La natura va amata? Personalmente non la amo, ma osservo che c'è molta pressione mediatica e sociale affinché anch'io, e altri che, come me, non l'amano, debbano amarla. Si dice che la natura è la nostra madre. Visto però che appare del tutto indifferente al nostro destino, penso sarebbe più corretto definirla matrigna. Però le matrigne, a ben vedere, non sono del tutto indifferenti al destino dei loro figliastri. Infatti, in negativo o in positivo, nutrono aspettative nei loro confronti. Si potrebbe dire che, forzando un po' il concetto,anche la natura un certo tipo di aspettative , del tutto inconsapevolmente, le cova: che ci riproduciamo e che infine, completato il nostro ciclo, diventiamo dell'ottimo humus fertilizzante (cosa che noi ultimamente rifiutiamo, facendoci tumulare in ottime e costose casse di legno o facendoci cremare e riporre in urne cinerarie). Ma perché dobbiamo amarla? Perché, se non lo facciamo, ci si "ribella" contro? Allora , se questo è il timore, dobbiamo certamente temerla, ma non amarla. Temere è ovviamente molto diverso da amare. Si teme qualcosa che può farti del male, si ama ciò che può farti del bene. Allora si dice che dobbiamo amarla perché è "bella" e che quindi è un peccato rovinare qualcosa che sollecita il nostro gusto estetico. Ma la bellezza percepita è un sentimento soggettivo. Infatti molti non provano questo senso di bellezza osservandola. In un certo senso bisogna restare "fanciulli" per provare quel senso di meraviglia davanti allo spettacolo della natura. Con il passare degli anni, questa sensazione si affievolisce, per poi scomparire quasi sempre.La cosa fa capire che la natura mette in atto, del tutto inconsapevolmente, una strategia ingannatoria per attirare l'uomo e indurlo ad amarla per desiderare così di prolungare la vita, la sua visione, e quindi riprodursi. Il sentimento più corretto sarebbe quindi quello di odiarla? Sarebbe assurdo, ovviamente, odiare qualcosa che ti inganna senza volerlo. La natura infatti non desidera ingannarti, ma è essa stessa una macchina per inganni. E come una macchina per produrre tappi di sughero non può produrne di plastica, così la natura non può che produrre inganni. Si può quindi adottare un atteggiamento indifferente nei suoi riguardi, come lei fa con noi? Ripagarla con la stessa moneta?Questa soluzione parrebbe la più logica, se non esistesse una disparità di forze tra noi e lei. Infatti noi possiamo distruggerla solo fino ad un certo punto, relativamente e probabilmente solo temporaneamente, mentre lei , del tutto inconsapevolmente, ci può annientare con indifferenza, probabilmente anche definitivamente. Come una persona schiaccia un foruncolo pruriginoso e ne fa uscire il pus, così la natura, infastidita, del tutto inconsapevolmente, ci può schiacciare definitivamente. Come si può amare quindi qualcosa che si può solo temere? Riuscite ad amare, per esempio, una persona che temete e dalla quale dovete proteggervi e lottare per tutta la vita, come contro la natura nostra stessa? Ci riuscite? Io no.
Non e' necessario forzarsi ad "amare" la natura. Personalmente amo stare e vivere nella natura il piu' possibile nel rispetto . Di una cosa pero' tutti dovrebbero ricordarsi : ossia la dipendenza dalla natura stessa da cui non prescinde la specie homo sapiens anche se molti individui pare continuino a credere all'opposto. Un'altra riflessione dovrebbe nascere spontanea : che la ns specie e' l'unica ad essere in cosi' netto contrasto distruttivo dei confronti dell'equilibrio generale.
Una anomalia sostanzialmente da "spazzare via" per il bene comune.
Penso che prima o poi succedera' e la natura sara' piacevolmente ( per se) afflitta dal "complesso di Medea" nei confronti di questo figlio bastardo.
Credo che la definizione di "amore" sia errata, la natura semmai va rispettata perché ne siamo parte e se la distruggiamo, facciamo del male a noi stessi. Il rispetto per la natura comprende anche una gestione intelligente della stessa, bisogna differenziare tra un rispetto intelligente della natura ed il naturismo. Facciamo un esempio, l'allevamento dei bovini fatto in edifici sigillati, con recupero del metano emesso, é poco naturista, ma é un intelligente rispetto della natura/ambiente.
Saluti
Buongiorno Atomista NP
Ma se la natura non si occupa del nostro bene, che le è del tutto indifferente, perché noi dobbiamo preoccuparci del suo? La risposta l'hai già data: per bisogno e per timore. Tu poi introduci la categoria del "bene comune", che è quanto di più astratto sia possibile immaginare. Infatti quello che tu ritieni un bene può non esserlo per un altro. Per esempio la vita. Per alcuni è un bene da preservare il più a lungo possibile, per altri una sofferenza da terminare il più velocemente possibile. La domanda che pongo però riguarda l'amore per essa: "Perché amarla?" Posto che amare per bisogno o per timore non è amare ( che richiede disinteresse di un tornaconto), l'unica possibilità è quella che riporti: per il piacere che mi dà. Anche questo però non si può imporre all'altro: "La natura è bella e piacevole e sei tu che non ne vedi la bellezza!". L'altro infatti potrebbe obiettare: "Quella che tu definisci come bellezza e piacevolezza è solo un inganno naturale. Sei tu che non lo vedi!".
Il contrasto distruttivo della nostra specie nei riguardi della natura non è forse dato infatti dall'ambivalenza del nostro rapporto con essa? Alcuni l'amano, altri la odiano, altri ancora ne sono del tutto indifferenti. Forse proprio perché le vicende"naturali" determinano il nostro sentire e la ragione ci fa comprendere la sua indifferenza nei nostri riguardi?
Non metto infatti in discussione la necessità di averne timore per il nostro stesso bene materiale, in questo concordo con Anthony, ma solo la necessità che si vuol culturalmente imporre di "amarla", senza che molti condividano questa "necessità".
Buongiorno Anthonyi
Bisogna però considerare, in questo caso, l'eventuale sofferenza dei bovini, a vivere incatenati e sigillati. Proprio perché siamo umani, quindi in parte natura e in parte spirito, possiamo decidere di non essere indifferenti alla loro sofferenza, come invece lo è la natura nei nostri confronti.
Salve Alexander. Sono felice nel constatare che hai le idee chiare sia circa la natura che circa l'amore. Non è facile - credimi - trovare chi - come te - capisce e crede che la natura possa esserci indifferente.........dal momento che noi possiamo fregarcene allegramente di essa, abbiamo sia una origine che un destino completamente estranei ad essa, che Dio è il pittore, noi il quadro e la natura solo la cornice.
L'amore poi.........essendo perfettamente facoltativo (all'amor non si comanda, appunto !)................essendo il sentimento che ci lega eventualmente a ciò che ci appaga o ci completa (qualche volta persino a ciò che ci serve).........non si capisce perchè mai dovrebbe rivolgersi alla natura, la quale non ha mai appagato nessun nostro bisogno o desiderio, non può completare le nostre esistenze perchè ci è appunto del tutto estranea, non serve e non servirà mai ad un fico secco per ciascuno di noi. Saluti ed auguri.
Buongiorno Alexander. Hai aperto un tema molto interessante, che subito ha fatto affiorare nella mia mente il famoso dialogo fra Sileno e il Re Mida, riportato da Nietzsche in Nascita della Tragedia:
«L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto.»
Se si condivide il pensiero del saggio Sileno, effettivamente non solo non dovremmo amare la natura, ma neppure noi stessi, breve parentesi nella evoluzione della vita, sia ontogeneticamente (come singoli individui) sia filogeneticamente (come specie, destinata fra poche centinaia di migliaia di anni ad estinguersi). Ma Re Mida potrebbe anche essere definito come uno dei primi eroi mitologici posseduti dall'hybris dell'uomo moderno, al punto che volle il potere di trasformare tutto ciò che toccava in oro.
L'odio o il timore che sviluppiamo contro la natura, nasce da questa hybris. Noi, che ci siamo così distaccati dal ciclo magico delle stagioni, che siamo in grado di trarre energia, invece che dagli schiavi, da minerali fossili (dalla natura quindi). Noi che siamo in grado di volare, di comunicare a distanze innaturali, a prolungare la nostra vita e a curare i nostri malanni, fino a farci credere possibile trovare un giorno la pietra filosofale, noi, siamo costretti nel 2020, a constatare che è (fortunatamente) ancora la natura a dettare le regole del gioco. Una natura indifferente alla nostra sorte, per la quale siamo, al massimo, un paragrafo della sua immensa storia. Si ripete, in fondo, con la Natura, la stessa domanda relativa al Dio absconditus, che non interviene più nella vita degli uomini, non si manifesta più come rovo infuocato, non manda più suo figlio a trasmettere la Buona Novella. La domanda allora è: "cosa dobbiamo fare per curare la nostra solitudine e la nostra finitudine".
Una risposta possibile è sentirci parte di questa orchestra naturale, al punto da poter condividere in una accezione laica, il Deus Sive Natura di Spinoza. Una accettazione gioiosa, che si sviluppa attraverso l'amor intellectualis, ovvero la gioia verso la conoscenza.
In aggiunta a ciò, bisogna essere platonicamente in medio res, senza cadere nelle due opposte fallacie, la fallacia naturalistica negativa, per la quale la Natura è matrigna e indifferente alla nostra sorte e la fallacia naturalistica positiva, per la quale la natura è lo scrigno di ogni valore. In realtà la natura, rispetto alla quale abbiamo questa posizione anche noi da centauri, come Sileno, è una grande avventura e noi possiamo con i nostri limiti e rispettandone sempre l'enorme potenza, cercare di studiarla, di conoscerne i segreti, come è stato fatto fin dalla creazione di un mondo simbolico da parte di homo sapiens ma che ha avuto un incremento vertiginoso ermeneutico a partire dal Rinascimento in poi. E noi, in quanto italiani, dovremmo essere orgogliosi di sapere, che il mondo attuale, compreso il suo rapporto con la natura e la sua conoscenza sulla natura è iniziato in un'epoca straordinaria e irripetibile come quella delle corti rinascimentali italiane del '400.
Buongiorno Viator
Non ho capito bene il senso del tuo post. Penso sia ironico. Va bene.
Però non rispondi alla domanda:"Perché amare la natura?". Invece Jacopus (buongiorno anche a te!) ne offre un motivo interessante: la natura come "scrigno" di conoscenze per la sete di sapere umana. Che è in effetti intrigante , se anche questo non fosse un motivo prettamente soggettivo. Al netto dell'interesse che posso avere nel conoscere i suoi segreti, devo sempre trovare il motivo per "amarla", che è altra cosa. Posso essere cioè interessato a conoscere il suo funzionamento anche odiandola o essendone indifferente, come sentimento nei suoi riguardi. E in effetti moltissimi scienziati non nutrono sentimenti d'amore verso la natura, ma interesse scientifico personale, magari per soddisfare la propria mente, o il proprio ego, o tutte e due. O anche solo per trarne gloria o profitto personale, o a ragione di un amore generico per l'"umanità".
Naturalmente non è in discussione il "rispetto" che dobbiamo nutrire nei suoi riguardi. Ne abbiamo così bisogno (almeno per ora) che il rispetto le è dovuto. Però il rispetto lo si prova anche verso un nemico potente, o un avversario terribile che può procurarci gravi mali e danni. E questo naturalmente non vuol dire che "dobbiamo amare" il nemico (anche se qualcuno l'ha affermato). Tempo fa mio figlio è tornato da scuola raccontandomi: "La mia maestra ci ha detto che DOBBIAMO amare la natura, se no vuol dire che non siamo rispettosi nemmeno degli altri bambini, perché la natura ci colma di doni. E' come se fosse un'altra mamma. La mamma di tutti".
Naturalmente questa maestra non ha un bambino ricoverato in un reparto ontologico e così può parlare dei "doni" meravigliosi della natura. ma lasciamo stare. Qui il problema è che si perverte fin dall'infanzia il sentimento stesso che può sgorgare nell'animo delle persone, instillando nei piccoli un senso di colpa , se non provano amore per questa madre meravigliosa. Diversa cosa sarebbe invece insegnare, più correttamente e logicamente, il rispetto dovuto a questa forza impersonale che ci sovrasta e la necessità di rispettarne le regole, pur combattendola aspramente (come si fa con medicine e vaccini vari, per esempio). Perché noi amiamo il piacevole che ci dà la natura (che meravigliose le passeggiata all'aria aperta! Si dice), ma poi la odiamo quando un virus naturale non ci permette più di passeggiare liberamente ( e allora si parla di "lotta", di "vittoria", ecc.). Allora un pò ipocritamente non associamo più il virus naturale con la "natura", che è invece per noi la meravigliosa "azzurra lontananza".
Sì l'uomo , come dice giustamente Jacopus, non è più un essere naturale, almeno in senso convenzionale del termine, ma un ibrido. Come le auto ibride moderne che abbinano un motore termico ad uno elettrico, l'uomo abbina alle pulsioni naturali quelle artificiali da lui prodotte. Quale essere umano sarebbe oggi in grado di vivere nella natura senza nulla tra le mani (nemmeno un accendino)? Nessuno probabilmente. Nemmeno gli ultimi indios.
Salve Alexander. Non ho esplicitato alcuna ragione per la quale si sia tenuti (o risulti consigliabile o semplicemente "di tendenza") amare la natura poichè l'amore non può essere oggetto nè di dovere nè di diritto nè di abitudine, costume, moda etc. etc. etc.
Sarebbe come chiedere perchè si deve amare Dio, o il nostro prossimo o quella grande gnoccona della mia vicina di casa !.
L'amore è FACOLTA' allo stato puro, quindi massima espressione di libertà.
L'amore è conseguenza del proprio modo di SENTIRE, non certo di quello del CAPIRE o del CREDERE DI CAPIRE O DI SAPERE !. Saluti.
Ho scritto sostanzialmente (forse in modo poco chiaro al cospetto dei piu') che "amare" la natura e' poesia e con la poesia non si mangia ( cosi' e' piu' terra terra , situazione che mi appartiene maggiormente). Esiste anche la prosa e con quella si mangia di piu'. Possiamo traslare amare in rispettare , rispettare alla lunga e' un investimento anche per il rispettante ( anche nei rapporti fra esseri umani e' cosi') . Forse pero' e' ignoranza mia non capendo che la domanda era intesa in termini puramente astratti. A quel punto .... perché amare qualunque soggetto si voglia ? E poi ... cos'e' l'amore ? Se qualcuno ha modo di misurarlo si faccia avanti.
Concordo con Viator: perchè amare ?
Concordo con anthony, la natura non va nè amata, nè odiata, ma semplicemente rispettata, per quanto è possibile. Il rispetto per essa passa dallo studio delle sue forme e delle sue leggi, che se da una parte ci dà modo di prevenire alcuni eventi naturali, dall'altra ci consente di capire in quale modo interagire con i meccanismi naturali a noi noti, senza farsi e fare troppo male. Ricordo un passo de " L'insostenibile leggerezza dell'essere", nel quale M. Kundera faceva dire a un suo personaggio più o meno le seguenti parole: " La natura? Quando sono in mezzo a un prato, mi vien fatto di pensare che in quel momento, mentre sto godendo la bellezza del paesaggio, magari poggiando saldamente i piedi su un formicaio, attorno a me si sta svolgendo una lotta senza quartiere per la sopravvivenza e la conquista da parte di entità a me invisibili e mi vien voglia di seppellire tutto sotto una colata di cemento". Questo paradosso mi fece riflettere: è meglio lasciare che la vita faccia il suo corso, cosiddetto naturale, anche se si tratta di un meccanismo di nascita/morte, lotta, prevaricazione e sofferenza, o cercare di "intombare tutto" dentro un bel sarcofago di cemento, bloccando questa spirale di violenza naturale? Essendo un paradosso dichiarato, la risposta è abbastanza scontata, ma la domanda fotografa abbastanza bene, secondo me, gli estremi dell' approccio umano verso la natura. Una giusta via di mezzo, penso sia l'atteggiamento più consono.
Citazione di: Alexander il 12 Febbraio 2021, 12:13:08 PM
Buongiorno Anthonyi
Bisogna però considerare, in questo caso, l'eventuale sofferenza dei bovini, a vivere incatenati e sigillati. Proprio perché siamo umani, quindi in parte natura e in parte spirito, possiamo decidere di non essere indifferenti alla loro sofferenza, come invece lo è la natura nei nostri confronti.
Ciao Alex, non credo i bovini soffrano troppo per il fatto di stare chiusi, i naturisti hanno anche la caratteristica di pensare che gli animali siano naturisti ma non è così, anche a loro fa piacere l'artificialita, pensa alle stesse vacche da latte alle quali fanno tanto piacere gli impianti di pulizia e strofinaggio (sono gli stessi che si usano per il lavaggio auto) che dopo averli usati fanno più latte.
Salve. Devo rettificare il mio pensiero. Poco addietro ho affermato, sbagliando clamorosamente : "L'amore è FACOLTA' allo stato puro, quindi massima espressione di libertà".
E' una castroneria. L'amore ha radice psichica (o spirituale, per chi creda in uno spirito), perciò è espressione istintuale (o divina, per chi creda in un Dio tradizionale), quindi sarebbe proprio il contrario di una facoltà, la quale è invece l'espressione di una mente (ragione) consapevole, la quale può anche contraddire la psiche-spirito.
Infatti, dicendo e ribadendo che l'amore non può essere oggetto di scelta od imposizione propria od altrui, si sottolinea che l'amore è qualcosa che - in un modo o nell'altro - CI COSTRINGE ad amare. Saluti.
Citazione di: anthonyi il 12 Febbraio 2021, 15:41:20 PM
Citazione di: Alexander il 12 Febbraio 2021, 12:13:08 PM
Buongiorno Anthonyi
Bisogna però considerare, in questo caso, l'eventuale sofferenza dei bovini, a vivere incatenati e sigillati. Proprio perché siamo umani, quindi in parte natura e in parte spirito, possiamo decidere di non essere indifferenti alla loro sofferenza, come invece lo è la natura nei nostri confronti.
Ciao Alex, non credo i bovini soffrano troppo per il fatto di stare chiusi, i naturisti hanno anche la caratteristica di pensare che gli animali siano naturisti ma non è così, anche a loro fa piacere l'artificialita, pensa alle stesse vacche da latte alle quali fanno tanto piacere gli impianti di pulizia e strofinaggio (sono gli stessi che si usano per il lavaggio auto) che dopo averli usati fanno più latte.
Bè, anthony, fermo restando che nessun animale da allevamento ha mai elevato formali proteste per le condizioni di artificialità a lui imposte dall'uomo, quanto dici smentirebbe clamorosamente tutto l'impianto normativo riguardante gli allevamenti biologici.
Nel mio primo intervento in realtà non ho risposto alla domanda "perché amare la natura". Ho provato solo ad indicare una terapia (blanda) al nostro esilio dalla natura. È del resto una terapia che L'uomo pratica fin da quando ha scoperto il linguaggio ed inventato i miti.
Ciò che è mutato da allora è la potenza esercitabile dall'uomo. Il primo passaggio fu da stato di natura (Adamo ed Eva nell' Eden) a stato di cultura. Ma quella cultura era talmente fragile da essere rovesciabile in ogni momento dal terremoto di Lisbona piuttosto che dalla peste nera. La natura era davvero temibile, matrigna, incomprensibile. Solo le divinità potevano essere un baluardo talvolta oppure una razionalizzazione (le cavallette inviate da Dio contro il Faraone, ad esempio).
Oggi, per quanto la natura abbia ancora riserve di potenza incommensurabili, l'uomo è in grado di replicare processi energetici, come mai prima nella storia umana, come, per fare l'esempio più noto, la fissione nucleare.
Non a caso siamo entrati nel cosiddetto antropocene. Ovvero i futuri geologi, per stabilire una data alla nostra epoca dovranno studiare e datare i nostri artefatti, in primo luogo i palazzi, che formeranno uno strato litico, in grado di raccontare non solo la storia culturale dell'umanità ma anche la storia geologica del pianeta terra.
A fronte di ciò, siamo davvero dei semidei, tecnicamente, ma con lo stesso cervello postscimmiesco come paventava Lorenz. Ed allora è necessario amare la natura, non in un modo ingenuo o naïf, come dei figli dei fiori con hi-phone, ma prendendoci cura di essa, perché oggi abbiamo il potere per farlo. È solo delle cose che si amano ci possiamo davvero prendere cura. Con lo stesso atteggiamento che abbiamo con i nostri figli. Potranno tradirci, ma noi non possiamo tradire loro.
Concordo largamente con Jacopus. Dissento solo su un punto: Dobbiamo prenderci cura della natura per il nostro stesso bene, ma non dobbiamo amarla. Non abbiamo questo obbligo. Possiamo infatti prendercene cura anche solo per bisogno e timore , non per il valore della natura in sé. Come ci prendiamo cura della nostra casa, magari sistemandola con l'ecobonus 110%, ma senza il bisogno di amarla, solo perché il tetto non ci piombi sulla testa, così ci dobbiamo prendere cura della natura ,senza però alcun obbligo morale verso di essa. Infatti il desiderio che ci assale, osservandola, è spesso simile a quello del personaggio di Kundera: una bella spianata di cemento e via! ;D
Mi pare che qui il problema più che la natura sia l'amore, antropologicamente inteso, con tutte le sue declinazioni e contraddizioni.
La natura sta lì: se ne impippa del nostro amore o odio. Ci lascia cementificare, asfaltare, inquinare e poi ci presenta il conto. Il che sarebbe già un buon motivo per amarla, perchè nel presentarci il conto ci costringe a crescere, moralmente e culturalmente. Come una mamma o una maestra, buona per definizione, anche quando è severa.
Buonasera Ipazia
"Buona per definizione " non significa buona realmente. Infatti , come giustamente scrivi, la natura "se ne impippa" del nostro amore umano verso di essa. E' rarissimo però trovare una madre che "se ne impippa" dei figli. Forse dei figliastri. Ecco perché la natura viene spesso definita come oscura e meccanica matrigna (Leopardi). Il fatto che metaforicamente ci presenti il conto è insito nella propria meccanicità di reazione, non certo nel suo "spirito educatore". Come "se ne impippa" del nostro amore o odio, se ne impippa certamente anche di educarci moralmente, non provando assolutamente nulla verso di noi. Nessun anelito di qualsivoglia cosa. E' il timore che ci educa; il timore di perdere il benessere artificiale, non naturale, che ci siamo costruiti.
Come ho scritto sopra l'amore va declinato all'umano e tale declinazione non deve necessariamente valere per la natura, qualunque cosa essa sia. Non sta scritto da nessuna parte che un amore deve essere ricambiato. Noi amiamo quadri, musiche, libri, artisti, luoghi, patrie, numi, ... indipendentemente dalla possibilità che l'oggetto del nostro amore contraccambi. Nietzsche amava la terra e i fato. Non so se terra e fato amavano Nietzsche. Ma egli aveva le sue ottime ragioni per amarli. Anche quando non sono "buoni" secondo i nostri valori perchè "ciò che non uccide, rafforza".
Leopardi evidenzia le contraddizioni di una banalizzazione "buonistica" della natura connessa alla retorica cristiana della divina provvidenza. La natura non si impippa delle proprie creature perchè le nutre e le conserva in vita. Indipendentemente dai sentimenti che i figli provano per lei. E una madre saggia perchè ci lascia fare, asseconda le nostre inclinazioni evolutive, ma è pronta ad intervenire quando la facciamo fuori dal vaso, perchè le prime vittime di tale comportamento siamo noi. La prossima volta staremo più accorti.
La domanda è infatti posta a noi e non alla natura: Perché (noi dovremmo) amare la natura (visto e appurato che lei non ci ama)? La domanda la pongo per mettere in dubbio l'assunto, sempre più diffuso e mediatico in quest'epoca del "green", di un supposto "dovere d'amore" nei suoi riguardi. Sempre più spesso si dice infatti che si deve amare la natura, che è cosa buona e giusta. Invece, ed è chiaro il concetto, abbiamo necessità di trovare un equilibrio con essa, ma nessun bisogno d'amarla, così come di odiarla. L'eventuale sentimento d'amore che si prova può al massimo rientrare nella categoria dell'inclinazione soggettiva, del godimento estetico, dell'eventuale piacevolezza che se ne prova frequentandola.
Dopo un lungo monologo l'islandese di Leopardi comprende infatti che la sofferenza è insita nell'uomo e di questo la responsabile principale è proprio la natura stessa. Natura che crea e poi tormenta gli esseri viventi, totalmente insensibile al destino degli esseri da lei creati. Natura che agisce secondo un processo di creazione e distruzione, meccanicisticamente, coinvolgendo tutte le creature.
Citazioneuna madre saggia perchè ci lascia fare, asseconda le nostre inclinazioni evolutive, ma è pronta ad intervenire quando la facciamo fuori dal vaso, perchè le prime vittime di tale comportamento siamo noi. La prossima volta staremo più accorti.
Non so se ho ben compreso quello che vuoi dire, Ipazia, forse ritieni che la Natura sia una sorta di educatrice, che ci raddrizza sulla base delle esperienze negative, che noi umani "monelli" ci ostiniamo a ripetere. In ciò vedo, però, una vaga riproduzione in effigie della Divina Provvidenza. Sarebbe anche utile se fosse davvero così, ma non è detto che impariamo la lezione prima della catastrofe finale, ovvero della autoestinzione della specie sapiens.
L'evoluzione non è fondata su una sorta di parallelismo con il concetto di progresso, cosa di cui era già consapevole Darwin, che avrebbe preferito il termine Trasmutazione ad Evoluzione, ma i suoi epigoni e il processo di divulgazione mediatica fecero trionfare il termine evoluzione, distorcendo non poco la teoria darwiniana.
Nessun finalismo, in breve. Homo sapiens potrebbe anche essere un esperimento fallimentare nella dinamica vitale di Caso e Necessità.
Citazione di: viator il 12 Febbraio 2021, 16:22:48 PM
Salve. Devo rettificare il mio pensiero. Poco addietro ho affermato, sbagliando clamorosamente : "L'amore è FACOLTA' allo stato puro, quindi massima espressione di libertà".
E' una castroneria. L'amore ha radice psichica (o spirituale, per chi creda in uno spirito), perciò è espressione istintuale (o divina, per chi creda in un Dio tradizionale), quindi sarebbe proprio il contrario di una facoltà, la quale è invece l'espressione di una mente (ragione) consapevole, la quale può anche contraddire la psiche-spirito.
Infatti, dicendo e ribadendo che l'amore non può essere oggetto di scelta od imposizione propria od altrui, si sottolinea che l'amore è qualcosa che - in un modo o nell'altro - CI COSTRINGE ad amare. Saluti.
Ciao Viator
Complimenti per la tua rettifica.
Che mostra, a mio parere, ancora una volta il tuo bisogno di Verità...
In effetti l'amore non può essere una facoltà, se intesa come capacità del volere.
Cioè non è possibile "voler" amare.
Ma sia ama o non si ama, a prescindere da qualsiasi volontà.
E' però forse possibile amare, ma non come atto di volontà.
Dico, forse, perché non è così certo che l'autentico amore esista davvero.
Chiamiamo sovente "amore" ciò che però non lo è. Magari è bisogno, possesso, piacere... ma non è amore.
D'altronde, anche quando questo amore pare essere davvero sincero, sono convinto che non si ami mai davvero qualcuno o qualcosa.
Ma sempre, se l'amore è "vero", e non ve ne mai certezza... si ami ciò che sta oltre quel qualcuno o qualcosa. L'oggetto d'amore non è mai davvero oggettivabile. E' più una mancanza, un vuoto, che però scalda il cuore.
Così ciò che si crede di amare è in realtà occasione, mezzo affinché l'amore scaturisca. Perché l'amore supera ogni sua determinazione.
Se questo amore è "vero", questa è la prova della volontà divina.
Se capita che scaturisca in noi uno slancio d'amore, verso non importa cosa, ecco la manifestazione di Dio!
L'amato può essere qualsiasi cosa, anche il più umile oggetto. Ciò che conta è l'amore.
Ma non è possibile amare come atto di volontà.
Amo o non amo non dipende da me.
Amare perciò la natura, può capitare oppure no, non dipende da noi.
Ma da Dio.
Dio ama se stesso.
Citazione di: Jacopus il 12 Febbraio 2021, 20:26:46 PM
Citazioneuna madre saggia perchè ci lascia fare, asseconda le nostre inclinazioni evolutive, ma è pronta ad intervenire quando la facciamo fuori dal vaso, perchè le prime vittime di tale comportamento siamo noi. La prossima volta staremo più accorti.
Non so se ho ben compreso quello che vuoi dire, Ipazia, forse ritieni che la Natura sia una sorta di educatrice, che ci raddrizza sulla base delle esperienze negative, che noi umani "monelli" ci ostiniamo a ripetere. In ciò vedo, però, una vaga riproduzione in effigie della Divina Provvidenza. Sarebbe anche utile se fosse davvero così, ma non è detto che impariamo la lezione prima della catastrofe finale, ovvero della autoestinzione della specie sapiens.
L'evoluzione non è fondata su una sorta di parallelismo con il concetto di progresso, cosa di cui era già consapevole Darwin, che avrebbe preferito il termine Trasmutazione ad Evoluzione, ma i suoi epigoni e il processo di divulgazione mediatica fecero trionfare il termine evoluzione, distorcendo non poco la teoria darwiniana.
Nessun finalismo, in breve. Homo sapiens potrebbe anche essere un esperimento fallimentare nella dinamica vitale di Caso e Necessità.
La Natura è una nostra invenzione. La cosa reale di cui essa è metafora è un insieme di processi chimico-fisico-biologici (natura), nei quali è coinvolta anche la nostra specie, regolati da "leggi" che non conoscono la giustizia all'italiana, ma vanno dritte per la loro strada fisico-chimico-biologica. Quando noi non rispettiamo quelle leggi, per hybris o ignoranza, la natura ci presenta il conto e ce lo fa pagare senza se e senza ma. Questa inflessibilità della natura alla lunga ci costringe ad evolverci culturamente ed eticamente per non ripetere gli errori che ci sono costati sangue sudore e lacrime. Alla lunga sopravvivono i Dedalo e periscono gli Icaro e questo fatto migliora la specie. Ma è anche possibile che gli Icaro si siano riprodotti in maniera così consistente da rendere la catastrofe inevitabile. La bomba demografica, e le sue ricadute sociopolitiche e tecnologiche, sono in agguato.
La natura sta a guardare, ma non prima di averci concesso gli attributi e strumenti conoscitivi per porre rimedio ai guasti. Compito nostro, non suo: in ciò sta la differenza con la provvidenza divina.
Vero Ipazia.
La natura è una costruzione culturale che si evolve nel tempo.
Con un senso di deja' vu non nego di provare sorpresa nel risentir parlare di natura come matrigna.
L'amore delle madri per i figli può essere descritto come un perfetto meccanismo che obbliga il singolo a scarificarsi per il bene della società.
Se si trattasse di una libera scelta saremmo già estinti , se , sempre dentro un possibile racconto naturale, l'evoluzione non avesse fatto piazza pulita delle madri "snaturate".
Si tratta comunque di un amore condizionato alla disponibilità di risorse e comunque il partito di quelli che amano la natura , senza sapere perché, e al quale appartengo, sembra oggi maggioritario. e Alexander ha il merito di farci notare che , in quanto tale, cerca di cambiare la legge elettorale a suo favore e mette in atto nelle scuole opere di indottrinamento.
Diciamo che la distinzione che si fa' fra natura, artificio e cultura è in generale un po' confusa, e il ripescare la personalizzazione della natura come matrigna , come fa Alexander, che saluto, mi pare come il ritorno a una fase ingenua dell'uomo dentro a una favola naturale.
Comunque questa inattesa e bella discussione ha il merito di farmi riflettere che c'è un amore verso la natura senza un perché ,della qual cosa mi compiaccio, perché gli amori senza un perché cosciente sono gli unici che funzionano.
Temere la natura "perché " vendicativa "temo" invece non funzioni, perché non incentiva il sacrificio/impegno del singolo, ma l'impegno di una ipotetica società non meno impersonale e favolistica della natura come a volte la disegnamo.
Ma per fortuna i singoli votano e così la democrazia ha la chance di essere il personaggio positivo che ci viene a salvare in questa favola.
Poi sarà anche un meccanismo, ma è sempre bello essere innamorati senza un perché.
È così che funziona.
Comunque , se riusciamo ad astrarci per un attimo dall'uomo, parlando di vita , essa è sopravvissuta a ben peggiori catastrofi naturali di quella che sembra essere in atto.
Il dominio attuale dei mammiferi è figlio di una quelle ripetute catastrofi che hanno a turno hanno appunto decretato la dubbia onorificenza di dominatori del pianeta a diverse specie.
Non dimentichiamo che per gran parte della storia del pianeta i microbi ne sono stati i dominatori, e lo sarebbero ancora se assistiti da una natura benigna .
Da un punto di vista evolutivo strettamente biologico, noi uomini, come singoli , non valiamo un pollo, residuale erede dei dinosauri, ex dominatori del pianeta.
Se dipendesse solo dalla biologia, in termini di efficenza dello sfruttamento delle risorse naturali, i polli dovrebbero dominare il pianeta , quantomeno per naturale discendenza dinastica, diciamo così ...
Diciamo pure quindi che la "natura" è stata fin troppo benigna con noi a eleggerci come dominatori.
Sono comunque chiamati a dirimere la questione dinastica sempre fattori accidentali , e quindi naturali per eccellenza.
Oggi l'arrivo di una meteorite, domani la nascita di una cultura.
La bellezza e il senso di stupore davanti alla magnificienza del paesaggio, è una cosa seria, che ha a che fare con la nascita del senso del mistico, nei culti proto-indoeuropee, ma presumibilmente di sapiens ..è presumibilmente la prima fonte del thauma, al quale sapiens si è genuflesso e per servire il quale è nata la società agricolo\sedentaria, non come derivato per eccesso di "opulenza" come i marxisti si ostinano ancora a sostenere, ma come causa prima. E' per evoluzione di quell'ammirazione che l'uomo si è fermato a guardare, prima il paesaggio, poi sé stesso, come estensione del tutto. Amore, quando predicato di natura, è iponimo di sentimenti più complessi, tempo perso - secondo me - stare a discettare se dev'essere timore, reverenza, rispetto, sono tutte sezioni dell'insieme, è qui che la filosofia anzichè chiarezza porta nubi, nell'ossessione parascientifica di sezionare continuamente. Natura è un iperonimo, un archetipo lessicale antico, che ben si accompagna con altri di suo pari, quando viene citato "Deus sive natura", la bilancia torna almeno apparentemente in equilibrio, l'equazione è riuscita,ma non è l'unica, quello è solo un meme. Strano poi , che quelli che si riempono la bocca di "amore per la natura" di solito non vi vivono, ma la visitano, la studiano, la fotografano, in definitiva la oggettificano, allontandonala dal soggetto, sé stessi. Strano? no.
Proprio la bellezza e il senso di stupore di fronte al paesaggio è quello che contesto e che definisco come l'inganno della natura. Possiamo provare attrazione intensa e ammirazione per il corpo lascivo di una prostituta e pensare che il suo ammiccarci significhi qualcosa. Senonché alla prostituta interessano solo i nostri soldi. In modo analogo, da sempre, la natura ha sedotto le sue creature, facendogli credere che qualcosa di "profondo" albergasse in essa: un'infinità di creature sovrannaturali si pensava l'abitassero; che i boschi stessi fossero pieni di "essenze" che prendevano vita e che si interessavano del destino degli uomini. Si è arrivato a immaginare anime dentro la scorza degli alberi. Quanto astuzia naturale per irretire l'uomo che infine, preso dal delirio per essa (come un uomo viene preso dal delirio per una donna che lo seduce, ma che non gli si dà mai veramente)la identifica con Dio stesso. La natura come modificazione della sostanza eterna di Dio. Che meraviglia! Ma , come scrive Ipazia...tutto questo inganno è fatto dall'uomo per l'uomo stesso, per il primordiale terrore, per ignoranza. Terrore naturale s'intende; quello che la natura stessa quindi prova per sé. E anche questo è inganno. La piccolezza dell'uomo davanti alla grandezza del paesaggio naturale e delle meravigliose creature che lo compongono viene ribaltata dalla prospettiva. Mi viene in mente il mio primo volo quando, salendo sempre più in alto vedevo ridursi sempre più il paesaggio e con esso, ridursi il senso di meraviglia, finché tutto divenne indistinto, vago. Realizzai allora l'illusione della "grandezza" della natura. Un semplice gioco prospettico. Però l'inganno è più come s'intende in senso musicale: un'armonia diversa da quella che s'immagina, che si prevede quindi. Noi pensiamo una cosa della natura mentre lei è altra da ciò che immaginiamo, suona una musica diversa che ci inganna.Vivendo poi, fortunatamente, questo inganno si affievolisce, con gli anni perde attrattiva, il bosco diventa finalmente silenzioso. La musica cessa. Stanchi ( o annoiati) di seguire la seduzione, lasciamo che la donna desiderata sorrida ad altri fessi.
P.s: Mi scuso se quello che scrivo non è politicamente corretto in quest'epoca di neoromanticismo "interessato" verso la natura. Sarà un effetto del Wuchaseng extract che sto prendendo.
A me sembra, Alexander, che siamo noi ad autoingannarci. Un autoinganno che è stato creato dalle nostre doti originali di riflessività sul mondo. Basta accettare la morte come passaggio naturale e l'inganno, almeno parzialmente scompare.
Sono invece d'accordo con te nel criticare una immagine edulcorata della natura, come luogo dell'armonia e della bontà. Chi lo dice non conosce probabilmente la lumaca leucochloridium paradoxum e il metodo terribile di certi suoi parassiti nell'annientarla. Una visione che, come rileva Inverno, abbonda frequentemente in chi la natura la mercifica come luogo di consumo, e che come ogni consumo va pubblicizzato e mitizzato. La conseguenza è un approccio alla natura falso e distruttivo anche quando apparentemente, viene elogiata. La stessa speculare incomprensione che può accompagnare chi descrive la natura (compresa la natura umana, Plauto docet ) come matrigna.
In questo caso, come in molti altri, permane la tendenza, fortemente radicata in noi, nel polarizzare i nostri giudizi, scindendo in modo assoluto ciò che, secondo noi, è bene da ciò che è male.
Buongiorno Jacopus
Sì sono d'accordo. Naturalmente quando si fa una discussione si tende inevitabilmente a polarizzarsi, proprio per necessità dialettica. Si prende cioè una parte contro un'altra. Una sorta di tenzone argomentativa. E forse è anche un bene, perché la tendenza ad andare verso una sintesi ("convergere al centro" si direbbe in politica) che vada bene, più o meno, per tutti, tende invariabilmente a chiudere la discussione stessa, come ho spesso verificato. In più la polarizzazione dialettica impone un continuo approfondimento della propria parte nella recita, con giovamento per tutti gli attori. Viviamo in un'epoca in cui si tende a smussare ogni conflitto, favorendo così un sordo conflitto sotterraneo, con esiti imprevedibili. Sono le stesse oscure forze naturali che ci fanno prendere parte.
Non capisco il riferimento all'"opulenza" dei marxisti rispetto alle società agricole/stanziali e penso che anche il thauma vada inquadrato in atteggiamenti psicologici illusional-scaramantici che hanno portato alla nascita delle religioni, animistiche prima e trascendenti poi.
Il passaggio da cacciatori, pescatori, raccoglitori ad agricoltori/allevatori è un passaggio tecnologico, con ovvie ricadute socioeconomiche, dipendente dalla presenza di specie vegetali e animali che si prestano alla bisogna: nella mezzaluna fertile tale passaggio è stato molto più agevole che nella cordigliera andina o in Tibet. Che poi agricoltori e cacciatori si affidassero agli dei per avere buoni raccolti e buona caccia è nella logica della psicologia umana e può spiegare anche un certo residuo ingenuo di animismo naturalistico attuale.
Il quale però, arcaico o contemporaneo, non esaurisce tutte le sfumature dell'amore, della natura, e dell'amore per la natura. La natura è madre, casa, cibo, paesaggio, benessere fisico e mentale,... restando nel "positivo" che è argomento "ontologico" divino. Tralasciando gli altrettanto indiscutibili aspetti infernali, in primis la condizione mortale dei viventi, ne rimane comunque abbastanza per innamorarsi. Senza pretesa di perfezione, che è cosa da metafisici, non da innamorati.
Salve. Insomma, tutta questa lunga discussione per trattare delle personali sensibilità psichiche.
Secondo me il quesito posto in partenza da Alexander - pur venendo giustificato dalla reale esistenza di tendenze socioculturali che si sono rafforzate nei tempi recenti (l'amore per la natura come sentimento eticamente "dovuto") - scaturisce da una visione teistica basata su di un semplice assioma che Alexander credo proprio trovi "naturale" :
solo degli insensati possono trovare doveroso o necessario amare la natura, poichè essa natura altro non è che creazione di colui al quale solamente deve venir indirizzato il nostro amore ed ogni altro genere di nostra dedizione.
Secondo me, quindi (ma magari Alexander potrebbe smentirmi) il principio dal quale il quesito è partito è semplicemente stato "Ma siamo matti ? Si deve amare il Creatore, non una parte del creato !".
Alla radice della visione del mondo di ciascuno di noi.......c'è solamente l'una o l'altra delle seguenti due tesi :
- Dio creò il Mondo (cioè la natura) perchè questo potesse ospitare l'Uomo, figlio prediletto..............................oppure....................
- Il mondo creò la natura, la quale espresse l'uomo, il quale, non potendo capacitarsi delle proprie origini, dovette inventarsi un concetto (ed un senso) divini che giustificassero la propria esistenza (per non parlare delle proprie speranze).
Saluti.
Buonasera Viator
Credo che Bergoglio, se leggesse quello che scrivo sulla natura, inorridirebbe. Un abisso separa il mio pensiero da quello teistico, in particolare cristiano, sull'ambiente. Ti cito solo alcune frasi dalla "Laudato sì", l'enciclica del papa di qualche anno fa:
1. «Laudato si', mi' Signore», cantava san Francesco d'Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l'esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».[1]
2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell'uso irresponsabile e dell'abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c'è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell'acqua, nell'aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c'è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.
Non so da dove prendi l'idea che il credente in Dio odi la natura. Tutt'altro. La natura è "dono" e " madre".
Pertanto respingo la lettura che fai della tesi sulla natura, che vedo come supremo inganno, che propongo in questa discussione.
La natura, per come ce la presenta la scienza, sappiamo cos'è. Possiamo intenderla anche filosoficamente come res extensa e la fenomenologia relazionale col noi/io cogitans non cambia. La questione che rimane aperta è sull'amore e la sua declinazione. In termini imperativi ? Come un Sollen, imperativo categorico, Kantiano ? o forse, tornando molto più indietro, come un Wissen abramitico: "Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino"(Genesi 4:1). Prescindendo dall'elemento patriarcale (evidentemente anche Eva "conobbe" Adamo), qui il connubio conoscenza-amore comincia a farsi stretto. Coinvolgere l'elemento amoroso con la conoscenza, piuttosto che col dovere, è decisamente più gratificante.
La via dell'amore attraverso la conoscenza ce la rammenta anche l'Ulisse dantesco con un'altra coppia emblematica: virtute e canoscenza. Virtute significa Bene e qui l'amore ci sta da Dio.
Migrando verso altezze meno siderali, laddove l'amore per la natura si converte in ricerca e scienza, sono i naturalisti a spingere l'amore verso la natura. Quei naturalisti che ci hanno insegnato che i predatori non sono cattivi, ma cercano di sbarcare il lunario, onestamente secondo quello che l'evoluzione naturale li ha fatti diventare. La medesima evoluzione che ha fornito le prede di attributi idonei a respingere l'assalto sacrificando solo i soggetti più vulnerabili in un contesto meta-fisico che si colloca al-di-fuori del bene e del male, ma va preso così com'è, come l'alternanza del giorno e la notte. Elaborando strategie, noi che ne abbiamo la grazia, per illuminare la notte e non farci bruciare dal giorno, ma godendo al contempo la notte e il giorno.
Virando verso la psiche umana è altrettanto constatabile che le pulsioni amorose e conoscitive si intrecciano tra loro in miriadi di situazioni e che il loro intreccio sia il più gratificante e prolifico possibile, così come l'esito della conoscenza che ebbe Adamo di Eva. Prolifico di vita. E si ritorna all'amore.
Salve Alexander. Prendo atto del fatto che le tue convinzioni circa le tue opinioni saranno certo più veritiere di quelle che io ho supposto.
Resta il fatto che non era affatto necessario proclamare che "i credenti non odiano la natura", essendomi io limitato a notare che essi credenti si limitano a "non amarla" particolarmente, atteggiamento da te stesso presupposto come PER CHIUNQUE ovvio e sensatissimo nel proporci il corrente "topic".
Circa poi le tradizioni francescane..............una cosa sono le realtà naturali che governano ferreamente la vita di tutti (santi ed eremiti particolarmente inclusi).........altra cosa sono i deliri mistici espressi in forma poetico-letteraria da chi - avendo scelto di vivere affidandosi alla beneficenza altrui od alla Divina Provvidenza - è stato a suo tempo in grado di ricavar del tempo per poter liberamente misticheggiare.Il vero, genuino rapporto con la natura era quello di chi era costretto a lottare contro di essa, non di chi sognava beatutudini extraterrene (infatti il "non amare particolarmente la natura" del quale tu ti sei fatto alfiere..........discende direttamente dalla realtà esistenziale contadina).
Infine, trovo quasi commovente citare le parole del Sommo Pontefice, il quale - come tutti i personaggi pubblicamente "visibili", deve comunicare non dicendo ciò che pensa, bensì dicendo ciò che il suo auditorio si attende che egli dica. Saluti.
Buongiorno Viator
Non sapevo che tu avessi il super potere di leggere nella mente degli altri, così da sapere che quello che dicono non è quello che pensano. Piacerebbe anche a me. :)
Questo super potere ti permette di capire che tutti i credenti in Dio non amano veramente la natura, ma riservano il loro amore "vero" per altro. Si tratta di miliardi di persone, anche molto diverse fra loro. E' veramente un potere enorme quello di cui disponi. ??? Va bene (noto una certa "animosità" da parte tua verso i credenti, che per molte cose può anche essere giustificata perbacco!)
A parte gli scherzi:
cit.:Resta il fatto che non era affatto necessario proclamare che "i credenti non odiano la natura", essendomi io limitato a notare che essi credenti si limitano a "non amarla" particolarmente, atteggiamento da te stesso presupposto come PER CHIUNQUE ovvio e sensatissimo nel proporci il corrente "topic".
Non ho affatto presupposto che per CHIUNQUE sia sensatissimo non amarla. Ho esposto le ragione per cui IO non riesco ad amarla e ho chiesto: "Voi ci riuscite?". In diverse risposte ho riscontrato che, con distinguo, diversi riescono, se non ad amarla alla follia, ad avere un sano interesse, di vario tipo, nei suoi riguardi. Naturalmente io penso siano vittime dell'inganno naturale. Ma è solo una mia opinione. Di fatto si può amare anche un inganno , o nutrire interesse per conoscerlo. Molti amano alla follia la propria donna, senza accorgersi delle enormi corna che gli stanno crescendo.
Noi siamo natura, quindi io vedo l'amore per la natura come amore per noi stessi, e l'odio o il disamore per la natura come trascendenza, come amore per altro da noi stessi.
Lo ripeto, noi siamo nella piena internità alla naturala: la contrapposizione tra uomo e natura è gioco, è illusione, è frivolezza, ma non è realtà, la realtà è il logos, la realtà è che in natura c'è continuità tra oggetto, vivente e vivente cosciente, e anche ammesso che noi siamo l'unico vivente cosciente, questo di certo non ci emancipa dalla natura, semmai ci porta a chiudere il cerchio di quello che la natura stessa, nella sua complessità è e può essere; lasciatemi quindi dire che siamo buffi, e anche un po' ridicoli quando prendiamo il dualismo tra noi e la natura come reale.
Quindi quando amiamo la natura, amiamo noi stessi, quando la odiamo, beh, odiamo noi stessi, il che, questo odio intendo, se non è rielaborato verso un desiderio per l'altro da noi stessi, verso una qualche forma di evoluzione o trascendenza, è molto problematico in senso psicologico ed esistenziale prima ancora che filosofico, l'odio per se stessi di solito rovina la vita, e porta solo problemi.
Però un certo odio per se stessi in piccola dose è necessario a migliorare, se non ci si odia nei propri aspetti e nei propri momenti della vita peggiori, non si migliora, e la natura è tutto di noi stessi anche le parti di noi stessi che non sono facili né salutari da accettare, anche i mostri che abbiamo dentro, la guerra, il cannibalismo eccetera, sono natura, quindi un certo tratto di natura va odiato, ed entro certi limiti la natura va odiata, bisogna vedere entro quali limiti, perché ogni atto di amore per se stessi e per l'altro in quanto completamento e proiezioni di noi stessi, è invece amore che ricade, nella realtà, sulla natura.
Quindi al di là dell'amore per il nulla, io in tutto questo discorso ci vedo l'alternativa tra amore narcisistico e amore oggettuale, quando amiamo la natura nel suo spettacolo sublime e ci sentiamo felicemente parte di essa vogliamo essere, quando combattiamo contro di essa e quindi sostanzialmente contro la prospettiva della morte e della nullità di ogni senso vogliamo divenire, e amiamo qualche suo aspetto in particolare contrapposto a qualche altro, perché questo è amore oggettuale, volere qualcosa di specifico al posto di
qualcos'altro, una necessità uguale e contraria a quella di amare se stessi nella pienezza attuale del cosmo e quindi lasciar disperdere la volontà nell'infinito: se accettassimo solo e soltanto l'ordine cosmico senza una minima contrapposizione ad esso, non avremmo nemmeno la forza per resistere alle sue avversità, moriremmo al primo temporale o alla prima tigre che ci si vuole mangiare, insomma l'ordine prevede la lotta, è ampiamente contemplato in natura che la natura sarà amata dai suoi figli, e che per altri versi e in altre occasioni sarà odiata, amandola, e odiandola, certo non la "sorprendiamo" in nessun modo.
Una breve parentesi che mi sento di aprire sul celebre passo del Sileno, l'uomo figlio del caso e della pena eccetera, il mito è metafora e ha dei significati profondi, qui il significato da non lasciarsi sfuggire secondo me è che il centauro (sileno) è metafora dell'uomo, l'uomo è l'animale che crede o sa di non essere completamente animale quindi il centauro è l'uomo, anche il re è l'uomo, quindi il tema del "sarebbe stato meglio non nascere", in senso sottile e oltre il significato letterale del mito, è il discorso dell'uomo all'uomo, non il discorso della natura all'uomo: l'ordine cosmico è già saturato dalla natura e quindi, come caso già contemplato in natura, dall' "uomo" corporeo come animale che negli istinti fondamentali dagli altri animali non si distingue; volersi distaccare dalla propria animalità è impossibile, e porta solo a un sovrappiù di sofferenza; in altre parole tutti i vivi dalla pulce alla balena sono figli del caso e della pena, non certo solo l'uomo, ma si può sperare e supporre che essi non lo sappiano, in quanto sono fuori dall'ordine della coscienza e del discorso, quindi il paradosso che il mito vuole farci cogliere è che per l'uomo, quantomeno per l'uomo adulto e razionale, il problema aggiuntivo è di saperlo e non poterlo ignorare, di essere figlio del caso e della pena, e lo sa per quell'ordine di amore e di discorso che gli proviene dall'aver interagito con altri uomini, piuttosto che con la natura. Delle bestie ci si può chiedere se siano dentro o fuori, da un destino di sofferenza sistematica e nevrotica dovuta alla consapevolezza della morte, del dolore e della fine di ogni senso, come farà ad esempio Leopardi nel canto del pastore errante; ma l'uomo può chiederselo degli animali, se soffrano o no in modo sistematico, perché egli è sicuramente dentro, questo sistema di sofferenza inevitabile, quindi la sua emancipazione dalla natura in un certo senso è, la sua sofferenza, va verso quello che sicuramente è sofferenza, distaccandosi da quello che è mistero e quindi può essere o non essere sofferenza, appunto il mutismo e la non comunicazione verbale delle bestie.
@Alexander.
Do' per scontato che tu non personifichi la natura.
Ma sicuramente ti sentì altro e ben distinto da essa, da cui la possibilità che quell'altro da te ti inganni.
Ma in che senso la natura ci inganna? Non mi è chiaro.
Buonasera Iano
cit.Ma in che senso la natura ci inganna? Non mi è chiaro.
Nel senso che ci appare bella e desiderabile, quando invece è un mostro orribile e indifferente (soprattutto indifferente).
Salve. La nature che ci inganna !!. Incredibile. Non è che per caso siamo noi a sentirci ingannati per via del fatto che consideriamo SINCERO ciò che soddisfa i nostri desideri (e che la natura, secondo noi, non fa), mentre troviamo INGANNEVOLE (in realtà la parola adatta sarebbe DELUDENTE) ciò che non li soddisfa ?.
Non c'è proprio nulla da fare : quasi nessuno riesce a parlare di ciò che è fuori di noi senza vestirlo di significati, intenzioni, preconcetti, desideri ESCLUSIVAMENTE UMANI.
Ma in questo modo non riusciremo mai a interrogare (nel senso di indagare, investigare) il Mondo, poichè non faremo altro che metterci davanti allo specchio interrogando la nostra immagine circa i nostri stessi desideri !. Saluti.
Citazione di: Alexander il 14 Febbraio 2021, 19:24:28 PM
Buonasera Iano
cit.Ma in che senso la natura ci inganna? Non mi è chiaro.
Nel senso che ci appare bella e desiderabile, quando invece è un mostro orribile e indifferente (soprattutto indifferente).
Se continui a personalizzarla posso condividere solo una natura indifferente, non certo mostruosa.
Ma se è indifferente perché questo dovrebbe essere un problema per noi?
Mi preoccuperebbe di più il contrario, se proprio devo personalizzare.
Citazione di: viator il 14 Febbraio 2021, 21:00:31 PM
Non c'è proprio nulla da fare : quasi nessuno riesce a parlare di ciò che è fuori di noi senza vestirlo di significati, intenzioni, preconcetti, desideri ESCLUSIVAMENTE UMANI.
Diciamo che è inevitabile.
La differenza sta nell'averne coscienza oppure no.
Questa coscienza mi pare stia crescendo, e perciò mi pare siano alle porte revisioni teoriche importanti.
Man mano che la storia della vita sulla terra viene meglio focalizzata è inevitabile che ciò accada.
La descrizione della natura non può che essere umana, ma non per questo è statica, perché noi ci muoviamo.
Prevedo forte avversione per queste nuove teorie, e mi chiedo se questa discussione non ne sia sintomo.
La questione non è da poco.
Mettiamola così.
Se è vero che ne tu ne' io ci sogniamo di personalizzare la natura ( non più), non ci farebbe però piacere che una nuova teoria tentasse di fare la stessa cosa con noi. Cioè di spersonalizzarci.
E cosa riusciamo a immaginare esserci più personale del nostro corredo genetico?
Proprio il fatto che sia personale si inizia a mettere
in dubbio.Si potrebbe dire che per i primi due miliardi di anni della storia della vita sulla terra hanno dominato i microbi, mentre oggi dominiamo noi?
Ma in che senso dominiamo? Se per magia si estinguessero tutti i microbi noi gli andremmo dietro.
Il contrario non è vero.
Le nostre storie oltre che inevitabilmente umane sono anche inevitabilmente semplicistiche, ma volendo le si può complicare, magari parlando di un DNA condiviso coi microbi che ci portiamo addosso.
Ma qui si parla appunto di idee ancora in divenire.
Ma su una cosa mi sono fatto una idea chiara.
Nessuno domina nessuno e su nulla.
Le diverse forme in cui si articola la vita non hanno mai smesso di stare sulla stessa arca.
La natura non inganna nessuno. Siamo noi che ci autoinganniamo su di lei. Un conto e non vederci provvidenza divina alcuna come fece l'ateo Leopardi, altra cosa è renderla un feticcio ingannatore, prendendo troppo alla lettera le licenze poetiche.
Salve iano. Citandoti : "Nessuno domina nessuno e su nulla".
Perfetto. Così ci intendiamo. Il nostro crederci "superiori" è perfettamente giustificato in quanto fisiologica produzione della nostra autocoscienza......ma il raziocinio (facoltà ulteriormente raffinata ed elevata rispetto alla funzione coscenziale) deve farci comprendere che tutto ciò che ci è estraneo (cioè esterno al nostro modo di sentire) è anche ciò che ci permette di vivere e di sentire quello che noi siamo o che crediamo di essere. Saluti.
Naturalmente quando si parla dell'aspetto orribile della natura si parla del suo aspetto estetico e non etico. Un giorno mi è capitato di svegliare, per sbaglio, un nido di serpenti che avevano fatto casa nel ventre di una carcassa di capriolo. Ne provai istintivamente un profondo senso di orrore e disgusto. Naturalmente per i serpenti la carcassa deve essere stata molto accogliente e protettiva, ma non ci stiamo chiedendo se per un serpente la natura si deve amare , odiare o essere indifferente, ce lo chiediamo in quanto umani, con senso estetico (ed etico) umano (per rispondere all'obiezione di viator, che presumo vorrebbe che ragionassimo come robot, se fosse possibile, senza alcuna emozione e senso estetico, e non come soggetti umani, con tutto quello che ciò comporta in positivo e negativo). Niko (Buonasera!) suggerisce che un certo grado di odio sia quasi inevitabile verso la natura, forse necessario. Invece, nel mio post iniziale, io affermo che è assurdo odiare la natura, essendo una forza del tutto indifferente ai nostri sentimenti e che l'indifferenza (verso il suo destino) sarebbe la scelta più logica se non fosse, come giustamente dice anche Iano , che siamo in presenza di una disparità di forza: lei può fare a meno di noi, ma noi non di lei (almeno per il momento, nel futuro , con cibo artificiale, aria artificiale, piante e paesaggi artificiali, ecc.non si sa se in gran parte ne faremo a meno). Quindi, come vedete, non ho nessuna intenzione di "personalizzare" la natura, se non per necessità dialettica. Quello che mi interessa è la risposta umana (etica e ed estetica) a questa forza del tutto indifferente al nostro destino.
Devo però specificare cosa intendo per "natura" in questo post: la forza generatrice degli esseri viventi, animali e vegetali e il suo rapporto di ordine logico, estetico, morale, con le facoltà dell'uomo .
"Niko (Buonasera!) suggerisce che un certo grado di odio sia quasi inevitabile verso la natura, forse necessario. Invece, nel mio post iniziale, io affermo che è assurdo odiare la natura, essendo una forza del tutto indifferente ai nostri sentimenti e che l'indifferenza (verso il suo destino) sarebbe la scelta più logica se non fosse, come giustamente dice anche Iano , che siamo in presenza di una disparità di forza: lei può fare a meno di noi, ma noi non di lei (almeno per il momento, nel futuro , con cibo artificiale, aria artificiale, piante e paesaggi artificiali, ecc.non si sa se in gran parte ne faremo a meno). Quindi, come vedete, non ho nessuna intenzione di "personalizzare" la natura, se non per necessità dialettica. Quello che mi interessa è la risposta umana (etica e ed estetica) a questa forza del tutto indifferente al nostro destino."
-------------------------------------------------------------------------------------------------
L'odio e l'amore mica hanno senso e sono possibili solo se sono ricambiati, tante volte nella vita odiamo o amiamo chi ci ricambia o col sentimento opposto (amore per odio e odio per amore) oppure con l'indifferenza (non ci si fila), e così vale pure per la natura, le più grandi avventure spirituali e/o filosofiche dell'animo umano nascono per un sentimento d'amore o di odio non ricambiato dall'amato o dall'odiato, sentimento che quindi ricade tutto addosso a chi lo prova, definendo in lui una dialettica interna, definendo insomma il mondo interiore di chi lo prova senza definire o scalfire il mondo, interiore o esteriore, dell' "oggetto d'amore" qualunque esso sia, che rimante intonso e sconosciuto al di là dell'odio e dell'amore, che dunque in definitiva definiscono solo l'auto conoscenza o l'auto inganno dell'amante o dell'odiante.
La tua indifferenza per la natura, se la natura ti è indifferente, ricade su di te, e infatti io volevo dire che la natura è l'ordine che ci comprende, quindi quando esprimiamo o diciamo di provare indifferenza verso l'ordine che comprende anche noi stessi, stiamo prendendo una posizione esistenziale e filosofica, quando non anche spirituale, molto caratterizzata e particolare, io direi di distacco e annullamento dell'io, perché io non accetto né la premessa che la natura sia altro da noi (folle, anche se molti in questa epoca ne sono convinti) né che la natura sia la vita (sbagliato, la natura è l'ordine spaziale, temporale e materiale che comprende tanto l'inorganico quanto la vita e la coscienza, probabilmente non c'è una forza particolare a generare la vita quanto una forza emergente, ovvero la complessità dell'inorganico genera la vita senza un salto netto, in un processo che è difficile anche solo da immaginare, e non potrebbe non comprendere il singolo essere, che da oggetto passa a vivente, ma una distribuzione molteplice di esseri che possono passare a viventi solo in quanto molteplicità.
Quindi spero che capirai se io distorco un po' il tuo ragionamento, tu dici indifferenza verso la natura, io di quello che tu dici capisco indifferenza verso un ordine che ti comprende, e quindi in un certo senso indifferenza di te stesso verso te stesso.
Buonasera Niko
Il problema è il "perché dobbiamo amarla?". Che è la domanda che pongo. Non sono costretto ad amare o odiare una persona, posso farlo o non farlo, ma la pressione sociale e culturale sul "dover amare" la natura si fa via via più forte. "Amare la natura" è l'autentico feticcio della nostra nuova era green. Vi invito pertanto ad un semplice esperimento per verificare se quello che dico è falso. Invitate a cena tutti i vostri amici (quando sarà finita la pandemia) e intavolate una discussione su Dio, sulla politica, sullo sport, ecc. Vedrete subito che criticare, anche pesantemente, questi soggetti non procurerà tensione, anzi, sarà motivi di indicibili offese, sfottò, battute, allegria,ecc. Poi provate a dire che non amate la natura e che anzi la trovate orrenda e verificate voi stessi la resistenza psicologica e l'indottrinamento subito dai vostri commensali. Nella migliore delle ipotesi vi guarderanno strano o penseranno che sicuramente li state prendendo in giro. Come non ami la natura? Tutti amano la natura! Non sarai per caso un pò depresso? C'è l'estratto naturale di wuchaseng!
Se invece dico che non amo Flavia, o Giulia, o Mauro (che sarebbero pure "esseri naturali") nessuno trova da ridire, né pensa che io sia "suonato" o disturbato. Nemmeno se dico che li odio o che mi sono semplicemente indifferenti. Ma non toccateci la natura (in senso astratto)! Perché non possiamo, liberamente, dire che non l'amiamo, non l'odiamo e che ci è indifferente? Tu stesso, velatamente, sembri dire: "uhm, ci deve essere qualche problema personale". io invece rivendico la libertà di dire che la natura di solito mi lascia indifferente, ma spesso mi disgusta esteticamente ed anche eticamente (eticamente perché il mio senso di giustizia, del tutto umano, pare a me ben superiore di quello inesistente della natura).
Devo aggiungere che per me l'essere umano non è del tutto naturale. Lo è in parte, ma in parte, per fortuna, non più del tutto ormai. E' un ibrido. Qualcosa solo in parte naturale e in parte capace di portare in giudizio la natura stessa.
Ciao Alexander.
Non intendevo dire che la natura possa fare a meno di noi, perché' non personalizzo, ma la restante vita sulla terra.
Possiamo dare diverse definizioni di natura e tu ti sei sentito in dovere di dare la tua , magari per evitare i fraintendimenti che lamenti nei confronti del tuo pensiero.
I fraintendimenti sono appunto figli di ciò che non si dice e si da' per scontato , mentre invece ognuno intende diversamente.
Ma secondo me l'idea che ci si possa affrancare dalla natura non è possibile fraintenderla, non perché certamente condivisibile, ma perché in qualche misura questa è stata l'illusione vissuta da molti di noi.
Vissuta e messa da parte definitivamente , e da ciò deriva credo il senso di spaesamemto che suscita in alcuni di noi il tuo pensiero.
Sappiamo fin troppo bene di cosa stai parlando.
C'è stato un tempo in cui avresti trovato largo consenso.
Ora, seppur fosse vero che alcuni dei tuoi commensali, più che esprimere opinioni sentite, si adeguino conformisticamente alle nuove opinioni correnti sulla natura, non si può negare che esiste una revisione generale del sentire comune sulla natura, innescata dalle sempre maggiori conoscenze storiche e scientifiche in merito.
L'idea che ci si possa affrancare dalla natura è ormai archiviata per i più.
Essa ha provocato vantaggi e danni.
Occorre incassare i vantaggi e porre rimedio ai danni, che temo essere preponderanti e che ci impegneranno per i prossimi millenni.
Se la scienza e la tecnologia ci hanno dato l'illusione di poterci affrancare dalla natura, la maggioranza di noi ha preso coscienza dell'errore, e siccome noi impariamo per tentativi ed errori, non ci resta che usare la stessa scienza per provare a rimediare.
L'investimento del futuro è quello fatto su quelle aziende che fanno ricerca per porre rimedio a ciò, consentendo di porre in atto azioni riparative.
Nonostante tutto ciò io sono ottimista, ma sarebbe volersi parare gli occhi non prendere coscienza del fatto che abbiamo un grosso problema che lasciamo in eredità alle generazioni future.
Personalmente non provo neanche un senso di colpa per cio.
Tutti possono sbagliare, ma non è permesso perseverare.
Per quanto riguarda il nostro senso estetico ed etico, esso avrà tutto il tempo di adeguarsi alle inderogabili necessità del momento, essendo un momento destinato a durare ancora per molto.
Ci si abitua a tutto quando la necessità lo esige, e ciò che, a torto o ragione , ci dava disgusto ,diventa la normalità di tutti i giorni.
In quanto filosofi o presunti tali, non ci teniamo all'unanime consenso che ucciderebbe il divertimento dialettico, ma per quanto riguarda l'atteggiamento nuovo verso la natura un consenso bulgaro può ben essere oggetto di eccezione auspicabile.
Ma siccome restiamo comunque filosofi il tuo dissenso ci torna pur sempre gradito.
Citazione di: Alexander il 15 Febbraio 2021, 00:45:15 AM
Buonasera Niko
Il problema è il "perché dobbiamo amarla?". Che è la domanda che pongo. Non sono costretto ad amare o odiare una persona, posso farlo o non farlo, ma la pressione sociale e culturale sul "dover amare" la natura si fa via via più forte. "Amare la natura" è l'autentico feticcio della nostra nuova era green. Vi invito pertanto ad un semplice esperimento per verificare se quello che dico è falso. Invitate a cena tutti i vostri amici (quando sarà finita la pandemia) e intavolate una discussione su Dio, sulla politica, sullo sport, ecc. Vedrete subito che criticare, anche pesantemente, questi soggetti non procurerà tensione, anzi, sarà motivi di indicibili offese, sfottò, battute, allegria,ecc. Poi provate a dire che non amate la natura e che anzi la trovate orrenda e verificate voi stessi la resistenza psicologica e l'indottrinamento subito dai vostri commensali. Nella migliore delle ipotesi vi guarderanno strano o penseranno che sicuramente li state prendendo in giro. Come non ami la natura? Tutti amano la natura! Non sarai per caso un pò depresso? C'è l'estratto naturale di wuchaseng!
Se invece dico che non amo Flavia, o Giulia, o Mauro (che sarebbero pure "esseri naturali") nessuno trova da ridire, né pensa che io sia "suonato" o disturbato. Nemmeno se dico che li odio o che mi sono semplicemente indifferenti. Ma non toccateci la natura (in senso astratto)! Perché non possiamo, liberamente, dire che non l'amiamo, non l'odiamo e che ci è indifferente? Tu stesso, velatamente, sembri dire: "uhm, ci deve essere qualche problema personale". io invece rivendico la libertà di dire che la natura di solito mi lascia indifferente, ma spesso mi disgusta esteticamente ed anche eticamente (eticamente perché il mio senso di giustizia, del tutto umano, pare a me ben superiore di quello inesistente della natura).
Devo aggiungere che per me l'essere umano non è del tutto naturale. Lo è in parte, ma in parte, per fortuna, non più del tutto ormai. E' un ibrido. Qualcosa solo in parte naturale e in parte capace di portare in giudizio la natura stessa.
Al di là dell'ideologia e del conformismo, che persiste ampiamente anche nell'epoca postmoderna, e per la quale la natura offre un'alternativa rigida, tanto quanto i meccanismi biologici, alle arbitrarie narrative antropogeniche duttili agli interessi della maggioranza, c'è un elemento esperienziale che convince intuitivamente e che catalizza considerazioni etiche. Coordinare e sincronizzare la propria vita prendendendo a riferimento dei meccanismi "naturali", ha dei vantaggi immediati sulla psiche e il corpo, chiunque ad un certo punto lo sperimenta, anche solo per gioco, e la maggior parte ne conviene che la natura deve essere intrisecamente buona, perchè molto egoisticamente, capirla o coordinarsi con essa porta a vantaggi personali. Se a questo lato pratico e utilitaristico, aggiungi una spolverata di filosofia, si tratta di una pillola molto facile da deglutire, anche se questo non significa che poi effettivamente le persone ne traggano le debite conseguenze, rimane una posizione semplice, utile, e socialmente aggregante.
Curioso ma sintomatico della tristezza del nostro tempo che per convincere di un argomento ovvio fin dalle prime civiltà superiori, ovvero che senza armonia con la natura non ci può essere per gli uomini alcuna vera felicità, si debba ricorrere all'argomento dell'egoismo e dell'utilitarismo...
Anche qualche bagliore di intelligenza, per essere credibile, deve essere ridimensionato all'uso strumentale del bene "natura" per gli effetti positivi del proprio benessere, perché appunto non c'è nient'altro, solo la ricerca del proprio confort (almeno tra le masse, tutta un'altra storia per i pensatori, loro sì nobilissimi e spiritualissimi, che delle masse hanno questa visione...).
Vivere in armonia con la natura è impossibile. Se l'uomo fosse per assurdo un essere del tutto naturale passerebbe la sua vita a difendersi da essa, come tutte la altre specie, che si danno la caccia spietata l'una con l'altra, non certo a godere della natura e a provare pace vivendo in essa. Le due emozioni umane fondamentali, la rabbia e la paura, sono esattamente il prodotto dell'evoluzione nella natura. E tutti coloro che provano rabbia o paura sanno bene che, in quei momenti, non è possibile alcuna "pace naturale".
Nell'antichità, in un'epoca quindi in cui l'uomo viveva ancora potentemente legato ad essa, la duplice faccia della natura (ingannevole quindi) era ben nota: essa era sia un "locus amenus", sia un "locus horridus" (come sostengo personalmente). Amenus in quanto sinonimo di pace, meraviglia e serenità, ma questa è solo una faccia della medaglia. L'altra è quella horrida, instabile, pericolosa e soprattutto spietata. Nella nostra "infanzia" come genere umano avevamo un rapporto con la natura paragonabile a quello che c'è tra un bambino e un genitore severissimo, dal quale è terrorizzato ma nello stesso tempo magneticamente (ecco l'inganno!) attratto.
Ancor prima, ma soprattutto da Newton in poi, si è cercato sempre più di dominare questa forza cieca e spietata, di imbrigliare e sfruttare la sua energia. Un compito e un obiettivo ancora in atto, ma ben lontano dall' essere raggiunto. Perché, quando si crede di aver capito, ecco che tutto ritorna in discussione, il limite si sposta. Come nell'epoca che stiamo vivendo. Anche i romantici, cioè i puri fautori della visione idilliaca della natura, avevano capito che era impossibile frenare l'essere umano dal suo desiderio, o meglio impulso, che sollecitava gli scienziati: quello di oltrepassare la natura e di imbrigliarla all'interno di regole fisse.
Le rigorose leggi scientifiche vennero poi messe in discussione da Einstein. Da quel momento i postulati divennero semplici teorie. Ciò che era certo della natura divenne una possibilità, in un'infinità di molte altre.
Le leggi newtoniane divennero quasi un'"apparenza", ossia la forma che la natura aveva "scelto" per mostrarsi al livello dell'ibrido umano. Non solo sui livelli dell'enormemente grande o infinitamente piccolo, ma anche in ambiti relativamente "sicuri" ci sono molte incertezze. Basta pensare che, nel disastro provocato dallo tsunami naturale sulle coste giapponesi, nonostante l'attento e continuo monitoraggio delle faglie litosferiche, nessuno è stato capace di prevedere l'evento, e la conseguente rottura della centrale nucleare di Fukushima.
Come affermano A. Voodcock e M.Davis nel libro La teoria delle catastrofi: "La speranza che tutti i fenomeni naturali possano essere spiegati in termini di materia, di forze fondamentali e di variazioni continue è più esile di quanto si creda anche negli ambiti di ricerca più familiari".
Caro Alexander credo che tu possa leggere tutti i libri autorevoli che vuoi, ma da quelli estrarrai solo quei labili indizi che possano nutrire il tuo pessimismo cosmico, sulle cui origini sarebbe fin troppo facile fare ipotesi col rischio di offenderti inutilmente , per cui mi astengo .
Farti uscire da questo loop negativo mi sembra impresa ardua., infatti.
Salve Alexander. Citandoti, inserisco tra le tue seguenti righe il mio commento in grassetto : "Nella nostra "infanzia" come genere umano avevamo un rapporto con la natura paragonabile a quello che c'è tra un bambino e un genitore severissimo (forse severissimo ma certo espertissimo), dal quale è terrorizzato ma nello stesso tempo magneticamente (ecco l'inganno!) attratto (Ma quale terrorizzato ??. Ma quale attratto ?? Volevi forse dire soggetto e (soprattutto) DIPENDENTE COMPLETAMENTE dal genitore !)".
-----------------------------------------------------
Iano ha ovviamente ragione. Il rapporto genitore-figlio è (in via (!!) "naturale") regolato dall'amore che il figlio dovrebbe portare a chi lo ha generato e lo accudisce. Vedi tu se invece - secondo te - deve basarsi sul terrore. A Milano direbbero : "robb de matt !!!". Saluti.
Vi ringrazio per gli argomenti che avete portato nella discussione. E' stato molto interessante. Credo che, a questo punto, qualunque argomento ulteriore possa portare non cambierà l'etichettatura che mi avete cucito addosso e quindi ritengo, da parte mia, conclusa la discussione, ritirandomi in buon ordine nel mio loop esistenziale ;D .
Citazione di: Alexander il 15 Febbraio 2021, 00:45:15 AM
Buonasera Niko
Il problema è il "perché dobbiamo amarla?". Che è la domanda che pongo. Non sono costretto ad amare o odiare una persona, posso farlo o non farlo, ma la pressione sociale e culturale sul "dover amare" la natura si fa via via più forte. "Amare la natura" è l'autentico feticcio della nostra nuova era green. Vi invito pertanto ad un semplice esperimento per verificare se quello che dico è falso. Invitate a cena tutti i vostri amici (quando sarà finita la pandemia) e intavolate una discussione su Dio, sulla politica, sullo sport, ecc. Vedrete subito che criticare, anche pesantemente, questi soggetti non procurerà tensione, anzi, sarà motivi di indicibili offese, sfottò, battute, allegria,ecc. Poi provate a dire che non amate la natura e che anzi la trovate orrenda e verificate voi stessi la resistenza psicologica e l'indottrinamento subito dai vostri commensali. Nella migliore delle ipotesi vi guarderanno strano o penseranno che sicuramente li state prendendo in giro. Come non ami la natura? Tutti amano la natura! Non sarai per caso un pò depresso? C'è l'estratto naturale di wuchaseng!
Se invece dico che non amo Flavia, o Giulia, o Mauro (che sarebbero pure "esseri naturali") nessuno trova da ridire, né pensa che io sia "suonato" o disturbato. Nemmeno se dico che li odio o che mi sono semplicemente indifferenti. Ma non toccateci la natura (in senso astratto)! Perché non possiamo, liberamente, dire che non l'amiamo, non l'odiamo e che ci è indifferente? Tu stesso, velatamente, sembri dire: "uhm, ci deve essere qualche problema personale". io invece rivendico la libertà di dire che la natura di solito mi lascia indifferente, ma spesso mi disgusta esteticamente ed anche eticamente (eticamente perché il mio senso di giustizia, del tutto umano, pare a me ben superiore di quello inesistente della natura).
Devo aggiungere che per me l'essere umano non è del tutto naturale. Lo è in parte, ma in parte, per fortuna, non più del tutto ormai. E' un ibrido. Qualcosa solo in parte naturale e in parte capace di portare in giudizio la natura stessa.
Ti sbagli se pensi che ho voluto dire che "hai un problema" o "sei depresso", la natura per me è mondo e vita, e l'indifferenza verso il mondo o verso la vita è anche essa, presa nella giusta misura e "a piccole dosi", un antidoto alla sofferenza e una possibilità di sperimentare stati più ampliati di coscienza e che siano al dì là del bene e del male, e non certo un atteggiamento eticamente ripugnante o sbagliato, insomma la "divina indifferenza" concepita come meta a cui potrebbe giungere, o quanto meno aspirare, anche l'uomo, o tutto il nichilismo orientale che prevede un certo grado di auto-osservazione e distacco, non sono certo cose solo per gente depressa, o che ha un problema, tutt'altro.
Quello su cui non ti do ragione è semmai l'esternità in generale della natura come prendibile a "oggetto" di un "soggetto" e l'estraneità dell'uomo dalla natura, la natura siamo noi, per me c'è un ordine superiore in cui la nostra tecnologie e le nostre autoproclamate possibilità di scelta sono tutte già previste e contemplate, con la natura che si auto-continua in noi e nella nostra tecnologia, quindi se vogliamo essere indifferenti alla natura, siamo indifferenti a noi stessi, quello che dice la maestra conformista del tuo intervento, riportato quindi al mio punto di vista, è che amando la natura dobbiamo amare noi stessi, quello che tu hai ben ragione di replicare alla maestra conformista, è che degli esseri che si amano sempre e comunque -amano sempre e comunque loro stessi-, qualunque cosa succeda, che non hanno autocritica e auto spirito di sacrificio, sono esseri A narcisisti e B deboli, cose che vanno insieme, infatti Narciso tanto era innamorato di se stesso che si è indebolito fino a morire di fame e di sete, o, in altre versioni del mito, è affogato, che è quello che succede a chi non approccia la natura, appunto, con un grado minimo di antagonismo che possa servire per andare a caccia, evitare i pericoli eccetera, raccogliere le giuste bacche eccetera. Spero di essere stato più chiaro adesso.
Citazione di: Alexander il 15 Febbraio 2021, 11:28:54 AM
Vi ringrazio per gli argomenti che avete portato nella discussione. E' stato molto interessante. Credo che, a questo punto, qualunque argomento ulteriore possa portare non cambierà l'etichettatura che mi avete cucito addosso e quindi ritengo, da parte mia, conclusa la discussione, ritirandomi in buon ordine nel mio loop esistenziale ;D .
Va bene, alla fine ti ho offeso, e ti chiedo scusa.
Comunque anche secondo me questa discussione è giunta a fine. >:(
L'uomo ha, verso la natura, storicamente e culturalmente diverse visioni, anche contrastanti.
Il rapporto determinante in Occidente è stato fra tecnica e natura.
Anticamente, ma non solo, la natura è temuta e quindi rispettata. La dipendenza umana rispetto alla natura diminuisce in Occidente con l'avanzare della tecnica che dà l'artefatto tecnologico , ma sempre dopo aver carpito dalla natura stessa i suoi segreti e meccanismi.
L'antico accettava la regola naturale e lo concepisce con riti propiziatori .
La tecnica rovescia il concetto , prima copia dalla natura i suoi meccanismi e poi con l'artefatto che incorpora conoscenza addirittura si scontra contro la natura.
Direi che il sentimento più confacente ne l rapporto fra uomo e natura è stato culturalmente il "timore", che se prima anticamente confluiva nel rispetto, nell'accettazione della regola naturale, poi con il crescere della tecnica diventa un "tentare di liberarsi dal vincolo naturale...." pur sapendo che comunque siamo naturali.
L'"amore" per la natura è di genere estetico: bellezza e mistero . Si può amare per un fascino misterico che la natura ha implicitamente, ma in realtà detta da sempre la regola di nascere ,crescere, riprodursi e infine morire individualmente, per continuamente costruire quell' eterno ritorno . La natura salvaguarda se stessa non gli individui singolari che appaiono e scompaiono, ricompaiono non per singolarità, ma per generi, famiglie ordini, per tassonomie zoologiche, botaniche e aggiungiamo gli inorganici minerali.
Il rapporto natura/cultura si sposta nella cultura ,come detto, all'aumentare delle conoscenze tecniche umane. Il problema si pone quando l'uomo supera la soglia di rispetto verso la natura ed è il problema creato dalla modernità ed esaltato nei nostri giorni dalla bioetica. Quando la nostra conoscenza tecnica può alterare la natura ci si accorge che la natura si ritorce contro noi stessi. Per questo ai nostri giorni rinasce la zona di rispetto , ma non è affatto amore, è ancora timore, timore per noi non per la natura, timore poiché la natura iscrive già dalla nascita un "devi morire", un destino individuale affinché la natura continui i cicli di generazione, morte e rigenerazione........
La vera battaglia culturale dell'uomo è vincere la morte, nella cultura occidentale, questo significa costruire del tutto artificialmente un'altra natura che ne ricrei lo stato naturale ma non le condizioni regolative del destino implicito nella regola naturale. Un umano naturalmente muore su Marte, ma se ricostruisco lo stato naturale, dai gas respirati , alle serre artificiali, alla rigenerazione degli scarti in risorse di nuove materie prime, costituisco un ambiente biologico . Se alteriamo i geni del DNA, se possiamo clonare, fecondare artificialmente se possiamo agire su embrioni umani.......è chiara l'alterazione e rientra allora nella bioetica: quale è il confine il limite fra stato e condizioni naturali rispetto alle alterazioni degli artefici tecnici utilizzati dalle scienze sul bios umano?
Quindi l'amore per la natura è un aspetto estetico, anche interessante come arte, ma il problema vero è culturale, la relazione natura/uomo da accettazione in occidente è divenuta conflittuale di fatto , non accettiamo catastrofi naturali seppure fanno parte della stessa caotica rigenerazione e modellazione della stessa natura, non accettiamo che potrebbero esserci siccità, alluvioni, eruzioni vulcaniche ,terremoti , perché ci viviamo e il nostro vivere vuole essere "sicuro", lungo, felice....pianificabile, mentre la natura può scompigliare le carte e romper il nostro ordine mentale con le sue regole naturali.
Non esiste la NATURA, esiste Dio che è Amore assoluto e quest'Amore permea la natura intera e la rende vivibile e bella, tale da emanare una grande bellezza che è il riflesso del Creatore stesso. Dio è assolutamente amorevole e non inganna nessuno, Leopardi, Schopenhauer e tutti i pensatori pessimisti che definivano la natura come matrigna e crudele erano loro ad essere ingannati dal loro sostanziale ateismo e nichilismo, che li portava a vedere solo il lato apparentemente negativo delle cose. La natura è ordine, armonia, ogni elemento è al suo posto e nulla è stonato nella natura e tutto in essa concorre al bene del tutto, anche la morte concorre al bene e all'armonia dell'intero sistema, il fatto che ad esempio l'animale carnivoro mangia la preda è un fatto positivo perché consente alla vita di continuare e di perpetuarsi. Gli aspetti apparentemente "negativi" sono tali solo se visti dalla nostra limitata ottica umana, io credo che anche le malattie genetiche hanno il loro perché nel sistema del mondo, se esistono vuol dire che vi è una ragione del loro essere e questa ragione non può essere che positiva, visto che è l'Amore a muovere il tutto.
Io affermo quindi in contrasto con tutti i pessimismi con Leibniz che questo mondo è il migliore dei mondi possibili e che non può esserne concepito uno migliore
Salve Socrate 78. Citandoti : "Io affermo quindi in contrasto con tutti i pessimismi con Leibniz che questo mondo è il migliore dei mondi possibili e che non può esserne concepito uno migliore".
Il problema è che non se ne può concepire uno diverso, se non per dettagli parziali che risulterebbero alla fine incompatibili con qualcosa di tutto il resto. Circa il "migliore", sarebbe comunque impossibile mettersi d'accordo sul significato di tale termine.
Comunque, un applauso al tuo ottimismo ed una censura alla tua parzialità. Il primo è conseguenza del tuo modo di credere in ciò che senti interiormente. La seconda invece ti è dovuta per logica, la quale logica non conosce nè il migliore nè il peggiore dei mondi possibili, bensì solamente l'unico mondo possibile (indipendentemente dalla realtà od illusorietà dell'esistenza di Dio). Saluti.
Ciao Socrate78
Affermare che "è l'Amore a muovere il tutto" non è secondo me è sufficiente. Occorre chiarire come si deve intendere questo Amor che move il sole e l'altre stelle.
Per quale motivo dovrebbe essere Vero?
Perché questa non può essere la semplice constatazione di come vanno le cose.
Non siamo nel paradiso terrestre. Vi è il male, ingiustizia, innocenti che soffrono orribilmente per poi morire senza che vi sia alcun senso...
Se si vuol davvero tener fermo Dio = Bene, questo si scontra con il male, che c'è.
Affermare invece che no, che il male è soltanto il frutto di una nostra errata interpretazione, cosa implica?
Non implica forse che il mondo, la natura, sono ben diversi da come normalmente li intendiamo?
Se il male in realtà non c'è, ciò non vuol forse dire che non c'è nessuno che soffre?
Perché la sofferenza, il dolore, ci sono. Senza ombra di dubbio!
Ma, se è davvero l'Amore a muovere tutto, questa sofferenza, questo dolore, non sono però male, perché... non c'è nessuno che soffre.
Citazione di: Kobayashi il 15 Febbraio 2021, 09:32:46 AM
Curioso ma sintomatico della tristezza del nostro tempo che per convincere di un argomento ovvio fin dalle prime civiltà superiori, ovvero che senza armonia con la natura non ci può essere per gli uomini alcuna vera felicità, si debba ricorrere all'argomento dell'egoismo e dell'utilitarismo...
Anche qualche bagliore di intelligenza, per essere credibile, deve essere ridimensionato all'uso strumentale del bene "natura" per gli effetti positivi del proprio benessere, perché appunto non c'è nient'altro, solo la ricerca del proprio confort (almeno tra le masse, tutta un'altra storia per i pensatori, loro sì nobilissimi e spiritualissimi, che delle masse hanno questa visione...).
Concordo totalmente. Anch'io resto basita che si debba giustificare materialmente, eticamente e filosoficamente la necessità di trovare il modo migliore per convivere con la natura e beneficiare dei suoi frutti senza farci travolgere dalle sue forze. Cosa che animali molto meno dotati di noi di materia grigia fanno così "naturalmente". Mi sa che a forza di lanciare il cervello oltre l'ostacolo l'abbiamo lanciato al macero :(
Appena detto che la discussione è chiusa sono venuti fuori nuovi contributi decisamente interessanti.
A Paul11 vorrei dire che l'amore per la natura, quello più passionale, non è l'estasi dell'artista che si bea della sua bellezza e cerca di catturarla nella sua opera ma quella dello scienziato che la spoglia dei suoi misteri e la possiede. Poi sì, viene la volgarità, peraltro assai utile, della tecnica che spesso, troppo spesso, imbarbarisce il tutto. Ma con un minimo sindacale di evoluzione etica si dovrebbe correggere anche quel tiro.
Concordo pure sul fatto che dolore e sofferenza vanno fatti decantare nel senso di un tutto universale che aiuta la mente a liberarsi del loro peso. Ce lo insegna Epicuro, la via della verità buddista e tutti quei pensatori che hanno avuto un'ampiezza di sguardo tale da illuminare il mondo. Non so se questo sia il migliore dei mondi possibili, ma è quello che ci è capitato in sorte e l'amore dovrebbe aiutarci a renderlo migliore, non peggiore, di come l'abbiamo trovato. Noi, che più di ogni altra specie vivente, abbiamo questo testamento nel nostro dna.
Come suggerisce Ipazia, quando si enuncia che il tema ormai è esaurito ecco spuntare altri interessanti interventi. Se ne potrebbero ricavare altri ulteriori topic. Vorrei approfondire la tematica dell'uomo interno/esterno alla natura. Vedo il problema di difficile soluzione. Inevitabilmente l'uomo fa parte della natura. La sua elica genetica è il frutto di passaggi del tutto naturali che proseguono da milioni di anni. Ma quello che è accaduto negli ultimi 10.000 anni, quindi almeno dalla rivoluzione agricola in poi, ci ha reso qualcosa di "parzialmente" naturale e "parzialmente" culturale, al punto che la natura non è più in grado di controbilanciare gli squilibri che spargiamo magnanimamente sul pianeta terra. Squilibri che sono iniziati ancor prima. Pare che homo sapiens sia il responsabile della fine di 50 grandi mammiferi americani su 60, fra i quali il mammuth lanoso, la tigre a denti a sciabola il leone gigante americano, per citare i più famosi, animali che erano con noi fino a poche migliaia di anni fa, ovvero finchè l'uomo non attraversò lo stretto di Bering. La cultura ha modificato profondamente il comportamento naturale dell'uomo. Senza una formazione religiosa, sociopolitica, tradizionale, filosofica, non sarebbero possibili eventi quotidiani come circolare ordinatamente su un'autostrada. Oppure provate a mettere 100 scimpanzè in un contesto militare o industriale, o semplicemente in una riunione di condominio. L'ordine comportamentale dell'uomo può essere minimizzato da chi sottolinea omicidi, orrori vari che sono pur presenti, ma il livello di cooperazione fra un numero di umani così vasto, fra umani che magari neppure si conoscono ma collaborano nella realizzazione di un progetto, questo è un risultato esclusivamente culturale.
In altre parole la cultura è stato un acceleratore talmente efficiente delle nostre doti naturali che oggi possiamo sconfiggere esseri viventi che geneticamente sono, al nostro confronto, come Godzilla, ma che diventano dei puffi una volta confrontati con le nostre applicazioni tecnologiche.
Tutto ciò, ovviamente, se si vuole, rientra comunque nella natura. E' semplicemente una conseguenza della scommessa evolutiva di puntare molte carte su un cervello esoso di risorse, ma che ci ha ampiamente ripagato.
Ma ridurre tutto alla natura non mi ha mai convinto, perchè la natura, come rileva giustamente Alexander, al di là della meraviglia che può suscitare, al di là del piacere di ascoltare il vento che passa fra gli alberi e le sorgenti, è "indifferente". E' normale che sia così, non voglio certo divinizzare la Natura, che si macchia ogni giorno di astuti attacchi alla nostra vita e a quella di tutti gli altri esseri viventi. L'uomo invece non è indifferente. Anche in questo caso per una bizzarra scommessa connessa al nostro SNC, ha imbastito una serie di narrazioni che ci fanno cercare il bello, il giusto, la rettitudine, quella che gli antichi greci chiamavano Sophrosyne.
Tornando a Sileno, possiamo rispondergli che il nostro compito, la cosa migliore che ci possa accadere, è custodire e conoscere la Natura, nella sua intima connessione con noi e con il tutto. E questo compito va messo in atto con umiltà, accettando non solo il nostro trapasso in quanto individui singoli, ma eventualmente anche l'estinzione di quella bizzarra specie chiamata "homo sapiens". Più di ogni altra specie che ha calpestato il pianeta terra, homo sapiens ha una responsabilità, se vuole elevarsi ad un livello superiore di saggezza, e non essere più il solito scimmione a cui hanno affidato casualmente dei divertenti gadgets tecnologici.
Considerazione molto importante quella di Bobmax in filosofia, fin dalle sue origini greche in Occidente.
Infatti il "buco" filosofico, nel senso che Platone non mi sembra esplicare da quanto ci è arrivato dai suoi scritti, l'essoterica, forse lo ha espresso ai suoi discepoli nell'Accademia, esoterico.
Il Bene per Platone è l'archè filosofico, quindi giudica l'universo, compresa la natura Bene. Bisogna anzi tutto dire che la cultura filosofica greca è precristiana e la interpretano in maniera antica, simile alle culture antiche. Innanzitutto il tempo è circolare, ciclico, non lineare come lo intendiamo noi , e il "governo" della natura sul mondo sovrasta l'uomo. Quell'uomo greco non ha affatto intendimento , intenzionalità di scontrarsi con la natura, l'accetta direi pedissequamente. Certamente la indaga e la filosofia è "mischiata" con la scienza, non è separata come oggi e non è solo una questione di "specializzazione", era normale che il filosofo dovesse sapere di matematica ,geometria, e direi della prima logica: questi sono i veri strumenti che hanno permesso il salto culturale tecnico occidentale applicato all'indagine sempre più sulla natura che diverrà scienza moderna.
Quindi il Bene è il paradigma fondamentale in Platone a cui sottostà persino il Demiurgo.
Non c'è Bene= Demiurgo (Dio), questo comporta dei punti di vista fondamentalmente diversi.
Probabilmente è l'uomo , nel pensiero di Platone, che determina il bene e il male con i suoi pensieri e atti , in quanto la natura e l'universo essendo Bene ,l'uomo deve "solo" viverne in equilibrio nella relazione uomo-natura e uomo-uomo nel sociale. Questo deriva dall'antico "nomos" di Pindaro all'epoca di Omero , almeno un paio se non di più secoli prima di Platone . Quì non voglio discutere del nomos, di cui a suo tempo ne scrissi.
Bisogna capire, e oggi sembrerebbe "strano" pensarlo per una cultura diversa, se il dolore e la sofferenza prima di tutto venissero dalla natura e non invece dall'uomo , perché se la natura era Bene e oggi diciamo indifferente, come può generare lei il dolore e la sofferenza essendo "neutra"?
Essendo l'origine del dolore e della sofferenza un'alterazione di equilibri interni ed esterni umani , sappiamo che la scienza stessa dice che sono sintomi di problematiche fisiche, psichiche nostre, diremmo un disequilibrio che il corpo fisico-naturale, che la mente psichica, che la società umana stessa, esterna appunto con sintomi ma che si originano a loro volta da malesseri , malattie interiori
E' oltremodo vero, che "bisogna morire "alla fine ci dice la natura , in quale modo ha poca importanza "per lei".
Ipazia
Anni fa ci fu uno studio, dei test ,sulle motivazioni delle matricole nella facoltà di medicina, emergeva l'aspetto sentimentale del tipo "fare del bene"; lo stesso test fatto agli specializzandi che quindi avevano scelto l'indirizzo medico, pensavano "alla carriera e ai quattrini".
Sottovaluti l'etica, che ribadisco per me è il comportamento che è diverso dai principi morali.
Non è detto che una persona morale compia etica coerente, spesso si parla da moralisti e si compiono atti contrari alla propria morale, per convenienza, opportunismo, ipocrisia, ecc.
Sono d'accordo con la tua parte finale, siamo noi umani che dovremmo costruire una società che tenda alla felicità di tutti, in armonia con la natura.
Che non ci sia nessuno che soffre deve essere inteso letteralmente. Non c'è proprio nessuno!
Non è uno stratagemma per rilassare la mente. Ma la constatazione che la persona in sé, la cosa in sé, è pura illusione.
Quindi io stesso sono Nulla.
Epperò mi manifesto...
Come?
Attraverso l'altro, che non è che me stesso.
Per non perdermi ho lasciato un filo d'Arianna: il male.
Cosicché l'amore, che sono, mi riporti infine a me stesso.
Citazione di: Kobayashi il 15 Febbraio 2021, 09:32:46 AM
Curioso ma sintomatico della tristezza del nostro tempo che per convincere di un argomento ovvio fin dalle prime civiltà superiori, ovvero che senza armonia con la natura non ci può essere per gli uomini alcuna vera felicità, si debba ricorrere all'argomento dell'egoismo e dell'utilitarismo...
Anche qualche bagliore di intelligenza, per essere credibile, deve essere ridimensionato all'uso strumentale del bene "natura" per gli effetti positivi del proprio benessere, perché appunto non c'è nient'altro, solo la ricerca del proprio confort (almeno tra le masse, tutta un'altra storia per i pensatori, loro sì nobilissimi e spiritualissimi, che delle masse hanno questa visione...).
Non ho capito se il tra parentesi dice già quello che vorrei dirti, o lo fa in modo ironico, in ogni caso ciò che ho espresso esula dalle mie personali opinioni, ma risponde alla domanda: perchè è così comune avere un opinione positiva del concetto chiamato "natura"? E' come se dicessi che la maggior parte delle persone pensano Dio come ad un assicurazione sulla vita, da pagare con il sacrificio del proprio senso critico e da riscuotere dopo la morte (o con cedole da staccare già in vita, con qualche miracolo cura-malanni). Non è la mia opinione sul soggetto "Dio", ma è la mia opinione sul perchè è una credenza diffusa e molto popolare, e succedeva già prima che la società cadesse in questo vortice mercificatorio, le persone usano il proprio utile per verificare la bontà delle idee, questo si, dalla notte dei tempi.
Salve InVerno. Citandoti : "E' come se dicessi che la maggior parte delle persone pensano Dio come ad un assicurazione sulla vita, da pagare con il sacrificio del proprio senso critico e da riscuotere dopo la morte (o con cedole da staccare già in vita, con qualche miracolo cura-malanni)".
Ovviamente. A me qui dentro già successo di definire la Chiesa (non importa neppure quale) come la più antica, efficiente, potente Impresa di Assicurazioni del pianeta.
E' sufficiente fare in modo che gli "assicurandi"(i fedeli) si convincano dell'opposto della realtà : la evidenza ragionevole ci dice che il mondo nel suo insieme è eterno mentre i suoi componenti (uomo ovviamente incluso) sono mortali, provvisori, caduchi, soggetti a trasformarsi l'uno nell'altro........con ciò garantendo appunto l'eternità del loro insieme.
L'opposto della realtà in cui i fedeli devono imparare a credere è invece il fatto che solo un preciso componente del mondo (l'anima, intesa come coscienza, dell'uomo) è eterno e non si trasforma mai (la vita eterna ha senso solo mantenendo eternamente la consapevolezza della propria identità).......mentre tutto il resto è destinato a perire.
Per realizzare quanto sopra sarà sufficiente, per l'assicurando, seguire le istruzioni di Polizza (la Dottrina religiosa). Saluti.
Citazione di: paul11 il 11 Febbraio 1975, 10:40:12 AM
Ipazia
Anni fa ci fu uno studio, dei test ,sulle motivazioni delle matricole nella facoltà di medicina, emergeva l'aspetto sentimentale del tipo "fare del bene"; lo stesso test fatto agli specializzandi che quindi avevano scelto l'indirizzo medico, pensavano "alla carriera e ai quattrini".
Sottovaluti l'etica, che ribadisco per me è il comportamento che è diverso dai principi morali.
Non è detto che una persona morale compia etica coerente, spesso si parla da moralisti e si compiono atti contrari alla propria morale, per convenienza, opportunismo, ipocrisia, ecc.
Sono d'accordo con la tua parte finale, siamo noi umani che dovremmo costruire una società che tenda alla felicità di tutti, in armonia con la natura.
L'etica/morale non è il motore dell'amore: frequente è il caso, soprattutto quando vi sono legami di sangue, che si continui ad amare una persona anche se non si condividono le sue inclinazioni morali. Chi ama la natura continua ad amarla anche dopo un terremoto, un nubifragio,... L'amore su basi etiche è un amore confessionale sulla cui consistenza mi permetto di dubitare.
Citazione di: Ipazia il 16 Febbraio 2021, 21:44:20 PM
persona
L'etica/morale non è il motore dell'amore: frequente è il caso, soprattutto quando vi sono legami di sangue, che si continui ad amare una persona anche se non si condividono le sue inclinazioni morali. Chi ama la natura continua ad amarla anche dopo un terremoto, un nubifragio,... L'amore su basi etiche è un amore confessionale sulla cui consistenza mi permetto di dubitare.
Ipazia, hai perfettamente ragione. All'interno del mio rivoltante cinismo mi capitò - ed ora confermo - di definire l'amore come individuale, egoistica pulsione al completamento del sè attraverso l'inclusione in sè del mondo oppure attraverso l'inclusione in sè di altra persona, oppure alla proiezione del sè all'interno del mondo, oppure della proiezione del sè in un'altra persona...........................................................il tutto sempre a favore del sè....................................Saluti.
citaz. Ipazia
A Paul11 vorrei dire che l'amore per la natura, quello più passionale, non è l'estasi dell'artista che si bea della sua bellezza e cerca di catturarla nella sua opera ma quella dello scienziato che la spoglia dei suoi misteri e la possiede.
La mia risposta nasceva da questa tua considerazione che ritengo fasulla, noi e tanto meno uno scienziato non possediamo assolutamente nulla. La natura è quello che è da sempre, noi e lo scienziato nasciamo da ignoranti e cerchiamo di comprendere, rappresentare.
La razionalità scientifica si illude di dominare la natura e da qui nasce la stortura moderna e ancora contemporanea di poterla vincere , l'artista la compenetra meglio dello scienziato se sa relazionarla empaticamente.
Se il Bene è accettare la natura per quello che è, quel bene ha già in sé la morale che dettò il "nomos": allora la regola della natura diventa morale umana da perseguire.
L'amore è un termine ambiguo, forse il più ambiguo: anche Hitler amava, anche un serial killer ama.
Il cosa, il come si ama può portare o alla felicità o alla disperazione.
A Paul. Quel " possiede " effettivamente è un termine pesante, ma anche per me la bellezza consiste nella capacità della scienza di svelare i misteri della natura, che da 500 anni circa si aprono davanti a noi, donandoci un nuovo senso di noi, sapiens. La bellezza cantata dai poeti non svanisce, ma se ne aggiunge una diversa, ugualmente affascinante, che scaturisce dalla sete "edipica" di conoscenza. Una conoscenza che non proviene più dalla tradizione ma dalla ricerca. Paradossalmente (ma neppure tanto), la scienza è in fondo l'ammissione dell'ignoranza dell'uomo, che non può più basarsi su narrazioni mitologiche, non più in grado di far comprendere il mondo. Il potere emancipativo della scienza, il suo sguardo neutro e curioso è uno spettacolo altrettanto bello e degno dello stesso rispetto di chi invece ammira la devozione dei danzatori sufi o dei monaci cluniacensi. La differenza consiste nella assenza di giudizio morale della scienza, per cui un fisico quantistico non taglierà mai la gola ad un astrofisico relativistico.
Jacopus
Ed è proprio in questo che tu pensi che sta la differenza fra il tuo pensiero e il mio: e lo sai bene.
La scienza non mi insegna nulla, se non nozioni e devo correre dallo specialista per trovare soluzioni dei miei problemi ; il mito insegnava a comportarsi trovandosi nella medesime situazioni dei protagonisti dei miti. Il mito era formativo, la scienza moderna istruisce, ma non forma.
La scienza è un insieme di tessere particolari incapaci di dare l'insieme, ragiona per quantità, quasi mai per qualità . Non mi dirà mai "come saper vivere", gli antichi lo facevano, magari sbagliando, ma lo facevano e si imparava a "stare al mondo".
Se poi mi parla di ricerca.....quanti scienziati ricercatori al mondo sono sconfitti da un misero esseruncolo che si sta prendendo gioco mutando più veloce dei tempi scientifici dei ricercatori ?
Nessuno è in grado di prevenirne le mutazioni . Il virus è natura, non dimentichiamocelo, noi che pretendiamo di andare su Marte.....e ne vedremo di altri virus. La scienza quindi non ha niente affatto preso il posto del mito, questa è l'illusione moderna di pensare di aver rubato dalla natura i suoi segreti e poterli gestire addirittura contro di lei; il mito del vaso di Pandora avrebbe dovuto insegnarci qualcosa.......ora c'è chi non solo gioca con gli embrioni umani ,contravvenendo alla bioetica, ma c'è chi gioca ad assemblare i virus naturali con catene proteiche artefatte.
Noi oggi giochiamo a fare "dio", e la natura dal più semplice esseruncolo naturale si prende gioco di noi tutti . Questa pandemia dovrebbe insegnarci almeno qualcosa, i limiti delle scienze naturali, i limiti della politica, i limiti dell'economia....e imperterriti continuiamo a pensare allo stesso modo di prima della pandemia?
Se la natura è neutrale, la scienza non lo è mai stata, è sempre stata al servizio del potere umano che la paga profumatamente .
Oggi non c'è bisogno di tagliarsi la gola fra scienziati, semplicemente la comunità scientifica non vuole contraddittori interni , i mass media sono in mano al potere economico, quindi chi non "segue il branco", gli tagliano i viveri.
Citazione di: Jacopus il 15 Febbraio 2021, 22:40:01 PM
Come suggerisce Ipazia, quando si enuncia che il tema ormai è esaurito ecco spuntare altri interessanti interventi. Se ne potrebbero ricavare altri ulteriori topic. Vorrei approfondire la tematica dell'uomo interno/esterno alla natura. Vedo il problema di difficile soluzione. Inevitabilmente l'uomo fa parte della natura. La sua elica genetica è il frutto di passaggi del tutto naturali che proseguono da milioni di anni. Ma quello che è accaduto negli ultimi 10.000 anni, quindi almeno dalla rivoluzione agricola in poi, ci ha reso qualcosa di "parzialmente" naturale e "parzialmente" culturale, al punto che la natura non è più in grado di controbilanciare gli squilibri che spargiamo magnanimamente sul pianeta terra. Squilibri che sono iniziati ancor prima. Pare che homo sapiens sia il responsabile della fine di 50 grandi mammiferi americani su 60, fra i quali il mammuth lanoso, la tigre a denti a sciabola il leone gigante americano, per citare i più famosi, animali che erano con noi fino a poche migliaia di anni fa, ovvero finchè l'uomo non attraversò lo stretto di Bering.
I punti di discontinuità sono sempre i benvenuti ,perché sono i cippi che tracciano il racconto.
Se non ci fossero bisognerebbe inventarli. La cultura potrebbe essere un buon candidato.
Infatti temo siano le nostre lacune di conoscenza a fornircene alla bisogna di questi punti di discontinuità, che sono più punti di mancanza , e noi come ricettatori non indaghiamo troppo sulla loro origine e provenienza.
Mi chiedo, allargando il discorso, se sia davvero possibile costruire una teoria fisica in mancanza di lacune conoscitive.
Forse no, ma questo potrebbe essere argomento per altro topic.
Penso sia buon esercizio filosofico comunque, una volta costruita una storia, provare a decostruirla.
Cosa succede se in tutte le storie che abbiamo provato a raccontare noi nei nostri post, facciamo recitare alla vita la parte che fin qui abbiamo fatto recitare al sapiens?
A me piace cambiare i punti di vista a bella posta per vedere l'effetto che fa', e quando l'effetto riesce, ciò per me equivale a comprendere.
Adesso rimangono due attori soli, la vita e la natura.
Il minimo sindacale se non vogliamo ridurre la storia a un monologo dove chi parla si ascolta, che equivale a tacere, anon poter raccontare nessuna storia.
Ciò dobbiamo fare perciò se volgiamo raccontare una storia, anche quando fossimo intimamente convinti che c'è un unico attore: la natura, tutto compreso.
Che specie viventi abbiano portato ad estinzione altre specie non è una novità assoluta.
Ma probabilmente non sono mai stati la causa diretta, ma solo quelli che hanno dato il colpo di grazia.
Le vere cause sono cicliche o accidentali.
Cicli di glaciazione, meteoriti, dalle quali conseguenze disastrose la vita, il nostro "nuovo" attore è sempre uscito vittorioso.
Si può vivacizzare la storia, e fare la classifica, ad ogni disastro ambientale, di quale specie vince e di quale perde, aumentando il numero degli attori.
Certo è infatti che dal punto di vista da me proposto, la storia si impoverisce e diventa molto meno avvincente.
Se non è la l'autorecita di un barboso monologo poco ci manca.
In una storia più avvincente ,ricca di attori ,e col finale a sorpresa, i microbi non hanno mai smesso di dominare il pianeta.
Peccato solo che non lo sanno e non possono raccontarselo fra loro.
Ma comunque , nei termini di una sola vita articolata in varie parti , la coscienza ,e quindi la cultura, dovrebbe fare parte del gioco, più che far gioco a qualcuno.
Se si vogliono trovare dei paletti ad ogni costo, veri autentici cippi del racconto , le eliche di DNA sembrano un buon candidato.
Ma non saranno anche loro il solito punto di discontinuità sulla cui provenienza ci piace non indagare troppo, nonostante si affermi il contrario ?
Certo, ammettiamo che non sono fissi, e ad ogni rifacimento della strada distratti operai li spostano un po' più in là'.
Cambiano anche forma, ma rimangono i nostri paletti distintivi.
Ma sarà vero?
Certi vermi che succhiano la linfa delle radici di certe piante hanno vissuto in simbiosi con batteri nel cui DNA c'era tutto l'armamentario adatto alla bisogna, che permetteva loro di vivere alle spalle delle piante, mentre il DNA dei vermi era del tutto inadatto.
Quei batteri, non si sa' bene perché, si sono estinti, ma il loro DNA è passato armi e bagagli per intero andandosi a sommare a quello dei vermi.
Man mano che le nostre conoscenze aumentano, un DNA unico, seppur variamente articolato , rende ancora più credibile come unico attore la vita.
Quindi raccontiamoci pure delle storie. Sembra che siamo qui per questo.
Aggiungiamo magari particolari horror per vivacizzarle.
Ma dopo esserci piacevolmente auto terrorizzati, quando il film finisce, ricordiamoci che era solo un film.
Un vizio congenito di questa nostra cultura, che andrebbe emendato, è quello di continuare ad essere partecipi delle storie che ci raccontiamo da soli, come se non avessero un fine e una fine.
Chi ha ancora paura dell'uomo nero e della natura matrigna?
Il senso di realtà consiste nel credere alle storie che ci raccontiamo.
Così le storie si materializzano, e diventano la "nostra solida realtà " , nel bene e nel male.
Se posso immaginare una natura matrigna, allora posso immaginare , perché no, una natura amorevole che ci racconta le favole della buona notte.😇
Ed è' arrivato il momento che così si materializzi la natura, perché è in questa bella storia che abbiamo bisogno di credere oggi.
Vorrei dire la mia anche sulla bellezza, visto che in questa nostra storia naturale è stata tirata in ballo.
Una storia bella non è una storia più vera, ma una storia più credibile e noi abbiamo bisogno di storie credibili al momento giusto. Per questo il concetto di bellezza non è statico.
Siamo tanto più distanti dai nostri antenati culturalmente , relativamente a ciò che la cultura stessa ha registrato , quanto più ci sentiamo distanti dal loro gusto estetico.
Traggo questo mio convincimento da esperienza personale.
Sono convinto che la nostra generazione abbia vissuto più vite in una.
Io ho vissuto una vita in cui provavo disgusto per le opere di Picasso e oggi ne vivo una in cui resto ammirato per tanta bellezza.
Vivere molte vite in una comporta che ci si possa sentire distanti culturalmente da se stessi.
Considerò ciò un privilegio.
La coscienza di questo divenire culturale vale più di qualunque cultura in se'. Passata presente e futura.
Dopo pagine e pagine di fini elucubrazioni ..... alla domanda rispondo : SI perché , piu' o meno "inquinata" , e' l'unica realta' che ci e' dato di vivere , per cui o si ama questo o nulla !
@Paul11
Lo scienza possiede la natura così bene da permetterti perfino di scrivere su uno stumento tecnoscientifico operante in tempo reale che non è vero. La possiede per via di conoscenza, come Adamo conobbe Eva. Chi non sperimenta la pulsione erotica dello scopritore si perde il meglio della vita.
Anche la bellezza è correlata alla conoscenza, perchè il sapere permette di cogliere, e vivere esteticamente, dettagli e piaceri che l'ignoranza ignora.
Citazione di: Ipazia il 17 Febbraio 2021, 17:27:40 PM
@Paul11
Anche la bellezza è correlata alla conoscenza, perchè il sapere permette di cogliere, e vivere esteticamente, dettagli e piaceri che l'ignoranza ignora.
Deve essere proprio così.
Il giudizio estetico sollecita la conoscenza, e la conoscenza influenza il gusto estetico.
Ci dimentichiamo spesso che i nostri giudizi non passano tutti al vaglio della coscienza, ma non per questo sono di serie B.
Il compasso della conoscenza è centrato sulla coscienza, ma la sfera delle nostre abilità supera il suo raggio.
Dietro al giudizio estetico c'è un grande lavoro di cui non abbiamo coscienza e del quale non avvertiamo la fatica, limitandoci apparentemente solo a godere del bello che si para di fronte a noi, come caduto dal cielo.
Comunque, a proposito del binomio natura-bellezza, varrebbe la pena di fare questa prova: lasciare incolto e incustodito per qualche anno il giardino di casa e osservarne i cambiamenti "naturali". Dapprima, potremo notare una crescita vigorosa di erbe infestanti soffocare a poco a poco le nostre ortensie e i nostri tulipani, perchè è vero il detto " l'erba cattiva non muore mai". In seguito, nel ghiaino o nelle crepe dell'asfalto, vedremo crescere le prime graminacee, poi sul lavoro da esse svolto, si affiancheranno o si sovrapporranno le dicotiledoni. In seguito i primi arbusti e le prime essenze legnose, che cresceranno stentate, ma colonizzeranno a poco a poco tutto il colonizzabile. Insomma, in una lotta ingaggiata per accaparrarsi la luce, la vegetazione tenderà, nel tempo, a ricoprire ogni cosa, avvicinandosi pericolosamente all'uscio di casa, con effetti estetici alquanto discutibili e tali da costringere il proprietario a metter mano a falciatrice e rastrello. La natura e il bello non sempre viaggiano appaiati.
Salve sapa. La natura ed il bello non vanno a braccetto. Ma che scoperta originale. L'uomo troverà bello solo ciò di cui ha bisogno, può giovarsi, può ricavarne appagamento, soddisfazione.
Aprendo un addome umano od animale quanti di noi sarebbero in grado di riconoscere la bellezza dei visceri sanguinolenti e pulsanti che ne escono ? Eppure, a livello sia macro- che micro-scopico non esistono strutture, costruzioni più complesse, funzionali, concettualmente ammirabili (pure preziosissime in caso di necessità di trapianti).
E per qual mai ragione ne risultiamo disgustati ? Per ragioni culturali, ovviamente, per il fatto che ci hanno insegnato che la "nuda verità" corporale serve solo a far funzionare altre nostre "funzioni" invisibili e mai sanguinolenti, e che quando compare alla nostra vista potrà farlo solo attraverso la nostra sofferenza e morte. Saluti.
Citazione di: sapa il 17 Febbraio 2021, 21:29:54 PM
Comunque, a proposito del binomio natura-bellezza, varrebbe la pena di fare questa prova: lasciare incolto e incustodito per qualche anno il giardino di casa e osservarne i cambiamenti "naturali". Dapprima, potremo notare una crescita vigorosa di erbe infestanti soffocare a poco a poco le nostre ortensie e i nostri tulipani, perchè è vero il detto " l'erba cattiva non muore mai". In seguito, nel ghiaino o nelle crepe dell'asfalto, vedremo crescere le prime graminacee, poi sul lavoro da esse svolto, si affiancheranno o si sovrapporranno le dicotiledoni. In seguito i primi arbusti e le prime essenze legnose, che cresceranno stentate, ma colonizzeranno a poco a poco tutto il colonizzabile. Insomma, in una lotta ingaggiata per accaparrarsi la luce, la vegetazione tenderà, nel tempo, a ricoprire ogni cosa, avvicinandosi pericolosamente all'uscio di casa, con effetti estetici alquanto discutibili e tali da costringere il proprietario a metter mano a falciatrice e rastrello. La natura e il bello non sempre viaggiano appaiati.
Come notava Jacopus è da decidere se noi ci consideriamo parte della natura oppure no.
Quando parliamo di giardini e terreni "artificiali", cioè curati dall'uomo , sottintendiamo che convenzionalmente non lo siamo.
Ma appunto , è solo una convenzione dialettica, che però, presa troppo sul serio ha fatto non pochi danni.
Credo in generale sia dannoso prendere troppo sul serio i racconti che facciamo.
Penso che la natura sia un buon giardiniere al quale chiedere consiglio se intendiamo curare un nostro orto.
Se dividiamo la natura in appezzamenti si troverà sempre qualcosa di brutto.
Ma, in quanto appartenenti a pieno titolo alla natura, anche dentro di noi è sepolta una saggezza che sembra affiorare attraverso il nostro giudizio estetico.
L'importante è non cadere nell'inganno che tutto ciò che sia razionale ,artificiale e cosciente sia bello e buono, mentre il resto non lo sia.
La bellezza della natura, quando la cogliamo, ci invita a cercare le sue ragioni .
L'importante è non ripetere sempre gli stessi errori.
Una cosa è tagliare la "brutta" erba del giardino, altra cosa è farci una "bella" colata di cemento.
Citazione di: viator il 17 Febbraio 2021, 22:30:48 PM
Ma che scoperta originale. L'uomo troverà bello solo ciò di cui ha bisogno, può giovarsi, può ricavarne appagamento
Ciao Viator.
Mi pare che la fai troppo semplice.
Ciò che il singolo trova utile per se' può non coincidere con l'utile per l'umanità, e l'utilità del singolo , che è parte dell'umanità, sarebbe l'apparenza risultante da una vista corta.
Il giudizio estetico è qualcosa di più,che più spesso ci accomuna piuttosto che dividerci, e che può risolvere il conflitto fra singolo , comunita' e natura.
Oggi sappiamo che dobbiamo salvare la foresta amazzonica , non perché sia bella.
Ma anche quando non avevamo questa coscienza la sua bellezza ci suggeriva di salvaguardarla.
L'importante è non esagerare con le sacralizzazioni, additando magari Sapa come un senza Dio se taglia l'erba del suo giardino.
A questa piccola scala, che il giardino di Sapa sia bello o brutto, sono fatti suoi. ;)
Citazione di: sapa il 17 Febbraio 2021, 21:29:54 PM
Comunque, a proposito del binomio natura-bellezza, varrebbe la pena di fare questa prova: lasciare incolto e incustodito per qualche anno il giardino di casa e osservarne i cambiamenti "naturali". Dapprima, potremo notare una crescita vigorosa di erbe infestanti soffocare a poco a poco le nostre ortensie e i nostri tulipani, perchè è vero il detto " l'erba cattiva non muore mai". In seguito, nel ghiaino o nelle crepe dell'asfalto, vedremo crescere le prime graminacee, poi sul lavoro da esse svolto, si affiancheranno o si sovrapporranno le dicotiledoni. In seguito i primi arbusti e le prime essenze legnose, che cresceranno stentate, ma colonizzeranno a poco a poco tutto il colonizzabile. Insomma, in una lotta ingaggiata per accaparrarsi la luce, la vegetazione tenderà, nel tempo, a ricoprire ogni cosa, avvicinandosi pericolosamente all'uscio di casa, con effetti estetici alquanto discutibili e tali da costringere il proprietario a metter mano a falciatrice e rastrello. La natura e il bello non sempre viaggiano appaiati.
Ci vuole un secolo abbondante per far si che le varie specie ritrovino un equilibrio stabile, e questo equilibrio si basa anche sulla presenza della fauna erbivora che limita l'eccesso delle pioniere che altrimenti non lascerebbero mai crescere gli altifusti. Non è che uno può aspettarsi che dopo cinque anni che non taglia l'erba, e senza la fauna, la natura si sviluppi con l'equilibrio di una foresta primigenia.. dove abita l'uomo la natura va curata per il fatto stesso che l'uomo vi insiste. E comunque se uno ha nozione delle forze in atto, anzichè cercare simmetrie e poligoni, la bellezza della biologia non manca anche nei giardini in abbandono, la bellezza della volontà di vita.
Salve iano.
E certo che la faccio semplice (l'eventuale "troppo" dipende dai gusti e dagli schematismi intellettuali di chi mi legge), dato che - vista anche la mia abissale ignoranza che non mi permette di tuffarmi in deliziose, profonde, perfettamente inutili analisi dei massimi valori e sistemi - da sempre ho deciso di dedicarmi alla sintesi, cioè a quella attività che - adeguatamente svolta - permette di decidere rapidamente quale atteggiamento assumere nei confronti dei fatti della vita.
Che poi le sintesi possano essere sbagliate, ridicole, inutili (quanto cioè possano esserlo anche le più insistite ed autorevoli analisi) rappresenta evento fatale che - come le pandemie -non siamo ancora in grado di prevedere, evitare, neutralizzare.
Infine mi permetto di ricordare (la cosa dovrebbe essere già nota anche se non viene accettata dalla maggior parte dell'umanità) che la sintesi consiste nel ricondurre l'argomento esaminato alla sua essenzialità, cioè agli aspetti che restano a far parte dell'argomento stesso una volta che lo si sia sfrondato di :
- tutte le eccezioni "vere", le quali, come noto, quasi sempre confermano la regola;
- tutte le eccezioni "fasulle" od "apparenti" (le contraddizioni dimostrabili apparenti);
- tutte le circostanze di tempo, di luogo e personalistiche.
Infine mi piacerebbe che qualcuno mi fornisse un singolo esempio di circostanza "benefica" che, secondo chi me lo sottoponesse, risulti estranea al piacere, alla utilità, al vantaggio, ai desideri, alle speranze di chi stia appunto considerando "neutralmente od astrattamente benefica" la circostanza stessa il cui significato sia da analizzare. Saluti.
Per Viator. Credo che tutto ciò che mette in atto l'uomo (lasciamo da parte la natura, visto che fai riferimento a quanto scritto da Iano) parta da una motivazione considerata benefica dal suo autore. Hitler pensava di fare del bene, come Francesco Messina Denaro. Non credo che la sera prima di addormentarsi, si dicessero o si dicano: "come siamo malvagi!", terminando la considerazione con una risata satanica. All'uomo spetta, culturalmente, decidere cosa è benefico e cosa è malefico. Io posso solo aggiungere che il beneficio dell'uno sia necessariamente anche il beneficio dell'altro, ma è appunto una visione parziale, con molti agguerriti avversari.
Vogliamo decidere di stare dalla parte del "mors tua, vita mea" o del "porgi l'altra guancia"? Entrambe le visioni hanno avuto e continuano ad avere una certa risonanza e ciò dipende dalla plasticità estrema del nostro SNC e dalle innumerevoli diverse culture che si sono avvicendate nel tempo. Ognuno di noi combatte in qualche modo per la sua visione di bene, che è profondamente influenzata dalle sue esperienze, dagli insegnamenti emotivamente trasmessi dalle figure importanti della sua vita (si può scegliere l'antropofagia come bene, perché amorevolmente nostro padre ce lo ha insegnato) e anche dalla necessità di giustificare ideologicamente le scelte di una vita. I prepotenti di giustificheranno, ad esempio, affermando che la legge del più forte è la legge di natura, legittimando così la propria prepotenza. Si tratta di scegliere, di essere responsabili, di fronte a noi stessi, al nostro prossimo e ormai, anche di fronte all'intero ecosistema.
Citazione di: viator il 17 Febbraio 2021, 22:30:48 PM
Salve sapa. La natura ed il bello non vanno a braccetto. Ma che scoperta originale. L'uomo troverà bello solo ciò di cui ha bisogno, può giovarsi, può ricavarne appagamento, soddisfazione.
Aprendo un addome umano od animale quanti di noi sarebbero in grado di riconoscere la bellezza dei visceri sanguinolenti e pulsanti che ne escono ? Eppure, a livello sia macro- che micro-scopico non esistono strutture, costruzioni più complesse, funzionali, concettualmente ammirabili (pure preziosissime in caso di necessità di trapianti).
E per qual mai ragione ne risultiamo disgustati ? Per ragioni culturali, ovviamente, per il fatto che ci hanno insegnato che la "nuda verità" corporale serve solo a far funzionare altre nostre "funzioni" invisibili e mai sanguinolenti, e che quando compare alla nostra vista potrà farlo solo attraverso la nostra sofferenza e morte. Saluti.
Concordo con te, viator, dico solo che questo assunto era, secondo me, parte di quanto affermato originariamente da Alexander. E concordo anche con Inverno, prima che il mio giardino, lasciato a sè stesso, si trasformi in una giungla amazzonica deve passare parecchio tempo, diciamo nell'ordine di qualche decina d'anni ( ma un giardino lasciato incolto anche solo per 5 anni non è un bello spettacolo) . L'aspetto che volevo far risaltare è che la maggior parte dei paesaggi che ci sono noti, è formata da paesaggi antropici, nei quali la natura è di fatto "irregimentata", a prezzo di fatiche umane continue. Tolte le montagne, i deserti e il mare, ben poca è la natura incontaminata e selvaggia. La campagna è un paesaggio artificiale, bello a volte, altre meno, ma nel quale la natura è continuamente e volutamente lasciata ai margini. I filari di vigneti che impreziosiscono le zone del Prosecco o del Monferrato sono quanto di meno naturale possa esistere.
Ciao Viator
La sintesi segue necessariamente l'analisi.
Se non vi è stata analisi non può esservi sintesi.
La sintesi sarà tanto più attendibile quanto più l'analisi sarà stata approfondita.
Senza analisi vi può essere solo intuizione.
La cui idea, se non conduce ad una analisi non può che inevitabilmente abortire.
La sintesi è comunque a un certo punto necessaria, perché se infine non avviene, l'analisi resta sospesa, in sostanza vana.
Ma è necessaria sempre e solo dopo una analisi.
Riguardo alla circostanza "benefica" è a mio avviso interessante notare come evolva nel tempo il nostro giudizio.
E anche questo giudizio è la sintesi di un'analisi.
Ed è infatti l'analisi, con le nuove conoscenze acquisite, a produrre una nuova sintesi, un diverso giudizio.
L'argomento di Viator, in estrema sintesi, dopo un'accurata analisi, si riduce alla riduzione dell'estetica all'utilità. Mi sia consentito il dissentire con qualche argomento concreto. Per quale motivo utilitaristico dovremmo accollarci il costo di conservazione e restauro di manufatti antichi ormai del tutto privi di alcuna utilità pratica ? Chessò, un tempio greco, un acquedotto romano, un sito archeologico. Anche per le opere conservate nei musei non sono certo i pochi spiccioli dei visitatori a coprire le spese di conservazione ed infatti è noto che "con la cultura non si mangia", o si mangia poco e male. Solo l'amore per la bellezza storica ivi racchiusa, che dove impera la barbarie religiosa può costare anche la vita, giustifica una tale dedizione. Bellezza storica è la memoria delle nostre radici, altro oggetto decisamente poco utilitaristico.
Citazione di: viator il 18 Febbraio 2021, 12:36:13 PM
Salve iano. E certo che la faccio semplice (l'eventuale "troppo" dipende dai gusti e dagli schematismi intellettuali di chi mi legge), dato che - vista anche la mia abissale ignoranza che non mi permette di tuffarmi in deliziose, profonde, perfettamente inutili analisi dei massimi valori e sistemi - da sempre ho deciso di dedicarmi alla sintesi, cioè a quella attività che - adeguatamente svolta - permette di decidere rapidamente quale atteggiamento assumere nei confronti dei fatti della vita.
Che poi le sintesi possano essere sbagliate, ridicole, inutili (quanto cioè possano esserlo anche le più insistite ed autorevoli analisi) rappresenta evento fatale che - come le pandemie -non siamo ancora in grado di prevedere, evitare, neutralizzare.
Infine mi permetto di ricordare (la cosa dovrebbe essere già nota anche se non viene accettata dalla maggior parte dell'umanità) che la sintesi consiste nel ricondurre l'argomento esaminato alla sua essenzialità, cioè agli aspetti che restano a far parte dell'argomento stesso una volta che lo si sia sfrondato di :
- tutte le eccezioni "vere", le quali, come noto, quasi sempre confermano la regola;
- tutte le eccezioni "fasulle" od "apparenti" (le contraddizioni dimostrabili apparenti);
- tutte le circostanze di tempo, di luogo e personalistiche.
Infine mi piacerebbe che qualcuno mi fornisse un singolo esempio di circostanza "benefica" che, secondo chi me lo sottoponesse, risulti estranea al piacere, alla utilità, al vantaggio, ai desideri, alle speranze di chi stia appunto considerando "neutralmente od astrattamente benefica" la circostanza stessa il cui significato sia da analizzare. Saluti.
A parte le giuste critiche fatte da Bobmax, io sono quasi del tutto d'accordo con te, in effetti.
La sintesi comunque non è la meta, ma il mezzo che ci aiuta a chiarire quando si è esagerato in analisi di troppo.
Esagerando in analisi si crea confusione.
Esagerando in sintesi non si riesce a spiegare più nulla.
Io nei miei post non ho mancato di suggerire esempi di sintesi, quando ho proposto una natura unica e sola, tutto compreso.
Ma con questa sintesi non ci spieghiamo nulla.
A cosa serve la sintesi per la sintesi?
Alla stessa cosa a cui serve l'analisi per l'analisi, che giustamente tu critichi.
In breve, con la tua sintesi ho difficoltà a narrare una storia della natura.
Io stesso ho lasciato intendere che il senso estetico abbia la sua utilità, ma senza la pretesa di ridurla all'utile del singolo, e che anzi è ciò che sotto sotto condividiamo, senza sapere bene come e perché , e la sua azione trascende quindi il singolo.
Un insensato amore per la natura è cioè che può venirci utile oggi, possibilmente senza sacralizzazioni.
Insensato, cioè non spiegabile, nei termini da te proposti.
Quindi ci tocca allargarci un po', magari facendo acquarelli di paesaggio.
Che male ci trovi?
Salve Ipazia. Citandoti : "Bellezza storica è la memoria delle nostre radici, altro oggetto decisamente poco utilitaristico".
Poco utilitaristico in chiave mercenaria. Il valore autoconsolatorio ed autocelebratorio dei reperti storici rappresenta sicuramente una utilità in quanto stabilizza la nostra psiche fornendo un senso al nostro esistere come specie. Poi i saltelli dalla specie (dominante) alla società (prevalente) alla cultura (aggregante) alla individualità (gregaria), cioè verso le utilità via via più egoistiche......................risultano assai più facilitati. E perdona il mio immarcescibile cinismo. A proposito : lo sai come si sente la maggior parte delle persone che si reca a visitare deliberatamente (le occasioni ed i coartamenti sono casi separati) le mostre di arte moderna ? Si trova a pensare narcisisticamente (perciò utilmente) : "Ma quanto sono intelligente nel riuscire a capire il significato di queste opere !". Salutissimi.
Citazione di: viator il 18 Febbraio 2021, 21:43:03 PM
Salve Ipazia. Citandoti : "Bellezza storica è la memoria delle nostre radici, altro oggetto decisamente poco utilitaristico".
Poco utilitaristico in chiave mercenaria. Il valore autoconsolatorio ed autocelebratorio dei reperti storici rappresenta sicuramente una utilità in quanto stabilizza la nostra psiche fornendo un senso al nostro esistere come specie. Poi i saltelli dalla specie (dominante) alla società (prevalente) alla cultura (aggregante) alla individualità (gregaria), cioè verso le utilità via via più egoistiche......................risultano assai più facilitati. E perdona il mio immarcescibile cinismo. A proposito : lo sai come si sente la maggior parte delle persone che si reca a visitare deliberatamente (le occasioni ed i coartamenti sono casi separati) le mostre di arte moderna ? Si trova a pensare narcisisticamente (perciò utilmente) : "Ma quanto sono intelligente nel riuscire a capire il significato di queste opere !". Salutissimi.
Parlando di arte il termine "capire" mi sembra poco appropriato.
Si fa', si ammira l'arte, in un percorso di crescita che non ha fine.
Chi si compiace di capirla è quello che poco utilmente compra croste nelle televendite.
Citazione di: iano il 18 Febbraio 2021, 06:10:52 AM
Citazione di: sapa il 17 Febbraio 2021, 21:29:54 PM
Comunque, a proposito del binomio natura-bellezza, varrebbe la pena di fare questa prova: lasciare incolto e incustodito per qualche anno il giardino di casa e osservarne i cambiamenti "naturali". Dapprima, potremo notare una crescita vigorosa di erbe infestanti soffocare a poco a poco le nostre ortensie e i nostri tulipani, perchè è vero il detto " l'erba cattiva non muore mai". In seguito, nel ghiaino o nelle crepe dell'asfalto, vedremo crescere le prime graminacee, poi sul lavoro da esse svolto, si affiancheranno o si sovrapporranno le dicotiledoni. In seguito i primi arbusti e le prime essenze legnose, che cresceranno stentate, ma colonizzeranno a poco a poco tutto il colonizzabile. Insomma, in una lotta ingaggiata per accaparrarsi la luce, la vegetazione tenderà, nel tempo, a ricoprire ogni cosa, avvicinandosi pericolosamente all'uscio di casa, con effetti estetici alquanto discutibili e tali da costringere il proprietario a metter mano a falciatrice e rastrello. La natura e il bello non sempre viaggiano appaiati.
Come notava Jacopus è da decidere se noi ci consideriamo parte della natura oppure no.
Quando parliamo di giardini e terreni "artificiali", cioè curati dall'uomo , sottintendiamo che convenzionalmente non lo siamo.
Ma appunto , è solo una convenzione dialettica, che però, presa troppo sul serio ha fatto non pochi danni.
Credo in generale sia dannoso prendere troppo sul serio i racconti che facciamo.
Penso che la natura sia un buon giardiniere al quale chiedere consiglio se intendiamo curare un nostro orto.
Se dividiamo la natura in appezzamenti si troverà sempre qualcosa di brutto.
Ma, in quanto appartenenti a pieno titolo alla natura, anche dentro di noi è sepolta una saggezza che sembra affiorare attraverso il nostro giudizio estetico.
L'importante è non cadere nell'inganno che tutto ciò che sia razionale ,artificiale e cosciente sia bello e buono, mentre il resto non lo sia.
La bellezza della natura, quando la cogliamo, ci invita a cercare le sue ragioni .
L'importante è non ripetere sempre gli stessi errori.
Una cosa è tagliare la "brutta" erba del giardino, altra cosa è farci una "bella" colata di cemento.
Ciao iano, con me sfondi una porta aperta, io sento la natura come la mia casa, anche quando, per lavoro, sono costretto a non assecondarla, fin dove posso, o a cercare di tenerla a freno, per trarne il sostentamento. Parlavo, però, del concetto di bellezza naturale, che non da tutti è accettato nella stessa maniera. A mio avviso, si tende a interpretare il senso di "soggezione" che si prova davanti allo spettacolo di una montagna imponente, o di un vulcano in attività, o ancora di una cascata immensa, come bellezza, quando invece è stupore, timore reverenziale e soggezione, appunto, di fronte alla forza devastante che si avverte. La natura non è bella in sè, l'età dell'oro, nella quale tutto era in equilibrio stabile, appartiene al mito. Nonostante ciò, io continuo a ricercare un mio personale equilibrio con la natura, che trovo, più che bella, affascinante.
Citazione di: iano il 18 Febbraio 2021, 22:44:00 PM
Parlando di arte il termine "capire" mi sembra poco appropriato.
Si fa', si ammira l'arte, in un percorso di crescita che non ha fine.
Chi si compiace di capirla è quello che poco utilmente compra croste nelle televendite.
Salve iano. Le mostre d'arte sono un fatto culturale ed una occasione sociale che prende a pretesto una presunta presenza, in certi luoghi, di forme d'arte............onde creare una situazione al cui interno qualcuno celebra qualcun altro (gli autori) e poi indirettamente celebra pure la società e la cultura che ha espresso autori e visitatori, e poi ancora - in ulteriore ma non marginale subordine - celebra pure il narcisismo cerebrale E/O sentimentale del singolo visitatore (basta sostituire "quanto sono intelligente" con "quanto sono sensibile").
La riprova dei miei deliri soprastanti è costituita - all'interno del mondo della cultura artistica - della imprescindibile presenza di certe figure (si chiamano critici d'arte) senza le quali nessun pubblico capirebbe una mazza di arte moderna e neppure si accorgerebbe della sua mancanza.
La vera arte è "il tramite tra la immanenza dell'opera e la trascendenza del sentimento suscitato nel singolo e magari solitario osservatore che la contempli". Quindi intermediari e discussioni circa la nuda immanenza di un'opera e la SOGGETTIVITA' della sua interpretazione in chiave eventualmente spiritual-trascendente................intermediari e discussioni, dicevo, fanno parte solo della "sceneggiata" cultural-social-autocelebrativa. Saluti.
Salve bobmax. Ovviamente tu hai sia ragione che torto. Hai ragione nel senso che l'analisi è necessaria alla formulazione della sintesi, ma da sola resta esercizio perfettamente vano.
Hai torto nel senso che la sintesi può - al limite - fare a meno dell'analisi, permettendo comunque di prendere delle decisioni concrete magari indovinando ciò che risulterebbe comunque vero ed utile una volta che si procedesse all'analisi della sintesi che ha generato le nostre scelte.
A livello dialettico io considero che le discussioni debbano partire sempre da una tesi, la quale risulterà naturalmente consistere in una "ipotesi sintetica" nascente da una previa ad autonoma analisi unilaterale da parte di chi ponga la tesi stessa.
Ma agli interlocutori va anzitutto sottoposta la tesi sintetica, la cui formulazione concisa e snella possa permettere di più facilmente svolgere il successivo contradditorio avente magari forma analitica.
Se il contradditorio dovesse partire dalla esplicitazione di una analisi, quello che potrebbe partire non potrebbe essere un contradditorio a più voci ma solo un accavallamento di esegesi o di soliloqui esegetici costretti a "nuotare" in un mare di termini e considerazioni contenuti nella tesi analitica necessariamente prolissa dalla quale qualcuno ha deciso di partire.
Citazione di: viator il 19 Febbraio 2021, 12:52:49 PM
Salve bobmax. Ovviamente tu hai sia ragione che torto. Hai ragione nel senso che l'analisi è necessaria alla formulazione della sintesi, ma da sola resta esercizio perfettamente vano.
Ciao Viator
Diciamo allora che mi dai ragione su tutta la linea...
Infatti avevo scritto:
Citazione di: bobmax il 18 Febbraio 2021, 17:07:03 PM
La sintesi è comunque a un certo punto necessaria, perché se infine non avviene, l'analisi resta sospesa, in sostanza vana.
Tuttavia non concordo con quanto scrivi:
Citazione di: viator il 19 Febbraio 2021, 12:52:49 PM
Hai torto nel senso che la sintesi può - al limite - fare a meno dell'analisi, permettendo comunque di prendere delle decisioni concrete magari indovinando ciò che risulterebbe comunque vero ed utile una volta che si procedesse all'analisi della sintesi che ha generato le nostre scelte.
A livello dialettico io considero che le discussioni debbano partire sempre da una tesi, la quale risulterà naturalmente consistere in una "ipotesi sintetica" nascente da una previa ad autonoma analisi unilaterale da parte di chi ponga la tesi stessa.
Ma agli interlocutori va anzitutto sottoposta la tesi sintetica, la cui formulazione concisa e snella possa permettere di più facilmente svolgere il successivo contradditorio avente magari forma analitica.
Se il contradditorio dovesse partire dalla esplicitazione di una analisi, quello che potrebbe partire non potrebbe essere un contradditorio a più voci ma solo un accavallamento di esegesi o di soliloqui esegetici costretti a "nuotare" in un mare di termini e considerazioni contenuti nella tesi analitica necessariamente prolissa dalla quale qualcuno ha deciso di partire.
Secondo me, è importante considerare che i termini: sintesi, tesi e intuizione... non sono equivalenti.
Una tesi sintetica non è detto che sia proprio una sintesi. Dipende da dove scaturisce questa tesi.
Ed è sempre una "tesi" che si discute, non una sintesi.
La tesi dovrebbe essere senz'altro concisa, e anche questo non facile... ma essere concisi, sintetici, non vuol dire che si sia effettivamente fatta una sintesi di un argomento. Semplicemente si può averlo intuito.
La tesi potrebbe essere in effetti un'intuizione. E non avrebbe perciò niente a che fare con la sintesi. Che necessita di una analisi precedente.
L'intuizione è fondamentale!
Sono convinto che tutta la matematica si regga su intuizioni, per esempio.
Ma sebbene importanti, indispensabili, le intuizioni non sono delle sintesi. Sintesi di che?
E non si discute con delle intuizioni. Se ciò avviene è un dialogo tra sordi.
La discussione di una tesi, se autentica, è sempre una analisi.
Se il contraddittorio non è una analisi allora sì che abbiamo un soliloquio.
E cioè la contrapposizione di tesi arbitrarie che non si basano su alcun processo investigativo e che non affrontano la prova dell'analisi...
Cioè situazioni di un inutile contraddittorio incapace di svolgere una concreta analisi. Situazioni non rare pure in questo forum...
Anche per l'arte è necessario capire il messaggio e tale comprensione richiede la conoscenza degli antefatti su cui si regge un'opera d'arte. Difficile "capire" la Divina Commedia senza conoscere le storie a cui Dante fa riferimento inclusa la biografia di Dante. Per musica e pittura è la stessa cosa. Il godimento di un'opera d'arte è legato alla conoscenza del contesto culturale in cui l'arte-fice visse e dal godimento segue l'amore.
Come per la natura, anche nella produzione umana la conoscenza dei meccanismi che l'hanno resa possibile è conditio sine qua non per giudicare e valorizzare.
Citazione di: Ipazia il 19 Febbraio 2021, 21:22:38 PM
Anche per l'arte è necessario capire il messaggio e tale comprensione richiede la conoscenza degli antefatti su cui si regge un'opera d'arte. Difficile "capire" la Divina Commedia senza conoscere le storie a cui Dante fa riferimento inclusa la biografia di Dante. Per musica e pittura è la stessa cosa. Il godimento di un'opera d'arte è legato alla conoscenza del contesto culturale in cui l'arte-fice visse e dal godimento segue l'amore.
Come per la natura, anche nella produzione umana la conoscenza dei meccanismi che l'hanno resa possibile è conditio sine qua non per giudicare e valorizzare.
Salute a te, Ineffabile Musa. Devo darti ragione, in effetti la conoscenza non può che valorizzare le proprie conseguenze. La mia unica perplessità riguarda la (si chiamava consecutio temporis ?) sequenza (forse artistica ma certo sospettosamente innaturale) per la quale il godimento precederebbe l'amore e non viceversa. Ma forse io sono artisticamente un pervertito. Saluti ed omaggi.
Perchè bisogna assaggiare un cibo per sapere se ti piace. Non ci si innamora in astratto, ma di qualcuno la cui presenza ci dà piacere.
Citazione di: Ipazia il 19 Febbraio 2021, 21:22:38 PM
Anche per l'arte è necessario capire il messaggio e tale comprensione richiede la conoscenza degli antefatti su cui si regge un'opera d'arte. Difficile "capire" la Divina Commedia senza conoscere le storie a cui Dante fa riferimento inclusa la biografia di Dante. Per musica e pittura è la stessa cosa. Il godimento di un'opera d'arte è legato alla conoscenza del contesto culturale in cui l'arte-fice visse e dal godimento segue l'amore.
Come per la natura, anche nella produzione umana la conoscenza dei meccanismi che l'hanno resa possibile è conditio sine qua non per giudicare e valorizzare.
Non si può negare ciò. Tuttavia il miglior modo di spiegare l'arte è...l'arte.
E i migliori artisti sono a mio parere quelli che trasfigurano la propria arte attraverso un altra.
Si può dire secondo te che Dante metta la sua filosofia in versi?
Mi piace ascoltare la divina commedia come una musica , seppur col senso di colpa di non leggere le note.
Ma se si "capisce" Dante o la musica il piacere aumenta. O no ?
Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2021, 16:11:03 PM
Ma se si "capisce" Dante o la musica il piacere aumenta. O no ?
Cambia.
Forse Dante non è il miglior esempio.
Ascoltando musica , sapere o non sapere cosa sto ascoltando modifica la mia percezione .
Inevitabile pensare che quando non so' mi sto godendo la pura musica.
Ma penso anche che la miglior arte non sia quella pura, ma quella contaminata.
Come dicevo un'arte che si trasfigura in un altra.
Una musica che evoca un paesaggio naturale.
Un paesaggio naturale che evoca una musica.
Oppure, la contaminazione è un arte in se'.
Prendi due opere insulse di diversa arte, le mischi insieme e rischi di ottenere un capolavoro assoluto.
Credo che ,così come le parole spiegano le parole, l'arte spieghi l'arte.
La natura è, sia fonte di ispirazione artistica, sia materia da manipolare ad arte.