
Citazione di: Koba II il 28 Agosto 2024, 11:12:19 AMMa il tema del topic non è l'origine dell'essenza della cosa, se puramente empirica o innata o derivante dal linguaggio e via dicendo secondo varie sfumatura, ma se l'ontologia sia la causa di un generale smarrimento del senso dell'essere.

Io, per ora, dico di no.
Innanzitutto l'ontologia non è necessariamente l'attività del catalogare gli essenti. Può essere questo, e sì, così facendo, perdendo l'attitudine a interrogare l'essente, volendolo solo "archiviare", sistemare, finisce per rinnegare la stessa natura della filosofia, che è l'interrogazione; e quindi, di necessità, anche la domanda sul senso dell'essere finisce per svanire.
Tuttavia se l'ontologia si concentra sulla problematicità dell'essente, sulla sua infondatezza originaria, sulla singolarità di ogni cosa che resiste agli assalti del collezionista peripatetico, allora non si può, al contrario, individuare in essa una strada che apra al senso dell'essere?
È poi così fondamentale la differenza tra essere ed essente? Più di quella tra i vari essenti o tra l'essente singolo e il suo concetto?

Io per ora, ma già da oltre un secolo, dico di sì, perché l'ontologia è transitata nell'episteme scientifica che dell'essere non sa cosa farsene, dopo la falsificazione della cosa in sé e del noumeno.

La verità ontologica non riesce a superare la barriera del fenomenico e oggi si può dire qualcosa di ontologicamente sensato solo rispettando quel confine razionale.

Credo che anche la "metafisica concreta" sia di questo avviso.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 28 Agosto 2024, 19:41:04 PM
Citazione di: Koba II il 28 Agosto 2024, 11:12:19 AMÈ poi così fondamentale la differenza tra essere ed essente? Più di quella tra i vari essenti o tra l'essente singolo e il suo concetto?
Se non è fondamentale, è significativa, in quanto tentativo di voler salvare l'essente dalla sua perdita di essenza, facendogli fare un passo indietro, la dove riacquisti la inattaccabilità critica perduta, rinominandolo essere.
In effetti poi io condivido questo schema, solo che dico realtà ciò che diversamente viene detto essere, facendo fare il passo indietro alla realtà, e lasciando in primo piano ciò che dico mondo, fatto di essenti come prodotti del nostro rapporto con la realtà, come  un modo di viverla indirettamente .
Un mondo che finché è rimasto unico è stato facile confondere con la realtà stessa, ma che non possiamo più continuare a confondere dal momento in cui la scienza ci ha presentato i suoi mondi alternativi, che però alcuni continuano ad ignorare in quanto mancanti di evidenza.
Dare importanza prioritaria alla evidenza che gli essenti sembrano possedere, significa di fatto bloccare il processo della conoscenza che in quella evidenza si è fin qui conformata evolutivamente, privilegiando la forma sul contenuto.
Non c'è un solo modo in cui il processo di conoscenza può presentarci i suoi risultati, e sopratutto il loro utilizzo non dipende strettamente dalla forma in cui si presentano, e uno dei tanti modi in cui si presentano è il mondo in cui viviamo con i suoi evidenti essenti, che dalla loro evidenza traggono l'appellativo di ciò che è in quanto tale, perchè essendo ciò evidente non lo si può negare, però alla fine siamo riusciti a negarlo, e quindi resta solo da trarne le conseguenze.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 28 Agosto 2024, 20:48:45 PM
Insomma se proprio di patologie non si tratta, succedono strane cose quando traslochiamo da un media all'altro che meriterebbero, stante ormai la lunga esperienza fatta dentro al nuovo media, di essere esaminate.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 21:08:26 PM
Citazione di: iano il 28 Agosto 2024, 20:48:45 PMInsomma se proprio di patologie non si tratta, succedono strane cose quando traslochiamo da un media all'altro che meriterebbero, stante ormai la lunga esperienza fatta dentro al nuovo media, di essere esaminate.
un media è il mondo che ci viene presentato dalla scienza di volta in volta provenienti da approcci diversi della fisica e altre branche della scienza ma anche dalla filosofia?
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 28 Agosto 2024, 21:24:06 PM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 21:08:26 PMun media è il mondo che ci viene presentato dalla scienza di volta in volta provenienti da approcci diversi della fisica e altre branche della scienza ma anche dalla filosofia?
Io credo che la coscienza non sia strettamente necessaria alla vita, e che la coscienza  dunque comporti un diverso modo di vivere, che è nostro più che di ogni altra specie animale.
Noi dunque di fatto ci osserviamo vivere e osserviamo al contempo le leggi naturali che governano il ''di fuori''.
e la postazione da cui osserviamo la fisica è posta dunque fuori di essa, al di là di essa, dove sta la nostra postazione metafisica. Senza la filosofia nessun mondo ci apparirebbe.
Il processo della conoscenza è una dinamica fra un dentro e fuori che si scambiano di posto in modo funzionale, e ciò che portiamo fuori diventa coscienza di un processo che si può rimodellare, tecnologia in breve, alla quale il dentro si adegua rimodellandosi a sua volta.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 21:30:14 PM
Citazione di: iano il 28 Agosto 2024, 21:24:06 PMNoi dunque di fatto ci osserviamo vivere e osserviamo al contempo le leggi naturali che governano il ''di fuori''.
le leggi della fisica governano anche noi , noi di fatto viviamo e facciamo quello che le leggi della fisica ci consentono di fare non c'è un "di fuori" separato , una natura separata e un osservatore che la vive, noi siamo la natura, siamo l'universo , questo non bisogna dimenticarlo, è per questo che quando si pensa da dove viene l'universo in realtà si sta pensando a noi e da dove veniamo per questo dico che se la domanda è il senso dell esistenza la ragione non basta.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 28 Agosto 2024, 21:37:54 PM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 21:30:14 PMle leggi della fisica governano anche noi
Si, ma solo se scambiamo la fisica con la realtà.
Le leggi della fisica si evolvono, ma le dinamiche della realtà non cambiano.
Infatti se cambiassero non riusciremmo a ricavarne alcuna legge fisica.
La contraddizione fra essere e divenire è un falso problema.
Gli essenti sono espressione delle costanze del divenire.
Le leggi della fisica non sono la realtà, ma profilano il mondo in cui viviamo, perchè noi non possiamo far altro che vedere la realtà per quello che la conosciamo, e in tali sembianze perciò ci appare, o la immaginiamo.

Siamo veramente separati dalla realtà?
Per dimostrarlo bisognerebbe trovare l'esatto confine, che però non esiste se non come astrazione geometrica.
Una è la realtà e una è la vita, ma non perciò prive delle loro dinamiche interne di cui noi siamo parte non ben definibile, come lo è il tutto.
C'è un mistero in tutto ciò, ma una volta accettatolo tutto il resto non è un impresa così impossibile da affrontare.


Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 21:57:05 PM
Citazione di: iano il 28 Agosto 2024, 21:37:54 PMC'è un mistero in tutto ciò,
hai toccato il punto per cui dico che non è la ragione che potrà rispondere. perchè la ragione, debitamente esercitata, per quanto riguarda questi temi, conduce al mistero. E se noi siamo in cerca di un senso o di un significato e se è vero che noi siamo un pezzo di universo allora è l'universo che cerca un senso o un significato.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 22:09:51 PM
dico senso o significato perchè la parola senso  ha una triplice accezione linguistica, senso come direzione; dove stiamo andando, che direzione sto seguendo?
senso come significato ; che cosa significa quello che dici?
e senso come sensibilità. Sentire gioia, innamoramento, estasi e poi le percezioni sensibili del corpo.
bene per quanto riguarda il senso della vita o dell esistenza , sono coinvolte tutte e tre le diverse accezioni.
la vita non è qualcosa che solo si percepisce empiricamente , ma è qualcosa che si sente. E se c'è una cosa più importante che capire  la vita è quella di sentire la vita.  Gesù diceva che il peccato è la paura della vita e di conseguenza morire ad essa. Si può essere morti anche da vivi. Nei confronti con il senso dell esistenza la ragione non è sufficente perchè non è l'unica coinvolta , c'è infatti la dimensione del sentimento e la dimensione della volontà. E se queste due dimensioni non vengono chiamate in causa ogni spiegazione del senso della vita , dell essere e dell esistenza stessa rimane monca.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 28 Agosto 2024, 22:23:25 PM
Citazione di: Koba II il 28 Agosto 2024, 19:13:57 PMA me sembra evidente che l'esistenza di per sé non ha alcuno scopo.
Dopodiché posso decidere che la cosa più importante sia l'etica, e quindi imporre a me stesso che il perseguimento del bene sia il fine della mia esistenza, ma si tratta appunto di una decisione soggettiva.
Così anche tutto il discorso seguente, cioè che la realtà va presa e interpretata solo in funzione del mio cammino verso il bene, realtà che di per sé non esiste, non ha fondamento, tutte queste conclusioni paradossali vengono dalla mia decisione iniziale.
Sono funzionali alla mia decisione iniziale, che potrebbe però anche essere solo una pazzia: pensare che il mondo sia appunto il teatro della mia missione verso il bene, che il mondo esista solo per questo.
Che questo possa essere solo un grande inganno, bisogna pur considerarlo...

In questo racconto non sembra esserci interesse per la comprensione del mondo. Quindi non c'è spazio per la conoscenza.
E intendo per conoscenza anche lo sforzo della filosofia di interpretare il mondo.
È una visione che si pone fuori dalla filosofia.
Sia chiaro, non metto in discussione la legittimità di un approccio del genere. Un approccio mistico-mitologico (che per qualche strana associazione involontaria, probabilmente del tutto arbitraria, mi ha riportato alla memoria "L'epopea di Gilgameš").
Metto in discussione la possibilità che un racconto del genere possa essere articolato in un vero discorso filosofico.
Quindi un eventuale adesione ad esso non potrebbe mai scaturire dalla forza delle argomentazioni, ma solo da un atto di fede basato, come in tutte le religioni, non dal vero, ma dal bene o dal bello.


Ma la forza delle argomentazioni su cosa si basa?
Non si basa forse su "verità" date per certe a prescindere? Cioè su dei postulati?
E questo vero si impone da sé medesimo, senza cioè la tua partecipazione attiva?
Puoi farne un esempio?

Perché mi risulta invece che ogni possibile argomentazione non possa che giungere, se condotta fino in fondo, a interrogare te stesso.
Perché ogni verità si sgretola, diventa vuoto di senso, e sei solo tu che puoi affermare il Vero.
E il Vero è il Buono.
Puoi forse metterlo in dubbio?

Qualsiasi tema affronti, se tieni fermo il pensiero che non vuole ingannarsi, ti porta inevitabilmente di fronte al nulla.
E così ti ritrovi in gioco, senza alcun appiglio se non te stesso.

E questa è filosofia.
Perché c'è la scienza e la filosofia.
La scienza necessita degli universali per costruire le sue teorie.
Mentre la filosofia deve invece mettere in discussione ogni universale. E come fa? Chiama in causa te stesso!

Sì, probabilmente è necessario andare all'inferno, ma anche qui occorre volere la Verità.
Ad ogni costo.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 28 Agosto 2024, 22:36:01 PM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 21:57:05 PMhai toccato il punto per cui dico che non è la ragione che potrà rispondere. perchè la ragione, debitamente esercitata, per quanto riguarda questi temi, conduce al mistero. E se noi siamo in cerca di un senso o di un significato e se è vero che noi siamo un pezzo di universo allora è l'universo che cerca un senso o un significato.
Questo è un punto molto interessante
Si può percorrere una strada che non abbia un senso?
Si, se è l'atto del percorrere a crearla sotto i piedi.
Possiamo immaginare ciò come un effetto della coscienza per cui la strada è li dove hai deciso di fare il passo in coscienza?
Fai il passo dove hai deciso di farlo, decidendo il senso da prendere, ma non possiamo fare il passo più lungo della gamba.
Il senso finale è posto all'infinito che non c'è, ma che possiamo immaginare come la sequenza di passi che faremo prima di farli, in quanto ciò che è reiteratile perciò non finisce.
Ma ha davvero senso chiedersi coscientemente un senso, se  chi coscienza non ha vive altrettanto bene non potendoselo chiedere?
La coscienza come ogni strumento del vivere ha delle controindicazioni.
Se avesse allegato un libretto di istruzioni, vi sarebbe scritto di usarlo solo per gli usi previsti.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 22:39:50 PM
Citazione di: iano il 28 Agosto 2024, 22:36:01 PMLa coscienza come ogni strumento ha delle controindicazioni.
la coscienza è un tema che merita un topic a se stante. Perchè la prima cosa che mi viene da dire che se il corpo umano, come tutti i corpi inanimati è soggetto alle leggi fisiche di spazio e tempo, la coscienza, almeno in una certa misura non sembra esserlo. E qui si apre tutto un discorso che non è bene occupare in questa sede. vado a dormire va :D
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 28 Agosto 2024, 22:44:26 PM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 22:39:50 PMla coscienza è un tema che merita un topic a se stante. Perchè la prima cosa che mi viene da dire che se il corpo umano, come tutti i corpi inanimati è soggetto alle leggi fisiche di spazio e tempo, la coscienza, almeno in una certa misura non sembra esserlo. E qui si apre tutto un discorso che non è bene occupare in questa sede. vado a dormire va :D
E' soggetto alla realtà, non alle leggi della fisica parte della nostra conoscenza, perchè sennò equivarrebbe a dire che è soggetto alla nostra conoscenza.
Buonanotte :)
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 29 Agosto 2024, 07:32:49 AM
Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:26:21 PMIn questo senso l'uomo può avere solo una conoscenza empirica del mondo.
Avrei pure da dire qualcosa sulla "rosa pristina" citata pure da Ipazia, ma ho ripreso questo perché coglie un punto nevralgico che koba ha cercato di spiegarti.
È vero, la conoscenza è limitata all'esperienza empirica.
Filosofia e scienza hanno lo stesso atteggiamento nei confronti del reale. Cercano di carpire una verità omnicomprensiva del moto. Però la scienza certifica le sue verità attraverso un metodo, mentre in filosofia tale certificazione di fatto non c'è. 
La conoscenza si attuerebbe comunque attraverso l'azione, attraverso l'empirismo. Gli è però che nella scienza si studia il "reale", mentre la filosofia studia tanto il reale quanto quanto le mappe (i discorsi sulla realtà, la doxa). Premesso quindi che pure la scienza si avvale dello studio di mappe, lo studiare del filosofo in quanto studio, azione di studiare, non può che produrre conoscenza, personale sicuramente, forse fuorviata, ma pur sempre conoscenza empirica. L'eventuale fine della ricerca filosofica non può quindi che derivare da una congiuntura tra i filosofi, e se questa non c'è non per questo bisognerebbe smettere di cercarla ... puoi sicuramente smettere di cercare, ma non in modo necessario per tutti
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 29 Agosto 2024, 07:49:33 AM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Agosto 2024, 17:52:01 PMpremetto che non vedo in  tutto lo strologare che fa Martin Heidegger in essere e tempo una conclusione esaustiva sul senso dell esserci (non a caso evidenzio la ci finale poichè la tua domanda posta il senso dell essere , Hidegger pone il senso dell esserci) . Parliamo di ontologia ma si può impostare un ontologia atea, agnostica o credente per portare il lettore verso tali posizioni piuttosto che un altra. Io non credo che il senso della vita si possa trovare tramite una ricerca ontologica basata sulla ragione e sulla logica, logica e ragione debitamente esercitata.  il senso dell 'esserci di Heidegger non è sufficente perchè non da alcuna risposta al significato della vita.

Heidegger è un truffatore. Con le sue affermazioni apodittiche illude il lettore di aver compreso! Ma sono soltanto ragionamenti mal scopiazzati da Jaspers.

Infatti mentre in Jaspers pulsa la fede nella Verità, in H. vi è solo vuoto raziocinio, con il quale costruisce trappole per chi è senza fede nel Vero.

CitazioneMa il senso della mia vita posso forse porlo da me? il senso della mia vita mi è dato da qualcosa di molto più grande di me nel quale io sono iscritto!

È vero e pure... non lo è affatto!
Dipende da cosa rispondi quando ti chiedi: "Chi sono io?"
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 29 Agosto 2024, 11:05:02 AM
Citazione di: bobmax il 28 Agosto 2024, 22:23:25 PMMa la forza delle argomentazioni su cosa si basa?
Non si basa forse su "verità" date per certe a prescindere? Cioè su dei postulati?
E questo vero si impone da sé medesimo, senza cioè la tua partecipazione attiva?
Puoi farne un esempio?


È qui che ti sbagli. Sembri essere rimasto alle forme espressive del razionalismo moderno.
L'argomentazione filosofica non è una specie di teorema costruito secondo il modo della geometria euclidea, per cui la verità della conclusione, fatto salvo errori nel concatenamento logico delle proposizioni, dipende in fondo solo dalla bontà delle asserzioni di partenza. Le quali, per evitare di regredire all'infinito con altre asserzioni che ne garantirebbero la verità, devono essere infine dichiarate vere per fede.
Il logos umano è infinitamente più complesso e ambiguo, diciamo così.
L'assenso ad un discorso dipende sempre dalla sua capacità di rimandare, in qualche modo, alla struttura del fenomeno che intende trattare.
Se non ci fosse questo elemento oggettivo, indipendentemente da come viene pensata questa capacità di riprodurre la sua struttura nella proposizione, non ci sarebbe conoscenza.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 29 Agosto 2024, 12:00:55 PM
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 11:05:02 AML'assenso ad un discorso dipende sempre dalla sua capacità di rimandare, in qualche modo, alla struttura del fenomeno che intende trattare.
Questa struttura del fenomeno è imposta di fatto alla/sulla realtà da un certo discorso (precomprensione ipotetica) e viene poi considerata struttura valida (e quindi, retroattivamente, discorso valido) se tale imposizione rende il fenomeno comprensibile, possibilmente ad ogni suo ripresentarsi.
Tala validazione mostra tutti i suoi limiti (e tutta la sua autoreferenza) quando si parla di "fenomeni di senso", ossia quando la comprensibilità è possibile sotto molteplici orizzonti, persino incompatibili fra loro, senza che ci sia un meta-orizzonte in grado di dimostrare quale orizzonte fallisca nel comprendere il reale. Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica. Il "senso dell'essere" è questione poetica, non gnoseologicamente fenomenica, poiché indagando la suddetta struttura del fenomeno, non ne abbiamo mai (fino a prova contraria) trovato oggettivamente il senso, ma glielo abbiamo sempre inoculato soggettivamente.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 29 Agosto 2024, 13:55:34 PM
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 11:05:02 AMÈ qui che ti sbagli. Sembri essere rimasto alle forme espressive del razionalismo moderno.
L'argomentazione filosofica non è una specie di teorema costruito secondo il modo della geometria euclidea, per cui la verità della conclusione, fatto salvo errori nel concatenamento logico delle proposizioni, dipende in fondo solo dalla bontà delle asserzioni di partenza. Le quali, per evitare di regredire all'infinito con altre asserzioni che ne garantirebbero la verità, devono essere infine dichiarate vere per fede.
Il logos umano è infinitamente più complesso e ambiguo, diciamo così.
Il logos è complesso ed ambiguo.
La ragione però lo ha domato costringendolo dentro un percorso logico che va in automatico, senza perciò averlo esaurito.
Se pure questo percorso fosse inconcludente, seppure non possa andare oltre il senso di un criceto che corre dentro la sua ruota, che il logos si prestasse in tal modo ad essere in parte addomesticato non era per nulla scontato.
Quindi prima di liquidare il razionalismo come inconcludente, bisognerebbe esprime quantomeno meraviglia per la incredibile impresa che ha portato a termine, di mettere in gabbia lo sfuggente logos.
Ma questa impresa non sarebbe stata possibile se prima il logos non si fosse fatto simbolo, arricchendo la natura del pensiero.
Se trascuriamo questo arricchimento mettendolo da parte, trascuriamo la storia del pensiero,  negando la sua evoluzione.
Una volta detto che il pensiero non può ridursi a un teorema, ma che di un teorema si è arricchito, io mi impegnerei ad analizzare meglio la natura di questo costrutto reso possibile dall'essersi il verbo incarnato in un simbolo processabile, essendo prima inafferrabilmente volatile, oltre che significativamente volubile.
E non perchè il teorema sia la parte più importante del pensiero, ma perchè è ciò che del pensiero abbiamo esplicitato, e non dovremmo perciò mancare di esaminarlo, ed esaminandolo magari potrebbe risultare qualcosa di più di una gabbia per criceti, come parte funzionale di un pensiero che rimane complesso e ambiguo, ma che adesso lo è un pò di meno.

Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 29 Agosto 2024, 14:05:34 PM
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 11:05:02 AMÈ qui che ti sbagli. Sembri essere rimasto alle forme espressive del razionalismo moderno.
L'argomentazione filosofica non è una specie di teorema costruito secondo il modo della geometria euclidea, per cui la verità della conclusione, fatto salvo errori nel concatenamento logico delle proposizioni, dipende in fondo solo dalla bontà delle asserzioni di partenza. Le quali, per evitare di regredire all'infinito con altre asserzioni che ne garantirebbero la verità, devono essere infine dichiarate vere per fede.
Il logos umano è infinitamente più complesso e ambiguo, diciamo così.
L'assenso ad un discorso dipende sempre dalla sua capacità di rimandare, in qualche modo, alla struttura del fenomeno che intende trattare.
Se non ci fosse questo elemento oggettivo, indipendentemente da come viene pensata questa capacità di riprodurre la sua struttura nella proposizione, non ci sarebbe conoscenza.

Non importa il modo con cui si pensa l'elemento oggettivo a cui si rimanda. Non importa neppure se se ne ha o meno una qual chiara idea.
Infatti il postulato può benissimo essere solo implicito e mai esplicito.
Ma sempre c'è, necessariamente.
In caso contrario nessuna conoscenza sarebbe possibile!
Perché il pensiero logico non avrebbe alcuna base su cui costruire.

Non è l'ambiguità o la complessità a caratterizzare il logos umano, ma la sua estrema semplicità.
Il semplice è molto difficile.
E la verità è semplice. Puoi forse dire il contrario?

Non vi è nulla di davvero oggettivo.
Se lo fosse dovrebbe essere necessariamente pure soggettivo.
Vi sono infatti solo verità provvisorie, sempre probabilistiche.
Difatti la conoscenza segue esclusivamente la induzione.
Con buona pace di Bertrand Russell.

Eppure, vi è una verità certa.
Ed è l'etica.
Che è dentro di te. E emerge solo da te stesso.
Ma per rendertene conto mi sa che devi andare all'inferno.
Solo lì infatti Dio è certo.

Senza perciò lasciarti irretire da imbonitori come Heidegger...
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 29 Agosto 2024, 14:46:34 PM
Un teorema abbisogna di assunti che non sono scontati nella loro evidenza, perchè ''il moderno razionalismo'' si è liberato delle evidenze presenti ancora nel vecchio razionalismo di Euclide in forma di concetti primitivi.
Il ''razionalismo'' liberatosi da questo legame con particolari evidenze, si presta ora ad essere applicato ad ogni tipo di evidenza, cioè ai fenomeni nella loro generalità.

Un altra cosa di cui abbisogna il nostro teorema è una logica che ci permetta di ''dimostrare'' che gli assunti possano cambiare forma in conclusioni che sono equivalenti agli assunti.
Si, però sono equivalenti solo logicamente.
La logica cioè rende equivalenti due espressioni che sono diverse a priori, e l'equivalenza è logica nel senso che se usiamo una logica alternativa l'equivalenza decade.
Se applicassimo contemporaneamente  due logiche diverse ciò sarebbe irrazionale.
E se fosse proprio questa la sola irrazionalità con cui abbiamo a che fare, senza saperlo?
Ci potrebbe essere cioè qualcosa di più di assunti che agiscono in incognito, ma logiche intere, delle quali solo una siamo riusciti ad esplicitare, e perciò coscientemente usiamo.
Metti che siamo governati da una logica che coordina logiche diverse.
Se di queste logiche che agiscono ne conoscessimo una sola , l'effetto ci apparirebbe irrazionale.

Ma senza fare voli pindarici, l'utilità della logica non è di avvisarci che forme che appaiono diverse sono sostanzialmente uguali, ma di assimilare ad una forme diverse, riducendo così di fatto la complessità della realtà, per cui potremo trattare questa riduzione al posto della realtà, intrattenendo con essa un rapporto indiretto, l'unico possibile, e la cosa funziona così bene che alcuni confondono questa riduzione, questo modellino della realtà, con la realtà stessa.


Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 29 Agosto 2024, 14:56:12 PM
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 12:00:55 PMnon ne abbiamo mai (fino a prova contraria) trovato oggettivamente il senso, ma glielo abbiamo sempre inoculato soggettivamente.
aggiungerei; o piuttosto , viene semplicemente continuamente ridefinita.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 29 Agosto 2024, 14:57:07 PM
Tra physis ed epistème si colloca necessariamente il logos: epistemo-logia.

Questa funzione mediatrice tra natura e sapere può dare alla testa e inventarsi una propria prolissa e immaginaria ontologia, ma sempre physis rimette le cose al loro posto, nel giusto ordine gerarchico, per la gioia di chi è sinceramente amante di sophia.

La verità etica riguarda l'universo antropologico e la sua limitata possibilità di fuga dall'ordine naturale prestabilito. Anche qui eviterei voli pindarici, visto che l'etica è tra i saperi umani più rari e transeunti.



Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 29 Agosto 2024, 15:05:37 PM
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 12:00:55 PMQuesta struttura del fenomeno è imposta di fatto alla/sulla realtà da un certo discorso (precomprensione ipotetica) e viene poi considerata struttura valida (e quindi, retroattivamente, discorso valido) se tale imposizione rende il fenomeno comprensibile, possibilmente ad ogni suo ripresentarsi.
Tala validazione mostra tutti i suoi limiti (e tutta la sua autoreferenza) quando si parla di "fenomeni di senso", ossia quando la comprensibilità è possibile sotto molteplici orizzonti, persino incompatibili fra loro, senza che ci sia un meta-orizzonte in grado di dimostrare quale orizzonte fallisca nel comprendere il reale. Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica. Il "senso dell'essere" è questione poetica, non gnoseologicamente fenomenica, poiché indagando la suddetta struttura del fenomeno, non ne abbiamo mai (fino a prova contraria) trovato oggettivamente il senso, ma glielo abbiamo sempre inoculato soggettivamente.
Non sono d'accordo.
Di seguito gli errori che ritengo ci siano nel tuo discorso:
1) noi non imponiamo nessuna struttura al fenomeno. Le cose sono quelle che sono, ci appaiono, si manifestano. Noi cerchiamo, tramite i nostri strumenti culturali, di darne conto. Non ricopriamo le regolarità misteriose dei fenomeni con immagini e concetti, ma ci ingegniamo a ricostruire con i nostri segni, le complessità che osserviamo.
Per esempio nell'analisi della materia vivente abbiamo intrapreso il cammino che pone al centro la cellula. Avremmo potuto puntare forse su altri complessi, su popolazioni di cellule viste come un unico fenomeno, ma la scelta che abbiamo fatto, determinata probabilmente da una cultura meccanicistica e atomistica (la pre-comprensione), è chiaramente supportata dalla forma stessa della materia. In altre parole questa struttura, rappresentata nei nostri studi di biologia, ha un suo chiaro fondamento nella realtà.
2) Il senso dell'essere sarebbe per te una questione attinente la poesia perché non esiste un piano meta-teorico su cui decidere quale sia la teoria più valida?
Ma al di là di criteri quantitativi, sperimentali, che evidentemente possono essere usati solo nell'oggetto scientifico, questo piano meta-teorico non esiste e mai è esistito. È ovvio. La filosofia è dialogo, disputa, etc.
Il punto però è farsi una buona volta la seguente domanda: la filosofia ha un potere conoscitivo? Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo o solo interpretazioni più o meno gradevoli della vita?
Se si risponde di sì, come faccio io, non si può lasciare alla poesia il grande tema della filosofia presocratica. E si inizia a indagare, a interrogare Eraclito e Parmenide, e via dicendo.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 29 Agosto 2024, 16:16:00 PM
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 15:05:37 PM... non si può lasciare alla poesia il grande tema della filosofia presocratica. E si inizia a indagare, a interrogare Eraclito e Parmenide, e via dicendo.

Ma la poesia è la forma forse più autentica della filosofia!
I grandi poeti erano prima di tutto dei grandissimi logici.
La poesia richiede infatti di possedere capacità logico-razionali tali da giungere al limite del comprensibile.
Ed è lì, sul limite, che nasce la poesia.

Due nomi?
Dante e Leopardi.
E ho detto tutto.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 29 Agosto 2024, 16:21:31 PM
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 15:05:37 PM1) noi non imponiamo nessuna struttura al fenomeno.
Nel momento stesso in cui parli di «fenomeno», ti sei già imposto sull'oggetto, imponendogli la tua soggettiva umanità, le tue strutture categoriali (causalità, spazio, tempo, etc.), la tua sensorialità, la tua precomprensione, i tuoi strumenti tecnologici, la tua matematica, etc. Non può esistere uno sguardo neutro (né un manifestarsi neutro, v. il mitologico noumeno), non perché non sia "purificabile", ma proprio perché è sguardo (quindi attività condizionata in quanto umana, v. Husserl).
Fermo restando che, come anticipato, non tutti i modelli e i discorsi sono validi, ma solo quelli che ci rendono comprensibile il fenomeno individuato, anche nel suo ripresentarsi e nel suo declinarsi nelle sue varie manifestazioni (come nel tuo esempio delle cellule).

Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 15:05:37 PM2) [...] la filosofia ha un potere conoscitivo? Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo o solo interpretazioni più o meno gradevoli della vita?
La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia, al punto che diventa difficile riaprirla con un «secondo me...». La filosofia ha contribuito alla conoscenza, in senso contenutistico, sempre meno; con il consolidarsi di discipline specializzate, alla filosofia (se intesa in modo "continentale", erede della metafisica) è rimasto, oggi, solo la strutturazione di e la riflessione su orizzonti di senso, non il consolidamento di paradigmi di conoscenza (per non sopravvalutare l'epistemologia, basta provare a fare esempi concreti sul suo apporto gnoseologico, sul piano contenutistico).
«Conosci te stesso» è sempre stato un «interpreta te stesso», infatti non è mai stata questione di medicina o ricerca genetica, ma di umanesimo e di poesia, ossia di dare un senso a ciò che si cerca e cercare un senso in ciò che ci è dato (la conoscenza "oggettiva" resta su un altro piano, sempre fino a prova contraria).
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 29 Agosto 2024, 16:42:17 PM
Citazione di: bobmax il 29 Agosto 2024, 14:05:34 PMNon è l'ambiguità o la complessità a caratterizzare il logos umano, ma la sua estrema semplicità.

Beh, il tuo di logos sicuramente sì, visto che stai ripetendo le stesse cose da 2.874 post.

Citazione di: bobmax il 29 Agosto 2024, 14:05:34 PMEppure, vi è una verità certa.
Ed è l'etica.
Che è dentro di te. E emerge solo da te stesso.
Ma per rendertene conto mi sa che devi andare all'inferno.
Solo lì infatti Dio è certo.

A proposito di etica, mi chiedo se sia una cosa etica augurare ad un altro le sofferenze dell'Inferno nell'ipotesi che siano utili a incontrare Dio...
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 29 Agosto 2024, 17:48:23 PM
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 16:21:31 PMNel momento stesso in cui parli di «fenomeno», ti sei già imposto sull'oggetto, imponendogli la tua soggettiva umanità, le tue strutture categoriali (causalità, spazio, tempo, etc.), la tua sensorialità, la tua precomprensione, i tuoi strumenti tecnologici, la tua matematica, etc. Non può esistere uno sguardo neutro (né un manifestarsi neutro, v. il mitologico noumeno), non perché non sia "purificabile", ma proprio perché è sguardo (quindi attività condizionata in quanto umana, v. Husserl).
Fermo restando che, come anticipato, non tutti i modelli e i discorsi sono validi, ma solo quelli che ci rendono comprensibile il fenomeno individuato, anche nel suo ripresentarsi e nel suo declinarsi nelle sue varie manifestazioni (come nel tuo esempio delle cellule).

Ho scritto decine di post contro il realismo. Quindi su questo siamo perfettamente d'accordo.
Il problema però sta nella parola che usi per dar conto della validità di un modello che si afferma rispetto ad altri: la sua capacità di rendere comprensibile il fenomeno. Allora perché non usare addirittura il termine "interpretazione"? Il modello si afferma perché riesce a dare una lettura chiara del fenomeno?
Suvvia, è evidente che, sempre con i nostri strumenti umani e culturali, sempre in un orizzonte imprescindibilmente soggettivo, riusciamo a migliorare i nostri modelli esplicativi perché, grazie a osservazioni più precise e invasive, le configurazione dei nostri segni, di cui i modelli sono costituiti, riescono a rimandare con maggiore efficacia a ciò che c'è la fuori, e che possiamo indicare solo con un linguaggio ambiguamente realista come la struttura reale del fenomeno.
L'intera biochimica si basa su questo: sull'accuratezza della ricostruzione della forma tridimensionale delle macromolecole.
Ma intendiamoci: "forma tridimensionale di una proteina" presuppone già:
- una struttura percettiva specifica della razza umana (relativismo attinente la razza umana, la sua fisiologia):
- un linguaggio, un uso specifico di certi segni, un approccio scientifico alla cellula di tipo meccanicista (relativismo culturale in generale).
Quindi è chiaro che la maggiore precisione si fa strada nei limiti della relatività dello sguardo della razza umana e delle sue civiltà (relatività che non può mai essere trascesa). Questo farsi strada potrà in alcuni casi essere immaginato come migliore imitazione della cosa, in altri come un ingegnoso dar conto di essa tramite un sistema formale di segni che non imita alcunché, che non permette alcuna ingenua interpretazione realista, che tuttavia produce maggiore precisione nelle previsioni, quindi, forse addirittura casualmente, si è insinuato in qualche modo al cuore della cosa.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 29 Agosto 2024, 18:21:57 PM
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 16:21:31 PM... (per non sopravvalutare l'epistemologia, basta provare a fare esempi concreti sul suo apporto gnoseologico, sul piano contenutistico).

L'apporto gnoseologico dell'epistemologia riguarda la materia del metodo (l'instrumentum regni epistemico), non la materia della materia. I contenuti hanno imparato a metterceli gli stessi scienziati non riduzionisticamente scientisti o meramente affaristi. Solitamente in contrasto altamente informato coi traffici dei loro colleghi scafati. Anche la filosofia della scienza deve occuparsi di porcilaie teoretiche e millantati crediti. Con abbondanti ricadute gnoseologiche sulla natura della sedicente comunità scientifica, a memoria futura.

Da un teorico puntiglioso dei "piani del discorso" non mi aspettavo simili aporetiche false analogie in odore di fisicalismo  ;D
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 29 Agosto 2024, 18:22:50 PM
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 16:42:17 PMA proposito di etica, mi chiedo se sia una cosa etica augurare ad un altro le sofferenze dell'Inferno nell'ipotesi che siano utili a incontrare Dio...

Ma è proprio l'inferno il luogo migliore per la filosofia. Almeno per chi non è davvero un sapiente.

Nessuno ti manda all'inferno.
Ci puoi andare solo tu, perché così decidi.
Ma come dice Margherita Porete, e io condivido senz'altro, solo in paradiso o all'inferno l'uomo è al sicuro.
In qualunque altro luogo è perduto.

Paradiso e inferno non sono nell'aldilà.
Sono accessibili qui e ora.
Sono luoghi dell'anima.

Magari avrai la fortuna di ritrovarti direttamente in paradiso.
Ma se davvero vuoi la filosofia, se vuoi conoscere il senso della vita, potresti anche accontentarti dell'inferno.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 29 Agosto 2024, 18:45:45 PM
@Koba II 

Non posso scrivere che sulla prima parte del tuo post sono d'accordo, semplicemente perché non è questione di opinioni, ma di evidenze e di consapevolezza del suddetto "sguardo"; c'è quindi una solida base comune.
Una possibile divergenza emerge invece in seguito, con il proseguimento del discorso:
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 17:48:23 PMQuesto farsi strada potrà in alcuni casi essere immaginato come migliore imitazione della cosa, in altri come un ingegnoso dar conto di essa tramite un sistema formale di segni che non imita alcunché, che non permette alcuna ingenua interpretazione realista, che tuttavia produce maggiore precisione nelle previsioni, quindi, forse addirittura casualmente, si è insinuato in qualche modo al cuore della cosa.
Partendo dalle premesse comuni, su cosa si fonda «il cuore della cosa»? Non chiedo cosa sia (potrebbe essere ancora da scoprire), ma quale è il fondamento della presupposizione di esistenza (su che "piano"?) del "cuore della cosa".
Forse perché è un'espressione "poetica", forse perché mi risuona un po' "essenzialista" (e la teoria delle essenze non mi pare compatibile con la suddetta base comune, se non metaforicamente), mi chiedo se quando si parla del "cuore della cosa" ci si ricorda ancora che "la cosa" non esiste realmente, ma è solo una struttura fenomenica con cui abbiamo individuato soggettivamente una parte definita della realtà (che ci circonda ed esiste, ma non è "fatta di cose", anche se noi la percepiamo inevitabilmente come tale, poiché quello è il nostro solo modo di comprendere/interpretare il reale; v. relativismi, o meglio, contestualismi di cui sopra).
Quando cado, atterro su una formazione rocciosa, sulla Terra, per terra, sul suolo, su un aggregato di atomi più solidi del mio corpo, sui sassi, sul selciato, etc. o semplicemente sulla realtà esterna al mio corpo?
Per dirla con un koan: se la cosa è nulla, dov'è il suo "cuore"?


@Ipazia 

Dunque sul piano contenutistico gnoseologico non c'è alcun apporto da parte dell'epistemologia; non è il suo mestiere e non è una vergogna riconoscerlo.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 29 Agosto 2024, 18:58:55 PM
Il mestiere gnoseologico dell'epistemologia è il metodo scientifico e le sue adulterazioni. Non è una vergogna riconoscerlo.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 29 Agosto 2024, 20:00:12 PM
@Phil 
Il fondamento dell'ipotetico "cuore della cosa" emerge dalla conseguenza di non rendersi conto che la separazione tra io e altro da me ("la cosa") non ha alcun fondamento.
La cosa non è un nulla perché se corro nella direzione di un muro mi fermo, tanto che sia fatto di mattoni quanto di atomi. Se fosse semplicemente "realtà esterna al mio corpo" come si sarebbe sviluppata la scienza? 
Il riaprire la filosofia con un "secondo me", come sta facendo peraltro Cacciari, ha senso perché probabilmente i grandi del pensiero erano asserviti alla propria condizione sociale. E qui emerge tutta l'ambiguità del logos umano. Un buon esempio è dato da Keines se non sbaglio quando disse che si rendono conto (gli economisti) che il capitalismo è brutto e cattivo, ma guardandosi attorno non vedevano nulla di alternativo. Arte del nascondersi! Da quando in qua uno che sta assettato in una comoda sedia metterà la prima pietra per privarsi magari di privilegi di cui gode? Suvvia, cerchiamo di non fare gli scolaretti 
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 29 Agosto 2024, 21:50:58 PM
Citazione di: daniele22 il 29 Agosto 2024, 20:00:12 PMIl fondamento dell'ipotetico "cuore della cosa" emerge dalla conseguenza di non rendersi conto che la separazione tra io e altro da me ("la cosa") non ha alcun fondamento.
La separazione fra l'io e l'altro da me (che viene diviso in cose) mi pare piuttosto evidente e persino sperimentabile: posso alzare a piacere un mio braccio, ma non un tuo; posso sentire la temperatura di una pietra solo se la raggiungo, etc. io non sono altro che quella parte di realtà su cui ho (parziale) controllo fisico, sensazione percettiva, etc. tutto il resto è realtà esterna.

Citazione di: daniele22 il 29 Agosto 2024, 20:00:12 PMLa cosa non è un nulla perché se corro nella direzione di un muro mi fermo, tanto che sia fatto di mattoni quanto di atomi.
Il koan sulla "cosa che è nulla" l'ho postato in risposta a Koba II perché mi sembra di ricordare che si sia misurato anche con il pensiero orientale; per chi non ci ha fatto i conti, chiaramente un koan è un non senso o solo una battuta ad effetto.

Citazione di: daniele22 il 29 Agosto 2024, 20:00:12 PMSe fosse semplicemente "realtà esterna al mio corpo" come si sarebbe sviluppata la scienza?
Forse non ho capito cosa intendi: a partire da cos'altro si sarebbe potuta sviluppare la scienza, se non da «la realtà esterna al mio corpo»? Certo, sono serviti anche nozioni e strumenti concettuali, che ora forse hanno persino preso il sopravvento (v. fisica teorica e altre discipline non pienamente sperimentabili).

Citazione di: daniele22 il 29 Agosto 2024, 20:00:12 PMIl riaprire la filosofia con un "secondo me", come sta facendo peraltro Cacciari, ha senso perché probabilmente i grandi del pensiero erano asserviti alla propria condizione sociale.
Considerazioni sociali a parte, una filosofia conoscitiva riaperta da un «secondo me» non è una filosofia intesa in senso forte e veritativo (come quella del "passato remoto") e, nella fattispecie, segnalavo che un presunto apporto direttamente contenutistico, sul piano della conoscenza gnoseologica, la filosofia odierna non lo dà, specialmente se l'epistemologia è questione di metodo, come ci ha ricordato Ipazia (e non mi sembra ci sia un «secondo me» che la salvi in calcio d'angolo; sempre fino a prova contraria).
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 30 Agosto 2024, 06:13:15 AM
La "questione di metodo" vale gnoseologicamente ben più di un angolo: è un calcio di rigore. Determinante per la vittoria nelle "rivoluzioni scientifiche" (T.Kuhn).
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 30 Agosto 2024, 07:43:20 AM
@Phil
Premetto che il mio post era poco meditato, innescato più che altro da un senso di stizza nei confronti del tuo dire che grazie all'ambiguità del logos umano aveva per me il sapore di un dogmatismo ben celato. Ovviamente la mia stizza è priva di qualsiasi fondamento, ma si manifestò.
Comunque possiedo una parziale comprensione del pensiero orientale (A.Watts e Suzuky) ed era proprio Suzuky a banalizzare la conoscenza umana in quanto semplice emanazione derivante dalla separazione del conoscente dal conosciuto. Forse non sarà la stessa cosa che separare "io" da "altro da me", ma secondo te,¿se non esistesse la percezione, la conoscenza, del dolore e del piacere, si attuerebbe la conoscenza? Non ci troveremmo invece di fatto in un luogo senza il problema che sarebbe responsabile del fatto che noi si attui tale separazione? Questa è la domanda che io pongo all'Essere, o anche all'esserci dato che si tratterebbe della stessa cosa, la cui risposta apre a due realtà ben distinte che implicherebbero, a mio giudizio, inauditi giudizi sulla giustizia e sull'etica.
Un vettore (la conoscenza che aspira a trascendere) abbisogna di intensità, direzione e verso e io rilevo un'intensità che va scemando e un verso errato, tutto qua
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 30 Agosto 2024, 07:55:39 AM
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 16:21:31 PMLa risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia, al punto che diventa difficile riaprirla con un «secondo me...». La filosofia ha contribuito alla conoscenza, in senso contenutistico, sempre meno; con il consolidarsi di discipline specializzate, alla filosofia (se intesa in modo "continentale", erede della metafisica) è rimasto, oggi, solo la strutturazione di e la riflessione su orizzonti di senso, non il consolidamento di paradigmi di conoscenza (per non sopravvalutare l'epistemologia, basta provare a fare esempi concreti sul suo apporto gnoseologico, sul piano contenutistico).
«Conosci te stesso» è sempre stato un «interpreta te stesso», infatti non è mai stata questione di medicina o ricerca genetica, ma di umanesimo e di poesia, ossia di dare un senso a ciò che si cerca e cercare un senso in ciò che ci è dato (la conoscenza "oggettiva" resta su un altro piano, sempre fino a prova contraria).

Come si sa, la storia la scrivono i vincitori. In questo caso: la scienza moderna.
Che si è accaparrata tutto l'ambito della verità, diciamo così. Seppure scienza e filosofia non possano essere in concorrenza.
Dunque ci vorrà ancora un po' di tempo per liberarsi da questa visione ideologica, difesa ancora strenuamente da una parte e dall'altra, sul versante scientifico da inconsapevoli neo-positivisti, sul versante filosofico da... quasi tutti.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 30 Agosto 2024, 08:38:15 AM
Citazione di: Ipazia il 30 Agosto 2024, 06:13:15 AMLa "questione di metodo" vale gnoseologicamente ben più di un angolo: è un calcio di rigore. Determinante per la vittoria nelle "rivoluzioni scientifiche" (T.Kuhn).
Che il metodo abbia un indiscutibile valore gnoseologico lo rivela tutta la storia del sapere, successi, errori e rivoluzioni epistemiche.

Nessun professionista importante del sapere di ogni epoca ha esitato a dare il suo contributo sapienziale ottenendo importanti risultati riverberatisi in tutto il prosieguo dell'avventura epistemica. Tralasciando le fondamentale messe classica, succintamente: Tommaso (adaequatio), Ockham (rasoio), Bacone (empirismo induttivo), Galileo ("Il saggiatore"), Cartesio ("discorso sul metodo"), Newton ("hypotheses non fingo"), illuminismo, relatività, indeterminismo, quantistica.

Ogni approccio epistemico è stato supportato e indotto da un parallelo percorso epistemologico, che non è trattabile da "figlio di un dio minore" nella storia del sapere.

Oggi sempre più i percorsi si sono affiancati avendo i modelli sempre più, nel bene e nel male, surrogato la sperimentazione, negli ambiti della ricerca fondamentale dove l'esperimento classico non arriva.

Nel bene rendendo sempre più attuale e vincente la figura dello scienziato-filosofo.

Nel male spalancando praterie a trafficanti ciarlatani che modellano la realtà recondo i loro lerci affari. Trovando alfine più profittevole disboscare radure heideggeriane per cibarsi di pecore belanti ivi convenute, piuttosto che per illuministico amore di aletheia.

Ad maiorem $cientiae gloriam.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 30 Agosto 2024, 09:48:22 AM
"Ma il non senso della vita è gnoseologico o epistemologico?!? ??? " griderà il nichilista tirando l'ultimo respiro.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 30 Agosto 2024, 10:35:03 AM
Citazione di: daniele22 il 30 Agosto 2024, 07:43:20 AMun senso di stizza nei confronti del tuo dire che grazie all'ambiguità del logos umano aveva per me il sapore di un dogmatismo ben celato
Temo tu mi abbia confuso con altri (forse iano?), non ti ho imputato un "dogmatismo ben celato" né altre posizioni. Su cosa accadrebbe in assenza di prospettivismo umano, siamo probabilmente d'accordo, ma di fatto l'uomo quel prospettivismo ce l'ha (o meglio, lo è).

Citazione di: Koba II il 30 Agosto 2024, 07:55:39 AMSeppure scienza e filosofia non possano essere in concorrenza.
Concordo, oggi la prima si occupa della conoscenza "oggettiva" (quella che ho chiamato contenutistica), l'altra del senso esistenziale o della riflessione sul metodo.

@Ipazia
La domanda di Koba II era precisa: la filosofia apporta conoscenza? La mia risposta è che, a livello contenutistico, non apporta alcuna conoscenza oggettiva e non va dunque sopravvalutata (infatti non ci sono esempi di conoscenze, come contenuti oggettivi, dovuti direttamente all'epistemologia, essendo essa pensiero sul metodo, non attività con "le mani in pasta"). Chiaramente scienziati di tutte le epoche non sono estranei a riflessioni epistemologiche, ma per onestà bisogna ammettere che non sono gli architetti a costruire case: quando si parla di mettere mattoni e collaudare impianti, riconoscere che non è roba da architetti non è un'offesa alla categoria degli architetti (che, come già ricordato, hanno un altro mestiere, sicuramente importante, ma differente). Se mi dipingi come detrattore dell'epistemologia, tratteggi una caricatura infelice: non ho mai ritenuto l'epistemologia "figlia di un dio minore", ma se si parla di contenuti (per come ho interpretato la domanda di Koba II), resta nettamente e programmaticamente "fuori gioco".

@bobmax
A mio avviso, se un nichilista ancora confonde esistenzialismo con epistemologia/gnoseologia, l'essere nichilista è forse il minore dei suoi problemi (ammesso e non concesso che lo viva come tale, bisognerebbe chiederglielo...).

Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 30 Agosto 2024, 14:07:34 PM
Che la filosofia naturale si sia divisa in scienza e filosofia è il segno di una evoluzione positiva, laddove però l'arricchimento della disciplina ha reso impraticabile dominarla per intero.
Quello che mi pare sia successo nel tempo è che qualcuno, sentendosi ''rifiutato'' da una disciplina si sia psicologicamente rifugiato nell'altra, e mi pare che i maggiori respingimenti siano avvenuti dalla parte della scienza, vista perciò come una matrigna invadente, per cui alcuni favoleggiano un ritorno alla vera filosofia, caldeggiando di fatto una regressione della disciplina nel suo insieme.
Chi però in tale trappola psicologica non è caduto non può non vedere le implicazioni filosofiche della scienza e viceversa, a riprova del fatto che da una pratica convenienza sia stata dettata la loro separazione, una separazione che temo troverà sempre vari tentativi di sustanziazione destinati ad andare sempre a vuoto.
Non ho sentore di chi in fuga dalla filosofia si sia rifugiato nella scienza, ma del contrario si.
La mia impressione è che la metafisica a furia di attaccarla ce la siamo fatta amica, mentre la scienza non è mai stata tanto sotto accusa, colpevole di essersi posta su un piedistallo, però questa argomentazione somiglia più  alla favola della volpe e l'uva.
E' come se, essendo le religioni in via di dismissione, filosofia e scienza, senza pure a ciò proporsi, siano diventati un succedaneo del paradiso una, e dell'inferno l'altra.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 30 Agosto 2024, 15:07:48 PM
Tornando al tema specifico di questa discussione, che è quello di tentare di ridefinire il ruolo dell'ontologia, stante che essa avesse mirato male l'oggetto della sua indagine, rivelatosi l'esistente non essere il vero essere, io di ciò non vedo il motivo.
Perchè mi pare che essa possa continuare a indagare l'essere, ma con la nuova consapevolezza di poterlo fare solo in modo indiretto, attraverso l'esistente.

Io sono partito dalle stesse premesse, chiamando realtà ciò che in questa discussione viene presentato come essere, ed esistente il prodotto della nostra interazione con la realtà.
Di fatto così nego che abbiamo mai avuto un rapporto diretto con la realtà, tratti in inganno dall'evidenza con cui ci appare, facendo fare alla realtà un passo indietro, e lasciando in primo piano, dove in effetti sono sempre stati le cosiddette oggettività, gli enti.
Non ritengo quindi di dover far fare all'ontologia un passo indietro per condividere il destino che ho riservato alla realtà.

''Non è la conoscenza che ci permette di agire  sulla realtà'', ma è l'azione sulla realtà che produce una conoscenza che a sua volta condiziona il nostro agire.

E' possibile che ci sia una conoscenza che equivalga ad una illuminazione che ci colga mentre siamo in stato di contemplazione, in alternativa ad una azione che solleciti la realtà a risponderci qualcosa, però non perciò ridurrei il processo ontologico all'attesa di un illuminazione.
Il dialogo che intratteniamo con la realtà ha per me un valore in sè.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 30 Agosto 2024, 15:10:53 PM
Citazione di: bobmax il 30 Agosto 2024, 09:48:22 AM"Ma il non senso della vita è gnoseologico o epistemologico?!? ??? " griderà il nichilista tirando l'ultimo respiro.
E' antropologico, risponderà il vitalista, godendosi la vita. Sul versante creativo etico-estetico, che è epistéme di ordine superiore a quella riconosciuta come unica da phil, dal nepositivismo. E dallo scientismo.

Nella cui ontologia sta scritto: "come non perdersi nell'essere"

Risponde a iano un'icona del neopositivismo.
 
"6.52 Noi sentiamo che, anche se si dà risposta a tutte le domande scientifiche possibili, i problemi della nostra vita non risultano ancora neanche toccati. Certo non rimane allora proprio nessuna domanda; e proprio questa è la risposta."

Non resta alcuna domanda, soltanto risposte. Ma di una epistéme diversa da quella scientista e del suo diritto unico di parola.



Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 30 Agosto 2024, 18:46:34 PM
Citazione di: Phil il 30 Agosto 2024, 10:35:03 AMTemo tu mi abbia confuso con altri (forse iano?), non ti ho imputato un "dogmatismo ben celato" né altre posizioni. Su cosa accadrebbe in assenza di prospettivismo umano, siamo probabilmente d'accordo, ma di fatto l'uomo quel prospettivismo ce l'ha (o meglio, lo è).
Una premessa su Cacciari. Il suo porsi (video postato da Green demetr) potrebbe essere anche veritativo in senso forte. Non ho letto ancora il suo libro, ma una quindicina di giorni fa, sul tema del diritto alla cittadinanza, durante la trasmissione "in onda" Luca Telese si è rivolto a lui dicendogli espressamente: "Lei, che da riformista etc etc". Il professore ha bofonchiato qualcosa prima di rispondere e poi ha iniziato con: "Ci sarebbe semmai da decidere se io sia un riformista o un rivoluzionario".
Detto questo, non ho mai percepito accuse di essere un dogmatico, né da te, né da iano. La mia stizza era provocata dal tuo potenziale dogmatismo in questa tua affermazione: "La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia, al punto che diventa difficile riaprirla con un «secondo me...».". Se io leggo la frase senza dargli un senso non vi è traccia alcuna di dogmatismo, eppure io ho percepito un'astuzia ... è sembrato ai mie occhi cioè che tu avessi già cassato la questione (dogma). Fine del discorso. Ora ti mostri in accordo con me circa un generico prospettivismo umano. Sono andato quindi a rileggere con attenzione il tuo post 60 perché ricalcavi con altre parole quello che avevo detto ad Alberto nel post 59 circa il fatto che la scienza certifichi le sue verità attraverso un metodo, mentre in filosofia tale certificazione di fatto non ci sarebbe. E infatti così diceva il tuo pensiero: "Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica". È per me chiaro che noi si viva in questa "costrizione" , condizione dovuta probabilmente al fatto che nel qui e ora, a parte quando si agisce in automatico ci troveremmo sovente a produrre attribuzioni di senso per questioni vitali o dintorni. E così assolutizziamo la attribuzione di senso con la nostra azione in risposta, a volte urgente; e di fatto passiamo da un'utopia a un luogo. Proprio come quando si certificò la proprietà privata; di questo ne parlai un paio d'anni fa con anthonyi. Visto quindi che quando si dialoga si producono in risposta solo azioni verbali va da sé che queste siano ineluttabilmente assolutistiche. Ma questa sarebbe una certificazione del nostro essere irrazionali, o solipsisti, o soggettivisti. Non ti sembra? Ma se siamo tutti così che senso ha farci governare da altri "matti"?, sempre dando per scontato che allo stato attuale delle cose non si possa procedere che così. Cambiasse però almeno la prospettiva di azione anziché insistere ancora su quella via
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 30 Agosto 2024, 21:12:12 PM
Citazione di: daniele22 il 30 Agosto 2024, 18:46:34 PMpotenziale dogmatismo in questa tua affermazione: "La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia, al punto che diventa difficile riaprirla con un «secondo me...».". Se io leggo la frase senza dargli un senso non vi è traccia alcuna di dogmatismo, eppure io ho percepito un'astuzia ... è sembrato ai mie occhi cioè che tu avessi già cassato la questione (dogma).
Le questioni risolte in modo perentorio non sono necessariamente tali solo per dogmatismo, anzi il dogmatismo è perlopiù un modo per non risolvere davvero una questione, ma solo per smettere di affrontarla (il che presuppone esattamente che non abbia già avuto chiara e condivisa risoluzione). Quando Koba II chiede se la filosofia «Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo...» e gli rispondo che «La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia» siamo all'antitesi del dogmatismo, ossia alla mera constatazione. Il dogmatismo ti dice «è così, fidati e non chiedermene le prove», mentre l'appello alla storia afferma «è (stato) così, se non ti fidi consulta pure le fonti storiografiche, sono pubbliche e in tutte le lingue». Nel dettaglio, il fatto a cui mi riferivo, ossia che «La filosofia ha contribuito alla conoscenza, in senso contenutistico, sempre meno; con il consolidarsi di discipline specializzate...» non è un dogma, ma un'evidenza storica (sempre fino a prova contraria).
Sul resto del tuo discorso, come detto, sostanzialmente concordo: restando pragmatici, considerando l'umana tendenza a «produrre attribuzioni di senso per questioni vitali»(cit.), non resta che essere governati da altri (o scendere in politica, oppure fare gli eremiti), con la consapevolezza che il passaggio "dall'utopia alla localizzazione", dalle promesse elettorali ai decreti, etc., comporterà inevitabilmente qualche boccone da ingoiare, non ugualmente amaro per tutti, proprio perché non siamo in un'utopia (e comunque non abbiamo tutti la stessa "bocca").
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 30 Agosto 2024, 21:46:16 PM
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2024, 18:58:55 PMIl mestiere gnoseologico dell'epistemologia è il metodo scientifico e le sue adulterazioni.
La definizione sarebbe anche corretta se tu metti in campo solo l'epistemologia come filosofia della scienza. ma il metodo scientifico è solo uno dei modi con cui può lavorare un sistema gnoseologico. Non è la definizione di "mestiere gnoseologico"  questa .   Ovviamente la corrente filosofica che ne è convinta  (di questa definizione ) è il positivismo , questa corrente filosofica aveva o ha una fiducia estrema nel metodo scientifico dove il sapere prima o poi sarebbe diventato una fisica e ogni campo della conoscenza umana sarebbe diventata una scienza quantitativa e avrebbe potuto spiegare ogni fenomeno con metodi matematici. Ma la fiducia nella scienza è solo una delle tante correnti epistemologiche. La stessa scienza, da un punto di vista gnoseologico ( questa volta) non è semplicemente una "verità" ma è una verità condizionata che funziona solo se accettiamo determinati presupposti e se ci atteniamo ad un determinato perimetro (quello degli oggetti fisici) indagando questi presupposti la gnoseologia ci rende subito consapevoli di un fatto , il fatto che noi ci approcciamo sempre al mondo attraverso un particolare angolo prospettico. innanzitutto quella di essere umani . La nostra conoscenza dovrà sempre , in un certo senso, tradurre il mondo nel linguaggio delle nostre facoltà , dei nostri sensi , del nostro ragionamento. Dove in questo kant  è stato un pilastro nella teoria della conoscenza. Perchè è di questo che si parla se diciamo "gnoseologia" . Quante toerie della conoscenza ci sono state? fin da subito , i primi filosofi ne erano portavoce partendo da Eraclito quale era la teoria gnoseologica di questi filosofi , possiamo indicarle ? siii possiamo, per Eraclito ad esempio alla base della conoscenza vi è il rapporto fra gli opposti , gli opposti scontrandosi generano conoscenza , la conoscenza è per diversità, per quanto concerne pitagora era la matematica , per Platone la conoscenza si fonda sulla dicotomia fra mondo delle idee e mondo delle cose e così via . 
Quindi dire che le teorie gnoseogiche/epistemologiche si basano sulla scienza e in particolare sul metodo scientifico è un asserzione filosofica precisa , non è la definizone. Questo per cominciare a far quadrare i conti
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 30 Agosto 2024, 22:46:05 PM
Citazione di: Phil il 30 Agosto 2024, 10:35:03 AM@bobmax
A mio avviso, se un nichilista ancora confonde esistenzialismo con epistemologia/gnoseologia, l'essere nichilista è forse il minore dei suoi problemi (ammesso e non concesso che lo viva come tale, bisognerebbe chiederglielo...).

Ah, l'esistenzialismo non c'entra con la conoscenza...
Dobbiamo subito dirlo al nichilista inconsapevole, così che almeno non abbia questo problema.

Potrebbe leggersi, che so, Sartre. Se non gli viene il voltastomaco, avrà la conferma di essere un nichilista doc.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 30 Agosto 2024, 23:48:36 PM
In realtà, suggerire che due "approcci" non vadano confusi (v. sopra) non significa che uno non c'entri nulla con l'altro o che non ci siano persino punti di tangenza. L'importante è, sempre secondo me, non cucinarsi un indigesto minestrone a base di: «Ma il non senso della vita è gnoseologico o epistemologico?», poiché non è di quella "nausea da minestrone" che parlava Sartre... forse proprio uno dei pensatori più adatti per capire che l'esistenzialismo non è una gnoseologia e la poesia non è psicologia (dove il «non è» è un invito a non fare con-fusione, ma non certo per rinnegare che l'uomo sia punto di convergenza e, al contempo, di partenza di differenti analisi e discipline).
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 31 Agosto 2024, 00:00:30 AM
La filosofia del tempo influenza la ricerca scientifica, perchè da forma alla mentalità dello scienziato che decide quale ricerca fare.
A cosa serve un sistema filosofico che supera il precedente negandolo non potendolo falsificare?
I sistemi filosofici di fatto sembrano alternarsi senza un vero motivo, ma nella misura in cui partecipano alla cultura del loro tempo indirizzano di fatto la ricerca scientifica, come se ci fosse un coordinamento fra i diversi ricercatori, pur lavorando in modo indipendente, possedendo essi la stessa forma mentis.
I filosofi possono fare le ipotesi più assurde, ma ciò che conta poi è quanto queste idee penetrano nella cultura modificando il senso comune, cioè la condivisa visione della realtà.
In  questo processo la verità è un catalizzatore che lo favorisce, ma che non appare mai nei risultati finali, e non apparendo  perciò i filosofi cambiano i loro sistemi, essendo la frustrazione il motivo del cambiamento.
Tutto questo processo una volta si chiamava filosofia naturale, e nessuno ci impedirebbe di chiamarlo ancora così, se non fosse che essendosi frantumato in diverse discipline, ognuno tende ad esaltare la propria specializzazione, e gli scienziati vincono facile , perchè non è difficile negare i contributi di una filosofia che agendo per vie traverse, sono difficili da documentare.
Comunque si voglia caratterizzare la filosofia, come etica e come metafisica, è una sua diminuzione, essendo prima questi tutti suoi capitoli, compresa la fisica.
Seppure il processo nella sua complessità non si presta a una precisa descrizione uniforme, dobbiamo comunque sforzarci a pensarlo nel suo insieme.

Lo stesso raccontare il processo come opera di grandi nomi non aiuta, ma allo stesso tempo non abbiamo altro modo di raccontarlo se non semplificando quello che è un processo che coinvolgendo l'umanità intera non può essere diversamente raccontato, e sarebbe utile di questo fatto non perdere mai coscienza, rischiando davvero di arrivare credere che il processo umano possa declinarsi in pochi nomi di geni, come qualcosa che stia metà fra noi e Dio.
 
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 31 Agosto 2024, 00:42:25 AM
Quando citiamo un ''grande nome'' facciamolo possibilmente se quella citazione abbiamo fatto nostra, evitando di alimentare il culto della personalità.
Questo non significa che dobbiamo disconoscere l'autorevolezza di certi personaggi, appoggiandoci su di essi, ma il tutto non si può ridurre solo a ciò.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 31 Agosto 2024, 00:56:13 AM
Anche i nostri dialoghi sul forum a seguito dei quali ognuno resta della sua idea sembrano inconcludenti.
Secondo me però non è così, Restare tutti con le nostre idee senza modificarle non è una sconfitta dello strumento dialogico, seppur non condividendo le altrui idee le comprendiamo, perchè  riusciremo a comprenderle solo se avremo sintonizzato le diverse forme mentis, che è una condivisione di un livello più profondo, e che ha il significato di stare facendo un percorso insieme, pur restando ognuno con le sue idee a conferma della propria individualità , il cui compito appunto è quello di essere portatrice di ricchezza di idee, nella diversità.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 31 Agosto 2024, 07:38:46 AM
È impressionante come l'affermarsi della ontologia, conoscenza sistematica della realtà, comporti una diffusa cecità.
Più ci si convince, tramite l'ontologia, di aver compreso cosa sia il mondo, e più passa inosservata la profondità del reale.
Si diventa certi di aver capito!

E poiché ciò che si crede di capire è di per sé vuoto di senso, allora si conclude che la vita non ha senso.
E affinché non abbia senso, si nega la Verità!
Perdendosi così nell'assurdo. Perché tutto si può negare, ma non la Verità.
Non rendersene conto mostra la piena dimenticanza dell'Essere e, perciò, di se stessi.

L'esistenzialismo non è che una espressione di questa deriva.
Perché sebbene sempre si tratti di nichilismo, vi è qui un ulteriore peggioramento rispetto al nichilismo di un Leopardi o di un Nietzsche. Dove ancora primeggiava lo spirito. Uno spirito disperato, di fronte al mondo, ma ancora combattivo.
Viceversa con l'esistenzialismo lo spirito è ormai sconfitto. Capace solo di sotterfugi, magari per continuare a vivere comunque, ma pure per suicidarsi.

Suggerire di leggere Camus a giovani sotto i vent'anni, dovrebbe essere considerato un reato perseguibile penalmente.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 31 Agosto 2024, 07:57:53 AM
@knox

Se parlo di epistéme al plurale, significa che anche l'epistemologia lo è. E, alla fine del Tractatus, lo riconosce anche LW. Qui si tratta di prendere posizione sulla unicità o molteplicità dei saperi, con conseguenze sull'ontologia e sull'evoluzione storica del concetto di "essere", nello specifico del discussione. Ovvero: come non perdersi nell'essere.

Il "senso della vita" è totalmente fuori dall'ontologia fisicalista, e richiede un "mestiere" epistemologico diverso che a sua volta produce un sapere diverso su oggetti storici diversi dalla scienza naturale.

Fin da Eraclito si è colta l'aporia dell' "essere", confermata dall'evoluzione delle scienze naturali e di quelle umane, che possono, da Nietzsche in poi, ritorcere l'accusa di nichilismo a chi continua a perseguire i fantasmi del "mondo dietro (e sopra) il mondo", anche nelle forme dei feticci della modernità. Tra cui: la Scienza.

Tutta fenomenologia fuori dall'ambito ontologico delle scienze naturali. Ontologia in divenire, di cui si cercò la soluzione fin dai tempi di Platone e Aristotele, e nella filosofia orientale.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 31 Agosto 2024, 08:40:03 AM
Citazione di: Phil il 30 Agosto 2024, 21:12:12 PMLe questioni risolte in modo perentorio non sono necessariamente tali solo per dogmatismo, anzi il dogmatismo è perlopiù un modo per non risolvere davvero una questione, ma solo per smettere di affrontarla (il che presuppone esattamente che non abbia già avuto chiara e condivisa risoluzione). Quando Koba II chiede se la filosofia «Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo...» e gli rispondo che «La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia» siamo all'antitesi del dogmatismo, ossia alla mera constatazione. Il dogmatismo ti dice «è così, fidati e non chiedermene le prove», mentre l'appello alla storia afferma «è (stato) così, se non ti fidi consulta pure le fonti storiografiche, sono pubbliche e in tutte le lingue». Nel dettaglio, il fatto a cui mi riferivo, ossia che «La filosofia ha contribuito alla conoscenza, in senso contenutistico, sempre meno; con il consolidarsi di discipline specializzate...» non è un dogma, ma un'evidenza storica (sempre fino a prova contraria).
Sul resto del tuo discorso, come detto, sostanzialmente concordo: restando pragmatici, considerando l'umana tendenza a «produrre attribuzioni di senso per questioni vitali»(cit.), non resta che essere governati da altri (o scendere in politica, oppure fare gli eremiti), con la consapevolezza che il passaggio "dall'utopia alla localizzazione", dalle promesse elettorali ai decreti, etc., comporterà inevitabilmente qualche boccone da ingoiare, non ugualmente amaro per tutti, proprio perché non siamo in un'utopia (e comunque non abbiamo tutti la stessa "bocca").


Non c'entra nulla col tuo discorso, essendone invece solo una conseguenza di quanto già stabilito. Bene. Devo dire che sei riuscito a spiazzarmi. Posso solo sperare che la formula che condivido (citandoti): "Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica", sia questa formula appunto e in un certo senso "farina del tuo sacco" e non sia invece già di dominio in ambito Accademico. Il mio timore infatti, già in quel nucleo di un dialogo che postai nel tema filosofico "esistenza e conoscenza" più di tre anni fa, veniva così espresso:
"- Caspita! Sicuramente hai fatto scoperte inaudite per produrre pensieri sì nebulosi. In ogni caso non mi hai ancora detto nulla.
- Perché ho paura che siano scoperte fasulle, tra l'altro sarebbe solo una la scoperta ... O peggio! Temo che lo sappiano tutti, la scienza intendo, e che anche sapendolo ciò non abbia prodotto nulla di fruttuoso ... E ti assicuro che si tratta senz'altro di una bella avventura psichica ... Naturalmente io non ho contatti con filosofi, antropologi, psicologi, neuroscienziati e via dicendo ... dico ... si fa presto a scambiar la luce della lampara per quella della luna.".
Quindi, nella malaugurata ipotesi che sia di dominio dell'Accademia, potresti fornirmi qualche succinta coordinata sulla disciplina che la formulò, sul modo e sul tempo storico in cui è stata accettata?
Fermo restando che tale formula sia comunque informativa e di natura filosofica, dato pure che io sono giunto alla medesima conclusione senza metodo alcuno che non sia quello selvaggio
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 31 Agosto 2024, 11:17:36 AM
Citazione di: Phil il 30 Agosto 2024, 10:35:03 AM@Ipazia
La domanda di Koba II era precisa: la filosofia apporta conoscenza? La mia risposta è che, a livello contenutistico, non apporta alcuna conoscenza oggettiva e non va dunque sopravvalutata (infatti non ci sono esempi di conoscenze, come contenuti oggettivi, dovuti direttamente all'epistemologia, essendo essa pensiero sul metodo, non attività con "le mani in pasta"). Chiaramente scienziati di tutte le epoche non sono estranei a riflessioni epistemologiche, ma per onestà bisogna ammettere che non sono gli architetti a costruire case: quando si parla di mettere mattoni e collaudare impianti, riconoscere che non è roba da architetti non è un'offesa alla categoria degli architetti (che, come già ricordato, hanno un altro mestiere, sicuramente importante, ma differente). Se mi dipingi come detrattore dell'epistemologia, tratteggi una caricatura infelice: non ho mai ritenuto l'epistemologia "figlia di un dio minore", ma se si parla di contenuti (per come ho interpretato la domanda di Koba II), resta nettamente e programmaticamente "fuori gioco".

Se spostiamo il discorso sui contenuti bisogna definire i contenuti, tra l'altro "oggettivi". Il lavoro intellettuale è noto fin dai tempi di Marx e l'Architetto, a differenza dell'ape, apporta un suo contenuto incontrovertibile all'opera materialmente eseguita dal manovale.

In un'epoca di "produzione di merci a mezzo di merci" che dai tempi di P.Sraffa si è evoluta in "a mezzo di codici" (perfino in assenza di manovale, nell'ordinaria esecuzione), il "contenuto oggettivo" si è sempre più smaterializzato e la parte intellettuale del lavoro, amplificata.

Parte intellettuale del lavoro che non può prescindere dai contenuti di sapere, anche filosofico, del produttore-inventore, in particolare per la "causa finale" del suo operare. Senza trascurare la metafisica che sottende la "causa efficiente" che orienta ricerca e tecnologia. Il tutto avvolto in una nube matematica che procede per tentativi nello sfondamento del muro di oscurità gnoseologica della "ricerca fondamentale", che sarà magari per le abbondanti vaccinazioni di fisicalismo, ultimamente segna il passo, per non dire di peggio .

Per quanto si facciano profusioni di oggettività nel distinguere i "mestieri", il legittimo sospetto che l'impostazione filosofica "fisicalista" pesi, rimane.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Kob il 31 Agosto 2024, 11:31:40 AM
Si è detto giustamente che le cose non esistono ma sono aggregati che siamo spinti, per ragioni fisiologiche e culturali, a estrapolare dal tutto.
Rimane però la domanda sul perché si è scelto di leggere il mondo a partire da alcuni aggregati piuttosto che altri. La domanda non può trovare risposta dal solo lato del soggetto, dall'ontologia implicita della propria lingua, della propria cultura etc.
Escluso che l'approccio realista sia corretto, rimane l'interrogativo.
Ciò che di vivo c'è "là fuori" si presta straordinariamente bene all'immagina della cellula. Questo è un fatto. Così come è un fatto che la fisica moderna, a fronte di una serie di osservazioni enigmatiche, al contrario della biologia ha dovuto abbandonare ogni immagine ingenuamente imitativa e costruire un modello il quale funziona straordinariamente bene... Ma perché funziona così bene?
Se non vogliamo usare espressioni come "il cuore della cosa", dobbiamo dire che quel sistema formale evidentemente ha intercettato qualche aspetto fondamentale della materia.

[Sì lo so, ho usato il termine "fondamentale" che fa pensare a "fondamento", forse ancora peggio di "essenza" etc., e immagino già la reazione di alcuni di voi...
A furia di rivolgere la nostra attenzione ai termini che utilizziamo si finisce per non rivolgerne abbastanza ai problemi...]

Per quanto riguarda invece la domanda sull'apporto conoscitivo della filosofia alla quale si risponde di no perché è la storia che mette in evidenza come la conoscenza oggettiva di un fenomeno venga ormai da alcuni secoli dalle discipline scientifiche specifiche... ebbene faccio le seguenti osservazioni.
"Conoscenza oggettiva" significa conoscenza che viene dall'oggetto, che si oppone a quella soggettiva, la quale appunto dipende dalla soggettività dell'osservatore.
Il fatto che il significato dell'espressione "conoscenza oggettiva" sia diventato sinonimo di conoscenza misurabile, decidibile quindi tramite un confronto quantitativo, deve essere preso come il sintomo di una sovrapposizione tra conoscenza e conoscenza scientifica.
Ma come opportunamente fa notare Alberto Knox non dobbiamo dimenticarci che quello della scienza è solo uno dei possibili modi di conoscere la cosa.
Una prospettiva sul fenomeno. Una delle tante, non fosse che storicamente si è poi guadagnata la priorità per via del potere che tale prospettiva fornisce (per essere sinceri in parte anche alla complessità e profondità dei suoi modelli, al fascino che indubbiamente esercitano).

Per concludere, è da questi abbozzi di osservazioni che possiamo dire che di fatto l'ontologia tradizionale (immaginatevi quella neo-tomistica, così per esagerare...) è in grado di apportare conoscenza. Veri incrementi di conoscenza oggettiva!
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 31 Agosto 2024, 12:29:35 PM
Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 07:57:53 AMFin da Eraclito si è colta l'aporia dell' "essere", confermata dall'evoluzione delle scienze naturali e di quelle umane, che possono, da Nietzsche in poi, ritorcere l'accusa di nichilismo a chi continua a perseguire i fantasmi del "mondo dietro (e sopra) il mondo", anche nelle forme dei feticci della modernità. Tra cui: la Scienza.

Tutta fenomenologia fuori dall'ambito ontologico delle scienze naturali. Ontologia in divenire, di cui si cercò la soluzione fin dai tempi di Platone e Aristotele, e nella filosofia orientale.
sono andato a spulciare un pò in giro in altre discussioni e ho trovato questo tuo intervento, la discussione si intitolava "riflessioni sulle implicazioni della frase "l'esistenza precede l'essenza" ;

24 Settembre 2020, 21:31:41 PM 

Sartre era un esistenzialista e aveva ben compreso la lezione di Heidegger che superava la metafisica dell'essere nell'esserci; nel Dasein immanente sempre verificabile e libero dai lacci veterometafisici dell'essere.
L'esistenzialismo é metafisica del Dasein, antitetica alla metafisica del Sein. (fine della citazione)

penso che rispecchi bene quello che vuoi dire qui oggi , a distanza di  4 anni. O mi sbaglio.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 31 Agosto 2024, 13:02:33 PM
Citazione di: Koba II il 31 Agosto 2024, 11:31:40 AM"Conoscenza oggettiva" significa conoscenza che viene dall'oggetto, che si oppone a quella soggettiva, la quale appunto dipende dalla soggettività dell'osservatore.
Vorrei fare un ulteriore considerazione su questo assunto; sarà anche vero che "conoscenza oggettiva" significa "conoscenza che viene dall oggetto" ma vi è pur sempre un soggetto che conosce nel processo conoscitivo. Riflettendo su quest ultimo ne deriva che "conoscenza" è un termine ambiguo perchè indica allo stesso tempo un processo e un risultato. Conoscenza è il momento in cui mi avvicino all oggetto, lo indago , ne faccio esperienza , mi metto in relazione con esso; ma conoscenza è anche ciò che deriva da questo processo , l'impronta che questo oggetto lascia nel mio intelletto , cioè un concetto, una comprensione, un ricordo, una legge fisica ecc.
è quindi il risultato che viene dal processo conoscitivo ad essere oggettivo . La luna è oggettivamente un corpo roccioso che ruota assiema alla terra ma soggettivamente è anche una donna che ascolta la mia malinconia. Cosa è più vero? la conoscenza scientifica della luna o il rapporto esistenziale che ho io con essa? la risposta è semplice, sono vere entrambe perchè tutte le esperienze di vita esistenziale sono vere quando sono autentiche.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 31 Agosto 2024, 13:11:30 PM
Citazione di: daniele22 il 31 Agosto 2024, 08:40:03 AMnella malaugurata ipotesi che sia di dominio dell'Accademia, potresti fornirmi qualche succinta coordinata sulla disciplina che la formulò, sul modo e sul tempo storico in cui è stata accettata?
Non frequentando le "accademie" (al plurale), non posso dirti se quella mia considerazione sia data per scontata in quell'ambito, ma sicuramente non vi risuonerebbe come assurda, essendo un contesto solitamente abituato a masticare queste tematiche con rigore, quindi senza pasticciare l'epistemologia con ciò che non lo è.
Per approfondire i moventi di quella considerazione che ti ha colpito, e magari svilupparla meglio di quanto abbia fatto io qui, puoi dedicarti a curiosare negli ambiti coinvolti, ossia filosofia della scienza (e del linguaggio) ed esistenzialismo; entrambi del novecento, non c'è bisogno di partire da troppo lontano, così come non c'è bisogno di focalizzarsi su autori particolari, può andar bene persino un manuale non troppo sintetico. Il resto non può che venire dalla "farina del tuo sacco" che si riversa su ciò che ti circonda.

Citazione di: Koba II il 31 Agosto 2024, 11:31:40 AMSe non vogliamo usare espressioni come "il cuore della cosa", dobbiamo dire che quel sistema formale evidentemente ha intercettato qualche aspetto fondamentale della materia.
Concordo; il fatto che alcune spiegazioni e alcuni sistemi d'analisi funzionino meglio di altri quando si tratta di applicarli per manipolare la realtà (oltre che prevederne alcuni eventi), dimostra semplicemente che la realtà esterna esiste, con una certa struttura e costanza che non vengono rivoluzionate drasticamente ogni giorno (@Ipazia, questo può sembrare fisicalismo solo se si ritiene che il «versante creativo etico-estetico [...] è epistéme» e si confonde il contenuto oggettivo della conoscenza gnoseologica con quello della progettazione nella produzione di oggetti o servizi; che è come confondere, mi si passi l'iperbole, la "fattualità" delle ricerche genetiche con quelle di marketing perché «in fondo anche l'economia è una scienza»).
Parlare di «fondamento materiale del modello esplicativo», secondo me, è nettamente più adeguato e "fruibile" di «cuore della cosa».

Per quanto riguarda la funzionalità della scienza in ambito conoscitivo rispetto all'ontologia, soprattutto quella che ha qualche annetto, si può anche mettere tra parentesi il successo storico della conoscenza scientifica (successo casuale? irrelato al suddetto «fondamento materiale del modello esplicativo»? punterei sul "no") e chiedersi, tagliando la testa al toro: se
Citazione di: Koba II il 31 Agosto 2024, 11:31:40 AMdi fatto l'ontologia tradizionale (immaginatevi quella neo-tomistica, così per esagerare...) è in grado di apportare conoscenza. Veri incrementi di conoscenza oggettiva!
quali sono stati, in concreto, tali incrementi di conoscenza oggettiva? L'ontologia neo-tomistica cosa ha scoperto di oggettivo, come ha incrementato la conoscenza oggettiva a disposizione dell'uomo? Lo chiedo senza retorica, perché non sono esperto di neo-tomismo e magari lo sottovaluto.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 31 Agosto 2024, 13:25:03 PM
Citazione di: Koba II il 31 Agosto 2024, 11:31:40 AMMa come opportunamente fa notare Alberto Knox non dobbiamo dimenticarci che quello della scienza è solo uno dei possibili modi di conoscere la cosa.
Forse sbaglio, ma è l'unico ben descritto, e in quanto tale condivisibile.
L'altro, che però viene storicamente prima, è la percezione, da cui il termine cosa è tratto, e riadattato, e sugli altri ancora non mi avventuro a dire per mia ignoranza.
Magari poi, chissà, dalla suddetta storia possiamo trarre una continuità, senza interpretarla in senso letterale, tenendo cioè  conto del fatto che le storie abbisognano di fittizie discontinuità per essere raccontate.
Se come credo, ma potrei essere smentito data la mia ignoranza filosofica, in un solo caso possediamo una buona descrizione, non ci resta che confrontare gli alti casi a quello per capire dal confronto se a quello possiamo assimilarli, anche solo ipoteticamente, traendo poi le conseguenze logiche di questa assunzione, perchè se la logica non produce conoscenza, essa però può dirci se cose che hanno diversa forma, possano essere considerate equivalenti.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 31 Agosto 2024, 13:34:51 PM
Citazione di: Koba II il 31 Agosto 2024, 11:31:40 AMSi è detto giustamente che le cose non esistono ma sono aggregati che siamo spinti, per ragioni fisiologiche e culturali, a estrapolare dal tutto.
Rimane però la domanda sul perché si è scelto di leggere il mondo a partire da alcuni aggregati piuttosto che altri.
Mi sembra che la risposta te da sei dato da solo.
Le cose sostanzialmente esistono se sono aggregati di qualcosa che esiste.
Però siccome a questa cosa che esiste in se non potremo mai dire di essere giunti, si potrebbe provare una strada alternativa usando al posto della cosa in sè qualcosa che per essa può essere scambiata, per dare comunque conto della sensazione di evidenza da cui la cosa in sè abbiamo derivata.
Qualcosa la cui permanenza valga di fatto una cosa in sè.
Il divenire non è necessariamente in contraddizione con ciò che permanendo ci appare come una cosa in sè, perchè una forma del divenire è una costanza nel ripetersi.
La scienza è basata sulla falsificabilità, ma la falsificabilità riposa sul fatto che i fenomeni possano essere riprodotti in una ripetibilità senza limiti.
Dunque è nella sua ripetibilità che la realtà si presta ad essere conosciuta.

L'apporto della filosofia è poi compreso nelle ragioni fisiologiche e culturali come ti sei risposto da solo, insieme a tutto ciò che attiene in generale il soggetto conoscente, che perciò non è un astratto soggetto conoscente, per cui la conoscenza attiene ad esso quanto alla realtà che indaga, ed attiene al soggetto al minimo nella forma in cui la conoscenza si presenta, dovendo essere ad esso funzionale, e in ciò la filosofia potrebbe avere la sua parte, parte essenziale, per quanto sfuggente.

Una conoscenza oggettiva non è possibile perchè richiede un soggetto conoscente passivo, che a quella conoscenza non sia partecipe.
Un soggetto che stia li ad attendere che arrivi l'illuminazione.

La conoscenza non è univoca, e quindi non può essere oggettiva, a meno che non ci attardiamo a considerare la cosa in se che traiamo dall'evidenza delle cose, perchè la scienza pur non possedendo evidenze, non perciò fallisce nell'indagare la realtà, laddove le evidenze si limita ad assumerle, essendocene comunque bisogno per mettere in moto la macchina logica.

Osservato ed osservatore restano un mistero, conoscendo solo ciò che produce il loro rapporto, gli essenti.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 31 Agosto 2024, 14:14:24 PM
@Knox

Sì, il Dasein è stato la botta metafisica finale al Sein, dopo che l'epistème "scientifica" aveva demolito l'ipotesi noumenica.

@Phil 

Se neghiamo epistemicità alla dimensione etico-estetica ricadiamo nel fisicalismo. Su questo vale: tertium non datur.

Ci tengo anch'io a non confondere oggettività e scienza naturali, con le scienze umane. Ma non fino al punto di negare una loro materia ontologica con finalità epistemiche. Che l'economia sia una, per quanto becera, scienza, lo dimostra l'impatto che essa ha sulla vita umana e pure sulla decisione di cosa è scienza e cosa è antiscienza. Con gregge al seguito.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 31 Agosto 2024, 15:19:04 PM
Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 14:14:24 PMSe neghiamo epistemicità alla dimensione etico-estetica ricadiamo nel fisicalismo. Su questo vale: tertium non datur.
Non senza una certa ironia del destino, il "tertium" l'hai già citato tu stessa proprio nel post in cui definisci episteme il «versante creativo etico-estetico»... nel Tractatus, etica ed estetica sono poste abbondantemente fuori dall'episteme, o meglio, a dirla tutta, persino fuori dalla filosofia (almeno per come l'intendeva l'autore all'epoca del testo); libera di ottenere altrove ulteriori conferme al riguardo.
Anche Wittgenstein è un fisicalista? Popper è un fisicalista? Gran parte dell'epistemologia del novecento (e probabilmente anche contemporanea) è fisicalista?
Certo, sterile questione di etichette, ma comunque questo "pensiero unico" per cui ogni ragionamento minimamente ponderato è in quanto tale episteme (chiedo: che significa «episteme» in filosofia, prima di ogni «secondo me»?) e che taccia il contatto con la realtà di fisicalismo, mi pare avere poco riscontro ufficialmente condiviso (sebbene, come sempre, l'importante è intendersi con un vocabolario comune).
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 31 Agosto 2024, 17:54:06 PM
@Phil
Grazie, era solo per curiosità. Quindi si tratta sempre di un'informazione data dall'ontologia, se l'ontologia è lo studio sull'essere dell'ente o più semplicemente lo studio dell'ente al fine di determinare da cosa l'ente sia mosso. Non capisco quindi cosa c'entri la scienza, la quale a mio vedere non avrebbe alcun primato sulla filosofia. E lo si capisce bene quando si consideri che il primo atteggiamento scientifico "arcaico" fu la teologia, il secondo la filosofia e il terzo la scienza. Come dire che da cosa nasce cosa. Ci sarebbe da fare un distinguo per la fede in Dio poiché in questo caso sarebbe irrilevante la ricerca terrena, ma ciò che alla fine rilega è solo un atto di fede. Io non nego la fede, negando bensì ciò che la fede ha prodotto complessivamente fino ad oggi con molti pregi e difetti; nego quindi il valore veritativo di tutte e tre le branche essendo fondate sul valore veritativo della lingua, del logos umano, nego cioè la consistenza del sostantivo che renderebbe sdrucciolevole il terreno sul quale si muove il discorso 
@Koba II
Hai ragione a rilanciare l'indagine ontologica dicendo:
"Si è detto giustamente che le cose non esistono ma sono aggregati che siamo spinti, per ragioni fisiologiche e culturali, a estrapolare dal tutto.
Rimane però la domanda sul perché si è scelto di leggere il mondo a partire da alcuni aggregati piuttosto che altri. La domanda non può trovare risposta dal solo lato del soggetto, dall'ontologia implicita della propria lingua, della propria cultura etc.".
Rispondo allora per l'ennesima volta, e che vale in parte pure per la cellula, che noi conosciamo solo ciò che è utile in funzione del nostro spavento di fronte alla morte futura (la cellula probabilmente ne sta fuori) e in funzione della nostra preoccupazione a stare in prossimità al piacere (anche benessere), ma più che altro distanti dal dolore (anche malessere). Altre ipotesi non vedo, ma siamo qui per valutare
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 31 Agosto 2024, 19:11:51 PM
Citazione di: Phil il 31 Agosto 2024, 15:19:04 PMNon senza una certa ironia del destino, il "tertium" l'hai già citato tu stessa proprio nel post in cui definisci episteme il «versante creativo etico-estetico»... nel Tractatus, etica ed estetica sono poste abbondantemente fuori dall'episteme, o meglio, a dirla tutta, persino fuori dalla filosofia (almeno per come l'intendeva l'autore all'epoca del testo); libera di ottenere altrove ulteriori conferme al riguardo.
Anche Wittgenstein è un fisicalista? Popper è un fisicalista? Gran parte dell'epistemologia del novecento (e probabilmente anche contemporanea) è fisicalista?
Certo, sterile questione di etichette, ma comunque questo "pensiero unico" per cui ogni ragionamento minimamente ponderato è in quanto tale episteme (chiedo: che significa «episteme» in filosofia, prima di ogni «secondo me»?) e che taccia il contatto con la realtà di fisicalismo, mi pare avere poco riscontro ufficialmente condiviso (sebbene, come sempre, l'importante è intendersi con un vocabolario comune).


Posso convenire che spingere l'epistème oltre le colonne d'Ercole delle scienze naturali sia un azzardo in un'epoca dominata dall'idea di un tipo di scienza che li si arresta, ma pure il neopositivista Wittgenstein dovette riconoscere i limiti di quella navigazione nella proposizione che ho postato; mentre la falsificazione popperiana non si limita ai paradigmi delle scienze naturali, ma si può estendere alla storia umana e ai comportamenti sociali.

Non è (ancora) prassi diffusa, ma le aporie della "scienza reale" costringono ad una ridefinizione del concetto di conoscenza, che sappia scrutare anche la faccia oscura dell'universo scientifico e delle sue dinamiche di casta, ove imperano paradigmi non molto più fondati di quelli di Bellarmino e altrettanto adulterati da interessi precostituiti.

Qualcuno penserà che la comunità scientifica ha i mezzi per curare dall'interno i suoi mali. Mi permetto di dubitarne dopo l'ultimo Nobel per la medicina, e non vedo altro strumento che la filosofia per venirne fuori, scommettendo sulla qualità del suo prodotto veritativo ed etico.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Alberto Knox il 31 Agosto 2024, 20:21:09 PM
Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 19:11:51 PMQualcuno penserà che la comunità scientifica ha i mezzi per curare dall'interno i suoi mali. Mi permetto di dubitarne dopo l'ultimo Nobel per la medicina, e non vedo altro strumento che la filosofia per venirne fuori, scommettendo sulla qualità del suo prodotto veritativo ed etico.
Non si può davvero validare un sistema ricorrendo agli stessi mezzi, metodi e strumenti che il sistema stesso (o chi per lui)  propone.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 31 Agosto 2024, 21:14:25 PM
Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 19:11:51 PMPosso convenire che spingere l'epistème oltre le colonne d'Ercole delle scienze naturali sia un azzardo in un'epoca dominata dall'idea di un tipo di scienza che li si arresta,
Quando l'episteme ha mai superato quelle colonne d'Ercole? E attenzione a fare i nostalgici affermando che «c'è stato un tempo in cui l'episteme non era solo quella della scienza positiva...» perché (spoiler) la domanda successiva è «come ha fatto quell'episteme, se era davvero tale, ad essere scalzata da quella della scienza contemporanea? Solo questione di corruzione dei portafogli e delle anime? Nessun rapporto vincolante con la suddetta realtà "oggettiva"?». Le risposte, come detto, sono già storia, non opinioni.  Succederà in futuro? Chissà, ma le basi, ad oggi, non sono esattamente propizie.

Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 19:11:51 PMpure il neopositivista Wittgenstein dovette riconoscere i limiti di quella navigazione nella proposizione che ho postato;
"Limiti", ma non come rammaricato difetto o mancanza, quanto piuttosto come confini di un discorso razionale. Il (suo) progetto neopositivista non era indulgere in questioni esistenziali e difatti il concetto di episteme non venne nemmeno in seguito imbarbarito da questioni più "opinabili" (doxa vs episteme, come da manuale).

Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 19:11:51 PMla falsificazione popperiana non si limita ai paradigmi delle scienze naturali, ma si può estendere alla storia umana e ai comportamenti sociali.
Il falsificazionismo popperiano è il tertium di cui parlavo: non è né creatività etico-estetica, né fisicalismo, ma epistemologia; a mio avviso piuttosto difficile da «estendere alla storia umana e ai comportamenti sociali», ma attendo esempi concreti in merito (intendo riguardo il falsificazionismo come teoria epistemo-logica, non la falsificazione come dimostrazione della falsità di una tesi o racconto, che non è certo la peculiare proposta di Popper).

Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 19:11:51 PMNon è (ancora) prassi diffusa, ma le aporie della "scienza reale" costringono ad una ridefinizione del concetto di conoscenza, che sappia scrutare anche la faccia oscura dell'universo scientifico e delle sue dinamiche di casta, ove imperano paradigmi non molto più fondati di quelli di Bellarmino e altrettanto adulterati da interessi precostituiti.
Le dinamiche e gli "inciuci della casta" sono magari da conoscere e indagare, ma non riguardano i contenuti della conoscenza gnoseologica: riguardano la cronaca giudiziaria, la politica, l'economia, etc. non il patrimonio gnoseologico o epistemologico dell'umanità.

Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2024, 19:11:51 PMQualcuno penserà che la comunità scientifica ha i mezzi per curare dall'interno i suoi mali. Mi permetto di dubitarne dopo l'ultimo Nobel per la medicina, e non vedo altro strumento che la filosofia per venirne fuori, scommettendo sulla qualità del suo prodotto veritativo ed etico.
Scommessa di certo romantica, ma a mio avviso decisamente poco raccomandabile: quel prodotto, "Verità con Etica in omaggio", è ancora in commercio, sebbene sia già (evidentemente) scaduto.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 31 Agosto 2024, 21:50:48 PM
Citazione di: Phil il 31 Agosto 2024, 21:14:25 PME attenzione a fare i nostalgici affermando che «c'è stato un tempo in cui l'episteme non era solo quella della scienza positiva...» perché (spoiler) la domanda successiva è «come ha fatto quell'episteme, se era davvero tale, ad essere scalzata da quella della scienza contemporanea?
La risposta più semplice, se non ho frainteso, è che l'episteme non è stata scalzata, ma resa irriconoscibile dall'aver cambiato forma.
Cioè la risposta più semplice è che non ci siamo inventati nulla di nuovo, ma facciamo le stesse cose in modo diverso, e ciò che abbiamo perso in evidenza, da cui derivava l'illusione ontologica, lo abbiamo guadagnato in consapevolezza.
Consapevolezza che, pur testimoni ancora di evidenze, da esse non possiamo trarre l'immediatezza della realtà, in quanto nella nuova forma abbiamo evidenza solo del processo che media, i cui risultati possiamo ancora ''vedere'' solo in analogia di vecchie evidenze non dismesse, e che non vanno dismesse, in quanto la vecchia forma mantiene intatto il suo valore.
Non è infatti la vecchia forma ad essere stata cestinata, non essendo venute meno le sue funzionalità, ma le conclusioni che ne abbiamo tratto, che esistesse una cosa in se discendente dalle evidenze a nostra disposizione.
La falsificazione di Popper funziona, ma va oltre ciò che occorre, perchè in effetti mi pare sia un anello di congiunzione fra vecchia e nuova forma epistemica.
Infatti cosa significa  che la teoria di gravitazione di Newton è stata falsificata se ancora la usiamo?
Significa che gli assunti su cui si basava erano falsi, mentre su veri assunti si basa, seppur fino prova contraria, la teoria che l'ha succeduta?
Che senso ha ciò se non possiamo sapere se e quando la falsificazione giungerà?
Se quando giungeremo a verità non sappiamo come fare a riconoscerla?
Per me significa solo che ogni assunto è metafisico, e che non c'è una metafisica più vera di un altra, non essendo nemmeno soggette a falsificabililtà.
Cioè gli assunti su cui si basano le teorie falsificabili non sono falsificabili, ma semplicemente  assumibili o rifiutabili.
Provocatoriamente mi spingerei a dire che le teorie fisiche non sono tali, ma fisica è la loro applicazione alla realtà, come da applicazioni simili, in vecchia forma, le abbiamo tratte.
Le teoria fisica non è fisica, ma matematica.
La fisica sta a monte e a valle della teoria matematica.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 31 Agosto 2024, 22:49:04 PM
Citazione di: iano il 31 Agosto 2024, 21:50:48 PMcosa significa  che la teoria di gravitazione di Newton è stata falsificata se ancora la usiamo?
Significa che gli assunti su cui si basava erano falsi, mentre su veri assunti si basa, seppur fino prova contraria, la teoria che l'ha succeduta?
Sia l'episteme di Newton che quelle successive sono positivistiche, a loro modo empiriche, proprio in virtù del loro rapporto "oggettivo" con la realtà "là fuori". L'ambiguità (e l'inconsapevole doxa) nasce quando invece si parla di episteme in campo etico o, addirittura, estetico. A questo mi riferivo rispondendo ad Ipazia, che dopo aver parlato del «versante creativo etico-estetico, che è epistéme di ordine superiore a quella riconosciuta come unica [...] dal neopositivismo» (cit.), tratteggiava lo spingere l'episteme oltre le scienze naturali come un azzardo a causa della contemporaneità.
Si tratta, per me, di non appiattire l'episteme, senza ovviamente mettere in discussione il raffinamento della conoscenza "oggettiva" nei secoli: un aumento di precisione non falsifica un precedente calcolo approssimativo, così come l'uso dei numeri decimali non "falsifica" quello dei numeri interi, ma ne "rivela" l'approssimazione.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 31 Agosto 2024, 23:11:25 PM
Citazione di: Phil il 31 Agosto 2024, 22:49:04 PMSia l'episteme di Newton che quelle successive sono positivistiche, a loro modo empiriche, proprio in virtù del loro rapporto "oggettivo" con la realtà "là fuori". L'ambiguità (e l'inconsapevole doxa) nasce quando invece si parla di episteme in campo etico o, addirittura, estetico. A questo mi riferivo rispondendo ad Ipazia, che dopo aver parlato del «versante creativo etico-estetico, che è epistéme di ordine superiore a quella riconosciuta come unica [...] dal neopositivismo» (cit.), tratteggiava lo spingere l'episteme oltre le scienze naturali come un azzardo a causa della contemporaneità.
Si tratta, per me, di non appiattire l'episteme, senza ovviamente mettere in discussione il raffinamento della conoscenza "oggettiva" nei secoli: un aumento di precisione non falsifica un precedente calcolo approssimativo, così come l'uso dei numeri decimali non "falsifica" quello dei numeri interi, ma ne "rivela" l'approssimazione.

Ok, avevo frainteso allora.
Io credo che la creatività sia implicata in qualunque processo conoscitivo più di quanto appaia.
Quando dipingo la natura sto replicando la realtà, o sto replicando il processo con cui la realtà mi appare?
Se stiamo replicando il processo l'oggettività con cui la realtà ci appare concordo con te che vada messa fra virgolette.
Nelle grotte di Lescaux l'uomo ha riportato a memoria l'animale che aveva visto fuori, o ha visto un animale fra i chiaroscuri proiettai dalla torcia sulle increspature della roccia, apparso dunque per magia dove non c'era, limitandosi solo a fissare con le ocre la visione soprannaturale?
Se si è limitato a fissare l'immagine ha di fatto esplicitato il suo processo di visione della realtà, non attribuendolo però a se, ma ad una divinità, e quello che è venuto meno in questo processo nel tempo è la sacralità, cioè la mediazione di una divinità.
Una volta esplicitato il processo, sia pure in modo casuale. posso replicarlo in modo cosciente, passando dal fissare una immagine che appare sul muro, a produrre copie della realtà come oggettivamente mi appare, passando da un atto creativo implicito ad uno esplicito.
Noi abbiamo prova di vedere, almeno in parte ciò che non c'è, ma più che di un inganno si tratta di sopperire ad una mancanza di dati per rendere il quadro completo, come se ci fosse una necessità di credere a quel che vediamo, eliminando i difetti che potrebbero incrinare la nostra fede nella realtà, cosa utile se in quella ''realtà'', per quanto non oggettiva, dobbiamo viverci, e il dubitarne ci renderebbe  difficile farlo.
Questa in effetti è la situazione psicologica in cui ci troviamo oggi mirando i paesaggi delineati dalla scienza, nei quali non sembra possibile vivere, se corrispondessero davvero alla realtà.
Ma d'altronde come fanno a non corrispondervi se certamente reale è la loro efficacia?
La risposta potrebbe essere che non abbiamo mai vissuto in modo diretto la realtà, ma indirettamente attraverso mondi vecchi e nuovi che vi trovano corrispondenza funzionale.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 01 Settembre 2024, 04:57:52 AM
Citazione di: Phil il 31 Agosto 2024, 21:14:25 PMQuando l'episteme ha mai superato quelle colonne d'Ercole? E attenzione a fare i nostalgici affermando che «c'è stato un tempo in cui l'episteme non era solo quella della scienza positiva...» perché (spoiler) la domanda successiva è «come ha fatto quell'episteme, se era davvero tale, ad essere scalzata da quella della scienza contemporanea? Solo questione di corruzione dei portafogli e delle anime? Nessun rapporto vincolante con la suddetta realtà "oggettiva"?». Le risposte, come detto, sono già storia, non opinioni.  Succederà in futuro? Chissà, ma le basi, ad oggi, non sono esattamente propizie.
"Limiti", ma non come rammaricato difetto o mancanza, quanto piuttosto come confini di un discorso razionale. Il (suo) progetto neopositivista non era indulgere in questioni esistenziali e difatti il concetto di episteme non venne nemmeno in seguito imbarbarito da questioni più "opinabili" (doxa vs episteme, come da manuale).
Il falsificazionismo popperiano è il tertium di cui parlavo: non è né creatività etico-estetica, né fisicalismo, ma epistemologia; a mio avviso piuttosto difficile da «estendere alla storia umana e ai comportamenti sociali», ma attendo esempi concreti in merito (intendo riguardo il falsificazionismo come teoria epistemo-logica, non la falsificazione come dimostrazione della falsità di una tesi o racconto, che non è certo la peculiare proposta di Popper).
Le dinamiche e gli "inciuci della casta" sono magari da conoscere e indagare, ma non riguardano i contenuti della conoscenza gnoseologica: riguardano la cronaca giudiziaria, la politica, l'economia, etc. non il patrimonio gnoseologico o epistemologico dell'umanità.
Scommessa di certo romantica, ma a mio avviso decisamente poco raccomandabile: quel prodotto, "Verità con Etica in omaggio", è ancora in commercio, sebbene sia già (evidentemente) scaduto.

Alla prima parte ha già risposto iano: le teorie dominanti sono quelle della classe comunità scientifica dominante. Vedi lombrosismo, lobotomia, elettroshock, etiologia oncologica (Tomatis: "il fuoriuscito"), amianto buono e cattivo, tabacco, ...

Mettere le brache dello scientisticamente corretto al falsificazionismo implica già una specifica postura metafisica. Come insegna l'epistemologo T.Kuhn, gli inciuci sono parte integrante della storia della scienza, ovvero di quella Versailles che risponde al nome di "comunità scientifica".

La covidemia è stata la prova provata dell'intreccio indissolubile tra falsificazione della realtà e resistenza estrema al falsificazionismo popperiamo, avvelenando i pozzi della mitologica ricerca "pura": in senso epistemico ed etico, che al seguito ci sta sempre bene, perché altrimenti è mafia sponsorizzata conclamata, pure coronata dal Nobel, per disprezzo sommo della decenza epistemica ed epistemologica. L'esito di tale operazione è la messa in discussione del dogma vaccinale, in particolare nelle forme genicamente intrusive altamente pericolose denunciate da addetti ai lavori come Malone e Montagnier. Premesse tragiche di una auspicabile rivoluzione scientifica, che travolga pure la Pastiglia OMS e le sue mire politiche globali.

La falsificazione epistemologica avviene ovunque gli anelli mancanti della teoria siano stati colmati da narrazioni più o meno plausibili, generalmente con paludamenti accademici che, come i salmi, finiscono in dogmatica gloria. Tali situazioni riguardano anche le scienze umane, dove il ritrovamento di un testo o un reperto può falsificare secoli di affermate credenze storiche, antropologiche, paleontologiche, (vedi la falsa donazione di Costantino falsificata popperianamente con umanistici strumenti filologici)... non dissimilmente dalle sperimentazioni cruciali nell'ambito delle scienze naturali.

Indipendentemente dai trucchi e gli inganni che hanno generato il dogma, o dalla buona fede ipotetica posta in carenza di riscontri oggettivi.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: daniele22 il 01 Settembre 2024, 08:41:44 AM
L'ontologia produce necessariamente due vie che hanno a che fare con il principio di indeterminazione di Heisemberg. Da una parte si ricerca la posizione, ovvero l'ente in quanto tale, dall'altra la quantità di moto, ovvero dove sarà l'ente nell'istante futuro... Analogia giusta, o traveggola?
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Phil il 01 Settembre 2024, 10:36:10 AM
@Ipazia

In breve, mi hai confermato che:
- quelle colonne d'Ercole non sono state superate: l'episteme era ed è rimasta scientifica, "mani in pasta nel mondo la fuori", con annesso aumento della sua precisione (tagliando i rami marci); nessun superamento delle scienze naturali da parte di un'episteme etico-estetica "superiore"
- nonostante il mio esplicito monito preventivo, confondi il falsificazionismo popperiano e la falsificazione
- confondi gli "inciuci" con le rivoluzioni scientifiche, oppure Kuhn si riferiva a interessi accademici e ingerenze politiche?
- continui a confondere la politica e l'epistemologia, l'economia e la medicina, etc. non perché non siano in relazione (è evidente), ma perché scaricare sull'una le colpe dell'altra non aiuta ad analizzare la faccenda, ma produce solo invettive "epistemologicamente" confusionarie.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 01 Settembre 2024, 16:27:15 PM
Aprirò una discussione ad hoc sulla "scienza" dedicata all'oncologo Tomatis che non intendeva la scienza come "la mano destra non sappia quello che fa la sinistra".

Evidentemente qualcuno non ha colto il nesso tra Bourla, Von der Leyen e i due affaristi stregoni Nobel (affari, politica e comunità scientifica uniti in una truffa criminale, senza lacci e lacciuoli etici sulla sperimentazione umana, che hanno fatto il loro tempo).

Ma a questo ci sono abituata: la fede non si confuta con la ragione.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 05 Settembre 2024, 07:04:37 AM
Citazione di: Koba II il 26 Agosto 2024, 13:27:34 PMCacciari, che conosco solo per la lettura e rilettura di "Metafisica concreta" (un grande libro di filosofia, veramente notevole), evidentemente crede nell'elemento politico della filosofia, e non si risparmia.

Libro ostico fino a pg 200 dove insiste sull'ente e la sua irreperibile ousia. Più facile nel momento topico di passaggio dall'ente al ni-ente, probabilmente perché il ni-ente è più infiltrato nella nostra attuale visione del mondo, dopo millenni di disperati tentativi, usando la grammatica cacciariana, di entificazione ed esistentificazione del reale.

Qui il già ottuagenario "maestro del pensiero" vuole dare la sua zampata finale, concreta,  Wirkende, alla storia e destino della filosofia. Che è in fondo la stessa storia e destino dell'episteme tutta.

Una lettura decisamente importante - rimemorante qua e là il Cacciari perennis degli anni ruggenti nella forma e nei contenuti - per gli aspiranti filosofi, con dizionari di greco, latino e tedesco al seguito. Ma alla fine si capisce (quasi) tutto.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 05 Settembre 2024, 09:15:04 AM
"Metafisica concreta" di Cacciari tratta l'oggetto di questa discussione e lo fa tenendo conto di tutte le posizioni metafisiche fin qui inveratesi nella storia della filosofia. L'evoluzione attuale la sussume piuttosto alla categoria del Ni-ente che del Nulla, illuminando così la vexata quaestio del nichilismo, oltre le nebbie in cui restò immerso lo stesso pensiero nicciano ed epigoni.

Passando all'operatività dei concetti, ni-entificare è l'opposto dialettico del nullificare. L'atto del nichilismo è la nullificazione dell'altro (padrone-schiavo; uomo-natura) ridotto ad oggetto di un dominio assoluto. La nientificazione è al contrario la rinuncia al dominio dell'entificazione, per un atteggiamento metafisicamente (e politicamente) più rispettoso dell'alterità, inclusa la sua reticenza ad essere dominata da un logos "infelice" e totalitario.

Vi si scorge una analogia con la "critica della ragion cinica" in cui si distingue tra il nichilistico Zynismus del potere, e l'opposto dialettico del Kynismus, risalente a Diogene cinico, che quella narrazione nega.

Ni-entificare è prendere atto della natura convenzionale, funzionale, dell'(ess)ente e della impossibilità di ricondurlo ad una "cosa in sè", ad una essenza, sostanza, ousia "to ti en einai". Ovvero all'Essere.

Da rideclinare in una ontologia aggiornata. E concreta. Avendo imparato a come non perdersi nell'essere. E pure nel non-essere nichilista, ridefinito pur'esso nella sua concretezza metafisica e sociale.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: bobmax il 05 Settembre 2024, 10:17:29 AM
Cacciari è ormai fuori di melone. Ha dato tanto, ma avrebbe fatto meglio a chiudere in bellezza quando ancora ragionava. Come quando ha scritto pertinenti prefazioni ai testi di Marco Vannini sulla mistica.

Gli è rimasto lo stile affermativo, sorretto però da mera erudizione.
Ho assistito ad una sua conferenza sulla Metafisica concreta e dopo mezz'ora me ne sono andato disgustato.
Un disastro filosofico e pure politico.

Forse è il destino di questi professori, che ripetendo all'infinito le solite cose alla fine vi si aggrovigliano. Parlano, parlano e non dicono niente.
Significativo poi che venga apprezzato, un po' dagli stessi che apprezzano Heidegger.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 05 Settembre 2024, 10:27:50 AM
Prolisso lo è certamente, ma l'erudizione regge i concetti e alla fine è con quelli che bisogna confrontarsi. Io cerco di farlo, trattenendo ciò che trovo chiarificante e affinante la mia visione del mondo. I filosofi professionisti sono fatti così: qualche buona intuizione e tanta zavorra. Tengono famigghia e il numero di pagine fa punteggio. E una volta trovato il filone buono, per quanto liquido sia, ci si naviga ad libitum.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: iano il 05 Settembre 2024, 14:34:20 PM
Se assumiamo che vi sia un osservatore ed un osservato, già così siamo al riparo dal nichilismo, perchè non è nichilistico fare e disfare ciò che dal loro rapporto nasce e muore, sancendo con ciò che il loro rapporto, in quanto tale, non è statico, ma dinamico.
Se partiamo dal fatto che l'osservatore conosce solo il prodotto del suddetto rapporto, ma non direttamente ciò che è realtà, compreso se stesso, si può gridare al nichilismo solo se si è confuso quel  prodotto con la realtà, potendone ampiamente essere scusati per ciò.
Che l'osservatore possa avere un rapporto diretto con l'osservato equivale a negare la separazione della realtà che li ha generati, o che non li ha generati, se sempre sono stati.
Dell'unico vero essere, noi compresi, non possiamo fare esperienza diretta, ma possiamo osservare solo ciò che la relazione genera, la cui natura non è in sè, in quanto cosa generata.
Qualcuno potrebbe essere più o meno convinto di ciò, ma le assunzioni non devono convincere, ma le si può assumere oppure no, perchè ci convincono, oppure per  altro motivo.
Se io dicessi che ho fatto queste assunzioni perchè mi convincono mentirei.
Ciò che conta è se queste assunzioni ci portano a dedurre in modo coerente quella che è la nostra esperienza, cioè i fatti.
Magari aggiungendo qualcosa in più, qualcuno potrebbe convincersi, ma se ciò significa fare assunzioni di troppo per acquietare il proprio senso comune, significa dare a questo impropriamente una priorità, che bene che vada produrrà ridondanza, e male che vada renderà viziato il processo che ne segue, che sia logico oppure no.

Non leggero Cacciari perchè non ha intenti divulgativi, posto che i filosofi possano averli, non essendo io filosofo, ma da quel che riporta Ipazia, non mi pare in netta contraddizione con i miei assunti.
Mi pare di capire che egli, con la sua metafisica concreta, provi a fare i conti con la ''realtà'', obtorto collo, che è prima fisica che politica o etica. Perchè come faccio a organizzare la società orientandola al bene, se non per come la vedo la ''realtà'', fisicamente?
La fisica non ci dice come la realtà è, ma ci dice come vederla al fine appunto di agirvi, basandoci sul presupposto che la vediamo tutti allo stesso modo, essendo  una condivisione di base il presupposto necessario per un dialogo.
Non siamo uomini perchè abbiamo lo stesso DNA, o ci riconosciamo dalla forma simile, ma perchè fra noi è possibile dialogare, che sia per via del DNA o altro, mentre con altri non possiamo farlo.
Se poi le nostre assunzioni funzionano, qualunque sia il motivo per cui le abbiamo fatte, avremo così compreso indirettamente la realtà che ci comprende.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 05 Settembre 2024, 17:37:58 PM
Si ci sonno assonanze, in particolare sul falso e fin troppo enfatizzato nichilismo:

"Ripartiamo da ciò che gli stessi 'nichilisti' (come errando continua a chiamarli la philosophica opinio, che non è filosofia), a partire da Schopenhauer e Nietzsche, ritengono incontrovertibile: ogni caso è e non può non essere...pg 295"

Cacciari cerca di fare il divulgatore mediatico, ma sui libri indossa l'aura professorale, ed anche in pubblico (vedi bobmax) ha difficoltà a comunicare il suo logos ;D

Il libro comunque merita lo sforzo (di lettura e traduzione) perchè è un onorevole tentativo di trarre la filosofia dalle secche in cui la dominante macchina scientista cerca di renderla inoffensiva ed ancella servile.
Titolo: Re: Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere
Inserito da: Ipazia il 06 Settembre 2024, 14:52:42 PM
Terminata la lettura, devo quantomeno rivedere l'ultimo periodo del post precedente, scaturito da una virata "illuminista" della parte centrale (pg. 200-250), strumentale all'epilogo carico di misticismo teologico che non dice nulla più di qualche prestito ed esito obbligato del philosopheîn, minimo sindacale per non soccobere all'episteme scientifica.

Il linguaggio, intasato di grecismi e germanismi, funziona da specchietto per allodole filosofanti, ma la ousia della sua ontologia metafisica non dice nulla di nuovo, che non sia già contenuto nella veterometafisica e nella teologia cristianeggianti.

Spiazzante la contrapposizione tra ateo e non-credente (ovviamente devoto), a dimostrazione plateale della volgare incomprensione della spiritualità antifeticistica atea. Forse perchè di feticci, meglio se Impossibili (credo quia absurdum est), il Cacciari ha concretamente bisogno.

La filosofia, no.