Le idee esposte in questo topic nascono dalla riflessione su alcune teorie di Sgiombo che egli ha illustrato nel mio precedente topic "Critica all'emergentismo". Ciò che intendo fare è analizzare brevemente tali teorie e intengrarle con alcune mie "correzioni" e riflessioni. Ho pensato di farlo in nuovo topic e non in una risposta ai suoi commenti poichè il tema si discosta da quello iniziale e perchè, secondo me, merita un topic a parte. Avendo io già riassunto (più o meno bene) le idee di Sgiombo nel topic sopra citato ( di cui invito a leggere gli ultimi commenti per avere un'idea più chiara e non filtrata dalle mie parole di quello di cui si sta parlando), mi limiterò spesso a fare un copia-incolla delle mie e delle sue parole. Inizialmente illustrerò le sue idee integrandole con domande e commenti, poi aggiungerò le mie riflessioni individuali su tali idee. Questa sarà una versione breve della sua proposta, in cui elencherò solo ciò che è necessario per far capire in che modo io mi sono legato alla sua idea, se qualcosa non è chiaro, ripeto il consiglio di andare a leggere gli ultimi commenti del mio topic sull'emergentismo.
Secondo Sgiombo (parole mie): "Esiste il materiale ed esiste il mentale. Il materiale è tutto ciò che arriva alla nostra coscienza dall'esterno, che tutti possono vedere e misurare. Esso viene rappresentato dalla nostra coscienza come percetto (visivo, uditivo ecc.). Il mentale è invece tutto ciò che è interno alla nostra coscienza, che è soggettivo e non misurabile dall'esterno. Di questa categoria fanno parte sia i percetti soggettivi generati dalla materia, sia le sensazioni interne come pensieri e ragionamenti." A questo punto Sgiombo mi corregge dicendo che: "Tutto ciò che é interno alla nostra coscienza é il fenomenico [...] del che fanno parte sia le apparenze fenomeniche materiali [...] sia le apparenze fenomeniche mentali o di pensiero".
Vorrei qui un chiarimento sulla natura della correzione (e mi rivolgo principalmente a Sgiombo). Non credo di aver colto la differenza tra le mie e le tue parole: entrambi affermiamo che la coscienza, ossia il mentale, è composto da processi sia esclusivamente interni (quindi fenomeni mentali o di pensiero), sia dalle "apparenze fenomeniche materiali" (quindi dai nostri percetti provenienti dalla materia). C'è qualcosa che ho tralasciato?
Andando avanti, viene chiarita la natura della precedente affermazione. Secondo Sgiombo (sempre parole mie): "Quando noi ci priviamo di informazioni sensoriali provenienti dall'esterno e di informazioni sul nostro stato di coscienza, materia e mente smettono di esistere poichè non sono soddisfatte le condizioni che le definiscono: se con materia intendiamo tutto ciò che percepiamo dall'esterno e con mente tutto ciò che percepiamo dall'interno, quando ci priviamo di percezioni entrambi questi elementi vengono a mancare. Tuttavia, la realtà oggettiva continua a esistere anche in assenza delle mie percezioni poichè non appena riattivo le percezioni essa mi riappare come prima. Questo è quello che tu, citando Kant, chiami "noumeno"".
Più avanti viene illustrato un interessante modo di approcciarsi al problema dei qualia. Secondo Sgiombo (parole mie): "Quando noi osserviamo il cervello di qualcun'altro lo percepiamo nello stesso modo in cui percepiamo le cose materiali poichè esso è esterno a noi. Tuttavia il possessore del cervello lo percepisce come mentale poichè esso è interno al soggetto."
Infine: "Non c'è rapporto causale tra materia e mente poichè entrambe sono le rappresentanti della stessa cosa, ossia il noumeno. Esse quindi si muovono più che altro in parallelo e vengono influenzate dalle stesse cose: influenzando una si influenza l'altra e vice versa. Questo accade poichè, in realtà, si sta in entrambi i casi influenzando il noumeno di cui materia e mente sono le raffigurazioni."
Ho usato principalmente parole mie poichè in questo modo mi sento più a mio agio, ma eventuali correzioni da parte di Sgiombo sono sempre accette.
Dunque, vorrei iniziare con alcuni punti deboli che mi è sembrato di trovare. Innanzitutto non mi è chiaro quanti sarebbero gli elementi ontologici: materia e mente? Materia, mente e noumeno? Oppure materia-mente (visti come unità) e noumeno? Il mio punto è il seguente: se materia e mente smettono di esistere al cessare delle percezioni coscienti interne ed esterne (quindi anche quando dormiamo immagino), vuol dire che esse sono interamente contenute nella nostra coscienza. Ma a questo punto c'è qualcosa che non torna riguardo la natura della materia. Se essa si identifica con le sensazioni percettive tattili, visive, odorose ecc., (quindi materia = percetti) non vedo perchè chiamarla materia e non, per l'appunto, "percezione", classificandola come uno dei tanti aspetti della mente. Se essa invece si identifica con ciò che produce queste percezioni, allora non dovrebbe smettere di esistere quando le percezioni cessano e dovrebbe quindi identificarsi con il noumeno, in quanto i percetti sono i rappresentanti del noumeno e sono quindi prodotti da esso.
Io mi limiterei a suddividere materia e mente e, se si vuole tirare in ballo il noumeno, esso dovrebbe essere un sinonimo di materia.
A questo punto si arriva alla parte più interessante: il cervello visto dall'esterno e dall'interno. Sgiombo dice spesso che "il cervello sta nella coscienza". Con questo penso voglia intendere che, dato che nella sua ottica la coscienza non è prodotta dal cervello, ma essi sono piuttosto uno affianco all'altro, l'unico vero cervello con cui abbiamo a che fare è quello che incontriamo quando stiamo guardando un cervello fisico di qualcun'altro. Essendo esterno a noi, esso crea un percetto che è rappresentato nella nostra coscienza come l'immagine del cervello. In questo senso il concetto o l'immagine del cervello è dentro la coscienza (di chi osserva). Ma ogni persona vede diversamente se stesso rispetto a come vede gli altri: degli altri si vede il cervello ma non la coscienza, di se stessi si possono,teoricamente, vedere entrambi poichè siamo i possessori di un cervello e della coscienza associata (ma non causata, poichè entrambi rappresentano, in modi diversi, una terza cosa che è il noumeno).
Ora, quest'idea del diverso punto di vista io l'ho trasportata nella mia concezione monista materialista del mondo (che Sgiombo me ne perdoni) e mi è servita per trovare un diverso approccio al problema dei qualia.
Vorrei portare innanzitutto l'attenzione sulla natura del problema dei qualia e della coscienza. Il riduzionismo e il materialismo sono spesso criticati perchè, sembrerebbe, non riescono a spiegare la coscienza e l'esperienza soggettiva di ognuno. L'esperimento mentale di Mary che studia la percezione dei colori in una stanza in bianco e nero ne è un esempio: l'idea qui, è che delle spiegazioni fisiologiche del funzionamento del cervello non sono sufficienti per rendere conto anche delle esperienze soggettive (la critica di Paul Churchland a questo esperimento contiene già gran parte, se non tutte, le mie idee a riguardo). Tuttavia, secondo me, il problema esiste solo perchè non ci si è soffermati a pensare a cosa significhi dare una spiegazione dei qualia. Ed ecco che entrano in gioco i punti di vista. Dal mio punto di vista (non ho saputo resistere al gioco di parole) ogni individuo ha due differenti visioni dei processi cerebrali (e qui mi riallaccio ai pensieri di Sgiombo ): la visione esterna e interna. Per visione esterna intendo il modo in cui ogni cervello (che uso come sinonimo di individuo) "vede" gli altri cervelli. Questo modo corrisponde a tutte le spiegazioni fisiologiche dei processi mentali che sono state fornite finora: noi percepiamo gli altrui processi cerebrali come potenziali d'azione, reazioni chimiche ecc. Per visione interna intendo la visione che ogni cervello ha di se stesso, ossia, il modo in cui determinati processi cerebrali "vedono" altri processi cerebrali all'interno dello stesso cervello. Il modo in cui il cervello si vede è attraverso i qualia. Questi due punti di vista sono diversi l'uno dall'altro ed è quindi normale che generino rappresentazioni diverse della stessa cosa (il cervello). Da ciò ne consegue che i qualia di una persona esterna a noi, essendo anche loro processi cerebrali, vengono percepiti da noi come normali processi cerebrali e non ha senso pensare di poter dare una spiegazione diversa ai suddetti qualia, poichè noi non siamo quella persona e l'unico punto di vista che abbiamo sul suo cervello è quello esterno. Il fatto che i nostri qualia ci sembrino qualcosa di diverso dai normali processi fisici è dovuto solo al fatto che essi sono interni a noi e non esterni, godendo quindi un diverso punto di vista. Il ragionamento sarebbe il seguente: i qualia non sembrano processi fisici poichè i processi fisici corrispondono al nostro modo di rappresentare la mete degli altri (tra cui i loro qualia), mentre i nostri qualia li stiamo vivendo in prima persona, producendo una diversa rappresentazione dei nostri stessi processi fisici. Riassumendo si potrebbe dire: noi siamo i nostri qualia, i qualia degli altri sono ciò che noi vediamo come processi fisici (immagini di risonanza magnetica del cervello, rilevamenti EEG e così via).
Con questo volevo far notare come, in realtà, le spiegazioni materiali dei processi cerebrali che stiamo continuando a dare sono sufficienti per rendere conto di ogni tipo di fenomeno mentale (anche se ovviamente ancora c'è molto da scoprire). Il fatto che molti credino che a queste spiegazioni manchi e mancherà sempre qualcosa dipende dall'illusione di poter dare a qualcosa di esterno (l'altrui cervello) la stessa rappresentazione che si da al proprio cervello. Ovviamente le cose non cambiano neanche se si visualizza una misurazione dei propri processi cerebrali, in quanto la misurazione ha già trasformato i suddetti processi in un linguaggio esterno e comprensibile agli altri.
Tutto questo, come ho già detto, è nato grazie all'idea di Sgiombo sui diversi punti di vista e, alla fin fine, ho l'impressione che l'unica reale differenza tra le mie le sue idee sia che io ho messo tutto su un piano materialista e monista mentre lui (credo) rimanga sul dualismo. Spero che l'aver usato i sui pensieri per rafforzare il freddo poco piacevole monismo materialista mi venga da lui perdonato.
CitazioneInnanzitutto ringrazio SamuelSilver per aver preso in considerazione e criticato le mie proposte e per avere a sua volta avanzato le proprie convinzioni, grazie anche allo stimolo da me proveniente (cosa per me decisamente gratificante).
Lo vorrei inoltre rassicurare che non ha bisogno di alcun perdono da parte mia per "aver usato i miei pensieri per rafforzare il freddo poco piacevole monismo materialista": a parte il fatto che ritengo ovviamente del tutto legittimo e insindacabile da parte mia l' impiego autonomo e originale da parte di chiunque delle mie opinioni e sollecitazioni in qualsiasi "direzione teorica" (perfino monistica idealistica, se fosse il caso), ho la presunzione di ritenere che il mio "monismo (neutro) del noumeno, dualismo dei fenomeni" si collochi nel solco del materialismo "classico" (settecentesco là d' Holbach, e leopardiano, per intenderci), del quale sono immodestamente convinto di aver superato i limiti e le aporie circa i rapporti cervello-coscienza e materia-pensiero, salvaguardandone e sviluppandone la fondamentale ispirazione "naturalistica" e "antimiracolistica-antisoprannaturalistica-antiprovvidenzialistica".
Obietterò di seguito a ciò in cui credo mi abbia frainteso e a ciò da cui dissento delle sue proposte, ignorando le affermazioni che condivido.
Citazione di: SamuelSilver il 15 Settembre 2018, 19:04:40 PM
Secondo Sgiombo (parole mie): "Esiste il materiale ed esiste il mentale. Il materiale è tutto ciò che arriva alla nostra coscienza dall'esterno, che tutti possono vedere e misurare. Esso viene rappresentato dalla nostra coscienza come percetto (visivo, uditivo ecc.). Il mentale è invece tutto ciò che è interno alla nostra coscienza, che è soggettivo e non misurabile dall'esterno. Di questa categoria fanno parte sia i percetti soggettivi generati dalla materia, sia le sensazioni interne come pensieri e ragionamenti." A questo punto Sgiombo mi corregge dicendo che: "Tutto ciò che é interno alla nostra coscienza é il fenomenico [...] del che fanno parte sia le apparenze fenomeniche materiali [...] sia le apparenze fenomeniche mentali o di pensiero".
Vorrei qui un chiarimento sulla natura della correzione (e mi rivolgo principalmente a Sgiombo). Non credo di aver colto la differenza tra le mie e le tue parole: entrambi affermiamo che la coscienza, ossia il mentale, è composto da processi sia esclusivamente interni (quindi fenomeni mentali o di pensiero), sia dalle "apparenze fenomeniche materiali" (quindi dai nostri percetti provenienti dalla materia). C'è qualcosa che ho tralasciato?
Citazione
Secondo me tu (come anche Apeiron, nella discussione su "La critica delle scienza é fondata?" !) tendi a confondere due concetti per me diversi e da distinguere chiaramente, quelli di "coscienza" di "mente".
La coscienza comprende tanto "contenuti fenomenici" (insiemi e successioni di sensazioni) mentali o di pensiero (concetti, ragionamenti, ricordi, immaginazioni, sentimenti, aspirazioni, "stati d' animo", ecc.), quanto "contenuti (altrettanto) fenomenici" materiali (cielo, terra, stelle, montagne, pianure, oggetti minerali, vegetali, animali, ecc.).
I secondi possono essere considerati intersoggettivi in quanto espressione (manifestazione fenomenica cosciente) di rapporti fra quella cosa in sé che é "soggetto di coscienza" e altre diverse cose in sé che sono "oggetti di coscienza" (trovo improprio esprimere questo concetto dicendo che arrivano alla nostra coscienza dall'esterno dal momento che sono sempre e comunque "interni" alla nostra coscienza, anche se in relazione a cose in sé ad essa esterne); invece i primi non possono essere considerati intersoggettivi in quanto espressione (manifestazione fenomenica cosciente) di rapporti fra quella cosa in sé che é "soggetto di coscienza" e, riflessivamente, essa stessa (soggetto ed oggetto di esperienza fenomenica cosciente in questo caso si identificano, mentre nel caso di fenomeni materiali -altrettanto appartenenti alla coscienza, ma non alla sua "parte mentale", non alla mente- sono distinti).
Più avanti viene illustrato un interessante modo di approcciarsi al problema dei qualia. Secondo Sgiombo (parole mie): "Quando noi osserviamo il cervello di qualcun'altro lo percepiamo nello stesso modo in cui percepiamo le cose materiali poichè esso è esterno a noi. Tuttavia il possessore del cervello lo percepisce come mentale poichè esso è interno al soggetto."
CitazioneQui un po' pignolescamente ci terrei a fare una precisazione.
I concetti di "interno" ed "esterno" hanno senso propriamente solo relativamente ai fenomeni materiali (infatti Cartesio li chiamava "res extensa", peraltro ipostatizzandoli, cioè considerandoli a mio parere indebitamente "cose reali in sé", anche indipendentemente dall' essere percepite: solo di qualcosa che ha un' estensione si può stabilire sensatamente se sia interno od esterno a qualcosaltro che pure ha un estensione).
Direi più propriamente che i soggetti in sé di sensazione di altri da essi diversi oggetti in sé percepiscono questi oggetti altri, diversi da se stessi-soggetti (nell' ambito delle loro proprie esperienze coscienti di cui sono soggetti) come fenomeni materiali; mentre percepiscono se stessi come cose in sé soggetto e anche riflessivamente oggetto di sensazione come fenomeni mentali.
Dunque, vorrei iniziare con alcuni punti deboli che mi è sembrato di trovare. Innanzitutto non mi è chiaro quanti sarebbero gli elementi ontologici: materia e mente? Materia, mente e noumeno? Oppure materia-mente (visti come unità) e noumeno? Il mio punto è il seguente: se materia e mente smettono di esistere al cessare delle percezioni coscienti interne ed esterne (quindi anche quando dormiamo immagino), vuol dire che esse sono interamente contenute nella nostra coscienza. Ma a questo punto c'è qualcosa che non torna riguardo la natura della materia. Se essa si identifica con le sensazioni percettive tattili, visive, odorose ecc., (quindi materia = percetti) non vedo perchè chiamarla materia e non, per l'appunto, "percezione", classificandola come uno dei tanti aspetti della mente. Se essa invece si identifica con ciò che produce queste percezioni, allora non dovrebbe smettere di esistere quando le percezioni cessano e dovrebbe quindi identificarsi con il noumeno, in quanto i percetti sono i rappresentanti del noumeno e sono quindi prodotti da esso.
CitazioneAnche qui mi sembra di rilevare un' indebita confusione fra "mente" e "coscienza".
"Percezione" o "sensazione" per me sono sinonimi di "fenomeno", ovvero letteralmente (ed etimologicamente, dal greco) "fenomeni", "contenuti di coscienza", "qualia", il cui "esse est percipi": la loro realtà si esaurisce nell' apparire alla coscienza "e basta", quando non si ha coscienza (di esse) non esistono (allora se, come credo, qualcosa esiste, anche allora sarebbe contraddittorio identificarlo con tali cose -chiamabili fenomeni, sensazioni, contenuti di coscienza, ecc.- allorché esse non esistono: non possono che essere qualcosaltro, da esse diverso, non apparente alla coscienza -non fenomeno- ma solo congetturabile esistere: noumeno).
E questa "natura ontologica" di fenomeni é "talmente e qualmente" propria dei fenomeni (o sensazioni, o contenuti di coscienza, ecc.) mentali (coscienza =/= mente!) e di quelli materiali (uniche differenze fra di essi sono che i primi non possono essere postulati essere intersoggettivi e non possono essere quantitativamente misurabili attraverso rapporti di grandezze esprimibili matematicamente, e di conseguenza non sono scientificamente conoscibili, per lo meno in senso proprio), mentre i secondi sì che lo possono.
Dunque in conclusione per me ontologia comprende: il noumeno ("neutro": né materiale né mentale in quanto non apparente) e i fenomeni (costituenti l' esperienza cosciente, la coscienza; e non la mente); i quali si distinguono in materiali (intersoggettivi, "pubblici" e misurabili) e mentali (meramente soggettivi, "privati" e non misurabili).
Nota bene ciò che qui dici della materia (=fenomeni materiali di coscienza) si ben può dire esattamente allo stesso modo del pensiero o dei fenomeni mentali parimenti di coscienza: essi sono entrambi percezioni coscienti (e non: mentali, se non nel solo caso dei secondi), diverse cose da quelle (in sé: noumeni) che "producono" le percezioni stesse (le virgolette perché le producono in senso non propriamente "causale" in quanto un divenire secondo leggi universali e costanti esprimibili da equazioni algebriche si può inequivocabilmente postulare -e non dimostrare: Hume!- solo per la materia e non della mente né del noumeno, che non sono quantitativamente misurabili)
Io mi limiterei a suddividere materia e mente e, se si vuole tirare in ballo il noumeno, esso dovrebbe essere un sinonimo di materia.
CitazioneSpero di avere chiarito sufficientemente appena qui sopra perché la cosa in sé o noumeno non può essere considerato sinonimo di materia, id est: delle sensazioni o fenomeni (enti-eventi di coscienza, e non di mente!) materiali; esattamente come non può essere considerato sinonimo di pensiero, id est: delle sensazioni o fenomeni (enti-eventi di coscienza) mentali.
A questo punto si arriva alla parte più interessante: il cervello visto dall'esterno e dall'interno. Sgiombo dice spesso che "il cervello sta nella coscienza". Con questo penso voglia intendere che, dato che nella sua ottica la coscienza non è prodotta dal cervello, ma essi sono piuttosto uno affianco all'altro, l'unico vero cervello con cui abbiamo a che fare è quello che incontriamo quando stiamo guardando un cervello fisico di qualcun'altro. Essendo esterno a noi, esso crea un percetto che è rappresentato nella nostra coscienza come l'immagine del cervello. In questo senso il concetto o l'immagine del cervello è dentro la coscienza (di chi osserva). Ma ogni persona vede diversamente se stesso rispetto a come vede gli altri: degli altri si vede il cervello ma non la coscienza, di se stessi si possono,teoricamente, vedere entrambi poichè siamo i possessori di un cervello e della coscienza associata (ma non causata, poichè entrambi rappresentano, in modi diversi, una terza cosa che è il noumeno).
CitazioneQui volendo fare il pignolissimo rompiballe potrei solo rilevare che il termine "accanto" é un po' improprio, per lo meno in senso letterale in quanto il cervello é nella coscienza di osservatori (come insieme-successione di sensazioni materiali), la quale propriamente parlando non é "accanto" alla coscienza del "titolare" di tale cervello: l' esperienza cosciente della cosa in sé che é soggetto, "titolare" di tale cervello e quelle degli altri soggetti in sé che tale cervello vedono (essendone la cosa in sé che ne é titolare l' oggetto senza essere anche il soggetto della visione fenomenica del cervello stesso da parte loro) reciprocamente si trascendono, si trovano su "piani ontologici" diversi e incomunicanti, spazialmente irrelati, cosicché fra di essi non si possono sensatamente stabilire relazioni spaziali.
CONTINUA
Citazione di: SamuelSilver il 15 Settembre 2018, 19:04:40 PMCONTINUAZIONE
Ora, quest'idea del diverso punto di vista io l'ho trasportata nella mia concezione monista materialista del mondo (che Sgiombo me ne perdoni) e mi è servita per trovare un diverso approccio al problema dei qualia.
Vorrei portare innanzitutto l'attenzione sulla natura del problema dei qualia e della coscienza. Il riduzionismo e il materialismo sono spesso criticati perchè, sembrerebbe, non riescono a spiegare la coscienza e l'esperienza soggettiva di ognuno. L'esperimento mentale di Mary che studia la percezione dei colori in una stanza in bianco e nero ne è un esempio: l'idea qui, è che delle spiegazioni fisiologiche del funzionamento del cervello non sono sufficienti per rendere conto anche delle esperienze soggettive (la critica di Paul Churchland a questo esperimento contiene già gran parte, se non tutte, le mie idee a riguardo). Tuttavia, secondo me, il problema esiste solo perchè non ci si è soffermati a pensare a cosa significhi dare una spiegazione dei qualia. Ed ecco che entrano in gioco i punti di vista. Dal mio punto di vista (non ho saputo resistere al gioco di parole) ogni individuo ha due differenti visioni dei processi cerebrali (e qui mi riallaccio ai pensieri di Sgiombo ): la visione esterna e interna. Per visione esterna intendo il modo in cui ogni cervello (che uso come sinonimo di individuo) "vede" gli altri cervelli. Questo modo corrisponde a tutte le spiegazioni fisiologiche dei processi mentali che sono state fornite finora: noi percepiamo gli altrui processi cerebrali come potenziali d'azione, reazioni chimiche ecc. Per visione interna intendo la visione che ogni cervello ha di se stesso, ossia, il modo in cui determinati processi cerebrali "vedono" altri processi cerebrali all'interno dello stesso cervello. Il modo in cui il cervello si vede è attraverso i qualia. Questi due punti di vista sono diversi l'uno dall'altro ed è quindi normale che generino rappresentazioni diverse della stessa cosa (il cervello). Da ciò ne consegue che i qualia di una persona esterna a noi, essendo anche loro processi cerebrali, vengono percepiti da noi come normali processi cerebrali e non ha senso pensare di poter dare una spiegazione diversa ai suddetti qualia, poichè noi non siamo quella persona e l'unico punto di vista che abbiamo sul suo cervello è quello esterno. Il fatto che i nostri qualia ci sembrino qualcosa di diverso dai normali processi fisici è dovuto solo al fatto che essi sono interni a noi e non esterni, godendo quindi un diverso punto di vista. Il ragionamento sarebbe il seguente: i qualia non sembrano processi fisici poichè i processi fisici corrispondono al nostro modo di rappresentare la mete degli altri (tra cui i loro qualia), mentre i nostri qualia li stiamo vivendo in prima persona, producendo una diversa rappresentazione dei nostri stessi processi fisici. Riassumendo si potrebbe dire: noi siamo i nostri qualia, i qualia degli altri sono ciò che noi vediamo come processi fisici (immagini di risonanza magnetica del cervello, rilevamenti EEG e così via).
CitazioneE qui veniamo ai punti di dissenso.
Parlare di visione "interna" a un cervello significa a mio parere inevitabilmente chiamare in causa un Ryleiano "fantasma nella macchina" (il che, per un materialista eliminativista a là Churchland mi sembra piuttosto grave!): nel cervello non c'é alcun omuncolo che possa vedere il cervello stesso "da un punto di vista interno", né sotto forma di fenomeni mentali o di pensiero né in alcun altro modo: il cervello é visto solo e unicamente (in quanto tale: roba grigiastro-rosea con circonvoluzioni separate da solchi o scissure) da altri soggetti di visione (a meno che non si metta uno specchio davanti a una persona cui sia stata tolta in anestesia locale la calotta cranica: e solo questa potrebbe essere una sensata "visione del cervello da parte di se stesso; ma in realtà una visione di se stesso "alla maniera delle cose da sé diverse ovvero """dall' esterno""" –notare il numero di virgolette- e non invece il resto delle sue esperienze coscienti, e in particolare non i suoi pensieri o fenomeni mentali): nessun quale proprio della sua coscienza oltre quelli costituenti le visione del proprio cervello nello specchio e nient' altro, e non affatto, ad esempio, i qualia costituenti i pensieri che sta pensando!
Il cervello non ha un' esperienza cosciente (é invece un contenuto di esperienze coscienti), non vede alcunché, ma unicamente riceve, elabora ed invia impulsi nervoso: non fa nient' altro. Non vede nulla, ma tutto ciò che fa é unicamente ricevere, elaborare ed emettere impulsi nervosi
Colui che ha l' esperienza cosciente a cui ci riferiamo é invece quella cosa in sé (né materiale né mentale) che altre cose in sé ad essa simili (come essa aventi esperienze coscienti, nelle quali appunto accade la visione del cervello stesso) vedono come quel determinato cervello.
D' altra parte se il cervello vedesse i qualia costituenti al coscienza del suo "titolare", allora, dal momento che il cervello stesso é nella coscienza di chi lo osserva, avremmo che una coscienza conterrebbe un' altra coscienza (quella di chi osserva il cervello conterrebbe la coscienza del "titolare" del cervello stesso, in quanto in esso contenuta), il che é decisamente assurdo: dove starebbero mai i "confini" della coscienza dell' osservato nella coscienza dell' osservatore? Si tratterebbe comunque d un' unica coscienza senza discontinuità, contenente una seconda coscienza da essa distinta malgrado l' assenza di discontinuità, ovvero un' unica coscienza che sarebbero due coscienze: qualcosa di molto simile al "mistero della santissima trinità"!
E se noi fossimo i nostri cervelli (qualsiasi riferimento aDick Swaab non é puramente casuale), allora noi saremmo in altre coscienze diverse dalla nostra, ed al nostro interno non avremmo alcun quale identificantesi coi nostri pensieri (né con i nostri contenuti di coscienza materiali), ma solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc., costituiti da qualia contenuti nelle esperienze comprendenti il nostro cervello (quelle dei suoi osservatori, non le nostre).
I qualia sono fenomeni, e anche i processi fisici sono qualia; i nostri qualia non sono i qualia (materiali: processi fisici) altrui costituenti i processi fisici del nostro cervello (da loro visto, nell' ambito delle loro coscienze) poichè i processi fisici sono fenomeni che corrispondono alle cose in sé nelle esperienze fenomeniche di altri soggetti, mentre i nostri qualia (fisici e non) li stiamo vivendo in prima persona, "producendo" una diversa rappresentazione di noi stessi (nel caso di quelli mentali in particolare) in quanto cose in sé rispetto a quella che si "produce" nelle coscienze di altri soggetti in sé di coscienza fenomenica.
Riassumendo si potrebbe dire: noi ci percepiamo in quanto i nostri qualia mentali, siamo percepiti da altri sotto forma di ciò che gli altri percepiscono come qualia materiali costituenti il nostro cervello, siamo ciò che loro vediamo come processi fisici (immagini di risonanza magnetica del cervello, rilevamenti EEG e così via).
Con questo volevo far notare come, in realtà, le spiegazioni materiali dei processi cerebrali che stiamo continuando a dare sono sufficienti per rendere conto di ogni tipo di fenomeno mentale (anche se ovviamente ancora c'è molto da scoprire). Il fatto che molti credino che a queste spiegazioni manchi e mancherà sempre qualcosa dipende dall'illusione di poter dare a qualcosa di esterno (l'altrui cervello) la stessa rappresentazione che si da al proprio cervello. Ovviamente le cose non cambiano neanche se si visualizza una misurazione dei propri processi cerebrali, in quanto la misurazione ha già trasformato i suddetti processi in un linguaggio esterno e comprensibile agli altri.
Dissento. Le spiegazioni materiali dei processi cerebrali che stiamo continuando a dare non sono sufficienti per rendere conto di ogni tipo di fenomeno mentale (e non lo saranno mai, per quante cose scopriremo mai in neurofisiologia).A queste spiegazioni manca e mancherà sempre qualcosa perché si fondano sull' illusione che noi considerati "in sé" saremmo la materia del mostro cervello (la quale anziché interagire meccanicamente con l' ambiente, l' unica e sola cosa che effettivamente fa, avrebbe una coscienza: sentirebbe!) mentre invece la materia del nostro cervello siamo noi considerati in quanto "percepiti fenomenicamente" da altri soggetti di coscienza in sé o noumenici simili a ma diversi, altri da noi.
Aggiungo un paio di altre considerazioni critiche.
Dall' interno del cervello (di noi stessi, se per assurdo fossimo il nostro cervello; ma dovremmo in realtà essere degli omuncoli che guardano o dei reyleiani "fantasmi nella macchina") potremmo e dovremmo vedere unicamente le pareti dei ventricoli cerebrali, così come guardandolo dall' esterno ne vediamo la superficie della corteccia, e non i nostri pensieri o fenomeni mentali.
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L' imaging neurologico funzionale non ci dice solo che allorché si osserva un determinato cervello in determinate condizioni fisiologiche accadono determinati pensieri (fenomeni mentali) in una determinata coscienza, ma anche che allorché si osserva un determinato cervello in determinate altre condizioni fisiologiche accadono determinate percezioni di "cose" (fenomeni materiali) in una determinata coscienza (per esempio quando certi processi neurofisiologici accadono nel talamo e nella corteccia occipitale -e forse anche in altre parti- del mio cervello -nella tua coscienza*- allora nella mia coscienza** vedo qualcosa di esterno materiale, accadono fenomeni materiali.
Dunque non tutto ciò che accade nel mio cervello (per altri che lo osservano) é solo e unicamente pensiero, percezione fenomenica di me stesso dall'interno (da parte mia; per me), ma comprende anche materia, percezione di cose diverse da me stesso all' esterno di me.
Non esistono nelle coscienze solo qualia mentali, di pensiero, ma anche qualia materiali (superfici rosse quadrate, verdi rotonde, suoni e rumori, ecc.).
E anche ammesso e non concesso che i primi siano io stesso = il mio cervello (determinati processi neurofisiologici in atto in esso) che si osserva "dall' interno", i qualia materiali non possono proprio essere identificati con ciò che percepisco all' esterno di me: se sto vedendo (nella mia coscienza**) un coloratissimo arcobaleno o il monte Cervino, essi sono ben altra cosa che i corrispondenti processi neurofisiologici nel mio talamo ottico e nella mia corteccia occipitale (altrettanto percepiti dall' esterno da parte tua, esattamente come sono percepiti parimenti dall' esterno da parte mia -dovrebbero essere esattamente le stesse cose viste nello stesso modo! O al massimo da due prospettive in senso letterale e non metaforico diverse- che l' arcobaleno e il Cervino: dovrebbero essere uguali, o al massimo il Cervino visto da Valtournenche anziché da Zermatt o l' arcobaleno visto un po' più grande o più piccolo o un po' più stretto o più largo rispettivamente; ma invece sono da una parte roba roseogrigiastra umida e molliccia costituita da una determinata "configurazione" di molecole, particelle-onde, campi di forza, ecc., dall' altra strisce curvilinee dei colori dell' iride o una splendida forma di montagna costituite da altre, molto diverse determinate "configurazioni" di molecole, particelle-onde, campi di forza, ecc.,: ben diverse cose!
Dall' interno del cervello (di noi stessi, se per assurdo fossimo il nostro cervello; ma dovremmo in realtà essere degli omuncoli che guardano o dei reyleiani "fantasmi nella macchina", dal momento che nel cervello non ci sono occhi di modo che esso, identificato dai monisti materialisti con l' "io" o, come a volte preferiscono dire, il "sé", possa vedersi-guardarsi dall' interno!) potremmo e dovremmo vedere unicamente le pareti dei ventricoli cerebrali, così come guardandolo dall' esterno ne vediamo la superficie della corteccia; e non certamente i nostri pensieri o fenomeni mentali i quali appartengono ad un' altra, diversa coscienza* (la nostra), rispetto a quelle** (degli osservatori di esso) contenenti il nostro cervello = noi.
Mi scuso con SamuelSilver per l' incalzare un po' ossessivo delle obiezioni e integrazioni alle obiezioni, ma l' argomento mi sta tantissimo a cuore ...contrariamente alla maggior parte dei frequentatori del forum, a quanto pare, purtroppo
Citazione di: sgiombo il 16 Settembre 2018, 12:54:07 PM
Mi scuso con SamuelSilver per l' incalzare un po' ossessivo delle obiezioni e integrazioni alle obiezioni, ma l' argomento mi sta tantissimo a cuore ...contrariamente alla maggior parte dei frequentatori del forum, a quanto pare, purtroppo
CARLO
L'argomento sta a cuore anche a me, ma finché continuerai a considerare la mente (di cui la coscienza fa parte) un
non-ente (cioè
non-esistente), tutte le tue spiegazioni mi appaiono assolutamente prive di supporto sostanziale e quindi impossibili da ricondurre a oggetto di discussione. Per me un non-ente non-ha proprietà, non-percepisce alcunché, non-pensa, non-decide. E, soprattutto, non-discute né si può discutere! :)
Salve. Per Carlo Pierini. Affermi che la coscienza faccia parte della mente.
Il fatto che si possa essere contemporaneamente coscienti e dementi (mentre invece è impossibile una produzione mentale in stato di incoscienza - e guarda che stiamo parlando di mentalismo - non di psichismo) sembra dimostri che le cose stiano diversamente.
Facciamo che la gerarchia evolutiva (e poi quindi anche funzionale) dei contenuti cerebrali sia invece la seguente : sistema nervoso (strumento che mette in relazione l'interno del corpo con il suo esterno) - percezione sensoriale (traduzione degli stimoli in codice psichico) - psiche (contenente semplicemente ed unicamente - alla nostra nascita - l'istinto di sopravvivenza) - memoria (serbatoio delle esperienze che devono confrontarsi con l'istinto di sopravvivenza) - coscienza (la capacità psichica di distinguere il sé dal fuori di sé - si inaugura il mondo culturale umano) - mente (capacità di connettere tra di loro cause ed effetti) - intelletto (capacità di esprimere in modo codificato e comunicabile i rapporti tra le cause e gli effetti)- ragione (capacità di selezionare i comportamenti in base alla loro utilità) - capacità di astrazione (capacità di estrapolare l'ignoto dal noto) - trascendenza(capacità di esprimere concetti non basati sull'esperienza della percezione).
Trovi convincente, incompleto, deludente o demenziale un simile percorso ? Saluti
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Settembre 2018, 17:12:57 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Settembre 2018, 12:54:07 PM
Mi scuso con SamuelSilver per l' incalzare un po' ossessivo delle obiezioni e integrazioni alle obiezioni, ma l' argomento mi sta tantissimo a cuore ...contrariamente alla maggior parte dei frequentatori del forum, a quanto pare, purtroppo
CARLO
L'argomento sta a cuore anche a me, ma finché continuerai a considerare la mente (di cui la coscienza fa parte) un non-ente (cioè non-esistente), tutte le tue spiegazioni mi appaiono assolutamente prive di supporto sostanziale e quindi impossibili da ricondurre a oggetto di discussione. Per me un non-ente non-ha proprietà, non-percepisce alcunché, non-pensa, non-decide. E, soprattutto, non-discute né si può discutere! :)
Non ci sarà possibilità di dialogo fra noi finché tu continuerai a stravolgere a tuo piacimento
le mie affermazioni, anche nell' esatto loro contrario: "finché continuerai a considerare la mente ... un non-ente (cioè non-esistente)...", quando ho sempre sostenuto a chiarissime lettere che la mente esiste eccome (non meno della materia, alla quale non é riducibile, dalla quale non emerge, alla quale non sopravviene)!Peraltro non é la coscienza a far parte della mente ma al contrario la mente a far parte della coscienza, insieme alla materia: "esse est percipi" (Berkeley e "soprattutto" Hume).
Salve. Per SamuelSilver : Ho apprezzato il fatto che (mi sembra) tu condivida il concetto per il quale la qualità delle cose, una volta risolta a livello essenziale, finisca invariabilmente per rivelarsi solo come un insieme di rapporti (precedentemente ignoti) tra le diverse quantità dei loro ingredienti e delle relazioni tra questi.
Una simile conclusione viene trovata arida oppure mostruosa dalle anime semplici, e quindi rifiutata. Io, tanto presuntuoso da credere di sapere cosa siano unicità, duplicità, molteplicità e totalità, non batto proprio ciglio.
Parte tutto dalla monade la quale, dopo essersi espansa, finisce ancora come monade (ti viene in mente qualche analogia cosmologica?).
Non amo le trattazioni chilometriche. A proposito di monade e materialismo, anzi del "contrario" del materialismo, se vorrai potrai dare un'occhiata al "nuovo" argomento che ho inaugurato minuti fa. Cordialmente.
PS : Ho apprezzato anche la tua chiarezza e ragionevolezza, nonché la persino eccessiva educazione con la quale sempre ti esprimi.
Citazione di: sgiombo il 16 Settembre 2018, 19:15:17 PM
Peraltro non é la coscienza a far parte della mente ma al contrario la mente a far parte della coscienza, insieme alla materia: "esse est percipi" (Berkeley e "soprattutto" Hume).
CARLO
...E l'inconscio? Se non è né coscienza né mente, come si configura?
E il noumeno - che secondo Kant non è un'entità metafisica né fisica - con che si identifica? Con la mente, con la coscienza o con l'inconscio?
Salve Carlo. Anche se non richiesto, mi permetto rispondere io ai quesiti posti a Sgiombo. Nessuno ti obbliga a prendere in considerazione quanto ho scritto qui sopra oggi alle 18.55.
Però in esso l'inconscio sta al posto suo, cioè nella psiche, mentre il noumeno sta all'interno della capacità di trascendere.
Kant credette forse di poter ipotizzare l'esistenza di una "terza dimensione" esterna a fisica e metafisica. Forse credeva nell'esistenza del "terzo occhio".
Sai, noi possediamo due occhi. Quello sinistro vede la fisica, quello destro la metafisica.
Siamo abituati ad usarli contemporaneamente credendo di vedere un'immagine mentre ne osserviamo due. Ciascun occhio offre una visione leggermente ma distinguibilmente diversa del medesimo oggetto. Proviamo a tapparci rapidamente l'uno poi l'altro in sequenza. Si chiama effetto di parallasse. Non parliamo poi dei difetti visivi soggettivi dovuti magari alla vecchiaia. Secondo te l'immagine reale dell'oggetto è quella che ci arriva dall'occhio sinistro, da quello destro o da tutti e due ? Saluti.
Citazione
Citazione di: viator il 16 Settembre 2018, 19:26:17 PMSalve. Per SamuelSilver : Ho apprezzato il fatto che (mi sembra) tu condivida il concetto per il quale la qualità delle cose, una volta risolta a livello essenziale, finisca invariabilmente per rivelarsi solo come un insieme di rapporti (precedentemente ignoti) tra le diverse quantità dei loro ingredienti e delle relazioni tra questi.
Si, questo è esattamente ciò che penso.
CitazioneNon amo le trattazioni chilometriche. A proposito di monade e materialismo, anzi del "contrario" del materialismo, se vorrai potrai dare un'occhiata al "nuovo" argomento che ho inaugurato minuti fa. Cordialmente. PS : Ho apprezzato anche la tua chiarezza e ragionevolezza, nonché la persino eccessiva educazione con la quale sempre ti esprimi.
Si mi rendo conto che è piuttosto lunga come argomentazione, ma lo è perchè ho cercato di essere il più chiaro possibile: sacrifico volentieri la sintesi se ciò vuol dire far capire meglio il messaggio. Grazie degli apprezzamenti comunque e per quanto riguarda l'eccessiva educazione, lo faccio perchè un'atmosfera positiva è essenziale per qualsiasi scambio di opinioni ragionevole: in questo modo si è più disposti ad ascoltare ed eventualmente accettare ciò che gli altri hanno da dire.
Vorrei ora rispondere a Sgiombo.
Citazione
Citazione di: sgiombo il 16 Settembre 2018, 12:54:07 PM Mi scuso con SamuelSilver per l' incalzare un po' ossessivo delle obiezioni e integrazioni alle obiezioni, ma l' argomento mi sta tantissimo a cuore ...contrariamente alla maggior parte dei frequentatori del forum, a quanto pare, purtroppo
[size=undefined]Innanzitutto non c'è bisogno di scuse: d'altronde si sta parlando di ragionamenti scaturiti da tue idee ed è normale essere pignoli.
Ciò che vorrei chiarire è la parte del "fantasma nella macchina". Mi accorgo ora dell'inevitabile confusione scaturita dal mio erroneo utilizzo del termine "vedere".
Mi rendo conto che è paradossale pensare che ci sia qualcuno che "vede" gli eventi cerebrali dentro di noi poichè in questo modo si andrebbe avanti all'infinito nell'ipotizzare omuncoli dentro altri omuncoli. Mi scuso per la confusione e chiedo di sostituire le parti in cui parlo di "vedere" con quanto segue.
La differenza tra punto di vista esterno e interno che ho descritto si può riassumere con: essere i qualia è diverso dal "vedere" i qualia (che sarebbe come a dire "essere un tavolo è diverso dal vedere un tavolo"). Io non affermo che con il punto di vista interno qualcuno possa vedere i propri qualia, ciò che intendevo è che il punto di vista interno corrisponde all'essere i qualia, mentre quello esterno corrisponde al "vedere" i qualia. Cosa vuol dire vedere i qualia? Vuol dire che io, in quanto qualia, sono influenzato dai qualia di qualcun'altro.
Ora bisognerebbe fare un passo ulteriore affermando che i qualia sono processi cerebrali. Ne consegue che: essere dei processi cerebrali è differente dal "vedere" dei processi cerebrali. Cosa vuol dire vedere i processi cerebrali? Vuol dire che io, in quanto processo cerebrale, sono influenzato dai processi cerebrali (attraverso, per esempio, la visione di immagini fMRI) di un cervello diverso dal mio. Si potrebbe anche dire che l'essere influenzati da processi cerebrali del proprio cervello è diverso dall'essere influenzati da processi cerebrali del cervello altrui.
L'apparente limitatezza del materialismo nello spiegare i fenomeni mentali sarebbe dovuta a questa diversità. Spiegare i fenomeni mentali, infatti, corrisponde unicamente alla descrizione di tali fenomeni in termini di processi cerebrali visti dall'esterno. L'ipotetica ulteriore spiegazione che il materialismo non riesce a dare corrisponde in realtà all'esperienza soggettiva di essere questi processi cerebrali. Ma questa non è una spiegazione. Se sto cercando di spiegare come fa Tizio a percepire un fiore, poter entrare nella sua mente e provare quello che prova lui non aggiunge niente, da un punto di vista funzionale, alla spiegazione materiale che potrei dare dall'esterno, se non il fatto che ora ho in memoria l'esperienza di essere stato i processi cerebrali di Tizio e di aver visto il fiore come lo vede lui (ed ecco Paul Churchland). Ma ciò che interessa non è avere in memoria le esperienze soggettive di tutti, ma spiegare queste esperienze in termini oggettivi e utili a chiunque.
Spero di essere stato più chiaro questa volta.
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ciao Sgiombo, ,
adatto che mi interessa la filosofia della mente, ma non riesco a capire il tuo sistema, alquanto originale mi pare, farei uno schema di questo tipo per comprenderlo:
1) dal punto di vista ontologico esiste un insieme chiamato coscienza al cui interno vi sono ontologicamente il cervello e la mente
2) l'agente conoscitivo esperienziale si trova nella coscienza
3) il cervello è meramente elemento materiale ,neuroni, ecc ricevente oggetti del mondo sensibile, ma non è agente conoscitivo
4) la mente è ontologicamente oggetto del pensiero, delle riflessioni,ma non è agente conoscitivo
Il processo relazionale:
i sensi reagiscono alle onde elettromagnetiche e attraverso i nervi trasmettono al cervello quelle onde che si depositano nel cervello.
La coscienza prende dal cervello l'informazione e la elabora, nel senso che pensa, lei dà ordini al cervello
La mente rappresenta il deposito delle informazioni del pensiero
Sempre la coscienza, essendone sede dell'agente conoscitivo preleva quindi i contenuti sensibili dal cervello fisco e i contenuti del pensiero, riflessioni dalla mente.
Dimmi dove sbaglio, perchè per un confronto dovrei capire il tuo sistema
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Settembre 2018, 20:46:14 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Settembre 2018, 19:15:17 PM
Peraltro non é la coscienza a far parte della mente ma al contrario la mente a far parte della coscienza, insieme alla materia: "esse est percipi" (Berkeley e "soprattutto" Hume).
CARLO
...E l'inconscio? Se non è né coscienza né mente, come si configura?
E il noumeno - che secondo Kant non è un'entità metafisica né fisica - con che si identifica? Con la mente, con la coscienza o con l'inconscio?
L' "inconscio" non so cosa sia e non mi interessa.
Certamente non é la stessa cosa della mente la quale é parte della coscienza.
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é).
Citazione di: sgiombo il 17 Settembre 2018, 08:36:07 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Settembre 2018, 20:46:14 PM
CARLO
...E l'inconscio? Se non è né coscienza né mente, come si configura?
E il noumeno - che secondo Kant non è un'entità metafisica né fisica - con che si identifica? Con la mente, con la coscienza o con l'inconscio?
SGIOMBO
L' "inconscio" non so cosa sia e non mi interessa.
Certamente non é la stessa cosa della mente la quale é parte della coscienza.
CARLO
Non c'è scuola di psicologia che non riconosca nell'inconscio una delle componenti fondamentali della psiche. Vuoi dire, allora, che le osservazioni della psicologia sono totalmente prive di valore? ...Che il concetto di psiche si esaurisce in quello di "coscienza"? Per te, i sogni e le visioni hanno un'origine cosciente? I loro contenuti derivano esclusivamente dal "vissuto" cosciente?
Inoltre: in psicologia, "coscienza" e "inconscio" si configurano come le due costituenti fondamentali della psiche, laddove per "psiche" si intende essenzialmente ciò che comunemente chiamiamo anche "anima", o "mente". Ecco: per quale ragione tu, invece, hai ribaltato questa "nomenclatura" chiamando "mente" una parte della coscienza (quale parte?) e "inconscio" qualcosa di inessenziale ai fini della comprensione della psiche?SGIOMBO
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é).CARLOIn psicologia l'inconscio interagisce con la coscienza, anzi la conflittualità coscienza/inconscio è considerata alla base della maggior parte dei disturbi psichici. Mentre, per te, il noumeno è al di là di ogni possibile esperienza.E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?
Citazione di: SamuelSilver il 15 Settembre 2018, 19:04:40 PM Il riduzionismo e il materialismo sono spesso criticati perchè, sembrerebbe, non riescono a spiegare la coscienza e l'esperienza soggettiva di ognuno.
CARLOEsistono molti eventi oggettivi (non solo l'esperienza soggettiva) che evidenziano l'insufficienza del monismo. In una prospettiva monista, infatti, è impossibile spiegare come si possano ottenere: 1 - un comportamento finalistico (l'uomo progetta finalisticamente) da una biologia non finalista; 2 - il pensiero da una materia biologica non pensante; 3 - il sogno da una biologia non sognante; 4 - un solo "io" soggettivo da miliardi di cellule neuronali oggettive; 5 - una "percezione" del proprio corpo senza distinguere il corpo dal soggetto che lo percepisce; 6 - una repressione (o controllo) degli istinti senza distinguere gli istinti dal soggetto che li reprime; 7 - un comportamento etico-filosofico-religioso da un DNA non-etico-filosofico-religioso (il nostro DNA coincide al 98% con quello degli scimpanzè); 8 - una evoluzione culturale da una non-evoluzione biologica (il nostro DNA si stabilizzò circa 200-300 mila anni fa); 9 - una mente malata da un cervello sano; 10 - una mente capace di libere decisioni da una biologia soggetta a leggi deterministiche;11 - una mente femminile da una biologia maschile e viceversa (omosessualità).
quote author=SamuelSilver link=topic=1241.msg24180#msg24180 date=1537140307] Citazione
Citazione di: viator il 16 Settembre 2018, 19:26:17 PMSalve. Per SamuelSilver : Ho apprezzato il fatto che (mi sembra) tu condivida il concetto per il quale la qualità delle cose, una volta risolta a livello essenziale, finisca invariabilmente per rivelarsi solo come un insieme di rapporti (precedentemente ignoti) tra le diverse quantità dei loro ingredienti e delle relazioni tra questi.
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Si, questo è esattamente ciò che penso. [/size]
CitazioneNon amo le trattazioni chilometriche. A proposito di monade e materialismo, anzi del "contrario" del materialismo, se vorrai potrai dare un'occhiata al "nuovo" argomento che ho inaugurato minuti fa. Cordialmente. PS : Ho apprezzato anche la tua chiarezza e ragionevolezza, nonché la persino eccessiva educazione con la quale sempre ti esprimi.
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Si mi rendo conto che è piuttosto lunga come argomentazione, ma lo è perchè ho cercato di essere il più chiaro possibile: sacrifico volentieri la sintesi se ciò vuol dire far capire meglio il messaggio. Grazie degli apprezzamenti comunque e per quanto riguarda l'eccessiva educazione, lo faccio perchè un'atmosfera positiva è essenziale per qualsiasi scambio di opinioni ragionevole: in questo modo si è più disposti ad ascoltare ed eventualmente accettare ciò che gli altri hanno da dire. Vorrei ora rispondere a Sgiombo. [/size]
Citazione
Citazione di: sgiombo il 16 Settembre 2018, 12:54:07 PM Mi scuso con SamuelSilver per l' incalzare un po' ossessivo delle obiezioni e integrazioni alle obiezioni, ma l' argomento mi sta tantissimo a cuore ...contrariamente alla maggior parte dei frequentatori del forum, a quanto pare, purtroppo
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[size=undefined]Innanzitutto non c'è bisogno di scuse: d'altronde si sta parlando di ragionamenti scaturiti da tue idee ed è normale essere pignoli. Ciò che vorrei chiarire è la parte del "fantasma nella macchina". Mi accorgo ora dell'inevitabile confusione scaturita dal mio erroneo utilizzo del termine "vedere". Mi rendo conto che è paradossale pensare che ci sia qualcuno che "vede" gli eventi cerebrali dentro di noi poichè in questo modo si andrebbe avanti all'infinito nell'ipotizzare omuncoli dentro altri omuncoli. Mi scuso per la confusione e chiedo di sostituire le parti in cui parlo di "vedere" con quanto segue. La differenza tra punto di vista esterno e interno che ho descritto si può riassumere con: essere i qualia è diverso dal "vedere" i qualia (che sarebbe come a dire "essere un tavolo è diverso dal vedere un tavolo"). Io non affermo che con il punto di vista interno qualcuno possa vedere i propri qualia, ciò che intendevo è che il punto di vista interno corrisponde all'essere i qualia, mentre quello esterno corrisponde al "vedere" i qualia. Cosa vuol dire vedere i qualia? Vuol dire che io, in quanto qualia, sono influenzato dai qualia di qualcun'altro. Ora bisognerebbe fare un passo ulteriore affermando che i qualia sono processi cerebrali. Ne consegue che: essere dei processi cerebrali è differente dal "vedere" dei processi cerebrali. Cosa vuol dire vedere i processi cerebrali? Vuol dire che io, in quanto processo cerebrale, sono influenzato dai processi cerebrali (attraverso, per esempio, la visione di immagini fMRI) di un cervello diverso dal mio. Si potrebbe anche dire che l'essere influenzati da processi cerebrali del proprio cervello è diverso dall'essere influenzati da processi cerebrali del cervello altrui. L'apparente limitatezza del materialismo nello spiegare i fenomeni mentali sarebbe dovuta a questa diversità. Spiegare i fenomeni mentali, infatti, corrisponde unicamente alla descrizione di tali fenomeni in termini di processi cerebrali visti dall'esterno. L'ipotetica ulteriore spiegazione che il materialismo non riesce a dare corrisponde in realtà all'esperienza soggettiva di essere questi processi cerebrali. Ma questa non è una spiegazione. Se sto cercando di spiegare come fa Tizio a percepire un fiore, poter entrare nella sua mente e provare quello che prova lui non aggiunge niente, da un punto di vista funzionale, alla spiegazione materiale che potrei dare dall'esterno, se non il fatto che ora ho in memoria l'esperienza di essere stato i processi cerebrali di Tizio e di aver visto il fiore come lo vede lui (ed ecco Paul Churchland). Ma ciò che interessa non è avere in memoria le esperienze soggettive di tutti, ma spiegare queste esperienze in termini oggettivi e utili a chiunque. Spero di essere stato più chiaro questa volta. [/size] [/quote][/size]
trovo
corretto distinguere un piano descrittivo-fenomenologico nel quale tramite l'esperienza si esperiscono i "qualia", le esperienze vissute nella misura in cui le avverte soggettivamente, rispetto alla questione esplicativa-causale, per la quale uno scienziato naturale ricerca le cause neurologiche, di ordine materiale, dei processi materiali. Ma questa distinzione non può essere esasperata al punto di farci dimenticare la necessita di un nesso di proporzionalità che sempre dovrebbe intercorrere tra causa ed effetto. La spiegazione causale di un fenomeno non può prescindere dall'osservazione della natura dell'effetto, ma deve individuare una causa adeguata ad essa, e per questo non si può trascurare l'esperienza interna delle qualità dei fenomeni nella soggettività, al contrario è a partire da essa che vanno considerate delle cause adeguate ad esse. Nell'esperienza interna avvertiamo la nostra vita come una realtà attuale, costantemente dinamica, in cui ogni istante presente da un lato si protende a trattenere il residuo delle esperienze passate e dall'altro si slancia verso il futuro, mentre dal punto di vista dell'esperienza esterna, lo studio implica la staticizzazione dell'oggetto, la sua cristalizzazione all'interno di un particolare contesto spazio-temporale in cui l'osservazione viene effettuata: l'osservazione esterna, che nell'ottica rigorosamente materialistica dovrebbe essere l'unico possibile approccio allo studio della coscienza perché unico punto di vista in cui comprendere il cervello, necessita che la realtà osservata risponda a delle leggi causali costanti individuabili a partire dalla realtà che osservo in determinato tempo, realtà che deve per così dire "stare ferma", perché intendendola come un dinamismo, sarebbe impossibile notare come i meccanismi che la governano in un certo momento continuerebbero a vigere anche negli altri. La cosa si può capire con l'esempio della fotografia: pensare che l'osservazione esterna colga la realtà in forma più veritiera rispetto all'esperienza soggettiva nella mia coscienza sarebbe come pensare che la foto di un uccello in volo, cioè un uccello "oggettivizzato", rappresentato in un oggetto esterno al mio sguardo soggettivo come appunto la foto, rappresenti il volo dell'uccello più autenticamente che il mio sguardo nudo e soggettivo, che coglie il volo nella sua dinamicità. La verità non è nella foto, nell'oggettivazione, che vede l'uccello fermo, ma nell'esperienza soggettiva del suo dinamismo, della sua attualità, la verità della foto presupporrebbe la staticità del suo oggetto, quando ritrae qualcosa in movimento si fa sfocata, "viene mossa" (faccio notare che anche ipotizzando la possibilità di continui scatti ripetuti di foto, ancora non avremmo rappresentata la realtà del volo, ma solo una serie di immagini statiche da cui non si può indurre l'unità dinamica del processo di volo: una somma di staticità non fa il movimento, il movimento presuppone l'interiorità qualitativa della spinta del soggetto in questione, nel nostro esempio, l'energia vitale dell'uccello). Quindi se ci interessa lo studio della soggettività, che per definizione, indica l'attualità e la dinamicità di un ente che come "soggetto" compie delle azioni, la pretesa di rappresentarlo perfettamente e compiutamente dall'esterno, come un "oggetto" che staticamente e passivamente attende di essere osservato, appare inadeguata, in quanto è proprio l'approccio esterno e oggettivante che per i suoi limiti strutturali è incapace di dar conto del dinamismo e dell'originalità della vita cosciente, che proprio in quanto "soggettiva", "attiva", non può essere trattata come un oggetto passivo, senza subire una distorsione quantomeno parziale della sua rappresentazione, come appunto un foto sfocata che ritrae qualcosa che si muove.
Salve. Per Carlo Pierini : Cito: "Esistono molti eventi oggettivi (non solo l'esperienza soggettiva) che evidenziano l'insufficienza del monismo. In una prospettiva monista, infatti, è impossibile spiegare come si possano ottenere:....."
....segue elenco.
Certo che con l'oggettività qui siamo proprio a cavallo : elenchi tutta una serie di considerazioni umane prodotte da un umano e relative alla specie umana. Evidentemente pensi che noi siamo "diversi", "superiori", "spirituali" ed "oggettivi" solo perchè siamo gli unici a potersi dichiarare tali. Non troviamo nessuno che si dia la pena di contraddirci.
Della serie "noi (magari:"io") semo li mejo e li artri sò nessuno !". Vabbè.....concetto poco logico ma umanamente comprensibile.
Non basta mettersi allo specchio per essere belli. Chi siamo dobbiamo chiederlo a noi stessi.......come siamo dovremmo invece chiederlo agli altri. Ma gli altri abitanti del mondo tacciono.
Per quanto riguarda poi i diversi punti da te elencati, nel complesso essi si limitano a ribadire che il genere umano possiede delle specificità. Non mi sembra un risultato interessante.
Nel particolare invece trovo che a ciascuno di essi si possa repricare tranquillamente dal punto di vista monistico. Io non lo faccio poichè dovresti sapere che non amo le trattazioni prolisse.
Mi limiterò a commentarne un paio : "1 - un comportamento finalistico (l'uomo progetta finalisticamente) da una biologia non finalista;".
L'uomo tenta di dare uno scopo alle proprie azioni. Ci penserà il mondo ad accontentarlo o meno. Anche ragni ed uccelli finalizzano i propri comportamenti alla costruzione di tele e nidi. Stendiamo un velo pietoso sul finalismo biologico, zoologico, umano. A meno che tu pensi che il comportamento dell'uomo possa tendere a raggiungere un fine trascendente, magari la paradisiaca eterna felicità dei credenti.
"8 - una evoluzione culturale da una non-evoluzione biologica (il nostro DNA si stabilizzò circa 200-300 mila anni fa);".
Il funzionamento della biologia (e in generale dell'evoluzione e diversificazione del Mondo) consiste nell'innovare introducendo variazioni basate sull'esistente, il quale non viene distrutto per generare il nuovo, ma viene come accantonato e conservato poichè la funzione dell'ex-esistente invecchiato consiste nel "restare a disposizione" per poter poi nuovamente tornare in gioco se per caso il nuovo risultasse inadatto o comunque dovesse venir distrutto dagli eventi. Questa è la ragione per cui il DNA tende a restare lo stesso mentre ciò che viene costruito sulla base delle informazioni genetiche si evolve a dismisura. Sono gli umani che a volte buttano il vecchio pensando che ormai non serva più ! Certo che paragonare la miserabilità dell'evoluzione culturale umana con i contenuti dell'evoluzione dell'intero Mondo non fa molto onore alla tua ampiezza di vedute! Cordialmente.
Salve. Per Sgiombo: Ecco un tuo inciso che mi piace. Cito :
L' "inconscio" non so cosa sia e non mi interessa.
Certamente non é la stessa cosa della mente la quale é parte della coscienza.".
Apprezzo la franchezza della prima parte e sono d'accordo sulla prima metà della seconda parte.
Per quanto la relazione tra mente e coscienza mi sento di replicarti ciò che ho già scritto in proposito all'interno del presente "thread", ora modificandolo marginalmente :
Il fatto che si possa essere contemporaneamente coscienti e dementi (mentre invece è impossibile una produzione mentale in stato di incoscienza a me sembra dimostri che la nascita di una mente risulti evolutivamente successiva alla apparizione di una coscienza.
Facciamo che la gerarchia evolutiva (e poi quindi anche funzionale) dei contenuti cerebrali sia la seguente : sistema nervoso (strumento che mette in relazione l'interno del corpo con il suo esterno) - percezione sensoriale (traduzione degli stimoli in codice psichico) - psiche (contenente semplicemente ed unicamente - alla nostra nascita - l'istinto di sopravvivenza, successivamente si riempie di contenuti ulteriori, generando una specie di catalogo interiore formato dalla classificazione delle esperienze in FAVOREVOLI o NOCIVE alla sopravvivenza - il catalogo si chiama INCONSCIO o MEMORIA PSICHICA) - coscienza (la capacità psichica di distinguere il sé dal fuori di sé - si inaugura a questo punto il mondo culturale umano) - mente (capacità di connettere tra di loro cause ed effetti utilizzando la MEMORIA MENTALE o COSCIENTE) - intelletto (capacità di esprimere in modo codificato e comunicabile i rapporti tra le cause e gli effetti)- ragione (capacità di selezionare i comportamenti in base alla loro utilità) - capacità di astrazione (capacità di estrapolare l'ignoto dal noto) - trascendenza(capacità di esprimere concetti non basati sull'esperienza della percezione).
Trovi convincente, incompleto, deludente o demenziale un simile percorso ? Saluti
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Settembre 2018, 13:39:21 PM
CARLO
Non c'è scuola di psicologia che non riconosca nell'inconscio una delle componenti fondamentali della psiche. Vuoi dire, allora, che le osservazioni della psicologia sono totalmente prive di valore? ...Che il concetto di psiche si esaurisce in quello di "coscienza"? Per te, i sogni e le visioni hanno un'origine cosciente? I loro contenuti derivano esclusivamente dal "vissuto" cosciente?
Inoltre: in psicologia, "coscienza" e "inconscio" si configurano come le due costituenti fondamentali della psiche, laddove per "psiche" si intende essenzialmente ciò che comunemente chiamiamo anche "anima", o "mente". Ecco: per quale ragione tu, invece, hai ribaltato questa "nomenclatura" chiamando "mente" una parte della coscienza (quale parte?) e "inconscio" qualcosa di inessenziale ai fini della comprensione della psiche?
CitazioneSgiombo:
Non conosco scuole di psicologia che trattino la materia scientificamente (forse é solo ignoranza in materia da parte mia).
D' altra parte ritengo molti filosofi, a cominciare dagli antichi stoici ed epicurei, conoscitori dell' animo umano molto migliori di qualsiasi psicologo moderno.
SGIOMBO
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é).
CARLO
In psicologia l'inconscio interagisce con la coscienza, anzi la conflittualità coscienza/inconscio è considerata alla base della maggior parte dei disturbi psichici. Mentre, per te, il noumeno è al di là di ogni possibile esperienza.
Citazione
Sgiombo:
Certo.
Ma letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.
E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?
Citazione
Sgiombo:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell' esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).
Citazione di: viator il 17 Settembre 2018, 17:34:30 PM
Salve. Per Sgiombo: Ecco un tuo inciso che mi piace. Cito :
L' "inconscio" non so cosa sia e non mi interessa.
Certamente non é la stessa cosa della mente la quale é parte della coscienza.".
Apprezzo la franchezza della prima parte e sono d'accordo sulla prima metà della seconda parte.
Per quanto la relazione tra mente e coscienza mi sento di replicarti ciò che ho già scritto in proposito all'interno del presente "thread", ora modificandolo marginalmente :
Il fatto che si possa essere contemporaneamente coscienti e dementi (mentre invece è impossibile una produzione mentale in stato di incoscienza a me sembra dimostri che la nascita di una mente risulti evolutivamente successiva alla apparizione di una coscienza.
Citazione
La coscienza non é in relazione con l' evoluzione biologica, la quale riguarda i corpi (cervelli compresi) e i comportamenti, che nei vertebrati "guidati" o "regolati" dai cervelli.
Alcuni o tutti gli altri viventi (tranne ciascuno di noi) potrebbero benissimo essere delle specie di zombi privi di coscienza e non ci sarebbe modo diaccrgersene: tutto accadrebbe nel mondo (fenomenico) materiale del tutto esattamente come avviene ammettendo che anche agli altri sistemi nervosi per lo meno sufficientemente complessi di animali corrispondesse (ma non: si identificasse!) un' esperienza cosciente.
Nemmeno la selezione naturale potrebbe "accorgersi", per parlare metaforicamente ed alquanto antropomorficamente a scopo esplicativo, se i vari animali siano coscienti o meno, dal momento che il loro comportamento non sarebbe distinguibile in alcun modo nei due casi.
Facciamo che la gerarchia evolutiva (e poi quindi anche funzionale) dei contenuti cerebrali sia la seguente : sistema nervoso (strumento che mette in relazione l'interno del corpo con il suo esterno) - percezione sensoriale (traduzione degli stimoli in codice psichico) - psiche (contenente semplicemente ed unicamente - alla nostra nascita - l'istinto di sopravvivenza, successivamente si riempie di contenuti ulteriori, generando una specie di catalogo interiore formato dalla classificazione delle esperienze in FAVOREVOLI o NOCIVE alla sopravvivenza - il catalogo si chiama INCONSCIO o MEMORIA PSICHICA) - coscienza (la capacità psichica di distinguere il sé dal fuori di sé - si inaugura a questo punto il mondo culturale umano) - mente (capacità di connettere tra di loro cause ed effetti utilizzando la MEMORIA MENTALE o COSCIENTE) - intelletto (capacità di esprimere in modo codificato e comunicabile i rapporti tra le cause e gli effetti)- ragione (capacità di selezionare i comportamenti in base alla loro utilità) - capacità di astrazione (capacità di estrapolare l'ignoto dal noto) - trascendenza(capacità di esprimere concetti non basati sull'esperienza della percezione).
Trovi convincente, incompleto, deludente o demenziale un simile percorso ? Saluti
Citazione
Non esistono gerarchie in natura, in particolare nell' evoluzione biologica (qui mi pare tu cada in quello stesso antropocentrismo che giustamente rimproveri a Carlo Pierini).
E francamente trovo del tutto fantasiosa e alquanto campata in aria la tua successione di pretesi stadi evolutivi del sistema nervoso centrale e conseguentemente del comportamento dei vertebrati (suppongo, anche se non lo espliciti), che ha innanzitutto un' aspetto "radiato in più direzioni divergenti" (fra le classi dei pesci a scheletro cartilagineo, pesci a scheletro osseo, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi placentati e marsupiali e anche al' interno di ciascuna di esse) nelle quali comunque componenti sensoriali, e varietà di comportamenti sono andate sostanzialmente di pari passo e non attraverso successivi ben distinti "stadi monotematici", per così dire, nei vari gruppi biologici reciprocamente diversificantisi, con uno sviluppo eccezionale, "mostruosamente ipertrofico" delle facoltà intellettive e raziocinative nell' uomo rispetto alle altre specie.
Citazione
CitazioneRisposta a SamuelSilver
(Ho intenzione di rispondere anche a Paul11: pazienza, non mi sono dimenticato, ma "il tempo é tiranno" -che non é un vieto luogo comune- e ho tenuto per ultimi i due interlocutori più impegnativi).
Secondo me i tuoi ragionamenti filano se si assume un atteggiamento "epistemologicamente materialistico", o forse é meglio dire "metodologicamente materialistico", quello di fatto proprio delle scienze naturali, le quali si occupano dei fenomeni materiali – naturali (fisici o comunque riducibili a fenomeni fisici) senza porsi (non necessariamente di per se stesse, anche se a nessun loro cultore é ovviamente vietato farlo "in privato", ma non in quanto ricercatore scientifico) questioni filosofiche circa la natura dei loro oggetti di indagine e le relazioni fra essi e altri eventuali ambiti della realtà.
Le scienza naturali vanno coltivate "come se" fosse vero il monismo materialismo (e questo a prescindere dalla questione filosofica se lo sia effettivamente o meno) in quanto si occupano dei fenomeni materiali dei quali indagano le (postulabili ma non dimostrabili: Hume!) modalità generali universali astratte del divenire, le quali non possono ammettere interferenze con cause non fisiche – naturali – materiali (chiusura causale del mondo fisico).
Anche la neurologia assume questo atteggiamento metodologico, anche se si occupa pure delle correlazioni fra processi fisiologici cerebrali e stati di coscienza, confrontando gli uni come si osservano empiricamente in maniera intersoggettiva (come fanno anche tutte le altre discipline scientifiche con le loro materie di indagine) e gli altri come vengono osservati introspettivamente, nei loro caratteri meramente soggettivi, e raccontati dai "titolari" dei vari cervelli considerati.
Il prescindere dal problema filosofico dell' ontologia generale per assumere un materialismo metodologico mi sembra dunque del tutto accettabile e giustificato per chi si dedichi alla neurologia scientifica; ma mi sembra che tu ti occupi professionalmente, se ho ben capito, di scienze cognitive, e dunque immagino che assuma un atteggiamento un po' più interdisciplinare, come si suol dire (ma questo almeno in qualche misura potrebbe essere davvero un luogo comune vero e proprio), di quanto sono soliti fare i neurologi e non dia per scontato il monismo materialistico come mera premessa metodologica, ma invece lo sottoponga a critica (magari per finire con l' assumerlo a ragion veduta, avendolo corroborato attraverso il superamento di argomenti critici).
Ripropongo dunque anche in questo intervento le mie critiche al monismo materialistico (tuo in particolare, ma anche in generale).
Credo che l' indubbia distinzione fra punto di vista interno e punto di vista esterno non comporti differenza fra i due casi circa la natura di "qualia" = sensazioni ovvero percezioni = "dati di coscienza" = "apparenze fenomeniche" = "fenomeni" (= ecc. -?-) di tutto ciò che costituisce l' uno e l' altro punto di vista stesso: tutto ciò di cui si ha certezza oltre ogni ragionevole dubbio, se lo si vive = se lo si sente = se appare = se accade (= ecc. -?-) sono "dati i coscienza" o "qualia" o ecc., sia che si tratti di esperienze esterne, dl mondo materiale, sia che si tratti di esperienze interiori o introspettive, del mondo mentale.
Sono "qualia = ecc." tanto i qualia mentali (desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, concetti, predicati, convinzioni, credenze, dubbi, sentimenti, ecc.), quanto i qualia materiali (superfici colorate, magari in movimento, suoni, odori, sapori, sensazioni, tattili, ecc.).
Essi sono accadimenti di coscienza, reali in solo e unicamente quanto tali, cioè se e quando accadono come tali (fenomeni, qualia, ecc.).
Quelli mentali sono meramente soggettivi, "privati", propri unicamente dell' esperienza cosciente di ciascuno, mentre quelli materiali sono postulabili (non dimostrabili né tantomeno mostrabili empiricamente: a-ri-Hume!) essere intersoggettivi, cioè reciprocamente confrontabili fra le diverse esperienze coscienti, in particolare per quanto riguarda i rispettivi rapporti quantitativi, che sono gli stesi per tutti, salvo un' inevitabile margine di approssimazione: non posso dire se la mia soddisfazione nel dialogare con te sia maggiore della tua nel dialogare con me o viceversa, né tantomeno di quanto la sia, mentre possiamo concordare piuttosto facilmente che un certo sacco di mele pesa il doppio o il triplo o 1,726 volte di più di un certo altro sacco.
Ma questa intersoggettività non ne fa qualcosa di più reale dei qualia fenomenici (od oggetti, enti ed eventi costituiti da insiemi e successioni di qualia fenomenici) mentali, ma semplicemente qualcosa di diversamente -differenza non quantitativa, ma qualitativa!-reale: la mia soddisfazione nel discutere con te é (per fortuna!) qualcosa di assolutamente reale, non meno (né più) di questo schermo di computer o di questa tastiera qui davanti a me, così come la é (purtroppo!) anche la mia entomofobia.
I processi cerebrali visti da Tizio nel cervello di Caio (nell' ambito dell' esperienza cosciente di Tizio stesso) sono costituiti da insiemi-successioni di qualia fenomenici esattamente come lo sono le esperienze coscienti in quel momento vissute da Caio: nessuno dei due coesistenti separatamente (trascendentisi) e reciprocamente corrispondenti insiemi - successioni di qualia fenomenici é in nessun senso "più reale" (o "meno reale") dell' altro, anche se i primi sono intersoggettivi, mentre dei secondi intersoggettivi sono unicamente quelli materiali (per esempio quelli della coscienza di Caio se egli sta vedendo un albero) e non quelli mentali (non quelli della coscienza di Caio se egli sta pensando al problema dei rapporti mente-cervello).
Ma soprattutto non é che i qualia ovvero sensazioni ovvero fenomeni ovvero ecc. materiali, per il fatto di essere intersoggettivi, sono "cose in sé, reali anche allorché non sono percepite nell' ambito di una o più esperienze coscienti: se lo si pretendesse si cadrebbe in una patente contraddizione, affermando che sono reali anche allorché non sono reali, non accadono realmente!
Esattamente come nel caso dei qualia ovvero sensazioni ovvero fenomeni, ovvero ecc. mentali, né più né meno, il loro "esse est percipi" (Berkeley e Hume): quel qualcosa che é ragionevole credere reale anche quando chiudiamo gli occhi e dunque i qualia costituenti l' albero qui nel giardino (= l' albero qui nel giardino) non sono reali, cosicche nonappena li riapriamo puntualmente rivediamo (intersoggettivamente) l' albero (= l' albero = i qualia che lo costituiscono di nuovo é reale mentre prima non lo era affatto), esattamente come quel qualcosa che é ragionevole credere reale anche quando non pensiamo a nulla, non facciamo introspezione e dunque i qualia costituenti noi stessi (= noi stessi) non sono reali, cosicché nonappena ripensiamo a noi stessi puntualmente risentiamo dentro di noi (in maniera meramente soggettiva) i nostri pensieri, sentimenti, "stati d' animo", cioè noi stessi (= noi stessi = i qualia che ci costituiscono di nuovo siamo reali mentre prima non lo eravamo affatto), ebbene questo (o questi) "qualcosa" non possono essere l' albero e noi stessi (intesi in quanto i nostri pensieri) rispettivamente, dal momento che altrimenti tali cose (costituite esclusivamente, "esaustivamente" di qualia rispettivamente materiali e mentali) sarebbero state reali/accadute realmente anche quando non erano reali/non accadevano realmente.
Può trattarsi invece solo, necessariamente di qualcosa di non costituito da qualia o dati di coscienza o sensazioni, ecc., di qualcosa di non apparente (dal greco e a là Kant: "fenomeni") ma invece solo congetturabile (dal greco e a là Kant: noumeno").
Dunque per studiare la neurologia si può assumere (far finta che) che esista solo la materia e che essa esista indipendentemente dal fatto di essere percepita o meno, e che i qualia mentali siano il cervello sentito in un altro modo, "da un' altro punto di vista", ma per capre in generale cosa c' é/accade realmente, "come é fatto il mondo" bisogna rendersi conto che né il pensiero né la materia esistono anche allorché non se ne ha coscienza essendo entrambi puramente e semplicemente qualcosa di apparente alla (o nella) coscienza (in maniera meramente soggettiva o intersoggettiva a seconda dei casi), ma invece che ciò che esiste in tali occasioni é qualcosa di non percepito, non apparente alla coscienza, e dunque né materiale né mentale
Citazione di: SamuelSilver il 17 Settembre 2018, 01:25:07 AM
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Ora bisognerebbe fare un passo ulteriore affermando che i qualia sono processi cerebrali. Ne consegue che: essere dei processi cerebrali è differente dal "vedere" dei processi cerebrali. Cosa vuol dire vedere i processi cerebrali? Vuol dire che io, in quanto processo cerebrale, sono influenzato dai processi cerebrali (attraverso, per esempio, la visione di immagini fMRI) di un cervello diverso dal mio. Si potrebbe anche dire che l'essere influenzati da processi cerebrali del proprio cervello è diverso dall'essere influenzati da processi cerebrali del cervello altrui.
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CitazioneIn realtà i processi cerebrali del tuo cervello sono qualcosa che accade (intersoggettivamente) nell' ambito delle coscienze di altri soggetti di coscienza, in un certo senso sei tu visto da altri, mentre tu visto da te stesso sei i tuoi pensieri; ma tu in quanto realmente esistente anche indipendentemente dall' essere visto da te o da altri, anche se e quando non ti vedi e non ti vedono, non sei né l' uno né gli altri.
E processi cerebrali del proprio cervello accadono nelle esperienze coscienti di altri soggetti e non possono influenzare il "titolare" del cervello stesso ma solo i suoi comportamenti così come sono osservati da altri (= le esperienze di altri), mentre i processi cerebrali del cervello altrui accadono nella propria esperienza cosciente e nel suo ambito influenzano i comportamementi dei rispettivi "titolari".
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L'apparente limitatezza del materialismo nello spiegare i fenomeni mentali sarebbe dovuta a questa diversità. Spiegare i fenomeni mentali, infatti, corrisponde unicamente alla descrizione di tali fenomeni in termini di processi cerebrali visti dall'esterno.
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CitazioneI fenomeni mentali sono determinate cose che accadono in determinate coscienze, mentre (le descrizioni de-) i corrispondenti processi cerebrali sono altre cose che accadono in altre coscienze di osservatori: sono per così dire la stessa cosa né mentale né cerebrale, in generale non fenomenica ma in sé: diversa dall' uno e dall' altro modo di essere osservata.
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L'ipotetica ulteriore spiegazione che il materialismo non riesce a dare corrisponde in realtà all'esperienza soggettiva di essere questi processi cerebrali. Ma questa non è una spiegazione. Se sto cercando di spiegare come fa Tizio a percepire un fiore, poter entrare nella sua mente e provare quello che prova lui non aggiunge niente, da un punto di vista funzionale, alla spiegazione materiale che potrei dare dall'esterno, se non il fatto che ora ho in memoria l'esperienza di essere stato i processi cerebrali di Tizio e di aver visto il fiore come lo vede lui (ed ecco Paul Churchland). Ma ciò che interessa non è avere in memoria le esperienze soggettive di tutti, ma spiegare queste esperienze in termini oggettivi e utili a chiunque.
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CitazioneCosì facendo non aggiungi altro alla descrizione del mondo materiale, ma non spieghi affatto la relazione fra i fenomeni materiali del cervello di Tizio e l' esperienza cosciente di Tizio stesso, che inevitabilmente va di ari passo ai processi cerebrali da te osservati ma é un' altra cosa che ti limiti a ignorare (é un'altra "visione" non di tali processi, ma invece di qualcosa di in sé non fenomenico da essi diverso (così come nient' altro che un' altra diversa visone della stessa cosa non fenomenica é il cervello di Tizio nella tua coscienza)
Salve. Per Sgiombo. Per gerarchia intendo la successione cronologica dell'evoluzione, stabilendo che ciò che è apparso prima risulta filogeneticamente più importante di ciò che esso ha generato e che quindi l'ha seguito. Nelle costruzioni ciò che sta sopra può esistere e fungere solo se sostenuto da ciò che sta sotto.
Non capisco cosa c'entri il concentrarsi sui vertebrati. Si tratta di un percorso comune che i diversi generi e specie hanno compiuto in parti variabili (gli attuali organismi unicellulari sono tuttora fermi alla prima tappa, i mammiferi sono fermi allo stadio psichico, l'uomo ha percorso tutte le tappe). Saluti.
Citazione di: paul11 il 17 Settembre 2018, 01:35:54 AM
ciao Sgiombo, ,
adatto che mi interessa la filosofia della mente, ma non riesco a capire il tuo sistema, alquanto originale mi pare, farei uno schema di questo tipo per comprenderlo:
1) dal punto di vista ontologico esiste un insieme chiamato coscienza al cui interno vi sono ontologicamente il cervello e la mente
2) l'agente conoscitivo esperienziale si trova nella coscienza
3) il cervello è meramente elemento materiale ,neuroni, ecc ricevente oggetti del mondo sensibile, ma non è agente conoscitivo
4) la mente è ontologicamente oggetto del pensiero, delle riflessioni,ma non è agente conoscitivo
CitazioneChiarimenti da parte mia:
Sul punto 2 L' agente conoscitivo esperienziale, il soggetto dell' esperienza cosciente, secondo me non é nella coscienza, ma é qualcosa di in sé (noumeno): infatti può essere reale anche quando non accadono esperienze coscienti (continuiamo ad esistere -come cose in sé- anche durante il sonno senza sogni).
Sul punto 4 la mente é i pensieri (e sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans intesa però in quanto meri "contenuti di coscienza"), fa parte, con la materia, della coscienza ("esse est percipi", Berhkeley e Hume) per questo non può essere agente conoscitivo, reale anche allorché non agisce).
Il processo relazionale:
i sensi reagiscono alle onde elettromagnetiche e attraverso i nervi trasmettono al cervello quelle onde che si depositano nel cervello.
CitazionePer fare il pignolo, nel caso degli altri sensi corporei diversi dalla vista si tratta di altre forme di energia non elettromagnetica, e inoltre i nervi trasmettono al cervello impulsi nervosi (potenziali d' azione) e non onde elettromagnetiche; ma credo che intendevi dire proprio questo, dunque che siamo d' accordo.
La coscienza prende dal cervello l'informazione e la elabora, nel senso che pensa, lei dà ordini al cervello
CitazioneQui mi fraintendi completamente.Per me tra materia (cervello in particolare) e coscienza non ci sono interazioni (in generale; e in particolare scambio di informazioni. Che deve avvenire per forza tramite "supporti" materiali) per la chiusura causale del mondo fisico.
Coscienza e cervello "vanno di pari passo su sentieri paralleli" senza reciprocamente interferire perché sono manifestazioni coscienti (anche il cervello, ma nell' ambito di altre coscienze, non di quella del suo "titolare") delle stesse, medesime cose in sé.
la mente rappresenta il deposito delle informazioni del pensiero
CitazionePer me mente e pensiero sono sinonimi.
Sempre la coscienza, essendone sede dell'agente conoscitivo preleva quindi i contenuti sensibili dal cervello fisco e i contenuti del pensiero, riflessioni dalla mente.
CitazioneLa coscienza é per me l' insieme degli eventi fenomenici, sentiti, avvertiti per l' appunto coscientemente, tanto fisici-materiali, quanto mentali-cogitativi; il divenire dei primi, se é vera la conoscenza scientifica, segue leggi universali e costanti che non ammettono l' interferenza di qualcosa di non fisico-materiale quali sono i secondi (chiusura causale del mondo fisico).
Dimmi dove sbaglio, perchè per un confronto dovrei capire il tuo sistema
CitazioneSpero di esservi riuscito.
Ovviamente mi farà piacere dare eventuali ulteriori spiegazioni
Citazione di: viator il 17 Settembre 2018, 21:24:12 PM
Salve. Per Sgiombo. Per gerarchia intendo la successione cronologica dell'evoluzione, stabilendo che ciò che è apparso prima risulta filogeneticamente più importante di ciò che esso ha generato e che quindi l'ha seguito. Nelle costruzioni ciò che sta sopra può esistere e fungere solo se sostenuto da ciò che sta sotto. Saluti.
Si tratta di diversità di importanza meramente soggettive, arbitrarie: in natura, oggettivamente, tutto ha la medesima importanza (mentre soggettivamente del destino della zanzara anofele mi importa infinitamente meno che del destino dell' homo sapiens; peraltro qualche nesso reciproco c' é fra i destini di per lo meno moltissime delle specie viventi).
Ribadisco le considerazioni già espresse sullo sviluppo-differenziazione delle differenti classi di vertebrati e delle diverse specie nell' ambito di ciascuna di esse.
CitazioneNon capisco cosa c'entri il concentrarsi sui vertebrati. Si tratta di un percorso comune che i diversi generi e specie hanno compiuto in parti variabili (gli attuali organismi unicellulari sono tuttora fermi alla prima tappa, i mammiferi sono fermi allo stadio psichico, l'uomo ha percorso tutte le tappe). Saluti.
« Ultima modifica: Oggi alle 21:37:32 da viator »
L' evoluzione biologica non é una corsa a tappe, ma un processo multidirezionale, "divergente" un po'in tutte le direzioni.
E ribadisco ancora che le differenze, per me assai vaghe e poco chiare, fra diversi aspetti dei comportamenti animali da te elencate si sono ingenerale evolute non separatamente, in successione, una per volta, separatamente l' una dall' altra, ma reciprocamente influenza
ndosi e interferendo nel loro sviluppo.
Citazione di: sgiombo il 17 Settembre 2018, 18:09:08 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Settembre 2018, 13:39:21 PM
CARLO
Non c'è scuola di psicologia che non riconosca nell'inconscio una delle componenti fondamentali della psiche. Vuoi dire, allora, che le osservazioni della psicologia sono totalmente prive di valore? ...Che il concetto di psiche si esaurisce in quello di "coscienza"? Per te, i sogni e le visioni hanno un'origine cosciente? I loro contenuti derivano esclusivamente dal "vissuto" cosciente?
Inoltre: in psicologia, "coscienza" e "inconscio" si configurano come le due costituenti fondamentali della psiche, laddove per "psiche" si intende essenzialmente ciò che comunemente chiamiamo anche "anima", o "mente". Ecco: per quale ragione tu, invece, hai ribaltato questa "nomenclatura" chiamando "mente" una parte della coscienza (quale parte?) e "inconscio" qualcosa di inessenziale ai fini della comprensione della psiche?
CitazioneSgiombo:
Non conosco scuole di psicologia che trattino la materia scientificamente (forse é solo ignoranza in materia da parte mia).
CARLOBeh, se consideriamo la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche, sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza. La scienza si occupa di grandezze quantificabili, non di metafisica. Cit. SGIOMBO
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é)
Cit. CARLO
In psicologia l'inconscio interagisce con la coscienza, anzi la conflittualità coscienza/inconscio è considerata alla base della maggior parte dei disturbi psichici. Mentre, per te, il noumeno è al di là di ogni possibile esperienza.SGIOMBO:
Certo.
Ma letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.CARLOTutte le scuole psicologiche convengono che l'inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. Insomma, così come il mondo esterno non appartiene alla coscienza, ma si manifesta (come dici tu: appare) ad essa, altrettanto accade con l'inconscio. Quindi non capisco cosa significa quel tuo considerare sinonimi <<non appartenente>> e <<non apparente>>. Come il mondo esterno, anche l'inconscio appare alla coscienza, proprio perché non le appartiene. Come scrive Jung:<<Le immagini inconsce, non sono pallide ombre, ma determinanti psichiche potentemente attive che non possiamo mai privare della loro energia col semplice negarle. [...] L'equivalente del mondo interno è solo il mondo esterno, e come raggiungo questo per mezzo degli organi sensoriali, raggiungo quello per mezzo dell'anima>>". [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg. 232]
...E che quelle di Jung non sono solo chiacchiere, me lo hanno dimostrato molte esperienze personali, di cui ne ho raccontata qualcuna in questo forum, per esempio:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-sogno-archetipico/msg21742/#msg21742
Cit. CARLOE poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?
SGIOMBO:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell'esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).CARLOE' proprio questo che non è accettabile né alla ragione né al buon senso: se la cosa è materiale/sensibile, dire che "la cosa in sé" è al di là della materia e che non ha niente a che vedere con la cosa è ridicolo. A meno che non si intenda impropriamente la "cosa in sé" come il noumeno platonico, cioè, come l'idea originaria della cosa, il modello metafisico da cui la cosa stessa discende, il "progetto divino" o archetipo del quale la cosa è l'incarnazione sensibile; modello-archetipo che, proprio in quanto idea pensabile, è virtualmente conoscibile attraverso la conoscenza della sua manifestazione fisica, cioè, attraverso la conoscenza dei fenomeni con cui essa si manifesta.In altri termini, mi sembra del tutto arbitraria e illogica l'idea kantiana di una "cosa" e di una "cosa in sé" separate da un abisso che nessuna conoscenza può mai colmare. Se la "cosa in sé" è pensabile ed è il modello di una "cosa" osservabile e conoscibile, per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla cosa al suo modello? Per il capriccio di Kant? Perché Kant ha vissuto in un'epoca di riflusso anti-cattolico (l'Illuminismo) in cui era di moda rendere inconoscibile-inaccessibile qualunque entità metafisica?Se Tommaso considerava conoscibile persino Dio attraverso la conoscenza del Creato - che egli concepiva "fatto a immagine e somiglianza" del suo Creatore -, perché la "cosa in sé" (il noumeno platonico) - che è anch'essa fatta a immagine e somiglianza della "cosa" - dovrebbe essere inconoscibile? Quali sono le vere ragioni di questo presunto invalicabile abisso tra la cosa e il suo archetipo?Ecco, finché qualcuno non fornirà una risposta solida a questa domanda, io continuerò a pensare conformemente a ciò che osservo; e cioè che la conoscenza si evolve, cresce e prospera nel tempo, sia in estensione che in profondità, fino al punto che riusciamo persino a prevedere l'esistenza di cose ancor prima di osservarle, o di altre che non sono direttamente percepibili (come le leggi e i principi della natura); e che dunque non esistono ragioni per porre dei limiti alle possibilità di conoscere. Di dogmi privi di fondamento e di arbitrarie "colonne d'Ercole" non sappiamo proprio che farcene, che sia Kant o chiunque altro a decretarli.P.S.Ti sei dimenticato di dirmi cosa intendi per "mente" e perché non ne accetti il significato generale di psiche, o anima, come lo intende la psicologia.
Il problema del riduzionismo è che non fa i conti con il cotesto in cui è calato.
Soluzioni come quelle dell'emergentismo, e dei qualia, riportano di base al problema degli attributi.
Perchè gli uni e perchè non altri? (e per inciso i riduzionismi servono proprio per non farsi queste domande!)
Il problema chiave è sempre quello dell'evoluzismo darwiniano e delle sue pretese. Ma lo stesso Darwin capì la necessità ad un ritorno al problema dell'adattamento. (è forse questo il senso del 3d di cui si domanda SamuelSilver? ossia quel "bastare", si intende per una delle progressive sorti dell'umanità?)
L'adattamento, che sia quello relativo a fenomeni percettivi o mentali, che sia quello dei qualia o della materia in sè, ci pone di fronte al problema del soggetto.
Il soggetto che si pone di fronte al problema politico dell'adattamento, ossia al problema ecologico di tanta filosofia contemporanea.
Invece il riduzionismo con la sua applicazione meramente gnoseologica, di fatto è uno degli strumenti che il Potere impiega per mantenere lo status quo.
Il materialismo non basta a niente, e anche stando semplicemente nei canoni della morale bigotta di questi tempi, pensiamo solo ai danni che l'eugenetica (riduzionismo par excellence) ha prodotto, quando impugnata da un potere politico (quello nazista).
Se l'uomo è solo ciò che è e non anche quello che sogna, diventa il contropasso ideologico, ad una attività che forse basta solo a livello scientifico, ma che rende ciechi sul Mondo.
Fare entrare questo genere di discussioni, che appartengono solo alla scienza e alle sue presunte divisioni di settore, significa far morire la filosofia, come ormai molti giovani filosofi finalmente si stanno rendendo conto.
Il divide et impera dei romani non dovrebbe valere ancora come monito?
Varrebbe anche introdurre la variabile del tempo, cosa è il tempo in una visione riduzionista del mondo? E' dentro o è fuori della coscienza o della mente, come meglio dicono loro?
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Settembre 2018, 22:26:45 PM
CARLO
Beh, se consideriamo la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche, sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza. La scienza si occupa di grandezze quantificabili, non di metafisica.
CitazioneSGIOMBO:
Scusa la franchezza, ma per me cercare di discutere con te é semplicemente penoso!
Quando mai avrei preteso che la "mia teoria" filosofica sia scienza?
Certo, mi interesso anche di scienza, ma é un' altra cosa.
Spero che non mi vorrai raccontare che la psicoanalisi di Freud o di Jung si occupano di grandezze quantificabili (ergo: sono scienza; parole tue)!
Cit. SGIOMBO
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é)
Cit. CARLO
In psicologia l'inconscio interagisce con la coscienza, anzi la conflittualità coscienza/inconscio è considerata alla base della maggior parte dei disturbi psichici. Mentre, per te, il noumeno è al di là di ogni possibile esperienza.
CitazioneEsatto.
Ma non vedo come (anzi: trovo contraddittorio, insensato!) pretendere che, se qualcosa -letteralmente- non é conosciuto, possano esserne conosciuti i rapporti di "conflittualità con la coscienza (ovviamente conoscibile, quest' ultima).
SGIOMBO:
Certo.
Ma letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.
CARLO
Tutte le scuole psicologiche convengono che l'inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. Insomma, così come il mondo esterno non appartiene alla coscienza, ma si manifesta (come dici tu: appare) ad essa, altrettanto accade con l'inconscio. Quindi non capisco cosa significa quel tuo considerare sinonimi <<non appartenente>> e <<non apparente>>. Come il mondo esterno, anche l'inconscio appare alla coscienza, proprio perché non le appartiene. Come scrive Jung:
CitazioneChe l' inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. (o non invece sogni visoni, ecc. accadono senza bisogno di essere manifestazione di alcun inconscio) non può certo essere verificato-falsificato empiricamente: ergo non si tratta di scienza ma di ipotesi gratuite (e i -credo rarissimi- casi in cui funzioano terapeuticamente credo vadano ascritti al' effetto placebo).
Cit. CARLO
E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?
SGIOMBO:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell'esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).
CARLO
E' proprio questo che non è accettabile né alla ragione né al buon senso: se la cosa è materiale/sensibile, dire che "la cosa in sé" è al di là della materia e che non ha niente a che vedere con la cosa è ridicolo. A meno che non si intenda impropriamente la "cosa in sé" come il noumeno platonico, cioè, come l'idea originaria della cosa, il modello metafisico da cui la cosa stessa discende, il "progetto divino" o archetipo del quale la cosa è l'incarnazione sensibile; modello-archetipo che, proprio in quanto idea pensabile, è virtualmente conoscibile attraverso la conoscenza della sua manifestazione fisica, cioè, attraverso la conoscenza dei fenomeni con cui essa si manifesta.
In altri termini, mi sembra del tutto arbitraria e illogica l'idea kantiana di una "cosa" e di una "cosa in sé" separate da un abisso che nessuna conoscenza può mai colmare. Se la "cosa in sé" è pensabile ed è il modello di una "cosa" osservabile e conoscibile, per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla cosa al suo modello? Per il capriccio di Kant? Perché Kant ha vissuto in un'epoca di riflusso anti-cattolico (l'Illuminismo) in cui era di moda rendere inconoscibile-inaccessibile qualunque entità metafisica?
Se Tommaso considerava conoscibile persino Dio attraverso la conoscenza del Creato - che egli concepiva "fatto a immagine e somiglianza" del suo Creatore -, perché la "cosa in sé" (il noumeno platonico) - che è anch'essa fatta a immagine e somiglianza della "cosa" - dovrebbe essere inconoscibile? Quali sono le vere ragioni di questo presunto invalicabile abisso tra la cosa e il suo archetipo?
Ecco, finché qualcuno non fornirà una risposta solida a questa domanda, io continuerò a pensare conformemente a ciò che osservo; e cioè che la conoscenza si evolve, cresce e prospera nel tempo, sia in estensione che in profondità, fino al punto che riusciamo persino a prevedere l'esistenza di cose ancor prima di osservarle, o di altre che non sono direttamente percepibili (come le leggi e i principi della natura); e che dunque non esistono ragioni per porre dei limiti alle possibilità di conoscere.
Di dogmi privi di fondamento e di arbitrarie "colonne d'Ercole" non sappiamo proprio che farcene, che sia Kant o chiunque altro a decretarli.
P.S.
Ti sei dimenticato di dirmi cosa intendi per "mente" e perché non ne accetti il significato generale di psiche, o anima, come lo intende la psicologia.
CitazioneEcco che cosa intendevo dicendo che per me discutere con te é penosissimo: continui fraintendimenti e distorsioni delle mie affermazioni da arte tua!
La teoria dl "noumeno platonico" mi sembra una farneticazione irrazionalistica del tutto arbitraria, infondata.
Mentre non ho mai detto che la cosa in sé "non ha nulla ache fare ma solo che non presenta interferenze causali e invece le diviene in corrispondenza biunivoca con la materia (e con la mente).
E' impossibile identificare la cosa in sé con i fenomeni che le corrispondono (e di cui non é il "modello") per il principio di non contraddizione (non sto a ripetere ancore le argomentazioni già infinite volte proposte nel forum); ma si può benissimo ipotizzare congetturare.
Pretendere che per il fatto della crescita di fatto constatata delle conoscenze non vi si possano porre limiti sarebbe come pretendere che per l fatto di aumentare di statura, un bambino debba diventi sempre più infinitamente alto.
Circa l' ultimi rimprovero: non c' é peggior sordo di chi non voglia sentire e eeggior cieco di ci non voglia vedere.
Vorrei ora rispondere velocemente a Green demetr, poi con più calma risponderò anche agli altri.
Perdona la mia ignoranza ma non so cosa siano il problema degli attributi e dell'adattamento, non so neanche quali siano le pretese dell'evoluzionismo: l'evoluzionismo sarebbe più pretenzioso delle sue alternative (come il creazionismo)?
Non credo affatto che il il riduzionismo sia uno degli strumenti del potere per mantenere lo status quo (non vedo l'eugenetica ne come il riduzionismo per antonomasia ne come una prova sufficiente per la tua affermazione), la religione se la cava decisamente meglio in questo ambito. Secondo me, poi, le cose stanno comunque migliorando anche nella religione, il discorso del potere e dello status quo oggi può certamente essere ancora valido, ma non in modo stringente come qualche decennio o secolo fa. Ma anche se tu avessi ragione riguardo al riduzionismo come strumento del potere, la cosa non dovrebbe essere presa comunque in considerazione: evitare di seguire una linea di pensiero che pare logica e realistica solo perchè la società ne sta già facendo un uso sbagliato non mi sembra il miglior modo per ragionare o per fare filosofia. Se, per assurdo, al tempo di Galileo ci fosse stata una società che sfruttava l'eliocentrismo per mantenere il potere e lo status quo, ripudiare l'eliocentrismo in se solo per un'antipatia verso tale società sarebbe stato decisamente poco ragionevole. L'eliocentrismo è ovviamente diverso da un'idea filosofica in quanto si tratta di scienza, ma al tempo di Galileo la scienza e la tecnologia erano decisamente poco sviluppate: le prove che la terra girasse intorno al sole erano convincenti all'incirca come le prove che il materialismo e il riduzionismo siano reali.
Con "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.
Questo genere di discussioni non appartengono alla scienza (a quale settore poi?), infatti esiste la filosofia della mente che si occupa proprio di questi problemi (come quello mente-corpo) e non mi sembra che essa stia facendo morire la "vera" filosofia.
Spero di aver adeguatamente risposto alle tue critiche.
Cit. CARLO
Beh, se consideriamo la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche, sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza. La scienza si occupa di grandezze quantificabili, non di metafisica.
SGIOMBO:
Quando mai avrei preteso che la "mia teoria" filosofica sia scienza?
CARLO
Non lo hai mai preteso; ma quando ti ho chiesto: << Per quale ragione hai ribaltato la comune "nomenclatura" della Psicologia chiamando "mente" una parte della coscienza?>> tu, invece di rispondermi, mi hai detto: <<Non conosco scuole di psicologia che trattino la materia scientificamente>>. Come dovevo interpretare questa tua risposta, se non nel senso che, per te, è degno di essere preso in considerazione solo ciò che è scientifico? Ma adesso che hai chiarito che le tue tesi non hanno pretese scientifiche, puoi tranquillamente rispondere alla mia domanda.
SGIOMBO
Spero che non mi vorrai raccontare che la psicoanalisi di Freud o di Jung si occupano di grandezze quantificabili.
CARLO
Ho appena detto che: <<...sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza>>. Cosa può voler dire?
Cit. SGIOMBO
Letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.
Cit. CARLO
Tutte le scuole psicologiche convengono che l'inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. Insomma, così come il mondo esterno non appartiene alla coscienza, ma si manifesta (come dici tu: appare) ad essa, altrettanto accade con l'inconscio. Quindi non capisco cosa significa quel tuo considerare sinonimi <<non appartenente>> e <<non apparente>>. Come il mondo esterno, anche l'inconscio appare alla coscienza, proprio perché non le appartiene.
SGIOMBO
Che l' inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. (o non invece sogni visoni, ecc. accadono senza bisogno di essere manifestazione di alcun inconscio) non può certo essere verificato-falsificato empiricamente: ergo non si tratta di scienza ma di ipotesi gratuite (e i -credo rarissimi- casi in cui funzionano terapeuticamente credo vadano ascritti all'effetto placebo).
CARLO
Ancora con la scienza? Non hai appena detto che le tue tesi non pretendono di essere scientifiche? E allora perché pretendi scientificità alle tesi che non si conformano alle tue? La logica dei "due pesi e due misure"?
Non l'hai ancora capito che, se vuoi sostenere la "gratuità" del concetto (non quantificabile) di "inconscio" non puoi impugnare l'argomento della non-scientificità, ma devi sporcarti le manine ed entrare nel merito delle osservazioni disciplinari che rendono necessario quel concetto ai fini di una corretta interpretazione delle dinamiche psichiche? Altrimenti ti comporti esattamente come gli scientisti che, comodamente, considerano gratuita qualsiasi ipotesi che non rientri nei canoni di misurabilità e di riproducibilità sperimentale. Quindi la domanda è: perché ritieni il concetto di inconscio un'ipotesi gratuita? Dov'è che sbagliano gli psicologi nel ritenerlo necessario? Come spiegheresti quelle mie esperienze "visionarie" (che ti ho linkato) senza ricorrere al concetto di inconscio?
Cit. CARLO
E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?
Cit. SGIOMBO:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell'esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).
Cit. CARLO
E' proprio questo che non è accettabile né alla ragione né al buon senso: se la cosa è materiale/sensibile, dire che "la cosa in sé" è al di là della materia e che non ha niente a che vedere con la cosa è ridicolo. A meno che non si intenda impropriamente la "cosa in sé" come il noumeno platonico, cioè, come l'idea originaria della cosa, il modello metafisico da cui la cosa stessa discende, il "progetto divino" o archetipo del quale la cosa è l'incarnazione sensibile; modello-archetipo che, proprio in quanto idea pensabile, è virtualmente conoscibile attraverso la conoscenza della sua manifestazione fisica, cioè, attraverso la conoscenza dei fenomeni con cui essa si manifesta.
In altri termini, mi sembra del tutto arbitraria e illogica l'idea kantiana di una "cosa" e di una "cosa in sé" separate da un abisso che nessuna conoscenza può mai colmare. Se la "cosa in sé" è pensabile ed è il modello di una "cosa" osservabile e conoscibile, per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla cosa al suo modello? Per il capriccio di Kant? Perché Kant ha vissuto in un'epoca di riflusso anti-cattolico (l'Illuminismo) in cui era di moda rendere inconoscibile-inaccessibile qualunque entità metafisica?
Se Tommaso considerava conoscibile persino Dio attraverso la conoscenza del Creato - che egli concepiva "fatto a immagine e somiglianza" del suo Creatore -, perché la "cosa in sé" (il noumeno platonico) - che è anch'essa fatta a immagine e somiglianza della "cosa" - dovrebbe essere inconoscibile? Quali sono le vere ragioni di questo presunto invalicabile abisso tra la cosa e il suo archetipo?
Ecco, finché qualcuno non fornirà una risposta solida a questa domanda, io continuerò a pensare conformemente a ciò che osservo; e cioè che la conoscenza si evolve, cresce e prospera nel tempo, sia in estensione che in profondità, fino al punto che riusciamo persino a prevedere l'esistenza di cose ancor prima di osservarle, o di altre che non sono direttamente percepibili (come le leggi e i principi della natura); e che dunque non esistono ragioni per porre dei limiti alle possibilità di conoscere.
Di dogmi privi di fondamento e di arbitrarie "colonne d'Ercole" non sappiamo proprio che farcene, che sia Kant o chiunque altro a decretarli.
P.S.
Ti sei dimenticato di dirmi cosa intendi per "mente" e perché non ne accetti il significato generale di psiche, o anima, come lo intende la psicologia.
SGIOMBO
La teoria di "noumeno platonico" mi sembra una farneticazione irrazionalistica del tutto arbitraria, infondata.
CARLO
E' vero il contrario. La teoria degli archetipi (noumeno e archetipo sono essenzialmente sinonimi) è supportata da migliaia di osservazioni disciplinari sia nel campo della psicologia (Jung) sia nel campo della Storia comparata delle idee religiose (Eliade, Guénon, Alleau, Evola, Zolla, Hillman, Williamson, ecc.). Mentre la tesi della "inconoscibilità della cosa in sé" kantiana è un dogma filosofico allo stato puro, privo di motivazioni sia logiche che di tipo osservativo.
SGIOMBO
Mentre non ho mai detto che la cosa in sé "non ha nulla a che fare ma solo che non presenta interferenze causali e invece le diviene in corrispondenza biunivoca con la materia (e con la mente).
E' impossibile identificare la cosa in sé con i fenomeni che le corrispondono (e di cui non é il "modello") per il principio di non contraddizione (non sto a ripetere ancore le argomentazioni già infinite volte proposte nel forum); ma si può benissimo ipotizzare congetturare.
CARLO
Il problema della "cosa in sé" kantiana è la sua nullità epistemica, la sua fantasmaticità; sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo ciò che è: non è la cosa, non è fenomeno, non è modello della cosa, non ha alcuna relazione con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Una burla filosofica.
SGIOMBO
Pretendere che per il fatto della crescita di fatto constatata delle conoscenze non vi si possano porre limiti sarebbe come pretendere che per il fatto di aumentare di statura, un bambino debba diventi sempre più infinitamente alto.
CARLO
Mi riferivo al porre limiti arbitrari e infondati, cioè, privi di argomentazioni di supporto. La conoscenza è una bambina che sa ancora ben poco del mondo e di sé; e la sua crescita non ha niente di innaturale o di illogico.
Citazione di: SamuelSilver il 18 Settembre 2018, 12:02:14 PM
Con "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.
Il materialismo potrebbe essere sufficiente a spiegare i fenomeni mentali; di sicuro è almeno necessario: la tesi che esistano menti/anime/spiriti/x indipendenti dall'ancoraggio materiale, non è falsificabile, quindi esula dall'ambito scientifico e dalla
spiegazione, indirizzandosi piuttosto verso l'
interpretazione e il folklore (non in senso dispregiativo, ma inteso come cultura di appartenenza).
La (già citata) "chiusura causale del mondo fisico" non necessita (tauto)logicamente dell'immateriale, anzi l'immateriale porrebbe il problema di come esso influenzi ed interagisca con la materia (compromettendone la suddetta chiusura); questione che ha mille risposte plausibili, sebbene tutte epistemologicamente un po' traballanti, in quanto richiedono di postulare ciò che poi utilizzano come soluzione esplicativa dei fenomeni percepiti, in un circolo vizioso caro al pensiero spirituale (almeno europeo).
L'atavico fascino dell'immateriale (dell'eccedenza rispetto al manifesto) trova sempre rifugio nell'ignoto, e ce n'è ancora molto che ammanta le questioni della "filosofia della mente", tuttavia iniziare a ripensare "la mente", lasciando fra parentesi il vocabolario e le precognizioni spiritual-idealistiche, potrebbe forse aprire sbocchi più "digeribili" (e meno compromessi) per il pensiero scientifico.
Ad esempio, provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre
a priori che ci sia una mente immateriale (prima ancora di definirla e inserirla come elemento della ricerca), potrebbe essere, a mio giudizio, un percorso interessante: studiare l'uomo togliendo dagli ingranaggi dell'analisi tutti i residui metafisici (che altrimenti si tende più a ricollocare che ad accantonare), tentare una snella "ingegneria inversa" che sia candidamente ignara dell'eredità dei vari "spiegazionismi" che l'hanno preceduta (a volte fare un passo indietro e/o liberarsi di qualcosa, serve a sbloccarsi e/o andare meglio avanti).
Citazione di: Phil il 18 Settembre 2018, 15:30:07 PM
Citazione di: SamuelSilver il 18 Settembre 2018, 12:02:14 PM
Con "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.
PHIL
Il materialismo potrebbe essere sufficiente a spiegare i fenomeni mentali; di sicuro è almeno necessario: la tesi che esistano menti/anime/spiriti/x indipendenti dall'ancoraggio materiale, non è falsificabile, quindi esula dall'ambito scientifico e dalla spiegazione, indirizzandosi piuttosto verso l'interpretazione e il folklore (non in senso dispregiativo, ma inteso come cultura di appartenenza).
CARLOAnche la tesi materialista-monista esula dall'ambito scientifico ed è infalsificabile. Inoltre, il dualismo non sostiene l'esistenza di <<...menti/anime/spiriti disancorati dalla materia>>, ma parla di una entità in relazione osmotica col corpo, condizionata dal corpo (istinti, stimoli sensoriali, patologie organiche, ecc.) e condizionante il corpo (intenzioni volontarie coscienti, patologie psicosomatiche, ecc.). Si tratta, cioè, di una indipendenza relativa, caratterizzata da una compiuta (non assoluta) distinzione tra processi mentali e processi bio-neuronali, in modo analogo a quello per cui un feto è indipendente dal corpo della madre pur essendo profondamente ancorato ad esso, o analogamente a un albero che, pur non potendo esistere senza un terreno in cui radicarsi, non può per questo essere considerato un "epifenomeno" dell'attività biochimica del terreno.Certo, non possiamo dire di quale sostanza "sia fatta" la mente, ma ciò non rende l'ipotesi dualista meno legittima, perché in realtà non sappiamo nemmeno di quale sostanza "siano fatti" i costituenti fondamentali della materia (protoni, neutroni, elettroni, fotoni, ecc.) senza che questo invalidi l'ipotesi della loro esistenza.Come ho già scritto altre volte, l'ipotesi dualista è logicamente necessaria per molte ragioni oggettive, per poter spiegare degli eventi che contraddicono il paradigma monista. Per esempio, come sia possibile far emergere:1 - un comportamento finalistico (l'uomo progetta finalisticamente) da una biologia non finalista;2 - il pensiero da una materia biologica non pensante;3 - il sogno da una biologia non sognante; 4 - un solo "io" soggettivo da miliardi di cellule neuronali oggettive;5 - una "percezione" del proprio corpo senza distinguere il corpo dal soggetto che lo percepisce;6 - una repressione (o controllo) degli istinti senza distinguere gli istinti dal soggetto che li reprime;7 - un comportamento etico-filosofico-religioso da un DNA non-etico-filosofico-religioso (il nostro DNA coincide al 98% con quello degli scimpanzè);8 - una evoluzione culturale da una non-evoluzione biologica (il nostro DNA si stabilizzò circa 200-300 mila anni fa);9 - una mente malata da un cervello sano;10 - una mente capace di libertà da una biologia soggetta a leggi deterministiche;11 - una mente femminile da una biologia maschile e viceversa (omosessualità).PHILAd esempio, provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale (prima ancora di definirla e inserirla come elemento della ricerca), potrebbe essere, a mio giudizio, un percorso interessante: studiare l'uomo togliendo dagli ingranaggi dell'analisi tutti i residui metafisici (che altrimenti si tende più a ricollocare che ad accantonare), tentare una snella "ingegneria inversa" che sia candidamente ignara dell'eredità dei vari "spiegazionismi" che l'hanno preceduta (a volte fare un passo indietro e/o liberarsi di qualcosa, serve a sbloccarsi e/o andare meglio avanti).CARLOCi ha già provato negli anni '30 il famoso Circolo di Vienna, ma non ha portato a nulla, perché persino la matematica è <<un residuo metafisico>>!
Citazione di: Phil il 18 Settembre 2018, 15:30:07 PM
L'atavico fascino dell'immateriale (dell'eccedenza rispetto al manifesto) trova sempre rifugio nell'ignoto, e ce n'è ancora molto che ammanta le questioni della "filosofia della mente", tuttavia iniziare a ripensare "la mente", lasciando fra parentesi il vocabolario e le precognizioni spiritual-idealistiche, potrebbe forse aprire sbocchi più "digeribili" (e meno compromessi) per il pensiero scientifico.
Ad esempio, provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale (prima ancora di definirla e inserirla come elemento della ricerca), potrebbe essere, a mio giudizio, un percorso interessante: studiare l'uomo togliendo dagli ingranaggi dell'analisi tutti i residui metafisici (che altrimenti si tende più a ricollocare che ad accantonare), tentare una snella "ingegneria inversa" che sia candidamente ignara dell'eredità dei vari "spiegazionismi" che l'hanno preceduta (a volte fare un passo indietro e/o liberarsi di qualcosa, serve a sbloccarsi e/o andare meglio avanti).
Concordo pienamente.
È questo l'approccio da seguire.
Solo che, se seguíto con rigore razionale e vissuto in prima persona... implica di affrontare lo sguardo della Medusa.
Citazione di: green demetr il 18 Settembre 2018, 09:50:43 AM
Se l'uomo è solo ciò che è e non anche quello che sogna, diventa il contropasso ideologico, ad una attività che forse basta solo a livello scientifico, ma che rende ciechi sul Mondo.
CARLO
Stupenda osservazione.
Mi ricorda quanto scrive Jung:
"Il punto di vista causale (Freud) vuole sapere solo in che modo quest'anima presente sia divenuta così come si presenta oggi. Il punto di vista costruttivo invece si domanda come, da quest'anima divenuta così, si potrà gettare un ponte verso il suo futuro". [JUNG: Il problema della malattia mentale - pg.212]
"La psiche inconscia dà, da un lato, l'immagine di un deposito di tutto il passato, e al tempo stesso, d'altro lato, ci dà un'immagine di una embrionale conoscenza di tutto ciò che verrà, nella misura in cui l'anima crea essa stessa il futuro. [...]
Dato che il futuro è solo apparentemente uguale al passato, ma per essenza sempre nuovo e unico, così anche l'espressione presente è incompleta, embrionale per così dire, in riferimento al futuro. Nella misura in cui noi consideriamo il contenuto presente della psiche come espressione simbolica del futuro, ci troviamo nella necessità di dedicare a questa espressione un interesse costruttivo". [JUNG: Il problema della malattia mentale - pg.213]
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Settembre 2018, 13:30:40 PM
CARLO
Non lo hai mai preteso; ma quando ti ho chiesto: << Per quale ragione hai ribaltato la comune "nomenclatura" della Psicologia chiamando "mente" una parte della coscienza?>> tu, invece di rispondermi, mi hai detto: <<Non conosco scuole di psicologia che trattino la materia scientificamente>>. Come dovevo interpretare questa tua risposta, se non nel senso che, per te, è degno di essere preso in considerazione solo ciò che è scientifico? Ma adesso che hai chiarito che le tue tesi non hanno pretese scientifiche, puoi tranquillamente rispondere alla mia domanda.
CitazioneGià fatto.
SGIOMBO
Spero che non mi vorrai raccontare che la psicoanalisi di Freud o di Jung si occupano di grandezze quantificabili.
CARLO
Ho appena detto che: <<...sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza>>. Cosa può voler dire?
CitazioneGià, ma io avevo appena obiettato alla tua affermazione "Beh, se consideriamo la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche, sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza" che col piffero (eufemismo per evitare volgarità) considero la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche.
Cit. SGIOMBO
Letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.
Cit. CARLO
Tutte le scuole psicologiche convengono che l'inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. Insomma, così come il mondo esterno non appartiene alla coscienza, ma si manifesta (come dici tu: appare) ad essa, altrettanto accade con l'inconscio. Quindi non capisco cosa significa quel tuo considerare sinonimi <<non appartenente>> e <<non apparente>>. Come il mondo esterno, anche l'inconscio appare alla coscienza, proprio perché non le appartiene.
SGIOMBO
Che l' inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. (o non invece sogni visoni, ecc. accadono senza bisogno di essere manifestazione di alcun inconscio) non può certo essere verificato-falsificato empiricamente: ergo non si tratta di scienza ma di ipotesi gratuite (e i -credo rarissimi- casi in cui funzionano terapeuticamente credo vadano ascritti all'effetto placebo).
CARLO
Ancora con la scienza? Non hai appena detto che le tue tesi non pretendono di essere scientifiche?
E allora perché pretendi scientificità alle tesi che non si conformano alle tue? La logica dei "due pesi e due misure"?
CitazioneE non ho appena detto pure che naturalmente mi interesso anche di scienza?
L' importante é non fare confusione fra le due materie di studio (come mi sembra evidentissimo che non faccio per parte mia): vedi di sommare le pere con le pere e le mele con le mele, tenendo distinti i due tipi di frutto.
Non l'hai ancora capito che, se vuoi sostenere la "gratuità" del concetto (non quantificabile) di "inconscio" non puoi impugnare l'argomento della non-scientificità, ma devi sporcarti le manine ed entrare nel merito delle osservazioni disciplinari che rendono necessario quel concetto ai fini di una corretta interpretazione delle dinamiche psichiche? Altrimenti ti comporti esattamente come gli scientisti che, comodamente, considerano gratuita qualsiasi ipotesi che non rientri nei canoni di misurabilità e di riproducibilità sperimentale. Quindi la domanda è: perché ritieni il concetto di inconscio un'ipotesi gratuita? Dov'è che sbagliano gli psicologi nel ritenerlo necessario? Come spiegheresti quelle mie esperienze "visionarie" (che ti ho linkato) senza ricorrere al concetto di inconscio?
CitazionePeccato che di quella che gli psicologi e soprattutto gli psicoanalisti chiamano "una corretta interpretazione delle dinamiche psichiche" non me ne può fregare di meno, perché non le reputo né scienza, né filosofia (per lo meno buona filosofia razionalistica)...
Dal leggere le tue esperienze "visionarie" poi mi guardo bene!
Senza offesa alcuna, se permetti ho interessi ben diversi che per cose come delle "esperienze "visionarie"".
Cit. CARLO
E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?
CitazioneCavolo, non so dove riesco a trovare tanta pazienza!
Proprio perché il noumeno é "kantianamente" la cosa in sé sta "oltre" i fenomeni (sia materiali che mentali) é qualcosa di metafisico e metapsichico.
Cit. SGIOMBO:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell'esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).
Cit. CARLO
E' proprio questo che non è accettabile né alla ragione né al buon senso: se la cosa è materiale/sensibile, dire che "la cosa in sé" è al di là della materia e che non ha niente a che vedere con la cosa è ridicolo.
CitazioneA parte il solito fraintendimento che ho già inutilmente chiarito, potrebbe forse essere questione di gusti ...io per esempio trovo ridicole le "eperienze "visionarie"".
In altri termini, mi sembra del tutto arbitraria e illogica l'idea kantiana di una "cosa" e di una "cosa in sé" separate da un abisso che nessuna conoscenza può mai colmare. Se la "cosa in sé" è pensabile ed è il modello di una "cosa" osservabile e conoscibile, per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla cosa al suo modello? Per il capriccio di Kant? Perché Kant ha vissuto in un'epoca di riflusso anti-cattolico (l'Illuminismo) in cui era di moda rendere inconoscibile-inaccessibile qualunque entità metafisica?
CitazioneMa quando mai Kant parla di "modello?
Dovrebde forse parlarne per il capriccio di Platone ? ! ? ! ? !
Quali sono le vere ragioni di questo presunto invalicabile abisso tra la cosa e il suo archetipo?
CitazioneL' archetipo c' entra col noumeno kantiano come i cavoli a merenda.
E le vere ragioni e ho già inutilmente esposte dozzine di volte.
Ecco, finché qualcuno non fornirà una risposta solida a questa domanda, io continuerò a pensare conformemente a ciò che osservo
CitazioneAllora, per quanto, mi riguarda continua pure a farlo fino all' eternità.
; e cioè che la conoscenza si evolve, cresce e prospera nel tempo, sia in estensione che in profondità, fino al punto che riusciamo persino a prevedere l'esistenza di cose ancor prima di osservarle, o di altre che non sono direttamente percepibili (come le leggi e i principi della natura); e che dunque non esistono ragioni per porre dei limiti alle possibilità di conoscere.
Di dogmi privi di fondamento e di arbitrarie "colonne d'Ercole" non sappiamo proprio che farcene, che sia Kant o chiunque altro a decretarli.
CitazioneAnche a questa irrazionalistica (scientistica) pretesa di onniscienza ho di già inutilmete risposto
P.S.
Ti sei dimenticato di dirmi cosa intendi per "mente" e perché non ne accetti il significato generale di psiche, o anima, come lo intende la psicologia.
CitazioneHo perso il conto della volte che te l' ho detto inutilmente.
SGIOMBO
La teoria di "noumeno platonico" mi sembra una farneticazione irrazionalistica del tutto arbitraria, infondata.
CARLO
E' vero il contrario. La teoria degli archetipi (noumeno e archetipo sono essenzialmente sinonimi) è supportata da migliaia di osservazioni disciplinari sia nel campo della psicologia (Jung) sia nel campo della Storia comparata delle idee religiose (Eliade, Guénon, Alleau, Evola, Zolla, Hillman, Williamson, ecc.). Mentre la tesi della "inconoscibilità della cosa in sé" kantiana è un dogma filosofico allo stato puro, privo di motivazioni sia logiche che di tipo osservativo.
SGIOMBO
Mentre non ho mai detto che la cosa in sé "non ha nulla a che fare ma solo che non presenta interferenze causali e invece le diviene in corrispondenza biunivoca con la materia (e con la mente).
E' impossibile identificare la cosa in sé con i fenomeni che le corrispondono (e di cui non é il "modello") per il principio di non contraddizione (non sto a ripetere ancore le argomentazioni già infinite volte proposte nel forum); ma si può benissimo ipotizzare congetturare.
CARLO
Il problema della "cosa in sé" kantiana è la sua nullità epistemica, la sua fantasmaticità; sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo ciò che è: non è la cosa, non è fenomeno, non è modello della cosa, non ha alcuna relazione con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Una burla filosofica.
CitazionePeccato per te che non la capisci.
SGIOMBO
Pretendere che per il fatto della crescita di fatto constatata delle conoscenze non vi si possano porre limiti sarebbe come pretendere che per il fatto di aumentare di statura, un bambino debba diventi sempre più infinitamente alto.
CARLO
Mi riferivo al porre limiti arbitrari e infondati, cioè, privi di argomentazioni di supporto. La conoscenza è una bambina che sa ancora ben poco del mondo e di sé; e la sua crescita non ha niente di innaturale o di illogico.
CitazioneAppunto: contrariamente alla tua convinzioni sulla crescita illimitata della conosecenza scientifica.
Ti comunico che sono stanco di perdere inutilmente tempo per spiegare ciò che continui imperterrito a deformare a tuo piacimento, spesso nel suo esatto contrario: non aspettarti ulteriori repliche da parte mia perchè la tua risposta non la leggerò nemmeno (conosco il mio temperamento e voglio evitare di cadere in tentazione di perdere altro tempo ancora.
Citazione di: Phil il 18 Settembre 2018, 15:30:07 PM
I
La (già citata) "chiusura causale del mondo fisico" non necessita (tauto)logicamente dell'immateriale, anzi l'immateriale porrebbe il problema di come esso influenzi ed interagisca con la materia (compromettendone la suddetta chiusura); questione che ha mille risposte plausibili, sebbene tutte epistemologicamente un po' traballanti, in quanto richiedono di postulare ciò che poi utilizzano come soluzione esplicativa dei fenomeni percepiti, in un circolo vizioso caro al pensiero spirituale (almeno europeo).
Citazione
Postulare spiegazioni di fatti (in generale) non é un circolo vizioso; lo sarebbe casomai postulare spiegazioni che richiedono a loro volta di essere spiegate da ciò che pretenderebbero di spiegare.
Non vedo dove traballerebbe l' ipotesi di un divenire reciprocamente trascendente, senza violazioni della chiusura causale del mondo fisico, in corrispondenza biunivoca, fra materia (cerebrale) e coscienza (la quale di sicuro non si trova nella materia cerebrale costituita unicamente di neuroni, assoni, sinapsi, ecc.)
Ad esempio, provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale
CitazioneNon la si presuppone affatto a priori: la si constata a posteriori!
Bisognerebbe piuttosto evitare di escluderla a priori dalla realtà, contro l' evidenza dei fatti
(prima ancora di definirla e inserirla come elemento della ricerca), potrebbe essere, a mio giudizio, un percorso interessante: studiare l'uomo togliendo dagli ingranaggi dell'analisi tutti i residui metafisici (che altrimenti si tende più a ricollocare che ad accantonare), tentare una snella "ingegneria inversa" che sia candidamente ignara dell'eredità dei vari "spiegazionismi" che l'hanno preceduta (a volte fare un passo indietro e/o liberarsi di qualcosa, serve a sbloccarsi e/o andare meglio avanti).
CitazioneSì, per esempio liberarsi dello scientismo e del monismo materialistico a priori e a prescindere (dall' evidenza empirica dei fatti) che é di fatto proprio di tantissimi neurologi e non pochi filosofi.
Citazione di: bobmax il 18 Settembre 2018, 17:32:24 PM
Citazione di: Phil il 18 Settembre 2018, 15:30:07 PM
L'atavico fascino dell'immateriale (dell'eccedenza rispetto al manifesto) trova sempre rifugio nell'ignoto, e ce n'è ancora molto che ammanta le questioni della "filosofia della mente", tuttavia iniziare a ripensare "la mente", lasciando fra parentesi il vocabolario e le precognizioni spiritual-idealistiche, potrebbe forse aprire sbocchi più "digeribili" (e meno compromessi) per il pensiero scientifico.
Ad esempio, provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale (prima ancora di definirla e inserirla come elemento della ricerca), potrebbe essere, a mio giudizio, un percorso interessante: studiare l'uomo togliendo dagli ingranaggi dell'analisi tutti i residui metafisici (che altrimenti si tende più a ricollocare che ad accantonare), tentare una snella "ingegneria inversa" che sia candidamente ignara dell'eredità dei vari "spiegazionismi" che l'hanno preceduta (a volte fare un passo indietro e/o liberarsi di qualcosa, serve a sbloccarsi e/o andare meglio avanti).
Concordo pienamente.
È questo l'approccio da seguire.
Solo che, se seguíto con rigore razionale e vissuto in prima persona... implica di affrontare lo sguardo della Medusa.
CitazioneMa per favore!
Evitiamo di ricorre, anziché ad argomenti(se ne abbiano, ovviamente), ad infondate accuse di "pavidità teorica" contro chi non la pensa come noi.
Personalmente sono un dualista e non ho proprio alcuna paura del monismo materialistico, anche perché sono, fra l' altro, riduzionista e ateo (ma non é certo necessario essere riduzionisti e atei per non aver paura di guardare alcuna medusa ! ! !).
SGIOMBO
Ti comunico che sono stanco di perdere inutilmente tempo per spiegare ciò che continui imperterrito a deformare a tuo piacimento, spesso nel suo esatto contrario: non aspettarti ulteriori repliche da parte mia perchè la tua risposta non la leggerò nemmeno (conosco il mio temperamento e voglio evitare di cadere in tentazione di perdere altro tempo ancora.
CARLO
Va bene. Allora risponderò solo agli argomenti che potrebbero interessare altri listanti.
Cit. CARLO
Ho appena detto che: <<...sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza>>. Cosa può voler dire?
SGIOMBO
...Col piffero (eufemismo per evitare volgarità) considero la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche.
CARLO
Se la coscienza non è metafisica, allora è un'entità fisica, o un "prodotto dell'attività" bio-cerebrale. Non ci sono alternative. Ma allora non vedo la necessità di postulare un dualismo in cui poni coscienza e cervello in <<corrispondenza biunivoca>> su <<due piani ontologici>> diversi. Io non vedo altri possibili salti ontologici che quello tra il piano fisico e il piano metafisico.
Cit. SGIOMBO
Che l' inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. (o non invece sogni visoni, ecc. accadono senza bisogno di essere manifestazione di alcun inconscio) non può certo essere verificato-falsificato empiricamente: ergo non si tratta di scienza ma di ipotesi gratuite (e i -credo rarissimi- casi in cui funzionano terapeuticamente credo vadano ascritti all'effetto placebo).
Cit. CARLO
Ancora con la scienza? Non hai appena detto che le tue tesi non pretendono di essere scientifiche?
E allora perché pretendi scientificità alle tesi che non si conformano alle tue? La logica dei "due pesi e due misure"?
Cit. SGIOMBO
E non ho appena detto pure che naturalmente mi interesso anche di scienza?
L' importante é non fare confusione fra le due materie di studio (come mi sembra evidentissimo che non faccio per parte mia): vedi di sommare le pere con le pere e le mele con le mele, tenendo distinti i due tipi di frutto.
CARLO
Bravo. Visto che trattiamo un argomento non scientifico, non mescolare la scienza (le pere) con la non-scienza (le mele).
Cit. CARLO
Non l'hai ancora capito che, se vuoi sostenere la "gratuità" del concetto (non quantificabile) di "inconscio" non puoi impugnare l'argomento della non-scientificità, ma devi sporcarti le manine ed entrare nel merito delle osservazioni disciplinari che rendono necessario quel concetto ai fini di una corretta interpretazione delle dinamiche psichiche? Altrimenti ti comporti esattamente come gli scientisti che, comodamente, considerano gratuita qualsiasi ipotesi che non rientri nei canoni di misurabilità e di riproducibilità sperimentale. Quindi la domanda è: perché ritieni il concetto di inconscio un'ipotesi gratuita? Dov'è che sbagliano gli psicologi nel ritenerlo necessario? Come spiegheresti quelle mie esperienze "visionarie" (che ti ho linkato) senza ricorrere al concetto di inconscio?
SGIOMBO
Peccato che di quella che gli psicologi e soprattutto gli psicoanalisti chiamano "una corretta interpretazione delle dinamiche psichiche" non me ne può fregare di meno, perché non le reputo né scienza, né filosofia (per lo meno buona filosofia razionalistica)...
CARLO
...Ah beh, allora è facile costruire una teoria della psiche senza tenere conto delle osservazioni e degli studi compiuti dalla Psicologia in questi ultimi 150 anni. Puoi dire tutto e il contrario di tutto. E' un po' come voler elaborare una teoria della storia senza aver mai aperto un libro di storia, col pretesto che essa non è né scienza né filosofia.
Se sono inattendibili le teorie degli psicologi i quali, bene o male, devono confrontarsi con ciò che osservano, figuriamoci quanto può essere attendibile una teoria che non tiene conto di alcuna osservazione.
SGIOMBO
Dal leggere le tue esperienze "visionarie" poi mi guardo bene!
Senza offesa alcuna, se permetti ho interessi ben diversi che per cose come delle "esperienze "visionarie"".
CARLO
Non lo metto in dubbio. Chi elabora teorie sulla psiche, come la tua, si guarda bene dal prendere in considerazione delle esperienze reali e concrete che riguardano la psiche: potrebbero mandare all'aria tutte le sue costruzioni teoriche astratte.
CARLO
Il problema della "cosa in sé" kantiana è la sua nullità epistemica, la sua fantasmaticità; sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo ciò che è: non è la cosa, non è fenomeno, non è modello della cosa, non ha alcuna relazione con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Una burla filosofica.
SGIOMBO
Peccato per te che non la capisci.
CARLO
Tutto ciò che è inosservabile-inconoscibile per definizione è - per definizione - incomprensibile. <<Su ciò di cui non si può dire nulla, si deve tacere>>. E nessuno ha mai detto nulla sulla cosa in sé, tranne ciò che non è.
Cit. SGIOMBO
Pretendere che per il fatto della crescita di fatto constatata delle conoscenze non vi si possano porre limiti sarebbe come pretendere che per il fatto di aumentare di statura, un bambino debba diventi sempre più infinitamente alto.
Cit. CARLO
Mi riferivo al porre limiti arbitrari e infondati, cioè, privi di argomentazioni di supporto. La conoscenza è una bambina che sa ancora ben poco del mondo e di sé; e la sua crescita non ha niente di innaturale o di illogico.
SGIOMBO
Appunto: contrariamente alla tua convinzioni sulla crescita illimitata della conoscenza scientifica.
CARLO
La conoscenza arresterà la propria crescita naturale quando non ci sarà più niente da conoscere. Quindi per qualche ...settimana ancora può tranquillamente crescere.
ciao Sgiombo,
trovo strano alquanto che l'agente conoscitivo sia nel noumeno, probabilmente non è spiegabile. e quindi "è una cosa-in-sè"
Capisco che hai ontologicamente seguito una linea coerente con i tuoi principi: chiusura causale del mondo fisico,indimostrabilità della realtà e noumeno.
L'inspiegabile, a parer mio, è il sistema di relazione. Se ritieni che ontologicamente sono paralleli e incomunicanti il "mentale" e il "cervello" non capisco dove risieda l'intelletto, dove la volontà, chi impartisce comandi operativi, a cosa servano le memorie del cervello come ippocampo e amigdala e come vengano gestite dall' aagente conoscitivo.
mi sfuggono in somma delle tue spiegazioni.
ad esempio un bambino appena nato ha qualcosa di innato o no?
L'evoluzione del cervello fisico come si relaziona con l'evoluzione del carattere e della personalità e a loro volta che cosa intendiamo per sistema esperto umano?
Sia chiaro, personalmente non ho tutte le risposte, anzi tutt'altro. Ritengo che gli oggetti ontologici, coscienza, mente, intelletto, volontà, fino all'aspetto fisico dei neuroni, sinapsi, memorie, e le due aree del linguaggio, interagiscano, si relazionino continuamente.
Ad esempio, ritengo che un impulso sensoriale che arriva dall'esterno del cervello prima di depositarsi, nella memoria del cervello venga mediato dal sistema "mentale".
Penso che noi mentalmente (per mentale quì ritengo tutta la parte immateriale indistinta) man mano che vivamo e costruiamo conoscenze, che poi sono informazioni, agiamo confrontandole con quelle già esistenti, affiniamo, per così dire, le credenze e queste a loro volta mediano ,come ho scritto sopra, ciò che ci arriva dai sensi .
E' i l linguaggio ,in senso generale. ciò che relaziona mente e cervello e rende unico l'uomo.
Poi pensavo, ma non è detto che sia così, è solo un'ipotesi, che così come in un chip di silicio noi non vediamo i bit e i byte che sono dati fisicamente da porte elettromagnetiche che si aprono e chiudono e viene "trasceso"(per usare il linguaggio filosofico),in una matematica binaria fatta da 0 e 1 a seconda che non passi o passi l'elettricità, forse ,ma dico forse fantascienza, non è che le disposizioni sinaptiche fra i neuroni possano biochimicamente agire come trasduttori fra due energie, quella elettromagnetica e quella del ..........pensiero, perchè di qualcosa deve essere "fatto" questo pensiero per immagazzinarsi in memorie e breve e lungo termine.Le malattie degenerative del cervello, che è fisica penso, dimostrano il nesso fra cervello e mente, o sbaglio?
Perchè mai è il cervello ha fisicamente due aree del linguaggio,a mio parere il suggerimento di Phil è da cogliere.
So benissimo che le imaging strumentali al massimo misurano flussi.
Insomma ho un sacco di domande che mi faccio e sarebbe penso un errore essere o troppo fisici o troppo mentali,come è già anche stato scritto, probabilmente è proprio la coscienza a costruire il ponte fra i due domini.
D'altra parte come sarebbe stato possible costruire un sistema matematico che è un'astrazione mentale che funziona applicato nel mondo fisco;un segno, un simbolo sono anch'essi "ponti linguistici" fra il mentale e il fisico.
Spero di non aver troppo incasinato la discussione.
Salve. Per Sgiombo, Phil e Carlo Pierini. Trovo affascinanti le vostre diatribe. Essenzialmente perché mi mostrano in quanti diversi modi ci si possa esprimere pur restando nell'alveo della razionalità. Potete aggiungerci il mio, pur così (mi sembra) diverso dai vostri.
Un altro motivo di fascino è rappresentato dal fatto che non riusciate a mettervi d'accordo sull'inconscio. Per me è così semplice !.
Esiste l'inconscio a noi esterno, ma quello si chiama ignoto ed ora non ci interessa.
Poi sembra che in noi (scatola cranica od anima, a seconda delle convinzioni) circolino dei fluidi i quali emettono degli effluvi che più o meno frequentemente ci investono e che noi chiamiamo di volta in volta atavismi, emozioni, sogni, sentimenti, ispirazioni, illuminazioni, deliri ed altri nomi ancora.
Supponiamo che tali fluidi circolino nella scatola cranica (l'ipotesi animistica la faremo trattare da un credente). Si ignora quali caratteristiche fisiche e quale composizione chimica abbiano tali fluidi. Non parliamo poi dei loro effetti fisiologici.
Quindi si tratta di sostanze ignote interne a noi, ed il loro insieme potrà appunto venir chiamato inconscio, come appunto ho detto all'inizio.
Facciamo che esista un contenitore, un serbatoio che ospiti tali fluidi(in tutti i circuiti idraulici che si ripettino esiste un serbatoio di accumulo o di sfogo). Chiamiamolo psiche.
L'esistenza della psiche ci è nota (conscia), l'esistenza di (non sto dicendo -dei-) suoi contenuti pure.....è l'esatta struttura e funzione di essi che non lo è.
La psiche rappresenta una funzione cerebrale. E' quella parte del sistema nervoso che si è generata, una volta che al sistema nervoso primitivo si affiancarono i sensi, per provvedere a custodire anzitutto l'istinto di sopravvivenza (IdS o memoria istintuale filogenetica - tutti gli altri istinti sono riconducibili alla necessità di sopravvivere), poi quindi, l'insieme delle esperienze (costituiscono la memoria esperienziale od ontogenetica) che vanno confrontate con l'IdS (in modo automatico, rapidissimo, non ragionato e quindi NON CONSAPEVOLE)(anche perché stiamo parlando di tempi evolutivi in cui gli esseri viventi non possedevano facoltà "superiori", evolutesi successivamente), vanno, dicevo, confrontate con l'IdS per stabilire se esse sono in passato (passato anche evolutivo, poiché l'Ids ha base genetica!) risultate e risulteranno prossimamente compatibili o meno con la sopravvivenza dell'individuo.
La necessità dell'esistenza di una psiche contenente impulsi (io li ho scherzosamente chiamati "fluidi" poco fa) che devono restare separati ed inconsci (estranei quindi sia alla coscienza che alla mente) nasce quindi dall'esigenza di assicurare un meccanismo di reazione (attraverso l'IdS) che operi in modo automatico ed incondizionato nei casi estremi di pericolo.
Sappiamo tutti che se sfioriamo una pentola rovente avremo una reazione inconsciamente determinatasi senza attendere l'analisi della situazione da parte della mente !
Naturalmente mi si chiederà cosa c'entri ciò con le emozioni etc. che ho citato sopra.
C'entra il fatto che, alla funzione psichica originaria ed essenziale di tutela della sopravvivenza, i milioni di anni di storia della vita e di evoluzione dei nostri contenuti cerebrali hanno affiancato altre ulteriori funzioni ben più complesse alcune delle quali, interfacciandosi con le posteriori e "superiori" funzioni mentali, appaiono ora a noi di natura ben poco istintiva ed anzi persino astratte e metafisiche.
Vi assicuro che, dal mio punto di vista, non avrei problemi nell'illustrarlo. Ma a me non piace scrivere trattati, benché solo divulgativi.
Aggiungo solo che ogni altro "comportamento non raziocinabile" di origine inconscia (e l'evoluzione sia filogenetica che ontogenetica della psiche ne ha prodotti un numero sterminato !) è invariabilmente teso alla sopravvivenza dell'organismo o (in mancanza di pericoli) all'autotutela, benessere o soddisfacimento della psiche stessa. Amen.
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Settembre 2018, 17:18:59 PM
Anche la tesi materialista-monista esula dall'ambito scientifico ed è infalsificabile.
Non esattamente: la tesi materialista-monista
rileva che la materia c'è e non c'è altro, eppure scoprire qualcos'altro di non materiale (è possibile, in teoria) la renderebbe falsificata; sino ad allora, la materia è una "realtà", se non la "realtà". Il dualismo non può dire con altrettanta certezza che ci sia qualcosa oltre la materia, e quando sostiene che c'è, non può dimostrarlo, ma solo
postularlo. La differenza fondamentale è che della materia abbiamo tutti esperienza, la non-materia è invece un'
interpretazione, non un'esperienza (falsificabile): puoi passarmi il sale, e se io lo ricevo, concordiamo che quel qualcosa esiste (qualunque cosa sia); se invece mi parli di qualcosa che non posso esperire, ma che tu hai esperito, o mi fido o non mi fido. Se infatti mi racconti di essere contento, devo fidarmi che tu lo sia davvero e, soprattutto, che con "contentezza" intendiamo lo stesso stato d'animo; se mi passi il sale, lo spazio di fraintendimento e dubbio è molto inferiore, e se il sale non mi arriva il tuo "passaggio di sale" viene di fatto falsificato; non posso invece falsificare la tua contentezza...
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Settembre 2018, 17:18:59 PM
Si tratta, cioè, di una indipendenza relativa, caratterizzata da una compiuta (non assoluta) distinzione tra processi mentali e processi bio-neuronali,
Postulare tale distinzione è l'ago della bilancia: possiamo davvero dimostrarla? Come suggerisce il titolo del topic (e il rasoio di Ockham), forse non è affatto necessario, "basta il materialismo". Questa è una verità indubitabile? Secondo me, no, tuttavia è sicuramente degna di essere indagata, prima di postulare qualcosa di immateriale, seppur esplicativo.
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Settembre 2018, 17:18:59 PM
Come ho già scritto altre volte, l'ipotesi dualista è logicamente necessaria per molte ragioni oggettive, per poter spiegare degli eventi che contraddicono il paradigma monista. Per esempio, come sia possibile far emergere:
1 - un comportamento finalistico (l'uomo progetta finalisticamente) da una biologia non finalista;
2 - il pensiero da una materia biologica non pensante;
3 - il sogno da una biologia non sognante;
4 - un solo "io" soggettivo da miliardi di cellule neuronali oggettive;
5 - una "percezione" del proprio corpo senza distinguere il corpo dal soggetto che lo percepisce;
6 - una repressione (o controllo) degli istinti senza distinguere gli istinti dal soggetto che li reprime;
7 - un comportamento etico-filosofico-religioso da un DNA non-etico-filosofico-religioso (il nostro DNA coincide al 98% con quello degli scimpanzè);
8 - una evoluzione culturale da una non-evoluzione biologica (il nostro DNA si stabilizzò circa 200-300 mila anni fa);
9 - una mente malata da un cervello sano;
10 - una mente capace di libertà da una biologia soggetta a leggi deterministiche;
11 - una mente femminile da una biologia maschile e viceversa (omosessualità).
Vado a memoria, ma avevo già risposto ad una lista simile (non la ricordo esattamente tutta); (ri)provo al volo:
1, 7, 8 - il finalismo è una categoria interpretativa umana, non una qualità della materia, parimenti l'etica, etc. sono elementi culturali; il piano culturale o storico non è quello biologico, ma ciò non significa che la storia e la cultura non siano fatte di "materia" (ovviamente non organizzata in modo casuale). L'uomo non è solo Dna; contano anche le interazioni fra i mattoni per distinguere una casa da un deposito di materiali edili
4, 5, 6, - indizi (non dimostrazioni) che il soggetto
è il suo corpo (dunque forse "la materia basta") e che l'(auto)coscienza si basa su elementi materiali in interazione fra loro
2, 3, 9, 10, 11 - ipotesi ancora da dimostrare (sebbene comunemente accettate), usano il concetto di "mente" per spiegare (ma non ne dimostrano l'esistenza), proprio come Zeus era usato per spiegare i fulmini (in assenza della meteorologia), ma i fulmini dimostravano davvero l'esistenza di Zeus?
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Settembre 2018, 17:18:59 PM
Ci ha già provato negli anni '30 il famoso Circolo di Vienna, ma non ha portato a nulla, perché persino la matematica è <<un residuo metafisico>>![/font][/size][/color]
Non sono sicuro che abbiano provato ad escludere "la mente" dalle loro analisi; comunque, la conoscenza della "materia" non è la stessa degli anni '30, forse si può anche riprovare; intanto, anche il dualismo potrebbe provare a corroborarsi e acquistare maggiore fondatezza epistemologica (non soltanto storico-culturale). Un tentativo non esclude l'altro, anzi, mi piacerebbe si trovassero anche altri percorsi da indagare.
Citazione di: paul11 il 18 Settembre 2018, 22:40:21 PM
PAUL11 (a Sgiombo)
Capisco che hai ontologicamente seguito una linea coerente con i tuoi principi: chiusura causale del mondo fisico,indimostrabilità della realtà e noumeno.
CARLONon esiste alcun principio di "chiusura causale" del mondo fisico. L'unico problema del dualismo è l'ammissibilità o meno - sul piano della Fisica - della possibilità che la mente possa trasferire informazioni al cervello (e viceversa) senza trasferimento di energia. E la Fisica quantistica ammette questa possibilità. Infatti, nei circa trent'anni da quando J. Eccles ha pubblicato la sua teoria dualista-interazionista (che ha elaborato in collaborazione con il fisico quantistico H. Margenau), nessuno scienziato gli ha contestato alcuna violazione dei principi della Fisica. Scrive Eccles:"Secondo i criteri materialisti, l'ipotesi che gli eventi mentali immateriali come il pensiero possano agire in qualsiasi modo su strutture materiali come i neuroni della corteccia cerebrale, incontrerebbe difficoltà insuperabili. Tale effetto presunto degli eventi mentali sarebbe incompatibile con le leggi di conservazione della fisica, in particolare con la prima legge della termodinamica. Questa obiezione sarebbe stata certamente sostenuta dai fisici del XIX secolo e dai neuroscienziati e filosofi che ideologicamente sono rimasti alla fisica del XIX secolo, senza riconoscere la rivoluzione operata dai fisici quantisti nel XX secolo.Nel formulare più precisamente l'ipotesi dualista sull'interazione fra mente e cervello, l'asserzione iniziale è che l'intero mondo di eventi mentali possiede un'autonomia pari a quella del mondo di materia-energia". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.137]"Nel 1984 venne pubblicato il libro di un insigne fisico quantistico, Henry Margenau, dal titolo "Il miracolo dell'esistenza". Fu come vedere la luce alla fine di un tunnel. Scrive Margenau:«La mente può essere considerata un campo nel comune senso fisico del termine. Ma si tratta di un campo non-materiale; l'analogo più simile è forse un campo di probabilità (...) e non è indispensabile che esso debba contenere energia per spiegare tutti i fenomeni noti nei quali la mente interagisce col cervello»". [J.ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.51]"È stato ipotizzato che negli stati di coscienza la corteccia cerebrale si trovi in una condizione di estrema sensibilità, come un rivelatore di minuscoli campi spazio-temporali di influenza. Questi campi di influenza sarebbero esercitati dalla mente sul cervello nelle azioni volontarie". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.44]"La caratteristica essenziale della teoria dualista interazionista sta nel considerare la mente e il cervello come entità interagenti secondo i principi della fisica quantistica. (...)Esiste una frontiera oltre la quale si realizza un'interazione in entrambe le direzioni, che può essere concepita come un flusso di informazioni, ma non di energia". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.37]Chi volesse saperne un po' di più può leggere il thread:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/mente-e-cervello-una-complementarita-di-opposti/
Citazione di: sgiombo il 18 Settembre 2018, 20:52:34 PM
Postulare spiegazioni di fatti (in generale) non é un circolo vizioso; lo sarebbe casomai postulare spiegazioni che richiedono a loro volta di essere spiegate da ciò che pretenderebbero di spiegare.
Non vedo dove traballerebbe l' ipotesi di un divenire reciprocamente trascendente, senza violazioni della chiusura causale del mondo fisico, in corrispondenza biunivoca, fra materia (cerebrale) e coscienza
Se il mondo fisico viene inteso come chiuso e funziona, come dimostrare una coscienza trascendente, se non sbirciando fuori da tale chiusura? E allora se ciò che è fuori interagisce con ciò che è dentro, la chiusura diventa inaffidabile, proprio in virtù di ciò che da fuori interagisce con l'interno, violando la chiusura: se le mie dita (fisiche) vengono mosse sulla tastiera (fisica) da qualcosa di non fisico (mente o altro), allora il mio digitare viola la chiusura causale del mondo fisico, perché è un fenomeno che è aperto (d)al non-fisico che lo
causa.
Il problema chiave mi pare sia l'interazione fra materia e immateriale; prenderne atto non è nemmeno sufficiente, essendo l'immateriale da dimostrare, e questo è, a parar mio, il circolo vizioso: si postula l'immateriale e poi usa ciò che l'immateriale giustificherebbe per dimostrare l'esistenza dell'immateriale.
Citazione di: sgiombo il 18 Settembre 2018, 20:52:34 PM
CitazioneAd esempio, provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale
Non la si presuppone affatto a priori: la si constata a posteriori!
Bisognerebbe piuttosto evitare di escluderla a priori dalla realtà, contro l' evidenza dei fatti
"Constatiamo" una mente immateriale solo se ci fidiamo delle categorie e della storia culturale che abbiamo ereditato... per
constatare la materia esterna al soggetto, non servono storia e categorie, ma per
interpretare ciò che accade dentro di noi, si; la domanda dunque è: diamo per scontato che ci sia ciò che viene definito "mente" o è possibile anche un'interpretazione/spiegazione differente, che non ricorra a tale concetto? Il fatto stesso che si possa dubitare che esista qualcosa come la "mente",
riconoscendo in essa solo un concetto esplicativo non necessariamente sostanziale, è eloquente: non potrei dubitare di avere una mano o un occhio, potrei dubitare di avere la milza, almeno finché non me la mostrano con l'ecografia o altre analisi; tuttavia se dubito di avere una mente, qual'è la prova che falsifica la mia non credenza nell'esistenza della mente?
Detto altrimenti, è possibile una dimostrazione per assurdo dell'esistenza della mente (ovvero, se non ci credo, ciò porta a scenari contraddittori o impossibili),
che non sia solo il riconfermare pedissequamente un concetto "classico" che spiega bene i fenomeni di coscienza e simili?
Per fare un esempio: ci fidiamo
a priori che il flogisto abbia il suo ruolo nel fuoco, oppure proviamo ad analizzare il fenomeno del fuoco senza sentirci in dovere di spiegarlo compatibilmente con la presunta esigenza di tutelare il flogisto? Spesso siamo noi stessi a imporci dei vincoli epistemici che poi ci tengono in scacco e, secondo me, non è detto che il caro vecchio concetto di "mente" non possa essere uno di questi.
Citazione di: sgiombo il 18 Settembre 2018, 20:52:34 PM
liberarsi dello scientismo e del monismo materialistico a priori e a prescindere (dall' evidenza empirica dei fatti)
questo mi lascia un po' perplesso: come si può essere monisti materialisti prescindendo dall'evidenza empirica dei fatti? Il materialismo "sano" (e che mi piace) è quello
a posteriori e "fino a prova contraria".
L'evidenza empirica spinge al materialismo; ciò che non è evidente spinge alla ricerca (con annesso scetticismo, se vuole essere esigente); ciò che non è né evidente né falsificabile spinge al dogmatismo (necessario, ad esempio, a molti "giochi di società": il linguaggio, le consuetudini, etc.).
Magari qualcuno (non certo tu, ma cogli il senso allegorico) potrebbe anche dire che il sentirsi in colpa dopo aver commesso uno errore etico sia "evidenza empirica" dell'esistenza dell'anima oppure che la pace interiore provata dopo lo
yoga sia "evidenza empirica" dell'esistenza dello spirito che si nutre di una corretta respirazione; dipende, a questo punto, se vogliamo salire sulla giostra del suddetto circolo vizioso (in cui ogni concetto postulato "funziona") o se vogliamo rompere le sacre uova nel paniere dei (pre)concetti della tradizione, per vedere se c'è davvero un pulcino oppure sono buone solo per farci una frittata.
@viatorNon ho citato l'inconscio nei miei ultimi post, e in genere non è un elemento che coinvolgo volentieri... ammetto di non aver letto la discussione in merito fra
sgiombo e
Carlo; nel mio piccolo, è un argomento collaterale che mi lascia un po' tiepido.
Cit. CARLO
Anche la tesi materialista-monista esula dall'ambito scientifico ed è infalsificabile.
PHIL
Non esattamente: la tesi materialista-monista rileva che la materia c'è e non c'è altro, eppure scoprire qualcos'altro di non materiale (è possibile, in teoria) la renderebbe falsificata; sino ad allora, la materia è una "realtà", se non la "realtà".
CARLO
Certo, la scienza rileva la realtà del mondo materiale, e non rileva la realtà di Dio; ma questo non significa che Dio non esiste. Altrettanto dicasi per la mente.
PHIL
Il dualismo non può dire con altrettanta certezza che ci sia qualcosa oltre la materia, e quando sostiene che c'è, non può dimostrarlo, ma solo postularlo.
CARLO
Bravo. Così come la scienza postula l'inesistenza della mente, il dualismo postula la sua esistenza. Quindi le due ipotesi sono ugualmente legittime.
PHIL
La differenza fondamentale è che della materia abbiamo tutti esperienza, la non-materia è invece un'interpretazione, non un'esperienza (falsificabile):
CARLO
Come diceva Cartesio, possiamo dubitare dell'esistenza del mondo materiale, ma non dell'esistenza del nostro "io" che dubita. E che questo "io" coincida con la materia (monismo) non è una certezza, ma un'interpretazione. Anzi se mettiamo a confronto le proprietà della materia con le proprietà della nostra mente, non ne troviamo nessuna in comune. Quindi il sospetto che la nostra mente sia "fatta di un'altra pasta" è più che fondato.
PHIL
puoi passarmi il sale, e se io lo ricevo, concordiamo che quel qualcosa esiste (qualunque cosa sia); se invece mi parli di qualcosa che non posso esperire, ma che tu hai esperito, o mi fido o non mi fido.
Se infatti mi racconti di essere contento, devo fidarmi che tu lo sia davvero e, soprattutto, che con "contentezza" intendiamo lo stesso stato d'animo; se mi passi il sale, lo spazio di fraintendimento e dubbio è molto inferiore, e se il sale non mi arriva il tuo "passaggio di sale" viene di fatto falsificato; non posso invece falsificare la tua contentezza...
CARLO
Bravo. Con questo hai dimostrato che gli stati della mente esulano dal dominio dell'oggettività scientifica, cioè, che gli strumenti limitati della scienza (o i nostri sensi) non possono rilevarli; ma non hai detto nulla che mi induca pensare che la mia contentezza sia uno stato della materia cerebrale. Non esiste alcun indizio che la materia provi contentezza. ...E torniamo, quindi, alla pari dignità delle due ipotesi antagoniste, anche se sappiamo che una delle due è sicuramente falsa.
Cit. CARLO
Si tratta, cioè, di una indipendenza relativa, caratterizzata da una compiuta (non assoluta) distinzione tra processi mentali e processi bio-neuronali,
PHIL
Postulare tale distinzione è l'ago della bilancia: possiamo davvero dimostrarla?
CARLO
Reciprocamente: possiamo dimostrare l'identità tra processi mentali e processi cerebrali? Certamente non con gli strumenti della scienza, per i quali i processi mentali sono invisibili. Insomma, nel momento in cui pronunciamo la parola mente (o qualunque contenuto o stato mentale) la scienza è fuori gioco, ed è fuori gioco qualsiasi idea di dimostrazione fondata su dati oggettivi misurabili.
PHIL
Come suggerisce il titolo del topic (e il rasoio di Ockham), forse non è affatto necessario, "basta il materialismo". Questa è una verità indubitabile? Secondo me, no, tuttavia è sicuramente degna di essere indagata, prima di postulare qualcosa di immateriale, seppur esplicativo.
CARLO
Come ho appena detto, per dimostrare che "basta il materialismo" si deve dimostrare l'identità tra processi mentali e processi cerebrali; ma la scienza può rilevare solo i processi cerebrali oggettivi, perché i processi psichici come, per esempio, una riflessione filosofica, o un sentimento di nostalgia non sono misurabili-oggettivabili e quindi non hanno alcun significato scientifico..
Pertanto, fuori gioco la scienza, resta solo l'argomentazione soggettiva per far pendere l'ago della bilancia verso l'una o verso l'altra ipotesi; un po' come succede nei processi della Giustizia, nei quali le testimonianze soggettive possono elevarsi al rango di prove.
...A meno che... un giorno qualcuno non dimostri la validità universale del Principio di complementarità degli opposti, che è perfettamente conforme al dualismo-interazionismo di Eccles!
Cit. CARLO
Come ho già scritto altre volte, l'ipotesi dualista è logicamente necessaria per molte ragioni oggettive, per poter spiegare degli eventi che contraddicono il paradigma monista. Per esempio, come sia possibile far emergere:
1 - un comportamento finalistico (l'uomo progetta finalisticamente) da una biologia non finalista;
2 - il pensiero da una materia biologica non pensante;
3 - il sogno da una biologia non sognante;
4 - un solo "io" soggettivo da miliardi di cellule neuronali oggettive;
5 - una "percezione" del proprio corpo senza distinguere il corpo dal soggetto che lo percepisce;
6 - una repressione (o controllo) degli istinti senza distinguere gli istinti dal soggetto che li reprime;
7 - un comportamento etico-filosofico-religioso da un DNA non-etico-filosofico-religioso (il nostro DNA coincide al 98% con quello degli scimpanzè);
8 - una evoluzione culturale da una non-evoluzione biologica (il nostro DNA si stabilizzò circa 200-300 mila anni fa);
9 - una mente malata da un cervello sano;
10 - una mente capace di libertà da una biologia soggetta a leggi deterministiche;
11 - una mente femminile da una biologia maschile e viceversa (omosessualità).
PHIL
1, 7, 8 - il finalismo è una categoria interpretativa umana, non una qualità della materia,
CARLO
Infatti il finalismo non è una qualità della materia, ma una qualità della mente (non solo umana); e questo è un indizio forte a favore del dualismo.
Certo che "finalità" è una categoria interpretativa, come lo è la causalità; ma nello stesso modo in cui è corretto interpretare l'azione di una forza meccanica su un corpo come la causa del suo moto, è altrettanto corretto interpretare l'azione di un uomo (o di un animale) compiuta in vista di un fine come atto finalistico.
PHIL
parimenti l'etica, etc. sono elementi culturali; il piano culturale o storico non è quello biologico, ma ciò non significa che la storia e la cultura non siano fatte di "materia" (ovviamente non organizzata in modo casuale). L'uomo non è solo Dna; contano anche le interazioni fra i mattoni per distinguere una casa da un deposito di materiali edili
CARLO
E' quello che dico io: l'uomo non è solo DNA (istinti), ma è anche mente. E l'etica non è una proprietà né della materia, né del DNA che abbiamo ereditato dagli scimpanzè, ma è una proprietà della mente.
PHIL
4, 5, 6, - indizi (non dimostrazioni) che il soggetto è il suo corpo (dunque forse "la materia basta") e che l'(auto)coscienza si basa su elementi materiali in interazione fra loro
2, 3, 9, 10, 11 - ipotesi ancora da dimostrare (sebbene comunemente accettate), usano il concetto di "mente" per spiegare (ma non ne dimostrano l'esistenza), proprio come Zeus era usato per spiegare i fulmini (in assenza della meteorologia), ma i fulmini dimostravano davvero l'esistenza di Zeus?
CARLO
Certo, sono indizi. Ma non basta dire <<sono solo indizi>> per mettere fuori gioco il dualismo, perché anche quelli del monismo <<sono solo indizi>>. E allora, in mancanza di prove dimostrate, si devono mettere a confronto TUTTI gli indizi che depongono a favore del monismo con TUTTI gli indizi a favore del dualismo, se vogliamo avere un'idea di quale sia la parte verso cui inclina l'ago della bilancia dell'attendibilità (in attesa che io dimostri l'universalità della Complementarità ;-) ) . Ma se tu ti cimentassi a stilare una lista da contrapporre a questa, ti renderesti conto che il monismo è solo un dogma privo (o quasi) di supporti indiziari, cioè, che si tratta solo di un precetto di fede ...materialista!
E comunque c'è una bella differenza tra la relazione Zeus-fulmini e la relazione tra una biologia maschile e una mente femminile (e viceversa).
Detto altrimenti, è possibile una dimostrazione per assurdo dell'esistenza della mente (ovvero, se non ci credo, ciò porta a scenari contraddittori o impossibili), che non sia solo il riconfermare pedissequamente un concetto "classico" che spiega bene i fenomeni di coscienza e simili?
Come è possibile "dimostrare" l'esistenza della mente quando l'unico soggetto che può farlo è la mente stessa? Potresti dimostrarlo, che so...con la milza? ???
Anche i concetti di 'dimostrare' o 'falsificare' sono prodotti della mente umana e non verificabili in altro modo che con la mente. Non esiste un agente 'esterno' alla mente che ci garantisce e che ci dimostra la bontà del ragionamento della mente stessa. Chiaro che 'mente' è un termine convenzionale per indicare una somma di proprietà , ma dato che la mente stessa non fa altro che designare...designa pure se stessa (si fa chiamare pure citta , per esempio.... :))
Il problema della mente è che, non solo è difficile dare una definizione di "cos'è"" per la complessità delle sue funzioni e delle sue articolate strutturazioni, ma anche per la sua individuazione univoca e lineare (è esterna o interna?...e a riguardo di che cosa si definisce intena o esterna?...Sono molte o in realtà è una?...).
Senza la mente si può dare 'consistenza' ai fenomeni? Si potrebbe addirittura capovolgere il titolo del topic e dire: "Perché la mente basta". Infatti potremmo, per assurdo, esistere in un universo costruito solo di 'mente' e non aver nessuna possibilità di accorgercene (e la mente , in questo caso, potrebbe addirittura definirlo come fatto solo di materia...)...come uno specchio non può riflettere se stesso...infatti la mente costruisce in continuazione il mondo: con sogni, ricordi, anticipazioni, visioni, allucinazioni,ecc. e può benissimo aver costruito anche quella che lei stessa definisce come " l'esperienza sensibile"...Dire che tutto è materia o che tutto è mente (in senso classico..), in definitiva però non sposta di una virgola l'esperienza mentale del 'vivere' e di come ci rapportiamo ad esso...
Mi ha fatto molto riflettere questa frase di A.J. Heschel:
"La realtà per noi è il mondo delle cose, costituito da sostanze che occupano uno spazio; perfino Dio viene considerato da molti come una cosa. Questo nostro legame con le cose ci rende ciechi a ogni realtà che non si presenti come una cosa, come un dato di fatto."
Anche nei riguardi della mente non riusciamo ad uscire dal pre-giudizio mentale che è una "cosa"? Sembra che la mente abbia la necessità di "occupare uno spazio" per se stessa perché non ha altro modo di conoscersi che raffigurandosi come una "cosa", come un dato di fatto. Ma dove si trova lo spazio "occupato" dalla mente?
Provo ad inserirmi in questo discorso partendo dalla chiusura causale del mondo, che io preferisco chiamare "completezza del fisico": la fisica contiene in sé tutte le risorse per una piena spiegazione di ogni fenomeno fisico.
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica. Ma secoli di ricerca non hanno rilevato queste infinite anomalie fisiche, confermando la chiusura del fisico.
Io riterrei vero per definizione che un evento è un evento fisico se e solo se è un evento nel dominio della fisica attuale o futura: mi rendo conto della fluidità di tale definizione con il riferimento al futuro, ma mi pare comunque una proposta onesta e forse inevitabile. Detto questo, se scopro che dato uno stimolo fisico (come un fascio di luce nell'occhio, o una stimolazione elettrica direttamente nella corteccia cerebrale, o altro ancora) ogni volta corrisponde una determinata esperienza soggettiva, allora non vedo come tale esperienza soggettiva possa essere considerata al di fuori dalla fisica. L'esperienza soggettiva, per ipotesi, sarebbe inserita in una cornice concettuale ed esplicativa fisica, quindi la considererei a tutti gli effetti un evento fisico.
Ma il materialismo basta? O, più attualmente, il fisicalismo basta?
Come ho spiegato in altri topic in passato, non gradisco molto parlare di sostanze ("sostanza fisica", "sostanza mentale", "sostanza immateriale", ecc.) o di mondi ("mondo fisico", "mondo mentale", "mondo immateriale", ecc.). Per me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo. Nello specifico, non credo che sia una verità evidente che i discorsi di macroeconomia siano riducibili ai discorsi della fisica delle particelle, così come non credo sia una verità evidente che i discorsi su agenti siano riducibili a discorsi sulla fisica delle particelle. Ad oggi tali discorsi sono così diversi che, per ora, mi pare più ragionevole sostenere che siano discorsi non riducibili, e questo ha anche un'innegabile vantaggio metodologico (se ad un tratto gli economisti decidessero di studiare i fenomeni economici solo tramite la fisica delle particelle, sicuramente avremmo la morte istantanea dell'economia).
Quindi il fisicalismo non basta. E non basta non perché esiste un mondo mentale o un mondo immateriale, ma perché le risorse concettuali per comprendere e parlare del mondo sono così eterogenee e varie che pare, almeno ad oggi, che il linguaggio della fisica delle particelle non possa bastare per tutto.
In quest'ottica, la mia proposta è simile al monismo anomalo di Davison (in cui mentale e fisico sono semplicemente due livelli di descrizione diversi), ma generalizzato ed esteso a più livelli (cioè a più "linguaggi").
Citazione di: viator il 18 Settembre 2018, 23:04:23 PM
Salve. Per Sgiombo, Phil e Carlo Pierini. Trovo affascinanti le vostre diatribe. Essenzialmente perché mi mostrano in quanti diversi modi ci si possa esprimere pur restando nell'alveo della razionalità. Potete aggiungerci il mio, pur così (mi sembra) diverso dai vostri.
Un altro motivo di fascino è rappresentato dal fatto che non riusciate a mettervi d'accordo sull'inconscio. Per me è così semplice !.
Esiste l'inconscio a noi esterno, ma quello si chiama ignoto ed ora non ci interessa.
Poi sembra che in noi (scatola cranica od anima, a seconda delle convinzioni) circolino dei fluidi i quali emettono degli effluvi che più o meno frequentemente ci investono e che noi chiamiamo di volta in volta atavismi, emozioni, sogni, sentimenti, ispirazioni, illuminazioni, deliri ed altri nomi ancora.
Supponiamo che tali fluidi circolino nella scatola cranica (l'ipotesi animistica la faremo trattare da un credente). Si ignora quali caratteristiche fisiche e quale composizione chimica abbiano tali fluidi. Non parliamo poi dei loro effetti fisiologici.
Quindi si tratta di sostanze ignote interne a noi, ed il loro insieme potrà appunto venir chiamato inconscio, come appunto ho detto all'inizio.
Facciamo che esista un contenitore, un serbatoio che ospiti tali fluidi(in tutti i circuiti idraulici che si ripettino esiste un serbatoio di accumulo o di sfogo). Chiamiamolo psiche.
L'esistenza della psiche ci è nota (conscia), l'esistenza di (non sto dicendo -dei-) suoi contenuti pure.....è l'esatta struttura e funzione di essi che non lo è.
La psiche rappresenta una funzione cerebrale. E' quella parte del sistema nervoso che si è generata, una volta che al sistema nervoso primitivo si affiancarono i sensi, per provvedere a custodire anzitutto l'istinto di sopravvivenza (IdS o memoria istintuale filogenetica - tutti gli altri istinti sono riconducibili alla necessità di sopravvivere), poi quindi, l'insieme delle esperienze (costituiscono la memoria esperienziale od ontogenetica) che vanno confrontate con l'IdS (in modo automatico, rapidissimo, non ragionato e quindi NON CONSAPEVOLE)(anche perché stiamo parlando di tempi evolutivi in cui gli esseri viventi non possedevano facoltà "superiori", evolutesi successivamente), vanno, dicevo, confrontate con l'IdS per stabilire se esse sono in passato (passato anche evolutivo, poiché l'Ids ha base genetica!) risultate e risulteranno prossimamente compatibili o meno con la sopravvivenza dell'individuo.
La necessità dell'esistenza di una psiche contenente impulsi (io li ho scherzosamente chiamati "fluidi" poco fa) che devono restare separati ed inconsci (estranei quindi sia alla coscienza che alla mente) nasce quindi dall'esigenza di assicurare un meccanismo di reazione (attraverso l'IdS) che operi in modo automatico ed incondizionato nei casi estremi di pericolo.
Sappiamo tutti che se sfioriamo una pentola rovente avremo una reazione inconsciamente determinatasi senza attendere l'analisi della situazione da parte della mente !
Naturalmente mi si chiederà cosa c'entri ciò con le emozioni etc. che ho citato sopra.
C'entra il fatto che, alla funzione psichica originaria ed essenziale di tutela della sopravvivenza, i milioni di anni di storia della vita e di evoluzione dei nostri contenuti cerebrali hanno affiancato altre ulteriori funzioni ben più complesse alcune delle quali, interfacciandosi con le posteriori e "superiori" funzioni mentali, appaiono ora a noi di natura ben poco istintiva ed anzi persino astratte e metafisiche.
Vi assicuro che, dal mio punto di vista, non avrei problemi nell'illustrarlo. Ma a me non piace scrivere trattati, benché solo divulgativi.
Aggiungo solo che ogni altro "comportamento non raziocinabile" di origine inconscia (e l'evoluzione sia filogenetica che ontogenetica della psiche ne ha prodotti un numero sterminato !) è invariabilmente teso alla sopravvivenza dell'organismo o (in mancanza di pericoli) all'autotutela, benessere o soddisfacimento della psiche stessa. Amen.
CARLOLe teorie non si costruiscono sulla base di possibilità astratte, ma sulla base di osservazioni di eventi concreti. Senza l'osservazione, si possono costruire diecimila teorie fantasiose sul problema mente-corpo, tutte regolarmente conflittuali tra loro e al di fuori di ogni possibilità di stabilire quale, tra le tante, sia quella più corretta. E più sarà estesa la gamma di eventi osservati, più si ridurrà il numero di teorie che possano ordinarli tutti in un paradigma unico, logico e coerente.Ecco, nella tua ipotesi io vedo tanta fantasia, ma una estrema carenza di riferimenti ai fatti che le discipline di settore (psicologia e neurobiologia) hanno evidenziato in questi ultimi 150 anni di studi e di osservazioni metodiche. Per esempio, la tua idea di inconscio è improvvisazione allo stato puro e mette in luce una pressoché totale ignoranza delle ragioni (osservazioni) che hanno obbligato i ricercatori a postularne l'esistenza. Pertanto, come dicevo a Sgiombo, se vuoi contestarne la validità o l'attendibilità, devi confrontarti con quelle ragioni, mostrarne l'inconsistenza e proporre un'interpretazione che sia più coerente con l'osservazione dei fatti.Per questo la conoscenza è un processo collettivo: perché non si costruisce sulle fantasie di chi si sveglia prima la mattina, ma su un confronto tra diverse interpretazioni dei fatti e sull'eliminazione progressiva delle interpretazioni meno conformi ad essi. E se la Scienza è diventata - nell'ambito che le è proprio - la forma più affidabile di sapere, è proprio perché si è ispirata a questo semplice criterio.
Citazione di: Sariputra il 19 Settembre 2018, 11:59:34 AM
Mi ha fatto molto riflettere questa frase di A.J. Heschel:
"La realtà per noi è il mondo delle cose, costituito da sostanze che occupano uno spazio; perfino Dio viene considerato da molti come una cosa. Questo nostro legame con le cose ci rende ciechi a ogni realtà che non si presenti come una cosa, come un dato di fatto."
Anche nei riguardi della mente non riusciamo ad uscire dal pre-giudizio mentale che è una "cosa"? Sembra che la mente abbia la necessità di "occupare uno spazio" per se stessa perché non ha altro modo di conoscersi che raffigurandosi come una "cosa", come un dato di fatto. Ma dove si trova lo spazio "occupato" dalla mente?
CARLO
Jung dice qualcosa di molto simile, sia sulla moderna "cosizzazione" della mente, sia sulla sua realtà extra-spaziotemporale :
"Come tempo fa era presupposto evidente che tutto ciò che esiste fosse nato dalla volontà creatrice di un Dio spirituale, così il diciannovesimo secolo scoperse la verità, altrettanto evidente, che tutto proviene da cause materiali. Oggi non è più la forza dello spirito che si crea un corpo, ma al contrario la materia che trae dal proprio chimismo un'anima. Un tale capovolgimento farebbe ridere se non ci trovassimo al cospetto di una delle grandi verità dello spirito del tempo. [...] Lo spirito dev'essere pensato come un epifenomeno della materia, anche se non si parla più di "spirito" ma di "psiche", non di "materia, ma di "cervello", di "ormoni", di istinti o di impulsi. L'attribuire all'anima una propria sostanza sarebbe contrario allo spirito del tempo e quindi una eresia. [...]
La coscienza comune non ha ancora scoperto che è non meno presuntuoso e fantastico credere con assoluta certezza che la materia produca psiche, che le scimmie generino uomini, che le cellule cerebrali generino pensieri, e che tutte queste cose non possano essere diversamente". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.367]
"La nostra coscienza comune si è smisuratamente accresciuta in ampiezza e larghezza, ma purtroppo solo nel senso spaziale e non in quello temporale; altrimenti possederemmo una sensibilità storica molto più acuta. Se la coscienza comune, anziché essere tanto limitata all'oggi, fosse anche coscienza storica, noi ben sapremmo di analoghe trasformazioni [del concetto] di Dio avvenute al tempo della filosofia Greca: e ciò potrebbe indurci a una maggiore critica verso la nostra filosofia attuale. [...]
La tendenza irresistibile a cercare nella realtà fisica la spiegazione di tutte le cose corrisponde a quello sviluppo della coscienza in senso orizzontale che contrassegna gli ultimi quattro secoli. A sua volta, tale tendenza si spiega come reazione a quella esclusivamente verticale dell'epoca gotica; si tratta di un fenomeno di psicologia collettiva che, come tale, trascende la coscienza individuale. Proprio come i primitivi, ci comportiamo in un certo modo, solo per scoprire molto tempo dopo perché ci comportavamo così: nel frattempo ci accontentiamo di ogni sorta di inesatte razionalizzazioni. [...]
Se noi fossimo coscienti dello spirito del tempo [...] potremmo impostarci criticamente di fronte alla nostra tendenza attuale. Diremmo a noi stessi che è assai probabile che si commetta ora un errore opposto a quello che si commetteva prima, e perciò in definitiva un errore uguale. Noi sopravvalutiamo le cause materiali e pensiamo di essere soltanto ora in possesso di una spiegazione esatta, perché crediamo che la materia sia più nota che non lo spirito "metafisico". Ma la materia ci è ignota quanto lo spirito". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.368]
"Non siamo legittimati a considerare la psiche come un processo cerebrale, a prescindere dal fatto che il tentativo di rappresentarsi un qualcosa del genere è già stravagante di per sé e non ha mai prodotto altro che stravaganze, per quanto sia stato compiuto seriamente. [...] Questo punto di vista si adatta però al pregiudizio materialistico, e perciò ogni assurdità viene consacrata come scientifica purché prometta di trasformare in fisico tutto ciò che è psichico. Auguriamoci che non siano lontani i tempi in cui questo residuo arrugginito e ormai mentalmente inerte verrà sradicato dalla testa dei nostri rappresentanti scientifici". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.299]
"Il fatto che le nostre capacità di rappresentazione non siano assolutamente in grado di immaginare una forma di realtà extra spazio-temporale, non prova che una tale realtà non sia possibile. [...]
Le idee e i dubbi della fisica teorica contemporanea dovrebbero rendere guardingo anche lo psicologo: giacché cosa significa in fin dei conti la «limitatezza dello spazio» considerata filosoficamente, se non una relativizzazione della categoria spaziale? E anche alla categoria temporale (come alla causalità) potrebbe accadere qualcosa di simile.[...]
Data questa estrema incertezza delle concezioni umane, la presuntuosa faciloneria illuministica, non è soltanto ridicola, ma desolatamente priva di spirito. [...]
La conclusione che la psiche partecipi attivamente a una forma di realtà extra spazio-temporale e appartenga quindi a ciò che in modo inadeguato e simbolico viene detto "eternità", l'intelletto critico non potrebbe contrapporgli altro argomento che uno scientifico "non liquet" [non è chiaro]. Questo qualcuno godrebbe inoltre del vantaggio di trovarsi in armonia con una "inclinazione" dell'anima umana, esistente da tempo immemorabile e universalmente diffusa. Chi invece, per scetticismo o per ribellione alla tradizione o per mancanza di coraggio o per superficialità di esperienza psicologica o per spensierata ignoranza, non traesse questa conclusione, avrebbe per sé non solo una piccolissima probabilità statistica di diventare un pioniere dello spirito, ma anche la certezza di mettersi in contraddizione con le verità del suo sangue. Che queste siano verità assolute oppure no, non lo potremo mai provare, ma basta che esse siano presenti come "inclinazioni", e sappiamo a sufficienza che cosa significhi mettersi sconsideratamente in conflitto con tali verità: è come un non voler tener conto degli istinti". [JUNG: Realtà dell'anima - pg.163]
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 00:43:55 AM
Citazione di: sgiombo il 18 Settembre 2018, 20:52:34 PM
Postulare spiegazioni di fatti (in generale) non é un circolo vizioso; lo sarebbe casomai postulare spiegazioni che richiedono a loro volta di essere spiegate da ciò che pretenderebbero di spiegare.
Non vedo dove traballerebbe l' ipotesi di un divenire reciprocamente trascendente, senza violazioni della chiusura causale del mondo fisico, in corrispondenza biunivoca, fra materia (cerebrale) e coscienza
Se il mondo fisico viene inteso come chiuso e funziona, come dimostrare una coscienza trascendente, se non sbirciando fuori da tale chiusura? E allora se ciò che è fuori interagisce con ciò che è dentro, la chiusura diventa inaffidabile, proprio in virtù di ciò che da fuori interagisce con l'interno, violando la chiusura: se le mie dita (fisiche) vengono mosse sulla tastiera (fisica) da qualcosa di non fisico (mente o altro), allora il mio digitare viola la chiusura causale del mondo fisico, perché è un fenomeno che è aperto (d)al non-fisico che lo causa.
Il problema chiave mi pare sia l'interazione fra materia e immateriale; prenderne atto non è nemmeno sufficiente, essendo l'immateriale da dimostrare, e questo è, a parar mio, il circolo vizioso: si postula l'immateriale e poi usa ciò che l'immateriale giustificherebbe per dimostrare l'esistenza dell'immateriale.
Citazione"Sbirciando fuori del mondo fisico", che é causalmente chiuso, la mente (pensieri, ragionamenti, sentimenti, desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, ricordi, immaginazioni, ecc., ecc., ecc.,) si staglia imperiosamente nella sua notevolissima imponenza alla coscienza di ciascuno.
E non c' é certamente bisogno che interagisca col mondo fisico per il fatto di esistere: può benissimo divenire con esso "parallelamente", su piani ontologici reciprocamente trascendenti", in corrispondenza biunivoca nel pieno rispetto della chiusura causale del mondo fisico.
L' immateriale (mentale) fenomenico non si postula affatto, non ha affatto bisogno di essere "dimostrato", ma invece lo si constata empiricamente a posteriori esattamente come il fenomenico materiale (né più né meno), del quale, per il fatto di non essere (contrariamente ad esso) intersoggettivo, non é affatto meno reale né meno certamente reale (intersoggettivo =/= reale; non intersoggettivo =/= non reale): circa i tuoi pensieri mi devo fidare ciecamente di quanto mi racconti (e viceversa) esattamente come mi devo fidare ciecamente di quanto mi racconti delle tue sensazioni materiali, del fatto che vedi lo stesso albero che vedo io, che senti la tessa musica, gli stessi aromi, ecc. e viceversa.
Il dubbio é legittimo per il fatto che le cose materiali esistano oltre che per noi (in quanto immediatamente esperite) anche per gli altri che ci raccontano di percepirle, esattamente allo stesso modo che per l' esistenza dei pensieri, sentimenti ecc.
Citazione di: sgiombo il 18 Settembre 2018, 20:52:34 PM
CitazioneAd esempio, provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale
Non la si presuppone affatto a priori: la si constata a posteriori!
Bisognerebbe piuttosto evitare di escluderla a priori dalla realtà, contro l' evidenza dei fatti
"Constatiamo" una mente immateriale solo se ci fidiamo delle categorie e della storia culturale che abbiamo ereditato...
per constatare la materia esterna al soggetto, non servono storia e categorie, ma per interpretare ciò che accade dentro di noi, si; la domanda dunque è: diamo per scontato che ci sia ciò che viene definito "mente" o è possibile anche un'interpretazione/spiegazione differente, che non ricorra a tale concetto? Il fatto stesso che si possa dubitare che esista qualcosa come la "mente", riconoscendo in essa solo un concetto esplicativo non necessariamente sostanziale, è eloquente: non potrei dubitare di avere una mano o un occhio, potrei dubitare di avere la milza, almeno finché non me la mostrano con l'ecografia o altre analisi; tuttavia se dubito di avere una mente, qual'è la prova che falsifica la mia non credenza nell'esistenza della mente?
Citazione
Per niente affatto!
La storia culturale non serve affatto, dal momento che la mente si staglia alla nostra coscienza con una monumentale, enorme grandiosità: non é ignorabile se non per un ingiustificato aprioristico pregiudizio materialistico conseguente a storia culturale tanto profondamente radicato da resistere a quanto di più immediatamente evidente e indubitabile possa darsi.
La prova che falsifica la tua pregiudiziale credenza che la mente non esiste é il tuo pensiero negante (falsamente) l' esistenza della tua mente; che di sicuro non é meno certo delle tue sensazioni di avere una mano, un' occhio o una milza.
per constatare la materia esterna al soggetto, non servono storia e categorie, ma per interpretare ciò che accade dentro di noi, si; la domanda dunque è: diamo per scontato che ci sia ciò che viene definito "mente" o è possibile anche un'interpretazione/spiegazione differente, che non ricorra a tale concetto?
CitazioneE' possibile solo mettendosi delle metaforiche spessissime fette di salame sugli occhi (= aprioristicamente negando l' evidenza indubitabile delle percezioni mentali: pensieri, sentimenti, ecc.).
Detto altrimenti, è possibile una dimostrazione per assurdo dell'esistenza della mente (ovvero, se non ci credo, ciò porta a scenari contraddittori o impossibili), che non sia solo il riconfermare pedissequamente un concetto "classico" che spiega bene i fenomeni di coscienza e simili?
Per fare un esempio: ci fidiamo a priori che il flogisto abbia il suo ruolo nel fuoco, oppure proviamo ad analizzare il fenomeno del fuoco senza sentirci in dovere di spiegarlo compatibilmente con la presunta esigenza di tutelare il flogisto? Spesso siamo noi stessi a imporci dei vincoli epistemici che poi ci tengono in scacco e, secondo me, non è detto che il caro vecchio concetto di "mente" non possa essere uno di questi.
CitazioneMentre la mente viene immediatamente esperita empiricamente, il flogisto veniva ipotizzato per spiegare determinate osservazioni dirette: paragone del tutto non pertinente!
Citazione di: sgiombo il 18 Settembre 2018, 20:52:34 PM
liberarsi dello scientismo e del monismo materialistico a priori e a prescindere (dall' evidenza empirica dei fatti)
questo mi lascia un po' perplesso: come si può essere monisti materialisti prescindendo dall'evidenza empirica dei fatti? Il materialismo "sano" (e che mi piace) è quello a posteriori e "fino a prova contraria".
CitazionePregiudizialmente impedendosi di riconoscere la evidentissima oltre ogni dubbio (non meno di quella della materia) esistenza del pensiero o mente.
L'evidenza empirica spinge al materialismo;
CitazioneNO!
L' evidenza empirica spinge al dualismo.
Casomai il pregiudizio e il dogmatismo spingono al monismo materialistico.
ciò che non è evidente spinge alla ricerca (con annesso scetticismo, se vuole essere esigente); ciò che non è né evidente né falsificabile spinge al dogmatismo (necessario, ad esempio, a molti "giochi di società": il linguaggio, le consuetudini, etc.).
CitazioneVedi sopra.
Magari qualcuno (non certo tu, ma cogli il senso allegorico) potrebbe anche dire che il sentirsi in colpa dopo aver commesso uno errore etico sia "evidenza empirica" dell'esistenza dell'anima oppure che la pace interiore provata dopo lo yoga sia "evidenza empirica" dell'esistenza dello spirito che si nutre di una corretta respirazione; dipende, a questo punto, se vogliamo salire sulla giostra del suddetto circolo vizioso (in cui ogni concetto postulato "funziona") o se vogliamo rompere le sacre uova nel paniere dei (pre)concetti della tradizione, per vedere se c'è davvero un pulcino oppure sono buone solo per farci una frittata.
Citazione
Ma che caspita c' entra l' "anima" o lo "spirito" ? ! ? ! ? !
Evitiamo di deformare caricaturalmente le opinioni altrui, per favore ! ! !
dipende, a questo punto, se vogliamo salire sulla giostra del suddetto circolo vizioso (in cui ogni concetto postulato "funziona", per esempio il monismo materialistico) o se vogliamo rompere le sacre uova nel paniere dei (pre)concetti della tradizione monistica materialistica, per vedere se non c'è davvero un pulcino oppure siamo noi che non vogliamo pregiudizialmente, dogmaticamente ammetterlo.
Nessun flusso di informazioni può avvenire se non attraverso un supporto materiale, consumando energia.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 03:23:28 AM
Così come la scienza postula l'inesistenza della mente, il dualismo postula la sua esistenza. Quindi le due ipotesi sono ugualmente legittime.
Solitamente l'onere della prova spetta a chi afferma l'esistenza di qualcosa; questa è un'asimmetria importante.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 03:23:28 AM
se mettiamo a confronto le proprietà della materia con le proprietà della nostra mente, non ne troviamo nessuna in comune. Quindi il sospetto che la nostra mente sia "fatta di un'altra pasta" è più che fondato.
Questo è il circolo vizioso di cui parlavo con
sgiombo: le "proprietà della nostra mente" presuppongono l'esistenza della mente, che supponiamo sia "d'un altra pasta" perché le sue proprietà la differenziano dalla materia (banalizzo per spiegare cosa intendo, parafrasando il tuo testo: "se mettiamo a confronto le proprietà della
materia Fenice di fuoco con le proprietà
della nostra mente dell'essere umano, non ne troviamo
nessuna in comune. Quindi il sospetto che la
nostra mente Fenice di fuoco sia "fatta di un'altra pasta" è più che fondato". Resta solo da vedere se la Fenice di fuoco esiste veramente...).
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 03:23:28 AM
pari dignità delle due ipotesi antagoniste, anche se sappiamo che una delle due è sicuramente falsa.
Non escluderei a priori una terza via, quindi
almeno una delle due è falsa.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 03:23:28 AM
Infatti il finalismo non è una qualità della materia, ma una qualità della mente (non solo umana); e questo è un indizio forte a favore del dualismo.
... oppure è un indizio forte a favore del monismo, se lo interpretiamo come il radicamento biologico non mentale dell'istinto: come dire che gli animali sono "programmati" geneticamente (non mentalmente) per cercare il cibo, fuggire di fronte a una minaccia, cercare la riproduzione, e altre "finalità" dell'agire umano.
Sicuramente la mente funziona come spiegazione, è fuor di dubbio, tuttavia vorrei porre l'accento sul fatto che la sua funzionalità esplicativa non è dimostrazione della sua effettiva esistenza, per cui cercare
anche altre spiegazioni che la sacrifichino sull'altare di diverse analisi possibili, non è una scelta da sottovalutare (dato che postularla comporta anche molti problemi ontologici: com'è, dov'è, come funziona, come interagisce con la materia, etc.). Non intendo cancellare il concetto di mente o radiarla come parola da tutti i vocabolari, piuttosto propongo di provare
anche a farne a meno "per vedere l'effetto che fa".
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 03:23:28 AM
c'è una bella differenza tra la relazione Zeus-fulmini e la relazione tra una biologia maschile e una mente femminile (e viceversa).
Come sapere che la mente abbia un suo genere, maschile/femminile/x? Non voglio iniziare a parlare di temi molto
off topic, ma anche in questo caso la mente funziona egregiamente da
jolly (in virtù del suddetto circolo vizioso), giustificando un fenomeno che altrimenti resterebbe assai problematico... eppure ciò non toglie che tale "mente" resti ignota in gran parte della sua identità, pur assolvendo impeccabilmente al ruolo di spiegazione/giustificazione (e ciò mi rende un po' sospettoso).
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica. Ma secoli di ricerca non hanno rilevato queste infinite anomalie fisiche, confermando la chiusura del fisico.
CitazioneNon esistono solo dualismi "interazionisti" (per esempio quello cartesiano), incompatibili con la chiusura causale del mondo fisico.
Esistono anche dualismi "trascendentisti" con essa compatibilissimi.
Io riterrei vero per definizione che un evento è un evento fisico se e solo se è un evento nel dominio della fisica attuale o futura: mi rendo conto della fluidità di tale definizione con il riferimento al futuro, ma mi pare comunque una proposta onesta e forse inevitabile. Detto questo, se scopro che dato uno stimolo fisico (come un fascio di luce nell'occhio, o una stimolazione elettrica direttamente nella corteccia cerebrale, o altro ancora) ogni volta corrisponde una determinata esperienza soggettiva, allora non vedo come tale esperienza soggettiva possa essere considerata al di fuori dalla fisica. L'esperienza soggettiva, per ipotesi, sarebbe inserita in una cornice concettuale ed esplicativa fisica, quindi la considererei a tutti gli effetti un evento fisico.
CitazioneL' esperienza soggettiva** non accade affatto nel cervello stimolato (il quale si trova nelle esperienze coscienti* di chi lo osservi), ma invece costituisce un' altra, diversa esperienza cosciente** la quale é al di fuori della fisica delle (compresa nelle) esperienze coscienti* includenti il cervello in questione.
L' esperienza soggettiva** non é affatto inserita in una cornice concettuale ed esplicativa fisica dal momento che nel cervello osservato ci sono solo neuroni, assoni, sinapsi, potenziali d' azione, ecc. perfettamente riducibili a particelle-onde, campi di forza, ecc. e nient' altro!
Quindi considererei a tutti gli effetti un evento non fisico l' esperienza cosciente** correlata a tale cervello, dal momento che non é ubicata nel cervello stesso né in alcun altro luogo fisico (sono invece i luoghi fisici e i cervelli ad essere ubicati nelle esperienze coscienti*).
Citazione di: Sariputra il 19 Settembre 2018, 10:10:49 AM
Chiaro che 'mente' è un termine convenzionale per indicare una somma di proprietà , ma dato che la mente stessa non fa altro che designare...
Questo, secondo me, è il passaggio chiave: ammettiamo che è un termine
convenzionale (quindi potrebbe non avere un referente preciso), quasi un'allegoria del pensiero umano, e poi lo prendiamo sul serio come se fosse un entità
indubitabile, e iniziamo a descrivere cosa fa, in cosa è coinvolta, etc.
Il presupposto di cui bisogna essere consapevoli (e che potrebbe essere anche scardinato per fare altre ricerche) è che ci riferiamo ad un fattore solo postulato; l'invito (a chi è più grande di me) è: perché non provare ad affrontare quelle problematiche senza partire dal concetto di mente? Se la mente è reale la troveremo alla fine della ricerca, ben definita e meno aleatoria; ma se la presupponiamo come esistente, tutta la ricerca rischia di essere viziata in partenza.
Lo stesso è accaduto, nella storia, alla materia, al punto che oggi, quando parliamo di materia, sappiamo che è una generalizzazione molto imprecisa e vaga, ma nondimeno si riferisce a qualcosa che c'è; con la mente siamo un passo indietro: prima bisogna verificare che ci sia, poi man mano che l'analisi e le conoscenze in merito avanzano, potremmo anche continuare ad usare il termine generico (cosa che stiamo già facendo ora, avendo però saltato il primo, cruciale, passo).
@sgiomboQuesto passo
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 12:51:09 PM
riconoscere la evidentissima oltre ogni dubbio (non meno di quella della materia) esistenza del pensiero o mente.
lascerebbe intendere che identifichi la mente con il pensiero... non tutti lo fanno, a dimostrazione di come tale "mente" resti piuttosto problematica e opinabile... se, come affermi, "la mente viene immediatamente esperita
empiricamente"(cit., corsivo mio), fai bene a non dubitare della sua esistenza (per me così non è, anche perché sono di quelli che non riducono la mente all'attività di pensiero).
In merito a
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 12:51:09 PM
Ma che caspita c' entra l' "anima" o lo "spirito" ? ! ? ! ? !
Evitiamo di deformare caricaturalmente le opinioni altrui, per favore ! ! !
mi permetto di farti notare (sottolineatura mia):
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 00:43:55 AM
Magari qualcuno (non certo tu, ma cogli il senso allegorico) potrebbe anche dire che...
P.s.
Per ulteriori informazioni su circoli viziosi, preconcetti e prospettive di ricerca, ti rimando ai miei recenti post in risposta a
Carlo e
Sariputra :)
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:54:58 PM
@sgiombo
Questo passo
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 12:51:09 PM
riconoscere la evidentissima oltre ogni dubbio (non meno di quella della materia) esistenza del pensiero o mente.
lascerebbe intendere che identifichi la mente con il pensiero... non tutti lo fanno, a dimostrazione di come tale "mente" resti piuttosto problematica e opinabile... se, come affermi, "la mente viene immediatamente esperita empiricamente"(cit., corsivo mio), fai bene a non dubitare della sua esistenza (per me così non è, anche perché sono di quelli che non riducono la mente all'attività di pensiero).
CitazioneLa mente é pensieri, ragionamenti, sentimenti, desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, ricordi, immaginazioni, ecc., ecc., ecc.
I quali sono altrettanto indubitabili di ciò che di materiale esperiamo e non sono affatto né identificabili con, né riducibili a, né emeregenti da, né sopravvenienti a nulla di materiale (in particolare non si trovano affatto nei cervelli, i quali invece contengono solo e unicamente neuroni, assoni, sinapsi, ecc. perfettamente riducibili a particelle-onde, campi di forza, ecc., e nient' altro.
In merito a
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 12:51:09 PM
Ma che caspita c' entra l' "anima" o lo "spirito" ? ! ? ! ? !
Evitiamo di deformare caricaturalmente le opinioni altrui, per favore ! ! !
mi permetto di farti notare (sottolineatura mia):
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 00:43:55 AM
Magari qualcuno (non certo tu, ma cogli il senso allegorico) potrebbe anche dire che...
CitazioneMa rispondevi esplicitamente a me.
E con me c' entrano come i cavoli a merenda (il senso allegorico poi non lo vedo proprio: allegoria "dde che"???).
Comunque i predicozzi contro i pregiudizi religiosi e parareligiosi li vai a fare a chi crede nell' anima immortale, nello spirito, ecc., e non certo a me che in fatto di laicità non ho proprio nulla da invidiarti !
P.s.
Per ulteriori informazioni su circoli viziosi, preconcetti e prospettive di ricerca, ti rimando ai miei recenti post in risposta a Carlo e Sariputra :)
CitazioneGià letti: ripetono i soliti pregiudizi dogmatici monisti materialisti senza alcun ulteriore argomento oltre a quelli da me già criticati
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Provo ad inserirmi in questo discorso partendo dalla chiusura causale del mondo, che io preferisco chiamare "completezza del fisico": la fisica contiene in sé tutte le risorse per una piena spiegazione di ogni fenomeno fisico.
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica.
CARLOIntanto vorrei sottolineare che l'ipotesi dualista non contempla la possibilità che la mia attività mentale interferisca (checché ne dicano i sostenitori della "telepatia") con la tua mente, o col tuo corpo, o con qualsiasi altro corpo che non sia il mio.Premesso questo, non esiste alcuna violazione alla "completezza del mondo fisico", se la mente interferisce col rispettivo corpo attraverso un trasferimento di informazione e non di energia. E questa possibilità è ammessa dalla Fisica quantistica. Infatti, come dicevo ieri a Paul11, nei circa trent'anni dalla pubblicazione della teoria dualista-interazionista (che J. Eccles ha elaborato in collaborazione con il fisico quantistico H. Margenau), nessuno scienziato gli ha contestato alcuna violazione dei principi della Fisica.
Scrive Eccles:"Secondo i criteri materialisti, l'ipotesi che gli eventi mentali immateriali come il pensiero possano agire in qualsiasi modo su strutture materiali come i neuroni della corteccia cerebrale, incontrerebbe difficoltà insuperabili. Tale effetto presunto degli eventi mentali sarebbe incompatibile con le leggi di conservazione della fisica, in particolare con la prima legge della termodinamica. Questa obiezione sarebbe stata certamente sostenuta dai fisici del XIX secolo e dai neuroscienziati e filosofi che ideologicamente sono rimasti alla fisica del XIX secolo, senza riconoscere la rivoluzione operata dai fisici quantisti nel XX secolo.Nel formulare più precisamente l'ipotesi dualista sull'interazione fra mente e cervello, l'asserzione iniziale è che l'intero mondo di eventi mentali possiede un'autonomia pari a quella del mondo di materia-energia". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.137]"Nel 1984 venne pubblicato il libro di un insigne fisico quantistico, Henry Margenau, dal titolo "Il miracolo dell'esistenza". Fu come vedere la luce alla fine di un tunnel. Scrive Margenau:«La mente può essere considerata un campo nel comune senso fisico del termine. Ma si tratta di un campo non-materiale; l'analogo più simile è forse un campo di probabilità (...) e non è indispensabile che esso debba contenere energia per spiegare tutti i fenomeni noti nei quali la mente interagisce col cervello»". [J.ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.51]"È stato ipotizzato che negli stati di coscienza la corteccia cerebrale si trovi in una condizione di estrema sensibilità, come un rivelatore di minuscoli campi spazio-temporali di influenza. Questi campi di influenza sarebbero esercitati dalla mente sul cervello nelle azioni volontarie". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.44]"La caratteristica essenziale della teoria dualista interazionista sta nel considerare la mente e il cervello come entità interagenti secondo i principi della fisica quantistica. (...)Esiste una frontiera oltre la quale si realizza un'interazione in entrambe le direzioni, che può essere concepita come un flusso di informazioni, ma non di energia". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.37]EPICURUSDetto questo, se scopro che dato uno stimolo fisico (come un fascio di luce nell'occhio, o una stimolazione elettrica direttamente nella corteccia cerebrale, o altro ancora) ogni volta corrisponde una determinata esperienza soggettiva, allora non vedo come tale esperienza soggettiva possa essere considerata al di fuori dalla fisica.CARLOInfatti non c'è alcuna uscita dalla Fisica, se gli stimoli trasmessi dall'occhio alla corteccia cerebrale si trasferiscono come informazione alla coscienza e non come passaggio di energia, come è ammesso dalla Fisica quantistica."Uscita dalla Fisica" in definitiva non significa altro che una eventuale (impossibile) comparsa o scomparsa di materia-energia, cioè una violazione del principio di conservazione della materia-energia. Ma il dualismo non viola questo principio.Del resto nessuno ha mai individuato l'esistenza nel cervello di un centro nervoso che, unificando due immagini bidimensionali, le trasforma in una immagine tridimensionale. Pertanto, l'ipotesi che questa "capacità di sintesi" sia una proprietà della mente e non del cervello resta pienamente legittima, visto anche che non sappiamo assolutamente nulla di come milioni di impulsi fisici tra cellule nervose possano trasformarsi in quell'unità che chiamiamo "io". Oppure, come sia possibile che:<<...dalla materialità dei circuiti cerebrali possa scaturire quel mondo dei significati e dei valori che ci guida in ogni azione, anche la più banale, della vita quotidiana>>. [ALBERTO OLIVERIO: Etica e neuroscienze]EPICURUSPer me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo.In quest'ottica, la mia proposta è simile al monismo anomalo di Davison (in cui mentale e fisico sono semplicemente due livelli di descrizione diversi), ma generalizzato ed esteso a più livelli (cioè a più "linguaggi").CARLO...Sempreché tali "livelli di descrizione" non siano in contraddizione tra loro, ma complementari (come le leggi della fisica non contraddicono quelle della chimica). Altrimenti dovremmo ammettere non una realtà, ma una moltitudine di realtà schizofrenicamente separate e indipendenti l'una dall'altra. Mentre la conoscenza si fonda, invece, sul principio secondo cui, laddove due descrizioni del mondo si contraddicono, almeno una delle due è falsa, o contiene elementi di falsità.
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Per me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo.
Concordo, infatti la proposta di
SamuelSilver da cui sono partito è
CitazioneCon "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.
e rendere conto dei fenomeni
mentali non comporta rendere conto anche dei fenomeni sociali, del loro
senso (ecco perché la filosofia è ben altro dalla scienza della materia).
Se chiudo la mano, poi alzo il mignolo e l'indice, questo gesto può essere descritto a livello fisico (di certo meglio di quanto abbia fatto io), ma anche a livello segnico ("corna"), a livello sociale (offesa o commento sul rapporto coniugale di un destinatario), etc. la fisica descrive solo la materia, ma il senso che l'uomo dà alla materia è un altro livello. Questa stratificazione l'avevo data per scontata ed è imprescindibile per evitare monismi ingenui.
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Nello specifico, non credo che sia una verità evidente che i discorsi di macroeconomia siano riducibili ai discorsi della fisica delle particelle, così come non credo sia una verità evidente che i discorsi su agenti siano riducibili a discorsi sulla fisica delle particelle. Ad oggi tali discorsi sono così diversi che, per ora, mi pare più ragionevole sostenere che siano discorsi non riducibili, e questo ha anche un'innegabile vantaggio metodologico (se ad un tratto gli economisti decidessero di studiare i fenomeni economici solo tramite la fisica delle particelle, sicuramente avremmo la morte istantanea dell'economia).
L'economia si muove su un livello in cui una banconota non è solo (fisicamente) carta, ma comporta un valore, un senso, che innesca conseguenze anche fisiche: ad esempio, alla ricezione di quella carta, un altro essere umano sposta della materia, me la porge e io la prendo; questo al livello materiale; al livello umano di "senso economico", si tratta dell'evento di acquisto di un filone di pane.
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Quindi il fisicalismo non basta. E non basta non perché esiste un mondo mentale o un mondo immateriale, ma perché le risorse concettuali per comprendere e parlare del mondo sono così eterogenee e varie che pare, almeno ad oggi, che il linguaggio della fisica delle particelle non possa bastare per tutto.
Certamente, non si può ridurre il
senso dell'agire umano alla fisica delle particelle o alla sola materia che muta e si muove; il fisicalismo può bastare se vogliamo descrivere alcuni fenomeni solo sul piano fisico, ovvero la struttura del reale; sugli altri piani sovrastrutturali (etico, sociale, economico, politico, artistico, etc.) spetta indubbiamente alle discipline di competenza.
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
Citazione di: Sariputra il 19 Settembre 2018, 10:10:49 AMChiaro che 'mente' è un termine convenzionale per indicare una somma di proprietà , ma dato che la mente stessa non fa altro che designare...
Questo, secondo me, è il passaggio chiave: ammettiamo che è un termine convenzionale (quindi potrebbe non avere un referente preciso), quasi un'allegoria del pensiero umano, e poi lo prendiamo sul serio come se fosse un entità indubitabile, e iniziamo a descrivere cosa fa, in cosa è coinvolta, etc. Il presupposto di cui bisogna essere consapevoli (e che potrebbe essere anche scardinato per fare altre ricerche) è che ci riferiamo ad un fattore solo postulato; l'invito (a chi è più grande di me) è: perché non provare ad affrontare quelle problematiche senza partire dal concetto di mente? Se la mente è reale la troveremo alla fine della ricerca, ben definita e meno aleatoria; ma se la presupponiamo come esistente, tutta la ricerca rischia di essere viziata in partenza. Lo stesso è accaduto, nella storia, alla materia, al punto che oggi, quando parliamo di materia, sappiamo che è una generalizzazione molto imprecisa e vaga, ma nondimeno si riferisce a qualcosa che c'è; con la mente siamo un passo indietro: prima bisogna verificare che ci sia, poi man mano che l'analisi e le conoscenze in merito avanzano, potremmo anche continuare ad usare il termine generico (cosa che stiamo già facendo ora, avendo però saltato il primo, cruciale, passo).
Proprio per questo suo carattere di indefinibilità sarei personalmente molto cauto nel volerla a tutti i costi definire e circoscrivere come fosse una "cosa". Siamo ben lungi dal comprenderla e pertanto il volerla già ingabbiare nelle nostre categorie mentali mi sembra, come dire...un pò pretenzioso, al momento... :) Il monismo materialistico mi ha proprio l'aria di qualcosa che tende a "semplificare" la complessità del reale, una sorta di "credo" oserei dire...e io diffido delle cose che sembrano semplici! ;D
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:19:17 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 03:23:28 AM
Così come la scienza postula l'inesistenza della mente, il dualismo postula la sua esistenza. Quindi le due ipotesi sono ugualmente legittime.
PHIL
Solitamente l'onere della prova spetta a chi afferma l'esistenza di qualcosa; questa è un'asimmetria importante.
CARLO
La questione non è così scontata. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non esistono prove né a favore del monismo né a favore del dualismo, ma esistono solo argomentazioni indiziarie. Cosicché "asimmetria" non può che essere quella esistente tra la lista di indizi pro-dualismo e la lista di indizi pro-monismo. Io mi sono preso l'onere di compilare la prima, a te l'onore di compilare la seconda. E poi vedremo da che parte pende l'asimmetria.
Cit. CARLO
Se mettiamo a confronto le proprietà della materia con le proprietà della nostra mente, non ne troviamo nessuna in comune. Quindi il sospetto che la nostra mente sia "fatta di un'altra pasta" è più che fondato.
PHIL
Questo è il circolo vizioso di cui parlavo con sgiombo: le "proprietà della nostra mente" presuppongono l'esistenza della mente, che supponiamo sia "d'un altra pasta" perché le sue proprietà la differenziano dalla materia (banalizzo per spiegare cosa intendo, parafrasando il tuo testo: "se mettiamo a confronto le proprietà della mente Fenice di fuoco con le proprietà della nostra mente dell'essere umano, non ne troviamo nessuna in comune. Quindi il sospetto che la nostra mente Fenice di fuoco sia "fatta di un'altra pasta" è più che fondato". Resta solo da vedere se la Fenice di fuoco esiste veramente...).
CARLO
Stiamo ancora al livello del "parler pour parler"? Se ti parlo di proprietà come i sogni, come la capacità di progettare navicelle spaziali, di concepire ideali etici, di produrre musica e poesia, ecc.; e se poi osservo che queste proprietà non hanno nulla a che vedere con quelle della materia chimica, né della materia organica, né di creature viventi con cui condividiamo il medesimo patrimonio genetico (a parte i sogni), ...allora, se permetti, ho delle buone ragioni per ipotizzare che quelle proprietà non appartengano alla materia, ma a qualcos'altro che è parte integrante di noi stessi e che in noi si è sviluppato più che in ogni altra creatura.
...E se poi do uno sguardo alla storia dell'umanità e constato che da sempre e in ogni luogo geografico l'uomo ha indicato questo qualcos'altro con un concetto ben preciso dai nomi diversi come "anima", "psiche", "mente", "spirito", "yin" e ha concepito il nostro essere come un'unità di entità complementari "anima e corpo", "spirito e materia", "yin e yang", ecc., ...allora io mi domando: perché l'homo scientificus ha eliminato dal proprio vocabolario il primo termine di quella complementarità? Quale grande verità ha scoperto la Scienza, tanto importante da indurre l'homo scientificus a cancellare le proprie radici culturali? Ecco, dopo alcuni anni di ricerche ho scoperto la risposta: la Scienza non ha scoperto NULLA che contraddica una tale concezione della vita; il materialismo è solo un pregiudizio, una sorta di "vendetta" storica contro la tirannia di chi ha abusato per secoli dei nomi di "Dio", dell'"anima" e dello "spirito" trasformandoli in strumenti di asservimento al potere religioso.
E' tutto qui.
La "Fenice di fuoco" c'entra come i cavoli a merenda.
Cit. CARLO
...pari dignità delle due ipotesi antagoniste, anche se sappiamo che una delle due è sicuramente falsa.
PHIL
Non escluderei a priori una terza via, quindi almeno una delle due è falsa.
CARLO
Infatti il finalismo non è una qualità della materia, ma una qualità della mente (non solo umana); e questo è un indizio forte a favore del dualismo.
PHIL
...oppure è un indizio forte a favore del monismo, se lo interpretiamo come il radicamento biologico non mentale dell'istinto: come dire che gli animali sono "programmati" geneticamente (non mentalmente) per cercare il cibo, fuggire di fronte a una minaccia, cercare la riproduzione, e altre "finalità" dell'agire umano.
CARLO
Se la materia non-vivente (non mentale) mostrasse anche il minimo segno di comportamento finalistico, quello che dici potrebbe avere un senso. Ma non è così.
E comunque i biologi materialisti ti sbotterebbero a ridere in faccia se ti sentissero associare la parola "finalità" alla genetica. Il comandamento materialista è: il caso, non il fine, ha determinato la programmazione genetica; e il comportamento è causato-determinato dai geni.
Solo pochi eretici non materialisti osano (a scapito della propria carriera) insinuare che il finalismo mentale può influenzare la programmazione genetica e che:
<<Non solo nello sviluppo di un singolo vivente, ma anche nello sviluppo della Vita si osserva una differenziazione sempre più grande, mediante variazioni che NON SONO CASUALI, ma orientate finalisticamente verso forme sempre più armoniche e complesse. Tale argomentare consente la risoluzione del problema relativo all'origine delle specie fornendo inoltre una conferma che i fenomeni della vita sono essenzialmente di tipo sintropico, in perfetto accordo con i dati geologici e paleontologici. Si spiega inoltre, in modo estremamente semplice, il fenomeno della variazione delle forme viventi e la ragione perché queste esistono, anche se la loro probabilità è pressoché nulla partendo da ipotesi di tipo entropico. Luigi Fantappiè sostiene che la coordinazione verso certi fini non deriva più dalla selezione naturale, che opera nelle forme più differenti conservando solo le più armoniche, ma è governata dal principio di finalità, che regola i fenomeni sintropici. Con tale asserzione non si vuole escludere l'azione della selezione naturale, ma sottolineare come la sua influenza per la evoluzione sia in effetti marginale, anche perché la selezione può agire solo a partire da forme pre-esistenti. [...]
Per concludere si può asserire che la formazione di specie sempre più differenziate non è prodotta da cause esterne, ma è mossa dai fini successivi, in coerenza con quanto richiesto dai principi base dei fenomeni SINTROPICI". [Giuseppe e Salvatore ARCIDIACONO: Entropia, sintropia, informazione - pg. 67]
Cit. CARLO
c'è una bella differenza tra la relazione Zeus-fulmini e la relazione tra una biologia maschile e una mente femminile (e viceversa).
PHIL
Come sapere che la mente abbia un suo genere, maschile/femminile/x?
CARLO
Se hai un corpo da uomo, ma ti vesti da donna e ti piacciono i fustacchioni, l'idea che il corpo e la mente non siano esattamente la stessa cosa è più credibile dell'identità mente-corpo
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 12:55:46 PM
Nessun flusso di informazioni può avvenire se non attraverso un supporto materiale, consumando energia.
CARLO
Questo è vero nella macrofisica, nella Fisica classica. Ma non è estendibile alla microfisica, cioè alla Meccanica quantistica.
Scrive J. Eccles:
"Secondo la nostra teoria si ipotizza che gli eventi mentali influiscano semplicemente sulla probabilità di un'emissione vescicolare, che viene scatenata da un impulso pre-sinaptico. Tale effetto di un evento mentale verrebbe esercitato sul reticolo vescicolare presinaptico paracristallino, che complessivamente agisce controllando la probabilità di emissione di una singola vescicola dall'insieme delle numerose vescicole in esso inglobate.La prima questione che può essere sollevata riguarda l'entità dell'effetto che potrebbe essere prodotto da un'onda di probabilità della meccanica quantistica: la massa della vescicola è abbastanza grande da oltrepassare i limiti del principio di indeterminazione di Heisemberg? Margenau adatta la comune equazione di indeterminazione a questo calcolo (...) dimostrando che l'emissione probabilistica di una vescicola dal reticolo sinaptico potrebbe essere idealmente modificata da un'intenzione mentale che agisca analogamente a un campo quantico di probabilità.La seconda questione riguarda l'ordine di grandezza dell'effetto, che consiste semplicemente in una variazione delle probabilità di emissione di una singola vescicola. L'entità di tale effetto è troppo limitata per modificare gli schemi di attività neuronale persino in piccole zone del cervello. Ad ogni modo, ciascuna cellula piramidale della corteccia cerebrale viene raggiunta da migliaia di bottoni sinaptici. L'ipotesi è che il campo di probabilità dell'intenzione mentale sia ampiamente distribuito non solo alle sinapsi di quel neurone, ma anche a quelle di gran parte degli altri neuroni con funzioni simili appartenenti allo stesso dendrone". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.104/5]Che io sappia, dopo circa trent'anni dalla pubblicazione, nessun fisico e nessun altro scienziato ha mai messo in dubbio la correttezza scientifica di una tale impostazione. Ma se tu ne conosci o se hai qualcosa da obiettare, io sono qui (per quanto non sia un esperto di MQ).http://coscienzeinrete.net/spiritualita/item/2505-il-fisico-henry-stapp-lo-studio-dell-anima-fa-parte-della-fisica http://www.impressionisoggettive.it/sintesi_il_miracolo_della_esiste.htm http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-01-17/la-coscienza-e-effetto-quantistico-roger-penrose-rilancia-sua-teoria-154127.shtml?uuid=AB9RwSq&refresh_ce=1
Salve Carlo (tua risposta nr.47). Grazie dell'intervento. In effetti io uso ed apprezzo la fantasia anche all'interno di argomenti seri e ben consolidati.
Mi sorprende leggermente il venir richiamato al rispetto di dati scientifici all'interno della sezione filosofica del Forum.
Io comunque sono sfacciatamente privo di pudore intellettuale e, benché sia convinto che - all'interno di qualsiasi analisi - gli aspetti quantitativi siano assai più chiarificatori di quelli qualitativi, sono ugualmente convinto che all'interno di una sintesi tale effetto risulti capovolto.
Tutte le mie esternazioni vanno considerate come ipotesi sintetiche quindi i dati che dovrebbero confermarle o smentirle non hanno (per me) alcuna importanza.
Gli unici aspetti importanti che cerco di coltivare, ti assicuro, sono la chiarezza di linguaggio, la concisione e la coerenza logica dell'insieme.
E sono contento di aver ricevuto sinora poche critiche circa tali aspetti.
Che la costruzione della conoscenza sia impresa collettiva lo sapevo già. Per fortuna, in merito, non esistono i lavori forzati. Amichevoli saluti.
Salve. Scusate. Io accetto di venir accreditato di troppa fantasia, ma qualcun altro dovrebbe accettare di venir accreditato di troppa imprecisone (a proposito di argomenti la cui ignoranza mi viene contestata).
"PHIL
Come sapere che la mente abbia un suo genere, maschile/femminile/x?
CARLO
Se hai un corpo da uomo, ma ti vesti da donna e ti piacciono i fustacchioni, l'idea che il corpo e la mente non siano esattamente la stessa cosa è più credibile dell'identità mente-corpo"
Ma da quando esistono le differenziazioni sessuali a livello mentale?
Nella mia sconfinata ignoranza pensavo che tale aspetto si realizzasse a livello psichico, non mentale.
Al di là della psiche non esistono coscienze, menti, intelletti, raziocini, capacità di astrazione e spiritualità sessuate. Perdonate la mia troppa fantasia.
Citazione di: viator il 19 Settembre 2018, 22:54:27 PM
CARLO
Se hai un corpo da uomo, ma ti vesti da donna e ti piacciono i fustacchioni, l'idea che il corpo e la mente non siano esattamente la stessa cosa è più credibile dell'identità mente-corpo"
VIATOR
Ma da quando esistono le differenziazioni sessuali a livello mentale?
Nella mia sconfinata ignoranza pensavo che tale aspetto si realizzasse a livello psichico, non mentale.
CARLO
Mente e psiche , quando se ne parla in generale, possono essere considerati sinonimi.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 17:18:18 PM
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:19:17 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 03:23:28 AM
Così come la scienza postula l'inesistenza della mente, il dualismo postula la sua esistenza. Quindi le due ipotesi sono ugualmente legittime.
PHIL
Solitamente l'onere della prova spetta a chi afferma l'esistenza di qualcosa; questa è un'asimmetria importante.
CARLO
La questione non è così scontata. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non esistono prove né a favore del monismo né a favore del dualismo, ma esistono solo argomentazioni indiziarie. Cosicché "asimmetria" non può che essere quella esistente tra la lista di indizi
L'asimmetria è questa: che la materia esista è molto più d'una argomentazione indiziaria (se non erro), che la mente esista (e quindi in cosa consista) va invece dimostrato.
Concludiamo che la mente esiste perché da sempre se ne parla e da sempre funziona come spiegazione
convenzionale? Per qualcuno può essere un criterio sufficiente (sebbene, nel mio piccolo, non condivido: né la
vox populi né la tradizione hanno valore epistemico, o almeno non semplicemente in quanto tali...).
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 17:18:18 PM
Se ti parlo di proprietà come i sogni, come la capacità di progettare navicelle spaziali, di concepire ideali etici, di produrre musica e poesia, ecc.; e se poi osservo che queste proprietà non hanno nulla a che vedere con quelle della materia chimica, né della materia organica [...] ...allora, se permetti, ho delle buone ragioni per ipotizzare che quelle proprietà non appartengano alla materia, ma a qualcos'altro che è parte integrante di noi stessi
Il monismo materialista che trovo interessante, come già detto (a Epicurus #57), non mira a essere l'unico criterio di lettura del mondo (è persino superfluo precisarlo), sostituendosi alle altre categorie: ovviamente, il materialismo non basta a spiegare i fenomeni culturali, economici, filosofici, politici, etc. qui si parlava della sua sufficienza per spiegare il mentale (a monte), non ogni attività umana (a valle). Il mio suggerimento era quello (di matrice materialistica) di non dare per scontata l'esistenza della mente, di essere critici in partenza, sin dai presupposti.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 17:18:18 PM
La "Fenice di fuoco" c'entra come i cavoli a merenda
La Fenice di fuoco l'ho usata per mostrare la
struttura formale del circolo vizioso di cui parlavo (in cui incappano molti dualisti), per questo l'ho introdotta con: "banalizzo per spiegare cosa intendo, parafrasando il tuo testo"(cit.).
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 17:18:18 PM
Se hai un corpo da uomo, ma ti vesti da donna e ti piacciono i fustacchioni, l'idea che il corpo e la mente non siano esattamente la stessa cosa è più credibile dell'identità mente-corpo
Come già successo con
sgiombo, anche qui per "mente" ognuno sembra intendere quel che preferisce (e allora perché dar torto a
viator?) il che, fino a prova contraria, è la conferma che
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:19:17 PM
la mente funziona egregiamente da jolly (in virtù del suddetto circolo vizioso), giustificando un fenomeno che altrimenti resterebbe assai problematico... eppure ciò non toglie che tale "mente" resti ignota in gran parte della sua identità, pur assolvendo impeccabilmente al ruolo di spiegazione/giustificazione (e ciò mi rende un po' sospettoso).
@SariputraCome puoi leggere sopra (negli interventi in cui il concetto di "mente" risolve con disinvoltura misteri insondabili e incongruenze del reale), la fiducia nell'esistenza di una mente semplifica alcune questioni persino più del materialismo (che almeno non ha
jolly risolutivi da giocare, solo molte indagini da affrontare).
In fondo, è la solita storia della "fanta-risposta tappa buchi": indimostrabile, quindi funzionale e persino personalizzabile...
@Sariputra
Come puoi leggere sopra (negli interventi in cui il concetto di "mente" risolve con disinvoltura misteri insondabili e incongruenze del reale), la fiducia nell'esistenza di una mente semplifica alcune questioni persino più del materialismo (che almeno non ha jolly risolutivi da giocare, solo molte indagini da affrontare).
In fondo, è la solita storia della "fanta-risposta tappa buchi": indimostrabile, quindi funzionale e persino personalizzabile...
Non mi sembra proprio che il concetto di "mente" risolva misteri insondabili, mi sembra, come ho tentato di spiegare, che invece apra sconfinati campi d'indagine, molto più, a mio parere, che non il materialismo, proprio perché lo 'spazio' mentale è un luogo indefinibile per eccellenza. Credo che vada superata l'idea pregiudiziale che la mente sia un oggetto tappa buchi, come lo definisci (anche se non capisco esattamente cosa intendi con questo termine...) perché la necessità di definirla delimitandola, come fai tu, è a sua volta un tentativo di "personalizzare" il concetto, facendolo forzatamente rientrare nel tuo concepire la realtà in senso materialistico.
Credo che tu provi avversione nel pensare in modo "free" la "mente" perchè temi che questo comporti accettare una qualche forma di trascendenza in senso spirituale ma, come ha già scritto Sgiombo, non necessariamente l'accettare una posizione dualista o di complementarietà comporta questa conclusione. :)
Ciao
Cit. PHIL
Solitamente l'onere della prova spetta a chi afferma l'esistenza di qualcosa; questa è un'asimmetria importante.Cit. CARLO
La questione non è così scontata. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non esistono prove né a favore del monismo né a favore del dualismo, ma esistono solo argomentazioni indiziarie. Cosicché "asimmetria" non può che essere quella esistente tra la lista di indizi
PHIL
L'asimmetria è questa: che la materia esista è molto più d'una argomentazione indiziaria (se non erro), che la mente esista (e quindi in cosa consista) va invece dimostrato.
CARLO
Ma il monismo non si limita a postulare l'esistenza della materia, ma postula che i pensieri, i sogni, le visioni mistiche, le pulsioni etiche, il comportamento religioso, la creatività artistica, la passione politica, l'amore per la filosofia e per la conoscenza, ecc. sono fenomeni biologici. E questa cosa qui non è affatto evidente e scontata come lo è l'esistenza della materia, ma va dimostrata; esattamente come va dimostrata la natura non-biologica di questi eventi. E mi tocca ripetere che, in attesa di una dimostrazione a favore dell'identità o a favore della non-identità, si devono mettere a confronto le ragioni dell'una con le ragioni dell'altra. E se dopo questo confronto preliminare scopriremo che l'ipotesi della non-identità è fondata almeno quanto l'antagonista, allora prenderemo in considerazione la possibilità (sempre ipotetica) di dare un nome e una ontologia propria al quel "supporto" non-biologico che l'uomo da sempre ha chiamato "mente" o "psiche" o "anima".
Cosicché, avremo due ipotesi, entrambe indimostrate ma entrambe fondate su validi indizi, e quindi simmetriche; e non, come farebbe comodo ai materialisti, una teoria (il monismo) che deve essere considerata valida finché non si dimostri scientificamente il contrario. Primo, perché la tesi monista non è scientifica; secondo, perché non è valida finché non è dimostrata.
Cit. CARLO
Se ti parlo di proprietà come i sogni, come la capacità di progettare navicelle spaziali, di concepire ideali etici, di produrre musica e poesia, ecc.; e se poi osservo che queste proprietà non hanno nulla a che vedere con quelle della materia chimica, né della materia organica [...] ...allora, se permetti, ho delle buone ragioni per ipotizzare che quelle proprietà non appartengano alla materia, ma a qualcos'altro che è parte integrante di noi stessi
PHIL
Ovviamente, il materialismo non basta a spiegare i fenomeni culturali, economici, filosofici, politici, etc. qui si parlava della sua sufficienza per spiegare il mentale (a monte), non ogni attività umana (a valle). Il mio suggerimento era quello (di matrice materialistica) di non dare per scontata l'esistenza della mente, di essere critici in partenza, sin dai presupposti.
CARLO
"A monte" e "a valle" di cosa? Non esiste una via di mezzo tra monismo e dualismo. O la materia spiega ogni possibile comportamento umano, oppure si deve introdurre una seconda entità che spieghi tutti gli eventi che esulano dal regime deterministico della materia biologica (libertà, creatività, progettualità, ecc.).
Cit. CARLO
Se hai un corpo da uomo, ma ti vesti da donna e ti piacciono i fustacchioni, l'idea che il corpo e la mente non siano esattamente la stessa cosa è più credibile dell'identità mente-corpo
PHIL
Come già successo con sgiombo, anche qui per "mente" ognuno sembra intendere quel che preferisce (e allora perché dar torto a viator?) il che, fino a prova contraria, è la conferma che la mente funziona egregiamente da jolly (in virtù del suddetto circolo vizioso), giustificando un fenomeno che altrimenti resterebbe assai problematico... eppure ciò non toglie che tale "mente" resti ignota in gran parte della sua identità, pur assolvendo impeccabilmente al ruolo di spiegazione/giustificazione (e ciò mi rende un po' sospettoso).
CARLO
La teoria di Sgiombo è un labirinto concettuale per me incomprensibile. In realtà non c'è niente di complicato: da sempre si intende per "mente" o "psiche" o "anima" tutto ciò che nell'uomo non è materia fisica. Tutto qua. Già Aristotele 2.500 anni fa distingueva la realtà fisica dalla realtà metafisica.
Altra cosa, invece, è distinguere, nell'ambito del "mentale-psichico", la coscienza (l'Io) dall'inconscio e mettere a fuoco le due concezioni prevalenti di inconscio: quella freudiana e quella junghiana. Ma questa è un'altra storia.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 17:41:55 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 12:55:46 PM
Nessun flusso di informazioni può avvenire se non attraverso un supporto materiale, consumando energia.
CARLO
Questo è vero nella macrofisica, nella Fisica classica. Ma non è estendibile alla microfisica, cioè alla Meccanica quantistica.
Scrive J. Eccles:
"Secondo la nostra teoria si ipotizza che gli eventi mentali influiscano semplicemente sulla probabilità di un'emissione vescicolare, che viene scatenata da un impulso pre-sinaptico. Tale effetto di un evento mentale verrebbe esercitato sul reticolo vescicolare presinaptico paracristallino, che complessivamente agisce controllando la probabilità di emissione di una singola vescicola dall'insieme delle numerose vescicole in esso inglobate.
La prima questione che può essere sollevata riguarda l'entità dell'effetto che potrebbe essere prodotto da un'onda di probabilità della meccanica quantistica: la massa della vescicola è abbastanza grande da oltrepassare i limiti del principio di indeterminazione di Heisemberg? Margenau adatta la comune equazione di indeterminazione a questo calcolo (...) dimostrando che l'emissione probabilistica di una vescicola dal reticolo sinaptico potrebbe essere idealmente modificata da un'intenzione mentale che agisca analogamente a un campo quantico di probabilità.
La seconda questione riguarda l'ordine di grandezza dell'effetto, che consiste semplicemente in una variazione delle probabilità di emissione di una singola vescicola. L'entità di tale effetto è troppo limitata per modificare gli schemi di attività neuronale persino in piccole zone del cervello. Ad ogni modo, ciascuna cellula piramidale della corteccia cerebrale viene raggiunta da migliaia di bottoni sinaptici. L'ipotesi è che il campo di probabilità dell'intenzione mentale sia ampiamente distribuito non solo alle sinapsi di quel neurone, ma anche a quelle di gran parte degli altri neuroni con funzioni simili appartenenti allo stesso dendrone". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.104/5]
Che io sappia, dopo circa trent'anni dalla pubblicazione, nessun fisico e nessun altro scienziato ha mai messo in dubbio la correttezza scientifica di una tale impostazione. Ma se tu ne conosci o se hai qualcosa da obiettare, io sono qui (per quanto non sia un esperto di MQ).
http://coscienzeinrete.net/spiritualita/item/2505-il-fisico-henry-stapp-lo-studio-dell-anima-fa-parte-della-fisica
http://www.impressionisoggettive.it/sintesi_il_miracolo_della_esiste.htm
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-01-17/la-coscienza-e-effetto-quantistico-roger-penrose-rilancia-sua-teoria-154127.shtml?uuid=AB9RwSq&refresh_ce=1
Bene.Nemmeno io sono un esperto di meccanica quantistica (e ne approfitto per chiedere spiegazioni in proposito, possibilmente non attraverso affermazioni apodittiche ma con argomentazioni "distese" -non solo conclusioni da credere per autorità ovvero per fede, ma anche argomenti- ad amici del forum che ne sappiano di più).Per parte mia non sono molto propenso a credere che strutture come le membrane dei neuroni e le sinapsi siano da considerare "microscopiche" (cioé di dimensioni talmente prossime alla lunghezza di Planck che l' indeterminazione quantistica abbia conseguenze effettivamente apprezzabili a tali livelli e non possa invece essere tranquillamente ignorata).Comunque mi sembra che Eccles identifichi indebitamente la mente immateriale secondo lui dotata di libero arbitrio (=diveniente in maniera casuale, caotica) interferente, sempre secondo lui, con la materia fisica con le "variabili nascoste" delle interpretazioni "deterministiche ontologiche-indeterministiche epistemologiche" della meccanica quantistica.Indebitamente appunto per il fatto che queste variabili nascoste non possono che essere deterministiche e non casuali (casuale essendo solo quanto soggettivamente prevedibile, calcolabile, dati i limiti della nostra conoscenza soggettiva e non invece le variabili nascoste stesse e i loro """comportamenti""" (=divenire con effetti conoscibili) oggettivi ignoti.E in generale non vedo come alcun flusso di informazioni potrebbe avvenire se non attraverso un qualche supporto materiale, consumando (o meglio trasformando, "degradando") energia (incrementando l' entropia del sistema di appartenenza), come potrebbe eludere il II° principio della termodinamica.Anche a questi propositi spererei che amici del forum adeguatamente esperti in materia ci dessero una loro opinione, preferibilmente (nei limiti del possibile) "argomentata per esteso".
Citazione di: viator il 19 Settembre 2018, 21:54:14 PM
Mi sorprende leggermente il venir richiamato al rispetto di dati scientifici all'interno della sezione filosofica del Forum.
CitazioneOsservazione fuori tema (potrebbe essere argomento di un discussione a sé):
E perché mai?
Secondo me la conoscenza scientifica non é certo filosofia, ma possiede nei suoi campi di indagine (absit scientismum verbis!!!) una fondatezza (un "grado, sia pure ovviamente limitato, di certezza") superiore a quello di qualsiasi altro campo del sapere (logica a parte), tale da non poter essere ignorata o per lo meno contraddetta, oltre che nella pratica di chiunque possa essere comunemente considerato sano di mente, anche nelle riflessioni filosofiche (laddove presenti qualche eleminto di pertinenza, ovviamente).
Amichevoli saluti.
CitazioneChe ricambio altrettanto amichevolmente.
Citazione di: viator il 19 Settembre 2018, 22:54:27 PM
Ma da quando esistono le differenziazioni sessuali a livello mentale?
Nella mia sconfinata ignoranza pensavo che tale aspetto si realizzasse a livello psichico, non mentale.
Al di là della psiche non esistono coscienze, menti, intelletti, raziocini, capacità di astrazione e spiritualità sessuate. Perdonate la mia troppa fantasia.
Ma che differenza ci sarebbe fra mente e psiche?
io non ne vedo alcuna, per me sono sinonimi (preciso che nego l' esistenza, anzi la sensatezza stessa del cosiddetto "inconscio"; a meno di identificarlo semplicemente con quei processi fisici -fisiologici cerebrali- che non hanno correlazioni coscienti -né mentali o di pensiero o psichici che dir si voglia, né materiali: per esempio il sonno senza sogni- e non affatto con pretesi, autocontraddittori fatti di coscienza -mentali, psichici- non coscienti).
P.S.: Minchia! (mi scuso per la volgarità): leggo che CarloPierini risponde quasi allo stesso modo: non c'é più religione!
Un saluto cordiale a tutti, e specialmente a CarloPierini!
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 01:05:30 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 17:18:18 PM
CARLO
La questione non è così scontata. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non esistono prove né a favore del monismo né a favore del dualismo, ma esistono solo argomentazioni indiziarie. Cosicché "asimmetria" non può che essere quella esistente tra la lista di indizi
PHIL:L'asimmetria è questa: che la materia esista è molto più d'una argomentazione indiziaria (se non erro), che la mente esista (e quindi in cosa consista) va invece dimostrato. Concludiamo che la mente esiste perché da sempre se ne parla e da sempre funziona come spiegazione convenzionale? Per qualcuno può essere un criterio sufficiente (sebbene, nel mio piccolo, non condivido: né la vox populi né la tradizione hanno valore epistemico, o almeno non semplicemente in quanto tali...).SGIOMBO:
Che la mente esista, del tutto esattamente come che la materia esista, né più né meno, non ha bisogno di alcuna dimostrazione, ma lo si constata empiricamente.Concludiamo che la mente nostra propria di ciascuno esiste perché ne siamo coscienti del tutto esattamente come concludiamo che la materia percepita da parte nostra propria di ciascuno esiste perché ne siamo coscienti, né più né meno. E crediamo per fede, indimostrabilmente che esistano anche le menti "altrui" del tutto esattamente come crediamo per fede, indimostrabilmente che esistano anche i mondi materiali "altrui", né più né meno (il solipsismo é superabile solo e unicamente per fede, indimostrabilmente).E casomai' il pregiudizio circa l' inesistenza della mente ad essere un esempio di vox populi o tradizione del tutto prive di valore epistemico, o almeno non semplicemente in quanto tali...).PHIL: Il mio suggerimento era quello (di matrice materialistica) di non dare per scontata l'esistenza della mente, di essere critici in partenza, sin dai presupposti.SGIOMBO:
Nessuno la dà per scontata, ma tutti la constatano del tutto esattamente così come constatano l' esistenza della materia.La stessa, medesima esigenza di non darne per scontata l'esistenza, di essere critici in partenza, sin dai presupposti, vale esattamente allo stesso, medesimo, identico modo per l' esistenza della materia. Citazione da: Carlo Pierini - 19 Settembre 2018, 17:18:18 pmCitazioneSe hai un corpo da uomo, ma ti vesti da donna e ti piacciono i fustacchioni, l'idea che il corpo e la mente non siano esattamente la stessa cosa è più credibile dell'identità mente-corpo
PHIL:
Come già successo con sgiombo, anche qui per "mente" ognuno sembra intendere quel che preferisce (e allora perché dar torto a viator?) il che, fino a prova contraria, è la conferma cheSGIOMBO:
Se per assurdo (ammesso e non concesso) per "mente" ognuno sembrasse intendere quel che preferisce, allora esattamente allo stesso, medesimo, identico modo, anche per "materia" ognuno sembrerebbe intendere quel che preferisce.Citazione da: Phil - 19 Settembre 2018, 13:19:17 pmCitazionela mente funziona egregiamente da jolly (in virtù del suddetto circolo vizioso), giustificando un fenomeno che altrimenti resterebbe assai problematico... eppure ciò non toglie che tale "mente" resti ignota in gran parte della sua identità, pur assolvendo impeccabilmente al ruolo di spiegazione/giustificazione (e ciò mi rende un po' sospettoso).
@SariputraCome puoi leggere sopra (negli interventi in cui il concetto di "mente" risolve con disinvoltura misteri insondabili e incongruenze del reale), la fiducia nell'esistenza di una mente semplifica alcune questioni persino più del materialismo (che almeno non ha jolly risolutivi da giocare, solo molte indagini da affrontare). In fondo, è la solita storia della "fanta-risposta tappa buchi": indimostrabile, quindi funzionale e persino personalizzabile...SGIOMBO:
Se (per assurdo, ammesso e non concesso) così fosse, allora esattamente allo stesso, medesimo, identico modo ciò che é scritto qui sopra in risposta a CarloPierini e a Sariputra varrebbe anche per la materia.
Citazione di: Carlo Pierini il 20 Settembre 2018, 03:51:01 AM
CARLO
La teoria di Sgiombo è un labirinto concettuale per me incomprensibile. In realtà non c'è niente di complicato: da sempre si intende per "mente" o "psiche" o "anima" tutto ciò che nell'uomo non è materia fisica. Tutto qua. Già Aristotele 2.500 anni fa distingueva la realtà fisica dalla realtà metafisica.
Altra cosa, invece, è distinguere, nell'ambito del "mentale-psichico", la coscienza (l'Io) dall'inconscio e mettere a fuoco le due concezioni prevalenti di inconscio: quella freudiana e quella junghiana. Ma questa è un'altra storia.
A me pare che i classici concetti cartesiani di "res extensa" e "res cogitans" siano idee particolarmente "chiare e distinte" (per continuare a parlare come il grande francese), e che il pretendere una vaghezza e indeterminatezza della seconda maggiore rispetto alla prima, quando entrambe si constatano immediatamente alla coscienza allo stesso identico modo, né più né meno (o forse che
Phil non sente l' appetito quando vede e odora un buon piatto o il desiderio sessuale in analoghe circostanze con la medesima certezza che si tratti di eventi reali della visone e dei profumi del piatto e della visone dell' oggetto di desiderio sessuale stesso? E in cosa, in che senso, sarebbero fatti meno certamente reali?) da parte dei materialisti sia semplicemente una classica "arrampicata sugli specchi dialettica da carenza di argomenti".
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 01:16:21 AM
Non mi sembra proprio che il concetto di "mente" risolva misteri insondabili,
Proviamo a considerare: malati di mente (medicina), mente femminile/corpo maschile (
Carlo), mente
empiricamente evidente di "pensieri, ragionamenti, sentimenti, desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, ricordi, immaginazioni, ecc." (
sgiombo), mente che si attacca e che produce
karma negativo (questa non sarò certo io a spiegarla a te ;D ), etc.
Prova ora a dubitare dell'esistenza della mente, e rivisitare i suddetti scenari... non ottieni una valanga di domande irrisolte a cui la mente rispondeva comodamente, ma
senza dimostrazioni chiare circa la propria esistenza?
Con "fanta-risposta tappa buchi" intendo proprio questo: "fanta" perché è indimostrata la sua esistenza, "risposta" perché questa è la sua funzione, "tappa buchi" perché colma un vuoto conoscitivo (il "come" lo colma è ciò che metto in questione).
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 01:16:21 AM
Credo che vada superata l'idea pregiudiziale che la mente sia un oggetto tappa buchi, come lo definisci
Non un "oggetto" ma un "concetto"; se fosse un oggetto sarebbe più facilmente compatibile con il materialismo (e questo topic forse non sarebbe esistito).
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 01:16:21 AM
la necessità di definirla delimitandola, come fai tu, è a sua volta un tentativo di "personalizzare" il concetto, facendolo forzatamente rientrare nel tuo concepire la realtà in senso materialistico.
La mia proposta non è di definirla o di delimitarla, bensì (mi scuso per le ennesime autocitazioni, è solo per mostrare che non mi attribuisco nulla di appena improvvisato):
Citazione di: Phil il 18 Settembre 2018, 15:30:07 PM
senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale (prima ancora di definirla e inserirla come elemento della ricerca)
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 00:43:55 AM
diamo per scontato che ci sia ciò che viene definito "mente" o è possibile anche un'interpretazione/spiegazione differente, che non ricorra a tale concetto? [...] qual'è la prova che falsifica la mia non credenza nell'esistenza della mente?
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:19:17 PM
Non intendo cancellare il concetto di mente o radiarla come parola da tutti i vocabolari, piuttosto propongo di provare anche a farne a meno "per vedere l'effetto che fa".
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
l'invito (a chi è più grande di me) è: perché non provare ad affrontare quelle problematiche senza partire dal concetto di mente? Se la mente è reale la troveremo alla fine della ricerca, ben definita e meno aleatoria; ma se la presupponiamo come esistente, tutta la ricerca rischia di essere viziata in partenza.
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 01:05:30 AM
Il mio suggerimento era quello (di matrice materialistica) di non dare per scontata l'esistenza della mente, di essere critici in partenza, sin dai presupposti
Se questo approccio di "scetticismo metodologico" mi rende monista, dogmatico(!), etc. non lo so, ma non dirmi che voglio
definire la mente
delimitandola :)
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 01:16:21 AM
Credo che tu provi avversione nel pensare in modo "free" la "mente" perchè temi che questo comporti accettare una qualche forma di trascendenza in senso spirituale ma, come ha già scritto Sgiombo, non necessariamente l'accettare una posizione dualista o di complementarietà comporta questa conclusione. :)
So che la mia prospettiva rischia di passare per anti-trascendenza, anti-metafisica, etc. ma (per come la vedo) la mia non è affatto un'avversione ("
anti"), piuttosto solo una
personale negazione ("
a"; a-teo, a-metafisico, etc.), il che non mi impedisce di
provare a comprendere anche spiritualismi e metafisiche (possibilmente non solo affermate, ma almeno un po' argomentate...).
Non a caso, qualche giorno fa postavo con
bobmax parlando di Dio, io e libertà, accettando la sua premessa che Dio ci fosse, fosse l'unico assoluto, etc. per il solo scopo di cercare di capire bene la prospettiva e la questione da lui proposte (se fossi stato "anti", avrei avuto una reazione differente, no? ;) ).
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Provo ad inserirmi in questo discorso partendo dalla chiusura causale del mondo, che io preferisco chiamare "completezza del fisico": la fisica contiene in sé tutte le risorse per una piena spiegazione di ogni fenomeno fisico.
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica.
CARLO
Intanto vorrei sottolineare che l'ipotesi dualista non contempla la possibilità che la mia attività mentale interferisca (checché ne dicano i sostenitori della "telepatia") con la tua mente, o col tuo corpo, o con qualsiasi altro corpo che non sia il mio.
Premesso questo, non esiste alcuna violazione alla "completezza del mondo fisico", se la mente interferisce col rispettivo corpo attraverso un trasferimento di informazione e non di energia.
No, per il dualismo se io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale è "causa" (o fa parte di una catena causale) della rottura del movimento del mio braccio, della rottura della finestra, dell'attività mentale del proprietario della finestra che vede la finestra rotta e si arrabbia, del coinvolgimento di un avvocato, ecc.
La violazione della completezza del fisico c'è perché ad un certo punto, per spiegare la rottura della finestra (e tutte le altre conseguenze di tale evento) dovrei uscire dal dominio della fisica.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
EPICURUS
Detto questo, se scopro che dato uno stimolo fisico (come un fascio di luce nell'occhio, o una stimolazione elettrica direttamente nella corteccia cerebrale, o altro ancora) ogni volta corrisponde una determinata esperienza soggettiva, allora non vedo come tale esperienza soggettiva possa essere considerata al di fuori dalla fisica.
CARLO
Infatti non c'è alcuna uscita dalla Fisica, se gli stimoli trasmessi dall'occhio alla corteccia cerebrale si trasferiscono come informazione alla coscienza e non come passaggio di energia, come è ammesso dalla Fisica quantistica.
"Uscita dalla Fisica" in definitiva non significa altro che una eventuale (impossibile) comparsa o scomparsa di materia-energia, cioè una violazione del principio di conservazione della materia-energia. Ma il dualismo non viola questo principio.
Tu hai parlato della conservazione della materia-energia, io no. Si viola la completezza della fisica per i motivi spiegati sopra.
Riguardo allo stimolo fisico che causerebbe un'esperienza mentale, se tale rapporto, come sembra, è regolato da regole precise e definite, allora si rientra nel dominio della fisica, e in quanto tale posso dire (per come ho definito "eventi fisici" nel mio precedente post) che tale esperienza mentale è un evento fisico.
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
EPICURUS
Per me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo.
In quest'ottica, la mia proposta è simile al monismo anomalo di Davison (in cui mentale e fisico sono semplicemente due livelli di descrizione diversi), ma generalizzato ed esteso a più livelli (cioè a più "linguaggi").
CARLO
...Sempreché tali "livelli di descrizione" non siano in contraddizione tra loro, ma complementari
Esatto, io parlo di descrizioni o linguaggi complementari.
@Phil
evidentemente non sono riuscito a spiegarmi bene. Quando dico Che "delimiti" la mente intendo che vuoi, per forza, ricondurla ad un'unica sostanza: la materia. Infatti la Treccani, a riguardo del monismo, cita: Dottrina tendente a ridurre la pluralità degli esseri ad un'unica sostanza o ad un unico principio.
Mi sembra più semplice affermare: "la mente è solo un prodotto della materia" che non "la mente è ancora un bel mistero"...Almeno io la vedo così.
Sul fatto che sei fondamentalmente antispiritualista non entro nel merito. E' una mia "impressione" formata attraverso la lettura dei tuoi post, nel tempo. Potrebbe naturalmente essere un'impressione errata... :)
Ciao
Salve, un piccolo commento circa l'atmosfera e l'andamento di questa discussione : mi sembra che essa risulti animata assai più dagli umori irrazionali che dalla logica. Mente e psiche che sono - a spanne - la medesima cosa, inconscio che forse non esiste e comunque a qualcuno non interessa............bah!
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 12:30:36 PM
evidentemente non sono riuscito a spiegarmi bene. Quando dico Che "delimiti" la mente intendo che vuoi, per forza, ricondurla ad un'unica sostanza: la materia.
"Ricondurla ad un'unica sostanza"? Ti inviterei a non leggermi passando per la Treccani o attraverso altri utenti ;) , vai dritto alla fonte: tutte quelle mie noiose autocitazioni che ti ho offerto, parlano di una "mente materiale" o di
accantonare precauzionalmente il concetto di "mente"?
Condivido l'impressione di non essermi spiegato bene :) (né con te, né con altri, a giudicare dai post di commento, piuttosto dissonanti con quanto
mi sembra di scrivere... allora gioco il
jolly! Dico che quello che ho "in mente" non arriva correttamente alle "menti" dei miei interlocutori; così almeno sono chiaro, no? ;D ).
@viatorPer parlare seriamente dell'inconscio credo necessiti essere un po' pratici di psicologia, e personalmente non lo sono (poi ammetto anche che, rispetto al topic, mi sembra un tema pertinente, ma collaterale e secondario:
se il "materialismo basta per rendere conto dei fenomeni mentali", come proposto da
SamuelSilver, l'inconscio, a parer mio, dovrebbe essere ancor più affine a tale tipo di spiegazione...).
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 13:20:07 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica. Ma secoli di ricerca non hanno rilevato queste infinite anomalie fisiche, confermando la chiusura del fisico.
CitazioneNon esistono solo dualismi "interazionisti" (per esempio quello cartesiano), incompatibili con la chiusura causale del mondo fisico.
Esistono anche dualismi "trascendentisti" con essa compatibilissimi.
Mi potresti linkare un post dove spieghi bene il tuo dualismo?
(Premetto che non ho un buon rapporto con il "noumeno", quindi c'è il rischio che si potrebbe portare tanto offtopic la discussione.)
cit.Phil
"Ricondurla ad un'unica sostanza"? Ti inviterei a non leggermi passando per la Treccani o attraverso altri utenti (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) , vai dritto alla fonte: tutte quelle mie noiose autocitazioni che ti ho offerto, parlano di una "mente materiale" o di accantonare precauzionalmente il concetto di "mente"?
E perché non accantonare precauzionalmente anche il concetto di "materia", allora? Perché a questo non riservi lo stesso trattamento?
Perché, personalmente almeno, mi par di aver coscienza della mente nello stesso modo in cui constato di aver coscienza degli oggetti materiali.
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 15:32:28 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Per me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo.
Concordo, infatti la proposta di SamuelSilver da cui sono partito è
CitazioneCon "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.
e rendere conto dei fenomeni mentali non comporta rendere conto anche dei fenomeni sociali, del loro senso (ecco perché la filosofia è ben altro dalla scienza della materia).
Se chiudo la mano, poi alzo il mignolo e l'indice, questo gesto può essere descritto a livello fisico (di certo meglio di quanto abbia fatto io), ma anche a livello segnico ("corna"), a livello sociale (offesa o commento sul rapporto coniugale di un destinatario), etc. la fisica descrive solo la materia, ma il senso che l'uomo dà alla materia è un altro livello. Questa stratificazione l'avevo data per scontata ed è imprescindibile per evitare monismi ingenui.
C'è anche un livello di descrizione mentale (o come preferisco io: adottare una prospettiva agenziale) e anche questo è uno dei tanti livelli possibili che a priori potrebbero non essere eliminabili/riducibili.
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 15:32:28 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Quindi il fisicalismo non basta. E non basta non perché esiste un mondo mentale o un mondo immateriale, ma perché le risorse concettuali per comprendere e parlare del mondo sono così eterogenee e varie che pare, almeno ad oggi, che il linguaggio della fisica delle particelle non possa bastare per tutto.
Certamente, non si può ridurre il senso dell'agire umano alla fisica delle particelle o alla sola materia che muta e si muove; il fisicalismo può bastare se vogliamo descrivere alcuni fenomeni solo sul piano fisico, ovvero la struttura del reale; sugli altri piani sovrastrutturali (etico, sociale, economico, politico, artistico, etc.) spetta indubbiamente alle discipline di competenza.
Io non parlerei di sovrastrutture, io parlerei di schemi concettuali diversi, prospettive diverse o (a là Wittgenstein) di giochi linguistici diversi. Posso essere interessato ad una disfunzione neurale e allora adotterò una prospettiva neurologica, ma se sono interessato a capire l'egoismo allora né adotterò un'altra, o un insieme di altre prospettive (quella agenziale, quella economica, quella matematica, quella biologica...).
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 14:36:28 PM
E perché non accantonare precauzionalmente anche il concetto di "materia", allora?
Come già ti dicevo:
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
oggi, quando parliamo di materia, sappiamo che è una generalizzazione molto imprecisa e vaga, ma nondimeno si riferisce a qualcosa che c'è; con la mente siamo un passo indietro: prima bisogna verificare che ci sia, poi man mano che l'analisi e le conoscenze in merito avanzano, potremmo anche continuare ad usare il termine generico (cosa che stiamo già facendo ora, avendo però saltato il primo, cruciale, passo).
Se accantono precauzionalmente il concetto di materia, nel momento in cui mi chiedo su cosa sono seduto, dopo ponderate e verificate ricerche, concluderò che una materia c'è, e potrò poi classificarla
chiaramente ed empiricamente in: legno, ferro, plastica e altre componenti della sedia materiale.
Con la mente, superare l'accantonamento precauzionale mi risulta un po' più ostico, salvo prendere la scorciatoia della tradizione (filosofica e non solo) e della
vox populi che ci ha insegnato che dentro il cranio c'è la materia (cervello) e l'immateriale (mente), dogma di cui non dobbiamo dubitare, altrimenti abbiamo problemi...
mentali! ;D
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 14:36:28 PM
personalmente almeno, mi par di aver coscienza della mente nello stesso modo in cui constato di aver coscienza degli oggetti materiali.
"Nello stesso modo"? Non vorrei dubitarne... eppure, quella della mente dovrebbe essere un'
autocoscienza, a differenza di quella degli oggetti; inoltre, degli oggetti materiali dovresti aver coscienza sensoriale, mentre quando hai coscienza della mente quale senso è coinvolto?
Non insisto oltre, tuttavia la presunta "evidenza" della mente, a differenza di quella della materia, mi pare
sui generis e piuttosto indotta dal suddetto circolo vizioso (e ti risparmio l'ennesima autocitazione... ;) ).
Citazione di: epicurus il 20 Settembre 2018, 11:47:04 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Provo ad inserirmi in questo discorso partendo dalla chiusura causale del mondo, che io preferisco chiamare "completezza del fisico": la fisica contiene in sé tutte le risorse per una piena spiegazione di ogni fenomeno fisico.
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica.
CARLO
Intanto vorrei sottolineare che l'ipotesi dualista non contempla la possibilità che la mia attività mentale interferisca (checché ne dicano i sostenitori della "telepatia") con la tua mente, o col tuo corpo, o con qualsiasi altro corpo che non sia il mio.
Premesso questo, non esiste alcuna violazione alla "completezza del mondo fisico", se la mente interferisce col rispettivo corpo attraverso un trasferimento di informazione e non di energia.
EPICURUSNo, per il dualismo se io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale è "causa" (o fa parte di una catena causale) della rottura del movimento del mio braccio, della rottura della finestra, dell'attività mentale del proprietario della finestra che vede la finestra rotta e si arrabbia, del coinvolgimento di un avvocato, ecc.CARLOLa "causalità" di una azione mentale sul cervello non ha lo stesso significato di un sasso contro il vetro (trasferimento di energia dal sasso al vetro), ma, come chiarisce il fisico Margenau, agisce come un aumento di probabilità che si verifichi un particolare evento cerebrale "spontaneo". Un po' come nel caso in cui noi sobbalziamo "a causa" di un forte rumore improvviso: è evidente che non è l'energia acustica di quel rumore la causa fisicadel nostro sussulto, ma che esso, semplicemente, ha innescato un impulso spontaneo del nostro sistema nervoso. La riprova è che lo stesso rumore non causa alcun sussulto a chi, per esempio, se lo aspetta e quindi non lo interpreta come una minaccia.EPICURUSLa violazione della completezza del fisico c'è perché ad un certo punto, per spiegare la rottura della finestra (e tutte le altre conseguenze di tale evento) dovrei uscire dal dominio della fisica.CARLOInfatti, nella prospettiva dualista, la "causa" originaria del vetro rotto è la tua ...idea balorda di tirargli un sasso, la quale è fuori dalla fisica, ma essa si è trasformata in un "100% di probabilità"di innesco di una catena causale bio-fisicail cui epilogo è ...il coinvolgimento dell'avvocato. :-)Cit. CARLOInfatti non c'è alcuna "uscita dalla Fisica", se gli stimoli trasmessi dall'occhio alla corteccia cerebrale si trasferiscono come informazione alla coscienza e non come passaggio di energia, come è ammesso dalla Fisica quantistica."Uscita dalla Fisica" in definitiva non significa altro che una eventuale (impossibile) comparsa o scomparsa di materia-energia, cioè una violazione del principio di conservazione della materia-energia. Ma il dualismo non viola questo principio.EPICURUSTu hai parlato della conservazione della materia-energia, io no. Si viola la completezza della fisica per i motivi spiegati sopra.CARLOLa "completezza" non è un concetto fisico, ma un'idea intuitiva che acquisisce un significato preciso e univoco solo se indica la non-violazione di qualche ben definito principio (o legge) della Fisica. Pertanto, qualunque evento che non violi le leggi della Fisica può essere considerato possibile e quindi fisicamente ammissibile.EPICURUSRiguardo allo stimolo fisico che causerebbe un'esperienza mentale, se tale rapporto, come sembra, è regolato da regole precise e definite, allora si rientra nel dominio della fisica, e in quanto tale posso dire (per come ho definito "eventi fisici" nel mio precedente post) che tale esperienza mentale è un evento fisico.CARLOAnche un'operazione matematica <<è regolata da regole precise e definite>> senza che per questo debba essere considerata un evento fisico.Cit. EPICURUSPer me la realtà può essere ritagliata in vari modi, a seconda degli scopi del discorso, e a priori non è detto che tali modi siano riducibili tutti ad uno solo.Cit. CARLO...Sempreché tali "livelli di descrizione" non siano in contraddizione tra loro, ma complementariEPICURUSEsatto, io parlo di descrizioni o linguaggi complementari.CARLOBeh, se sono complementari, è perché fanno parte di un unico discorso, di un'unica realtà. Altrimenti avremmo tante realtà separate, ciascuna con regole e leggi proprie assolutamente indipendenti dalle altre.Insomma, non esiste, per esempio, un "livello" delle "verità di fede" separato da quello delle "verità laiche". Se la tua verità di fede è che "Cristo camminava sulle acque" o "moltiplicava pani e pesci", io posso accettarla SOLO SE la intendi in senso simbolico-metaforico, altrimenti la rifiuto nel modo più categorico. Anzi, se insisti, ...te meno pure!! :-))
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 15:50:44 PM
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 14:36:28 PME perché non accantonare precauzionalmente anche il concetto di "materia", allora?
Perché
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PM
Se accantono precauzionalmente il concetto di materia, nel momento in cui mi chiedo su cosa sono seduto, dopo ponderate e verificate ricerche, concluderò che una materia c'è, e potrò poi classificarla chiaramente ed empiricamente in: legno, ferro, plastica e altre componenti della sedia materiale.
Ovvero, dopo l'accantonamento
precauzionale del concetto di materia, si arriva (piuttosto rapidamente e facilmente) a verificare l'
evidenza che giustifica l'
esistenza del
referente di tale concetto (o almeno così mi pare :) ).
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:59:09 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 15:50:44 PM
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 14:36:28 PME perché non accantonare precauzionalmente anche il concetto di "materia", allora?
Perché
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PMSe accantono precauzionalmente il concetto di materia, nel momento in cui mi chiedo su cosa sono seduto, dopo ponderate e verificate ricerche, concluderò che una materia c'è, e potrò poi classificarla chiaramente ed empiricamente in: legno, ferro, plastica e altre componenti della sedia materiale.
Ovvero, dopo l'accantonamento precauzionale del concetto di materia, si arriva (piuttosto rapidamente e facilmente) a verificare l'evidenza che giustifica l'esistenza del referente di tale concetto (o almeno così mi pare :) ).
Ma questa evidenza CHI la giustifica, se non la "mente"? Se è evidente (alla mente) l'esistenza della materia lo è altrettanto la propria (esistenza). Altrimenti negando la propria negherebbe anche l'altra.
Poi io non sostengo affatto che "la tradizione (filosofica e non solo) e della vox populi che ci ha insegnato che dentro il cranio c'è la materia (cervello) e l'immateriale (mente), dogma di cui non dobbiamo dubitare, altrimenti abbiamo problemi... mentali! "; e mi sembra che anche tu non mi hai letto benissimo. Infatti più sopra scrivevo della difficoltà di attribuire uno 'spazio' alla mente e quindi un luogo definibile. Potrebbe essere benissimo ovunque (nel Buddhismo s'intende infatti la 'mente' come presente in tutto il corpo e non solo nel cervello...).Sentiamo la "mente" così intimamente connessa a noi che possiamo immaginare un'esistenza senza il corpo, ma non una senza la mente...e tutto questo senza che possa essere toccata o veduta. E purtuttavia non siamo in grado di controllarla...spesso rifiuta di fare ciò che vogliamo e fa quello che non vogliamo. :(
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 16:12:03 PMSentiamo la "mente" così intimamente connessa a noi che possiamo immaginare un'esistenza senza il corpo, ma non una senza la mente...e tutto questo senza che possa essere toccata o veduta. E purtuttavia non siamo in grado di controllarla...spesso rifiuta di fare ciò che vogliamo e fa quello che non vogliamo. :(
CARLO
...Ed è qui che si inserisce il discorso dell'inconscio.
Cosa si oppone, in noi, alla volontà cosciente? Da dove provengono, per esempio, i sensi di colpa anche quando coscientemente crediamo di non avere alcuna colpa? Da dove provengono le "visioni" mistiche quando davanti a noi non c'è niente da vedere?
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 16:12:03 PM
Ma questa evidenza CHI la giustifica, se non la "mente"? Se è evidente (alla mente) l'esistenza della materia lo è altrettanto la propria (esistenza). Altrimenti negando la propria negherebbe anche l'altra.
Questo è un altro esempio del circolo vizioso di cui parlavo a
sgiombo e
Carlo: presupporre l'esistenza della mente e poi ritrovarne tracce di conferma ovunque (è una fallacia logica che può "dimostrare" l'esistenza di qualunque concetto o entità...).
Nel caso della materia, invece, non la presuppongo, ma mi ci imbatto per forza e posso studiarla con precisione decente. "Si, ma studiarla con la mente!", dirai; e perché non con il cervello? O con l'anima razionale? O con lo spirito che vive dentro di me?
Questo è il campo d'indagine su cui muoversi con circospezione; tuttavia, se partiamo dal presupposto che la mente (o altra soluzione) esiste (e lo consideriamo apodittico), l'indagine è viziata in partenza. Tutto qui.
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 16:12:03 PM
Poi io non sostengo affatto che "la tradizione (filosofica e non solo) e della vox populi che ci ha insegnato che dentro il cranio c'è la materia (cervello) e l'immateriale (mente), dogma di cui non dobbiamo dubitare, altrimenti abbiamo problemi... mentali! ";
Non mi riferivo certo a te, era solo l'ipotesi della scappatoia più classica (tranquillo, ti leggo con attenzione :) ).
Non voglio svalutare tutta l'eredità filosofica o insinuare che la "mente" non sia un concetto plausibile (non sono "
anti", ricordi? ;) ) o trans-culturale: anche le tribù degli aborigeni avranno un loro concetto culturale di "mente"; si tratta solo di valutare se è una "fanta-risposta tappa buchi" o un "tappo a tenuta epistemologica"... per verificarlo, vogliamo dare l'incarico alla scienza, magari aspettando i suoi tempi, o abbiamo fretta e andiamo a pescare subito una risposta preconfezionata e
à la page nell'affollato emporio della tradizione?
A mio avviso, il principale problema da affrontare, riguardo alla mente, consiste nel fatto che la mente... mente!
Mentire le è costitutivo nel suo continuo farmi credere di essere me stesso.
In modo che finisco per convincermi non tanto di "avere" semplicemente un pensiero, ma di essere addirittura il mio stesso pensare, mi identifico persino con quel pensiero!
D'altronde l'identificazione è necessaria per dare un minimo di consistenza alle mie congetture. Allo stesso modo non mi devo forse identificare con il mio corpo affinché esso possa agire?
Ma un conto è "credere" di essere la propria mente, così come il proprio corpo, un'altro esserlo davvero.
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 11:44:29 AM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 01:16:21 AM
Non mi sembra proprio che il concetto di "mente" risolva misteri insondabili,
CitazioneProviamo a considerare: malati di mente (medicina), mente femminile/corpo maschile (Carlo), mente empiricamente evidente di "pensieri, ragionamenti, sentimenti, desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, ricordi, immaginazioni, ecc." (sgiombo), mente che si attacca e che produce karma negativo (questa non sarò certo io a spiegarla a te (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) ), etc.
Prova ora a dubitare dell'esistenza della mente, e rivisitare i suddetti scenari... non ottieni una valanga di domande irrisolte a cui la mente rispondeva comodamente, ma senza dimostrazioni chiare circa la propria esistenza?
Con "fanta-risposta tappa buchi" intendo proprio questo: "fanta" perché è indimostrata la sua esistenza, "risposta" perché questa è la sua funzione, "tappa buchi" perché colma un vuoto conoscitivo (il "come" lo colma è ciò che metto in questione).
Se bastassero ipotesi fantasmagoricamente diversificate propalate a suo proposito per mettere in dubbio l' evidenza della mente, allora la materia sarebbe messa anche peggio, dal momento che c' é chi sostiene (anche fra gli scienziati!) che ha 4, chi 9, chi qualche decina di dimensioni spaziali, che sostiene che é fissa e il mutamento é illusorio, chi che non solo muta, ma può anche consentire viaggi nel tempo, chi s
ostiene che sia spazialmente e/o temporalmente finita, chi infinita, chi ciclica, chi continuamente diversa e chi più ne ha più ne metta...
Citazione di: epicurus il 20 Settembre 2018, 11:47:04 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Settembre 2018, 14:17:08 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Provo ad inserirmi in questo discorso partendo dalla chiusura causale del mondo, che io preferisco chiamare "completezza del fisico": la fisica contiene in sé tutte le risorse per una piena spiegazione di ogni fenomeno fisico.
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica.
CARLO
Intanto vorrei sottolineare che l'ipotesi dualista non contempla la possibilità che la mia attività mentale interferisca (checché ne dicano i sostenitori della "telepatia") con la tua mente, o col tuo corpo, o con qualsiasi altro corpo che non sia il mio.
Premesso questo, non esiste alcuna violazione alla "completezza del mondo fisico", se la mente interferisce col rispettivo corpo attraverso un trasferimento di informazione e non di energia.
CitazioneNo, per il dualismo se io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale è "causa" (o fa parte di una catena causale) della rottura del movimento del mio braccio, della rottura della finestra, dell'attività mentale del proprietario della finestra che vede la finestra rotta e si arrabbia, del coinvolgimento di un avvocato, ecc.
La violazione della completezza del fisico c'è perché ad un certo punto, per spiegare la rottura della finestra (e tutte le altre conseguenze di tale evento) dovrei uscire dal dominio della fisica.
Queste considerazioni valgono unicamente per i dualismi "interazionistici" (come quello di CarloPierini).
Ma esistono anche dualismi "trascendentalistici" per i quali non valgono:
se io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale non "causa" affatto (né fa parte di una catena causale) della rottura del movimento del mio braccio, della rottura della finestra, dell'attività mentale del proprietario della finestra che vede la finestra rotta e si arrabbia, del coinvolgimento di un avvocato, ecc., perché fatti materiali e fatti di coscienza (in particolare mentali) "procedono di pari passo" senza reciprocamente interferire.La violazione della chiusura causale (ognuno é libero di utilizzare i concetti che preferisce) del mondo fisico non c'è perché in nessun punto, per spiegare la rottura della finestra (e tutte le altre conseguenze di tale evento) dovrei uscire dal dominio della fisica.
Citazione di: viator il 20 Settembre 2018, 12:59:06 PM
Salve, un piccolo commento circa l'atmosfera e l'andamento di questa discussione : mi sembra che essa risulti animata assai più dagli umori irrazionali che dalla logica. Mente e psiche che sono - a spanne - la medesima cosa, inconscio che forse non esiste e comunque a qualcuno non interessa............bah!
Non sono un pignolo esegeta delle regole del forum (anzi! Nemmeno l' ho mai letto attentamente, e dunque potrei sbagliarmi), ma ho la netta impressione che meri commenti non argomentati circa la maggiore o minore serietà, validità e fondatezza degli interventi come questo non siano ammessi.
Citazione di: SamuelSilver il 18 Settembre 2018, 12:02:14 PM
Vorrei ora rispondere velocemente a Green demetr, poi con più calma risponderò anche agli altri.
Perdona la mia ignoranza ma non so cosa siano il problema degli attributi e dell'adattamento, non so neanche quali siano le pretese dell'evoluzionismo: l'evoluzionismo sarebbe più pretenzioso delle sue alternative (come il creazionismo)?
Non credo affatto che il il riduzionismo sia uno degli strumenti del potere per mantenere lo status quo (non vedo l'eugenetica ne come il riduzionismo per antonomasia ne come una prova sufficiente per la tua affermazione), la religione se la cava decisamente meglio in questo ambito. Secondo me, poi, le cose stanno comunque migliorando anche nella religione, il discorso del potere e dello status quo oggi può certamente essere ancora valido, ma non in modo stringente come qualche decennio o secolo fa. Ma anche se tu avessi ragione riguardo al riduzionismo come strumento del potere, la cosa non dovrebbe essere presa comunque in considerazione: evitare di seguire una linea di pensiero che pare logica e realistica solo perchè la società ne sta già facendo un uso sbagliato non mi sembra il miglior modo per ragionare o per fare filosofia. Se, per assurdo, al tempo di Galileo ci fosse stata una società che sfruttava l'eliocentrismo per mantenere il potere e lo status quo, ripudiare l'eliocentrismo in se solo per un'antipatia verso tale società sarebbe stato decisamente poco ragionevole. L'eliocentrismo è ovviamente diverso da un'idea filosofica in quanto si tratta di scienza, ma al tempo di Galileo la scienza e la tecnologia erano decisamente poco sviluppate: le prove che la terra girasse intorno al sole erano convincenti all'incirca come le prove che il materialismo e il riduzionismo siano reali.
Con "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.
Questo genere di discussioni non appartengono alla scienza (a quale settore poi?), infatti esiste la filosofia della mente che si occupa proprio di questi problemi (come quello mente-corpo) e non mi sembra che essa stia facendo morire la "vera" filosofia.
Spero di aver adeguatamente risposto alle tue critiche.
Direi di dividere la questione su 2 tronchi di ricerca.
La prima che si chiede se la contemporanea critica eugenetica della coscienza, che si ritiene essere solo mente, con nefasti, a dire poco, esiti futuri, facilmente immaginabili.
La seconda sulla natura degli attributi, perchè se noi diciamo qualia, non intendiamo niente di tangibile mentre per scienza (nonostante esistano infinite scienze, si intende eliocentricamente, come quella popperiana, del è vero qualcosa finchè non sia confutato) dovremmo intendere qualcosa di molto ben visibile e sperimentabile.
Se sul primo punto devo dire che non solo non accetto la tua presunta risposta ma rilancio proprio facendoti ragionare sul fatto che il riduzionismo mentale è un chiaro anacronismo che si perde e trova epigono in Cartesio, e dunque ponendoti il fatto che forse è proprio il riduzionismo ad essere il contemporaneo "eliocentrismo". (come se Kant non fosse esistito).
Nessuna rivoluzione per carità, la scienza non sa minimamente cosa sia la rivoluzione.
Al massimo la chiamerei trasformazione. Gli abiti di un tempo vengono dismessi, per dei nuovi con lustrini e lucette, moderne sirene, per far desistere l'uomo dal pensare. L'uomo è lo stesso da tre/quattro milioni di anni superggiù.
Lo trovo veramente ironico questo suo incipriarsi, nel momento di sua massima crisi.
Sono orizzonti troppo ampi per te, che ti richiami a misure da formica, miopi, incapaci di guardare oltre.
Direi dunque di soffermarci sulla seconda trance del discorso, perchè a mio parere è proprio nelle proprietà materiali dei qualia che si materializza l'ideologia che la sovrastava, Si materializzano come sintomi inequivocabili.
"Alla scienza non si può dire di no" etc...etc...
Premesse che portano a gravissimi problemi come quello della Big Pharma.
Se la coscienza è mente, e la mente materia, dunque esiste un farmaco materiale in grado di fermarla.
Processi che tendono alla eliminazione del sintomo, invece che alla sua cura.
Il risultato è un progressiva, impressionante diffusione delle paure, e di risposte sempre più forti, come controbilanciamento.
Siamo in un grave periodo di bilanciamento, destinato a fallire, come già spiegato da Heideger, e da tutta la filosofia.
E così si è perso anche il problema del post-moderno, ossia delle domande inevase politiche sul soggetto.
cit tua
"Vorrei portare innanzitutto l'attenzione sulla natura del problema dei qualia e della coscienza. Il riduzionismo e il materialismo sono spesso criticati perchè, sembrerebbe, non riescono a spiegare la coscienza e l'esperienza soggettiva di ognuno"
Esattamente quale qualia spiega il mio amore verso la filosofia?
Quale qualia spiega la divina commedia?
Queste sono le tipiche domande che lo scienziato rifugge....eppure sono le uniche a cui dovrebbe rispondere se fosse una persona reale, e non una marionetta nelle mani dei suoi finanziatori.
Il punto cruciale è a mio avviso questo.
Perchè l'esperanto è la lingua artificiale che meglio risponde al cervello, ma noi preferiamo usare l'italiano, lingua difficile se ce ne è una.
Ovviamente sotto a queste domande c'è l'intero arsenale della filosofia del linguaggio, della semiotica etc...
A cui la scienza ripetutamente si ostina ad abdicare.
Ci sarebbe anche il problema delle algebre del soggetto, matematica o desiderio di dominio? come nella psicanalisi lacaniana è sottolineato.
PS.
Per quanto riguarda il problema delle religioni, io sono il primo ad ammettere che hanno fatto danni incommenurabili.
Ma al giorno d'oggi sono le uniche che parlano ancora della metafisica speciale, che dopo Heideger, ha subito il contraccolpo della Storia, come nemesi, come grande colpa, anch'essa ahimè figlia della bastardaggine del cristianesimo.
Parole come Anima,Mondo,Dio la scienza sembra essersele dimenticate, e anzi sono il suo bersaglio preferito.
Penso sopratutto al pessimo Boncinelli.
Ad un inferno ne è subentrato un altro.
Citazione di: epicurus il 20 Settembre 2018, 14:34:54 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2018, 13:20:07 PM
Citazione di: epicurus il 19 Settembre 2018, 12:09:02 PM
Qui condivido il discorso generale di Phil. Se ci sono eventi non fisici che causano/interferiscono con eventi fisici, allora la tesi della completezza del fisico è falsa. Ma ad ogni nulla ci suggerisce che sia falsa e tutto ci suggerisce che sia vera in riferimento al rapporto mente-corpo: in ogni istante nel mondo ci sarebbero miliardi di eventi mentali che causerebbero/interagirebbero con miliardi di corpi (e di conseguenza, a cascata, con infiniti altri oggetti materiali), e avremmo quindi infinite anomalie inspiegabili dalla fisica. Ma secoli di ricerca non hanno rilevato queste infinite anomalie fisiche, confermando la chiusura del fisico.
CitazioneNon esistono solo dualismi "interazionisti" (per esempio quello cartesiano), incompatibili con la chiusura causale del mondo fisico.
Esistono anche dualismi "trascendentisti" con essa compatibilissimi.
Mi potresti linkare un post dove spieghi bene il tuo dualismo?
(Premetto che non ho un buon rapporto con il "noumeno", quindi c'è il rischio che si potrebbe portare tanto offtopic la discussione.)
https://www.riflessioni.it/lettereonline/paradosso-moderne-neuroscienze.htm
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 19:10:02 PM
la materia sarebbe messa anche peggio, dal momento che c' é chi sostiene (anche fra gli scienziati!) che ha 4, chi 9, chi qualche decina di dimensioni spaziali, che sostiene che é fissa e il mutamento é illusorio, chi che non solo muta, ma può anche consentire viaggi nel tempo, chi sostiene che sia spazialmente e/o temporalmente finita, chi infinita, chi ciclica, chi continuamente diversa e chi più ne ha più ne metta...
Tali perplessità (suppongo argomentate da tali scienziati) riguardano il
come la materia sia, non
se esista (altrimenti su cosa sono seduto? ;) ).
Invece, secondo me, nel caso della mente, senza indagare adeguatamente
se è, si salta subito al "come è" e allora davvero "chi più ne ha, più ne metta" (senza però, scommetto, poter contare su argomentazioni epistemologicamente paragonabili a quelle dei suddetti scienziati, come ampiamente dimostrato, in piccolo, anche dai post qui raccolti...).
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 20:16:37 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 19:10:02 PM
la materia sarebbe messa anche peggio, dal momento che c' é chi sostiene (anche fra gli scienziati!) che ha 4, chi 9, chi qualche decina di dimensioni spaziali, che sostiene che é fissa e il mutamento é illusorio, chi che non solo muta, ma può anche consentire viaggi nel tempo, chi sostiene che sia spazialmente e/o temporalmente finita, chi infinita, chi ciclica, chi continuamente diversa e chi più ne ha più ne metta...
Tali perplessità (suppongo argomentate da tali scienziati) riguardano il come la materia sia, non se esista (altrimenti su cosa sono seduto? ;) ).
Invece, secondo me, nel caso della mente, senza indagare adeguatamente se è, si salta subito al "come è" e allora davvero "chi più ne ha, più ne metta" (senza però, scommetto, poter contare su argomentazioni epistemologicamente paragonabili a quelle dei suddetti scienziati, come ampiamente dimostrato, in piccolo, anche dai post qui raccolti...).
E le perplessità
che tu pretenderesti in riferimento alla mente riguardano il come la mente sia, non se esista (altrimenti come pensi e sai su cosa sei seduto?!).Che peraltro potrebbe benissimo essere, in linea di principio, il contenuto di un sogno o un' allucinazione; e solo dopo qualche ragionamento e a qualche condizione indimostrabile né tanto meno mostrabile possono essere considerate ciò su cui sei
realmente seduto.
Esattamente allo stesso modo, anche nel caso della materia, senza indagare
adeguatamente se è, si salta subito al "come è" e allora davvero "chi più ne ha, più ne metta" (senza però, scommetto, poter contare su argomentazioni epistemologicamente paragonabili a quelle di tantissimi ottimi filosofi, come ampiamente dimostrato, in piccolo, anche dai post qui raccolti...).
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 21:05:52 PM
E le perplessità che tu pretenderesti in riferimento alla mente riguardano il come la mente sia, non se esista (altrimenti come pensi e sai su cosa sei seduto?!).
In merito alle mie perplessità v. post #72 (seconda parte); sul dare per scontata l'attività della mente, così da poter giustificare l'esistenza della mente stessa (e viceversa), v. post #86.
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 21:05:52 PM
Esattamente allo stesso modo, anche nel caso della materia, senza indagare adeguatamente se è, si salta subito al "come è"
Circa l'"esattamente" rimando a quanto detto sul "nello stesso modo" di
Sariputra, post #80 (ultima parte).
Ovviamente mi scuso per tutti questi antipatici rimandi a post già scritti, ma preferisco non riscriverli e/o giocare a parafrasarli (sempre meglio che non rispondere, no? :) ).
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 19:26:14 PMse io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale non è "causa" affatto (né fa parte di una catena causale) del movimento del mio braccio e della rottura della finestra, perché fatti materiali e fatti di coscienza (in particolare mentali) "procedono di pari passo" senza reciprocamente interferire.
CARLOVuoi dire che il mio corpo decide autonomamente di tirare il sasso e che la mia coscienza si limita a prenderne atto senza poter interferire? Quindi chi è il colpevole, il responsabile del vetro rotto? Il mio corpo? Cioè, dopo aver rotto il vetro, io posso dire: <<non sono stato io, ma il mio corpo>> senza rischiare di essere rinchiuso in manicomio? :)SGIOMBOLa violazione della chiusura causale (ognuno é libero di utilizzare i concetti che preferisce) del mondo fisico non c'è perché in nessun punto, per spiegare la rottura della finestra (e tutte le altre conseguenze di tale evento) dovrei uscire dal dominio della fisica.CARLOCome dicevo a Epicurus, "uscita dalla Fisica" in definitiva non significa altro che una eventuale (impossibile) comparsa o scomparsa di materia o di energia, cioè una violazione del principio di conservazione della materia-energia. Ma il dualismo-interazionismo non viola questo principio.Insomma la "completezza" o la "chiusura causale" non sono concetto fisici, ma idee intuitive che acquisiscono un significato preciso e univoco solo se indicano la non-violazione di qualche ben definito principio (o legge) della Fisica. Pertanto, qualunque evento che non violi le leggi della Fisica può essere considerato possibile e quindi fisicamente ammissibile.
Citazione di: epicurus il 20 Settembre 2018, 14:44:59 PM
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 15:32:28 PMCertamente, non si può ridurre il senso dell'agire umano alla fisica delle particelle o alla sola materia che muta e si muove; il fisicalismo può bastare se vogliamo descrivere alcuni fenomeni solo sul piano fisico, ovvero la struttura del reale; sugli altri piani sovrastrutturali (etico, sociale, economico, politico, artistico, etc.) spetta indubbiamente alle discipline di competenza.
EPICURUS
Io non parlerei di sovrastrutture, io parlerei di schemi concettuali diversi, prospettive diverse o (a là Wittgenstein) di giochi linguistici diversi. Posso essere interessato ad una disfunzione neurale e allora adotterò una prospettiva neurologica, ma se sono interessato a capire l'egoismo allora né adotterò un'altra, o un insieme di altre prospettive (quella agenziale, quella economica, quella matematica, quella biologica...).
CARLOL'idea dei <<giochi linguistici, o schemi concettuali diversi>> è ambigua, perché ha due significati radicalmente diversi (se non opposti) a seconda se la consideriamo nella prospettiva del paradigma monista, o di quello dualista. Per esempio, il paradigma della psichiatria ufficiale (monista) consiste nel postulato (scientificamente indimostrato) secondo cui ogni patologia del comportamento - dalla schizofrenia alla nevrosi depressiva, al disturbo bipolare, all'ansia, all'alcolismo, all'ADHD (disturbo da deficit dell'attenzione con iperattività) ecc. -, è semplicemente l'espressione di una patologia neurale e/o genetica o di qualche squilibro biochimico del corpo o del cervello e, pertanto, non esistono altre cure possibili che le cure farmacologiche, laddove ciò sia possibile. E' evidente, allora, che ai fini di una corretta diagnosi è necessario analizzare in dettaglio il comportamento del malato e quindi ricorrere a <<schemi concettuali>> non neurobiologici (non si osserva il cervello), ma diciamo "sociali" o "psicologici" o comunque comportamentali-soggettivi; tuttavia il fine di questa indagine è l'individuazione del disturbo e quindi del farmaco più adeguato da somministrare o, in casi eccezionali di riconosciute patologie cerebrali, dell'intervento più adeguato al cervello. Uno psichiatra monista, cioè, non contempla la possibilità di esistenza di patologie propriamente psichiche indipendenti dal cervello e riguardanti i contenuti "metafisici" della psiche (idee, emozioni, vissuti familiari e sociali, sogni, visione del mondo, ecc.) come quelle causate da ciò che gli psicologi chiamano "conflitti", o "complessi", o "psicosi". Mentre un approccio che riconosca alla psiche una sua propria ontologia non coincidente con l'ontologia del corpo-cervello attribuirà a quegli <<schemi concettuali>> di indagine soggettiva un carattere sostanziale, cioè, non avranno più una funzione solo descrittiva del disturbo da associare, poi, al farmaco, ma saranno essi stessi il "farmaco" psicoterapeutico. In altre parole, ciò che cura la psiche è ...la psiche stessa; è la comprensione cosciente delle dinamiche che sono alla base della sofferenza psichica ciò che innesca un graduale processo di guarigione. E, in questo processo di comprensione di sé, l'adozione di adeguati <<schemi concettuali>> di interpretazione degli eventi psichici è fondamentale. Come, del resto, lo è in ogni campo del sapere.
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 21:36:41 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 21:05:52 PM
E le perplessità che tu pretenderesti in riferimento alla mente riguardano il come la mente sia, non se esista (altrimenti come pensi e sai su cosa sei seduto?!).
In merito alle mie perplessità v. post #72 (seconda parte); sul dare per scontata l'attività della mente, così da poter giustificare l'esistenza della mente stessa (e viceversa), v. post #86.
CitazioneLe ho già lette e trovo che non superano le obiezioni di Sariputra e mie.
In particolare non negano il fatto che:
La constatazione della mente é epistemicamente identica (ha la esattamente lo stesso fondamento, la stessa certezza) alla constatazione della materia (ambedue fenomeniche, parimenti rilevabili empiricamente); e conseguentemente il fatto che i monisti materialisti non possono allo stesso tempo negarla mente affermano la materia, ma possono solo interpretare la mente come identificantesi con la materia (del cervello); erroneamente per il fatto che quest' ultimo é invece altra, diversa cosa fenomenica nell' ambito di altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti (il fatto che le due ben diverse cose necessariamente coesistano é molto diverso dalla pretesa che si identifichino).
E comunque interpretare qualcosa (di reale) identificandolo con qualcos' altro (di comunque reale) =/= negarne la realtà (mi scuso per la pignoleria).
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 21:05:52 PM
Esattamente allo stesso modo, anche nel caso della materia, senza indagare adeguatamente se è, si salta subito al "come è"
Circa l'"esattamente" rimando a quanto detto sul "nello stesso modo" di Sariputra, post #80 (ultima parte).
CitazioneA mia vlta rmando ai rimandi con i quali ho già dimostrato l' inadeguatezza dei rimandi tuoi.
Ovviamente mi scuso per tutti questi antipatici rimandi a post già scritti, ma preferisco non riscriverli e/o giocare a parafrasarli (sempre meglio che non rispondere, no? :) ).
Come vedi, é quel che ho fatto anch' io nell' ultima risposta.
cit.Phil:
per verificarlo, vogliamo dare l'incarico alla scienza, magari aspettando i suoi tempi, o abbiamo fretta e andiamo a pescare subito una risposta preconfezionata e à la page nell'affollato emporio della tradizione?
Vorrà dire che, nell'attesa che la scienza mi dia questa risposta, me ne starò seduto sulla riva del fiume , aspettando di veder passare la coscienza, opportunamente vivisezionata dagli scienziati ( o dagli scientisti?... :-\), chiedendomi nel frattempo, giusto per passare il tempo: ma io...chi sono e che sto a fare qui seduto, in attesa ? :)
Citazione di: Carlo Pierini il 20 Settembre 2018, 21:55:54 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 19:26:14 PMse io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale non è "causa" affatto (né fa parte di una catena causale) del movimento del mio braccio e della rottura della finestra, perché fatti materiali e fatti di coscienza (in particolare mentali) "procedono di pari passo" senza reciprocamente interferire.
CARLO
Vuoi dire che il mio corpo decide autonomamente di tirare il sasso e che la mia coscienza si limita a prenderne atto senza poter interferire?
Quindi chi è il colpevole, il responsabile del vetro rotto? Il mio corpo?
Cioè, dopo aver rotto il vetro, io posso dire: <<non sono stato io, ma il mio corpo>> senza rischiare di essere rinchiuso in manicomio? :)
Citazione"che il mio corpo decide autonomamente di tirare il sasso" é un errato antropomorfismo.
Poiché io mi manifesto fenomenicamente agli altri soggetti in sé (come me) di esperienza cosciente come il mio corpo, e nel mondo fenomenico materiale esso ha commesso il misfatto e deve pagarne le conseguenze, nell' ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze".
**********************************************
SGIOMBO
La violazione della chiusura causale (ognuno é libero di utilizzare i concetti che preferisce) del mondo fisico non c'è perché in nessun punto, per spiegare la rottura della finestra (e tutte le altre conseguenze di tale evento) dovrei uscire dal dominio della fisica.
CARLO
Come dicevo a Epicurus, "uscita dalla Fisica" in definitiva non significa altro che una eventuale (impossibile) comparsa o scomparsa di materia o di energia, cioè una violazione del principio di conservazione della materia-energia. Ma il dualismo-interazionismo non viola questo principio.
Insomma la "completezza" o la "chiusura causale" non sono concetto fisici, ma idee intuitive che acquisiscono un significato preciso e univoco solo se indicano la non-violazione di qualche ben definito principio (o legge) della Fisica. Pertanto, qualunque evento che non violi le leggi della Fisica può essere considerato possibile e quindi fisicamente ammissibile.
CitazioneInfatti la pretesa causazione mentale di qualcosa di fisico viola le leggi della fisica in quanto implica mutamenti nella materia non ammessi dalle trasformazioni determinate (anche ammesso e non concesso da parte mia il limitato indeterminismo quantistico interpretato come ontologico-oggettivo, e anche "ri-" ammesso e non concesso che esso sia pertinente alla neurofisiologia cerebrale) della materia stessa dalle leggi fisiche ammesse (e anzi "prescritte").
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 09:22:21 AM
i monisti materialisti non possono allo stesso tempo negarla mente affermano la materia, ma possono solo interpretare la mente come identificantesi con la materia (del cervello)[...]
E comunque interpretare qualcosa (di reale) identificandolo con qualcos' altro (di comunque reale) =/= negarne la realtà (mi scuso per la pignoleria).
Mi pare che l'
impasse comunicativa sia questa: ho capito che per te e
Sariputra la mente è evidente e innegabile , è una visione comunemente accettata (niente di filosoficamente scandaloso); voi interpretate la mia
proposta di
sospendere precauzionalmente (non negare!) l'accettazione (per voi inevitabile e apodittica) dell'esistenza della mente, confondendola con la tesi monistica materialistica secondo cui la mente coincide con il cervello, ipotesi che non trovo certo assurda (come ho scritto in
altre discussioni), ma
non è affatto quella di cui parlo in questo topic.
La mia proposta qui (v. elenco autocitazioni in dignitosa lingua italiana al post #72 ;D )
non è di identificare la mente con il cervello o con la materia, bensì di provare ad indagare alcuni fenomeni (quelli che vengono sinora giustificati usando il concetto di "mente")
senza presupporre che la mente esista (che è ben diverso dall'identificarla con la materia o dall'affermare che non esiste! La
sospensione operata dallo scetticismo metodologico, dalla fenomenologia husserliana, etc.
non è negazione di esistenza).
Capisco bene che mettere in discussione l'esistenza del pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale) può essere inaudito e spiazzante, ma è uno sforzo teoretico sicuramente possibile (se si evita di ricondurre forzatamente ogni proposta insolita ad "ismi" già classificati e stereotipati ;) ).
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 09:35:34 AM
Vorrà dire che, nell'attesa che la scienza mi dia questa risposta, me ne starò seduto sulla riva del fiume , aspettando di veder passare la coscienza, [...] chiedendomi nel frattempo, giusto per passare il tempo: ma io...chi sono e che sto a fare qui seduto, in attesa ? :)
Ti faccio volentieri compagnia... :)
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 09:36:41 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 20 Settembre 2018, 21:55:54 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Settembre 2018, 19:26:14 PMse io lancio un sasso contro un vetro, la mia attività mentale non è "causa" affatto (né fa parte di una catena causale) del movimento del mio braccio e della rottura della finestra, perché fatti materiali e fatti di coscienza (in particolare mentali) "procedono di pari passo" senza reciprocamente interferire.
CARLO
Vuoi dire che il mio corpo decide autonomamente di tirare il sasso e che la mia coscienza si limita a prenderne atto senza poter interferire?
Quindi chi è il colpevole, il responsabile del vetro rotto? Il mio corpo?
Cioè, dopo aver rotto il vetro, io posso dire: <<non sono stato io, ma il mio corpo>> senza rischiare di essere rinchiuso in manicomio? :)
Citazione"che il mio corpo decide autonomamente di tirare il sasso" é un errato antropomorfismo.
CARLOHai mai provato l'esperienza di sobbalzare a causa di uno scoppio improvviso e inaspettato - nella quale è per te evidente l'assoluta involontarietà del sussulto del tuo corpo -, e poi l'esperienza di compiere lo stesso movimento volontariamente, cioè, come atto deliberato e intenzionale? Ecco, ti sembra un <<errato antropomorfismo>> interpretare il primo evento come un movimento autonomo del corpo - durante il quale la coscienza non svolge altro ruolo che quello di spettatrice passiva -, e di interpretare il secondo caso come un movimento causato, non più da un riflesso automatico del sistema nervoso, ma dalla decisione volontaria del tuo "io"? Altrettanto potrebbe dirsi del cosiddetto "riflesso patellare" nel quale, ad uno stimolo di percussione sotto la rotula, il sistema nervoso reagisce autonomamente con un movimento di estensione della gamba. Anche in questo caso, ognuno di noi sa distinguere perfettamente il caso in cui l'estensione della gamba ha origine nel proprio corpo dal caso in cui, invece, esso ha origine in una decisione intenzionale della mente cosciente, del proprio "io"; ...e che dunque non si tratta di <<errato antropomorfismo>> distinguere nettamente i due casi.Ecco: se, come sostieni tu, il nostro "io" (la nostra mente cosciente) non potesse mai interagire col corpo, sarebbe assolutamente impossibile persino pensare una tale distinzione tra atti volontari e atti involontari.SGIOMBOPoiché io mi manifesto fenomenicamente agli altri soggetti in sé (come me) di esperienza cosciente come il mio corpo, e nel mondo fenomenico materiale esso ha commesso il misfatto e deve pagarne le conseguenze, nell'ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze".CARLOAh, già, ...il "noumeno"! Facciamo un breve excursus sul significato di questo termine."Noumeno" deriva originariamente da "nous" che coincide più o meno con la "ragione eterna ordinatrice del mondo" (presocratici), con l'"intelletto divino" o "primo motore" aristotelico, ma anche col "demiurgo" o "iperuranio" o "cielo delle idee archetipiche" platonici e neoplatonici. Pertanto, il suo significato corrisponde essenzialmente con quello di "archetipo", di "idea originaria o modello metafisico della "cosa".Cosicché esso è intelligibile proprio in virtù del fatto che, essendo modello della "cosa", l'intelletto può risalire ad esso attraverso la conoscenza dei "fenomeni" nei quali la cosa stessa si mostra all'osservazione e attraverso la riflessione razionale. Un po' come lo scienziato che, dall'osservazione dei fenomeni, risale (attraverso processi di astrazione) alle leggi che li governano e che non sono osservabili.Poi arriva Kant, che, mutilando il concetto di noumeno nella sua accezione di "modello metafisico della cosa" e dandogli il nome di "cosa in sé", lo trasforma in una nullità epistemica, in un fonema-fantasma. Di esso, infatti, sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo assolutamente ciò che è: non-è la cosa, non-è fenomeno, non-è modello della cosa, non-ha alcuna relazione con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla".Pertanto, quando affermi che: <<nell'ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>, io posso apprezzare il tuo senso dell'humor, ma non ho altro modo di interpretare la tua battuta che questo: <<nell'ambito del nulla io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>.
PHIL
...se il "materialismo basta per rendere conto dei fenomeni mentali", come proposto da SamuelSilver, l'inconscio, a parer mio, dovrebbe essere ancor più affine a tale tipo di spiegazione...).
CARLO
Stai scherzando? Se già "coscienza" non ha nulla a che vedere con neuroni, sinapsi, assoni, tessuti nervosi conduttori di micro-correnti elettriche, ecc., figuriamoci cosa possa significare l'"inconscio" (per esempio come matrice di sogni o di pulsioni o di fantasie coatte estranee all'esperienza cosciente, di simboli religiosi, ecc.) dal punto di vista dei fenomeni bio-chimici!
E' l'incommensurabilità tra la natura degli eventi biochimici e quella degli eventi psichici l'indizio più solido a favore del dualismo.
...........vediamo se c'è qualcuno che riesce a rispondermi.........
i nervi trasmettono al cervello ciò che i recettori dei sensi hanno "prelevato" dal dominio fisico.
1) che tipo di energia prelevano i nostri sensi? Rispondo io, elettromagnetica
2) che tipo di energia viene immagazzinata nelle memorie fisiche del cervello? E' ancora elettromagnetica?
Se non fosse elettromagnetica, quale organo gestirebbe la trasduzione, vale a dire il passaggio da un tipo di energia ad un altro?
La mente, lasciamo pure come indimostrabile per ora, come interagisce con il cervello fisico?
Dove risiederebbe nel cervello il "comando volontario"?
Sappiamo che i vegetali agiscono attraverso ormoni (ad esempio reagiscono alla luce orientando durante il giorno la pagina fogliare affinchè la fotosintesi clorofilliana sia efficiente), oppure sanno che devono crescere verso l'alto (sempre un ormone presiede all'orientamento "gravitazionale) e sta "sulla punta" della pianta, albero, ecc.
Se ritenessimo che gli animali non abbiano coscienza(oppure no...), sappiamo però che hanno una volontà, un comando ...................oppure no?
3) Sgiombo (ti prendo ad esempio perchè quanto meno sei l'unico che ha una sua idea ontologica ed epistemologica direi completa)ritiene invalicabile il limite fisico con il limite dell'astratto (il noumeno), per cui non ci sarebbe interazione fra coscienza e cervello, bensì "trascende", il che implica non sapere quale tipo di energia sia applicabile alla coscienza.
Ma quando ricordiamo, la nostra coscienza, intesa come agente conoscitivo, come e dove preleva l'informazione?
Se c'è informazione in una memoria fisica del cervello (oppure c'è una memoria astratta del pensiero?), quale energia ha il pensiero, quella informazione immagazzinata nella memoria?
Se non si entra nel processo per cui il mondo ci informa e li recepiamo dai sensi, quell'informazione entra nel cervello, rapporto cervello/mente, come agiscono sistemi di comando volontari e sistemi operazionali, si rischia la contrapposizione di sintesi senza analisi
Citazione di: Phil il 21 Settembre 2018, 10:40:26 AM
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 09:22:21 AM
i monisti materialisti non possono allo stesso tempo negarla mente affermano la materia, ma possono solo interpretare la mente come identificantesi con la materia (del cervello)[...]
E comunque interpretare qualcosa (di reale) identificandolo con qualcos' altro (di comunque reale) =/= negarne la realtà (mi scuso per la pignoleria).
Mi pare che l'impasse comunicativa sia questa: ho capito che per te e Sariputra la mente è evidente e innegabile , è una visione comunemente accettata (niente di filosoficamente scandaloso); voi interpretate la mia proposta di sospendere precauzionalmente (non negare!) l'accettazione (per voi inevitabile e apodittica) dell'esistenza della mente, confondendola con la tesi monistica materialistica secondo cui la mente coincide con il cervello, ipotesi che non trovo certo assurda (come ho scritto in altre discussioni), ma non è affatto quella di cui parlo in questo topic.
La mia proposta qui (v. elenco autocitazioni in dignitosa lingua italiana al post #72 ;D ) non è di identificare la mente con il cervello o con la materia, bensì di provare ad indagare alcuni fenomeni (quelli che vengono sinora giustificati usando il concetto di "mente") senza presupporre che la mente esista (che è ben diverso dall'identificarla con la materia o dall'affermare che non esiste! La sospensione operata dallo scetticismo metodologico, dalla fenomenologia husserliana, etc. non è negazione di esistenza).
Capisco bene che mettere in discussione l'esistenza del pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale) può essere inaudito e spiazzante, ma è uno sforzo teoretico sicuramente possibile (se si evita di ricondurre forzatamente ogni proposta insolita ad "ismi" già classificati e stereotipati ;) ).
Citazione
Innanzitutto respingo questa insinuazione malevola e del tutto evidentissimamente infondata per chiunque legga senza pregiudizi i miei interventi nel forum: nell' ipotesi monista materialistica non v' é proprio nulla di inaudito e spiazzante per il mio libero, spregiudicato pensiero alieno da qualsiasi deferenza verso più o meno pretese "venerande tradizioni" o "autorità costituite" ! ! !
Vi é solo qualcosa (ma non poco e non poco gravemente!) di errato e falso.
A parte il fatto che casomai un "pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale)" é il monismo materialstico e non certo la chiara e netta distinzione fra fenomeni (dualistici) e noumeno (monistico "neutro"), che invece per davvero richiede "uno sforzo teoretico sicuramente possibile (se si evita di ricondurre forzatamente ogni proposta insolita ad "ismi" già classificati e stereotipati".
Inoltre tu pretendi di sottoporre a questa sorta di "preventiva sospensione del giudizio" la sola mente e non la materia, che invece ritieni "al di sopra di ogni dubbio", e questo da una parte evidenzia il tuo reale monismo materialistico (fra l' altro rilevato e approvato anche da altri monisti materialisti in questa stessa discussione), dall' altra é del tutto ingiustificato dal momento che l' evidenza della realtà dei fenomeni materiali é del tutto identica, altrettanto certa o dubitabile di quella dei fenomeni mentali: due pesi e due misure da parte tua rivelatori del tuo pregiudizio monistico materialistico proprio del senso comune e di una fetta decisamente non da poco della tradizione culturale occidentale.
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 09:35:34 AM
Vorrà dire che, nell'attesa che la scienza mi dia questa risposta, me ne starò seduto sulla riva del fiume , aspettando di veder passare la coscienza, [...] chiedendomi nel frattempo, giusto per passare il tempo: ma io...chi sono e che sto a fare qui seduto, in attesa ? :)
Ti faccio volentieri compagnia... :)
CitazioneMI dispiace, ma io no.
Anche perché non mi attendo risposte a problemi filosofici (ontologici) dalla scienza.
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 12:50:10 PM
CARLO
Hai mai provato l'esperienza di sobbalzare a causa di uno scoppio improvviso e inaspettato - nella quale è per te evidente l'assoluta involontarietà del sussulto del tuo corpo -, e poi l'esperienza di compiere lo stesso movimento volontariamente, cioè, come atto deliberato e intenzionale? Ecco, ti sembra un <<errato antropomorfismo>> interpretare il primo evento come un movimento autonomo del corpo - durante il quale la coscienza non svolge altro ruolo che quello di spettatrice passiva -, e di interpretare il secondo caso come un movimento causato, non più da un riflesso automatico del sistema nervoso, ma dalla decisione volontaria del tuo "io"?
Altrettanto potrebbe dirsi del cosiddetto "riflesso patellare" nel quale, ad uno stimolo di percussione sotto la rotula, il sistema nervoso reagisce autonomamente con un movimento di estensione della gamba. Anche in questo caso, ognuno di noi sa distinguere perfettamente il caso in cui l'estensione della gamba ha origine nel proprio corpo dal caso in cui, invece, esso ha origine in una decisione intenzionale della mente cosciente, del proprio "io"; ...e che dunque non si tratta di <<errato antropomorfismo>> distinguere nettamente i due casi.
Ecco: se, come sostieni tu, il nostro "io" (la nostra mente cosciente) non potesse mai interagire col corpo, sarebbe assolutamente impossibile persino pensare una tale distinzione tra atti volontari e atti involontari.
Citazione
La differenza dei movimenti riflessi e di quelli volontari la conosco da un bel pezzo.
Ma non c' entra con l'antropomorfismo indebito della tua affermazione "il mio corpo decide autonomamente di tirare un sasso: la materia non decide coscientemente e intenzionalmente proprio nulla, ma solo seplicemente diviene.
Invece la pretesa che un evento fisico come un movimento corporeo origini (come conseguenza di una causa) in una decisione intenzionale dei una mente cosciente non é ammessa dalla chiusura causale del mondo fisico.
SGIOMBO
Poiché io mi manifesto fenomenicamente agli altri soggetti in sé (come me) di esperienza cosciente come il mio corpo, e nel mondo fenomenico materiale esso ha commesso il misfatto e deve pagarne le conseguenze, nell'ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze".
CARLO
Ah, già, ...il "noumeno"! Facciamo un breve excursus sul significato di questo termine.
"Noumeno" deriva originariamente da "nous" che coincide più o meno con la "ragione eterna ordinatrice del mondo" (presocratici), con l'"intelletto divino" o "primo motore" aristotelico, ma anche col "demiurgo" o "iperuranio" o "cielo delle idee archetipiche" platonici e neoplatonici. Pertanto, il suo significato corrisponde essenzialmente con quello di "archetipo", di "idea originaria o modello metafisico della "cosa".
Cosicché esso è intelligibile proprio in virtù del fatto che, essendo modello della "cosa", l'intelletto può risalire ad esso attraverso la conoscenza dei "fenomeni" nei quali la cosa stessa si mostra all'osservazione e attraverso la riflessione razionale. Un po' come lo scienziato che, dall'osservazione dei fenomeni, risale (attraverso processi di astrazione) alle leggi che li governano e che non sono osservabili.
Poi arriva Kant, che, mutilando il concetto di noumeno nella sua accezione di "modello metafisico della cosa" e dandogli il nome di "cosa in sé", lo trasforma in una nullità epistemica, in un fonema-fantasma. Di esso, infatti, sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo assolutamente ciò che è: non-è la cosa, non-è fenomeno, non-è modello della cosa, non-ha alcuna relazione con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla".
CitazioneIl noumeno platonico che tanto ti piace é tutt' altra cosa, che col noumeno kantiano e con il noumeno come da me modestamente inteso nel mio piccolo c' entra come i cavoli a merenda.
Che tu non abbia minimamente compreso il noumeno kantiano già lo sapevo da gran tempo: non é una novità!
Pertanto, quando affermi che: <<nell'ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>, io posso apprezzare il tuo senso dell'humor, ma non ho altro modo di interpretare la tua battuta che questo: <<nell'ambito del nulla io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>.
CitazioneIo invece non posso che apprezzare la tua incapacità di intendere il noumeno (come inteso da Kant e dalla mia modestissima persona), che ti fa scrivere cose ridicolissime, seppure involontariamente (senza alcun senso dell' humor).
Citazione di: paul11 il 21 Settembre 2018, 13:56:23 PM
...........vediamo se c'è qualcuno che riesce a rispondermi.........
i nervi trasmettono al cervello ciò che i recettori dei sensi hanno "prelevato" dal dominio fisico.
1) che tipo di energia prelevano i nostri sensi? Rispondo io, elettromagnetica
CitazioneSolo nel caso della visione.
Meccanica nel caso del tatto e dell' audizione (meccanica elastica), chimica nel caso del gusto e dell' olfatto, ecc. (scusa la pignoleria).
2) che tipo di energia viene immagazzinata nelle memorie fisiche del cervello? E' ancora elettromagnetica?
Se non fosse elettromagnetica, quale organo gestirebbe la trasduzione, vale a dire il passaggio da un tipo di energia ad un altro?
CitazioneE' ragionevolmente presumibile, non contraddetto da osservazioni empiriche e "corroborato indizialmente" da molte altre, che si tratti di determinate modificazioni del numero e della forza delle connessioni sinaptiche fra neuroni, conseguenza di eventi neurofisiologici implicanti trasformazioni energetiche di tipo fisico e chimico
La mente, lasciamo pure come indimostrabile per ora, come interagisce con il cervello fisico?
CitazionePer me in nessun modo: chiusura causale del mondo fisico!
Dove risiederebbe nel cervello il "comando volontario"?
CitazioneSostanzialmente nelle connessioni sinaptiche (se capisco ciò che intendi: l' origine dei movimenti aventi un correlato con i fenomeni mentali di volizione).
Sappiamo che i vegetali agiscono attraverso ormoni (ad esempio reagiscono alla luce orientando durante il giorno la pagina fogliare affinchè la fotosintesi clorofilliana sia efficiente), oppure sanno che devono crescere verso l'alto (sempre un ormone presiede all'orientamento "gravitazionale) e sta "sulla punta" della pianta, albero, ecc.
Se ritenessimo che gli animali non abbiano coscienza(oppure no...), sappiamo però che hanno una volontà, un comando ...................oppure no?
CitazioneHanno, per me, processi neurofisiologici correlati (biunivocamente corrispondenti) a percetti mentali di desideri, volontà, decisioni, ecc. (dunque hanno coscienza; non autocoscienza, tranne l' uomo).
3) Sgiombo (ti prendo ad esempio perchè quanto meno sei l'unico che ha una sua idea ontologica ed epistemologica direi completa)ritiene invalicabile il limite fisico con il limite dell'astratto (il noumeno), per cui non ci sarebbe interazione fra coscienza e cervello, bensì "trascende", il che implica non sapere quale tipo di energia sia applicabile alla coscienza.
CitazioneNon trattandosi di materia ma invece di fenomeni di altra natura ("res cogitans"), non ha senso parlare a proposito della mente di energia, né di massa.
Nel caso dei contenuti fenomenici di coscienza materiali invece ha senso eccome.
Ma quando ricordiamo, la nostra coscienza, intesa come agente conoscitivo, come e dove preleva l'informazione?
CitazioneNon ha senso parlare di "dove" nel caso della mente (che é cogitans e non extensa).
Come accada di avere ricordi (nell' ambito della mente) non lo so; so solo che ciò accade necessariamente in concomitanza con determinati processi neurofisiologici cerebrali.
Se c'è informazione in una memoria fisica del cervello (oppure c'è una memoria astratta del pensiero?), quale energia ha il pensiero, quella informazione immagazzinata nella memoria?
CitazioneIl concetto di "informazione" non mi pace; spesso é impiegato impropriamente o magari metaforicamente ma ambiguamente intendendolo in senso letterale.
Per me ci sono nel cervello determinati "assetti sinaptici" conseguenti le esperienze passate che potenzialmente condizionano i comportamenti futuri; e che sono in corrispondenza biunivoca, nella coscienza e in particolare nella sua parte mentale, rispettivamente con le conoscenze "latenti" (non attualmente presenti alla memoria ma evocabili in determinate circostanze) e con i ricordi in atto.
Se non si entra nel processo per cui il mondo ci informa e li recepiamo dai sensi, quell'informazione entra nel cervello, rapporto cervello/mente, come agiscono sistemi di comando volontari e sistemi operazionali, si rischia la contrapposizione di sintesi senza analisi
CitazioneFracamente mi sembra di esserci entrato.
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
Innanzitutto respingo questa insinuazione malevola e del tutto evidentissimamente infondata per chiunque legga senza pregiudizi i miei interventi nel forum: nell' ipotesi monista materialistica non v' é proprio nulla di inaudito e spiazzante per il mio libero, spregiudicato pensiero alieno da qualsiasi deferenza verso più o meno pretese "venerande tradizioni" o "autorità costituite" ! ! !
Quando ho parlato di "inaudito e spiazzante" parlavo dell'ipotesi monista materialista
o dell'ipotesi di accantonare la mente (che è così spiazzante da venir sempre fraintesa con il semplice materialismo)?
Rileggere attentamente per verificare la risposta ;)
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
A parte il fatto che casomai un "pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale)" é il monismo materialstico
Per pilastro della "filosofia
della mente" intendevo, non il monismo materialistico (da cui non riesci proprio a separami, nonostante la marea di autocitazioni che me ne differenziano), bensì... la mente! Quel concetto di cui proponevo di sospendere precauzionalmente la certezza convenzionale d'esistenza, ricordi?
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
Inoltre tu pretendi di sottoporre a questa sorta di "preventiva sospensione del giudizio" la sola mente e non la materia, che invece ritieni "al di sopra di ogni dubbio",
Sospensione non applicata alla materia? Controlliamo assieme:
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:59:09 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 15:50:44 PM
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 14:36:28 PME perché non accantonare precauzionalmente anche il concetto di "materia", allora?
Perché
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PM
Se accantono precauzionalmente il concetto di materia, nel momento in cui mi chiedo su cosa sono seduto, dopo ponderate e verificate ricerche, concluderò che una materia c'è, e potrò poi classificarla chiaramente ed empiricamente in: legno, ferro, plastica e altre componenti della sedia materiale.
Ovvero, dopo l'accantonamento precauzionale del concetto di materia, si arriva (piuttosto rapidamente e facilmente) a verificare l'evidenza che giustifica l'esistenza del referente di tale concetto (o almeno così mi pare :) ).
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
[...] due pesi e due misure da parte tua rivelatori del tuo pregiudizio monistico materialistico proprio del senso comune e di una fetta decisamente non da poco della tradizione culturale occidentale.
Accetto serenamente, con buona pace di tutto quanto ho scritto e autocitato finora, che la mia proposta sia travisata in mero monismo materialista, ma che "una fetta decisamente non da poco della tradizione culturale occidentale"(cit.) escluda l'esistenza della mente (come suggeriva "qualcuno", per motivi di scetticismo metodologico) o ritenga la mente qualcosa di solo materiale, mi pare affermazione quantomeno audace, almeno se non si quantifica tale "fetta" (se non erro, le matrici principali della nostra cultura occidentale sono il cristianesimo, la filosofia greca, il cartesianesimo, l'idealismo, etc. la mente per loro è solo materia?).
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 13:46:11 PM
Stai scherzando? Se già "coscienza" non ha nulla a che vedere con neuroni, sinapsi, assoni, tessuti nervosi conduttori di micro-correnti elettriche, ecc.,
Non sapevo fosse stato
dimostrato...
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 13:46:11 PM
figuriamoci cosa possa significare l'"inconscio" (per esempio come matrice di sogni o di pulsioni o di fantasie coatte estranee all'esperienza cosciente, di simboli religiosi, ecc.) dal punto di vista dei fenomeni bio-chimici!
Ribadisco la mia poca familiarità con l'inconscio, tuttavia se qualcuno mi dicesse che gli uomini di tutte le epoche e tutte le latitudini presentano degli archetipi comuni con cui interpretano la realtà, e mi spiegasse che il motivo di ciò è la comune connotazione (biologica, filogenetica, etc.) della specie umana, non lo prenderei per folle...
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 13:46:11 PM
E' l'incommensurabilità tra la natura degli eventi biochimici e quella degli eventi psichici l'indizio più solido a favore del dualismo.
... oppure tale incommensurabilità è ancora da accertare, a giudicare da come farmaci biochimici (o principi attivi naturali) influenzano la psiche (ma non sono troppo pratico nemmeno di questo ;) ).
Citazione di: paul11 il 21 Settembre 2018, 13:56:23 PM
i nervi trasmettono al cervello ciò che i recettori dei sensi hanno "prelevato" dal dominio fisico.
1) che tipo di energia prelevano i nostri sensi? Rispondo io, elettromagnetica
CARLO
Risposta quasi esatta! :)
E dico "quasi" perché, per esempio, l'udito e il tatto "prelevano" energia meccanica e poi saranno i rispettivi organi a trasformarla in impulsi elettrici. L'olfatto e il gusto, invece prelevano energia chimica. Insomma solo alla vista è riservata l'energia elettromagnetica
PAUL11
2) che tipo di energia viene immagazzinata nelle memorie fisiche del cervello? E' ancora elettromagnetica?Se non fosse elettromagnetica, quale organo gestirebbe la trasduzione, vale a dire il passaggio da un tipo di energia ad un altro?CARLO
Credo che nemmeno le neuroscienza conoscano i meccanismi della memoria, biologica o mentale che sia.
PAUL11
La mente, lasciamo pure come indimostrabile per ora, come interagisce con il cervello fisico?CARLODai un'occhiata a questo thread:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/mente-e-cervello-una-complementarita-di-opposti/PAUL11Dove risiederebbe nel cervello il "comando volontario"?CARLOPer i dualisti-interazionisti la volontà non risiede nel cervello, ma nella mente.PAUL11Sappiamo che i vegetali agiscono attraverso ormoni (ad esempio reagiscono alla luce orientando durante il giorno la pagina fogliare affinchè la fotosintesi clorofilliana sia efficiente), oppure sanno che devono crescere verso l'alto (sempre un ormone presiede all'orientamento "gravitazionale) e sta "sulla punta" della pianta, albero, ecc.Se ritenessimo che gli animali non abbiano coscienza (oppure no...), sappiamo però che hanno una volontà, un comando ...................oppure no?CARLO
Credo che ormai nessuno neghi che gli
animali abbiano anch'essi ...un'
anima.
Citazione di: Phil il 21 Settembre 2018, 14:58:38 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
Innanzitutto respingo questa insinuazione malevola e del tutto evidentissimamente infondata per chiunque legga senza pregiudizi i miei interventi nel forum: nell' ipotesi monista materialistica non v' é proprio nulla di inaudito e spiazzante per il mio libero, spregiudicato pensiero alieno da qualsiasi deferenza verso più o meno pretese "venerande tradizioni" o "autorità costituite" ! ! !
Quando ho parlato di "inaudito e spiazzante" parlavo dell'ipotesi monista materialista o dell'ipotesi di accantonare la mente (che è così spiazzante da venir sempre fraintesa con il semplice materialismo)?
Rileggere attentamente per verificare la risposta ;)
CitazioneA pedisseque ripetizioni sono costretto a contrapporre pedisseque ripetizioni (che spero vengano rilette attentamente e verificate):
Inoltre tu pretendi di sottoporre a questa sorta di "preventiva sospensione del giudizio" la sola mente e non la materia, che invece ritieni "al di sopra di ogni dubbio", e questo da una parte evidenzia il tuo reale monismo materialistico (fra l' altro rilevato e approvato anche da altri monisti materialisti in questa stessa discussione), dall' altra é del tutto ingiustificato dal momento che l' evidenza della realtà dei fenomeni materiali é del tutto identica, altrettanto certa o dubitabile di quella dei fenomeni mentali: due pesi e due misure da parte tua rivelatori del tuo pregiudizio monistico materialistico proprio del senso comune e di una fetta decisamente non da poco della tradizione culturale occidentale.
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Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
A parte il fatto che casomai un "pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale)" é il monismo materialstico
Per pilastro della "filosofia della mente" intendevo, non il monismo materialistico (da cui non riesci proprio a separami, nonostante la marea di autocitazioni che me ne differenziano), bensì... la mente! Quel concetto di cui proponevo di sospendere precauzionalmente la certezza convenzionale d'esistenza, ricordi?
CitazioneSono costretto a ripetere che mettere in dubbio la mente e pretenderne di essere "dimostrata" e non la materia a casa mia si chiama "monismo materialistico".
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Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
Inoltre tu pretendi di sottoporre a questa sorta di "preventiva sospensione del giudizio" la sola mente e non la materia, che invece ritieni "al di sopra di ogni dubbio",
Sospensione non applicata alla materia? Controlliamo assieme:
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:59:09 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 15:50:44 PM
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2018, 14:36:28 PME perché non accantonare precauzionalmente anche il concetto di "materia", allora?
Perché
Citazione di: Phil il 20 Settembre 2018, 15:31:04 PM
Se accantono precauzionalmente il concetto di materia, nel momento in cui mi chiedo su cosa sono seduto, dopo ponderate e verificate ricerche, concluderò che una materia c'è, e potrò poi classificarla chiaramente ed empiricamente in: legno, ferro, plastica e altre componenti della sedia materiale.
Ovvero, dopo l'accantonamento precauzionale del concetto di materia, si arriva (piuttosto rapidamente e facilmente) a verificare l'evidenza che giustifica l'esistenza del referente di tale concetto (o almeno così mi pare :) ).
CitazioneTi h già risposto che allora, se non sei preda di un insuperabile pregiudizio monista materialista, a maggiore ragione della credenza provata della materia dovresti professare la credenza provata della mente: se accantoni precauzionalmente il concetto di mente , nel momento in cui pensi "su cosa sono seduto?" e concludi pensando, credendo che una materia c'é, allora, senza nemmeno bisogno di tante ponderate e verificate ricerche (ne bastano meno che per la materia!) concludi che la mente c' é, e potrai classificarla chiaramente ed empiricamente in "dubbio", "risposta al dubbio", "credenze varie" ed altre componenti del pensiero mentale. , ecc.
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Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:09:57 PM
[...] due pesi e due misure da parte tua rivelatori del tuo pregiudizio monistico materialistico proprio del senso comune e di una fetta decisamente non da poco della tradizione culturale occidentale.
Accetto serenamente, con buona pace di tutto quanto ho scritto e autocitato finora, che la mia proposta sia travisata in mero monismo materialista, ma che "una fetta decisamente non da poco della tradizione culturale occidentale"(cit.) escluda l'esistenza della mente (come suggeriva "qualcuno", per motivi di scetticismo metodologico) o ritenga la mente qualcosa di solo materiale, mi pare affermazione quantomeno audace, almeno se non si quantifica tale "fetta" (se non erro, le matrici principali della nostra cultura occidentale sono il cristianesimo, la filosofia greca, il cartesianesimo, l'idealismo, etc. la mente per loro è solo materia?).
CitazioneInvece a me appare evidentissimo: materialismo e scientismo non sono certo componenti della "nostra" cultura occidentale che abbiano qualcosa da invidiare, quanto a "peso ideologico" e acritico consenso di massa,al cristianesimo (che peraltro con me c' entra come i cavoli a merenda, malgrado le tue continue malevole insinuazioni).
Sul tuo monismo materialistico ti ho già risposto più volte.
Citazione di: Phil il 21 Settembre 2018, 15:12:39 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 13:46:11 PM
Stai scherzando? Se già "coscienza" non ha nulla a che vedere con neuroni, sinapsi, assoni, tessuti nervosi conduttori di micro-correnti elettriche, ecc.,
PHIL
Non sapevo fosse stato dimostrato...CARLO
Finché rimaniamo nell'ambito della problematica mente/cervello la parola "dimostrazione" è bandita sia per i monisti che per i dualisti e deve essere sostituita con "argomentazioni basate sull'osservazione".
Citazione da: Carlo Pierini - Oggi alle 13:46:11Citazionefiguriamoci cosa possa significare l'"inconscio" (per esempio come matrice di sogni o di pulsioni o di fantasie coatte estranee all'esperienza cosciente, di simboli religiosi, ecc.) dal punto di vista dei fenomeni bio-chimici!
Ribadisco la mia poca familiarità con l'inconscio, tuttavia se qualcuno mi dicesse che gli uomini di tutte le epoche e tutte le latitudini presentano degli archetipi comuni con cui interpretano la realtà, e mi spiegasse che il motivo di ciò è la comune connotazione (biologica, filogenetica, etc.) della specie umana, non lo prenderei per folle...CARLO
Se leggi i miei thread nel cui titolo compare la parola "archetipo", trovi un estratto (minimale) di ciò che fa al caso tuo.
Citazione da: Carlo Pierini - Oggi alle 13:46:11CitazioneE' l'incommensurabilità tra la natura degli eventi biochimici e quella degli eventi psichici l'indizio più solido a favore del dualismo.
... oppure tale incommensurabilità è ancora da accertare, a giudicare da come farmaci biochimici (o principi attivi naturali) influenzano la psiche (ma non sono troppo pratico nemmeno di questo (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif)
).CARLO
Siamo alle solite.
In attesa di un accertamento inconfutabile, la domanda è:
- quali indizi esistono a favore della commensurabilità tra mente e cervello (monismo)?
- quali indizi esistono a favore dell'incommensurabilità tra mente e cervello (dualismo)?Prova a rispondere e capirai da solo quanto il monismo poggi sulla fede in quella religione oggi tanto diffusa che si chiama "materialismo"
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:21:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 12:50:10 PM
CARLO
Hai mai provato l'esperienza di sobbalzare a causa di uno scoppio improvviso e inaspettato - nella quale è per te evidente l'assoluta involontarietà del sussulto del tuo corpo -, e poi l'esperienza di compiere lo stesso movimento volontariamente, cioè, come atto deliberato e intenzionale? Ecco, ti sembra un <<errato antropomorfismo>> interpretare il primo evento come un movimento autonomo del corpo - durante il quale la coscienza non svolge altro ruolo che quello di spettatrice passiva -, e di interpretare il secondo caso come un movimento causato, non più da un riflesso automatico del sistema nervoso, ma dalla decisione volontaria del tuo "io"?
Altrettanto potrebbe dirsi del cosiddetto "riflesso patellare" nel quale, ad uno stimolo di percussione sotto la rotula, il sistema nervoso reagisce autonomamente con un movimento di estensione della gamba. Anche in questo caso, ognuno di noi sa distinguere perfettamente il caso in cui l'estensione della gamba ha origine nel proprio corpo dal caso in cui, invece, esso ha origine in una decisione intenzionale della mente cosciente, del proprio "io"; ...e che dunque non si tratta di <<errato antropomorfismo>> distinguere nettamente i due casi.
Ecco: se, come sostieni tu, il nostro "io" (la nostra mente cosciente) non potesse mai interagire col corpo, sarebbe assolutamente impossibile persino pensare una tale distinzione tra atti volontari e atti involontari.
CitazioneSGIOMBO
Ma non c' entra con l'antropomorfismo indebito della tua affermazione "il mio corpo decide autonomamente di tirare un sasso: la materia non decide coscientemente e intenzionalmente proprio nulla,
CARLOE' quello che dico anch'io: il corpo materiale non decide proprio nulla, ma risponde alle decisioni della volontà cosciente.SGIOMBOla materia solo semplicemente diviene.CARLOParli del fato? Del destino? Il corpo fa quello che è scritto nel divenire, e la coscienza, dal suo mondo "parallelo", sta lì a guardare senza decidere nulla?Quello che scrivi giornalmente su questo NG è dettato dal destino? Dal divenire? Dal fato?Cit. SGIOMBO
Poiché io mi manifesto fenomenicamente agli altri soggetti in sé (come me) di esperienza cosciente come il mio corpo, e nel mondo fenomenico materiale esso ha commesso il misfatto e deve pagarne le conseguenze, nell'ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze".
Cit. CARLO
Ah, già, ...il "noumeno"! Facciamo un breve excursus sul significato di questo termine.
"Noumeno" deriva originariamente da "nous" che coincide più o meno con la "ragione eterna ordinatrice del mondo" (presocratici), con l'"intelletto divino" o "primo motore" aristotelico, ma anche col "demiurgo" o "iperuranio" o "cielo delle idee archetipiche" platonici e neoplatonici. Pertanto, il suo significato corrisponde essenzialmente con quello di "archetipo", di "idea originaria o modello metafisico della "cosa".
Cosicché esso è intelligibile proprio in virtù del fatto che, essendo modello della "cosa", l'intelletto può risalire ad esso attraverso la conoscenza dei "fenomeni" nei quali la cosa stessa si mostra all'osservazione e attraverso la riflessione razionale. Un po' come lo scienziato che, dall'osservazione dei fenomeni, risale (attraverso processi di astrazione) alle leggi che li governano e che non sono osservabili.
Poi arriva Kant, che, mutilando il concetto di noumeno nella sua accezione di "modello metafisico della cosa" e dandogli il nome di "cosa in sé", lo trasforma in una nullità epistemica, in un fonema-fantasma. Di esso, infatti, sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo assolutamente ciò che è: non-è la cosa, non-è fenomeno, non-è modello della cosa, non-ha alcuna relazione con l'esperienza, non-è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla".
CitazioneSGIOMBO
Il noumeno platonico che tanto ti piace é tutt' altra cosa, che col noumeno kantiano e con il noumeno come da me modestamente inteso nel mio piccolo c' entra come i cavoli a merenda.
CARLO
E' esattamente ciò che ho scritto io. Il noumeno per duemila anni ha significato sostanzialmente "modello della cosa". Poi arriva Kant che, arbitrariamente e senza alcuna argomentazione, impiega lo stesso termine per indicare qualcos'altro che equivale al concetto di "nulla". Ti sembra un'operazione filosoficamente onesta?Cit. CARLOPertanto, quando affermi che: <<nell'ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>, io posso apprezzare il tuo senso dell'humor, ma non ho altro modo di interpretare la tua battuta che questo: <<nell'ambito del nulla io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>.CitazioneSGIOMBO
Io invece non posso che apprezzare la tua incapacità di intendere il noumeno (come inteso da Kant e dalla mia modestissima persona), che ti fa scrivere cose ridicolissime, seppure involontariamente (senza alcun senso dell' humor).
CARLOEsatto. Del concetto di noumeno io ho capito "nulla". E tu? ...Tu non sai dirmi nulla di più?
@sgiomboVediamo se riassumo bene la divergenza:
- Propongo di sospendere l'uso di un concetto (quello di "mente") per ottenere un approccio differente ad alcuni problemi; interpreti tale
sospensione concettuale come evidente
monismo materialista (forse dando erroneamente per scontato che io preveda che tale analisi resti sempre "dentro" la materia, quando ho invece ammesso che
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
Se la mente è reale la troveremo alla fine della ricerca, ben definita e meno aleatoria;
O forse lo leggi come "materialismo" perché le analisi dovrebbero partire dalla materia e non dalla tradizione filosofica? Se è così, concordo.Tuttavia, se non escludo che la ricerca (in partenza senza "mente") possa approdare a qualunque risultato (non mi sono sbilanciato): materiale, immateriale, spirituale o altro, perchè "monismo"?- l'evidenza della materia
per me non è un circolo vizioso (per evidenza empirica), quella della mente, si: parto da un concetto ("mente") e poi uso la sua definizione per dimostrarlo. Esempio: definisco la mente come ciò che pensa, constato il pensiero, concludo che la mente esiste. Tuttavia ciò di cui ho evidenza (e di cui non posso dubitare) è il pensiero, non la mente.
La dimostrazione per assurdo conferma l'esistenza del pensiero (se nego di pensare, lo faccio pensando, quindi mi contraddico, quindi la tesi "non ho un pensiero" è falsa) ma non conferma quella della mente (nego di avere una mente... penso, rifletto, sogno, analizzo, e tutte questa capacità, seppur forse correlate, non necessitano,
fino a prova contraria, di un "contenitore concettuale" unico, infatti ognuna può essere identificata e analizzata autonomamente; dunque la tesi "nego di avere una mente" non viene falsificata da fatti e osservazioni, non contraddicendo la realtà). Questo per me.
Per te la mente è invece empiricamente evidente, certa come è certa la materia, senza nessuna dipendenza dalla tradizione che te ne ha parlato, quindi non c'è nulla da dimostrare.
Neghi che sia possibile un approccio differente con un paradigma in cui la categoria "mente" è assente?
Se fosse, non sarebbe nulla di scandaloso, lo fanno (quasi) tutti (vox populi, tradizione, forumisti, etc.); magari mi perdonerai se non condivido le tue "evidenze" della mente, me resto un po' più scettico e critico in merito.P.s.
Se dico che
anche il cristianesimo è alla base della nostra cultura occidentale (non proprio una bizzarra idea solo mia) e tu la leggi come una "malevola insinuazione" su di te, inizio a intuire come mai non ci capiamo...
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 15:55:22 PM
Siamo alle solite.
In attesa di un accertamento inconfutabile, la domanda è:
- quali indizi esistono a favore della commensurabilità tra mente e cervello (monismo)?
- quali indizi esistono a favore dell'incommensurabilità tra mente e cervello (dualismo)?
Prova a rispondere e capirai da solo quanto il monismo poggi sulla fede in quella religione oggi tanto diffusa che si chiama "materialismo"
Purtroppo il "censimento degli indizi" è fallimentare in partenza: credo di aver (di)mostrato che l'interpretazione degli indizi non è sempre univoca: quello che qualcuno metterebbe su una lista, l'altro metterebbe nell'altra; come per la suddetta "incommensurabilità" fra chimica e psiche: per te è "solido indizio a favore del dualismo"(cit.), per me, che non me la sento di negare l'influenza della chimica sulla psiche (v. farmaci e altro), è più un indizio pro-monismo...
Esempio: definisco la mente come ciò che pensa, constato il pensiero, concludo che la mente esiste. Tuttavia ciò di cui ho evidenza (e di cui non posso dubitare) è il pensiero, non la mente.
Mi sembra che stai dimenticando che la "mente" è anche l'osservatrice del pensiero, ossia la consapevolezza del pensare, che non è un altro pensiero. E' un'evidenza degli stati meditativi profondi, quando si osserva il pensiero sorgere e svanire in continuazione mentre la consapevolezza resta salda...Pertanto non si può 'ridurre' la mente al pensiero, nè alla sola coscienza ( qui uso il termine coscienza nell'accezione classica della filosofia indiana, cioè come semplice consapevolezza non discorsiva...), né agli stati mentali, né al solo inconscio, né come semplice organo di senso (ciò che "sente"). E' anche tutto questo, ma è anche di più di questo (spazio , vacuità,accumulatore, serbatoio di immagini senza fine, ecc.).
Per questo all'inizio ho definito "mente" come semplice termine convenzionale. E' una convenzione per definire qualcosa di indefinibile ma che ci è più "prossimo" di qualunque altra cosa e certamente più della materia, che la 'mente' usa per costruire i suoi "mondi" dentro i quali tutti noi viviamo, e discorriamo, e disputiamo, e verifichiamo, e creiamo e dimostriamo, ecc... tutto passa attraverso la "mente". La Bellezza di un tramonto la vede solo la mente, l'armonia di una musica la percepisce solo la mente e così via..."là fuori" non c'è nulla di tutto questo, per questo si dice che la mente precede le cose, le domina e le crea...
Ora tu obietterai che non è dimostrabile che la bellezza, l'armonia, ecc. non siano solo effetti della materia. E qui torna il discorso sull'incommensurabilità e sulla diversità costitutiva...e certo non potrai negare che , con simili obiezioni, non puoi certo stupirti se rientri ( o ti ci facciamo rientrare...) a pieno diritto nei monisti materialisti... :)
A questo punto però si profila, come ha già giustamente rilevato A.Pierini, l'aspetto di una fede. Infatti tu proponi sostanzialmente di aspettare che la scienza sicuramente lo dimostrerà...ma anche un testimone di Geova (solo per esempio non si offenda nessuno...) ti propone di aspettare che sicuramente vedrai l'avvento del Regno... ;)
A proposito: vista la mia poca o nulla passione per le materie scientifiche e la mia non sempre assoluta fiducia a riguardo, temo che finiremmo solo per litigare, sulla riva di quel fiume... ;D ;D
SGIOMBO
Comunque mi sembra che Eccles identifichi indebitamente la mente immateriale secondo lui dotata di libero arbitrio (=diveniente in maniera casuale, caotica)
CARLO
Eccles non mette in discussione il regime deterministico che governa la materia, ma lo ritiene circoscritto al solo mondo fisico e non estendibile agli eventi mentali, se non in quella forma particolare che sono i condizionamenti esercitati sulla mente dagli istinti biologici, dagli stimoli dei sensi, dalle patologie organiche, ecc.. Condizionamenti che, tuttavia, non cancellano del tutto la possibilità di scelte libere e non-condizionate della coscienza.
Pertanto non capisco su cosa si basa la tua idea secondo cui <<libero arbitrio = casualità= caos>>. La libera elaborazione di una nuova poesia, la composizione di un nuovo brano musicale o di un'opera d'arte plastica credi siano il frutto della casualità o della caoticità della mente? La tua teoria dualista è costruita su un aggregato di idee casuali?
Insomma, l'alternativa al determinismo mentale non è necessariamente la casualità o il caos, nemmeno nei casi più disperati di squilibrio psichico, ma può essere quell'insieme di finalismo, di creatività e di condizionamenti (presenti in proporzioni diverse in ognuno di noi) che esprimono gradi diversi libertà.
SGIOMBO
...Una mente interferente, sempre secondo Eccles, con la materia fisica con le "variabili nascoste" delle interpretazioni "deterministiche ontologiche-indeterministiche epistemologiche" della meccanica quantistica.
Indebitamente, appunto, per il fatto che queste variabili nascoste non possono che essere deterministiche e non casuali
CARLO
Non necessariamente. Una libera intenzione volontaria può trasmettersi come "campo quantico di probabilità", cioè, come variazione repentina di probabilità di un evento neuronale spontaneo, cioè ancora, può trasformarsi in un 100% di probabilità di innesco di una catena causale totalmente bio-fisica, senza alcun apporto di energia o di materia "dal di fuori" del mondo fisico.
Capisco che ciò possa sembrare strano; ma se conosci, per esempio, il problema del dualismo onda-particella della luce, o quello riguardante il famoso "esperimento delle due fenditure", sai bene che di fronte ai fatti ci dobbiamo arrendere anche se, come in questi casi, essi sembrano contraddire la nostra ordinaria concezione del mondo.
SGIOMBO
E in generale non vedo come alcun flusso di informazioni potrebbe avvenire se non attraverso un qualche supporto materiale, consumando (o meglio trasformando, "degradando") energia (incrementando l'entropia del sistema di appartenenza), come potrebbe eludere il II° principio della termodinamica.
CARLO
Nemmeno io riesco a <<vedere come>> sia possibile che un raggio di luce sia nello stesso tempo onda e particella; ma i fatti ci obbligano a pensarlo e ci invitano a rivedere i nostri concetti di "onda" e di "particella".
Tuttavia, io e te non siamo gli unici "sciocchi" che non capiscono la meccanica quantistica. Scrivono illustri scienziati:
<<Credo di poter dire con sicurezza che nessuno (...) comprende la meccanica quantistica. (...) Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l'avete capita>>. (RICHARD FEYNMAN)
<<Non mi fu risparmiato lo shock che ogni fisico abituato al modo di pensare classico subiva quando sentiva parlare per la prima volta il postulato fondamentale della teoria quantistica di Bohr>>. (WOLFGANG PAULI)
<<Espressioni come "la natura corpuscolare della luce" o "la natura ondulatoria degli elettroni" sono ambigue, perché i concetti di corpuscolo e di onda sono ben definiti solamente in fisica classica, nel cui ambito ovviamente luce ed elettroni sono, rispettivamente, onde elettromagnetiche e corpuscoli materiali>>. (NIELS BOHR)
<<Se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica!>>. (ERWIN SCHRÖDINGER)
<<Riassumendo, allora, il potenziale quantistico è in grado di costituire una connessione non locale [una connessione nell'universo che è più rapida della velocità della luce, in violazione della teoria di Einstein della relatività generale, che afferma che nulla può andare più veloce della velocità della luce], dipendendo direttamente dallo stato del tutto, in un modo che non è riducibile a un preassegnato rapporto tra le parti. Non solo determina un'attività organizzata e coordinata di interi insiemi di particelle, ma determina anche quale sottoinsieme relativamente indipendente, nel caso, ci può essere all'interno di un tutto più grande. (DAVID BOHM)
<<La fisica quantistica ha reso maturi i tempi per un cambiamento (...). Il collasso della funzione d'onda esibisce le stesse caratteristiche di scelta e determinazione della realtà attribuite alla COSCIENZA>>. (PIERGIORGIO ODIFREDDI)
Citazione di: Phil il 21 Settembre 2018, 20:34:57 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 15:55:22 PM
Siamo alle solite.
In attesa di un accertamento inconfutabile, la domanda è:
- quali indizi esistono a favore della commensurabilità tra mente e cervello (monismo)?
- quali indizi esistono a favore dell'incommensurabilità tra mente e cervello (dualismo)?
Prova a rispondere e capirai da solo quanto il monismo poggi sulla fede in quella religione oggi tanto diffusa che si chiama "materialismo"
PHIL
Purtroppo il "censimento degli indizi" è fallimentare in partenza: credo di aver (di)mostrato che l'interpretazione degli indizi non è sempre univoca: quello che qualcuno metterebbe su una lista, l'altro metterebbe nell'altra; come per la suddetta "incommensurabilità" fra chimica e psiche: per te è "solido indizio a favore del dualismo"(cit.), per me, che non me la sento di negare l'influenza della chimica sulla psiche (v. farmaci e altro), è più un indizio pro-monismo...
CARLO
Infatti il dualismo-interazionismo si chiama così proprio perché contempla non solo l'azione della psiche sul corpo/cervello, ma anche l'azione opposta. Ed è anche per questo che respingo fermamente la teoria dualista "parallelista" di Sgiombo. A me sembra che essa si adatti agli zombies, non agli esseri umani reali.
Insomma, ciò su cui vorrei ancora metterti in guardia è di non cadere nel classico errore della maggioranza degli scienziati materialisti di credere che il monismo debba essere considerato valido finché non si dimostri scientificamente il contrario. Perché, come ho già accennato: 1 - la tesi monista non è scientifica; 2 - perché non è valida finché non sia dimostrata. Se è pur vero che la teoria monista è nata prima della dualista, ciò non costituisce alcun privilegio da un punto di vista epistemico.
Pertanto se affermi la commensurabilità mente-corpo devi quantomeno spiegarne i motivi e non affidarti esclusivamente al dogma fideistico. E così vale per l'incommensurabilità.
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 17:07:35 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 14:21:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 12:50:10 PM
CitazioneSGIOMBO
Ma non c' entra con l'antropomorfismo indebito della tua affermazione "il mio corpo decide autonomamente di tirare un sasso: la materia non decide coscientemente e intenzionalmente proprio nulla,
CARLO
E' quello che dico anch'io: il corpo materiale non decide proprio nulla, ma risponde alle decisioni della volontà cosciente.
Sgiombo:
Impossibile per la chiusura causale del mondo fisico.
Comunque "il mio corpo decide autonomamente di lanciare un sasso" é un' errato antropomorfismo.
SGIOMBO
la materia solo semplicemente diviene.
CARLO
Parli del fato? Del destino?
Il corpo fa quello che è scritto nel divenire, e la coscienza, dal suo mondo "parallelo", sta lì a guardare senza decidere nulla?
Quello che scrivi giornalmente su questo NG è dettato dal destino? Dal divenire? Dal fato?
Sgiombo:
Parlo del divenire naturale.
CitazioneSGIOMBO
Il noumeno platonico che tanto ti piace é tutt' altra cosa, che col noumeno kantiano e con il noumeno come da me modestamente inteso nel mio piccolo c' entra come i cavoli a merenda.
CARLO
E' esattamente ciò che ho scritto io. Il noumeno per duemila anni ha significato sostanzialmente "modello della cosa". Poi arriva Kant che, arbitrariamente e senza alcuna argomentazione, impiega lo stesso termine per indicare qualcos'altro che equivale al concetto di "nulla". Ti sembra un'operazione filosoficamente onesta?
Sgiombo:
Se permetti Kant ha introdotto e trattato (con dovizia di argomentazioni) i suoi concetti senza alcun dovere di chiedere il permesso a Platone o a chiunque altro.
Cit. CARLO
Pertanto, quando affermi che: <<nell'ambito del noumeno io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>, io posso apprezzare il tuo senso dell'humor, ma non ho altro modo di interpretare la tua battuta che questo: <<nell'ambito del nulla io mi trovo nelle condizioni corrispondenti a tale "pagamento delle conseguenze">>.
CitazioneSGIOMBO
Io invece non posso che apprezzare la tua incapacità di intendere il noumeno (come inteso da Kant e dalla mia modestissima persona), che ti fa scrivere cose ridicolissime, seppure involontariamente (senza alcun senso dell' humor).
CARLO
Esatto. Del concetto di noumeno io ho capito "nulla". E tu? ...Tu non sai dirmi nulla di più?
CitazioneSgiombo:
In italiano (dove due negazioni non sempre e necessariamente affermano) si dice che non hai cpito nulla.
Del poco che si può sapere del noumeno ho già scritto tantissime volte in questo forum e non ho alcuna intenzione di ripetermi ancora: hai solo l' imbarazzo della scelta se vuoi leggerlo.
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 21:12:54 PM
Pertanto non si può 'ridurre' la mente al pensiero, nè alla sola coscienza ( qui uso il termine coscienza nell'accezione classica della filosofia indiana, cioè come semplice consapevolezza non discorsiva...), né agli stati mentali, né al solo inconscio, né come semplice organo di senso (ciò che "sente"). E' anche tutto questo, ma è anche di più di questo (spazio , vacuità,accumulatore, serbatoio di immagini senza fine, ecc.).
Non volevo certo ridurre la mente a mero pensiero (infatti scrissi "
esempio:..." per non dover fare la lista di ciò che è associato alla "mente").
La mente
è tutte queste cose, o siamo noi a definirla così? Mi fido dei vocabolari e della Treccani, per carità, ma non tutto ciò che è definito esiste realmente, giusto?
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 21:12:54 PM
La Bellezza di un tramonto la vede solo la mente, l'armonia di una musica la percepisce solo la mente e così via...
Se non erro (non sono esperto di neuroestetica), ciò che viene identificato come "bello" innesca alcune aree del cervello, il cui attivarsi viene vissuto in prima persona dal soggetto come esperienza del sentimento del bello (
sgiombo avrà le sue precisazioni da fare qui, tuttavia lo invito a mandare una
mail a coloro che studiano neuroestetica, io sono l'ultimo che può dargli spiegazioni in merito ;) ).
Perché il tramonto e la musica armonica sono generalmente "belli"? Da profano: il tramonto è una questione di colori e campo visivo, la musica, appunto, di precisi rapporti armonici fra suoni; ma se qualcuno dice che sono doni del signore, o briciole di magia, o echi del nostro pianeta natale su un altro sistema solare, non lo biasimo
a priori (e non sono sarcastico, perché nel mio piccolo non saprei dimostrare il contrario...).
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 21:12:54 PM
non siano solo effetti della materia. E qui torna il discorso sull'incommensurabilità e sulla diversità costitutiva...e certo non potrai negare che , con simili obiezioni, non puoi certo stupirti se rientri ( o ti ci facciamo rientrare...) a pieno diritto nei monisti materialisti... :)
[...] Infatti tu proponi sostanzialmente di aspettare che la scienza sicuramente lo dimostrerà...
Ma no! Perché "sicuramente"? Scrivo proprio in modo così oscuro e incomprensibile? ;D
Ho solo proposto di darle l'incarico e, ripeto, ciò che si troverà alla fine della ricerca,
se si trova qualcosa,
non deve essere,
secondo me, per forza materia, pur partendo dalla materia.
Ribadisco che simpatizzo molto per il monismo materialista (ma non posso escludere che ci sia qualcosa di immateriale: per ora, è infalsificabile!), tuttavia in questa discussione (a parte l'ultimo post con Carlo) è irrilevante, perché propongo (nei post con te e
sgiombo) solo di sospendere il concetto di "mente",
non di ridurla a materia (la testiera inizia a guardarmi male... ormai anche lei l'ha quasi capito, pur non avendo una mente ;D).
A proposito, solo l''uomo ha una mente? La mente è propria dell'uomo in quanto creatura prescelta dagli dei?
Se invece è una questione "laica" di specie e livello evolutivo, attenzione, perché a sconfinare nel materialismo è un attimo... ;)
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 21:12:54 PM
A proposito: vista la mia poca o nulla passione per le materie scientifiche e la mia non sempre assoluta fiducia a riguardo, temo che finiremmo solo per litigare, sulla riva di quel fiume... ;D ;D
Questo è il
bello del fiume: ha sempre due rive...
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 21:12:54 PM
Pertanto non si può 'ridurre' la mente al pensiero, nè alla sola coscienza ( qui uso il termine coscienza nell'accezione classica della filosofia indiana, cioè come semplice consapevolezza non discorsiva...), né agli stati mentali, né al solo inconscio, né come semplice organo di senso (ciò che "sente"). E' anche tutto questo, ma è anche di più di questo (spazio , vacuità,accumulatore, serbatoio di immagini senza fine, ecc.).
CARLOProbabilmente non sai che esiste una concezione per così dire materialista dell'inconscio (Freud, Adler, ecc.) e la concezione junghiana che lo configura come trait-d'union con la dimensione Trascendente. Infatti Jung vede nel "Sé" il centro della totalità psico-corporale negli stessi termini in cui le Upanishad considerano il Sé come l'atman personale e come immagine originaria del Brahman sovrapersonale:"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio assoluto, al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]
"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
Per sottolineare il parallelismo tra il suo concetto di Sé e quello orientale, cita il seguente passo in "Tipi psicologici" (pg. 218):
«Quel lume celeste che splende al di sopra di noi, che brilla di là di tutte le cose, di là dall'universo, nei mondi superiori oltre ai quali non v'è più nulla, questa luce è senza dubbio quella stessa luce che irraggia dentro l'uomo. (...) Esso è il Sé nell'intimo, è la mia anima; in esso, in quest'anima, io penetrerò al momento del trapasso». (Satapatha-Brahmanam, 10,6,3)
PHIL
Ribadisco che simpatizzo molto per il monismo materialista (ma non posso escludere che ci sia qualcosa di immateriale: per ora, è infalsificabile!),
CARLO
Spero che tu ricordi che anche la tesi monista è infalsificabile. :)
Citazione di: Phil il 21 Settembre 2018, 20:28:24 PM
@sgiombo
Vediamo se riassumo bene la divergenza:
- Propongo di sospendere l'uso di un concetto (quello di "mente") per ottenere un approccio differente ad alcuni problemi; interpreti tale sospensione concettuale come evidente monismo materialista (forse dando erroneamente per scontato che io preveda che tale analisi resti sempre "dentro" la materia, quando ho invece ammesso che
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
Se la mente è reale la troveremo alla fine della ricerca, ben definita e meno aleatoria;
O forse lo leggi come "materialismo" perché le analisi dovrebbero partire dalla materia e non dalla tradizione filosofica? Se è così, concordo.
Tuttavia, se non escludo che la ricerca (in partenza senza "mente") possa approdare a qualunque risultato (non mi sono sbilanciato): materiale, immateriale, spirituale o altro, perchè "monismo"?
CitazioneLo leggo come un lanciare il sasso (monistico materialistico) e ritirare la mano, ovvero come un continuo ripiegare dopo le argomentazioni che negano il monismo materialistico per tentare di rilanciarlo comunque irrazionalisticamente ad ogni costo:
Nel tuo primo intervento in questa discussione (#30) affermi:
"Il materialismo potrebbe essere sufficiente a spiegare i fenomeni mentali; di sicuro è almeno necessario: la tesi che esistano menti/anime/spiriti/x indipendenti dall'ancoraggio materiale, non è falsificabile, quindi esula dall'ambito scientifico e dalla spiegazione, indirizzandosi piuttosto verso l'interpretazione e il folklore (non in senso dispregiativo, ma inteso come cultura di appartenenza).
La (già citata) "chiusura causale del mondo fisico" non necessita (tauto)logicamente dell'immateriale, anzi l'immateriale porrebbe il problema di come esso influenzi ed interagisca con la materia (compromettendone la suddetta chiusura); questione che ha mille risposte plausibili, sebbene tutte epistemologicamente un po' traballanti, in quanto richiedono di postulare ciò che poi utilizzano come soluzione esplicativa dei fenomeni percepiti, in un circolo vizioso caro al pensiero spirituale (almeno europeo)"
che a me sembra un' evidente negazione (anche se un po' contorta e "pelosa") della realtà della mente e affermazione del monismo materialistico; ma poi proponi di "provare a verificare se davvero "il materialismo basta", senza presupporre a priori che ci sia una mente immateriale".
Ovvero metti in dubbio la mente, non riuscendo a dimostrarla irreale; ma non la materia, la cui certezza e/o dubitabilità é esattamente tale e quale a quella della mente: ergo: la dai per certa (non dubitare == credere con certezza).
Ma poi, quando ti si fa notare quanto sopra ("assoluta parità" di materia e mente quanto a "dubitabilità"), che non puoi negare, ammetti di mettere in dubbio anche la materia, ma solo per concluderne che il dubbio per essa é immediatamente superato e negando l' evidenza del fatti che nello steso momento (in cui per superare il dubbio sulla materia pensi: "su cosa sono seduto?") é immediatamente superato anche il dubbio sulla mente.
- l'evidenza della materia per me non è un circolo vizioso (per evidenza empirica), quella della mente, si: parto da un concetto ("mente") e poi uso la sua definizione per dimostrarlo. Esempio: definisco la mente come ciò che pensa, constato il pensiero, concludo che la mente esiste. Tuttavia ciò di cui ho evidenza (e di cui non posso dubitare) è il pensiero, non la mente.
CitazioneFalso: la mente é evidenza empirica per lo meno quanto la materia.
Non é un circolo vizioso affermare l' esistenza della materia del tutto esattamente come non lo é affermare l' esistenza della mente.
Il pensiero é un caso particolare della mente esattamente allo stesso modo in cui il legno della sedia su cui siedi é un caso particolare della materia: se per assurdo (ammesso e non concesso) la realtà del pensiero non dimostrasse la realtà della mente, allora, esattamente nello stesso identico modo la realtà del legno della sedia su cui siedi non dimostrerebbe la realtà della materia.
La dimostrazione per assurdo conferma l'esistenza del pensiero (se nego di pensare, lo faccio pensando, quindi mi contraddico, quindi la tesi "non ho un pensiero" è falsa) ma non conferma quella della mente (nego di avere una mente... penso, rifletto, sogno, analizzo, e tutte questa capacità, seppur forse correlate, non necessitano, fino a prova contraria, di un "contenitore concettuale" unico, infatti ognuna può essere identificata e analizzata autonomamente; dunque la tesi "nego di avere una mente" non viene falsificata da fatti e osservazioni, non contraddicendo la realtà). Questo per me.
CitazioneCome dire: nego che esista la materia: esiste il ferro, il legno, la plastica, la pietra, ecc. e tutte queste cose seppur forse correlate, non necessitano, fino a prova contraria, di un "contenitore concettuale" unico, infatti ognuna può essere identificata e analizzata autonomamente; dunque la tesi "nego che esista la materia" non viene falsificata da fatti e osservazioni, non contraddicendo la realtà).
Un perfetto esercizio di coltivazione ostinata e indefessa di un pregiudizio a dispetto di qualsiasi evidenza, non c' é che dire!
Per te la mente è invece empiricamente evidente, certa come è certa la materia, senza nessuna dipendenza dalla tradizione che te ne ha parlato, quindi non c'è nulla da dimostrare.
CitazioneInfatti; e il discorso vale esattamente nello stesso, identico, medesimo modo anche per la materia.
Neghi che sia possibile un approccio differente con un paradigma in cui la categoria "mente" è assente? Se fosse, non sarebbe nulla di scandaloso, lo fanno (quasi) tutti (vox populi, tradizione, forumisti, etc.); magari mi perdonerai se non condivido le tue "evidenze" della mente, me resto un po' più scettico e critico in merito.
CitazioneNeghi che sia possibile un approccio differente dal tuo, con un paradigma in cui la categoria "mente" è é altrettanto presente di quella di "materia"? Se fosse, non sarebbe nulla di scandaloso, lo fanno (quasi) tutti (vox populi, tradizione, forumisti, etc.); magari mi perdonerai se non condivido le tue "evidenze" della sola materia e non della mente, ma non pretendo di affermare falsamente una pretesa maggior dubitabilità della mente rispetto alla materia.
P.s.
Se dico che anche il cristianesimo è alla base della nostra cultura occidentale (non proprio una bizzarra idea solo mia) e tu la leggi come una "malevola insinuazione" su di te, inizio a intuire come mai non ci capiamo...
CitazioneFino a prova contraria ti rivolgi (indebitamente ! ! ! E malignamente) a me quando scrivi (#101):
"Capisco bene che mettere in discussione l'esistenza del pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale) può essere inaudito e spiazzante, ma è uno sforzo teoretico sicuramente possibile (se si evita di ricondurre forzatamente ogni proposta insolita ad "ismi" già classificati e stereotipati (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ).
(Spero tu non abbia sorelle, e comunque quella di cui sto per parlare è meramente metaforica):
Mettere in discussione l'esistenza del pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale) sarà casomai inaudito e spiazzante per tua sorella!
E a non riuscire ad evitare di ricondurre forzatamente ogni proposta insolita ad "ismi" già classificati e stereotipati sarà casomai tua sorella!
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 22:28:34 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 17:07:35 PMCARLO
Esatto. Del concetto di noumeno io ho capito "nulla". E tu? ...Tu non sai dirmi nulla di più?
CitazioneSgiombo:
In italiano (dove due negazioni non sempre e necessariamente affermano) si dice che non hai cpito nulla.
Del poco che si può sapere del noumeno ho già scritto tantissime volte in questo forum e non ho alcuna intenzione di ripetermi ancora: hai solo l' imbarazzo della scelta se vuoi leggerlo.
CARLO
Io ti ho dato una definizione sintetica di cosa intendo per noumeno. Tu puoi fare altrettanto?
ringrazio delle risposte Sgiombo e Carlo Pierini.
Finalmente penso di aver capito abbastanza la teoria di Sgiombo ,dopo anni .
A mio modestissssssssimo parere, avete tutti ragione, partecipanti all discussione, perchè non sono ad oggi dimostrabili "ponti" fondamentali ed essenziali di come possano agire due domini tautologici,quindi evidenti,quindi ontologici, ma indimostrabili:materia cone le sue energie e forze fondamentali d'interazione, e dall'altra il pensiero, la mente, la psiche, l'emozione.
Sappiamo che tutto ciò "è" ma non sappiamo "dimostrativamente" come si relazionano, quindi valgono tutte le ipotesi che riescano a mantenere una coerenza interna logica fondata sul ciò che appunto ad oggi è scientificamente dimostrato.
Se al posto del noumeno kantiano ci mettessi l'anima, non cambierebbe il mistero(che è un ?) di come possano o non possano interagire, o come dice Sgiombo avere correlazioni biunivoche.Intelligentemente a mio parere Sgiombo utilizza questi ultimi termini, che non sono fisici, ma logico-matematici, vale a a dire del dominio della mente.Proprio perchè se un materialista non "vede" al microscopio e non è possible dimostrare che nella materia , nei neuroni, sinapsi, assoni, ecc , vi siano i pensieri, o diventa un fisicalista riduzionista e nega la mente e coscienza, oppure se accetta la mente e la coscienza deve separare i due domini.
cit. Phil:
Non volevo certo ridurre la mente a mero pensiero (infatti scrissi "esempio:..." per non dover fare la lista di ciò che è associato alla "mente").
La mente è tutte queste cose, o siamo noi a definirla così? Mi fido dei vocabolari e della Treccani, per carità, ma non tutto ciò che è definito esiste realmente, giusto?
Allora concordi con me che è indefinibile.
Se non erro (non sono esperto di neuroestetica), ciò che viene identificato come "bello" innesca alcune aree del cervello, il cui attivarsi viene vissuto in prima persona dal soggetto come esperienza del sentimento del bello (sgiombo avrà le sue precisazioni da fare qui, tuttavia lo invito a mandare una mail a coloro che studiano neuroestetica, io sono l'ultimo che può dargli spiegazioni in merito (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ).
O è la mente che innesca queste aree del cervello e le attiva?...
Perché il tramonto e la musica armonica sono generalmente "belli"? Da profano: il tramonto è una questione di colori e campo visivo, la musica, appunto, di precisi rapporti armonici fra suoni; ma se qualcuno dice che sono doni del signore, o briciole di magia, o echi del nostro pianeta natale su un altro sistema solare, non lo biasimo a priori (e non sono sarcastico, perché nel mio piccolo non saprei dimostrare il contrario...).
Se non lo si può dimostrare non è il caso di'disprezzare' altrui interpretazioni (seppur con classe...). Tu non vuoi essere definito, come monista materialista o in altro modo, ma tutti i tuoi ragionamenti fanno intendere che sempre in quella direzione vuoi andare...e' come se un pastore rifiutasse di esser definito pastore...mentre, dietro di lui, tutto il gregge lo sta seguendo ;D
Ho solo proposto di darle l'incarico e, ripeto, ciò che si troverà alla fine della ricerca, se si trova qualcosa, non deve essere, secondo me, per forza materia, pur partendo dalla materia.
Purchè tutta la ricerca non sia svolta partendo da un pregiudizio materialista ( e da qui solitamente si parte...). Sai, di solito la "mente" mente quando vuol trovare conferme a ciò in cui crede a prescindere...
propongo (nei post con te e sgiombo) solo di sospendere il concetto di "mente", non di ridurla a materia (la testiera inizia a guardarmi male... ormai anche lei l'ha quasi capito, pur non avendo una mente
ma il concetto di "mente" è funzionale al parlarne, non implica la definizione esatta di cos'è o non è la mente. Se lo uso non significa affatto che ho già dato una definizione esatta, definitiva e neppure che ho invocato Dio o il mago Zurlì a sostegno della mia tesi...
Posso parlare del fegato sospendendo il concetto di "fegato"? Verrebbe troppo lungo e noioso cominciare a definirlo:sai quella cosa che secerne succhi che poi passano nello stomaco, che sembrano verdi,ecc. Similmente dovrei dire: sai quella che pensa e a volte non pensa, che si emoziona, che sogna, che ha paura...
Come faccio a sospendere il concetto di "mente" che è un'"insieme" di proprietà e qualità?
E' questo il punto che non hai chiarito ed è per questo che la tastiera sta cominciando a guardarti male... :)
A proposito, solo l''uomo ha una mente? La mente è propria dell'uomo in quanto creatura prescelta dagli dei?
Se invece è una questione "laica" di specie e livello evolutivo, attenzione, perché a sconfinare nel materialismo è un attimo...
Non posso dire, e credo nessuno possa dirlo con sicurezza, che forme-non forme la "mente" assuma negli altri esseri senzienti. Sparerei solamente a casaccio, in base al sentimento interiore. Se vado a "empatia", per esempio, mi viene spontaneo dire che la mente è presente in tutti gli esseri senzienti e che soffrono e questo lo sostiene anche il Dharma buddhista ( che io , non essendo pastore, affermo senza problemi di seguire, nei miei limiti...).
Non credo che l'elemento coscienza, nella mente, segua dei livelli evolutivi. Tieni sempre presente la precedente precisazione del come intendo il termine "coscienza", cioè pura consapevolezza non discorsiva.
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 21:38:24 PM
SGIOMBO
Comunque mi sembra che Eccles identifichi indebitamente la mente immateriale secondo lui dotata di libero arbitrio (=diveniente in maniera casuale, caotica)
CARLO
Eccles non mette in discussione il regime deterministico che governa la materia, ma lo ritiene circoscritto al solo mondo fisico e non estendibile agli eventi mentali, se non in quella forma particolare che sono i condizionamenti esercitati sulla mente dagli istinti biologici, dagli stimoli dei sensi, dalle patologie organiche, ecc.. Condizionamenti che, tuttavia, non cancellano del tutto la possibilità di scelte libere e non-condizionate della coscienza.
CitazioneSGIOMBO:
Appunto, come volevasi dimostrare.
CARLO:
Pertanto non capisco su cosa si basa la tua idea secondo cui <<libero arbitrio = casualità= caos>>. La libera elaborazione di una nuova poesia, la composizione di un nuovo brano musicale o di un'opera d'arte plastica credi siano il frutto della casualità o della caoticità della mente? La tua teoria dualista è costruita su un aggregato di idee casuali?
Insomma, l'alternativa al determinismo mentale non è necessariamente la casualità o il caos, nemmeno nei casi più disperati di squilibrio psichico, ma può essere quell'insieme di finalismo, di creatività e di condizionamenti (presenti in proporzioni diverse in ognuno di noi) che esprimono gradi diversi libertà.
CitazioneSGIOMBO:
Tertium non datur fra casualità (="libertà da condizionamenti intrinseci") e determinismo (il probabilismo, considerabile tanto un determinismo debole quanto un casualismo debole a seconda dei gusti, non é che casualismo dei singoli eventi e determinismo delle proporzioni fra i singoli eventi in numeri sufficientemente elevati di casi).
SGIOMBO
...Una mente interferente, sempre secondo Eccles, con la materia fisica con le "variabili nascoste" delle interpretazioni "deterministiche ontologiche-indeterministiche epistemologiche" della meccanica quantistica.
Indebitamente, appunto, per il fatto che queste variabili nascoste non possono che essere deterministiche e non casuali
CARLO
Non necessariamente. Una libera intenzione volontaria può trasmettersi come "campo quantico di probabilità", cioè, come variazione repentina di probabilità di un evento neuronale spontaneo, cioè ancora, può trasformarsi in un 100% di probabilità di innesco di una catena causale totalmente bio-fisica, senza alcun apporto di energia o di materia "dal di fuori" del mondo fisico.
Capisco che ciò possa sembrare strano; ma se conosci, per esempio, il problema del dualismo onda-particella della luce, o quello riguardante il famoso "esperimento delle due fenditure", sai bene che di fronte ai fatti ci dobbiamo arrendere anche se, come in questi casi, essi sembrano contraddire la nostra ordinaria concezione del mondo.
CitazioneSGIOMBO:
= Le variabili nascoste (appunto, come volevasi dimostrare).
Ciò di cui parli lo conosco abbastanza bene e a mio parere, se correttamente inteso, non contraddice affatto la nostra ordinaria concezione del mondo.
SGIOMBO
E in generale non vedo come alcun flusso di informazioni potrebbe avvenire se non attraverso un qualche supporto materiale, consumando (o meglio trasformando, "degradando") energia (incrementando l'entropia del sistema di appartenenza), come potrebbe eludere il II° principio della termodinamica.
CARLO
Nemmeno io riesco a <<vedere come>> sia possibile che un raggio di luce sia nello stesso tempo onda e particella
CitazioneSGIOMBO:
Io invece riesco a vedere benissimo come la luce possa comportarsi in certe determinate occasioni come un' onda e in certe altre determinate occasioni (e non affatto contraddttoriamente "nello stesso tempo", ovvero in ciascun determinato tipo di occasioni) come una particella.
;CARLO:
ma i fatti ci obbligano a pensarlo e ci invitano a rivedere i nostri concetti di "onda" e di "particella".
CitazioneSGIOMBO:
Balle!
(vedi appena qui sopra).
CARLO:
Tuttavia, io e te non siamo gli unici "sciocchi" che non capiscono la meccanica quantistica. Scrivono illustri scienziati:
<<Credo di poter dire con sicurezza che nessuno (...) comprende la meccanica quantistica. (...) Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l'avete capita>>. (RICHARD FEYNMAN)
CitazioneSGIOMBO:
Invece Schroedinger, de Broglie e tanti altri scienziati razionalisti credevano (veracemente) di averla compresa...
Citazione<<Non mi fu risparmiato lo shock che ogni fisico abituato al modo di pensare classico subiva quando sentiva parlare per la prima volta il postulato fondamentale della teoria quantistica di Bohr>>. (WOLFGANG PAULI)
<<Espressioni come "la natura corpuscolare della luce" o "la natura ondulatoria degli elettroni" sono ambigue, perché i concetti di corpuscolo e di onda sono ben definiti solamente in fisica classica, nel cui ambito ovviamente luce ed elettroni sono, rispettivamente, onde elettromagnetiche e corpuscoli materiali>>. (NIELS BOHR)
SGIOMBO:
La teoria quantistica non é meno dei deterministi Plank. Einstein de Broglie, Shroedinger di quanto sia degli indeterministi (e a mio modesto parere irrazionalisti) Bohr ed Heisenberg!
*******************
<<Se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica!>>. (ERWIN SCHRÖDINGER)
CitazioneSGIOMBO:
E infatti non li ha mai ammessi.
E col suo celebre esperimento mentale del "gatto" ne ha dimostrato (per chi non soffra di insuperabili pregiudizi rrazionalistici "copenhageniani") l' assurdità (e infatti negli ultimi anni si é genialmente occupato di applicare la meccanica quantistica alla biologia).
<<Riassumendo, allora, il potenziale quantistico è in grado di costituire una connessione non locale [una connessione nell'universo che è più rapida della velocità della luce, in violazione della teoria di Einstein della relatività generale, che afferma che nulla può andare più veloce della velocità della luce], dipendendo direttamente dallo stato del tutto, in un modo che non è riducibile a un preassegnato rapporto tra le parti. Non solo determina un'attività organizzata e coordinata di interi insiemi di particelle, ma determina anche quale sottoinsieme relativamente indipendente, nel caso, ci può essere all'interno di un tutto più grande. (DAVID BOHM)
CitazioneSGIOMBO:
Esatto (le evidenziazioni in grassetto sono mie).
Infatti Bohm all' epoca (anni '50) era un razionalista, sostenitore delle variabili nascoste e del determinismo ontologico-oggettivo (indeterminsmo meramente epistemico-soggettivo) della meccanica quantistica.
<<La fisica quantistica ha reso maturi i tempi per un cambiamento (...). Il collasso della funzione d'onda esibisce le stesse caratteristiche di scelta e determinazione della realtà attribuite alla COSCIENZA>>. (PIERGIORGIO ODIFREDDI)
CitazioneSGIOMBO:
Pur essendo convinto che Odifreddi sia una persona intelligente e dice spesso cose sacrosante, questa mi permetto (con Einstein, Schroedeinger, de Broglie, il Bohm degli anni '50, Franco Selleri e altri) di considerarla una gran cazzata
Probabilmente non sai che esiste una concezione per così dire materialista dell'inconscio (Freud, Adler, ecc.) e la concezione junghiana che lo configura come trait-d'union con la dimensione Trascendente. Infatti Jung vede nel "Sé" il centro della totalità psico-corporale negli stessi termini in cui le Upanishad considerano il Sé come l'atman personale e come immagine originaria del Brahman sovrapersonale:[/font] "L'ipotesi dell'esistenza di un Dio assoluto, al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]
"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
Per sottolineare il parallelismo tra il suo concetto di Sé e quello orientale, cita il seguente passo in "Tipi psicologici" (pg. 218):
«Quel lume celeste che splende al di sopra di noi, che brilla di là di tutte le cose, di là dall'universo, nei mondi superiori oltre ai quali non v'è più nulla, questa luce è senza dubbio quella stessa luce che irraggia dentro l'uomo. (...) Esso è il Sé nell'intimo, è la mia anima; in esso, in quest'anima, io penetrerò al momento del trapasso». (Satapatha-Brahmanam, 10,6,3) [/quote]Purtroppo conosco poco e male le teorie sull'inconscio. Ho letto qualcosa, tanti anni fa, sulla relazione tra inconscio ed esperienze 'limite' come l'estasi mistica e gli stati di assorbimento meditativo, di un autore, psicologo e psichiatra italiano di cui non ricordo il nome, edito dalla Ubaldini di Roma che, se lo trovo, te lo mando. Forse ti potrebbe interessare...Anche per questo leggo con interesse i tuoi post che riportano citazioni di Jung e altri... :)
Citazione di: Phil il 21 Settembre 2018, 22:30:49 PM
A proposito, solo l''uomo ha una mente? La mente è propria dell'uomo in quanto creatura prescelta dagli dei?
Se invece è una questione "laica" di specie e livello evolutivo, attenzione, perché a sconfinare nel materialismo è un attimo... ;)
Citazione
Ma per favore, cerchiamo di essere seri e di evitare gratuite, maligne insinuazioni a carico di chi dissente da noi!
Un po' di correttezza, prego!
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 23:14:29 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 22:28:34 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 17:07:35 PMCARLO
Esatto. Del concetto di noumeno io ho capito "nulla". E tu? ...Tu non sai dirmi nulla di più?
CitazioneSgiombo:
In italiano (dove due negazioni non sempre e necessariamente affermano) si dice che non hai cpito nulla.
Del poco che si può sapere del noumeno ho già scritto tantissime volte in questo forum e non ho alcuna intenzione di ripetermi ancora: hai solo l' imbarazzo della scelta se vuoi leggerlo.
CARLO
Io ti ho dato una definizione sintetica di cosa intendo per noumeno. Tu puoi fare altrettanto?
CitazioneMa tu puoi una buona volta smettere di fingere di non aver letto ciò che ho scritto un' infinità di volte?
Oppure, se sei sincero, leggerlo una buona volta, anzichè chiedermi di scriverlo per la -ad occhio e croce- trecentesima volta?
@sgiomboPrendo mestamente atto dell'incapacità (in parte sicuramente anche mia) di comprenderci chiaramente; mi soffermo solo su questo spunto interessante:
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 23:12:43 PM
Il pensiero é un caso particolare della mente esattamente allo stesso modo in cui il legno della sedia su cui siedi é un caso particolare della materia: se per assurdo (ammesso e non concesso) la realtà del pensiero non dimostrasse la realtà della mente, allora, esattamente nello stesso identico modo la realtà del legno della sedia su cui siedi non dimostrerebbe la realtà della materia.
[...]
Come dire: nego che esista la materia: esiste il ferro, il legno, la plastica, la pietra, ecc. e tutte queste cose seppur forse correlate, non necessitano, fino a prova contraria, di un "contenitore concettuale" unico, infatti ognuna può essere identificata e analizzata autonomamente; dunque la tesi "nego che esista la materia" non viene falsificata da fatti e osservazioni, non contraddicendo la realtà).
Il discorso filerebbe anche... se non fosse che la materia, in quanto tale, ha proprietà (composizione atomica, peso, dimensioni, proprietà organolettiche, etc.) le cui differenti "declinazioni" portano alle diversità dei materiali in cui possiamo classificarla. La classificazione ha quindi una sua coerenza
evidente, verificabile e intersoggettiva che riporta direttamente alle qualità generali del "contenitore unico" (la materia, in questo caso).
Possiamo dire lo stesso,
con ugual solidità epistemologica, della "mente" (contenitore unico) e di tutto l'elenco che hai fatto (pensieri, ragionamenti, sentimenti, desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, ricordi, immaginazioni, ecc.)?
P.s.
Giusto per non farci mancare un'autocitazione:
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
Lo stesso è accaduto, nella storia, alla materia, al punto che oggi, quando parliamo di materia, sappiamo che è una generalizzazione molto imprecisa e vaga, ma nondimeno si riferisce a qualcosa che c'è; con la mente siamo un passo indietro: prima bisogna verificare che ci sia, poi man mano che l'analisi e le conoscenze in merito avanzano, potremmo anche continuare ad usare il termine generico (cosa che stiamo già facendo ora, avendo però saltato il primo, cruciale, passo).
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 22:58:51 PM
PHIL
Ribadisco che simpatizzo molto per il monismo materialista (ma non posso escludere che ci sia qualcosa di immateriale: per ora, è infalsificabile!),
CARLO
Spero che tu ricordi che anche la tesi monista è infalsificabile. :)
Quel "per ora" fa tutta la differenza: per ora, l'immaterialismo è infalsificabile e il monismo materialista è infalsificato (ma resta in teoria falsificabile), infalsificato almeno scientificamente parlando (poi, ovviamente, sul piano della fede, religiosa o culturale, il discorso cambia...).
La differenza è che la materia c'è, quindi falsificandone il monismo si aggiunge altro; l'immateriale invece, per ora, non si può nemmeno sapere se c'è. Sorvolare su questa distinzione significa non distinguere il "reale" dal "possibile", il "verificato" dal "postulato" (non è una critica per te, è un mio commento in generale).
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 23:27:47 PM
Allora concordi con me che è indefinibile.
Anche ciò che non esiste è... indefinibile, no? Allora, o usiamo le definizioni, magari personalizzandole, oppure la chiamiamo "
jolly" ;D
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 23:27:47 PM
O è la mente che innesca queste aree del cervello e le attiva?...
Se non sappiamo cosa le innesca (direi gli
input esterni, ma non ti fidare ;) ), questo potrebbe essere un problema... servirebbe una risposta, ma non vogliamo aspettare... giochiamo il
jolly! ;D Scherzo! (ormai la storia del circolo vizioso non la ripeto più, tranquillo...).
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 23:27:47 PM
Tu non vuoi essere definito, come monista materialista o in altro modo, ma tutti i tuoi ragionamenti fanno intendere che sempre in quella direzione vuoi andare...
La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico :) ; l'importante è che non comprometta tutto ciò che scrivo secondo pregiudizi che non mi appartengono: se scrivo, "sospendiamo la mente e vediamo cosa troviamo", non vorrei che qualcuno leggesse "sospendiamo la mante, così dimostriamo che alla fine è tutta materia!".
Se poi i monisti materialisti sono convinti
a priori che l'immateriale non esista, personalmente, non condivido; se non riconoscono dignità al piano esistenziale o sociale o altro, allora non condivido; e se mi decidessi a studiare un po', forse scoprirei altri aspetti del monismo materialista in cui non mi riconosco (o forse no). Sicuramente è una delle etichette più calzanti :)
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 23:27:47 PM
Purchè tutta la ricerca non sia svolta partendo da un pregiudizio materialista ( e da qui solitamente si parte...). Sai, di solito la "mente" mente quando vuol trovare conferme a ciò in cui crede a prescindere...[/size][/font][/color]
Bingo! Ecco qui che, nonostante abbia consumato una tastiera per affermare tutt'altro: "il vecchio Phil è monista materialista, quindi sta probabilmente insinuando che la ricerca deve sotto sotto essere guidata in partenza dal pregiudizio materialista"... lo vedi perché le etichette sono dannose? ;)
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 23:27:47 PM
Posso parlare del fegato sospendendo il concetto di "fegato"? Verrebbe troppo lungo e noioso cominciare a definirlo:sai quella cosa che secerne succhi che poi passano nello stomaco, che sembrano verdi,ecc. Similmente dovrei dire: sai quella che pensa e a volte non pensa, che si emoziona, che sogna, che ha paura...
L'utilità, la praticità e la funzionalità linguistica del concetto di "mente" è
fuori discussione (non costringermi a sfoderare altre autocitazioni ;D ); quello che è
dentro la discussione è se esista solo come concetto (per il fegato la questione è stata già risolta).
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 23:27:47 PM
Come faccio a sospendere il concetto di "mente" che è un'"insieme" di proprietà e qualità?
Sospendere un concetto è facile, basta non usarlo! Nel caso della mente, ciò comporterebbe il parlare delle differenti presunte attività (pensiero, etc.) senza unificarle (faticoso, ma senza impegno non si ottiene quasi nulla!), poi la ricerca dovrebbe andare avanti, tuttavia... forse sono pastore, di sicuro non sono ricercatore! :)
cit.Phil
Anche ciò che non esiste è... indefinibile, no? Allora, o usiamo le definizioni, magari personalizzandole, oppure la chiamiamo "jolly" (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)
Perchè? Che problemi hai se la chiamiamo "mente"? E' indefinibile perché non ne conosciamo i limiti, i confini ma non perché non esiste...
Se non sappiamo cosa le innesca (direi gli input esterni, ma non ti fidare (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ), questo potrebbe essere un problema... servirebbe una risposta, ma non vogliamo aspettare... giochiamo il jolly! (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) Scherzo! (ormai la storia del circolo vizioso non la ripeto più, tranquillo...).
In questo caso mi sembra che il problema non sia l'aspettare (che cosa? Sempre la risposta "scientifica" presumo tu intenda? Quindi già orienti la ricerca e accetti solo una risposta che sia scientifica riduzionista a cui sola conferisci il valore di possibile risposta..) ma il confrontarsi di visioni filosofiche diverse sulla realtà. Ci sta che ci siano visioni diverse, o no? La riposta non sappiamo se ci sarà, e in che modo, di che tipo, ecc. Personalmente non credo molto alle "risposte"; preferisco le domande...
La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) ; l'importante è che non comprometta tutto ciò che scrivo secondo pregiudizi che non mi appartengono: se scrivo, "sospendiamo la mente e vediamo cosa troviamo", non vorrei che qualcuno leggesse "sospendiamo la mante, così dimostriamo che alla fine è tutta materia!".
Allo stesso modo, caro Phil, capita che quando scrivo io compromettano ciò che scrivo secondo pregiudizi del genere: la spiritualità è solo una favola,o sarcasmi vari attribuendomi pregiudizi che non mi appartengono affatto...preferisco in ogni modo esser "trasparente" e mettere un bel verso del Dhammapada come testo in basso dei miei post ... ;D
Bingo! Ecco qui che, nonostante abbia consumato una tastiera per affermare tutt'altro: "il vecchio Phil è monista materialista, quindi sta probabilmente insinuando che la ricerca deve sotto sotto essere guidata in partenza dal pregiudizio materialista"... lo vedi perché le etichette sono dannose?
Ma non è pregiudizio in questo caso! Sei tu stesso che hai abdicato al cercare risposta nella filosofia e ti affidi alla scienza empirica. E di cosa si occupa la scienza empirica ?
Sei una persona molto intelligente e stimo tantissimo la tua apertura su altre questioni ,ma su questa registro una chiusura completa...il tasto, quasi un mantra ossessivo, è: "aspettiamo la risposta scientifica". A questo punto diventa inutile continuare se non finendo per battibeccarsi... :)
L'utilità, la praticità e la funzionalità linguistica del concetto di "mente" è fuori discussione (non costringermi a sfoderare altre autocitazioni (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) ); quello che è dentro la discussione è se esista solo come concetto (per il fegato la questione è stata già risolta).
Ma perché allora anche la materia non può esistere solo come concetto? Se abbiamo evidenza dell'esistenza della materia, nello stesso istante ne abbiamo anche della mente che la percepisce. E qui tu neghi che esista questa evidenza, ma per negarlo devi usare proprio la mente. Non ha senso a parer mio...
Sospendere un concetto è facile, basta non usarlo! Nel caso della mente, ciò comporterebbe il parlare delle differenti presunte attività (pensiero, etc.) senza unificarle (faticoso, ma senza impegno non si ottiene quasi nulla!), poi la ricerca dovrebbe andare avanti, tuttavia... forse sono pastore, di sicuro non sono ricercatore!
Ma si può benissimo parlare delle varie attività mentali (presunte?), stati mentali, ecc. e la ricerca scientifica può benissimo andare avanti (non credo che si fermerà, visti gli interessi economici...) senza alcun bisogno di sospendere un concetto utile, visto che sembra ci sia una certa diversità di opinioni, legittime, su cos'è 'sta roba' che chiamiamo "mente"...
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 00:19:27 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 22:58:51 PM
PHIL
Ribadisco che simpatizzo molto per il monismo materialista (ma non posso escludere che ci sia qualcosa di immateriale: per ora, è infalsificabile!),
CARLO
Spero che tu ricordi che anche la tesi monista è infalsificabile. :)
PHIL
Quel "per ora" fa tutta la differenza: per ora, l'immaterialismo è infalsificabile e il monismo materialista è infalsificato (ma resta in teoria falsificabile),
CARLO
Affinché il monismo sia da considerare falsificabile (e quindi scientifico) si deve poter immaginare almeno un esperimento
che, qualora la teoria sia errata, ne possa dimostrare integralmente l'erroneità. Tu sei in grado di immaginare un simile esperimento?La risposta è "no" a-priori, perché, trattandosi di una teoria che deve comprendere in sé dei contenuti non oggettivabili quantitativamente (pensieri, fantasie, sogni, ideali, ecc.), non può essere considerata scientifica (è scientifica solo a metà, la metà neurobiologica).
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 23:51:19 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Settembre 2018, 23:14:29 PM
CARLO
Io ti ho dato una definizione sintetica di cosa intendo per noumeno. Tu puoi fare altrettanto?
CitazioneMa tu puoi una buona volta smettere di fingere di non aver letto ciò che ho scritto un' infinità di volte?
Oppure, se sei sincero, leggerlo una buona volta, anzichè chiedermi di scriverlo per la -ad occhio e croce- trecentesima volta?
CARLOTe ne propongo una di Hegel (ammiratore di Kant); dimmi se ti aggrada:<<La cosa in sé (e sotto la parola cosa è compreso anche lo spirito, Dio) esprime l'oggetto in quanto si astrae da tutto ciò che esso è per la coscienza, da ogni determinazione del sentimento come da ogni pensiero determinato. È facile vedere che cosa resti, — il pienamente astratto, l'interamente vuoto, determinato solo come un di là, il negativo della rappresentazione, del sentimento, del pensiero determinato, ecc.. Ma è anche ovvia l'osservazione che questo caput mortuum stesso è soltanto il prodotto del pensiero; del pensiero, appunto, che si è spinto fino alla pura astrazione, del vuoto io, che fa suo oggetto questa vuota identità di se stesso. La determinazione negativa, che questa astratta identità ottiene come oggetto, è anche essa registrata tra le categorie kantiane, ed è egualmente qualcosa di ben noto, come quella vuota identità. — Perciò si deve soltanto meravigliarsi di aver letto così spesso che non si sa che cosa sia la cosa in sé; laddove non v'è niente di più facile a sapere che questo>>.
(HEGEL - Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio) Per il resto dei tuoi post, ...giochi in una difesa rigida e serrata, eviti i confronti con i casi di "vita vissuta", dài risposte sibilline esponendo il meno possibile le tue idee... insomma non trovo molto interessante il confronto. Ma questa questione del noumeno mi sembra talmente sfacciata - da parte di Kant, naturalmente - che qualche altro post posso dedicarglielo. Sempre che interessi anche a te.
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 00:15:51 AM
@sgiombo
Prendo mestamente atto dell'incapacità (in parte sicuramente anche mia) di comprenderci chiaramente; mi soffermo solo su questo spunto interessante:
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2018, 23:12:43 PM
Il pensiero é un caso particolare della mente esattamente allo stesso modo in cui il legno della sedia su cui siedi é un caso particolare della materia: se per assurdo (ammesso e non concesso) la realtà del pensiero non dimostrasse la realtà della mente, allora, esattamente nello stesso identico modo la realtà del legno della sedia su cui siedi non dimostrerebbe la realtà della materia.
[...]
Come dire: nego che esista la materia: esiste il ferro, il legno, la plastica, la pietra, ecc. e tutte queste cose seppur forse correlate, non necessitano, fino a prova contraria, di un "contenitore concettuale" unico, infatti ognuna può essere identificata e analizzata autonomamente; dunque la tesi "nego che esista la materia" non viene falsificata da fatti e osservazioni, non contraddicendo la realtà).
Il discorso filerebbe anche... se non fosse che la materia, in quanto tale, ha proprietà (composizione atomica, peso, dimensioni, proprietà organolettiche, etc.) le cui differenti "declinazioni" portano alle diversità dei materiali in cui possiamo classificarla. La classificazione ha quindi una sua coerenza evidente, verificabile e intersoggettiva che riporta direttamente alle qualità generali del "contenitore unico" (la materia, in questo caso).
Possiamo dire lo stesso, con ugual solidità epistemologica, della "mente" (contenitore unico) e di tutto l'elenco che hai fatto (pensieri, ragionamenti, sentimenti, desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, ricordi, immaginazioni, ecc.)?
CitazioneCerto che sì!
E' tutto ciò che é avvertito alla coscienza (sentito, esattamente come la materia) e non é misurabile direttamente né indirettamente (come lo sono le "qualità secondarie della materia: diverse lunghezze d' onda della luce dei diversi colori).
Lo possiamo classificare in ricordi, immaginazioni, ipotesi, predicati, aspirazioni, desideri, ecc.
Comunque classificabilità (più o meno "organica") =/= realtà e anche =/= certezza della realtà (di qualcosa).
e
Intersoggettività =/= realtà e anche =/= certezza della realtà (di qualcosa)
O credi forse che una discarica sia meno reale o meno certamente reale di un ordinata e ben "classificata" collezione di insetti, francobolli o monete? (Prova a dirlo a quelli che ce l' hanno sotto casa!).
Oppure che il desiderio sessuale che provi vedendo Monica Bellucci (lo so, sono vecchio e non riesco a farmi piacere Belen Rodrguez o altre oggi più a là page; mi sono anzi sforzato per non citare ad esempio l' insuperabile sebbene ormai addirittura da tempo defunta Liz Taylor!) che ti si concede sia un po' meno certamente reale che Monica Bellucci?
P.s.
Giusto per non farci mancare un'autocitazione:
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
Lo stesso è accaduto, nella storia, alla materia, al punto che oggi, quando parliamo di materia, sappiamo che è una generalizzazione molto imprecisa e vaga, ma nondimeno si riferisce a qualcosa che c'è; con la mente siamo un passo indietro: prima bisogna verificare che ci sia, poi man mano che l'analisi e le conoscenze in merito avanzano, potremmo anche continuare ad usare il termine generico (cosa che stiamo già facendo ora, avendo però saltato il primo, cruciale, passo).
CitazioneIo trovo la conoscenza della materia odierna (non della mente che non é misurabile; ma non per questo é meno reale o meno cetamente reale!) abbastanza precisa (e vera).
Certamente molto di più di quella della materia come era intesa al tempo dell' alchimia.
Ancora con questa pretesa negazione dell' evidenza empirica la più immediata e indubitabile dei fatti ? ! ? ! ? !
Cioé che l' esistenza della mente é almeno altrettanto verificata di quella della materia, se non di più ? ! ? ! ? !
Guarda che non é che a forza di ripetere e ripetere una falsità questa a un cero punto diventa verità ! ! !
Non "funziona così".
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 00:32:56 AM
La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico :)
Sempre a proposito di coerenza logica, lo stesso Phil che qui (# 133 di questa discussione) fa questa perentoria affermazione, ribadita con parole leggermente diverse ben tre volte in una sola riga (!), solo ieri, nell' intervento # 108, proclamava:"Per pilastro della "filosofia della mente" intendevo, non il monismo materialistico (da cui non riesci proprio a separami, nonostante la marea di autocitazioni che me ne differenziano)" [evidenziazione in grassetto mia, N.d.R.].e "Accetto serenamente, con buona pace di tutto quanto ho scritto e autocitato finora, che la mia proposta sia travisata in mero monismo materialista" [evidenziazione in grassetto mie, N.d.R.].Inoltre nella riposta a Sari immediatamente qui sotto respinge ripetutamente "la solita etichetta" che indebitamente gli attribuiremmo, e che a me pare con tutta evidenza (salvo diversa spiegazione da parte sua) sia proprio quella di "monista materialista" che "gli calza a pennello, ne ha declamato più volte la sua affinità e non ne é affatto allergico".E inoltre afferma:
<<la mia attesa non è né monisticamente materialista, né messianica, ma pazientemente "in bianco">>, che non mi sembra affatto monismo materialistico, ma casomai agnosticismo.
Citazione di: Sariputra il 22 Settembre 2018, 01:34:52 AM
In questo caso mi sembra che il problema non sia l'aspettare (che cosa? Sempre la risposta "scientifica" presumo tu intenda? Quindi già orienti la ricerca e accetti solo una risposta che sia scientifica riduzionista a cui sola conferisci il valore di possibile risposta..) ma il confrontarsi di visioni filosofiche diverse sulla realtà. [...] La riposta non sappiamo se ci sarà, e in che modo, di che tipo, ecc.
Concordo con l'ultima frase, ma non con le precedenti che (ingannate dalla solita etichetta) prevedono che io accetti una risposta
solo scientifica... certo, sostengo che, da umani razionali, possiamo fare attivamente ricerca scientifica (che ci ha già fornito alcune risposte interessanti) e non mi stupirebbe se un giorno avesse qualcosa da dire in merito. Ricerche di altro tipo possono dare risposte? Ben vengano (pur non avendo in mente quali possano essere), ribadisco di non essere "
anti" e una valida concorrenza in questi casi aiuta. L'importante secondo me è, nell'attesa, che ci sia una ricerca su più percorsi (e uno di questi, a mio modesto parere, poteva essere anche quello che non usa il concetto di "mente"... se a qualcuno suona una scempiaggine, pazienza! :) ).
Intendiamoci: con buona pace della suddetta etichetta (ma se ne esiste una più pertinente la prenoto come mia!) non ritengo affatto impossibile (solo meno probabile) una rivelazione di una divinità o di altre entità che per ora ci sfuggono, e non lo dico sarcasticamente; la mia attesa non è né monisticamente materialista, né messianica, ma pazientemente "in bianco"... proprio perché non ho preconcetti (e non vedo indizi per averne) su quale sia la risposta (che poi mi sbilanci personalmente con differenti gradi di
probabilità fra le soluzioni possibili, non significa volerne accettarne
a priori solo una!).
Citazione di: Sariputra il 22 Settembre 2018, 01:34:52 AM
Allo stesso modo, caro Phil, capita che quando scrivo io compromettano ciò che scrivo secondo pregiudizi del genere: la spiritualità è solo una favola,o sarcasmi vari attribuendomi pregiudizi che non mi appartengono affatto...
In quanto "relativista monista materialista possibilista spiritualista etc." ;D , hai tutta la mia comprensione e solidarietà :)
Citazione di: Sariputra il 22 Settembre 2018, 01:34:52 AM
Ma non è pregiudizio in questo caso! Sei tu stesso che hai abdicato al cercare risposta nella filosofia e ti affidi alla scienza empirica. E di cosa si occupa la scienza empirica ?
La filosofia, correggimi se sbaglio, non può verificare
cosa (e
se) sia "la mente", può usarla come concetto, può
teorizzarla (come ha teorizzato di tutto in passato), può indicarci un metodo per studiarla (scetticismo metodologico? ;) ), ma per
verificarne la realtà la filosofia può solo vestirsi da epistemologia e dare una mano alla scienza. Riconoscere che la filosofia (
teoretica, etc.) sia incapace di
verificare la realtà meglio della scienza, mi sembra un dato di fatto; per quanto riguarda invece l'epistemologia, senza il braccio operativo della scienza (e della tecnica) credo resti piuttosto monca.
@SgiomboCi riprovo: la sospensione precauzionale del concetto di "mente" (la mia umile proposta di ricerca) non ha niente a che fare con il monismo materialista: interpretare la suddetta proposta alla luce di tale etichetta, crea infatti tutti i fraintendimenti che ne sono seguiti: credere
erroneamente che il risultato della ricerca debba essere secondo me
solo materia, etc.
Nel dettaglio:
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 00:32:56 AM
La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico :)
Affinità confermata... eppure, che ci sia
anche dell'altro? (v. messaggi a
Sariputra).
"Per pilastro della "filosofia della mente" intendevo, non il monismo materialistico (da cui non riesci proprio a separami, nonostante la marea di autocitazioni che me ne differenziano)" [evidenziazione in grassetto mia, N.d.R.].Il mio differenziarmene è in quelle citazioni (e nei suddetti post con
sariputra).
N.b. Affinità =/= identificazione 100% (tuttavia, se continuate a insistere ancora un po', vi asseconderò, dandovi ragione ;D )
e "Accetto serenamente, con buona pace di tutto quanto ho scritto e autocitato finora, che la mia proposta sia travisata in mero monismo materialista" [evidenziazione in grassetto mie, N.d.R.].[/quote]
La mia
proposta non era monistica materialistica, ma scetticismo metodologico.
[Aggiornamento]
Citazione di: sgiombo il 22 Settembre 2018, 11:38:22 AM
E inoltre afferma:
<<la mia attesa non è né monisticamente materialista, né messianica, ma pazientemente "in bianco">>, che non mi sembra affatto monismo materialistico, ma casomai agnosticismo.
Allora aggiungiamo anche "agnosticismo" alla lista delle etichette: "relativista monista materialista agnostico..."; l'importante è leggere quello che scrivo usando l'etichetta giusta (eppure, quanto sarebbe funzionale e facile leggere semplicemente il senso di quello che scrivo? :) )
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 11:47:01 AM
La filosofia, correggimi se sbaglio, non può verificare cosa (e se) sia "la mente", può usarla come concetto, può teorizzarla (come ha teorizzato di tutto in passato), può indicarci un metodo per studiarla (scetticismo metodologico? ;) ), ma per verificarne la realtà la filosofia può solo vestirsi da epistemologia e dare una mano alla scienza. Riconoscere che la filosofia (teoretica, etc.) sia incapace di verificare la realtà meglio della scienza, mi sembra un dato di fatto; per quanto riguarda invece l'epistemologia, senza il braccio operativo della scienza (e della tecnica) credo resti piuttosto monca.
Non so l' ottimo Sari, ma personalmente io ti correggo:
La filosofia può studiare la mente (che non si dimostra ma si constata esattamente come la materia) in quanto ontologia e non in quanto epistemologia (e non affatto "
dando una mano alla scienza").
La scienza sarà casomai in rado di
verificare la realtà materiale meglio della scienza, e non la realtà in toto, che comprende anche la mente (a meno che la mente, alla faccia della ripetutamente proclamata sospensione del giudizio in proposito, dell' appena sopra ribadito "scetticismo metodologico", non esista di sicuro, che di sicuro la realtà in toto sia materiale (come a tratti affermi: "La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
"), mentre molto coerentemente a tratti lo neghi.
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 02:52:23 AM
Affinché il monismo sia da considerare falsificabile (e quindi scientifico) si deve poter immaginare almeno un esperimento che, qualora la teoria sia errata, ne possa dimostrare integralmente l'erroneità. Tu sei in grado di immaginare un simile esperimento?
In teoria si, basterebbe verificare un'apparizione di tipo mistico (si vede l'immateriale) o anche un semplice fantasma o ogni altro evento in cui qualcosa di non materiale si manifesta, scardinando la nostra idea di "percezione del materiale".
Citazione di: sgiombo il 22 Settembre 2018, 12:06:37 PM
la realtà in toto sia materiale (come a tratti affermi: "[/size]La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) "), mentre molto coerentemente a tratti lo neghi.
Mi sa che ci siamo "accavallati" scrivendo e forse hai saltato un post
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 12:00:23 PM
Affinità confermata... eppure, che ci sia anche dell'altro? (v. messaggi a Sariputra).
[...]
N.b. Affinità =/= identificazione 100% (tuttavia, se continuate a insistere ancora un po', vi asseconderò, dandovi ragione ;D )
[...]
Allora aggiungiamo anche "agnosticismo" alla lista delle etichette: "relativista monista materialista agnostico..."; l'importante è leggere quello che scrivo usando l'etichetta giusta (eppure, quanto sarebbe funzionale e facile leggere semplicemente il senso di quello che scrivo? :) )
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 12:00:23 PM
@Sgiombo
Ci riprovo: la sospensione precauzionale del concetto di "mente" (la mia umile proposta di ricerca) non ha niente a che fare con il monismo materialista: interpretare la suddetta proposta alla luce di tale etichetta, crea infatti tutti i fraintendimenti che ne sono seguiti: credere erroneamente che il risultato della ricerca debba essere secondo me solo materia, etc.
Citazione"monismo materialistico" non significa affatto <<sospensione precauzionale del concetto di "mente">> bensì affermazione certa, non dubbia della realtà della sola materia == negazione certa, non dubbia della realtà della mente (che sarebbe invece "agnosticismo").
.
Nel dettaglio:
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 00:32:56 AM
La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico :)
Affinità confermata... eppure, che ci sia anche dell'altro? (v. messaggi a Sariputra).
CitazioneSì, qualcos' altro di platealmente contraddittorio con tale affinità!
"Per pilastro della "filosofia della mente" intendevo, non il monismo materialistico (da cui non riesci proprio a separami, nonostante la marea di autocitazioni che me ne differenziano)" [evidenziazione in grassetto mia, N.d.R.].
Il mio differenziarmene è in quelle citazioni (e nei suddetti post con sariputra).
N.b. Affinità =/= identificazione 100% (tuttavia, se continuate a insistere ancora un po', vi asseconderò, dandovi ragione ;D )
CitazioneMa differenza =/= identità:
Se sei qualcosa di differente da un monista materialista, allora non sei monista materialista (anche se autoconraddittoriamente lo proclami un giorno sì e uno no: quello in cui te ne differenzi).
e "Accetto serenamente, con buona pace di tutto quanto ho scritto e autocitato finora, che la mia proposta sia travisata in mero monismo materialista" [evidenziazione in grassetto mie, N.d.R.].
La mia
proposta non era monistica materialistica, ma scetticismo metodologico.
CitazioneQuesto i giorni pari.
Mentre nei giorni dispari "La definizione di monista materialista ti calza a pennello, ne hai declamato più volte la tua affinità e non ne sei affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)"
[Aggiornamento]
Citazione di: sgiombo il 22 Settembre 2018, 11:38:22 AM
E inoltre afferma:
<<la mia attesa non è né monisticamente materialista, né messianica, ma pazientemente "in bianco">>, che non mi sembra affatto monismo materialistico, ma casomai agnosticismo.
Allora aggiungiamo anche "agnosticismo" alla lista delle etichette: "relativista monista materialista agnostico..."; l'importante è leggere quello che scrivo usando l'etichetta giusta (eppure, quanto sarebbe funzionale e facile leggere semplicemente il senso di quello che scrivo? :) )
[/quote]
CitazioneSono etichette che ti cuci addosso tu stesso, anche se autocontraddittoriamente.
(o secondo te proclamare che <<la mia attesa non è né monisticamente materialista, né messianica, ma pazientemente "in bianco">> non é agnosticismo ma invece monismo materialistico?
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 12:13:26 PM
Citazione di: sgiombo il 22 Settembre 2018, 12:06:37 PM
la realtà in toto sia materiale (come a tratti affermi: "[/size]La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) "), mentre molto coerentemente a tratti lo neghi.
Mi sa che ci siamo "accavallati" scrivendo e forse hai saltato un post
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 12:00:23 PM
Affinità confermata... eppure, che ci sia anche dell'altro? (v. messaggi a Sariputra).
[...]
N.b. Affinità =/= identificazione 100% (tuttavia, se continuate a insistere ancora un po', vi asseconderò, dandovi ragione ;D )
[...]
Allora aggiungiamo anche "agnosticismo" alla lista delle etichette: "relativista monista materialista agnostico..."; l'importante è leggere quello che scrivo usando l'etichetta giusta (eppure, quanto sarebbe funzionale e facile leggere semplicemente il senso di quello che scrivo? :) )
CitazioneGià risposto pochi minuti fa: aggiungi dell' altro autoconraddttoriametne.
E autocontraddittoriamente (con quella di "monista materialista") l' etichetta di "agnostico" te la dai da te!.
Citazione di: sgiombo il 22 Settembre 2018, 12:20:05 PM
Sono etichette che ti cuci addosso tu stesso, anche se autocontraddittoriamente.
Magari per provare ad assecondare chi sa ragionare solo tramite etichette
chiuse (v. tutti i post precedenti in cui provare ad uscire da un'etichetta o "personalizzarla" un po', ha mandato in tilt gli interlocutori che hanno iniziato a confondere scetticismo e monismo, proposta e approccio, dimostrazione e circolo vizioso, preconcetto e attesa, etc.).
Facciamo così: sono un "philista", che ha come "ingredienti" tutti quegli approcci (in differenti %) e se per qualcuno la "ricetta" è indigesta e incomprensibile... forse preferirà mangiare altro, di meno complesso :)
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 12:39:50 PM
Citazione di: sgiombo il 22 Settembre 2018, 12:20:05 PM
Sono etichette che ti cuci addosso tu stesso, anche se autocontraddittoriamente.
Magari per provare ad assecondare chi sa ragionare solo tramite etichette chiuse (v. tutti i post precedenti in cui provare ad uscire da un'etichetta o "personalizzarla" un po', ha mandato in tilt gli interlocutori che hanno iniziato a confondere scetticismo e monismo, proposta e approccio, dimostrazione e circolo vizioso, preconcetto e attesa, etc.).
Facciamo così: sono un "philista", che ha come "ingredienti" tutti quegli approcci (in differenti %) e se per qualcuno la "ricetta" è indigesta e incomprensibile... forse preferirà mangiare altro, di meno complesso :)
Infatti per quel che mi riguarda preferisco di certo e di gran lunga "mangiare " la coerenza logica e la sensatezza piuttosto che l' autocontraddizione, l' insensatezza (anche se pretesa essere "maggiore complessità": mi é comunque "indigesta").
So ragionare solo evitando contraddizioni, coerentemente.
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 12:08:45 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 02:52:23 AM
Affinché il monismo sia da considerare falsificabile (e quindi scientifico) si deve poter immaginare almeno un esperimento che, qualora la teoria sia errata, ne possa dimostrare integralmente l'erroneità. Tu sei in grado di immaginare un simile esperimento?
PHIL
In teoria si, basterebbe verificare un'apparizione di tipo mistico (si vede l'immateriale) o anche un semplice fantasma o ogni altro evento in cui qualcosa di non materiale si manifesta, scardinando la nostra idea di "percezione del materiale".
CARLOSei scusato perché hai ammesso di essere a digiuno sugli studi di psicologia del profondo realizzati in questi ultimi 90-100 anni. Le apparizioni di cui parli tu non falsificherebbero solo il monismo, ma scardinerebbero tutta la Fisica dalle fondamenta (creazione di materia dal nulla). Si tratta cioè di superstizioni. Le cosiddette "visioni mistiche", invece, sono irruzioni di contenuti inconsci estremamente significativi nella sfera cosciente (simboli archetipici, mitologemi e persino "voci", "odori" o altre impressioni sensoriali). Tali immagini interiori possono essere percepite come tali, cioè come dei sogni a occhi aperti, ma spesso sono talmente "reali" da essere proiettate nello spazio esterno come se fossero fisicamente presenti. Come scrive Jung:"Normalmente l'immagine interiore manca di una proiezione nello spazio, benché eccezionalmente possa anche apparire per così dire all'esterno. Questo modo di manifestarsi va designato come arcaico. [...] Negli stadi primitivi di evoluzione, l'immagine interna si trasferisce facilmente nello spazio come visione o come allucinazione uditiva, senza per questo essere patologica". [JUNG: Tipi psicologici - pg.490]
"Il fatto che l'inconscio appaia proiettato non ha in sé nulla di sorprendente: è come se non potesse venir percepito in altro modo. [...] Naturalmente la proiezione non è un evento volontario, ma qualcosa che muove incontro alla coscienza "dal di fuori", un'apparenza dell'oggetto, dove il soggetto resta ignaro di essere lui stesso la fonte di luce che fa brillare l'"occhio di gatto" della proiezione. [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.105]
"Nella meditazione, il discepolo orienta la sua volontà vitale verso una consapevolezza priva di contenuti [...] verso uno stato psichico che forse si potrebbe definire come un distacco della coscienza dal mondo, un suo ritirarsi in un punto, per così dire, fuori dal mondo. In tal modo la coscienza è al tempo stesso vuota e non vuota. Essa non è più colma delle immagini delle cose, ma semplicemente le contiene. La pienezza del mondo, che finora l'assillava in modo immediato, non ha certo perduto nulla della sua ricchezza e bellezza, ma non domina più la coscienza. La magica pretesa delle cose è finita, in quanto si è sciolto l'originario coinvolgimento della coscienza col mondo. Dato che l'inconscio non viene più proiettato all'esterno, viene meno la primordiale participatión mystique con le cose e la coscienza non è più oppressa da intenzioni coatte, ma si dissolve in contemplazione". [JUNG: Il segreto del fiore d'oro - pgg.52/53]
In questi thread ci trovi due esempi concreti di "visioni" non proiettate:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/Per cui torniamo al nostro esperimento "popperiano". Una "visione mistica" è invisibile oggettivamente, quindi non ha alcun valore scientifico. Pertanto, se vuoi considerare il monismo una teoria falsificabile (cioè scientifica) devi inventarti un esperimento diverso. Io sono certo ce non ci riuscirai, ma ...tentar non nuoce. :)
Citazione di: Phil il 21 Settembre 2018, 22:30:49 PM
Citazione di: Sariputra il 21 Settembre 2018, 21:12:54 PM
La Bellezza di un tramonto la vede solo la mente, l'armonia di una musica la percepisce solo la mente e così via...
PHIL
Se non erro (non sono esperto di neuroestetica), ciò che viene identificato come "bello" innesca alcune aree del cervello, il cui attivarsi viene vissuto in prima persona dal soggetto come esperienza del sentimento del bello (sgiombo avrà le sue precisazioni da fare qui, tuttavia lo invito a mandare una mail a coloro che studiano neuroestetica, io sono l'ultimo che può dargli spiegazioni in merito ;) ).
CARLO
L'attivarsi di certe aree del cervello di fronte al "bello" (per esempio, di fronte ad un concetto filosofico estremamente significativo) per un
dualista significa che la mente rende partecipe il corpo di ciò che solo lei può apprezzare come "bello", o come "significativo" (magari stimolando la produzione di delicate endorfine di "piacere corporale", o un aumento dei battiti del cuore).
Del resto è difficile pensare che i circuiti neuronali siano influenzati, oltre che da grandezze fisiche come i potenziali elettrostatici o elettrodinamici, anche da quelle "grandezze" psichiche astratte che noi chiamiamo "significati". Le macchine biologiche elaborano impulsi fisici, non "significati".
I "significati" (l'ironia, l'armonia di idee, la poesia, ecc.) non sono percepibili agli occhi del corpo, ma al ...terzo occhio della mente. ;-)
HÄNDEL: Tornami a vagheggiar, op. Alcina
https://youtu.be/8Kvdf-fRNM8
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 17:16:33 PM
Le apparizioni di cui parli tu non falsificherebbero solo il monismo, ma scardinerebbero tutta la Fisica dalle fondamenta
Allora direi che la falsificabilità del monismo, in teoria, è quantomeno pensabile (con un'ipotesi simile a quelle che infatti rendono falsificabile, quindi scientifica, la fisica, etc.).
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 18:42:06 PM
Del resto è difficile pensare che i circuiti neuronali siano influenzati, oltre che da grandezze fisiche come i potenziali elettrostatici o elettrodinamici, anche da quelle "grandezze" psichiche astratte che noi chiamiamo "significati". Le macchine biologiche elaborano impulsi fisici, non "significati".
I "significati" (l'ironia, l'armonia di idee, la poesia, ecc.) non sono percepibili agli occhi del corpo, ma al ...terzo occhio della mente. ;-)
In questi casi penso sempre al computer: se lo apriamo fisicamente mentre è in funzione, non vediamo al suo interno i documenti che abbiamo salvato, lo sfondo del desktop, etc. ma solo
chip, cavi, ventole, etc, eppure basta collegare il monitor che tutto subito appare... tuttavia il monitor non crea nulla, si limita a elaborare e tradurre segnali elettrici (o altro, non sono pratico!) in immagini, animazioni, etc.
Senza Pc (processore,
ram,
hard disk , etc.) il monitor resta buio; senza monitor, il Pc funziona (anche se non è fruibile da un utente esterno...).
Forse osservare quei "potenziali elettrostatici" di cui parli è come scrutare dentro il Pc (mentre è in funzione): potremmo dire di non vedere (dentro il
case) il puntatore del mouse che apre cartelle e
files, o il
browser che naviga sul
web, eppure è quello che sta accadendo di fatto sotto i nostri occhi, proprio lì dove guardiamo, ma non possiamo vederlo perché solo chi è davanti al monitor (fuor di metafora, chi vive in prima persona) può riuscirci... parimenti, quando osserviamo un cervello, non vediamo i "significati", o la gioia, o le idee, o altro,
forse perché sono esperibili solo dal diretto interessato, in prima persona.
Naturalmente, in realtà il monitor può essere guardato e condiviso da tutti, mentre la mia "esperienza cosciente" può essere vissuta "dall'interno" solo da me; è pur sempre un vago paragone allegorico, non una descrizione scientifica ;)
P.s.
A scanso di equivoci: questa ipotesi non è stata dimostrata e non è l'unica possibile; tuttavia, non trovo assurdo crederci, così come non trovo assurdo credere in una mente che trascende il cervello (sono tutte ipotesi esplicative,
in attesa di verifica dirimente...).
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 19:50:50 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 18:42:06 PM
Del resto è difficile pensare che i circuiti neuronali siano influenzati, oltre che da grandezze fisiche come i potenziali elettrostatici o elettrodinamici, anche da quelle "grandezze" psichiche astratte che noi chiamiamo "significati". Le macchine biologiche elaborano impulsi fisici, non "significati".
I "significati" (l'ironia, l'armonia di idee, la poesia, ecc.) non sono percepibili agli occhi del corpo, ma al ...terzo occhio della mente. ;-)
PHIL
In questi casi penso sempre al computer: se lo apriamo fisicamente mentre è in funzione, non vediamo al suo interno i documenti che abbiamo salvato, lo sfondo del desktop, etc. ma solo chip, cavi, ventole, etc, eppure basta collegare il monitor che tutto subito appare...
CARLO...Appare cosa? Milioni di pixel variamente illuminati a cui TU dai il significato di "documenti". Una mosca sul monitor vede solo i milioni di pixel di cui sopra, non i tuoi documenti.PHIL
Forse osservare quei "potenziali elettrostatici" di cui parli è come scrutare dentro il Pc (mentre è in funzione): potremmo dire di non vedere (dentro il case) il puntatore del mouse che apre cartelle e files, o il browser che naviga sul web, eppure è quello che sta accadendo di fatto sotto i nostri occhi, proprio lì dove guardiamo, ma non possiamo vederlo perché solo chi è davanti al monitor (fuor di metafora, chi vive in prima persona) può riuscirci... parimenti, quando osserviamo un cervello, non vediamo i "significati", o la gioia, o le idee, o altro, forse perché sono esperibili solo dal diretto interessato, in prima persona.
CARLOSe vai all'interno delle schede dell'UPC con un voltmetro e un amperometro ci ritrovi esattamente tutti i milioni di potenziali elettrici che tengono accesi i milioni di pixel del monitor. Cioè, c'è perfetta commensurabilità tra ciò che trovi nei circuiti dell'UPC e in quelli del monitor.Mentre nel "monitor" della nostra mente non ci troviamo assolutamente nulla di ciò che troviamo nel cervello. Nella mente c'è un "altro mondo", altre grandezze governate da altre regole. Torniamo cioè all'incommensurabilità tra la Fisica e la Metafisica, sebbene il Principio di Complementarità contempli una profonda corrispondenza tra di esse, come tra yin e yang. Lo yin non è riducibile allo yang, sebbene la loro complementarità-armonia li faccia convergere in un'unità ultima superiore: il Tao, di cui essi costituiscono le polarità immanenti.Ecco: l'inconscio è la regione della mente che conduce alle vette/profondità del Tao, o di Dio."Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PM
...Appare cosa? Milioni di pixel variamente illuminati a cui TU dai il significato di "documenti". Una mosca sul monitor vede solo i milioni di pixel di cui sopra, non i tuoi documenti.
Tuttavia, sia io che la mosca se guardiamo l'interno del Pc e poi l'immagine del monitor, potremmo legittimamente pensare che l'uno possa essere incommensurabile all'altro o che non ci sia un rapporto causa/effetto, ma dell'"altro" che deve spiegare la situazione... (ammetto che forse il paragone informatico, se analizzato in dettaglio, può creare un po' di confusione :) ).
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PM
Nella mente c'è un "altro mondo", altre grandezze governate da altre regole.
Proprio come nel monitor, apparentemente, ci sono "altre regole" e "altre grandezze" rispetto a quelle che governano
hardware e cavi: cosa ha a che fare il "copia e incolla" con il silicio del processore? E i video che visualizzo e modifico seguono altre regole e altre grandezze rispetto alla ventola di raffreddamento che gira... eppure, l'incommensurabilità è solo apparente.
Fuor di metafora, nel dualismo mente/cervello l'incommensurabilità
potrebbe anche essere solo apparente; non dico che lo sia esattamente come lo è nell'esempio allegorico (è pur sempre questione di opinioni).
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PM
Mentre nel "monitor" della nostra mente non ci troviamo assolutamente nulla di ciò che troviamo nel cervello.
Questo è il nodo che, per quanto ne so, per ora, resta da sciogliere (ad esempio, se chiudo gli occhi e ricordo un volto, non lo attingo dall'"
hard disk cerebrale"? Quando ragiono, sogno o mi emoziono, non uso il "processore neuronale, sinaptico etc."? Certo, non vedo materia grigia e neuroni, proprio come nel monitor non vedo connettori e cavi...).
P.s.
Se non sbaglio, già l'anno scorso affermai che, per quel poco che so, fra Dio e Tao sono molte più le divergenze che le convergenze, e accomunarli (separandoli con "o", come se fossero quasi intercambiabili) mi sembra un gesto troppo generalista per essere esegeticamente (e filosoficamente) attendibile (senza offesa per Jung o altri, ovviamente ;) ).
Anzi, sarebbe interessante un'interpretazione in chiave taoista del materialismo (e viceversa), ma non m'azzardo minimamente, chissà cosa succederebbe qui ;D
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 11:47:01 AMLa filosofia, correggimi se sbaglio, non può verificare cosa (e se) sia "la mente", può usarla come concetto, può teorizzarla (come ha teorizzato di tutto in passato), può indicarci un metodo per studiarla (scetticismo metodologico? ;) ), ma per verificarne la realtà la filosofia può solo vestirsi da epistemologia e dare una mano alla scienza.
CARLO
Non esattamente. La Psicologia
è filosofia, e
può raccogliere un sufficiente numero di indizi
convergenti tali da elevarsi al rango di prova, proprio come accade nei tribunali di Giustizia.
Parlo, naturalmente di indizi fondati sull'osservazione
oggettiva dei fatti: sintomi, contenuti di sogni e visioni, ecc., i quali, sebbene possano essere definiti "soggettivi" per la loro non-misurabilità, hanno pur sempre un loro carattere
compiuto di oggettività. Cioè, l'oggettività degli eventi psichici
non coincide con l'oggettività degli eventi fisici, ma ne è una analogia molto stretta ed epistemologicamente valida.
Così come il mondo si compone di enti fisici e di enti metafisici, un giorno (non lontano) parleremo anche di oggettività fisica e di oggettività metafisica, per quanto i criteri di definizione e di verifica di quest'ultima non coincideranno con quelli della prima (vedi quella branca della metafisica chiamata "Matematica").
Un esempio banale di oggettività metafisica può essere il contenuto di un sogno. Se tu sogni tuo nonno che ti dà i numeri al lotto e racconti in giro che hai sognato Garibaldi a Calatafimi, il tuo racconto non sarà certo oggettivo; lo sarà soltanto se dirai di aver sognato tuo nonno. E questo vale anche, per esempio, con i contenuti delle mie "visioni"; ai quali tuttavia, come avrà notato chi ha letto i miei resoconti, all'oggettività dei contenuti si somma un ulteriore elemento di oggettività più "forte" ancora dei contenuti in se stessi:
l'analogia-coincidenza-complementarità di quei contenuti personali con i simbolismi e le mitologie provenienti da epoche e da luoghi geografici assai lontani dal mio,
come se, quegli stessi contenuti fossero solo delle
"pagine" particolari di un grande "libro", metafisicamente oggettivo,
che si estende ben al di là della mia soggettività personale e che trascende lo spazio geografico e il tempo storico. Pagine "particolari" il cui stretto legame con tutte le altre pagine è giocato sull'evidente concatenazione di significato tra i miei simboli personali e i simboli collettivi, nonché sulla presenza diffusa di quelle "lettere dell'alfabeto" che sono state chiamate "archetipi". "Questo "grande libro" è ciò che, sia Jung, sia i più eminenti storici della cultura, hanno chiamato "Inconscio collettivo".Se vuoi, puoi leggerti questo thread in cui Jung sintetizza i due concetti di "archetipo" e di "inconscio collettivo":https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-concetto-junghiano-di-'archetipo'-1108/
DVORAK: Canto alla luna, op. Rusalka
https://youtu.be/MwuNqcKUxto?t=6
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 22:54:43 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PM
...Appare cosa? Milioni di pixel variamente illuminati a cui TU dai il significato di "documenti". Una mosca sul monitor vede solo i milioni di pixel di cui sopra, non i tuoi documenti.
PHIL
Tuttavia, sia io che la mosca se guardiamo l'interno del Pc e poi l'immagine del monitor, potremmo legittimamente pensare che l'uno possa essere incommensurabile all'altro o che non ci sia un rapporto causa/effetto, ma dell'"altro" che deve spiegare la situazione... (ammetto che forse il paragone informatico, se analizzato in dettaglio, può creare un po' di confusione :) ).
CARLOCiò che crea confusione, oltre alla scarsa conoscenza che ha l'uomo del proprio corpo-cervello, è la tua forte e persistente inclinazione a credere che la visione monista (se non altro per il fatto che gli scienziati monisti sono la stragrande maggioranza) sia da considerare valida fin quando non si dimostri il contrario. E ciò ti impedisce, per quanto tu ti sforzi, di constatare che in realtà non esiste alcun motivo per ritenere il monismo più attendibile del dualismo. Cosicché tendi a vedere ogni indizio pro-dualismo come poco significativo in quanto "solo indizio non dimostrato" e ogni mancanza di indizi pro-monismo come qualcosa di contingente, di provvisorio, come una mancanza dovuta solo alla nostra ignoranza attuale. E' con questa stessa logica che i neuroscienziati hanno emarginato (più o meno in buona fede) il dualismo di Eccles, ritenendolo infalsificabile e quindi non-scientifico, come se il monismo fosse falsificabile e scientifico. Ed è pure questa la logica su cui si tiene in piedi il darwinismo, malgrado abbia poco di scientifico e faccia acqua da tutte le parti; la scarsità di fossili è anche per loro il palo di sostegno che li legittima a respingere ogni ipotesi alternativa come non-scientifica. E' la logica della trave e della pagliuzza!Da una parte ti capisco, perché io ci ho messo almeno tre anni a uscire da questa deformazione ideologica, ma dall'altra....Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PMNella mente c'è un "altro mondo", altre grandezze governate da altre regole.
PHILProprio come nel monitor, apparentemente, ci sono "altre regole" e "altre grandezze" rispetto a quelle che governano hardware e cavi: cosa ha a che fare il "copia e incolla" con il silicio del processore? E i video che visualizzo e modifico seguono altre regole e altre grandezze rispetto alla ventola di raffreddamento che gira... eppure, l'incommensurabilità è solo apparente.Fuor di metafora, nel dualismo mente/cervello l'incommensurabilità potrebbe anche essere solo apparente; non dico che lo sia esattamente come lo è nell'esempio allegorico (è pur sempre questione di opinioni).CARLOAppunto: i mille indizi pro-dualismo sono apparenti, mentre l'assenza di qualunque indizio pro-monismo è solo contingente, momentanea! ...Ti pare un approccio equanime del problema? Ti pare che serva a qualcosa mettere a confronto i due paradigmi sulla base di questo pre-giudizio?Gli studi della biologia non consistono mica in un semplice scoperchiare la scatola cranica e mettersi lì a contemplare a braccia conserte il cervello che pulsa, in attesa che sbuchino fuori i pensieri, le nostalgie e gli impulsi repressi! Se dopo un paio di secoli di studi biologici e biomolecolari, non è uscito fuori un solo indizio che supporti il paradigma monista, mentre ne esistono ormai a migliaia a favore della tesi opposta, vogliamo continuare con la fede cieca in improbabili conoscenze future, oppure sarà ora di prendere in considerazione l'ipotesi dualista e cominciare a fare ricerche anche sulla base di quel paradigma, coinvolgendo finalmente la Psicologia? Altrimenti torniamo alla barzelletta dell'ubriaco che, di notte, cercava sotto un lampione il portafogli perso chissà dove, perché - diceva- solo lì c'era la luce!PHIL
Se non sbaglio, già l'anno scorso affermai che, per quel poco che so, fra Dio e Tao sono molte più le divergenze che le convergenze, e accomunarli (separandoli con "o", come se fossero quasi intercambiabili) mi sembra un gesto troppo generalista per essere esegeticamente (e filosoficamente) attendibile (senza offesa per Jung o altri, ovviamente ;) ).
Anzi, sarebbe interessante un'interpretazione in chiave taoista del materialismo (e viceversa), ma non m'azzardo minimamente, chissà cosa succederebbe qui ;D CARLOSe non sei a conoscenza dei risultati ottenuti in questi ultimi 70-80 anni dalla Storia comparata dei miti e delle idee religiose e dalla psicologia del profondo, questo discorso rischia di trasformarsi in una infruttuosa disputa pseudo-teologica.Per il momento posso solo darti un'indicazione minima e grossolana attraverso una metafora altrettanto grossolana: se guardi la figura di un uomo da una posizione frontale, riuscirai a cogliere la simmetria speculare (yin-yang) del suo corpo; se, invece la guardi di profilo, non vedrai alcuna simmetria, alcuna "dualità", ma solo un'unità più o meno regolare. Ecco: per chi "contempla" Dio vale (grossolanamente) lo stesso discorso: Lo si "vede" diverso a seconda dell'angolatura (geografica?) dalla quale Lo si "guarda". Quindi, se ti aspetti che le centinaia di migliaia di "Dei" della nostra tradizione religiosa siano l'uno il copia-incolla dell'altro, sbagli strada.Malgrado ciò, c'è qualcosa in comune tra il Tao orientale e il Dio occidentale: sono entrambi rappresentati come "Uni-trinità"! (Ma non sono i soli, anzi la trinità è una struttura archetipica del divino. Vedi il mio thread: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/le-varianti-simboliche-della-'trinita'/Inoltre, in Occidente non mancano "visioni" di questo tipo:"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua". [N. CUSANO: De visione Dei]
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 19:16:10 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 17:16:33 PM
Le apparizioni di cui parli tu non falsificherebbero solo il monismo, ma scardinerebbero tutta la Fisica dalle fondamenta
PHIL
Allora direi che la falsificabilità del monismo, in teoria, è quantomeno pensabile (con un'ipotesi simile a quelle che infatti rendono falsificabile, quindi scientifica, la fisica, etc.).
CARLO
...Acqua, ...acqua..!! :)
Ciò che devi falsificare non sono i principi della Fisica, ma l'ipotesi di
identità tra stati neuronali e contenuti mentali
astratti, non quantificabili! ...E ciò che non è quantificabile cade
fuori dalla scienza.
PHIL
Anzi, sarebbe interessante un'interpretazione in chiave taoista del materialismo (e viceversa), ma non m'azzardo minimamente, chissà cosa succederebbe qui (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)
CARLO
L'interpretazione del materialismo in chiave taoista è presto detta: lo Yin corrisponde alla "Terra", cioè, alla materia, al corpo, e lo Yang al "Cielo", cioè, allo "spirito", all'anima. Se poi aggiungiamo che Yin e Yang non sono reciprocamente riducibili, ecco che il taoismo è l'archetipo del dualismo interazionismo di J. Eccles.
Naturalmente, la coppia Yin-Yang non si riferisce solo a questo aspetto del reale, ma a "diecimila" altri aspetti, proprio come il Principio di complementarità degli opposti, di cui il Tao (insieme al Caduceo) è simbolo archetipico.
<<Il termine "Essere" indica la Madre delle diecimila cose>>.
[Tao Tê Ching, a cura di J.J.L. Duyvendak, Adelphi, 1975, Milano, p.26]
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PM
l'inconscio è la regione della mente che conduce alle vette/profondità del Tao, o di Dio.
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 23:08:24 PM
La Psicologia è filosofia,
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2018, 01:31:16 AM
dopo un paio di secoli di studi biologici e biomolecolari, non è uscito fuori un solo indizio che supporti il paradigma monista, mentre ne esistono ormai a migliaia a favore della tesi opposta
Partendo da queste coordinate
interpretative, non me la sento di commentare ulteriormente la questione (più di quanto abbia già scritto).
Non dico che hai torto: la questione per me è sospesa al "fino a prova contraria" del monismo, mentre per te è nettamente sbilanciata verso il dualismo (o meglio,"complementarismo psicologista", se non ho frainteso).
In assenza di certezze
confutabili (almeno per entrambi ;) ), ognuno può ovviamente avere la sua interpretazione; tuttavia, non sarei "onesto" a seguire la tua: è come se tu mi stessi chiedendo di accompagnarti a fare spesa usando dei soldi che
a me sembrano fotocopiati; magari non lo sono, ma finché mi sembrano tali, preferisco non accompagnarti :)
Citazione di: Phil il 23 Settembre 2018, 22:17:35 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 20:40:47 PM
l'inconscio è la regione della mente che conduce alle vette/profondità del Tao, o di Dio.
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2018, 23:08:24 PM
La Psicologia è filosofia,
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2018, 01:31:16 AM
dopo un paio di secoli di studi biologici e biomolecolari, non è uscito fuori un solo indizio che supporti il paradigma monista, mentre ne esistono ormai a migliaia a favore della tesi opposta
PHIL
In assenza di certezze confutabili (almeno per entrambi ;) ), ognuno può ovviamente avere la sua interpretazione; tuttavia, non sarei "onesto" a seguire la tua: è come se tu mi stessi chiedendo di accompagnarti a fare spesa usando dei soldi che a me sembrano fotocopiati; magari non lo sono, ma finché mi sembrano tali, preferisco non accompagnarti :)
CARLOL'importante, caro Phil, e che tu mediti adeguatamente sulla questione centrale: il monismo non è una teoria scientifica, ma un precetto di fede. E che se tu fossi sufficientemente informato su tutto ciò che si conosce sulle proprietà-qualità oggettive della nostra mente, la tua visione filosofica del mondo sarebbe ben diversa. Quando ebbi la famosa "esperienza visionaria" io ero un teorico entusiasta del materialismo e della scienza; ma è bastato quel breve terremoto di non più di tre o quattro secondi per far crollare le fondamenta di quarant'anni di certezze. Non sapevo, allora, come avrei ricostruito "la casa" e quale nuova forma le avrei dato; ma fu assolutamente evidente che ciò che era successo falsificava clamorosamente il paradigma della mia vita (à la Popper). Ci sono voluti tanti anni per ricostruirne uno nuovo e per "passare al nemico", ma ti assicuro che ogni nuovo mattone ha dovuto superare l'esame intransigente del Carlo materialista-ateo che era ancora ben presente in me. La mia "conversione", cioè, non ha niente a che vedere con la fede (la fede è un dono che a me non è stato mai concesso), ma si è trattato di un processo squisitamente intellettuale-conoscitivo. Io non ho fede in Dio, ma so della Sua esistenza, come lo scienziato sa dell'esistenza dei protoni; lui fonda la sua certezza sull'espe-rimento, io sull'espe-rienza personale.Pertanto, se le mie banconote a te sembrano fotocopiate, io so che quelle poche che credi di avere tu fanno parte di un conto ...promissorio. PHILNon dico che hai torto: la questione per me è sospesa al "fino a prova contraria" del monismo, mentre per te è nettamente sbilanciata verso il dualismo (o meglio,"complementarismo psicologista", se non ho frainteso). CARLOIo la chiamerei in generale "dialettica materia-mente". La Dialettica è la variante filosofica del Principio di complementarità degli opposti, anch'essa "trinitaria": tesi-antitesi-sintesi. La tua fede nella "prova contraria" è legittima da un punto di vista giuridico, ma lo è molto meno da quello epistemico. Anche una fede deve poggiare su solide motivazioni, altrimenti sfiora l'illusione.VIVALDI: Matrona inimica, op. Juditha Triumphans
https://youtu.be/wv-6gMxIK8E
Mi pare sia questo l'elemento insormontabile che rende incommensurabili (
per ora e
fino a prova contraria) le nostre prospettive:
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 00:19:55 AM
Io non ho fede in Dio, ma so della Sua esistenza, come lo scienziato sa dell'esistenza dei protoni; lui fonda la sua certezza sull'espe-rimento, io sull'espe-rienza personale.
Il motto "io non ho fede in Dio, ma so della sua esistenza" descrive l'essenza del misticismo: per il mistico, l'evidenza della divinità non è affatto mistica, ma è pari a quella di un qualunque altro oggetto da lui percepito (e per questo la definisce "oggettiva"). Tuttavia per gli altri (che non hanno vissuto l'esperienza mistica), tale evidenza resta inaccessibile e infalsificabile. Soprattutto, tale esperienza-di-evidenza è
incomunicabile; pare che "mistico" derivi da "
myein" che significa "chiudere" e "tacere": l'esperienza mistica non è infatti aperta a tutti e chi la vive, solitamente tace, in un silenzio che non troverà parole per descriverla
adeguatamente a chi ne è rimasto chiuso fuori.
Finché non avrò (se mai l'avrò) un'esperienza simile alla tua, la tua evidenza della divinità resterà per me mistica: chiusa e silente.
La differenza fra "esperienza" ed "esperimento" è infatti questa: l'esperimento può essere ripetuto e verificato
intersoggettivamente, l'esperienza mistica a cui alludi, no (si tratta dunque di due certezze ben differenziate).
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 00:19:55 AM
questione centrale: il monismo non è una teoria scientifica, ma un precetto di fede.
Forse il monismo
chiuso e
dogmatico è una fede; il mio personale "monismo" (per la gioia degli amanti delle etichette ;) ) è invece
aperto e
possibilista (in quanto "philismo" ;D ); per me sono possibili: la "prova contraria", la falsificazione del mio punto di vista, l'esistenza di una divinità, l'origine da un pianeta differente, la trascendenza della mente e molte altre
eventualità (che altri forumisti, autoingannati dalle etichette che mi avevano apposto, hanno erroneamente interpretato come "sarcasmo malevolo", nonostante la mia esplicita affermazione "non sono sarcastico" o simili; mi auguro di aver maggior successo comunicativo con te :) ).
Il mio
cosiddetto "monismo" ("philismo" per gli amici) contempla la possibilità del dualismo (e di ben altro), mentre il dualismo non sono sicuro possa fare altrettanto (forse sbaglio); questa sarebbe l'ennesima l'asimmetria che connota il campo d'indagine in cui ci muoviamo.
Essere possibilista (
possibile effetto collaterale dello scetticismo metodologico) significa non negare
a priori una possibilità infalsificata e al contempo non darla per realizzata, almeno fino a prova contraria (con buona pace di chi vede in questo un'autocontraddizione...).
La fede, correggimi se sbaglio, comporta dogmi, e i dogmi (incarnando certezze apodittiche) mal si confondono con le possibilità, soprattutto se aperte alla temporalità futura: il dogma, in quanto tale, è creduto vero sempre (non solo qui ed ora, "per adesso" e "fino a prova contraria").
Se vogliamo chiamare la mia posizione "fede", dobbiamo almeno distinguerla (filosoficamente) da altre fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità
assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 16:56:33 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 00:19:55 AMForse il monismo chiuso e dogmatico è una fede; il mio personale "monismo" (per la gioia degli amanti delle etichette (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ) è invece aperto e possibilista (in quanto "philismo" (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) ); per me sono possibili: la "prova contraria", la falsificazione del mio punto di vista, l'esistenza di una divinità, l'origine da un pianeta differente, la trascendenza della mente e molte altre eventualità (che altri forumisti, autoingannati dalle etichette che mi avevano apposto, hanno erroneamente interpretato come "sarcasmo malevolo", nonostante la mia esplicita affermazione "non sono sarcastico" o simili; mi auguro di aver maggior successo comunicativo con te (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) ).
Citazione<<Capisco bene che mettere in discussione l'esistenza del pilastro della "filosofia della mente" (oltre che del senso comune e della tradizione culturale occidentale) può essere inaudito e spiazzante, ma è uno sforzo teoretico sicuramente possibile (se si evita di ricondurre forzatamente ogni proposta insolita ad "ismi" già classificati e stereotipati>>
parole tue, rivolte esplicitamente ed inequivocabilmente a me (infatti) in risposta a una citazione di un mio precedente intervento), nella tua risposta #101 di questa stessa discussione.
Mi sembra ci sia poco da interpretare (erroneamente), da "autoingannarsi" per presunte "etichette" presuntamente affibbiateti a torto ...
Peraltro ciò di cui parli qui non é affatto "monismo materialistico", ma invece non-dogmatismo, razionalismo critico, apertura mentale.
E se permetti io (e anche l' ottimo Sariputra; che peraltro non ha bisogno di alcun avvocato difensore, me compreso) non ne ho meno di te!
Essere possibilista (possibile effetto collaterale dello scetticismo metodologico) significa non negare a priori una possibilità infalsificata e al contempo non darla per realizzata, almeno fino a prova contraria (con buona pace di chi vede in questo un'autocontraddizione...).
CitazioneInfatti le tue plateali e realissime autocontraddizioni sono fra questo "possibilismo" testè accennato e le tue perentorie affermazioni come:
"La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) " - tuo intervento # 133 in questa discussione.
oppure:
"- l'evidenza della materia per me non è un circolo vizioso (per evidenza empirica), quella della mente, si: parto da un concetto ("mente") e poi uso la sua definizione per dimostrarlo." - tuo intervento #114 in questa discussione.
La fede, correggimi se sbaglio, comporta dogmi, e i dogmi (incarnando certezze apodittiche) mal si confondono con le possibilità, soprattutto se aperte alla temporalità futura: il dogma, in quanto tale, è creduto vero sempre (non solo qui ed ora, "per adesso" e "fino a prova contraria").
Se vogliamo chiamare la mia posizione "fede", dobbiamo almeno distinguerla (filosoficamente) da altre fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
CitazioneSbaglierò (spero!), ma mi sembra di cogliere una trasparente allusione (anche in considerazione di tutto il modo in cui hai condotto questa discussione con noi) a me (e all' ottimo Sariputra) nelle parole:
" fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
Se ho male interpretato, ne sono contento.
Altrimenti rispedisco al mittente con sdegno la malevolissima insinuazione (almeno per parte mia, ma non credo soltanto per parte mia, salvo forse lo "sdegno" dato il grande autocontrollo, tranquillità d' animo, capacità di considerare per quel che valgono (o non valgono) le malevole insinuazioni nei suoi confronti che Sariputra ricava dalle sue meditazioni sulla filosofia orientale; per parte mia cerco di comportarmi da epicureo e in qualche misura da stoico, ma faccio una certa fatica).
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 18:26:36 PM
Infatti le tue plateali e realissime autocontraddizioni sono fra questo "possibilismo" testè accennato e le tue perentorie affermazioni come:
"La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) " - tuo intervento # 133 in questa discussione.
oppure:
"- l'evidenza della materia per me non è un circolo vizioso (per evidenza empirica), quella della mente, si: parto da un concetto ("mente") e poi uso la sua definizione per dimostrarlo." - tuo intervento #114 in questa discussione.
Il possibilismo è contraddittorio con il potersi ritenere
affini al monismo materialista? Sostenere che sia più probabile l'ipotesi monista che quella dualista (pur senza escluderla!) è contraddizione? Un possibilista non dovrebbe saper riconoscere più i circoli viziosi, né distinguere più l'empirico dal teorico? Non capisco...
Quella definizione (monismo materialista) secondo me, "mi calza" (come ho detto
anche per assecondare le estenuanti insistenze da parte degli etichettatori. iniziate con il #35 di tale
sgiombo ;) ), ma non mi "esaurisce", non mi descrive al 100% (già detto, no? Ricordi la tua osservazione sul mio agnosticismo? E il mio "philismo", con tanti "ingredienti", uno dei quali è sicuramente il mon. mater.?).
Continuo a non capire questa tua affannata e ostinata caccia a mie contraddizioni-fantasma... per questo parlo di rigidità e autoinganno dovuto alle etichette e mi permetto di suggerire di leggere bene prima le righe, poi, semmai, tra le righe, magari con la buona fede di ammettere che fra le righe può anche non esserci nulla... altrimenti si va in paranoia :) (non è un'offesa, ma una constatazione, corroborata da tutti i tuoi post, come quest'ultimo, che si riferiscono a mie fantomatiche insinuazioni, snobbando in pieno il tema del discorso...).
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 18:26:36 PM
Citazione
La fede, correggimi se sbaglio, comporta dogmi, e i dogmi (incarnando certezze apodittiche) mal si confondono con le possibilità, soprattutto se aperte alla temporalità futura: il dogma, in quanto tale, è creduto vero sempre (non solo qui ed ora, "per adesso" e "fino a prova contraria").
Se vogliamo chiamare la mia posizione "fede", dobbiamo almeno distinguerla (filosoficamente) da altre fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
Sbaglierò (spero!), ma mi sembra di cogliere una trasparente allusione (anche in considerazione di tutto il modo in cui hai condotto questa discussione con noi) a me (e all' ottimo Sariputra) nelle parole:
" fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
Appunto (v. sopra) ;D
Le fedi non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta sono... semplicemente le religioni. Tutto qui. "Le religioni" comunque, non "i religiosi" (per chi sa ben distinguere il culto dai seguaci), quindi è assente ogni riferimento a qualcuno in particolare, poiché parlavo del tipo di
approccio ("fideistico chiuso"), non di
persone.
Il "chiuse e silenti" dovrebbe suonare familiare a chi ha letto tutto il post:
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 16:56:33 PM
Finché non avrò (se mai l'avrò) un'esperienza simile alla tua [ovvero Carlo n.d.r.], la tua evidenza della divinità resterà per me mistica: chiusa e silente.
quindi con "chiuse e silenti" mi riferisco alle correnti mistiche (e non ai mistici: in filosofia si tende a parlare dei temi, non di singoli individui ;) ).
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 18:26:36 PM
Se ho male interpretato, ne sono contento.
Allora forse sarai contento; a me invece, onestamente, dispiace un po', perché è sintomatico di una cattiva fede che rende piuttosto difficile e dispersiva la comunicazione. Peccato.
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 19:47:05 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 18:26:36 PM
Infatti le tue plateali e realissime autocontraddizioni sono fra questo "possibilismo" testè accennato e le tue perentorie affermazioni come:
"La definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) " - tuo intervento # 133 in questa discussione.
oppure:
"- l'evidenza della materia per me non è un circolo vizioso (per evidenza empirica), quella della mente, si: parto da un concetto ("mente") e poi uso la sua definizione per dimostrarlo." - tuo intervento #114 in questa discussione.
Il possibilismo è contraddittorio con il potersi ritenere affini al monismo materialista?
CitazioneE con l' affermazione che "la definizione di monista materialista ti calza a pennello"?
Francamente non capisco questo tuo ostinarti a negare l' evidenza dei fatti: se hai sbagliato a definirti tale perché non lo ammetti? Credi di essere infallibile o che essere stato colto in fallo da un interlocutore del forum sia così umiliante?
Anzi forse, con un po' di malizia, la posso comprendere (non essendo malizioso di natura non ci sono arrivato subito ma mi é stato necessario un certo sforzo).
Probabilmente il fatto é che tu in tutta questa discussione con me e con l' ottimo Sari pretendi indebitamente e malignamente di insinuare che solo ad essere monisti materialisti si potrebbe non essere ottusi dogmatici, schiavi di un' acritica accettazione dei luoghi comuni della tradizione, mentre se si é dualisti li si sarebbe inevitabilmente, per forza
Infatti anche nel penultimo tuo intervento da me criticato (# 161) continui ad affermare che chi sia monista materialista é sempre criticamente disposto ad ammettere che se gli si dimostrasse l' esistenza della mente ci crederebbe (salvo continuare ad ignorare nel corso di tutta la discussione le reiterate, pazienti "mostrazioni" empiriche delle sua esistenza, che esattamente come quella della materia non si "dimostra" logicamente ma si constata empiricamente), così lasciando intendere che invece i dualisti sarebbero tutti per forza pregiudizialmente e dogmaticamente attaccati alle loro acritiche convinzioni: niente di più falso dal momento che ho letto vari libri di Ryle, Dennett, Churchland, Searle, Nannini, Kim, Bellone, Boncinelli e altri che al momento non mi sovvengono, essendo ben disposto a cambiare idea se mi avessero dimostrato che esiste realmente solo la materia e non la mente con la materia non identificabile, ad essa non riducibile, da essa non emergente, ad essa non sopravveniente, non eliminabile dal novero degli enti ed eventi reali.
Evidentemente tu pregiudizialmente, acriticamente (ed erroneamente, falsamente) credi che solo se si é monisti materialisti si é razionalisti critici, mentre se si é dualisti si deve per forza essere acritici seguaci di preconcetti "tradizionali".
Quella definizione (monismo materialista) secondo me, "mi calza" (come ho detto anche per assecondare le estenuanti insistenze da parte degli etichettatori. iniziate con il #35 di tale sgiombo ;) ), ma non mi "esaurisce", non mi descrive al 100% (già detto, no? Ricordi la tua osservazione sul mio agnosticismo? E il mio "philismo", con tanti "ingredienti", uno dei quali è sicuramente il mon. mater.?).
Citazione
Se ti calza "a pennello" in italiano significa che ti esaurisce; altrimenti sarebbe una "definizione" che ti va un po "larga" oppure un po' "stretta".
Ma tu non ammetti la plateale contraddizione per continuare ad affermare che "in più" (ma non é affatto un "in più" bensì un' altra cosa della quale noi dualisti per lo meno non difettiamo più di quanto non ne difetti tu: é semplicemente razionalistico senso critico, antidogmatismo) tu saresti anche disposto razionalmente a cambiare idea se te lo si dimostrasse, insinuando falsamente che invece noi dualisti non lo saremmo per lo meno altrettanto (se non di più), come invece di fatto realmente accade.
Evidentemente, per parafrasare Andreotti, ad essere maliziosi (cosa che mi richiede un certo sforzo) si farà forse peccato, ma spesso si indovina (o almeno stavolta)...
Continuo a non capire questa tua affannata e ostinata caccia a mie contraddizioni-fantasma... per questo parlo di rigidità e autoinganno dovuto alle etichette e mi permetto di suggerire di leggere bene prima le righe, poi, semmai, tra le righe, magari con la buona fede di ammettere che fra le righe può anche non esserci nulla... altrimenti si va in paranoia :) (non è un'offesa, ma una constatazione, corroborata da tutti i tuoi post, come quest'ultimo, che si riferiscono a mie fantomatiche insinuazioni, snobbando in pieno il tema del discorso...).
CitazioneIo invece ti consiglio di smetterla di girare e rigirare le frasi per dare ad intendere che tu solo sei razionalmente disposto ad ascoltare le opinioni altrui e a eventualmente cambiare le tue.
Altrimenti non io ma proprio tu rischi la paranoia (non è un'offesa, ma una constatazione, corroborata da tutti i tuoi post, come quest'ultimo, che ripetono continuamente indebite e maligne insinuazioni sul mio conto, snobbando in pieno il tema del discorso...).
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 18:26:36 PM
Citazione
La fede, correggimi se sbaglio, comporta dogmi, e i dogmi (incarnando certezze apodittiche) mal si confondono con le possibilità, soprattutto se aperte alla temporalità futura: il dogma, in quanto tale, è creduto vero sempre (non solo qui ed ora, "per adesso" e "fino a prova contraria").
Se vogliamo chiamare la mia posizione "fede", dobbiamo almeno distinguerla (filosoficamente) da altre fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
Sbaglierò (spero!), ma mi sembra di cogliere una trasparente allusione (anche in considerazione di tutto il modo in cui hai condotto questa discussione con noi) a me (e all' ottimo Sariputra) nelle parole:
" fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti".
Appunto (v. sopra) ;D
CitazioneIdem.
Le fedi non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta sono... semplicemente le religioni. Tutto qui. "Le religioni" comunque, non "i religiosi" (per chi sa ben distinguere il culto dai seguaci), quindi è assente ogni riferimento a qualcuno in particolare, poiché parlavo del tipo di approccio ("fideistico chiuso"), non di persone.
Il "chiuse e silenti" dovrebbe suonare familiare a chi ha letto tutto il post:
CitazionePerché infatti le persone che seguirebbero (solita insinuazione) un approccio("fideistico chiuso") o religioso non sarebbero "acritici, aprioristici creduloni di cose indimostrate e non empiricamente constate a dispetto della logica e dell' esperienza, vero? Ma certo (ho scritto in fronte "Giocondo")!
Come volevasi dimostrare!
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 18:26:36 PM
Se ho male interpretato, ne sono contento.
Allora forse sarai contento; a me invece, onestamente, dispiace un po', perché è sintomatico di una cattiva fede che rende piuttosto difficile e dispersiva la comunicazione. Peccato.
CitazioneInfatti onestamente la tua risposta mi convince che purtroppo non ti avevo affatto male interpretato (anche nella tua evidentissima malafede).
E dunque ribadisco che rispedisco al mittente con sdegno le malevolissime insinuazioni.
P.S. delle 21, 40: con questo (a meno di tuoi improbabili profondi cambiamenti di atteggiamento verso gli interlocutori; a scanso di insinuazioni, non ho scritto: "di opinioni") chiudo qualsiasi confronto dialettico con te, ritenendo il tuo modo di discutere gravemente scorretto (probabilmente non tene fregherà niente; la cosa sarebbe reciproca).
Sono ottimista e provo ancora a chiarire la dissonanza interpretativa fra i nostri post.
Iniziamo dalla affermazione che brandisci fieramente come il gagliardo stendardo della mia contraddittorietà
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 21:31:28 PM
E con l' affermazione che "la definizione di monista materialista ti calza a pennello"?
Direi che forse la frase è meglio contestualizzarla in tutto il post (e mi concedo la sottolineatura):
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 00:32:56 AMLa definizione di monista materialista mi calza a pennello, ne ho declamato più volte la mia affinità e non ne sono affatto allergico :) [...]
Se poi i monisti materialisti sono convinti a priori che l'immateriale non esista, personalmente, non condivido; se non riconoscono dignità al piano esistenziale o sociale o altro, allora non condivido; e se mi decidessi a studiare un po', forse scoprirei altri aspetti del monismo materialista in cui non mi riconosco (o forse no). Sicuramente è una delle etichette più calzanti :)
Se l'espressione "calzare a pennello"
può essere è inesatta, quello che ho sottolineato mi sembra non vada trascurato... tranquillo, non penso che tu l'abbia omesso volutamente per strumentalizzare solo ciò che ti faceva comodo (questo lo penserebbe Andreotti :) ).
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 21:31:28 PM
se hai sbagliato a definirti tale perché non lo ammetti?
Come già ho scritto, mi sono "definito" (v. sopra) tale, a seguito delle pressioni di alcuni utenti: resomi conto che il non accettare tale definizione stava deviando/bloccando il discorso, ho accettato l'etichettatura ma ammorbidendola
dall'inizio con le dovute postille (ignorate nelle tue citazioni, così come sono stati ignorati tutti i post successivi in cui aggiungevo altri elementi alla mia prospettiva... e non voglio ascoltare l'Andreotti che è in me ;) ).
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 21:31:28 PM
pretendi indebitamente e malignamente di insinuare che solo ad essere monisti materialisti si potrebbe non essere ottusi dogmatici, schiavi di un' acritica accettazione dei luoghi comuni della tradizione, mentre se si é dualisti li si sarebbe inevitabilmente, per forza
[/size]Infatti anche nel penultimo tuo intervento da me criticato (# 161) continui ad affermare che chi sia monista materialista é sempre criticamente disposto ad ammettere che se gli si dimostrasse l' esistenza della mente ci crederebbe [...] così lasciando intendere che invece i dualisti sarebbero tutti per forza pregiudizialmente e dogmaticamente attaccati alle loro acritiche convinzioni
Evidentemente tu pregiudizialmente, acriticamente (ed erroneamente, falsamente) credi che solo se si é monisti materialisti si é razionalisti critici, mentre se si é dualisti si deve per forza essere acritici seguaci di preconcetti "tradizionali".
Ebbene, tutte queste mie presunte credenze e insinuazioni le hai tratte
liberamente da un post in cui parlavo con Carlo della
mia prospettiva, senza giudicare affatto le qualità mentali o pregi e difetti dei sostenitori di una qualche corrente in generale?
Continui a cercare nemici e fantasmi fra le righe dei miei post... e, in fondo, perché no? Una volta postato, ogni post è esposto anche a questi rischi :)
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 21:31:28 PM
tu saresti anche disposto razionalmente a cambiare idea se te lo si dimostrasse, insinuando falsamente che invece noi dualisti non lo saremmo per lo meno altrettanto (se non di più), come invece di fatto realmente accade.
Perdona la schiettezza, ma il fatto che tu faccia fantasiose insinuazioni, non significa necessariamente che anche io debba farle, no?
Considera: se parlo di me, non parlo dei monisti in generale (spero almeno questo si sia acclarato) e se anche (improbabile) esprimessi una valutazione sui monisti in generale (ovvero sulle persone, non sulla prospettiva), non significa che per i dualisti debba valere il contrario.
Questo da un punto di vista logico; l'esegesi può vederci molto di più (purtroppo, in questo caso, anche quello che non c'è...).
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 21:31:28 PM
Perché infatti le persone che seguirebbero (solita insinuazione) un approccio("fideistico chiuso") o religioso non sarebbero "acritici, aprioristici creduloni di cose indimostrate e non empiricamente constate a dispetto della logica e dell' esperienza, vero? Ma certo (ho scritto in fronte "Giocondo")!
Altra sequela di illazioni infondate e gratuite circa mie presunte insinuazioni nascoste nel testo; avrebbe senso dirti che non è né ciò che è scritto, né ciò che intendevo? Spero di si.
Intanto, mi pare che tutti questi sfrontati "
non sequitur" confermino, purtroppo, la tua cattiva fede.
Citazione di: sgiombo il 24 Settembre 2018, 21:31:28 PM
con questo (a meno di tuoi improbabili profondi cambiamenti di atteggiamento verso gli interlocutori; a scanso di insinuazioni, non ho scritto: "di opinioni") chiudo qualsiasi confronto dialettico con te, ritenendo il tuo modo di discutere gravemente scorretto (probabilmente non tene fregherà niente; la cosa sarebbe reciproca).
Come già ho scritto, sono spiacente per l'incomunicabilità e ancor più per come il tentativo di chiarimento venga recepito come scorrettezza. Ripeto: peccato.
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 16:56:33 PM
Mi pare sia questo l'elemento insormontabile che rende incommensurabili (per ora e fino a prova contraria) le nostre prospettive:
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 00:19:55 AM
Io non ho fede in Dio, ma so della Sua esistenza, come lo scienziato sa dell'esistenza dei protoni; lui fonda la sua certezza sull'espe-rimento, io sull'espe-rienza personale.
PHIL
Il motto "io non ho fede in Dio, ma so della sua esistenza" descrive l'essenza del misticismo: per il mistico, l'evidenza della divinità non è affatto mistica, ma è pari a quella di un qualunque altro oggetto da lui percepito (e per questo la definisce "oggettiva"). Tuttavia per gli altri (che non hanno vissuto l'esperienza mistica), tale evidenza resta inaccessibile e infalsificabile. Soprattutto, tale esperienza-di-evidenza è incomunicabile; pare che "mistico" derivi da "myein" che significa "chiudere" e "tacere": l'esperienza mistica non è infatti aperta a tutti e chi la vive, solitamente tace, in un silenzio che non troverà parole per descriverla adeguatamente a chi ne è rimasto chiuso fuori.
Finché non avrò (se mai l'avrò) un'esperienza simile alla tua, la tua evidenza della divinità resterà per me mistica: chiusa e silente.
La differenza fra "esperienza" ed "esperimento" è infatti questa: l'esperimento può essere ripetuto e verificato intersoggettivamente, l'esperienza mistica a cui alludi, no (si tratta dunque di due certezze ben differenziate).
CARLO...E - come dicevo nel resoconto del Caduceo - se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere (principio logico nella Logica, filosofico in Filosofia, psicologico in Psicologia, storico nella Storia, simbolico nella Simbologia, teologico in Teologia, etico nell'Etica, fisico nella Fisica, ecc.)? ...Un Principio i cui attributi (onnipresenza, unità-dualità-trinità, trascendenza, ecc.) corrispondessero con quelli che le principali tradizioni religiose hanno riconosciuto da sempre alla figura divina? :) Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza.Qualche indizio in psicologia: "Il problema dei contrari inteso come principio inerente alla natura umana rappresenta un altro passo avanti nel nostro graduale processo conoscitivo. Questo problema è un problema dell'età matura". [C.G.JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.107] "Una teoria psicologica che voglia essere più di un semplice sussidio tecnico deve fondarsi sul principio dei contrari; senza tale principio potrebbe ricostruire soltanto una psiche nevroticamente squilibrata. Non esiste equilibrio e non esiste sistema autoregolantesi senza un termine di opposizione". [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.110] "La polarità della struttura della psiche è in comune con tutti i processi naturali. Questi ultimi sono fenomeni energetici che scaturiscono sempre da uno stato "meno probabile" di tensione tra gli opposti. Questa formula si rivela di particolare importanza per la psicologia, nella misura in cui la coscienza esita di solito a riconoscere o ad ammettere il carattere di polarità del suo sfondo, anche se proprio da quest'ultimo trae la sua energia". [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg. 8] "Il processo naturale dell'unificazione tra contrari è diventato per me un modello e il fondamento del metodo psicoterapeutico". [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.135] "I simboli usciti dall'inconscio, che appaiono nei sogni, indicano la necessità di porre a confronto i contrari, mentre le immagini della meta rappresentano la loro armonizzazione ben riuscita". [JUNG:Psicologia e religione - pg.441] Qualche indizio nella Filosofia: "Un giorno certamente scopriremo il principio sotteso all'esistente, e sarà così semplice, così bello e così elementare che esclameremo stupiti: «Ah, come abbiamo potuto esser tutti così ciechi e così a lungo!»". [J. A. WEELER: Gravità e spazio-tempo] "Per Eraclito, questa connessione dialettica che produce armonia mediante opposizione non è un modo tra i tanti con cui opera la Natura, ma è il modo fondamentale con cui essa si dispiega producendo cose ed eventi (...). Analogamente, per i taoisti, il nesso tra Yin e Yang non è un nesso tra gli altri, non è uno dei tanti rapporti tra opposti, ma è il prototipo di ogni rapporto oppositivo, anzi, l'unico nesso in grado di spiegare la costituzione delle cose e la formazione degli eventi. (...) Lo Yin e lo Yang si riflettono, si sovrappongono, si regolano l'un l'altro, (...) Regolano reciprocamente l'ordine del loro susseguirsi, inducono reciprocamente il volversi dei loro turni (...) secondo la modalità dell'alternanza (...), secondo la modalità della complementarità (...) e della continuità". [G. PASQUALOTTO: Il Tao della filosofia - pp. 31-32] "La dialettica non è stata creata da accorgimenti umani, ma è fondata dalla natura stessa, è stata creata dall'Autore di tutte le arti che sono veramente arti, scoperta dai sapienti ed usata per il vantaggio di ogni solerte indagine sulle cose". [G. SCOTO ERIUGENA: De divisione Naturae, IV, 4] "La dialettica è per Hegel la legge del mondo e della ragione che lo domina. Essa è la trascrizione filosofica del concetto religioso di provvidenza. Ha infatti il compito di unificare il molteplice, conciliare le opposizioni, pacificare i conflitti, ridurre ogni cosa all'ordine e alla perfezione del tutto". [N. ABBAGNANO: Storia della filosofia, vol.V - pg.108] "La bi-unità divina risponde a un bisogno fondamentale dell'essere umano: la reintegrazione dell'uomo nel Cosmo attraverso un'assoluta unificazione; in essa scompaiono gli estremi e si fondono i contrari". [M. ELIADE: Il mito della reintegrazione - pg. 55] "La parte formale della Dialettica di Schleiermacher considera il pensiero nel suo divenire, il pensiero in movimento, cioè in quanto si avvale dell'idea del mondo e di Dio come di un principio costruttivo del sapere. (...) L'attivítà etica è quella che tende a superare l'opposizione e a realizzare l'unità. Essa è l'azione della ragione, diretta a produrre l'unità di natura e spirito che senza questa azione non ci sarebbe ". [N. ABBAGNANO - Storia della filosfia , vol. V - pp 38-40] Altri indizi puoi trovarli qui:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-un-principio-universale/ Cit. CARLO...Questione centrale: il monismo non è una teoria scientifica, ma un precetto di fede. PHILForse il monismo chiuso e dogmatico è una fede; il mio personale "monismo" (per la gioia degli amanti delle etichette ;) ) è invece aperto e possibilista (in quanto "philismo" ;D ); per me sono possibili: la "prova contraria", la falsificazione del mio punto di vista, l'esistenza di una divinità, l'origine da un pianeta differente, la trascendenza della mente e molte altre eventualità (che altri forumisti, autoingannati dalle etichette che mi avevano apposto, hanno erroneamente interpretato come "sarcasmo malevolo", nonostante la mia esplicita affermazione "non sono sarcastico" o simili; mi auguro di aver maggior successo comunicativo con te :) ). CARLOPer me, il sarcasmo e la mordacità, se non eccedono i limiti del rispetto personale, sono il sale e il pepe delle "dispute" filosofiche.Riguardo, invece, al tuo possibilismo della "prova contraria", se ti aspetti una prova matematico-sperimentale, rimarrai monista in eterno. Saresti come l'ubriaco della barzelletta che non dispera di trovare il portafogli sotto il suo lampione. PHILIl mio cosiddetto "monismo" ("philismo" per gli amici) contempla la possibilità del dualismo (e di ben altro), mentre il dualismo non sono sicuro possa fare altrettanto (forse sbaglio); questa sarebbe l'ennesima asimmetria che connota il campo d'indagine in cui ci muoviamo. CARLOIo la vedo così: gli uomini più saggi e illuminati di ogni tempo e di ogni luogo hanno concepito se stessi come corpo e anima; e la scienza non ha scoperto nulla che contraddica questa concezione. PHILLa fede, correggimi se sbaglio, comporta dogmi, e i dogmi (incarnando certezze apodittiche) mal si confondono con le possibilità, soprattutto se aperte alla temporalità futura: il dogma, in quanto tale, è creduto vero sempre (non solo qui ed ora, "per adesso" e "fino a prova contraria").Se vogliamo chiamare la mia posizione "fede", dobbiamo almeno distinguerla (filosoficamente) da altre fedi, non possibiliste, foriere di una sedicente verità assoluta oppure (vedi sopra) "chiuse e silenti". CARLOL'importante è che non ti sieda in riva al fiume in attesa che le acque ti scodellino su un piatto d'argento una comoda prova scientifica che illumini il mistero. Se è vero che non escludi la possibilità dualista, comincia ad occuparti anche delle discipline che studiano l'altra realtà, la realtà n° due. Perché se Maometto non va alla montagna, la montagna rimane lì dov'è con tutti i suoi misteri. :) PAISIELLO: Cavatina, op. Barbiere di Sivigliahttps://youtu.be/xFat-8HOOgs
X Phil
Poiché il tuo ultimo intervento conferma in pieno la tua malafede e la tua scorrettezza, in particolare nell' insistere a pretendere che il tuo monismo sarebbe criticamente fondato e disposto a mettersi in dubbio e insinuando che invece il mio dualismo (dei fenomeni; e monismo neutro del noumeno) sarebbe acritico e pregiudiziale (insinuazione palesissima, senza ammettere la quale tutti i tuoi contorcimenti dialettici in questa discussione non avrebbero alcun senso), confermo che chiudo definitivamente qualsiasi confronto di idee con te .
Non perderò certo tempo e pazienza a leggere la tua probabilissima ulteriore replica in malafede come le altre, nè alcun altro tuo intervento nel forum (l' ultimo tuo intervento l' ho letto sperando, in un impulso di ottimismo sfrenato, che mutassi atteggiamento).
Citazione di: sgiombo il 25 Settembre 2018, 07:10:49 AM
X Phil
Poiché il tuo ultimo intervento conferma in pieno la tua malafede e la tua scorrettezza, in particolare nell' insistere a pretendere che il tuo monismo sarebbe criticamente fondato e disposto a mettersi in dubbio e insinuando che invece il mio dualismo (dei fenomeni; e monismo neutro del noumeno) sarebbe acritico e pregiudiziale (insinuazione palesissima, senza ammettere la quale tutti i tuoi contorcimenti dialettici in questa discussione non avrebbero alcun senso), confermo che chiudo definitivamente qualsiasi confronto di idee con te .
Non perderò certo tempo e pazienza a leggere la tua probabilissima ulteriore replica in malafede come le altre, nè alcun altro tuo intervento nel forum (l' ultimo tuo intervento l' ho letto sperando, in un impulso di ottimismo sfrenato, che mutassi atteggiamento).
CARLO
Su questo mi sento di dare ragione a Phil.
Il carattere di dogmaticità delle tue argomentazioni è evidente in tre punti essenziali:
1 - nella mancata esplicitazione del concetto di "chiusura causale" e quindi nella convinzione (infondata) che l'ipotesi di interazione mente-cervello violi i principi della fisica; da cui la pretesa "necessità" di un parallelismo tra enti separati e incomunicanti;
2 - nella tua refrattarietà a confrontarti con esperienze mentali reali (atti volontari / atti involontari; finalismo delle azioni umane; libertà, ecc.);
3 - nel tuo rifiuto di approfondire il concetto di "noumeno", che è centrale nella prospettiva "parallelista".
In altre parole, penso proprio che la tua sia la classica ipotesi che "fa i conti senza l'oste", cioè che si tratti di una costruzione essenzialmente speculativa e fortemente carente sul piano del confronto con l'esperienza e con le conoscenze acquisite in questi ultimi 150 anni dalla psicologia.
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere [...]? [...] Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza.
Tale trasformazine è possibile, tuttavia (almeno per me) non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza (la realtà "stratificata" non la vedo come "difettosa").
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
Riguardo, invece, al tuo possibilismo della "prova contraria", se ti aspetti una prova matematico-sperimentale, rimarrai monista in eterno.
Perché escluderlo? Chissà quanti avranno detto, in epoche non troppo lontane, "se aspettiamo una prova matematico-sperimentale della memoria umana, aspetteremo in eterno" e invece, dando tempo al tempo, si parla già di manipolarla (http://www.ninjamarketing.it/2018/09/21/neuralink-ricordi-scaricare-rivedere/).
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
L'importante è che non ti sieda in riva al fiume in attesa che le acque ti scodellino su un piatto d'argento una comoda prova scientifica che illumini il mistero. Se è vero che non escludi la possibilità dualista, comincia ad occuparti anche delle discipline che studiano l'altra realtà, la realtà n° due.
Probabilmente è una questione di metodo: discorsi sull'inesistente se ne possono fare (la logica formale non lo vieta e tantomeno la storia della filosofia); che ciò di cui non è stata accertata l'esistenza possa funzionare come spiegazione indimostrata/indimostrabile, è un altro dato di fatto. A questo punto, le discipline che studiano l'"altra realtà", mi paiono perlopiù modelli
interpretativi, di cui ne possono esistere anche di contraddittori senza che, appunto, una prova inconfutabile abbia sinora sbrogliato definitivamente la questione (mutuare categorie scientifiche come "certezza", "evidenza", "oggettività", etc. non aiuta a rendere più epistemologici alcuni atti di fede; anzi, secondo me, "inquinano" il cammino di fede autentico).
Certo, anche la scienza "teorica" ha magari modelli ben differenti di
interpretare la realtà, non a caso (suppongo) proprio nella zona d'indagine in cui deve prescindere dalla verifica empirica (almeno per ora). Tuttavia ciò non toglie che
studiare la "materia" (termine vago, ma ci intendiamo) sia differente da interpretare fenomeni di senso: lo studio di una scultura dal punto di vista fisico (dimensioni, materiali, etc.) ha metodi e attendibilità differenti dall'interpretazione del suo valore artistico/comunicativo.
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
Perché se Maometto non va alla montagna, la montagna rimane lì dov'è con tutti i suoi misteri. :)
Se anche Maometto non va dalla montagna, non può escludere che ci sia davvero una montagna, ma non per questo deve fidarsi di tutte le leggende che ne parlano (o prendere per indizi validi gli elementi comuni a tutte le narrazioni...). E se decidesse di mettersi in cammino per cercare la montagna, qualora non la trovasse, sarebbe sempre incerto: "la montagna non esiste... oppure non l'ho cercata nel posto giusto?". Ben diverso è il caso dell'ubriaco che
sa per certo che ci sono le chiavi (avendole perse) e le cerca nel posto sbagliato (in questo caso è una ricerca
a posteriori).
P.s.
Ribadisco che, data la tua esperienza personale (sei andato "al di là" di un limite di cui io resto ancora "al di qua"), è inevitabile che i nostri sguardi siano non "allineabili".
P.p.s.
@sgiomboBuona vita! :)
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2018, 12:00:46 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Settembre 2018, 07:10:49 AM
X Phil
Poiché il tuo ultimo intervento conferma in pieno la tua malafede e la tua scorrettezza, in particolare nell' insistere a pretendere che il tuo monismo sarebbe criticamente fondato e disposto a mettersi in dubbio e insinuando che invece il mio dualismo (dei fenomeni; e monismo neutro del noumeno) sarebbe acritico e pregiudiziale (insinuazione palesissima, senza ammettere la quale tutti i tuoi contorcimenti dialettici in questa discussione non avrebbero alcun senso), confermo che chiudo definitivamente qualsiasi confronto di idee con te .
Non perderò certo tempo e pazienza a leggere la tua probabilissima ulteriore replica in malafede come le altre, nè alcun altro tuo intervento nel forum (l' ultimo tuo intervento l' ho letto sperando, in un impulso di ottimismo sfrenato, che mutassi atteggiamento).
CARLO
Su questo mi sento di dare ragione a Phil.
Il carattere di dogmaticità delle tue argomentazioni è evidente in tre punti essenziali:
1 - nella mancata esplicitazione del concetto di "chiusura causale" e quindi nella convinzione (infondata) che l'ipotesi di interazione mente-cervello violi i principi della fisica; da cui la pretesa "necessità" di un parallelismo tra enti separati e incomunicanti;
2 - nella tua refrattarietà a confrontarti con esperienze mentali reali (atti volontari / atti involontari; finalismo delle azioni umane; libertà, ecc.);
3 - nel tuo rifiuto di approfondire il concetto di "noumeno", che è centrale nella prospettiva "parallelista".
In altre parole, penso proprio che la tua sia la classica ipotesi che "fa i conti senza l'oste", cioè che si tratti di una costruzione essenzialmente speculativa e fortemente carente sul piano del confronto con l'esperienza e con le conoscenze acquisite in questi ultimi 150 anni dalla psicologia.
CitazioneTutte balle inventate da te e continuamente reiterate malgrado le mie ripetute, pazientissime precisazioni (che non sto a reiterare inutilmente un' altra volta ancora).
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere [...]? [...] Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza.
PHIL
Tale trasformazine è possibile, tuttavia (almeno per me) non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza (la realtà "stratificata" non la vedo come "difettosa").
CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
Che intendi per "stratificata"?
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
Riguardo, invece, al tuo possibilismo della "prova contraria", se ti aspetti una prova matematico-sperimentale, rimarrai monista in eterno.
PHIL
Perché escluderlo? Chissà quanti avranno detto, in epoche non troppo lontane, "se aspettiamo una prova matematico-sperimentale della memoria umana, aspetteremo in eterno" e invece, dando tempo al tempo, si parla già di manipolarla (http://www.ninjamarketing.it/2018/09/21/neuralink-ricordi-scaricare-rivedere/).
CARLO
Questa si chiama "pubblicità ingannevole". Senti cosa scrive Eccles:"Quella che mi sembra particolarmente inopportuna è la pretesa dei fautori dell'intelligenza artificiale che sostengono di essere ad un passo dalla costruzione di super-computer che saranno in grado di possedere una coscienza. (...)
Searle (Mente, cervello e scienza - 1984) afferma: «Nessun programma di computer è di per sé sufficiente a fornire una mente a un sistema. In breve, un programma non è una mente. Il progetto che mira a creare una mente semplicemente progettando programmi è destinato a fallire in partenza; la coscienza, il pensiero, i sentimenti, le emozioni, implicano ben più che una sintassi» (..).
Molti anni fa, in occasione di una conferenza alla Yale University, chiesi a Marvin Minsk, il più eloquente fra i tenaci sostenitori dell'intelligenza artificiale, il motivo per cui pretendevano di giungere a supercomputer coscienti. La sua sorprendente risposta fu: «Perché riesco ad avere maggiori fondi per le mie ricerche!» ". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.209]
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
L'importante è che non ti sieda in riva al fiume in attesa che le acque ti scodellino su un piatto d'argento una comoda prova scientifica che illumini il mistero. Se è vero che non escludi la possibilità dualista, comincia ad occuparti anche delle discipline che studiano l'altra realtà, la realtà n° due.
PHILProbabilmente è una questione di metodo: discorsi sull'inesistente se ne possono fare (la logica formale non lo vieta e tantomeno la storia della filosofia); che ciò di cui non è stata accertata l'esistenza possa funzionare come spiegazione indimostrata/indimostrabile, è un altro dato di fatto. A questo punto, le discipline che studiano l'"altra realtà", mi paiono perlopiù modelli interpretativi, di cui ne possono esistere anche di contraddittori senza che, appunto, una prova inconfutabile.
CARLO
Quelli della psicologia sono modelli interpretativi di osservazioni disciplinari concrete. La tesi monista, invece è un modello interpretativo a-priori, alla cieca, privo di qualunque osservazione e fondato solo sulla fede ...che un giorno se ne dimostrerà la validità.
Per esempio, la psicologia ha molto da dire su esperienze simili alle mie, anzi, c'è una teoria - quella junghiana - che spiega fin nei minimi dettagli i termini fondamentali di quanto mi è accaduto; anzi, mostra degli elementi di predittività molto simili a quelli delle teorie scientifiche dimostrate. Grazie ad essa, io sono guarito da una nevrosi ansioso-depressiva che mi trascinavo dietro da 25 anni. La neurobiologia, invece, di fronte a tali eventi resta assolutamente muta, non formula alcuna ipotesi, non ha modo di associare alcun aspetto di essi ai fatti conosciuti del cervello: il silenzio più totale. Tant'è che il mio neurologo di allora (rigorosamente monista) non seppe fare altro che rincoglionirmi di farmaci per almeno dieci anni, senza alcun risultato.
Eppure tu, insieme ai neuroscienziati, continui a pensare alla psicologia come a un'accozzaglia di interpretazioni vaghe e inaffidabili e al monismo come qualcosa di solido e affidabile, ...perché un giorno....!!
Questi, sì, sono i miracoli della fede!
CitazioneCARLO
Perché se Maometto non va alla montagna, la montagna rimane lì dov'è con tutti i suoi misteri. (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
PHIL
Se anche Maometto non va dalla montagna, non può escludere che ci sia davvero una montagna, ma non per questo deve fidarsi di tutte le leggende che ne parlano (o prendere per indizi validi gli elementi comuni a tutte le narrazioni...). E se decidesse di mettersi in cammino per cercare la montagna, qualora non la trovasse, sarebbe sempre incerto: "la montagna non esiste... oppure non l'ho cercata nel posto giusto?". Ben diverso è il caso dell'ubriaco che sa per certo che ci sono le chiavi (avendole perse) e le cerca nel posto sbagliato (in questo caso è una ricerca a posteriori).CARLOAppunto. Il tuo "possibilismo" è solo millantato, mentre il tuo atteggiamento, di fatto, è perfettamente identico a quello di un monista "talebano". Infatti il talebano se ne frega della psicologia perché è certo che la mente non esista e che, quindi la psicologia non possa essere che una pseudo-scienza. Quindi, non sarebbe forse più semplice ammettere di essere semplicemente un monista convinto, invece di nasconderlo dietro a una nuvola di suprflue circonvoluzioni verbali?VERDI: Zingarelle e toreri, op. Traviata
Salve. Non ditemi che questa fecondissima discussione sta per finire !! Per di più nei personalismi un poco acidi e senza aver raggiunto una qualche ragionevole verità !
Non sono così presuntuoso da pensare di riuscire a rianimarla. Mi limiterò a starnutire citando :
Citazione da: Carlo Pierini - 24 Settembre 2018, 23:49:11 pm
se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere [...]? [...] Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza..
Ma un Principio Universale valido in ogni disciplina del sapere secondo me esiste già !
Si tratta del Principio di Persistenza. Cioè della inesorabile tendenza dell'Essere a perpetuarsi attraverso il divenire. Secondo voi tale principio non è forse universale ? Non è applicabile ad ogni aspetto della "realtà" e della conoscenza ?
Fede e Sacralità invece non hanno alcun bisogno di divenire e possono accontentarsi di persistere immobilmente. Ciò perché tali dimensioni fanno parte del SENTIRE e non del SAPERE.
E' questa la vera ragione dell'impossibilità del loro sintonizzarsi con il sapere. Dicotomia, polarità, dualismo, duplicità che impedisce la percezione della singolarità-unitarietà della monade-essere. Saluti
Citazione di: viator il 25 Settembre 2018, 22:04:37 PM
Salve. Non ditemi che questa fecondissima discussione sta per finire !! Per di più nei personalismi un poco acidi e senza aver raggiunto una qualche ragionevole verità !
Non sono così presuntuoso da pensare di riuscire a rianimarla. Mi limiterò a starnutire citando :
Citazione da: Carlo Pierini - 24 Settembre 2018, 23:49:11 pm
se si scoprisse l'esistenza di un Principio universale valido in OGNI disciplina del sapere [...]? [...] Ecco: io credo che questa sia l'unica possibilità che ha l'uomo per trasformare la realtà del sacro da oggetto di fede ad oggetto di conoscenza..
Ma un Principio Universale valido in ogni disciplina del sapere secondo me esiste già !
Si tratta del Principio di Persistenza. Cioè della inesorabile tendenza dell'Essere a perpetuarsi attraverso il divenire. Secondo voi tale principio non è forse universale ? Non è applicabile ad ogni aspetto della "realtà" e della conoscenza ?
CARLO
E
dove lo mettiamo il Principio del Divenire, il "panta rei" di Eraclito?VIATOR
Fede e Sacralità invece non hanno alcun bisogno di divenire e possono accontentarsi di persistere immobilmente. CARLONaturalmente. Anzi, devono persistere se vogliono obbedire al tuo "principio di persistenza". ...Se poi trasgrediscono il Principio del Divenire, beh, ce ne faremo una ragione. Giusto?VIATOR
Dicotomia, polarità, dualismo, duplicità che impedisce la percezione della singolarità-unitarietà della monade-essere. CARLOHai mai sentito parlare dell'"eterna unità del Tao" (Lao Tzu)? Cosa credi voglia dire? ...Che la dualità yin-yang è una bufala?HÄNDEL: Lascia ch'io pianga, op. Rinaldo
https://youtu.be/WuSiuMuBLhM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2018, 21:41:38 PM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PM
non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza
CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
Ho scritto "realtà del sacro", non "realtà fisica" (v. sottolineatura mia); io e una buona fetta dell'epistemologia tendiamo a tenerle ben distinte ;)
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
Questa si chiama "pubblicità ingannevole". Senti cosa scrive Eccles:
"Quella che mi sembra particolarmente inopportuna è la pretesa dei fautori dell'intelligenza artificiale che sostengono di essere ad un passo dalla costruzione di super-computer che saranno in grado di possedere una coscienza. (...)
Searle (Mente, cervello e scienza - 1984) afferma: «Nessun programma di computer è di per sé sufficiente a fornire una mente a un sistema. In breve, un programma non è una mente. Il progetto che mira a creare una mente semplicemente progettando programmi è destinato a fallire in partenza; la coscienza, il pensiero, i sentimenti, le emozioni, implicano ben più che una sintassi» (..).
Molti anni fa, in occasione di una conferenza alla Yale University, chiesi a Marvin Minsk, il più eloquente fra i tenaci sostenitori dell'intelligenza artificiale, il motivo per cui pretendevano di giungere a supercomputer coscienti. La sua sorprendente risposta fu: «Perché riesco ad avere maggiori fondi per le mie ricerche!» ". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.209]
Non ho parlato di computer dotati di coscienza o la mente, quindi non colgo la pertinenza delle tue citazioni... il link allude piuttosto a coscienze e menti manipolate/alterate/influenzate da computer e dispositivi
fisici (il che non supporta la tesi dualista).
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
tu, insieme ai neuroscienziati, continui a pensare alla psicologia come a un'accozzaglia di interpretazioni vaghe e inaffidabili
Non credo di aver mai parlato delle teorie psicologiche come "vaghe e inaffidabili"; interpretazioni, certo, e talvolta interpretare è tutto quello che possiamo fare (anche se facciamo fatica ad accettarlo...).
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2018, 23:49:11 PM
Il tuo "possibilismo" è solo millantato, mentre il tuo atteggiamento, di fatto, è perfettamente identico a quello di un monista "talebano" [...] Quindi, non sarebbe forse più semplice ammettere di essere semplicemente un monista convinto, invece di nasconderlo dietro a una nuvola di suprflue circonvoluzioni verbali?
A queste tue considerazioni personali, trovi risposta nei miei ultimi post a
sgiombo (evito di ripeterli, sono già abbastanza ridondanti ;D ).
Citazioni da CarloPierini:
CARLOSu questo mi sento di dare ragione a Phil. Il carattere di dogmaticità delle tue argomentazioni è evidente in tre punti essenziali: 1 - nella mancata esplicitazione del concetto di "chiusura causale" e quindi nella convinzione (infondata) che l'ipotesi di interazione mente-cervello violi i principi della fisica; da cui la pretesa "necessità" di un parallelismo tra enti separati e incomunicanti;2 - nella tua refrattarietà a confrontarti con esperienze mentali reali (atti volontari / atti involontari; finalismo delle azioni umane; libertà, ecc.);3 - nel tuo rifiuto di approfondire il concetto di "noumeno", che è centrale nella prospettiva "parallelista".In altre parole, penso proprio che la tua sia la classica ipotesi che "fa i conti senza l'oste", cioè che si tratti di una costruzione essenzialmente speculativa e fortemente carente sul piano del confronto con l'esperienza e con le conoscenze acquisite in questi ultimi 150 anni dalla psicologia. (# 168).CARLO (al medesino Phil):
Appunto. Il tuo "possibilismo" è solo millantato, mentre il tuo atteggiamento, di fatto, è perfettamente identico a quello di un monista "talebano". Infatti il talebano se ne frega della psicologia perché è certo che la mente non esista e che, quindi la psicologia non possa essere che una pseudo-scienza. Quindi, non sarebbe forse più semplice ammettere di essere semplicemente un monista convinto, invece di nasconderlo dietro a una nuvola di superflue circonvoluzioni verbali? (# 171)CitazioneCommento mio (di Sgiombo):.
Non vedo come si possa non vedere che questo é -quasi letteralmente; eccetto il riferimento alla psicologia come scienza- quanto da me (e non solo da me) ripetutissimamente contestato a Phil con dovizia di argomentazioni ed esempi.
Soprattutto esempi, poiché in gran parte di trattava di "mostrare" empiricamente e non di "dimostrare" logicamenete" l' esistenza della mente da lui insistentemente negata di fatto aprioristicamente ed acriticamente, dogmaticamente malgrado il millantato "possibilismo", atteggiamento da me alla fine (della mia pazienza) stigmatizzato come gravemente scorretto in conseguenza de quale ignorerò qualsiasi suo ulteriore intervento nel forum (salvo impegno a superare questo stesso atteggiamento in futuro che mi fosse comunicato in un suo eventuale messaggio privato; cosa sulla quale "ci conto" pochissimo).
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 23:30:42 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2018, 21:41:38 PM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PMPHIL
non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza
CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
PHILHo scritto "realtà del sacro", non "realtà fisica" (v. sottolineatura mia); io e una buona fetta dell'epistemologia tendiamo a tenerle ben distinte (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif)CARLOSì, ho letto bene. Volevo mostrarti l'estremismo uguale e contrario al tuo: lo spiritualismo. Così come gli spiritualisti considerano la materia un epifenomeno dello spirito, i materialisti vedono lo spirito come un epifenomeno della materia. Cosicché, i primi considerano fondamentale la conoscenza dello spirito per spiegare i fenomeni della materia, mentre per i secondi è dalla conoscenza della materia che si deve partire per spiegare lo spirito. Nessuno dei sostenitori dei due opposti paradigmi prende in considerazione la possibilità che materia e spirito siano entrambi fondamentali e che costituiscano le due polarità naturali (di pari dignità ontologica) di un principio superiore ultimo: Dio, o il Tao, o il Principio di Complementarità degli opposti.Scrivevo nel thread "Logica classica e Dialogica":<<Gadamer usa spesso il termine "dialogica" in sostituzione di "dialettica": mi sembra corretto, visto che la dialogica (dia=due) fa un chiaro riferimento ad uno sdoppiamento (analitico) e ad una riunificazione (sintetica) di due logiche indipendenti e non reciprocamente riducibili. La Logica è davvero solo UNA, come il mondo, ma, come il mondo si presenta con DUE volti, quello materiale-concreto-univoco-quantitativo, e quello spirituale-soggettivo-duale-qualitativo; pertanto essa non può che rispecchiarne la polarità suddividendosi nei DUE distinti regimi di "logica matematica" (o "logica dell'oggetto") e di "dia-logica" (o "logica del soggetto"). La logica classica è la logica della determinazione e della definizione univoche, mentre la dialogica definisce un equilibrio armonico di logiche opposte-complementari.
Mentre il principio di non-contraddizione proibisce la coesistenza di logiche opposte imponendo l'eliminazione di una delle due, la dialogica, al contrario, impone la coesistenza (armonica) di entrambe e proibisce il sacrificio dell'una sull'altare dell'altra; un sacrificio che conduce ineluttabilmente a ciò che chiamiamo "estremismo".
Un esempio indicativo può essere quello che riguarda gli opposti "libertà" e "legge": se sacrifichiamo la legge in nome di una libertà assoluta cadiamo nell'estremismo squilibrato dell'anarchia; se, invece, sacrifichiamo la libertà in nome di una assoluta obbedienza alla legge, cadiamo nell'estremismo opposto del dispotismo e della tirannide.
Pertanto, questa dualità di logiche implicita nella dialettica (o dialogica) non costituisce un inaccettabile "dualismo cartesiano" poiché l'unità è recuperata in una realizzata complementarità armonica delle due. Anzi, il dualismo cartesiano rappresenta la negazione stessa della dialogica, poiché impone la coesistenza di due logiche opposte quando esse, nella loro rigidità assolutistica, non ancora reciprocamente armonizzate, di fatto si relazionano in modo conflittuale, come i due termini di una contraddizione>>.
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 11:53:20 AM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 23:30:42 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2018, 21:41:38 PM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PMPHIL
non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza
CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
PHIL
Ho scritto "realtà del sacro", non "realtà fisica" (v. sottolineatura mia); io e una buona fetta dell'epistemologia tendiamo a tenerle ben distinte (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif)
CARLO
Sì, ho letto bene. Volevo mostrarti l'estremismo uguale e contrario al tuo: lo spiritualismo. Così come gli spiritualisti considerano la materia un epifenomeno dello spirito, i materialisti vedono lo spirito come un epifenomeno della materia.
Per esserci simmetria, i materialisti dovrebbero considerare lo spirito
sostanzialmente materiale, mentre gli spiritualisti dovrebbero considerare la materia "sostanzialmente" spirituale... è davvero così?
Se così fosse, o gli spiritualisti sarebbero monisti (tutto è spirito) come i materialisti (tutto è materia), oppure, se l'"epifenomeno" è qualcosa di separato (oltre che distinto), diverrebbero entrambi dualisti (spirito + epifenomeno materiale; materia + epifenomeno spirituale); se invece così non è, abbiamo un'ulteriore, significativa, asimmetria...
Citazione di: viator il 25 Settembre 2018, 22:04:37 PM
Non ditemi che questa fecondissima discussione sta per finire !! Per di più nei personalismi un poco acidi e senza aver raggiunto una qualche ragionevole verità !
Con questa osservazione (in stile "
castigat ridendo mores" ;) ) fornisci tre elementi, a mio giudizio, molto interessanti: discussione feconda, personalismi e ragionevole verità.
Parto dalla recente esperienza personale: la richiesta di autoidentificarmi come "monista",
secondo me è animata dall'esigenza concettuale di incanalare il discorso nell'alveo della classica (e per questo, a suo modo, accogliente) dicotomia monismo/dualismo, il caro vecchio "
tertium non datur" per cui "o con me, o contro di me", ovvero "se argomenti contro le mie tesi, allora
devi essere sostenitore della tesi
simmetricamente opposta", escludendo
a priori posizioni oblique, ibride, non orto-dosse e non canonizzabili in
standard da manuale.
Questo spiegherebbe come mai quando parlo di affinità con il monismo, tale affermazione resta impressa e viene annotata diligentemente, ma quando (poche righe sotto) specifico che non sono monista al 100% (citando poi relativismo, agnosticismo, possibilismo, etc.), tale specificazione rimane curiosamente "non pervenuta", sotto traccia (nonostante le ripetizioni), pur essendo affermazione
più rilevante della precedente, poiché la disambigua.
Perché l'interlocutore sceglie di credere solo ad alcune delle affermazioni
complementari fra loro? Misteri della
mente umana?
Forse no; qui, a mio giudizio, entrano in gioco i suddetti tre elementi: nel momento in cui l'interlocutore non ci mostra una
ragionevole verità (o almeno qualcosa che possiamo identificare come tale), la
fertilità del discorso viene spesso compromessa da
personalismi; si glissa sul tema e si inizia a parlare dell'interlocutore (che assurge a
topic). Nei migliori dei casi, la conversazione ristagna; in altri casi, la capacità di argomentare con osservazioni pertinenti viene risucchiata da polemiche dispersive, si smette quindi di fare filosofia (e si inizia a far politica: slogan, strumentalizzazioni di affermazioni, alleanze,
schadenfreude, etc.).
Se l'altro non ci mostra la
sua verità (possibilmente rigida, chiusa e con link a wikipedia) siamo un po' a disagio: se non possiamo concordare, non sappiamo cosa criticare, dove scagliare i dardi pungenti del nostro assennato dissenso (spesso attacchiamo per non doverci/saperci difendere); per cui, in assenza di bersagli, li creiamo per antitesi congetturale (estorcendo al testo altrui affermazioni che non gli appartengono, popolandolo di fantasmatiche insinuazioni che lo fanno rientrare in
cliché più familiari e "affrontabili").
Le argomentazioni altrui che non sfociano in (auto)dichiarate certezze, ma restano aperte a domande, dubbi e pluralismi vari, non vengono considerate come tali, perché destabilizzano: se il nostro interlocutore dice "forse" o "è possibile" ci disarma (almeno finché restiamo nella logica binaria del "si o no") e per difenderci "blindiamo" le nostre idee etichettandole (non dimostrandole) come evidenti, oggettive e sorrette da rispettabile tradizione. Oppure, un po' spaesati, raccogliamo prontamente le armi della "legittima difesa personale" e lo accusiamo di averci insidiosamente provocato, perché quel "forse" non è autentico (non può esserlo!) e quell'"è possibile" è sarcastico (e deve esserlo!); in caso di mancanza di altri appigli plausibili, usiamo l'artiglieria pesante: l'imputazione di autocontraddizione, di negazione dell'evidenza, etc.
Pare che la nostra
mente rifugga l'incertezza più dell'errore...
(ad esempio, il fatto che abbia appena usato la parola "mente" dopo aver affermato che sarebbe interessante provare ad analizzare alcune questioni
sospendendone precauzionalmente il concetto, ad alcuni potrebbe sembrare contraddittorio: "o la neghi o la affermi! Cos'è questa storia della sospensione, di
aspettare di verificarla... non abbiamo tempo da perdere qui, dicci subito: si o no?" ;D ).
P.s.
Questa predica, nonostante l'uso del "noi", insinua,
fra le righe, che sono bello e bravo?
Secondo me, no; significa piuttosto che sono brutto (perché non rispetto l'est
etica del discorso dicotomico) e cattivo (perché indico la strada per deviare dalla "zona di
comfort", in veste di cattiva compagnia, non filosofica ma filo
sofistica ;) ).
Citazione di: Phil il 26 Settembre 2018, 12:44:59 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 11:53:20 AM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 23:30:42 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2018, 21:41:38 PM
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2018, 15:48:05 PMPHIL
non è una necessità che la realtà del sacro diventi realtà di conoscenza
CARLO
I preti del '600 avevano una posizione simile alla tua: nemmeno loro ritenevano necessario che la realtà fisica diventasse oggetto di conoscenza.
PHIL
Ho scritto "realtà del sacro", non "realtà fisica" (v. sottolineatura mia); io e una buona fetta dell'epistemologia tendiamo a tenerle ben distinte (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif)
CARLO
Sì, ho letto bene. Volevo mostrarti l'estremismo uguale e contrario al tuo: lo spiritualismo. Così come gli spiritualisti considerano la materia un epifenomeno dello spirito, i materialisti vedono lo spirito come un epifenomeno della materia.
PHILPer esserci simmetria, i materialisti dovrebbero considerare lo spirito sostanzialmente materiale, mentre gli spiritualisti dovrebbero considerare la materia "sostanzialmente" spirituale... è davvero così?CARLOCerto. Lo spirito era considerato la sostanza dell'Essere e la materia una apparenza, una sua manifestazione non sostanziale, ma epifenomenica. Lo stesso significato è espresso nell'idea orientale del mondo materiale inteso come "maya", come illusione, come una sorta di maschera immanente dietro cui si nasconde la vera realtà, la realtà trascendente dello spirito (Brahman) di cui la nostra anima (atman) è consustanziale. In tale concezione, il "Mayadevi" è una specie di "gravità psichica" che ci tiene ancorati al mondo fisico e induce la nostra anima incarnata ad identificarsi col mondo materiale.Perciò è importante, in questa prospettiva, la pratica costante dello yoga; per essere sempre vigili e consapevoli di questa forza e non farci dominare da essa, per non smarrire la nostra vera natura trascendentale. E nel momento in cui "il velo di Maya" viene sollevato, si ottiene l'Autorealizzazione: il Sé vede la realtà illusoria di tutto quello che lo circonda.Qualcosa di simile mi è accaduto all'epoca delle "visioni", come ho raccontato nel thread (Risposta # 2):https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/parallelismo-analogico-tra-due-organismi-il-corpo-e-la-mente/PHILSe così fosse, o gli spiritualisti sarebbero monisti (tutto è spirito) come i materialisti (tutto è materia).CARLOEsattamente. Un monismo spirituale contrapposto simmetricamente ad un monismo materiale.VIVALDI: Veni me sequere fida, op. Juditha Triumphans
https://youtu.be/zM0-tT8ghvA
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2018, 09:14:44 AMCARLO (al medesino Phil):
Appunto. Il tuo "possibilismo" è solo millantato, mentre il tuo atteggiamento, di fatto, è perfettamente identico a quello di un monista "talebano". Infatti il talebano se ne frega della psicologia perché è certo che la mente non esista e che, quindi la psicologia non possa essere che una pseudo-scienza. Quindi, non sarebbe forse più semplice ammettere di essere semplicemente un monista convinto, invece di nasconderlo dietro a una nuvola di superflue circonvoluzioni verbali? (# 171)
CitazioneCommento mio (di Sgiombo):.
Non vedo come si possa non vedere che questo é -quasi letteralmente; eccetto il riferimento alla psicologia come scienza- quanto da me (e non solo da me) ripetutissimamente contestato a Phil con dovizia di argomentazioni ed esempi.
CARLO
Non mi sono riferito alla psicologia <<come scienza>>, ma ho parlato di <<
pseudo-scienza>> se riferita ad una psiche non esistente in sé. E questa non è una ambiguità, perché ho
già chiarito più volte che se per "scienza" intendiamo la Scienza propriamente detta (applicazione del metodo matematico-sperimentale) la psicologia non fa parte della Scienza; e che si può considerare "scienza" solo nella sua accezione generale di "disciplina che fornisce sufficienti garanzie della propria validità".
Citazione di: Phil il 26 Settembre 2018, 13:30:46 PM
Citazione di: viator il 25 Settembre 2018, 22:04:37 PM
Non ditemi che questa fecondissima discussione sta per finire !! Per di più nei personalismi un poco acidi e senza aver raggiunto una qualche ragionevole verità !
Con questa osservazione (in stile "castigat ridendo mores" ;) ) fornisci tre elementi, a mio giudizio, molto interessanti: discussione feconda, personalismi e ragionevole verità.
Parto dalla recente esperienza personale: la richiesta di autoidentificarmi come "monista", secondo me è animata dall'esigenza concettuale di incanalare il discorso nell'alveo della classica (e per questo, a suo modo, accogliente) dicotomia monismo/dualismo, il caro vecchio "tertium non datur" per cui "o con me, o contro di me", ovvero "se argomenti contro le mie tesi, allora devi essere sostenitore della tesi simmetricamente opposta", escludendo a priori posizioni oblique, ibride, non orto-dosse e non canonizzabili in standard da manuale.
Questo spiegherebbe come mai quando parlo di affinità con il monismo, tale affermazione resta impressa e viene annotata diligentemente, ma quando (poche righe sotto) specifico che non sono monista al 100% (citando poi relativismo, agnosticismo, possibilismo, etc.), tale specificazione rimane curiosamente "non pervenuta", sotto traccia (nonostante le ripetizioni), pur essendo affermazione più rilevante della precedente, poiché la disambigua.
Perché l'interlocutore sceglie di credere solo ad alcune delle affermazioni complementari fra loro? Misteri della mente umana?
Forse no; qui, a mio giudizio, entrano in gioco i suddetti tre elementi: nel momento in cui l'interlocutore non ci mostra una ragionevole verità (o almeno qualcosa che possiamo identificare come tale), la fertilità del discorso viene spesso compromessa da personalismi; si glissa sul tema e si inizia a parlare dell'interlocutore (che assurge a topic). Nei migliori dei casi, la conversazione ristagna; in altri casi, la capacità di argomentare con osservazioni pertinenti viene risucchiata da polemiche dispersive, si smette quindi di fare filosofia (e si inizia a far politica: slogan, strumentalizzazioni di affermazioni, alleanze, schadenfreude, etc.).
Se l'altro non ci mostra la sua verità (possibilmente rigida, chiusa e con link a wikipedia) siamo un po' a disagio: se non possiamo concordare, non sappiamo cosa criticare, dove scagliare i dardi pungenti del nostro assennato dissenso (spesso attacchiamo per non doverci/saperci difendere); per cui, in assenza di bersagli, li creiamo per antitesi congetturale (estorcendo al testo altrui affermazioni che non gli appartengono, popolandolo di fantasmatiche insinuazioni che lo fanno rientrare in cliché più familiari e "affrontabili").
Le argomentazioni altrui che non sfociano in (auto)dichiarate certezze, ma restano aperte a domande, dubbi e pluralismi vari, non vengono considerate come tali, perché destabilizzano: se il nostro interlocutore dice "forse" o "è possibile" ci disarma (almeno finché restiamo nella logica binaria del "si o no") e per difenderci "blindiamo" le nostre idee etichettandole (non dimostrandole) come evidenti, oggettive e sorrette da rispettabile tradizione. Oppure, un po' spaesati, raccogliamo prontamente le armi della "legittima difesa personale" e lo accusiamo di averci insidiosamente provocato, perché quel "forse" non è autentico (non può esserlo!) e quell'"è possibile" è sarcastico (e deve esserlo!); in caso di mancanza di altri appigli plausibili, usiamo l'artiglieria pesante: l'imputazione di autocontraddizione, di negazione dell'evidenza, etc.
Pare che la nostra mente rifugga l'incertezza più dell'errore...
(ad esempio, il fatto che abbia appena usato la parola "mente" dopo aver affermato che sarebbe interessante provare ad analizzare alcune questioni sospendendone precauzionalmente il concetto, ad alcuni potrebbe sembrare contraddittorio: "o la neghi o la affermi! Cos'è questa storia della sospensione, di aspettare di verificarla... non abbiamo tempo da perdere qui, dicci subito: si o no?" ;D ).
P.s.
Questa predica, nonostante l'uso del "noi", insinua, fra le righe, che sono bello e bravo? Secondo me, no; significa piuttosto che sono brutto (perché non rispetto l'estetica del discorso dicotomico) e cattivo (perché indico la strada per deviare dalla "zona di comfort", in veste di cattiva compagnia, non filosofica ma filosofistica ;) ).
CARLO
Tagliamo la testa al ...topo: cos'è che distingue,
nei fatti, il
tuo percorso di ricerca da quello di un monista "talebano"?
Per capirci con un esempio reale che riguarda me: nel momento in cui il mio monismo-materialismo talebano fu scosso dalla "famosa" esperienza visionaria e aprì una crepa di "possibilismo" nella mia concezione del mondo, io sentii il bisogno di prendere in seria considerazione e di approfondire metodicamente tutte le obiezioni (da qualunque campo provenissero) che vengono mosse al materialismo e di metterle a confronto con quelle che lo sostengono. Tant'è, che in questi ultimi trent'anni mi sono letto almeno due volte i venti ponderosi volumi che costituiscono l'opera omnia di Jung (Freud e molti altri psicologi "materialisti" già li avevo approfonditi in precedenza), almeno cinquanta volumi dei principali studiosi di Storia comparata delle idee religiose, ...e poi tutti e dieci i volumi della "Storia della Filosofia" di Abbagnano, con particolare riguardo ai filosofi religiosi, ...e tralascio il restante 90% di materiale di studio per non riempire una decina di pagine di titoli di pubblicazioni (per esempio, passai un anno intero - orario di ufficio - nella Biblioteca Nazionale di Roma).Insomma, per me un vero "possibilista" è chi dedica al paradigma "avversario" la stessa attenzione (in termini di tempo e di materiale di studio) che egli dedica al proprio paradigma di appartenenza; e che solo
alla fine decide se esso sia più attendibile del proprio oppure no. Ecco: tu sei un "possibilista" come lo sono stato io, oppure, semplicemente, ti limiti a un generico "non escludo", fregandotene tuttavia di approfondire con impegno e serietà tutte le motivazioni avversarie, ritenendole <<non dimostrate>>, come se il materialismo fosse una teoria dimostrata?
DELIBES: Duetto dei fiori, op. Lakmé
https://youtu.be/2GPNZGwMS0w
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 15:11:39 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2018, 09:14:44 AM
CitazioneCommento mio (di Sgiombo):.
Non vedo come si possa non vedere che questo é -quasi letteralmente; eccetto il riferimento alla psicologia come scienza- quanto da me (e non solo da me) ripetutissimamente contestato a Phil con dovizia di argomentazioni ed esempi.
CARLO
Non mi sono riferito alla psicologia <<come scienza>>, ma ho parlato di <<pseudo-scienza>> se riferita ad una psiche non esistente in sé. E questa non è una ambiguità, perché ho già chiarito più volte che se per "scienza" intendiamo la Scienza propriamente detta (applicazione del metodo matematico-sperimentale) la psicologia non fa parte della Scienza; e che si può considerare "scienza" solo nella sua accezione generale di "disciplina che fornisce sufficienti garanzie della propria validità".
In linea teorica concordo (almeno mi pare, salvo sempre possibili fraintendimenti, viste ne nostre notevoli difficoltà a comprenderci correttamente).
Personalmente tendo a usare il termine "scienza umana" (anche per la psicologia, almeno in linea teorica, di principio), contrapposto a quello "scienza naturale"; anche se di fatto non vedo grandi conquiste scientifiche reali, effettive in campo psicologico (salvo quelle cui accennava SamuelSilver nella Risposta #25 della discussione su "La psicologia e la psichiatria hanno valore di scienza?"; lui peraltro le valutava di "entità" ben maggiore di me; e non ritengo punto scientifica nessuna delle varie scuole della psicoanalisi, ben sapendo che in ciò dissentiamo, ma non interessandomi approfondire l' argomento, almeno per ora).
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 16:21:05 PM
Tagliamo la testa al ...topo: cos'è che distingue, nei fatti, il tuo percorso di ricerca da quello di un monista "talebano"?
Mio percorso di ricerca?
Citazione di: Phil il 22 Settembre 2018, 00:32:56 AM
forse sono pastore, di sicuro non sono ricercatore! :)
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2018, 13:26:52 PM
l'invito (a chi è più grande di me) è: perché non provare ad affrontare quelle problematiche senza partire dal concetto di mente?
Nei fatti non faccio nessun percorso di ricerca; il mio era un spunto per una
ipotesi di ricerca per
chi ne ha le competenze (mi lusinghi! ;D ).
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 16:21:05 PM
per me un vero "possibilista" è chi dedica al paradigma "avversario" la stessa attenzione (in termini di tempo e di materiale di studio) che egli dedica al proprio paradigma di appartenenza
Intendi che il possibilista dovrebbe dedicare il tempo che dedica al possibilismo anche agli altri paradigmi? Per come abito la pericolante "crepa del possibilismo"(cit.) direi che il possibilismo (a ben vedere, non lo intenderei come paradigma) necessita degli altri paradigmi proprio in quanto sue possibilità d'applicazione; senza di essi non può esistere "paradigma possibilista" (a cosa verrebbe applicato?).
In fondo, non si dedica "tempo e studio" al possibilismo, semplicemente ci si confronta con gli altri approcci: per me, il possibilismo non è il punto di partenza di tale confronto, ma il punto di arrivo (non garantito!); si inizia cercando di capire un tipo di approccio e ci si può ritrovare ad essere possibilisti in merito, ma si potrebbe anche concludere che tale approccio non ha senso o è falsificato dai fatti.
Per me, non si è possibilisti
a priori, si è possibilisti nei confronti di qualcosa
a posteriori:
del dualismo
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 16:56:33 PM
Il mio cosiddetto "monismo" ("philismo" per gli amici) contempla la possibilità del dualismo
di molte altre ipotesi
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 16:56:33 PM
per me sono possibili: la "prova contraria", la falsificazione del mio punto di vista, l'esistenza di una divinità, l'origine da un pianeta differente, la trascendenza della mente e molte altre eventualità
poiché
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2018, 16:56:33 PM
Essere possibilista (possibile effetto collaterale dello scetticismo metodologico) significa non negare a priori una possibilità infalsificata e al contempo non darla per realizzata, almeno fino a prova contraria.
Se la prova contraria c'è stata, se la possibilità è stata falsificata (cruciale qui il ruolo della temporalità) non mi pare abbia senso essere possibilisti. Almeno questo è come intendo il possibilismo (sicuramente sono possibili altre interpretazioni del termine).
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 16:21:05 PM
e che solo alla fine decide
La fine è quando muoio ;) e non ho fretta di avere una verità certa (v. ultimo post), in fondo potrei anche non ottenerla mai...
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 16:21:05 PM
Ecco: tu sei un "possibilista" come lo sono stato io, oppure, semplicemente, ti limiti a un generico "non escludo", fregandotene tuttavia di approfondire con impegno e serietà tutte le motivazioni avversarie, [...]?
Se devo proprio scegliere solo fra queste due ipotesi, sto al gioco: per adesso e fino a prova contraria, indubbiamente la seconda opzione ;D
Citazione di: Phil il 26 Settembre 2018, 20:04:42 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 16:21:05 PM
per me un vero "possibilista" è chi dedica al paradigma "avversario" la stessa attenzione (in termini di tempo e di materiale di studio) che egli dedica al proprio paradigma di appartenenza
PHIL
Intendi che il possibilista dovrebbe dedicare il tempo che dedica al possibilismo anche agli altri paradigmi?
CARLO...E' tornato il nero di seppia! Ricordi? :) ...Circonvoluzioni verbali costruite, non per chiarire, ma per con-fondere, per offuscare la verità.
Il possibilismo non è una visione del mondo a cui <<dedicarsi>>, ma è il nome che diamo all'incertezza sulla verità della nostra visione del mondo di fronte all'affacciarsi della
possibilità che una visione del mondo diversa e incompatibile con la nostra sia più veritiera di quest'ultima.
Quindi intendo - come era già chiaro prima che spruzzassi il tuo "nero di seppia", che il
vero possibilista dedicherà al paradigma "candidato possibile" lo stesso tempo-attenzione-impegno che dedica al proprio paradigma abituale di appartenenza.PHIL
In fondo, non si dedica "tempo e studio" al possibilismo, semplicemente ci si confronta con gli altri approcci: per me, il possibilismo non è il punto di partenza di tale confronto, ma il punto di arrivo (non garantito!); si inizia cercando di capire un tipo di approccio e ci si può ritrovare ad essere possibilisti in merito, ma si potrebbe anche concludere che tale approccio non ha senso o è falsificato dai fatti.Per me, non si è possibilisti a priori, si è possibilisti nei confronti di qualcosa a posteriori: del dualismo.CARLONero di seppia! :)
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 16:21:05 PM
Ecco: tu sei un "possibilista" come lo sono stato io, oppure, semplicemente, ti limiti a un generico "non escludo", fregandotene tuttavia di approfondire con impegno e serietà tutte le motivazioni avversarie, [...]?
PHILSe devo proprio scegliere solo fra queste due ipotesi, sto al gioco: per adesso e fino a prova contraria, indubbiamente la seconda opzione ;D
CARLO
Braaaavo! Ci voleva tanto a dire che sei
essenzialmente un monista per fede (il monismo non è scienza) e che, però, pretendi una prova scientifica per farti cambiare idea? E' vero che la tua posizione manca di coerenza, ma puoi stare tranquillo lo stesso: nel nostro paese c'è piena libertà di fede. ;) OFFENBACH: Barcarolle, op.
Les contes d'Hoffmann
https://youtu.be/0u0M4CMq7uI?t=62 OFFENBACH: Les oiseaux dans la charmille, op. Les contes d'Hoffmann
https://youtu.be/mVUpKIFHqZk
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2018, 19:58:44 PM...e non ritengo punto scientifica nessuna delle varie scuole della psicoanalisi, ben sapendo che in ciò dissentiamo, ma non interessandomi approfondire l'argomento, almeno per ora).
CARLO
Dire che <<dissentiamo>> è un eufemismo a tuo favore. Diciamo, piuttosto, che io ho delle fondate ragioni per pensare che la psicologia junghiana fornisca sufficienti garanzie della propria validità, e che tu, invece, non conosci queste ragioni e che
(almeno per il momento) non ti interessa conoscerle. Pertanto, più che di <<dissenso>>, io parlerei di contrapposizione tra un giudizio fondato e un giudizio a-priori, cioè, tra un giudizio e un pre-giudizio.MOZART: Ruhe Sanft, op. Zaide
https://youtu.be/jSQqbJPoSbw
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 21:14:10 PM
Il possibilismo non è una visione del mondo a cui <<dedicarsi>>
Allora concordiamo, avevo solo frainteso la tua affermazione :)
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 21:48:43 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2018, 19:58:44 PM...e non ritengo punto scientifica nessuna delle varie scuole della psicoanalisi, ben sapendo che in ciò dissentiamo, ma non interessandomi approfondire l'argomento, almeno per ora).
CARLO
Dire che <<dissentiamo>> è un eufemismo a tuo favore. Diciamo, piuttosto, che io ho delle fondate ragioni per pensare che la psicologia junghiana fornisca sufficienti garanzie della propria validità, e che tu, invece, non conosci queste ragioni e che (almeno per il momento) non ti interessa conoscerle. Pertanto, più che di <<dissenso>>, io parlerei di contrapposizione tra un giudizio fondato e un giudizio a-priori, cioè, tra un giudizio e un pre-giudizio.
MOZART: Ruhe Sanft, op. Zaide
https://youtu.be/jSQqbJPoSbw
CitazioneA volte basta "un assaggio" per decidere a ragion veduta che non ci conviene continuare la "degustazione", preferendo di gran lunga ben diversi "piatti" (e tu di "assaggi" ce ne hai proposti non pochi, per me più che sufficienti per decidere di dedicarmi ad altro).
Perdonate l'assenza di qualsiasi tipo di risposta da parte mia, nonostante avessi detto che avrei rispososto, ma questo è stato un periodo piuttosto impegnato. Ho cercato di leggere più o meno tutti i commenti (tranne gli ultimi) e vorrei quindi dire anche la mia.
Per ora risponderò solo ad alcune parti che non riguardano direttamente il dibattito monismo-dualismo, poi, spero, parlerò anche di quello e dell'elenco di Carlo Pierini alla risposta 15 quando avrò ragionato meglio.
Dal mio punto di vista la filosofia è utile solo in quanto fornisce spunti interessanti per approcciarsi a certi problemi e per svolgere ricerche, oltre che per definire le regole morali e comportamentali che uno segue. Essa però rimane solo un grosso bacino di teorie e non può essere messa allo stesso livello della scienza che cerca anche verifiche empiriche. Se vogliamo risposte più definitive, anche riguardo a teorie filosofiche, bisogna rivolgersi alla scienza. "Ma la scienza ha un sacco di limiti! Per esempio..." potrebbe dire qualcuno, ma qual è l'alternativa? Il ragionamento filosofico? No, perchè, come ho già detto, filosofia e scienza sono su due livelli non paragonabili. Altra possibile obiezione: "Ma allora ti limiti a constatare che una cosa non ha alternative e questo basta per renderla legittima? Bisognerebbe cercare attivamente delle alternative senza rimanere passivi e dogmatici!". Esatto, ma mentre queste alternative si cercano bisogna basarsi su quello che ora sembra più affidabile e poi, dato che la definizione di scienza è molto vaga, è molto probabile che queste alternative siano solo delle modifiche e dei miglioramenti al metodo scientifico.
Piccola parentesi per Carlo Pierini: la psicologia NON è filosofia. Essa non può essere vista come la parte empirica della filosofia perchè, come ho già detto, la psicologia non si esaurisce nella psicologia dinamica e, anche se si considerasse solo quella dinamica, essa non sarebbe comunque scientifica o empirica e quindi non potrebbe rivestire il ruolo di parte empirica della filosofia.
Ora entriamo nel vivo. In generale mi trovo molto d'accordo con ciò che scrive Phil, ma a parer mio egli non è riuscito a rispondere adeguatamente alle critiche, fondate e legittime, di Sgiombo e di Carlo Pierini, quindi ci proverò io. Effettivamente si potrebbe dire che noi esperiamo il non-materiale ogni volta che siamo coscienti e la cosa può essere approcciata in quattro diversi modi.
Si può obiettare (come fa Phil) che tuttavia abbiamo costantemente prova della materia e che quindi potrebbe essere utile considerare la mente come una delle tante forme di materia.
Si può affermare (come fa Sgiombo) che, al contrario, abbiamo costantemente prova della non-materia e che quindi potrebbe essere ugualmente utile considerare la materia una delle tante forme della mente.
A questo punto Phil dice che, tuttavia, la mente è un concetto artificiale che viene rinforzato e supportato solo dal fatto che, chi conosce questo concetto, spiega i fenomeni inspiegabili con il suddetto concetto, andando ad autoalimentarsi. Si avrebbe quindi un mondo in cui esiste la materia, ma dato che c'è un caso in cui la materia sembra comportarsi in modo diverso dal solito (ossia nella "mente"), si attribuisce erroneamente a questo diverso comportamento una natura ontologica indipendente categorizzandolo artificiosamente come "mente non-materiale".
Infine (e questo lo aggiungo io) si potrebbe di nuovo obiettare che potrebbe essere la materia il concetto artificioso che si autoalimenta. Esisterebbe quindi un mondo mentale, ma dato che c'è una situazione in cui la mente si comporta in modo diverso dal solito (ossia nella "materia"), si attribuisce erroneamente a questo diverso comportamento una natura ontologicamente indipendente categorizzandolo artificiosamente come "materia non-mentale".
Queste sono tutte affermazioni moniste, quindi il problema in questo tipo di dibattito non è se il dualismo è valido come il monismo, ma se il monismo non-materialista è valido quanto quello materialista: infatti il dibattito è nato per far notare a Phil che non c'è un apparente motivo per ipotizzare l'inesistenza della mente come tesi di ricerca rispetto all'inesistenza della materia.
Secondo me, tuttavia, questo tipo di dibattito è superfluo. Finché siamo d'accordo che esiste un solo tipo di sostanza (lo so che Sgiombo, Carlo Pierini a altri non lo sono, ma mi sto riferendo solo al dibattito sopra citato) e che questa sostanza è quindi tutta sullo stesso piano ontologico, evitando di cadere nel problema della comunicazione tra due piani diversi (di cui Carlo Pierini ha parlato e che cercherò di commentare più avanti), non ha importanza se sia tutta mente o tutta materia. In entrambi i casi essa si comporta nel modo illustrato e studiato dalle varie scienze e non potendo sapere in quale dei due casi ci troviamo, non è utile porsi il problema: basta presupporre il monismo in generale e la cosa è fatta.
Si potrebbe tuttavia obiettare che i due tipi di monismo non siano alla fin fine uguali e che non abbiano la stessa probabilità di essere veri, affermando che un mondo di mente non-materiale (ossia un sogno, stiamo praticamente parlando di idealismo) abbia la capacità di creare comportamenti uguali a quelli che noi chiamiamo "materiali", mentre un mondo di materia non-mentale non abbia la capacità di creare comportamenti uguali a quelli che noi chiamiamo "mentali". Ebbene, con questo topic il mio intento era proprio quello di smentire questa seconda affermazione. Inoltre, il fatto che un mondo non-materiale possa creare l'illusione della materia mentre un mondo materiale non possa creare l'illusione della mente è supportato solo dal presupposto che la non-materia abbia poteri incomprensibili e inconcepibili e che quindi possa fare quello che vuole proprio perchè è trascendente (e qui per me viene fuori la poca chiarezza del termine "non-materia", di cui Viator ha parlato nel suo topic "L'immateriale"). In altre parole, si ipotizza una sostanza incomprensibile a priori che può fare tutto ciò che vuole per poter spiegare i fenomeni inspiegabili dalla sostanza comprensibile, la materia (e qui sono d'accordo con il discorso del Jolly di Phil, anche nonostante le obiezioni di Sariputra). Tuttavia secondo me, fare questa ipotesi ha la stessa validità di ipotizzare che la materia possa creare l'illusione della mente ma che ancora non capiamo come faccia; ma, per fare ricerca, questa seconda ipotesi è più utile della prima. In conclusione, siamo partiti dall'obiezione che i due monismi non sono uguali, constatiamo che non si potrà mai verificare quale dei due sia vero e concludiamo che bisogna basarsi solo sull'utilità di essi scegliendo quindi il secondo.
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2018, 22:28:35 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 21:48:43 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Settembre 2018, 19:58:44 PM...e non ritengo punto scientifica nessuna delle varie scuole della psicoanalisi, ben sapendo che in ciò dissentiamo, ma non interessandomi approfondire l'argomento, almeno per ora).
CARLO
Dire che <<dissentiamo>> è un eufemismo a tuo favore. Diciamo, piuttosto, che io ho delle fondate ragioni per pensare che la psicologia junghiana fornisca sufficienti garanzie della propria validità, e che tu, invece, non conosci queste ragioni e che (almeno per il momento) non ti interessa conoscerle. Pertanto, più che di <<dissenso>>, io parlerei di contrapposizione tra un giudizio fondato e un giudizio a-priori, cioè, tra un giudizio e un pre-giudizio.
CitazioneSGIOMBO
A volte basta "un assaggio" per decidere a ragion veduta che non ci conviene continuare la "degustazione", preferendo di gran lunga ben diversi "piatti" (e tu di "assaggi" ce ne hai proposti non pochi, per me più che sufficienti per decidere di dedicarmi ad altro).
CARLO
Certo, a volte è necessario anche questo. Ma è un rischio. Infatti, quando io "assaggiai" Jung per la prima volta, indignato, chiusi il suo libro dopo una trentina di pagine e promisi a me stesso che non avrei mai più sprecato il mio tempo con dei "mistici mascherati da psicologi" come lui. Cosa cazzo voleva dire questo Jung, mi chiesi, con quel concetto roboante e vuoto che chiamava "archetipo" e che relazionava a concetti altrettanto vuoti come "spirito", "Sé", "immagini transpersonali", ecc.? ...Ecco, lo capii una decina di anni dopo, quando proprio l'"immagine transpersonale di un archetipo" irruppe nella mia vita e mise a soqquadro il mio modo di guardare al mondo e a me stesso.
Insomma, non c'è mai una <<ragion veduta>>, finché non conosciamo abbastanza a fondo il territorio ...nemico.
<<...Questo è un nodo avviluppato...!!>>
ROSSINI: Questo è un nodo avviluppato, op. Cenerentola
https://youtu.be/NB14yuKef1s?t=48
SAMUELSILVERPiccola parentesi per Carlo Pierini: la psicologia NON è filosofia. Essa non può essere vista come la parte empirica della filosofia perchè, come ho già detto, la psicologia non si esaurisce nella psicologia dinamica e, anche se si considerasse solo quella dinamica, essa non sarebbe comunque scientifica o empirica e quindi non potrebbe rivestire il ruolo di parte empirica della filosofia. CARLO
Se la fisica (in senso lato) è chiamata anche "filosofia della natura", non vedo perché la psicologia non possa essere chiamata "filosofia della mente".
La filosofia nasce come "amore per la conoscenza", quindi, in una accezione generale, le varie discipline della conoscenza non sono altro che altrettante specializzazioni della filosofia. Non capisco, pertanto, i criteri della tua rigida "tassonomia".
https://it.wikipedia.org/wiki/Filosofia_della_mente
E non ho capito nemmeno cosa intendi quando parli di <<due tipi di monismo>>.
GALUPPI: Torna in quell'onda chiara, op. La Scusa
https://youtu.be/d4OSqC7fL88?t=826
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 23:26:46 PM
Insomma, non c'è mai una <<ragion veduta>>, finché non conosciamo abbastanza a fondo il territorio ...nemico.
<<...Questo è un nodo avviluppato...!!>>
Ma chi stabilisce quando lo si conosce "abbastanza a fondo"?
Come diceva Ippocrate "la scienza é lunga e la vita é breve" e bisogna scegliere a quali interessi dedicarsi piuttosto che a quali altri.
Personalmente sono un razionalista e cerco conoscenze fondate sull' osservazione empirica e sulle dimostrazioni logiche, non fidandomi di alcuna "rivelazione" mistica o comunque non empirica o logica, ragion per cui non mi interessa nulla di Jung.
(A questo punto finisco il presente scambio di battute perché fuori tema e perché non ho altro da aggiungere sembrandomi sufficientemente chiarite le differenze di "atteggiamento epistemologico" fra noi; preciso che ciò non significa ovviamente che "tacendo acconsentirò" alla tua probabile ulteriore obiezione, compresa anche un' eventuale tua pretesa d negare il mio razionalismo).
Dissento decisamente circa i rapporti fra scienza (scienze in senso stretto, "naturali") e filosofia.
Quest' ultima é per me é (fra l' altro, anche: in questa sede tralascio ontologia, etica, estetica e forse qualcosaltro che al momento non mi sovviene) critica razionalistica delle conoscenze tutte (gnoseologia), compresa la conoscenza scientifica (valutazione dei limiti, delle condizioni, del significato della conoscenza; anche scientifica: epistemologia). E dunque é assurdo cercare risposte più definitive, anche riguardo a teorie filosofiche, rivolgendosi alla scienza.
E' invece la filosofia che cerca risposte, non saprei dire quanto definitive e in che senso, circa le questioni di che cosa é la scienza, se, in che senso, a quali condizioni, entro quali limiti la scienza sia possibile da ricercarsi e sia vera.
Fra le risposte (filosofiche) che personalmente ho trovato a queste questioni (e che qui e ora non sto ad argomentare) vi é il fatto che la conoscenza scientifica é possibile unicamente di ciò che é (constatabile essere) misurabile e (postulabile, ma non dimostrabile né constatabile, essere) intersoggettivo (la materia); che non esaurisce la realtà in toto, della quale fa parte infatti anche ciò che non é misurabile né intersoggettivo (il pensiero).
E che della materia la scienza costituisca l' unico (non solo il più affidabile) tipo di conoscenza della caratteristiche generali astratte universali e costanti del suo proprio divenire ordinato; e questo malgrado necessiti di alcune conditiones sine qua non le quali non sono dimostrabili né empiricamente rilevabili, ma solo credibili infondatamente, irrazionalmente, letteralmente "per fede", quali lo stesso divenire ordinato e la stessa intersoggettività della materia (come ci ha insegnato il grandissimo -per me "sommo"- filosofi (David Hume).
(Nota che disporre di questa consapevolezza dei limiti della razionalità scientifica significa non già essere meno razionalisti, ma invece essere razionalisti più conseguenti che ignorarli, coltivando "pie illusioni" infondate in proposito).
Secondo me le "scienze umane" compresa la psicologia, sono ben altro genere di conoscenza rispetto alle "scienze naturali", cioè alla scienza in senso stretto o "forte" perché il loro ambito di indagine é fortemente caratterizzato (e comunque comprende come fattore non trascurabile in alcun modo) la realtà mentale o di pensiero non misurabile, né postulabile essere intersoggettiva.
Secondo il mio modesto parere, anche in questo intervento circa il problema monismo/dualismo, come in altri tuoi e come fanno anche altri ottimi frequentatori del forum (in particolare Apeiron, che mi piacerebbe moltissimo intervenisse anche in questa discussone), tendi a confondere "mente" ovvero "pensiero" (sostanzialmente la cartesiana "res cogitans") con "coscienza", la quale li comprende entrambi.
Tanto la materia quanto la mente sono ("contenuti di") coscienza, "dati" fenomenici, (insiemi-successioni di) sensazioni, reali unicamente se e quando accadono ("sono in atto") in quanto tali: "esse est percipi" (Berkeley e soprattutto Hume).
Dunque per me abbiamo costantemente prova non della mente (o "non materia"; termine che non mi piace perché sembra indebitamente suggerire "a là Phil", una qualche forma di "primogenitura ontologica", una maggiore o maggiormente certa realtà, della materia sul pensiero), ma invece dei fenomeni, tanto materiali quanto mentali (del tutto parimenti costituenti il "campo ontologico" dei fenomeni, quello immediatamente constatabile, ciò che più sicuramente conosciamo, del quale meno possiamo dubitare che di qualsiasi altra "cosa").
Non c' é (indubitabilmente)<<un mondo in cui esiste la materia, ma dato che c'è un caso in cui la materia sembra comportarsi in modo diverso dal solito (ossia nella "mente"), si attribuisce erroneamente a questo diverso comportamento una natura ontologica indipendente categorizzandolo artificiosamente come "mente non-materiale">>; ma invece c' é (indubitabilmente) un mondo in cui esistono (insiemi - successioni immediatamente constatabile di ) sensazioni fenomeniche, delle quali le une sono materiali, le altre mentali, e né le une spiegano le altre, né le altre spiegano le une (é invece il concetto di "noumeno" che a mio parere consente di spiegare le une e le altre).
Dunque secondo me in realtà c' é un dualismo (materia - pensiero) dei fenomeni e un monismo ("neutro": né materiale, né mentale) del noumeno.
E la questione non é quale preteso monismo (cioè quale dei due ordini) dei fenomeni possa meglio spiegare l' altro: essi si spiegano reciprocamente l' un l' altro e sono complessivamente spiegati entrambi dal monismo neutro del noumeno.
Se per "sostanza" (termine alquanto "veterofilosofico", secondo me alquanto oscuro) intendiamo ciò che é oggettivamente reale (anche indipendentemente dall' accadere delle soggettive esperienze fenomeniche: meramente soggettive nel caso delle loro componenti mentali, intersoggettive nel caso di quelle materiali, ma comunque in entrambi i casi del tutto parimenti soggettive "in generale"), allora concordo che essa é unica; ma non che sia materiale né mentale dal momento che altrimenti sarebbe comunque inevitabilmente soggettiva (monismo "neutro", se vogliamo).
Se invece intendiamo ciò che soggettivamente appare, allora bisogna ammettere che essa é duale, non essendo, del tutto parimenti, né il pensiero identificabile con (né riducibile a, emergente da, sopravveniente a) la materia, né viceversa.
Che sia conoscibile scientificamente (in senso stretto) e che sia intersoggettiva la sola materia e non la mente (invece non conoscibile scientificamente e meramente soggettiva) non fa sì che la prima spieghi la seconda: é invece casomai l' ipotesi del noumeno che può spiegare l' una e l' altra.
Né la mente crea la materia né la materia crea la mente (in modi in entrambi i casi del tutto inspiegabili, parimenti misteriosi, incomprensibili, "magici"), ma invece al noumeno oggettivo (a certi, limitati, determinati casi del divenire del noumeno) corrispondono biunivocamente esperienze fenomeniche coscienti "in generale" soggettive, con le loro componenti materiali intersoggettive e mentali meramente soggettive).
Per me questa é (già "a portata di mano") la spiegazione del tutto (filosofica); spiegazione che non si potrebbe ragionevolmente cercare "scientificamente" dal momento che scienza può conoscere solo la materia e non la mente e che la questione é quella dei rapporti fra materia e mente, e dunque include" come sua "parte integrante" la mente non scientificamente indagabile (ma solo filosoficamente).
In conclusione credo di poter dire che da queste considerazioni mi sembra emerga la profonda differenza fra il mio atteggiamento "filosofico" e il tuo "scientifico" (che in tutta modestia ti inviterei a considerare se non sia il caso di rivederlo, dal momento che mi pare evidente non possa risolvere la questione, mentre che la filosofia ne possa proporre -almeno- una soluzione -se non anche più reciprocamente alternative- a mio parere decisamente soddisfacente).
Grazie (a tutti) per l' attenzione.
Citazione di: sgiombo il 27 Settembre 2018, 08:29:31 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2018, 23:26:46 PM
Insomma, non c'è mai una <<ragion veduta>>, finché non conosciamo abbastanza a fondo il territorio ...nemico.
<<...Questo è un nodo avviluppato...!!>>
SGIOMBO
Ma chi stabilisce quando lo si conosce "abbastanza a fondo"?
CARLO
Il buon senso. Se dici che la psicologia non ti è mai interessata, vuol dire che non la conosci abbastanza a fondo.
SGIOMBOPersonalmente sono un razionalista e cerco conoscenze fondate sull'osservazione empirica e sulle dimostrazioni logiche, non fidandomi di alcuna "rivelazione" mistica o comunque non empirica o logica, ragion per cui non mi interessa nulla di Jung.CARLOAnch'io sono un razionalista che non dà alcun credito ad affermazioni che non siano fondate sull'osservazione empirica e sulla logica più rigorosa. Per questo trovo estremamente solido l'approccio di Jung al tema delle esperienze "mistiche". Nel campo della psicologia, sono solo tre gli studiosi che hanno affrontato seriamente questo argomento: Abraham Maslow, Roberto Assaggioli e Jung; ma mentre i primi due si limitano ad annotare gli effetti di queste esperienze sull'evoluzione psicologica di chi le vive, Jung è l'unico ad aver fornito loro una cornice paradigmatica profondamente coerente e conforme alle osservazioni accumulate in questi ultimi 70-80 anni nel campo della Storia comparata del mito e delle idee religiose (M. Eliade, R. Guénon, J. Evola, J. Campbell, E. Zolla, R. Alleau, J. Hillman, W. Williamson, G. Durand, E. Cassirer, ecc.). Insomma, una teoria psicologica che comprenda in sé anche una dinamica delle esperienze "mistiche" è ben altro che fare affermazioni dettate da rivelazioni mistiche. E il fatto stesso che tu confonda ingenuamente queste due possibilità, la dice lunga sul tuo livello di conoscenza dell'argomento.HAYDN: Sinf. n. 13, II (fino a 9:18)
https://youtu.be/nfpu_njPjdQ?t=193
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Settembre 2018, 10:12:55 AM
SGIOMBO
Personalmente sono un razionalista e cerco conoscenze fondate sull'osservazione empirica e sulle dimostrazioni logiche, non fidandomi di alcuna "rivelazione" mistica o comunque non empirica o logica, ragion per cui non mi interessa nulla di Jung.
(A questo punto finisco il presente scambio di battute perché fuori tema e perché non ho altro da aggiungere sembrandomi sufficientemente chiarite le differenze di "atteggiamento epistemologico" fra noi; preciso che ciò non significa ovviamente che "tacendo acconsentirò" alla tua probabile ulteriore obiezione, compresa anche un' eventuale tua pretesa d negare il mio razionalismo).
CARLO
Anch'io sono un razionalista che non dà alcun credito ad affermazioni che non siano fondate sull'osservazione empirica e sulla logica più rigorosa. Per questo trovo estremamente solido l'approccio di Jung al tema delle esperienze "mistiche". Nel campo della psicologia, sono solo tre gli studiosi che hanno affrontato seriamente questo argomento: Abraham Maslow, Roberto Assaggioli e Jung; ma mentre i primi due si limitano ad annotare gli effetti di queste esperienze sull'evoluzione psicologica di chi le vive, Jung è l'unico ad aver fornito loro una cornice paradigmatica profondamente coerente e conforme alle osservazioni accumulate in questi ultimi 70-80 anni nel campo della Storia comparata del mito e delle idee religiose (M. Eliade, R. Guénon, J. Evola, J. Campbell, E. Zolla, R. Alleau, J. Hillman, W. Williamson, G. Durand, E. Cassirer, ecc.).
Insomma, una teoria psicologica che comprenda in sé anche una dinamica delle esperienze "mistiche" è ben altro che fare affermazioni dettate da rivelazioni mistiche. E il fatto stesso che tu confonda ingenuamente queste due possibilità, la dice lunga sul tuo livello di conoscenza dell'argomento.
CitazioneCome volevasi dimostrare.
Passo e chiudo (stavolta definitivamente).
Citazione di: sgiombo il 27 Settembre 2018, 09:58:43 AM
Dissento decisamente circa i rapporti fra scienza (scienze in senso stretto, "naturali") e filosofia.
Quest' ultima é per me é (fra l' altro, anche: in questa sede tralascio ontologia, etica, estetica e forse qualcosaltro che al momento non mi sovviene) critica razionalistica delle conoscenze tutte (gnoseologia), compresa la conoscenza scientifica (valutazione dei limiti, delle condizioni, del significato della conoscenza; anche scientifica: epistemologia). E dunque é assurdo cercare risposte più definitive, anche riguardo a teorie filosofiche, rivolgendosi alla scienza.
E' invece la filosofia che cerca risposte, non saprei dire quanto definitive e in che senso, circa le questioni di che cosa é la scienza, se, in che senso, a quali condizioni, entro quali limiti la scienza sia possibile da ricercarsi e sia vera.
Fra le risposte (filosofiche) che personalmente ho trovato a queste questioni (e che qui e ora non sto ad argomentare) vi é il fatto che la conoscenza scientifica é possibile unicamente di ciò che é (constatabile essere) misurabile e (postulabile, ma non dimostrabile né constatabile, essere) intersoggettivo (la materia); che non esaurisce la realtà in toto, della quale fa parte infatti anche ciò che non é misurabile né intersoggettivo (il pensiero).
E che della materia la scienza costituisca l' unico (non solo il più affidabile) tipo di conoscenza della caratteristiche generali astratte universali e costanti del suo proprio divenire ordinato; e questo malgrado necessiti di alcune conditiones sine qua non le quali non sono dimostrabili né empiricamente rilevabili, ma solo credibili infondatamente, irrazionalmente, letteralmente "per fede", quali lo stesso divenire ordinato e la stessa intersoggettività della materia (come ci ha insegnato il grandissimo -per me "sommo"- filosofi (David Hume).
(Nota che disporre di questa consapevolezza dei limiti della razionalità scientifica significa non già essere meno razionalisti, ma invece essere razionalisti più conseguenti che ignorarli, coltivando "pie illusioni" infondate in proposito).
Secondo me le "scienze umane" compresa la psicologia, sono ben altro genere di conoscenza rispetto alle "scienze naturali", cioè alla scienza in senso stretto o "forte" perché il loro ambito di indagine é fortemente caratterizzato (e comunque comprende come fattore non trascurabile in alcun modo) la realtà mentale o di pensiero non misurabile, né postulabile essere intersoggettiva.
Secondo il mio modesto parere, anche in questo intervento circa il problema monismo/dualismo, come in altri tuoi e come fanno anche altri ottimi frequentatori del forum (in particolare Apeiron, che mi piacerebbe moltissimo intervenisse anche in questa discussone), tendi a confondere "mente" ovvero "pensiero" (sostanzialmente la cartesiana "res cogitans") con "coscienza", la quale li comprende entrambi.
Tanto la materia quanto la mente sono ("contenuti di") coscienza, "dati" fenomenici, (insiemi-successioni di) sensazioni, reali unicamente se e quando accadono ("sono in atto") in quanto tali: "esse est percipi" (Berkeley e soprattutto Hume).
Dunque per me abbiamo costantemente prova non della mente (o "non materia"; termine che non mi piace perché sembra indebitamente suggerire "a là Phil", una qualche forma di "primogenitura ontologica", una maggiore o maggiormente certa realtà, della materia sul pensiero), ma invece dei fenomeni, tanto materiali quanto mentali (del tutto parimenti costituenti il "campo ontologico" dei fenomeni, quello immediatamente constatabile, ciò che più sicuramente conosciamo, del quale meno possiamo dubitare che di qualsiasi altra "cosa").
Non c' é (indubitabilmente)<<un mondo in cui esiste la materia, ma dato che c'è un caso in cui la materia sembra comportarsi in modo diverso dal solito (ossia nella "mente"), si attribuisce erroneamente a questo diverso comportamento una natura ontologica indipendente categorizzandolo artificiosamente come "mente non-materiale">>; ma invece c' é (indubitabilmente) un mondo in cui esistono (insiemi - successioni immediatamente constatabile di ) sensazioni fenomeniche, delle quali le une sono materiali, le altre mentali, e né le une spiegano le altre, né le altre spiegano le une (é invece il concetto di "noumeno" che a mio parere consente di spiegare le une e le altre).
Dunque secondo me in realtà c' é un dualismo (materia - pensiero) dei fenomeni e un monismo ("neutro": né materiale, né mentale) del noumeno.
E la questione non é quale preteso monismo (cioè quale dei due ordini) dei fenomeni possa meglio spiegare l' altro: essi si spiegano reciprocamente l' un l' altro e sono complessivamente spiegati entrambi dal monismo neutro del noumeno.
Se per "sostanza" (termine alquanto "veterofilosofico", secondo me alquanto oscuro) intendiamo ciò che é oggettivamente reale (anche indipendentemente dall' accadere delle soggettive esperienze fenomeniche: meramente soggettive nel caso delle loro componenti mentali, intersoggettive nel caso di quelle materiali, ma comunque in entrambi i casi del tutto parimenti soggettive "in generale"), allora concordo che essa é unica; ma non che sia materiale né mentale dal momento che altrimenti sarebbe comunque inevitabilmente soggettiva (monismo "neutro", se vogliamo).
Se invece intendiamo ciò che soggettivamente appare, allora bisogna ammettere che essa é duale, non essendo, del tutto parimenti, né il pensiero identificabile con (né riducibile a, emergente da, sopravveniente a) la materia, né viceversa.
Che sia conoscibile scientificamente (in senso stretto) e che sia intersoggettiva la sola materia e non la mente (invece non conoscibile scientificamente e meramente soggettiva) non fa sì che la prima spieghi la seconda: é invece casomai l' ipotesi del noumeno che può spiegare l' una e l' altra.
Né la mente crea la materia né la materia crea la mente (in modi in entrambi i casi del tutto inspiegabili, parimenti misteriosi, incomprensibili, "magici"), ma invece al noumeno oggettivo (a certi, limitati, determinati casi del divenire del noumeno) corrispondono biunivocamente esperienze fenomeniche coscienti "in generale" soggettive, con le loro componenti materiali intersoggettive e mentali meramente soggettive).
Per me questa é (già "a portata di mano") la spiegazione del tutto (filosofica); spiegazione che non si potrebbe ragionevolmente cercare "scientificamente" dal momento che scienza può conoscere solo la materia e non la mente e che la questione é quella dei rapporti fra materia e mente, e dunque include" come sua "parte integrante" la mente non scientificamente indagabile (ma solo filosoficamente).
In conclusione credo di poter dire che da queste considerazioni mi sembra emerga la profonda differenza fra il mio atteggiamento "filosofico" e il tuo "scientifico" (che in tutta modestia ti inviterei a considerare se non sia il caso di rivederlo, dal momento che mi pare evidente non possa risolvere la questione, mentre che la filosofia ne possa proporre -almeno- una soluzione -se non anche più reciprocamente alternative- a mio parere decisamente soddisfacente).
Grazie (a tutti) per l' attenzione.
Si, il mio atteggiamento è più pro-scienza. Ovviamente non trovo la filosofia inutile e di basso livello (altrimenti non sarei qui), ma anzi è molto interessante in quanto fornisce modi ragionevoli e utili di vedere ed approcciarsi alla realtà. Tuttavia trovo la scienza più chiara e meno sfumata, da qui deriva il mio atteggiamento. Ovviamente ho altri motivi che non starò qui a spiegare in quanto fuori argomento, magari farò un topic a parte.
Per quanto riguarda la confusione tra mente e coscienza vorrei giustificarmi dicendo che, a parer mio, la tua descrizione di mente, coscienza e noumeno fornita in questo commento mi fa pensare che la tua proposta sia più monista di quanto sembri.
Mi sembra infatti di cogliere una specie di dualismo dentro il dualismo che alla fin fine implica un monismo di fondo. Come hai detto tu, "c'è un dualismo dei fenomeni e un monismo del noumeno", ma qui tu stai già differenziando due diversi piani ontologici distinti: i fenomeni e il noumeno.
Anche a me non piace il termine sostanza, ma non sapevo quale altro usare per spiegarmi meglio e si, la intendo come realtà oggettiva indipendente da noi. Quindi, se per te il noumeno è questa realtà e questa realtà è monista, non dovrebbe esistere un mondo dei fenomeni con proprietà dualiste ontologicamente separato da quello del noumeno, altrimenti il noumeno stesso diventa parte una realtà dualista più grande che comprende noumeno e fenomeni.
Se si afferma che la realtà è monista, si implica che tutto ciò che esiste, compresi i fenomeni soggettivi, sono frutto di questa realtà e che quindi sono fatti della stessa "sostanza". Ne consegue che bisogna considerare i fenomeni soggettivi coscienti, che tu distingui tra materiali e mentali, come una delle tante forme di questa "sostanza" che compone la realtà.
Se tu intendevi invece dire altro, leggerò con interesse la tua eventuale risposta.
Citazione di: viator il 16 Settembre 2018, 18:55:19 PM
Salve. Per Carlo Pierini. Affermi che la coscienza faccia parte della mente.
Il fatto che si possa essere contemporaneamente coscienti e dementi (mentre invece è impossibile una produzione mentale in stato di incoscienza - e guarda che stiamo parlando di mentalismo - non di psichismo) sembra dimostri che le cose stiano diversamente.
CARLO
Demenza non significa "assenza di mente", ma "disturbo mentale", cioè, si tratta di una psicopatologia grave.
VIATOR
Facciamo che la gerarchia evolutiva (e poi quindi anche funzionale) dei contenuti cerebrali sia invece la seguente : sistema nervoso (strumento che mette in relazione l'interno del corpo con il suo esterno) - percezione sensoriale (traduzione degli stimoli in codice psichico) - psiche (contenente semplicemente ed unicamente - alla nostra nascita - l'istinto di sopravvivenza) - memoria (serbatoio delle esperienze che devono confrontarsi con l'istinto di sopravvivenza) - coscienza (la capacità psichica di distinguere il sé dal fuori di sé - si inaugura il mondo culturale umano) - mente (capacità di connettere tra di loro cause ed effetti) - intelletto (capacità di esprimere in modo codificato e comunicabile i rapporti tra le cause e gli effetti)- ragione (capacità di selezionare i comportamenti in base alla loro utilità) - capacità di astrazione (capacità di estrapolare l'ignoto dal noto) - trascendenza(capacità di esprimere concetti non basati sull'esperienza della percezione).Trovi convincente, incompleto, deludente o demenziale un simile percorso ? CARLOLo trovo improvvisato, ingenuo, vago, e soprattutto poco attinente all'argomento della discussione.
Citazione di: SamuelSilver il 27 Settembre 2018, 13:12:49 PM
Si, il mio atteggiamento è più pro-scienza. Ovviamente non trovo la filosofia inutile e di basso livello (altrimenti non sarei qui), ma anzi è molto interessante in quanto fornisce modi ragionevoli e utili di vedere ed approcciarsi alla realtà. Tuttavia trovo la scienza più chiara e meno sfumata, da qui deriva il mio atteggiamento. Ovviamente ho altri motivi che non starò qui a spiegare in quanto fuori argomento, magari farò un topic a parte.
Per quanto riguarda la confusione tra mente e coscienza vorrei giustificarmi dicendo che, a parer mio, la tua descrizione di mente, coscienza e noumeno fornita in questo commento mi fa pensare che la tua proposta sia più monista di quanto sembri.
Mi sembra infatti di cogliere una specie di dualismo dentro il dualismo che alla fin fine implica un monismo di fondo. Come hai detto tu, "c'è un dualismo dei fenomeni e un monismo del noumeno", ma qui tu stai già differenziando due diversi piani ontologici distinti: i fenomeni e il noumeno.
Anche a me non piace il termine sostanza, ma non sapevo quale altro usare per spiegarmi meglio e si, la intendo come realtà oggettiva indipendente da noi. Quindi, se per te il noumeno è questa realtà e questa realtà è monista, non dovrebbe esistere un mondo dei fenomeni con proprietà dualiste ontologicamente separato da quello del noumeno, altrimenti il noumeno stesso diventa parte una realtà dualista più grande che comprende noumeno e fenomeni.
Se si afferma che la realtà è monista, si implica che tutto ciò che esiste, compresi i fenomeni soggettivi, sono frutto di questa realtà e che quindi sono fatti della stessa "sostanza". Ne consegue che bisogna considerare i fenomeni soggettivi coscienti, che tu distingui tra materiali e mentali, come una delle tante forme di questa "sostanza" che compone la realtà.
Se tu intendevi invece dire altro, leggerò con interesse la tua eventuale risposta.
Si, ci siamo intesi (su quel che penso io, naturalmente; che ovviamente -
ca va sans dire- non é detto coincida e di fatto evidentemente non coincide con quanto pensi tu).
Lo descrivi molto correttamente, come un dualismo fra noumeno e fenomeni (e in subordine come un monismo "neutro", né materiale né mentale limitatamente al noumeno e come un dualismo materiale-mentale limitatamente ai fenomeni).
Mi viene di definirlo "monismo -neutro- del noumeno, dualismo -materiale/mentale- dei fenomeni" per il fatto che il problema vine di fatto posto generalmente come monismo (materialistico o idealistico) o dualismo materiale-mentale; ma effettivamente la tua definizione é più formalmente precisa e calzante.
CitazioneQuindi, se per te il noumeno è questa realtà e questa realtà è monista, non dovrebbe esistere un mondo dei fenomeni con proprietà dualiste ontologicamente separato da quello del noumeno, altrimenti il noumeno stesso diventa parte una realtà dualista più grande che comprende noumeno e fenomeni.
Perché non dovrebbe esistere?Non dovrebbe esistere se si trattasse di un "monismo assoluto".Ma invece, come rilevi giustamente tu stesso, é un "dualismo assoluto" fra noumeno e fenomeni, e dunque letteralmente "il noumeno stesso diventa parte una realtà dualista più grande che comprende noumeno e fenomeni". Il mio monismo é relativo, limitato al noumeno; mentre il mio dualismo (pure) relativo (ben diverso dal dualismo assoluto noumeno-fenomeni), é limitato ai fenomeni.
Citazione di: SamuelSilver il 27 Settembre 2018, 13:12:49 PMQuindi, se per te il noumeno è questa realtà e questa realtà è monista, non dovrebbe esistere un mondo dei fenomeni con proprietà dualiste ontologicamente separato da quello del noumeno, altrimenti il noumeno stesso diventa parte una realtà dualista più grande che comprende noumeno e fenomeni.
CARLO
Anche tu parli del noumeno come se fosse qualcosa. Hai la minima idea di cosa sia?
Salve Carlo. Non comprendo perchè tu spesso voglia puntualizzare circa argomenti dei quali non sei evidentemente padrone.
La demenza (alla quale non ho mai attribuito il significato che mi contesti) consiste nella mancanza (o sensibile difettosità) della funzione mentale. E' pertanto condizione e patologia che riguarda appunto la neuropatologia e non (se non di riflesso) la psicologia o la psichiatria.
La demenza non intacca la funzione psichica. La mancanza o riduzione della funzione mentale (funzione ed ambito ulteriore e "superiore" a quello psichico) produce la "regressione" dell'individuo il cui comportamento vedrà affermarsi i propri contenuti di radice psichica, i quali ovviamente tenderanno ad imporsi, venendo a mancare la funzione ed il controllo mentale.
Non esistono ovviamente degli animali dementi. Semplicemente perchè essi non hanno mai posseduto una mente. Essi possiedono invece (eccome !) una psiche.
Comprendi quindi la diversità tra una psiche (l'istinto e l'inconsapevole) ed una mente (il raziocinio consapevole) ?.
Per quanto riguarda il percorso da me descritto, improvvisato lo è sicuramente (non sono solito prendere appunti, stendere bozze o consultare fonti quando scrivo qualcosa), ingenuo pure lo è sicuramente (nel senso che è certamente privo di malizia), vago......beh, ogni tanto mi capita di far presente di preferire le sintesi sbagliate alle troppo prolisse analisi giuste. E poi, scusa, io ho chiesto di valutare il percorso, non il mio modo di esprimermi !.
Naturalmente ti confermo i miei complimenti per i tanti temi dei quali ti mostri padrone.
Pensa a me, che , poverino, sono unicamente uno schiavo dell'ignoranza ! Saluti.
Citazione di: viator il 27 Settembre 2018, 17:16:38 PM
Salve Carlo. Non comprendo perchè tu spesso voglia puntualizzare circa argomenti dei quali non sei evidentemente padrone.
La demenza (alla quale non ho mai attribuito il significato che mi contesti) consiste nella mancanza (o sensibile difettosità) della funzione mentale. E' pertanto condizione e patologia che riguarda appunto la neuropatologia e non (se non di riflesso) la psicologia o la psichiatria.
La demenza non intacca la funzione psichica. La mancanza o riduzione della funzione mentale (funzione ed ambito ulteriore e "superiore" a quello psichico) produce la "regressione" dell'individuo il cui comportamento vedrà affermarsi i propri contenuti di radice psichica, i quali ovviamente tenderanno ad imporsi, venendo a mancare la funzione ed il controllo mentale.
Non esistono ovviamente degli animali dementi. Semplicemente perchè essi non hanno mai posseduto una mente. Essi possiedono invece (eccome !) una psiche.
Comprendi quindi la diversità tra una psiche (l'istinto e l'inconsapevole) ed una mente (il raziocinio consapevole) ?.
CARLO
Non c'è bisogno di tante sottigliezze per sapere che psiche e mente sono sostanzialmente
sinonimi: basta aprire un vocabolario. Se lo farai, scoprirai anche che il "raziocinio" (la ragione) e gli istinti sono
funzioni della psiche (o mente) e che la consapevolezza è una delle sue principali (e misteriose) proprietà.
Se poi vogliamo riformare il vocabolario, io non ho niente in contrario, ma non ne vedo la ragione.
VIATOR
Per quanto riguarda il percorso da me descritto, improvvisato lo è sicuramente (non sono solito prendere appunti, stendere bozze o consultare fonti quando scrivo qualcosa), ingenuo pure lo è sicuramente (nel senso che è certamente privo di malizia), vago......beh, ogni tanto mi capita di far presente di preferire le sintesi sbagliate alle troppo prolisse analisi giuste. E poi, scusa, io ho chiesto di valutare il percorso, non il mio modo di esprimermi !.Naturalmente ti confermo i miei complimenti per i tanti temi dei quali ti mostri padrone.Pensa a me, che , poverino, sono unicamente uno schiavo dell'ignoranza ! .CARLO
Non buttarti giù: di fronte alla
Sapientia Dèi, io non ne so molto più di te.
VERDI: D'Egitto là sui lidi, op. Nabucco
https://youtu.be/Ookel_AHqeQ
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Settembre 2018, 16:18:55 PM
Citazione di: SamuelSilver il 27 Settembre 2018, 13:12:49 PMQuindi, se per te il noumeno è questa realtà e questa realtà è monista, non dovrebbe esistere un mondo dei fenomeni con proprietà dualiste ontologicamente separato da quello del noumeno, altrimenti il noumeno stesso diventa parte una realtà dualista più grande che comprende noumeno e fenomeni.
CARLO
Anche tu parli del noumeno come se fosse qualcosa. Hai la minima idea di cosa sia?
In che senso? Non so come è fatto ma concettualmente è la vera realtà delle cose, ciò che esiste, bisogna aggiungere altro? Premetto che non ne so molto di Kant quindi ho saltato le parti in cui tu e Sgiombo parlavate delle varie accezioni del noumeno, per cui forse ho detto cose già dette e contestate. Se poi si vuole parlare della vaghezza dei termini filosofici (e talvolta anche scientifici) in generale, ci sarebbero libri da scrivere a riguardo, ma questo è una altro discorso.
Citazione di: SamuelSilver il 27 Settembre 2018, 22:52:51 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Settembre 2018, 16:18:55 PM
Citazione di: SamuelSilver il 27 Settembre 2018, 13:12:49 PMQuindi, se per te il noumeno è questa realtà e questa realtà è monista, non dovrebbe esistere un mondo dei fenomeni con proprietà dualiste ontologicamente separato da quello del noumeno, altrimenti il noumeno stesso diventa parte una realtà dualista più grande che comprende noumeno e fenomeni.
CARLO
Anche tu parli del noumeno come se fosse qualcosa. Hai la minima idea di cosa sia?
SAMUELSILVER
In che senso? Non so come è fatto ma concettualmente è la vera realtà delle cose, ciò che esiste, bisogna aggiungere altro?
CARLO
Credo che si dovrebbero aggiungere le ragioni della sua inconoscibilità.
Voglio dire: se le cose si mostrano alla conoscenza, se, cioè, possiamo conoscere un numero crescente di verità su di esse, per quale motivo la loro "vera realtà" dovrebbe rimanere eternamente sconosciuta?
Insomma che
relazione c'è tra le cose e le "cose in sé"? Perché le prime sono conoscibili mentre le seconde non dovrebbero esserlo?
Per tua comodità, ti copio-incollo l'obiezione che ho sollevato a Sgiombo:
"Noumeno" deriva originariamente da "nous" che coincide più o meno con la "ragione eterna ordinatrice del mondo", con l'"intelletto divino" o "primo motore" aristotelico, ma anche col "demiurgo" o "iperuranio" o "cielo delle idee archetipiche" platonici. Pertanto, il suo significato corrisponde essenzialmente con quello di "archetipo", di "idea originaria o modello metafisico della "cosa".Cosicché esso è intelligibile proprio in virtù del fatto che, essendo modello della "cosa", l'intelletto può risalire ad esso attraverso la conoscenza dei "fenomeni" nei quali la cosa stessa si mostra all'osservazione e attraverso la riflessione razionale. Un po' come lo scienziato che, dall'osservazione dei fenomeni, risale (attraverso processi di astrazione) alle leggi che li governano (e che non sono direttamente osservabili).Poi arriva Kant, che, mutilandolo nella sua connotazione di "modello metafisico della cosa" e dandogli il nome di "cosa in sé", lo trasforma in una nullità epistemica, in un fonema-fantasma. Di esso, infatti, sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo assolutamente ciò che è: non-è la cosa, non-è fenomeno, non-è modello della cosa, non-ha alcuna relazione né con la cosa né con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla".MOZART: Sinfonia K95 II
https://youtu.be/0uEgMV0ZWi0?t=187
Per Carlo Pierini
Credo di capire la tua obiezione, tuttavia dal mio punto di vista il problema non è tanto il fatto che il noumeno è inconoscibile, ma che, anche se lo conoscessimo, non sapremmo di avere a che fare con esso. Non piace molto neanche a me il termine "noumeno", io parlerei del tessuto che forma la realtà. Ma come facciamo a sapere se i nostri cinque sensi e i nostri ragionamenti sono sufficienti per cogliere questo tessuto o se invece rimane al di fuori della nostra portata? Secondo me non si può, per cui direi di non porsi il problema. Infatti, il monismo in cui io credo, è compatibile sia con l'eventualità in cui la realtà è colta in tutto e per tutto da noi, sia con l'eventualità in cui rimane al di fuori delle nostre concezioni. Non mi sembra di aver mai parlato di noumeno se non quando converso con Sgiombo, e anche in quei casi non credo di aver mai tirato in ballo la sua inconoscibilità se non per seguire i suoi ragionamenti. Se può confondere il fatto che ho scritto "Non so come è fatto" nel commento scorso, ti chiederei di sostituirlo con un più neutro "Credo di non sapere come è fatto".
Citazione di: SamuelSilver il 28 Settembre 2018, 08:53:29 AM
Per Carlo Pierini
Credo di capire la tua obiezione, tuttavia dal mio punto di vista il problema non è tanto il fatto che il noumeno è inconoscibile, ma che, anche se lo conoscessimo, non sapremmo di avere a che fare con esso. Non piace molto neanche a me il termine "noumeno", io parlerei del tessuto che forma la realtà. Ma come facciamo a sapere se i nostri cinque sensi e i nostri ragionamenti sono sufficienti per cogliere questo tessuto o se invece rimane al di fuori della nostra portata?
CARLO
Perché l'esistenza di quel fenomeno culturale chiamato "rivoluzione scientifica" ci ha mostrato ampiamente che il mondo è conoscibile. Se non lo fosse, per esempio, non avremmo mai potuto stabilire che è la Terra a girare intorno al sole e non -
come si mostra ai nostri sensi - il contrario. Ci ha mostrato cioè che la conoscenza non coincide con il famoso "percipi" di Berkeley, ma con la
corretta interpretazione del "percipi".
Insomma, la scienza ha rivelato migliaia di verità sul mondo e ha cancellato per sempre migliaia di superstizioni. Quindi non vedo alcuna ragione per credere che quelle verità siano solo "apparenza", cioè, che esse non siano invece
aspetti di quella "vera realtà" a cui Kant dà - disonestamente - il nome di "noumeno" e a cui attribuisce dogmaticamente il carattere di inconoscibilità.
E dico "disonestamente", perché l'uso di un medesimo termine per indicare un concetto che da duemila anni ha un significato radicalmente diverso, è estremamente ingannevole.Insomma dove sta scritto che non siano proprio i nostri sensi e la nostra capacità di astrazione gli strumenti necessari e sufficienti alla conoscenza di quella "vera realtà" delle cose che Kant chiama ingannevolmente "noumeno"?SAMUELSILVER
Secondo me non si può, per cui direi di non porsi il problema. Infatti, il monismo in cui io credo, è compatibile sia con l'eventualità in cui la realtà è colta in tutto e per tutto da noi, sia con l'eventualità in cui rimane al di fuori delle nostre concezioni. Non mi sembra di aver mai parlato di noumeno se non quando converso con Sgiombo, e anche in quei casi non credo di aver mai tirato in ballo la sua inconoscibilità se non per seguire i suoi ragionamenti. Se può confondere il fatto che ho scritto "Non so come è fatto" nel commento scorso, ti chiederei di sostituirlo con un più neutro "Credo di non sapere come è fatto".CARLO
Se il noumeno è inconoscibile
per definizione, allora,
per definizione,
NESSUNO può sapere "come è fatto", poiché il suo significato non è distinguibile dal significato di
"nulla". Pertanto, il suo uso in una teoria è privo di senso
a priori.
MOZART: Conc. piano n.17 K453 III
https://youtu.be/CWv-BUfpKfA?t=1487
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Settembre 2018, 03:42:51 AM
Credo che si dovrebbero aggiungere le ragioni della sua inconoscibilità.
Voglio dire: se le cose si mostrano alla conoscenza, se, cioè, possiamo conoscere un numero crescente di verità su di esse, per quale motivo la loro "vera realtà" dovrebbe rimanere eternamente sconosciuta?
Insomma che relazione c'è tra le cose e le "cose in sé"? Perché le prime sono conoscibili mentre le seconde non dovrebbero esserlo?
Citazione
Confondi "percepire sensibilmente", "sentire!", "avere coscienza di" con "conoscere".
Ciò che percepiamo sensibilmente, sentiamo, di cui abbiamo coscienza (che é ciò che la scienza può conoscere e di fatto conosce, ciò su cui "possiamo conoscere un numero crescente di verità") é ciò che sentiamo, gli insiemi - successioni di sensazioni che proviamo ovvero di "apparenze" (dal greco e a là Kant; e con buona pace di Platone: "fenomeni).
Il loro "esse est percipi" (Berkeley e soprattutto Hume), ovvero la la loro realtà consiste unicamente nell' essere percepiti coscientemente, essi sono reali solo se e quando e in quanto accadono realmente come meri insiemi - successioni di sensazioni nell' ambito di esperienze coscienti.
Se qualcosa (come credo per fede, non essendo dimostrabile logicamente e men che meno -per definizione- constatabile empiricamente) realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni (di modo che per esempio se riapro gli occhi di nuovo puntualmente esiste l' albero qui davanti a me nel giardino del mio vicino di casa o se ripenso a me stesso di nuovo puntualmente riesisto come insieme - successione di pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.), ebbene questo "qualcosa" non può essere l' insieme di sensazioni o fenomeni materiali o mentali che allora non esistevano (per esempio prima, quando avevo gli occhi chiusi e non pensavo a me stesso): crederlo sarebbe cadere in una platealissima contraddizione pretendendo che qualcosa sia reale anche se e quando, anche allorché non é reale. SIC ! ! !.
Cioé tale "qualcosa", per definizione, onde evitare una pazzesca contraddizione, non é apparente (dal greco e a là Kant: "fenomeni)" alla coscienza, bensì qualcosa di puramente congetturabile (dal greco e a là Kant; e con buona pace di Platone: "noumeno").
I fenomeni sono sensibili (e non necessariamente conoscibili; comunque di fatto conoscibili scientificamente, almeno quelli materiali), mentre il noumeno é congetturabile ma non sensibile: questa é la differenza, o se vuoi -in un certo senso- la relazione fra di essi!
Per tua comodità, ti copio-incollo l'obiezione che ho sollevato a Sgiombo:
"Noumeno" deriva originariamente da "nous" che coincide più o meno con la "ragione eterna ordinatrice del mondo", con l'"intelletto divino" o "primo motore" aristotelico, ma anche col "demiurgo" o "iperuranio" o "cielo delle idee archetipiche" platonici. Pertanto, il suo significato corrisponde essenzialmente con quello di "archetipo", di "idea originaria o modello metafisico della "cosa".
Cosicché esso è intelligibile proprio in virtù del fatto che, essendo modello della "cosa", l'intelletto può risalire ad esso attraverso la conoscenza dei "fenomeni" nei quali la cosa stessa si mostra all'osservazione e attraverso la riflessione razionale. Un po' come lo scienziato che, dall'osservazione dei fenomeni, risale (attraverso processi di astrazione) alle leggi che li governano (e che non sono direttamente osservabili).
Poi arriva Kant, che, mutilandolo nella sua connotazione di "modello metafisico della cosa" e dandogli il nome di "cosa in sé", lo trasforma in una nullità epistemica, in un fonema-fantasma. Di esso, infatti, sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo assolutamente ciò che è: non-è la cosa, non-è fenomeno, non-è modello della cosa, non-ha alcuna relazione né con la cosa né con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla".
Citazione
Ma non pretenderai mica che Kant dovesse pagare il copyright a Platone per avere usato in tutt' altro senso (razionalmente ben comprensibile e giustificato) una parola che quel discepolo di Socrate aveva impiegato venti secoli prima volendo intendere un ben diverso concetto (idealisticamente infondato, gratuito, e quasi letteralmete "campato in aria" ? ! ? ! ? ! ).
Ma non dirai sul serio, spero!
Per Kanti il noumeno non é "modello" di alcunché, ma é invece l' insieme delle "cose in sé", reali (anche) indipendentemente dalle sensazioni o apparenze sensibili coscienti (fenomeni), e dunque non apparenti alla coscienza, non sensibili; ma (e in questo non lo seguo più; da qui in avanti mi limito ad esporne in "sintesi mostruosamente selvaggia e almeno un po' banalizzata" le convinzioni) non per questo non conoscibili, anche se non mediante la "ragion pura" bensì solo attraverso la "ragion pratica" (ovvero non razionalmente in senso stretto o proprio: non per constatazione empirica o deduzione logica) come comprendenti Dio eterno, infinitamente buono e giusto e le anime immortali da Dio premiate o punite, per il loro operato, dopo la morte corporea.
Dunque é falso che per Kant il noumeno "non-ha alcuna relazione né con la cosa [in sè, N.d.R.] né con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla":
sciocchezze che del pensiero di Kant costituiscono solo penosissimi travisamenti!
CARLO
Perché l'esistenza di quel fenomeno culturale chiamato "rivoluzione scientifica" ci ha mostrato ampiamente che il mondo è conoscibile. Se non lo fosse, per esempio, non avremmo mai potuto stabilire che è la Terra a girare intorno al sole e non - come si mostra ai nostri sensi - il contrario. Ci ha mostrato cioè che la conoscenza non coincide con il famoso "percipi" di Berkeley, ma con la corretta interpretazione del "percipi".
CitazioneCi ha mostrato che é conoscibile scientificamente (in senso stretto) solo il mondo dei fenomeni materiali (e non quello dei fenomeni mentali e men che meno quello delle cose in sé o noumeno; sempre con buona pace di Platone).
Il famoso "percipi" di Berkeley, che mostri di non comprendere, é proprio, nella fattispecie, l' "eliocentrismo approssimativo" del sistema solare, il quale non é nulla di reale "in sé" (indipendentemente dall' accadere in quanto determinato insieme - successione di sensazioni o fenomeni se e quando attualmente accadono e niente più). Ma casomai reale "in sé" (indipendentemente dall' accadere di tale insieme - successione di sensazioni o "fenomeni", anche se e quando esse attualmente non accadono é qualcos' altro di non -autocontraddittoriamente!- apparente ma invece di congetturabile (dal greco e a la Kant, con buona pace di Platone: noumeno) che a tali fenomeni potrà casomai biunivocamente corrispondere (aggiunta mia modestissima, non opinione di Kant)
Insomma, la scienza ha rivelato migliaia di verità sul mondo e ha cancellato per sempre migliaia di superstizioni.
Citazione
Rispettivamente verità e superstizioni circa il mondo (realissimo, ma comunque meramente) fenomenico!
Quindi non vedo alcuna ragione per credere che quelle verità siano solo "apparenza", cioè, che esse non siano invece aspetti di quella "vera realtà" a cui Kant dà - disonestamente - il nome di "noumeno" e a cui attribuisce dogmaticamente il carattere di inconoscibilità. E dico "disonestamente", perché l'uso di un medesimo termine per indicare un concetto che da duemila anni ha un significato radicalmente diverso, è estremamente ingannevole.
Citazione(Ancora con sta penosa pretesa "del copyright"!)
Quelle scientifiche sono verità circa aspetti di quella vara realtà fenomenica che Kant, sulla scia di Berkeley e Hume (pretendendo a mio modesto parere fallacemente di superare quest' ultimo), aveva acutamente distinto dalla realtà dei fenomeni, superando un infondato e autocontraddittorio pregiudizio del senso comune (del quale tu, in ottima -per te- compagnia di Platone mi sembri pienamente prigioniero.
Insomma dove sta scritto che non siano proprio i nostri sensi e la nostra capacità di astrazione gli strumenti necessari e sufficienti alla conoscenza di quella "vera realtà" delle cose che Kant chiama ingannevolmente "noumeno"?
CitazioneFraintendimento particolarmente penoso:
Kant non chiamava ingannevolmente "noumeno", ma invece veracemente "fenomeni" la vera realtà (letteralmente, senza virgolette) conoscibile e in parte di fatto conosciuta scientificamente con i necessari e sufficienti strumenti costituiti dai nostri sensi e la nostra capacità di astrazione e di ragionamento logico
Se il noumeno è inconoscibile per definizione, allora, per definizione, NESSUNO può sapere "come è fatto", poiché il suo significato non è distinguibile dal significato di "nulla". Pertanto, il suo uso in una teoria è privo di senso a priori.
CitazioneA parte il fatto che
"inconoscibile =/= "nulla" (sono concetti ben distinti, diversi),
Vedi sopra circa il tuo continuo fraintendimento fra insensibilità (ovvero non apparenza alla coscienza) del noumeno kantiano e inconoscibilità.
Cit. CARLOCredo che si dovrebbero aggiungere le ragioni della sua inconoscibilità.Voglio dire: se le cose si mostrano alla conoscenza, se, cioè, possiamo conoscere un numero crescente di verità su di esse, per quale motivo la loro "vera realtà" dovrebbe rimanere eternamente sconosciuta?
Insomma che relazione c'è tra le cose e le "cose in sé"? Perché le prime sono conoscibili mentre le seconde non dovrebbero esserlo? SGIOMBOConfondi "percepire sensibilmente", "sentire!", "avere coscienza di" con "conoscere".
Ciò che percepiamo sensibilmente, sentiamo, di cui abbiamo coscienza (che é ciò che la scienza può conoscere e di fatto conosce, ciò su cui "possiamo conoscere un numero crescente di verità") é ciò che sentiamo, gli insiemi - successioni di sensazioni che proviamo ovvero di "apparenze" (dal greco e a là Kant; e con buona pace di Platone: "fenomeni).CARLOIl termine "apparenza" ha senso quando esiste una cosa che appare e un soggetto a cui questa cosa appare, altrimenti il termine apparenza è essa stessa ...una apparenza, cioè un inganno. Quindi se vogliamo chiamare "cosa" tale apparenza, essa non è altro che il mostrarsi della cosa in sé - come fenomeno - alla conoscenza; cioè la "cosa in sé" si mostra come cosa fenomenica", conformemente alla connotazione originaria di "noumeno".Pertanto l'affermazione "esse est percipi" è solo una mistificazione verbale nella quale scompaiono sia il soggetto che l'oggetto della percezione. L'affermazione corretta è: "Esse est iusta interpretatio rei".SGIOMBO Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni, [...] ebbene questo "qualcosa" non può essere l'insieme di sensazioni o fenomeni materiali o mentali che allora non esistevano (per esempio prima, quando avevo gli occhi chiusi e non pensavo a me stesso): crederlo sarebbe cadere in una platealissima contraddizione pretendendo che qualcosa sia reale anche se e quando, anche allorché non é reale. SIC ! ! !.
Cioé tale "qualcosa", per definizione, onde evitare una pazzesca contraddizione, non é apparente (dal greco e a là Kant: "fenomeni)" alla coscienza, bensì qualcosa di puramente congetturabile (dal greco e a là Kant; e con buona pace di Platone: "noumeno").CARLOIl tuo è un ragionamento alla rovescia. In realtà, noi ipotizziamo l'esistenza di una cosa SOLO - e SOLO SE - esistono fenomeni la cui causa è riconducibile ad essa (alla cosa). Altrimenti non esiste alcun motivo per ipotizzare l'esistenza di alcunché. Pertanto la tua ipotesi: << Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni>> è priva di senso perché noi non siamo legittimati a ipotizzare l'esistenza reale di qualcosa se non esistono fenomeni che ne siano la manifestazione; perciò, è privo di senso anche il ragionamento che ne segue.SGIOMBO I fenomeni sono sensibili (e non necessariamente conoscibili; comunque di fatto conoscibili scientificamente, almeno quelli materiali), mentre il noumeno é congetturabile ma non sensibile: questa é la differenza, o se vuoi -in un certo senso- la relazione fra di essi!CARLOCerto, anche il "sarchiapone" è <<congetturabile e non sensibile>>, ma non significa nulla, se non associamo ad esso dei fenomeni di cui supponiamo che esso sia la causa. Cit. CARLO
"Noumeno" deriva originariamente da "nous" che coincide più o meno con la "ragione eterna ordinatrice del mondo", con l'"intelletto divino" o "primo motore" aristotelico, ma anche col "demiurgo" o "iperuranio" o "cielo delle idee archetipiche" platonici. Pertanto, il suo significato corrisponde essenzialmente con quello di "archetipo", di "idea originaria o modello metafisico della "cosa".
Cosicché esso è intelligibile proprio in virtù del fatto che, essendo modello della "cosa", l'intelletto può risalire ad esso attraverso la conoscenza dei "fenomeni" nei quali la cosa stessa si mostra all'osservazione e attraverso la riflessione razionale. Un po' come lo scienziato che, dall'osservazione dei fenomeni, risale (attraverso processi di astrazione) alle leggi che li governano (e che non sono direttamente osservabili).
Poi arriva Kant, che, mutilandolo nella sua connotazione di "modello metafisico della cosa" e dandogli il nome di "cosa in sé", lo trasforma in una nullità epistemica, in un fonema-fantasma. Di esso, infatti, sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo assolutamente ciò che è: non-è la cosa, non-è fenomeno, non-è modello della cosa, non-haalcuna relazione né con la cosa né con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla".SGIOMBOMa non pretenderai mica che Kant dovesse pagare il copyright a Platone per avere usato in tutt' altro senso (razionalmente ben comprensibile e giustificato) una parola che quel discepolo di Socrate aveva impiegato venti secoli prima volendo intendere un ben diverso concetto (idealisticamente infondato, gratuito, e quasi letteralmete "campato in aria" ? ! ? ! ? ! ).CARLOCampato in aria è il noumeno kantiano, che non è associabile a nulla. Mentre quello platonico ha una sua logica ben precisa: se esiste un principio metafisico che governa il mondo, da tale principio discenderanno anche i modelli delle cose. E l'esistenza di principi e di leggi della natura non è affatto campata per aria, ma è ampiamente confermata dall'esperienza scientifica.
SGIOMBOPer Kanti il noumeno non é "modello" di alcunché, ma é invece l'insieme delle "cose in sé", reali (anche) indipendentemente dalle sensazioni o apparenze sensibili coscienti (fenomeni),CARLOContinui a ragionare alla rovescia. Qualcosa che non si manifesta MAI all'esperienza, equivale ad un NULLA, quindi, il solo nominarlo (dargli un nome) è già un abuso dell'intelletto.SGIOMBO Dunque é falso che per Kant il noumeno "non-ha alcuna relazione né con la cosa [in sè, N.d.R.] né con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla".CARLOSu questo argomento sai dire solo dei "no", ma non ho ancora visto né una sua definizione né un minimo di chiarimento su quale sia la sua relazione con la cosa, cioè, con l'esperienza.Cit. CARLO Perché l'esistenza di quel fenomeno culturale chiamato "rivoluzione scientifica" ci ha mostrato ampiamente che il mondo è conoscibile. Se non lo fosse, per esempio, non avremmo mai potuto stabilire che è la Terra a girare intorno al sole e non - come si mostra ai nostri sensi - il contrario. Ci ha mostrato cioè che la conoscenza non coincide con il famoso "percipi" di Berkeley, ma con la corretta interpretazione del "percipi".SGIOMBOCi ha mostrato che é conoscibile scientificamente (in senso stretto) solo il mondo dei fenomeni materiali (e non quello dei fenomeni mentali e men che meno quello delle cose in sé o noumeno; sempre con buona pace di Platone)CARLOE chi l'ha detto che i fenomeni mentali non siano conoscibili, dal momento che si manifestano in milioni di modi diversi all'esperienza? Il fatto che non siano conoscibili attraverso gli strumenti della scienza - che sono limitati al "fisicamente quantificabile" - non vuol dire che la mente sia inaccessibile alla conoscenza intesa in senso generale. E' vero che tu ignori la psicologia, ma l'ignoranza preclude a ogni giudizio su ciò che si ignora.SGIOMBO
Il famoso "percipi" di Berkeley, che mostri di non comprendere, é proprio, nella fattispecie, l' "eliocentrismo approssimativo" del sistema solare, il quale non é nulla di reale "in sé" CARLOTu prova a inviare una sonda spaziale in orbita intorno a Saturno sulla base di una teoria <<approssimativa>> o <<irreale>> dei moti del sistema solare (come quella geocentrica, per esempio), poi mi fai sapere i risultati....E, comunque, se è approssimativo l'eliocentrismo impiegato dagli ingegneri della Nasa, che devono comunque confrontarsi con i fatti e con la precisione estrema delle loro previsioni, figuriamoci quanto può essere approssimativa la tua teoria "dualista parallelista", che si adatta alla realtà solo se eliminiamo dal nostro vocabolario termini fondamentali per la nostra civiltà come "libertà", "responsabilità etica", "intenzionalità", "attività in vista di scopi", "conflittualità tra istinti biologici e ideali morali", "manifestazioni dell'inconscio", ecc.. Se il dualismo "parallelista" non sa spiegare nemmeno le ragioni per le quali ciascuno di noi sa distinguere benissimo una azione volontaria da un riflesso condizionato indipendente dalla nostra volontà, c'è poco da stigmatizzare l'eliocentrismo come irreale o approssimativo.PUCCINI: Donna non vidi mai, op. Manon Lescaut
https://youtu.be/TJgrHQGjvzc?t=13
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Settembre 2018, 18:31:33 PMCARLO
Il termine "apparenza" ha senso quando esiste una cosa che appare e un soggetto a cui questa cosa appare, altrimenti il termine apparenza è essa stessa ...una apparenza, cioè un inganno. Quindi se vogliamo chiamare "cosa" tale apparenza, essa non è altro che il mostrarsi della cosa in sé - come fenomeno - alla conoscenza; cioè la "cosa in sé" si mostra come cosa fenomenica", conformemente alla connotazione originaria di "noumeno".
Pertanto l'affermazione "esse est percipi" è solo una mistificazione verbale nella quale scompaiono sia il soggetto che l'oggetto della percezione. L'affermazione corretta è: "Esse est iusta interpretatio rei"
Citazione
Questi sono letteralmente pre-giudizi di senso comune.
Le uniche "cose" di cui vi sia certezza indubitabile (se e quando accadono) sono quegli eventi che diconsi "fenomeni" o manifestazioni coscienti o sensazioni o percezioni, ecc.
Niente e nessuno ci garantisce che oltre alle sensazioni (materiali e/o mentali) accada altro: la realtà, per quel che se ne può sapere con certezza, potrebbe anche essere limitata ad esse (il solipsismo non é superabile se non con un atto di fede).
Dunque niente e nessuno ci garantisce (fra l' altro, nemmeno) che esistano-accadano cose in sé reali anche allorché le sensazioni non lo sono (le quali cose in sé comunque, se esistono come credo per fede, onde non cadere in una platealissima contraddizione affermando che sono reali anche se e quando non sono reali, non possono essere che altri, diversi enti e/o eventi che i fenomeni o percezioni coscienti stessi.
SGIOMBO
Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni, [...] ebbene questo "qualcosa" non può essere l'insieme di sensazioni o fenomeni materiali o mentali che allora non esistevano (per esempio prima, quando avevo gli occhi chiusi e non pensavo a me stesso): crederlo sarebbe cadere in una platealissima contraddizione pretendendo che qualcosa sia reale anche se e quando, anche allorché non é reale. SIC ! ! !.
Cioé tale "qualcosa", per definizione, onde evitare una pazzesca contraddizione, non é apparente (dal greco e a là Kant: "fenomeni)" alla coscienza, bensì qualcosa di puramente congetturabile (dal greco e a là Kant; e con buona pace di Platone: "noumeno").
CARLO
Il tuo è un ragionamento alla rovescia. In realtà, noi ipotizziamo l'esistenza di una cosa SOLO - e SOLO SE - esistono fenomeni la cui causa è riconducibile ad essa (alla cosa). Altrimenti non esiste alcun motivo per ipotizzare l'esistenza di alcunché.
Citazione
Causa =/ effetto.
Ergo: se "ipotizziamo l'esistenza di una cosa SOLO - e SOLO SE - esistono fenomeni la cui causa è riconducibile ad essa (alla cosa)" i fenomeni (effetto) sono altre, diverse "cose" (enti/eventi) che la cosa (in sé ovvero il noumeno).
Pertanto la tua ipotesi: << Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni>> è priva di senso perché noi siamo legittimati a ipotizzare l'esistenza reale di qualcosa solo se esistono fenomeni che ne siano la manifestazione; perciò, è privo di senso anche il ragionamento che ne segue.
Citazione
Pertanto la mia ipotesi << Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni>> è sensatissima: se noi siamo legittimati a ipotizzare l'esistenza reale di qualcosa [in sé, N.d.R] solo se esistono fenomeni che ne siano la manifestazione non ne consegue affatto (non ne può conseguire secondo logica) la plateale contraddizione per la quale la manifestazione cosciente (fenomeno) si identificherebbe con la cosa in sé reale anche indipendentemente dalla (eventuale) realtà dei fenomeni, cioé anche allorché, se e quando la manifestazione cosciente non é reale.
SGIOMBO
I fenomeni sono sensibili (e non necessariamente conoscibili; comunque di fatto conoscibili scientificamente, almeno quelli materiali), mentre il noumeno é congetturabile ma non sensibile: questa é la differenza, o se vuoi -in un certo senso- la relazione fra di essi!
CARLO
Certo, anche il "sarchiapone" è <<congetturabile e non sensibile>>, ma non significa nulla, se non associamo ad esso dei fenomeni di cui supponiamo che esso sia la causa.
Citazione
Ancora con sta storia del sarchiapone, che c' entra come i cavoli a merenda!
Se il sachiapone esistesse (in quanto insieme - successione di fenomeni, al pari di qualsiasi altro ente o evento di cui si abbia coscienza), allora allorché non vediamo il sarchiapone esistono cose in sé diverse dal sarchiapone stesso (sono reali anche allorché esso non é reale!) al sarchiapone (fenomeni) corrispondenti; il che spiega come mai appena guardassimo nella giusta direzione vedremmo il sarchiapone: "cosa in sé" o "noumeno" (a là Kant, che piaccia o meno a Platone) é un concetto sensatissimo!
Se (come di fatto accade) il sarchiapone non esiste, non esiste nemmeno la cosa in sé che ad esso corrisponderebbe se esso esistesse (periodo ipotetico dell' irrealtà).
SGIOMBO
Ma non pretenderai mica che Kant dovesse pagare il copyright a Platone per avere usato in tutt' altro senso (razionalmente ben comprensibile e giustificato) una parola che quel discepolo di Socrate aveva impiegato venti secoli prima volendo intendere un ben diverso concetto (idealisticamente infondato, gratuito, e quasi letteralmete "campato in aria" ? ! ? ! ? ! ).
CARLO
Campato in aria è il noumeno kantiano, che non è associabile a nulla. Mentre quello platonico ha una sua logica ben precisa: se esiste un principio metafisico che governa il mondo, da tale principio discenderanno anche i modelli delle cose. E l'esistenza di principi e di leggi della natura non è affatto campata per aria, ma è ampiamente confermata dall'esperienza scientifica.
Citazione
Credo pressocché l' esatto contrario, come credo di aver dimostrato anche appena sopra.
Le leggi scientifiche del divenire naturale (benché non dimostrabili: Hume!) sono ben altro che le idee platoniche!
SGIOMBO
Per Kanti il noumeno non é "modello" di alcunché, ma é invece l'insieme delle "cose in sé", reali (anche) indipendentemente dalle sensazioni o apparenze sensibili coscienti (fenomeni),
CARLO
Continui a ragionare alla rovescia. Qualcosa che non si manifesta MAI all'esperienza, equivale ad un NULLA, quindi, il solo nominarlo (dargli un nome) è già un abuso dell'intelletto.
CitazioneRagionare alla rovescia non credo abbia senso (emordnilap isarf aresnep o erevircs?).
Le cose in sé si manifestano "di tanto in tanto (non per tutta la durata della loro esistenza/accadimento) alla coscienza, ma come fenomeni; dunque (se ci sono; come credo per fede non essendo dimostrabile né tantomeno -per definizione- mostrabile empiricamente) sono "qualcosa" e non "nulla" (oso sperare che capisca il ragionamento e non mi venga ad obiettare: "se ci sono, sono qualcosa é una tautologia" o magari" "ma prima bisogna dimostrare che ci sono": si tratta di un concetto sensatissimo che credo abbia una denotazione reale onde spiegare la realtà fenomenica empiricamente constatabile e in particolare l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello-coscienza. Ma temo di essere troppo ottimista).
SGIOMBO
Dunque é falso che per Kant il noumeno "non-ha alcuna relazione né con la cosa [in sè, N.d.R.] né con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Resta solo la sua "pensabilità", come è pensabile il "nulla":
CARLO
Su questo argomento sai dire solo dei "no", ma non ho ancora visto né una sua definizione né un minimo di chiarimento su quale sia la sua relazione con la cosa, cioè, con l'esperienza.
Citazione"Non c'é peggior cieco di chi non voglia vedere, né peggior sordo di chi non voglia sentire" (attribuito a Gesù Cristo).
CARLO
E chi l'ha detto che i fenomeni mentali non siano conoscibili, dal momento che si manifestano in milioni di modi diversi all'esperienza? Il fatto che non siano conoscibili attraverso gli strumenti della scienza - che sono limitati al "fisicamente quantificabile" - non vuol dire che la mente sia inaccessibile alla conoscenza intesa in senso generale. E' vero che tu ignori la psicologia, ma l'ignoranza preclude a ogni giudizio su ciò che si ignora.
CitazioneE chi avrebbe mai detto che i fenomeni mentali non sarebbero conoscibili in assoluto?
Io sostengo che non sono conoscibili scientificamente (per lo meno in senso stretto) in quanto non misurabili quantitativamente attraverso rapporti esprimibili con numeri e postulabili essere intersoggettivi.
Della psicologia (o per lo meno della psicoanalisi) ho una cattiva opinione, anche come scienza umana.
SGIOMBO
Il famoso "percipi" di Berkeley, che mostri di non comprendere, é proprio, nella fattispecie, l' "eliocentrismo approssimativo" del sistema solare, il quale non é nulla di reale "in sé"
CARLO
Tu prova a inviare una sonda spaziale in orbita intorno a Saturno sulla base di una teoria <<approssimativa>> o <<irreale>> dei moti del sistema solare (come quella geocentrica, per esempio), poi mi fai sapere i risultati.
CitazioneMa che cavolo c' entra ?!?!?!
Rendersi conto che terra, sole, ecc. sono meri fenomeni il cui "esse est percipi" (Berkeley e Hume) non ha proprio nulla a che vedere col darne giudizi errati (e nemmeno col darne giudizi esatti)!
...E, comunque, se è approssimativo l'eliocentrismo impiegato dagli ingegneri della Nasa, che devono comunque confrontarsi con i fatti e con la precisione estrema delle loro previsioni, figuriamoci quanto può essere approssimativa la tua teoria "dualista parallelista", che si adatta alla realtà solo se eliminiamo dal nostro vocabolario termini fondamentali per la nostra civiltà come "libertà", "responsabilità etica", "intenzionalità", "attività in vista di scopi", "conflittualità tra istinti biologici e ideali morali", "manifestazioni dell'inconscio", ecc..
Se il dualismo "parallelista" non sa spiegare nemmeno le ragioni per le quali ciascuno di noi sa distinguere benissimo una azione volontaria da un riflesso condizionato indipendente dalla nostra volontà, c'è poco da stigmatizzare l'eliocentrismo come irreale o approssimativo.
CitazionePenosa tirata moralistica (e non: etica!) fondata su un totale fraintendimento delle mie teorie filosofiche.
Che l' elicentrismo sia approssimativo te lo ha già dimostrato un altro pazientissimo inetrlocutore che non ricordo più (Inverno? Viator? Qualcunaltro? Mi scuso con l' interessato, ma ho seguito alquanto distrattamente la discussione sull' interminabile tormentone pieriniano della rivoluzione copernicana, che mi ha stufato da gran tempo).
Citazione di: sgiombo il 28 Settembre 2018, 19:35:55 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Settembre 2018, 18:31:33 PM
CARLO
l'affermazione "esse est percipi" è solo una mistificazione verbale nella quale scompaiono sia il soggetto che l'oggetto della percezione. L'affermazione corretta è: "Esse est iusta interpretatio rei"
CitazioneSGIOMBO
Dunque niente e nessuno ci garantisce (fra l' altro, nemmeno) che esistano-accadano cose in sé reali anche allorché le sensazioni non lo sono (le quali cose in sé comunque, se esistono come credo per fede, onde non cadere in una platealissima contraddizione affermando che sono reali anche se e quando non sono reali, non possono essere che altri, diversi enti e/o eventi che i fenomeni o percezioni coscienti stessi.
CARLO
Quindi noi crediamo per fede che la Terra giri intorno al Sole e non viceversa? ...O che siano i batteri la causa di certe malattie infettive?
Cit. SGIOMBO
Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni
Cit. CARLO
Il tuo è un ragionamento alla rovescia. In realtà, noi ipotizziamo l'esistenza di una cosa SOLO - e SOLO SE - esistono fenomeni la cui causa è riconducibile ad essa (alla cosa). Altrimenti non esiste alcun motivo per ipotizzare l'esistenza di alcunché.
SGIOMBO
Se "ipotizziamo l'esistenza di una cosa SOLO - e SOLO SE - esistono fenomeni la cui causa è riconducibile ad essa (alla cosa)" i fenomeni (effetto) sono altre, diverse "cose" (enti/eventi) che la cosa (in sé ovvero il noumeno).
CARLO
Il tuo è un circolo vizioso verbale. Nella conoscenza reale, invece, se osservo, per esempio, degli alberi che si agitano, ho bisogno di pensare che esista una causa chiamata "vento", mentre non ho alcun bisogno di ipotizzare l'esistenza di un "vento in sé" che sia altro dal "vento".
Insomma, per gli uomini normali, "in sé" è solo un modo per isolare discorsivamente "la cosa" dai suoi effetti su altre cose e su di noi, non per affermare una entità diversa e separata dalla "cosa" stessa.
SGIOMBO
la mia ipotesi << Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni>> è sensatissima: se noi siamo legittimati a ipotizzare l'esistenza reale di qualcosa [in sé, N.d.R] solo se esistono fenomeni che ne siano la manifestazione non ne consegue affatto (non ne può conseguire secondo logica) la plateale contraddizione per la quale la manifestazione cosciente (fenomeno) si identificherebbe con la cosa in sé reale anche indipendentemente dalla (eventuale) realtà dei fenomeni, cioé anche allorché, se e quando la manifestazione cosciente non é reale.
CARLO
...Che, tradotto in linguaggio umano, significa....?
Cit. CARLO
Certo, anche il "sarchiapone" è <<congetturabile e non sensibile>>, ma non significa nulla, se non associamo ad esso dei fenomeni di cui supponiamo che esso sia la causa.
SGIOMBO
Se il sarchiapone esistesse (in quanto insieme - successione di fenomeni, al pari di qualsiasi altro ente o evento di cui si abbia coscienza), allora allorché non vediamo il sarchiapone esistono cose in sé diverse dal sarchiapone stesso (sono reali anche allorché esso non é reale!) al sarchiapone (fenomeni) corrispondenti; il che spiega come mai appena guardassimo nella giusta direzione vedremmo il sarchiapone: "cosa in sé" o "noumeno" (a là Kant, che piaccia o meno a Platone) é un concetto sensatissimo!
Se (come di fatto accade) il sarchiapone non esiste, non esiste nemmeno la cosa in sé che ad esso corrisponderebbe se esso esistesse (periodo ipotetico dell' irrealtà).
CARLO
Continui con i ragionamenti alla rovescia, oltreché contorti. Quando io pronuncio un nome che non può essere associato ad alcun evento percepibile, quel nome è solo un rumore e nient'altro. Ecco, il sarchiapone e il noumeno sono due esempi di tale rumore privo di significato. E, se vuoi, ti ci aggiungo anche la ...supercazzola in omaggio. :)
Cit. CARLO
Campato in aria è il noumeno kantiano, che non è associabile a nulla. Mentre quello platonico ha una sua logica ben precisa: se esiste un principio metafisico che governa il mondo, da tale principio discenderanno anche i modelli delle cose. E l'esistenza di principi e di leggi della natura non è affatto campata per aria, ma è ampiamente confermata dall'esperienza scientifica.
SGIOMBO
Le leggi scientifiche del divenire naturale (benché non dimostrabili: Hume!) sono ben altro che le idee platoniche!
CARLO
Ciò che per noi oggi è l'insieme delle "leggi della natura" un tempo era chiamato "la ragione ordinatrice del mondo" cioè, il "nous", da cui deriva "noumeno". E che la natura non sia caotica, ma ordinata, è evidente a chiunque. Tu stesso rifiuti il dualismo-interazionismo perché credi (a torto) che violi le leggi della Fisica.
Cit. SGIOMBO
Il famoso "percipi" di Berkeley, che mostri di non comprendere, é proprio, nella fattispecie, l'"eliocentrismo approssimativo" del sistema solare, il quale non é nulla di reale "in sé"
Cit. CARLO
Tu prova a inviare una sonda spaziale in orbita intorno a Saturno sulla base di una teoria <<approssimativa>> o <<irreale>> dei moti del sistema solare - come quella geocentrica, per esempio -, poi mi fai sapere i risultati.
SGIOMBO
Ma che cavolo c' entra ?!?!?!
CARLO
Infatti non c'entra: le tue elucubrazioni astratte non c'entrano con la realtà concreta. ...Fatti una domanda e datti una risposta. :)
SGIOMBO
Rendersi conto che terra, sole, ecc. sono meri fenomeni il cui "esse est percipi" (Berkeley e Hume) non ha proprio nulla a che vedere col darne giudizi errati (e nemmeno col darne giudizi esatti)!
CARLO
Ribadisco: "esse est percipi" è privo di senso perché elimina sia il soggetto che l'oggetto della percezione. Se vogliamo essere onesti, dobbiamo dire che <<l'essere è la corretta interpretazione di ciò che si osserva>>; nel nostro caso specifico: il geocentrismo è una interpretazione errata del moto reale dei pianeti, mentre l'eliocentrismo (la cui approssimazione è progressivamente riducibile col perfezionarsi degli strumenti di misura) è una interpretazione sostanzialmente corretta. Infatti, con il primo non saremmo in grado di andare nemmeno sulla Luna, mentre con il secondo abbiamo inviato sonde nell'intero sistema solare.
Nel processo conoscitivo reale cioè il "percipi" è assolutamente marginale per la comprensione dell'"esse". Ciò che è fondamentale è la corretta interpretazione di ciò che Hume omette: l'oggetto percepito.
SGIOMBO
Le cose in sé si manifestano "di tanto in tanto (non per tutta la durata della loro esistenza/accadimento) alla coscienza, ma come fenomeni; dunque sono "qualcosa" e non "nulla":
CARLO
Lo vedi che cominciamo a capirci? La "cosa in sé" si mostra nei fenomeni, quindi non c'è quella separazione assoluta (tra cosa in sé e fenomeno) che è implicita nell'affermazione abusata dei kantiani: <<Conosciamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>.
Cominci a capire cioè che è proprio la cosa in sé la causa dei fenomeni e che dunque non è impossibile risalire gradualmente da essi alla causa.
Ecco, Platone aggiunge solo una "piccola" considerazione in più; lui dice che quella "cosa in sé" che conosceremo grazie alle sue molteplici manifestazioni fenomeniche corrisponderà con il modello metafisico originario da cui essa discende: il vero noumeno, la causa prima della "cosa in sé", ...in termini analoghi a quelli secondo cui ad ogni creazione umana corrisponde l'idea che l'ha forgiata, il progetto (la causa prima) da cui essa discende.
PUCCINI: Sempre con fe' sincera, op. Tosca
https://youtu.be/eH1JrHsyaVs?t=65
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Settembre 2018, 22:29:31 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Settembre 2018, 19:35:55 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Settembre 2018, 18:31:33 PM
CARLO
l'affermazione "esse est percipi" è solo una mistificazione verbale nella quale scompaiono sia il soggetto che l'oggetto della percezione. L'affermazione corretta è: "Esse est iusta interpretatio rei"
CitazioneSGIOMBO
Dunque niente e nessuno ci garantisce (fra l' altro, nemmeno) che esistano-accadano cose in sé reali anche allorché le sensazioni non lo sono (le quali cose in sé comunque, se esistono come credo per fede, onde non cadere in una platealissima contraddizione affermando che sono reali anche se e quando non sono reali, non possono essere che altri, diversi enti e/o eventi che i fenomeni o percezioni coscienti stessi.
CARLO
Quindi noi crediamo per fede che la Terra giri intorno al Sole e non viceversa? ...O che siano i batteri la causa di certe malattie infettive?
CitazioneIn ultima analisi sì, come qualsiasi altra verità scientifica, dal momento che, come ci ha insegnato David Hume, non si può dimostrare né mostrare che il divenire naturale seguirà sempre anche in futuro le regolarità osservate nel passato e al presente (mai, quante che esse siano e siano state).
CARLO
Il tuo è un circolo vizioso verbale. Nella conoscenza reale, invece, se osservo, per esempio, degli alberi che si agitano, ho bisogno di pensare che esista una causa chiamata "vento", mentre non ho alcun bisogno di ipotizzare l'esistenza di un "vento in sé" che sia altro dal "vento".
Insomma, per gli uomini normali, "in sé" è solo un modo per isolare discorsivamente "la cosa" dai suoi effetti su altre cose e su di noi, non per affermare una entità diversa e separata dalla "cosa" stessa.
CitazioneMa quale mai circolo vizioso ? ! ? ! ? !
Nella conoscenza reale, se osservo, per esempio, degli alberi che si agitano, e una causa del loro agitarsi chiamata "vento", le quali cose non esistono quando no le osservo, per spiegarmi come mai puntualmente ri-esistono se le ri-osservo (ovviamente salvo il caso l' albero sia stato abbattuto o il vento sia cessato; oso sperare comprenderai il ragionamento e non comincerai a parlare di questa precisazione del tutto irrilevante per la questione: cavolo, come sono ottimista!) credo che anche quando non li osservo e dunque, non esistono tali fenomeni, continuino ed esistere delle cose in sé ad esse corrispondenti (che per non cadere in una patente contraddizione devo pensare che dai fenomeni stessi siano diverse) che allorché si vengono a trovare in determinati rapporti con la cosa in sé che sono io, soggetto di esperienza fenomenica cosciente, allora nella mia esperienza cosciente stessa (di cui in tali circostanze vengono ad essere oggetti) esistono i fenomeni albero, vento, ecc.
SGIOMBO
la mia ipotesi << Se qualcosa realmente esiste anche allorché non esistono realmente fenomeni>> è sensatissima: se noi siamo legittimati a ipotizzare l'esistenza reale di qualcosa [in sé, N.d.R] solo se esistono fenomeni che ne siano la manifestazione non ne consegue affatto (non ne può conseguire secondo logica) la plateale contraddizione per la quale la manifestazione cosciente (fenomeno) si identificherebbe con la cosa in sé reale anche indipendentemente dalla (eventuale) realtà dei fenomeni, cioé anche allorché, se e quando la manifestazione cosciente non é reale.
CARLO
...Che, tradotto in linguaggio umano, significa....?
CitazioneE' linguaggio umano (per chi abbia l' interesse, la pazienza, l' intelligenza e la mente scevra da pregiudizi per capirlo, ovviamente).
Cit. CARLO
Certo, anche il "sarchiapone" è <<congetturabile e non sensibile>>, ma non significa nulla, se non associamo ad esso dei fenomeni di cui supponiamo che esso sia la causa.
SGIOMBO
Se il sarchiapone esistesse (in quanto insieme - successione di fenomeni, al pari di qualsiasi altro ente o evento di cui si abbia coscienza), allora allorché non vediamo il sarchiapone esistono cose in sé diverse dal sarchiapone stesso (sono reali anche allorché esso non é reale!) al sarchiapone (fenomeni) corrispondenti; il che spiega come mai appena guardassimo nella giusta direzione vedremmo il sarchiapone: "cosa in sé" o "noumeno" (a là Kant, che piaccia o meno a Platone) é un concetto sensatissimo!
Se (come di fatto accade) il sarchiapone non esiste, non esiste nemmeno la cosa in sé che ad esso corrisponderebbe se esso esistesse (periodo ipotetico dell' irrealtà).
CARLO
Continui con i ragionamenti alla rovescia, oltreché contorti. Quando io pronuncio un nome che non può essere associato ad alcun evento percepibile, quel nome è solo un rumore e nient'altro. Ecco, il sarchiapone e il noumeno sono due esempi di tale rumore privo di significato. E, se vuoi, ti ci aggiungo anche la ...supercazzola in omaggio. :)
Citazione
Continui a brancolare nel buio dei pregiudizi del senso comune.
percepibile =/= reale
Sarchaipone, supercazzola (e altre eventuali stronzate) non esistono come fenomeni (sono fenomeni inesistenti) in quanto non si osservano; invece il noumeno non si osserva ma (con le caratteristiche che ti ho pazientissimamente ma inutilmente illustrato innumerevoli volte, anche poco sopra) non si può dimostrare né che non esista né che esista; solo che credendo che esista ci si spiegano cose che si osservano come l' intersoggettività (indimostrabile ma necessaria alla conoscenza scientifica) dei fenomeni materiali e i rapporti cervello-coscienza.
Cit. CARLO
Campato in aria è il noumeno kantiano, che non è associabile a nulla. Mentre quello platonico ha una sua logica ben precisa: se esiste un principio metafisico che governa il mondo, da tale principio discenderanno anche i modelli delle cose. E l'esistenza di principi e di leggi della natura non è affatto campata per aria, ma è ampiamente confermata dall'esperienza scientifica.
CitazioneIl noumeno kantiano é un' ottima siegazione di cose come l' intersoggettività (indimostrabile ma necessaria alla conoscenza scientifica) dei fenomeni materiali e i rapporti cervello-coscienza.
Invece l' esistenza di un principio metafisico che governa il mondo, e la pretesa che da tale principio discenderanno anche i modelli delle cose é precisamente una sparata idealistica campata in aria, la quale non ha nulla a che vedere con le fisicissime (e non affatto metafisiche!) leggi del divenire naturale.
Peraltro l'esistenza di principi e di leggi della natura non è affatto dimostrata dall' esperienza scientifica, ma é anzi un' ineludibile conditio sine qua non indimostrabile della conoscenza scientifica stessa, come ci ha insegnato il grandissimo David Hume.
SGIOMBO
Le leggi scientifiche del divenire naturale (benché non dimostrabili: Hume!) sono ben altro che le idee platoniche!
CARLO
Ciò che per noi oggi è l'insieme delle "leggi della natura" un tempo era chiamato "la ragione ordinatrice del mondo" cioè, il "nous", da cui deriva "noumeno". E che la natura non sia caotica, ma ordinata, è evidente a chiunque. Tu stesso rifiuti il dualismo-interazionismo perché credi (a torto) che violi le leggi della Fisica.
CitazioneAnche ciò che oggi chiamiamo "sistema solare elicentrico" una volta era chiamato "universo geocentrico": due errori felicemente superati!
Grazie, ma che la natura sia ordinata e non caotica lo sapevo già.
...Solo che in più io so anche che ciò é credibile solo per fede e non mostrabile empiricamente né dimostrabile logicamente.
Cit. SGIOMBO
Il famoso "percipi" di Berkeley, che mostri di non comprendere, é proprio, nella fattispecie, l'"eliocentrismo approssimativo" del sistema solare, il quale non é nulla di reale "in sé"
Cit. CARLO
Tu prova a inviare una sonda spaziale in orbita intorno a Saturno sulla base di una teoria <<approssimativa>> o <<irreale>> dei moti del sistema solare - come quella geocentrica, per esempio -, poi mi fai sapere i risultati.
CitazioneTi é già stato risposto (inutilmente) innumerevoli volte e non solo da me che queste sciocchezze non c' entrano nulla con una corretta e precisa concezione dell' eliocentrismo (approssimativo perché il centro del sole non é precisamente il centro del sistema a causa degli effetti gravitazionali "minori" dei pianeti, satelliti, comete, ecc.).
CARLO
Ma che cavolo c' entra ?!?!?!
SGIOMBO
Infatti non c'entra: le tue elucubrazioni astratte non c'entrano con la realtà concreta. ...Fatti una domanda e datti una risposta. :)
SGIOMBO
Rendersi conto che terra, sole, ecc. sono meri fenomeni il cui "esse est percipi" (Berkeley e Hume) non ha proprio nulla a che vedere col darne giudizi errati (e nemmeno col darne giudizi esatti)!
CARLO
Ribadisco: "esse est percipi" è privo di senso perché elimina sia il soggetto che l'oggetto della percezione. Se vogliamo essere onesti, dobbiamo dire che <<l'essere è la corretta interpretazione di ciò che si osserva>>; nel nostro caso specifico: il geocentrismo è una interpretazione errata del moto reale dei pianeti, mentre l'eliocentrismo (la cui approssimazione è progressivamente riducibile col perfezionarsi degli strumenti di misura) è una interpretazione sostanzialmente corretta. Infatti, con il primo non saremmo in grado di andare nemmeno sulla Luna, mentre con il secondo abbiamo inviato sonde nell'intero sistema solare.
Nel processo conoscitivo reale cioè il "percipi" è assolutamente marginale per la comprensione dell'"esse". Ciò che è fondamentale è la corretta interpretazione di ciò che Hume omette: l'oggetto percepito.
CitazioneInfatti ribadisci i soliti errati pregiudizi del senso comune.
La percezione é certa (se e quanto accade); invece soggetto e oggetto in sé di essa (da essa diversi, onde evitare una plateale contraddizione, perché esistenti anche indipendentemente da essa, se e quando essa non esiste) no: si possono credere (superando il solipsismo) solo per fede.
Continua pure a sproloquiare di ben altro che del problema fenomeni-noumeno, come eliocentrismo e geocentrismo; ma io non alcuna intenzione di seguire i tuoi sproloqui non pertinenti.
Che "nel processo conoscitivo reale cioè il "percipi" è assolutamente marginale per la comprensione dell'"esse". Ciò che è fondamentale è la corretta interpretazione di ciò che Hume omette: l'oggetto percepito" é precisamente quanto il senso comune erroneamente, falsamente crede (il perché te lì ho già illustrato innumerevoli volte)..
SGIOMBO
Le cose in sé si manifestano "di tanto in tanto (non per tutta la durata della loro esistenza/accadimento) alla coscienza, ma come fenomeni; dunque sono "qualcosa" e non "nulla":
CARLO
Lo vedi che cominciamo a capirci? La "cosa in sé" si mostra nei fenomeni, quindi non c'è quella separazione assoluta (tra cosa in sé e fenomeno) che è implicita nell'affermazione abusata dei kantiani: <<Conosciamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>.
Cominci a capire cioè che è proprio la cosa in sé la causa dei fenomeni e che dunque non è impossibile risalire gradualmente da essi alla causa.
Ecco, Platone aggiunge solo una "piccola" considerazione in più; lui dice che quella "cosa in sé" che conosceremo grazie alle sue molteplici manifestazioni fenomeniche corrisponderà con il modello metafisico originario da cui essa discende: il vero noumeno, la causa prima della "cosa in sé", ...in termini analoghi a quelli secondo cui ad ogni creazione umana corrisponde l'idea che l'ha forgiata, il progetto (la causa prima) da cui essa discende.
CitazioneLo vedi che continui a non capire una mazza?
(Niente di male, non é che capire le mie tesi sia obbligatorio per chichessia).
E' ovvio (e l' ho sostenuto un' infinità di volte) che La "cosa in sé" si mostra nei fenomeni, quindi non c'è quella separazione assoluta (tra cosa in sé e fenomeno); ma tantomeno c' é quell' identità che pretenderebbe il senso comune:
"essere in sé (indipendentemente da eventuali manifestazioni di sé)" =/= "manifestarsi" ! ! !
Peraltro Kant non afferma affatto (anzi, il contrario, sia pure attraverso la ragion pratica!) che <<Conosciamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>, ma invece che <<percepiamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>: c' é una bella differenza (per chi non sia accecato dai pregiudizi del senso comune) ! ! !
Ciò che dici di Platone non sono che arbitrarie, razionalmente infondate elucubrazioni idealistiche.
E anche platealmente antropomorfistiche come risulta lampnate dalla precisazione finale.
NOTA BENE: La mia pazienza ha un limite.
Non dubito che obietterai ancora ripetendo i soliti pregiudizi del senso comune e platonici (e probabilmente i soliti tormentoni su eliocentrismo, supercazzole e sarchiaponi che c' entrano come i cavoli a merenda).
Ma poiché non é che una tesi diventi più vera ogni volta che la si ripete tale e quale, salvo eventuali nuove argomentazioni (molto meno probabili che una vittoria alla lotteria!|) eviterò di perdere tempo e pazienza replicando ancora.
Con l' ovvia e forse pleonastica (ma non si sa mai...) precisazione che in questo caso "chi tace non acconsente affatto".
Cit. CARLO
Quindi noi crediamo per fede che la Terra giri intorno al Sole e non viceversa? ...O che siano i batteri la causa di certe malattie infettive?SGIOMBOIn ultima analisi sì, come qualsiasi altra verità scientifica, dal momento che, come ci ha insegnato David Hume, non si può dimostrare né mostrare che il divenire naturale seguirà sempre anche in futuro le regolarità osservate nel passato e al presente (mai, quante che esse siano e siano state).CARLONon si può dimostrare nemmeno che domani 5x8 sarà ancora uguale a 40, cioè, che l'ordine logico che oggi governa il mondo domani non sarà più lo stesso. Ma se questo fosse un motivo sufficiente per affermare che anche la logica è un'ingannevole "apparenza", allora dovremmo considerare "apparenza" anche gli insegnamenti di Hume che su questa stessa logica si fondano. Pertanto, se vuoi pensare che Hume abbia ragione, allora devi anche pensare che l'indimostrabilità dell'eternità delle leggi di natura nulla toglie alla loro piena validità attuale, altrimenti seghi il ramo sul quale sei seduto.In altre parole, gli insegnamenti di Hume sono aria fritta, così come lo è il suo "esse est percipi". Perché se fosse vero che <<nulla può essere dimostrato>> e che dunque <<non esistono verità indubitabili>>, allora anche queste affermazioni sarebbero indimostrabili e dunque dubitabili, prive di significato. Torniamo a quello che io considero il primo principio della logica: <<la verità non può essere negata>>.Cit. CARLO Il tuo è un circolo vizioso verbale. Nella conoscenza reale, invece, se osservo, per esempio, degli alberi che si agitano, ho bisogno di pensare che esista una causa chiamata "vento", mentre non ho alcun bisogno di ipotizzare l'esistenza di un "vento in sé" che sia altro dal "vento".
Insomma, per gli uomini normali, "in sé" è solo un modo per isolare discorsivamente "la cosa" dai suoi effetti su altre cose e su di noi, non per affermare una entità diversa e separata dalla "cosa" stessa.SGIOMBO
Nella conoscenza reale, se osservo, per esempio, degli alberi che si agitano, e una causa del loro agitarsi chiamata "vento", le quali cose non esistono quando non le osservo, per spiegarmi come mai puntualmente ri-esistono se le ri-osservo credo che anche quando non li osservo e dunque, non esistono tali fenomeni, continuino ed esistere delle cose in sé ad esse corrispondenti (che per non cadere in una patente contraddizione devo pensare che dai fenomeni stessi siano diverse) che allorché si vengono a trovare in determinati rapporti con la cosa in sé che sono io, soggetto di esperienza fenomenica cosciente, allora nella mia esperienza cosciente stessa (di cui in tali circostanze vengono ad essere oggetti) esistono i fenomeni albero, vento, ecc..CARLOContinui a seguire il criterio delirante di Hume dell'identità oggetto-percezione (esse est percipi) affermando che il vento e l'albero non esistono quando non le osservi; e da questa aberrazione derivi la necessità della "cosa in sé". E' evidente quindi che, se la premessa è falsa, la conclusione non ha alcun valore.Cit. CARLO Quando io pronuncio un nome che non può essere associato ad alcun evento percepibile, quel nome è solo un rumore e nient'altro. Ecco, il sarchiapone e il noumeno sono due esempi di tale rumore privo di significato. E, se vuoi, ti ci aggiungo anche la ...supercazzola in omaggio. SGIOMBO
Sarchiapone, supercazzola (e altre eventuali stronzate) non esistono come fenomeni (sono fenomeni inesistenti) in quanto non si osservano; invece il noumeno non si osserva ma (con le caratteristiche che ti ho pazientissimamente ma inutilmente illustrato innumerevoli volte, anche poco sopra) non si può dimostrare né che non esista né che esista; solo che credendo che esista ci si spiegano cose che si osservano come l'intersoggettività (indimostrabile ma necessaria alla conoscenza scientifica) dei fenomeni materiali e i rapporti cervello-coscienza.CARLOCerto, anche la credenza nell'esistenza dei vampiri spiega cose intersoggettive che si osservano, come l'usanza primitiva di mettere una treccia d'aglio o un crocefisso vicino al letto; ma questo non significa che credere nell'esistenza dei vampiri sia qualcosa di più di una sciocca superstizione.Che vuoi dire con <<l'intersoggettività è necessaria alla scienza>>?Cit. CARLO Campato in aria è il noumeno kantiano, che non è associabile a nulla. Mentre quello platonico ha una sua logica ben precisa: se esiste un principio metafisico che governa il mondo, da tale principio discenderanno anche i modelli delle cose. E l'esistenza di principi e di leggi della natura non è affatto campata per aria, ma è ampiamente confermata dall'esperienza scientifica.SGIOMBOIl noumeno kantiano é un' ottima siegazione di cose come l'intersoggettività (indimostrabile ma necessaria alla conoscenza scientifica) dei fenomeni materiali e i rapporti cervello-coscienza.
Invece l' esistenza di un principio metafisico che governa il mondo, e la pretesa che da tale principio discenderanno anche i modelli delle cose é precisamente una sparata idealistica campata in aria, la quale non ha nulla a che vedere con le fisicissime (e non affatto metafisiche!) leggi del divenire naturale.CARLOIntanto, <<fisiche>> sono le grandezze sensibili, quantificabili, osservabili, non quei modelli metafisici che ordinano le loro relazioni e che noi chiamiamo "leggi della natura", le quali non sono osservabili, ma è possibile risalire ad esse solo attraverso un processo metafisico di astrazione. In secondo luogo, queste stesse leggi naturali (di cui tu neghi o affermi l'esistenza a seconda di come ti fa comodo) sono ben lungi dal giustificare la comparsa, per esempio, di quei complessi e misteriosi modelli biologici che chiamiamo "specie viventi"; né spiegano la presenza in ciascuna specie di quei modelli tipici di comportamento che chiamiamo istinti; né spiegano l'esistenza di quei modelli di significato universalmente diffusi nella cultura umana (non riducibili a cause storico-contingenti) che la Storia comparata della cultura ha messo in luce nel proprio dominio di ricerca e che ha chiamato "strutture archetipiche".Pertanto, l'ipotesi che esistano modelli metafisici che guidino il divenire naturale, non è campata in aria come lo è l'ipotesi della "cosa in sé", ma è una necessità logica fondata sull'osservazione dei fatti.SGIOMBO L'esistenza di principi e di leggi della natura non è affatto dimostrata dall' esperienza scientifica, ma é anzi un' ineludibile conditio sine qua non indimostrabile della conoscenza scientifica stessa, come ci ha insegnato il grandissimo David Hume. CARLO...E il "grandissimo" Hume ti ha spiegato le ragioni per le quali delle cose <<inesistenti>> dovrebbero costituire una <<ineludibile conditio-sine-qua-non della conoscenza scientifica>>? Per esempio, l'esistenza del pianeta Plutone è stata scoperta molto tempo prima della sua osservazione reale (lo chiamarono "pianeta X") proprio perché agli inizi del '900 divenne una conditio-sine-qua-non della conoscenza astronomica; e dell'atomo e di tante altre entità fisiche possiamo dire la stessa cosa. Allora, non ti sorge il sospetto che la dimostrazione dell'esistenza delle leggi di natura o di qualunque altra cosa che non sia direttamente osservabile risieda proprio nel loro essere una <<ineludibile conditio-sine-qua-non della conoscenza>>?Pertanto, se hai dubbi sull'esistenza di entità che sono indispensabili alla conoscenza, quanti dubbi dovresti avere sull'esistenza del noumeno che è assolutamente inutile in ogni disciplina della ricerca?Cit. CARLO Tu prova a inviare una sonda spaziale in orbita intorno a Saturno sulla base di una teoria <<approssimativa>> o <<irreale>> dei moti del sistema solare - come quella geocentrica, per esempio -, poi mi fai sapere i risultati.SGIOMBOTi é già stato risposto (inutilmente) innumerevoli volte e non solo da me che queste sciocchezze non c' entrano nulla con una corretta e precisa concezione dell'eliocentrismo (approssimativo perché il centro del sole non é precisamente il centro del sistema a causa degli effetti gravitazionali "minori" dei pianeti, satelliti, comete, ecc.).CARLOE io ho risposto (inutilmente) che la scoperta secondo cui il centro di massa del sistema solare non coincide con il centro del Sole (ma cade comunque al suo interno), è una verità in più che conferma la verità generale dell'eliocentrismo e la falsità essenziale del geocentrismo. Possibile che non riesci a capire la differenza che c'è tra una teoria "sballata" come il geocentrismo e una teoria come l'eliocentrismo grazie alla quale possiamo cogliere persino dettagli come questo (centro di massa non coincidente col centro del Sole) o come quello della precessione del perielio dell'orbita di Mercurio, oppure come la scoperta che la Luna si allontana dalla Terra di circa 3 centimetri all'anno, ecc.? Tutti questi aggiustamenti successivi non confutano l'eliocentrismo, ma, al contrario, ne rafforzano la validità.Adesso devo uscire, completerò stasera la risposta.VERDI - Vieni t'affretta, op. Macbeth
https://youtu.be/ddr0dwPlYVM TESTO:
(Lady Macbeth istiga Macbeth al regicidio)
...Vieni t'affretta! Accendere
Ti vo' quel freddo core!
L'audace impresa a compiere
Io ti darò valore;
Di Scozia a te promettono
Le profetesse il trono...
Che tardi? Accetta il dono,
Ascendivi a regnar).
2a parteCit. SGIOMBORendersi conto che terra, sole, ecc. sono meri fenomeni il cui "esse est percipi" (Berkeley e Hume) non ha proprio nulla a che vedere col darne giudizi errati (e nemmeno col darne giudizi esatti)!CARLORibadisco: "esse est percipi" è privo di senso perché elimina sia il soggetto che l'oggetto della percezione. Se vogliamo essere onesti, dobbiamo dire che <<l'essere è la corretta interpretazione di ciò che si osserva>>; nel nostro caso specifico: il geocentrismo è una interpretazione errata del moto reale dei pianeti, mentre l'eliocentrismo (la cui approssimazione è progressivamente riducibile col perfezionarsi degli strumenti di misura) è una interpretazione sostanzialmente corretta. Infatti, con il primo non saremmo in grado di andare nemmeno sulla Luna, mentre con il secondo abbiamo inviato sonde nell'intero sistema solare.
Nel processo conoscitivo reale cioè il "percipi" è assolutamente marginale per la comprensione dell'"esse". Ciò che è fondamentale è la corretta interpretazione di ciò che Hume omette: l'oggetto percepito.SGIOMBOLa percezione é certa (se e quanto accade); invece soggetto e oggetto in sé di essa (...) no.CARLOAltro ragionamento alla rovescia. "Percepire" pre-suppone l'esistenza di un soggetto che percepisce e di un oggetto che è la causa della percezione.1 - senza un soggetto percipiente non esiste percezione;2 - un soggetto può avere una falsa percezione (allucinazione o proiezione), cioè può percepire come reale e concreto qualcosa che invece è solo la proiezione di un contenuto che appartiene alla sua sfera inconscia.Ergo, la percezione è l'ultima cosa da considerare certa, se non è mediata dall'interpretazione attiva del soggetto."Il fatto che l'inconscio appaia proiettato non ha in sé nulla di sorprendente: è come se non potesse venir percepito in altro modo. [...] Naturalmente la proiezione non è un evento volontario, ma qualcosa che muove incontro alla coscienza "dal di fuori", un'apparenza dell'oggetto, dove il soggetto resta ignaro di essere lui stesso la fonte di luce che fa brillare l'"occhio di gatto" della proiezione. [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.105]"Normalmente l'immagine inconscia manca di una proiezione nello spazio, benché eccezionalmente possa anche apparire per così dire all'esterno. Questo modo di manifestarsi va designato come arcaico. [...] Negli stadi primitivi di evoluzione, l'immagine interna si trasferisce facilmente nello spazio come visione o come allucinazione uditiva, senza per questo essere patologica". [JUNG: Tipi psicologici- pg.490]SGIOMBOSoggetto e oggetto si possono credere (superando il solipsismo) solo per fede.CARLORiesci a cogliere la differenza che corre tra la fede nell'esistenza della "teiera celeste" (di Russell) e la fede nell'esistenza degli atomi?Cit. SGIOMBOLe cose in sé si manifestano "di tanto in tanto (non per tutta la durata della loro esistenza/accadimento) alla coscienza, ma come fenomeni; dunque sono "qualcosa" e non "nulla":Cit. CARLOLo vedi che cominciamo a capirci? La "cosa in sé" si mostra nei fenomeni, quindi non c'è quella separazione assoluta (tra cosa in sé e fenomeno) che è implicita nell'affermazione abusata dei kantiani: <<Conosciamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>.Cominci a capire cioè che è proprio la cosa in sé la causa dei fenomeni e che dunque non è impossibile risalire gradualmente da essi alla causa.
Ecco, Platone aggiunge solo una "piccola" considerazione in più; lui dice che quella "cosa in sé" che conosceremo grazie alle sue molteplici manifestazioni fenomeniche corrisponderà con il modello metafisico originario da cui essa discende: il vero noumeno, la causa prima della "cosa in sé", ...in termini analoghi a quelli secondo cui ad ogni creazione umana corrisponde l'idea che l'ha forgiata, il progetto (la causa prima) da cui essa discende.SGIOMBOE' ovvio (e l' ho sostenuto un' infinità di volte) che La "cosa in sé" si mostra nei fenomeni, quindi non c'è quella separazione assoluta (tra cosa in sé e fenomeno); ma tantomeno c' é quell' identità che pretenderebbe il senso comune:"essere in sé (indipendentemente da eventuali manifestazioni di sé)" =/= "manifestarsi" ! ! !CARLOSe la cosa in sé è la causa dei fenomeni, se i fenomeni sono conoscibili, e se la scienza è stata capace centinaia di volte di risalire dai fenomeni (osservabili) alla causa che li produce (inosservabile), io non vedo alcun motivo (che non sia un dogma puro) per porre dei limiti alla conoscenza della "cosa in sé". E la negazione di questi limiti di conoscenza non significa affatto affermare l'identità tra fenomeni e cosa in sé, perché il passaggio dall'effetto alla causa non è immediato, ma è il frutto di un corretto processo di interpretazione-astrazione dei fenomeni, proprio come Newton riuscì a ricavare il suo principio gravitazionale attraverso l'interpretazione in chiave dinamica delle tre leggi cinematiche di Keplero.SGIOMBOPeraltro Kant non afferma affatto (anzi, il contrario, sia pure attraverso la ragion pratica!) che <<Conosciamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>, ma invece che <<percepiamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>: c' é una bella differenza (per chi non sia accecato dai pregiudizi del senso comune) ! ! !CARLOQuesta è un'aggravante, non un'attenuante, perché così facendo si nega ogni possibilità di conoscenza. Invece la scienza non percepisce solo i fenomeni, ma conosce anche molte di quelle che tu hai chiamato le <<fisicissime leggi del divenire>>, che non sono affatto oggetto di percezione.Insomma, le tue e quelle di Kant sono elucubrazioni astratte e sradicate da ogni confronto con la conoscenza reale, quindi perlopiù arbitrarie e infondate. Ma meno male che i ricercatori, quelli che producono conoscenza vera, e non chiacchiere, ignorano Kant, altrimenti andremmo ancora in giro con le carrozze a cavalli e cureremmo le infezioni e l'ipertensione con i salassi.SGIOMBO NOTA BENE: La mia pazienza ha un limite.
CARLOFosse solo la tua pazienza ad avere un limite! HÄNDEL: Crede l'uom - Op. Trionfo del Disinganno
https://youtu.be/OELy-RIV6EM
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Settembre 2018, 14:01:25 PM
Ignorate, come mi ero ripromesso le cazzate già trite e ritrite, e i soliti tuoi fraintendimenti reiterati già tantissime volte che con tutta evidenza non riesci a superare mie modeste tesi (oltre che di Hume, Kant e probabilmente altri grandi che al momento non mi sovvengono), vengo ad alcune tue affermazioni errate nuove (o almeno che mi risultano tali; potrei non averle notate, se già esposte nel forum).
Citazione
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Settembre 2018, 14:01:25 PMCARLO
Non si può dimostrare nemmeno che domani 5x8 sarà ancora uguale a 40, cioè, che l'ordine logico che oggi governa il mondo domani non sarà più lo stesso. Ma se questo fosse un motivo sufficiente per affermare che anche la logica è un'ingannevole "apparenza", allora dovremmo considerare "apparenza" anche gli insegnamenti di Hume che su questa stessa logica si fondano. Pertanto, se vuoi pensare che Hume abbia ragione, allora devi anche pensare che l'indimostrabilità dell'eternità delle leggi di natura nulla toglie alla loro piena validità attuale, altrimenti seghi il ramo sul quale sei seduto.
In altre parole, gli insegnamenti di Hume sono aria fritta, così come lo è il suo "esse est percipi". Perché se fosse vero che <<nulla può essere dimostrato>> e che dunque <<non esistono verità indubitabili>>, allora anche queste affermazioni sarebbero indimostrabili e dunque dubitabili, prive di significato. Torniamo a quello che io considero il primo principio della logica: <<la verità non può essere negata>>.
Citazione
Confondi i giudizi sintetici a posteriori con quelli analitici a priori.
5 x 8 farà sempre 40 nell' aritmetica corrente, e contrariamente alle conoscenze delle scienze naturali é assolutamente certo per il semplice fatto che si tratta di un giudizio sintetico a priori che applica regole di inferenza logica (in particolare di calcolo in questo caso) arbitrariamente stabilite a concetti arbitrariamente considerati.
"Paga" però inesorabilmente la sua certezza con una inevitabile "sterilità conoscitiva" in quanto non ci dice nulla sulla realtà (né che ci sono nella realtà 40 ladroni né che non ci sono; di nessun tipo di ente od evento ci dice se ve ne sono 40 o meno, né, nel caso ce ne fossero, se sarebbero divisi in 8 gruppi di 5 o viceversa oppure no).
Invece quelli delle scienze naturali sono giudizi sintetici a posteriori, conoscitivamente fecondi (ci dicono per esempio che i corpi massivi si attraggono), che tuttavia "pagano" la loro fecondità conoscitiva con un' insuperabile incertezza (teorica, in linea di principio: nulla ci garantisce che alla prossima osservazione la mela staccatasi dal ramo anziché cadere a terra non salirà in cielo o non resterà sospesa a mezz' aria, per quante siano le osservazioni che finora puntualmente, immancabilmente hanno rilevato la caduta a terra; il che ovviamente non toglie che sia "ragionevole" credere infondatamente che siano certe e comportarsi in patica come se lo fossero).
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CARLO
Intanto, <<fisiche>> sono le grandezze sensibili, quantificabili, osservabili, non quei modelli metafisici che ordinano le loro relazioni e che noi chiamiamo "leggi della natura", le quali non sono osservabili, ma è possibile risalire ad esse solo attraverso un processo metafisico di astrazione.
In secondo luogo, queste stesse leggi naturali (di cui tu neghi o affermi l'esistenza a seconda di come ti fa comodo) sono ben lungi dal giustificare la comparsa, per esempio, di quei complessi e misteriosi modelli biologici che chiamiamo "specie viventi"; né spiegano la presenza in ciascuna specie di quei modelli tipici di comportamento che chiamiamo istinti; né spiegano l'esistenza di quei modelli di significato universalmente diffusi nella cultura umana (non riducibili a cause storico-contingenti) che la Storia comparata della cultura ha messo in luce nel proprio dominio di ricerca e che ha chiamato "strutture archetipiche".
Pertanto, l'ipotesi che esistano modelli metafisici che guidino il divenire naturale, non è campata in aria come lo è l'ipotesi della "cosa in sé", ma è una necessità logica fondata sull'osservazione dei fatti.
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Citazione
Il processo di astrazione non é affatto metafisico ma semplicemente mentale, cogitativo, cognitivo (e le scienze naturali lo applicano all' osservazione del mondo fisico, materiale, naturale: nulla di "metafisico").
E le leggi fisiche sono aspetti generali astratti (rilevati costantemente, "sempre finora", in determinate osservazioni concrete in numero finito e postulati arbitrariamente, indimostrabilmente -Hume!- essere universali e costanti, validi per qualsiasi osservazione passata, presente e futura, "all' infinito nel tempo e nello spazio") del divenire naturale; aspetti astratti dal pensiero (umano) dai casi concreti particolari osservabili (e discernibili, nelle osservazioni di cui sono parte integrante, dagli aspetti particolari concreti pure appartenenti alle osservazioni stesse: aspetti generali astratti di quanto di fisico-naturale si osserva; niente di metafisico, niente che abbia qualcosa a che vedere con farneticazioni idealistiche infondate razionalmente come le idee platoniche o gli archetipi jungiani).
Le specie viventi e gli istinti animali non sono "modelli" (non li fa creati un Dio seguendo un progetto, alla maniera in cui i "modelli" di auto, di vestisti, di edifici, ecc. sono costruiti da soggetti intenzionali umani: antropomorfismo superatissimo dalla scienza moderna) e non hanno proprio nulla di "misterioso".
Invece le "strutture archetipiche" non sono che (spesso forzate, in varia misura arbitrarie ed errate; talora interessanti e con elementi di verità) astrazioni nell' ambito delle credenze presenti nelle varie culture, razionalmente riconducibili in ultima analisi ai caratteri generali, etologici (almeno in arte non esclusivamente umani) del comportamento umano, così come sono, in maggiore o minor misura a seconda dei casi, "culturalmente declinati".
E l'ipotesi che esistano modelli metafisici che guidino il divenire naturale, è del tutto campata in aria e arbitrariamente proposta senza alcun fondamento razionale, sulla base di mere analogie superficiali e non criticamente fondate.
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CARLO
Altro ragionamento alla rovescia. "Percepire" pre-suppone l'esistenza di un soggetto che percepisce e di un oggetto che è la causa della percezione.
1 - senza un soggetto percipiente non esiste percezione;
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Citazione
E chi lo dice? Platone? Jung?
Non é affatto autocontraddittorio, insensato immaginare, ipotizzare che tutto ciò che accade (che é constatato con certezza assolutamente indubitabile) sia limitato agli eventi "percezioni coscienti" e nient' altro.
Ergo fino a prova contraria (alla constatazione empirica -logicamente impossibile, per definizione- o a una dimostrazione logica che qualcosa d' altro oltre agli eventi "percezioni coscienti" esiste-accade realmente la totalità del reale di cui possa aversi certezza non eccede queste ultime.
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2 - un soggetto può avere una falsa percezione (allucinazione o proiezione), cioè può percepire come reale e concreto qualcosa che invece è solo la proiezione di un contenuto che appartiene alla sua sfera inconscia.
Ergo, la percezione è l'ultima cosa da considerare certa, se non è mediata dall'interpretazione attiva del soggetto.
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Citazione
A parte la pretesa dell' inconsapevolezza ("inconscio"), le allucinazioni mostrano che l' oggetto é l' "ultima cosa da considerare certa"; ma lo é parimenti anche il soggetto, non essendo autocontraddittoria, essendo coerente, logicamente corretta, l' ipotesi che tutto ciò che accade siano le percezioni (da parte di nessuno; non aventi alcun soggetto, così come le allucinazioni sono percezioni di niente, non aventi alcun oggetto).
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Cit. CARLO
Lo vedi che cominciamo a capirci? La "cosa in sé" si mostra nei fenomeni, quindi non c'è quella separazione assoluta (tra cosa in sé e fenomeno) che è implicita nell'affermazione abusata dei kantiani: <<Conosciamo i fenomeni, non la cosa in sé!>>.
Cominci a capire cioè che è proprio la cosa in sé la causa dei fenomeni e che dunque non è impossibile risalire gradualmente da essi alla causa.
Ecco, Platone aggiunge solo una "piccola" considerazione in più; lui dice che quella "cosa in sé" che conosceremo grazie alle sue molteplici manifestazioni fenomeniche corrisponderà con il modello metafisico originario da cui essa discende: il vero noumeno, la causa prima della "cosa in sé", ...in termini analoghi a quelli secondo cui ad ogni creazione umana corrisponde l'idea che l'ha forgiata, il progetto (la causa prima) da cui essa discende.
SGIOMBO
E' ovvio (e l' ho sostenuto un' infinità di volte) che La "cosa in sé" si mostra nei fenomeni, quindi non c'è quella separazione assoluta (tra cosa in sé e fenomeno); ma tantomeno c' é quell' identità che pretenderebbe il senso comune:
"essere in sé (indipendentemente da eventuali manifestazioni di sé)" =/= "manifestarsi" ! ! !
CARLO
Se la cosa in sé è la causa dei fenomeni, se i fenomeni sono conoscibili, e se la scienza è stata capace centinaia di volte di risalire dai fenomeni (osservabili) alla causa che li produce (inosservabile), io non vedo alcun motivo (che non sia un dogma puro) per porre dei limiti alla conoscenza della "cosa in sé". E la negazione di questi limiti di conoscenza non significa affatto affermare l'identità tra fenomeni e cosa in sé, perché il passaggio dall'effetto alla causa non è immediato, ma è il frutto di un corretto processo di interpretazione-astrazione dei fenomeni, proprio come Newton riuscì a ricavare il suo principio gravitazionale attraverso l'interpretazione in chiave dinamica delle tre leggi cinematiche di Keplero.
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Citazione
Qui purtroppo sono costretto a perdere tempo (inutilmente di certo) per precisare che nella precedente risposta alla tua affermazione, sperando di spiegarmi in breve, avevo lasciato correre un' imprecisione inerente il concetto (da te allora usato) di "noumeno come causa dei fenomeni".-
Come ho già scritto altre volte nel forum (in particolare in risposta ad Apeiron) di "causazione" in senso proprio, cioè come conseguenza calcolabile di leggi del divenire esprimibili attraverso equazioni matematiche (per l' appunto applicabili a procedimenti di calcolo) si può parlare unicamente nell' ambito dei fenomeni materiali, per la loro misurabilità (per esempio fenomeni non ancora osservati ma osservabili in linea di principio possono causare altri fenomeni direttamente osservati, come nel caso di Nettuno, e dunque essere calcolati come cause di essi in senso stretto).
Il rapporto fra noumeno e fenomeni é solo in senso lato e non del tutto proprio considerabile di "causazione", coì come in seno lato e non del tutto proprio si può parlare di "causazione" nell' ambito dei fenomeni mentali.
Comunque anche considerando il concetto di "causazione" in questo senso lato, gli eventi fenomenici (direttamente osservabili o calcolabili) che sono cause fenomeniche di altri eventi fenomenici (i loro effetti) non esulano dai fenomeni dei quali l' "esse est percipi" (Berkeley e Hume), reali unicamente come insiemi - successioni di percezioni se, quando, fintanto che accadono come tali; mentre invece se qualcosa é reale anche allorché i fenomeni non lo sono, onde spiegare le "puntuali" ricomparse-riaccadimenti reali dei fenomeni stessi nelle opportune condizioni di osservazione in quanto loro "casa in senso lato", per non cadere in plateale contraddizione deve trattarsi di qualcosa d' altro, qualcosa di da esse ben diverso: non apparente (non fenomeno" ma casomai congetturabile (noumeno).
N.B.: Poiché non dubito che ripeterai ancora una volta le solite obiezioni alle mie tesi (più o meno fraintese), preciso che anche stavolta eviterò di reiterare (inutilmente) argomentazioni già ripetutamente svolte, con la precisazione che in questo caso "ci tace non acconsente affatto"; mi limiterò anche stavolta a risposte ad (eventuali, improbabili) affermazioni nuove da parte tua e non alle solite reiterazioni.
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VERDI - Vieni t'affretta, op. Macbeth
https://youtu.be/ddr0dwPlYVM
TESTO:
(Lady Macbeth istiga Macbeth al regicidio)
...Vieni t'affretta! Accendere
Ti vo' quel freddo core!
L'audace impresa a compiere
Io ti darò valore;
Di Scozia a te promettono
Le profetesse il trono...
Che tardi? Accetta il dono,
Ascendivi a regnar).
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Cit. CARLO
Non si può dimostrare nemmeno che domani 5x8 sarà ancora uguale a 40, cioè, che l'ordine logico che oggi governa il mondo domani non sarà più lo stesso. Ma se questo fosse un motivo sufficiente per affermare che anche la logica è un'ingannevole "apparenza", allora dovremmo considerare "apparenza" anche gli insegnamenti di Hume che su questa stessa logica si fondano. Pertanto, se vuoi pensare che Hume abbia ragione, allora devi anche pensare che l'indimostrabilità dell'eternità delle leggi di natura nulla toglie alla loro piena validità attuale, altrimenti seghi il ramo sul quale sei seduto.
In altre parole, gli insegnamenti di Hume sono aria fritta, così come lo è il suo "esse est percipi". Perché se fosse vero che <<nulla può essere dimostrato>> e che dunque <<non esistono verità indubitabili>>, allora anche queste affermazioni sarebbero indimostrabili e dunque dubitabili, prive di significato. Torniamo a quello che io considero il primo principio della logica: <<la verità non può essere negata>>.SGIOMBOConfondi i giudizi sintetici a posteriori con quelli analitici a priori.
5 x 8 farà sempre 40 nell'aritmetica corrente, e contrariamente alle conoscenze delle scienze naturali é assolutamente certo per il semplice fatto che si tratta di un giudizio sintetico a priori che applica regole di inferenza logica (in particolare di calcolo in questo caso) arbitrariamente stabilite a concetti arbitrariamente considerati.CARLO1 - Le regole del calcolo matematico non sono affatto arbitrarie, così come non è arbitrario affermare che sono necessarie 10 mele se voglio darne 2 per ciascuno a 5 ragazzi.2 - Resta il fatto che non puoi dimostrare che domani le <<regole di inferenza logica>> saranno le stesse di oggi; e ciò nulla toglie alla loro piena validità. Pertanto, se ritieni assolutamente certe queste regole non ci sono motivi per pensare che, se oggi è valida l'equazione matematica E=mc2, domani non lo sarà più. In futuro potrà cambiare l'interpretazione di questa formula, oppure potremo restringere il suo dominio di validità - com'è successo alla dinamica newtoniana -, ma nell'ambito del dominio che le è proprio, essa resterà valida finché saranno valide le regole della matematica che la esprimono. Non esiste alcun motivo per credere che le leggi della logica siano più certe delle leggi della fisica.SGIOMBO[L'aritmetica] però "paga" inesorabilmente la sua certezza con una inevitabile "sterilità conoscitiva" in quanto non ci dice nulla sulla realtà (né che ci sono nella realtà 40 ladroni né che non ci sono; di nessun tipo di ente od evento ci dice se ve ne sono 40 o meno, né, nel caso ce ne fossero, se sarebbero divisi in 8 gruppi di 5 o viceversa oppure no). Invece quelli delle scienze naturali sono giudizi sintetici a posteriori, conoscitivamente fecondi (ci dicono per esempio che i corpi massivi si attraggono), che tuttavia "pagano" la loro fecondità conoscitiva con un' insuperabile incertezza teorica.CARLOSe la conoscenza scientifica è costituita dall'unione complementare di metafisica e fisica, cioè, di logica/matematica e fenomeni fisici, è naturale che né la logica/matematica da sola, né i fenomeni fisici da soli possono essere considerati conoscenza.SGIOMBOin linea di principio: nulla ci garantisce che alla prossima osservazione la mela staccatasi dal ramo anziché cadere a terra non salirà in cielo o non resterà sospesa a mezz' aria, per quante siano le osservazioni che finora puntualmente, immancabilmente hanno rilevato la caduta a terra; il che ovviamente non toglie che sia "ragionevole" credere infondatamente che siano certe e comportarsi in patica come se lo fossero).CARLOPrima rifiuti il dualismo-interazionismo perché sei certo che le leggi della fisica non possono essere MAI violate, e poi te ne esci con questa cazzata della <<mela a mezz'aria>>? Che fine hanno fatto le tue <<regole di inferenza logica>>?La probabilità che una mela resti sospesa a mezz'aria è la stessa che 8/2 dia come risultato 82. E non è un caso che sia proprio un'equazione matematica (a=F/m) la garante della caduta della mela.CARLO Intanto, <<fisiche>> sono le grandezze sensibili, quantificabili, osservabili, non quei modelli metafisici che ordinano le loro relazioni e che noi chiamiamo "leggi della natura", le quali non sono osservabili, ma è possibile risalire ad esse solo attraverso un processo metafisico di astrazione.
In secondo luogo, queste stesse leggi naturali (di cui tu neghi o affermi l'esistenza a seconda di come ti fa comodo) sono ben lungi dal giustificare la comparsa, per esempio, di quei complessi e misteriosi modelli biologici che chiamiamo "specie viventi"; né spiegano la presenza in ciascuna specie di quei modelli tipici di comportamento che chiamiamo istinti; né spiegano l'esistenza di quei modelli di significato universalmente diffusi nella cultura umana (non riducibili a cause storico-contingenti) che la Storia comparata della cultura ha messo in luce nel proprio dominio di ricerca e che ha chiamato "strutture archetipiche".
Pertanto, l'ipotesi che esistano modelli metafisici che guidino il divenire naturale, non è campata in aria come lo è l'ipotesi della "cosa in sé", ma è una necessità logica fondata sull'osservazione dei fatti.SGIOMBOIl processo di astrazione non é affatto metafisico ma semplicemente mentale, cogitativo, cognitivo (e le scienze naturali lo applicano all' osservazione del mondo fisico, materiale, naturale: nulla di "metafisico").CARLOQuando mi avrai dimostrato che un numero è una grandezza fisica, ne riparleremo.SGIOMBO Le leggi fisiche sono aspetti generali astratti (rilevati costantemente, "sempre finora", in determinate osservazioni concrete in numero finito e postulati arbitrariamente, indimostrabilmente -Hume!- essere universali e costanti, validi per qualsiasi osservazione passata, presente e futura, "all' infinito nel tempo e nello spazio") del divenire naturale; aspetti astratti dal pensiero (umano) dai casi concreti particolari osservabili (e discernibili, nelle osservazioni di cui sono parte integrante, dagli aspetti particolari concreti pure appartenenti alle osservazioni stesse: aspetti generali astratti di quanto di fisico-naturale si osserva; niente di metafisico, niente che abbia qualcosa a che vedere con farneticazioni idealistiche infondate razionalmente come le idee platoniche o gli archetipi junghiani).CARLOSì, la conosco questa filastrocca dell'indimostrabilità di qualunque cosa. Peccato che sia anch'essa indimostrabile. ...Oppure vuoi dire che è dimostrabile solo quello che scrivi tu e nient'altro?SGIOMBO
Le specie viventi e gli istinti animali non sono "modelli" (non li fa creati un Dio seguendo un progetto, alla maniera in cui i "modelli" di auto, di vestisti, di edifici, ecc. sono costruiti da soggetti intenzionali umani: antropomorfismo superatissimo dalla scienza moderna) e non hanno proprio nulla di "misterioso".Invece le "strutture archetipiche" non sono che (spesso forzate, in varia misura arbitrarie ed errate; talora interessanti e con elementi di verità) astrazioni nell'ambito delle credenze presenti nelle varie culture, razionalmente riconducibili in ultima analisi ai caratteri generali, etologici (almeno in arte non esclusivamente umani) del comportamento umano, così come sono, in maggiore o minor misura a seconda dei casi, "culturalmente declinati".
E l'ipotesi che esistano modelli metafisici che guidino il divenire naturale, è del tutto campata in aria e arbitrariamente proposta senza alcun fondamento razionale, sulla base di mere analogie superficiali e non criticamente fondate.CARLOChiacchiere! Definiscimi il termine "modello", e poi ne riparliamo.Cit. CARLO Altro ragionamento alla rovescia. "Percepire" pre-suppone l'esistenza di un soggetto che percepisce e di un oggetto che è la causa della percezione.
1 - senza un soggetto percipiente non esiste percezione;SGIOMBOE chi lo dice? Platone? Jung?CARLONo, me lo devi dire tu. Cosa intendi per "percezione"?Cit. CARLO 2 - un soggetto può avere una falsa percezione (allucinazione o proiezione), cioè può percepire come reale e concreto qualcosa che invece è solo la proiezione di un contenuto che appartiene alla sua sfera inconscia. Ergo, la percezione è l'ultima cosa da considerare certa, se non è mediata dall'interpretazione attiva del soggetto.SGIOMBOE' coerente, logicamente corretta, l'ipotesi che tutto ciò che accade siano le percezioni (da parte di nessuno; non aventi alcun soggetto, così come le allucinazioni sono percezioni di niente, non aventi alcun oggetto).CARLOSe rileggi meglio, capirai che io non ho detto che le allucinazioni e le proiezioni siano <<percezioni di niente>>.Pertanto fammi un esempio reale di <<percezione da parte di nessuno>>.CARLO Se la cosa in sé è la causa dei fenomeni, se i fenomeni sono conoscibili, e se la scienza è stata capace centinaia di volte di risalire dai fenomeni (osservabili) alla causa che li produce (inosservabile), io non vedo alcun motivo (che non sia un dogma puro) per porre dei limiti alla conoscenza della "cosa in sé". E la negazione di questi limiti di conoscenza non significa affatto affermare l'identità tra fenomeni e cosa in sé, perché il passaggio dall'effetto alla causa non è immediato, ma è il frutto di un corretto processo di interpretazione-astrazione dei fenomeni, proprio come Newton riuscì a ricavare il suo principio gravitazionale attraverso l'interpretazione in chiave dinamica delle tre leggi cinematiche di Keplero.SGIOMBOQui purtroppo sono costretto a perdere tempo (inutilmente di certo) per precisare che nella precedente risposta alla tua affermazione, sperando di spiegarmi in breve, avevo lasciato correre un' imprecisione inerente il concetto (da te allora usato) di "noumeno come causa dei fenomeni".-
Come ho già scritto altre volte nel forum (in particolare in risposta ad Apeiron) di "causazione" in senso proprio, cioè come conseguenza calcolabile di leggi del divenire esprimibili attraverso equazioni matematiche (per l' appunto applicabili a procedimenti di calcolo) si può parlare unicamente nell' ambito dei fenomeni materiali, per la loro misurabilità (per esempio fenomeni non ancora osservati ma osservabili in linea di principio possono causare altri fenomeni direttamente osservati, come nel caso di Nettuno, e dunque essere calcolati come cause di essi in senso stretto).
Il rapporto fra noumeno e fenomeni é solo in senso lato e non del tutto proprio considerabile di "causazione", coì come in seno lato e non del tutto proprio si può parlare di "causazione" nell' ambito dei fenomeni mentali.
Comunque anche considerando il concetto di "causazione" in questo senso lato, gli eventi fenomenici (direttamente osservabili o calcolabili) che sono cause fenomeniche di altri eventi fenomenici (i loro effetti) non esulano dai fenomeni dei quali l' "esse est percipi" (Berkeley e Hume), reali unicamente come insiemi - successioni di percezioni se, quando, fintanto che accadono come tali; mentre invece se qualcosa é reale anche allorché i fenomeni non lo sono, onde spiegare le "puntuali" ricomparse-riaccadimenti reali dei fenomeni stessi nelle opportune condizioni di osservazione in quanto loro "casa in senso lato", per non cadere in plateale contraddizione deve trattarsi di qualcosa d' altro, qualcosa di da esse ben diverso: non apparente (non fenomeno" ma casomai congetturabile (noumeno).CARLOSe prima non mi fai un esempio reale di <<percezione da parte di nessuno>>, tutto quello che hai scritto qui è impossibile da interpretare.VERDI: Mercè dilette amiche, op. Vespri siciliani
https://youtu.be/gbOM1WZv8gE
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Settembre 2018, 11:49:44 AMCit. CARLO
CARLO
1 - Le regole del calcolo matematico non sono affatto arbitrarie, così come non è arbitrario affermare che sono necessarie 10 mele se voglio darne 2 per ciascuno a 5 ragazzi.
CitazioneAh sì? E allora come le dimostri?
O da quali osservazioni empiriche le ricavi?
Oppure su quali "tavole della legge" scritte da quale Dio o in quale testo da lui dettato a quale profeta le leggi?
10/5 (é sempre) = 2 indipendentemente da qualsiasi osservazione di mele, pere o quant' altro. E lo é per le regole (gli assiomi e postulati) dell' aritmetica e per le definizioni dei numeri e delle operazioni arbitrariamente stabilite.
2 - Resta il fatto che non puoi dimostrare che domani le <<regole di inferenza logica>> saranno le stesse di oggi; e ciò nulla toglie alla loro piena validità. Pertanto, se ritieni assolutamente certe queste regole non ci sono motivi per pensare che, se oggi è valida l'equazione matematica E=mc2, domani non lo sarà più. In futuro potrà cambiare l'interpretazione di questa formula, oppure potremo restringere il suo dominio di validità - com'è successo alla dinamica newtoniana -, ma nell'ambito del dominio che le è proprio, essa resterà valida finché saranno valide le regole della matematica che la esprimono. Non esiste alcun motivo per credere che le leggi della logica siano più certe delle leggi della fisica.
CitazioneIdem per le regole di inferenza logica: si stabiliscono, non si dimostrano né si osservano empiricamente (casomai empiricamente si potranno compiere osservazioni alle quali applicarle (come si applicano anche le regole dell' aritmetica per dividere equamente dieci mele o pere o quant' altro fra cinque ragazzi o a cinque altre persone o animali).
L' eventuale falsificazione, in un domani, di e = mcc non avverrà per il mutare della logica ma per (nuove; o meglio considerate) osservazioni empiriche.
Poiché oggi la scienza afferma che sono valide sempre e comunque (illimitatamente), se domani si stabilirà che sono valide solo limitatamente a determinati ambiti, allora vuol dire che si sarà appurato che qualcosa di falso (oltre a qualcosa di vero, ovviamente) oggi la scienza dice.
Le regole (non: leggi) della logica sono assolutamente certe in quanto dipendono solo dalla loro arbitraria stipulazione; le leggi della fisica non lo sono in ultima analisi perché sempre teoricamente falsificabili in linea di principio da nuove osservazioni empiriche (o in teoria anche da migliori valutazioni di osservazioni empiriche già disponibili).
SGIOMBO
[L'aritmetica] però "paga" inesorabilmente la sua certezza con una inevitabile "sterilità conoscitiva" in quanto non ci dice nulla sulla realtà (né che ci sono nella realtà 40 ladroni né che non ci sono; di nessun tipo di ente od evento ci dice se ve ne sono 40 o meno, né, nel caso ce ne fossero, se sarebbero divisi in 8 gruppi di 5 o viceversa oppure no). Invece quelli delle scienze naturali sono giudizi sintetici a posteriori, conoscitivamente fecondi (ci dicono per esempio che i corpi massivi si attraggono), che tuttavia "pagano" la loro fecondità conoscitiva con un' insuperabile incertezza teorica.
CARLO
Se la conoscenza scientifica è costituita dall'unione complementare di metafisica e fisica, cioè, di logica/matematica e fenomeni fisici, è naturale che né la logica/matematica da sola, né i fenomeni fisici da soli possono essere considerati conoscenza.
CitazionePrescindendo dal senso in cui la matematica pura può essere considerata conoscenza e scienza (conoscenza scientifica; ed é certa), diverso da quello proprio delle scienze naturali, non capisco il senso della (presunta) obiezione: non ho mai sostenuto quanto qui neghi, ma invece sostenuto l' incertezza insuperabile in linea di principio della conoscenza scientifica nel senso delle scienze naturali: (delle leggi del divenire naturale).
CARLO
Prima rifiuti il dualismo-interazionismo perché sei certo che le leggi della fisica non possono essere MAI violate, e poi te ne esci con questa cazzata della <<mela a mezz'aria>>? Che fine hanno fatto le tue <<regole di inferenza logica>>?
La probabilità che una mela resti sospesa a mezz'aria è la stessa che 8/2 dia come risultato 82. E non è un caso che sia proprio un'equazione matematica (a=F/m) la garante della caduta della mela.
CitazioneQui confondi la dubitabilità o incertezza in linea teorica, di principio delle leggi di natura con la loro negazione (maiavvenuta da parte mia!): ho sempre chiarissimamente affermato che se la conoscenza scientifica é vera (cosa indimostrabile; che credo arbitrariamente, per fede), allora é necessaria la chiusura causale del mondo fisico; ergo: un dualismo pensiero-materia di tipo interazionista non é possibile.
Le regole di inferenza logica c' entrano come i cavoli a merenda (se si prescinde dal fatto ovvio che le applico, spero correttamente, nei miei ragionamenti).
E c' é una differenza "qualitativa", incommensurabile fra la certezza che 8/2 =/= 82 e la certezza in ultima analisi non sussistente (é credibile per fede ma non dimostrabile né empiricamente rilevabile) della seconda legge della dinamica di Newton (f = ma).
Però la certezza della logica e della matematica pura (giudizi analitici apriori) si paga ineluttabilmente con la loro "sterilità conoscitiva (di come é o non é la realtà)", così come la fecondità conoscitiva delle leggi fisiche si paga con la loro ineluttabile incertezza.
SGIOMBO
Il processo di astrazione non é affatto metafisico ma semplicemente mentale, cogitativo, cognitivo (e le scienze naturali lo applicano all' osservazione del mondo fisico, materiale, naturale: nulla di "metafisico").
CARLO
Quando mi avrai dimostrato che un numero è una grandezza fisica, ne riparleremo.
CitazioneUn numero considerato astrattamente é matematica pura e non scienze naturali.
Nelle scienza naturali tantissimi numeri rilevati dalla osservazione dei fatti concreti (dalla costante gravitazionale, alla lunghezza di Plank, alle masse delle particelle "elementari", alla velocità della luce, ecc., ecc., ecc.) sono grandezze fisiche (e non affatto "metafisiche"!!!).
SGIOMBO
Le leggi fisiche sono aspetti generali astratti (rilevati costantemente, "sempre finora", in determinate osservazioni concrete in numero finito e postulati arbitrariamente, indimostrabilmente -Hume!- essere universali e costanti, validi per qualsiasi osservazione passata, presente e futura, "all' infinito nel tempo e nello spazio") del divenire naturale; aspetti astratti dal pensiero (umano) dai casi concreti particolari osservabili (e discernibili, nelle osservazioni di cui sono parte integrante, dagli aspetti particolari concreti pure appartenenti alle osservazioni stesse: aspetti generali astratti di quanto di fisico-naturale si osserva; niente di metafisico, niente che abbia qualcosa a che vedere con farneticazioni idealistiche infondate razionalmente come le idee platoniche o gli archetipi junghiani).
CARLO
Sì, la conosco questa filastrocca dell'indimostrabilità di qualunque cosa. Peccato che sia anch'essa indimostrabile. ...Oppure vuoi dire che è dimostrabile solo quello che scrivi tu e nient'altro?
CitazioneInfatti é indimostrabile anche l' indimostrabilità delle leggi fisiche (quando mai l' avrei negato? Ho sempre affermato che il grandissimo David Hume ce l' ha "mostrato" o "insegnato", nel senso che é il primo che se ne é reso conto -a prescindere dall' impossibile certezza o meno dl fatto stesso- evitando sempre accuratamente di scrivere che ce l' avrebbe "dimostrato").
Ma l' onere della prova spetta a chi afferma presunte certezze, non a chi avanza dei dubbi (sospende il giudizio; che é la definizione dello scetticismo; mentre non la é invece affatto la contraddittoria affermazione della falsità di ogni credenza).
SGIOMBO
Le specie viventi e gli istinti animali non sono "modelli" (non li fa creati un Dio seguendo un progetto, alla maniera in cui i "modelli" di auto, di vestisti, di edifici, ecc. sono costruiti da soggetti intenzionali umani: antropomorfismo superatissimo dalla scienza moderna) e non hanno proprio nulla di "misterioso".
Invece le "strutture archetipiche" non sono che (spesso forzate, in varia misura arbitrarie ed errate; talora interessanti e con elementi di verità) astrazioni nell'ambito delle credenze presenti nelle varie culture, razionalmente riconducibili in ultima analisi ai caratteri generali, etologici (almeno in arte non esclusivamente umani) del comportamento umano, così come sono, in maggiore o minor misura a seconda dei casi, "culturalmente declinati".
E l'ipotesi che esistano modelli metafisici che guidino il divenire naturale, è del tutto campata in aria e arbitrariamente proposta senza alcun fondamento razionale, sulla base di mere analogie superficiali e non criticamente fondate.
CARLO
Chiacchiere! Definiscimi il termine "modello", e poi ne riparliamo.
CitazioneNo, scusa, ma fino a prova contraria sei tu che affermi le teorie "modellistiche o archetipiche platonico-jungiane".
Comunque che cosa sono, se non una definizione, le mie parole di cui sopra <<Invece le "strutture archetipiche" non sono che (spesso forzate, in varia misura arbitrarie ed errate; talora interessanti e con elementi di verità) astrazioni nell'ambito delle credenze presenti nelle varie culture, razionalmente riconducibili in ultima analisi ai caratteri generali, etologici (almeno in arte non esclusivamente umani) del comportamento umano, così come sono, in maggiore o minor misura a seconda dei casi, "culturalmente declinati">>?
Cit. CARLO
Altro ragionamento alla rovescia. "Percepire" pre-suppone l'esistenza di un soggetto che percepisce e di un oggetto che è la causa della percezione.
1 - senza un soggetto percipiente non esiste percezione;
SGIOMBO
E chi lo dice? Platone? Jung?
CARLO
No, me lo devi dire tu. Cosa intendi per "percezione"?
CitazioneNo guarda che di solito l' onere della prova spetta a chi afferma con certezza, non a chi mette in dubbio.
Le percezioni sono ciò di cui meno che di qualsiasi altra "cosa" (ente o evento) é possibile dubitare: tutto ciò di cui si ha immediata consapevolezza (allorché sono reali, accadono; e ***se*** hanno realmente oggetti e un soggetto, questi -che si presume siano reali anche indipendentemente da esse, anche se e quando esse non lo sono- sono "altro", diversi enti e/o eventi che esse: negare questa affermazione sarebbe cadere in una platealissima contraddizione!).
Cit. CARLO
2 - un soggetto può avere una falsa percezione (allucinazione o proiezione), cioè può percepire come reale e concreto qualcosa che invece è solo la proiezione di un contenuto che appartiene alla sua sfera inconscia. Ergo, la percezione è l'ultima cosa da considerare certa, se non è mediata dall'interpretazione attiva del soggetto.
CitazioneA parte il fatto che "percezione che appartiene alla sfera inconscia" é una contraddizione in termini, qui porti acqua al mio mulino: se la percezione può benissimo essere solo la proiezione di un contenuto soggettivo, senza oggetto, allora gli oggetti delle percezioni non sono certi essere reali, potrebbero benissimo non esserlo (come anche il soggetto, peraltro).
La conseguenza inevitabile delle tue considerazioni sulle allucinazioni é che casomai la realtà dell' oggetto della percezione, da essa diverso, e non la percezione stessa, è l'ultima cosa da considerare certa, se non è mediata dall'interpretazione attiva [e veritiera, N.d.R.] del soggetto: se l' allucinazione accade, essa é realmente una percezione (allucinatoria); sono invece i suoi pretesi oggetti a non essere reali!
SGIOMBO
E' coerente, logicamente corretta, l'ipotesi che tutto ciò che accade siano le percezioni (da parte di nessuno; non aventi alcun soggetto, così come le allucinazioni sono percezioni di niente, non aventi alcun oggetto).
CARLO
Se rileggi meglio, capirai che io non ho detto che le allucinazioni e le proiezioni siano <<percezioni di niente>>.
Pertanto fammi un esempio reale di <<percezione da parte di nessuno>>.
CitazioneA sì?
Dunque per te se uno in un deserto ha l' allucinazione di "qualcosa" come un' oasi, l' oasi da costui vista (la cui visione da parte sua <<non é percezione di niente>> di reale) é qualcosa di reale e non invece niente di reale?
Come al solito (é almeno al terza volta in quest' ultimo intervento!) tu, che pretendi di affermare la realtà certa di qualcosa (il soggetto di percezioni) pretendi indebitamente che l' onere della prova (empirica, nella fattispecie) spetti a me che nego tale certezza!!!
CARLO
Se prima non mi fai un esempio reale di <<percezione da parte di nessuno>>, tutto quello che hai scritto qui è impossibile da interpretare.
CitazioneVedi sopra.
VERDI: Mercè dilette amiche, op. Vespri siciliani
https://youtu.be/gbOM1WZv8gE
CARLO1 - Le regole del calcolo matematico non sono affatto arbitrarie, così come non è arbitrario affermare che sono necessarie 10 mele se voglio darne 2 per ciascuno a 5 ragazzi.SGIOMBOAh sì? E allora come le dimostri?O da quali osservazioni empiriche le ricavi?CARLOLo dimostro contando empiricamente le mele che hanno in mano i ragazzi dopo la distribuzione....E tu vorresti dimostrare la verità di una teoria mente-cervello, senza nemmeno sapere come si dimostra la validità di una moltiplicazione?SGIOMBO. E lo é per le regole (gli assiomi e postulati) dell'aritmetica e per le definizioni dei numeri e delle operazioni arbitrariamente stabilite.CARLONon sai distinguere la validità di una operazione matematica dalla verità che essa esprime in una applicazione pratica. L'espressione 10/5=2 è sempre matematicamente valida; invece è sempre vero che servono 10 mele per distribuirne 2 per ciascuno a 5 ragazzi, e che serve una forza di 10 Nw affinché una massa di 5 Kg assuma una accelerazione di 2 m/sec2. Insomma, le regole della logica non sono né arbitrarie né fini a se stesse, ma esprimono l'ordine a cui il linguaggio deve obbedire affinché rispecchi fedelmente gli eventi oggettivi che deve rappresentare.I numeri, cioè, non sono caduti dal cielo, ma sono astrazioni soggettive derivate dall'osservazione della realtà. Come dice Russell:<<Devono esserci voluti secoli e secoli per scoprire che una coppia di fagiani e un paio di giorni hanno in comune il numero due>>. [B. RUSSELL: Introduzione alla filosofia Matematica - pg.20]Cit. CARLO2 - Resta il fatto che non puoi dimostrare che domani le <<regole di inferenza logica>> saranno le stesse di oggi; e ciò nulla toglie alla loro piena validità. Pertanto, se ritieni assolutamente certe queste regole non ci sono motivi per pensare che, se oggi è valida l'equazione matematica E=mc2, domani non lo sarà più. In futuro potrà cambiare l'interpretazione di questa formula, oppure potremo restringere il suo dominio di validità - com'è successo alla dinamica newtoniana -, ma nell'ambito del dominio che le è proprio, essa resterà valida finché saranno valide le regole della matematica che la esprimono. Non esiste alcun motivo per credere che le leggi della logica siano più certe delle leggi della fisica.SGIOMBOL' eventuale falsificazione, in un domani, di E = mc2 non avverrà per il mutare della logica ma per (nuove; o meglio considerate) osservazioni empiriche.CARLONon è affatto detto. Potrebbe trattarsi di una autentica legge della natura e, come tale, immutabile. Esistono centinaia di verità scientifiche che sono definitive e inconfutabili.SGIOMBOPoiché oggi la scienza afferma che sono valide sempre e comunque (illimitatamente), se domani si stabilirà che sono valide solo limitatamente a determinati ambiti, allora vuol dire che si sarà appurato che qualcosa di falso (oltre a qualcosa di vero, ovviamente) oggi la scienza dice.CARLOParli a vanvera. La scienza presuppone che le leggi della natura siano immutabili come lo sono le leggi della matematica; ma sa bene che a volte ciò che appare come legge generale può rivelarsi come un caso particolare di una legge più generale. Ma in quel dominio particolare la legge continua ad essere valida. Tant'è che, per esempio, la Nasa usa le leggi di Newton per spedire le sonde nello spazio, sebbene esse si siano rivelate come casi particolari della Relatività einsteiniana. Quindi la Relatività non ha falsificato la dinamica classica, ma ne ha limitato il dominio di validità;SGIOMBO[L'aritmetica] però "paga" inesorabilmente la sua certezza con una inevitabile "sterilità conoscitiva" in quanto non ci dice nulla sulla realtà (né che ci sono nella realtà 40 ladroni né che non ci sono; di nessun tipo di ente od evento ci dice se ve ne sono 40 o meno, né, nel caso ce ne fossero, se sarebbero divisi in 8 gruppi di 5 o viceversa oppure no). Invece quelli delle scienze naturali sono giudizi sintetici a posteriori, conoscitivamente fecondi (ci dicono per esempio che i corpi massivi si attraggono), che tuttavia "pagano" la loro fecondità conoscitiva con un' insuperabile incertezza teorica.CARLOSe la conoscenza scientifica è costituita dall'unione complementare di metafisica e fisica, cioè, di logica/matematica e fenomeni fisici, è naturale che né la logica/matematica da sola, né i fenomeni fisici da soli possono essere considerati conoscenza.SGIOMBOPrescindendo dal senso in cui la matematica pura può essere considerata conoscenza e scienza (conoscenza scientifica; ed é certa), diverso da quello proprio delle scienze naturali, non capisco il senso della (presunta) obiezione: non ho mai sostenuto quanto qui neghi, ma invece sostenuto l' incertezza insuperabile in linea di principio della conoscenza scientifica nel senso delle scienze naturali: (delle leggi del divenire naturale).CARLOSai leggere quello che scrivi?: hai detto che la matematica <<"paga" inesorabilmente la sua certezza con una inevitabile "sterilità conoscitiva" in quanto non ci dice nulla sulla realtà>>.Cit. CARLOPrima rifiuti il dualismo-interazionismo perché sei certo che le leggi della fisica non possono essere MAI violate, e poi te ne esci con questa cazzata della <<mela a mezz'aria>>? Che fine hanno fatto le tue <<regole di inferenza logica>>?La probabilità che una mela resti sospesa a mezz'aria è la stessa che 8/2 dia come risultato 82. E non è un caso che sia proprio un'equazione matematica (a=F/m) la garante della caduta della mela.SGIOMBOQui confondi la dubitabilità o incertezza in linea teorica, di principio delle leggi di natura con la loro negazione (mai avvenuta da parte mia!): ho sempre chiarissimamente affermato che se la conoscenza scientifica é vera (cosa indimostrabile; che credo arbitrariamente, per fede), allora é necessaria la chiusura causale del mondo fisico; ergo: un dualismo pensiero-materia di tipo interazionista non é possibile.CARLOSolo tu puoi fare affermazioni tanto contorte e ambigue. E' necessaria, o non è necessaria la chiusura causale? Non lo sai nemmeno tu. E non puoi saperlo, perché in fisica non esiste una cosa subdola e indefinita come un "principio di chiusura causale", ma esistono leggi e principi ben definiti che il dualismo non viola affatto. Quindi le tue sono solo elucubrazioni prive di fondamento.Cit. CARLOLa conoscenza scientifica è costituita dall'unione complementare di metafisica e fisica, cioè, di logica/matematica e fenomeni fisici; quindi è naturale che né la logica/matematica da sola, né i fenomeni fisici da soli possono essere considerati conoscenza.Cit. SGIOMBOIl processo di astrazione non é affatto metafisico ma semplicemente mentale, cogitativo, cognitivo (e le scienze naturali lo applicano all' osservazione del mondo fisico, materiale, naturale: nulla di "metafisico").Cit. CARLOQuando mi avrai dimostrato che un numero è una grandezza fisica, ne riparleremo.SGIOMBOUn numero considerato astrattamente é matematica pura e non scienze naturali.CARLOBravo! La matematica pura non è fisica ma è meta-fisica. Quindi ogni operazione matematica è un processo astratto, metafisico.SGIOMBONelle scienza naturali tantissimi numeri rilevati dalla osservazione dei fatti concreti (dalla costante gravitazionale, alla lunghezza di Plank, alle masse delle particelle "elementari", alla velocità della luce, ecc., ecc., ecc.) sono grandezze fisiche (e non affatto "metafisiche"!!!).CARLOBravo! La metafisica dei numeri applicata complementariamente ai fenomeni fisici si trasforma in quegli elementi di conoscenza scientifica chiamati "velocità della luce", "costante di Plank", costante gravitazionale, ecc.. Cit. SGIOMBOLe leggi fisiche sono aspetti generali astratti (rilevati costantemente, "sempre finora", in determinate osservazioni concrete in numero finito e postulati arbitrariamente, indimostrabilmente - Hume! - essere universali e costanti, validi per qualsiasi osservazione passata, presente e futura, "all' infinito nel tempo e nello spazio") del divenire naturale; aspetti astratti dal pensiero (umano) dai casi concreti particolari osservabili (e discernibili, nelle osservazioni di cui sono parte integrante, dagli aspetti particolari concreti pure appartenenti alle osservazioni stesse: aspetti generali astratti di quanto di fisico-naturale si osserva; niente di metafisico, niente che abbia qualcosa a che vedere con farneticazioni idealistiche infondate razionalmente come le idee platoniche o gli archetipi junghiani).Cit. CARLOSì, la conosco questa filastrocca dell'indimostrabilità di qualunque cosa. Peccato che sia anch'essa indimostrabile. ...Oppure vuoi dire che è dimostrabile solo quello che scrivi tu e nient'altro?SGIOMBOInfatti é indimostrabile anche l'indimostrabilità delle leggi fisiche (quando mai l'avrei negato? Ho sempre affermato che il grandissimo David Hume ce l' ha "mostrato" o "insegnato", nel senso che é il primo che se ne é reso conto -a prescindere dall' impossibile certezza o meno dl fatto stesso - evitando sempre accuratamente di scrivere che ce l' avrebbe "dimostrato"). Ma l'onere della prova spetta a chi afferma presunte certezze, non a chi avanza dei dubbi (sospende il giudizio; che é la definizione dello scetticismo; mentre non la é invece affatto la contraddittoria affermazione della falsità di ogni credenza).CARLOHume non ha mostrato un bel niente se non ha spiegato le ragioni per le quali le leggi della logica dovrebbero essere più immutabili delle leggi della fisicaCit. CARLOAltro ragionamento alla rovescia. "Percepire" pre-suppone l'esistenza di un soggetto che percepisce e di un oggetto che è la causa della percezione. 1 - senza un soggetto percipiente non esiste percezione;SGIOMBOE chi lo dice? Platone? Jung?CARLONo, me lo devi dire tu. Cosa intendi per "percezione"?SGIOMBOE' tutto ciò di cui si ha immediata consapevolezza CARLOApppunto: <<ciò>> e <<si>> sono rispettivamente l'oggetto e il soggetto della <<...Immediata consapevolezza>>.Cit. CARLO2 - un soggetto può avere una falsa percezione (allucinazione o proiezione), cioè può percepire come reale e concreto qualcosa che invece è solo la proiezione di un contenuto che appartiene alla sua sfera inconscia. Ergo, la percezione è l'ultima cosa da considerare certa, se non è mediata dall'interpretazione attiva del soggetto.SGIOMBOA parte il fatto che "percezione che appartiene alla sfera inconscia" é una contraddizione in termini, CARLOL'inconscio è come l'atomo (o come la "cosa in sé"): non è immediatamente osservabile, ma è causa di fenomeni che coinvolgono o alterano la coscienza o si manifestano ad essa secondo modalità tipiche (sia sane che patologiche).SGIOMBOE' coerente, logicamente corretta, l'ipotesi che tutto ciò che accade siano le percezioni (da parte di nessuno; non aventi alcun soggetto, così come le allucinazioni sono percezioni di niente, non aventi alcun oggetto).CARLOSe rileggi meglio, capirai che io non ho detto che le allucinazioni e le proiezioni siano <<percezioni di niente>>.Pertanto fammi un esempio reale di <<percezione da parte di nessuno>>.SGIOMBODunque per te se uno in un deserto ha l'allucinazione di "qualcosa" come un'oasi, l'oasi da costui vista (la cui visione da parte sua <<non é percezione di niente>> di reale) é qualcosa di reale e non invece niente di reale?CARLOHai mai sentito parlare di quel tipo di rifrazione ottica in prossimità del suolo che crea l'effetto "specchio d'acqua"? Ecco, non si tratta di una percezione del nulla, ma della percezione di luce rifratta. SGIOMBOCome al solito (é almeno al terza volta in quest' ultimo intervento!) tu, che pretendi di affermare la realtà certa di qualcosa (il soggetto di percezioni) pretendi indebitamente che l' onere della prova (empirica, nella fattispecie) spetti a me che nego tale certezza!!!CARLOMa non dire eresie! Solo tu puoi avere il coraggio di parlare di percezioni senza un soggetto che percepisce né un oggetto percepito.VERDI: Scorrendo uniti, op. Rigoletto
https://youtu.be/_0-g5O6Kwds
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Ottobre 2018, 00:28:51 AM
CARLO
1 - Le regole del calcolo matematico non sono affatto arbitrarie, così come non è arbitrario affermare che sono necessarie 10 mele se voglio darne 2 per ciascuno a 5 ragazzi.
SGIOMBO
Ah sì? E allora come le dimostri?
O da quali osservazioni empiriche le ricavi?
CARLO
Lo dimostro contando empiricamente le mele che hanno in mano i ragazzi dopo la distribuzione.
...E tu vorresti dimostrare la verità di una teoria mente-cervello, senza nemmeno sapere come si dimostra la validità di una moltiplicazione?
Citazione
E infatti io lo so.
Sei tu che la ignori e confondi la constatazione empirica della divisione in parti uguali di oggetti concreti (facendo al massimo della matematica applicata; molto elementare) con la divisione come operazione astratta della matematica pura.
O credi forse che chiunque debba dividere -che ne so?- 3 500 744 : 17 si procuri 3 500 744 oggetti concreti fra loro simili (contandoli!) e proceda a separarli in 17 gruppi ugualmente numerosi ("questo al primo gruppo, questo al secondo, questo al terzo -omissis- questo al diciassettesimo, questo al primo, ecc., ecc., ecc.) e poi conti quelli di ciascun gruppo?
SGIOMBO
. E lo é per le regole (gli assiomi e postulati) dell'aritmetica e per le definizioni dei numeri e delle operazioni arbitrariamente stabilite.
CARLO
Non sai distinguere la validità di una operazione matematica dalla verità che essa esprime in una applicazione pratica. L'espressione 10/5=2 è sempre matematicamente valida; invece è sempre vero che servono 10 mele per distribuirne 2 per ciascuno a 5 ragazzi, e che serve una forza di 10 Nw affinché una massa di 5 Kg assuma una accelerazione di 2 m/sec2. Insomma, le regole della logica non sono né arbitrarie né fini a se stesse, ma esprimono l'ordine a cui il linguaggio deve obbedire affinché rispecchi fedelmente gli eventi oggettivi che deve rappresentare.
I numeri, cioè, non sono caduti dal cielo, ma sono astrazioni soggettive derivate dall'osservazione della realtà. Come dice Russell:
<<Devono esserci voluti secoli e secoli per scoprire che una coppia di fagiani e un paio di giorni hanno in comune il numero due>>. [B. RUSSELL: Introduzione alla filosofia Matematica - pg.20]
Citazione
La confusione fra matematica pura e matematica applicata la fai solo e unicamente tu, non io!
Così come tu confondi anche "la storia" della matematica pura, le vicende concrete che hanno portato alla sua elaborazione e sviluppo (cui Russell accenna nella citazione da te riportata del tutto a sproposito) con la fondazione assiomatica, la giustificazione teorica di essa.
Le regole della logica e della matematica pure possono ben essere applicate alle scienze naturali (e non solo); ma ciò non toglie che siano arbitrariamente stabilite per definizioni, assiomi e postulati (e infatti non me le hai dimostrate logicamente, né me le hai mostrate empiricamente; ne hai solo fatto qualche banale applicazione pratica.
Non é affatto vero che sempre 10/2 = 5 perché servono 10 mele per distribuirne 2 per ciascuno a 5 ragazzi, ma al contrario é vero che servono 10 mele per distribuirne 2 per ciascuno a 5 ragazzi perché sempre 10/2 = 5.
Cit. CARLO
2 - Resta il fatto che non puoi dimostrare che domani le <<regole di inferenza logica>> saranno le stesse di oggi; e ciò nulla toglie alla loro piena validità. Pertanto, se ritieni assolutamente certe queste regole non ci sono motivi per pensare che, se oggi è valida l'equazione matematica E=mc2, domani non lo sarà più. In futuro potrà cambiare l'interpretazione di questa formula, oppure potremo restringere il suo dominio di validità - com'è successo alla dinamica newtoniana -, ma nell'ambito del dominio che le è proprio, essa resterà valida finché saranno valide le regole della matematica che la esprimono. Non esiste alcun motivo per credere che le leggi della logica siano più certe delle leggi della fisica.
Citazione
Ulteriore plateale, ridicolissima confusione fra due ben diverse cose: le inferenze logiche, che sono giudizi analitici a priori e un giudizio sintetico a posteriori come e = mcc (le prime sono certe ma conoscitivamente sterili, le seconde sono conoscitivamente fertili ma dubbie).
Le regole della logica (ma forse intendevi i teoremi, le inferenze rese possibili utilizzando le regole della logica) non solo sono più certe delle leggi naturali, ma anzi sono unicamente certe, mentre le leggi naturali non lo sono proprio.
Quanto alle modificazioni delle leggi di natura,
il fatto che da universalmente valide siano poi considerate valide relativamente "entro certi limiti" == le leggi modificate erano false in assoluto (vere relativamente a quello che successivamente viene identificato con il loro limitato campo di applicazione).
SGIOMBO
L' eventuale falsificazione, in un domani, di E = mc2 non avverrà per il mutare della logica ma per (nuove; o meglio considerate) osservazioni empiriche.
CARLO
Non è affatto detto. Potrebbe trattarsi di una autentica legge della natura e, come tale, immutabile. Esistono centinaia di verità scientifiche che sono definitive e inconfutabili.
Citazione
No, guarda che in linea di principio nessuna legge di natura é definitiva e inconfutabile, ma invece tutte sono sempre falsificabili in linea di principio (come di fatto tante volte già accaduto anche di fatto).
Credo che nemmeno gli scientisti più baldanzosi e acritici si sentirebbero di sostenere una tale sciocchezza.
SGIOMBO
Poiché oggi la scienza afferma che sono valide sempre e comunque (illimitatamente), se domani si stabilirà che sono valide solo limitatamente a determinati ambiti, allora vuol dire che si sarà appurato che qualcosa di falso (oltre a qualcosa di vero, ovviamente) oggi la scienza dice.
CARLO
Parli a vanvera. La scienza presuppone che le leggi della natura siano immutabili come lo sono le leggi della matematica;
Citazione
Altra clamorosa confusione (e via andare ! ! ! ).
Che fa parlare a vanvera te, non me!
Quella fra postulata (e indimostrabile: Hume!) universalità e costanza (immutabilità oggettiva, ontologica) delle leggi di natura (che qualche scienziato filosoficamente poco fondato e qualche filosofo irrazionalista vegano; il che implicherebbe, perché possa darsi conoscenza scientifica, l'esistenza di "metaleggi" immutabili regolanti il mutare delle -pseudo- "leggi") e il mutare della conoscenza (soggettiva, gnoseologica) di esse, la loro correzione o al limite il superamento "integrale" di esse da parte di tutt' altre leggi, che mai può essere escluso in linea di principio.
ma sa bene che a volte ciò che appare come legge generale può rivelarsi come un caso particolare di una legge più generale. Ma in quel dominio particolare la legge continua ad essere valida. Tant'è che, per esempio, la Nasa usa le leggi di Newton per spedire le sonde nello spazio, sebbene esse si siano rivelate come casi particolari della Relatività einsteiniana. Quindi la Relatività non ha falsificato la dinamica classica, ma ne ha limitato il dominio di validità;
Citazione
Poiché oggi la scienza afferma che sono valide sempre e comunque (illimitatamente), se domani si stabilirà che sono valide solo limitatamente a determinati ambiti, allora vuol dire che si sarà appurato che qualcosa di falso (oltre a qualcosa di vero, ovviamente) oggi la scienza dice.
La relatività, limitando il dominio di validità della meccanica classica, che si presumeva illimitato l' ha falsificata in senso assoluto (in assoluto ciò che diceva era falso) anche se correggendola (=emendandola dai suoi errori; in particolare quello di essere considerata di precisione assoluta -contrariamente alle sue applicazioni a fatti concreti sempre inevitabilmente approssimativa: cerca di non confondere le cose almeno stavolta!- ed estendibile illimitatamente alla realtà, compresi i moti a velocità prossime a quella della luce), cioè falsificandola in assoluto, ne ha confermati la relativa validità (applicabilità "con buona approssimazione" ad ambiti limitati della realtà fisica.
(Preciso che non ho intenzione di perdere altro tempo per cercare di farti capire che "correzione" = falsificazione assoluta (falsificazione in assoluto), compatibile con una conferma limitata, relativa: se nella tua replica dimostrerai, come temo fortemente, di non averla capita: chi tace non acconsente ! ! !)
CARLO
Se la conoscenza scientifica è costituita dall'unione complementare di metafisica e fisica, cioè, di logica/matematica e fenomeni fisici, è naturale che né la logica/matematica da sola, né i fenomeni fisici da soli possono essere considerati conoscenza.
SGIOMBO
Prescindendo dal senso in cui la matematica pura può essere considerata conoscenza e scienza (conoscenza scientifica; ed é certa), diverso da quello proprio delle scienze naturali, non capisco il senso della (presunta) obiezione: non ho mai sostenuto quanto qui neghi, ma invece sostenuto l' incertezza insuperabile in linea di principio della conoscenza scientifica nel senso delle scienze naturali: (delle leggi del divenire naturale).
CARLO
Sai leggere quello che scrivi?: hai detto che la matematica <<"paga" inesorabilmente la sua certezza con una inevitabile "sterilità conoscitiva" in quanto non ci dice nulla sulla realtà>>.
Citazione
Infatti confermo (precisando -ma non sarebbe affatto necessario- che parlavo della matematica pura): 5 x 8 = 40 non ci dice né che ci sono 5 gruppi di 8 mele, né che non ci sono, né che ci sono 5 gruppi di 8 pere né che non ci sono, ecc.: non ci dice proprio nulla su ciò che c' é e ciò che non c' é.
Ma tu invece sai leggere quello che scrivo?
Cit. CARLO
Prima rifiuti il dualismo-interazionismo perché sei certo che le leggi della fisica non possono essere MAI violate, e poi te ne esci con questa cazzata della <<mela a mezz'aria>>? Che fine hanno fatto le tue <<regole di inferenza logica>>?
La probabilità che una mela resti sospesa a mezz'aria è la stessa che 8/2 dia come risultato 82. E non è un caso che sia proprio un'equazione matematica (a=F/m) la garante della caduta della mela.
SGIOMBO
Qui confondi la dubitabilità o incertezza in linea teorica, di principio delle leggi di natura con la loro negazione (mai avvenuta da parte mia!): ho sempre chiarissimamente affermato che se la conoscenza scientifica é vera (cosa indimostrabile; che credo arbitrariamente, per fede), allora é necessaria la chiusura causale del mondo fisico; ergo: un dualismo pensiero-materia di tipo interazionista non é possibile.
CARLO
Solo tu puoi fare affermazioni tanto contorte e ambigue. E' necessaria, o non è necessaria la chiusura causale? Non lo sai nemmeno tu. E non puoi saperlo, perché in fisica non esiste una cosa subdola e indefinita come un "principio di chiusura causale", ma esistono leggi e principi ben definiti che il dualismo non viola affatto. Quindi le tue sono solo elucubrazioni prive di fondamento.
Citazione
Sol tu puoi non capire concetti tanto chiari e lineari.
E sparare colossali sciocchezze come "in fisica non esiste una cosa subdola e indefinita come un "principio di chiusura causale", ma esistono leggi e principi ben definiti che il dualismo [interazionistico, N.d.R] non viola affatto".
SGIOMBO
Un numero considerato astrattamente é matematica pura e non scienze naturali.
CARLO
Bravo! La matematica pura non è fisica ma è meta-fisica. Quindi ogni operazione matematica è un processo astratto, metafisico.
Citazione
Bravo un corno!
La matematica pura é metafisica come Cicciolina é vergine!
Astrazione =/= metafisica
Astrazione == riconoscimento di ciò che é comune a più elementi concreti; può operarsi di elementi concreti fisici (come é la proposta di leggi scientifiche) o anche al limite di concetti metafisici (dai concetti metafisici concreti di "Dio", "Angelo Gabriele", "angelo Raffaele" e "anima umana di Carlo Pierini" e "anima umana di Tizio De Cais" si può astrarre il concetto metafisico astratto di "spirito").
SGIOMBO
Nelle scienza naturali tantissimi numeri rilevati dalla osservazione dei fatti concreti (dalla costante gravitazionale, alla lunghezza di Plank, alle masse delle particelle "elementari", alla velocità della luce, ecc., ecc., ecc.) sono grandezze fisiche (e non affatto "metafisiche"!!!).
CARLO
Bravo! La metafisica dei numeri applicata complementariamente ai fenomeni fisici si trasforma in quegli elementi di conoscenza scientifica chiamati "velocità della luce", "costante di Plank", costante gravitazionale, ecc..
Citazione
E bravissimo, ulteriore confusione ! ! !
Fra matematica e metafisica (ho perso il conto delle confusioni).
Gli "elementi di conoscenza scientifica" di cui parli (parliamo) sono puramente e semplicemente grandezze fisiche (ovvero aspetti quantitativi della realtà naturale espresse da numeri.
(Anche a questo proposito preciso che non ho intenzione di perdere inutilmente altro tempo per cercare di farti capire le differenze fra matematica, astrazione e metafisica, se nella tua replica dimostrerai, come temo fortemente, di non averla capita: chi tacerà non acconsentirà ! ! !)
CONTINUA
CONTINUAZIONE
CARLO
Hume non ha mostrato un bel niente se non ha spiegato le ragioni per le quali le leggi della logica dovrebbero essere più immutabili delle leggi della fisica
Sgiombo:
Non c' é peggior cieco e sordo di fronte a quanto ci ha insegnato Hume di chi non voglia vedere e sentire.
Peraltro conosco bene Hume, e non ricordo che abbia mai affermato che le leggi –ma credo che casomai avrebbe parlato di "regole"- della logica debbano esser più immutabili di quelle della fisica (che sono assunte indimostrabilmente essere immutabili; è la loro conoscenza, ciò che se ne sa, che in linea di principio potrebbe sempre mutare).
CARLOAltro ragionamento alla rovescia. "Percepire" pre-suppone l'esistenza di un soggetto che percepisce e di un oggetto che è la causa della percezione.1 - senza un soggetto percipiente non esiste percezione;SGIOMBOE chi lo dice? Platone? Jung?CARLONo, me lo devi dire tu. Cosa intendi per "percezione"?
SGIOMBO
E' tutto ciò di cui si ha immediata consapevolezza
CARLO
Apppunto: <<ciò>> e <<si>> sono rispettivamente l'oggetto e il soggetto della <<...Immediata consapevolezza>>.
Sgiombo:
Appunto un corno: <<ciò>> di cui [e] <<si>> ha immediata consapevolezza sono le percezioni; oltre alle quali potrebbe benissimo non darsi realmente alcunché: né soggetto, né oggetto.
Ma tu continui ad essere prigioniero dei pregiudizi del più vieto senso comune, per il quale, poiché solitamente si descrive una percezione in prima persona (notazione meramente grammaticale; si può benissimo esprimere anche con una costruzione verbale impersonale: "fa caldo", "ci si vede bene", "si sentì un gran rumore", ecc,), allora ci dovrebbe per forza essere una persona facente la parte del "soggetto".
SGIOMBO
A parte il fatto che "percezione che appartiene alla sfera inconscia" é una contraddizione in termini,
CARLO
L'inconscio è come l'atomo (o come la "cosa in sé"): non è immediatamente osservabile, ma è causa di fenomeni che coinvolgono o alterano la coscienza o si manifestano ad essa secondo modalità tipiche (sia sane che patologiche).
Sgiombo:
Qui mi sono sbagliato, saltando nella citazione delle tue parole la precisazione "proiezione di un contenuto che appartiene": é vero che é possibile (ma che sarebbe certo, é tutto un altro discorso!) che qualcosa di inconscio si riveli alla coscienza indirettamente per il tramite di percezioni coscienti.
Ma era una considerazione del tutto marginale alla diatriba: le allucinazioni sono ritenute (per una serie di ragioni che non sto ad illustrare) percezioni reali (se realmente accadono) di nulla di reale (la loro realtà é limitata alle percezioni stesse e a nient' altro, cosa che potrebbe ben darsi, non essendo dimostrabile il contrario, di tutte le percezioni, anche di quelle non allucinatorie od oniriche, che per una serie di ragioni che non sto ad illustrare sono comunemente ritenute percezioni reali di qualcosa di reale; "qualcosa" che comunque, per non cadere in una spettacolarissima contraddizione, deve essere da esse diverso, non apparente alla coscienza: cosa in sé o noumeno).
SGIOMBO
E' coerente, logicamente corretta, l'ipotesi che tutto ciò che accade siano le percezioni (da parte di nessuno; non aventi alcun soggetto, così come le allucinazioni sono percezioni di niente, non aventi alcun oggetto).
CARLO
Se rileggi meglio, capirai che io non ho detto che le allucinazioni e le proiezioni siano <<percezioni di niente>>.Pertanto fammi un esempio reale di <<percezione da parte di nessuno>>.
Sgiombo:
Infatti -checché tu dica o non dica- le allucinazioni sono percezioni di niente di reale (ma solo di immaginario) per definizione.
Sei tu che hai l' onere di provare che non può darsi percezione senza nessun soggetto (né oggetti), perché sei tu che fai questa affermazione, mentre io mi limito ad affermare che non é certo che sia vera, e dunque non ho onere di prova alcuno...
SGIOMBO
Dunque per te se uno in un deserto ha l'allucinazione di "qualcosa" come un'oasi, l'oasi da costui vista (la cui visione da parte sua <<non é percezione di niente>> di reale) é qualcosa di reale e non invece niente di reale?
CARLO
Hai mai sentito parlare di quel tipo di rifrazione ottica in prossimità del suolo che crea l'effetto "specchio d'acqua"? Ecco, non si tratta di una percezione del nulla, ma della percezione di luce rifratta.
Sgiombo:
L' ho sentita, ma una allucinazione (o un sogno) é un' altra cosa.
E anche in caso di miraggio si vede qualcosa che non c é la dove lo si vede, si vede per esempio un' oasi dove non c' é alcuna oasi.
SGIOMBO
Come al solito (é almeno al terza volta in quest' ultimo intervento!) tu, che pretendi di affermare la realtà certa di qualcosa (il soggetto di percezioni) pretendi indebitamente che l' onere della prova (empirica, nella fattispecie) spetti a me che nego tale certezza!!!
CARLO
Ma non dire eresie! Solo tu puoi avere il coraggio di parlare di percezioni senza un soggetto che percepisce né un oggetto percepito.
Sgiombo:
No, caro mio.
Può farlo chiunque sottoponga a critica razionale i pregiudizi del senso comune.
Però, bellissima come "argomentazione" (si fa per dire!) "Ma non dire eresie! Solo tu puoi avere il coraggio di parlare" di qualcosa!
Complimenti!
Ovviamente ho risposto solo ad argomentazioni nuove che non avevo già adeguatamente criticato.E così farò anche le prossima volta (il che significa che in caso di ripetizione ulteriore solamente di affermazioni già confutate più che a sufficienza non riponderò proprio, con l' ovvia precisazione -repetita iuvant- che anche in questo caso chi tace non acconsente).Ho già perso troppo tempo a ripetere inutilmente un' infinità di volte le stesse argomentazioni.
Cit. CARLOInsomma, le regole della logica non sono né arbitrarie né fini a se stesse, ma esprimono l'ordine a cui il linguaggio deve obbedire affinché rispecchi fedelmente gli eventi oggettivi che deve rappresentare.SGIOMBOLe regole della logica e della matematica pure possono ben essere applicate alle scienze naturali (e non solo); ma ciò non toglie che siano arbitrariamente stabilite per definizioni, assiomi e postulati (e infatti non me le hai dimostrate logicamente, né me le hai mostrate empiricamente; ne hai solo fatto qualche banale applicazione pratica.CARLOEh sì, per chi, come te, sostiene che la percezione non ha bisogno di un soggetto che percepisce né di un oggetto percepito, le regole della logica non possono che essere arbitrarie.Cit. SGIOMBO L' eventuale falsificazione, in un domani, di E = mc2 non avverrà per il mutare della logica ma per (nuove; o meglio considerate) osservazioni empiriche.Cit. CARLO
Non è affatto detto. Potrebbe trattarsi di una autentica legge della natura e, come tale, immutabile. Esistono centinaia di verità scientifiche che sono definitive e inconfutabili.SGIOMBONo, guarda che in linea di principio nessuna legge di natura é definitiva e inconfutabile, ma invece tutte sono sempre falsificabili in linea di principio (come di fatto tante volte già accaduto anche di fatto).Credo che nemmeno gli scientisti più baldanzosi e acritici si sentirebbero di sostenere una tale sciocchezza.CARLOIo non sto sostenendo l'infallibilità della scienza, ma l'immutabilità delle leggi di natura. Le reazioni chimiche che avvenivano 10 miliardi di anni fa avvengono anche oggi secondo le stesse leggi. Altra cosa sarebbe affermare che la scienza conosce tutte le leggi della natura, o che tutte quelle che essa oggi considera leggi lo siano veramente. La conoscenza è un cammino graduale che procede per prove ed errori, ma procede.Cit. CARLO Tant'è che, per esempio, la Nasa usa le leggi di Newton per spedire le sonde nello spazio, sebbene esse si siano rivelate come casi particolari della Relatività einsteiniana. Quindi la Relatività non ha falsificato la dinamica classica, ma ne ha limitato il dominio di validità;SGIOMBO La relatività, limitando il dominio di validità della meccanica classica, che si presumeva illimitato l'ha falsificata in senso assoluto (in assoluto ciò che diceva era falso) CARLOUsi le parole a sproposito. Se le leggi di Newton fossero state falsificate in assoluto, sarebbero inutilizzabili, invece sono impiegate in TUTTE le applicazioni in cui siano necessarie nozioni di dinamica dei corpi materialiSGIOMBO
Un numero considerato astrattamente é matematica pura e non scienze naturali.
Cit. CARLO
Bravo! La matematica pura non è fisica ma è meta-fisica. Quindi ogni operazione matematica è un processo astratto, metafisico.
SGIOMBO
Astrazione = riconoscimento di ciò che é comune a più elementi concreti; può operarsi di elementi concreti fisici (come é la proposta di leggi scientifiche) o anche al limite di concetti metafisici (dai concetti metafisici concreti di "Dio", "Angelo Gabriele", "angelo Raffaele" e "anima umana di Carlo Pierini" e "anima umana di Tizio De Cais" si può astrarre il concetto metafisico astratto di "spirito").CARLOBravo. "Astrazione" non è un fenomeno fisico, ma un processo di pensiero. Una legge scientifica non la osserviamo, ma la astraiamo. E tutto ciò che non fa parte della fisica, per definizione, è metafisica (meta=oltre). Il termine "metafisica" fa parte del linguaggio umano da più di due millenni e nessuno ha mai scoperto nulla che ne vanifichi il significato.
Cit SGIOMBO
Nelle scienza naturali tantissimi numeri rilevati dalla osservazione dei fatti concreti (dalla costante gravitazionale, alla lunghezza di Plank, alle masse delle particelle "elementari", alla velocità della luce, ecc., ecc., ecc.) sono grandezze fisiche (e non affatto "metafisiche"!!!).
Cit. CARLO
Bravo! La metafisica dei numeri applicata complementariamente ai fenomeni fisici si trasforma in quegli elementi di conoscenza scientifica chiamati "velocità della luce", "costante di Plank", costante gravitazionale, ecc..
SGOMBO
Gli "elementi di conoscenza scientifica" di cui parli (parliamo) sono puramente e semplicemente grandezze fisiche (ovvero aspetti quantitativi della realtà naturale espresse da numeri.CARLOSe non capisci che i numeri non sono entità fisiche, ma archetipi metafisici (come sostenevano anche Pitagora e Galilei), io non lo ripeterò più. Senti cosa dice Jung degli archetipi, e poi confrontalo con ciò che scrive il logico matematico G. Frege:<<Le idee che conquistano, le idee cosiddette vere, gli archetipi, hanno in sé un che di particolare: sorgono da una regione atemporale, da un essere-sempre-esistite, da un terreno psichico primordiale su cui lo spirito effimero del singolo individuo cresce come una pianta. [...] Esse provengono da un qualcosa che è più grande della persona singola. Non siamo noi a produrre idee, sono piuttosto le idee che formano noi>>. [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.211] <<La Logica è una scienza delle leggi più generali dell'esser vero. (...) E' come un'isola deserta fra i ghiacciai: è là molto tempo prima di essere scoperta; così anche le leggi matematiche valgono già da prima della loro scoperta. Cosicché i pensieri veri, non solo sono indipendenti dal nostro riconoscerli tali, ma sono indipendenti anche dal nostro pensarli. Essi non appartengono a coloro che li pensano, bensì si presentano nello stesso modo e come gli stessi pensieri a tutti coloro che li concepiscono. (...) Un TERZO REGNO va riconosciuto. Ciò che vi appartiene concorda da un lato con le rappresentazioni, perché non può venir percepito con i sensi, e d'altro lato con le cose, perché non ha bisogno di alcun portatore ai contenuti della cui coscienza appartenere. (...) E' vero non soltanto a partire dal momento in cui è stato scoperto; proprio come un pianeta è in un rapporto di azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra>>. [G. FREGE, tratto da: "La filosofia di Gottlob Frege", di C. BIANCHI - pg. 150]Cit. CARLO"Percepire" pre-suppone l'esistenza di un soggetto che percepisce e di un oggetto che è la causa della percezione.1 - senza un soggetto percipiente non esiste percezione;Cit. SGIOMBOE chi lo dice? Platone? Jung?Cit. CARLONo, me lo devi dire tu. Cosa intendi per "percezione"?Cit. SGIOMBO E' tutto ciò di cui si ha immediata consapevolezza.CARLO Apppunto: <<ciò>> e <<si>> sono rispettivamente l'oggetto e il soggetto della <<...immediata consapevolezza>>.SGIOMBO: Appunto un corno: <<ciò>> di cui [e] <<si>> ha immediata consapevolezza sono le percezioni; oltre alle quali potrebbe benissimo non darsi realmente alcunché: né soggetto, né oggetto.CARLOCon i giochi di parole non si fanno camminare i treni. <<Ciò>> equivale a <<qualcosa>>, non al nulla; e <<si>> equivale a <<noi>>, non a nessuno. La frase significa: <<La percezione è qualcosa di cui noi siamo immediatamente consapevoli>>.SGIOMBOsi può benissimo esprimere anche con una costruzione verbale impersonale: "fa caldo", "ci si vede bene", "si sentì un gran rumore", ecc,), allora ci dovrebbe per forza essere una persona facente la parte del "soggetto".CARLO"Fa caldo" non esprime una percezione soggettiva, ma un dato oggettivo (= "la temperatura è alta").Invece, "ci si vede bene" significa "noi vediamo bene le cose". Queste sono questioni da asilo infantile, non da forum di filosofia.Cit. SGIOMBO
A parte il fatto che "percezione che appartiene alla sfera inconscia" é una contraddizione in termini,Cit. CARLO L'inconscio è come l'atomo (o come la "cosa in sé"): non è immediatamente osservabile, ma è causa di fenomeni che coinvolgono o alterano la coscienza o si manifestano ad essa secondo modalità tipiche (sia sane che patologiche).SGIOMBO: Infatti - checché tu dica o non dica - le allucinazioni sono percezioni di niente di reale (ma solo di immaginario) per definizione.CARLOCerto, anche le nevrosi depressive sono percezioni "immaginarie", ma il loro <<essere niente>> può condurre persino al suicidio.Il problema è che, se sei totalmente ignaro di quali e quanti sono gli eventi psichici che hanno resa necessaria in psicologia la formulazione del concetto di inconscio, dovresti informarti, perché io non posso certo riassumerlo in poche righe. Posso solo proporti - a scopo indicativo - qualche citazione di Jung:
<<L'inconscio, anche per l'uomo civile, si rivela come qualcosa di obiettivo che, entro determinati limiti, si sottrae alla nostra volontà cosciente: non possiamo reprimere tutte le nostre emozioni, né mutare in buon'umore il cattivo umore, né sognare a volontà. Anche il più intelligente degli uomini può talora essere dominato da pensieri da cui, per quanti sforzi faccia, non si può liberare>>. [JUNG: Realtà dell'anima - pg.19]<<Tutti gli stati di nevrosi sono contraddistinti dal medesimo fatto: qualcosa di ignoto ha preso possesso di una parte maggiore o minore della psiche e persiste indisturbato nella sua esistenza avversa e nociva contro ogni raziocinio e contro ogni energia cosciente, manifestando così la potenza dell'inconscio e il suo potere di piegare la volontà consapevole; è proprio ciò che si chiama "essere posseduti">>. [JUNG: L'Io e l'inconscio - pg.146]Cit. SGIOMBOSei tu che hai l' onere di provare che non può darsi percezione senza nessun soggetto (né oggetti), perché sei tu che fai questa affermazione, mentre io mi limito ad affermare che non é certo che sia vera, e dunque non ho onere di prova alcuno...SGIOMBO
Dunque per te se uno in un deserto ha l'allucinazione di "qualcosa" come un'oasi, l'oasi da costui vista (la cui visione da parte sua <<non é percezione di niente>> di reale) é qualcosa di reale e non invece niente di reale?CARLO Hai mai sentito parlare di quel tipo di rifrazione ottica in prossimità del suolo che crea l'effetto "specchio d'acqua"? Ecco, non si tratta di una percezione del nulla, ma della percezione di luce rifratta.SGIOMBO
L'ho sentita, ma una allucinazione (o un sogno) é un' altra cosa.CARLOAppunto: una allucinazione è l'irruzione temporanea di un contenuto inconscio talmente intenso e "oggettivamente altro" dalla coscienza che viene proiettato all'esterno come se si trattasse di una presenza fisica.SGIOMBO E anche in caso di miraggio si vede qualcosa che non c é la dove lo si vede, si vede per esempio un'oasi dove non c' é alcuna oasi.CARLOE' l'effetto "specchio d'acqua" che fa credere si tratti di un'oasi.SGIOMBO Come al solito (é almeno al terza volta in quest' ultimo intervento!) tu, che pretendi di affermare la realtà certa di qualcosa (il soggetto di percezioni) pretendi indebitamente che l' onere della prova (empirica, nella fattispecie) spetti a me che nego tale certezza!!!CARLOMa non dire eresie! Solo tu puoi avere il coraggio di parlare di percezioni senza un soggetto che percepisce né un oggetto percepito.SGIOMBO: No, caro mio.
Può farlo chiunque sottoponga a critica razionale i pregiudizi del senso comune.CARLOSono ancora in attesa che tu mi faccia un esempio reale di percezione senza soggetto e senza oggetto.BRAHMS: Danza ungherese n. 5, violino
https://youtu.be/eENEFWCNUVY?t=12
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Ottobre 2018, 23:43:03 PM
Cit. CARLO
Bravo! La matematica pura non è fisica ma è meta-fisica. Quindi ogni operazione matematica è un processo astratto, metafisico.
SGIOMBO
Astrazione = riconoscimento di ciò che é comune a più elementi concreti; può operarsi di elementi concreti fisici (come é la proposta di leggi scientifiche) o anche al limite di concetti metafisici (dai concetti metafisici concreti di "Dio", "Angelo Gabriele", "angelo Raffaele" e "anima umana di Carlo Pierini" e "anima umana di Tizio De Cais" si può astrarre il concetto metafisico astratto di "spirito").
CARLO
Bravo. "Astrazione" non è un fenomeno fisico, ma un processo di pensiero. Una legge scientifica non la osserviamo, ma la astraiamo. E tutto ciò che non fa parte della fisica, per definizione, è metafisica (meta=oltre).
Il termine "metafisica" fa parte del linguaggio umano da più di due millenni e nessuno ha mai scoperto nulla che ne vanifichi il significato.
CitazioneSi. ma qualcuno lo stravolge completamente.
Per esempio CarloPierini.
Che cade in un paralogismo:
"Diverso" =/= "situato altre".
Ovvero non tutto ciò che non é fisica é oltre la ficia (= é metafisica): potrebbe anche essere "al di qua", di "lato" sopra" o "sotto" per restare nella metafora topologica; fuor di metafora, il diverso da qualcosa (contrariamente al contrario: "diverso" =/= "contrario") può essere moltelice, anche numerosamente molteplice, e diversificato "al suo interno", non é necessariamente univoco.
CARLO
Se non capisci che i numeri non sono entità fisiche, ma archetipi metafisici (come sostenevano anche Pitagora e Galilei), io non lo ripeterò più.
CitazioneHo capito.
Sei un realista degli universali (dovevo aspettarmelo).
Dunque, siccome sono un realista, concordo che (anche) sugli universali c' é poco o nulla da discutere (bisognerebbe in teoria "partire dai principi più elementari").
Senti cosa dice Jung degli archetipi, e poi confrontalo con ciò che scrive il logico matematico G. Frege:
<<Le idee che conquistano, le idee cosiddette vere, gli archetipi, hanno in sé un che di particolare: sorgono da una regione atemporale, da un essere-sempre-esistite, da un terreno psichico primordiale su cui lo spirito effimero del singolo individuo cresce come una pianta. [...] Esse provengono da un qualcosa che è più grande della persona singola. Non siamo noi a produrre idee, sono piuttosto le idee che formano noi>>. [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.211]
<<La Logica è una scienza delle leggi più generali dell'esser vero. (...) E' come un'isola deserta fra i ghiacciai: è là molto tempo prima di essere scoperta; così anche le leggi matematiche valgono già da prima della loro scoperta. Cosicché i pensieri veri, non solo sono indipendenti dal nostro riconoscerli tali, ma sono indipendenti anche dal nostro pensarli. Essi non appartengono a coloro che li pensano, bensì si presentano nello stesso modo e come gli stessi pensieri a tutti coloro che li concepiscono. (...)
Un TERZO REGNO va riconosciuto. Ciò che vi appartiene concorda da un lato con le rappresentazioni, perché non può venir percepito con i sensi, e d'altro lato con le cose, perché non ha bisogno di alcun portatore ai contenuti della cui coscienza appartenere. (...) E' vero non soltanto a partire dal momento in cui è stato scoperto; proprio come un pianeta è in un rapporto di azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra>>. [G. FREGE, tratto da: "La filosofia di Gottlob Frege", di C. BIANCHI - pg. 150]
CitazioneFarneticazioni idealistiche (e -infatti- confusione fra pensiero e realtà, fra conoscenza della realtà e e realtà, fra giudizi analitici a priori e giudizi sintetici a posteriori).
CARLO
Con i giochi di parole non si fanno camminare i treni. <<Ciò>> equivale a <<qualcosa>>, non al nulla; e <<si>> equivale a <<noi>>, non a nessuno. La frase significa: <<La percezione è qualcosa di cui noi siamo immediatamente consapevoli>>.
CitazioneBravo, mi hai tolto le parole di bocca:
Con i giochi di parole non si fanno camminare i treni.
"ciò" in quella frase significa "la percezione" (senza necessariamente soggetto ed oggetto) e "si" é un pronome impersonale, non indica alcuna persona agente o subente.
SGIOMBO
si può benissimo esprimere anche con una costruzione verbale impersonale: "fa caldo", "ci si vede bene", "si sentì un gran rumore", ecc,), allora ci dovrebbe per forza essere una persona facente la parte del "soggetto".
CARLO
"Fa caldo" non esprime una percezione soggettiva, ma un dato oggettivo (= "la temperatura è alta").
CitazioneTant' é vero che un esquimese probabilmente dirà soggettivamente "fa caldo" nentre un congolese dirà soggettivamente "fa freddo" entrambi trovandosi insieme alla medesima temperatura oggettiva di 15° centigradi!
Invece, "ci si vede bene" significa "noi vediamo bene le cose".
Queste sono questioni da asilo infantile, non da forum di filosofia.
CitazioneInfatti, Queste sono questioni da asilo infantile, non da forum di filosofia.
Affermare che <<"ci si vede bene" significa "noi vediamo bene le cose">> significa (a sua volta; mi spiace per il gioco di parole) dare per scontato quello che sarebbe da dimostrare, ovvero la realtà anche di un soggetto e di oggetti delle sensazioni, oltre alle sensazioni stesse.
SGIOMBO:
Infatti - checché tu dica o non dica - le allucinazioni sono percezioni di niente di reale (ma solo di immaginario) per definizione.
CARLO
Certo, anche le nevrosi depressive sono percezioni "immaginarie", ma il loro <<essere niente>> può condurre persino al suicidio.
Il problema è che, se sei totalmente ignaro di quali e quanti sono gli eventi psichici che hanno resa necessaria in psicologia la formulazione del concetto di inconscio, dovresti informarti, perché io non posso certo riassumerlo in poche righe. Posso solo proporti - a scopo indicativo - qualche citazione di Jung:
<<L'inconscio, anche per l'uomo civile, si rivela come qualcosa di obiettivo che, entro determinati limiti, si sottrae alla nostra volontà cosciente: non possiamo reprimere tutte le nostre emozioni, né mutare in buon'umore il cattivo umore, né sognare a volontà. Anche il più intelligente degli uomini può talora essere dominato da pensieri da cui, per quanti sforzi faccia, non si può liberare>>. [JUNG: Realtà dell'anima - pg.19]
CitazioneChe c' entra il fatto (del tutto evidente, banalissimo) che "non possiamo reprimere tutte le nostre emozioni, né mutare in buon'umore il cattivo umore, né sognare a volontà. Anche il più intelligente degli uomini può talora essere dominato da pensieri da cui, per quanti sforzi faccia, non si può liberare" con l' esistenza del fantomatico "inconscio".
L' irrazionalità umana é autentica quanto la razionalità (sono complementari; absit iniuria -idealistica jungiana- verbis), ma non é ' "inconscio": quando non riesco a reprimere la mia voglia di mangiare troppo mi rendo perfettamente conto (sono consapevolissimo) di non riuscire a reprimere la mia voglia di mangiare troppo che mi fa male alla salute.
CARLO
Appunto: una allucinazione è l'irruzione temporanea di un contenuto inconscio talmente intenso e "oggettivamente altro" dalla coscienza che viene proiettato all'esterno come se si trattasse di una presenza fisica.
CitazioneFarneticazione idealistica: non c' é bisogno di alcun "contenuto inconscio" (se si sottintende "della coscienza" si tratta di una contraddizione in termini) perché l' allucinazione accada: basta che nella corteccia del cervello corrispondente alla coscienza di cui si tratta accadano determinati eventi neurofisiologici identici a quelli che accadono anche durante una sensazione autentica, ma provocati non da stimoli sensoriali esogeni bensì da altri eventi neurofisiologici endogeni (cerebrali).
CARLO
Sono ancora in attesa che tu mi faccia un esempio reale di percezione senza soggetto e senza oggetto.
CitazioneCome al solito (ho perso il conto delle volte) tu, che pretendi di affermare la realtà certa di qualcosa (il soggetto e gli oggetti di percezioni) pretendi indebitamente che l' onere della prova (empirica, nella fattispecie) spetti a me che nego tale certezza!!!
Citazione di: sgiombo il 02 Ottobre 2018, 10:38:33 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Ottobre 2018, 23:43:03 PMCARLO
Invece, "ci si vede bene" significa "noi vediamo bene le cose".
Queste sono questioni da asilo infantile, non da forum di filosofia.
Citazione
SGIOMBO
Infatti, Queste sono questioni da asilo infantile, non da forum di filosofia.
Affermare che <<"ci si vede bene" significa "noi vediamo bene le cose">> significa (a sua volta; mi spiace per il gioco di parole) dare per scontato quello che sarebbe da dimostrare, ovvero la realtà anche di un soggetto e di oggetti delle sensazioni, oltre alle sensazioni stesse.
CARLO
Con chi spera di convincermi che, per un uomo morto e al buio, "vedere" significhi qualcosa, ogni parola è sprecata.
Visto che sono stato "invocato", dirò brevemente la "mia" sulla questione. Non sarà una confutazione dell'idealismo o del materialismo, ma voglio dire perché secondo me entrambe sono posizioni "estreme".
Secondo il materialismo, solo ciò che è materiale "esiste". O più precisamente, nelle versioni meno ingenue, la realtà fondamentale è "materiale". Mentre pensieri, emozioni, "senso dell'io" e così via sono realtà "emergenti", "cose" come le particelle sono invece fondamentali. Questa posizione sembra essere confermata dal "senso comune". Però, a mio giudizio, il materialismo ha serie difficoltà, specialmente dal punto di vista epistemologico.
Primo: tale "realtà materiale" viene conosciuta tramite la coscienza. In questo senso, come dice @sgiombo, vi è una componente "materiale" nella nostra esperienza cosciente (personalmente, "esperienza cosciente" e "coscienza" sono concetti separati. Coscienza, secondo me, è "ciò che ha cognizione" ma "sono dettagli"...). Dunque, tutta la nostra conoscenza della realtà materiale deriva dall'esperienza sensibile, ovvero da ciò che noi "percepiamo". Però anche le sensazioni materiali non esistono indipendentemente dalla nostra mente. Quindi, il solipsismo è inconfutabile. [tra parentesi, credo che la migliore confutazione del solipsismo avvenga a livello etico, ovvero quando si apprezza l'"altro"...]. Ovviamente, a meno che non vogliamo essere solipsisti questa argomentazione non ha molto senso. Inversamente, però, è piuttosto imbarazzante per il "realismo ingenuo". In fin dei conti, assumendo che noi percepiamo una realtà esterna, a meno che non crediamo che le nostre sensazioni siano la realtà, dobbiamo ammettere che la nostra coscienza può "organizzare" le nostre sensazioni, dandoci una rappresentazione "distorta" (ma magari utile per la nostra sopravvivenza) delle cose. Ergo, il realismo ingenuo si trasforma in un realismo indiretto.
Secondo: Assumendo però il realismo indiretto, abbiamo un secondo problema epistemologico. Se la nostra esperienza è una mera rappresentazione "distorta" della realtà esterna, è chiaro che un'analisi empirica non può che al massimo darci "ipotesi" (inglese: "guesses") circa la "realtà vera". Questa posizione fu, storicamente, accettata da Cartesio, Spinoza e Locke (e in parte da Galileo) - notare che metto anche l'empirista Locke - per i quali però mentre le qualità secondarie (colori, suoni ecc) erano meramente soggettive, le qualità primarie erano, invece, oggettive. Le "substantie" esterne erano caratterizzate dalle loro qualità primarie, che erano quantitative. Ritengo che molti scienziati mantengano anche oggi questa seconda posizione. Il problema, però, è che la distinzione tra qualità primarie e secondarie, pur essendo sensata, non ci dà minimamente la certezza che le "grandezze quantitative" siano veramente indipendenti dalla mente (o, se si accetta l'inter-soggettività, da tutte le menti). Infatti, tali proprietà si "trovano" ancora nell'esperienza cosciente. Ergo, il realista indiretto in realtà, paradossalmente, è o costretto ad accettare un realismo "ingenuo" (le grandezze quantitative sono indipendenti dalle menti) - perdonate la parola ma uso il gergo filosofico (in realtà questo tipo di realismo ingenuo è molto sofisticato) - oppure a relegare la "realtà esterna" (la "cosa in sé") come totalmente inconoscibile (alcune interpretazioni di Kant ritengono che la sua posizione era questa. Ma non c'è consenso, vista l'oscurità dei suoi scritti).
Terzo: Però, se le grandezze quantitative sono indipendenti da tutte le menti e noi le "vediamo" così come sono tramite un'analisi della nostra esperienza cosciente (in fin dei conti la "forza" della scienza è il suo carattere empirico - di per sé la scienza non necessita di alcun dogma metafisico) abbiamo il paradosso per cui diciamo che diciamo di conoscere qualcosa "oltre" la nostra esperienza senza però averne veramente la possibilità. Se accettiamo che "la cosa in sé" come inconoscibile, allora abbiamo altri problemi. In fin dei conti, tale "realtà totalmente inconoscibile" dovrebbe, per così dire, essere "legata" alla nostra coscienza e dovrebbe far insorgere la nostra esperienza. Ergo, allo stesso tempo, non è "totalmente inconoscibile". Tuttavia il vantaggio di questa posizione è che non dice niente su qualcosa "oltre" l'esperienza ma ci dice, invece, che le verità scientifiche sono inter-soggettive perché, in fin dei conti, abbiamo una struttura della mente simile e le nostre "rappresentazioni" sono caratterizzate da simili caratteristiche. L'errore di Kant (stando ad alcune sue interpretazioni, ma non c'è consenso) è stato quello di dire che lo spazio deve essere per forza Euclideo (quindi fu "falsificato" dalla Relatività Generale). Se però accettiamo, che lo spazio è semplicemente "posizioni e distanze" capiamo che esso è veramente una caratteristica a-priori della nostra esperienza (indipendentemente da cosa dice la scienza sullo "spazio fisico", che tra l'altro, qui grosso errore di Kant, non coincide necessariamente con quello "esperienziale". Quello "fisico" in realtà è una grandezza fisica - se consideriamo il "tempo", capiamo meglio. In fin dei conti, pur essendo il "fluire del tempo" una caratteristica a-priori della nostra esperienza, tale "fluire" non è per niente quantitativo.).
Quarto: Ergo, siamo ad un bivio. O tale "materialità" c'è ma non è conoscibile (e quindi, in particolare, la realtà non è necessariamente "materiale" come la intendiamo noi) o tale "materialità" non c'è e ciò che rimane sono solamente le esperienze coscienti dei vari individui. Quindi epistemologicamente, il materialismo, come è comunemente inteso non ha una vera giustificazione epistemologica (uno, ovviamente può "fare spallucce" di ciò).
Quinto: vi è però un altro problema. L'esperienza ci mostra che la materia si comporta in modo "regolare" e, anzi, tale assunzione, corroborata dall'osservazione scientifica ci porta a dire che è effettivamente così. Mentre per l'idealismo non è un problema tale regolarità perché la "realtà è mentale" (potrebbe esserlo, ma, in fin dei conti, l'idealismo trova facilmente la giustificazione dicendo, ad esempio, che il pensiero matematico è, effettivamente, "pensiero"). Più difficile è giustificare che una "materia", completamente diversa ed indipendentemente dalla mente, sia in realtà "regolare" e che abbia proprietà conoscibili da una "coscienza" (nel mio gergo, "coscienza" e "mente" sono "la parte dell'esperienza cosciente che ha cognizione" e quindi non coincidono con essa - la mente/coscienza è fenomenica e non è indipendente dalla realtà fenomenica). Se la materia fosse indipentente dalla coscienza, perché è regolare? Qual è inoltre lo status "ontologico" di queste regolarità se il materialismo è vero? Vi è una ragione perché tali regolarità siano "visibili" nella materia? Il materialismo non riesce a rispondere a ciò.
Dal canto suo, l'idealismo (anche nelle sue versioni più sofisticate) è una presa di posizione non razionalmente giustificata. In fin dei conti, ci dice che, in realtà, che le menti/coscienze sono fondamentali e la materia no. Però, anche tale posizione è indimostrabile, dal punto di vista filosofico. Però, per esempio, riesce a spiegare la "regolarità" dell'esperienza. Per esempio, se si accetta l'esistenza di una Mente Creatrice che ha creato la materialità, allora in tal caso abbiamo che tale materialità è dipendente da tale Mente e magari indipendente da tutte le menti dell'universo (non ho mai capito se Berkeley accettasse questa posizione che, in realtà, è simile o identica a quella di San Tommaso d'Aquino oppure rigettasse l'esistenza stessa della materia. In fin dei conti, se non erro San Tommaso diceva che Dio ha creato e sostiene le cose in ogni momento...). Oppure, se accettiamo quello che certe scuole di pensiero orientale dicono, non c'è mai stato un momento in cui il mondo fosse "privo" di coscienze (sostanziali come nell'Induismo o momentanee come nel Buddhismo. In ambo i casi, non c'è consenso su tale questione. Per esempio, almeno parte della scuola Yogacara buddhista sembra essere stata "idealista" ma non tutto il pensiero Buddhista rigetta la materialità) e quindi possiamo pensare che, in realtà, l'universo stesso sia una sorta di "sogno condiviso".
La mia posizione è una sorta di agnosticismo. Mi sembra quella più razionale. In fin dei conti, sia il materialismo che l'idealismo hanno alcuni problemi ad auto-giustificarsi. Forse la mia posizione è più vicina a quella idealista perché, secondo me, il "quinto punto", quello delle regolarità, difficilmente è giustificato dal materialismo. D'altro canto, la posizione idealistica secondo cui la realtà è una sorta di sogno, pur essendo filosoficamente interessante, non mi convince pienamente.
Riguardo alla relazione "meccanica quantistica"-"materialismo vs idealismo vs dualismo" ecc, secondo me la meccanica quantistica di per sé non porta a nessuna conclusione.
Per esempio,
non è nemmeno vero che per tutti i sostenitori dell'interpretazione di Copenaghen, la realtà dipende dalle osservazioni. Ad esempio, Bohr sosteneva altro, si veda
questo mio post (e magari la discussione che ne è seguita, dove si spiega che la posizione di Bohr era meno "ontologica" di quanto si pensa. Ad esempio, pensava che noi potevamo indagare la realtà fisica con l'ausilio di "concetti classici" - definiti anche da procedure sperimentali - e che quindi potevamo conoscere il mondo quantistico solo attraverso il "mezzo" degli apparati sperimentali e quindi attraverso i concetti classici.). Ovviamente, ciò non significa che alcuni eminenti fisici non sostengono una cosa del genere. Si veda, Wheeler e Wigner che sostenevano che "la coscienza causa il collasso" del pacchetto d'onda (Wheeler forum la teoria dell'universo partecipatorio, per il quale l'universo dipende dall'esistenza di osservatori coscienti). Oppure si veda cosa dice Andrei Linde,
si veda il video in questo link (è in inglese ma si possono attivare i sottotitoli... il video non è nuovissimo, visto che non erano ancora state scoperte le onde gravitazionali). Anche Heinsenberg era di un'ottica più "soggettivistica" di Bohr, per quanto ne so. Su Linde in italiano c'è pochissimo. In inglese, c'è molto di più. Ma in genere su tutta questa questione c'è più in inglese. Ovviamente
non c'entra niente questa teoria in cui la coscienza è vista come "rilevante" nella fisica con i proclami pseudo-scientifici che si sentono a riguardo (come ad esempio, che la meccanica quantistica dimostra "la legge di attrazione". Purtroppo, alcuni sfruttano le opinioni di illustri scienziati per i loro fini).
Una precisazione sulla posizione di San Tommaso d'Aquino. Ovviamente, lui era un dualista per quanto riguarda il nostro universo. Noi siamo fatti di materia (il corpo) e di mente (anima, spirito ecc). Ma la materia stessa però è una creazione di Dio, che è mentale. Per Berkeley, invece, la materia non era diversa dalla "materia" che ci appare nei sogni. Ma secondo me, considerando che per Berkeley le cose esistevano anche quando non erano percepite grazie all'esistenza di Dio, le due posizioni non sono così diverse.
Infine, credo che per Berkeley la conoscenza scientifica possa essere vista come una "corretta interpretazione" o, meglio, di un'approssimata descrizione di "ciò che è percepito".
Nel post precedente, non ho ben specificato che Kant non è un realista indiretto perché, per lui, anche le qualità primarie (quantitative) degli oggetti della nostra esperienza non sono indipendenti da tutte le menti. Però visto che le nostre esperienze coscienti hanno una struttura simile, in tutte gli oggetti hanno proprietà quantitative...
Alcune precisazioni riguardo a quanto affermato oggi:
1) Non ho mai ben capito se Berkeley rifiutasse l'esistenza della materia o se invece si limitasse a dire che anche per essa vale il principio "esse est percipi". Onestamente, visto che era cristiano e che il Cristianesimo dà molta importanza alla "carne", mi sorprenderebbe che considerasse la materia come "illusoria". Forse, riteneva che per esistere dovesse essere percepita da Dio.
2) Riguardo alla posizione di Heisenberg... per lui il pacchetto d'onda era una "ampiezza di probabilità". In pratica, per lui anche quando il sistema quantistico non era osservato, lo stato coincideva con tale ampiezza di probabilità. All'atto della misura il pacchetto collassa e dà un preciso risultato. Per Bohr, invece, da quanto ho capito ha senso parlare di "stato del sistema" solo all'atto della misura (prima della misura, i concetti classici non si applicano... per Bohr si può dire solo questo). Ho detto che per Heisenberg l'interpretazione è più "soggettivistica" per due motivi: primo perché il "collasso" è qualcosa di "reale" e quindi le osservazioni hanno un effetto reale e secondo perché è difficile pensare alla "probabilità" come qualcosa di "fisico" e quindi postulare che lo stato di un sistema fisico sia un'ampiezza di probabilità si presta a facili interpretazioni idealistiche. Vi è poi anche un'altra interpretazione in cui la mente svolge un ruolo fondamentale, l'interpretazione a "molte menti" di Dieter Zeh.
3) Ovviamente tra "idealismo" e "materialismo" ci sono varie alternative. Per esempio, nel Taoismo mi sembra che il principio primo non sia né mente né materia. Idem per certe interpretazioni del Platonismo che non contemplano il Demiurgo, la realtà deriva dalle Forme, che pur essendo conoscibili, non sono strettamente parlando "mentali" (e anche nel caso del Demiurgo, la materia viene "formata" dal Demiurgo e non viene creata - ah, il Demiurgo platonico non è "malvagio" come quello degli gnostici, ma è una figura "positiva"). Ovviamente, non è nemmeno idealista (né materialista, ovviamente) la posizione di San Tommaso d'Aquino in quanto sia mente che materia sono reali (in fin dei conti sia la mente che la materia sono create e sostenute da Dio). Anche se, in quest'ultimo caso, c'è una Mente creatrice e quindi che precede la materia (quindi, limitatamente a questo, è una posizione più vicina all'idealismo).
4) Effettivamente, per le nostre attuali conoscenze scientifiche, le coscienze si sono originate dopo la materia (o meglio, è un argomento contro l'idealismo più che a favore dell'idealismo). Questo dà supporto al materialismo rispetto all'idealismo ma non spiega il punto "quinto" che ho enumerato in precedenza (ovviamente interpretazioni idealistiche come l'universo participatory di Wheeler ne sono ben consapevoli...).
5) Prima che il Sari mi bacchetti, devo dire che la scuola Yogacara è una scuola buddhista. Altre accettano l'esistenza degli oggetti esterni. Non so dire quanto sia diffusa quella idealista, per così dire.
Ok, spero di aver fatto tutte le precisazioni che dovevano essere fatte :)
Citazione di: Apeiron il 04 Ottobre 2018, 19:39:08 PM
3) Ovviamente tra "idealismo" e "materialismo" ci sono varie alternative. Per esempio, nel Taoismo mi sembra che il principio primo non sia né mente né materia.
CARLO
Non proprio. Il Tao è il Principio trascendente di cui materia e spirito rappresentano le polarità immanenti. In altre parole, l'alternativa a "materialismo" e "idealismo" è la complementarità di materia e spirito nell'unità superiore del Principio primo.
Quindi, non: <<
né mente
né materia>>, ma: <<
sia mente
che materia>>.
APEIRON
Idem per certe interpretazioni del Platonismo che non contemplano il Demiurgo, la realtà deriva dalle Forme, che pur essendo conoscibili, non sono strettamente parlando "mentali".CARLOIl platonismo (Filone, Plotino, Dionigi l'Aeropagita, Agostino, Boezio, ecc.) identifica il Demiurgo platonico con il Logos o Verbo divino, comprendente le "forme", cioè i modelli eterni (metafisici) del reale, gli archetipi del creato."In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste". (Giovanni, 1:1-4) Persino il pagano Proclo identificava gli archetipi con le divinità del politeismo.
APEIRON Ovviamente, non è nemmeno idealista (né materialista, ovviamente) la posizione di San Tommaso d'Aquino in quanto sia mente che materia sono reali.CARLO
Tommaso
non identifica l'anima con il corpo, ma
la considera la "forma" del corpo, cioè il suo archetipo. Mortale il primo, eterno il secondo.APEIRON4) Effettivamente, per le nostre attuali conoscenze scientifiche, le coscienze si sono originate dopo la materia (o meglio, è un argomento contro l'idealismo più che a favore dell'idealismo). CARLOLe conoscenze scientifiche non ci dicono assolutamente nulla sull'origine della vita, né della coscienza.VANESSA PARADIS - Joe le taxi
https://youtu.be/IKxMTFvo_0s
X Apeiron (e chiunque voglia leggere)
Non sai quanto ho aspettato e quanto mi abbia fatto piacere leggere che c' era un tuo intervento (ma sono addirittura tre! Troppa grazia!) in questa discussione!
(Fine della sviolinata; peraltro sincera).
In questo momento non ho troppo tempo, comincerò col considerare il tuo primo intervento.
Innanzitutto, per intenderci (dimmi se sbaglio), credo che quello che tu chiami indifferentemente "mente" ovvero "coscienza" (sinonimi) si identifichi con quello che io chiamo "mente" o "pensiero" (sostanzialmente la cartesiana "res cogitans"; ma intesa alla Hume come meramente fenomenica, e non alla Cartesio come reale anche se non percepita coscientemente, anche quando non é in atto ovvero fenomenicamente presente).
E chiami "materia" come me l' altra "parte" della "realtà fenomenica" (postulabile essere) intersoggettiva (e non meramente soggettiva come é la mente o coscienza, che io chiamo solo "mente" e non "coscienza", eventualmente "pensiero").
Quella che io chiamo "coscienza" o "esperienza (fenomenica) cosciente", che comprende tanto la materia quanto ciò che io chiamo soltanto "mente" (o al massimo "pensiero": la res cogitans) e tu anche "coscienza" (la res cogitans), tu la chiami "realtà fenomenica".
Se questa "traduzione" é esatta, e dunque se ben ti comprendo, mi sembra di concordare con la tua critica del materialismo (la materia fa parte della "realtà fenomenica di Apeiron" ovvero della "coscienza o esperienza cosciente di Sgiombo" e dunque non sussiste in sé indipendentemente dall' accadere delle sensazioni fenomeniche coscienti, non é reale se e quando queste -delle quali e di nient' altro che delle quali fa parte- non accadono realmente).
E infatti sia per te che per me il solipsismo é inconfutabile (razionalmente, per inferenza o per constatazione empirica; e il fatto che tu creda che la migliore confutazione del solipsismo avvenga a livello etico mi sembra ti avvicini tantissimo al Kant della Critica della ragion pratica).
E vengo ai motivi di dissenso.
A me non pone problemi il realismo indiretto, per il quale la nostra conoscenza della realtà oggettiva, in sé, quale é/diviene indipendentemente dalle sensazioni coscienti che eventualmente se ne hanno, non é precisamente conoscenza diretta di essa (contro il realismo ingenuo), ma invece una sorta di "conoscenza indiretta e distorta", in quanto é propriamente conoscenza di ciò che nella nostra "realtà fenomenica-Ap" ovvero "esperienza cosciente-Sg" ad essa corrisponde.
Si tratta semplicemente di un limite della nostra possibile conoscenza, di cui é bene avere consapevolezza (evitando di cadere nelle pie illusioni del senso comune e del suo realismo ingenuo).
Concordo che di conseguenza non possiamo che disporre di "ipotesi" circa la "realtà vera" nel senso di "in sé", quale é indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (infatti quelle che personalmente propongo, per esempio a proposito dei rapporti cervello-coscienza -a là Apeiron: cervello-realtà fenomenica- non sono che ipotesi esplicative).
Concordo anche con la tua critica della "inseità" delle qualità secondarie, che anche per me sono altrettanto fenomeniche di quelle secondarie, anche se contrariamente a queste direttamente misurabili intersoggettivamente (indirettamente lo sono anche le secondarie: frequenza, intensità, ecc. delle onde luminose, ecc.).
Per me però la realtà in sé non é totalmente inconoscibile.
Non é sensibile, esperibile empiricamente, e dunque non é conoscibile con quella certezza che l' immediata constatazione empirica conferisce alla conoscenza dei fenomeni; ma se ne possono fare ipotesi, che potrebbero anche essere vere anche se non se ne può avere certezza.
Credo che per Kant fosse effettivamente totalmente inconoscibile (attraverso la ragion pura); per me (si parva licet) in proposito si possono fare ipotesi di cui non può aversi certezza, ma che spiegano tante cose e potrebbero anche essere vere (oltre che false).
Invece non capsico in che senso lo spazio "fisico", contro Kant, non coincide necessariamente con quello "esperienziale".
Secondo me la "materialità", come la intendono il senso comune (o realismo ingenuo) e il monismo materialistico, non c'è come "cose in sé", e ciò che rimane di essa sono solamente le esperienze coscienti dei vari individui (mi sembrerebbe di capire che così sia anche per te).
Però non vedo alcun problema nel fatto (indimostrabile logicamente né empiricamente constatabile: Hume!" Credibile arbitrariamente, per fede) che la materia si comporta in modo "regolare" (e dunque é scientificamente conoscibile, tecnicamente "dominabile" entro certi limiti; e inoltre secondo me quindi ha senso valutare eticamente il comportamento umano).
Infatti la "materia" é sì completamente diversa ed indipendentemente da quella che chiami la "mente" o "coscienza" (io solo "mente" o "pensiero: res cogitans), ma non lo é affatto invece da quella che chiami "realtà fenomenica" (io "coscienza" o "esperienza fenomenica cosciente").
Ma indipendentemente da questo perché mai non dovrebbe poter divenire ordinatamente?
Concordo anche con la tua critica dell' idealismo, inteso come pretesa che i fenomeni mentali (per te si possono chiamare anche di coscienza: la res cogitans) siano reali in sé non in maniera meramente fenomenica: pretesa infondata del tutto esattamente come quella analoga del materialismo.
Ma il fatto che la materia divenga ordinatamente per me non richiede affatto l' esistenza di alcun Dio creatore, né "proiettore nella nostra coscienza (mondo fenomenico per te) dei suoi contenuti sensibili" alla maniera di Berkeley (o anche di Malebranche): può benissimo divenire ordinatamente "per fatti suoi", perché é fatta così (da sempre, non per opera intenzionale di nessuno), perché "così é se vi pare, e anche se non vipare".
Errata corrige: "qualità secondarie" erroneamente per "qualità primarie, ovviamente.
Citazione di: Apeiron il 04 Ottobre 2018, 12:31:20 PM
Riguardo alla relazione "meccanica quantistica"-"materialismo vs idealismo vs dualismo" ecc, secondo me la meccanica quantistica di per sé non porta a nessuna conclusione.
Per esempio, non è nemmeno vero che per tutti i sostenitori dell'interpretazione di Copenaghen, la realtà dipende dalle osservazioni. Ad esempio, Bohr sosteneva altro, si veda questo mio post (e magari la discussione che ne è seguita, dove si spiega che la posizione di Bohr era meno "ontologica" di quanto si pensa. Ad esempio, pensava che noi potevamo indagare la realtà fisica con l'ausilio di "concetti classici" - definiti anche da procedure sperimentali - e che quindi potevamo conoscere il mondo quantistico solo attraverso il "mezzo" degli apparati sperimentali e quindi attraverso i concetti classici.). Ovviamente, ciò non significa che alcuni eminenti fisici non sostengono una cosa del genere. Si veda, Wheeler e Wigner che sostenevano che "la coscienza causa il collasso" del pacchetto d'onda (Wheeler forum la teoria dell'universo partecipatorio, per il quale l'universo dipende dall'esistenza di osservatori coscienti). Oppure si veda cosa dice Andrei Linde, si veda il video in questo link (è in inglese ma si possono attivare i sottotitoli... il video non è nuovissimo, visto che non erano ancora state scoperte le onde gravitazionali). Anche Heinsenberg era di un'ottica più "soggettivistica" di Bohr, per quanto ne so. Su Linde in italiano c'è pochissimo. In inglese, c'è molto di più. Ma in genere su tutta questa questione c'è più in inglese. Ovviamente non c'entra niente questa teoria in cui la coscienza è vista come "rilevante" nella fisica con i proclami pseudo-scientifici che si sentono a riguardo (come ad esempio, che la meccanica quantistica dimostra "la legge di attrazione". Purtroppo, alcuni sfruttano le opinioni di illustri scienziati per i loro fini).
Citazione
La questione dei "rapporti MQ-dualismo mente/cervello" come si poneva fra me e CarloPierini, sulla quale auspicavo l' autorevole (e ovviamente non indiscutibile) valutazione di un "esperto in materia" o "addetto ai lavori", non era precisamente questa.
CarloPierini sostiene una tesi di filosofia della mente "dualistica interazionistica" proposta dal neurofisiologo John Eccles e dal noto filosofo Karl Popper per la quale esiste una mente immateriale o anima (dotata di libero arbitrio) che interagisce con la materia senza violare le leggi fisiche e la chiusura causale del mondo fisico, per così dire "insinuandosi negli spazi di manovra lasciati aperti dell' indeterminismo quantistico"
Infatti essa (la mente) "determinerebbe" l' indeterminismo quantistico (inteso "a là Copenhagen come ontologico, oltre che gnoseologico o epistemologico), decidendo quale delle varie alternative possibili (diversamente probabili, secondo proporzioni statistiche probabilistiche determinate) di fatto si verifica in ciascun singolo evento "microscopico" (e dunque indeterministico secondo il pr. di indeterminazione), in occasione degli eventi di eccitazione-inibizione trans-sinaptica dei neuroni: in sostanza (ma CarloPierini mi corregga se lo ritiene necessario) la mente liberamente interverrebbe nel divenire naturale stabilendo se e quali vescicole presinaptiche vengano svuotate nello spazio sinaptico all'arrivo di un potenziale d' azione, così da determinare un'eccitazione o una inibizione trans-sinaptica, stante che le leggi fisiche (della MQ) non lo prevedono, non lo impongono ma si limitano a stabilire le probabilità secondo cui le diverse alternative possibili si verificano in serie numerose di casi.
Per parte mia ritengo poco verosimile che l' ordine di grandezza delle vescicole presinaptiche e le membrane cellulari dei neuroni (costituite da numerose macromolecole lipoproteiche) sia tale (sufficientemente "microscopico") da consentire un ruolo effettivo e conseguenze rilevabili negli eventi che le riguardano all' indeterminismo quantistico, e dunque un intervento causale efficace da parte di una mente immateriale (o anima) che non violi le leggi fisiche ovvero la chiusura causale del mondo fisico, come sostenuto da Eccles-Popper.
Infine, credo che per Berkeley la conoscenza scientifica possa essere vista come una "corretta interpretazione" o, meglio, di un'approssimata descrizione di "ciò che è percepito".
Citazione
E' esattamente quel che penso anch' io (e credo David Hume).
Nel post precedente, non ho ben specificato che Kant non è un realista indiretto perché, per lui, anche le qualità primarie (quantitative) degli oggetti della nostra esperienza non sono indipendenti da tutte le menti. Però visto che le nostre esperienze coscienti hanno una struttura simile, in tutte gli oggetti hanno proprietà quantitative...
Citazione
A me questa sembra una tesi realistica indiretta: esiste realmente una cosa in sé che condiziona (non "causalmente in senso proprio", secondo me) le caratteristiche intersoggettive (comprese le proporzioni fra le qualità primarie di enti es eventi materiali) nelle diverse esperienze fenomeniche soggettive
Citazione di: Apeiron il 04 Ottobre 2018, 19:39:08 PM
Alcune precisazioni riguardo a quanto affermato oggi:
1) Non ho mai ben capito se Berkeley rifiutasse l'esistenza della materia o se invece si limitasse a dire che anche per essa vale il principio "esse est percipi". Onestamente, visto che era cristiano e che il Cristianesimo dà molta importanza alla "carne", mi sorprenderebbe che considerasse la materia come "illusoria". Forse, riteneva che per esistere dovesse essere percepita da Dio.
Citazione
le mie letture (attente) di Berkeley risalgono (però) a molti anni fa, e potrei sbagliare.
Per lui la materia é reale ma unicamente in quanto insiemi-successioni di sensazioni nell' ambito delle coscienze in cui questi accadono (compresa quella di Dio, che ne garantirebbe l' esistenza anche se, per assurdo, tutti gli uomini contemporaneamente dormissero).
E' Dio a far si che le sensazioni accadano nelle varie esperienze coscienti, come tali (non come oggetti reali anche allorché non son percepiti).
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2018, 16:03:09 PM
Citazione di: Apeiron il 04 Ottobre 2018, 12:31:20 PM
Citazione
CarloPierini sostiene una tesi di filosofia della mente "dualistica interazionistica" proposta dal neurofisiologo John Eccles e dal noto filosofo Karl Popper per la quale esiste una mente immateriale o anima (dotata di libero arbitrio) che interagisce con la materia senza violare le leggi fisiche e la chiusura causale del mondo fisico, per così dire "insinuandosi negli spazi di manovra lasciati aperti dell' indeterminismo quantistico"
Infatti essa (la mente) "determinerebbe" l'indeterminismo quantistico (inteso "a là Copenhagen come ontologico, oltre che gnoseologico o epistemologico), decidendo quale delle varie alternative possibili (diversamente probabili, secondo proporzioni statistiche probabilistiche determinate) di fatto si verifica in ciascun singolo evento "microscopico" (e dunque indeterministico secondo il pr. di indeterminazione), in occasione degli eventi di eccitazione-inibizione trans-sinaptica dei neuroni: in sostanza (ma CarloPierini mi corregga se lo ritiene necessario) la mente liberamente interverrebbe nel divenire naturale stabilendo se e quali vescicole presinaptiche vengano svuotate nello spazio sinaptico all'arrivo di un potenziale d' azione, così da determinare un'eccitazione o una inibizione trans-sinaptica, stante che le leggi fisiche (della MQ) non lo prevedono, non lo impongono ma si limitano a stabilire le probabilità secondo cui le diverse alternative possibili si verificano in serie numerose di casi.
Per parte mia ritengo poco verosimile che l' ordine di grandezza delle vescicole presinaptiche e le membrane cellulari dei neuroni (costituite da numerose macromolecole lipoproteiche) sia tale (sufficientemente "microscopico") da consentire un ruolo effettivo e conseguenze rilevabili negli eventi che le riguardano all' indeterminismo quantistico, e dunque un intervento causale efficace da parte di una mente immateriale (o anima) che non violi le leggi fisiche ovvero la chiusura causale del mondo fisico, come sostenuto da Eccles-Popper.
CARLO
Non posso che rimandarti a quanto scrive sinteticamente Eccles in proposito:
"Secondo la nostra teoria si ipotizza che gli eventi mentali influiscano semplicemente sulla probabilità di un'emissione vescicolare, che viene scatenata da un impulso pre-sinaptico. Tale effetto di un evento mentale verrebbe esercitato sul reticolo vescicolare presinaptico paracristallino, che complessivamente agisce controllando la probabilità di emissione di una singola vescicola dall'insieme delle numerose vescicole in esso inglobate.
La prima questione che può essere sollevata riguarda l'entità dell'effetto che potrebbe essere prodotto da un'onda di probabilità della meccanica quantistica: la massa della vescicola è abbastanza grande da oltrepassare i limiti del principio di indeterminazione di Heisemberg? Margenau adatta la comune equazione di indeterminazione a questo calcolo (...) dimostrando che l'emissione probabilistica di una vescicola dal reticolo sinaptico potrebbe essere idealmente modificata da un'intenzione mentale che agisca analogamente a un campo quantico di probabilità.
La seconda questione riguarda l'ordine di grandezza dell'effetto, che consiste semplicemente in una variazione delle probabilità di emissione di una singola vescicola. L'entità di tale effetto è troppo limitata per modificare gli schemi di attività neuronale persino in piccole zone del cervello. Ad ogni modo, ciascuna cellula piramidale della corteccia cerebrale viene raggiunta da migliaia di bottoni sinaptici. L'ipotesi è che il campo di probabilità dell'intenzione mentale sia ampiamente distribuito non solo alle sinapsi di quel neurone, ma anche a quelle di gran parte degli altri neuroni con funzioni simili appartenenti allo stesso dendrone ". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.104/5]
"Il controllo mentale sull'attività cerebrale è talmente profuso da poter presumere una dominanza dell'io sul cervello. Ora, per la prima volta, è stata proposta l'ipotesi sul modo in cui queste influenze mentali potrebbero controllare le attività cerebrali senza infrangere le leggi di conservazione della fisica. Così alla critica materialista di Dennett, di Changeux e di Edelman viene meno la propria base scientifica. Le spiegazioni materialiste al problema mente-cervello, come la teoria dell'identità, possono essere ormai considerate prive di alcun fondamento scientifico e, persino, superstizioni durate troppo a lungo, come anche del materialismo promissorio. Tutte queste teorie sembrano ormai insostenibili. Ciascuno di noi possiede naturalmente la credenza dualista nell'interazione fra io e cervello, ma la filosofia riduzionista e materialista prevalente ne ha imposto il rigetto. Si tratta di una filosofia ingenua, eppure ha raggiunto lo status di "oggetto di fede". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg. 200]
Al di là delle di molte valutazioni di Eccles contenute nella seconda citazione da cui dissento in gran parte (lo so, non é una novità), mi sembra di averne esposto (e proposto alla considerazione di Apeiron) molto fedelmente (in pochissime parole, con un efficace sforzo di sintesi e con una correttezza, malgrado i profondissimi dissensi, delle quali senza falsa modestia mi compiaccio) la tesi dualistica-interzionistica (che ribadisco di ritenere errata e falsa).
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2018, 21:17:04 PM
Al di là delle di molte valutazioni di Eccles contenute nella seconda citazione da cui dissento in gran parte (lo so, non é una novità), mi sembra di averne esposto (e proposto alla considerazione di Apeiron) molto fedelmente (in pochissime parole, con un efficace sforzo di sintesi e con una correttezza, malgrado i profondissimi dissensi, delle quali senza falsa modestia mi compiaccio) la tesi dualistica-interzionistica (che ribadisco di ritenere errata e falsa).
CARLO
Le opinioni personali hanno valore solo se fondate su solide osservazioni. Ma io leggo solo opinioni e costruzioni verbali astratte e macchinose, sradicate dall'esperienza psicologica umana reale.
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Ottobre 2018, 22:25:01 PM
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2018, 21:17:04 PM
Al di là delle di molte valutazioni di Eccles contenute nella seconda citazione da cui dissento in gran parte (lo so, non é una novità), mi sembra di averne esposto (e proposto alla considerazione di Apeiron) molto fedelmente (in pochissime parole, con un efficace sforzo di sintesi e con una correttezza, malgrado i profondissimi dissensi, delle quali senza falsa modestia mi compiaccio) la tesi dualistica-interzionistica (che ribadisco di ritenere errata e falsa).
CARLO
Le opinioni personali hanno valore solo se fondate su solide osservazioni. Ma io leggo solo opinioni e costruzioni verbali astratte e macchinose, sradicate dall'esperienza psicologica umana reale.
Ma non dovresti leggere solo quanto scrivi tu...
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2018, 09:28:22 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Ottobre 2018, 22:25:01 PM
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2018, 21:17:04 PM
Al di là delle di molte valutazioni di Eccles contenute nella seconda citazione da cui dissento in gran parte (lo so, non é una novità), mi sembra di averne esposto (e proposto alla considerazione di Apeiron) molto fedelmente (in pochissime parole, con un efficace sforzo di sintesi e con una correttezza, malgrado i profondissimi dissensi, delle quali senza falsa modestia mi compiaccio) la tesi dualistica-interzionistica (che ribadisco di ritenere errata e falsa).
CARLO
Le opinioni personali hanno valore solo se fondate su solide osservazioni. Ma io leggo solo opinioni e costruzioni verbali astratte e macchinose, sradicate dall'esperienza psicologica umana reale.
SGIOMBO
Ma non dovresti leggere solo quanto scrivi tu...
CARLO
Io sto contrapponendo ciò che scrivi tu
non con quanto scrivo io, ma con quanto risulta dall'osservazione dei fatti,
dall'esperienza. Una teoria non deve essere solo coerente in sé sul piano logico-concettuale, ma deve soprattutto essere conforme all'esperienza reale. Se quella branca della filosofia che chiamiamo "scienza" è diventata grande, è proprio perché considera insufficienti le elucubrazioni filosofiche pure, cioè, non supportate da un confronto metodico e capillare con l'esperienza. Non è altro che la concordanza con i fatti ciò che conferisce verità alle nostre tesi.
Ciao
Carlo:CitazioneNon proprio. Il Tao è il Principio trascendente di cui materia e spirito rappresentano le polarità immanenti. In altre parole, l'alternativa a "materialismo" e "idealismo" è la complementarità di materia e spirito nell'unità superiore del Principio primo.
Quindi, non: <<né mente né materia>>, ma: <<sia mente che materia>>.
Mmm, ammetto che ho letto solo il Tao te Ching e lo Zuanghzi (neanche tutto quest'ultimo) ma non mi pare che il Tao sia identificato con la coppia complementare yin-yang. Non dico che che la complementarietà sia estranea al Taoismo (direi ovviamente una falsità) ma il Tao mi sembra descritto come "qualcosa" di
indescrivibile. Capitolo 1:
"Il Tao che può essere detto
non è l'eterno Tao,
il nome che può essere nominato
non è l'eterno nome.
Senza nome è il principio
del Cielo e della Terra,
quando ha nome è la madre
delle diecimila creature.
Perciò chi non ha mai desideri
ne contempla l'arcano,
chi sempre desidera
ne contempla il termine.
Quei due hanno la stessa estrazione
anche se diverso nome
ed insieme sono detti mistero,
mistero del mistero,
porta di tutti gli arcani.",
Nel Capitolo 2 "essere" e "non essere" e molte altre coppie di opposti vengono viste come complementari. Il Tao è detto "vuoto" (cap 4), il Capitolo 14 dice:
"A guardarlo non lo vedi,
di nome è detto l'Incolore.
Ad ascoltarlo non lo odi,
di nome è detto l'Insonoro.
Ad afferrarlo non lo prendi,
di nome è detto l'Informe.
Questi tre non consentono di scrutarlo a fondo,
ma uniti insieme formano l'Uno.
Non è splendente in alto
non è oscuro in basso,
nel suo volversi incessante non gli puoi dar nome
e di nuovo si riconduce all'immateriale.
È la figura che non ha figura,
l'immagine che non ha materia:
è l'indistinto e l'indeterminato.
Ad andargli incontro non ne vedi l'inizio,
ad andargli appresso non ne vedi la fine.
Attieniti fermamente all'antico Tao
per guidare gli esseri di oggi
e potrai conoscere il principio antico.
È questa l'orditura del Tao.
"
Inoltre ricorre l'idea che bisogna diventare come "legno non scolpito". Mi pare che il Tao sia
senza caratteristiche e quindi
con possibilità infinite. Nel Capitolo 2 dello Zhaungzi si dice che la "saggezza degli uomini antichi arrivava molto lontano. Dove? Fino a quando le cose non esistevano". In sostanza, mi sembra che il Principio più che una complementarietà sia visto come una pura vacua Potenzialità. Però, solo quando ci si svuota. Dal capitolo 1 del Tao Te Ching, le "cose" si manifestano quando non si contempla "l'arcano". Le due descrizioni non sono contraddittorie ma il Tao è descritto come "l'informe", "l'indistinto" ecc. Intendevo questo, io.
Ah,
Qui c'è la versione italiana del Tao Te Ching che ho usato.
In pratica, è come se il Tao (il Principio) e le "diecimila creature", caratterizzate dalla complementarietà yin-yang fossero come due "facce" della stessa medaglia, per così dire.
CitazioneIl platonismo (Filone, Plotino, Dionigi l'Aeropagita, Agostino, Boezio, ecc.) identifica il Demiurgo platonico con il Logos o Verbo divino, comprendente le "forme", cioè i modelli eterni (metafisici) del reale, gli archetipi del creato.
Ok, grazie. Ma personalmente non vedo tale equazione così esplicita negli scritti di Platone. Si dice solo che le anime possono conoscere le Forme, così come gli occhi possono vedere gli oggetti luminosi. Inoltre, la Forma del Bene è vista come l'origine di tutto, il "Sole" dell'esistenza. Nel Parmenide si dice che non è né "essere" né "non essere". E mi pare che la cosa venga detta per l'Uno anche da Plotino. Anche in tal caso, l'Uno mi sembra essere né mente né materia, ma la loro causa. D'altro canto, è vero che in Plotino subito dopo l'Uno, c'è la Nous. E concordo che la teologia di Giovanni sia simile al pensiero neoplatonico.
CitazioneTommaso non identifica l'anima con il corpo, ma la considera la "forma" del corpo, cioè il suo archetipo. Mortale il primo, eterno il secondo.
Infatti, non ho detto che i due sono identici. Ma che per Tommaso ci sono entrambi. E che l'essere umano è "fatto" sia di mente che di materia (corpo). In realtà, non sono sicuro della relazione tra
mente ed
anima. Da quanto scrivi sembra che non coincidano.
CitazioneLe conoscenze scientifiche non ci dicono assolutamente nulla sull'origine della vita, né della coscienza.
Posso concordare che siamo ancora distanti da capire come si siano originate la vita e la coscienza (e forse non lo capiremo neanche nel futuro...) ma non è un po' troppo dire così? :) voglio dire: le nostre attuali conoscenze scientifiche ci dicono che la Terra esiste da 4,5 miliardi di anni e che la vita biologica è iniziata circa 4 miliardi di anni. La vita senziente da meno tempo, direi. Magari prima del Big Bang c'erano forme di vita senziente. Ma, diciamo, 13 miliardi di anni fa è praticamente sicuro che non c'era da nessuna parte vita biologica.
A meno che non si creda in "altri reami di esistenza" non rilevabili, difficilmente si può negare che in questo universo la coscienza e la vita siano nate dopo. (Escludendo, ovviamente una o più eventuali "coscienze trascendenti").
Ciao
@sgiombo,CitazioneInnanzitutto, per intenderci (dimmi se sbaglio), credo che quello che tu chiami indifferentemente "mente" ovvero "coscienza" (sinonimi) si identifichi con quello che io chiamo "mente" o "pensiero" (sostanzialmente la cartesiana "res cogitans"; ma intesa alla Hume come meramente fenomenica, e non alla Cartesio come reale anche se non percepita coscientemente, anche quando non é in atto ovvero fenomenicamente presente).
E chiami "materia" come me l' altra "parte" della "realtà fenomenica" (postulabile essere) intersoggettiva (e non meramente soggettiva come é la mente o coscienza, che io chiamo solo "mente" e non "coscienza", eventualmente "pensiero").
Quella che io chiamo "coscienza" o "esperienza (fenomenica) cosciente", che comprende tanto la materia quanto ciò che io chiamo soltanto "mente" (o al massimo "pensiero": la res cogitans) e tu anche "coscienza" (la res cogitans), tu la chiami "realtà fenomenica".
Direi che l'unico appunto che ti faccio è che io distinguo anche tra la coscienza/mente e i "contenuti mentali". Per esempio, l'emozione della rabbia, pur essendo mentale, non è "mente" ma, piuttosto, è una sua caratteristica. Prendendo un'immagine buddhista, così come si possono distinguere le fiamme in base a ciò che stanno bruciando, allo stesso modo è possibile distinguere la mente a seconda del particolare stato mentale e di ciò ci cui la mente è consapevole (per esempio, se si sta contemplando un'immagine visiva, la mente "ha come oggetto" tale immagine). In pratica, è come se la nostra mente continuasse a cambiare "forma" (in molte scuole buddhiste (forse tutte), e io tendo a concordare con ciò, vi è l'idea che vi sia una sorta di "corrente mentale". Ovvero, la mente non è qualcosa di immutabile, ma piuttosto una successione di "momenti di coscienza").
Per il resto, credo che hai capito.
CitazioneInvece non capsico in che senso lo spazio "fisico", contro Kant, non coincide necessariamente con quello "esperienziale".
Parto da qui... per la questione dello spazio esperienziale, pensa a quello visivo. Secondo te, deve avere la stessa geometria di quello (curvo) della relatività generale? personalmente non vedo questa necessità. in realtà, penso che lo spazio "esperienziale" sia una sorta di "costruzione" che viene fatta integrando le informazioni dei cinque sensi. Per Kant lo spazio "esperienziale" era Euclideo (perché, per lui, era l'unico concetto di "spazio"... personalmente, non sono nemmeno sicuro di ciò). E da qui, lui credendo che
per forza lo spazio della fisica dovesse coincidere con quello dell'esperienza cosciente, ha concluso che per forza la fisica doveva lavorare con lo spazio Euclideo (su ciò, tuttavia, c'è motivo di dissenso. Alcuni, pensano che Kant non credeva in questa "necessità" della piattezza dello spazio).
CitazioneA me non pone problemi il realismo indiretto, per il quale la nostra conoscenza della realtà oggettiva, in sé, quale é/diviene indipendentemente dalle sensazioni coscienti che eventualmente se ne hanno, non é precisamente conoscenza diretta di essa (contro il realismo ingenuo), ma invece una sorta di "conoscenza indiretta e distorta", in quanto é propriamente conoscenza di ciò che nella nostra "realtà fenomenica-Ap" ovvero "esperienza cosciente-Sg" ad essa corrisponde.
Sai, sono un po' confuso su questa questione... a dirti il vero. Nel senso: se ci limitiamo alla nostra esperienza cos'è la realtà materiale? Sensazioni visive, uditive, tattili (in "tattili" ci inserisco anche la proprioricezione, anche se probabilmente è improprio farlo, ma concedimi questa possibile "licenza poetica" ;) ), gustative, olfattive. Chiaramente, noi non percepiamo le
cellule. Negare che esse esistano però sembra poco sensato, vero? Se la materialità fosse solo l'insieme delle nostre sensazioni, le cellule cosa sono? Una possibile soluzione è dire che, in fin dei conti, noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la
corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale. Ma, ad essere onesto, non ho mai visto alcun idealista dare una spiegazione chiara della relazione tra le nostre sensazioni "materiali" e le "parti invisibili" di esse. Se quanto ho detto ha senso, si può ancora parlare di cellule, atomi, quasars ecc senza neanche scomodare la "realtà indipendente da noi" (qui concordi anche tu...).
D'altro canto, però, se ammettiamo che il quasar esiste indipendentemente da noi, come possiamo dire che è parte della "materia"? E qui c'è il dilemma a cui mi riferivo, per citare l'Amleto di Shakespeare. In fin dei conti, Kant ci dice che le nostre categorie si applicano nella nostra esperienza e non possiamo usarle "fuori" da essa (Kant usa l'immagine dell'isola. Il mondo fenomenico è come l'isola in cui possiamo usare le categorie e le intuizioni. il noumeno è il misterioso oceano. Ovviamente, come tutte le analogie è piuttosto limitata!).Ergo, per Kant, parlare del "quasar in sé" indipendente da
tutte le coscienze è problematico. Lo vedi il dilemma? Siamo tentati di uscire dalla nostra esperienza, eppure a rigore non possiamo. Possiamo al massimo parlare di realtà inter-soggettiva, ma non possiamo parlare della realtà indipendente da tutte le coscienze. Filosoficamente, condivido. Non è una posizione relativista, per come il termine è inteso nella nostra cultura occidentale, perché non implica l'assenza di verità condivise e inter-soggettive. In un senso però è relativista perché dice che, in pratica, non possiamo "uscire" dalle nostre menti e non possiamo fare "affermazioni" sulla "realtà esterna" (non a caso, ogni affermazione che facciamo su tale realtà segue le nostre categorie, no? Parliamo di particelle che si muovono nello spazio, no? Del "divenire temporale", "il flusso del tempo" indipendente da noi, no?). Per questo Kant asseriva che il noumeno è totalmente inconoscibile. A rigore, è improprio parlarne in termini di causalità, tempo, spazio ecc.
Però, in fin dei conti, la scienza ci suggerisce che, per esempio, il Big Bang sia avvenuto 14 miliardi di anni fa e "a quel tempo" non c'erano coscienze. Schopenhauer afferma: "
Imperocché «nessun oggetto senza soggetto» è il principio, che rende per sempre impossibile ogni materialismo. Sole e pianeti, senza un occhio che li veda e un intelletto che li conosca, si possono bensì esprimere a parole: ma queste parole sono per la rappresentazione un sideroxylon. È vero d'altra parte che la legge di causalità e l'osservazione e la ricerca della natura, che su quella si fonda, ci conducono necessariamente alla certezza che ogni più perfetto stato organico della materia ha seguito nel tempo uno stato più grossolano: che cioè gli animali sono comparsi prima degli uomini, i pesci prima degli animali terrestri, le piante anche prima dei pesci, la materia inorganica prima della organica; che quindi la materia primitiva ha dovuto traversare una lunga serie di modificazioni, innanzi che il primo occhio si aprisse.E tuttavia l'esistenza del mondo intero rimane sempre dipendente da questo primo occhio che si è aperto – fosse pure stato l'occhio di un insetto – come dall'indispensabile intermediario della conoscenza, per la quale e nella quale esclusivamente il mondo esiste, e senza la quale esso non può nemmeno essere pensato: perché il mondo è semplicemente rappresentazione; e tale essendo, abbisogna del soggetto conoscente come fondamento della sua esistenza. Anzi, quella medesima lunga successione di tempi, riempita da innumerevoli trasformazioni, attraverso cui la materia si elevò di forma in forma fino all'avvento del primo animale conoscente, può esser pensata soltanto nell'identità di una coscienza: di cui essa costituisce la serie delle rappresentazioni e la forma della conoscenza. Senza quest'identità, tale successione perde ogni senso e non è più nulla. Così vediamo da un lato l'esistenza del mondo intero dipendere di necessità dal primo essere conoscente, per quanto sia quest'ultimo ancora imperfetto; e dall'altro lato con la stessa necessità questo primo animale conoscente dipendere in tutto e per tutto da una lunga catena anteriore di cause e di effetti, alla quale esso viene ad aggiungersi come un piccolo anello" (
Schopenhauer, Mondo Come Volontà e Rappresentazione)
Paradossale, no? Eppure...eppure... se la materia fosse slegata completamente dalla mente, come potrebbe la nostra mente conoscerla? Stranamente, le osservazioni di Kant e Schopenhauer mi sembrano "giuste". In fin dei conti, noi concepiamo le cose sempre da un certo punto di vista. Ma come è la realtà indipendente da ogni punto di vista?!? Ah, si può porre sensatamente una tale realtà "indipendente da tutti"? I nostri concetti possono veramente applicarsi ad essa? Tu dici sì. Io non ne sarei, se voglio essere onesto, così sicuro (almeno se voglio restare in ambito filosofico. Chiaramente, posso dire che il paradosso di Schopenhauer si risolve se ci sono altre coscienze inosservabili, per cui l'universo diventa un oggetto ecc ecc). Si dice che Kant abbia postulato il noumeno come "concetto limite". Tale "concetto limite" non punterebbe ad "una realtà esterna". Ma sulla "realtà indipendente da ogni punto di vista" non si può dire
niente. Anzi, è paradossale pure parlarne. Schopenhauer ha erroneamente identificato tale noumeno con la Volontà.
Su Berkeley, ok. Non sembra così diverso da quanto dice Schopenhauer nella citazione sopra, d'altronde.
E sulla limitazione della conoscenza... Direi che possiamo dire che, notando come la scienza non ha trovato tutti i "segreti" della realtà fenomenica, direi che non abbiamo nemmeno la conoscenza della realtà fenomenica ;)
P.S. Faccio notare che Schopenhauer aveva una teoria teleologica (ne sono abbastanza sicuro) riguardo all'evoluzione biologica. Però, ha scritto il suo libro
prima della pubblicazione del lavoro di Darwin e Wallace.
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Ottobre 2018, 18:24:25 PM
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2018, 16:03:09 PM
Citazione di: Apeiron il 04 Ottobre 2018, 12:31:20 PM
Citazione
CarloPierini sostiene una tesi di filosofia della mente "dualistica interazionistica" proposta dal neurofisiologo John Eccles e dal noto filosofo Karl Popper per la quale esiste una mente immateriale o anima (dotata di libero arbitrio) che interagisce con la materia senza violare le leggi fisiche e la chiusura causale del mondo fisico, per così dire "insinuandosi negli spazi di manovra lasciati aperti dell' indeterminismo quantistico"
Infatti essa (la mente) "determinerebbe" l'indeterminismo quantistico (inteso "a là Copenhagen come ontologico, oltre che gnoseologico o epistemologico), decidendo quale delle varie alternative possibili (diversamente probabili, secondo proporzioni statistiche probabilistiche determinate) di fatto si verifica in ciascun singolo evento "microscopico" (e dunque indeterministico secondo il pr. di indeterminazione), in occasione degli eventi di eccitazione-inibizione trans-sinaptica dei neuroni: in sostanza (ma CarloPierini mi corregga se lo ritiene necessario) la mente liberamente interverrebbe nel divenire naturale stabilendo se e quali vescicole presinaptiche vengano svuotate nello spazio sinaptico all'arrivo di un potenziale d' azione, così da determinare un'eccitazione o una inibizione trans-sinaptica, stante che le leggi fisiche (della MQ) non lo prevedono, non lo impongono ma si limitano a stabilire le probabilità secondo cui le diverse alternative possibili si verificano in serie numerose di casi.
Per parte mia ritengo poco verosimile che l' ordine di grandezza delle vescicole presinaptiche e le membrane cellulari dei neuroni (costituite da numerose macromolecole lipoproteiche) sia tale (sufficientemente "microscopico") da consentire un ruolo effettivo e conseguenze rilevabili negli eventi che le riguardano all' indeterminismo quantistico, e dunque un intervento causale efficace da parte di una mente immateriale (o anima) che non violi le leggi fisiche ovvero la chiusura causale del mondo fisico, come sostenuto da Eccles-Popper.
CARLO
Non posso che rimandarti a quanto scrive sinteticamente Eccles in proposito:
"Secondo la nostra teoria si ipotizza che gli eventi mentali influiscano semplicemente sulla probabilità di un'emissione vescicolare, che viene scatenata da un impulso pre-sinaptico. Tale effetto di un evento mentale verrebbe esercitato sul reticolo vescicolare presinaptico paracristallino, che complessivamente agisce controllando la probabilità di emissione di una singola vescicola dall'insieme delle numerose vescicole in esso inglobate.
La prima questione che può essere sollevata riguarda l'entità dell'effetto che potrebbe essere prodotto da un'onda di probabilità della meccanica quantistica: la massa della vescicola è abbastanza grande da oltrepassare i limiti del principio di indeterminazione di Heisemberg? Margenau adatta la comune equazione di indeterminazione a questo calcolo (...) dimostrando che l'emissione probabilistica di una vescicola dal reticolo sinaptico potrebbe essere idealmente modificata da un'intenzione mentale che agisca analogamente a un campo quantico di probabilità.
La seconda questione riguarda l'ordine di grandezza dell'effetto, che consiste semplicemente in una variazione delle probabilità di emissione di una singola vescicola. L'entità di tale effetto è troppo limitata per modificare gli schemi di attività neuronale persino in piccole zone del cervello. Ad ogni modo, ciascuna cellula piramidale della corteccia cerebrale viene raggiunta da migliaia di bottoni sinaptici. L'ipotesi è che il campo di probabilità dell'intenzione mentale sia ampiamente distribuito non solo alle sinapsi di quel neurone, ma anche a quelle di gran parte degli altri neuroni con funzioni simili appartenenti allo stesso dendrone ". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.104/5]
"Il controllo mentale sull'attività cerebrale è talmente profuso da poter presumere una dominanza dell'io sul cervello. Ora, per la prima volta, è stata proposta l'ipotesi sul modo in cui queste influenze mentali potrebbero controllare le attività cerebrali senza infrangere le leggi di conservazione della fisica. Così alla critica materialista di Dennett, di Changeux e di Edelman viene meno la propria base scientifica. Le spiegazioni materialiste al problema mente-cervello, come la teoria dell'identità, possono essere ormai considerate prive di alcun fondamento scientifico e, persino, superstizioni durate troppo a lungo, come anche del materialismo promissorio. Tutte queste teorie sembrano ormai insostenibili. Ciascuno di noi possiede naturalmente la credenza dualista nell'interazione fra io e cervello, ma la filosofia riduzionista e materialista prevalente ne ha imposto il rigetto. Si tratta di una filosofia ingenua, eppure ha raggiunto lo status di "oggetto di fede". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg. 200]
Carlo e sgiombo, onestamente credo che potrei deludervi. In realtà non ne so molto.
So che ci sono varie teorie quantistiche della coscienza. Ero a conoscenza di quella di Penrose (ma non l'ho mai capita bene). Ho un'alta stima di Penrose, ma trovo questi tentativi di spiegare la coscienza come "speculativi" (non ho intenzione di criticare né Eccles, che mi sembra un rispettabilissimo scienziato pur non conoscendo il suo lavoro, né Carlo che sostiene questa teoria). Ritengo infatti che la meccanica quantistica stessa sia ancora da capire pienamente e quindi utilizzarla per spiegare qualcosa di estremamente complesso come la relazione mente-cervello sia un po' "temerario".
So che il fisico Tegmark ha criticato questo tipo di studi, dicendo che la decorrenza quantistica (che è però essa stessa una spiegazione un po' controversa del collasso) non permette che la meccanica quantistica si applichi nel nostro cervello. In pratica, secondo Tegmark, non ci sono le condizioni per cui si possa applicare la meccanica quantistica in quella situazione perché le interazioni tra i sistemi quantistici e l'ambiente esterno sarebbero troppo rilevanti. Però, mi pare che la stessa critica di Tegmark sia stata a sua volta criticata. Ma non ho approfondito l'argomento, mi spiace.
Se devo "dire la mia", preferisco l'idea che mente e materia interagiscono (secondo me sono distinte e quindi probabilmente sono un "dualista interazionalista"). Non ho idea di "come" interagiscono. E, onestamente, non me la sento di cercare una spiegazione di come ciò avvenga con la conoscenza scientifica odierna. Non è detto che non si possa fare, ma personalmente mi sembra azzardato provarci. Il motivo per cui ritengo che mente e materia siano distinte e che interagiscano tra loro è che credo che l'etica funzioni "bene" solo assumendo il "libero arbitrio" (so di essere "non razionale" a "credere nel libero arbitrio", ma mi sembra l'ipotesi più
ragionevole). Sgiombo, direi che abbiamo già avuto la discussione sul libero arbitrio e la conversazione è finita con un "pareggio" (abbiamo concordato di dissentire). Onestamente, sia il parallelismo (mente e materia esistono ed evolvono "in parallelo") che l'epifenomenalismo (la mente si origina dalla materia e non influisce sulla materia) mi paiono errate. Secondo me mente e materia si condizionano a vicenda e tale influenza non è né deterministica né probabilistica. Ovviamente, il mio non è un argomento "scientifico" e non spiego come tale interazione avvenga, quindi non mi vergogno assolutamente a dire che è un "mero atto di fede" (con però la precisazione che tale atto di fede secondo me è ragionevolmente basato su riflessioni sull'etica).
Ah, ultima cosa... tempo fa avevo usato il termine "mente" in modo non coincidente con quello di "coscienza". Mentre assumevo che fossero sinonimi per gli esseri senzienti, dicevo che anche i computer avessero una "mente" senza essere senzienti perché elaborano l'informazione. Mi rendo conto che ho usato un linguaggio improprio.
Precisazione Io scrivo:
CitazioneChiaramente, noi non percepiamo le cellule. Negare che esse esistano però sembra poco sensato, vero? Se la materialità fosse solo l'insieme delle nostre sensazioni, le cellule cosa sono? Una possibile soluzione è dire che, in fin dei conti, noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale. Ma, ad essere onesto, non ho mai visto alcun idealista dare una spiegazione chiara della relazione tra le nostre sensazioni "materiali" e le "parti invisibili" di esse. Se quanto ho detto ha senso, si può ancora parlare di cellule, atomi, quasars ecc senza neanche scomodare la "realtà indipendente da noi" (qui concordi anche tu...).
sgiombo scrive:CitazioneConcordo anche con la tua critica della "inseità" delle qualità secondarie, che anche per me sono altrettanto fenomeniche di quelle secondarie, anche se contrariamente a queste direttamente misurabili intersoggettivamente (indirettamente lo sono anche le secondarie: frequenza, intensità, ecc. delle onde luminose, ecc.).
Ovviamente, ciò non dice molto della realtà materiale che non è direttamente osservata da noi. Però, è anche vero che possiamo
inferire tramite l'analisi della realtà materiale osservata, l'esistenza e le caratteristiche della realtà materiale da noi non osservabile adesso. E la verifica delle nostre predizioni non è altro che una o più osservazioni sperimentali (da cui possiamo inferire l'esistenza di realtà materiali non osservabili).
Inoltre, Schopenhauer non afferma, se si fa attenzione, che l'universo materiale è "apparso" a causa del "primo occhio". Ma che, in realtà, è necessaria l'introduzione del "primo occhio" per rendere conto dell'evoluzione dell'universo. C'è una teleologia di fondo, però: la comparsa della coscienza, in pratica, è un "evento" necessario. Questo è per certi versi simile a quanto Wheeler sostiene nella sua teoria dell'universo partecipatorio.
Onestamente, ho molte perplessità anche se, dal punto di vista epistemologico, ritengo corretto che, a rigore, le nostre categorie si possono applicare solo in relazione all'esperienza. In pratica, possiamo inferire dell'esistenza della storia passata dell'universo analizzando la nostra esperienza attuale e non possiamo fare a meno di tener conto di ciò.
(In pratica siamo davanti ad una "antinomia" a livello epistemologico... così almeno interpreto anche Schopenhauer)
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Ottobre 2018, 13:07:57 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2018, 09:28:22 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Ottobre 2018, 22:25:01 PM
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2018, 21:17:04 PM
Al di là delle di molte valutazioni di Eccles contenute nella seconda citazione da cui dissento in gran parte (lo so, non é una novità), mi sembra di averne esposto (e proposto alla considerazione di Apeiron) molto fedelmente (in pochissime parole, con un efficace sforzo di sintesi e con una correttezza, malgrado i profondissimi dissensi, delle quali senza falsa modestia mi compiaccio) la tesi dualistica-interzionistica (che ribadisco di ritenere errata e falsa).
CARLO
Le opinioni personali hanno valore solo se fondate su solide osservazioni. Ma io leggo solo opinioni e costruzioni verbali astratte e macchinose, sradicate dall'esperienza psicologica umana reale.
SGIOMBO
Ma non dovresti leggere solo quanto scrivi tu...
CARLO
Io sto contrapponendo ciò che scrivi tu non con quanto scrivo io,
Grazie, lo sapevo benissimo.
Ma invece a me pare evidentissimo che le tue parole di cui sopra calzano perfettamente a te e non a me.
Citazione di: Apeiron il 06 Ottobre 2018, 18:47:42 PM
Direi che l'unico appunto che ti faccio è che io distinguo anche tra la coscienza/mente e i "contenuti mentali". Per esempio, l'emozione della rabbia, pur essendo mentale, non è "mente" ma, piuttosto, è una sua caratteristica. Prendendo un'immagine buddhista, così come si possono distinguere le fiamme in base a ciò che stanno bruciando, allo stesso modo è possibile distinguere la mente a seconda del particolare stato mentale e di ciò ci cui la mente è consapevole (per esempio, se si sta contemplando un'immagine visiva, la mente "ha come oggetto" tale immagine). In pratica, è come se la nostra mente continuasse a cambiare "forma" (in molte scuole buddhiste (forse tutte), e io tendo a concordare con ciò, vi è l'idea che vi sia una sorta di "corrente mentale". Ovvero, la mente non è qualcosa di immutabile, ma piuttosto una successione di "momenti di coscienza").
Per il resto, credo che hai capito.
CitazionePurtroppo non conosco il buddismo (ho comprato qualcosa di Pasqualotto e ho intenzione di leggerlo), ma a me sembra ovvio che la menteSg (o mente-coscienzaAp sia costituita da "contenuti" (cogitantes; mentre la materia é costituita da contenuti "extensi": entrambi essendo realtà fenomenicaAp o coscienzaSg).
CitazioneInvece non capisco in che senso lo spazio "fisico", contro Kant, non coincide necessariamente con quello "esperienziale".
Parto da qui... per la questione dello spazio esperienziale, pensa a quello visivo. Secondo te, deve avere la stessa geometria di quello (curvo) della relatività generale? personalmente non vedo questa necessità. in realtà, penso che lo spazio "esperienziale" sia una sorta di "costruzione" che viene fatta integrando le informazioni dei cinque sensi. Per Kant lo spazio "esperienziale" era Euclideo (perché, per lui, era l'unico concetto di "spazio"... personalmente, non sono nemmeno sicuro di ciò). E da qui, lui credendo che per forza lo spazio della fisica dovesse coincidere con quello dell'esperienza cosciente, ha concluso che per forza la fisica doveva lavorare con lo spazio Euclideo (su ciò, tuttavia, c'è motivo di dissenso. Alcuni, pensano che Kant non credeva in questa "necessità" della piattezza dello spazio).
CitazioneMi sembrano la stessa cosa (meramente fenomenica: "esse est percipi"!) diversamente conosciuta (più o meno fedelmente o approfonditamente).
CitazioneA me non pone problemi il realismo indiretto, per il quale la nostra conoscenza della realtà oggettiva, in sé, quale é/diviene indipendentemente dalle sensazioni coscienti che eventualmente se ne hanno, non é precisamente conoscenza diretta di essa (contro il realismo ingenuo), ma invece una sorta di "conoscenza indiretta e distorta", in quanto é propriamente conoscenza di ciò che nella nostra "realtà fenomenica-Ap" ovvero "esperienza cosciente-Sg" ad essa corrisponde.
Sai, sono un po' confuso su questa questione... a dirti il vero. Nel senso: se ci limitiamo alla nostra esperienza cos'è la realtà materiale? Sensazioni visive, uditive, tattili (in "tattili" ci inserisco anche la proprioricezione, anche se probabilmente è improprio farlo, ma concedimi questa possibile "licenza poetica" ;) ), gustative, olfattive. Chiaramente, noi non percepiamo le cellule. Negare che esse esistano però sembra poco sensato, vero? Se la materialità fosse solo l'insieme delle nostre sensazioni, le cellule cosa sono? Una possibile soluzione è dire che, in fin dei conti, noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale. Ma, ad essere onesto, non ho mai visto alcun idealista dare una spiegazione chiara della relazione tra le nostre sensazioni "materiali" e le "parti invisibili" di esse. Se quanto ho detto ha senso, Citazione da: Apeiron - Sat Oct 06 2018 18:47:42 GMT+0200 (Ora legale dell'Europa centrale)
CitazioneCitazione
CitazioneInvece non capisco in che senso lo spazio "fisico", contro Kant, non coincide necessariamente con quello "esperienziale".
Parto da qui... per la questione dello spazio esperienziale, pensa a quello visivo. Secondo te, deve avere la stessa geometria di quello (curvo) della relatività generale? personalmente non vedo questa necessità. in realtà, penso che lo spazio "esperienziale" sia una sorta di "costruzione" che viene fatta integrando le informazioni dei cinque sensi. Per Kant lo spazio "esperienziale" era Euclideo (perché, per lui, era l'unico concetto di "spazio"... personalmente, non sono nemmeno sicuro di ciò). E da qui, lui credendo che per forza lo spazio della fisica dovesse coincidere con quello dell'esperienza cosciente, ha concluso che per forza la fisica doveva lavorare con lo spazio Euclideo (su ciò, tuttavia, c'è motivo di dissenso. Alcuni, pensano che Kant non credeva in questa "necessità" della piattezza dello spazio).
CitazioneMi sembrano la stessa cosa (meramente fenomenica: "esse est percipi"!) diversamente conosciuta (più o meno fedelmente).
CitazioneA me non pone problemi il realismo indiretto, per il quale la nostra conoscenza della realtà oggettiva, in sé, quale é/diviene indipendentemente dalle sensazioni coscienti che eventualmente se ne hanno, non é precisamente conoscenza diretta di essa (contro il realismo ingenuo), ma invece una sorta di "conoscenza indiretta e distorta", in quanto é propriamente conoscenza di ciò che nella nostra "realtà fenomenica-Ap" ovvero "esperienza cosciente-Sg" ad essa corrisponde.
Sai, sono un po' confuso su questa questione... a dirti il vero. Nel senso: se ci limitiamo alla nostra esperienza cos'è la realtà materiale? Sensazioni visive, uditive, tattili (in "tattili" ci inserisco anche la proprioricezione, anche se probabilmente è improprio farlo, ma concedimi questa possibile "licenza poetica" ;) ), gustative, olfattive. Chiaramente, noi non percepiamo le cellule. Negare che esse esistano però sembra poco sensato, vero? Se la materialità fosse solo l'insieme delle nostre sensazioni, le cellule cosa sono? Una possibile soluzione è dire che, in fin dei conti, noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale. Ma, ad essere onesto, non ho mai visto alcun idealista dare una spiegazione chiara della relazione tra le nostre sensazioni "materiali" e le "parti invisibili" di esse. Se quanto ho detto ha senso, si può ancora parlare di cellule, atomi, quasars ecc senza neanche scomodare la "realtà indipendente da noi" (qui concordi anche tu...).
CitazioneSe la materia é solo l'insieme delle nostre sensazioni materiali (come infatti é), le cellule sono le nostre sensazioni materiali scientificamente conosciute (osservate per mezzo del microscopio).
Infatti (concordo) noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale.
A me (che non sono idealista) questo pare evidente, non mi pone problemi relativi alla relazione tra le nostre sensazioni materiali (senza virgolette) e le "parti invisibili" (a occhio nudo; ma o visibili attraverso il microscopio o -atomi e quanto é più piccolo degli atomi- deducibili da quanto si vede).
Se la materia é solo l'insieme delle nostre sensazioni materiali (come infatti é), le cellule sono le nostre sensazioni materiali scientificamente conosciute (osservate per mezzo del microscopio).
Infatti (concordo) noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale.
CitazioneInvece non capisco in che senso lo spazio "fisico", contro Kant, non coincide necessariamente con quello "esperienziale".
Parto da qui... per la questione dello spazio esperienziale, pensa a quello visivo. Secondo te, deve avere la stessa geometria di quello (curvo) della relatività generale? personalmente non vedo questa necessità. in realtà, penso che lo spazio "esperienziale" sia una sorta di "costruzione" che viene fatta integrando le informazioni dei cinque sensi. Per Kant lo spazio "esperienziale" era Euclideo (perché, per lui, era l'unico concetto di "spazio"... personalmente, non sono nemmeno sicuro di ciò). E da qui, lui credendo che per forza lo spazio della fisica dovesse coincidere con quello dell'esperienza cosciente, ha concluso che per forza la fisica doveva lavorare con lo spazio Euclideo (su ciò, tuttavia, c'è motivo di dissenso. Alcuni, pensano che Kant non credeva in questa "necessità" della piattezza dello spazio).
CitazioneMi sembrano la stessa cosa (meramente fenomenica: "esse est percipi"!) diversamente conosciuta (più o meno fedelmente).
CONTINUA
Citazione di: Apeiron il 06 Ottobre 2018, 18:47:42 PM
CONTINUAZIONE
Parto da qui... per la questione dello spazio esperienziale, pensa a quello visivo. Secondo te, deve avere la stessa geometria di quello (curvo) della relatività generale? personalmente non vedo questa necessità. in realtà, penso che lo spazio "esperienziale" sia una sorta di "costruzione" che viene fatta integrando le informazioni dei cinque sensi. Per Kant lo spazio "esperienziale" era Euclideo (perché, per lui, era l'unico concetto di "spazio"... personalmente, non sono nemmeno sicuro di ciò). E da qui, lui credendo che per forza lo spazio della fisica dovesse coincidere con quello dell'esperienza cosciente, ha concluso che per forza la fisica doveva lavorare con lo spazio Euclideo (su ciò, tuttavia, c'è motivo di dissenso. Alcuni, pensano che Kant non credeva in questa "necessità" della piattezza dello spazio).
CitazioneA me non pone problemi il realismo indiretto, per il quale la nostra conoscenza della realtà oggettiva, in sé, quale é/diviene indipendentemente dalle sensazioni coscienti che eventualmente se ne hanno, non é precisamente conoscenza diretta di essa (contro il realismo ingenuo), ma invece una sorta di "conoscenza indiretta e distorta", in quanto é propriamente conoscenza di ciò che nella nostra "realtà fenomenica-Ap" ovvero "esperienza cosciente-Sg" ad essa corrisponde.
Sai, sono un po' confuso su questa questione... a dirti il vero. Nel senso: se ci limitiamo alla nostra esperienza cos'è la realtà materiale? Sensazioni visive, uditive, tattili (in "tattili" ci inserisco anche la proprioricezione, anche se probabilmente è improprio farlo, ma concedimi questa possibile "licenza poetica" ;) ), gustative, olfattive. Chiaramente, noi non percepiamo le cellule. Negare che esse esistano però sembra poco sensato, vero? Se la materialità fosse solo l'insieme delle nostre sensazioni, le cellule cosa sono? Una possibile soluzione è dire che, in fin dei conti, noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale. Ma, ad essere onesto, non ho mai visto alcun idealista dare una spiegazione chiara della relazione tra le nostre sensazioni "materiali" e le "parti invisibili" di esse. Se quanto ho detto ha senso, si può ancora parlare di cellule, atomi, quasars ecc senza neanche scomodare la "realtà indipendente da noi" (qui concordi anche tu...).
Citazione
Se la materia é solo l'insieme delle nostre sensazioni materiali (come infatti é), le cellule sono le nostre sensazioni materiali scientificamente conosciute (osservate per mezzo del microscopio).
Infatti (concordo) noi sappiamo dell'esistenza delle cellule tramite l'analisi della nostra esperienza. E quindi, anche se, ovviamente, non possiamo avere la sensazione visiva, tattile ecc di una cellula, essa "compone" la materia della nostra esperienza cosciente. In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale.
A me (che non sono idealista questo pare evidente, non mi pone problemi relativi alla relazione tra le nostre sensazioni materiali (senza virgolette) e le "parti invisibili" (a occhio nudo; ma o visibili attraverso il microscopio o -atomi e quanto é più piccolo degli atomi- deducibili da quanto si vede).
E non si può, ma anzi si deve ancora parlare di cellule, atomi, quasars ecc senza neanche scomodare la "realtà indipendente da noi"
D'altro canto, però, se ammettiamo che il quasar esiste indipendentemente da noi, come possiamo dire che è parte della "materia"?
Citazione
Ma infatti il quasar non esiste indipedentemente dalla ("nostra") esperienza coscienteSg / mondofenomenicoAp.
E qui c'è il dilemma a cui mi riferivo, per citare l'Amleto di Shakespeare. In fin dei conti, Kant ci dice che le nostre categorie si applicano nella nostra esperienza e non possiamo usarle "fuori" da essa (Kant usa l'immagine dell'isola. Il mondo fenomenico è come l'isola in cui possiamo usare le categorie e le intuizioni. il noumeno è il misterioso oceano.
Citazione
Metafora che trovo non calzante e fuorviante: fra isola e oceano inesplorato c' é continuità, come fra oggetti macroscopici e direttamente osservati e oggetti dedotti dalle osservazioni dirette(sono fenomeni entrambi), mentre fra fenomeni e noumeno no.
Ovviamente, come tutte le analogie è piuttosto limitata!).Ergo, per Kant, parlare del "quasar in sé" indipendente da tutte le coscienze è problematico. Lo vedi il dilemma?
Citazione
No: secondo me se Kant vivesse oggi non parlerebbe di "quasar in sé" indipendente da tutte le coscienze, ma di "quasar fenomenico intersoggettivo".
Siamo tentati di uscire dalla nostra esperienza, eppure a rigore non possiamo. Possiamo al massimo parlare di realtà inter-soggettiva, ma non possiamo parlare della realtà indipendente da tutte le coscienze.
CitazioneIn perfetta concordanza col Kant della Critica della ragion pura (circa la realtà materiale).
Filosoficamente, condivido. Non è una posizione relativista, per come il termine è inteso nella nostra cultura occidentale, perché non implica l'assenza di verità condivise e inter-soggettive. In un senso però è relativista perché dice che, in pratica, non possiamo "uscire" dalle nostre menti e non possiamo fare "affermazioni" sulla "realtà esterna" (non a caso, ogni affermazione che facciamo su tale realtà segue le nostre categorie, no? Parliamo di particelle che si muovono nello spazio, no? Del "divenire temporale", "il flusso del tempo" indipendente da noi, no?). Per questo Kant asseriva che il noumeno è totalmente inconoscibile. A rigore, è improprio parlarne in termini di causalità, tempo, spazio ecc.
Citazione
Esatto.
Ma non ci colgo alcunché di problematico. Nè di "relativistico, data l' intersoggettività della materia (fenomenica).
Però, in fin dei conti, la scienza ci suggerisce che, per esempio, il Big Bang sia avvenuto 14 miliardi di anni fa e "a quel tempo" non c'erano coscienze.
Citazione
Personalmente non accetto questo "suggerimento".
Schopenhauer afferma: "Imperocché «nessun oggetto senza soggetto» è il principio, che rende per sempre impossibile ogni materialismo. Sole e pianeti, senza un occhio che li veda e un intelletto che li conosca, si possono bensì esprimere a parole: ma queste parole sono per la rappresentazione un sideroxylon. È vero d'altra parte che la legge di causalità e l'osservazione e la ricerca della natura, che su quella si fonda, ci conducono necessariamente alla certezza che ogni più perfetto stato organico della materia ha seguito nel tempo uno stato più grossolano: che cioè gli animali sono comparsi prima degli uomini, i pesci prima degli animali terrestri, le piante anche prima dei pesci, la materia inorganica prima della organica; che quindi la materia primitiva ha dovuto traversare una lunga serie di modificazioni, innanzi che il primo occhio si aprisse.E tuttavia l'esistenza del mondo intero rimane sempre dipendente da questo primo occhio che si è aperto – fosse pure stato l'occhio di un insetto – come dall'indispensabile intermediario della conoscenza, per la quale e nella quale esclusivamente il mondo esiste, e senza la quale esso non può nemmeno essere pensato: perché il mondo è semplicemente rappresentazione; e tale essendo, abbisogna del soggetto conoscente come fondamento della sua esistenza. Anzi, quella medesima lunga successione di tempi, riempita da innumerevoli trasformazioni, attraverso cui la materia si elevò di forma in forma fino all'avvento del primo animale conoscente, può esser pensata soltanto nell'identità di una coscienza: di cui essa costituisce la serie delle rappresentazioni e la forma della conoscenza. Senza quest'identità, tale successione perde ogni senso e non è più nulla. Così vediamo da un lato l'esistenza del mondo intero dipendere di necessità dal primo essere conoscente, per quanto sia quest'ultimo ancora imperfetto; e dall'altro lato con la stessa necessità questo primo animale conoscente dipendere in tutto e per tutto da una lunga catena anteriore di cause e di effetti, alla quale esso viene ad aggiungersi come un piccolo anello" (Schopenhauer, Mondo Come Volontà e Rappresentazione)
Paradossale, no?
CitazioneMi sembra alquanto ovvio (salvo l' affermazione , dalla quale, con Hume, dissento dall' affermazione che poiché "il mondo è semplicemente rappresentazione" [verissimo fin qui, secondo me]; e tale essendo, abbisogna del soggetto conoscente come fondamento della sua esistenza [lo nego: non ne ha necessariamente bisogno ma potrebbe anche darsi -anche se per fede non lo credo- rappresentazione senza soggetto e senza oggetto]").
Eppure...eppure... se la materia fosse slegata completamente dalla mente, come potrebbe la nostra mente conoscerla?
Citazione
Ma la materia (mi era sembrato che concordassi!), contrariamente al noumeno o cose in sé, lungi dall' essere "slegata completamente (non dalla menteAp ma) dal mondo fenomenicoAp / cosicenzaSg ne é parte integrante e nient' altro che parte integrante: "esse est percipi"!
Stranamente, le osservazioni di Kant e Schopenhauer mi sembrano "giuste". In fin dei conti, noi concepiamo le cose sempre da un certo punto di vista. Ma come è la realtà indipendente da ogni punto di vista?!? Ah, si può porre sensatamente una tale realtà "indipendente da tutti"? I nostri concetti possono veramente applicarsi ad essa? Tu dici sì. Io non ne sarei, se voglio essere onesto, così sicuro (almeno se voglio restare in ambito filosofico. Chiaramente, posso dire che il paradosso di Schopenhauer si risolve se ci sono altre coscienze inosservabili, per cui l'universo diventa un oggetto ecc ecc).
Citazione
Infatti, cosa indimostrabile né tantomeno (per definizione) mostrabile, ma non impossibile (la credo per fede).
Però l' universo (materiale) non diventa un oggetto (di sensazione: noumeno!), ma soltanto fenomeni intersoggettivi.
Si dice che Kant abbia postulato il noumeno come "concetto limite". Tale "concetto limite" non punterebbe ad "una realtà esterna".
Citazione
Dissento completamente da questa valutazione (per quel che credo -senza troppa certezza- di sapere di Kant.
Comunque per parte mia dissento "abissalmente" da questa accezione di "noumeno"!
Ma sulla "realtà indipendente da ogni punto di vista" non si può dire niente. Anzi, è paradossale pure parlarne. Schopenhauer ha erroneamente identificato tale noumeno con la Volontà.
Citazione
A me sembra molto ragionevole farne le considerazioni che propongo a scopo esplicativo della realtà fenomenica cosciente.
Su Berkeley, ok. Non sembra così diverso da quanto dice Schopenhauer nella citazione sopra, d'altronde.
Citazione
Concordo.
Infatti concordavo con la tua affermazione che "Infine, credo che per Berkeley la conoscenza scientifica possa essere vista come una "corretta interpretazione" o, meglio, di un'approssimata descrizione di "ciò che è percepito" (vedi quanto scritto qui sopra sulal conoscenza dei quasar, cellule, atomi, ecc.).
E sulla limitazione della conoscenza... Direi che possiamo dire che, notando come la scienza non ha trovato tutti i "segreti" della realtà fenomenica, direi che non abbiamo nemmeno la conoscenza della realtà fenomenica ;)
Citazione
Pure qui concordo: non una conoscenza completa, "perfetta".
Citazione di: Apeiron il 06 Ottobre 2018, 19:07:49 PM
Se devo "dire la mia", preferisco l'idea che mente e materia interagiscono (secondo me sono distinte e quindi probabilmente sono un "dualista interazionalista"). Non ho idea di "come" interagiscono. E, onestamente, non me la sento di cercare una spiegazione di come ciò avvenga con la conoscenza scientifica odierna. Non è detto che non si possa fare, ma personalmente mi sembra azzardato provarci. Il motivo per cui ritengo che mente e materia siano distinte e che interagiscano tra loro è che credo che l'etica funzioni "bene" solo assumendo il "libero arbitrio" (so di essere "non razionale" a "credere nel libero arbitrio", ma mi sembra l'ipotesi più ragionevole). Sgiombo, direi che abbiamo già avuto la discussione sul libero arbitrio e la conversazione è finita con un "pareggio" (abbiamo concordato di dissentire). Onestamente, sia il parallelismo (mente e materia esistono ed evolvono "in parallelo") che l'epifenomenalismo (la mente si origina dalla materia e non influisce sulla materia) mi paiono errate. Secondo me mente e materia si condizionano a vicenda e tale influenza non è né deterministica né probabilistica. Ovviamente, il mio non è un argomento "scientifico" e non spiego come tale interazione avvenga, quindi non mi vergogno assolutamente a dire che è un "mero atto di fede" (con però la precisazione che tale atto di fede secondo me è ragionevolmente basato su riflessioni sull'etica).
CitazioneConcordo sui disaccordi, salvo precisare (ribadire) che invece secondo me é il libero arbitrio a essere inconciliabile con (impedire la fondazione de-) l' etica, la quale necessita del determinismo (almeno in un' accezione "debole", probabilistico-statistico).
Citazione di: Apeiron il 06 Ottobre 2018, 18:47:42 PM
Ciao Carlo:
CitazioneNon proprio. Il Tao è il Principio trascendente di cui materia e spirito rappresentano le polarità immanenti. In altre parole, l'alternativa a "materialismo" e "idealismo" è la complementarità di materia e spirito nell'unità superiore del Principio primo.
Quindi, non: <<né mente né materia>>, ma: <<sia mente che materia>>.
APEIRON
Mmm, ammetto che ho letto solo il Tao te Ching e lo Zuanghzi (neanche tutto quest'ultimo) ma non mi pare che il Tao sia identificato con la coppia complementare yin-yang. Non dico che che la complementarietà sia estranea al Taoismo (direi ovviamente una falsità) ma il Tao mi sembra descritto come "qualcosa" di indescrivibile. Capitolo 1:
"Il Tao che può essere detto
non è l'eterno Tao,
il nome che può essere nominato
non è l'eterno nome.
Senza nome è il principio
del Cielo e della Terra,
quando ha nome è la madre
delle diecimila creature.
...
CARLOSe fosse assolutamente indescrivibile non sarebbe stato chiamato né "Tao", né "principio del Cielo e della Terra", né "madre delle diecimila creature". Evidentemente si tratta dell'Uno trascendente da cui discende sia il Cielo-Yin (lo Spirito), sia la Terra-Yang (la Materia), ma che non può identificarsi né col Cielo né con la Terra presi in sé separatamente, ma solo con l'unità (inosservabile) verso cui entrambi convergono complementarmente.La stessa intuizione è espressa anche nella filosofia occidentale dalla tradizione alchemica:"L'essere degli esseri è unico. Generando, si separa in due principi". [J. BÖHME: Dell'impronta delle cose - pg.214]...da Nicola Cusano:"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua". [N. CUSANO: De visione Dei]...da Eraclito:"Per Eraclito, questa connessione dialettica che produce armonia mediante opposizione non è un modo tra i tanti con cui opera la Natura, ma è il modo fondamentale con cui essa si dispiega producendo cose ed eventi (...). Analogamente, per i taoisti, il nesso tra Yin e Yang non è un nesso tra gli altri, non è uno dei tanti rapporti tra opposti, ma è il prototipo di ogni rapporto oppositivo, anzi, l'unico nesso in grado di spiegare la costituzione delle cose e la formazione degli eventi. (...) Lo Yin e lo Yang si riflettono, si sovrappongono, si regolano l'un l'altro, (...) Regolano reciprocamente l'ordine del loro susseguirsi, inducono reciprocamente il volversi dei loro turni (...) secondo la modalità dell'alternanza (...), secondo la modalità della complementarità (...) e della continuità". [G. PASQUALOTTO: Il Tao della filosofia - pp. 31-32]Per altre convergenze su questa stessa idea generale, puoi leggere i primi tre post del thread: "Perché un Principio universale?":https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-un-principio-universale/CitazioneCit. CARLO
Il platonismo (Filone, Plotino, Dionigi l'Aeropagita, Agostino, Boezio, ecc.) identifica il Demiurgo platonico con il Logos o Verbo divino, comprendente le "forme", cioè i modelli eterni (metafisici) del reale, gli archetipi del creato.
APEIRONOk, grazie. Ma personalmente non vedo tale equazione così esplicita negli scritti di Platone. Si dice solo che le anime possono conoscere le Forme, così come gli occhi possono vedere gli oggetti luminosi. Inoltre, la Forma del Bene è vista come l'origine di tutto, il "Sole" dell'esistenza.CARLOAppunto. Gli archetipi visti nel loro insieme come "Bene" originario.APEIRONNel Parmenide si dice che non è né "essere" né "non essere". E mi pare che la cosa venga detta per l'Uno anche da Plotino. Anche in tal caso, l'Uno mi sembra essere né mente né materia, ma la loro causa. D'altro canto, è vero che in Plotino subito dopo l'Uno, c'è la Nous.CARLOBeh, quando si tratta di dare uno "statuto" filosofico al Principio (trascendente) non si può farlo se non ricorrendo a paradossi, cioè, a coppie di significati opposti. Per questo si chiama anche "Principio degli opposti". CitazioneCit. CARLO
Tommaso non identifica l'anima con il corpo, ma la considera la "forma" del corpo, cioè il suo archetipo. Mortale il primo, eterno il secondo.
APEIRONInfatti, non ho detto che i due sono identici. Ma che per Tommaso ci sono entrambi. E che l'essere umano è "fatto" sia di mente che di materia (corpo). In realtà, non sono sicuro della relazione tra mente ed anima. Da quanto scrivi sembra che non coincidano.CARLOIn una accezione generale "mente", "anima", "psiche" sono essenzialmente sinonimi, sebbene "anima" meglio si addica all'aspetto più intimo e spirituale della psiche, e "mente" all'aspetto per così dire "mondano"CitazioneCit. CARLO
Le conoscenze scientifiche non ci dicono assolutamente nulla sull'origine della vita, né della coscienza.
APEIRONPosso concordare che siamo ancora distanti da capire come si siano originate la vita e la coscienza (e forse non lo capiremo neanche nel futuro...) ma non è un po' troppo dire così? (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) voglio dire: le nostre attuali conoscenze scientifiche ci dicono che la Terra esiste da 4,5 miliardi di anni e che la vita biologica è iniziata circa 4 miliardi di anni fa. La vita senziente da meno tempo, direi. Magari prima del Big Bang c'erano forme di vita senziente. Ma, diciamo, 13 miliardi di anni fa è praticamente sicuro che non c'era da nessuna parte vita biologica. A meno che non si creda in "altri reami di esistenza" non rilevabili, difficilmente si può negare che in questo universo la coscienza e la vita siano nate dopo. (Escludendo, ovviamente una o più eventuali "coscienze trascendenti").CARLOMolte concezioni religiose della nostra tradizione affermano la presenza di uno "spirito dormiente" persino nella pietra, cioè, nella materia non biologica. E nessuno può dire se la loro intuizione è autentica oppure illusoria.
Rispondo a
@sgiombo:CitazionePurtroppo non conosco il buddismo (ho comprato qualcosa di Pasqualotto e ho intenzione di leggerlo), ma a me sembra ovvio che la menteSg (o mente-coscienzaAp sia costituita da "contenuti" (cogitantes; mentre la materia é costituita da contenuti "extensi": entrambi essendo realtà fenomenicaAp o coscienzaSg).
Capisco cosa intendi, però l'unica precisazione che volevo fare è separare la "qualità" del
conoscere da quella dei contenuti mentali. Per esempio, se pensi al numero "2", c'è la consapevolezza ("coscienza") del numero 2 ("contenuto mentale che è oggetto della consapevolezza"). In pratica terrei separata "la consapevolezza" dal suo oggetto (anche se, in realtà, la consapevolezza ha un oggetto). Riguardo a Pasqualotto, mi pare (a memoria) che al Sari piaccia. Se piace al Sari, dovrebbe essere una buona lettura :)
CitazioneMi sembrano la stessa cosa (meramente fenomenica: "esse est percipi"!) diversamente conosciuta (più o meno fedelmente o approfonditamente).
Nuovamente, capisco il tuo punto di vista, però... pensa alla prospettiva. La prospettiva è certamente una proprietà dello spazio visivo. Però, non è una proprietà di quello studiato dalla fisica.
CitazioneSe la materia é solo l'insieme delle nostre sensazioni materiali (come infatti é), le cellule sono le nostre sensazioni materiali scientificamente conosciute (osservate per mezzo del microscopio)... In pratica, la scienza diviene la corretta interpretazione della realtà fenomenica materiale.
...
Se la materia é solo l'insieme delle nostre sensazioni materiali (come infatti é), le cellule sono le nostre sensazioni materiali scientificamente conosciute (osservate per mezzo del microscopio).
...
E non si può, ma anzi si deve ancora parlare di cellule, atomi, quasars ecc senza neanche scomodare la "realtà indipendente da noi"
Ok! :) sono d'accordo!...
Concordo fino a:
APEIRON
Però, in fin dei conti, la scienza ci suggerisce che, per esempio, il Big Bang sia avvenuto 14 miliardi di anni fa e "a quel tempo" non c'erano coscienze.Citazione SGIOMBOCitazionePersonalmente non accetto questo "suggerimento".
Potresti chiarire qui?
CitazioneMi sembra alquanto ovvio (salvo l' affermazione , dalla quale, con Hume, dissento dall' affermazione che poiché "il mondo è semplicemente rappresentazione" [verissimo fin qui, secondo me]; e tale essendo, abbisogna del soggetto conoscente come fondamento della sua esistenza [lo nego: non ne ha necessariamente bisogno ma potrebbe anche darsi -anche se per fede non lo credo- rappresentazione senza soggetto e senza oggetto]").
Schopenhauer dice che la rappresentazione è sempre riferita ad un soggetto/i. Ergo, la rappresentazione necessita sia dell'oggetto sia del soggetto. Non capisco perché dici che ci può essere una rappresentazione senza né oggetto né soggetto (che senso ha chiamarla "rappresentazione" :) ?).
CitazioneMa la materia (mi era sembrato che concordassi!)...
Hai ragione, mi sono confuso (mi sono confuso anche in un altro punto, vedi dopo) ;D
CitazioneDissento completamente da questa valutazione (per quel che credo -senza troppa certezza- di sapere di Kant.
Comunque per parte mia dissento "abissalmente" da questa accezione di "noumeno"!
Invece a me, onestamente, non dispiace. Se la nostra conoscenza si limita al fenomeno, i modelli che ci facciamo del
noumeno sono semplici "ipostatizazzioni". Non sono il noumeno. Wittgenstein direbbe "
Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere" (Tractatus proposizione 7). Io userei un "dovrebbe" ma concordo con lo "spirito" della frase :)
Poi ovviamente tale interpretazione può essere anche intesa come una
negazione del noumeno. Dire che il "noumeno" non c'è, però, è ancora un'altra ipostatizzazione.
CitazioneA me sembra molto ragionevole farne [Apeiron: sul nuomeno] le considerazioni che propongo a scopo esplicativo della realtà fenomenica cosciente.
Qui c'è un altro dilemma secondo me. Ne avevamo già discusso e non eravamo giunti ad una conclusione comune. Nel senso che, in realtà, tu sostieni che tra noumeno e fenomeni c'è una corrispondenza biunivoca (in modo molto simile a quanto pensava anche Spinoza). Secondo me, invece, una tale affermazione è problematica.
Se accettiamo che tempo, causalità ecc si possono riferire ai fenomeni, il noumeno deve essere "fuori" dal tempo dalla causalità ecc. Non a caso, la Volontà di Schopenhauer era a-temporale e a-causale (e quindi anche priva di teleologia). Non a caso, per Schopenhauer, la Volontà
non è causa dei fenomeni. Personalmente, la posizione di Schopenhauer mi sembra errata visto che, ironicamente, la "Volontà" è qualcosa di ben comprensibile. In pratica, ha ipostatizzato il noumeno (che però non dovrebbe essere ipostatizzato, essendo inconoscibile).
Ma, ahimè, ho l'impressione che finiamo a trovarci in dissenso un'altra volta se iniziamo a discuterne ;D
CitazioneCitazioneInfatti concordavo con la tua affermazione che "Infine, credo che per Berkeley la conoscenza scientifica possa essere vista come una "corretta interpretazione" o, meglio, di un'approssimata descrizione di "ciò che è percepito" (vedi quanto scritto qui sopra sulal conoscenza dei quasar, cellule, atomi, ecc.).
Qui invece farei una precisazione... Berkeley introduce una causa ontologica dei fenomeni. Schopenhauer e Kant no. Per loro, si andava fuori dall'ambito di validità del principio di causa. Infatti la causalità si applica ai fenomeni. Chiedersi "cosa
causa i fenomeni?" è andare fuori dall'ambito di validità.
Per questo motivo a differenza di Berkeley, il problema di cosa succede quando tutti dormono non si pone (ho un po' esagerato a dire che le posizioni sono "simili". Presentano analogie, ma dire che sono "simili" può essere fuorviante). [Su questo mi ero un po' confuso ;) ]
Rispondo a
Carlo,CitazioneSe fosse assolutamente indescrivibile non sarebbe stato chiamato né "Tao", né "principio del Cielo e della Terra", né "madre delle diecimila creature". Evidentemente si tratta dell'Uno trascendente da cui discende sia il Cielo-Yin (lo Spirito), sia la Terra-Yang (la Materia), ma che non può identificarsi né col Cielo né con la Terra presi in sé separatamente, ma solo con l'unità (inosservabile) verso cui entrambi convergono complementarmente....
Anzitutto ti ringrazio per le citazioni. Molto interessante :)
Ma secondo me il Tao è
completamente indescrivibile. Qualsiasi concetto che ti fai sul Tao, "non è l'eterno Tao" (ovvero, per usare un'espressione usata nella risposta a spiombo: ogni ipostatizzazione del Tao non è il Tao). Questo non significa dire che è "completamente inconoscibile" (qui hai ragione) ma darne una spiegazione concettuale è impossibile. Anche "l'archetipo degli archetipi", "l'archetipo delle coppie" ecc sono tutte descrizioni concettuali, Tao che possono essere "detti", nominati. Ma, l'eterno Tao è "oltre". Non ha caratteristiche. Senza attributi. Quindi, in realtà, nemmeno una "Unità". Non a caso, il capitolo 42 dice che l'Uno segue il Tao.
Secondo me "contemplare l'arcano" significa proprio questo. Abbandonare tutte le descrizioni concettuali. Lasciar andare tutti i concetti. Apprezzare il "mistero del mistero". Se si può spiegare, allora non è più un vero "mistero"... Ma è un "qualcosa" completamente "indistinto" come dice il capitolo 14. Solo quando arrivi all'assenza di concettualizzazioni, puoi vedere la comprensione dove "non ci sono cose" (come dice la citazione del Capitolo 2 dello Zhaungzi).
Secondo me il punto del Taoismo non è trovare una spiegazione concettuale. Ma, usare i concetti per andare "oltre" essi.
Un po' come il dito e la Luna dello Zen e la scala di Wittgenstein e il successivo Silenzio ("Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere")...
Ma mi sembra che un po' di tempo fa avevamo fatto una discussione simile in cui dicevi che lo spirito orientale di "abbandonare" i concetti non ti convinceva (spero di non ricordarmi male...). Onestamente, a me affascina. Mi dà l'idea di "qualcosa più grande", di un mistero da contemplare. E tale approccio è anche simile all'apofatismo occidentale (che tra l'altro è basato anche sul platonismo). In pratica, si arriva a "rinunciare" ai concetti non per un "rifiuto di conoscere". Si "trascendono" i concetti, per così dire.
CitazioneAPEIRON
Ok, grazie. Ma personalmente non vedo tale equazione così esplicita negli scritti di Platone. Si dice solo che le anime possono conoscere le Forme, così come gli occhi possono vedere gli oggetti luminosi. Inoltre, la Forma del Bene è vista come l'origine di tutto, il "Sole" dell'esistenza.
CARLO
Appunto. Gli archetipi visti nel loro insieme come "Bene" originario.
Penso che concordiamo sulla Forma del Bene, ma forse qui usiamo due linguaggi diversi. Direi che essi sono l'"emanazione" della Forma del Bene.
CitazioneCARLO
Beh, quando si tratta di dare uno "statuto" filosofico al Principio (trascendente) non si può farlo se non ricorrendo a paradossi, cioè, a coppie di significati opposti. Per questo si chiama anche "Principio degli opposti".
Come prima, non sono sicuro se siamo d'accordo o no ;D per me nel neo-Platonismo gli opposti vengono "trascesi" quando si "sale di livello" nella scala ontologica. Nel senso: se "essere" e "non essere" sono la coppia di opposti, l'Uno è
oltre essi.
CitazioneIn una accezione generale "mente", "anima", "psiche" sono essenzialmente sinonimi, sebbene "anima" meglio si addica all'aspetto più intimo e spirituale della psiche, e "mente" all'aspetto per così dire "mondano"
Ok.
CitazioneCARLO
Molte concezioni religiose della nostra tradizione affermano la presenza di uno "spirito dormiente" persino nella pietra, cioè, nella materia non biologica. E nessuno può dire se la loro intuizione è autentica oppure illusoria.
Capisco. Accetti il "panpsichismo" (o una posizione simile, quindi).
Ad ogni modo, ho pensato che ti potrebbe piacere il concetto di "interpenetrazione" presente in particolare nel Buddhismo dell'Asia Orientale (non sono un grande esperto, ma se cerchi dovresti trovare qualcosa di interessante da fonti più attendibili di me ;D ).
Ah, so che a te non piace molto Kant (anche se, secondo me, per certi versi potresti trovare il "principio di complementarietà" anche lì) ma potrebbe piacerti l'idealismo trascendentale (magari "modificandolo" un po'...).
(Forse però stiamo andando "off topic"... come mi succede spesso :( )
Citazione di: Apeiron il 07 Ottobre 2018, 19:49:54 PMRispondo a @sgiombo:
Riguardo a Pasqualotto, mi pare (a memoria) che al Sari piaccia. Se piace al Sari, dovrebbe essere una buona lettura :)
CitazioneInfatti me l' ha proprio consigliato lui (una garanzia!).
CitazioneMi sembrano la stessa cosa (meramente fenomenica: "esse est percipi"!) diversamente conosciuta (più o meno fedelmente o approfonditamente).
Nuovamente, capisco il tuo punto di vista, però... pensa alla prospettiva. La prospettiva è certamente una proprietà dello spazio visivo. Però, non è una proprietà di quello studiato dalla fisica.
CitazioneVeramente non vedo contraddizioni.
E lo studio della prospettiva (per esempio da parte dei pittori del rinascimento) mi sembra artigianato (ma invero quasi sempre, "di regola", arte!), cioé tecnica spicciola, scienza, per quanto elementare, applicata.
APEIRON
Però, in fin dei conti, la scienza ci suggerisce che, per esempio, il Big Bang sia avvenuto 14 miliardi di anni fa e "a quel tempo" non c'erano coscienze.
Citazione SGIOMBO
CitazionePersonalmente non accetto questo "suggerimento".
Potresti chiarire qui?
CitazioneBeh, pur non essendo un "addetto ai lavori professionale", ho sempre cercato di considerare con senso critico quanto mi capita di leggere (divulgazione, ovviamente, data la premessa, ma quasi sempre da parte di "autorità in materia" come Hawking, Hack, Green, Rees) le teorie del "B.b" (molteplici, corredate di sempre nuovi "epicicli tolemaici" ad ogni osservazione che non quadrava), che non mi hanno mai convinto (sarebbe troppo lungo spiegare...).
Un po' come ho sempre fatto anche a proposito della meccanica quantistica, sulla quale fino a una quindicina di anni fa mi sembra che fra glia addetti ai lavori (mi risulta che nella divulgazione sia ancora così) vi fosse un consenso "bulgaro" verso l' interpretazione di Copenhagen, mentre più di recente sono stato confortato dal leggere che qualcosa si sta muovendo verso le interpretazioni "deterministiche ontologiche - indeterministiche epistemiche" (sempre esistite ma quasi ridicolizzate o presentate come "eccentricità di scienziati anticonformisti a tutti i costi" o, nel caso di Einstein, semirincoglioniti dalla vecchiaia o almeno nostalgicamente attaccati ai paradigmi prevalenti nella loro ripianta gioventù: proprio lui, SIC!)
CitazioneMi sembra alquanto ovvio (salvo l' affermazione , dalla quale, con Hume, dissento dall' affermazione che poiché "il mondo è semplicemente rappresentazione" [verissimo fin qui, secondo me]; e tale essendo, abbisogna del soggetto conoscente come fondamento della sua esistenza [lo nego: non ne ha necessariamente bisogno ma potrebbe anche darsi -anche se per fede non lo credo- rappresentazione senza soggetto e senza oggetto]").
Schopenhauer dice che la rappresentazione è sempre riferita ad un soggetto/i. Ergo, la rappresentazione necessita sia dell'oggetto sia del soggetto. Non capisco perché dici che ci può essere una rappresentazione senza né oggetto né soggetto (che senso ha chiamarla "rappresentazione" :) ?).
CitazioneIl mio grandissimo, amatissimo Hume a mio parere spinge alle estreme conseguenza la critica razionale e lo scetticismo metodico cartesiani arrivando alla conclusione che potrebbero benissimo essere reali solo le sensazioni, i fenomeni, senza alcunché d' altro (soggetto, "io personale" e oggetti:) infatti non é contraddittorio ipotizzarlo.
Di esistere come soggetto della mia coscienza ovviamente lo credo, ma per fede. come per fede nego il solipsismo e credo nel divenire ordinato in concatenazioni causa-effetto della realtà materiale naturale (fenomenica: "esse est percicpi"!).
CitazioneDissento completamente da questa valutazione (per quel che credo -senza troppa certezza- di sapere di Kant.
Comunque per parte mia dissento "abissalmente" da questa accezione di "noumeno"!
Invece a me, onestamente, non dispiace. Se la nostra conoscenza si limita al fenomeno, i modelli che ci facciamo del noumeno sono semplici "ipostatizazzioni". Non sono il noumeno. Wittgenstein direbbe "Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere" (Tractatus proposizione 7). Io userei un "dovrebbe" ma concordo con lo "spirito" della frase :)
Poi ovviamente tale interpretazione può essere anche intesa come una negazione del noumeno. Dire che il "noumeno" non c'è, però, è ancora un'altra ipostatizzazione.
CitazioneConcordo che il noumeno potrebbe anche essere "nulla", non esistere.
Le mie (e di Kant -si parva licet- e altri) sono secondo me interessantissime ipotesi, che spiegano molte cose.
Non concordo con Wittgenstaein (che peraltro in vecchiaia ha parlato non poco di cose di dubbia "parlabilità"): per me su ciò di cui non si può parlare con certezza é più che lecito fare ipotesi coerenti e sensate (essendo ben consapevoli della loro natura dubbia).
CitazioneA me sembra molto ragionevole farne [Apeiron: sul nuomeno] le considerazioni che propongo a scopo esplicativo della realtà fenomenica cosciente.
Qui c'è un altro dilemma secondo me. Ne avevamo già discusso e non eravamo giunti ad una conclusione comune. Nel senso che, in realtà, tu sostieni che tra noumeno e fenomeni c'è una corrispondenza biunivoca (in modo molto simile a quanto pensava anche Spinoza). Secondo me, invece, una tale affermazione è problematica.
Se accettiamo che tempo, causalità ecc si possono riferire ai fenomeni, il noumeno deve essere "fuori" dal tempo dalla causalità ecc. Non a caso, la Volontà di Schopenhauer era a-temporale e a-causale (e quindi anche priva di teleologia). Non a caso, per Schopenhauer, la Volontà non è causa dei fenomeni. Personalmente, la posizione di Schopenhauer mi sembra errata visto che, ironicamente, la "Volontà" è qualcosa di ben comprensibile. In pratica, ha ipostatizzato il noumeno (che però non dovrebbe essere ipostatizzato, essendo inconoscibile).
Ma, ahimè, ho l'impressione che finiamo a trovarci in dissenso un'altra volta se iniziamo a discuterne ;D
CitazioneD' accordo nel non approfondire ulteriormente dissensi difficilissimamente sanabili.
Accenno sol al fatto che circa il tempo non vedo alcun problema, mentre sulla causalità ti ripeto che per me in senso stretto é applicabile solo alla materia (fenomenica!), mentre postulo indimostrabilmente (ma indimostrabile =/= inconoscibile e ancor più =/= non ipotizzabile, nella consapevolezza del sua carattere dubbio) un semplice "divenire di pari passo" fra fenomeni e noumeno (e fra fenomeni cerebrali e fenomeni mentaliSg ovvero di pensiero).
Citazione
CitazioneInfatti concordavo con la tua affermazione che "Infine, credo che per Berkeley la conoscenza scientifica possa essere vista come una "corretta interpretazione" o, meglio, di un'approssimata descrizione di "ciò che è percepito" (vedi quanto scritto qui sopra sulal conoscenza dei quasar, cellule, atomi, ecc.).
Qui invece farei una precisazione... Berkeley introduce una causa ontologica dei fenomeni. Schopenhauer e Kant no. Per loro, si andava fuori dall'ambito di validità del principio di causa. Infatti la causalità si applica ai fenomeni. Chiedersi "cosa causa i fenomeni?" è andare fuori dall'ambito di validità.
Per questo motivo a differenza di Berkeley, il problema di cosa succede quando tutti dormono non si pone (ho un po' esagerato a dire che le posizioni sono "simili". Presentano analogie, ma dire che sono "simili" può essere fuorviante). [Su questo mi ero un po' confuso ;) ]
CitazioneSulla negazione della causalità (in senso stretto) fra noumeno e fenomeni ho già accennato la mia convinzione, coincidente con quanto affermi di Kant e di Schopenauer).
Ma il Dio di Berkeley mi sembra almeno altrettanto ontologico (metafisico) del noumeno kantiano (che la Critica della ragion pratica afferma comprendere anche Dio)
Cit. CARLOSe fosse assolutamente indescrivibile non sarebbe stato chiamato né "Tao", né "principio del Cielo e della Terra", né "madre delle diecimila creature". Evidentemente si tratta dell'Uno trascendente da cui discende sia il Cielo-Yin (lo Spirito), sia la Terra-Yang (la Materia), ma che non può identificarsi né col Cielo né con la Terra presi in sé separatamente, ma solo con l'unità (inosservabile) verso cui entrambi convergono complementarmente....APEIRONAnzitutto ti ringrazio per le citazioni. Molto interessante :) Ma secondo me il Tao è completamente indescrivibile. Qualsiasi concetto che ti fai sul Tao, "non è l'eterno Tao" (ovvero, per usare un'espressione usata nella risposta a spiombo: ogni ipostatizzazione del Tao non è il Tao). Questo non significa dire che è "completamente inconoscibile" (qui hai ragione) ma darne una spiegazione concettuale è impossibile. Anche "l'archetipo degli archetipi", "l'archetipo delle coppie" ecc sono tutte descrizioni concettuali, Tao che possono essere "detti", nominati. Ma, l'eterno Tao è "oltre". Non ha caratteristiche. Senza attributi. Quindi, in realtà, nemmeno una "Unità". Non a caso, il capitolo 42 dice che l'Uno segue il Tao. Secondo me "contemplare l'arcano" significa proprio questo. Abbandonare tutte le descrizioni concettuali. Lasciar andare tutti i concetti. Apprezzare il "mistero del mistero". Se si può spiegare, allora non è più un vero "mistero"... Ma è un "qualcosa" completamente "indistinto" come dice il capitolo 14. Solo quando arrivi all'assenza di concettualizzazioni, puoi vedere la comprensione dove "non ci sono cose" (come dice la citazione del Capitolo 2 dello Zhaungzi).Secondo me il punto del Taoismo non è trovare una spiegazione concettuale. Ma, usare i concetti per andare "oltre" essi. Un po' come il dito e la Luna dello Zen e la scala di Wittgenstein e il successivo Silenzio ("Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere")...Ma mi sembra che un po' di tempo fa avevamo fatto una discussione simile in cui dicevi che lo spirito orientale di "abbandonare" i concetti non ti convinceva (spero di non ricordarmi male...). Onestamente, a me affascina. Mi dà l'idea di "qualcosa più grande", di un mistero da contemplare. E tale approccio è anche simile all'apofatismo occidentale (che tra l'altro è basato anche sul platonismo). In pratica, si arriva a "rinunciare" ai concetti non per un "rifiuto di conoscere". Si "trascendono" i concetti, per così dire.CARLOSe il Tao - o Dio - è Principio o Legge del mondo, il mondo stesso sarà "fatto a immagine e somiglianza" del Principio, cosicché attraverso la conoscenza del mondo sarà virtualmente possibile risalire alla conoscenza del Principio. Come lo Yin è analogia dello Yang, ciascuna delle "diecimila creature" sarà analogia del Tao.Questa è anche l'idea di Tommaso nel suo concetto di "analogia entis", secondo la quale l'essere di Dio e l'essere delle creature non sono identici, ma nemmeno radicalmente diversi, bensì legati da una relazione di analogia; cosicché, nella conoscenza del mondo (e di noi stessi) conosceremo l'immagine di Dio che vi si rispecchia, come la conoscenza dei fenomeni fisici ci conduce alle leggi e ai principi che li governano. Cit. CARLOBeh, quando si tratta di dare uno "statuto" filosofico al Principio (trascendente) non si può farlo se non ricorrendo a paradossi, cioè, a coppie di significati opposti. Per questo si chiama anche "Principio degli opposti". APEIRONCome prima, non sono sicuro se siamo d'accordo o no ;D per me nel neo-Platonismo gli opposti vengono "trascesi" quando si "sale di livello" nella scala ontologica. Nel senso: se "essere" e "non essere" sono la coppia di opposti, l'Uno è oltre essi. CARLOQuando si parla di "trascendenza" non possiamo in nessun caso intenderla come trascendenza assoluta, cioè, come assoluta separazione, poiché si tratta del Principio del mondo, non di un principio separato dal mondo ("oltre"). La mente umana trascende il mondo materiale, ma non è separata da essa; così pure il Principio trascende sia la materia che la mente, ma non sarebbe principio di entrambe se ne fosse separato in senso assoluto. Torniamo, cioè, ai TRE livelli interagenti dell'essere: mondo-anima-Dio, cioè, alla Grande Triade dei cinesi, alla triade yin-yang-Tao e all'Uni-trinitarietà di molte altre tradizioni. Vedi anche i primi tre post del thread: "La conoscenza come rito eucaristico":https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-come-rito-eucaristico/Cit. CARLOMolte concezioni religiose della nostra tradizione affermano la presenza di uno "spirito dormiente" persino nella pietra, cioè, nella materia non biologica. E nessuno può dire se la loro intuizione è autentica oppure illusoria.APEIRONCapisco. Accetti il "panpsichismo" (o una posizione simile, quindi). CARLOSì, l'ipotesi di un processo evolutivo dialettico originario materia-mente mi sembra molto più ragionevole del considerare la mente come un fenomeno emergente dalla complessità dei processi biologici. Del resto, yin e yang costituiscono un'unità inscindibile e non vedo per quale ragione dovremmo far emergere l'uno dall'altro, piuttosto che entrambi dal Tao originario.APEIRONAh, so che a te non piace molto Kant (anche se, secondo me, per certi versi potresti trovare il "principio di complementarietà" anche lì) ma potrebbe piacerti l'idealismo trascendentale (magari "modificandolo" un po'...).CARLONo, la filosofia di Kant, costruita per compartimenti stagni e incomunicanti (il noumeno, il fenomeno, il trascendent-ale, Dio) mi sembra un'aberrazione del pensiero, la fonte di quel virus che ha contagiato e reso sterile la filosofia moderna: il relativismo.E non è un caso che il dualismo di Sgiombo (contagiato da Kant) sia anch'esso costruito su un parallelismo di entità incomunicanti. Talis pater, talis filius.GEORGE EZDRA: Listen to the man
https://youtu.be/ZS0WvzRVByg
APEIRON
Per esempio, non è nemmeno vero che per tutti i sostenitori dell'interpretazione di Copenaghen, la realtà dipende dalle osservazioni. (...) La posizione di Bohr era meno "ontologica" di quanto si pensa. Ad esempio, pensava che noi potevamo indagare la realtà fisica con l'ausilio di "concetti classici" - definiti anche da procedure sperimentali - e che quindi potevamo conoscere il mondo quantistico solo attraverso il "mezzo" degli apparati sperimentali e quindi attraverso i concetti classici.
CARLO
Senti cosa scrive Ilya Prigogine a proposito dei problemi della MQ:
<<Le conseguenze della meccanica quantistica apparvero inaccettabili a molti fisici, ivi compreso Einstein, e molti concepirono esperimenti mentali per sottolineare le assurde conseguenze della meccanica quantistica. Negli ultimi anni alcuni di questi esperimenti mentali sono stati effettivamente condotti (se ne può trovare un eccellente resoconto in una recente pubblicazione di Bernard d'Espagnat: The Quantum Theory and Reality, in <<Scientific American>>, vol. CCXLI, 1979,, pp. 128-140), e curiosamente, queste laceranti conseguenze della meccanica quantistica sono state confermate. Come Niels Bohr ha spesso sottolineato, a causa del senso più debole in cui si può parlare di localizzazione di un oggetto in meccanica quantistica, avviene che dobbiamo abbandonare il realismo della fisica classica. Per Bohr, la costante di Planck definisce come non decomponibile l'interazione tra un sistema quantistico e gli strumenti di misura. È il fenomeno quantistico considerato nel suo insieme, interazione di misurazione inclusa, a cui possiamo assegnare dei valori numerici. Ogni descrizione implica una scelta degli strumenti di misurazione, una scelta della domanda che vogliamo porre. In questo senso, la risposta, il risultato della misurazione, non ci fornirà l'accesso ad una realtà data. Dobbiamo decidere quale tipo di misurazione vogliamo effettuare e quale tipo di questione vogliamo porre al sistema. Il numero quantico misurato caratterizzerà il sistema nello stato in cui noi abbiamo scelto di descriverlo. (...) Ciò dà luogo ad una molteplicità di punti di vista e, ancora una volta, ad un distacco dall'oggettività classica. L'oggettività classica vuol dire che la sola descrizione <<oggettiva>> è la descrizione completa del sistema in quanto tale, indipendentemente da come lo si osserva.
Bohr ha spesso sottolineato anche la novità di una scelta positiva che si introduce tramite la misurazione, nella meccanica quantistica. Il fisico deve scegliere il suo linguaggio, deve scegliere lo strumento sperimentale microscopico. Bohr espresse questa idea tramite il principio di complementarietà, che può essere considerato un'estensione delle relazioni di indeterminazione di Heisenberg. Noi possiamo misurare le coordinate o i momenti, ma non entrambi contemporaneamente. Non c'è un unico linguaggio teorico in cui si esprimano le variabili a cui può essere attribuito un valore ben definito che possa esaurire il contenuto fisico di un sistema. I vari linguaggi possibili ed i vari punti di vista sul sistema sono complementari. Essi riguardano la stessa realtà, anche se è impossibile ricondurli ad un'unica descrizione. Questa natura irriducibile dei punti di vista su di un'unica e sola realtà esprime l'impossibilità di un'eventuale scoperta di un punto di vista dal quale, come un dio potrebbe fare, sia visibile simultaneamente la realtà nella sua interezza. Ma la lezione del principio di complementarietà non è una lezione di rassegnazione. Bohr usava dire che non poteva pensare al significato della meccanica quantistica senza provare un senso di vertigine, e sicuramente siamo trascinati vertiginosamente lontani dalle confortanti abitudini del buon senso: la realtà è troppo ricca, le sue linee portanti sono troppo complesse perché un unico riflettore possa illuminarla nella sua interezza.
La vera lezione da imparare dal principio di complementarità, e che forse può essere tradotta in altri campi di conoscenza (come Bohr cercò di fare per tutto il corso della sua vita), consiste nel sottolineare la ricchezza della realtà, che straripa da ogni possibile linguaggio, da ogni possibile struttura logica. Ogni linguaggio può esprimere solo una parte, anche se con successo. Così la musica non è esaurita da nessuno dei suoi stili: il mondo del suono è troppo più ricco di ogni linguaggio musicale, che sia la musica esquimese, quella di Bach o di Schönberg; ma ogni linguaggio è una scelta, un'esplorazione elettiva e, in quanto tale, possibilità di pienezza>>. [I. PRIGOGINE & I. STENGERS: La nuova alleanza - pp. 227-228]
Scusate la tardiva risposta...
Parto da
sgiombo:CitazioneVeramente non vedo contraddizioni.
E lo studio della prospettiva (per esempio da parte dei pittori del rinascimento) mi sembra artigianato (ma invero quasi sempre, "di regola", arte!), cioé tecnica spicciola, scienza, per quanto elementare, applicata.
Sì, capisco. Comunque, quello che volevo dire è che, strettamente parlando, la "prospettiva" è una proprietà essenziale del nostro spazio visivo, mentre chiaramente non lo è per lo spazio "fisico" (che poi si possa "ricostruire" il nostro spazio visivo a partire da uno spazio euclideo è un altro discorso...). Quindi è anche normale trovare che le proprietà dello spazio che scopriamo dagli esperimenti scientifici non sono esattamente le stesse di quelle che potremmo dedurre da una analisi della nostra visione.
CitazioneBeh, pur non essendo un "addetto ai lavori professionale", ho sempre cercato di considerare con senso critico quanto mi capita di leggere (divulgazione, ovviamente, data la premessa, ma quasi sempre da parte di "autorità in materia" come Hawking, Hack, Green, Rees) le teorie del "B.b" (molteplici, corredate di sempre nuovi "epicicli tolemaici" ad ogni osservazione che non quadrava), che non mi hanno mai convinto (sarebbe troppo lungo spiegare...).
Un po' come ho sempre fatto anche a proposito della meccanica quantistica, sulla quale fino a una quindicina di anni fa mi sembra che fra glia addetti ai lavori (mi risulta che nella divulgazione sia ancora così) vi fosse un consenso "bulgaro" verso l' interpretazione di Copenhagen, mentre più di recente sono stato confortato dal leggere che qualcosa si sta muovendo verso le interpretazioni "deterministiche ontologiche - indeterministiche epistemiche" (sempre esistite ma quasi ridicolizzate o presentate come "eccentricità di scienziati anticonformisti a tutti i costi" o, nel caso di Einstein, semirincoglioniti dalla vecchiaia o almeno nostalgicamente attaccati ai paradigmi prevalenti nella loro ripianta gioventù: proprio lui, SIC!)
Capisco. Specialmente per la meccanica quantistica. In particolar modo, in questo caso, se si considera che non c'è alcun consenso sull'interpretazione della meccanica quantistica.
Ad ogni modo, se ti può consolare, ultimamente mi capita di leggere da vari cosmologi che "l'universo è nato dal nulla", in particolare da Lawrence Krauss. Il problema è che tale "spontanea nascita" del nostro universo sarebbe dovuta a "leggi casuali". Come se, in pratica, noi potessimo descrivere l'origine del cosmo dal nulla (?) e che tale origine fosse probabilistica. Un'opinione del genere mi sembra, dopo essere passato "al vaglio" di una critica filosofica, assurda. Eppure pare che non sia così poco diffusa :-\
CitazioneIl mio grandissimo, amatissimo Hume a mio parere spinge alle estreme conseguenza la critica razionale e lo scetticismo metodico cartesiani arrivando alla conclusione che potrebbero benissimo essere reali solo le sensazioni, i fenomeni, senza alcunché d' altro (soggetto, "io personale" e oggetti:) infatti non é contraddittorio ipotizzarlo.
Di esistere come soggetto della mia coscienza ovviamente lo credo, ma per fede. come per fede nego il solipsismo e credo nel divenire ordinato in concatenazioni causa-effetto della realtà materiale naturale (fenomenica: "esse est percicpi"!).
Ok, grazie della precisazione!CitazioneMa il Dio di Berkeley mi sembra almeno altrettanto ontologico (metafisico) del noumeno kantiano (che la Critica della ragion pratica afferma comprendere anche Dio)
Credo che la differenza con tra il Dio di Berkeley e il noumeno di Kant è che con il primo, per Berkeley, si può entrare in relazione e quindi può "entrare" nella realtà fenomenica (pur non essendo propriamente un fenomeno essendo anche trascendente la realtà fenomenica). Ma non sono sicuro di ciò e spero di non travisare la posizione di Berkeley.
Rispondo ora a
Carlo,CitazioneCARLO
Se il Tao - o Dio - è Principio o Legge del mondo, il mondo stesso sarà "fatto a immagine e somiglianza" del Principio, cosicché attraverso la conoscenza del mondo sarà virtualmente possibile risalire alla conoscenza del Principio. Come lo Yin è analogia dello Yang, ciascuna delle "diecimila creature" sarà analogia del Tao.
Questa è anche l'idea di Tommaso nel suo concetto di "analogia entis", secondo la quale l'essere di Dio e l'essere delle creature non sono identici, ma nemmeno radicalmente diversi, bensì legati da una relazione di analogia; cosicché, nella conoscenza del mondo (e di noi stessi) conosceremo l'immagine di Dio che vi si rispecchia, come la conoscenza dei fenomeni fisici ci conduce alle leggi e ai principi che li governano.
Concordo con il ragionamento sulla relazione principio-"creature". Però sono stato impreciso, prima. Se "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" (o se si considerano le parole già citate del Change tzu*) allora ogni "Tao" che può essere descritto, come anche il "Tao come principio" non è l'"eterno Tao". Ergo, quanto tu dici si applica fino ad un certo punto nell'esperienza taoista, secondo me. In realtà, l'obbiettivo finale dovrebbe essere il Silenzio. La Pura Contemplazione non-concettuale. Tutte le distinzioni collassano e, anche forse, l'unità*. Tutto ciò viene "trasceso".
*sempre nel Capitolo 2 dello Zhaungzi, subito prima dell'altra citazione, c'è anche un altro passo interessante: "Se siamo già diventati uno come posso dire qualcosa? L'uno e ciò che ho detto circa l'uno lo rendono due e i due uniti al primo danno tre..." In pratica è come se critica il monismo come inconsistente (anche se il taoismo viene descritto come "monista"). Questo sembra essere supportato dal radicale apofatismo suggerito da frasi come "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" (e l'apofatismo è utilissimo a non attaccarsi troppo ai concetti - da qui il mio richiamo alla metafora Zen del dito e della Luna) :)
CitazioneQuando si parla di "trascendenza" non possiamo in nessun caso intenderla come trascendenza assoluta, cioè, come assoluta separazione, poiché si tratta del Principio del mondo, non di un principio separato dal mondo ("oltre"). La mente umana trascende il mondo materiale, ma non è separata da essa; così pure il Principio trascende sia la materia che la mente, ma non sarebbe principio di entrambe se ne fosse separato in senso assoluto. Torniamo, cioè, ai TRE livelli interagenti dell'essere: mondo-anima-Dio, cioè, alla Grande Triade dei cinesi, alla triade yin-yang-Tao e all'Uni-trinitarietà di molte altre tradizioni. Vedi anche i primi tre post del thread: "La conoscenza come rito eucaristico":
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-come-rito-eucaristico/
Capito. Grazie! Sì, concordo, il principio del mondo (se c'è) non può essere né separato né uguale al mondo (non si può né dire trascendente, né immanente). E concordo che la complementarietà torna in molte culture. L'"unione dialettica" è un argomento che affascina anche a me, comunque. Però, come dicevo prima, non mi convince che possa essere definito come "il messaggio ultimo" del Taoismo.
CitazioneCARLO
Sì, l'ipotesi di un processo evolutivo dialettico originario materia-mente mi sembra molto più ragionevole del considerare la mente come un fenomeno emergente dalla complessità dei processi biologici. Del resto, yin e yang costituiscono un'unità inscindibile e non vedo per quale ragione dovremmo far emergere l'uno dall'altro, piuttosto che entrambi dal Tao originario.
Capito. Il panpsichismo affascina molto anche me e ogni tanto mi trovo a "supportarlo". Però, ho forti difficoltà a "immaginarmi" la mente degli oggetti "inanimati". Comunque, ciò non toglie che sia una prospettiva interessante.
CitazioneCARLO
No, la filosofia di Kant, costruita per compartimenti stagni e incomunicanti (il noumeno, il fenomeno, il trascendent-ale, Dio) mi sembra un'aberrazione del pensiero, la fonte di quel virus che ha contagiato e reso sterile la filosofia moderna: il relativismo.
Ah ok! Io lo vedo più come una forma di scetticismo anche se, in realtà, posso capire perché con "forzando" la filosofia kantiana si rischia di degenerare nel relativismo ("assoluto"). Fai conto però che Kant, praticamente, vedeva l'
etica come qualcosa che tendeva a quel "noumeno" che la ragione non poteva raggiungere. Non a caso, Kant scrive tutto il suo secondo libro dicendo che l'"imperativo" etico presente in tutti noi ci fa "postulare" Dio, l'anima immortale e la libertà. E tale imperativo, secondo Kant, doveva essere lo stesso per tutti. Perciò, secondo Kant, ciò che non si poteva dire con la "ragione pura" poteva essere detto con la "ragione pratica". Considerando anche la sua "teoria dell'etica" Kant è ben lontano sia dal relativismo che dallo scetticismo.
Ad ogni modo, forse ti potrebbe interessare Schopenhauer.
CitazioneCARLO
Senti cosa scrive Ilya Prigogine a proposito dei problemi della MQ:
...
Molto interessante! C'è da dire che Bohr era molto attratto dalla "complementarità degli opposti" (tant'è che, ad un certo punto, scelse come suo stemma il simbolo dello yin e yang e come motto "contraria sunt complementa"). Considerando ciò, la lettura di Prigogine potrebbe essere la "giusta interpretazione" della visione delle cose di Bohr. Anche se, da quanto so io lui considerava come problematica
la domanda "qual è lo stato di una particella quando non è osservato?" perché secondo lui non si poteva parlare di stato al di fuori della misurazione (in quanto lo stato sarebbe sempre stato descritto da "concetti classici"). Probabilmente io e Prigogine non stiamo dicendo cose diverse, anche se, ammetto, che la mia conoscenza del pensiero di Bohr deriva da "letteratura secondaria", ovvero la mia è una interpretazione dell'interpretazione del pensiero di Bohr fatta da diversi studiosi ;D
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2018, 23:53:27 PM
quello che volevo dire è che, strettamente parlando, la "prospettiva" è una proprietà essenziale del nostro spazio visivo, mentre chiaramente non lo è per lo spazio "fisico" (che poi si possa "ricostruire" il nostro spazio visivo a partire da uno spazio euclideo è un altro discorso...). Quindi è anche normale trovare che le proprietà dello spazio che scopriamo dagli esperimenti scientifici non sono esattamente le stesse di quelle che potremmo dedurre da una analisi della nostra visione.
Citazione
Lo spazio, "facendo parte" (essendo una caratteristica astratta) de fenomeni materiali può essere postulato essere intersoggettivo; e la sua conoscenza può essere progressivamente "approfondita" (allo stesso modo atomi, molecole, particlelle-onde, ecc. non sono la stessa cosa della materia che immediatamente constatiamo).
Capisco. Specialmente per la meccanica quantistica. In particolar modo, in questo caso, se si considera che non c'è alcun consenso sull'interpretazione della meccanica quantistica.
Ad ogni modo, se ti può consolare, ultimamente mi capita di leggere da vari cosmologi che "l'universo è nato dal nulla", in particolare da Lawrence Krauss. Il problema è che tale "spontanea nascita" del nostro universo sarebbe dovuta a "leggi casuali". Come se, in pratica, noi potessimo descrivere l'origine del cosmo dal nulla (?) e che tale origine fosse probabilistica. Un'opinione del genere mi sembra, dopo essere passato "al vaglio" di una critica filosofica, assurda. Eppure pare che non sia così poco diffusa :-\
Citazione
Concordo in pieno!
Mi sembra un tipico caso delle assurdità irrazionalistiche ("leggi casuali" é un' evidente, "mostruosa" autocontraddizione; circa un unicum quale é il "nostro" universo non ha senso parlare di probabilità, mentre ammettere che ce ne siano altri, a parte l' improprietà terminologica dato che "universo" significa "tutto e solo ciò che é reale", fa rigirare nella tomba il buon Ockam) in cui tendono a cadere gli scienziati che disprezzano e ignorano la filosofia, stigmatizzate dal buon vecchio Engels.
CitazioneMa il Dio di Berkeley mi sembra almeno altrettanto ontologico (metafisico) del noumeno kantiano (che la Critica della ragion pratica afferma comprendere anche Dio)
Credo che la differenza con tra il Dio di Berkeley e il noumeno di Kant è che con il primo, per Berkeley, si può entrare in relazione e quindi può "entrare" nella realtà fenomenica (pur non essendo propriamente un fenomeno essendo anche trascendente la realtà fenomenica). Ma non sono sicuro di ciò e spero di non travisare la posizione di Berkeley.
CitazioneSì, sembra anche a me (se non altro perché era un vescovo anglicano, un cristiano, e anche piuttosto autorevole).
(Rivolto a Carlo Pierini)
Capito. Il panpsichismo affascina molto anche me e ogni tanto mi trovo a "supportarlo". Però, ho forti difficoltà a "immaginarmi" la mente degli oggetti "inanimati". Comunque, ciò non toglie che sia una prospettiva interessante.
Non a caso, Kant scrive tutto il suo secondo libro dicendo che l'"imperativo" etico presente in tutti noi ci fa "postulare" Dio, l'anima immortale e la libertà. E tale imperativo, secondo Kant, doveva essere lo stesso per tutti. Perciò, secondo Kant, ciò che non si poteva dire con la "ragione pura" poteva essere detto con la "ragione pratica". Considerando anche la sua "teoria dell'etica" Kant è ben lontano sia dal relativismo che dallo scetticismo.
Citazione
Anche su queste due questioni concordo in pieno.
Cit. CARLOSe il Tao - o Dio - è Principio o Legge del mondo, il mondo stesso sarà "fatto a immagine e somiglianza" del Principio, cosicché attraverso la conoscenza del mondo sarà virtualmente possibile risalire alla conoscenza del Principio. Come lo Yin è analogia dello Yang, ciascuna delle "diecimila creature" sarà analogia del Tao.Questa è anche l'idea di Tommaso nel suo concetto di "analogia entis", secondo la quale l'essere di Dio e l'essere delle creature non sono identici, ma nemmeno radicalmente diversi, bensì legati da una relazione di analogia; cosicché, nella conoscenza del mondo (e di noi stessi) conosceremo l'immagine di Dio che vi si rispecchia, come la conoscenza dei fenomeni fisici ci conduce alle leggi e ai principi che li governano. APEIRONConcordo con il ragionamento sulla relazione principio-"creature". Però sono stato impreciso, prima. Se "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" (o se si considerano le parole già citate del Change tzu*) allora ogni "Tao" che può essere descritto, come anche il "Tao come principio" non è l'"eterno Tao". CARLOSe il Tao è l'Unità ultima, non ci possono essere due Tao, l'"eterno" e il "descrivibile". Evidentemente, con questa distinzione si vuol solo sottolineare l'inosservabilità del Principio, la sua trascendenza, pur restando salva la sua conoscibilità attraverso processi di astrazione fondati sull'osservazione della dinamica (immanente) yin-yang e della loro tendenza-convergenza all'armonia dell'Uno. Il Tao, cioè, corrisponde col "nous" platonico: è l'archetipo delle "diecimila creature", il loro eterno modello originario.APEIRONErgo, quanto tu dici si applica fino ad un certo punto nell'esperienza taoista, secondo me. In realtà, l'obbiettivo finale dovrebbe essere il Silenzio. La Pura Contemplazione non-concettuale. Tutte le distinzioni collassano e, anche forse, l'unità*. Tutto ciò viene "trasceso".CARLOLa "Pura Contemplazione non-concettuale" è l'ALTRA via del Tao, la via soggettiva-interiore, la quale tuttavia non esclude la modalità oggettiva-esteriore, ma, anzi ne è l'aspetto complementare.Insomma, l'Incolore, l'Insonoro, l'Informe, il Vuoto, non corrisponde al Nulla, ma all'unità del Tutto, cioè, al fondamento ultimo trascendente di ciò che, sul piano immanente, è colore, suono, forma, pienezza dei sensi. E' l'equivalente del Verbo-Logos occidentale <<...
per mezzo del quale Tutto è stato fatto>> o dello sfuggente "Mercurius duplex et versipellis" degli alchimisti, dalla natura paradossale.APEIRON*sempre nel Capitolo 2 dello Zhaungzi, subito prima dell'altra citazione, c'è anche un altro passo interessante: "Se siamo già diventati uno come posso dire qualcosa? L'uno e ciò che ho detto circa l'uno lo rendono due e i due uniti al primo danno tre..." In pratica è come se critica il monismo come inconsistente (anche se il taoismo viene descritto come "monista"). Questo sembra essere supportato dal radicale apofatismo suggerito da frasi come "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" (e l'apofatismo è utilissimo a non attaccarsi troppo ai concetti - da qui il mio richiamo alla metafora Zen del dito e della Luna) :) CARLOIl monismo è un'altra cosa: è l'assolutizzazione di uno dei due opposti a scapito dell'ontologia dell'altro. Invece, l'unità del Tao non fagocita la dualità ontologica di yin e yang poiché esso appartiene ad un piano superiore, trascende la dualità. E' l'analogia-complementarità costitutiva-originaria di yin e yang che permettono la loro convergenza verso un'unità superiore senza tuttavia perdere la propria sovranità-alterità-ontologia individuale. Nello stesso modo in cui gli amanti, pur essendo due, trovano la loro unità in quel tertium superiore (quando c'è) che chiamiamo "amore". L'amore non annulla rispettivamente la virilità e la femminilità degli amanti ma, anzi, paradossalmente, li esalta, li porta al loro massimo compimento nell'unità. Per questo l'amore innalza fino al ...Tao, o al Cielo, o all'Infinito (o ci sprofonda all'inferno la sua perdita), ed è ancora per questo che il rito del matrimonio si celebra in presenza di un sacerdote che lo "consacra" non come semplice unione, ma come "unione in Dio (o in Cristo)". ...E torniamo, così, al concetto di uni-trinità del Principio.D. RETTORE: Amore stellahttps://youtu.be/yS0VAi0mgnIA. BOCELLI: Il mistero dell'amorehttps://youtu.be/rxRwiXAdjIwF. MANNOIA: Ascolta l'Infinitohttps://youtu.be/arZOgIC7ilMCit. CARLOQuando si parla di "trascendenza" non possiamo in nessun caso intenderla come trascendenza assoluta, cioè, come assoluta separazione, poiché si tratta del Principio del mondo, non di un principio separato dal mondo ("oltre"). La mente umana trascende il mondo materiale, ma non è separata da essa; così pure il Principio trascende sia la materia che la mente, ma non sarebbe principio di entrambe se ne fosse separato in senso assoluto. Torniamo, cioè, ai TRE livelli interagenti dell'essere: mondo-anima-Dio, cioè, alla Grande Triade dei cinesi, alla triade yin-yang-Tao e all'Uni-trinitarietà di molte altre tradizioni. Vedi anche i primi tre post del thread: "La conoscenza come rito eucaristico":https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-come-rito-eucaristico/APEIRONCapito. Grazie! Sì, concordo, il principio del mondo (se c'è) non può essere né separato né uguale al mondo (non si può né dire trascendente, né immanente). E concordo che la complementarietà torna in molte culture. L'"unione dialettica" è un argomento che affascina anche a me, comunque. Però, come dicevo prima, non mi convince che possa essere definito come "il messaggio ultimo" del Taoismo. CARLOIl Taoismo è solo una delle molteplici espressioni del Principio di complementarità, più poetica che propriamente logico-filosofica. Cit. CARLOSì, l'ipotesi di un processo evolutivo dialettico originario materia-mente mi sembra molto più ragionevole del considerare la mente come un fenomeno emergente dalla complessità dei processi biologici. Del resto, yin e yang costituiscono un'unità inscindibile e non vedo per quale ragione dovremmo far emergere l'uno dall'altro, piuttosto che entrambi dal Tao originario.APEIRONCapito. Il panpsichismo affascina molto anche me e ogni tanto mi trovo a "supportarlo". Però, ho forti difficoltà a "immaginarmi" la mente degli oggetti "inanimati". Comunque, ciò non toglie che sia una prospettiva interessante. CARLOCredo si debba immaginarla, appunto, come "mente dormiente" che, però si attiva nei momenti cruciali dell'evoluzione del mondo. Scrivevo tempo fa a un altro interlocutore:A me sembra ragionevole pensare che in quel gran salto qualitativo che noi osserviamo nel passaggio tra la chimica organica e la chimica vivente, nella materia abbia agito qualcosa di "altro" dalla materia stessa, quel seme originario della mente che nell'uomo germoglierà e si innalzerà fino a trasformarsi in quel mistero che chiamiamo coscienza e a produrre "frutti" assolutamente nuovi rispetto al passato (conoscenza, etica, arte, religione, civiltà, ecc.).E' la comparsa della mente e la sua interazione dia-lettica con la materia che, secondo me, trasforma la chimica non-vivente in quel processo teleologico che chiamiamo "evoluzione darwiniana". E nessuno può escludere la possibilità che le famose mutazioni genetiche che sono alla base di questo processo non siano affatto casuali, ma che siano invece guidate in qualche modo dalla mente.A questo proposito, mi sono andato a rileggere alcuni passi di un libro che lessi una decina di anni fa: "Entropia, sintropia, informazione" di G. e S. Arcidiacono (un fisico e un biologo), nel quale si dice:"In questo modello di Universo [proposto nel 1957 dagli Arcidiacono], non abbiamo più separatamente i fenomeni entropici e sintropici, ma in ogni fenomeno (sia fisico che biologico) dobbiamo avere due "componenti", entropica e sintropica strettamente connesse ed inseparabili. Di conseguenza, otteniamo i fenomeni entropici puri quando la componente sintropica tende ad annullarsi, e viceversa [...] Otteniamo in questo modo una nuova versione perfezionata della teoria unitaria, cioè una concezione non più dualistica, ma unitaria della realtà". Infatti, nella nostra teoria le due componenti non sono più in opposizione, ma piuttosto "complementari" e indissolubili perché espressione della armoniosa unità del cosmo". [Giuseppe e Salvatore ARCIDIACONO: Entropia, sintropia, informazione - pg. 30] Ecco, siccome è la mente - non la materia chimica - che presenta proprietà finalistiche, sono propenso a credere che sia la mente stessa a organizzare la materia in senso sintropico-evoluzionistico-finalistico. Infatti continuano gli Arcidiacono:"Volendo spiegare l'origine dei viventi con la casualità, dobbiamo considerare equiprobabili tutti gli eventi elementari. Poiché la formazione di una singola molecola proteica ha una probabilità quasi nulla, risulta come sia impossibile la sua costituzione pur in un arco di tempo corrispondente all'età dell'Universo.. Da ciò deriva come la formazione dei viventi, anche i più semplici, sia da ritenere impossibile nell'ambito del solo schema dei fenomeni ENTROPICI casuali (raggi X, raggi cosmici, infrarossi e ultravioletti, oppure "errori di trascrizione" nel processo di duplicazione del DNA). In conclusione, sulla base della teoria di Darwin [...] dovremmo osservare un aumento del grado di omogeneità dei viventi, invece del gran numero di processi di differenziazione che constatiamo guardando la natura intorno a noi. Tale difficoltà può essere superata ricorrendo all'introduzione dei fenomeni SINTROPICI accanto a quelli entropici.Non solo nello sviluppo di un singolo vivente, ma anche nello sviluppo della Vita si osserva una differenziazione sempre più grande, mediante variazioni che NON SONO CASUALI, ma orientate finalisticamente verso forme sempre più armoniche e complesse. Tale argomentare consente la risoluzione del problema relativo all'origine delle specie fornendo inoltre una conferma che i fenomeni della vita sono essenzialmente di tipo sintropico, in perfetto accordo con i dati geologici e paleontologici. Si spiega inoltre, in modo estremamente semplice, il fenomeno della variazione delle forme viventi e la ragione perché queste esistono, anche se la loro probabilità è pressoché nulla partendo da ipotesi di tipo entropico. Luigi Fantappiè sostiene che la coordinazione verso certi fini non deriva più dalla selezione naturale, che opera nelle forme più differenti conservando solo le più armoniche, ma è governata dal principio di finalità, che regola i fenomeni sintropici. Con tale asserzione non si vuole escludere l'azione della selezione naturale, ma sottolineare come la sua influenza per la evoluzione sia in effetti marginale, anche perché la selezione può agire solo a partire da forme pre-esistenti. [...]Per concludere si può asserire che la formazione di specie sempre più differenziate non è prodotta da cause esterne, ma è mossa dai fini successivi, in coerenza con quanto richiesto dai principi base dei fenomeni SINTROPICI". [Giuseppe e Salvatore ARCIDIACONO: Entropia, sintropia, informazione - pg. 67] "Le mutazioni ENTROPICHE, come accettato comunemente, sono mutazioni di scarsa entità e producono alterazioni casuali nella struttura del materiale ereditario. Se si tratta di alterazioni negative saranno "regressive" o anche letali e si trasferiscono in una teratologia marginale che non può nuocere alla grande stabilità della specie. Le mutazioni di questo tipo rappresentano proprio il disordine legato al fatale aumento dell'entropia. Le mutazioni SINTROPICHE, invece, sono "spontanee", determinate da requisiti interni, logici e strutturali. Sono endogene e non casuali ed involvono una modificazione stabile e diretta del DNA. [...] Tali mutazioni possono assumere una grande ampiezza e sono in grado di riaggiustare armonicamente l'intero programma che caratterizza un certo organismo.Le mutazioni NEUTRALI mantengono le condizioni iniziali e possono essere identificate con l'equilibrio di Hardy-Weinberg. Un esempio lo si può trovare nelle alterazioni prodotte nella struttura del citocroma c. Accettando l'esistenza delle "mutazioni sintropiche" si riesce a spiegare il motivo per cui l'evoluzione non consista in un processo graduale e lento, ma in un processo che avviene PER SALTI, mediante bruschi passaggi da una forma verso un'altra". [Giuseppe e Salvatore ARCIDIACONO: Entropia, sintropia, informazione - pg. 67]Cit. CARLONo, la filosofia di Kant, costruita per compartimenti stagni e incomunicanti (il noumeno, il fenomeno, il trascendent-ale, Dio) mi sembra un'aberrazione del pensiero, la fonte di quel virus che ha contagiato e reso sterile la filosofia moderna: il relativismo.APEIRONAh ok! Io lo vedo più come una forma di scetticismo anche se, in realtà, posso capire perché con "forzando" la filosofia kantiana si rischia di degenerare nel relativismo ("assoluto"). Fai conto però che Kant, praticamente, vedeva l'etica come qualcosa che tendeva a quel "noumeno" che la ragione non poteva raggiungere. Non a caso, Kant scrive tutto il suo secondo libro dicendo che l'"imperativo" etico presente in tutti noi ci fa "postulare" Dio, l'anima immortale e la libertà. E tale imperativo, secondo Kant, doveva essere lo stesso per tutti. Perciò, secondo Kant, ciò che non si poteva dire con la "ragione pura" poteva essere detto con la "ragione pratica". Considerando anche la sua "teoria dell'etica" Kant è ben lontano sia dal relativismo che dallo scetticismo. CARLOAvendo a che fare con un "noumeno" inosservabile, inconoscibile e assolutamente separato dalla cosa fenomenica, e con un Dio assolutamente trascendente e separato da ogni esperienza, non si può che sfociare nel relativismo e nell'agnosticismo.Continua....
Cit. CARLO
Senti cosa scrive Ilya Prigogine a proposito dei problemi della MQ:
...
Molto interessante! C'è da dire che Bohr era molto attratto dalla "complementarità degli opposti" (tant'è che, ad un certo punto, scelse come suo stemma il simbolo dello yin e yang e come motto "contraria sunt complementa"). Considerando ciò, la lettura di Prigogine potrebbe essere la "giusta interpretazione" della visione delle cose di Bohr. Anche se, da quanto so io lui considerava come problematica la domanda "qual è lo stato di una particella quando non è osservato?" perché secondo lui non si poteva parlare di stato al di fuori della misurazione (in quanto lo stato sarebbe sempre stato descritto da "concetti classici"). Probabilmente io e Prigogine non stiamo dicendo cose diverse, anche se, ammetto, che la mia conoscenza del pensiero di Bohr deriva da "letteratura secondaria", ovvero la mia è una interpretazione dell'interpretazione del pensiero di Bohr fatta da diversi studiosi ;D
CARLO
Io considero la MQ come una scienza in statu nascendi, quindi non do molto credito a chi pretende di trarne delle conclusioni filosofiche definitive. Del resto la fisica si trova al cospetto dei tre più grandi misteri dell'esistenza: lo spazio, il tempo e la mente umana (il soggetto) la cui scarsissima conoscenza ci impone la massima prudenza filosofica.
Io propendo a credere, cioè, che la MQ non sia una teoria vera e propria, ma una costruzione ad hoc che non spiega ancora nulla, ma che si limita ad osservare ciò che succede, nell'ignoranza più totale delle cause e, quindi, al di fuori di qualsiasi comprensione.
Un po' come la teoria geocentrica, che si limitava a matematizzare ciò che si osservava, ma a cui mancava la dinamica newtoniana-einsteiniana ai fini di una corretta spiegazione del moto degli astri.
Infatti, scrivono alcuni fisici:
<<Credo di poter dire con sicurezza che nessuno (...) comprende la meccanica quantistica. (...) Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l'avete capita>>. (Richard Feynman)
<<Non esiste un mondo quantistico. C'è soltanto una descrizione quantistica astratta>>. (Niels Bohr)
<<Non mi fu risparmiato lo shock che ogni fisico abituato al modo di pensare classico subiva quando sentiva parlare per la prima volta il postulato fondamentale della teoria quantistica di Bohr>>. (Wolfgang Pauli)
<<Espressioni come "la natura corpuscolare della luce" o "la natura ondulatoria degli elettroni" sono ambigue, perché i concetti di corpuscolo e di onda sono ben definiti solamente in fisica classica, nel cui ambito ovviamente luce ed elettroni sono, rispettivamente, onde elettromagnetiche e corpuscoli materiali>>. (Niels Bohr)
<<Se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica!>>. (Erwin Schrödinger)
<<Riassumendo, allora, il potenziale quantistico è in grado di costituire una connessione non locale [una connessione nell'universo che è più rapida della velocità della luce, in violazione della teoria di Einstein della relatività generale, che afferma che nulla può andare più veloce della velocità della luce], dipendendo direttamente dallo stato del tutto, in un modo che non è riducibile a un preassegnato rapporto tra le parti. Non solo determina un'attività organizzata e coordinata di interi insiemi di particelle, ma determina anche quale sottoinsieme relativamente indipendente, nel caso, ci può essere all'interno di un tutto più grande>>. (David Bohm)
Tutte le teorie scientifiche sono rappresentazioni antropomorfiche della realtà ma, contrariamente alle favole, ciò che descrivono ha la capacità di produrre tecnologia, ovvero di incidere sulla realtà. Che la natura faccia o non faccia salti può avere qualche effetto filosofico, ma sarebbe meglio coinvolgere la filosofia in ambiti che non la rendano una comica caricatura della scienza.
Citazione di: Ipazia il 11 Ottobre 2018, 16:41:47 PM
Tutte le teorie scientifiche sono rappresentazioni antropomorfiche della realtà
CARLO
Anche quello che hai appena scritto è una rappresentazione antropomorfica di "tutte le teorie scientifiche". Ma ciò non toglie nulla alla possibilità che tali rappresentazioni rispecchino fedelmente la realtà, cioè, che esprimano la verità.
IPAZIA
ma, contrariamente alle favole, ciò che descrivono ha la capacità di produrre tecnologia, ovvero di incidere sulla realtà. CARLO
Se consideri che le più grandi civiltà umane si sono costruite intorno a delle favole (miti sacri), allora anche le favole incidono profondamente sulla realtà.
PLATTERS: The great pretender
https://youtu.be/FyM8NVl4yBY
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Ottobre 2018, 18:03:49 PM
Se consideri che le più grandi civiltà umane si sono costruite intorno a delle favole (miti sacri), allora anche le favole incidono profondamente sulla realtà.
Ottima osservazione. Basta pensare al capitalismo: miti, catechisti, taumaturghi e liturgie.
Ma incidono solo sull'universo antropologico. L'universo fisico non risponde alle favole e la scienza si occupa di universo fisico. Quando invade l'universo antropologico diventa pure essa favola, finchè non arriverà la, sospetto anch'essa mitica, era dell'Oltreuomo e della gaia scienza.
Salve. Lo scopo della scienza non è l'acquisizione dell'onniscienza, la scoperta dell' origine del mondo, del suo scopo o destino, la rivelazione della verità.
Il suo scopo molto più semplice ed utile è la produzione di strumenti. Materiali o concettuali.
Macchine, strutture e procedure.
Essa si pone quindi al di fuori di qualsiasi filosofia, credenza od etica.
Per tornare all'originale quesito di questo di questo thread, il materialismo e la scienza non bastano (per spiegare all'uomo tutto quanto egli vorrebbe sapere o per dargli tutto ciò che esso vorrebbe avere). Ma funzionano assai bene nel migliorare le nostre condizioni - appunto MATERIALI - di vita.
Purtroppo materialismo e scienza non potranno mai avere alcuna influenza sulle nostre condizioni ESISTENZIALI.
Ma, ripeto, sarà bene tenersi stretta la scienza è conferire al materialismo utilità e dignità non diverse dallo spiritualismo. Saluti.
Citazione di: viator il 11 Ottobre 2018, 23:34:22 PM
Salve. Lo scopo della scienza non è l'acquisizione dell'onniscienza, la scoperta dell' origine del mondo, del suo scopo o destino, la rivelazione della verità.
Il suo scopo molto più semplice ed utile è la produzione di strumenti. Materiali o concettuali.
Macchine, strutture e procedure.
CARLO
Forse non ci hai fatto caso, ma solo la rivelazione di nuove verità permette alla scienza la produzione di strumenti nuovi, materiali o concettuali che siano. Perché con le teorie fasulle, con le false conoscenze non si produce un bel niente.
Quindi, diciamo piuttosto che la scienza nasce come filo-sofia, cioè, come amore per la conoscenza, per la verità, e che la tecnologia è il frutto di conoscenze acquisite, di verità svelate.
Non capisco, pertanto, questa smania generale di voler seppellire/censurare/rimuovere ad ogni costo il concetto di verità e di voler ridurre l'intera cultura in chiacchiere allo stato puro, dalla filosofia alla scienza: <<il sapere riguarda la "cosa", non la "cosa in sé">>, <<noi conosciamo la mappa, non il territorio>>, <<l'essere è solo la percezione, non l'essere in sé>>, <<il mondo non esiste, se non come rappresentazione antropomorfa>>, <<la scienza non è "episteme", ma solo "doxa">>, <<Dio è inconoscibile, quindi non oggetto di scienza>>, ...e via piagnucolando e decostruendo, cioè, gettando sconsideratamente fango su una delle facoltà più nobili dell'umanità: la facoltà di conoscere sé stessa e il mondo!!
...E meno male che siamo in un NG di filosofia!!!
ZUCCHERO - Nice (Nietzsche) che dicehttps://youtu.be/M4apUpLQRl0
Concordo con Viator e mi sembra che Pierini stia facendo un gran polverone di cose diverse. E' vero che la scienza è il lampante trionfo della più sorprendente facoltà prodotta dall'evoluzione naturale, ma il suo scopo, la sua teleologia, si riduce a quanto ben esposto da Viator.
Nulla osta che su questa "emergenza" si producano narrazioni diverse, epiche, filosofiche, epistemologiche. E che alcune di queste facciano scoccare la scintilla che nutrirà la ricerca scientifica di nuovi sorprendenti risultati. Ma il giudice di tale processo sarà sempre, in campo scientifico, quel potente metodo induttivo-deduttivo che essa ha elaborato in casa propria e che tanto affascina, e un tantino suscita invidia, nei cultori delle "scienze umane".
Da filosofa terra-terra darei a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Pur sempre nel dialogo e stimolo reciproco, ma senza scorciatoie e ibridazioni dal sapore Alzumenschlisches. Disvelare è un mestiere rischioso, perchè spesso finisce col ri-velare. Personalmente mi sento anche garantita da una scienza che fa solo il suo mestiere, che disvela solo le sue verità. Mi preoccupa di più quando chi la strumentalizza si inventa le particelle di dio.
Citazione di: Ipazia il 12 Ottobre 2018, 10:22:23 AM
Da filosofa terra-terra darei a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Pur sempre nel dialogo e stimolo reciproco, ma senza scorciatoie e ibridazioni dal sapore Alzumenschlisches. Disvelare è un mestiere rischioso, perchè spesso finisce col ri-velare. Personalmente mi sento anche garantita da una scienza che fa solo il suo mestiere, che disvela solo le sue verità. Mi preoccupa di più quando chi la strumentalizza si inventa le particelle di dio.
CARLO
Sono d'accordo. Infatti scrivevo tempo fa nel thread "Biancaneve e la scienza":
<<Scrive lo storico delle religioni W. Williamson:
"Nelle sue investigazioni la scienza ha portato una sincera devozione alla verità, un giudizio chiaro, una mente assolutamente libera da ogni pregiudizio e da ogni parzialità. Ma quando nello studio della scala ascendente della vita essa raggiunge l'uomo, lo spirito con cui continua le sue investigazioni cambia completamente. Fin da principio essa vede l'uomo governato da forze che le riescono nuove e si trova subito in conflitto con una delle più potenti di queste forze: le credenze religiose. Le azioni dell'uomo sono dominate da sanzioni strane che essa non riconosce; e intanto gli eventi connessi a queste credenze occupano una gran parte della vita dell'uomo ed esercitano una grande influenza sulla sua storia: crescono e si sviluppano con lui. (...)Che cosa sono dunque questi sistemi religiosi che occupano un posto così importante nella vita e nella storia dell'uomo? Qual è il loro significato, quale la loro funzione nello sviluppo sociale? A queste domande la scienza cade in uno strano silenzio: essa non ha e non cerca risposte. Perché?". [W. WILLIAMSON: La legge suprema. Studio sulle origini delle religioni e sulla loro unità fondamentale - pg. 5] La risposta, che Williamson non dà, è semplice: perché nel campo della cosiddetta "fenomenologia dello spirito" il metodo scientifico (descrizione matematica e PROVA sperimentale) si rivela assolutamente inadeguato e inutile. Pertanto, qualunque investigazione tesa a dare risposte alle domande di cui sopra, metterebbe in chiara luce la non universalità del metodo scientifico e la limitatezza del suo dominio di ricerca. In definitiva, scoprirebbe gli altarini della provincialità della scienza, il suo essere regina NON del Sapere, ma solo di una delle DUE polarità di esso, quella materiale.
La scienza, cioè, è la Regina "parvenue" della favola di Biancaneve: fin quando si specchia nella Materia si sente "la più bella del reame", ma da un certo momento in poi avverte che il suo titolo di Miss-Conoscenza è minacciato da una fanciulla, lei sì di stirpe regale, la Metafisica-Biancaneve, che lei stessa aveva spodestato, esiliato con la prepotenza e cercato di uccidere (si veda il "Circolo di Vienna"). E alla fine sarà proprio Biancaneve la vera regina, grazie al bacio di un PRINCIP...E che la risveglierà dal sonno velenoso procuratole dalla matrigna malvagia e strega>>.
Le pretese ontologiche della religione sono state, con errore sperimentale trascurabile, falsificate. Rimane aperta la dimensione psicologica della religione. Ma anche lì, dalla filosofia materialistica alla psicologia, tanti processi sono stati scandagliati e scartati dall'interno stesso delle "scienze umane". Contrariamente ai tempi di Pascal, oggi si hanno più probabilità di azzeccarci scommettendo sull'inesistenza di Dio. Sono altri i destini per cui Biancaneve ha da essere risvegliata.
Citazione di: Ipazia il 12 Ottobre 2018, 11:01:05 AM
Le pretese ontologiche della religione sono state, con errore sperimentale trascurabile, falsificate.
CARLO<<Falsificate>> da cosa?IPAZIARimane aperta la dimensione psicologica della religione. Ma anche lì, dalla filosofia materialistica alla psicologia, tanti processi sono stati scandagliati e scartati dall'interno stesso delle "scienze umane". CARLO<<Scartati>> da chi? Chi ha <<scartato>> la possibilità che la realtà del "sacro" si manifesti all'uomo sotto forma di sogni, visioni, ispirazioni mitico-poetiche o esperienze estatiche? E' proprio questa la "dimensione psicologica" a cui allude Jung:<<L'ipotesi dell'esistenza di un Dio al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare>>. [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]<<Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla>>. [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]<<La scienza non ha mai scoperto Dio; la critica della conoscenza sostiene l'impossibilità di conoscere Dio, ma la psiche umana afferma l'esperienza di Dio. Se così non fosse, di Dio non si sarebbe mai parlato>>. [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.353]
<<Il fatto che le nostre capacità di rappresentazione non siano assolutamente in grado di immaginare una forma di realtà extra spazio-temporale, non prova che una tale realtà non sia possibile. [...] Le idee e i dubbi della fisica teorica contemporanea dovrebbero rendere guardingo anche lo psicologo: giacché cosa significa in fin dei conti la «limitatezza dello spazio» considerata filosoficamente, se non una relativizzazione della categoria spaziale? E anche alla categoria temporale (come alla causalità) potrebbe accadere qualcosa di simile. [...] Data questa estrema incertezza delle concezioni umane, la presuntuosa faciloneria illuministica, non è soltanto ridicola, ma desolatamente priva di spirito. [...] Se dunque qualcuno dovesse trarre dall'esigenza di un suo intimo sentimento, oppure in concordanza con alcune tradizionali dottrine dell'umanità, la conclusione che la psiche partecipi attivamente a una forma di realtà extra spazio-temporale e appartenga quindi a ciò che in modo inadeguato e simbolico viene detto "eternità", l'intelletto critico non potrebbe contrapporgli altro argomento che uno scientifico "non liquet" [non è certo]. Questo qualcuno godrebbe inoltre del vantaggio di trovarsi in armonia con una "inclinazione" dell'anima umana, esistente da tempo immemorabile e universalmente diffusa. Chi invece, per scetticismo o per ribellione alla tradizione o per mancanza di coraggio o per superficialità di esperienza psicologica o per spensierata ignoranza, non traesse questa conclusione, contraddirebbe le verità del suo sangue. Che queste siano verità assolute oppure no, forse non lo potremo mai provare, ma basta che esse siano presenti come "inclinazioni", e sappiamo a sufficienza che cosa significhi mettersi sconsideratamente in conflitto con tali verità: è come un non voler tener conto degli istinti". [JUNG: Realtà dell'anima - pg.163]
X Ipazia (e Viator)
Trovo per parte mia che la scienza sia non solo utile nella pratica ma anche "interessante di per sé", per il puro e semplice piacere della conoscenza (di come é il mondo materiale; che a mio parere non esaurisce la realtà in toto), cioè anche in quanto fine a se stessa.
Inoltre trovo che le scienze umane, e in particolare la filosofia, non abbiano nulla da invidiare alla scienza (men che meno l' uso degli strumenti logici dell' induzione e della deduzione, che non sono meno propri della filosofia che delle scienze naturali).
P.S. delle 15, 25: leggo il successivo intervento di CarloPierini (#256) e devo constatare un' inaspettata concordanza di vedute fra noi: (altro che lotta della scienza contro le superstizioni e i pregiudizi religiosi: qui, come si suol dire, "non c' é più religione"!
Citazione di: Ipazia il 12 Ottobre 2018, 11:01:05 AM
Le pretese ontologiche della religione sono state, con errore sperimentale trascurabile, falsificate. Rimane aperta la dimensione psicologica della religione. Ma anche lì, dalla filosofia materialistica alla psicologia, tanti processi sono stati scandagliati e scartati dall'interno stesso delle "scienze umane". Contrariamente ai tempi di Pascal, oggi si hanno più probabilità di azzeccarci scommettendo sull'inesistenza di Dio. Sono altri i destini per cui Biancaneve ha da essere risvegliata.
Per fortuna non é che unica alternativa allo scientismo e al positivismo sia la sola religione:
Esistono fior di filosofie razionalistiche!
P.S. delle 15, 33:
MI conforta la successiva risposta di CarloPierini, dalla quale dissento in pieno (ho una certa età e conseguente fisiologica (spero non anche patologica!) pigrizia mentale che mi fa preferire le "solite routinarie certezze" alle "scoperte rivoluzionarie").
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 15:19:58 PM
Inoltre trovo che le scienze umane, e in particolare la filosofia, non abbiano nulla da invidiare alla scienza (men che meno l'uso degli strumenti logici dell'induzione e della deduzione, che non sono meno propri della filosofia che delle scienze naturali).
CARLO
In realtà la filosofia
ha molto da invidiare alla scienza. Questa, infatti, grazie al suo metodo rigoroso di confronto con l'esperienza, è giunta alla scoperta di leggi e principi che governano il proprio dominio di ricerca, e si è evoluta, così, in una forma di conoscenza affidabile e capace di trasformare la realtà; mentre
la filosofia, priva di metodi e di principi rigorosi, sradicata da ogni confronto metodico col mondo reale dell'esperienza, è rimasta quella disciplina puramente speculativa ed inefficace di sempre; quella disciplina, cioè, <<...con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale>>.In questo thread:https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-conoscenza-e-una-complementarita-di-opposti-e-i-numeri-sono-archeti-1117/
...abbozzo un'ipotesi su quale sia il cammino attraverso il quale la filosofia potrebbe
gradualmente uscire dalle sabbie mobili della sterilità in cui ristagna da duemila anni e diventare anch'essa una vera e propria scienza rigorosa ed efficace, capace cioè di trasformare l'altro emisfero del reale: l'emisfero metafisico-spirituale.
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 18:18:58 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 15:19:58 PM
Inoltre trovo che le scienze umane, e in particolare la filosofia, non abbiano nulla da invidiare alla scienza (men che meno l'uso degli strumenti logici dell'induzione e della deduzione, che non sono meno propri della filosofia che delle scienze naturali).
CARLO
In realtà la filosofia ha molto da invidiare alla scienza. Questa, infatti, grazie al suo metodo rigoroso di confronto con l'esperienza, è giunta alla scoperta di leggi e principi che governano il proprio dominio di ricerca, e si è evoluta, così, in una forma di conoscenza affidabile e capace di trasformare la realtà; mentre la filosofia, priva di metodi e di principi rigorosi, sradicata da ogni confronto metodico col mondo reale dell'esperienza, è rimasta quella disciplina puramente speculativa ed inefficace di sempre; quella disciplina, cioè, <<...con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale>>.
Ma in che mondo vivi?
Di quale "filosofia" (stra-)parli?
Ti informo che esistono molteplici filosofie, non solo irrazionalistiche.
Per la scienza é relativamente "facile" applicare l' induzione alle osservazioni empiriche e la verifica/falsificazione empirica alle ipotesi teoriche circa la realtà materiale misurabile.
La filosofia si pone problemi almeno per certi aspetti "più difficili", per risolvere i quali non é possibile e comunque non basta stabilire rapporti esprimibili numericamente fra quantità, problemi relativi all' ontologia generale (a com' é la realtà in toto, che eccede quella materiale - naturale scientificamente indagabile), alla fondatezza della conoscenza (anche di quella scientifica, che sottopone a critica razionale per individuandone significato, limiti, condizioni di verità), all' etica, all' estetica, all' antropologia, alla storia umana e alle relazioni fra questa e la storia naturale, e forse altro ancora...
Mi sembra decisamente stolto (in generale; e anche presuntuoso da parte degli scientisti in particolare) stabilire confronti fra attività teoriche diverse, che si occupano di questioni diverse e dispongono di mezzi di indagine diversi.
A parte il fatto che le conoscenze scientifiche male applicate in pratica (anche per carenza di critica filosofica razionale) stanno facendo (anche) danni enormi, e addirittura fanno correre all' umanità il serio rischio dell' estinzione (oltre a provocare l' estinzione di tante altre specie viventi), non ci trovo niente di male nello speculare disinteressatamente e nel cercare la conoscenza (anche; non solo) come fine a se stessa indipendentemente da eventuali possibili applicazioni pratiche, per il piacere di conoscere.
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 20:16:07 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 18:18:58 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 15:19:58 PM
Inoltre trovo che le scienze umane, e in particolare la filosofia, non abbiano nulla da invidiare alla scienza (men che meno l'uso degli strumenti logici dell'induzione e della deduzione, che non sono meno propri della filosofia che delle scienze naturali).
CARLO
In realtà la filosofia ha molto da invidiare alla scienza. Questa, infatti, grazie al suo metodo rigoroso di confronto con l'esperienza, è giunta alla scoperta di leggi e principi che governano il proprio dominio di ricerca, e si è evoluta, così, in una forma di conoscenza affidabile e capace di trasformare la realtà; mentre la filosofia, priva di metodi e di principi rigorosi, sradicata da ogni confronto metodico col mondo reale dell'esperienza, è rimasta quella disciplina puramente speculativa ed inefficace di sempre; quella disciplina, cioè, <<...con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale>>.
SGIOMBO
Ma in che mondo vivi?
Di quale "filosofia" (stra-)parli?
Ti informo che esistono molteplici filosofie, non solo irrazionalistiche.
Per la scienza é relativamente "facile" applicare l' induzione alle osservazioni empiriche e la verifica/falsificazione empirica alle ipotesi teoriche circa la realtà materiale misurabile.
La filosofia si pone problemi almeno per certi aspetti "più difficili", per risolvere i quali non é possibile e comunque non basta stabilire rapporti esprimibili numericamente fra quantità, problemi relativi all' ontologia generale (a com' é la realtà in toto, che eccede quella materiale - naturale scientificamente indagabile), alla fondatezza della conoscenza (anche di quella scientifica, che sottopone a critica razionale per individuandone significato, limiti, condizioni di verità), all' etica, all' estetica, all' antropologia, alla storia umana e alle relazioni fra questa e la storia naturale, e forse altro ancora...
Mi sembra decisamente stolto (in generale; e anche presuntuoso da parte degli scientisti in particolare) stabilire confronti fra attività teoriche diverse, che si occupano di questioni diverse e dispongono di mezzi di indagine diversi.
A parte il fatto che le conoscenze scientifiche male applicate in pratica (anche per carenza di critica filosofica razionale) stanno facendo (anche) danni enormi, e addirittura fanno correre all' umanità il serio rischio dell' estinzione (oltre a provocare l' estinzione di tante altre specie viventi), non ci trovo niente di male nello speculare disinteressatamente e nel cercare la conoscenza (anche; non solo) come fine a se stessa indipendentemente da eventuali possibili applicazioni pratiche, per il piacere di conoscere.
CARLOCome dicevo tempo fa a Oxdeadbeef, si può intendere la filosofia secondo due immagini diverse e contrapposte:1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente, così come sono complementari tutte le verità più autentiche e profonde.Ecco, la filosofia reale, la storia della filosofia dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con l'immagine 1). Ed è evidente allora che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia per meglio comprendere il mondo, non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.Io invece vedo la filosofia secondo l'immagine 2). La intendo cioè come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee - rigorosamente accordate tra loro come lo sono gli strumenti musicali - che eseguirà tante ed uniche grandi sinfonie: tante quante saranno le grandi verità che dovranno essere rappresentate. Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere? Beh, non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti!
@sgiombo,CitazioneLo spazio, "facendo parte" (essendo una caratteristica astratta) de fenomeni materiali può essere postulato essere intersoggettivo; e la sua conoscenza può essere progressivamente "approfondita" (allo stesso modo atomi, molecole, particlelle-onde, ecc. non sono la stessa cosa della materia che immediatamente constatiamo).
In realtà, ad essere sincero concordo ;) volevo solo dire che l'"immediata apparenza" (non so come esprimermi meglio ;D ) che abbiamo di esso può, per esempio, avere proprietà che dipendono dal soggetto particolare e quindi non-intersoggettiva. In pratica, l'analisi scientifica (qui concordo con te!) ci mostra le proprietà inter-soggettive dello spazio. Ma è un punto di dissenso (?) di minor conto e, sinceramente, non ho nemmeno la sicurezza che la mia distinzione abbia senso, quindi forse è meglio che ci penso un po' su ;D
CitazioneConcordo in pieno!
Mi sembra un tipico caso delle assurdità irrazionalistiche ("leggi casuali" é un' evidente, "mostruosa" autocontraddizione; circa un unicum quale é il "nostro" universo non ha senso parlare di probabilità, mentre ammettere che ce ne siano altri, a parte l' improprietà terminologica dato che "universo" significa "tutto e solo ciò che é reale", fa rigirare nella tomba il buon Ockam) in cui tendono a cadere gli scienziati che disprezzano e ignorano la filosofia, stigmatizzate dal buon vecchio Engels.
Già... personalmente non riesco a vedere scienza e filosofia come veramente "distinte". O meglio: è vero che si può fare attività scientifica senza fare filosofia (e questa è una delle grandissime qualità che la scienza ha) ma non appena si cerca di "capire" veramente le teorie scientifiche "scivolare" in campo filosofico (e quindi "meta-scientifico" o anche addirittura "meta-fisico"...qui è meglio che lo dico a piano visto che di questi tempi si rischia grosso parlare di "meta-fisica" ;D ) è inevitabile. Tra l'altro sono proprio i fisici che disprezzano di più la filosofia quelli che, secondo me, compiono gli errori "filosofici" peggiori. Proprio come Krauss.
Ad ogni modo, se non si filosofa mentre si fa scienza, quest'ultima si riduce a: "fai delle misure, produci dei modelli matematici predittivi, fai test sperimentali. Se vanno bene, tieni i modelli. Se vanno male, cambiali". Senza nemmeno chiedersi l'eventuale "significato" di tali modelli, che rapporto hanno con la "realtà" e così via ::) a volte proprio certi eminenti scienziati non li capisco. Sarà perché io sono "anomalo" :-[
Su di Krauss, il problema è anche, secondo me, il seguente (anche quanto tu dici è un grosso problema ;) ). Se tu dici che il nostro universo è "nato a caso", devi almeno "salvarti" dicendo che tutti i "possibili universi" esistono (altrimenti non hai veramente dato una "spiegazione" del perché questo universo "c'è"). E quindi tiri in ballo il "multi-verso" (che in realtà, usando il significato etimologico di "universo" sarebbe il "vero" universo, per così dire). Lo tiri in ballo semplicemente perché, altrimenti, non sei in grado di spiegare perché "proprio" il nostro universo è nato. Il problema che la teoria del multi-verso si basa sull'assunzione che, di fatto, tutto ciò che è matematicamente possibile lo è anche fisicamente (!). A me sembra un'assunzione filosofica, "meta-fisica". Se non lo fai, come credo che fa Krauss (anche se non ne sono sicuro al 100%), o ti "nascondi" dietro al fatto che in (certe interpretazione della) MQ, ci sono particelle virtuali che "nascono" probabilisticamente. Il problema è che, anche se ciò fosse vero (e ci sono diversi proponenti dell'interpretazione di Copenaghen che non sono d'accordo) tali eventi probabilistici (così come altri, meno "eclatanti", previsti dall'interpretazione di Copenaghen MQ) avvengono
nel tempo. Se non si accetta il multi-verso e si dice che non c'è un "prima" rispetto al "Big Bang", finisci per parlare di eventi probabilistici in assenza di tempo. Ecco, vedi, dimmi te se non è un ragionamento "meta-fisico" (madornalmente errato, secondo me)... Il problema qui è ostinarsi a dire di non farla (errare, invece, è "umanum"). Poi eh, sai com'è io sono abbastanza "anomalo" rispetto a praticamente la stragrande maggioranza degli scienziati :-[
Rispondo ora a
@Carlo,CitazioneSe il Tao è l'Unità ultima, non ci possono essere due Tao, l'"eterno" e il "descrivibile". Evidentemente, con questa distinzione si vuol solo sottolineare l'inosservabilità del Principio, la sua trascendenza, pur restando salva la sua conoscibilità attraverso processi di astrazione fondati sull'osservazione della dinamica (immanente) yin-yang e della loro tendenza-convergenza all'armonia dell'Uno.
Il Tao, cioè, corrisponde col "nous" platonico: è l'archetipo delle "diecimila creature", il loro eterno modello originario.
Capito... personalmente, invece, credo che i testi semplicemente dicano che il Tao non è "afferrabile" concettualmente. Non a caso, il Taoismo (così come il Buddhismo, per esempio) mette al primo posto, secondo me, il Silenzio.
Sul fatto che il "Principio di tutte le cose" possa essere l'
archetipo di tutte le cose mi trovi abbastanza "aperto" (ho una certa simpatia per la metafisica di Platone, l'ho detto più volte. Per niente della sua filosofia politica...) :) però usando la teoria platonica, così come l'archetipo/forma del "tavolo" "partecipa" in tutti i tavoli. Ergo, tutti i tavoli hanno in comune tale caratteristica. Se, il Tao è l'universale di tutte le cose, esso parteciperà in tutte le cose. Qual è la "caratteristica universale" presente in tutte le cose? ::) ::) ::) non a caso, l'Uno neo-platonico è "superiore" alle altre due ipostasi (compresa la Nous). E, non a caso, è completamente ineffabile, addirittura "oltre l'essere" (e il non-essere).
Ah, a proposito di "archetipi". Faccio notare che "miriade" deriva dal greco e, anche se letteralmente è "diecimila", significa "numero incalcolabile". Ergo, per gli antichi sia cinesi che greci, 10000 aveva questo significato di "totalità", o più precisamente di "numero estremamente grande" ;)
CitazioneLa "Pura Contemplazione non-concettuale" è l'ALTRA via del Tao, la via soggettiva-interiore, la quale tuttavia non esclude la modalità oggettiva-esteriore, ma, anzi ne è l'aspetto complementare.
Insomma, l'Incolore, l'Insonoro, l'Informe, il Vuoto, non corrisponde al Nulla, ma all'unità del Tutto, cioè, al fondamento ultimo trascendente di ciò che, sul piano immanente, è colore, suono, forma, pienezza dei sensi. E' l'equivalente del Verbo-Logos occidentale <<...per mezzo del quale Tutto è stato fatto>> o dello sfuggente "Mercurius duplex et versipellis" degli alchimisti, dalla natura paradossale.
Mai detto che l'Incolore, l'Insonoro, il Vuoto ecc corrisponde al
Nulla (semmai, giocando con l'inglese "nothing", è "no-thing", l'assenza di "cose", proprio come dice quel passo del capitolo 2 ;) ). Però è talmente "indescrivibile", "informe" ecc che, da quanto ho capito io, il Taoismo raccomanda il Silenzio come contemplazione più elevata. In pratica, la via della "contemplazione non-concettuale" per il Taoismo,
secondo me, è la "via più alta", il culmine della ricerca taoista. Ovviamente, non sto dicendo che tu
devi essere d'accordo. Ma tutti questi richiami al Silenzio, secondo me indicano proprio che si deve riconoscere l'impossibilità di "afferrare" la "Realtà" con i concetti.
Inoltre, più che unità il Tao è la "Via" e quindi pare avere anche l'accezione di "Legge", ovvero delle Regolarità, della "Natura" della Realtà ecc.
Curiosamente, il Logos occidentale ha proprio un'accezione simile a quello di "Regolarità"/"Legge". Ma se da una parte (in Occidente) si cerca di evidenziare il "dicibile" (la "Parola" di Dio ecc), in oriente, secondo me, si esalta molto di più l'"ineffabile". Potranno essere, usando il tuo modello, complementari. Ma, secondo me, è innegabile che mentre in oriente si evidenza di più il Silenzio, in occidente si evidenzia di più la Parola. Non a caso, i testi orientali contengono più linguaggio "negativo"/"apofatico" di quelli orientali. Ovviamente, è vero che ci sono elementi apolitici in occidente e viceversa (non a caso è proprio la tradizione cristiana della "Via negativa"/apofatismo che viene spesso confrontato con il Taoismo, il Buddhismo ecc).
Ma forse hai ragione... forse il Tao è proprio visto come il principio di complementarietà di cui parli. Onestamente, però, vista l'enfasi sul Silenzio, mi parrebbe un po' strano. Secondo me, invece, vedere la complementarietà degli opposti porta alla loro dissoluzione. Leggendo, per esempio, il capitolo 2 (lo dovrei aver già citato in parte), dove sono citate varie coppie, si ha l'impressione che si debba, per così dire, "trascendere" il piano degli "opposti". Ergo, sembra che l'aspetto "verbale" della dottrina taoista al massimo sia visto come un'approssimazione, che serve però per arrivare a quella contemplazione non-concettuale (in quel "vuoto" dove non ci sono più "punti di riferimento" :) ).
CitazioneAPEIRON
*sempre nel Capitolo 2 dello Zhaungzi, subito prima dell'altra citazione, c'è anche un altro passo interessante: "Se siamo già diventati uno come posso dire qualcosa? L'uno e ciò che ho detto circa l'uno lo rendono due e i due uniti al primo danno tre..." In pratica è come se critica il monismo come inconsistente (anche se il taoismo viene descritto come "monista"). Questo sembra essere supportato dal radicale apofatismo suggerito da frasi come "il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao" (e l'apofatismo è utilissimo a non attaccarsi troppo ai concetti - da qui il mio richiamo alla metafora Zen del dito e della Luna) (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
CARLO
Il monismo è un'altra cosa: è l'assolutizzazione di uno dei due opposti a scapito dell'ontologia dell'altro. Invece, l'unità del Tao non fagocita la dualità ontologica di yin e yang poiché esso appartiene ad un piano superiore, trascende la dualità. E' l'analogia-complementarità costitutiva-originaria di yin e yang che permettono la loro convergenza verso un'unità superiore senza tuttavia perdere la propria sovranità-alterità-ontologia individuale. Nello stesso modo in cui gli amanti, pur essendo due, trovano la loro unità in quel tertium superiore (quando c'è) che chiamiamo "amore". L'amore non annulla rispettivamente la virilità e la femminilità degli amanti ma, anzi, paradossalmente, li esalta, li porta al loro massimo compimento nell'unità. Per questo l'amore innalza fino al ...Tao, o al Cielo, o all'Infinito (o ci sprofonda all'inferno la sua perdita), ed è ancora per questo che il rito del matrimonio si celebra in presenza di un sacerdote che lo "consacra" non come semplice unione, ma come "unione in Dio (o in Cristo)". ...E torniamo, così, al concetto di uni-trinità del Principio.
(Piccola nota: il testo sul "monismo" è un po' dopo e non un po' prima dell'altra citazione...)
Come dicevo l'altra volta, però, sono anche io affascinato dal principio di complementarietà (non lo nego e non nego che ci sia della "verità" in esso) :). Mi è piaciuto molto l'esempio che fai degli amanti e dell'amore.
Però, per farti un esempio, la tua filosofia mi sembra più vicina ad Hegel che al Taoismo. Anche se il tema della "complementarietà degli opposti" c'è anche nel Taoismo, è in Hegel che viene definita come il "Massimo", il "punto più alto". E, secondo Hegel, la Realtà non è che il processo Dialettico che l'Assoluto fa con se stesso. Ma in Hegel, appunto, non viene evidenziato il "Silenzio", che invece sembra essere "esplicitamente" più importante nel Taoismo.
CitazioneCARLO
Il Taoismo è solo una delle molteplici espressioni del Principio di complementarità, più poetica che propriamente logico-filosofica.
OK. Mi fa piacere vedere che non consideri le varie espressioni come "uguali". Concordo che il Taoismo è molto poetico (da questa "debolezza" secondo me la sua "forza", per "citare" il cap. 78 del Tao te Ching, per esempio...).
CitazioneA me sembra ragionevole pensare che in quel gran salto qualitativo che noi osserviamo nel passaggio...
Ok, grazie per la spiegazione. Onestamente, non ho ancora una "vera posizione"...
CitazioneCARLO
Avendo a che fare con un "noumeno" inosservabile, inconoscibile e assolutamente separato dalla cosa fenomenica, e con un Dio assolutamente trascendente e separato da ogni esperienza, non si può che sfociare nel relativismo e nell'agnosticismo.
Non concordo. Per passare al relativismo bisogna anche abbandonare l'etica. Come cercavo di dirti, Kant praticamente riteneva che l'
etica fosse una "porta" per ciò che la ragione non riusciva ad "afferrare" (perciò, concordo, strettamente parlando con l'agnosticismo. Finché ci si limita alla "ragion pura"...quando si passa alla "ragion pratica", no).
CitazioneIo considero la MQ come una scienza in statu nascendi...si limita ad osservare ciò che succede, nell'ignoranza più totale delle cause e, quindi, al di fuori di qualsiasi comprensione.
Molti qui concorderebbero con te. Secondo me, invece, difficilmente si andrà oltre. E questo "difficilmente" ci deve far notare che qualche informazione sulla "natura della realtà" la teoria ce la deve dare.
CitazioneUn po' come la teoria geocentrica, che si limitava a matematizzare ciò che si osservava, ma a cui mancava la dinamica newtoniana-einsteiniana ai fini di una corretta spiegazione del moto degli astri.
Capisco... Ma ti faccio notare che la dinamica Einsteniana è completamente diversa da quella Newtoniana e quindi la teoria di Newton, pur riproducendo quella di Einstein in certe condizioni, non è veramente "compatibile" con essa. Tra le due c'è un salto non da poco.
Sulle citazioni dei fisici, mi è piaciuto tantissimo l'"apofatismo" di Bohr (lo ritengo uno dei migliori fisici di sempre. In particolare, era anche un grande filosofo!) che traspare nelle citazioni. Bohm, invece, in particolare a partire dagli anni '70 ha sviluppato una teoria della realtà che potrebbe piacerti molto. Riteneva che l'Universo fosse un Processo completamente interconnesso in continuo divenire (partendo dalla sua interpretazione per cui l'influenza tra le particelle è non-locale, istantanea. Curiosamente, la sua interpretazione ora è vista come la più "materialista" di tutte...)...
P. S. Hegel, per fare un esempio, riteneva che Essere e Non-Essere fossero complementari e che la loro dialettica "producesse" il Divenire. E che tale Divenire fosse l'evoluzione del Tutto (che era interconnesso... Non a caso a Bohm, da quanto mi ricordo, la metafisica Hegeliana piaceva molto). Il Divenire era quindi l'espressione "primaria", per così dire della Dialettica.
Così Hegel "spiegava" perché "si osserva" il divenire e non l'essere.
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 21:31:08 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 20:16:07 PM
SGIOMBO
Ma in che mondo vivi?
Di quale "filosofia" (stra-)parli?
Ti informo che esistono molteplici filosofie, non solo irrazionalistiche.
CARLO
Come dicevo tempo fa a Oxdeadbeef, si può intendere la filosofia secondo due immagini diverse e contrapposte:
1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;
2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente, così come sono complementari tutte le verità più autentiche e profonde.
Ecco, la filosofia reale, la storia della filosofia dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con l'immagine 1). Ed è evidente allora che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.
Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia per meglio comprendere il mondo, non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.
Io invece vedo la filosofia secondo l'immagine 2). La intendo cioè come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee - rigorosamente accordate tra loro come lo sono gli strumenti musicali - che eseguirà tante ed uniche grandi sinfonie: tante quante saranno le grandi verità che dovranno essere rappresentate.
Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere? Beh, non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti!
Ho capito: vivi in un mondo immaginario frutto dell' ideologia (falsa coscienza) scientista.
Citazione di: Apeiron il 13 Ottobre 2018, 00:00:48 AM
@sgiombo,
CitazioneConcordo in pieno!
Mi sembra un tipico caso delle assurdità irrazionalistiche ("leggi casuali" é un' evidente, "mostruosa" autocontraddizione; circa un unicum quale é il "nostro" universo non ha senso parlare di probabilità, mentre ammettere che ce ne siano altri, a parte l' improprietà terminologica dato che "universo" significa "tutto e solo ciò che é reale", fa rigirare nella tomba il buon Ockam) in cui tendono a cadere gli scienziati che disprezzano e ignorano la filosofia, stigmatizzate dal buon vecchio Engels.
Già... personalmente non riesco a vedere scienza e filosofia come veramente "distinte". O meglio: è vero che si può fare attività scientifica senza fare filosofia (e questa è una delle grandissime qualità che la scienza ha) ma non appena si cerca di "capire" veramente le teorie scientifiche "scivolare" in campo filosofico (e quindi "meta-scientifico" o anche addirittura "meta-fisico"...qui è meglio che lo dico a piano visto che di questi tempi si rischia grosso parlare di "meta-fisica" ;D ) è inevitabile. Tra l'altro sono proprio i fisici che disprezzano di più la filosofia quelli che, secondo me, compiono gli errori "filosofici" peggiori. Proprio come Krauss.
Ad ogni modo, se non si filosofa mentre si fa scienza, quest'ultima si riduce a: "fai delle misure, produci dei modelli matematici predittivi, fai test sperimentali. Se vanno bene, tieni i modelli. Se vanno male, cambiali". Senza nemmeno chiedersi l'eventuale "significato" di tali modelli, che rapporto hanno con la "realtà" e così via ::) a volte proprio certi eminenti scienziati non li capisco. Sarà perché io sono "anomalo" :-[
Citazione
Sei molto positivamente anomalo!
Benvenuto nel nel branco degli anticonformisti!
(Ma in realtà già c' eri, e non era nemmeno difficile capirlo; la novità é solo per chi non lo sapesse già).
Su di Krauss, il problema è anche, secondo me, il seguente (anche quanto tu dici è un grosso problema ;) ). Se tu dici che il nostro universo è "nato a caso", devi almeno "salvarti" dicendo che tutti i "possibili universi" esistono (altrimenti non hai veramente dato una "spiegazione" del perché questo universo "c'è"). E quindi tiri in ballo il "multi-verso" (che in realtà, usando il significato etimologico di "universo" sarebbe il "vero" universo, per così dire). Lo tiri in ballo semplicemente perché, altrimenti, non sei in grado di spiegare perché "proprio" il nostro universo è nato. Il problema che la teoria del multi-verso si basa sull'assunzione che, di fatto, tutto ciò che è matematicamente possibile lo è anche fisicamente (!). A me sembra un'assunzione filosofica, "meta-fisica". Se non lo fai, come credo che fa Krauss (anche se non ne sono sicuro al 100%), o ti "nascondi" dietro al fatto che in (certe interpretazione della) MQ, ci sono particelle virtuali che "nascono" probabilisticamente. Il problema è che, anche se ciò fosse vero (e ci sono diversi proponenti dell'interpretazione di Copenaghen che non sono d'accordo) tali eventi probabilistici (così come altri, meno "eclatanti", previsti dall'interpretazione di Copenaghen MQ) avvengono nel tempo. Se non si accetta il multi-verso e si dice che non c'è un "prima" rispetto al "Big Bang", finisci per parlare di eventi probabilistici in assenza di tempo. Ecco, vedi, dimmi te se non è un ragionamento "meta-fisico" (madornalmente errato, secondo me)... Il problema qui è ostinarsi a dire di non farla (errare, invece, è "umanum"). Poi eh, sai com'è io sono abbastanza "anomalo" rispetto a praticamente la stragrande maggioranza degli scienziati :-[
Citazione
Concordo e sottolineo il "madornalmente errato".
«Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Ma poiché senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono però queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po' di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all'università, o dalla lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte purtroppo della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia».
Friedrich Engels, Dialettica della natura, 1883.
APEIRONCredo che i testi semplicemente dicano che il Tao non è "afferrabile" concettualmente. Non a caso, il Taoismo (così come il Buddhismo, per esempio) mette al primo posto, secondo me, il Silenzio. CARLOIl linguaggio può rispecchiare il Divino solo mediante paradossi, ossimori, cioè, mediante coppie di significati opposti che però non si elidono reciprocamente, ma che sono complementari e non-separabili.Cosicché, il Tao, come Deus absconditus, come Trascendenza massima, è Assenza, Silenzio, Non-Pensiero, Non-Essere, Nulla. Ma come Principio del creato, è Tutto, è Onnipresenza, è Clamore festoso, è Pensiero pieno e fondamentale.Ciò non viola il principio di non contraddizione ("è impossibile che una stessa cosa sia e non sia nello stesso tempo e sotto il medesimo rispetto") poiché il Tao è Assenza e Onnipresenza sotto rispetti diversi.Per questo nella dialettica (o nell'applicazione del Principio di Complementarità) è fondamentale la distinzione tra opposizioni dialettiche e contraddizioni."Il simbolo sacro richiede due interpretazioni diametralmente opposte, poiché né l'una né l'altra - da sola - può dimostrarsi valida. Il simbolo le significa entrambe ed è quindi un paradosso". [JUNG: Psicologia e religione -pg.186]"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua". [N. CUSANO: De visione Dei]APEIRONSe, il Tao è l'universale di tutte le cose, esso parteciperà in tutte le cose.Qual è la "caratteristica universale" presente in tutte le cose? ::) ::) ::) CARLOVuoi sapere tutto e subito? :) Ci vorranno forse secoli di ricerca e centinaia di menti brillanti per comprendere, gradualmente, in quanti diversi modi la realtà è un'espressione della Complementarità degli opposti. Per il momento io mi accontento di aver scoperto che la scienza, l'etica, la storia, la logica, la psicologia, la neurobiologia, la simbolica, la filosofia, ecc. presentano aspetti essenziali inscrivibili nel modello del Tao (o Principio di Complementarità) e che dunque l'archetipo omonimo - presente in ogni tempo e presso molte importanti tradizioni di pensiero - non è il parto di una fantasia oziosa, ma una vera e propria ispirazione-rivelazione, sebbene non ancora tradotta in una scienza o filosofia rigorosa.Se vuoi avere un'idea di quali sono alcune varianti storiche di questo archetipo, puoi leggere il thread:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'archetipo-della-complementarita-l'archetipo-piu-diffuso-nella-storia-della-cu/APEIRON...Non a caso, l'Uno neo-platonico è "superiore" alle altre due ipostasi (compresa la Nous). E, non a caso, è completamente ineffabile, addirittura "oltre l'essere" (e il non-essere). CARLOCome già accennato, dire che l'Uno è "oltre l'essere" è solo uno dei due poli del paradosso; l'altro polo dice che l'Uno E' l'essere, il suo fondamento onnipresente. Il Tao, cioè, - come ogni Dio che si rispetti - è uni-trinitario: due attributi opposti più il "tertium", la loro unità.APEIRONAh, a proposito di "archetipi". Faccio notare che "miriade" deriva dal greco e, anche se letteralmente è "diecimila", significa "numero incalcolabile". Ergo, per gli antichi sia cinesi che greci, 10000 aveva questo significato di "totalità", o più precisamente di "numero estremamente grande". ;) CARLONaturalmente. Per noi è "un milione". <<Ti ho detto un milione di volte di...!>>. Cit. CARLOLa "Pura Contemplazione non-concettuale" è l'ALTRA via del Tao, la via soggettiva-interiore, la quale tuttavia non esclude la modalità oggettiva-esteriore, ma, anzi ne è l'aspetto complementare.Insomma, l'Incolore, l'Insonoro, l'Informe, il Vuoto, non corrisponde al Nulla, ma all'unità del Tutto, cioè, al fondamento ultimo trascendente di ciò che, sul piano immanente, è colore, suono, forma, pienezza dei sensi. E' l'equivalente del Verbo-Logos occidentale <<...per mezzo del quale Tutto è stato fatto>> o dello sfuggente "Mercurius duplex et versipellis" degli alchimisti, dalla natura paradossale.APEIRONMai detto che l'Incolore, l'Insonoro, il Vuoto ecc corrisponde al Nulla (semmai, giocando con l'inglese "nothing", è "no-thing", l'assenza di "cose", proprio come dice quel passo del capitolo 2 ;) ). Però è talmente "indescrivibile", "informe" ecc.CARLOSe fosse informe, non sarebbe mai stato rappresentato come equilibrio-alternanza dei due principi yin e yang.APEIRONIn pratica, la via della "contemplazione non-concettuale" per il Taoismo, secondo me, è la "via più alta", il culmine della ricerca taoista. Ovviamente, non sto dicendo che tu devi essere d'accordo. CARLOIl Tao è stato contemplato non-concettualmente per 2.500 anni. Quindi sarebbe anche ora che si incarni, com'è nelle corde di ogni buon Dio che si rispetti:<<Tornerò a Sion e siederò in mezzo a Gerusalemme; e Gerusalemme sarà chiamata 'la città di verità'>>. (Zaccaria: 8,3)<<Poiché da me uscirà la Legge stessa, e farò sì che il mio giudizio riposi anche come una luce per i popoli>>. (Isaia, 51: 4)<<Il trono di Dio e dell'Agnello sarà nella città; i suoi servi lo serviranno; essi vedranno il suo volto e il suo nome sarà sulle loro fronti>>. [Apocalisse, 22, 3-5]<<...E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. ...E vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo vestita come una sposa ornata per il suo amato. "Ecco, la tenda del Signore è col genere umano ed Egli risiederà con loro, ed essi saranno suoi popoli. E Dio stesso sarà con loro ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi>>. (Apocalisse, 21:1- 6)APEIRONCuriosamente, il Logos occidentale ha proprio un'accezione simile a quello di "Regolarità"/"Legge". Ma se da una parte (in Occidente) si cerca di evidenziare il "dicibile" (la "Parola" di Dio ecc), in oriente, secondo me, si esalta molto di più l'"ineffabile". Potranno essere, usando il tuo modello, complementari. Ma, secondo me, è innegabile che mentre in oriente si evidenza di più il Silenzio, in occidente si evidenzia di più la Parola. CARLOInfatti, in Occidente il Verbo-Logos del Cielo si è (simbolicamente) incarnato in un uomo terreno: Cristo. Scrive Jung:"Nella scissione del mondo originario in natura e spirito, l'Occidente tenne per sé la natura, in cui esso crede per temperamento, e in cui è rimasto sempre più impigliato, nonostante i suoi dolorosi e disperati sforzi di spiritualizzazione. L'Oriente ha invece scelto per sé lo spirito, spiegando la materia come illusione (maya) per vivere la sua vita di sogno nella miseria e nell'indigenza asiatiche. Ma come non vi è che una sola terra, Oriente e Occidente non possono spezzare l'umanità in due metà distinte, così la realtà psichica ancora consiste di una fondamentale unità, e attende che la coscienza umana [...] riconosca entrambe come elementi costitutivi dell'anima una". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.380]APEIRONMa forse hai ragione... forse il Tao è proprio visto come il principio di complementarietà di cui parli. Onestamente, però, vista l'enfasi sul Silenzio, mi parrebbe un po' strano. Secondo me, invece, vedere la complementarietà degli opposti porta alla loro dissoluzione. Leggendo, per esempio, il capitolo 2 (lo dovrei aver già citato in parte), dove sono citate varie coppie, si ha l'impressione che si debba, per così dire, "trascendere" il piano degli "opposti". CARLORicordati della necessaria paradossalità del Tao: esso trascende il mondo, ma la sua "imago" è onnipresente, cioè è presente nelle fibre più profonde del mondo come suo Principio. Non a caso si chiama anche "Principio di unità dei contrari". Per rappresentarlo, dunque, non puoi farlo che attraverso una unità di contrari. Insomma dovrai rassegnarti all'idea che il Silenzio è solo una delle sue polarità costitutive; l'altra è il Clamore della Parola. Dio è il Padre nei Cieli, ma è anche e soprattutto il Figlio incarnato in terra.Cit. CARLOIl monismo è un'altra cosa: è l'assolutizzazione di uno dei due opposti a scapito dell'ontologia dell'altro. Invece, l'unità del Tao non fagocita la dualità ontologica di yin e yang poiché esso appartiene ad un piano superiore, trascende la dualità. E' l'analogia-complementarità costitutiva-originaria di yin e yang che permettono la loro convergenza verso un'unità superiore senza tuttavia perdere la propria sovranità-alterità-ontologia individuale. Nello stesso modo in cui gli amanti, pur essendo due, trovano la loro unità in quel tertium superiore (quando c'è) che chiamiamo "amore". L'amore non annulla rispettivamente la virilità e la femminilità degli amanti ma, anzi, paradossalmente, li esalta, li porta al loro massimo compimento nell'unità. Per questo l'amore innalza fino al ...Tao, o al Cielo, o all'Infinito (o ci sprofonda all'inferno la sua perdita), ed è ancora per questo che il rito del matrimonio si celebra in presenza di un sacerdote che lo "consacra" non come semplice unione, ma come "unione in Dio (o in Cristo)". ...E torniamo, così, al concetto di uni-trinità del Principio.APEIRONPerò, per farti un esempio, la tua filosofia mi sembra più vicina ad Hegel che al Taoismo. Anche se il tema della "complementarietà degli opposti" c'è anche nel Taoismo, è in Hegel che viene definita come il "Massimo", il "punto più alto". E, secondo Hegel, la Realtà non è che il processo Dialettico che l'Assoluto fa con se stesso. Ma in Hegel, appunto, non viene evidenziato il "Silenzio", che invece sembra essere "esplicitamente" più importante nel Taoismo. CARLOHegel ha commesso due errori (od omissioni) che hanno condannato la Dialettica alla sterilità filosofica: 1 - ha con-fuso opposizione dialettica e contraddizione;2 - ha posto quel tertium che ha chiamato sintesi sullo stesso piano (immanente) degli opposti tesi e antitesi.Ciò ha indotto molti logici a vedere nella Dialettica una palese violazione del principio di non contraddizione e quindi a rifiutarla. Si veda, per esempio, Popper:https://digilander.libero.it/moses/poppol1.htmlCit. CARLOAvendo a che fare con un "noumeno" inosservabile, inconoscibile e assolutamente separato dalla cosa fenomenica, e con un Dio assolutamente trascendente e separato da ogni esperienza, non si può che sfociare nel relativismo e nell'agnosticismo.APEIRONNon concordo. Per passare al relativismo bisogna anche abbandonare l'etica. Come cercavo di dirti, Kant praticamente riteneva che l'etica fosse una "porta" per ciò che la ragione non riusciva ad "afferrare" (perciò, concordo, strettamente parlando con l'agnosticismo. Finché ci si limita alla "ragion pura"...quando si passa alla "ragion pratica", no). CARLOCon un "mondo in sé" e un Dio inconoscibili, il famoso "imperativo morale" fa presto a dissolversi in un flatus vocis non appena si osservi l'esistenza fosse anche di un solo individuo privo di qualunque scrupolo etico; e nel mondo ce n'è più di uno.APEIRONP. S. Hegel, per fare un esempio, riteneva che Essere e Non-Essere fossero complementari e che la loro dialettica "producesse" il Divenire. E che tale Divenire fosse l'evoluzione del Tutto (che era interconnesso... Non a caso a Bohm, da quanto mi ricordo, la metafisica Hegeliana piaceva molto). Il Divenire era quindi l'espressione "primaria", per così dire della Dialettica.Così Hegel "spiegava" perché "si osserva" il divenire e non l'essere.CARLOLa soluzione del dualismo apparente Essere/Divenire è quella di concepire non un Divenire caotico, ma un Divenire ordinato, soggetto cioè alle medesime regole del Principio "eterno" che regge l'Essere non-diveniente. Solo in questo modo il Divenire rientra nei ranghi dell'Essere. E questo è esattamente ciò che osserva Jung in quei processi di trasformazione spirituale che egli chiama "processi di individuazione". La dinamica di tali processi non è sintetizzabile in poche righe, ma possono essere indicative delle affermazioni come queste:"Il problema dei contrari inteso come principio inerente alla natura umana rappresenta un altro passo avanti nel nostro graduale processo conoscitivo. Questo problema è un problema dell'età matura". [C.G.JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.107]"La polarità della struttura della psiche è in comune con tutti i processi naturali. Questi ultimi sono fenomeni energetici che scaturiscono sempre da uno stato "meno probabile" di tensione tra gli opposti. Questa formula si rivela di particolare importanza per la psicologia, nella misura in cui la coscienza esita di solito a riconoscere o ad ammettere il carattere di polarità del suo sfondo, anche se proprio da quest'ultimo trae la sua energia". [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg. 8]"Il processo naturale dell'unificazione tra contrari è diventato per me un modello e il fondamento di un metodo che consiste essenzialmente in questo: far emergere intenzionalmente ciò che per sua natura si verifica inconsciamente e spontaneamente, e integrarlo nella coscienza e nel suo modo di vedere proprio". [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.135]"I simboli usciti dall'inconscio, che appaiono nei sogni, indicano la necessità di porre a confronto i contrari, mentre le immagini della meta rappresentano la loro armonizzazione ben riuscita". [JUNG:Psicologia e religione - pg.441]"La natura non si limita a contenere un processo di trasformazione: essa è la trasformazione stessa. Non tende all'isolamento, bensì alla "coniunctio oppositorum", alla festa nuziale, cui fanno seguito morte e rinascita. [...] Qui avviene il ricongiungimento degli opposti, che la luce proveniente dall'alto aveva bruscamente separato". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.199]
Salve. Interminabile disputa sulla casualità. Superflua sino a che qualcuno riuscirà a confutare la seguente definizione :
DICESI CASUALE QUELL'EVENTO DEL QUALE NON CONOSCIAMO LA/LE CAUSE".
Diversamente l'evento diventarà CAUSALE (sia perchè originato da causa che perchè destinato a produrre effetti, no?).
Attendo nuova e più efficace definizione di "casualità". Occorre solamente qualcuno che affermi che il mondo è diviso in due emisferi : quello in cui gli eventi sono soggetti a delle cause note od ignote e quello in cui gli si producono eventi privi di causa.
Salutoni.
Citazione di: viator il 13 Ottobre 2018, 17:53:45 PM
Salve. Interminabile disputa sulla casualità. Superflua sino a che qualcuno riuscirà a confutare la seguente definizione :
DICESI CASUALE QUELL'EVENTO DEL QUALE NON CONOSCIAMO LA/LE CAUSE".
...
Attendo nuova e più efficace definizione di "casualità".
CARLO
DICESI CASUALE QUELL'EVENTO DEL QUALE, PUR CONOSCENDO LE CAUSE E LE LEGGI CHE LO DETERMINANO, NON SIAMO IN GRADO DI PREVEDERE L'EPILOGO O GLI STATI FUTURI.
VIATOR
Occorre solamente qualcuno che affermi che il mondo è diviso in due emisferi : quello in cui gli eventi sono soggetti a delle cause note od ignote e quello in cui gli si producono eventi privi di causa.CARLO
Infatti il mondo è
composto (non "diviso") da due emisferi: quello deterministico e non-finalistico della materia-energia, e quello - capace di libere decisioni intenzionali e finalistiche - della mente umana. Nè l'uno né l'altro emisfero hanno a che vedere con la casualità, la quale è
solo un nome che diamo alla nostra ignoranza contingente.
Salve Carlo. Grazie per averci illuminato attraverso lo spostamento della casualità dalla ignoranza delle sue origini all'imprevedibilità dei suoi effetti. Spero che i materassi che hanno accolto il tuo atterraggio dopo un simile salto mortale siano risultati idonei all'acrobazia.
E poi, scusa la pedanteria, ma io stavo parlando di emisferi (mezze sfere), le quali risultano sempre dalla divisione di una sfera intera. D'altra parte non ero io a sostenere la tesi degli emisferi. Affermavo : "Occorre solamente (trovare ipoteticamente) qualcuno che affermi..........". Saluti.
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 11:19:52 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Ottobre 2018, 11:01:05 AM
Le pretese ontologiche della religione sono state, con errore sperimentale trascurabile, falsificate.
CARLO
<<Falsificate>> da cosa?
Dalla Scienza che non moltiplica gli enti senza necessità e fin dai tempi napoleonici affermò che si può spiegare l'universo senza l'ipotesi Dio. Hybris imperdonabile, ma la scienza è fatta così e malgrado i salti quantistici continua a considerare altamente improbabile che due enti, e le rispettive narrazioni, possano coesistere nello stesso spazio nello stesso tempo. La scienza non è democratica, disse qualcuno. Non lo è sicuramente la scienza medica: o le cure o le preghiere. Pare che tra gli umani evoluti anche i teisti propendano per le cure. Eventuamente supportandole, in seconda istanza, con le preghiere. Magra consolazione per Dio, che lascia intravedere l'ipotesi che la scienza, e la mela (dell'Eden, che ritorna con Newton), siano davvero creature di Satana ;D
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 11:19:52 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Ottobre 2018, 11:01:05 AM
IPAZIA
Rimane aperta la dimensione psicologica della religione. Ma anche lì, dalla filosofia materialistica alla psicologia, tanti processi sono stati scandagliati e scartati dall'interno stesso delle "scienze umane".
CARLO
<<Scartati>> da chi? Chi ha <<scartato>> la possibilità che la realtà del "sacro" si manifesti all'uomo sotto forma di sogni, visioni, ispirazioni mitico-poetiche o esperienze estatiche? E' proprio questa la "dimensione psicologica" a cui allude Jung:
Dopo un accenno alla corrente filosofica che va da Feuerbach a Nietzsche passando per Marx, va considerato (psicologia) che sa già ai tempi di Dostoevskij per Cristo erano brutti tempi, oggi un Cristo avrebbe più probabilità di finire al TSO che in croce. E constato che anche Jung se la passa male con la comunità psicologica ed è semplicemente impresentabile in ambito neuroscientifico. Per quel che vale ovviamente. Perchè non è compito delle neuroscienze parlare di anima. E gli archetipi appartengono più all'anima (di Jung) che all'evidenza scientifica. Nel cui ambito epistemico, suppongo, gli psicologi desiderino rimanere.
Quanto al "sacro", mi rifaccio a ciò che lo rende: il
sacrificio. La religione era partita alla grande, con sacrifici umani, ma poi si è, meritoriamente, accontentata di sacrifici metaforici, finiti in liturgie sempre più stanche. Il sacrificio è rimasto appannaggio reale di chi riproduce la specie umana col parto e di chi la conserva col lavoro. Il sacro sta lì. Tralascio la guerra che dalle Termopili ne ha fatta di strada ed oggi il "guerriero" si limita a premere un bottone che produce opera più di macelleria umana, prevalentemente non combattente, che di sacrale sacrificio di se', per qualche causa, solitamente sbagliata.
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2018, 08:32:24 AM
Dopo un accenno alla corrente filosofica che va da Feuerbach a Nietzsche passando per Marx, va considerato (psicologia) che sa già ai tempi di Dostoevskij per Cristo erano brutti tempi, oggi un Cristo avrebbe più probabilità di finire al TSO che in croce. E constato che anche Jung se la passa male con la comunità psicologica ed è semplicemente impresentabile in ambito neuroscientifico. Per quel che vale ovviamente. Perchè non è compito delle neuroscienze parlare di anima. E gli archetipi appartengono più all'anima (di Jung) che all'evidenza scientifica. Nel cui ambito epistemico, suppongo, gli psicologi desiderino rimanere.
Citazione
Mi autocensuro evitando di commentare la pretesa "corrente filosofica che va da [-l per me molto buono, N.d.R] Feuerbach a [-l per me pessimo, N.d.R.] Nietzsche passando per [il per me ottimo, N.dR] Marx": certe polemiche, oltre che spiacevoli, credo sarebbero perfettamente inutili.
Ma al di là dei mie miei "radicalissimi" dissensi da CarloPierini e da Jung, credo che il sapere umano non finisca ai confini della scienza: la loro per me é pessima filosofia irrazionalistica, ma la scienza non comprende e non potrà mai comprendere un problema metascientifico, filosofico come quello dei rapporti materia (cerebrale) - coscienza).
Che ci siano semplificazioni positivistiche, d'accordo (peraltro di peso assai diverso tra i citati). Ma che la presa d'atto che l'ontologia degli enti reali si andava spostando dalla filosofia alla scienza non mi pare pessima filosofia irrazionalistica, ma superamento di superstizioni millenarie. Spostare i confini della scienza non obbliga ad allargare quelli dello scientismo. Ma sicuramente restringe quelli dell'irrazionale.
Cit. IPAZIA
Le pretese ontologiche della religione sono state, con errore sperimentale trascurabile, falsificate.
Cit. CARLO
<<Falsificate>> da cosa?
IPAZIA
Dalla Scienza che non moltiplica gli enti senza necessità e fin dai tempi napoleonici affermò che si può spiegare l'universo senza l'ipotesi Dio. Hybris imperdonabile, ma la scienza è fatta così e malgrado i salti quantistici continua a considerare altamente improbabile che due enti, e le rispettive narrazioni, possano coesistere nello stesso spazio nello stesso tempo.
CARLO
Hai detto bene: hybris! Stai infatti contrabbandando un'asserzione puramente ipotetica - quella di Laplace - per verità scientifica e un buon criterio epistemologico - quello di Occam - come qualcosa che vanifica "l'ipotesi di Dio". Hybris allo stato puro.
IPAZIA
La scienza non è democratica, disse qualcuno.
CARLO
Ed è un bene. Ma l'ipotesi di Laplace non è scienza.
IPAZIA
Non lo è sicuramente la scienza medica: o le cure o le preghiere. Pare che tra gli umani evoluti anche i teisti propendano per le cure. Eventualmente supportandole, in seconda istanza, con le preghiere.
CARLO
La necessità dell'"ipotesi di Dio" deriva da ben altro che dall'efficacia terapeutica delle preghiere nella cura delle malattie organiche.
Cit. CARLO
<<Scartati>> da chi? Chi ha <<scartato>> la possibilità che la realtà del "sacro" si manifesti all'uomo sotto forma di sogni, visioni, ispirazioni mitico-poetiche o esperienze estatiche? E' proprio questa la "dimensione psicologica" a cui allude Jung:
IPAZIA
...
E constato che anche Jung se la passa male con la comunità psicologica ed è semplicemente impresentabile in ambito neuroscientifico. Per quel che vale ovviamente. Perchè non è compito delle neuroscienze parlare di anima. E gli archetipi appartengono più all'anima (di Jung) che all'evidenza scientifica. Nel cui ambito epistemico, suppongo, gli psicologi desiderino rimanere.
CARLO
Brava. ...Date il cervello alla neurobiologia scientifica e l'anima a Jung. :-)
Jung è impresentabile in ambito neuroscientifico? Certo, nello stesso modo i cui Galilei era impresentabile in ambito teologico.
IPAZIA
Quanto al "sacro", mi rifaccio a ciò che lo rende: il sacrificio. La religione era partita alla grande, con sacrifici umani, ma poi si è, meritoriamente, accontentata di sacrifici metaforici, finiti in liturgie sempre più stanche. Il sacrificio è rimasto appannaggio reale di chi riproduce la specie umana col parto e di chi la conserva col lavoro. Il sacro sta lì. Tralascio la guerra che dalle Termopili ne ha fatta di strada ed oggi il "guerriero" si limita a premere un bottone che produce opera più di macelleria umana, prevalentemente non combattente, che di sacrale sacrificio di se', per qualche causa, solitamente sbagliata.
CARLO
Il "sacro" non si esaurisce nei riti sacrificali, ma si estende ben al di là di essi.
Citazione di: viator il 13 Ottobre 2018, 22:20:59 PM
Salve Carlo. Grazie per averci illuminato attraverso lo spostamento della casualità dalla ignoranza delle sue origini all'imprevedibilità dei suoi effetti. Spero che i materassi che hanno accolto il tuo atterraggio dopo un simile salto mortale siano risultati idonei all'acrobazia.
CARLO
Più che "spostare" io intendevo "allargare" il contesto della nostra ignoranza, per cui, la definizione più precisa può essere:
DICESI CASUALE QUELL'EVENTO DEL QUALE, O NON SI CONOSCONO LE CAUSE, O PUR CONOSCENDO LE CAUSE E LE LEGGI CHE LO DETERMINANO, NON SIAMO IN GRADO DI PREVEDERE L'EPILOGO O GLI STATI FUTURI.VIATOR
E poi, scusa la pedanteria, ma io stavo parlando di emisferi (mezze sfere), le quali risultano sempre dalla divisione di una sfera intera. CARLOE io parlavo di due emisferi che compongono l'unità in quanto ontologicamente complementari, come lo sono corpo e mente. Si potrebbe invece parlare di divisione (dualismo) solo se regnasse una alterità assoluta tra i due.
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2018, 09:35:54 AM
Che ci siano semplificazioni positivistiche, d'accordo (peraltro di peso assai diverso tra i citati). Ma che la presa d'atto che l'ontologia degli enti reali si andava spostando dalla filosofia alla scienza non mi pare pessima filosofia irrazionalistica, ma superamento di superstizioni millenarie. Spostare i confini della scienza non obbliga ad allargare quelli dello scientismo. Ma sicuramente restringe quelli dell'irrazionale.
Spostare i confini della scienza non obbliga ad allargare quelli dello scientismo. Ma secondo me per lo più, molto spesso ma non sempre necessariamente, contribuisce a restringere quelli dell'irrazionale (non nei casi, non obbligatori ma nemmeno impossibili, in cui allarga quelli dello scientismo, che per me é un irrazionalismo a pieno titolo).Per ontologia intendo lo studio, la ricerca della conoscenza della realtà nei termini più generali astratti in cui essa possa essere considerata; realtà in generale che secondo me eccede la particolare realtà fenomenica materiale scientificamemnte conoscibile.Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AM
Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
CARLO
Tu insisti nella tua illusione di considerarti un dualista. Non l'hai ancora capito che una mente che
non è causa di alcun evento oggettivo è una
non-mente, proprio come quella dei monisti?
Il tuo è un monismo mascherato da dualismo, grazie all'uso di un
non-concetto come il "noumeno" kantiano.
Citazione di: sgiombo il 13 Ottobre 2018, 09:06:31 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Ottobre 2018, 21:31:08 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Ottobre 2018, 20:16:07 PM
SGIOMBO
Ma in che mondo vivi?
Di quale "filosofia" (stra-)parli?
Ti informo che esistono molteplici filosofie, non solo irrazionalistiche.
CARLO
Come dicevo tempo fa a Oxdeadbeef, si può intendere la filosofia secondo due immagini diverse e contrapposte:
1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;
2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente, così come sono complementari tutte le verità più autentiche e profonde.
Ecco, la filosofia reale, la storia della filosofia dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con l'immagine 1). Ed è evidente allora che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.
Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia per meglio comprendere il mondo, non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.
Io invece vedo la filosofia secondo l'immagine 2). La intendo cioè come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee - rigorosamente accordate tra loro come lo sono gli strumenti musicali - che eseguirà tante ed uniche grandi sinfonie: tante quante saranno le grandi verità che dovranno essere rappresentate.
Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere? Beh, non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti!
SGIOMBO
Ho capito: vivi in un mondo immaginario frutto dell' ideologia (falsa coscienza) scientista.
CARLO
Se non ti sei ancora accorto che la metà delle idee della filosofia contraddice l'altra metà, e che dunque un giorno sarà necessario cacciare via almeno la metà dei ...mercanti dal tempio, allora vuol dire che in un mondo di fantasia ci vivi tu. E il tuo distribuire false etichette di "scientista" non ti aiuta certo a scendere da ...lassù!
FATS DOMINO - Blueberry Hill
https://youtu.be/bQQCPrwKzdo
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Ottobre 2018, 15:05:37 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AM
Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
CARLO
Tu insisti nella tua illusione di considerarti un dualista. Non l'hai ancora capito che una mente che non è causa di alcun evento oggettivo è una non-mente, proprio come quella dei monisti?
Il tuo è un monismo mascherato da dualismo, grazie all'uso di un non-concetto come il "noumeno" kantiano.
Constato che quello di fare i processi alle intenzioni, e la pretesa di comprendere meglio degli altri e loro proprie convinzioni restano tuoi vizi inveterati.
La "mia" mente (fenomenica: "esse est percipi", Berkeley) non é causa di nessun evento oggettivo (ovvero in sé, noumenico) esattamente come la "mia " materia (altrettanto fenomenica: "esse set percipi", Hume), essendo invece esse entrambe manifestazioni coscienti soggettive della medesima e unica cosa in sé oggettiva, la quale é "neutra", né mentale, né materiale (in quanto non fenomenica).
Se poi non riesci a concepire un dualismo mente/materia che non sia interazionista (la mente non sarebbe reale se non -come conditio sine qua non per poterlo essere- interferente causalmente con la materia) non so che farci...
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Ottobre 2018, 18:28:13 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Ottobre 2018, 09:06:31 AM
SGIOMBO
Ho capito: vivi in un mondo immaginario frutto dell' ideologia (falsa coscienza) scientista.
CARLO
Se non ti sei ancora accorto che la metà delle idee della filosofia contraddice l'altra metà, e che dunque un giorno sarà necessario cacciare via almeno la metà dei ...mercanti dal tempio, allora vuol dire che in un mondo di fantasia ci vivi tu. E il tuo distribuire false etichette di "scientista" non ti aiuta certo a scendere da ...lassù!
CitazioneChe le filosofie siano molte, reciprocamente diverse e in parecchi casi reciprocamente contraddittorie, ivi compresa quelle scientista cui sei succube, lo so bene da un pezzo; infatti contrariamente a te vivo nel mondo reale.
Non ho comunque alcuna intenzione di continuare in questa inutile sequenza di reciproche sconfessioni.
Perciò non risponderò alla probabile tua reiterazione di infondate contumelie contro la filosofia, di esibizioni di malcelato (o più probabilmente negato in buona fede, ingenuamente) scientismo di fatto, di sballate "autentiche interpretazioni" delle mie convinzioni, con la solita precisazione che in questo caso chi tace (anziché ripetersi un' altra volta ancora) non acconsente.
Stammi bene.
@sgiombo,ti ringrazio molto per l'apprezzamento e ricambio la stima. In genere, le nostre discussioni su questi argomenti sono state molto piacevoli e, anche, fruttuose.
@Carlo,CitazioneIl linguaggio può rispecchiare il Divino solo mediante paradossi, ossimori, cioè, mediante coppie di significati opposti che però non si elidono reciprocamente, ma che sono complementari e non-separabili.
Cosicché, il Tao, come Deus absconditus, come Trascendenza massima, è Assenza, Silenzio, Non-Pensiero, Non-Essere, Nulla. Ma come Principio del creato, è Tutto, è Onnipresenza, è Clamore festoso, è Pensiero pieno e fondamentale.
Ciò non viola il principio di non contraddizione ("è impossibile che una stessa cosa sia e non sia nello stesso tempo e sotto il medesimo rispetto") poiché il Tao è Assenza e Onnipresenza sotto rispetti diversi.
Per questo nella dialettica (o nell'applicazione del Principio di Complementarità) è fondamentale la distinzione tra opposizioni dialettiche e contraddizioni.
"Il simbolo sacro richiede due interpretazioni diametralmente opposte, poiché né l'una né l'altra - da sola - può dimostrarsi valida. Il simbolo le significa entrambe ed è quindi un paradosso". [JUNG: Psicologia e religione -pg.186]
"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua". [N. CUSANO: De visione Dei]
In linea di massima, concorderei però farei attenzione.
Per il "taoismo", la "relazione" tra gli opposti è abbastanza "asimmetrica". Nel Tao Te Ching, qualità come la "passività", l'"apertura", l'"umiltà", la moderazione ecc sono qualità che vengono viste "migliori" (per mancanza di parola migliore) rispetto alle loro opposte.
Tuttavia, chi persevera in queste qualità è più vicino al Tao e "vive meglio" (e quindi, paradossalmente, "il sottomesso domina"...). Voglio dire, c'è una
preferenza abbastanza esplicita per certe qualità "passive". Potremmo dire che chi "pospone sé stesso" si "svuota" e quindi "somiglia più al Tao". Ergo, è come se chi tramite lo "yin" (passività, umiltà ecc) riduce le proprie aspirazioni ad "affermarsi" (che derivano dallo seguire lo "yang") e quindi "riduce" la propria identità e diventa "più simile" a ciò che è vuoto, come il Tao. Ergo, nella coppia dei complementari (almeno a livello etico) l'uomo dovrebbe "abbracciare" le qualità dello "yin" e come l'acqua "stare nel posto che gli uomini disdegnano".
Dunque, per "elevarsi" al Tao, il Tao Te Ching, in pratica, dice di "abbassarsi". D'altro canto, però, condanna il contrario: coloro che cercano di "elevarsi" con la forza e l'auto-affermazione vengono visti come coloro che più si allontanano dal Tao. Ergo, si capisce l'importanza dell'enfasi sulle qualità come "la vacuità", "la passività", il ritornare come un "legno non scolpito" ecc. Quindi, in ultima analisi il "culmine" è svuotarsi (cap. 16) e cercare di somigliare all'"indistinto","informe" ecc (ovvero il Tao).
Per questo motivo,
nell'ambito del Taoismo (o più precisamente "Tao Te Ching" e "Zhuangzi" - e un po' di Liezi) ritengo che è più opportuno pensare al Tao come trascendenza che "va oltre" agli opposti
svuotandosi anche di essi (nel capitolo 6 dello Zhuangzi (o "Chuang-tzu"), c'è un accenno ad una pratica di nome "zuowang", il "sedersi e dimenticare" ;D ...)
. Per certi versi puoi ancora vedere la "complementarietà": chi segue questa via si "eleva" ecc ma se pratichi lo "svuotamento" con il chiaro desiderio di
elevarti (di "affermarti") rischi di cadere nell'altra "via" (ovvero in quella dell'affermazione, dell'inflazione dell'ego ecc) :( . Non so se mi segui... "ad afferrarlo non lo prendi" (cap. 14) ::) ...e, ahimè voler "capirlo" è un modo per "afferrarlo" :( (come hai ben capito io ho un fortissimo desiderio di
capire...e, allo stesso tempo, so che, per così dire, devo "stare attento" ;) sono il primo che scambia il dito per la Luna;D , per citare la metafora del Buddhismo Zen (d'altronde il Taoismo e il Buddhismo si somigliano sul Silenzio). Per questo motivo, quindi, ritengo che
qualsiasi definizione che si da al Tao non "va bene". Anche quella che risulta, magari, più verosimile. Per arrivare al Silenzio, si deve "andare oltre" - usando un'altra metafora buddhista, lasciare la zattera dopo che si è attraversato il fiume...)
In questa prospettiva, puoi capire perché l'Oriente, in generale, preferisce il Silenzio (non a caso Niccolò Cusano è uno degli esponenti dell'apofatismo e non mi sorprende che sia accomunato al Taoismo...).
Ma forse rischiamo di andare avanti a discutere sull'interpretazione "giusta" di questi testi ad oltranza (quindi ci tocca "concordare sul dissenso" ;) ).
CitazioneVuoi sapere tutto e subito? (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
Ci vorranno forse secoli di ricerca e centinaia di menti brillanti per comprendere, gradualmente, in quanti diversi modi la realtà è un'espressione della Complementarità degli opposti. Per il momento io mi accontento di aver scoperto che la scienza, l'etica, la storia, la logica, la psicologia, la neurobiologia, la simbolica, la filosofia, ecc. presentano aspetti essenziali inscrivibili nel modello del Tao (o Principio di Complementarità) e che dunque l'archetipo omonimo - presente in ogni tempo e presso molte importanti tradizioni di pensiero - non è il parto di una fantasia oziosa, ma una vera e propria ispirazione-rivelazione, sebbene non ancora tradotta in una scienza o filosofia rigorosa.
Se vuoi avere un'idea di quali sono alcune varianti storiche di questo archetipo, puoi leggere il thread:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'archetipo-della-complementarita-l'archetipo-piu-diffuso-nella-storia-della-cu/
Grazie per i suggerimenti (leggerò a breve!). Come ti dicevo, sono convinto che c'è della "verità" nella Complementarità.
CitazioneCome già accennato, dire che l'Uno è "oltre l'essere" è solo uno dei due poli del paradosso; l'altro polo dice che l'Uno E' l'essere, il suo fondamento onnipresente.
Il Tao, cioè, - come ogni Dio che si rispetti - è uni-trinitario: due attributi opposti più il "tertium", la loro unità.
Nel neo-platonismo penso che entrambe le descrizioni vadano bene. Però, c'è l'opposizione tra gli "esseri" e l'Essere. Dunque, l'Uno è "oltre l'essere degli esseri" (spero di farmi capire), per così dire (se la cosa viene posta così, invece, onestamente, non vedo la Complementarità. Vedo, invece, che l'Uno non è né "l'essere degli esseri" né il loro non-essere...).
CitazioneCARLO
Naturalmente. Per noi è "un milione". <<Ti ho detto un milione di volte di...!>>.
Già :)
CitazioneCARLO
Il Tao è stato contemplato non-concettualmente per 2.500 anni. Quindi sarebbe anche ora che si incarni, com'è nelle corde di ogni buon Dio che si rispetti:
<<Tornerò a Sion e siederò in mezzo a Gerusalemme; e Gerusalemme sarà chiamata 'la città di verità'>>. (Zaccaria: 8,3)
<<Poiché da me uscirà la Legge stessa, e farò sì che il mio giudizio riposi anche come una luce per i popoli>>. (Isaia, 51: 4)
<<Il trono di Dio e dell'Agnello sarà nella città; i suoi servi lo serviranno; essi vedranno il suo volto e il suo nome sarà sulle loro fronti>>. [Apocalisse, 22, 3-5]
<<...E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. ...E vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo vestita come una sposa ornata per il suo amato. "Ecco, la tenda del Signore è col genere umano ed Egli risiederà con loro, ed essi saranno suoi popoli. E Dio stesso sarà con loro ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi>>. (Apocalisse, 21:1- 6)
Forse il nostro dissenso sul Tao dei "Taoisti" nasce proprio da qui. Tu vedi un'evoluzione nel "concetto" e, quindi, può esserci stato un equivoco tra noi due. infatti, tu hai già detto che vedi il "Taoismo" come una espressione del Principio di Complementarità e quindi probabilmente sei consapevole della differenza tra il tuo punto di vista e quello "Taoista". Dimmi se sbaglio... In pratica, secondo te, i "Taoisti" si sono sbilanciati troppo sul "Silenzio" e quindi hanno preso una posizione "estrema" dando troppo poca importanza alla Parola (e quindi all'Affermazione) ? :-\
Per certi versi, la teologia negativa, in Occidente, può essere vista come il "movimento complementare" ( ;D ): ovvero il movimento che cerca di dare valore al Silenzio dove c'è troppa Parola ::) ti comprendo nel modo giusto?
CitazioneCARLO
Infatti, in Occidente il Verbo-Logos del Cielo si è (simbolicamente) incarnato in un uomo terreno: Cristo.
Scrive Jung:
Pare di sì ;D
e infatti...
CitazioneInsomma dovrai rassegnarti all'idea che il Silenzio è solo una delle sue polarità costitutive; l'altra è il Clamore della Parola.
Su Hegel ti posso dare ragione, soprattutto sul fatto che non è riuscito a distinguere tra "complementarità" e "contraddizione"...
CitazioneCARLO
Con un "mondo in sé" e un Dio inconoscibili, il famoso "imperativo morale" fa presto a dissolversi in un flatus vocis non appena si osservi l'esistenza fosse anche di un solo individuo privo di qualunque scrupolo etico; e nel mondo ce n'è più di uno.
Potrei sbagliarmi ma la posizione di Kant è che l'etica è "trascendentale", ovvero è una condizione a-priori della nostra esperienza. E lo è per tutti (vedi l'universalità dell'"imperativo categorico"). Quindi chi non segue il "bene", va contro tale "trascendentale".
CitazioneLa soluzione del dualismo apparente Essere/Divenire è quella di concepire non un Divenire caotico, ma un Divenire ordinato...
Opinione per certi versi condivisibile... in fin dei conti, la mia opinione è che mentre "tutto diviene" le regolarità rimangono costanti (su questo siamo abbastanza vicini...). Sulla questione del "Principio" ho più dubbi. Non sono in realtà persuaso che il "Trascendente" sia il "Principio di tutto"...
P.S. La risposta è un po' incompleta e probabilmente avrò meno tempo di replicare. Inoltre, probabilmente stiamo ormai andando troppo "off-topic". Possiamo eventualmente continuare la discussione altrove (anche se, almeno nel breve termine credo che finiremo per concordare sui nostri dissensi...magari in futuro no :) )
Modifica 1 (19:58): personalmente, il Silenzio mi affascina proprio perché ho notato che tutti i miei tentativi di "afferrare" le cose con la mia ragione falliscono (ciò non significa che continuo a provarci :-[ ). Il Silenzio mi dà proprio questa sensazione di qualcosa di "più grande", proprio perché "inafferrabile" :)
Modifica 2 (20:06): Carlo, leggerò con molto interesse la risposta... non prenderlo come un "rifiuto di dialogare" (in realtà ho trovato la discussione molto stimolante). Però, secondo me, ad un certo punto è il tempo per "fermarsi" (e magari cambiare idea
se lo si ritiene opportuno riflettendo in privato ;) )... oltre al fatto che ormai stiamo andando troppo "off-topic"! (e, inoltre, forse sarò un po' impossibilitato a dare risposte "ben fatte" nei prossimi giorni per vari motivi)
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AM
Per ontologia intendo lo studio, la ricerca della conoscenza della realtà nei termini più generali astratti in cui essa possa essere considerata; realtà in generale che secondo me eccede la particolare realtà fenomenica materiale scientificamemnte conoscibile.
Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
Vi è un'ontologia degli enti reali che conviene lasciare alla scienza, compreso dio quando lo si spaccia per ente reale (e con ciò rispondo a Pierini) e un'ontologia dei concetti e degli enti immateriali che appartiene alla filosofia, inclusa la filosofia della scienza o epistemologia. Quindi il confine c'è, ma non è del tutto invalicabile da parte di filosofi-scienziati che hanno una preparazione sufficiente per non confondere i due "regni", ma che ne permettono la reciproca comunicazione e collaborazione.
Citazione di: Apeiron il 14 Ottobre 2018, 19:44:19 PM
Citazione
Cit. CARLO
Il linguaggio può rispecchiare il Divino solo mediante paradossi, ossimori, cioè, mediante coppie di significati opposti che però non si elidono reciprocamente, ma che sono complementari e non-separabili.
Cosicché, il Tao, come Deus absconditus, come Trascendenza massima, è Assenza, Silenzio, Non-Pensiero, Non-Essere, Nulla. Ma come Principio del creato, è Tutto, è Onnipresenza, è Clamore festoso, è Pensiero pieno e fondamentale.
Ciò non viola il principio di non contraddizione ("è impossibile che una stessa cosa sia e non sia nello stesso tempo e sotto il medesimo rispetto") poiché il Tao è Assenza e Onnipresenza sotto rispetti diversi.
Per questo nella dialettica (o nell'applicazione del Principio di Complementarità) è fondamentale la distinzione tra opposizioni dialettiche e contraddizioni.
"Il simbolo sacro richiede due interpretazioni diametralmente opposte, poiché né l'una né l'altra - da sola - può dimostrarsi valida. Il simbolo le significa entrambe ed è quindi un paradosso". [JUNG: Psicologia e religione -pg.186]
"Ho trovato un luogo in cui Tu sarai scoperto in maniera rivelata, luogo cinto dalla coincidenza degli opposti. Ed è questo il muro del paradiso nel quale tu abiti, la cui porta è custodita dallo spirito più alto della ragione, che bisogna vincere se si vuole che l'ingresso si apra. Ti si potrà vedere al di là della coincidenza degli opposti, ma mai al di qua". [N. CUSANO: De visione Dei]
APEIRON
In linea di massima, concorderei però farei attenzione.
Per il "taoismo", la "relazione" tra gli opposti è abbastanza "asimmetrica". Nel Tao Te Ching, qualità come la "passività", l'"apertura", l'"umiltà", la moderazione ecc sono qualità che vengono viste "migliori" (per mancanza di parola migliore) rispetto alle loro opposte. Tuttavia, chi persevera in queste qualità è più vicino al Tao e "vive meglio" (e quindi, paradossalmente, "il sottomesso domina"...). Voglio dire, c'è una preferenza abbastanza esplicita per certe qualità "passive". Potremmo dire che chi "pospone sé stesso" si "svuota" e quindi "somiglia più al Tao". Ergo, è come se chi tramite lo "yin" (passività, umiltà ecc) riduce le proprie aspirazioni ad "affermarsi" (che derivano dallo seguire lo "yang") e quindi "riduce" la propria identità e diventa "più simile" a ciò che è vuoto, come il Tao. Ergo, nella coppia dei complementari (almeno a livello etico) l'uomo dovrebbe "abbracciare" le qualità dello "yin" e come l'acqua "stare nel posto che gli uomini disdegnano".
Dunque, per "elevarsi" al Tao, il Tao Te Ching, in pratica, dice di "abbassarsi". D'altro canto, però, condanna il contrario: coloro che cercano di "elevarsi" con la forza e l'auto-affermazione vengono visti come coloro che più si allontanano dal Tao. Ergo, si capisce l'importanza dell'enfasi sulle qualità come "la vacuità", "la passività", il ritornare come un "legno non scolpito" ecc. Quindi, in ultima analisi il "culmine" è svuotarsi (cap. 16) e cercare di somigliare all'"indistinto","informe" ecc (ovvero il Tao).
Per questo motivo, nell'ambito del Taoismo (o più precisamente "Tao Te Ching" e "Zhuangzi" - e un po' di Liezi) ritengo che è più opportuno pensare al Tao come trascendenza che "va oltre" agli opposti svuotandosi anche di essi (nel capitolo 6 dello Zhuangzi (o "Chuang-tzu"), c'è un accenno ad una pratica di nome "zuowang", il "sedersi e dimenticare" ;D ...). Per certi versi puoi ancora vedere la "complementarietà": chi segue questa via si "eleva" ecc ma se pratichi lo "svuotamento" con il chiaro desiderio di elevarti (di "affermarti") rischi di cadere nell'altra "via" (ovvero in quella dell'affermazione, dell'inflazione dell'ego ecc) :( . Non so se mi segui... "ad afferrarlo non lo prendi" (cap. 14) ::) ...e, ahimè voler "capirlo" è un modo per "afferrarlo" :( (come hai ben capito io ho un fortissimo desiderio di capire...e, allo stesso tempo, so che, per così dire, devo "stare attento" ;) sono il primo che scambia il dito per la Luna;D , per citare la metafora del Buddhismo Zen (d'altronde il Taoismo e il Buddhismo si somigliano sul Silenzio). Per questo motivo, quindi, ritengo che qualsiasi definizione che si da al Tao non "va bene". Anche quella che risulta, magari, più verosimile. Per arrivare al Silenzio, si deve "andare oltre" - usando un'altra metafora buddhista, lasciare la zattera dopo che si è attraversato il fiume...)
In questa prospettiva, puoi capire perché l'Oriente, in generale, preferisce il Silenzio (non a caso Niccolò Cusano è uno degli esponenti dell'apofatismo e non mi sorprende che sia accomunato al Taoismo...).
Ma forse rischiamo di andare avanti a discutere sull'interpretazione "giusta" di questi testi ad oltranza (quindi ci tocca "concordare sul dissenso" ;) ).
CARLOInfatti concordiamo sul fatto che io ritengo la filosofia Taoista, come pure quella buddhista, squilibratamente sbilanciate a favore del Silenzio, del Non-Pensiero, del Vuoto, dell'Umiltà e, quindi, illegittimamente svalutative dell'Intelletto, del Verbo, della Conoscenza e - sul piano etico - della Forza attiva, del Valore "guerriero", della dignità individuale. Infatti, scrivevo nel thread "La Virtù è una complementarità di qualità opposte":<<L'ideale della virtù, a mio avviso, non è rappresentato dal modello cristiano del "santo" che, in nome di un perentorio "porgi l'altra guancia", rinuncia alle proprie prerogative di coraggio, di nobiltà e di dignità personale, scivolando spesso nella passività (ignavia) e nel martirio. E' invece molto più prossimo all'ideale del Samurai, cioè, del sacerdote-guerriero che coltiva, sì, le virtù dell'umiltà e della mitezza, ma anche le virtù opposte-complementari del coraggio, del valore, della forza attiva. ...Che è devoto al Primo degli esseri, ma anche all'ultimo dei fratelli, il debole, il perseguitato; ...che obbedisce alla giustizia, ma che ha l'ardire di disobbedire e di opporsi con la massima fermezza all'ingiusto e al prevaricatore, invece di lasciarsene martirizzare ignobilmente; ...che coltiva la fede, ma che non sacrifica ad essa la ragione e la conoscenza. In sintesi, l'umiltà che non è bilanciata dal senso della dignità e della sacralità della propria persona sconfina nel martirio; l'orgoglio e l'amore di sé non temperati dall'umiltà e dall'amore per il prossimo sconfinano nell'egocentrismo e nella prevaricazione; la fede senza la ragione e la conoscenza si degrada in superstizione, mentre la ragione e la conoscenza prive del senso della grandezza della "Sapientia Dei" sfociano nella saccenteria e nella presunzione intellettuale. ...In parole povere, anche la santità (o la virtù) è una Complementarità di opposti>>.CitazioneCARLO
Come già accennato, dire che l'Uno è "oltre l'essere" è solo uno dei due poli del paradosso; l'altro polo dice che l'Uno E' l'essere, il suo fondamento onnipresente.
Il Tao, cioè, - come ogni Dio che si rispetti - è uni-trinitario: due attributi opposti più il "tertium", la loro unità.
APEIRONNel neo-platonismo penso che entrambe le descrizioni vadano bene. Però, c'è l'opposizione tra gli "esseri" e l'Essere. Dunque, l'Uno è "oltre l'essere degli esseri" (spero di farmi capire), per così dire (se la cosa viene posta così, invece, onestamente, non vedo la Complementarità. Vedo, invece, che l'Uno non è né "l'essere degli esseri" né il loro non-essere...). CARLODimentichi che gli "esseri" sono "fatti a immagine e somiglianza" dell'Essere, che l'Essere è il Padre e gli esseri sono i Figli amati, che il Brahman può manifestarsi nell'intimità dell''"atman" individuale (il Sé), che la nostra anima è consustanziale all'Intelletto Divino, che l'Essere si incarna simbolicamente in un essere. Pertanto, quel tuo "oltre" non può essere un "oltre assoluto", e l'opposizione tra "Essere" e "esseri" non può essere una separazione, ma una opposizione di complementari.
CitazioneCit. CARLO
Il Tao è stato contemplato non-concettualmente per 2.500 anni. Quindi sarebbe anche ora che si incarni, com'è nelle corde di ogni buon Dio che si rispetti:
<<Tornerò a Sion e siederò in mezzo a Gerusalemme; e Gerusalemme sarà chiamata 'la città di verità'>>. (Zaccaria: 8,3)
<<Poiché da me uscirà la Legge stessa, e farò sì che il mio giudizio riposi anche come una luce per i popoli>>. (Isaia, 51: 4)
<<Il trono di Dio e dell'Agnello sarà nella città; i suoi servi lo serviranno; essi vedranno il suo volto e il suo nome sarà sulle loro fronti>>. [Apocalisse, 22, 3-5]
<<...E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. ...E vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo vestita come una sposa ornata per il suo amato. "Ecco, la tenda del Signore è col genere umano ed Egli risiederà con loro, ed essi saranno suoi popoli. E Dio stesso sarà con loro ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi>>. (Apocalisse, 21:1- 6)
APEIRONForse il nostro dissenso sul Tao dei "Taoisti" nasce proprio da qui. Tu vedi un'evoluzione nel "concetto" e, quindi, può esserci stato un equivoco tra noi due. infatti, tu hai già detto che vedi il "Taoismo" come una espressione del Principio di Complementarità e quindi probabilmente sei consapevole della differenza tra il tuo punto di vista e quello "Taoista". Dimmi se sbaglio... In pratica, secondo te, i "Taoisti" si sono sbilanciati troppo sul "Silenzio" e quindi hanno preso una posizione "estrema" dando troppo poca importanza alla Parola (e quindi all'Affermazione) ? (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/undecided.gif)
CARLOEsattamente! Come ho detto sopra, quella dei Taoisti-Buddhisti è una filosofia squilibrata, poiché considera l'intelletto come un inutile orpello, invece che come lo yang contrapposto allo yin del cuore.
APEIRONPer certi versi, la teologia negativa, in Occidente, può essere vista come il "movimento complementare" ( (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) ): ovvero il movimento che cerca di dare valore al Silenzio dove c'è troppa Parola (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/rolleyes.gif) ti comprendo nel modo giusto?CARLOEsattamente. Può essere vista come una sorta di compensazione tendente a ristabilire l'equilibrio. Ma il problema è che spesso questa compensazione si trasforma nell'estremismo opposto a quello che si vorrebbe equilibrare. Questo fenomeno si chiama "enantiodromia", cioè "passaggio da un opposto all'altro". Per esempio, alla tirannia dello spiritualismo cattolico del primo millennio è seguita la tirannia del materialismo nel secondo millennio. Non ci resta che sperare in una complementarizzazione di spiritualismo e materialismo nel terzo millennio, come più o meno profetizzava Gioachino da Fiore. Ma ciò potrà avvenire soltanto quando scopriremo l'esistenza di un Principio unificante, cioè, valido in entrambi i domini. ...Non si tratterà, per caso, del Principio di Complementarità degli opposti? ;)
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2018, 23:57:51 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AM
Per ontologia intendo lo studio, la ricerca della conoscenza della realtà nei termini più generali astratti in cui essa possa essere considerata; realtà in generale che secondo me eccede la particolare realtà fenomenica materiale scientificamemnte conoscibile.
Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
Vi è un'ontologia degli enti reali che conviene lasciare alla scienza, compreso dio quando lo si spaccia per ente reale (e con ciò rispondo a Pierini) e un'ontologia dei concetti e degli enti immateriali che appartiene alla filosofia, inclusa la filosofia della scienza o epistemologia. Quindi il confine c'è, ma non è del tutto invalicabile da parte di filosofi-scienziati che hanno una preparazione sufficiente per non confondere i due "regni", ma che ne permettono la reciproca comunicazione e collaborazione.
Naturalmente a nessun scienziato é vietato occuparsi di filosofia (anzi, sarebbe raccomandabile secondo me) come a nessun filosofo é vietato occuparsi di scienze (idem).
Ma quando affermo che la realtà in toto eccede il mondo materiale, intendo non (non solo) che esistono i concetti concreti ed astratti con i rispettivi significati, ma che secondo me esistono (anche) enti ed eventi mentali (reali non come contenuti di pensiero ma come "cose") fenomenici non identificabili con, né riducibili a, né sopravvenienti a enti ed eventi (pure fenomenici: reali
altrettanto, né più né meno) materiali.
Citazione di: sgiombo il 15 Ottobre 2018, 08:40:31 AM
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2018, 23:57:51 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AMPer ontologia intendo lo studio, la ricerca della conoscenza della realtà nei termini più generali astratti in cui essa possa essere considerata; realtà in generale che secondo me eccede la particolare realtà fenomenica materiale scientificamemnte conoscibile. Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
Vi è un'ontologia degli enti reali che conviene lasciare alla scienza, compreso dio quando lo si spaccia per ente reale (e con ciò rispondo a Pierini) e un'ontologia dei concetti e degli enti immateriali che appartiene alla filosofia, inclusa la filosofia della scienza o epistemologia. Quindi il confine c'è, ma non è del tutto invalicabile da parte di filosofi-scienziati che hanno una preparazione sufficiente per non confondere i due "regni", ma che ne permettono la reciproca comunicazione e collaborazione.
Naturalmente a nessun scienziato é vietato occuparsi di filosofia (anzi, sarebbe raccomandabile secondo me) come a nessun filosofo é vietato occuparsi di scienze (idem). Ma quando affermo che la realtà in toto eccede il mondo materiale, intendo non (non solo) che esistono i concetti concreti ed astratti con i rispettivi significati, ma che secondo me esistono (anche) enti ed eventi mentali (reali non come contenuti di pensiero ma come "cose") fenomenici non identificabili con, né riducibili a, né sopravvenienti a enti ed eventi (pure fenomenici: reali altrettanto, né più né meno) materiali.
Concordo e, personalmente, mi spingerei ancora più in là: ogni fenomeno (sia mentale che materiale) non è altro che una "rappresentazione" che la mente si costruisce partendo dalla percezione di 'qualcosa' (indefinito). Il 'mondo' non è che una rappresentazione mentale (spesso assai dolorosa...).
Che, tuttavia, questa considerazione, nonostante la sua verità sia arbitraria, risulta evidente a ciascuno in virtú dell'intima riluttanza che egli prova a concepire il mondo soltanto come sua mera rappresentazione; anche se a questo concetto egli non può certo mai sottrarsi. (Schopenhauer).Pertanto, in modo roboante, simile al ruggito del leone ( quando privato di leonesse...) io proclamo la dipendenza del 'materiale' dal 'mentale'.
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 09:01:47 AM
Citazione di: sgiombo il 15 Ottobre 2018, 08:40:31 AM
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2018, 23:57:51 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Ottobre 2018, 11:16:06 AMPer ontologia intendo lo studio, la ricerca della conoscenza della realtà nei termini più generali astratti in cui essa possa essere considerata; realtà in generale che secondo me eccede la particolare realtà fenomenica materiale scientificamemnte conoscibile. Dunque per me, contrariamente ai monisti materialisti, l' ontologia non sarà mai inglobata nei confini della scienza, sarà sempre materia di studio filosofica.
Vi è un'ontologia degli enti reali che conviene lasciare alla scienza, compreso dio quando lo si spaccia per ente reale (e con ciò rispondo a Pierini) e un'ontologia dei concetti e degli enti immateriali che appartiene alla filosofia, inclusa la filosofia della scienza o epistemologia. Quindi il confine c'è, ma non è del tutto invalicabile da parte di filosofi-scienziati che hanno una preparazione sufficiente per non confondere i due "regni", ma che ne permettono la reciproca comunicazione e collaborazione.
SGIOMBO
Naturalmente a nessun scienziato é vietato occuparsi di filosofia (anzi, sarebbe raccomandabile secondo me) come a nessun filosofo é vietato occuparsi di scienze (idem). Ma quando affermo che la realtà in toto eccede il mondo materiale, intendo non (non solo) che esistono i concetti concreti ed astratti con i rispettivi significati, ma che secondo me esistono (anche) enti ed eventi mentali (reali non come contenuti di pensiero ma come "cose") fenomenici non identificabili con, né riducibili a, né sopravvenienti a enti ed eventi (pure fenomenici: reali altrettanto, né più né meno) materiali.
SARI PUTRA
Concordo e, personalmente, mi spingerei ancora più in là: ogni fenomeno (sia mentale che materiale) non è altro che una "rappresentazione" che la mente si costruisce partendo dalla percezione di 'qualcosa' (indefinito). Il 'mondo' non è che una rappresentazione mentale (spesso assai dolorosa...).
Che, tuttavia, questa considerazione, nonostante la sua verità sia arbitraria, risulta evidente a ciascuno in virtú dell'intima riluttanza che egli prova a concepire il mondo soltanto come sua mera rappresentazione; anche se a questo concetto egli non può certo mai sottrarsi. (Schopenhauer).
Pertanto, in modo roboante, simile al ruggito del leone ( quando privato di leonesse...) io proclamo la dipendenza del 'materiale' dal 'mentale'.
CARLOA quanto pare, in questo NG è presente l'intera rappresentanza della ...Trinità: c'è chi (come SamuelSilver, Phil, ecc.) identifica il fondamento dell'essere nella materia, c'è chi (come te e Sgiombo) lo identifica nel "mentale", e c'è chi (come me) lo identifica nell'Uno superiore che abbraccia in sé materia e mente.Ma credo che se il leone-yang ritrovasse la sua leonessa-yin, ruggirebbe la pari dignità di yin e yang, di "materiale" e "mentale" nell'unità superiore del Tao.! :)
Per approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema, che mi sembra perfettamente 'centrato' e che condivido in toto (eccetto la concezione Schopenhaueriana della "cosa in sé" come volontà...) . Quando, alla fine del commento Fusaro dice che, per Schopenhauer, la "cosa in sè" si può attingere solamente con il 'corpo'...ecco, questo mi appare come l'incipit per lo sviluppo , particolarmente prezioso nell'esperienza dell'oriente, della "meditazione"...( e in questo credo che poi anche Schopenhauer concordasse...).
https://www.youtube.com/watch?v=np7uzHlENJ4
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AM
Per approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO
Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D
Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D
Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO
Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <<il mondo è rappresentazione (o percezione)>>, ma dobbiamo chiarire che <<il mondo non è
qualunque rappresentazione, ma solo
la corretta rappresentazione>>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:42:44 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <>, ma dobbiamo chiarire che <>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
E' sempre "corretta" o "falsa" in rapporto alla rappresentazione che se ne fa la mente del "metodo sperimentale". E cos'è questo 'metodo' se non anch'esso una rappresentazione che nasce e si sviluppa sulla base delle percezioni?
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:53:58 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:42:44 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <>, ma dobbiamo chiarire che <>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
SARIPUTRA
E' sempre "corretta" o "falsa" in rapporto alla rappresentazione che se ne fa la mente del "metodo sperimentale". E cos'è questo 'metodo' se non anch'esso una rappresentazione che nasce e si sviluppa sulla base delle percezioni?
CARLO
Appunto: esiste il mondo ed esiste quella "giusta rappresentazione" del mondo che noi chiamiamo "verità". Ma se diciamo che <<il mondo è rappresentazione>>, occultiamo questa distinzione di soggetto e oggetto con-fondendo indebitamente i
DUE enti nel solo concetto nebuloso di "rappresentazione" (o "percezione") e rendendo nebuloso e confuso anche il concetto di "verità", per la gioia dei relativisti.
Per cui, come ho ripetuto più volte, dobbiamo correggere il motto di Hume da <<esse est percipi>> a <<
esse est iusta interpretatio perceptionis>>.
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 11:07:38 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:53:58 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:42:44 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <>, ma dobbiamo chiarire che <>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
SARIPUTRA E' sempre "corretta" o "falsa" in rapporto alla rappresentazione che se ne fa la mente del "metodo sperimentale". E cos'è questo 'metodo' se non anch'esso una rappresentazione che nasce e si sviluppa sulla base delle percezioni?
CARLO Appunto: esiste il mondo ed esiste quella "giusta rappresentazione" del mondo che noi chiamiamo "verità". Ma se diciamo che <>, occultiamo questa distinzione di soggetto e oggetto con-fondendo indebitamente i DUE enti nel solo concetto nebuloso di "rappresentazione" (o "percezione") e rendendo nebuloso e confuso anche il concetto di "verità", per la gioia dei relativisti. Per cui, come ho ripetuto più volte, dobbiamo correggere il motto di Hume da <> a <<esse est iusta interpretatio perceptionis>>.
Infatti , quel che dice S., riportato anche dal Fusaro, e che io condivido è che le "rappresentazioni" sono relative , ma non è relativo il fatto che il 'mondo' è una rappresentazione e, di conseguenza, non è relativo il fatto che l'uomo, unico (per quel che se ne sa...indimostrabile a parer mio) tra tutti gli esseri senzienti, può essere consapevole di questo "processo di costruzione mentale"... cioè di essere l'autore della rappresentazione.
Schop. amava molto gli animali (molto più dell'uomo...) e arriva ad affermare che ogni essere senziente, a parer suo, si 'rappresenta' il mondo. E' una cosa che , a rifletterci, fa perdere il senno, da quanto è bella questa immagine...
Grazie, Sari per avermi risparmiato di rispondere a CP (condivido le tue risposte, salvo preferire l' uso del termine "coscienza" per "mente").
Ho cominciato a leggere Dieci lezioni sul buddismo di Pasqualotto, ed é certamente interessante (penso che te ne parlerò brevemente (spero per tutti e due!) in messaggi privati.
Citazione di: sgiombo il 15 Ottobre 2018, 11:37:13 AMGrazie, Sari per avermi risparmiato di rispondere a CP (condivido le tue risposte, salvo preferire l' uso del termine "coscienza" per "mente"). Ho cominciato a leggere Dieci lezioni sul buddismo di Pasqualotto, ed é certamente interessante (penso che te ne parlerò brevemente (spero per tutti e due!) in messaggi privati.
Sì, io uso di solito il termine 'mente', ma dovrei più correttamente usare il termine buddhista vinnana (che però non ha esattamente lo stesso identico significato del nostro termine 'coscienza'...in quanto comprende anche il significato di "nutrimento" e di "spazio/serbatoio/raccolta). Il termine mente è però più comprensibile per tutti, meno "specialistico"...
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 11:28:12 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 11:07:38 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:53:58 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:42:44 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <>, ma dobbiamo chiarire che <>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
SARIPUTRA E' sempre "corretta" o "falsa" in rapporto alla rappresentazione che se ne fa la mente del "metodo sperimentale". E cos'è questo 'metodo' se non anch'esso una rappresentazione che nasce e si sviluppa sulla base delle percezioni?
CARLO Appunto: esiste il mondo ed esiste quella "giusta rappresentazione" del mondo che noi chiamiamo "verità". Ma se diciamo che <<il mondo è rappresentazione>>, occultiamo questa distinzione di soggetto e oggetto con-fondendo indebitamente i DUE enti nel solo concetto nebuloso di "rappresentazione" (o "percezione") e rendendo nebuloso e confuso anche il concetto di "verità", per la gioia dei relativisti. Per cui, come ho ripetuto più volte, dobbiamo correggere il motto di Hume da <<esse est percipi>> a <<esse est iusta interpretatio perceptionis>>.
SARIPUTRA
Infatti , quel che dice S., riportato anche dal Fusaro, e che io condivido è che le "rappresentazioni" sono relative , ma non è relativo il fatto che il 'mondo' è una rappresentazione e, di conseguenza, non è relativo il fatto che l'uomo, unico (per quel che se ne sa...indimostrabile a parer mio) tra tutti gli esseri senzienti, può essere consapevole di questo "processo di costruzione mentale"... cioè di essere l'autore della rappresentazione.
CARLO
Questo è solo un "furbetto" gioco di parole per imporre il relativismo come una verità
assoluta, cioè per contrabbandare come valida una contraddizione. Infatti, l'affermazione <<il mondo è rappresentazione>> è anch'essa una rappresentazione, quindi, a rigor di logica, dovrebbe essere anch'essa relativa.
Insomma, se io dico di pesare almeno 70 chili e tu dici che non ne peso più di 30, le nostre due rappresentazioni si contraddicono, e per stabilire quale delle due è falsa non ricorriamo a una terza rappresentazione soggettiva, ma ricorriamo ad una bilancia di precisione; e se essa indicherà 72 chili, non avremo dubbi che la tua rappresentazione è falsa e quindi deve e essere cancellata dal novero delle rappresentazioni corrette. Ergo, è falso anche che <<il mondo è rappresentazione>>, ed è vero che <<il mondo è la corretta interpretazione delle nostre percezioni>>.
Se poi non sempre è facile capire quale sia la corretta interpretazione del mondo, ciò non vuol dire che possiamo fare di tutta l'erba un fascio e accettare indiscriminatamente qualsiasi "rappresentazione". Altrimenti non staremmo qui a discutere se sia più corretta la mia rappresentazione del mondo o quella di Hume-Schopenhauer.
Questa è roba da asilo, non da NG di filosofia!
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 12:18:20 PM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 11:28:12 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 11:07:38 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:53:58 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:42:44 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:23:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Ottobre 2018, 10:19:10 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 10:13:45 AMPer approfondire ulteriormente la concezione del mondo come mia rappresentazione posto questo link ad un commento di Diego Fusaro sul tema,..
CARLO Vuoi dire che anche Diego Fusaro è "una tua rappresentazione"?
Ovviamente!... ;D Nota però che non si sta negando l'esistenza del 'materiale' , ma solamente si sostiene che di questo non può darsi che una nostra rappresentazione...
CARLO Certo, quando trasferiamo il "materiale" nel nostro linguaggio, non diventa altro che una nostra rappresentazione. Ma se la mia rappresentazione contraddice la tua, è sicuro che almeno una delle due è falsa (se non entrambe). Quindi non è sufficiente dire che <>, ma dobbiamo chiarire che <>. Per questo la scienza ha scoperto il metodo sperimentale: per scartare le false rappresentazioni ed ammettere solo quelle corrette. ...E, a giudicare dall'enorme successo che essa ha riscosso (nel dominio che le compete), è molto più probabile che abbia ragione lei e non Schopenhauer.
SARIPUTRA E' sempre "corretta" o "falsa" in rapporto alla rappresentazione che se ne fa la mente del "metodo sperimentale". E cos'è questo 'metodo' se non anch'esso una rappresentazione che nasce e si sviluppa sulla base delle percezioni?
CARLO Appunto: esiste il mondo ed esiste quella "giusta rappresentazione" del mondo che noi chiamiamo "verità". Ma se diciamo che <>, occultiamo questa distinzione di soggetto e oggetto con-fondendo indebitamente i DUE enti nel solo concetto nebuloso di "rappresentazione" (o "percezione") e rendendo nebuloso e confuso anche il concetto di "verità", per la gioia dei relativisti. Per cui, come ho ripetuto più volte, dobbiamo correggere il motto di Hume da <> a <<esse est iusta interpretatio perceptionis>>.
SARIPUTRA Infatti , quel che dice S., riportato anche dal Fusaro, e che io condivido è che le "rappresentazioni" sono relative , ma non è relativo il fatto che il 'mondo' è una rappresentazione e, di conseguenza, non è relativo il fatto che l'uomo, unico (per quel che se ne sa...indimostrabile a parer mio) tra tutti gli esseri senzienti, può essere consapevole di questo "processo di costruzione mentale"... cioè di essere l'autore della rappresentazione.
CARLO Questo è solo un "furbetto" gioco di parole per imporre il relativismo come una verità assoluta, cioè per contrabbandare come valida una contraddizione. Infatti, l'affermazione <> è anch'essa una rappresentazione, quindi, a rigor di logica, dovrebbe essere anch'essa relativa. Insomma, se io dico di pesare almeno 70 chili e tu dici che non ne peso più di 30, le nostre due rappresentazioni si contraddicono, e per stabilire quale delle due è falsa non ricorriamo a una terza rappresentazione soggettiva, ma ricorriamo ad una bilancia di precisione; e se essa indicherà 72 chili, non avremo dubbi che la tua rappresentazione è falsa e quindi deve e essere cancellata dal novero delle rappresentazioni corrette. Ergo, è falso anche che <>, ed è vero che <>. Se poi non sempre è facile capire quale sia la corretta interpretazione del mondo, ciò non vuol dire che possiamo fare di tutta l'erba un fascio e accettare indiscriminatamente qualsiasi "rappresentazione". Altrimenti non staremmo qui a discutere se sia più corretta la mia rappresentazione del mondo o quella di Hume-Schopenhauer. Questa è roba da asilo, non da NG di filosofia!
Carlo, dire che anche la scienza è una rappresentazione non significa dire che è inutile o illusoria, significa solamente stabilire il 'limite' di quella rappresentazione mentale , cioè non assolutizzare nemmeno la scienza. Essere consapevoli di ciò non è relativismo, ma semplicemente il porsi su un piano di 'consapevolezza' di questo limite. Questa consapevolezza di essere "costruttori di rappresentazioni" non può essere 'relativismo' perchè il relativismo si pone sul piano delle rappresentazioni, non su quello della consapevolezza/coscienza di questo. Infatti non è 'relativo' che il mondo è una mia rappresentazione (concetto a cui "non ci si può mai sottrarre" dice Schopenauer...).Non mi sembra un "gioco di parole" furbesco e nemmeno sottintende l'imporre il realtivismo come "verità assoluta", infatti la coscienza che il mondo è una mia rappresentazione mi fa essere consapevole anche del fatto che pure una concezione relativistica non è altro che una mia rappresentazione...
In realtà questo "principio di consapevolezza" si muove in direzione autonoma sia alla concezione 'assolutistica' che a quella 'relativistica' delle rappresentazioni, a mio parere (una sorta di "coscienza critica", se così si può dire, che ambedue sono solo rappresentazioni)...e fatto risuonare da me, oggi, come ruggito di virile leone ( che ha visto le leonesse andarsene con un altro leone...).
Stavolta concordo con CP. Tutta sta storia della "rappresentazione" mi rammenta l'aneddoto di quel guru indiano, seguace della teoria della rappresentazione, che inseguito da un elefante inferocito fuggiva a gambe levate. Il che suscitò lo scherno dei "materialisti" che gli dissero: "ma perchè fuggi ? l'elefante inferocito è solo una rappresentazione". Al che egli rispose: "non sono io che fuggo, ma è la mia rappresentazione". Potendola raccontare, sembra quasi che la disputa teorica sia finita con la sua vittoria. Ma la disputa pratica sarebbe finita ben diversamente se la "rappresentazione" dell'elefante lo avesse raggiunto ;D
Anche la teoria metafisica della rappresentazione necessità di una sua gerarchia rappresentativa tra enti di natura diversa. La scienza semplifica il processo, eliminando il fattore costante della rappresentazione, e distinguendo chiaramente tra fenomeni sperimentalmente riproducibili oppure fenomenologicamente osservabili, ed enti immateriali di tipo logico-matematico o più o meno fantastici, sui quali essa scienza si approccia attraverso la psicologia e le neuroscienze. Fatto salvo l'ambito dei fenomeni sociali, il cui esito è recalcitrante ad ogni legge deterministica, su cui la scienza ha ben poco da dire, e pure la filosofia non sta messa granchè bene.
Concordo con Schopenauer sulla "rappresentazione" animale. Decisamente più plausibile della sua negazione. I delfini riescono, grazie agli ultrasuoni, a rappresentarsi la "forma" di "oggetti" nascosti da uno schermo visivo. E nessuno può escludere che quella forma e oggetto non siano più reali di quelli della filosofia. Il misantropo tedesco ne sarebbe certamente contento.
Cit. CARLO
Questo è solo un "furbetto" gioco di parole per imporre il relativismo come una verità assoluta, cioè per contrabbandare come valida una contraddizione. Infatti, l'affermazione <<il mondo è rappresentazione>> è anch'essa una rappresentazione, quindi, a rigor di logica, dovrebbe essere anch'essa relativa.
Insomma, se io dico di pesare almeno 70 chili e tu dici che non ne peso più di 30, le nostre due rappresentazioni si contraddicono, e per stabilire quale delle due è falsa non ricorriamo a una terza rappresentazione soggettiva, ma ricorriamo ad una bilancia di precisione; e se essa indicherà 72 chili, non avremo dubbi che la tua rappresentazione è falsa e quindi deve e essere cancellata dal novero delle rappresentazioni corrette. Ergo, è falso anche che <<il mondo è rappresentazione>>, ed è vero che <<il mondo è la corretta interpretazione delle nostre percezioni>>.
Se poi non sempre è facile capire quale sia la corretta interpretazione del mondo, ciò non vuol dire che possiamo fare di tutta l'erba un fascio e accettare indiscriminatamente qualsiasi "rappresentazione". Altrimenti non staremmo qui a discutere se sia più corretta la mia rappresentazione del mondo o quella di Hume-Schopenhauer.
Questa è roba da asilo, non da NG di filosofia!
SARIPUTRA
Carlo, dire che anche la scienza è una rappresentazione non significa dire che è inutile o illusoria, significa solamente stabilire il 'limite' di quella rappresentazione mentale , cioè non assolutizzare nemmeno la scienza. Essere consapevoli di ciò non è relativismo, ma semplicemente il porsi su un piano di 'consapevolezza' di questo limite. Questa consapevolezza di essere "costruttori di rappresentazioni" non può essere 'relativismo' perchè il relativismo si pone sul piano delle rappresentazioni, non su quello della consapevolezza/coscienza di questo. Infatti non è 'relativo' che il mondo è una mia rappresentazione (concetto a cui "non ci si può mai sottrarre" dice Schopenauer...).
CARLO
Io non contesto il fatto che l'uomo non abbia altro modo di introiettare il mondo che come rappresentazione (Tommaso diceva che <<l'oggetto conosciuto è nel soggetto conoscente secondo la natura del conoscente stesso>), ma contesto la affermazione di identità tra mondo e rappresentazione a favore di una più ragionevole corrispondenza. Un'identità ingannevole che occulta la possibilità di esistenza di rappresentazioni false e quindi la necessità di distinguere il falso dal vero. Anche a questa distinzione "non ci si può mai sottrarre", così come non possiamo sottrarci - come uomini - all'imperativo etico di distinguere il bene dal male, per quanto difficili e problematiche possano essere entrambe le imprese.
SARIPUTRA
Non mi sembra un "gioco di parole" furbesco e nemmeno sottintende l'imporre il relaativismo come "verità assoluta", infatti la coscienza che il mondo è una mia rappresentazione mi fa essere consapevole anche del fatto che pure una concezione relativistica non è altro che una mia rappresentazione...
CARLO
E' un gioco di parole ingannevole anche questo perché lascia falsamente intendere che la conoscenza sia una costruzione assolutamente arbitraria e soggettiva, e non, invece, il risultato di un confronto dialettico incessante, metodico e profondo con il mondo che dobbiamo rappresentare. Quella di Schopenhauer-Hume, cioè, è una rappresentazione solipsistica-egocentrica della conoscenza e della vita, mentre la vita è invece relazione tra spiriti diversi che, nella conoscenza, scoprono la reciproca somiglianza-fratellanza e quindi la loro comune discendenza da un unico Principio. Come diceva Ficino: <<...la conoscenza è l'unione spirituale con qualche forma spirituale>>; e Francesco parlava di <<...fratello Sole, sorella Luna, madre Terra ...fonti di vita, doni di Lui>>.
SARIPUTRA
In realtà questo "principio di consapevolezza" si muove in direzione autonoma sia alla concezione 'assolutistica' che a quella 'relativistica' delle rappresentazioni, a mio parere...e fatto risuonare da me, oggi, come ruggito di virile leone ( che ha visto le leonesse andarsene con un altro leone...).
CARLO
Appunto. Quando la leonessa ritornerà dal suo leone ruggiranno insieme la pari dignità di yin e yang, di "soggetto" e "oggetto", di "mondo" e "giusta rappresentazione", nell'unità superiore del Tao! :-)
Carlo e Ipazia, rappresentazione non significa, come ho già scritto, che il mondo materiale non esiste o che c'è coincidenza tra la costruzione mentale e il mondo, ma significa che non lo posso conoscere per quello che è , ma solo per rappresentazioni (pertanto "elefante" è una mia rappresentazione, il fatto di provare la percezione dolorosa dello schiacciamento dato dal finirci sotto no... ;D ). La scienza è quindi una rappresentazione di strumenti atti a questo scopo, cioè a conoscere in modo più corretto la rappresentazione che la 'mente' si fa del 'mondo'. Il mondo è lo sfondo, la rappresentazione ciò che la 'mente' vi proietta sopra . Processo inevitabile e necessario purché si sia consapevoli che è una proiezione e non lo sfondo.
La costruzione scientifica non è arbitraria e soggettiva ma ha il suo limite, del quale bisogna, a mio parere, esser consapevoli (ossia non costruirsi una proiezione immaginaria, e rappresentazione quindi, di una scienza 'assoluta'...).
Il leone e la leonessa hanno pari dignità perché, senza sfondo, dove si proietta la rappresentazione mentale? E senza questa proiezione come è dato esser consapevoli dello 'sfondo'?
Vedi pertanto che il "principio di complementarietà", come lo definisci, non è rigettato ma invece, in quest'ottica, pare addirittura più saldo filosoficamente (ovviamente sempre a parer mio...ossia della mia rappresentazione di non-filosofo ;D).
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 16:12:56 PM
Carlo e Ipazia, rappresentazione non significa, come ho già scritto, che il mondo materiale non esiste o che c'è coincidenza tra la costruzione mentale e il mondo, ma significa che non lo posso conoscere per quello che è , ma solo per rappresentazioni (pertanto "elefante" è una mia rappresentazione, il fatto di provare la percezione dolorosa dello schiacciamento dato dal finirci sotto no... ;D ).
CARLOBeh, ma se scappi è perché la tua rappresentazione di quell'aspetto dell'elefante che può schiacciarti è una rappresentazione corretta, cioè corrispondente con ciò che realmente è l'elefante.Insomma, chi l'ha detto che il nostro intelletto - con la sua capacità di osservare, di comparare tra loro una molteplicità di fenomeni osservati e di astrarre da essi le leggi e i principi che li ordinano e che li relazionano - non sia lo strumento più adatto per rappresentare il mondo per quello che è? Chi l'ha detto che l'intelletto sia l'"assolutamente altro" dal mondo e che non sia, invece, un'entità ontologicamente complementare ad esso? Dove sta scritto che non abbia ragione Leibniz quando afferma l'esistenza di una <<armonia prestabilita>> tra linguaggio umano e mondo? ...O Spinoza quando afferma l'esistenza di una corrispondenza ontologica originaria tra l'<<ordo et connexio rerum>> e l'<<ordo et connexio idearum>>? ...O Platone quando afferma l'esistenza di un "nous", cioè di un regno metafisico delle Idee che sono modelli originari delle cose create, tale che "conoscere" le cose non significhi altro che risalire a quelle idee archetipiche sulla base dell'osservazione delle cose stesse e dell'astrazione-riflessione intellettuale? ...O il Vangelo quando afferma che la sostanza del mondo è il Verbo o il Logos? In definitiva, su cosa si basa questa cazzo di ideologia, oggi tanto di moda, secondo cui la rappresentazione umana del mondo non avrebbe nulla a che vedere col mondo? La mia risposta è: si basa sulle fantasie oziose di chi non si rende conto che se l'intelletto fosse assolutamente "altro" dal mondo, se le sue rappresentazioni non avessero nulla a che vedere col mondo, ogni conoscenza sarebbe impossibile e la nostra cultura non differirebbe in nulla da quella dei nostri antenati scimpanzè; ma soprattutto non sarebbe mai nata quella forma di sapere che chiamiamo "scienza" che in soli tre secoli ha permesso all'uomo di volare fin sulla Luna, di inviare delle sonde su pianeti e comete e di mostrarci da vicino come sono fatti, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, di alleviare la nostra fatica fisica grazie alla costruzione di macchine di ogni tipo e dimensione, ...e tali e tante altre conquiste che solo tre o quattro secoli fa sarebbero state catalogate come "magìe"!Che altro dovrebbe succedere per convincere delle persone potenzialmente intelligenti che l'idea relativista è una fantasia masochista priva di qualunque fondamento e che, invece, la conoscenza del mondo non solo è possibile, ma è già una realtà di fatto, è già un processo più o meno graduale di accrescimento in estensione e in profondità del nostro sapere sia su noi stessi che sul mondo?
@Carlo Pierini
dare del 'relativista' al Sari è come dare della "donna morigerata" alla Cicciolina... ;D
In realtà sono fondamentalmente un anti-speculativo. Non amo il proliferare incontrollato delle teorie sul "reale" (qualunque cosa s'intenda soggettivamente con questo termine...).
Pertanto sono necessariamente un critico dell'esperienza.
Essere un critico dell'esperienza comporta essere inevitabilmente anche un critico dell'esperienza percettiva da cui scaturisce il pensiero, esperienza percettiva che anche ne determina i limiti , secondo me.
Alla mente che si rappresenta il 'mondo' non interessa il fatto di conoscere in sé e per sé, ma gli interessa solamente perché essa si possa "realizzare" meglio. Dunque, i fenomeni che la mente si rappresenta, non hanno un valore in sé, ma solo in rapporto a questa 'realizzazione' e quindi come mezzo per soddisfare questo desiderio.
Dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" significa esercitare la critica sull'esperienza percettiva. C'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la coscienza critica di questa rappresentazione. Diventare consapevoli di una rappresentazione in quanto tale, significa esserne autocoscienti. Questa è la libertà data dall'autocoscienza critica di ogni rappresentazione/ teoria. E ciò comporta che la critica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. Perché la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni.
Un esempio di 'coscienza critica' mi pare quello della consapevolezza che viviamo oggi in un momento storico permeato dal "mito del dato" (Wilfrid Sellars ne era un autorevole critico radicale ho scoperto...).
Mi fermo qui perché mi accorgo che, come sempre, tendo a ripetere gli stessi concetti. :(
Ciao
La scienza, attraverso la falsificazione, è la prima maestra nella critica dell'esperienza percettiva e affossatrice di teorie sul "reale". Sempre pronta ad aggiornare i propri modelli rappresentativi appena compare una nuova scoperta agli occhi, non della propria consapevole limitatissima percezione sensoriale della realtà, ma di protesi artificiali la cui "percezione" ne dilata i confini.
La filosofia fa bene a presidiare le pretese volgarmente egemoniche dello scientismo, ma c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. E poichè la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni, sa perfettamente distinguere una pratica che funziona da una che non funziona, traendo le ovvie conclusioni sulle rappresentazioni teoriche che le sottendono.
Tanto l'aumentata "percezione" delle macchine sempre più intelligenti che l'importanza e dimensione crescente della cosa per noi sulla cosa in sè , rendono problematica e bisognosa di aggiornamenti la risposta metafisica. L'ontologia corre e la metafisica ha il fiato grosso.
Citazione di: Sariputra il 16 Ottobre 2018, 00:25:08 AM
@Carlo Pierini
dare del 'relativista' al Sari è come dare della "donna morigerata" alla Cicciolina... ;D
In realtà sono fondamentalmente un anti-speculativo. Non amo il proliferare incontrollato delle teorie sul "reale" (qualunque cosa s'intenda soggettivamente con questo termine...).
Pertanto sono necessariamente un critico dell'esperienza.
Essere un critico dell'esperienza comporta essere inevitabilmente anche un critico dell'esperienza percettiva da cui scaturisce il pensiero, esperienza percettiva che anche ne determina i limiti , secondo me.
Alla mente che si rappresenta il 'mondo' non interessa il fatto di conoscere in sé e per sé, ma gli interessa solamente perché essa si possa "realizzare" meglio. Dunque, i fenomeni che la mente si rappresenta, non hanno un valore in sé, ma solo in rapporto a questa 'realizzazione' e quindi come mezzo per soddisfare questo desiderio.
Dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" significa esercitare la critica sull'esperienza percettiva.
CARLOSari, tu stai monologando, cioè non ribatti alle mie obiezioni, come se io non ci fossi o non avessi scritto assolutamente nulla. Infatti già ho ripetuto più volte (e tu lo hai ignorato) che dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" è una tua rappresentazione della conoscenza ed è falsa perché fonde insieme illegittimamente due concetti che devono restare distinti: quello di "mondo" e quello di "rappresentazione". Solo Dio può dire "il mondo è una mia rappresentazione", mentre per noi umani il mondo esisteva già prima della nostra esistenza e del nostro rappresentarlo. Persino i bambini sanno che i termini "rappresentazione" e "percezione" hanno senso solo se esistono TRE cose ben distinte: 1) un soggetto che percepisce-rappresenta; 2) un oggetto percepito-rappresentato; 3) una rappresentazione dell'oggetto, la quale può essere vera o falsa a seconda che essa corrisponda o meno con l'oggetto.Ergo, l'affermazione: "il mondo è rappresentazione", è un inaccettabile aborto del pensiero e, pertanto, deve essere sostituita con: "la conoscenza è una corretta rappresentazione del mondo".SARIPUTRAC'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la coscienza critica di questa rappresentazione. Diventare consapevoli di una rappresentazione in quanto tale, significa esserne autocoscienti. Questa è la libertà data dall'autocoscienza critica di ogni rappresentazione/ teoria. E ciò comporta che la critica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. Perché la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni.CARLOStai giocando con le parole. Infatti non esiste solo "la rappresentazione del mondo" e "la critica di questa rappresentazione", ma esiste 1) un soggetto che rappresenta il mondo, 2) un mondo che è rappresentato e 3) una rappresentazione che può essere vera o falsa. Pertanto, la critica, se vuole essere seria, deve essere mossa a partire da questi TRE elementi, altrimenti è una critica mossa su una falsa rappresentazione della conoscenza.
@Carlo Pierini
Non è che non ti sto rispondendo è che non ci intendiamo proprio... :( o forse diamo significati diversi ai termini...lo stesso mi sembra con Ipazia.
Non voglio togliere nulla alla scienza ... magari solo non farne un totem...essere consapevole dei limiti...limiti della rappresentazione.
Questa è la mia posizione, con cui voi evidentemente non concordate...pazienza.:)
Il mondo è bello perché è vario (dicono... :-\)
Ciao
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.
CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.
SARIPUTRA
Non è che non ti sto rispondendo è che non ci intendiamo proprio... (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/sad.gif) o forse diamo significati diversi ai termini...lo stesso mi sembra con Ipazia.
Non voglio togliere nulla alla scienza ... magari solo non farne un totem...essere consapevole dei limiti...limiti della rappresentazione.
CARLO
Il problema, caro Sari, non è la mancanza di intesa sui termini, ma che la tua fede buddhista ti inclina a credere che la conoscenza intellettuale del mondo (e di noi stessi) sia puramente accessoria, limitata, non essenziale, anzi, che sia addirittura una dannosa forma di saccenteria o di presunzione retorica. Ed è questo che ti porta a sottoscrivere qualunque filosofia che getti discredito sull'intelletto, indipendentemente dalla bontà o meno delle argomentazioni che la supportano.
Io invece credo che la via dell'intelletto sia complementare alla via del cuore, cioè, alla via della retta azione e della retta condotta di vita. Come dice Jung:
<<La fede è un carisma (dono della grazia) per colui che la possiede, ma non è una via d'uscita per chi ha bisogno di capire qualche cosa prima di credere. Giacché infine la natura ha dato l'intelletto all'uomo e certo per qualcosa di meglio che per mentire e ingannare>>. [JUNG: Simboli della trasformazione - pg.231]
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Ottobre 2018, 13:26:02 PM
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.
CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.
Mi riferivo alla pratica
tecnica delle rappresentazioni non al metalinguaggio logico-matematico che le rende universalmente fruibili e realizzabili. Sul linguaggio della Natura non mi pronuncio. Sicuramente è un linguaggio sulla natura di quella parte della natura che è l'homo sapiens. Dire di più sarebbe violare il 7.mo e ultimo punto del Tractatus.
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 14:13:26 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Ottobre 2018, 13:26:02 PM
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.
CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.
IPAZIA
Mi riferivo alla pratica tecnica delle rappresentazioni non al metalinguaggio logico-matematico che le rende universalmente fruibili e realizzabili.
CARLO
Non capisco a cosa ti riferisci. Una rappresentazione è sempre e comunque un metalinguaggio.
Il suo risultato pratico, no. E' un artefatto, un prodotto materiale.
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 14:41:41 PM
Il suo risultato pratico, no. E' un artefatto, un prodotto materiale.
CARLO
...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione.
Insomma, fammi un esempio di <<
pratica tecnica delle rappresentazioni>> altrimenti non ci capiamo.
CARLO
...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione.
IPAZIA
L'ho detto io per prima, e l'hai pure nerettato
CARLO
Insomma, fammi un esempio di "pratica tecnica delle rappresentazioni" altrimenti non ci capiamo.
IPAZIA
il pc, la bicicletta,...
edit
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 11:25:56 AM
La scienza, attraverso la falsificazione, è la prima maestra nella critica dell'esperienza percettiva e affossatrice di teorie sul "reale". Sempre pronta ad aggiornare i propri modelli rappresentativi appena compare una nuova scoperta agli occhi, non della propria consapevole limitatissima percezione sensoriale della realtà, ma di protesi artificiali la cui "percezione" ne dilata i confini.
La filosofia fa bene a presidiare le pretese volgarmente egemoniche dello scientismo, ma c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. E poichè la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni, sa perfettamente distinguere una pratica che funziona da una che non funziona, traendo le ovvie conclusioni sulle rappresentazioni teoriche che le sottendono.
Tanto l'aumentata "percezione" delle macchine sempre più intelligenti che l'importanza e dimensione crescente della cosa per noi sulla cosa in sè , rendono problematica e bisognosa di aggiornamenti la risposta metafisica. L'ontologia corre e la metafisica ha il fiato grosso.
Non vedo come lo sviluppo della scienza possa porre problemi o costringere a "rincorse col fiato corto" la filosofia (l' ontologia generale, compresi i suoi eventuali "contenuti od oggetti metafisici"), per lo meno per quel che riguarda le filosofie razionalistiche (quanto alle poi religioni e alle filosofie irrazionalistiche non solo la scienza, ma anche una sana filosofia metafisica può ben contribuire a superarle).
Anzi, probabilmente meglio perché non si limitano ad estendere i confini dello scientificamente conosciuto, ma vanno a snidare religioni e filosofie irrazionalistiche anche dei loro "rifugi metafisici" inaccessibili alla scienza.
Se anche si sapesse tutto dell' universo fisico, un religioso potrebbe sempre dire che l' inesistenza di Dio non é confutabile.
E non la scienza ma la filosofia potrebbe ribattere che inconfutabile é ' esistenza di un Dio umanamente insignificante, una specie di "Superman" completamente trascendente il mondo fisico - materiale e che se ne frega dei destini umani (lo sforzo di credere indmostrabilmente-inconfutabilmente nel quale non varrebbe di certo la pena), ma quella di un Dio provvidente, immensamente buono e onnipotente é assurda data l' evidente esistenza del male.
La stessa impossibilità dei "miracoli" (interventi divini, o anche diabolici, in natura) non può essere scientificamente dimostrata, ma soltanto filosoficamente si può dimostrare che la possibilità di miracoli é contraddittoria con la credenza nella conoscenza scientifica, la quale necessita come conditio sine qua non (indimostrabile) del divenire materiale ordinato secondo
regole o leggi universali e costanti, le quali devono necessariamente essere pensate ineccepibili per poterne parlare sensatamente, non autocontraddittoriamente: questa é gnoseologia, o come preferiscono dire gli anglosassoni, epistemologia, cioé una branca della filosofia.
Citazione di: sgiombo il 16 Ottobre 2018, 20:08:09 PM
Non vedo come lo sviluppo della scienza possa porre problemi o costringere a "rincorse col fiato corto" la filosofia (l' ontologia generale, compresi i suoi eventuali "contenuti od oggetti metafisici"), per lo meno per quel che riguarda le filosofie razionalistiche
(quanto alle poi religioni e alle filosofie irrazionalistiche non solo la scienza, ma anche una sana filosofia metafisica può ben contribuire a superarle).
Anzi, probabilmente meglio perché non si limitano ad estendere i confini dello scientificamente conosciuto, ma vanno a snidare religioni e filosofie irrazionalistiche anche dei loro "rifugi metafisici" inaccessibili alla scienza.
Se anche si sapesse tutto dell' universo fisico, un religioso potrebbe sempre dire che l' inesistenza di Dio non é confutabile.
E non la scienza ma la filosofia potrebbe ribattere che inconfutabile é ' esistenza di un Dio umanamente insignificante, una specie di "Superman" completamente trascendente il mondo fisico - materiale e che se ne frega dei destini umani (lo sforzo di credere indmostrabilmente-inconfutabilmente nel quale non varrebbe di certo la pena), ma quella di un Dio provvidente, immensamente buono e onnipotente é assurda data l' evidente esistenza del male.
La stessa impossibilità dei "miracoli" (interventi divini, o anche diabolici, in natura) non può essere scientificamente dimostrata, ma soltanto filosoficamente si può dimostrare che la possibilità di miracoli é contraddittoria con la credenza nella conoscenza scientifica, la quale necessita come conditio sine qua non (indimostrabile) del divenire materiale ordinato secondo regole o leggi universali e costanti, le quali devono necessariamente essere pensate ineccepibili per poterne parlare sensatamente, non autocontraddittoriamente: questa é gnoseologia, o come preferiscono dire gli anglosassoni, epistemologia, cioé una branca della filosofia.
La metafisica è ancora lì a cercare la cosa in sè, quando non solo la scienza ce la presenta in maniera più convincente (in tal senso l'ontologia corre sulle sue ali), ma è arrivata perfino a capire che l'ineffabilità della cosa in sè è una vecchia paturnia filosofica di cui possiamo tranquillamente fare a meno, contando solo la cosa-per-noi su cui la scienza compie quotidianamente i suoi miracoli.
E' pur vero che la metafisica atea può snidare gli ultimi rifugi di dio, mica ci vuole tanto, bastava Voltaire. Ma dopo Nietzsche si è entrati in una fase di ritirata strategica di tipo spiritualista fino alla cupezza di un essere-per-la-morte che si sposa col peggio della politica novecentesca, lasciando varchi imponenti al ritorno della superstizione.
Nella traiettoria da Schopenauer a Nietzsche passando per Marx ci sarà pure una sfumatura di positivismo, ma c'è un elemento essenziale per intervenire efficacemente sulla realtà propria del sapere filosofico che Marx sintetizza fin dall'undicesima tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo.». Filosofia della prassi, elaborata diversamente da Nietzsche, ma sempre su proprie ali che oggi non volano più. E stancamente si rivive l'antica storia dell'ancella di altri saperi, inclusa una rediviva religione. Oppure svolazzamenti nella gabbia dei tempi eroici: Parmenide, Platone, Aristotele, Kant,... con le loro minestre ontologiche riscaldate sempre rigorosamente con la maiuscola davanti. Buona notte Filosofia. Che il risveglio ti sia lieve e arrivi presto.
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2018, 07:34:33 AM
La metafisica è ancora lì a cercare la cosa in sè, quando non solo la scienza ce la presenta in maniera più convincente (in tal senso l'ontologia corre sulle sue ali), ma è arrivata perfino a capire che l'ineffabilità della cosa in sè è una vecchia paturnia filosofica di cui possiamo tranquillamente fare a meno, contando solo la cosa-per-noi su cui la scienza compie quotidianamente i suoi miracoli.
Citazione
Sarà una vecchia paturnia di cui si può fare a meno per chi segue acriticamente il senso comune, non per chi sottopone a critica razionale conseguente la conoscenza della realtà.
Critica che (per quel che mi riguarda) giunge (fra l' altro) alla conclusione che la scienza può conoscere solamente i fenomeni materiali, ma non le cose in sé (se esistono), né i fenomeni mentali (i quali non sono identici a-, né riducibili a-, né emergenti da- -la materia, né tantomeno eliminabili dal reale) difettando di due inderogabili conditiones sine qua non della conoscibilità scientifica: il postulabile -ma indimostrabile: Hume!- divenire ordinato secondo modalità universali e costanti astraibili da parte del pensiero dagli aspetti particolari concreti degli eventi, e la pure postulabile -ma indimostrabile- intersoggettività dei fenomeni materiali stessi
E' pur vero che la metafisica atea può snidare gli ultimi rifugi di dio, mica ci vuole tanto, bastava Voltaire
CitazioneNon tanto la metafisica, quanto la filosofia "in generale" (comunque non la scienza).
(Infatti,) Voltaire era uno scienziato o un filosofo?
Ma dopo Nietzsche si è entrati in una fase di ritirata strategica di tipo spiritualista fino alla cupezza di un essere-per-la-morte che si sposa col peggio della politica novecentesca, lasciando varchi imponenti al ritorno della superstizione.
CitazioneA parte la mia pessima opinione di Nietzche "che più pessima non si può", e a parte il mio fortissimo dissenso da una così esagerata ed estremistica valutazione delle religioni e della politica dal '900 in poi (comprendono anche ben altro!), il fatto che dal '900 in poi la scienza ha continuato a svilupparti alla grande casomai é un argomento forte contro la pretesa che la scienza possa più della filosofia razionalistica contro religioni e superstizioni.
Fra l' altro ottimi scienziati ma aderenti a pessime filosofe irrazionalistiche, come Bohr e Heisenbeg, a mio parere hanno portato nel '900 molta acqua al mulino della religione e dell' irrazionalismo.
Per me Nietzche
Nella traiettoria da Schopenauer a Nietzsche passando per Marx ci sarà pure una sfumatura di positivismo, ma c'è un elemento essenziale per intervenire efficacemente sulla realtà propria del sapere filosofico che Marx sintetizza fin dall'undicesima tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo.». Filosofia della prassi, elaborata diversamente da Nietzsche, ma sempre su proprie ali che oggi non volano più. E stancamente si rivive l'antica storia dell'ancella di altri saperi, inclusa una rediviva religione. Oppure svolazzamenti nella gabbia dei tempi eroici: Parmenide, Platone, Aristotele, Kant,... con le loro minestre ontologiche riscaldate sempre rigorosamente con la maiuscola davanti. Buona notte Filosofia. Che il risveglio ti sia lieve e arrivi presto.
Invece per me pretendere di tracciare una linea di continuità fra Marx e Nietzche (razionalista e il socialista scientifico il primo, irrazionalista e abominevolmente reazionario e sostenitore dei peggiori privilegi e delle peggiori ingiustizie il secondo) semplicemente significa cadere in un colossale -absit iniuria verbis: "mostruoso"- fraintendimento.
Il risveglio che auspichi non arriverà mai perché la scienza può conoscere solo la materia che é una parte e non affatto la totalità della realtà, e perché la critica razionale sarà sempre applicata (dai razionalisti conseguenti) anche alla scienza.
Io non ho mai detto nei miei post che la scienza possa invadere l'ambito filosofico, ma che la filosofia insiste a voler dire la sua su un ambito ontologico scientifico, toppando miseramente, e non sa più fare bene il mestiere nel suo ambito proprio. Ormai per una decente epistemologia e critica del pensiero scientifico bisogna essere scienziati-filosofi. Capirci davvero di relatività, quantistica, biologia molecolare, genetica è essenziale per non cadere in quelle teorie cosmicomiche che, da occidente ad oriente, si avventano sulle trasposizioni variamente immaginifiche della scienza fondamentale, rianimando favolistiche che parevano estinte, e ottenendo al fine il risultato canonico: dalla tragedia alla farsa.
La differenza sociopolitica abissale tra Marx e Nietzsche non è altrettanto mostruosa quando si tratta di rifondare la filosofia su una episteme filosofica esente da numi e succedanei moderni. E di ciò anche un marxista - e molti più preparati di noi l'hanno fatto - tiene conto, rendendo al folle ateo l'onore delle armi teoriche. Tanto in Marx che in Nietzsche, vi è una costante e ossessiva critica degli elementi di alienazione della modernità. Centrata sul lavoro e l'accumulazione capitalistica quella di Marx e sull'ideologia quella di Nietzsche. Con tutte le contraddizioni della sua appartenenza di classe e formazione umana, che ne limitano la critica e il suo esito, ma su una cosa ci azzecca più di qualsiasi critico marxista: la fenomenologia dell'ultimo uomo. Da lì deve ripartire continuamente la filosofia se vuole scardinare la barbarie che avanza; su un terreno ontologico d'elezione per il suo armamentario teorico.
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 18:20:49 PM
CARLO
...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione.
IPAZIA
L'ho detto io per prima, e l'hai pure nerettato
CARLO
Insomma, fammi un esempio di "pratica tecnica delle rappresentazioni" altrimenti non ci capiamo.
IPAZIA
il pc, la bicicletta,...
CARLO
Ah, ho capito cosa vuoi dire. ...Ma chiamare le creazioni tecnologiche "pratiche delle rappresentazioni" mi sembra piuttosto ...eccentrico. Restando nell'ambito della metafora, io le chiamerei piuttosto "frutti ...dell'albero della conoscenza". :-)
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2018, 15:05:30 PM
Io non ho mai detto nei miei post che la scienza possa invadere l'ambito filosofico, ma che la filosofia insiste a voler dire la sua su un ambito ontologico scientifico, toppando miseramente, e non sa più fare bene il mestiere nel suo ambito proprio. Ormai per una decente epistemologia e critica del pensiero scientifico bisogna essere scienziati-filosofi. Capirci davvero di relatività, quantistica, biologia molecolare, genetica è essenziale per non cadere in quelle teorie cosmicomiche che, da occidente ad oriente, si avventano sulle trasposizioni variamente immaginifiche della scienza fondamentale, rianimando favolistiche che parevano estinte, e ottenendo al fine il risultato canonico: dalla tragedia alla farsa.
CitazioneIo invece continuo a leggere penose cazzate filosofiche (vere e proprie teorie cosmicomiche che, da occidente ad oriente, si avventano sulle trasposizioni variamente immaginifiche della scienza fondamentale, rianimando favolistiche che parevano estinte, e ottenendo al fine il risultato canonico: dalla tragedia alla farsa) da parte di scienziati che si azzardano a fare considerazioni generali sulle loro scoperte ma difettano completamente di "palle filosofiche" (mi scuso per il linguaggio colorito).
Di alcune ho parlato con il ricercatore di professione (anticonformista) Apeiron, che credo di poter dire sostanzialmente concordava con me.
La differenza sociopolitica abissale tra Marx e Nietzsche non è altrettanto mostruosa quando si tratta di rifondare la filosofia su una episteme filosofica esente da numi e succedanei moderni. E di ciò anche un marxista - e molti più preparati di noi l'hanno fatto - tiene conto, rendendo al folle ateo l'onore delle armi teoriche. Tanto in Marx che in Nietzsche, vi è una costante e ossessiva critica degli elementi di alienazione della modernità. Centrata sul lavoro e l'accumulazione capitalistica quella di Marx e sull'ideologia quella di Nietzsche. Con tutte le contraddizioni della sua appartenenza di classe e formazione umana, che ne limitano la critica e il suo esito, ma su una cosa ci azzecca più di qualsiasi critico marxista: la fenomenologia dell'ultimo uomo. Da lì deve ripartire continuamente la filosofia se vuole scardinare la barbarie che avanza; su un terreno ontologico d'elezione per il suo armamentario teorico.
Pretendere di integrare o in qualche modo "sintetizzare" Marx e Nietzche per rifondare una moderna filosofia per me é peggio che cercare di impastare insieme la farina col cemento nell' intento di sfornare un buon pane.
Fra l' altro, al contrario di te, sono convinto che Nietzche sia perfettamente integrato nella barbarie che avanza e contribuisca non poco alla sua avanzata (peccato che fra qualche secolo non ci saremo più per vedere cosa ne diranno i posteri e chi di noi avrà avuto ragione non potrà vantarsene).
Non credo che su questo siano utili ulteriori discussioni fra noi (e penso che potrebbero solo essere in varia misura spiacevoli), data l' inconciliabilità pressocché assoluta (l' avverbio solo per uno scrupolo teorico: perché la perfezione non esiste) dei "punti fondamentali" da cui potrebbe partire.
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Ottobre 2018, 15:21:45 PM
Ah, ho capito cosa vuoi dire. ...Ma chiamare le creazioni tecnologiche "pratiche delle rappresentazioni" mi sembra piuttosto ...eccentrico. Restando nell'ambito della metafora, io le chiamerei piuttosto "frutti ...dell'albero della conoscenza". :-)
Ma no. Se la critica della rappresentazione non è rappresentazione, ancor più non lo è il prodotto materiale della rappresentazione che, nella sua materialità, è critica palpabile, oserei dire "vivente", dei derivati metafisici della teoria della rappresentazione. Gli alberi della conoscenza li lascio all'Eden, dove hanno già combinato tanti guai 8)
Nietzsche in realtà sostiene in molti suoi scritti, soprattutto nell'ultimo periodo della sua vita, una visione sociale basata su un evidente e spietato darwinismo, in cui (sono parole di Nietzsche) la compassione verso i deboli non deve avere spazio: non c'è da meravigliarsi se gli scritti del filosofo, soprattutto "Volontà di potenza", siano stati usati dal nazismo per propagandare la propria ideologia, che altro non è appunto se non un darwinismo applicato su larga scala al mondo delle etnie e delle nazioni, con la pseudo-razza ariana vista come forte, sana e potente, e quindi in diritto di sopraffare gli altri popoli. Oltretutto in Nietzshce ogni valore di giustizia, di altruismo, viene distrutto e annientato, e questo per sua stessa ammissione, la sua filosofia infatti doveva essere come un "martello" che distruggeva tutto in maniera direi acritica ("Crepuscolo degli idoli").
Ovviamente si tende di difendere il filosofo dall'accusa di essere stato uno degli ispiratori di tale follia, ma per quanto ci si sforzi a mio avviso è molto difficile negare la presenza di tali concetti nella sua opera, concetti che si accentuano progressivamente: nell'opera di Nietzsche tutte le ideologie e le fedi basate sulla compassione verso i deboli (in ogni senso) sono condannate e quindi il modello di individuo che viene esaltato è quello di chi decide di negare l'empatia in nome dell'affermazione egoistica e spietata dell'ego, simboleggiato dalla volontà di potenza. Il fatto che poi Nietzsche sia piuttosto in voga nella società attuale e venga spesso citato e commentato secondo me la dice lunga sull'assenza fondamentale di valori etici odierni, il nichilismo imperante orienta le scelte su quali filosofi seguire e preferire.
FN aveva la lucidità dei folli. Nei suoi scritti c'è tutto e il suo contrario. Ma tanto nell'un caso che nell'altro c'è materiale di riflessione. Il suo meglio non è la visione politica del mondo, datata e spesso impresentabile, ma quella filosofica. Da cui c'è ancora molto da attingere, perchè in FN la filosofia era inscritta nella carne. Capisco comunque che il suo pensiero sia inconciliabile con qualsiasi forma di teismo, religioso o profano.
Sicuramente Nietzsche è affascinante per la forza con cui esprime le sue convinzioni, tuttavia se ci pensi Ipazia è anche una filosofia molto triste e per l'appunto nichilistica. Inoltre è molto irrazionale a mio avviso, essa non procede con il rigore della logica e della razionalità, ma dà per scontato ciò che deve dimostrare e che invece è assunto costantemente come vero: ad esempio quando FN afferma che la morale è nata dal risentimento dei deboli, degli emarginati verso chi invece era forte ed affermato socialmente dice qualcosa di molto generico, vago e per nulla dimostrato, avrebbe dovuto invece procedere con più logica per dimostrare davvero la verità di ciò che veniva detto. Inoltre, se così fosse davvero, non si può negare che si arriverebbe ad una ben triste conclusione, anche gli ideali più nobili sarebbero frutto di un inganno, quindi per quale motivo continuare a vivere in un mondo che inganna l'individuo sin dalla culla?
Citazione di: Socrate78 il 17 Ottobre 2018, 20:05:41 PM
Sicuramente Nietzsche è affascinante per la forza con cui esprime le sue convinzioni, tuttavia se ci pensi Ipazia è anche una filosofia molto triste e per l'appunto nichilistica. Inoltre è molto irrazionale a mio avviso, essa non procede con il rigore della logica e della razionalità, ma dà per scontato ciò che deve dimostrare e che invece è assunto costantemente come vero: ad esempio quando FN afferma che la morale è nata dal risentimento dei deboli, degli emarginati verso chi invece era forte ed affermato socialmente dice qualcosa di molto generico, vago e per nulla dimostrato, avrebbe dovuto invece procedere con più logica per dimostrare davvero la verità di ciò che veniva detto. Inoltre, se così fosse davvero, non si può negare che si arriverebbe ad una ben triste conclusione, anche gli ideali più nobili sarebbero frutto di un inganno, quindi per quale motivo continuare a vivere in un mondo che inganna l'individuo sin dalla culla?
La critica alla morale di FN è incentrata sul cristianesimo e la sua
morale da schiavi a cui il suo "immoralismo" oppone una ricetta morale diversa. Ma, diciamocelo francamente: che prova di sè hanno dato le grandi morali collettive storicamente vincenti, religiose e profane ? Sul cristianesimo è come sparare sulla croce rossa. Erano appena usciti dalle catacombe e già istituivano i loro stati cristiani, modello ISIS, e andranno avanti così fino alla rivoluzione francese. Rendendosi responsabili dei più riusciti e impuniti genocidi della storia che hanno accompagnato la nascita del capitalismo attraverso il colonialismo. Subito dopo i maomettani, che anche oggi ci danno perle di morale teologica coi loro martiri. Gli ebrei, similmente ai cristiani, freschi di diaspora e shoah, hanno già prodotto quattro generazioni di profughi palestinesi. Lasciamo la bibbia e andiamo tra gli illuminati, che non hanno ancora fatto i conti con le caste. Accenno appena all'invenzione delle morali da schiave degli schiavi e dei loro padroni.
Non meglio tra le morali laiche. FN aveva presente l'evoluzione della "morale da schiavi" giacobina finita nella dittatura napoleonica e diffidava altamente di quella socialista. La storia gli dà postuma ragione nell'epilogo tragicomico del primo stato del proletariato. Molta tragedia, culminata nel delirio polpottiano, cui gli stessi comunisti (vietnamiti) dovettero por fine per amor di patria (comunista). Poi il finale: fortunatamente indolore e imbevuto della vodka elsiniana, piuttosto che di sangue. Sono soddisfazioni "morali" anche queste (per noi comunisti).
FN non poteva avere in mente l'esito della sua
morale da signori: la bestia bionda martellante umiliata a Stalingrado e seppellita a Berlino due anni dopo, non senza essersi macchiata di uno dei più orrendi crimini contro l'umanità e aver rivelato, nel servilismo ad un regime di cartapesta, tutta la natura reale di morale da schiavi del nazismo e dei fascismi che lo osannavano. Brutti tempi per i profeti: non se ne salva uno. Però una cosa FN, più di tutti gli altri profeti e filosofi della modernità, ha azzeccato, ed è la natura circense dell'ultimo uomo dopo la morte di Dio. Coglieva già, come e forse più di Marx, la natura feticistica dell'amorosa (chiedo venia) Merce, che avrebbe invaso del suo spirito i templi della modernità, mentre le campane suonavano a morto dentro le chiese vuote della morale antica. Su quest'ultimo punto forse si sbagliava. Le religioni si rifondano anche sui cadaveri riesumati. Ma sono comunque costrette,
impotentemente ora, ad adorare, sopra ogni altro, il dio mercantile che detta la Legge.
Quindi ? La morale esce a pezzi dalla critica nicciana, compresa la sua stessa ricetta morale. Non resta che rivoltarlo, come fece Marx con Hegel, e trovare il bandolo della matassa transvalutativa verso l'oltreuomo (decisamente non più superuomo, consegnato definitivamente ai fumetti) col suo martello dialettico roteante sull'Amoroso Mercato e la sua morale subumana. Compito elettivo per filosofi.
cit.:
l'oltreuomo (decisamente non più superuomo, consegnato definitivamente ai fumetti) col suo martello dialettico roteante sull'Amoroso Mercato e la sua morale subumana. Compito elettivo per filosofi.
Nei fumetti però Thor sconfigge sempre Loki, mentre nel nostro tempo l' Amoroso Loki accarezza la bionda criniera del dio col martello, proponendogli di gustare l'ultimo suo prodotto: una nuova delizia...qualcosa di così buono e 'fatto per lui' come mai nessun dio si è mai sognato di donare all'uomo...
Appunto: il fumetto sublima il desiderio di qualcosa di diametralmente opposto alla realtà. Non di eroi illusori da fumetti necessitano la filosofia e la sua prassi.
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 09:30:06 AMAppunto: il fumetto sublima il desiderio di qualcosa di diametralmente opposto alla realtà. Non di eroi illusori da fumetti necessitano la filosofia e la sua prassi.
Dobbiamo sempre ritornare alle 'origini', ai nostri mitologici genitori per capire:Adamo ed Eva furono puniti per essere vegeteriani. Avrebbero dovuto mangiare il serpente...(l'Amoroso Loki) ;D ;D (Robert Sabatier)Però è anche vero che, se Adamo non avesse mangiato quella mela, Eva gliel' avrebbe rinfacciato per tutta la vita, si sa come sono le donne, a volte ::) ...purtroppo l'unico periodo glorioso per l'uomo fu quella stagione che precedette la nascita di Adamo... e temo che resterà quello, malgrado la filosofia, la scienza , le religioni e le loro prassi...però sempre l'uomo tiferà per Thor (specialmente i calvi...) e sempre troverà schifoso l'Amoroso Loki...salvo quando proporrà i suoi 'dolcetti'...:(
Citazione di: sgiombo il 17 Ottobre 2018, 19:23:17 PM
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2018, 15:05:30 PM
Io non ho mai detto nei miei post che la scienza possa invadere l'ambito filosofico, ma che la filosofia insiste a voler dire la sua su un ambito ontologico scientifico, toppando miseramente, e non sa più fare bene il mestiere nel suo ambito proprio. Ormai per una decente epistemologia e critica del pensiero scientifico bisogna essere scienziati-filosofi. Capirci davvero di relatività, quantistica, biologia molecolare, genetica è essenziale per non cadere in quelle teorie cosmicomiche che, da occidente ad oriente, si avventano sulle trasposizioni variamente immaginifiche della scienza fondamentale, rianimando favolistiche che parevano estinte, e ottenendo al fine il risultato canonico: dalla tragedia alla farsa.
Io invece continuo a leggere penose cazzate filosofiche (vere e proprie teorie cosmicomiche che, da occidente ad oriente, si avventano sulle trasposizioni variamente immaginifiche della scienza fondamentale, rianimando favolistiche che parevano estinte, e ottenendo al fine il risultato canonico: dalla tragedia alla farsa) da parte di scienziati che si azzardano a fare considerazioni generali sulle loro scoperte ma difettano completamente di "palle filosofiche" (mi scuso per il linguaggio colorito).Di alcune ho parlato con il ricercatore di professione (anticonformista) Apeiron, che credo di poter dire sostanzialmente concordava con me.
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 08:45:12 AM
Citazione di: Socrate78 il 17 Ottobre 2018, 20:05:41 PM
Quindi ? La morale esce a pezzi dalla critica nicciana, compresa la sua stessa ricetta morale. Non resta che rivoltarlo, come fece Marx con Hegel, e trovare il bandolo della matassa transvalutativa verso l'oltreuomo (decisamente non più superuomo, consegnato definitivamente ai fumetti) col suo martello dialettico roteante sull'Amoroso Mercato e la sua morale subumana. Compito elettivo per filosofi.
Ometto di commentare (sarebbe del tutto improduttivo, oltre a richiedere pagine e pagine di argomentazioni e di documentazione) il resto (tantissimo) da cui dissento fortissimamente dell' intervento, per considerare unicamente questa affermazione, limitandomi ad affermare che p
enso che la biologia scientifica sia più che sufficiente per comprendere la realtà (e l' origine ) dell' etica e il materialismo storico per comprenderne le declinazioni storiche (ovviamente né l' una -naturale- né l' altra -umana- scienza é conclusa una volta per tutte, definitiva ma invece entrambe esigono continui ripensamenti critici alla luce delle osservazioni note e sviluppi di fronte ad osservazioni nuove), senza bisogno di andare a frugare negli scritti di Nietzche pretendendo di "interpretarli alla rovescia" (significato letterale di "rivoltare"), cioé nel contrario di quanto farneticava lui stesso.
@sgiombo
La farneticazione dei contenuti non implica quella del metodo. Altrimenti Marx non avrebbe rovesciato la dialettica hegeliana e l'avrebbe lasciata alla rodente critica dei topi.
Vedo ondeggiamenti di puro scientismo che non mi aspettavo. La scienza "fisica" e storica può comprendere e spiegare, ma non può inventare nulla in campo etico. Pur potendo aiutare a costruire etiche migliori.
PS Infatti ho parlato di scienziati-filosofi, non di scienziati tout-court.
cit.Ipazia:
La farneticazione dei contenuti non implica quella del metodo.
Ma se i contenuti sono farneticazioni cosa me ne faccio della bontà del metodo? Se il vino fa schifo a cosa mi serve una buona botte? Mah!...non capisco :-\
Il metodo scientifico produce armi di distruzione di massa e medicina salvavita. Che famo ?
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 11:51:27 AMIl metodo scientifico produce armi di distruzione di massa e medicina salvavita. Che famo ?
Serve un'etica che il metodo scientifico non può dare, direi...
Concordo. L'introspezione nicciana della falsa coscienza è un buon metodo per individuare e liberarci dalla cattiva etica. Non è l'unico maestro in proposito, ma è certamente uno dei più stimolanti, perchè accetta anche la negazione di se stesso: (in etica, soprattutto) "non vi sono fatti, ma solo opinioni. E anche questa è un'opinione."
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 12:07:10 PMConcordo. L'introspezione nicciana della falsa coscienza è un buon metodo per individuare e liberarci dalla cattiva etica. Non è l'unico maestro in proposito, ma è certamente uno dei più stimolanti, perchè accetta anche la negazione di se stesso: (in etica, soprattutto) "non vi sono fatti, ma solo opinioni. E anche questa è un'opinione."
La diversità di opinioni però genera anche conflittualità. Difficile trovare un'etica su simili premesse. Piuttosto utopistico, direi...Non trovo per nulla stimolante N. (no, anzi, mi stimola un forte sentimento di avversione...di cui non faccio mistero peraltro).Ci credi veramente in un mondo futuro ipotetico dove tutti si accettano nella loro diversità d'opinioni? Se non accettiamo nemmeno l'opinione di nostro marito o di nostra moglie... :(
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 10:30:47 AM
@sgiombo
La farneticazione dei contenuti non implica quella del metodo. Altrimenti Marx non avrebbe rovesciato la dialettica hegeliana e l'avrebbe lasciata alla rodente critica dei topi.
Citazione
Col mio venerato maestro e amico Sebastiano Timpanaro non credo che Marx (che lui stesso afferma che gli uomini raramente hanno una corretta visone di se stessi, delle proprie opinioni e delle proprie azioni) abbia operato alcun "rovesciamento dialettico" di Hegel, anche perché ritengo (come ho pure imparato dal mio maestro e amico) che non sia possibile in alcun modo "rovesciare dialetticamente Hegel" così da ricavarne un materialismo migliore (più "avanzato") di quello "classico", spesso tacciato di "volgarità, settecentesco e leopardiano.
Vedo ondeggiamenti di puro scientismo che non mi aspettavo. La scienza "fisica" e storica può comprendere e spiegare, ma non può inventare nulla in campo etico. Pur potendo aiutare a costruire etiche migliori.
Citazione
Io invece non ne vedo: essere filosofi radicalmente razionalisti che criticano lo scientismo (il quale é un irrazionalismo!) non significa né implica di certo sottovalutare la scienza (contrariamente a quel ce credono gli sciensti)!
La fisica, ma neanche la biologia, come ho ripetutamente chiarissimamente affermato a chiarissime lettere, non possono fondare (dimostrare) alcuna etica (Hume!), ma possono benissimo spiegare l' etica "relativamente universale" di fatto reale.
PS Infatti ho parlato di scienziati-filosofi, non di scienziati tout-court.
Citazione
Ma di fatto vedo in giro pochissimi (per essere ottimisti) scienziati che siano anche buoni filosofi e invece non pochi filosofi che hanno una buona conoscenza scientifica (anche oggi, non solo al tempo di Voltaire, anche se oggi é molto più difficile e richiede molto più studio).
Forse una volta prevaleva fra i filosofi una certa presunzione foriera di ignoranza in fatto di scienza, ma oggi (malgrado certe espressioni recenti di GreenDemetr nel forum; é un filosofo da cui dissento radicalissimamente fra l' altro un convinto ammiratore di Nietzche!) mi sembra evidente prevalga una certa presunzione foriera di ignoranza in fatto di filosofia fra gli scienziati (collocherei il nostro buon Apeiron fra le "eccezioni che confermano la regola").
Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2018, 12:14:45 PM
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 12:07:10 PMConcordo. L'introspezione nicciana della falsa coscienza è un buon metodo per individuare e liberarci dalla cattiva etica. Non è l'unico maestro in proposito, ma è certamente uno dei più stimolanti, perchè accetta anche la negazione di se stesso: (in etica, soprattutto) "non vi sono fatti, ma solo opinioni. E anche questa è un'opinione."
La diversità di opinioni però genera anche conflittualità. Difficile trovare un'etica su simili premesse. Piuttosto utopistico, direi...
Non trovo per nulla stimolante N. (no, anzi, mi stimola un forte sentimento di avversione...di cui non faccio mistero peraltro).
Ci credi veramente in un mondo futuro ipotetico dove tutti si accettano nella loro diversità d'opinioni? Se non accettiamo nemmeno l'opinione di nostro marito o di nostra moglie... :(
Mamma mia che pessimismo ! La dialettica è il sale della civiltà e il progresso emerge dalla sintesi tra opinioni diverse. Se tutti gli scienziati pensassero le stesse cose la ricerca scientifica morirebbe. La diversità di opinioni genera sperimentazione. Laddove essa fallisce si cambia opinione. E nessuno, tra persone civili, si fa male. Lo stesso discorso vale anche nella ricerca etica. Tra persone civili.
X Carlo Pierini,grazie per la tua risposta! Ho motivi di dissenso però, come dicevo, preferisco non discutere adesso di essi.
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 18:06:35 PM
Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2018, 12:14:45 PM
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 12:07:10 PMConcordo. L'introspezione nicciana della falsa coscienza è un buon metodo per individuare e liberarci dalla cattiva etica. Non è l'unico maestro in proposito, ma è certamente uno dei più stimolanti, perchè accetta anche la negazione di se stesso: (in etica, soprattutto) "non vi sono fatti, ma solo opinioni. E anche questa è un'opinione."
La diversità di opinioni però genera anche conflittualità. Difficile trovare un'etica su simili premesse. Piuttosto utopistico, direi... Non trovo per nulla stimolante N. (no, anzi, mi stimola un forte sentimento di avversione...di cui non faccio mistero peraltro). Ci credi veramente in un mondo futuro ipotetico dove tutti si accettano nella loro diversità d'opinioni? Se non accettiamo nemmeno l'opinione di nostro marito o di nostra moglie... :(
Mamma mia che pessimismo ! La dialettica è il sale della civiltà e il progresso emerge dalla sintesi tra opinioni diverse. Se tutti gli scienziati pensassero le stesse cose la ricerca scientifica morirebbe. La diversità di opinioni genera sperimentazione. Laddove essa fallisce si cambia opinione. E nessuno, tra persone civili, si fa male. Lo stesso discorso vale anche nella ricerca etica. Tra persone civili.
Ciao Ipazia,
il problema è che secondo me "non vi sono fatti, ma solo opinioni.
E anche questa è un'opinione." è incompatibile con quanto dici qui: " nessuno, tra persone civili, si fa male. Lo stesso discorso vale anche nella ricerca etica. Tra persone civili." Perché? In un contesto di relativismo etico cosa è che differenzia un "civile" da un "incivile"? Cosa è "civile"? Sembra che tu assumi che la persona civile è pronta a confrontarsi pacificamente con gli altri. Il tuo discorso funzionerebbe solo se non ci fosse il problema degli "incivili". Tuttavia, se eliminiamo la distinzione tra "giusto" e "sbagliato" come possiamo tenere quella tra "civile" e "incivile"? :)
(Modifica 19:17 - ho eliminato parte del messaggio...)
X tutti,secondo voi
perché è possibile avere una conoscenza scientifica delle cose? (in pratica qual è la giustificazione epistemologica della scienza - domanda a cui la scienza da sola non può rispondere...) Secondo voi il materialismo da solo è sufficiente per spiegare l'efficacia della scienza? [secondo me no - è uno dei motivi per cui ritengo il materialismo errato. Ero curioso di sentire se, secondo voi, il materialismo poteva spiegare l'efficacia della scienza. Ho già posto questa domanda e qualcuno ha già risposto. Volevo anche leggere altre opinioni...]
P.S. Su quanto ho detto in questo thread, ci sono alcune cose su cui dubito molto. Non sono molto sicuro di quanto ho affermato in certe occasioni.
Citazione di: Apeiron il 18 Ottobre 2018, 18:48:51 PM
Ciao Ipazia,
il problema è che secondo me "non vi sono fatti, ma solo opinioni. E anche questa è un'opinione." è incompatibile con quanto dici qui: " nessuno, tra persone civili, si fa male. Lo stesso discorso vale anche nella ricerca etica. Tra persone civili." Perché? In un contesto di relativismo etico cosa è che differenzia un "civile" da un "incivile". Cosa è "civile"? Sembra che tu assumi che la persona civile è pronta a confrontarsi pacificamente con gli altri. Il tuo discorso funzionerebbe solo se non ci fosse il problema degli "incivili". Tuttavia, se eliminiamo la distinzione tra "giusto" e "sbagliato" come possiamo tenere quella tra "civile" e "incivile"?
Chi, invece, si comporta sempre in modo violento e vuole imporsi sugli altri probabilmente non vuole "mettersi a discutere pacificamente". Per esempio, se l'opinione è "torturare gli innocenti è giusto" o "la schiavitù è giusta" non credo che porti al progresso dell'umanità. Invece, la ritengo una opinione eticamente ingiusta. Ma io non dico di essere un relativista. In pratica, non riesco a capire come si può essere d'accordo con la frase di Nietzsche e dividere allo stesso tempo tra "giusti" ed "ingiusti" (o se preferisci tra "civili" e "incivili").
Inoltre, se per "civile" intendiamo "legale", allora dobbiamo ammettere che nelle società dove la schiavitù era legale, chi praticava la schiavitù era "civile".
Quindi, se ritieni che "non vi sono fatti, ma solo opinioni. E anche questa è un'opinione." qual è la tua definizione di "civile"? e perché secondo te è importante? :)
Ciao Illimitato
Io non sostengo il relativismo etico. Sostengo un'etica che sia la sintesi di opinioni diverse, magari alcune più costanti e condivise e altre più opinabili e di parte, come avviene in tutte le ratifiche giuridiche di concordati etici. In questa visione includo le categorie "civile" (etico) e "incivile" (non etico). La realtà empirica ci mostra infinite situazioni in cui il confronto tra opinioni diverse è pacifico e "civile". La prima delle quali dovrebbe essere la comunità scientifica. Uso il condizionale perchè la tossicità monetaria è arrivata anche lì. Anche in sede politica gli stati "civili" escludono lo spargimento di sangue come metodo di confronto tra opinioni diverse. Sicuramente la civiltà si evolve e con essa anche la sua aggettivazione. In una società schiavistica era civile trattare umanamente lo schiavo. Abolito lo schiavismo è incivile ridurre esseri umani in schiavitù. Non sempre legalità e civiltà vanno di pari passo, per cui preferisco attenermi alla categoria più "etica" e dinamica di civile rispetto a legale.
Se ben osserviamo quel bellissimo aforisma è un'iperbole autocontraddittoria perchè se è opinabile ogni fatto è opinabile anche che ogni fatto sia un'opinione. Però rimane una estrema messa in discussione delle pretese di verità assoluta che conviene tenersi stretta. Applicandola cum grano salis alle diverse situazioni reali.
Citazione
secondo voi perché è possibile avere una conoscenza scientifica delle cose? (in pratica qual è la giustificazione epistemologica della scienza - domanda a cui la scienza da sola non può rispondere...)
Perchè la conoscenza scientifica è capace di indagare la natura così bene da produrre cose immateriali (teorie) capaci di produrre cose materiali.
(non capisco perchè la scienza non dovrebbe essere in grado di rispondere a questa domanda: lo fa continuamente con la sua produzione teorica e pratica. La capacità conoscitiva della scienza è autoevidente)
Ciao Ipazia,
Perdonami per l'incomprensione. Grazie per il chiarimento ;)
Per quanto riguarda la scienza, capisco il tuo punto di vista "pragmatico" :) però per esempio, perché secondo te la matematica riesce a dare predizioni così tanto accurate. Dopotutto, la matematica sembra essere una semplice creazione dell'intelletto umano e secondo me non è ovvio a priori che debba funzionare;)
(grazie per aver tradotto il mio nickname ;D)
Solo apparentemente la matematica fa predizioni. In realtà la matematica si applica su modelli fisici testati sperimentalmente. Galileo trasformò in calcolo l'accelerazione di gravità usando un piano inclinato e un misuratore di tempo. Lo sviluppo della "rappresentazione" o conoscenza (fate voi) della natura ha determinato anche uno sviluppo dello strumentario matematico atto a calcolarne i fenomeni.
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 19:47:30 PM
Citazione
Perchè la conoscenza scientifica è capace di indagare la natura così bene da produrre cose immateriali (teorie) capaci di produrre cose materiali.
(non capisco perchè la scienza non dovrebbe essere in grado di rispondere a questa domanda: lo fa continuamente con la sua produzione teorica e pratica. La capacità conoscitiva della scienza è autoevidente).
La scienza continuamente con la sua produzione teorica e pratica dimostra solo i "contenuti" delle sue teorie (la cui verità é condizionata dalla verità di alcune premesse indimostrabili: Hume!) e la loro applicazione pratica ne dimostra di fatto il funzionamento più o meno efficace e -altra cosa- più o meno buono a seconda dei casi.
(Per un critico razionale conseguente; per il senso comune é un' altro discorso, non filosofico, che personalmente, da filosofo -questione di gusti- mi interessa molto meno) autoevidenti sono solo i giudizi analitici a priori, le "verità logiche e matematiche".
Non la verità o meno di giudizi sintetici a posteriori quali sono le teorie scientifiche (delle scienze naturali).
(Penso che Apeiron mi consideri fra quelli che hanno già risposto a questa sua domanda).P.S.: pignoleria fastidiosa -lo so, ma non posso farci niente più che scusarmene: sono fatto così- "Apeiron" é neutro, e dunque, poiché mi sembra che il nostro ottimo interlocutore sia maschio, usandolo credo non attribuisca a sé la caratteristica alquanto megalomane -salvo autoironia- di essere "Infinito" ma faccia per così dire un omaggio" all' "indeterminato" di Anassimandro (non so se lo interpreto bene).
Salve Apeiron. Circa "perché secondo te la matematica riesce a dare predizioni così tanto accurate. Dopotutto, la matematica sembra essere una semplice creazione dell'intelletto umano e secondo me non è ovvio a priori che debba funzionare", la matematica, oltre a presentare la caratteristica illustrata da Ipazia, fissa certe regolarità in modo da inscriverle in un sistema al cui interno le condizioni, a differenza che nella realtà, sono rigidamente fissate ed invarianti e non appunto discrete e fluttuanti.
Fissa cioè le premesse perché il risultato sia loro conseguenza. E' quindi ovvio che funzioni.
Essa dice : viene creato l'ambito matematico il cui requisito esistenziale è che 1+1 faccia sempre 2.
Nella realtà invece può capitare che 1+1 faccia 2, 3, 4, 5 etc.
Succede con il sesso ed è funzione della fecondità di 1+1.
In biologia è anche peggio : nel caso della riproduzione cellulare potremo avere che 1-0.5=1 e 1:2=2.
Si parlava di conoscenza scientifica mi pare, non di episteme intesa in senso filosofico. :(
A me pare che la discussione iniziata da SamuelSilver (su mia "istigazione", per così dire) concernesse la filosofia della mente.
Citazione di: sgiombo il 18 Ottobre 2018, 21:14:17 PM(Penso che Apeiron mi consideri fra quelli che hanno già risposto a questa sua domanda).
P.S.: pignoleria fastidiosa -lo so, ma non posso farci niente più che scusarmene: sono fatto così- "Apeiron" é neutro, e dunque, poiché mi sembra che il nostro ottimo interlocutore sia maschio, usandolo credo non attribuisca a sé la caratteristica alquanto megalomane -salvo autoironia- di essere "Infinito" ma faccia per così dire un omaggio" all' "indeterminato" di Anassimandro (non so se lo interpreto bene).
Primo: sì, sei uno di quelli che ha già risposto (almeno in parte) alla domanda. La mia "esclusione" era più che altro intesa come un "non è necessario che venga ripetuto ciò che è già stato detto" :) ovviamente, anche chi ha già risposto può ridire la propria (anche perché a volte ribadire lo stesso concetto porta a chiarimenti).
Secondo: sono un maschio... sulla genesi dello pseudonimo avevo già detto qualcosa
qui (anche se per "farla breve" l'ho fatta troppo semplice). il bello di "Apeiron" è che un concetto "negativo", che dice "ciò che non è" (e a me il linguaggio "negativo"/"apofatico" piace moltissimo, mi dà un gran senso di libertà). In particolare, è anche una dedica ad Anassimandro, che, secondo me, ha avuto il merito di aver introdotto nella filosofia greca un concetto estremamente "astratto": visto che la realtà "finita" è fatta di cose "determinate"/"definite", per Anassimandro il Principio degli esseri finiti doveva essere "oltre" tali determinazioni e quindi "non determinato", "senza confini" (le "determinazioni" sono "confini" visto che "definiscono"...), "non definito" (e quindi "misterioso"), "non limitato", "non finito", "assoluto" (etimologicamente "assoluto" significa in realtà "slegato", "libero da vincoli"...) ecc in realtà, secondo me, pochi hanno raggiunto il grado di astrazione di Anassimandro (ad oggi non concordo con la filosofia Anassimandro, ma sono convinto che tale "non determinato" sia una "realtà" e non un "mero nulla"). Inoltre, vedo il mio approccio alla filosofia, alla religione/spiritualità, alla scienza, all'arte ecc (anche) come un tentativo di contemplare e di "aprirmi/abbandonarmi" all'infinito, all'ignoto, all'indeterminato (e quindi anche un anelito alla Libertà...) ecc :) (non escludo che in tutto ciò ci sia, effettivamente, un po' di megalomania...) ;D
Cerco di rispondere alle altre cose in due-tre giorni! Ciao :)
Citazione di: sgiombo il 18 Ottobre 2018, 22:08:39 PM
A me pare che la discussione iniziata da SamuelSilver (su mia "istigazione", per così dire) concernesse la filosofia della mente.
Concordo... secondo me la discussione sul "perché la scienza è valida" è ancora "in tema" :)
Citazione di: Apeiron
... perché secondo te la matematica riesce a dare predizioni così tanto accurate. Dopotutto, la matematica sembra essere una semplice creazione dell'intelletto umano e secondo me non è ovvio a priori che debba funzionare ...
... Secondo voi il materialismo da solo è sufficiente per spiegare l'efficacia della scienza? (secondo me no - è uno dei motivi per cui ritengo il materialismo errato. Ero curioso di sentire se, secondo voi, il materialismo poteva spiegare l'efficacia della scienza.)
Anassimandro non avrebbe avuto dubbi, avendo usato in maniera del tutto materialistica la matematica
a posteriori esattamente come l'aveva materialisticamente ereditata da mercanti che contavano pecore, staia di grano e anfore d'olio.* Perchè la matematica, checchè ne pensino i pitagorici e Platone, è nata proprio per questi usi. Ed anche quando ha dovuto includere il nulla e l'apeiron nei suoi calcoli, l'ha fatto in seguito a materialissime necessità di calcolo della scienza applicata. Il materialismo spiega benissimo la scienza, perchè la scienza è materialista fin dalla nascita essendo antitetica alle spiegazioni del reale fondate sui numi. Dai quali, nel corso dei secoli, si è (astrologia, alchimia, magia) e ci ha liberato (almeno dalle cose più pacchiane).
* C'è un ottimo libro dello scienziato-filosofo Carlo Rovelli su Anassimandro
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 22:39:44 PM
Anassimandro non avrebbe avuto dubbi, avendo usato in maniera del tutto materialistica la matematica a posteriori esattamente come l'aveva materialisticamente ereditata da mercanti che contavano pecore, staia di grano e anfore d'olio.* Perchè la matematica, checchè ne pensino i pitagorici e Platone, è nata proprio per questi usi. Ed anche quando ha dovuto includere il nulla e l'apeiron nei suoi calcoli, l'ha fatto in seguito a materialissime necessità di calcolo della scienza applicata. Il materialismo spiega benissimo la scienza, perchè la scienza è materialista fin dalla nascita essendo antitetica alle spiegazioni del reale fondate sui numi. Dai quali, nel corso dei secoli, si è (astrologia, alchimia, magia) e ci ha liberato (almeno dalle cose più pacchiane).
CARLO
A dire il vero, i numeri nascono come simboli sacri (di fatto, sono archetipi dell'ordine quantitativo). I Caldei e gli Egizi attorno al 3.000 a.c. hanno tramandato testimonianze scritte riguardanti la numerologia che veniva da loro considerata scienza sacra.E la stessa scuola pitagorica, che fece della matematica una scienza, era una congregazione religiosa i cui adepti osservavano la pratica del celibato e varie ritualità di purificazione del corpo e dell'anima. Essi consideravano i numeri come le "lettere dell'alfabeto" con cui il Demiurgo creò il mondo. Anzi, senti cosa ne pensa l'"esoterico" René Guénon: <<...Le scienze profane, di cui il mondo moderno è così orgoglioso, altro non sono se non «residui» degenerati di antiche scienze tradizionali, così come la stessa quantità, a cui esse si sforzano di tutto ricondurre, non è, nella loro visione delle cose, se non il « residuo » di un'esistenza svuotata di tutto ciò che costituiva la sua essenza; è così che queste scienze, o pretese tali, lasciandosi sfuggire, oppure eliminando di proposito tutto ciò che veramente è essenziale, si rivelano in definitiva incapaci di fornire la spiegazione reale di qualsiasi cosa.Allo stesso modo che la scienza tradizionale dei numeri è tutt'altra cosa dall'aritmetica profana dei moderni, sia pure con tutte le estensioni algebriche o d'altro genere di cui è suscettibile, così esiste anche una «geometria sacra» non meno profondamente diversa da quella scienza «scolastica», che oggi si designa con lo stesso nome di geometria.(...)Cercheremo di far vedere in modo ancor più completo, e da un punto di vista più generale, quale sia la vera natura delle scienze tradizionali, e per conseguenza quale abisso le separi dalle scienze profane che ne sono come una caricatura ed una parodia; ciò permetterà di valutare la decadenza subita dalla mentalità umana nel passare dalle prime alle seconde, nonché di vedere, in rapporto alla situazione rispettiva dell'oggetto dei loro studi, come questa decadenza segua appunto strettamente la marcia discendente del ciclo percorso dalla nostra umanità>>. [R. GUENON: Il Regno della quantità e i segni dei tempi - pg. 14-15]
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Ottobre 2018, 23:53:16 PM
CARLO
A dire il vero, i numeri nascono come simboli sacri (di fatto, sono archetipi dell'ordine quantitativo). I Caldei e gli Egizi attorno al 3.000 a.c. hanno tramandato testimonianze scritte riguardanti la numerologia che veniva da loro considerata scienza sacra.
E la stessa scuola pitagorica, che fece della matematica una scienza, era una congregazione religiosa i cui adepti osservavano la pratica del celibato e varie ritualità di purificazione del corpo e dell'anima. Essi consideravano i numeri come le "lettere dell'alfabeto" con cui il Demiurgo creò il mondo.
... e con cui i faraoni costruivano le piramidi ;D
APEIRON
il bello di "Apeiron" è che un concetto "negativo", che dice "ciò che non è" (e a me il linguaggio "negativo"/"apofatico" piace moltissimo, mi dà un gran senso di libertà). In particolare, è anche una dedica ad Anassimandro, che, secondo me, ha avuto il merito di aver introdotto nella filosofia greca un concetto estremamente "astratto": visto che la realtà "finita" è fatta di cose "determinate"/"definite", per Anassimandro il Principio degli esseri finiti doveva essere "oltre" tali determinazioni e quindi "non determinato", "senza confini" (le "determinazioni" sono "confini" visto che "definiscono"...), "non definito" (e quindi "misterioso"), "non limitato", "non finito", "assoluto"
CARLO
Il tuo è un approccio ingenuo, cioè univoco, unilaterale, mentre il Principio può essere avvicinato "asintoticamente" solo per mezzo di paradossi, cioè, di attributi opposti complementari. Già ho accennato che esso, come Archè, come Causa originaria di tutto, dello spazio, del tempo e di ciò che essi contengono, è massimamente trascendente, al di fuori dello spazio e del tempo; ma come Legge delle cose create, come principio conservatore che mantiene in vita il Tutto, è onnipresente, cioè, massimamente immanente. Ciò coincide con l'idea di Dio inteso sia come Padre che come Figlio, o del Tao inteso sia come "eterno Tao" sia come le "diecimila cose" yin-yang immanenti, o della coppia Brahma e Visnu, intesi rispettivamente, come Creatore e Preservatore.
Infatti, il filologo Giovanni Semerano (L'infinito: un equivoco millenario) sottolinea che il termine ápeiron deriva dal semitico 'apar (polvere, terra), accadico eperu, biblico 'afar, e ricorda che in greco epeiros, dorico apeiros, eolico aperros, indica la terra, il fango.
Scrive Semerano:
«Da tempo immemorabile, circa ventitré secoli fa, il mondo culturale dell'Occidente subisce la sfida di quella voce, ápeiron, che l'antico pensatore milesio pose come una roccia scabra e grande a suggello della sua opera "Sulla natura" ed è più che una pietra di confine, è il viatico dall'eternità al nulla. I posteri che intesero 'illimitato', 'infinito', tradirono l'antica fede del filosofo nell'infinita maternità della terra che attende di raccogliere nel suo seno ciò che essa stessa ha prodotto». [G. SEMERANO: L'infinito: un equivoco millenario - pg. 56].
APEIRON
...etimologicamente "assoluto" significa in realtà "slegato", "libero da vincoli"... ecc.
in realtà, secondo me, pochi hanno raggiunto il grado di astrazione di Anassimandro (ad oggi non concordo con la filosofia Anassimandro, ma sono convinto che tale "non determinato" sia una "realtà" e non un "mero nulla"). Inoltre, vedo il mio approccio alla filosofia, alla religione/spiritualità, alla scienza, all'arte ecc. (anche) come un tentativo di contemplare e di "aprirmi/abbandonarmi" all'infinito, all'ignoto, all'indeterminato (e quindi anche un anelito alla Libertà...) ecc :) (non escludo che in tutto ciò ci sia, effettivamente, un po' di megalomania...) ;D
CARLO
Ricordati delle due vie opposte-complementari, i due occhi dei saggi: quello del cuore e della libera contemplazione e quello dell'intelletto e della conoscenza. L'uno ispira, illumina e conferma l'altro.
E' un vero peccato che nella storia del pensiero umano si alterni il sacrificio dell'uno o dell'altro sull'altare del suo opposto.
Citazione di: viator il 18 Ottobre 2018, 21:15:15 PM
Salve Apeiron. Circa "perché secondo te la matematica riesce a dare predizioni così tanto accurate. Dopotutto, la matematica sembra essere una semplice creazione dell'intelletto umano e secondo me non è ovvio a priori che debba funzionare", la matematica, oltre a presentare la caratteristica illustrata da Ipazia, fissa certe regolarità in modo da inscriverle in un sistema al cui interno le condizioni, a differenza che nella realtà, sono rigidamente fissate ed invarianti e non appunto discrete e fluttuanti.
Fissa cioè le premesse perché il risultato sia loro conseguenza. E' quindi ovvio che funzioni.
Essa dice : viene creato l'ambito matematico il cui requisito esistenziale è che 1+1 faccia sempre 2.
Nella realtà invece può capitare che 1+1 faccia 2, 3, 4, 5 etc.
Succede con il sesso ed è funzione della fecondità di 1+1.
In biologia è anche peggio : nel caso della riproduzione cellulare potremo avere che 1-0.5=1 e 1:2=2.
Ciao Viator,
ci sono un po' di problemi qui. Ne cito due.
Primo: anche se fosse vero il "convenzionalismo" (la visione per la quale la matematica è una
mera convenzione umana), rimane da dimostrare
perché tali convenzioni si applicano
così bene in
certi casi.
Per esempio, anche se, ammettiamo che nel caso della riproduzione cellulare "1:1 = 2", ciò non toglie che, per esempio la
Precessione del perielio dell'orbita di Mercurio era uno degli indizi per cui la gravità Newtoniana era una teoria incompleta, per un errore estremamente piccolo. E, invece, la teoria di Einstein ha dato una predizione a tutti gli effetti "perfetta". Quindi, anche se in biologia non valesse, la matematica dei numeri reali dà ottime predizioni in fisica. Ergo, si deve ammettere che la
materia sia sufficientemente "regolare" in modo da
permetterci di fare
così bene un'analisi quantitativa. A priori, questo è strano :) E non solo per le ragioni citate da @sgiombo, ma più che altro perché - ammettendo di ragionevolmente accettare l'esistenza di queste regolarità - è piuttosto strano che se la matematica nasce da una semplice convenzione umana riusciamo a descrivere
così bene l'evoluzione dei fenomeni. Quindi, la domanda rimane:
qual è la ragione (=l'ipotesi più ragionevole) con cui possiamo spiegare la "irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali" (cito Wigner)?
Secondo: a volte "innovazioni" matematiche che sembrano non avere alcuna utilità pratica, vengono poi usate nella fisica (e nella scienza in generale). Un esempio sono i numeri complessi. Furono introdotti senza alcuno scopo pratico (se non quello di "scoprire la matematica" che, secondo me, non è uno scopo pratico). Adesso sono usati in continuazione. E la meccanica quantistica
non funziona senza i numeri complessi. Ed è la teoria che ci fornisce, per ora, i risultati migliori. Dunque:
perché strumenti matematici ideati senza alcuna ragione pratica finiscono addirittura per essere importantissimi nella fisica?Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 22:39:44 PM
Citazione di: Apeiron... perché secondo te la matematica riesce a dare predizioni così tanto accurate. Dopotutto, la matematica sembra essere una semplice creazione dell'intelletto umano e secondo me non è ovvio a priori che debba funzionare ... ... Secondo voi il materialismo da solo è sufficiente per spiegare l'efficacia della scienza? (secondo me no - è uno dei motivi per cui ritengo il materialismo errato. Ero curioso di sentire se, secondo voi, il materialismo poteva spiegare l'efficacia della scienza.)
Anassimandro non avrebbe avuto dubbi, avendo usato in maniera del tutto materialistica la matematica a posteriori esattamente come l'aveva materialisticamente ereditata da mercanti che contavano pecore, staia di grano e anfore d'olio.* Perchè la matematica, checchè ne pensino i pitagorici e Platone, è nata proprio per questi usi. Ed anche quando ha dovuto includere il nulla e l'apeiron nei suoi calcoli, l'ha fatto in seguito a materialissime necessità di calcolo della scienza applicata. Il materialismo spiega benissimo la scienza, perchè la scienza è materialista fin dalla nascita essendo antitetica alle spiegazioni del reale fondate sui numi. Dai quali, nel corso dei secoli, si è (astrologia, alchimia, magia) e ci ha liberato (almeno dalle cose più pacchiane). * C'è un ottimo libro dello scienziato-filosofo Carlo Rovelli su Anassimandro
Ciao Ipazia,
anche se così fosse resterebbero i problemi di cui sopra (vedi la risposta a Viator). Anzi, sarebbe anche "peggio"! In fin dei conti, se anche la matematica fosse stata "ideata" per tali motivi pratici, ciò non toglie che rimane da spiegare perché una "mera convenzione umana" fa eccellenti predizioni sulla "realtà materiale", la quale, si suppone, essere indipendente dalle nostre menti (o da eventuali altre menti - sto, infatti, supponendo qui ai fini della discussione che il materialismo sia vero e che, di conseguenza, le nostre menti e quindi anche le loro convenzioni siano
dipendenti dalla materia, la quale è, invece, indipendente da esse. Il materialismo (quello "solito", per lo meno), inoltre, esclude a priori la possibilità che per esempio le "verità matematiche" o "le leggi della fisica" siano "realtà"...). Dunque, anche se Pitagora e Platone fossero in errore nel dire qual è stata l'origine della matematica, rimane da spiegare perché, in fin dei conti
funziona così bene tanto che in realtà non solo gli strumenti matematici sono utilissimi a fare predizioni accurate ma anche che concetti matematici astratti, come i numeri complessi, alla fine diventano essenziali alle teorie della fisica. Secondo me, Anassimandro avrebbe avuto dubbi.
Per quanto riguarda Rovelli, so che apprezza molto il filosofo greco. E lo prende come esempio di pensatore originale. Se fosse stato
solo un "uomo pratico" probabilmente non si sarebbe mai messo a speculare sull'origine delle cose, sul fatto che la Terra sia "sospesa nel vuoto", che "l'alto e il basso" sono concetti relativi spiegando perché erano relativi (= "relativi" nel senso che sono validi in determinate situazioni...) ecc. Questo tipo di speculazioni, per un greco antico che non aveva alcuna possibilità di verificarle empiricamente erano, appunto, speculazioni teoriche basate sull'assunto che la nostra ragione poteva riuscire, anche senza conoscenza empirica diretta, a comprendere le cose. Assunzione che, in realtà, la dice lunga sul filosofo (perché mai la "realtà materiale" dovrebbe essere comprensibile con ragionamenti umani?). Inoltre, lo stesso Rovelli apprezza molto la filosofia e ritiene che i filosofi possano aiutare la scienza.
Il punto, Ipazia, è che secondo me il materialismo usa la scienza come "prova" della sua validità ma non dà alcun argomento convincente sul perché la scienza, che è nata dal ragionamento (non solo "matematico") possa essere così efficace. Un teista o un deista, per esempio, direbbe semplicemente che la materia è stata "creata ed ordinata" da Dio. Un platonico direbbe che le regolarità che osserviamo "rimandano" alle Forme/Idee. Il materialismo, invece, pur non potendo usare la scienza per rifiutare spiegazioni "non materialistiche" delle regolarità materiali non ne fornisce alcuna e, inoltre, spesso si basa sull'idea che la scienza elimina ogni altra prospettiva (ben diverso, sarebbe, una sorta di agnosticismo o scetticismo. In questo caso, si direbbe che è una questione irrisolvibile. Ma lo scetticismo
non è materialismo. Il materialismo è una ben precisa tesi).
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Ottobre 2018, 11:31:28 AMAPEIRON il bello di "Apeiron" è che un concetto "negativo", che dice "ciò che non è" (e a me il linguaggio "negativo"/"apofatico" piace moltissimo, mi dà un gran senso di libertà). In particolare, è anche una dedica ad Anassimandro, che, secondo me, ha avuto il merito di aver introdotto nella filosofia greca un concetto estremamente "astratto": visto che la realtà "finita" è fatta di cose "determinate"/"definite", per Anassimandro il Principio degli esseri finiti doveva essere "oltre" tali determinazioni e quindi "non determinato", "senza confini" (le "determinazioni" sono "confini" visto che "definiscono"...), "non definito" (e quindi "misterioso"), "non limitato", "non finito", "assoluto" CARLO Il tuo è un approccio ingenuo, cioè univoco, unilaterale, mentre il Principio può essere avvicinato "asintoticamente" solo per mezzo di paradossi, cioè, di attributi opposti complementari. Già ho accennato che esso, come Archè, come Causa originaria di tutto, dello spazio, del tempo e di ciò che essi contengono, è massimamente trascendente, al di fuori dello spazio e del tempo; ma come Legge delle cose create, come principio conservatore che mantiene in vita il Tutto, è onnipresente, cioè, massimamente immanente. Ciò coincide con l'idea di Dio inteso sia come Padre che come Figlio, o del Tao inteso sia come "eterno Tao" sia come le "diecimila cose" yin-yang immanenti, o della coppia Brahma e Visnu, intesi rispettivamente, come Creatore e Preservatore. Infatti, il filologo Giovanni Semerano (L'infinito: un equivoco millenario) sottolinea che il termine ápeiron deriva dal semitico 'apar (polvere, terra), accadico eperu, biblico 'afar, e ricorda che in greco epeiros, dorico apeiros, eolico aperros, indica la terra, il fango. Scrive Semerano: «Da tempo immemorabile, circa ventitré secoli fa, il mondo culturale dell'Occidente subisce la sfida di quella voce, ápeiron, che l'antico pensatore milesio pose come una roccia scabra e grande a suggello della sua opera "Sulla natura" ed è più che una pietra di confine, è il viatico dall'eternità al nulla. I posteri che intesero 'illimitato', 'infinito', tradirono l'antica fede del filosofo nell'infinita maternità della terra che attende di raccogliere nel suo seno ciò che essa stessa ha prodotto». [G. SEMERANO: L'infinito: un equivoco millenario - pg. 56]. APEIRON ...etimologicamente "assoluto" significa in realtà "slegato", "libero da vincoli"... ecc. in realtà, secondo me, pochi hanno raggiunto il grado di astrazione di Anassimandro (ad oggi non concordo con la filosofia Anassimandro, ma sono convinto che tale "non determinato" sia una "realtà" e non un "mero nulla"). Inoltre, vedo il mio approccio alla filosofia, alla religione/spiritualità, alla scienza, all'arte ecc. (anche) come un tentativo di contemplare e di "aprirmi/abbandonarmi" all'infinito, all'ignoto, all'indeterminato (e quindi anche un anelito alla Libertà...) ecc :) (non escludo che in tutto ciò ci sia, effettivamente, un po' di megalomania...) ;D CARLO Ricordati delle due vie opposte-complementari, i due occhi dei saggi: quello del cuore e della libera contemplazione e quello dell'intelletto e della conoscenza. L'uno ispira, illumina e conferma l'altro. E' un vero peccato che nella storia del pensiero umano si alterni il sacrificio dell'uno o dell'altro sull'altare del suo opposto.
Ciao Carlo,
Secondo me, invece, non è poi così "ingenuo" anche se penso di capire e rispetto il tuo punto di vista.
I problemi con la tua visione sono, ad esempio:
1) il principio di complementarità
potrebbe non spiegare tutto (come dicevo, concordo che "c'è della verità", se vuoi ammetto anche che c'è veramente "molta più verità di quello che si crede" in quel "ragionamento". Però, mi sembra un po' eccessivo pensare che "spiega così tanto" come pensi tu...)
2) se tale Principio è
trascendente su di esso
con la sola ragione possiamo dire niente di sicuro (su cosa si basterebbero i ragionamenti, su quali assiomi? ) . Ergo, l'unico modo per
conoscerlo veramente è "averne esperienza diretta". Per chi non ha avuto queste "esperienze", ammesso che ci siano e che la loro
interpretazione sia "corretta", quello che rimane è "avere fede" nella esperienza altrui (ciò vale anche per le Rivelazioni o le "Ispirazioni Divine", visto che in fin dei conti anche se deriverebbero da un "intervento esterno", vengono "vissute", "sperimentate").
3) le stesse "spiegazioni" del "perché esiste qualcosa?" che partono da un Principio non sono comunque, secondo me, totalmente convincenti. Pensa all'emanazione di Plotino. Plotino spiega che l'Uno è "sovrabbondante" e quindi deve per forza "emanare". Ma è una spiegazione pienamente convincente? ::) oppure secondo Spinoza tutti i modi derivano da Dio come le conseguenze di un teorema derivano dal teorema stesso. Ma...come deriva? Perché la realtà deve seguire così fedelmente il ragionamento (ammesso che non sia inconsistente)? Oppure usando Platone: cosa significa che gli universali "partecipano" nei particolari? Come avviene tale "partecipazione"? Onestamente, non mi sembrano così "convincenti" razionalmente. Secondo me si deve sempre ammettere un lato "incomprensibile" o "misterioso", qualsiasi filosofia scegli. Perché ci deve essere per forza un Principio e non possiamo invece ammettere che forse c'è la "regressione infinita" (la quale ha anch'essa i suoi problemi...)? (nel film Ghost in the Shell si dice: "
once you start doubting, there is no end to it" - "quando si inizia a dubitare, non c'è una fine").
4) non ci vedo altra via quindi che affermare la nostra ignoranza su moltissime questioni (ah, non credo che nessuna religione sia interamente "apofatica" o "catafatica". Ovviamente, alcune si concentrano su uno e danno meno importanza all'altro ecc). Non ho mai detto che non si possa dire niente. Solamente che, senza "atti di fede", questioni come "qual è l'origine delle cose" ecc rimangono tutti indimostrabili ecc. Personalmente preferisco l'apofatismo perché, in fin dei conti, se il "Trascendente" è "fuori dalla realtà ordinaria", esso non può essere che "ineffabile" (ad esempio, se diciamo che è "fuori dal tempo" non ho alcuna obiezione a dire che è "eterno" e quindi darne una "descrizione positiva" per così dire. Ma tale descrizione positiva deriva da una negazione.). Ammetto di avere fede nel dire che tale "Trascendente" non è un "mero nulla". Secondo me, però la ragione (senza rivelazioni ecc) può solo dire che se tale "Trascendente" non è un "mero nulla" può solo dire "cosa non è" (a-spaziale, a-temporale...). Inoltre, l'apofatismo permette di evitare forme di dogmatismo, di essere "sicuri" su ciò di cui non si può esserlo ecc ecc (se poi uno vuole anche avere "fede" è un altro discorso.
Dunque, Carlo, tu credi nel Principio di Complementarità perché lo consideri "ragionevole" (e quindi ammetti spazio anche alla "fede")? O ritieni che si possa
dimostrare? Questa sicurezza si basa solo sui ragionamenti o si deve, necessariamente, basare, almeno in parte, su esperienze "straordinarie", sull'interpretazione di tali esperienze proprie o altrui ecc? Ritieni che la sola ragione è sufficiente?
L'intelletto è importantissimo anche nel buddhismo, per esempio. Tuttavia, nelle religioni è sempre "subordinato" all'"esperienza". La teologia si basa sulla
fede nella verità della Rivelazione (senza il supporto delle Scritture, anche la "più alta teologia" non sarebbe teologia). Può essere usato per dare
argomentazioni a favore. Ma, secondo me, non potrà mai dimostrare.
Come vedi, la discussione sarebbe lunghissima (motivo per cui non intendevo continuarla qui e ora). Ergo, io rispetto il tuo punto di vista e ti ringrazio dei consigli. Mi fa piacere "studiarlo". Ma se non mi convince pienamente, penso di avere buone ragioni... :) Ma come dice la citazione di Ghost in the Shell "[al dubbio] non c'è mai fine". Lo riconosco. E siccome un approccio più "apofatico" richiede meno "dogmatismo" di uno "catafatico" preferisco un approccio più sbilanciato verso l'apofatismo (in verità, ci sono alcuni che vanno oltre il mio approccio apofatico e rinunciano a praticamente tutta "la via positiva" mantenendo un silenzio estremo...).
Su Anassimandro, avevo sentito l'interpretazione di Semeraro in terza superiore. Pur non essendo d'accordo ammetto che è interessante.
Purtroppo, ritengo che abbia varie difficoltà. Per esempio, Eraclito dice: "andando, non puoi trovare i confini (
peirata) dell'anima. Così profondo è il suo logos" (frammento DK22 B 45). Senofane parla anch'egli dell'apeiron nel senso di "infinito". Ergo, sono dell'idea che la "lettura classica" di "apeiron" è corretta. Tutti i commentatori greci non hanno mai menzionato "la terra". Mi pare che ci siano forti indizi per la "lettura classica". Di nuovo, come dice la citazione di Ghost in The Shell "[al dubbio] non c'è mai fine".
Per Carlo,
Ci sono anche altri problemi volendo. Le "applicazioni" della complementarità sono tante. Ma questo non significa che esse siano uguali o che una di esse non sia vera. Inoltre, la somiglianza nelle descrizioni non implica che siano veramente simili (pensa al sale e allo zucchero. Sono bianchi, hanno una forma simile ma se li assaggi sono duversi ;D).
Quello che voglio dire, è che secondo me il tuo sistema è molto interessante. Non concordo però che sia così "evidente"... (e non ho capito se per te è dimostrabile con la sola ragione oppure con ragione ed analisi dell'esperienza "ordinaria" :))
Citazione di: Apeiron il 20 Ottobre 2018, 12:46:21 PM
Ciao Viator,
ci sono un po' di problemi qui. Ne cito due.
Primo: anche se fosse vero il "convenzionalismo" (la visione per la quale la matematica è una mera convenzione umana), rimane da dimostrare perché tali convenzioni si applicano così bene in certi casi.
Per esempio, anche se, ammettiamo che nel caso della riproduzione cellulare "1:1 = 2", ciò non toglie che, per esempio la Precessione del perielio dell'orbita di Mercurio era uno degli indizi per cui la gravità Newtoniana era una teoria incompleta, per un errore estremamente piccolo. E, invece, la teoria di Einstein ha dato una predizione a tutti gli effetti "perfetta". Quindi, anche se in biologia non valesse, la matematica dei numeri reali dà ottime predizioni in fisica. Ergo, si deve ammettere che la materia sia sufficientemente "regolare" in modo da permetterci di fare così bene un'analisi quantitativa. A priori, questo è strano :) E non solo per le ragioni citate da @sgiombo, ma più che altro perché - ammettendo di ragionevolmente accettare l'esistenza di queste regolarità - è piuttosto strano che se la matematica nasce da una semplice convenzione umana riusciamo a descrivere così bene l'evoluzione dei fenomeni. Quindi, la domanda rimane: qual è la ragione (=l'ipotesi più ragionevole) con cui possiamo spiegare la "irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali" (cito Wigner)?
Secondo: a volte "innovazioni" matematiche che sembrano non avere alcuna utilità pratica, vengono poi usate nella fisica (e nella scienza in generale). Un esempio sono i numeri complessi. Furono introdotti senza alcuno scopo pratico (se non quello di "scoprire la matematica" che, secondo me, non è uno scopo pratico). Adesso sono usati in continuazione. E la meccanica quantistica non funziona senza i numeri complessi. Ed è la teoria che ci fornisce, per ora, i risultati migliori. Dunque: perché strumenti matematici ideati senza alcuna ragione pratica finiscono addirittura per essere importantissimi nella fisica?
Ciao Ipazia,
anche se così fosse resterebbero i problemi di cui sopra (vedi la risposta a Viator). Anzi, sarebbe anche "peggio"! In fin dei conti, se anche la matematica fosse stata "ideata" per tali motivi pratici, ciò non toglie che rimane da spiegare perché una "mera convenzione umana" fa eccellenti predizioni sulla "realtà materiale", la quale, si suppone, essere indipendente dalle nostre menti (o da eventuali altre menti - sto, infatti, supponendo qui ai fini della discussione che il materialismo sia vero e che, di conseguenza, le nostre menti e quindi anche le loro convenzioni siano dipendenti dalla materia, la quale è, invece, indipendente da esse. Il materialismo (quello "solito", per lo meno), inoltre, esclude a priori la possibilità che per esempio le "verità matematiche" o "le leggi della fisica" siano "realtà"...). Dunque, anche se Pitagora e Platone fossero in errore nel dire qual è stata l'origine della matematica, rimane da spiegare perché, in fin dei conti funziona così bene tanto che in realtà non solo gli strumenti matematici sono utilissimi a fare predizioni accurate ma anche che concetti matematici astratti, come i numeri complessi, alla fine diventano essenziali alle teorie della fisica. Secondo me, Anassimandro avrebbe avuto dubbi.
Il punto, Ipazia, è che secondo me il materialismo usa la scienza come "prova" della sua validità ma non dà alcun argomento convincente sul perché la scienza, che è nata dal ragionamento (non solo "matematico") possa essere così efficace. Un teista o un deista, per esempio, direbbe semplicemente che la materia è stata "creata ed ordinata" da Dio. Un platonico direbbe che le regolarità che osserviamo "rimandano" alle Forme/Idee. Il materialismo, invece, pur non potendo usare la scienza per rifiutare spiegazioni "non materialistiche" delle regolarità materiali non ne fornisce alcuna e, inoltre, spesso si basa sull'idea che la scienza elimina ogni altra prospettiva (ben diverso, sarebbe, una sorta di agnosticismo o scetticismo. In questo caso, si direbbe che è una questione irrisolvibile. Ma lo scetticismo non è materialismo. Il materialismo è una ben precisa tesi).
Ciao, Apeiron.
Concordo pienamente con quasi tutto ciò che obietti ai tre interlocutori in questo intervento (anche a CarloPierini; ho tagliato la tua risposta a quest' ultimo perché non ho proprio nulla da obiettarvi).
L' unica osservazione che mi sento di rivolgerti é che per parte mia non ho mai trovato nulla si problematico o di "strano" nell' applicabilità della matematica al modo fisico; anche nei casi di teorizzazioni matematiche elaborate prima di "trovare" aspetti del divenire naturale a i quali dopo si possono applicare.
Se il divenire naturale é "ordinato" e non caotico, cioé se é mutamento parziale - relativo ovvero fissità parziale - relativa (una sorta di "sintesi dialettica" fra mutamento assoluto - integrale (ovvero caotico) -tesi- e fissità assoluta - integrale (parmenidea - severiniana) -antitesi- e se
la realtà materiale - naturale é misurabile rilevando rapporti esprimibili mediante numeri fra i suoi "oggetti" (enti ed eventi concreti o loro caratteristiche astratte; e questo é indubbio, immediatamente constatabile empiricamente, mentre l' ordine del suo divenire, come anche la sua intersoggettività, non é né mostrabile empiricamente né dimostrabile logicamente), allora che le astrazioni matematiche, oltre ad esserne di fatto state ricavate (ma non "di diritto" dimostrate empiricamente ovvero sinteticamente a posteriori bensì logicamente ovvero analiticamente a priori), vi si possano applicare (cioè riconoscere il fatto che, seppure preventivamente elaborate ipoteticamente "a ruota libera" per così dire, sono in linea teorica, di principio da essa astraibili) mi sembra quanto di più ovvio e meno stupefacente possa darsi.E divenire ordinato, intersoggettività e misurabilità sono aspetti che si possono considerare reali di fatto (anche se non tutti dimostrabili; alcuni meramente per fede) del mondo fenomenico materiale (della natura materiale - naturale).E come ben dici (soprattutto rispondendo a CarloPieirni) non avrebbe senso chiedersene il "perché"; anche perché -ma che schifo di gioco di parole!- ne deriverebbe inevitabilmente un regresso all' infinito: per parafrasare Pirandello, "così é se vi pare", e anche se non vi pare.
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2018, 15:44:58 PM
Citazione di: Apeiron il 20 Ottobre 2018, 12:46:21 PM
Ciao Viator,
ci sono un po' di problemi qui. Ne cito due.
Primo: anche se fosse vero il "convenzionalismo" (la visione per la quale la matematica è una mera convenzione umana), rimane da dimostrare perché tali convenzioni si applicano così bene in certi casi.
Per esempio, anche se, ammettiamo che nel caso della riproduzione cellulare "1:1 = 2", ciò non toglie che, per esempio la Precessione del perielio dell'orbita di Mercurio era uno degli indizi per cui la gravità Newtoniana era una teoria incompleta, per un errore estremamente piccolo. E, invece, la teoria di Einstein ha dato una predizione a tutti gli effetti "perfetta". Quindi, anche se in biologia non valesse, la matematica dei numeri reali dà ottime predizioni in fisica. Ergo, si deve ammettere che la materia sia sufficientemente "regolare" in modo da permetterci di fare così bene un'analisi quantitativa. A priori, questo è strano :) E non solo per le ragioni citate da @sgiombo, ma più che altro perché - ammettendo di ragionevolmente accettare l'esistenza di queste regolarità - è piuttosto strano che se la matematica nasce da una semplice convenzione umana riusciamo a descrivere così bene l'evoluzione dei fenomeni. Quindi, la domanda rimane: qual è la ragione (=l'ipotesi più ragionevole) con cui possiamo spiegare la "irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali" (cito Wigner)?
Secondo: a volte "innovazioni" matematiche che sembrano non avere alcuna utilità pratica, vengono poi usate nella fisica (e nella scienza in generale). Un esempio sono i numeri complessi. Furono introdotti senza alcuno scopo pratico (se non quello di "scoprire la matematica" che, secondo me, non è uno scopo pratico). Adesso sono usati in continuazione. E la meccanica quantistica non funziona senza i numeri complessi. Ed è la teoria che ci fornisce, per ora, i risultati migliori. Dunque: perché strumenti matematici ideati senza alcuna ragione pratica finiscono addirittura per essere importantissimi nella fisica?
Ciao Ipazia,
anche se così fosse resterebbero i problemi di cui sopra (vedi la risposta a Viator). Anzi, sarebbe anche "peggio"! In fin dei conti, se anche la matematica fosse stata "ideata" per tali motivi pratici, ciò non toglie che rimane da spiegare perché una "mera convenzione umana" fa eccellenti predizioni sulla "realtà materiale", la quale, si suppone, essere indipendente dalle nostre menti (o da eventuali altre menti - sto, infatti, supponendo qui ai fini della discussione che il materialismo sia vero e che, di conseguenza, le nostre menti e quindi anche le loro convenzioni siano dipendenti dalla materia, la quale è, invece, indipendente da esse. Il materialismo (quello "solito", per lo meno), inoltre, esclude a priori la possibilità che per esempio le "verità matematiche" o "le leggi della fisica" siano "realtà"...). Dunque, anche se Pitagora e Platone fossero in errore nel dire qual è stata l'origine della matematica, rimane da spiegare perché, in fin dei conti funziona così bene tanto che in realtà non solo gli strumenti matematici sono utilissimi a fare predizioni accurate ma anche che concetti matematici astratti, come i numeri complessi, alla fine diventano essenziali alle teorie della fisica. Secondo me, Anassimandro avrebbe avuto dubbi.
Il punto, Ipazia, è che secondo me il materialismo usa la scienza come "prova" della sua validità ma non dà alcun argomento convincente sul perché la scienza, che è nata dal ragionamento (non solo "matematico") possa essere così efficace. Un teista o un deista, per esempio, direbbe semplicemente che la materia è stata "creata ed ordinata" da Dio. Un platonico direbbe che le regolarità che osserviamo "rimandano" alle Forme/Idee. Il materialismo, invece, pur non potendo usare la scienza per rifiutare spiegazioni "non materialistiche" delle regolarità materiali non ne fornisce alcuna e, inoltre, spesso si basa sull'idea che la scienza elimina ogni altra prospettiva (ben diverso, sarebbe, una sorta di agnosticismo o scetticismo. In questo caso, si direbbe che è una questione irrisolvibile. Ma lo scetticismo non è materialismo. Il materialismo è una ben precisa tesi).
Ciao, Apeiron.
Concordo pienamente con quasi tutto ciò che obietti ai tre interlocutori in questo intervento (anche a CarloPierini; ho tagliato la tua risposta a quest' ultimo perché non ho proprio nulla da obiettarvi).
L' unica osservazione che mi sento di rivolgerti é che per parte mia non ho mai trovato nulla si problematico o di "strano" nell' applicabilità della matematica al modo fisico; anche nei casi di teorizzazioni matematiche elaborate prima di "trovare" aspetti del divenire naturale a i quali dopo si possono applicare.
Se il divenire naturale é "ordinato" e non caotico, cioé se é mutamento parziale - relativo ovvero fissità parziale - relativa (una sorta di "sintesi dialettica" fra mutamento assoluto - integrale (ovvero caotico) -tesi- e fissità assoluta - integrale (parmenidea - severiniana) -antitesi- e se la realtà materiale - naturale é misurabile rilevando rapporti esprimibili mediante numeri fra i suoi "oggetti" (enti ed eventi concreti o loro caratteristiche astratte; e questo é indubbio, immediatamente constatabile empiricamente, mentre l' ordine del suo divenire, come anche la sua intersoggettività, non é né mostrabile empiricamente né dimostrabile logicamente), allora che le astrazioni matematiche, oltre ad esserne di fatto state ricavate (ma non "di diritto" dimostrate empiricamente ovvero sinteticamente a posteriori bensì logicamente ovvero analiticamente a priori), vi si possano applicare (cioè riconoscere il fatto che, seppure preventivamente elaborate ipoteticamente "a ruota libera" per così dire, sono in linea teorica, di principio da essa astraibili) mi sembra quanto di più ovvio e meno stupefacente possa darsi.
E divenire ordinato, intersoggettività e misurabilità sono aspetti che si possono considerare reali di fatto (anche se non tutti dimostrabili; alcuni meramente per fede) del mondo fenomenico materiale (della natura materiale - naturale).
E come ben dici (soprattutto rispondendo a CarloPieirni) non avrebbe senso chiedersene il "perché"; anche perché -ma che schifo di gioco di parole!- ne deriverebbe inevitabilmente un regresso all' infinito: per parafrasare Pirandello, "così é se vi pare", e anche se non vi pare.
Ciao sgiombo,
bene o male concordo con quanto dici.
Con un po' precisazioni però.
- Secondo me il materialismo non riesce a dare una spiegazione delle regolarità. Inversamente, ad esempio, un platonico potrebbe dare la risposta della partecipazione dell Forme che, seppur problematica per certi versi, è un tentativo, un'ipotesi. E, spesso, mi pare che chi fa questo tipo di ipotesi si rende conto che sono ipotesi. Quello che mi sembra di vedere a volte, è che tra i materialisti non ci si rende conto che anche il materialismo è una ipotesi e inoltre spesso si sente dire che le "altre ipotesi" sono falsificate dalla scienza (cosa che è impossibile...). Ma su questo concordi ;)
- La straordinaria precisione della matematica - aldilà dei vari scetticismi filosofici che ci fanno capire la limitatezza della nostra ragione - ci induce a fare la ragionevolissima ipotesi che riusciamo a conoscere molto bene la realtà materiale. Ora, se ci sono regolarità e la matematica le "approssima" così bene, questo significa che, secondo me, in un certo senso la matematica si scopre. Magari non nel modo ipotizzato da Platone, ma, ad ogni modo, significa che sia il nostro ragionamento che la realtà materiale hanno regolarità affini, altrimenti non potremmo capirle.
- Il problema dei numeri complessi è che... tutte le osservabili - anche in meccanica quantistica - sono numeri reali, non complessi. Nelle osservazioni non comparirà mai un numero complesso. Quindi empiricamente non c'è una vera ragione per introdurli. Eppure, la meccanica quantistica li richiede (o per lo meno, non sono a conoscenza di formulazioni che non li richiedono). Se non si usano i numeri complessi, la meccanica quantistica non si può fare (i numeri complessi compaiono anche nelle trasformate di Fourier utilizzate in elettronica classica e nella teoria delle onde classiche... la differenza è che in questi casi, è semplice questione di formalismo. Non sono necessari). I numeri complessi, perciò non possiamo "scoprire" i numeri complessi con le osservazioni.
- Ad essere sincero (su quanto dici alla fine), sono ben aperto a domandarsi il "perché" ed anche a tentare di formulare una risposta (o accettarne una). Quello che volevo dire è che, in pratica, la ragione da sola non può decidere. Così come non può decidere il solo studio dei testi, della scienza ecc. Con la ragione semmai, si arriva allo scetticismo. Non è futile cercare di andare oltre. Però, secondo me, se si vuole andare oltre si deve almeno in parte procedere per fede o per quelle "esperienze straordinarie" di cui parlavo (ed eventualmente le loro interpretazioni). [Personalmente, credo che queste "esperienze" si somigliano veramente, ovvero che ci sia veramente "qualcosa di analogo". Ma ammetto che lo dico perché lo "credo"/"ipotizzo", non perché lo "so"...]
Per fare un esempio l'antinomia della causalità temporale (che è una sottospecie di "causalità"):
- Se si ha un inizio nella catena causale temporale, tale inizio richiede un salto logico (ad es: una causa non causata (Causa Prima)...).
- Se non c'è un inizio, allora si deve accettare che la catena causale non ha un inizio nel tempo. Ma se non vi è stato inizio, deve essere passata un'infinità di tempo prima di arrivare ad oggi.
Come vedi, la logica qui arriva all'antinomia. E la scelta si fa per "fede", o magari perché una delle ipotesi risulta più "ragionevole" :)
Correzione: "tutte le osservabili - anche in meccanica quantistica - sono numeri reali, non complessi. Nelle osservazioni non comparirà mai un numero complesso" NO. Volevo dire che "tutti i risultati delle misure - anche in meccanica quantistica - sono numeri reali, non complessi. elle osservazioni non comparirà mai un numero complesso"". Per "osservabile" in fisica si intende la "grandezza fisica" (le quali in meccanica quantistica sono operatori).
APEIRON
I problemi con la tua visione sono, ad esempio:
1) il principio di complementarità potrebbe non spiegare tutto (come dicevo, concordo che "c'è della verità", se vuoi ammetto anche che c'è veramente "molta più verità di quello che si crede" in quel "ragionamento". Però, mi sembra un po' eccessivo pensare che "spiega così tanto" come pensi tu...)
Perché ci deve essere per forza un Principio e non possiamo invece ammettere che forse c'è la "regressione infinita" (la quale ha anch'essa i suoi problemi...)? (nel film Ghost in the Shell si dice: "once you start doubting, there is no end to it" - "quando si inizia a dubitare, non c'è una fine").
CARLO
Perché ti sembra "eccessivo"? Forse perché hai stabilito a-priori che non debba esistere alcun principio universale super-disciplinare? ...E che dunque qualsiasi concetto che si presenti come tale, deve essere considerato illusorio?
Io, invece seguo la logica opposta. Se osservo:
1 - che la scienza è una complementarità di opposti di grande valore epistemico tra metafisica e fisica (filosofia e mondo, logica/matematica e fenomeni fisici);
2 - che in psicologia Jung ha scritto venti volumi per mostrare gli innumerevoli aspetti nei quali le dinamiche dell'anima umana si configurano come complementarità di opposti;
3 - che in neurobiologia il problema mente-cervello risulta molto più coerente con l'osservazione se lo si concepisce come una complementarità di opposti;
4 - che la simbologia si fonda sul principio di analogia che è una conseguenza diretta del Principio di complementarità;
5 - che persino la virtù e la giurisprudenza son essenzialmente delle complementarità di qualità/entità opposte;
6 - che l'archetipo della complementarità è in assolto il più diffuso nella storia del pensiero umano (taoismo, alchimia, dialettica, mitologia, ritualità, ecc.);
7 - ....ecc., ecc... (ci sono molte altre osservazioni che supportano la fondatezza del Principio);
...allora l'ipotesi che la Complementarità sia un Principio universale non è più una possibilità astratta, ma un'ipotesi molto più ragionevole e più fondata della tua "regressione infinita" e dei tuoi "dubbi senza fine", i quali sono determinanti solo se applicati a elucubrazioni astratte, ma perdono ogni valore di fronte ad osservazioni di fatti oggettivi che supportano l'ipotesi.
APEIRON
2) se tale Principio è trascendente su di esso con la sola ragione possiamo dire niente di sicuro (su cosa si basterebbero i ragionamenti, su quali assiomi? ). Ergo, l'unico modo per conoscerlo veramente è "averne esperienza diretta".
CARLO
Dei principi della fisica, per esempio, non si ha esperienza diretta, poiché non sono fenomeni, ma trascendono i fenomeni. Tuttavia è possibile risalire ad essi attraverso l'osservazione comparata dei fenomeni e attraverso l'astrazione intellettuale. Ecco, per il Principio di complementarità vale lo stesso discorso.
Insomma, tu continui a scambiare un'ipotesi fondata sull'osservazione con una possibilità filosofica pura che, come tale, avrebbe lo stesso valore (fideistico) della sua negazione (la "regressione infinita").
APEIRON
3) le stesse "spiegazioni" del "perché esiste qualcosa?" che partono da un Principio non sono comunque, secondo me, totalmente convincenti.
CARLO
La spiegazione, per esempio, del principio di conservazione della materia-energia (proprio come quella del Principio di complementarità) non sono le stesse del "perché esiste qualcosa?", ma si fondano sull'osservazione delle innumerevoli modalità reali secondo cui l'energia si conserva trasformandosi.
APERON
Oppure usando Platone: cosa significa che gli universali "partecipano" nei particolari? Come avviene tale "partecipazione"? Onestamente, non mi sembrano così "convincenti" razionalmente. Secondo me si deve sempre ammettere un lato "incomprensibile" o "misterioso", qualsiasi filosofia scegli.
CARLO
Come avviene che il principio di conservazione della materia-energia partecipi ad ogni trasformazione energetica? Non lo sappiamo, ma ciò non toglie nulla alla sua esistenza e alla sua piena validità.
APERON
Dunque, Carlo, tu credi nel Principio di Complementarità perché lo consideri "ragionevole" (e quindi ammetti spazio anche alla "fede")? O ritieni che si possa dimostrare? Questa sicurezza si basa solo sui ragionamenti o si deve, necessariamente, basare, almeno in parte, su esperienze "straordinarie", sull'interpretazione di tali esperienze proprie o altrui ecc? Ritieni che la sola ragione è sufficiente?
CARLO
Ritengo che si possa dimostrare nello stesso modo (mutatis mutandis) in cui si dimostra la validità del principio di conservazione: mostrando la sua conformità con i fatti osservati, con l'esperienza. L'esperienza "straordinaria" che ho avuto è solo indicativa, non dimostrativa.
APEIRON
Su Anassimandro, avevo sentito l'interpretazione di Semeraro in terza superiore. Pur non essendo d'accordo ammetto che è interessante.
CARLO
Nemmeno io sono d'accordo con la sua sola interpretazione unilaterale apeiron=terra separata dall'interpretazione opposta complementare apeiron=infinito. Solo insieme esse esprimono la natura paradossale del Principio (specificando i diversi rispetti dell'una e dell'altra).
APEIRON
Ci sono anche altri problemi volendo. Le "applicazioni" della complementarità sono tante. Ma questo non significa che esse siano uguali o che una di esse non sia vera. Inoltre, la somiglianza nelle descrizioni non implica che siano veramente simili (pensa al sale e allo zucchero. Sono bianchi, hanno una forma simile ma se li assaggi sono dIversi ;D).
Quello che voglio dire, è che secondo me il tuo sistema è molto interessante. Non concordo però che sia così "evidente"... (e non ho capito se per te è dimostrabile con la sola ragione oppure con ragione ed analisi dell'esperienza "ordinaria").
CARLO
Se avessi letto tutti i miei interventi, avresti capito che il Principio non si fonda né sull'esperienza "straordinaria" personale, nella sulla ragione pura, ma sulla ragione applicata all'osservazione dei fatti.
Citazione di: Apeiron il 20 Ottobre 2018, 12:46:21 PM
Ciao Ipazia,
anche se così fosse resterebbero i problemi di cui sopra (vedi la risposta a Viator). Anzi, sarebbe anche "peggio"! In fin dei conti, se anche la matematica fosse stata "ideata" per tali motivi pratici, ciò non toglie che rimane da spiegare perché una "mera convenzione umana" fa eccellenti predizioni sulla "realtà materiale", la quale, si suppone, essere indipendente dalle nostre menti (o da eventuali altre menti - sto, infatti, supponendo qui ai fini della discussione che il materialismo sia vero e che, di conseguenza, le nostre menti e quindi anche le loro convenzioni siano dipendenti dalla materia, la quale è, invece, indipendente da esse. Il materialismo (quello "solito", per lo meno), inoltre, esclude a priori la possibilità che per esempio le "verità matematiche" o "le leggi della fisica" siano "realtà"...). Dunque, anche se Pitagora e Platone fossero in errore nel dire qual è stata l'origine della matematica, rimane da spiegare perché, in fin dei conti funziona così bene tanto che in realtà non solo gli strumenti matematici sono utilissimi a fare predizioni accurate ma anche che concetti matematici astratti, come i numeri complessi, alla fine diventano essenziali alle teorie della fisica. Secondo me, Anassimandro avrebbe avuto dubbi.
Guarda che i conti tornavano anche quando si contava in stadi e stai. Alla fine si è imposto il sistema decimale per la sua praticità. Se la matematica era così "trascendentale" il sistema decimale si sarebbe imposto subito e non avremmo dovuto aspettare gli arabi che ci trasmisero lo zero prendendolo dagli indiani. Il che è una bella sconfessione della concezione pitagorico-platonica della matematica: guardando le stelle metafisiche sono caduti nella buca dello zero. Che alcuni calcoli fisici si servano dei numeri complessi non significa nulla più del fatto che una funzione che pareva avere solo un significato matematico alla fine è tornata utile anche in calcoli di fisica. Oggi è una guerra per matematizzare la teoria del Tutto: stringhe e matematiche non euclidee a gogò. Peccato che dietro non ci stia alcuna matematica
trascendente che riveli la
verità, detta anche
noumeno, ai nostri poveri fisici. ;D
Citazione di: Apeiron il 20 Ottobre 2018, 12:46:21 PM
Per quanto riguarda Rovelli, so che apprezza molto il filosofo greco. E lo prende come esempio di pensatore originale. Se fosse stato solo un "uomo pratico" probabilmente non si sarebbe mai messo a speculare sull'origine delle cose, sul fatto che la Terra sia "sospesa nel vuoto", che "l'alto e il basso" sono concetti relativi spiegando perché erano relativi (= "relativi" nel senso che sono validi in determinate situazioni...) ecc. Questo tipo di speculazioni, per un greco antico che non aveva alcuna possibilità di verificarle empiricamente erano, appunto, speculazioni teoriche basate sull'assunto che la nostra ragione poteva riuscire, anche senza conoscenza empirica diretta, a comprendere le cose. Assunzione che, in realtà, la dice lunga sul filosofo (perché mai la "realtà materiale" dovrebbe essere comprensibile con ragionamenti umani?). Inoltre, lo stesso Rovelli apprezza molto la filosofia e ritiene che i filosofi possano aiutare la scienza.
La cosmogonia è
il problema della scienza, la sua archè. L'alternativa sono i numi, che nessun "scienziato", neppure all'epoca di Anassimandro, poteva accettare. Oggi abbiamo il big-bang. La grandezza di Anassimandro, al pari dell'atomismo di Democrito, è di essersi sganciato dal
paradigma dell'epoca: acqua-aria-terra-fuoco.
Citazione di: Apeiron il 20 Ottobre 2018, 12:46:21 PM
Il punto, Ipazia, è che secondo me il materialismo usa la scienza come "prova" della sua validità ma non dà alcun argomento convincente sul perché la scienza, che è nata dal ragionamento (non solo "matematico") possa essere così efficace. Un teista o un deista, per esempio, direbbe semplicemente che la materia è stata "creata ed ordinata" da Dio. Un platonico direbbe che le regolarità che osserviamo "rimandano" alle Forme/Idee. Il materialismo, invece, pur non potendo usare la scienza per rifiutare spiegazioni "non materialistiche" delle regolarità materiali non ne fornisce alcuna e, inoltre, spesso si basa sull'idea che la scienza elimina ogni altra prospettiva (ben diverso, sarebbe, una sorta di agnosticismo o scetticismo. In questo caso, si direbbe che è una questione irrisolvibile. Ma lo scetticismo non è materialismo. Il materialismo è una ben precisa tesi).
Dice niente che oltre il 90% degli scienziati sia ateo ? Che, al di fuori dei sofismi, si sposa perfettamente col materialismo.
cit,Ipazia:
Dice niente che oltre il 90% degli scienziati sia ateo ? Che, al di fuori dei sofismi, si sposa perfettamente col materialismo.
Non è esattamente così.
Una ricerca sociologica della Rice University, condotta da Elaine Howard Ecklund, che ha studiato e analizzato la posizione religiosa di migliaia di scienziati dimostrerebbe che nella loro vita è assolutamente compatibile la presenza della fede religiosa e dell'indagine scientifica.
Nel 2015 è stata presentata l'ultima indagine di questo filone: concentrandosi esclusivamente su fisici e biologi, è stato loro inviato un sondaggio al quale hanno risposto in 10.000 circa (su 609 dei quali sono state svolte approfondite interviste qualitative). Sono stati intervistati solamente scienziati di Hong Kong, India, Italia, Taiwan, Turchia, Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Il dato interessante è che, tranne in Francia e Regno Unito, in tutti gli altri Paesi analizzati gli scienziati che credono in Dio sono più numerosi di quelli che si definiscono atei o agnostici. In Italia, ad esempio, quasi il 60% dei fisici e biologi crede in Dio mentre soltanto il 20% è ateo e il 23% agnostico. Più numerosi gli scienziati credenti, seppur di poco, anche negli Stati Uniti: il 36% afferma di credere in Dio contro il 35% degli atei e il 29% degli agnostici.
Nel Regno Unito e in Francia sono invece maggiori gli scienziati che non credono in Dio, mentre dati completamente opposti si trovano in Turchia (85% degli scienziati è credente contro il 6% di atei e il 9% di agnostici), in India(79% contro 11% di atei e agnostici), a Taiwan (74% contro 14% e 15%) e Hong Kong (54% contro 26% e 20%). Sbaglierebbe chi volesse trascurare i dati emersi nei Paesi non occidentali, infatti la Cina è il secondo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, nella classifica delle nazioni con la miglior qualità di ricerca scientifica. L'India è 13esima, dietro l'Italia (8°) ma davanti a Paesi come Olanda, Russia, Belgio e Finlandia.
Da questo studio gli scienziati intervistati tendono ad avere una percentuale di affiliazione religiosa inferiore rispetto al totale della popolazione. Se gli italiani affiliati religiosamente sono infatti l'88%, gli scienziati che professano una religione sono il 63%. Non essere affiliati religiosamente, ovviamente, non equivale a non credere in Dio. «Nella maggior parte delle regioni», hanno spiegato i ricercatori, «gli scienziati risultano essere più laici rispetto alla popolazione generale. Tuttavia gli scienziati non credono che la scienza abbia un influsso secolarizzante; invece, la maggior parte pensa che religione e scienza operino in sfere separate. La nostra ricerca rivela che, anche nel più laico dei contesti, scienza e religione in genere non sembrano essere in conflitto nella vita dei singoli scienziati».
In un'indagine del 2014, sempre della Rice University, è stato rilevato che negli Stati Uniti, su 10.000 scienziati americani li 18% frequenta servizi religiosi settimanalmente, rispetto al 20% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 15% si considera molto religioso, contro il 19% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 13,5% legge settimanalmente testi religiosi, contro il 17% della popolazione degli Stati Uniti e il 19% degli scienziati prega più volte al giorno, contro il 26% della popolazione degli Stati Uniti. Dunque le percentuali di credenti e del loro impegno religioso sono piuttosto simili tra gli scienziati americani e la popolazione generale.
Gianpaolo Bellini, ordinario di Fisica Nucleare e Subnucleare presso l'Università degli Studi di Milano, dice: «Sono un fisico delle particelle elementari e credo che una logica così enormemente estesa non possa essere casuale. Dietro alla forma e all'ordine dell'universo c'è, secondo me, un input. Se alcuni dati della natura fossero stati anche solo minimamente diversi da quel che sono, la vita sulla Terra non sarebbe stata possibile». Gli ha fatto eco il noto fisico Lucio Rossi, cattolico praticante e tra i responsabili del CERN di Ginevra: «Mi sono convinto che l'ipotesi che tutto sia nato per caso è molto più difficile da accettare che non l'esistenza di Dio. Al Cern siamo in molti credenti, e non solo cristiani».
Fonte: 'Repubblica'
Gli scienziati dell'Indian Institute of Science di Bangalore ogni mattina si recano al tempio a pregare, a tracciarsi il segno della casta alla quale appartengono sulla fronte e dopo vanno all'università a scrivere saggi e trattati sulla teoria dei quanti.
Senza frontiere-Suketu Mehta- 2010
Salve Apeiron.
Citazione........ammettendo di ragionevolmente accettare l'esistenza di queste regolarità - è piuttosto strano che se la matematica nasce da una semplice convenzione umana riusciamo a descrivere così bene l'evoluzione dei fenomeni. Quindi, la domanda rimane: qual è la ragione (=l'ipotesi più ragionevole) con cui possiamo spiegare la "irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali" (cito Wigner)?
CitazioneQuando stabiliamo che 12+7=19 noi stiamo ragionando di cause ed effetti. Attribuendo un valore alla prima parte dell'eguaglianza lo definiamo come causa. Quale è l'effetto di tale causa (che potremmo anche chiamare situazione) ? Poiché intendiamo usare un linguaggio convenzionale ed omogeneo, stabiliremo che l'effetto verrà a chiamarsi 19. D'ora in avanti 12+7 farà sempre 19 per chiunque poiché abbiamo anche fissato un insieme di regole (l'aritmetica) che, da noi memorizzate, ci diranno ogni volta quale effetto verrà prodotto dall'accostamento di certi simboli (1-9...lo 0 poi con un suo ruolo ausiliario e particolare !). Ecco fatto ! Ora ci basterà quantificare il quantificabile e tutti gli effetti risulteranno prevedibili sulla base delle loro cause "matematiche".
Perciò l'immenso pregio ed in insieme l'inesorabile limite della matematica e della scienza che la utilizzi è il suo potersi riferire all'enumerabile-quantificabile.
Fuori di questo (che rappresenta la CERTEZZA CONVENZIONALE) la scienza può solo fornire probabilità non importa quanto affidabili, alle quali noi possiamo - e spesso decidiamo - di affidarci.
L'alba di domani rappresenta una certezza convenzionale comodissima, di significato positivo e perdipiù finora mai smentita : perché mai non dovremmo basarci su di essa nel regolare le nostre vite ?.
Citazione.........innovazioni" matematiche che sembrano non avere alcuna utilità pratica, vengono poi usate nella fisica (e nella scienza in generale). Un esempio sono i numeri complessi. Furono introdotti senza alcuno scopo pratico (se non quello di "scoprire la matematica" che, secondo me, non è uno scopo pratico). Adesso sono usati in continuazione. E la meccanica quantistica non funziona senza i numeri complessi. Ed è la teoria che ci fornisce, per ora, i risultati migliori. Dunque: perché strumenti matematici ideati senza alcuna ragione pratica finiscono addirittura per essere importantissimi nella fisica?
Ho il sospetto che, essendo la matematica non una scienza bensì in linguaggio utilizzabile sia dalla comunicazione che dalla scienza, la matematica quantistica finisca solo per essere un sottolinguaggio (dialetto ?) o gergo creato ad uso della fisica delle particelle.
Essa credo sia stata creata per superare i limiti posti dal principio di indeterminazione.
Tale principio afferma implicitamente, tra le numerose sue conseguenze, che -pur essendo tutto in sé numerabile- non tutto potrà da noi venir quantificato.
La matematica quantistica tutto sommato è quindi una specie di convenzione al quadrato.
@ sariputra
In effetti l'ho buttata un po' lì, memore di antiche statistiche di epoca sovietica, maoista e russelliana. Il fenomeno religioso è assai ondivago e la comunità scientifica non è un'isola separata. Dal crollo del muro molte cose sono cambiate. Ma continuo a ritenere, e qualche punto statistico sulla popolazione in generale me lo conferma, che la conoscenza specialistica della natura escluda dio dal proprio orizzonte, se non come sapere a parte. Che è già un bel salto rispetto alla religione coatta di infausta memoria in occidente e tuttora presente nel mondo islamico.
Citazione di: Sariputra il 20 Ottobre 2018, 21:41:20 PM
Gianpaolo Bellini, ordinario di Fisica Nucleare e Subnucleare presso l'Università degli Studi di Milano, dice: «Sono un fisico delle particelle elementari e credo che una logica così enormemente estesa non possa essere casuale. Dietro alla forma e all'ordine dell'universo c'è, secondo me, un input. Se alcuni dati della natura fossero stati anche solo minimamente diversi da quel che sono, la vita sulla Terra non sarebbe stata possibile». Gli ha fatto eco il noto fisico Lucio Rossi, cattolico praticante e tra i responsabili del CERN di Ginevra: «Mi sono convinto che l'ipotesi che tutto sia nato per caso è molto più difficile da accettare che non l'esistenza di Dio. Al Cern siamo in molti credenti, e non solo cristiani».
Fonte: 'Repubblica'
Che gli scienziati siano in prevalenza credenti, da quanto ho letto di scritto da alcuni di loro a scopo divulgativo, non mi stupisce affatto (anche perché ne ho dedotto che per lo più sono pessimi filosofi, generalmente peggiori che la popolazione in generale).
E un' "ottimo esempio" di "pessima filosofia degli scienziati" mi sembra la considerazione qui riportata secondo cui <<
che una logica così enormemente estesa non possa essere casuale. Dietro alla forma e all' ordine dell'universo c'è, secondo me, un input. Se alcuni dati della natura fossero stati anche solo minimamente diversi da quel che sono, la vita sulla Terra non sarebbe stata possibile">>.A parte il fatto che non ha proprio senso parlare di "dati della natura (...) anche solo minimamente diversi da quel che sono" per il semplice fatto che le grandezze sono inevitabilmente relative (per piccole che fossero queste ipotetiche differenze se ne potrebbero sempre pensare di 100 o 1000 o 10000, ecc. più piccole rispetto alle quali sarebbero grandissime e per grandi che fossero se ne potrebbero sempre trovare di 100 o 1000 o 10000, ecc. più grandi rispetto alle quali sarebbero piccolissime), é perfettamente ovvio e banalissimo che, dal momento che c' é la vita, tutti i dati della natura devono essere per forza tali da essere compatibili con l' esistenza della vita: una pacchiana "scoperta dell' acqua calda filosofica".
@Sgiombo e Ipazia
Penso che si manifesti evidente una delle caratteristiche tipiche della nostra epoca: l'iperspecializzazione. Ognuno nel proprio ambito e probabilmente senza neanche informarsi ed approfondire più di tanto problematiche non rientranti nel proprio ambito d'interesse ( a parte ovviamente le notevoli eccezioni, ma che restano per l'appunto 'eccezioni').
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2018, 22:14:22 PM
Ma continuo a ritenere, e qualche punto statistico sulla popolazione in generale me lo conferma, che la conoscenza specialistica della natura escluda dio dal proprio orizzonte, se non come sapere a parte. Che è già un bel salto rispetto alla religione coatta di infausta memoria in occidente e tuttora presente nel mondo islamico.
Non ho fatto calcoli, ma "a occhio e croce" le differenze citate da Sari non sono statisticamente significative.
Noto che la "religione coatta di infausta memoria in occidente" é tuttora presente nel mondo islamico per il semplice fatto che l' occidente cristiano e/o ateo (tale sia pur "non per costrizione") ha imposto con la forza (imposizioni "coatte"), ignorando completamente le più elementari convenzioni internazionali sulla guerra, con metodi decisamente terroristicisssimi, al mondo islamico stesso governi - fantoccio suoi propri (dell' occidente cristiano - ateo) che ne hanno imposto e impongono la presenza, eliminando barbaramente governi laicissimi come quello libico e ancor più quello iraqeno (e avrebbe fatto lo stesso con quello siriano, se non fosse stato per il meritorio intervento della Russia di Putin).
D'accordo Sgiombo. Ma pensa quanto taroccate dovevano essere pure le statistiche quando sventolava il tuo vessillo per gli scienziati di là del muro e del Tibet. Credo c'entri poco la filosofia scadente degli scienziati sulle questioni religiose, ma, materialisticamente, l'imprinting sociale assai di più. Per tutta la popolazione, decisamente poco propensa a fare laicamente (e filosoficamente) i conti con l'Amorosa. Non è che anche la filosofia ha le sue responsabilità in ciò ?
Citazione di: Apeiron il 20 Ottobre 2018, 17:06:20 PM
- La straordinaria precisione della matematica - aldilà dei vari scetticismi filosofici che ci fanno capire la limitatezza della nostra ragione - ci induce a fare la ragionevolissima ipotesi che riusciamo a conoscere molto bene la realtà materiale. Ora, se ci sono regolarità e la matematica le "approssima" così bene, questo significa che, secondo me, in un certo senso la matematica si scopre. Magari non nel modo ipotizzato da Platone, ma, ad ogni modo, significa che sia il nostro ragionamento che la realtà materiale hanno regolarità affini, altrimenti non potremmo capirle.
CitazioneSi scoprono non la matematica pura ma le applicazioni della matematica alla fisica.
Possiamo ragionare "conformemente" alla realtà materiale e se la conosciamo veracemente, allora nelle nostre conoscenze (le nostre descrizioni) di essa devono per forza esserci "regolarità affini "al suo modo di divenire
Per fare un esempio l'antinomia della causalità temporale (che è una sottospecie di "causalità"):
- Se si ha un inizio nella catena causale temporale, tale inizio richiede un salto logico (ad es: una causa non causata (Causa Prima)...).
- Se non c'è un inizio, allora si deve accettare che la catena causale non ha un inizio nel tempo. Ma se non vi è stato inizio, deve essere passata un'infinità di tempo prima di arrivare ad oggi.
Come vedi, la logica qui arriva all'antinomia. E la scelta si fa per "fede", o magari perché una delle ipotesi risulta più "ragionevole" :)
CitazioneMa mentre se si ipotizza una causa prima incausata si contravviene alla (si contraddice la) universale concatenazione causale, invece se si ipotizza che non c'è un inizio, e dunque si deve accettare che la catena causale non ha un inizio nel tempo. Ma se non vi è stato inizio, deve essere passata un'infinità di tempo prima di arrivare ad oggi" non vedo alcunché di problematico. Vuol dire semplicemente che allontanandoci dal presente nel passato la concatenazione causale non ha fine (e non che non potrebbe essere giunta al presente per il fatto di essere infinita, che sarebbe un preteso paradosso simile a quelli di Zenone sul movimento).
Salve. Per Sariputra : Citandoti :
"Gianpaolo Bellini, ordinario di Fisica Nucleare e Subnucleare presso l'Università degli Studi di Milano, dice: «Sono un fisico delle particelle elementari e credo che una logica così enormemente estesa non possa essere casuale. Dietro alla forma e all'ordine dell'universo c'è, secondo me, un input. Se alcuni dati della natura fossero stati anche solo minimamente diversi da quel che sono, la vita sulla Terra non sarebbe stata possibile». Gli ha fatto eco il noto fisico Lucio Rossi, cattolico praticante e tra i responsabili del CERN di Ginevra: «Mi sono convinto che l'ipotesi che tutto sia nato per caso è molto più difficile da accettare che non l'esistenza di Dio. Al Cern siamo in molti credenti, e non solo cristiani».
Fonte: 'Repubblica'
Gli scienziati dell'Indian Institute of Science di Bangalore ogni mattina si recano al tempio a pregare, a tracciarsi il segno della casta alla quale appartengono sulla fronte e dopo vanno all'università a scrivere saggi e trattati sulla teoria dei quanti."
Certo che gli scienziati sono prima di tutto delle persone, quindi del tutto imperfetti in coerenza.
Il Bellini afferma "Se alcuni dati della natura fossero stati anche solo minimamente diversi da quel che sono, la vita sulla Terra non sarebbe stata possibile", classica osservazione di che crede di essere stato illuminato da una sconvolgente evidenza : "Se il mondo fosse risultato anche un poco diverso da come è, sicuramente non sarebbe diventato come è (cioè con dentro la vita)". Si chiama inconsapevole capovolgimento dei rapporti di causa/effetto, è una sindrome che può colpire anche i geni plurilaureati.
Poi : "Al CERN siamo in molti credenti, e non solo cristiani". Questa invece è surreale: viene precisato che gli scienziati, oltre a poter credere alla scienza ed alla religione cristiana, possono credere anche in altro !.
La più ghiotta però è quella dell'IIS di Bangalore, con quelli che prima si fanno il segno della casta, poi entrano a spiegare magari le teorie darwiniane (sull'evoluzione delle caste ?).
Caro Sari, non so se tu sia abbonato a Repubblica. In caso positivo, mi sentirei di consigliarti di disdire al più presto !. Cari saluti.
Salve Ipazia. Scusa, ma non ho capito il tuo riferimento all'Amorosa : chi sarebbe costei ?. So però chi sei tu : un tipo impagabile ! Salutoni.
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2018, 22:47:34 PM
D'accordo Sgiombo. Ma pensa quanto taroccate dovevano essere pure le statistiche quando sventolava il tuo vessillo per gli scienziati di là del muro e del Tibet. Credo c'entri poco la filosofia scadente degli scienziati sulle questioni religiose, ma, materialisticamente, l'imprinting sociale assai di più. Per tutta la popolazione, decisamente poco propensa a fare laicamente (e filosoficamente) i conti con l'Amorosa. Non è che anche la filosofia ha le sue responsabilità in ciò ?
Trovo questo linguaggio molto criptico, non lo comprendo.
Statistiche più o meno taroccate le hanno sempre fatte un po' tutti i governi, un po' da tutte le parti di tutti i muri (quale più, quale meno; e personalmente non sarei così convinto che i peggiori i questo senso fossero quelli che "sventolavano la mia bandiera": pensa a quelle sulla presunta "occupazione/disoccupazione" in tutti i paesi capitalistici, almeno negli ultimi anni); ma questo non é un buon motivo per ricavare deduzioni perentorie (nemmeno che
la conoscenza specialistica della natura tenda ad escludere dio dal proprio orizzonte, se non come sapere a parte ma addirittura che
la conoscenza specialistica della natura escluda tout court dio dal proprio orizzonte, se non come sapere a parte) da differenze non statisticamente significative nei sondaggi sulle convinzioni religiose o meno degli scienziati.Per me, da marxista, la filosofia scadente prevalente fra gli scienziati oggi é in ultima analisi, attraverso molteplici, complesse mediazioni, conseguenza della dialettica sviluppo delle forze produttive - rapporti di produzione (penso che intenda questi per "imprinting sociale").Non comprendendo che cosa possa essere "l' amorosa" (nel mio dialetto la "morosa" é la fidanzata, o l' amante, o la "compagna di vita"), non posso valutare eventuali "responsabilità della filosofia"; che peraltro trovo concetto assai problematico dal momento che non esiste una monolitica filosofia, ma tante filosofie più o meno buone (ovvero, secondo me, più o meno conseguentemente razionalistiche).P.S.: Se mi rispondi dovrai pazientare per una mia ulteriore replica perché adesso vado a dormire per potermi alzare non troppo tardi domani e farmi un bel giro in bici: "ritardo giustificato", credo, da parte tua).
Citazione di: viator il 20 Ottobre 2018, 23:03:52 PM
Poi : "Al CERN siamo in molti credenti, e non solo cristiani". Questa invece è surreale: viene precisato che gli scienziati, oltre a poter credere alla scienza ed alla religione cristiana, possono credere anche in altro !.
CitazioneQuesta non l' ho proprio capita: secondo te si può credere solo alla scienza (= immagino, essere scientisti, positivisti più o meno "vetero": non ci siamo solo noi comunisti di "vetero"!) o alla religione cristiana? (Forse c' é dell' ironia che non colgo).
La più ghiotta però è quella dell'IIS di Bangalore, con quelli che prima si fanno il segno della casta, poi entrano a spiegare magari le teorie darwiniane (sull'evoluzione delle caste ?).
CitazioneNon ci sarebbe niente di strano: tantissime ideologie reazionarie pretendono di fondarsi (pseudo-) scientificamente sul darwinismo.
Caro Sari, non so se tu sia abbonato a Repubblica. In caso positivo, mi sentirei di consigliarti di disdire al più presto !. Cari saluti.
CitazioneQuesto consiglio lo condivido (magari i 5S togliessero davvero le sovvenzioni statali pagate con i nostri soldi ci contribuenti che tengono in vita tutti i giornali! Che tuonano contro quei "parassiti dei forestali della Calabria": quando si dice la pagliuzza nel' occhio altrui stigmatizzata da chi ha nel proprio occhio al trave...)
Caro Sari, non so se tu sia abbonato a Repubblica. In caso positivo, mi sentirei di consigliarti di disdire al più presto !. Cari saluti.
Non sono abbonato a Repubblica. Questo giornale però ha solo riportato uno studio compiuto dalla Rice University nel 2015. Anche altri giornali hanno riportato la stessa fonte.
La cit. degli scienziati dell'Indian Ist.Science of Bangalore è di un servizio apparso sull' Espresso nel 2010 a firma Suketu Mehta dal titolo "Indù si nasce" (molto interessante proprio perché scritto da un indiano e non dal solito studioso occidentale che travisa ,purtroppo, molte volte...).
IPAZIA
Guarda che i conti tornavano anche quando si contava in stadi e stai. Alla fine si è imposto il sistema decimale per la sua praticità. Se la matematica era così "trascendentale" il sistema decimale si sarebbe imposto subito e non avremmo dovuto aspettare gli arabi che ci trasmisero lo zero prendendolo dagli indiani. Il che è una bella sconfessione della concezione pitagorico-platonica della matematica: guardando le stelle metafisiche sono caduti nella buca dello zero. Che alcuni calcoli fisici si servano dei numeri complessi non significa nulla più del fatto che una funzione che pareva avere solo un significato matematico alla fine è tornata utile anche in calcoli di fisica. Oggi è una guerra per matematizzare la teoria del Tutto: stringhe e matematiche non euclidee a gogò. Peccato che dietro non ci stia alcuna matematica trascendente che riveli la verità, detta anche noumeno, ai nostri poveri fisici. (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)
CARLO
La verità non è il noumeno, ma è la complementarità rigorosa tra l'ordine delle idee (il noumeno) e l'ordine degli eventi a cui esse si riferiscono.
Per esempio, i numeri (che appartengono al noumeno) non esprimono alcuna verità se non sono riferiti a eventi reali dell'esperienza. Per il linguaggio può dirsi la stessa cosa.
Citazione di: Apeiron il 20 Ottobre 2018, 12:46:21 PM
Il punto, Ipazia, è che secondo me il materialismo usa la scienza come "prova" della sua validità ma non dà alcun argomento convincente sul perché la scienza, che è nata dal ragionamento (non solo "matematico") possa essere così efficace. Un teista o un deista, per esempio, direbbe semplicemente che la materia è stata "creata ed ordinata" da Dio. Un platonico direbbe che le regolarità che osserviamo "rimandano" alle Forme/Idee. Il materialismo, invece, pur non potendo usare la scienza per rifiutare spiegazioni "non materialistiche" delle regolarità materiali non ne fornisce alcuna e, inoltre, spesso si basa sull'idea che la scienza elimina ogni altra prospettiva (ben diverso, sarebbe, una sorta di agnosticismo o scetticismo. In questo caso, si direbbe che è una questione irrisolvibile. Ma lo scetticismo non è materialismo. Il materialismo è una ben precisa tesi).
Riparto da qui, dopo che sari mi ha arpionata al volo. Bene la sintesi, ma non la faciloneria.
Innanzitutto un teista non fornisce più prove di un materialista sulla sua fede. Dimostrazione è parola grossa e va meditata accuratamente. Ma il vantaggio del materialista sul credente è di non dover ricorrere ad una doppia verità, trovandosi per tutta la settimana a lavorare su una verità
possibile e variamente dimostrabile (bigbang, evoluzionismo, etologia) per prostrarsi la domenica di fronte ad una verità
impossibile narrata da un tizio che mi racconta di Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noe, ecc.
Io penso che al massimo uno scienziato, per non incorrere in questa debacle schizofrenica della "verità", che definirei come
collassamento della funzione cognitiva, dovrebbe fermarsi a Spinoza (deus sive natura) e prendere il largo da tutte le religioni rivelate che giustamente vedono il loro liquidatore Spinoza come il fumo negli occhi.
Semmai più coerente, per un teista, è ritenere la scienza una verità "apparente" da subordinare alla verità divina (e ai suoi rappresentanti in terra, ovviamente). Che è quello che Bellarmino contestava a Galileo. Ma è davvero deprimente per uno scienziato rassegnarsi a tale ruolo.
In ciò io vedo la convergenza tra ricerca scientifica e materialismo ateo, che non esclude una sua umanistica e umanissima trascendenza, nè un blando, ipotetico, spiritualismo di stampo spinoziano.
IPAZIA
Innanzitutto un teista non fornisce più prove di un materialista sulla sua fede. Dimostrazione è parola grossa e va meditata accuratamente. Ma il vantaggio del materialista sul credente è di non dover ricorrere ad una doppia verità, trovandosi per tutta la settimana a lavorare su una verità possibile e variamente dimostrabile (bigbang, evoluzionismo, etologia) per prostrarsi la domenica di fronte ad una verità impossibile narrata da un tizio che mi racconta di Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noe, ecc.
CARLO
Non c'è alcuna "doppia verità" se consideriamo <<Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noè>> per ciò che mostrano di essere: dei miti ispirati, archetipici. E ancor più se consideriamo <<bigbang, evoluzionismo, etologia>> per ciò che realmente sono: delle ipotesi infalsificabili, cioè non-scientifiche, dei miti non ispirati, non archetipici.
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2018, 09:55:21 AM
il vantaggio del materialista sul credente è di non dover ricorrere ad una doppia verità, trovandosi per tutta la settimana a lavorare su una verità possibile e variamente dimostrabile (bigbang, evoluzionismo, etologia) per prostrarsi la domenica di fronte ad una verità impossibile narrata da un tizio che mi racconta di Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noe, ecc.
Io penso che al massimo uno scienziato, per non incorrere in questa debacle schizofrenica della "verità", che definirei come collassamento della funzione cognitiva, dovrebbe fermarsi a Spinoza (deus sive natura) e prendere il largo da tutte le religioni rivelate che giustamente vedono il loro liquidatore Spinoza come il fumo negli occhi.
Semmai più coerente, per un teista, è ritenere la scienza una verità "apparente" da subordinare alla verità divina (e ai suoi rappresentanti in terra, ovviamente). Che è quello che Bellarmino contestava a Galileo. Ma è davvero deprimente per uno scienziato rassegnarsi a tale ruolo.
Parafrasando il citato Galileo, che osservava come la religione "insegni come si va in cielo, non come va il cielo", direi che "la scienza spiega come si muove la realtà, non come muoverci nella realtà", ovvero la religione può servire agli scienziati per muoversi nel mondo (eticamente, esistenzialmente, etc.) mentre loro studiano come si muove il mondo (fisica quantistica, evoluzionismo, etc.).
Si tratta dell'atavica distinzione fra intimo e pubblico, fra matematica e poesia, fra informatica e arte, fra "scrittura del giorno e scrittura della notte" (come suggerito da Bachelard, etc.).
Inevitabile che in alcuni punti i due paradigmi entrino in cortocircuito, tuttavia una settorializzazione degli ambiti può fornire sostegno in merito (banalizzando: per uno scienziato, la storia della costola di Adamo magari è scientificamente da scartare, ma l'invito ad amare il prossimo non è affatto in conflitto con la scienza, per cui può essere ben accolto... ciò produce una "religione fai da te"? Benvenuti nel terzo millennio...).
P.s.
Andrebbe poi distinto il credere in un dio (come concetto) dal professare una religione (magari "rivelata").
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Ottobre 2018, 13:07:20 PM
Non c'è alcuna "doppia verità" se consideriamo <<Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noè>> per ciò che mostrano di essere: dei miti ispirati, archetipici. E ancor più se consideriamo <<bigbang, evoluzionismo, etologia>> per ciò che realmente sono: delle ipotesi infalsificabili, cioè non-scientifiche, dei miti non ispirati, non archetipici.
Ma quali miti ispirati, archetipici ?! Per il prete sono ontologia e il credente è tenuto a crederci come verità di fede. Al contrario bigbang, evoluzione, etologia sono il prodotto del più potente mezzo d'indagine della natura inventato dall'uomo, da nessuno spacciati come verità di fede. Quindi sempre falsificabili se qualcuno ha da proporre ipotesi migliori. Ma non è certo Dio il falsificatore ! E neppure Gustav Jung.
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2018, 15:54:22 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Ottobre 2018, 13:07:20 PM
Non c'è alcuna "doppia verità" se consideriamo <<Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noè>> per ciò che mostrano di essere: dei miti ispirati, archetipici. E ancor più se consideriamo <<bigbang, evoluzionismo, etologia>> per ciò che realmente sono: delle ipotesi infalsificabili, cioè non-scientifiche, dei miti non ispirati, non archetipici.
IPAZIA
Ma quali miti ispirati, archetipici ?! Per il prete sono ontologia e il credente è tenuto a crederci come verità di fede.
CARLO
Lo so. ...Proprio come tu credi
per fede che bigbang, etologia ed evoluzionismo siano tesi fondate scientificamente.
IPAZIA
Al contrario bigbang, evoluzione, etologia sono il prodotto del più potente mezzo d'indagine della natura inventato dall'uomo, da nessuno spacciati come verità di fede. Quindi sempre falsificabili se qualcuno ha da proporre ipotesi migliori. Ma non è certo Dio il falsificatore ! E neppure Gustav Jung. CARLO
Appunto. Prova a fare mente locale sul significato di "falsificabilità" e prova a spiegarmi come queste tre tesi siano falsificabili. Nel frattempo leggiti questo mio thread dal titolo:
"Il casualismo darwiniano è un'ipotesi non-dimostrata, anzi, non-scientifica".https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-casualismo-darwiniano-e-un'ipotesi-*non-dimostrata*-anzi-*non-scientifica*/
Ciao @Carlo,beh credo che sia meglio, a questo punto accordarsi sul dissenso. Secondo me ci sono anche alcuni equivoci.
Detto ciò, la discussione mi è piaciuta ed è stata molto interessante. (Non prendertela per questa "interruzione improvvisa"! semplicemente adesso non mi prendo l'impegno di discutere in modo da trovare gli eventuali equivoci. Se come penso, ci sono equivoci, la nostra discussione è destinata ad andare all'infinito se questi non vengono "svelati"...) :)
Ciao @Viator,Citazione
Quando stabiliamo che 12+7=19 noi stiamo ragionando di cause ed effetti. Attribuendo un valore alla prima parte dell'eguaglianza lo definiamo come causa. Quale è l'effetto di tale causa (che potremmo anche chiamare situazione) ? Poiché intendiamo usare un linguaggio convenzionale ed omogeneo, stabiliremo che l'effetto verrà a chiamarsi 19. D'ora in avanti 12+7 farà sempre 19 per chiunque poiché abbiamo anche fissato un insieme di regole (l'aritmetica) che, da noi memorizzate, ci diranno ogni volta quale effetto verrà prodotto dall'accostamento di certi simboli (1-9...lo 0 poi con un suo ruolo ausiliario e particolare !). Ecco fatto ! Ora ci basterà quantificare il quantificabile e tutti gli effetti risulteranno prevedibili sulla base delle loro cause "matematiche".
Perciò l'immenso pregio ed in insieme l'inesorabile limite della matematica e della scienza che la utilizzi è il suo potersi riferire all'enumerabile-quantificabile.
Fuori di questo (che rappresenta la CERTEZZA CONVENZIONALE) la scienza può solo fornire probabilità non importa quanto affidabili, alle quali noi possiamo - e spesso decidiamo - di affidarci.
L'alba di domani rappresenta una certezza convenzionale comodissima, di significato positivo e perdipiù finora mai smentita : perché mai non dovremmo basarci su di essa nel regolare le nostre vite ?.
Onestamente, non riesco a capire il nesso con quanto stavo dicendo io :)
Il punto è...
se, come sostieni, la matematica è puramente convenzionale (come dicono rispettabilissimi scienziati, filosofi ecc) perché funziona
così bene? (secondo me c'è un equivoco di fondo. - leggi anche la prima parte della risposta ad Ipazia, qui sotto)
Citazione
Citazione
CitazioneHo il sospetto che, essendo la matematica non una scienza bensì in linguaggio utilizzabile sia dalla comunicazione che dalla scienza, la matematica quantistica finisca solo per essere un sottolinguaggio (dialetto ?) o gergo creato ad uso della fisica delle particelle.
Essa credo sia stata creata per superare i limiti posti dal principio di indeterminazione.
Tale principio afferma implicitamente, tra le numerose sue conseguenze, che -pur essendo tutto in sé numerabile- non tutto potrà da noi venir quantificato.
La matematica quantistica tutto sommato è quindi una specie di convenzione al quadrato.
Nuovamente, vale quanto detto sopra. in pratica, nel tuo intervento non riesco a capire dove trovo la risposta alla domanda "perché la matematica funziona così bene?".
Ciao @Ipazia,anzitutto mi scuso se il mio linguaggio è stato troppo polemico. Effettivamente, sono stato un po' "superficiale" e un po' incoerente.
CitazioneGuarda che i conti tornavano anche quando si contava in stadi e stai. Alla fine si è imposto il sistema decimale per la sua praticità. Se la matematica era così "trascendentale" il sistema decimale si sarebbe imposto subito e non avremmo dovuto aspettare gli arabi che ci trasmisero lo zero prendendolo dagli indiani. Il che è una bella sconfessione della concezione pitagorico-platonica della matematica: guardando le stelle metafisiche sono caduti nella buca dello zero. Che alcuni calcoli fisici si servano dei numeri complessi non significa nulla più del fatto che una funzione che pareva avere solo un significato matematico alla fine è tornata utile anche in calcoli di fisica. Oggi è una guerra per matematizzare la teoria del Tutto: stringhe e matematiche non euclidee a gogò. Peccato che dietro non ci stia alcuna matematica trascendente che riveli la verità, detta anche noumeno, ai nostri poveri fisici. (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)
Dunque, vorrei fare un paio di distinzioni. Primo, un conto è la
forma della matematica e un altro paio di maniche è il "contenuto", per così dire. Il sistema decimale si è imposto per la sua praticità, così come oggi c'è quello binario nell'informatica. Ciò non toglie che siano equivalenti nel loro "contenuto". Detto ciò, puoi costruire una relazione tra i due sistemi. Secondo: se la matematica si riducesse ad una sorta di linguaggio, allora sarebbe veramente convenzionale. Ma, proprio per quanto appena detto sembra che essa possa essere "scritta" in linguaggi diversi.
Supponiamo ora che un popolo alieno faccia la "sua" matematica. Ritengo che, se, al di là della notazione ecc, si riesce a stabilire una relazione precisa tra le due "matematiche" (ovvero a "tradurre" un linguaggio nell'altro, di fatto), a questo punto dobbiamo sostenere che c'è
una matematica e non due.
CitazioneLa cosmogonia è il problema della scienza, la sua archè. L'alternativa sono i numi, che nessun "scienziato", neppure all'epoca di Anassimandro, poteva accettare. Oggi abbiamo il big-bang. La grandezza di Anassimandro, al pari dell'atomismo di Democrito, è di essersi sganciato dal paradigma dell'epoca: acqua-aria-terra-fuoco.
Perdona la mia incomprensione. Ma con "numi" intendi "dei in generale"?
CitazioneDice niente che oltre il 90% degli scienziati sia ateo ? Che, al di fuori dei sofismi, si sposa perfettamente col materialismo
No. Non tutti gli atei sono materialisti. Il teismo è una ben precisa "classe" di filosofie, religioni, credenze ecc: coloro che credono in divinità personali che intervengono nella storia.
Già il "deismo", per esempio, è ben diverso. Dawkins ha perfino detto una volta che è ragionevole accettare: "
deistic god, a sort of god of the physicist, a god of somebody like Paul Davies, who devised the laws of physics, god the mathematician, god who put together the cosmos in the first place and then sat back ..." [un dio deista, un tipo di dio del fisico, un dio di qualcuno come Paul Davies, che ha stabilito le leggi della fisica, dio il matematico, dio che ha messo assieme il cosmo all'inizio e poi si è messo da parte...].
Schopenhauer era certamente ateo ma non materialista ecc ecc.
E non tutti i teisti credono nello stesso "teismo"...
Inoltre, la percentuale è errata. Come ha riportato il Sari...
CitazioneRiparto da qui, dopo che sari mi ha arpionata al volo. Bene la sintesi, ma non la faciloneria.
Innanzitutto un teista non fornisce più prove di un materialista sulla sua fede. Dimostrazione è parola grossa e va meditata accuratamente. Ma il vantaggio del materialista sul credente è di non dover ricorrere ad una doppia verità, trovandosi per tutta la settimana a lavorare su una verità possibile e variamente dimostrabile (bigbang, evoluzionismo, etologia) per prostrarsi la domenica di fronte ad una verità impossibile narrata da un tizio che mi racconta di Genesi, Adamo ed Eva, arca di Noe, ecc.
Io penso che al massimo uno scienziato, per non incorrere in questa debacle schizofrenica della "verità", che definirei come collassamento della funzione cognitiva, dovrebbe fermarsi a Spinoza (deus sive natura) e prendere il largo da tutte le religioni rivelate che giustamente vedono il loro liquidatore Spinoza come il fumo negli occhi.
Semmai più coerente, per un teista, è ritenere la scienza una verità "apparente" da subordinare alla verità divina (e ai suoi rappresentanti in terra, ovviamente). Che è quello che Bellarmino contestava a Galileo. Ma è davvero deprimente per uno scienziato rassegnarsi a tale ruolo.
In ciò io vedo la convergenza tra ricerca scientifica e materialismo ateo, che non esclude una sua umanistica e umanissima trascendenza, nè un blando, ipotetico, spiritualismo di stampo spinoziano.
Mi scuso per la superficialità criticata qui. Hai ragione, dovevo essere più completo. Ad ogni modo, dissento.
Un teista spesso non fornisce più prove di un ateo. E ci sono certi teisti che credono che il mondo sia stato creato letteralmente in sette giorni. Il problema è che, in realtà, fai di tutta l'erba un fascio, come si suol dire.
Primo: non tutti i teisti credono in una religione abramitica.
Secondo: non tutti coloro che credono nelle religioni abramitiche credono nell'interpretazione letterale dei testi. Non è l'unica interpretazione che si può dare ad essi. Non è l'interpretazione che viene data dalla Chiesa cattolica, per esempio (es: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19930415_interpretazione_it.html). Pertanto, criticare gli scienziati credenti così: "
trovandosi per tutta la settimana a lavorare su una verità possibile e variamente dimostrabile (bigbang, evoluzionismo, etologia) per prostrarsi la domenica di fronte ad una verità impossibile narrata da un tizio che mi racconta di Genesi...", significa creare un "argomento fantoccio" (
straw-man argument). Puoi sostenere tu che l'interpretazione letterale è l'unica possibile (e quindi incompatibile con la nostra conoscenza scientifica...) ma terrei presente che
non è l'unica interpretazione possibile (o che, comunque, è stata data ai testi religiosi). E non è una "novità", in realtà. Per esempio, pochi giorni fa leggevo l'articolo sulla "Internet Encyclopedia of Philosophy" (https://www.iep.utm.edu/gregoryn/#H3) su San Gregorio il Nisseno. C'è scritto: "
Gregory does not take literally the temporal sequence depicted therein; rather, he envisions creation as having taken place all at once"
Traduco: "Gregorio non intende letteralmente la sequenza temporale descritta lì [ovvero nel Capitolo 1 di Genesi n.d.t]; piuttosto, immagina che la creazione è avvenuta tutta in un istante.". Ergo, eviterei di criticare gli scienziati credenti per questo motivo. Puoi certamente dire che anche loro non possono provare le loro credenze. E qui concordo. Puoi dire che certi credenti semplicemente detestano la scienza e credono ancora che la Creazione è avvenuta letteralmente in 6 giorni. Ma prima di creare di tutta l'erba un fascio in questo modo farei attenzione. Così come non ha senso dire che per il teista l'unica strada è quella del cardinale Bellarmino quando molti credenti sono dalla parte di Galileo (che, tra l'altro era credente...).
Chiaramente, sono caduto nello stesso errore anche io, in un certo senso e mi scuso di ciò. Anche i materialisti possono vedere la propria metafisica come una "ipotesi di lavoro" e non esserne certi. Però, sto notando come molto spesso i materialisti semplicemente credono che la loro metafisica è l'unica compatibile con la scienza. Il che, onestamente, mi lascia perplesso.
Non ci può essere "trascendenza umanistica", secondo me, per il semplice fatto che "trascendenza" significa che si ammette l'esistenza di qualcosa "oltre" la realtà ordinaria. E ci sono un sacco di "trascendenze": piani di esistenza non accessibili alla nostra ordinaria esperienza , divinità trascendenti, "realtà" fuori dal spazio e dal tempo ecc (difficilmente tali "trascendenze" posso capirle in una filosofia materialistica...)
A meno che tu non intendi con "trascendenza umanistica" una apertura al "mistero", la contemplazione dell'ignoto. In questo caso, sono d'accordo che un materialismo può essere compatibile con quel tipo di "religiosità" (anche se è rara anche tra i materialisti, per quanto posso vedere io). Però, farei un attimo attenzione a richiamarmi a Spinoza, per il quale tutte le cose derivavano da un Principio Ontologico. E, inoltre, tra i vari attributi di tale Principio c'era anche "l'intelletto". Inoltre, era anche un panpsichista (credeva in una forma di "parallelismo psico-fisico" molto "forte", diciamo). Difficilmente posso capire come un materialista può accettare la metafisica di Spinoza. Tra l'altro, Einstein, un "fan" di Spinoza era molto aperto alla filosofia e, anzi, riteneva che scienza e filosofia dovrebbero collaborare.
Ciao
@sgiombo,CitazioneSi scoprono non la matematica pura ma le applicazioni della matematica alla fisica.
Possiamo ragionare "conformemente" alla realtà materiale e se la conosciamo veracemente, allora nelle nostre conoscenze (le nostre descrizioni) di essa devono per forza esserci "regolarità affini "al suo modo di divenire
Eppure le regolarità materiali e la matematica hanno una qualche analogia, altrimenti non funzionerebbe. Ergo, secondo me, la "matematica" è per così dire legata alle "regolarità" mentali e materiali. Ergo, potrà essere stata
in parte inventata ma fortemente dubito che è nata "dal nulla" per così dire. So che dissentirai...
Citazione
CitazioneMa mentre se si ipotizza una causa prima incausata si contravviene alla (si contraddice la) universale concatenazione causale, invece se si ipotizza che non c'è un inizio, e dunque si deve accettare che la catena causale non ha un inizio nel tempo. Ma se non vi è stato inizio, deve essere passata un'infinità di tempo prima di arrivare ad oggi" non vedo alcunché di problematico. Vuol dire semplicemente che allontanandoci dal presente nel passato la concatenazione causale non ha fine (e non che non potrebbe essere giunta al presente per il fatto di essere infinita, che sarebbe un preteso paradosso simile a quelli di Zenone sul movimento).
Ciononostante, mi sembra pur sempre un paradosso, no? e un po' diverso da quello di Zenone.
Basta considerare l'opposto... ha senso, secondo te, chiedersi cosa succederà fra
un'infinità di tempo? ::)
Curiosamente, quasi tutte le varietà delle religioni indiane che conosco, ritengono che il tempo non ha avuto inizio.
Resto dell'idea che sia una antinomia della ragione (e che non può essere risolta...).
Ma quindi, sgiombo, tu credi che non c'è stato un inizio? :) (te lo chiedo per semplice curiosità)
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Ottobre 2018, 17:11:41 PM
Appunto. Prova a fare mente locale sul significato di "falsificabilità" e prova a spiegarmi come queste tre tesi siano falsificabili. Nel frattempo leggiti questo mio thread dal titolo: "Il casualismo darwiniano è un'ipotesi non-dimostrata, anzi, non-scientifica".
Tutte le teorie scientifiche sono falsificabili, basta trovare una prova dimostrata sperimentalmente che spiega meglio i fenomeni naturali. Possono esserci anche i numi di mezzo, ma devono essere riscontri oggettivi, tipo che a Lourdes si guarisce di cancro più che con la chemioterapia.
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2018, 20:49:43 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Ottobre 2018, 17:11:41 PM
Appunto. Prova a fare mente locale sul significato di "falsificabilità" e prova a spiegarmi come queste tre tesi siano falsificabili. Nel frattempo leggiti questo mio thread dal titolo: "Il casualismo darwiniano è un'ipotesi non-dimostrata, anzi, non-scientifica".
IPAZIA
Tutte le teorie scientifiche sono falsificabili, basta trovare una prova dimostrata sperimentalmente che spiega meglio i fenomeni naturali. Possono esserci anche i numi di mezzo, ma devono essere riscontri oggettivi, tipo che a Lourdes si guarisce di cancro più che con la chemioterapia.CARLO
Non ci siamo. Non hai risposto alla mia obiezione.
Citazione di: Apeiron il 21 Ottobre 2018, 18:12:05 PM
Ciao @sgiombo,
CitazioneSi scoprono non la matematica pura ma le applicazioni della matematica alla fisica.
Possiamo ragionare "conformemente" alla realtà materiale e se la conosciamo veracemente, allora nelle nostre conoscenze (le nostre descrizioni) di essa devono per forza esserci "regolarità affini "al suo modo di divenire
Eppure le regolarità materiali e la matematica hanno una qualche analogia, altrimenti non funzionerebbe. Ergo, secondo me, la "matematica" è per così dire legata alle "regolarità" mentali e materiali. Ergo, potrà essere stata in parte inventata ma fortemente dubito che è nata "dal nulla" per così dire. So che dissentirai...
CitazionePiù che dissentire trovo oscure queste affermazioni.
Che vuol dire "una certa analogia"?
Per me la matematica pura nasce da astrazioni dalla realtà fisica che vengono formalizzate e sviluppate e integrate di e/o in definizioni, postulati e assiomi dai quali per deduzione logica si dimostrano teoremi; e inoltre può essere applicata al calcolo e alla conoscenza di aspetti della realtà fisica (ma non ad libitum, bensì solamente qualora si trovino empiricamente a posteriori determinati aspetti della realtà fisica cui siano applicabili).
Nient' altro che questo é il (per me assolutamente non problematico) "funzionamento" della matematica ai fini della conoscenza fisica.
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Citazione
CitazioneMa mentre se si ipotizza una causa prima incausata si contravviene alla (si contraddice la) universale concatenazione causale, invece se si ipotizza che non c'è un inizio, e dunque si deve accettare che la catena causale non ha un inizio nel tempo. Ma se non vi è stato inizio, deve essere passata un'infinità di tempo prima di arrivare ad oggi" non vedo alcunché di problematico. Vuol dire semplicemente che allontanandoci dal presente nel passato la concatenazione causale non ha fine (e non che non potrebbe essere giunta al presente per il fatto di essere infinita, che sarebbe un preteso paradosso simile a quelli di Zenone sul movimento).
Ciononostante, mi sembra pur sempre un paradosso, no? e un po' diverso da quello di Zenone.
CitazioneNon vedo proprio nulla di paradossale nel continuare senza fine a risalire di effetto in causa.
Basta considerare l'opposto... ha senso, secondo te, chiedersi cosa succederà fra un'infinità di tempo? ::)
CitazioneFra un infinità di tempo, ovvero sempre nel futuro, per quanto si consideri un futuro lontano ad libitum dal presente, (se é vera l' indimostrabile concatenazione causale degli eventi; tesi indimostrabile: Hume!) succederà qualche determinata concatenazione causale di eventi.
Questa mi sembra una affermazione assai sensata.
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Curiosamente, quasi tutte le varietà delle religioni indiane che conosco, ritengono che il tempo non ha avuto inizio.
Resto dell'idea che sia una antinomia della ragione (e che non può essere risolta...).
CitazioneUna (Kantiana! Proprio così: rilevata dal grande konigsberghese da te tanto vituperato e insultato!) antinomia della ragione non é la tesi molto ragionevole e per me non affatto curiosa che il tempo non abbia avuto inizio (ovvero sia infinito nel tempo; ed eventualmente nello spazio), bensì quella fra le tesi, entrambe indimostrabili-inconfutabili che l' universo sia finito nel tempo (e nello spazio) e quella che l' universo sia infinito (idem).
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Ma quindi, sgiombo, tu credi che non c'è stato un inizio? :) (te lo chiedo per semplice curiosità)
CitazionePropendo a crederlo; ma concordo con Kant che non sia dimostrabile, come non dimostrabile é parimenti la tesi opposta della finitezza dell' universo fisico.
La mia propensione a crederlo deriva dalla mia propensione al razionalismo: crederlo, unitamente al credere (come da parte mia) alla conoscenza scientifica implica un' unica credenza indimostrabile: "che la natura fisica - materiale diviene secondo modalità o leggi universali e costanti" (che in assenza di determinazioni di tempo e di spazio significa "per sempre ed ovunque"); invece la tesi opposta, unitamente al credere (come da parte mia) alla conoscenza scientifica implica almeno due credenze indimostrabili: "che dall' inizio (ed eventualmente fino alla fine) temporale (ed eventualmente anche spaziale) dell' universo la natura fisica - materiale diviene secondo modalità o leggi universali e costanti" -credenza 1- e inoltre "che oltre tale (o tali) limite (-i) temporospaziali la natura fisica - materiale non diveniva e non diverrà secondo modalità o leggi universali e costanti, ma invece nulla diveniva né diverrà in alcun modo" -credenza 2-.
Per il fondamentale criterio di razionalismo del rasoio di Ockam, dunque, credere a un universo infinito é -non più vero, né più certamente o più probabilmente vero, non più verosimile o probabile, ma invece- più razionalistico che credere a un universo finito.
@ apeiron
Mi duole darti una fatale notizia, ma secondo questo signore
http://www.quilibri.eu/apeiron-un-equivoco-millenario-gli-studi-del-filologo-giovanni-semerano/apeiron non è alfa privativo peras (limite), ma terra. Quindi si ricasca nei 4 elementi. Poi si dice che sulla scia dell'atomismo ci può rientrare dalla finestra l'infinito dopo essere uscito dalla porta, ma tant'è. Comunque Anassimandro è grande lo stesso perchè inventò il sistema, poi sfruttato da Eratostene, per verificare e misurare la sfericità della Terra.
Ti rispondo su 2 questioni:
1) Per Spinoza Dio è ontologico, ma nel
deus sive natura si può ritrovare anche uno scienziato (ovviamente non materialista). Dove mi pare più complicato è sull'adesione alla favolistica delle varie rivelazioni, che poi, d'accordo, possono essere rivoltate come un calzino (e aggiornate allo spirito dei tempi, quantistica inclusa) dalla retorica dei loro preti ma finiscono sempre con lo scontrarsi con le evidenze scientifiche. Tipo un DNA del tutto compatibile tra un intoccabile e un bramino, volento uscire dalle religioni di Abramo.
2) Per trascendenza umanistica intendo l'emergere delle facoltà non deterministiche delle funzioni cognitive e decisionali superiori dell'homo sapiens, che hanno prodotto un "salto quantistico" rispetto allo status meramente istintivo. Salto relazionato all'evoluzione di un linguaggio complesso, concreto ed astratto (logico-matematico), che ha originato forme avanzate di cooperazione, comprensione e manipolazione del mondo. Quindi qualcosa di totalmente materialistico come origine e esente da numi nel suo sviluppo.
per numi intendo le divinità di ogni ordine e grado.
Ah Ipà, e l' "amorosa"?
Cche vvor dì?
Toglici questa curiosità!
Sgiombo,
CitazioneUna (Kantiana! Proprio così: rilevata dal grande konigsberghese da te tanto vituperato e insultato!)
Non ricordo di aver mai fatto una cosa simile (tra l'altro avevo preso spunto da lui). Se ho fatto una cosa simile mi spiace molto. Forse l'ho interpretato male e sicuramente su certe cose dissento. Ma non mi pare di averlo insultato e vituperato. L'ho pure difeso ;D
(sulle altre questioni tornerò fra qualche giorno)
Citazione di: sgiombo il 21 Ottobre 2018, 21:43:26 PM
Ah Ipà, e l' "amorosa"?
Cche vvor dì?
Toglici questa curiosità!
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 08:45:12 AM
la natura feticistica dell'amorosa (chiedo venia) Merce [...] martello dialettico roteante sull'Amoroso Mercato e la sua morale subumana.
Salve Apeiron. Funziona perché riesce a prevedere il futuro. Usando un linguaggio che definisca in modo convenzionale le cause (12+7(= ?)) chi comunica è certo che l'effetto deve essere (19). Ma se la convenzione viene condivisa da tutti, chi ha comunicato ciò sarà anche sicuro che l'effetto da lui previsto verrà previsto, approvato e condiviso da tutti gli aderenti alla convenzione. Il comunicante sarà quindi riuscito a prevedere - prima di averne conferma ed anche nel silenzio di ogni altro - che per tutti si è verificato l'effetto di veder risultare "19".
In mancanza di informazioni quantificabili, o in situazioni al cui interno si possono introdurre - dall'esterno - dati imprevisti, ciò non è possibile.
Lo stendere una espressione matematica significa costruire un sistema di cause note (il valore delle singole quantità) il cui interagire è predeterminato dalla stessa struttura (non importa se convenzionale) di ciò che si sta scrivendo, la quale risulta non influenzabile da altri fattori imprevedibili esterni alla stessa.
Perciò potremo contare su di un sistema "chiuso" di cause (dati) certe perché conosciute (quantificate) le quali non potranno che produrre effetti (risultati) certi e conoscibili.
In meteorologia la matematica viene sempre più estesamente utilizzata. Se tutte le variabili atmosferiche risultassero quantificate simultaneamente, le previsioni meteorologiche diventerebbero scienza esatta.
Naturalmente ciò non è possibile e non lo sarà mai per via del principio di indeterminazione, poiché i dati atmosferici sono talmente numerosi e dinamici da non poter venir raccolti tutti simultaneamente.
Spero di non essere risultato oscuro (come qualcuno ogni tanto mi fa notare) e neppure troppo metafisico (come qualcun altro mi ha trovato.....con ciò deliziandomi). Salutoni.
Citazione di: Apeiron il 21 Ottobre 2018, 18:12:05 PMbeh credo che sia meglio, a questo punto accordarsi sul dissenso. Secondo me ci sono anche alcuni equivoci.
Detto ciò, la discussione mi è piaciuta ed è stata molto interessante. (Non prendertela per questa "interruzione improvvisa"! semplicemente adesso non mi prendo l'impegno di discutere in modo da trovare gli eventuali equivoci. Se come penso, ci sono equivoci, la nostra discussione è destinata ad andare all'infinito se questi non vengono "svelati"...) :)
CARLO
No, non ci sono equivoci di nessun tipo. Il motivo del tuo abbandono l'hai illustrato tu stesso in un post precedente:
<<...vedo il mio approccio alla filosofia, alla religione/spiritualità, alla scienza, all'arte ecc. (anche) come un tentativo di contemplare e di "aprirmi/abbandonarmi" all'infinito, all'ignoto, all'indeterminato (e quindi anche un anelito alla Libertà...) ecc :) (non escludo che in tutto ciò ci sia, effettivamente, un po' di megalomania...)>>Cioè, a te piace dialogare finché puoi scorrazzare liberamente di pensiero in pensiero confidando nel fatto che nessuno possa opporre dei limiti perché nessuno "ha la verità in tasca". Ma quando è il mondo dell'esperienza a porti dei limiti e a suggerirti che la verità non è quasi mai una libera opinione, allora il gioco non ti interessa più perché non è esattamente la verità o la comprensione del mondo il fine delle tue prolusioni filosofiche. E noto che in questo NG non sei il solo ad amare la disquisizione pura (fine a se stessa) e a detestare cordialmente il confronto con la realtà, ma è un atteggiamento pressoché generale. E' il mal inteso concetto moderno di "filosofia".
Salve. Per Sgiombo (tuo intervento nr.369). Se non hai afferrato l'evidente ironia dei miei commenti circa quanto riportato da Sariputra, vorrà dire che in questi momenti ci saranno per te dei problemi reali che deprimono il tuo senso dell'umorismo. Spero di sbagliarmi o almeno ti auguro una loro pronta soluzione.
Per quanto poco possa interessarti, voglio farti una raccomandazione : accingendoti a leggere i miei interventi, la prima cosa da fare è "depurarli" dell'ironia che tanto spesso li infesta.
Fatto ciò, spesso ti troverai di fronte un foglio bianco. Cioè all'espressione della mia mancanza di seriosità. Salutoni.
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2018, 21:31:12 PM
@ apeiron
Mi duole darti una fatale notizia, ma secondo questo signore
http://www.quilibri.eu/apeiron-un-equivoco-millenario-gli-studi-del-filologo-giovanni-semerano/
apeiron non è alfa privativo peras (limite), ma terra. Quindi si ricasca nei 4 elementi. Poi si dice che sulla scia dell'atomismo ci può rientrare dalla finestra l'infinito dopo essere uscito dalla porta, ma tant'è. Comunque Anassimandro è grande lo stesso perchè inventò il sistema, poi sfruttato da Eratostene, per verificare e misurare la sfericità della Terra.
Ipazia,
viene citato un frammento di Senofane per supportare la tesi. Il frammento 28, però da poco supporto a questo tipo di tesi, visto che usa "apeiron" con il significato di illimitatezza: "Della terra, ebbene, questo limite in alto ai piedi si vede, all'aria attiguo, quello in basso invece all'infinito va". Puoi trovarli qui http://www.filosofiablog.it/filosofia-antica/frammenti-filosofici-di-senofane-2/.
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Ottobre 2018, 22:48:30 PM
Citazione di: Apeiron il 21 Ottobre 2018, 18:12:05 PMbeh credo che sia meglio, a questo punto accordarsi sul dissenso. Secondo me ci sono anche alcuni equivoci. Detto ciò, la discussione mi è piaciuta ed è stata molto interessante. (Non prendertela per questa "interruzione improvvisa"! semplicemente adesso non mi prendo l'impegno di discutere in modo da trovare gli eventuali equivoci. Se come penso, ci sono equivoci, la nostra discussione è destinata ad andare all'infinito se questi non vengono "svelati"...) :)
CARLO No, non ci sono equivoci di nessun tipo. Il motivo del tuo abbandono l'hai illustrato tu stesso in un post precedente: <<...vedo il mio approccio alla filosofia, alla religione/spiritualità, alla scienza, all'arte ecc. (anche) come un tentativo di contemplare e di "aprirmi/abbandonarmi" all'infinito, all'ignoto, all'indeterminato (e quindi anche un anelito alla Libertà...) ecc :) (non escludo che in tutto ciò ci sia, effettivamente, un po' di megalomania...)>> Cioè, a te piace dialogare finché puoi scorrazzare liberamente di pensiero in pensiero confidando nel fatto che nessuno possa opporre dei limiti perché nessuno "ha la verità in tasca". Ma quando è il mondo dell'esperienza a porti dei limiti e a suggerirti che la verità non è quasi mai una libera opinione, allora il gioco non ti interessa più perché non è esattamente la verità o la comprensione del mondo il fine delle tue prolusioni filosofiche. E noto che in questo NG non sei il solo ad amare la disquisizione pura (fine a se stessa) e a detestare cordialmente il confronto con la realtà, ma è un atteggiamento pressoché generale. E' il mal inteso concetto moderno di "filosofia".
Carlo,
ovviamente sei libero di pensarla come ti pare! :) mi spiace vedere che sei giunto a questa conclusione. E, purtroppo, non credo che riuscirò a farti cambiare idea. Ci provo.
ma ho anche detto che la filosofia è come una "scala", quindi non è "disquisizione pura (fine a se stessa)". Semplicemente, nei miei tanti tentativi di "inquadrare intellettualmente tutto" in un sistema, ho sempre trovato falle e/o qualcosa che non mi convinceva. Non ho mai trovato un sistema totalmente convincente. Quindi sono molto scettico che si possa "capire tutto". Ciò
non significa che penso che la filosofia sia futile. Anzi.
Se pensi che dopo qualche discussione in un "NG" filosofico, i tuoi interlocutori la pensino
esattamente come te... credo che non succederà molto spesso...a volte è anche bello, secondo me, confrontarsi e
ascoltare punti di vista differenti.
Questo non perché credo che "la verità non c'è e ci sono solo interpretazioni" - non sono un "relativista" ( lo dico perché mi sento mal interpretato) - ma perché ritengo che, riconoscendomi "fallibile", sentire punti di vista differenti può essermi utile sia ad imparare cose nuove sia a capire meglio le cose che già so.
"Ma quando è il mondo dell'esperienza a porti dei limiti e a suggerirti che la verità non è quasi mai una libera opinione..."
Nego anche questo :)
Come dicevo, mi spiace che sei giunto a questa conclusione. Spero che cambierai idea. Ma, visto il tono di questo messaggio, purtroppo ritengo che rimarrai fermo nelle tue convinzioni.
adesso, è veramente giunto il momento di interrompere il dialogo. Sono abbastanza deluso.
Lo possiamo riprendere in futuro. Peccato, perché per quanto mi riguarda trovavo spunto interessanti nelle nostre discussioni.
Citazione di: Apeiron il 21 Ottobre 2018, 22:17:35 PM
Sgiombo,
CitazioneUna (Kantiana! Proprio così: rilevata dal grande konigsberghese da te tanto vituperato e insultato!)
Non ricordo di aver mai fatto una cosa simile (tra l'altro avevo preso spunto da lui). Se ho fatto una cosa simile mi spiace molto. Forse l'ho interpretato male e sicuramente su certe cose dissento. Ma non mi pare di averlo insultato e vituperato. L'ho pure difeso ;D
(sulle altre questioni tornerò fra qualche giorno)
Anche @ CarloPieriniSi é trattato di un banale equivoco di cui mi scuso:
Le frasi cui obiettavo erano di ***
CarloPierini,*** non tue.
Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2018, 22:28:14 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Ottobre 2018, 21:43:26 PM
Ah Ipà, e l' "amorosa"?
Cche vvor dì?
Toglici questa curiosità!
Citazione di: Ipazia il 18 Ottobre 2018, 08:45:12 AM
la natura feticistica dell'amorosa (chiedo venia) Merce [...] martello dialettico roteante sull'Amoroso Mercato e la sua morale subumana.
Grazie, non mi era rimasto in memoria (non solo a a me, fatto consolante; si spera l' Alzheimer proceda lento...).
Citazione di: viator il 21 Ottobre 2018, 22:43:05 PM
Salve Apeiron. Funziona perché riesce a prevedere il futuro. Usando un linguaggio che definisca in modo convenzionale le cause (12+7(= ?)) chi comunica è certo che l'effetto deve essere (19). Ma se la convenzione viene condivisa da tutti, chi ha comunicato ciò sarà anche sicuro che l'effetto da lui previsto verrà previsto, approvato e condiviso da tutti gli aderenti alla convenzione. Il comunicante sarà quindi riuscito a prevedere - prima di averne conferma ed anche nel silenzio di ogni altro - che per tutti si è verificato l'effetto di veder risultare "19".
In mancanza di informazioni quantificabili, o in situazioni al cui interno si possono introdurre - dall'esterno - dati imprevisti, ciò non è possibile.
Lo stendere una espressione matematica significa costruire un sistema di cause note (il valore delle singole quantità) il cui interagire è predeterminato dalla stessa struttura (non importa se convenzionale) di ciò che si sta scrivendo, la quale risulta non influenzabile da altri fattori imprevedibili esterni alla stessa.
Perciò potremo contare su di un sistema "chiuso" di cause (dati) certe perché conosciute (quantificate) le quali non potranno che produrre effetti (risultati) certi e conoscibili.
In meteorologia la matematica viene sempre più estesamente utilizzata. Se tutte le variabili atmosferiche risultassero quantificate simultaneamente, le previsioni meteorologiche diventerebbero scienza esatta.
Naturalmente ciò non è possibile e non lo sarà mai per via del principio di indeterminazione, poiché i dati atmosferici sono talmente numerosi e dinamici da non poter venir raccolti tutti simultaneamente.
Spero di non essere risultato oscuro (come qualcuno ogni tanto mi fa notare) e neppure troppo metafisico (come qualcun altro mi ha trovato.....con ciò deliziandomi). Salutoni.
Nella misura in cui la matematica é "pura" (12 + 7 = 19) é mero "trattamento logico di dati arbitrariamente stabiliti" (giudizi analaitici a priori) e non offre alcuna conoscenza di come é o non é la realtà.
Invece serve a conoscere come é o non é la realtà la matematica applicata, nella quale si considerano cause
note empiricamente a posteriori e non stabilite convenzionalmente per ottenere conoscenze dei rispettivi effetti; ed é per questo che ci offre
conoscenza di "qualcosa" di come é o non é la realtà: per l' appunto gli effetti calcolati dalle cause); si tratta di giudizi sintetici a posteriori.La meteorologia non c' entra con l' indeterminazione in linea puramente teorica di principio della M Q; presenta invece un ' indeterminazione in linea di fatto, ma non in linea teorica di principio per l' impossibilità di disporre di conoscenze delle cause sufficientemente complete e precise da consentire il calcolo degli effetti (se non in termini probabilistici).
La matematica non è, come pensava Galileo, il linguaggio della natura, ma il linguaggio umano con cui gli umani cercano di colonizzarla.
L'Amorosa è la morte, (ma non leggete Viator ?). Santa protettrice dei preti e nume che ha creato, nel corso delle ere antropologiche, la loro fortuna.
@ CP
Ho letto il tuo post sul darwinismo e la citazione di quel tizio che evidentemente come te interpreta l'evoluzione naturale come progresso. Invece è proprio la casualità delle mutazioni genetiche a spiegare stasi e balzi dell'evoluzione riscontrabile nei fossili. Combinata con la casualità dei mutamenti ambientali. Per chi non lo avesse ancora capito (come FN ad esempio): il darwinismo non postula la legge del più forte, ma del più idoneo. Tralascio per carità di patria la confusione finale tra le doti evolutive della razionalità umana (anche in contrapposizione ad altre specie) e l'evoluzione naturale su base genetica. Sono due fenomeni chiaramente distinti.
Citazione di: Ipazia il 22 Ottobre 2018, 09:00:36 AM
La matematica non è, come pensava Galileo, il linguaggio della natura, ma il linguaggio umano con cui gli umani cercano di colonizzarla.
L'Amorosa è la morte, (ma non leggete Viator ?). Santa protettrice dei preti e nume che ha creato, nel corso delle ere antropologiche, la loro fortuna.
Mannaggia, ero stato troppo ottimista sulla progressione dell' Alzheimer...
Però Galileo parlava metaforicamente.
@sgiomboOvviamente non volevo fuorviarti; a mia volta ero stato fuorviato da
Citazione di: viator il 20 Ottobre 2018, 23:07:56 PM
Salve Ipazia. Scusa, ma non ho capito il tuo riferimento all'Amorosa : chi sarebbe costei ?.
Citazione di: Ipazia il 22 Ottobre 2018, 09:00:36 AM
L'Amorosa è la morte, (ma non leggete Viator ?).
Citazione di: viator il 21 Ottobre 2018, 23:18:44 PM
Salve. Per Sgiombo (tuo intervento nr.369). Se non hai afferrato l'evidente ironia dei miei commenti circa quanto riportato da Sariputra, vorrà dire che in questi momenti ci saranno per te dei problemi reali che deprimono il tuo senso dell'umorismo. Spero di sbagliarmi o almeno ti auguro una loro pronta soluzione.
Per quanto poco possa interessarti, voglio farti una raccomandazione : accingendoti a leggere i miei interventi, la prima cosa da fare è "depurarli" dell'ironia che tanto spesso li infesta.
Fatto ciò, spesso ti troverai di fronte un foglio bianco. Cioè all'espressione della mia mancanza di seriosità. Salutoni.
Grazie per il consiglio ma p
er fortuna i miei frequenti riferimenti all' Alzheimer sono anch' essi (auto-) ironici: mentalmente e psichicamente sto benone!Immagino che quella del foglio bianco" sia pure ironia o per lo meno metafora; che pure non colgo: devo dire che il tuo linguaggio non letterale mi é di difficile comprensione (il che non é affatto sintomo di alcun problema neurologico né tantomeno mentale da parte mia).
Citazione di: sgiombo il 22 Ottobre 2018, 08:38:12 AM
Citazione di: Apeiron il 21 Ottobre 2018, 22:17:35 PM
Sgiombo,
CitazioneUna (Kantiana! Proprio così: rilevata dal grande konigsberghese da te tanto vituperato e insultato!)
Non ricordo di aver mai fatto una cosa simile (tra l'altro avevo preso spunto da lui). Se ho fatto una cosa simile mi spiace molto. Forse l'ho interpretato male e sicuramente su certe cose dissento. Ma non mi pare di averlo insultato e vituperato. L'ho pure difeso ;D
(sulle altre questioni tornerò fra qualche giorno)
Si é trattato di un banale equivoco di cui mi scuso:
Ti avevo momentaneamente confuso con CarloPierini cui obiettavi (spero non ti offenda: era una confusione del tutto involontaria).
Scrivo questo a correzione della mio intervento -errato- #389).
Salve Sgiombo. Ironia e paradosso. Certi miei testi sono o potrebbero essere totalmente consistenti in considerazioni ironiche. Perciò se li leggiamo eliminando via via i loro contenuti ironici, alla fine non resterà nulla ("foglio bianco"). Qualcuno potrebbe trovare poco serio trattare in questo modo certi argomenti. Ma l'ironia è invece un modo molto serio di mettere in evidenza le contraddizioni tra la citazione delle cose ed il senso delle cose. Ed io amo la serietà ma odio la seriosità, la quale sarebbe quell'atteggiamento che vorrebbe rivestire a tutti i costi di serietà anche ciò che non è serio. Saluti.
Citazione di: sgiombo il 22 Ottobre 2018, 11:21:01 AM
Però Galileo parlava metaforicamente.
Mica tanto. Galileo viene da quel covo di neoplatonici che fu la corte medicea di Firenze. Il "disegno divino" geometrico lo intendeva alla lettera ed era sicuramente più presentabile del disegno inquisitorio e feroce della curia romana. Gli do atto di ciò e fu anche un modo elegante per liberare la scienza dai ceppi rendendola accettabile alla teocrazia. All'epoca non funzionò, ma seminò quello che avrebbero raccolto gli illuministi un secolo dopo. E che continua a circolare, postneoplatonicamente, anche in questo forum.
APEIRON
Semplicemente, nei miei tanti tentativi di "inquadrare intellettualmente tutto" in un sistema, ho sempre trovato falle e/o qualcosa che non mi convinceva. Non ho mai trovato un sistema totalmente convincente. Quindi sono molto scettico che si possa "capire tutto".
CARLO
Anch'io sono convinto che né tu, né io, né i listanti di questo NG, né nessun individuo della nostra generazione, né nessun altro delle prossime 15 o 20 generazioni umane future possano o potranno "capire tutto". Ma sono anche convinto che né tu, né io, né tutta la gente di cui sopra possa avere la presunzione di stabilire un confine tra ciò che si può capire e ciò che è impossibile da capire.
...Oppure tu conosci qual è questo confine? E, se non lo conosci, cos'è che ti dà comunque la certezza della sua esistenza e della sua invalicabilità da parte della conoscenza umana? Cos'è che sarebbe - per principio - impossibile da capire?
In altre parole, cosa c'entra questa tirata sul "capire tutto" con l'ipotesi (fondata su un gran numero di buone ragioni) che esista un Principio di validità universale-interdisciplinare?
Cit. CARLO
"Ma quando è il mondo dell'esperienza a porti dei limiti e a suggerirti che la verità non è quasi mai una libera opinione..."
APEIRON
Nego anche questo :)
Come dicevo, mi spiace che sei giunto a questa conclusione. Spero che cambierai idea. Ma, visto il tono di questo messaggio, purtroppo ritengo che rimarrai fermo nelle tue convinzioni.
CARLO
Se rimango fermo nella mia opinione, non è per spirito polemico, ma perché nella mia Risposta #356 ti ho sintetizzato alcune delle buone ragioni (osservative-esperienziali) che rendono più che ragionevole e fondata l'ipotesi di un Principio universale e ho inoltre risposto alle tue obiezioni principali. E siccome tu hai ignorato quella risposta e hai tirato in ballo la questione del "capire tutto", io non posso fare altro che attribuirti la convinzione secondo cui <<siccome non si può capire tutto, allora non può esistere alcun Principio interdisciplinare!>>. Una convinzione, cioè, che da una parte pone come certezza una elucubrazione ambigua e arbitraria ("non si può capire tutto") e che dall'altra non dà alcuna importanza alle buone ragioni (non arbitrarie, ma supportate dai fatti) di cui sopra.
Citazione di: Ipazia il 22 Ottobre 2018, 22:12:50 PM
Citazione di: sgiombo il 22 Ottobre 2018, 11:21:01 AM
Però Galileo parlava metaforicamente.
Mica tanto. Galileo viene da quel covo di neoplatonici che fu la corte medicea di Firenze. Il "disegno divino" geometrico lo intendeva alla lettera ed era sicuramente più presentabile del disegno inquisitorio e feroce della curia romana. Gli do atto di ciò e fu anche un modo elegante per liberare la scienza dai ceppi rendendola accettabile alla teocrazia. All'epoca non funzionò, ma seminò quello che avrebbero raccolto gli illuministi un secolo dopo. E che continua a circolare, postneoplatonicamente, anche in questo forum.
Malgrado ciò, mi sembra evidente che nel famoso passo del Saggiatore cui accennavi
"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo"
il "libro scritto in caratteri matematici" é esplicitamente (da parte di Galileo stesso) una metafora dell' "universo".
sgiombo, perchè mi fai perdere tempo a navigare ?
"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto." Il Saggiatore, Galileo Galilei (1564-1642)
Citazione di: Ipazia il 23 Ottobre 2018, 18:52:49 PM
sgiombo, perchè mi fai perdere tempo a navigare ?
"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo, in io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto." Il Saggiatore, Galileo Galilei (1564-1642)
Appunto, come volevasi dimostrare, Galileo stesso ci dice esplicitamente che "
questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi" é -ripeto: lui (Galileo) dice esplicitamente- non letteralmente un volume stampato su carta con inchiostro in qualche tipografia, venduto e collocato in qualche biblioteca onde poter essere letteralmente letto, ma invece metaforicamente "l'universo".Mi spiace sinceramente che abbia perso tempo (inutilmente) a navigare.
@Carlo, va bene, provo a risponderti. E, a dirti tutto, mi sembra che a volte non ci intendiamo con le parole. Avevo deciso di abbandonare la discussione perché, in realtà, credo che possiamo andare all'infinito senza trovare un accordo. Rispondo all'intervento #
356.CitazioneCARLO
Perché ti sembra "eccessivo"? Forse perché hai stabilito a-priori che non debba esistere alcun principio universale super-disciplinare? ...E che dunque qualsiasi concetto che si presenti come tale, deve essere considerato illusorio?
Io, invece seguo la logica opposta. Se osservo:
1 - che la scienza è una complementarità di opposti di grande valore epistemico tra metafisica e fisica (filosofia e mondo, logica/matematica e fenomeni fisici);
2 - che in psicologia Jung ha scritto venti volumi per mostrare gli innumerevoli aspetti nei quali le dinamiche dell'anima umana si configurano come complementarità di opposti;
3 - che in neurobiologia il problema mente-cervello risulta molto più coerente con l'osservazione se lo si concepisce come una complementarità di opposti;
4 - che la simbologia si fonda sul principio di analogia che è una conseguenza diretta del Principio di complementarità;
5 - che persino la virtù e la giurisprudenza son essenzialmente delle complementarità di qualità/entità opposte;
6 - che l'archetipo della complementarità è in assolto il più diffuso nella storia del pensiero umano (taoismo, alchimia, dialettica, mitologia, ritualità, ecc.);
7 - ....ecc., ecc... (ci sono molte altre osservazioni che supportano la fondatezza del Principio);
...allora l'ipotesi che la Complementarità sia un Principio universale non è più una possibilità astratta, ma un'ipotesi molto più ragionevole e più fondata della tua "regressione infinita" e dei tuoi "dubbi senza fine", i quali sono determinanti solo se applicati a elucubrazioni astratte, ma perdono ogni valore di fronte ad osservazioni di fatti oggettivi che supportano l'ipotesi.
sul punto "2": ti devo semplicemente "dare ragione", visto che conosco gran poco Jung e tu mi sembri abbastanza esperto (lo dico sinceramente! :) ).
sul punto "3": mente e cervello sono certamente una "dualità" ma non vedo, onestamente, perché sono "opposti". Direi che sono opposti "soggetto conoscente" ed "oggetto conosciuto" ma
mente e
cervello non riesco a vederli come una coppia in opposizione. In pratica, a me sembra che ogni "dualità" per te sia una coppia di opposti complementari (può darsi che erroneamente qualche giorno fa ho detto che sono una coppia di opposti, non mi ricordo onestamente...).
sul punto "1": perché "filosofia e mondo" sono due
opposti complementari? posso capire da un punto di vista platonico, invece che "logica/matematica" e "fenomeni" siano opposti complementari visto che i primi sembrerebbero immutabili, i secondo in divenire ecc.
sul punto "4": ok quindi se ti capisco bene tra "simbolo" e "oggetto". Ma anche qui perché una relazione segnica sarebbe "opposizione complementare". Questa tua posizione veramente non mi è chiara.
sul punto "5": per esempio mi pare importante "evitare l'eccesso", "evitare gli estremi" e così via. Ma qui non ci vedo una complementarit. La complementarità mi pare più presente quando si parla a volte paradosaalnente della condizione interiore (vedi la questione dell'umiltà come "innalzamento" ecc).
sul punto "6": su questo forse hai ragione, effettivamente è diffuso in molte culture. Ma, anche qui: la
dualità non mi sembra sempre complementarità di opposti. Un conto è l'opposizione tra "soggetto" ed "oggetto", "forza" e "debolezza". Un altro è quello tra "filosofia" e "mondo" oppure tra "mente" e "cervello". In questo senso secondo me "ci vedi troppo" nel Principio di Complementarità.
sul punto "7": non ne dubito.
Ma ammettendo che la complementarità sia davvero pervasiva nella misura in cui tu la credi tale...il Principio dovrebbe essere l'archetipo di tutte queste complementarità e quindi la Complementarità stessa. Ma se è così, allora la Complementarità è il "principio" di tutto e dovresti trovarla
ovunque (magari non sapendo
come. Ma dovrebbe essere una caratteristica di "tutto". In questo senso dicevo che "spiega tutto", non che ti da l'onniscienza). E se la Complementarità fosse un aspetto? E se anzi, ci fosse un Principio ancora più "basico"? Platone parlava della Forma del Bene, la quale era semplicemente "l'Essere". Da essa si generava tutto perché in tutto partecipava l'Essere. Ma nel caso della Complementarità, per essere così universale come credi, dovrebbe essere una caratteristica che trovi in tutte le cose. E, onestamente, non mi convince.
Tengo a precisare che non escludo a "priori" che ci possa essere un Principio e che magari tale Principio sia la complementarità. Mi sembra che manchino però le "prove" anche come ho cercato di dirti la tua prospettiva la rispetto.
CitazioneDei principi della fisica, per esempio, non si ha esperienza diretta, poiché non sono fenomeni, ma trascendono i fenomeni. Tuttavia è possibile risalire ad essi attraverso l'osservazione comparata dei fenomeni e attraverso l'astrazione intellettuale. Ecco, per il Principio di complementarità vale lo stesso discorso.
Insomma, tu continui a scambiare un'ipotesi fondata sull'osservazione con una possibilità filosofica pura che, come tale, avrebbe lo stesso valore (fideistico) della sua negazione (la "regressione infinita").
Ok, non abbiamo esperienza diretta delle leggi della fisica. Ma... parti dall'esperienza per trovarli, no? E poi per testarli arrivi sempre all'esperienza, no? Quindi, usando questo discorso, il Principio di Complementarità degli opposti sarebbe un'
ipotesi. Ma a volte tu ne parli come se fosse "una verità evidente", specialmente quando altri non ne sono convinti. Questo crea confusione anche a me.
CitazioneAPEIRON
3) le stesse "spiegazioni" del "perché esiste qualcosa?" che partono da un Principio non sono comunque, secondo me, totalmente convincenti.
CARLO
La spiegazione, per esempio, del principio di conservazione della materia-energia (proprio come quella del Principio di complementarità) non sono le stesse del "perché esiste qualcosa?", ma si fondano sull'osservazione delle innumerevoli modalità reali secondo cui l'energia si conserva trasformandosi.
Qui non capisco cosa vuoi dire... secondo me il Principio ha proprio la funzione di spiegare "perché esiste qualcosa?".
CitazioneCARLO
Come avviene che il principio di conservazione della materia-energia partecipi ad ogni trasformazione energetica? Non lo sappiamo, ma ciò non toglie nulla alla sua esistenza e alla sua piena validità.
Platonicamente, il "principio di conservazione" partecipa in tutte le istanze in cui notiamo la conservazione. Ergo, se il Principio di Complementarità è un Principio universale, allora si dovrebbe trovare
ovunque. Ripeto: in questo senso "spiega tutto" - non c'è niente che non sia legato a tale principio. O questo, almeno, capisco da quanto dici tu. Mi posso sbagliare e in tal caso, mi spiace.
CitazioneCARLO
Ritengo che si possa dimostrare nello stesso modo (mutatis mutandis) in cui si dimostra la validità del principio di conservazione: mostrando la sua conformità con i fatti osservati, con l'esperienza. L'esperienza "straordinaria" che ho avuto è solo indicativa, non dimostrativa.
Qui invece dissento. Non avresti una dimostrazione della sua "universalità". Per "conoscerlo davvero" dovresti "vederlo", per così dire :) perché? perché mentre la validità del principio di conservazione la noti applicando la ragione a dei fatti empirici, il supposto Principio Universale dovresti "comprenderlo" vedendo "l'essenza" dei fenomeni. Non nel loro comportamento (che è ciò che "vediamo"), ma proprio nel loro "essere", per così dire.
CitazioneAPEIRON
Su Anassimandro, avevo sentito l'interpretazione di Semeraro in terza superiore. Pur non essendo d'accordo ammetto che è interessante.
CARLO
Nemmeno io sono d'accordo con la sua sola interpretazione unilaterale apeiron=terra separatadall'interpretazione opposta complementare apeiron=infinito. Solo insieme esse esprimono la natura paradossale del Principio (specificando i diversi rispetti dell'una e dell'altra).
Non ho idea di come apeiron = terra e apeiron = infinito possano essere visti come
opposti complementari. Anzi qui secondo me è proprio l'esempio di una "lettura" troppo tirata per far "tornare" le cose secondo me.
CitazioneCARLO
Se avessi letto tutti i miei interventi, avresti capito che il Principio non si fonda né sull'esperienza "straordinaria" personale, nella sulla ragione pura, ma sulla ragione applicata all'osservazione dei fatti.
Questa parte mi aveva deluso...ma secondo te non ho
letto i tuoi interventi? Mah...
In pratica la metodologia che proponi non mi convince molto. Tu dici che dovremmo verificare nei "fatti" la validità del Principio. Io dico, invece, che se c'è un vero "Principio", per "conoscerlo" non bisognerebbe guardare ai "fatti" (che sono "meri" avvenimenti) ma proprio all'intima "essenza" delle cose e quindi dei "fatti" (e di noi stessi). Ma non sarebbe più, secondo me, una conoscenza "empirica" coadiuvata dalla ragione come è la conoscenza scientifica... Semmai la "ragione" arriva in un secondo momento a "descrivere" le caratteristiche di quanto è stato "trovato".
Detto ciò, il semplice rifiuto a continuare la discussione non significa che uno vuole fare solo sterili discussioni.
Citazione di: sgiombo il 22 Ottobre 2018, 11:53:13 AM
Citazione di: sgiombo il 22 Ottobre 2018, 08:38:12 AM
Citazione di: Apeiron il 21 Ottobre 2018, 22:17:35 PM
Sgiombo,
CitazioneUna (Kantiana! Proprio così: rilevata dal grande konigsberghese da te tanto vituperato e insultato!)
Non ricordo di aver mai fatto una cosa simile (tra l'altro avevo preso spunto da lui). Se ho fatto una cosa simile mi spiace molto. Forse l'ho interpretato male e sicuramente su certe cose dissento. Ma non mi pare di averlo insultato e vituperato. L'ho pure difeso ;D
(sulle altre questioni tornerò fra qualche giorno)
Si é trattato di un banale equivoco di cui mi scuso:
Ti avevo momentaneamente confuso con CarloPierini cui obiettavi (spero non ti offenda: era una confusione del tutto involontaria).
Scrivo questo a correzione della mio intervento -errato- #389).
Nessun problema
@sgiombo :) grazie per i chiarimenti.
@viator,CitazioneSalve Apeiron. Funziona perché riesce a prevedere il futuro. Usando un linguaggio che definisca in modo convenzionale le cause (12+7(= ?)) chi comunica è certo che l'effetto deve essere (19). Ma se la convenzione viene condivisa da tutti, chi ha comunicato ciò sarà anche sicuro che l'effetto da lui previsto verrà previsto, approvato e condiviso da tutti gli aderenti alla convenzione. Il comunicante sarà quindi riuscito a prevedere - prima di averne conferma ed anche nel silenzio di ogni altro - che per tutti si è verificato l'effetto di veder risultare "19".
In mancanza di informazioni quantificabili, o in situazioni al cui interno si possono introdurre - dall'esterno - dati imprevisti, ciò non è possibile.
Lo stendere una espressione matematica significa costruire un sistema di cause note (il valore delle singole quantità) il cui interagire è predeterminato dalla stessa struttura (non importa se convenzionale) di ciò che si sta scrivendo, la quale risulta non influenzabile da altri fattori imprevedibili esterni alla stessa.
Capisco quello che vuoi dire... ma onestamente non userei il linguaggio di causalità ma implicazione logica (a meno che tu non vedi la causalità fisica come una sorta di implicazione logica). In particolare, se come sostieni la matematica è puramente formale staresti parlando di causalità per descrivere relazioni formali tra segni. Cosa che trovo molto strana.
Citazione[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif]Perciò potremo contare su di un sistema "chiuso" di cause (dati) certe perché conosciute (quantificate) le quali non potranno che produrre effetti (risultati) certi e conoscibili.
In meteorologia la matematica viene sempre più estesamente utilizzata. Se tutte le variabili atmosferiche risultassero quantificate simultaneamente, le previsioni meteorologiche diventerebbero scienza esatta.
Naturalmente ciò non è possibile e non lo sarà mai per via del principio di indeterminazione, poiché i dati atmosferici sono talmente numerosi e dinamici da non poter venir raccolti tutti simultaneamente.
Spero di non essere risultato oscuro (come qualcuno ogni tanto mi fa notare) e neppure troppo metafisico (come qualcun altro mi ha trovato.....con ciò deliziandomi). Salutoni.[/font]
Ma il punto è che - se accettiamo il convenzionalismo - mentre è perfettamente comprensibile il motivo per cui le regole decise "ad hoc" producono determinati risultati non è a priori comprensibile il motivo per cui possiamo usare tali regole (che sto assumendo essere) convenzionali si possano utilizzare per descrivere il comportamento di fenomeni (i quali non sono "convenzioni", in teoria). In pratica, perché tali regole formali dovrebbero funzionare per descrivere i fenomeni materiali?
@ sgiombo:
La tesi è il neoplatonismo "geometrico" galileiano (e di molti metafisici), non il fatto che "universo" sia una matafora del mondo (che essi, metafisicamente, ritengono scritto in linguaggio matematico).
Sul perdere tempo scherzavo. Il testo del Saggiatore è talmente trasparente da evitarci qualsiasi sforzo ermeneutico.
CitazioneAPEIRON
CitazioneSu Anassimandro, avevo sentito l'interpretazione di Semeraro in terza superiore. Pur non essendo d'accordo ammetto che è interessante.
CitazioneCARLO
CitazioneNemmeno io sono d'accordo con la sua sola interpretazione unilaterale apeiron=terra separatadall'interpretazione opposta complementare apeiron=infinito. Solo insieme esse esprimono la natura paradossale del Principio (specificando i diversi rispetti dell'una e dell'altra).
Ciao Carlo, Ah ok, forse ho capito adesso... Non stai dicendo per Anassimandro aveva entrambi i significati ma della tua concezione di apeiron come Principio di Complementarità (mi pareva di capire che la parola apeiron aveva entrambi i significati, cosa che mi sembrava strano). Scusami se ti ho travisato (in caso contrario ribadisco il mio dissenso)
L'interpretazione di Semeraro è puramente linguistico-filologica, come da link da me postato. Non contrappone, o combina, metafisicamente, terra e infinito, ma una etimologia di apeiron all'altra.
Salve Apeiron. Ma le convenzioni sono utili, non infallibili. La realtà fenomenica non può essere assolutamente prevedibile, neppure la più banale, semplice, consuetudinaria.
Il fatto che tutti i giorni il sole sia sorto per lungo tempo ha costituito una semplice constatazione della regolarità di ciò che nessuno spiegava.
La spiegazione razionale di ciò ci ha solo rassicurati circa il fatto che ciò dovrebbe verificarsi ancora lungamente in futuro.
Nessuna scienza può però garantirci che domani il fenomeno si ripeta.
Consuetudine prima e scienza poi sono solo gli elementi che ci incentivano a scegliere di credere in ciò.
Perciò convenzioni, linguaggi, aritmetiche e costruzioni scientifiche non hanno alcun potere nel generare o nell'influire sui fenomeni e quindi non possono prevedere alcunchè. Generano la fiducia nelle nostre capacità di "previsione" che potrà rivelarsi vincente solo A POSTERIORI, lasciandoci soddisfatti ed inducendoci ad insistere in quello che è solo UN AZZARDO CON PIU' CHE RAGIONEVOLI PROBABILITA' DI VINCITA.
E poichè vivere significa fare delle scelte, meglio basarle sulle regolarità che abbiamo già sperimentato. Per questo molti hanno già dei programmi per le prossime giornate. Saluti.
Citazione di: Ipazia il 24 Ottobre 2018, 10:23:59 AM
@ sgiombo:
La tesi è il neoplatonismo "geometrico" galileiano (e di molti metafisici), non il fatto che "universo" sia una matafora del mondo (che essi, metafisicamente, ritengono scritto in linguaggio matematico).
Sul perdere tempo scherzavo. Il testo del Saggiatore è talmente trasparente da evitarci qualsiasi sforzo ermeneutico.
Metaforico é l' uso del termine "libro (scritto in caratteri matematici)" per il letterale "universo".
Questo é ciò che rilevavo, a prescindere dal neoplatonismo galileiano, sul qual ho dei seri dubbi, ma non mi interessa approfondire l' argomento.
Citazione di: sgiombo il 24 Ottobre 2018, 19:52:05 PM
Metaforico é l' uso del termine "libro (scritto in caratteri matematici)" per il letterale "universo".
Questo é ciò che rilevavo, a prescindere dal neoplatonismo galileiano, sul qual ho dei seri dubbi, ma non mi interessa approfondire l' argomento.
Ovvero guardiamo il dito di una irrilevante questione semantica e ignoriamo la luna che non poca acqua porta al mulino del disegno divino, dell'idealismo e dello scientismo. Evidentemente il materialismo non basta:ci vuole un dio che non gioca a dadi :(
Citazione di: Ipazia il 25 Ottobre 2018, 09:22:46 AM
Citazione di: sgiombo il 24 Ottobre 2018, 19:52:05 PM
Metaforico é l' uso del termine "libro (scritto in caratteri matematici)" per il letterale "universo".
Questo é ciò che rilevavo, a prescindere dal neoplatonismo galileiano, sul qual ho dei seri dubbi, ma non mi interessa approfondire l' argomento.
Ovvero guardiamo il dito di una irrilevante questione semantica e ignoriamo la luna che non poca acqua porta al mulino del disegno divino, dell'idealismo e dello scientismo. Evidentemente il materialismo non basta:ci vuole un dio che non gioca a dadi :(
Senti Ipazia, "la scienza é lunga e la vita é breve" (Ippocrate), e se permetti coltivo gli interessi che più mi aggradano senza preoccuparmi dell' eventuale approvazione o meno da parte tua o di chiunque altro.
Poiché hai pignolescamente ma erroneamente criticato una mia osservazione sul carattere metaforico delle parole di Galileo da te citate, mi sono permesso di precisare la correttezza della mia interpretazione, senza seguirti nelle tue considerazioni sul "platonismo galileiano", circa il quale -ripeto- ho per lo meno seri dubbi (anche circa la sua rilevanza circa le questioni cui qui accenni, sulle quali sono ripetutamente intervenuto esponendo a chiare lettere le mie convinzioni), ma preferisco dedicare il mio tempo non illimitato ad altri argomenti per me -a mio giudizio insindacabile da parte di chiunque- più interessanti (ognuno ha le sue convinzioni circa quali siano le "dita" e quali le "lune", ovvero, fuor di metafora, a quali argomenti valga la pena di dedicare il proprio tempo e la propria attenzione; evidentemente le mie sono diverse dalle tue).
Se poi volessi continuare in questa pignolissima sequenza di repliche e controrepliche, la cosa mi interesserebbe ovviamente ancor meno e dunque ignorerei la tua eventuale ulteriore risposta.
Citazione di: viator il 24 Ottobre 2018, 17:21:29 PM
Salve Apeiron. Ma le convenzioni sono utili, non infallibili. La realtà fenomenica non può essere assolutamente prevedibile, neppure la più banale, semplice, consuetudinaria.
Salve Viator,
"a priori" sì. Concordo.
Se prendiamo sul serio il cosiddetto problema dell'induzione (espresso da Russell nel celebre esempio del "
tacchino induttivista"), allora
non possiamo nemmeno dire che l'esperienza ci "mostra" che ci sono regolarità.
Ovviamente, se anche accettiamo l'esistenza di
regolarità, se non le conosciamo perfettamente ne consegue che a priori non possiamo essere certi di nessuna predizione.
CitazioneIl fatto che tutti i giorni il sole sia sorto per lungo tempo ha costituito una semplice constatazione della regolarità di ciò che nessuno spiegava.
La spiegazione razionale di ciò ci ha solo rassicurati circa il fatto che ciò dovrebbe verificarsi ancora lungamente in futuro.
Nessuna scienza può però garantirci che domani il fenomeno si ripeta.
"A priori" si può andare anche oltre, dicendo che tale "constatazione" potrebbe essere errata:
nulla ci garantisce a priori che l'osservazione di fenomeni che appaiono regolari implichi che ci siano
regolarità nei fenomeni come ben espressamente detto da Hume oltre che da Russell. Oppure considera quanto dice (il "primo") Wittgenstein, che ha estremizzato questo scetticismo:
"
6.3 L'esplorazione della logica significa l'esplorazione d'
ogni conformità a una legge. E fuori della logica tutto è accidente.
...
6.363 Il procedimento dell'induzione consiste nell'assumere la legge
più semplice che possa esser accordata con le nostre esperienze.
6.3631 Questo procedimento tuttavia ha una fondazione non logica, ma solo psicologica.
È chiaro che non esiste ragione di credere che davvero avverrà il caso più semplice.
6.36311 Che il sole domani sorgerà è un'ipotesi; e ciò vuol dire: noi non
sappiamo se esso sorgerà.
" (Tractatus Logico-Philosophicus - corsivo nel testo)
in pratica, Wittgenstein nega che l'esperienza ci possa dare alcuna vera conoscenza. Secondo lui, le uniche certezze possibili erano quelle matematiche e logiche. Ma solo ipotesi...
ovviamente,
ci suggerisce fortemente che ci sono regolarità...CitazioneConsuetudine prima e scienza poi sono solo gli elementi che ci incentivano a scegliere di credere in ciò.
Qui dici la stessa cosa di Hume. Anche per lui, le credenze si basano prima di tutto sull'abitudine...
CitazionePerciò convenzioni, linguaggi, aritmetiche e costruzioni scientifiche non hanno alcun potere nel generare o nell'influire sui fenomeni e quindi non possono prevedere alcunchè.
Appunto. Questo è il punto che volevo fare. Se la matematica è meramente convenzionale, (1) perché a volte
funziona così bene? (2) perché succede che certe "innovazioni" nel campo della matematica che sono nate senza alcuna intenzione applicativa, alla fine diventano addirittura quasi insostituibili nella pratica scientifica? A priori, non sappiamo nemmeno se ci sono regolarità o no (faccio notare, che la
casualità stessa è una regolarità...lo si capisce dal fatto che è facilmente esprimibile matematicamente). Anche ammettendo che ci siano regolarità nei fenomeni materiali, rimane il problema di giustificare il fatto che, a priori, tale regolarità potrebbe essere a noi incomprensibile.
Citazione Generano la fiducia nelle nostre capacità di "previsione" che potrà rivelarsi vincente solo A POSTERIORI, lasciandoci soddisfatti ed inducendoci ad insistere in quello che è solo UN AZZARDO CON PIU' CHE RAGIONEVOLI PROBABILITA' DI VINCITA.
E poichè vivere significa fare delle scelte, meglio basarle sulle regolarità che abbiamo già sperimentato. Per questo molti hanno già dei programmi per le prossime giornate. Saluti.
Vero. Però, se si fa la
ragionevole assunzione che le "regolarità della natura" sono parzialmente comprensibili da noi e che quindi la scienza è più che un semplice azzardo, rimane da discutere la natura del rapporto tra matematica e regolarità naturali :)
Buona serata!
X @sgiombo,volevo chiederti una curiosità sul parallelismo. Per quanto capisco io, il parallelismo tratta come indipendenti la materia e la mente. Perciò, mente e materia non interagiscono tra di loro. Dunque, ciò significa che i fenomeni materiali sono causati da altri fenomeni materiali (rispettando l'assunzione della chiusura causale) e che fenomeni mentali sono causati da fenomeni mentali. Se ciò è vero, però, come spieghi l'insorgenza dei fenomeni mentali quando si "attiva" la coscienza in un essere senziente (assumo che, per te, la coscienza di un essere ha un inizio)?
X @sgiombo e @Ipazia,secondo me Galilei era vicino ad una qualche forma di neoplatonismo. Il testo ovviamente è metaforico nel senso che l'universo
non è un libro. Ma, secondo me, testo sembra assumere che le regolarità della natura siano
matematiche. Faccio notare che questa ipotesi è rafforzata dal fatto che in quel periodo tra gli studiosi della natura c'è stato un "revival" nell'interesse nelle filosofie di stampo (neo-)platonico, vedi per esempio Keplero (che aveva un rapporto epistolare con Galilei). Galilei, inoltre, era convintissimo del fatto che la scienza naturale
dovesse essere espressa
matematicamente. Questa forte assunzione che le leggi naturali fossero esprimibili in forma matematica ha chiaramente forti somiglianze con la visione platonica/neo-platonica (e pitagorica)
. E visto, che in quel periodo c'era un forte "revival" di tali metafisiche, mi sembra ragionevole pensare che il pensiero di Galilei fosse stato influenzato da tali filosofie e che, di conseguenza, la sua "visione delle cose" non fosse poi così diversa da quella neo-platonica (in fin dei conti, visto che Galilei era credente non è poi così assurdo pensare che credesse che Dio avesse "modellato" l'universo secondo le "idee" matematiche...).
(mi affascina la metafisica di stampo platonico e quindi la mia valutazione potrebbe avere un "bias". Però, contestualizzando il pensiero di Galileo, penso di aver fatto il possibile per restare quanto più "oggettivo" :) )
@ apeiron
Anche in campo artistico, la scoperta delle regole della prospettiva e l'approfondimento delle relazioni numeriche tra i suoni nell'armonia musicale (il padre di Galileo, Vincenzo, era un insigne teorico musicale), riconfermavano l'idea platonica del carattere universale normativo della matematica.
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2018, 19:44:35 PM
CitazioneViator:
Perciò convenzioni, linguaggi, aritmetiche e costruzioni scientifiche non hanno alcun potere nel generare o nell'influire sui fenomeni e quindi non possono prevedere alcunchè.
Appunto. Questo è il punto che volevo fare. Se la matematica è meramente convenzionale, (1) perché a volte funziona così bene? (2) perché succede che certe "innovazioni" nel campo della matematica che sono nate senza alcuna intenzione applicativa, alla fine diventano addirittura quasi insostituibili nella pratica scientifica? A priori, non sappiamo nemmeno se ci sono regolarità o no (faccio notare, che la casualità stessa è una regolarità...lo si capisce dal fatto che è facilmente esprimibile matematicamente). Anche ammettendo che ci siano regolarità nei fenomeni materiali, rimane il problema di giustificare il fatto che, a priori, tale regolarità potrebbe essere a noi incomprensibile.
Citazione
Con tutto quanto rispondi a Viator concordo pienamente, salvo il ritenere problematico il fatto che che certe "innovazioni" nel campo della matematica che sono nate senza alcuna intenzione applicativa, alla fine diventano addirittura quasi insostituibili nella pratica scientifica, che in me non provoca nessuno stupore: che astrazioni matematiche possano essere state elaborate prima e successivamente si rilevino applicabili a (ovvero teoricamente ricavabili da; N.B.: applicabili eventualmente, e non necessariamente da applicare come pretenderebbero pitagorismo, platonismo, neoplatonismo, idealismi vari, ecc.) fenomeni fisici, posto che i fenomeni fisici sono misurabili e inoltre assunti (indimostrabilmente) come succedentisi secondo regolarità universali e costanti, mi sembra quanto di più ovvio e non problematico possa darsi.
Ho dei dubbi sulla tua affermazione che la casualità é facilmente esprimibile matematicamente.
Forse intendevi dire che sono facilmente esprimibili e trattabili, calcolabili matematicamente gli aspetti relativamente (non assolutamente) deterministici della casualità relativa (ovvero determinismo relativo) di tipo probabilistico statistico, assumendo che (salvo che per l' interpretazione conformistica della M Q) la realtà così descrivibile e calcolabile sia oggettivamente-ontologicamente deterministica e solo soggettivamente-gnoseologicamente (ma solo in parte; e non integralmente-assolutamente nemmeno per quanto riguarda questa parte) casuale o indeterministica (nel caso della M Q, se hanno ragione i "danesi" e i loro largamente ma non unanimemente preponderanti seguaci, si tratterebbe di un indeterminismo ovvero casualismo oggettivo-ontologico, ma comunque pur sempre limitato, relativo, parziale -id est di un determinismo oggettivo-ontologico limitato, relativo, parziale- dal momento che solo un caos "autentico", letterale, senza alcunché di determinato, universalmente e costantemente fisso e immutabile -nemmeno le proporzioni fra diversi possibili casi in numeri elevati di osservazioni- costituirebbe un indeterminismo integrale, assoluto).
Altrimenti non saprei come si potrebbe considerare esprimibile matematicamente questo caos "puro", integrale, assoluto.
*******************************************************************************************************
X @sgiombo,
volevo chiederti una curiosità sul parallelismo. Per quanto capisco io, il parallelismo tratta come indipendenti la materia e la mente. Perciò, mente e materia non interagiscono tra di loro. Dunque, ciò significa che i fenomeni materiali sono causati da altri fenomeni materiali (rispettando l'assunzione della chiusura causale) e che fenomeni mentali sono causati da fenomeni mentali. Se ciò è vero, però, come spieghi l'insorgenza dei fenomeni mentali quando si "attiva" la coscienza in un essere senziente (assumo che, per te, la coscienza di un essere ha un inizio)?
Citazione
Queste tue parole esprimono benissimo le mie convinzioni "parallelistiche" (salvo forse -mi scuso, ma sono pignolo di natura- il fatto che ritengo casualità in senso proprio o stretto -cioé esprimibile mediante equazioni matematiche- e dunque calcolabile, almeno in teoria, nei singoli casi concreti quella intercorrente fra i fenomeni materiali; in senso non del tutto proprio o largo quella fra i fenomeni menali, non esprimibile mediante equazioni matematiche e dunque non calcolabile: previsioni "verosimili" o "degne di credito" ma non "matematicamente certe").
Il fatto (indimostrabile, ma che ovviamente credo anch' io per fede, nel caso delle "altre", eccedenti la "mia propria" immediatamente vissuta) dell' inizio (e della fine) delle esperienze fenomeniche coscienti secondo me non ha una spiegazione, ma deve essere accettato (se lo si crede) come un "dato reale" non ulteriormente indagabile, criticabile, spiegabile.
Talora nella realtà in sé o noumeno accadono determinati eventi (si danno determinate circostanze) tali che ad esse, nella realtà fenomenica materiale accadente nell' ambito delle esperienze coscienti (per lo meno potenzialmente accadenti) di uomini, altri animali o eventuale "altro ancora" vi sono sistemi nervosi sufficientemente complessi (o "qualcosa di funzionalmente simile") e funzionanti in determinati modi (non sonno senza sogni o coma): e allora, in questi casi iniziano ad esistere determinate esperienze fenomeniche coscienti a tali funzionamenti di tali sistemi nervosi (o "funzionalmente analoghi marchingegni") biunivocamente corrispondenti, esperienze fenomeniche coscienti che poi, allorché si danno altre determinate circostanze della realtà in sé o noumeno cessano di esistere).
Ciò evidentemente implica -cosa che potrebbe apparire alquanto problematica ma che non ritengo tale da inficiare l' ipotesi teorica, l' ontologia- una certa asimmetria fra res extensa fenomenica e res ecogitans altrettanto fenomenica, con la prima che esisterebbe anche in assenza della seconda (quando sulla terra non esistevano animali coscienti qualche "visitatore extraterrestre" dotato di coscienza avrebbe potuto rilevarci la materia in assenza di altre esperienze coscienti oltre quella di tale fantomatico osservatore; i cervelli continuano ad esistere anche allorché i rispettivi "titolari" stanno dormendo senza sogni o magari sono in coma).
Ma cercare di superare queste perplessità (che ripeto di non ritenere comunque invalidanti la teoria) richiederebbe un' "esplorazione" alquanto fantasiosa e "malferma", fantastica e del tutto debbia e incerta nel "periglioso pelago" del pampsichismo.
In realtà il motivo principale che mi ha indotto a postulare l' esistenza del noumeno, in alternativa a una sorta di Leibniziana "armonia prestabilita" fra le diverse esperienze coscienti, per spiegare intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello/coscienza (fra l' altro in maniera meno "ipoteticamente dispendiosa" ovvero "più ockamisticamente corretta"), é proprio il fatto che quest' altra ipotesi non spiegherebbe secondo me l' esistenza di "enormi vuoti di coscienza spaziotemporali nella storia" e nella "geografia"dell' universo.
Come si potrebbe spiegare la corrispondenza poliunivoca fra esperienze fenomeniche coscienti dall' esistenza discontinua, in particolare attraverso quei lunghissimi e larghissimi intervalli di tempo e di spazio nei quali non vi sono (nel mondo fenomenico materiale intersoggettivo) animali coscienti che possano "passare il testimone dell' esistenza dei fenomeni materiali stessi", in assenza di una corrispondente realtà in sé o noumeno persistente senza discontinuità?
Ha certamente senso dire che v' é una universale corrispondenza puntuale e costante fra fenomeni materiali intersoggettivi e fra menti e cervelli senza qualcosa di persistente che giustifichi transitivamente tale corrispondenza negli enormi intervalli spaziotemporali in cui fenomeni (materiali e più estesamente ancora mentali) non ne esistono proprio; transitivamente" nel senso che tutti i fenomeni corrispondono a enti ed eventi della realtà in sé o noumeno, la quale esiste e diviene anche in tutte le enormi parti e per tutti quei lunghissimi tempi dell' universo nei quali non ci sono -se non in via meramente potenziale- fenomeni materiali di "cervelli e affini", e dunque non ci sono fenomeni (esperienze coscienti) in generale, di modo tale che quando e dove di nuovo le condizioni del noumeno vengono ad essere tale che esistono effettivamente, attualmente fenomeni materiali "tipo cervelli e affini" e dunque che esistano esperienze fenomeniche coscienti i loro "contenuti" materiali per il fatto di corrispondere biunivocamente alla realtà in sé che é sempre e dovunque esistita con continuità corrispondono al divenire dei fenomeni materiali anche in quegli enormi "buchi vuoti spaziotemporali" nei quali essi erano puramente potenziali e nessuno li ha mai osservati (e nulla di fenomenico é di fatto, attualmente, effettivamente, realmente accaduto di corrispondente ai fenomeni coscienti accaduti prima e dopo e oltre di essi).
Se non sono stato chiaro cercherò di svolgere meglio il ragionamento.
Il "nocciolo della questione é la dubbia sensatezza di una corrispondenza fra fenomeni nella discontinuità attuale di fatto (continuità meramente potenziale: "se qualcuno -che di fatto realmente non c'é- osservasse") della "storia e geografia dell' universo materiale" attraverso quei grandi lassi di tempo e spazio nei quali fenomeni materiali intersoggettivi possono darsi per l' appunto solo potenzialmente, senza che alcunché di realmente in atto accada (a meno che, per l' appunto realmente in atto, effettivamente reale continui ad essere il divenire del noumeno, sia pure non tale da fare esistere soggetti di esperienza fenomenica cosciente, anche attraverso tali enormi "intervalli vuoti di fenomeni""
@ipazia,Citazione@ apeiron
Anche in campo artistico, la scoperta delle regole della prospettiva e l'approfondimento delle relazioni numeriche tra i suoni nell'armonia musicale (il padre di Galileo, Vincenzo, era un insigne teorico musicale), riconfermavano l'idea platonica del carattere universale normativo della matematica.
Vero anche questo! Ed è anche vero, tra l'altro, che a quei tempi non c'era una "iperspecializzazione" come adesso, ovvero c'era molto più "dialogo" tra le varie discipline (questo, in pratica, significa che allora c'era più "scambio di idee" ...) :)
Tra l'altro la mia "fascinazione" alla visione platonica/neo-platonica deriva proprio dal fatto che "trovo" la matematica praticamente ovunque, sia nella natura che anche nell'operato umano (anche nei campi dove, spesso, una conoscenza della matematica è abbastanza ignorata...).
@sgiombo,CitazioneCon tutto quanto rispondi a Viator concordo pienamente, salvo il ritenere problematico il fatto che che certe "innovazioni" nel campo della matematica che sono nate senza alcuna intenzione applicativa, alla fine diventano addirittura quasi insostituibili nella pratica scientifica, che in me non provoca nessuno stupore: che astrazioni matematiche possano essere state elaborate prima e successivamente si rilevino applicabili a (ovvero teoricamente ricavabili da; N.B.: applicabili eventualmente, e non necessariamente da applicare come pretenderebbero pitagorismo, platonismo, neoplatonismo, idealismi vari, ecc.) fenomeni fisici, posto che i fenomeni fisici sono misurabili e inoltre assunti (indimostrabilmente) come succedentisi secondo regolarità universali e costanti, mi sembra quanto di più ovvio e non problematico possa darsi.
Non mi sarei mai aspettato di concordare su questo ;D secondo me è uno dei casi in cui qualcosa può "colpire profondamente" una persona e lasciare indifferente un'altra. Secondo me è una cosa strabiliante che tali "innovazioni" diventano così "utili". Ti fa quasi pensare che probabilmente una parte estremamente rilevante ( :o ) di ciò che è "scoperto" nello studio della matematica pura ha applicazioni pratiche. In questo io vedo qualcosa di molto "strano". Tu no. Personalmente, questo suggerisce che fenomeni mentali e materiali "funzionano" in modo analogo...Nel Teeteto si dice che la meraviglia è alla base della filosofia e quindi io potrei dirti che il mio approccio è "più filosofico" del tuo sulla questione. Tu, invece, puoi dirmi che non è razionale vedere "troppo" in tali cose e che, di conseguenza, io sbaglio a essere "meravigliato" della cosa.Penso che qui il dissenso è impossibile da "risolvere"...CitazioneHo dei dubbi sulla tua affermazione che la casualità é facilmente esprimibile matematicamente.
Forse intendevi dire che sono facilmente esprimibili e trattabili, calcolabili matematicamente gli aspetti relativamente (non assolutamente) deterministici della casualità relativa (ovvero determinismo relativo) di tipo probabilistico statistico, assumendo che (salvo che per l' interpretazione conformistica della M Q) la realtà così descrivibile e calcolabile sia oggettivamente-ontologicamente deterministica e solo soggettivamente-gnoseologicamente (ma solo in parte; e non integralmente-assolutamente nemmeno per quanto riguarda questa parte) casuale o indeterministica (nel caso della M Q, se hanno ragione i "danesi" e i loro largamente ma non unanimemente preponderanti seguaci, si tratterebbe di un indeterminismo ovvero casualismo oggettivo-ontologico, ma comunque pur sempre limitato, relativo, parziale -id est di un determinismo oggettivo-ontologico limitato, relativo, parziale- dal momento che solo un caos "autentico", letterale, senza alcunché di determinato, universalmente e costantemente fisso e immutabile -nemmeno le proporzioni fra diversi possibili casi in numeri elevati di osservazioni- costituirebbe un indeterminismo integrale, assoluto).
Altrimenti non saprei come si potrebbe considerare esprimibile matematicamente questo caos "puro", integrale, assoluto.
Intendevo più o meno quello che dici tu. Possiamo fare eccellenti modellizzazioni matematiche dei risultati dei lanci dei dadi ("dimenticandoci" che, in realtà, i lanci sono fenomeni "caotici" e quindi "determinisitici"), assumendo che sono completamente "randomici". La teoria della probabilità d'altronde è una branca della matematica e, di conseguenza, è possibile fare predizioni e modelli matematici di fenomeni causali (in questo senso). Concordo sul fatto che il "caos totale" (da non confondersi con il "caos" nella fisica) è inesprimibile matematicamente (e direi totalmente incomprensibile). Il "puro probabilismo" è una regolarità e direi anche piuttosto "comprensibile" (è ciò che tale "regolarità" implica che, probabilmente, può risultare molto "strano"...)CitazioneQueste tue parole esprimono benissimo le mie convinzioni "parallelistiche" (salvo forse -mi scuso, ma sono pignolo di natura- il fatto che ritengo casualità in senso proprio o stretto -cioé esprimibile mediante equazioni matematiche- e dunque calcolabile, almeno in teoria, nei singoli casi concreti quella intercorrente fra i fenomeni materiali; in senso non del tutto proprio o largo quella fra i fenomeni menali, non esprimibile mediante equazioni matematiche e dunque non calcolabile: previsioni "verosimili" o "degne di credito" ma non "matematicamente certe").
Ok! (Io uso un significato un po' più ampio del termine "causalità" ma capisco il tuo punto di vista) Grazie per la tua interessante delucidazione del tuo punto di vista. Faccio alcuni commenti di seguito.CitazioneCiò evidentemente implica -cosa che potrebbe apparire alquanto problematica ma che non ritengo tale da inficiare l' ipotesi teorica, l' ontologia- una certa asimmetria fra res extensa fenomenica e res ecogitans altrettanto fenomenica, con la prima che esisterebbe anche in assenza della seconda (quando sulla terra non esistevano animali coscienti qualche "visitatore extraterrestre" dotato di coscienza avrebbe potuto rilevarci la materia in assenza di altre esperienze coscienti oltre quella di tale fantomatico osservatore; i cervelli continuano ad esistere anche allorché i rispettivi "titolari" stanno dormendo senza sogni o magari sono in coma).
Ma cercare di superare queste perplessità (che ripeto di non ritenere comunque invalidanti la teoria) richiederebbe un' "esplorazione" alquanto fantasiosa e "malferma", fantastica e del tutto debbia e incerta nel "periglioso pelago" del pampsichismo.
Se i fenomeni materiali continuano ad esistere anche in assenza di coscienze o comunque "non esistono in relazione ad esse" (=teleologia - es. principio antropico - oppure la posizione di Schopenhauer per cui senza coscienze la realtà materiale non è nemmeno "pensabile"*) che differenza c'è tra essi e il noumeno? In pratica, mi sembra che tu identifichi - a meno di una corrispondenza biunivoca - i fenomeni materiali col noumeno ammettendo anche che, in realtà, non puoi avere "certezza" che ciò sia vero. Sul panpsichismo, la ritengo una teoria "interessante", eliminerebbe il problema dell'asimmetria di cui parli però concordo che è un "periglioso pelago". Una forma un po' più debole pare essere il "pan-esperienzialismo" di Whitehead, proposto nell'ambito della sua "filosofia del processo" (non ho ben capito la sua teoria anche perché non ho mai letto i suoi lavori, ma sembra abbastanza interessante). Bene o male, per evitare questa asimmetria Spinoza aveva assunto che ad ogni "corpo" corrispondeva una "mente", ovvero appoggiava una qualche forma di panpsichismo (anche se il termine non lo trovi mai nei suoi scritti).(Probabilmente per il coma non è vero, ma ritengo che nel sonno profondo sia ancora una coscienza e quindi non ci sia un "vuoto" in questo caso...)*[sto ancora provando a vedere se, senza ricorrere al "noumeno" come viene concepito da te è possibile rendere conto dell'inter-soggettività dei fenomeni (ci sono vari motivi per questo mio tentativo come quello dell'applicabilità delle categorie e così via..)... ho trovato alcuni argomenti a favore altri contrari (per questo motivo dicevo quando ho iniziato la discussione sulla matematica che non ero molto sicuro di quello che ho detto...)]CitazioneIn realtà il motivo principale che mi ha indotto a postulare l' esistenza del noumeno, in alternativa a una sorta di Leibniziana "armonia prestabilita" fra le diverse esperienze coscienti, per spiegare intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello/coscienza (fra l' altro in maniera meno "ipoteticamente dispendiosa" ovvero "più ockamisticamente corretta"), é proprio il fatto che quest' altra ipotesi non spiegherebbe secondo me l' esistenza di "enormi vuoti di coscienza spaziotemporali nella storia" e nella "geografia"dell' universo.
Capisco il tuo punto di vista e l'ipotesi sembra abbastanza sensata. Però il problema è che se la tua teoria è vera, come spieghi l'insorgenza della coscienza? Sicuramente la spiegazione è "nel noumeno". Ma contrariamente alla tua "corrispondenza biunivoca" tra fenomeno e noumeno sembra che il noumeno sia in grado, per così dire, di "generare" la coscienza, cosa che il fenomeno non è in grado di fare. D'altro canto, il problema rimane anche se i fenomeni mentali hanno una corrispondenza biunivoca col noumeno (cerco di usare il tuo "gergo" per evitare fraintendimenti). Infatti, se c'è una corrispondenza biunivoca tra fenomeni e noumeni ci deve essere necessariamente una corrispondenza biunivoca tra fenomeni e noumeno che riguarda il "parallelismo" tra fenomeni mentali e materiali. Ergo, mi sembra che nel tuo modello il problema si sposti al noumeno... CitazioneCitazioneSe non sono stato chiaro cercherò di svolgere meglio il ragionamento.
Il "nocciolo della questione é la dubbia sensatezza di una corrispondenza fra fenomeni nella discontinuità attuale di fatto (continuità meramente potenziale: "se qualcuno -che di fatto realmente non c'é- osservasse") della "storia e geografia dell' universo materiale" attraverso quei grandi lassi di tempo e spazio nei quali fenomeni materiali intersoggettivi possono darsi per l' appunto solo potenzialmente, senza che alcunché di realmente in atto accada (a meno che, per l' appunto realmente in atto, effettivamente reale continui ad essere il divenire del noumeno, sia pure non tale da fare esistere soggetti di esperienza fenomenica cosciente, anche attraverso tali enormi "intervalli vuoti di fenomeni""
Sei stato chiarissimo. Però, non mi hai convinto pienamente :) (Rimane poi la questione di come capire perché la regolarità è presente anche nel noumeno [e, ovviamente, rimane anche il problema del "perché la matematica funziona?" che per me sembra un "problema" e per te no :) d'altronde visto che per te fenomeno e noumeno devono avere una corrispondenza biunivoca ne segue che, per forza di cose, anche la regolarità nel noumeno è ben "approssimabile" dalla matematica. ]...ma ovviamente, su ciò si può anche rimanere scettici e non formulare ipotesi...)
Apeiron:
In questo [il fatto che capita che prima si stabiliscano teorizzazioni matematiche pure e poi si trovino applicazioni di esse ad aspetti del divenire naturale materiale] io vedo qualcosa di molto "strano". Tu no
Penso che qui il dissenso è impossibile da "risolvere"...
Sgiombo:
Sono perfettamente d' accordo sul disaccordo.
Aperion:
Intendevo più o meno quello che dici tu. Possiamo fare eccellenti modellizzazioni matematiche dei risultati dei lanci dei dadi ("dimenticandoci" che, in realtà, i lanci sono fenomeni "caotici" e quindi "determinisitici"), assumendo che sono completamente "randomici". La teoria della probabilità d'altronde è una branca della matematica e, di conseguenza, è possibile fare predizioni e modelli matematici di fenomeni causali (in questo senso). Concordo sul fatto che il "caos totale" (da non confondersi con il "caos" nella fisica) è inesprimibile matematicamente (e direi totalmente incomprensibile). Il "puro probabilismo" è una regolarità e direi anche piuttosto "comprensibile" (è ciò che tale "regolarità" implica che, probabilmente, può risultare molto "strano"...)
Sgiombo:
Il "caos" della fisica si identifica con i fenomeni "caotici" e quindi "deterministici" (= in linea teorica di principio "perfettamente" prevedibili-postvedibili e calcolabili purché se ne conoscano con adeguata completezza e precisione le condizioni particolari concrete a un dato istante e leggi generali astratte del loro divenire; cosa di fatto impossibile), come i lanci dei dati?
Spero proprio che mi risponderai affermativamente, poiché altrimenti vorrebbe dire che non ho capito nulla di quanto qui scrivi).
Apeiron:
Se i fenomeni materiali continuano ad esistere anche in assenza di coscienze o comunque "non esistono in relazione ad esse" (=teleologia - es. principio antropico - oppure la posizione di Schopenhauer per cui senza coscienze la realtà materiale non è nemmeno "pensabile"*) che differenza c'è tra essi e il noumeno? In pratica, mi sembra che tu identifichi - a meno di una corrispondenza biunivoca - i fenomeni materiali col noumeno ammettendo anche che, in realtà, non puoi avere "certezza" che ciò sia vero.
Sgiombo:
I fenomeni materiali non continuano affatto ad esistere anche in assenza di coscienze* dal momento che non sono nient' altro che "contenuti" o "costituenti di coscienze (esperienze fenomeniche coscienti)*, venendo meno le quali essi stessi inevitabilmente vengono meno: quando un uomo (o altro animale cosciente) dorme senza sognare non esistono i fenomeni materiali (e anche mentali) propri de- (ovvero: costituenti la e costituiti da) -la "sua propria" esperienza cosciente**, ma continuano ad esistere i fenomeni materiali facenti parte delle esperienze coscienti* di chi osserva tale uomo o altro animale (e il rispettivo cervello in particolare): ma se non esistessero (queste ultime) coscienze*, ovvero "in assenza di (queste) coscienze*", allora i fenomeni materiali (costituenti tale uomo o animale) non esisterebbero (se queste coscienze* venissero meno, allora tali fenomeni materiali non continuerebbero affatto ad esistere).
Infatti i fenomeni (materiali e mentali) non esistono "in relazione" ad alcuna coscienza, ma invece in quanto costituenti esperienze coscienti e nient' altro e costituiti da esperienze coscienti e da nient' altro.
Qui tu non vedi differenza fra fenomeni materiali e noumeno proprio perché ricadi ancora una volta nella confusione fra queste due ben diverse cose: i fenomeni materiali non sono affatto reali in sé (non sono affatto il noumeno), ma invece unicamente in quanto insiemi - successioni di percezioni fenomeniche: "Esse est percipi" (Berkeley)!
E' la solita indebita ipostatizzazione dei fenomeni come pretese cose in sé propria del senso comune.
Sono assolutamente certo che sia vero che i fenomeni materiali (del tutto al pari di quelli mentali) non si identificano affatto col noumeno.
Ciò di cui non posso avere certezza che sia vero é invece che il noumeno (il congetturabile reale in sé) anziché essere costituito da nulla (non esistere affatto realmente; o anziché essere costituito da altro ancora) sia qualcosa in divenire in corrispondenza biunivoca con i fenomeni.
Apeiron:
Sul panpsichismo, la ritengo una teoria "interessante", eliminerebbe il problema dell'asimmetria di cui parli però concordo che è un "periglioso pelago". Una forma un po' più debole pare essere il "pan-esperienzialismo" di Whitehead, proposto nell'ambito della sua "filosofia del processo" (non ho ben capito la sua teoria anche perché non ho mai letto i suoi lavori, ma sembra abbastanza interessante). Bene o male, per evitare questa asimmetria Spinoza aveva assunto che ad ogni "corpo" corrispondeva una "mente", ovvero appoggiava una qualche forma di panpsichismo (anche se il termine non lo trovi mai nei suoi scritti).
Sgiombo:
Non ritengo un reale problema l' asimmetria di cui parlo.
Di Whitehead ho letto (anni fa!) La scienza e il mondo moderno, ma sinceramente non me ne ricordo nulla (non credo parlasse di quanto qui accenni perché mi sembrerebbe strano non ricordarmene).
Contrariamente a Spinoza (ma penso concordemente con quanto empiricamente osservabile direttamente e ricavabile dai resoconti introspettivi indirettamente) non credo che a "ogni preciso aspetto" della Sostanza Divina -per dirlo col grande olandese: per me del noumeno o cosa in sé- corrisponda sempre e comunque un preciso aspetto di ogni suo attributo -per me manifestazione fenomenica- ma invece che nelle varie esperienze fenomeniche coscienti solo una parte del noumeno abbia corrispondenze biunivoche materiali e una parte (ancora minore) ne abbia di materiali (ma questa "asimmetria" non mi sembra inficiare minimamente la teoria e piuttosto essere più adeguata a quanto empiricamente rilevabile); inoltre contrariamente al grande Spinoza mi limito a credere che esistano solo i due tipi di fenomeni (materiali e mentali) di fatto rilevabili e rilevati senza postularne infiniti altri non osservabili.
Apeiron:
(Probabilmente per il coma non è vero, ma ritengo che nel sonno profondo sia ancora una coscienza e quindi non ci sia un "vuoto" in questo caso...)
Sgiombo:
Solitamente in neurologia si ritiene che il sonno più profondo (R.E.M.) sia quelle in cui si sogna.
Ma "sonno senza sogni" =/= "assenza di coscienza".
Sgiombo:
In realtà il motivo principale che mi ha indotto a postulare l' esistenza del noumeno, in alternativa a una sorta di Leibniziana "armonia prestabilita" fra le diverse esperienze coscienti, per spiegare intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello/coscienza (fra l' altro in maniera meno "ipoteticamente dispendiosa" ovvero "più ockamisticamente corretta"), é proprio il fatto che quest' altra ipotesi non spiegherebbe secondo me l' esistenza di "enormi vuoti di coscienza spaziotemporali nella storia" e nella "geografia"dell' universo.
Apeiron:
Capisco il tuo punto di vista e l'ipotesi sembra abbastanza sensata.
Però il problema è che se la tua teoria è vera, come spieghi l'insorgenza della coscienza? Sicuramente la spiegazione è "nel noumeno". Ma contrariamente alla tua "corrispondenza biunivoca" tra fenomeno e noumeno sembra che il noumeno sia in grado, per così dire, di "generare" la coscienza, cosa che il fenomeno non è in grado di fare. D'altro canto, il problema rimane anche se i fenomeni mentali hanno una corrispondenza biunivoca col noumeno (cerco di usare il tuo "gergo" per evitare fraintendimenti). Infatti, se c'è una corrispondenza biunivoca tra fenomeni e noumeni ci deve essere necessariamente una corrispondenza biunivoca tra fenomeni e noumeno che riguarda il "parallelismo" tra fenomeni mentali e materiali. Ergo, mi sembra che nel tuo modello il problema si sposti al noumeno
Sgiombo:
Non vedo problemi: l' insorgere della coscienza """dalla""" realtà in sé in determinate circostanze (e non """dalla""" materia dei cervelli, che sono in coscienze di già insorte! E che non vanno confusi col noumeno o cosa in sé!) é un dato di fatto non ulteriormente analizzabile: così é se vi pare (e anche se non vi pare).
Le triplici virgolette perché si tratta solo metaforicamente di una relazione causale o men che meno spaziale: letteralmente di mera corrispondenza biunivoca.
Il fenomeno non può generare nessuna coscienza per il semplice fatto che esso stesso non é nient' altro che coscienza "di già generata" (semmai da qualcos' altro di non fenomenico).
Ovvio che i fenomeni mentali, né più ne meno di quelli materiali, hanno una corrispondenza biunivoca col noumeno: quale mai sarebbe il "problema spostato nel noumeno"?
Essendovi una corrispondenza biunivoca tra fenomeni (tanto materiali -res extensa- quanto mentali –res cogitans-) e noumeno ci deve essere ovviamente un "parallelismo" tra fenomeni mentali (res cogitans) e materiali (res extensa), dal momento che gli uni e gli altri divengono in corrispondenza biunivoca (parallelamente) a quella stessa "cosa (in sé!)" che é il divenire del noumeno: due rette parallele entrambe ad una terza retta sono parallele anche fra loro).
Apeiron:
(Rimane poi la questione di come capire perché la regolarità è presente anche nel noumeno [e, ovviamente, rimane anche il problema del "perché la matematica funziona?" che per me sembra un "problema" e per te no d'altronde visto che per te fenomeno e noumeno devono avere una corrispondenza biunivoca ne segue che, per forza di cose, anche la regolarità nel noumeno è ben "approssimabile" dalla matematica. ]...ma ovviamente, su ciò si può anche rimanere scettici e non formulare ipotesi...)
Sgiombo:
La regolarità del divenire deve essere presente anche nel noumeno perché si possano spiegare con le corrispondenze biunivoche i rapporti fra cervello e coscienza e l' intersoggettività dei fenomeni materiali: tutte cose che (si assume indimostrabilmente) divengono regolarmente
Infatti per me quello della "matematica che funziona" non é assolutamente per niente affatto un problema ma qualcosa di del tutto ovvio.
Ma non per la corrispondenza biunivoca fra fenomeni e noumeno (che secondo me non c' entra per nulla), ma semplicemente perché la matematica pura é fatta di deduzioni logiche da astrazioni assiomatizzate di osservazioni concrete fisiche materiali (fenomeni materiali, quantitativamente misurabili).
Sgiombo,CitazioneSgiombo:
Il "caos" della fisica si identifica con i fenomeni "caotici" e quindi "deterministici" (= in linea teorica di principio "perfettamente" prevedibili-postvedibili e calcolabili purché se ne conoscano con adeguata completezza e precisione le condizioni particolari concrete a un dato istante e leggi generali astratte del loro divenire; cosa di fattoimpossibile), come i lanci dei dati?
Spero proprio che mi risponderai affermativamente, poiché altrimenti vorrebbe dire che non ho capito nulla di quanto qui scrivi).
Hai capito bene :)
CitazioneI fenomeni materiali non continuano affatto ad esistere anche in assenza di coscienze* dal momento che non sono nient' altro che "contenuti" o "costituenti di coscienze (esperienze fenomeniche coscienti)*, venendo meno le quali essi stessi inevitabilmente vengono meno: quando un uomo (o altro animale cosciente) dorme senza sognare non esistono i fenomeni materiali (e anche mentali) propri de- (ovvero: costituenti la e costituiti da) -la "sua propria" esperienza cosciente**, ma continuano ad esistere i fenomeni materiali facenti parte delle esperienze coscienti* di chi osserva tale uomo o altro animale (e il rispettivo cervello in particolare): ma se non esistessero (queste ultime) coscienze*, ovvero "in assenza di (queste) coscienze*", allora i fenomeni materiali (costituenti tale uomo o animale) non esisterebbero (se queste coscienze* venissero meno, allora tali fenomeni materiali non continuerebbero affatto ad esistere).
Capisco... penso che qui ci sia una differenza di vedute ( di fatto è ciò che mi rendeva perplesso di quanto avevo scritto un po' di tempo fa... :-[)
Per me l'idealismo trascendentale ci dice mondo fenomenico è "la realtà vista
da noi". In fisica, la nozione che più ci assomiglia, secondo me è la nozione di "sistema di riferimento". Già nella fisica classica, per esempio, i corpi, come proprietà intrinseca, la "velocità". In realtà, la velocità, contrariamente a quello che ci suggerirebbe la nostra intuizione non è una proprietà intrinseca degli oggetti ma una proprietà degli oggetti
in relazione ad un altro "oggetto". Dunque, frasi come "l'automobile va ai 100km/h" sono incomplete perché manca la qualificazione del sistema di riferimento. Per esempio, è, invece, corretto dire: "l'automobile va ai 100km/h nel riferimento in quiete dell'autovelox". [Carlo Rovelli ha esteso questo tipo di ragionamento a
tutte le quantità fisiche (!). Questo tipo di ragionamento, ovvero di concepire la realtà in modo "relazionalistico" (non "relativistico" nel senso della filosofia post-moderna!!!) secondo me ha avuto molto successo! E, personalmente, ci vedo analogie con la filosofia di Kant, Schopenhauer ecc anche se nel caso di Rovelli la coscienza non ha un ruolo privilegiato... ]
Allo stesso modo, secondo me, l'idealismo trascendentale ci dice che io non vedo "il mondo" ma vedo il "mondo visto da me". Dunque, così si capisce perché Schopenhauer può dire che "l'oggetto senza soggetto non è pensabile", ovvero non possiamo pensare al mondo "al di fuori" della nostra prospettiva. In pratica, il mondo fenomenico non si riduce alle sole "sensazioni" bensì è la "realtà vista da noi". Per questo motivo usare le categorie dell'intelletto, come la causalità, diventa problematico nel caso della "realtà in sé". Non a caso, Kant, a differenza di Hume riteneva che potevamo, limitandoci al mondo fenomenico, usare la causalità senza problemi. Dunque, secondo me, il mondo fenomenico non si riduce alle sole sensazioni ma anche alle loro cause (ovviamente, io sto assumendo come "vera" la causalità anche se Hume ha ragione nel dire che non possiamo saperlo dalla sola induzione...): in fin dei conti, la conoscenza che abbiamo di esse è sempre associata al nostro "punto di vista", per così dire. Se i fenomeni materiali si riducono alle semplici sensazioni, "oggetti non osservabili" dal nostro apparato percettivo come elettroni, quarks ecc non esistono nel "mondo materiale".
Spero di essermi spiegato (anche se ammetto che non sono stato chiaro...consiglio di pensare ai sistemi di riferimento per capire meglio).
CitazioneSono assolutamente certo che sia vero che i fenomeni materiali (del tutto al pari di quelli mentali) non si identificano affatto col noumeno.
Ciò di cui non posso avere certezza che sia vero é invece che il noumeno (il congetturabile reale in sé) anziché essere costituito da nulla (non esistere affatto realmente; o anziché essere costituito da altro ancora) sia qualcosa in divenire in corrispondenza biunivoca con i fenomeni.
Nota: qui cerco di usare il tuo gergo e di essere consistente col tuo sistema...
"Corrispondenza biunivoca" significa che esiste una "funzione" F, tale che ad ogni elemento di un insieme X si associa uno e un solo elemento di un insieme Y (e viceversa).
Nel tuo caso: X='mondo fenomenico', Y='noumeno'.
Però, X={'fenomeni mentali','fenomeni materiali'} (ovvero X, il mondo fenomenico, è formato da fenomeni mentali e materiali)
Y = F(X) e di conseguenza per biunivocità: Y = F('fenomeni mentali','fenomeni materiali')
Ergo, di conseguenza è possibile scrivere Y come: Y = (F('fenomeni mentali'),F('fenomeni materiali'))
Dunque: F('fenomeni mentali') e F('fenomeni materiali') corrispondono a, rispettivamente, 'fenomeni mentali' e 'fenomeni materiali'. La funzione inversa di F, di fatto, è la rappresentazione che darebbe la coscienza del noumeno (sto sempre ).
Se 'fenomeni mentali' e 'fenomeni materiali' sono indipendenti anche F('fenomeni mentali') e F('fenomeni materiali') sono tra di loro indipendenti e, quindi, nel noumeno non si può trovare alcuna ragione per evitare il problema...
CitazioneContrariamente a Spinoza (ma penso concordemente con quanto empiricamente osservabile direttamente e ricavabile dai resoconti introspettivi indirettamente) non credo che a "ogni preciso aspetto" della Sostanza Divina -per dirlo col grande olandese: per me del noumeno o cosa in sé- corrisponda sempre e comunque un preciso aspetto di ogni suo attributo -per me manifestazione fenomenica- ma invece che nelle varie esperienze fenomeniche coscienti solo una parte del noumeno abbia corrispondenze biunivoche materiali e una parte (ancora minore) ne abbia di materiali (ma questa "asimmetria" non mi sembra inficiare minimamente la teoria e piuttosto essere più adeguata a quanto empiricamente rilevabile); inoltre contrariamente al grande Spinoza mi limito a credere che esistano solo i due tipi di fenomeni (materiali e mentali) di fatto rilevabili e rilevati senza postularne infiniti altri non osservabili.
Tuttavia anche in questo caso, devi ammettere che alcuni dei "precisi aspetti" della "Sostanza Divina" siano la causa della mente. Infatti, ammettendo che ci siano altri aspetti non "rappresentati" otteniamo (ma in questo caso la corrispondenza non è più biunivoca...):
Y = {F('fenomeni materiali'),F('fenomeni mentali'),...}
dove "..." sono gli altri aspetti. Ora, se ammettiamo che, in qualche modo, la mente è insorta, dobbiamo dire che la ragione di tale insorgenza deve essere in questi "...". Ma questo, di fatto, equivale a dire che la ragione dell'insorgenza della mente è completamente ignota. In pratica, l'insorgenza della mente (e quindi anche dell'esperienza cosciente) sono completamente intelligibili.
CitazioneSgiombo:
Solitamente in neurologia si ritiene che il sonno più profondo (R.E.M.) sia quelle in cui si sogna.
Ma "sonno senza sogni" =/= "assenza di coscienza".
Chiedo per semplice curiosità :)
Ma il "sonno profondo" non è la fase NON-R.E.M. dove le attività cerebrali e metaboliche sono al minimo? ::) E lo stato R.E.M non è, di fatto, quello più simile alla veglia dal punto di vista della attività?
Sgiombo:
La regolarità del divenire deve essere presente anche nel noumeno perché si possano spiegare con le corrispondenze biunivoche i rapporti fra cervello e coscienza e l' intersoggettività dei fenomeni materiali: tutte cose che (si assume indimostrabilmente) divengono regolarmente
Infatti per me quello della "matematica che funziona" non é assolutamente per niente affatto un problema ma qualcosa di del tutto ovvio.
Ma non per la corrispondenza biunivoca fra fenomeni e noumeno (che secondo me non c' entra per nulla), ma semplicemente perché la matematica pura é fatta di deduzioni logiche da astrazioni assiomatizzate di osservazioni concrete fisiche materiali (fenomeni materiali, quantitativamente misurabili).In realtà, non è problematico se assumi che tali regolarità siano così "bene" rappresentabili da concetti matematici astratti come numeri immaginari, spazi di Hilbert ecc :)
Apeiron:
Capisco... penso che qui ci sia una differenza di vedute ( di fatto è ciò che mi rendeva perplesso di quanto avevo scritto un po' di tempo fa..
Per me l'idealismo trascendentale ci dice mondo fenomenico è "la realtà vista da noi". In fisica, la nozione che più ci assomiglia, secondo me è la nozione di "sistema di riferimento". Già nella fisica classica, per esempio, i corpi, come proprietà intrinseca, la "velocità". In realtà, la velocità, contrariamente a quello che ci suggerirebbe la nostra intuizione non è una proprietà intrinseca degli oggetti ma una proprietà degli oggetti in relazione ad un altro "oggetto". Dunque, frasi come "l'automobile va ai 100km/h" sono incomplete perché manca la qualificazione del sistema di riferimento. Per esempio, è, invece, corretto dire: "l'automobile va ai 100km/h nel riferimento in quiete dell'autovelox". [Carlo Rovelli ha esteso questo tipo di ragionamento a tutte le quantità fisiche (!). Questo tipo di ragionamento, ovvero di concepire la realtà in modo "relazionalistico" (non "relativistico" nel senso della filosofia post-moderna!!!) secondo me ha avuto molto successo! E, personalmente, ci vedo analogie con la filosofia di Kant, Schopenhauer ecc anche se nel caso di Rovelli la coscienza non ha un ruolo privilegiato... ]
Sgiombo:
Ma la questione rilevante non é quella (per me ovvia) della relatività e non assolutezza di qualsiasi misura misura fisica.
Il fatto ontologicamente importante é che, contrariamente al "senso comune" ( cui aderiscono generalmente i fisici come tutte le altre categorie di persone), delle cose materiali (le cui qualità e rispettivo divenire sono ovviamente relative) l' "esse est pecipi" (Berkeley): esse sono reali solo e unicamente come fenomeni ovvero mere "apparenze sensibili", insiemi - successioni di sensazioni e solo se e quando e fintanto che in quanto tali (mere "apparenze sensibili", insiemi - successioni di sensazioni ) accadono; mentre se qualcosa é reale anche in sé, cioé indipendentemente dal loro accadere (anche se e quando esse realmente non accadono), per non cadere in una plateale contraddizione bisogna ammettere che si tratta di altre, diverse cose, non apparenti (non fenomeni) ma solo congetturabili (solo noumeno).
Apeiron:
Allo stesso modo, secondo me, l'idealismo trascendentale ci dice che io non vedo "il mondo" ma vedo il "mondo visto da me". Dunque, così si capisce perché Schopenhauer può dire che "l'oggetto senza soggetto non è pensabile", ovvero non possiamo pensare al mondo "al di fuori" della nostra prospettiva. In pratica, il mondo fenomenico non si riduce alle sole "sensazioni" bensì è la "realtà vista da noi".
Sgiombo:
Che differenza c'é?
Io non ne vedo.
Apeiron:
Per questo motivo usare le categorie dell'intelletto, come la causalità, diventa problematico nel caso della "realtà in sé". Non a caso, Kant, a differenza di Hume riteneva che potevamo, limitandoci al mondo fenomenico, usare la causalità senza problemi.
Sgiombo:
E sbagliava (casomai senza problemi pratici; non certo senza problemi teorici, come sostenuto da Hume.
Apeiron:
Dunque, secondo me, il mondo fenomenico non si riduce alle sole sensazioni ma anche alle loro cause (ovviamente, io sto assumendo come "vera" la causalità anche se Hume ha ragione nel dire che non possiamo saperlo dalla sola induzione...): in fin dei conti, la conoscenza che abbiamo di esse è sempre associata al nostro "punto di vista", per così dire. Se i fenomeni materiali si riducono alle semplici sensazioni, "oggetti non osservabili" dal nostro apparato percettivo come elettroni, quarks ecc non esistono nel "mondo materiale
Spero di essermi spiegato (anche se ammetto che non sono stato chiaro...consiglio di pensare ai sistemi di riferimento per capire meglio).
Sgiombo:
Ma in realtà le cause dei fenomeni sono altri fenomeni né più né meno dei loro effetti. di oggetti .Sono cose non osservate ma osservabili o comunque anche se non osservabili ricavabili inferenzialmente da quanto direttamente osservato, e dunque reali non più di quanto sia reale il direttamente osservato, ovvero non più che come apparenze fenomeniche non reali allorché ciò da cui sono inferite non é reale in quanto insieme – successione di mere apparenze sensibili.
Allorché non é visto un albero non esiste l' albero e dunque non esistono nemmeno gli atomi, i quark, ecc. che lo costituiscono; se qualcosa esiste anche allora (come credo per fede), non é l' albero, né ciò che circa la sua costituzione possiamo inferire, che ciò sia visibile o meno: se é invisibile, allora é invisibile come il noumeno ma non é in sé come il noumeno, non é il noumeno; é bensì ciò che di invisibile costituisce i fenomeni. E infatti se nella realtà in toto non ci fossero enti coscienti soggetti di esperienza fenomenica, nemmeno ci sarebbero, oltre agli oggetti fenomenici macroscopici, nemmeno i loro costituenti di cui si ha (ma solo se si é soggetti di coscienza) inferenza: non ci sarebbe l' universo materiale (fenomenico; né i fenomeni mentali, di pensiero).
Non vedo che ci azzecchino i sistemi di riferimento.
Sgiombo:
Sono assolutamente certo che sia vero che i fenomeni materiali (del tutto al pari di quelli mentali) non si identificano affatto col noumeno.Ciò di cui non posso avere certezza che sia vero é invece che il noumeno (il congetturabile reale in sé) anziché essere costituito da nulla (non esistere affatto realmente; o anziché essere costituito da altro ancora) sia qualcosa in divenire in corrispondenza biunivoca con i fenomeni.
Apeiron:
Nota: qui cerco di usare il tuo gergo e di essere consistente col tuo sistema...
"Corrispondenza biunivoca" significa che esiste una "funzione" F, tale che ad ogni elemento di un insieme X si associa uno e un solo elemento di un insieme Y (e viceversa).
Nel tuo caso: X='mondo fenomenico', Y='noumeno'.
Però, X={'fenomeni mentali','fenomeni materiali'} (ovvero X, il mondo fenomenico, è formato da fenomeni mentali e materiali)
Y = F(X) e di conseguenza per biunivocità: Y = F('fenomeni mentali','fenomeni materiali')
Ergo, di conseguenza è possibile scrivere Y come: Y = (F('fenomeni mentali'),F('fenomeni materiali'))
Dunque: F('fenomeni mentali') e F('fenomeni materiali') corrispondono a, rispettivamente, 'fenomeni mentali' e 'fenomeni materiali'. La funzione inversa di F, di fatto, è la rappresentazione che darebbe la coscienza del noumeno (sto sempre )
Se 'fenomeni mentali' e 'fenomeni materiali' sono indipendenti anche F('fenomeni mentali') e F('fenomeni materiali') sono tra di loro indipendenti e, quindi, nel noumeno non si può trovare alcuna ragione per evitare il problema...
Sgiombo:
Non ti seguo in questi formalismi astratti.
"Corrispondenza biunivoca" significa che per ogni determinata situazione del noumeno c'é una e una sola determinata situazione dei fenomeni (se ci sono fenomeni; cioé in quelle situazioni del noumeno -non tutte- che hanno corrispondenze coscienti); e che per ogni determinata situazione dei fenomeni mentali (res cogitans) c'é (per lo meno potenzialmente: se si va a cercarla empiricamente in maniera adeguata) una e una sola determinata situazione dei fenomeni materiali (res extensa; se ci sono fenomeni mentali; cioé in quelle situazioni dei fenomeni materiali -non tutte: sonno senza sogni, coma- che hanno corrispondenze mentali).
E non ci vedo alcun problema.
CONTINUA
CONTINUAZIONE
Sgiombo:
Contrariamente a Spinoza (ma penso concordemente con quanto empiricamente osservabile direttamente e ricavabile dai resoconti introspettivi indirettamente) non credo che a "ogni preciso aspetto" della Sostanza Divina -per dirlo col grande olandese: per me del noumeno o cosa in sé- corrisponda sempre e comunque un preciso aspetto di ogni suo attributo -per me manifestazione fenomenica- ma invece che nelle varie esperienze fenomeniche coscienti solo una parte del noumeno abbia corrispondenze biunivoche materiali e una parte (ancora minore) ne abbia di materiali (ma questa "asimmetria" non mi sembra inficiare minimamente la teoria e piuttosto essere più adeguata a quanto empiricamente rilevabile); inoltre contrariamente al grande Spinoza mi limito a credere che esistano solo i due tipi di fenomeni (materiali e mentali) di fatto rilevabili e rilevati senza postularne infiniti altri non osservabili.
Apeiron:
Tuttavia anche in questo caso, devi ammettere che alcuni dei "precisi aspetti" della "Sostanza Divina" siano la causa della mente. Infatti, ammettendo che ci siano altri aspetti non "rappresentati" otteniamo (ma in questo caso la corrispondenza non è più biunivoca...):
Sgiombo:
E' biunivoca in tutti i casi in cui c' é.
Ma perché mai dovrebbe necessariamente esserci sempre?
Apeiron:
Y = {F('fenomeni materiali'),F('fenomeni mentali'),...}
dove "..." sono gli altri aspetti. Ora, se ammettiamo che, in qualche modo, la mente è insorta, dobbiamo dire che la ragione di tale insorgenza deve essere in questi "...". Ma questo, di fatto, equivale a dire che la ragione dell'insorgenza della mente è completamente ignota. In pratica, l'insorgenza della mente (e quindi anche dell'esperienza cosciente) sono completamente intelligibili.
Sgiombo:
Per forza nel cercare spiegazioni prima o poi ci si imbatte in spiegazioni a loro volta inspiegate.
Niente di strano!
Sgiombo:
Solitamente in neurologia si ritiene che il sonno più profondo (R.E.M.) sia quelle in cui si sogna.
Ma "sonno senza sogni" =/= "assenza di coscienza".
Apeiron:
Chiedo per semplice curiosità
Ma il "sonno profondo" non è la fase NON-R.E.M. dove le attività cerebrali e metaboliche sono al minimo? E lo stato R.E.M non è, di fatto, quello più simile alla veglia dal punto di vista della attività?
Sgiombo:
Al sonno REM si giunge per progressivo "approfondimento" da precedenti fasi più "leggere" (avrai fatto caso che anche soggettivamente di solito se in una pennichella pomeridiana capita di sognare quando ci si sveglia si ha l' impressione di aver dormito più profondamente che quando non si sogna.
Sgiombo:
La regolarità del divenire deve essere presente anche nel noumeno perché si possano spiegare con le corrispondenze biunivoche i rapporti fra cervello e coscienza e l' intersoggettività dei fenomeni materiali: tutte cose che (si assume indimostrabilmente) divengono regolarmente.
Infatti per me quello della "matematica che funziona" non é assolutamente per niente affatto un problema ma qualcosa di del tutto ovvio.
Ma non per la corrispondenza biunivoca fra fenomeni e noumeno (che secondo me non c' entra per nulla), ma semplicemente perché la matematica pura é fatta di deduzioni logiche da astrazioni assiomatizzate di osservazioni concrete fisiche materiali (fenomeni materiali, quantitativamente misurabili).
Apeiron:
In realtà, non è problematico se assumi che tali regolarità siano così "bene" rappresentabili da concetti matematici astratti come numeri immaginari, spazi di Hilbert ecc
Sgiombo:
Ma allora (anche per te) dove mai starebbe la "problematicità"?
Sgiombo,
Il discorso che volevo fare è questo. Secondo Kant, a differenza di Hume e Berkeley, la nostra mente non è una tabula rasa ma "ordina" l'esperienza attraverso le intuizioni a priori, come ad esempio la causalità. Tale "ordine" rende l'esperienza comprensibile e ne rende possibile una analisi con la ragione.
Ora, l'esperienza più immediata che abbiamo sono le "sensazioni". Tuttavia, se la nostra esperienza è ordinata con la causalità, ciò implica che le sensazioni sono causate dagli oggetti esterni (alla nostra esperienza cosciente) . Per Kant questi "oggetti esterni" erano però parte del mondo fenomenico anche se non erano percepiti (Kant riteneva che l'esistenza dei fenomeni non richiedeva la percezione, a differenza di Berkeley). Quindi abbiamo una antonomia: da un lato la causalità è un modo con cui la mente "organizza" l'esperienza. Dall'altro invece gli oggetti esterni pur essendo "esterni" sono parte del mondo fenomenico e quindi sono necessari per l'"organizzazione" dell'esperienza cosciente stessa.
Dunque per Kant la nostra esperienza cosciente è "ordinata" dalla causalità e per questo motivo implica la presenza di oggetti esterni. Tuttavia, tale "esperienza" è "nostra", ovvero di un particolare "punto di vista". Ma siccome la struttura dell'esperienza implica la presenza degli oggetti esterni ad essa, ciò significa che sensazioni e loro cause sono "oggetti per un soggetto". In altre parole, se la causalità è un modo con cui la mente organizza l'esperienza e se gli oggetti esterni sono cause delle sensazioni, ne segue che devi pensare tali oggetti come oggetti in relazione ad un soggetto (da qui l'analogia con i valori delle velocità misurati in relazione a un sistema di riferimento...). Nota che questa non è una posizione ontologica (gli oggetti esterni esistono in dipendenza dal soggetto) ma epistemologica (sono pensabili in relazione ad un soggetto). Nota che per "oggetti esterni" intendo cause delle sensazioni e quindi cose come atomi,elettroni ecc, cose non "visibili". Assumendo dunque che l'esperienza ha una struttura causale si deve assumere l'esistenza di oggetti esterni (nota che il realismo diretto direbbe che la causalità è una proprietà delle "cose esterne indipendenti dalla mente". La filosofia di Kant su di ciò rimane agnostico ma dice che se si accetta il solo fatto che la nostra esperienza è caratterizzata dalla causalità si devono accettare gli oggetti esterni (e anche rapporti causali tra di loro)...). Il fatto che gli oggetti siano esterni ma non pensabili se non in relazione al soggetto costituisce una antinomia :)
È più chiaro adesso? :) sul resto torno domani...
Sgiombo,CitazioneApeiron:
Allo stesso modo, secondo me, l'idealismo trascendentale ci dice che io non vedo "il mondo" ma vedo il "mondo visto da me". Dunque, così si capisce perché Schopenhauer può dire che "l'oggetto senza soggetto non è pensabile", ovvero non possiamo pensare al mondo "al di fuori" della nostra prospettiva. In pratica, il mondo fenomenico non si riduce alle sole "sensazioni" bensì è la "realtà vista da noi".
Sgiombo:
Che differenza c'é?
Io non ne vedo.
Visto che nel caso di K & S (=Kant e Schopenhauer) il mondo fenomenico comprende anche le cause della sensazione, la differenza c'è :)
CitazioneApeiron:
Per questo motivo usare le categorie dell'intelletto, come la causalità, diventa problematico nel caso della "realtà in sé". Non a caso, Kant, a differenza di Hume riteneva che potevamo, limitandoci al mondo fenomenico, usare la causalità senza problemi.
Sgiombo:
E sbagliava (casomai senza problemi pratici; non certo senza problemi teorici, come sostenuto da Hume.
Concordo, visto che non possiamo avere la "certezza" che la causalità valga nella nostra esperienza (d'altronde secondo me uno degli errori di K & S è stato quello di non vedere che la loro teoria dell'idealismo trascendentale è un'ipotesi - assunta questa ipotesi, ovvero che la mente ordina l'esperienza causalmente, comunque non c'è certezza sul noumeno...). Però, assumendo vera l'ipotesi ragionevole che vale, si può usarla senza problemi e dedurre che noi possiamo conoscere anche il "mondo esterno" (d'altronde, l'
intenzione di Kant era proprio quella di dare una giustificazione alla scienza. Che poi ci sia riuscito o meno, è un altro discorso. Dire che per Kant, però la scienza si limita al solo studio delle sensazioni (visive, uditive...) non è corretto. Non a caso, nella Critica, se non erro, dice che il campo magnetico pur non essendo "percepibile" esiste e può essere indagato dalla scienza...)
Aggiungo a quanto detto ieri, che per l'idealismo trascendentale è problematico utilizzare le categorie dell'intelletto e l'intuizione a-priori fuori dal "mondo fenomenico" (ovvero dall'oggetto rispetto al soggetto) proprio perché tali "facoltà" servono per "ordinare" l'esperienza. In pratica, per l'idealismo trascendentale l'oggetto "indipendente" dal soggetto è "impensabile" (anche se, specialmente nel caso di Schopenhauer, sembra che l'idealismo trascendentale metta la questione in termini ontologici avvicinandosi a Berkeley...). Personalmente leggo la cosa in modo abbastanza sottile: senza soggetto l'oggetto non può essere
concepito. Per questo motivo per Kant era problematico concepire la "realtà in sé".
Come dicevo, sono affascinato da questa prospettiva ma non convintissimo. D'altronde se la causalità è un modo con cui la nostra mente ordina l'esperienza, sembra che l'idealismo tedesco (Fichte, Hegel, Schelling) sia la formulazione coerente dell'idealismo Kantiano. Ovvero che il soggetto
crea l'oggetto! per Kant, un soggetto che crea l'oggetto è solo un soggetto che ha l'intuizione intellettuale, in altre parole Dio come era concepito da Kant. Il punto è che la "realtà esterna" è parte della rappresentazione sembra difficile riuscire a non "scivolare" nella posizione di Hegel (non a caso, per Hegel, l'Io era lo Spirito e noi siamo "modi" dello Spirito. Quindi, in un certo senso, il "mondo esterno" è una creazione del nostro "vero Io", ovvero lo Spirito...) [posizione tra l'altro simile a certe filosofie Vedanta dell'induismo...]. Per Kant, l'"io trascendentale"
ordina i fenomeni, non li
crea. Su di questo punto posso capire, per certi versi, anche la frustrazione di @Carlo Pierini nei confronti di Kant (anche se, volendo, in Kant puoi addirittura vedere la "coppia di opposti" soggetto-oggetto).
Posso accettare la prospettiva in modo "debole", ovvero dicendo che la
conoscenza ha sempre la forma di un oggetto in relazione ad un soggetto (con la precisazione che tale conoscenza è perfettamente normale che sia valida anche per altri soggetti - o anche tutti, ovvero che ci siano verità universali...). E accetto che non si può sapere se la "realtà in sé" indipendente dai soggetti è concepibile con le categorie (ci vorrebbe una sorta di intuizione intellettuale per avere conoscenza di ciò, per usare un termine kantiano oppure una qualche forma di "conoscenza" molto "particolare", una rivelazione divina ecc... in pratica, possiamo dire che se Dio esiste, allora visto che il suo intelletto "crea" può
conoscere la realtà-così-come-è).
Ma forse questi sono solo miei deliri :-\
Il parallelismo con i sistemi di riferimento è che, in fisica, è impossibile, di fatto, parlare delle "osservazioni"
indipendentemente dal sistema di riferimento. Se ci fosse un "riferimento privilegiato" questo probabilmente vedrebbe i "veri valori" delle grandezze fisiche. Ma, il riferimento privilegiato è ormai un concetto abbandonato... inoltre c'è pure, volendo, l'analogia nel fatto che la "realtà" indipendente dai sistemi di riferimento è abbastanza difficile da considerare come l'oggetto dello studio della fisica. Semmai la fisica studia gli elementi "comuni" che si trovano nei vari riferimenti (ad esempio le grandezze "invarianti" - per fare un esempio: la velocità della luce, nella relatività ristretta, è la stessa nei sistemi di riferimento inerziali... ma ciò non significa che tale "velocità" è una grandezza
indipendente dai riferimenti inerziali, ovvero che ha senso parlare di "(valore della) velocità della luce" quando non ci si riferisce ad un riferimento). Forse così l'analogia è un po' più chiara. Non a caso, è proprio per questo che mi affascina la nozione dell'"oggetto" che può essere concepito "in relazione ad un soggetto" (o forse è un mero delirio della mia mente ;D )
CitazioneSgiombo:
Ma in realtà le cause dei fenomeni sono altri fenomeni né più né meno dei loro effetti. di oggetti .Sono cose non osservate ma osservabili o comunque anche se non osservabili ricavabili inferenzialmente da quanto direttamente osservato, e dunque reali non più di quanto sia reale il direttamente osservato, ovvero non più che come apparenze fenomeniche non reali allorché ciò da cui sono inferite non é reale in quanto insieme – successione di mere apparenze sensibili.
Allorché non é visto un albero non esiste l' albero e dunque non esistono nemmeno gli atomi, i quark, ecc. che lo costituiscono; se qualcosa esiste anche allora (come credo per fede), non é l' albero, né ciò che circa la sua costituzione possiamo inferire, che ciò sia visibile o meno: se é invisibile, allora é invisibile come il noumeno ma non é in sé come il noumeno, non é il noumeno; é bensì ciò che di invisibile costituisce i fenomeni. E infatti se nella realtà in toto non ci fossero enti coscienti soggetti di esperienza fenomenica, nemmeno ci sarebbero, oltre agli oggetti fenomenici macroscopici, nemmeno i loro costituenti di cui si ha (ma solo se si é soggetti di coscienza) inferenza: non ci sarebbe l' universo materiale (fenomenico; né i fenomeni mentali, di pensiero).
...E quindi probabilmente concordiamo ;D ma se ci sono
anche le cause delle sensazioni nel mondo fenomenico non vedo perché dobbiamo "scomodare" il noumeno per spiegare l'inter-soggettività e l'interazione tra i vari soggetti (o almeno questo credo che sia il motivo per cui dici che ci deve essere una corrispondenza biunivoca :) ). Quello che, semmai, è contro-intuitivo è che le cause delle sensazioni sono altri fenomeni quando il mondo fenomenico è una "rappresentazione" (o nella mia "lettura" quando ).
CitazioneSgiombo:
Non ti seguo in questi formalismi astratti.
"Corrispondenza biunivoca" significa che per ogni determinata situazione del noumeno c'é una e una sola determinata situazione dei fenomeni (se ci sono fenomeni; cioé in quelle situazioni del noumeno -non tutte- che hanno corrispondenze coscienti); e che per ogni determinata situazione dei fenomeni mentali (res cogitans) c'é (per lo meno potenzialmente: se si va a cercarla empiricamente in maniera adeguata) una e una sola determinata situazione dei fenomeni materiali (res extensa; se ci sono fenomeni mentali; cioé in quelle situazioni dei fenomeni materiali -non tutte: sonno senza sogni, coma- che hanno corrispondenze mentali).
E non ci vedo alcun problema.
Ok scusami per la puntigliosità, ma volevo proprio capire il senso della "biunivocità" :)
CitazioneApeiron:
Y = {F('fenomeni materiali'),F('fenomeni mentali'),...}
dove "..." sono gli altri aspetti. Ora, se ammettiamo che, in qualche modo, la mente è insorta, dobbiamo dire che la ragione di tale insorgenza deve essere in questi "...". Ma questo, di fatto, equivale a dire che la ragione dell'insorgenza della mente è completamente ignota. In pratica, l'insorgenza della mente (e quindi anche dell'esperienza cosciente) sono completamente intelligibili.
Sgiombo:
Per forza nel cercare spiegazioni prima o poi ci si imbatte in spiegazioni a loro volta inspiegate.
Niente di strano!
Capito, ma qui per forza ritieni che ci deve essere "altro" nel noumeno oltre a ciò che corrisponde a fenomeni mentali e materiali. E che in questo "altro" risieda la ragione della presenza della coscienza. Vuoi dire questo, giusto? :)
CitazioneSgiombo:
Al sonno REM si giunge per progressivo "approfondimento" da precedenti fasi più "leggere" (avrai fatto caso che anche soggettivamente di solito se in una pennichella pomeridiana capita di sognare quando ci si sveglia si ha l' impressione di aver dormito più profondamente che quando non si sogna.
Ok ma, ciononostante non capisco perché lo si chiama "sonno profondo". Concordo che quando si sogna si ha quell'impressione di cui parli. Però, mi sembra più "riposante" il sonno "senza sogni" (non a caso nella fase non-REM più profonda l'attività cerebrale è minore). In effetti non ho mai capito la funzione del REM, se non come una sorta di tentativo di mantenere il sonno (ipotesi mia, molto probabilmente è una cavolata ;D )
CitazioneSgiombo:
La regolarità del divenire deve essere presente anche nel noumeno perché si possano spiegare con le corrispondenze biunivoche i rapporti fra cervello e coscienza e l' intersoggettività dei fenomeni materiali: tutte cose che (si assume indimostrabilmente) divengono regolarmente.
Infatti per me quello della "matematica che funziona" non é assolutamente per niente affatto un problema ma qualcosa di del tutto ovvio.
Ma non per la corrispondenza biunivoca fra fenomeni e noumeno (che secondo me non c' entra per nulla), ma semplicemente perché la matematica pura é fatta di deduzioni logiche da astrazioni assiomatizzate di osservazioni concrete fisiche materiali (fenomeni materiali, quantitativamente misurabili).
Apeiron:
In realtà, non è problematico se assumi che tali regolarità siano così "bene" rappresentabili da concetti matematici astratti come numeri immaginari, spazi di Hilbert ecc
Sgiombo:
Ma allora (anche per te) dove mai starebbe la "problematicità"?
La "problematicità" è che tale assunzione si possa fare :)
CitazioneConcordo, visto che non possiamo avere la "certezza" che la causalità valga nella nostra esperienza (d'altronde secondo me uno degli errori di K & S è stato quello di non vedere che la loro teoria dell'idealismo trascendentale è un'ipotesi - assunta questa ipotesi, ovvero che la mente ordina l'esperienza causalmente, comunque non c'è certezza sul noumeno...).
Puntualizzo che è un'ipotesi che non può essere verificata. E, inoltre, concordo che la "causalità" sia innata nel nostro intelletto (e l'esperienza per essere comprensibile deve essere "ordinata" - se non lo è già - per essere compatibile con le forme dell'intelletto...). E non solo nel nostro, visto che anche gli animali hanno il senso della causalità, come spiega Schopenhauer per esempio: "
Che il conoscimento di causa ed effetto, come forma universale dell'intelletto, sia insito a priori negli animali, è invero già pienamente sicuro del fatto che quel conoscimento è per essi, come per noi, la condizione prima d'ogni conoscimento intuitivo del mondo esterno. Se poi si vuole averne ancora una prova particolare, basti considerar per esempio come finanche un giovanissimo cane non osi saltar giù dalla tavola, per quanto desiderio ne abbia, perché prevede l'effetto del peso del suo corpo; pur senza aver prima sperimentato questa caduta. " (Schopenhauer, Mondo come Volontà e Rappresentazione, tomo 1, capitolo 1) Ciò che non può essere verificato è che nell'esperienza la causalità "valga" (ovvero che la nostra esperienza è già ordinata...) ed è
impossibile verificarlo empiricamente.
Ah, inoltre, puntualizzo anche che il "realismo diretto classico" afferma che la "realtà-in-sé" è caratterizzata da causalità ecc e che quindi può essere "compresa direttamente". Per Schopenhauer, ciò non era vero. Per Kant, rimaneva un problema "insoluto". Io, personalmente ritengo che il nostro intelletto ha determinate categorie e che la nostra mente faccia un lavoro di "ordinamento" dell'esperienza per renderla comprensibile. Tuttavia, ritengo che la realtà stessa sia ordinata (come già dicevo tra i motivi possibili per cui ciò sia possibile, ci può essere (ipotesi tra di loro non necessariamente esclusive): il fatto che mente e materia sono inter-dipendenti, una qualche forma di panpsichismo, il fatto che il mondo sia stato creato da Dio ecc)...
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 12:08:14 PM
... basti considerar per esempio come finanche un giovanissimo cane non osi saltar giù dalla tavola, per quanto desiderio ne abbia, perché prevede l'effetto del peso del suo corpo; pur senza aver prima sperimentato questa caduta. ... " (Schopenhauer, Mondo come Volontà e Rappresentazione, tomo 1, capitolo 1)
Valesse pure per i pargoli umani (sempre così desiderosi di farsi male) ! :(
Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 12:40:51 PM
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 12:08:14 PM
... basti considerar per esempio come finanche un giovanissimo cane non osi saltar giù dalla tavola, per quanto desiderio ne abbia, perché prevede l'effetto del peso del suo corpo; pur senza aver prima sperimentato questa caduta. ... " (Schopenhauer, Mondo come Volontà e Rappresentazione, tomo 1, capitolo 1)
Valesse pure per i pargoli umani (sempre così desiderosi di farsi male) ! :(
Hai ragione, effettivamente Schopenhauer dice una cosa poco giustificata ;D d'altronde a volte certi istinti o desideri sopravanzano l'istinto di sopravvivenza (o anche quello di "non farsi male")
Ma allo stesso tempo, secondo me, i comportamenti che seguono istinti e i desideri si basano sull'intuizione della causalità. Non riesco a comprendere tali comportamenti negli esseri senzienti senza una intuizione della causalità (che ovviamente può benissimo essere pre-concettuale, come mostra l'esempio del cagnolino nei riguardi dell'istinto di autoconservazione). Quindi, secondo me, l'intuizione della causalità è innata.
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 14:16:32 PM
Hai ragione, effettivamente Schopenhauer dice una cosa poco giustificata ;D d'altronde a volte certi istinti o desideri sopravanzano l'istinto di sopravvivenza (o anche quello di "non farsi male")
Ma allo stesso tempo, secondo me, i comportamenti che seguono istinti e i desideri si basano sull'intuizione della causalità. Non riesco a comprendere tali comportamenti negli esseri senzienti senza una intuizione della causalità (che ovviamente può benissimo essere pre-concettuale, come mostra l'esempio del cagnolino nei riguardi dell'istinto di autoconservazione). Quindi, secondo me, l'intuizione della causalità è innata.
Sì, nell'uomo è probabile che "certi istinti o desideri sopravanzino l'istinto di sopravvivenza". Dovremmo imparare dai nostri cani ad essere un po' più saggi e dare più importanza a quello che sta scritto nel nostro DNA. Che certamente, al di là di ogni intuizione e "giudizio sintetico a priori", è tarato per evitarci i guai peggiori.
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 00:07:01 AM
Sgiombo,
Il discorso che volevo fare è questo. Secondo Kant, a differenza di Hume e Berkeley, la nostra mente non è una tabula rasa ma "ordina" l'esperienza attraverso le intuizioni a priori, come ad esempio la causalità. Tale "ordine" rende l'esperienza comprensibile e ne rende possibile una analisi con la ragione.
Citazione
Ma anche per l' empirismo esistono tendenze comportamentali (e non conoscenze! Mi dispiace per Chomsky) innate a "trattare mentalmente" i dati empirici (acquisiti a posteriori), a compiere induzioni, deduzioni, abduzioni, ecc.: una "tabula rasa" non reca alcuna scritta, ma il modo in cui é fatta (lucida, opaca, bianca, nera, rigida, elastica, dura, molle, ecc.) ha evidenti conseguenze circa ciò che vi si può scrivere e come e ciò che non vi si può scrivere e perché.
Ora, l'esperienza più immediata che abbiamo sono le "sensazioni". Tuttavia, se la nostra esperienza è ordinata con la causalità, ciò implica che le sensazioni sono causate dagli oggetti esterni (alla nostra esperienza cosciente) . Per Kant questi "oggetti esterni" erano però parte del mondo fenomenico anche se non erano percepiti (Kant riteneva che l'esistenza dei fenomeni non richiedeva la percezione, a differenza di Berkeley). Quindi abbiamo una antonomia: da un lato la causalità è un modo con cui la mente "organizza" l'esperienza. Dall'altro invece gli oggetti esterni pur essendo "esterni" sono parte del mondo fenomenico e quindi sono necessari per l'"organizzazione" dell'esperienza cosciente stessa.
Citazione
No che le nostre sensazioni non sono causate dagli oggetti esterni ma invece da altre sensazioni (di cui sono gli effetti, ad esempio la cenere vista del fuoco visto: tutti fenomeni, cause ed effetti!).
Con cose in sé o noumeno si può solo dire che sono in rapporto di coesistenza-codivenire puntuale ed univoco.
Potrei sbagliarmi, ma credo proprio che per Kant, come per me (si parva licet...) gli oggetti esterni alla nostra coscienza sono cose in sé o noumeno, ben diversi dai fenomeni, i quali "richiedevano la percezione" essendo interni alla nostra coscienza.
Quella della concatenazione causale dei fenomeni (solo materiali -res extensa- se intesa in senso stretto o forte: calcolabilità matematica), indimostrabile (Hume) ma necessaria alla conoscenza scientifica, é un' altra questione, diversa da quella del rapporto fenomeni - noumeno.
Dunque per Kant la nostra esperienza cosciente è "ordinata" dalla causalità e per questo motivo implica la presenza di oggetti esterni. Tuttavia, tale "esperienza" è "nostra", ovvero di un particolare "punto di vista". Ma siccome la struttura dell'esperienza implica la presenza degli oggetti esterni ad essa, ciò significa che sensazioni e loro cause sono "oggetti per un soggetto". In altre parole, se la causalità è un modo con cui la mente organizza l'esperienza e se gli oggetti esterni sono cause delle sensazioni, ne segue che devi pensare tali oggetti come oggetti in relazione ad un soggetto (da qui l'analogia con i valori delle velocità misurati in relazione a un sistema di riferimento...). Nota che questa non è una posizione ontologica (gli oggetti esterni esistono in dipendenza dal soggetto) ma epistemologica (sono pensabili in relazione ad un soggetto). Nota che per "oggetti esterni" intendo cause delle sensazioni e quindi cose come atomi,elettroni ecc, cose non "visibili". Assumendo dunque che l'esperienza ha una struttura causale si deve assumere l'esistenza di oggetti esterni (nota che il realismo diretto direbbe che la causalità è una proprietà delle "cose esterne indipendenti dalla mente". La filosofia di Kant su di ciò rimane agnostico ma dice che se si accetta il solo fatto che la nostra esperienza è caratterizzata dalla causalità si devono accettare gli oggetti esterni (e anche rapporti causali tra di loro)...). Il fatto che gli oggetti siano esterni ma non pensabili se non in relazione al soggetto costituisce una antinomia :)
È più chiaro adesso? :) sul resto torno domani...
Citazione
Come potete dimostrare (tu e Kant) che l' esperienza, per il fatto di essere ordinabile (interpretabile causalmente), ma senza che lo si possa dimostrare, dal nostro pensiero (soggettivo) implicherebbe necessariamente la presenza di oggetti esterni (e pure di un soggetto - eventuale oggetto interno riflessivamente)?
Le sensazioni, reali discontinuamente, non possono coincidere con i loro oggetti o/e soggetti , che (si assume indimostrabilmente) continuano ad essere reali anche nelle fasi di discontinuità fenomenica cosciente.
Gli oggetti esterni esistono (se esistono) e sono pensabili in relazione ad un soggetto ma non come "interni" alla sua esperienza fenomenica (che altrimenti sarebbero mere sensazioni, reali solo e unicamente se e quando e in quanto che accadessero come tali: mere sensazioni; esistenti discontinuamente) bensì come cose in sé o noumeno ad essa """esterno""".
Cause delle sensazioni e quindi cose come atomi, elettroni ecc, cose non "visibili" fanno parte dello e costituiscono lo insieme dei fenomeni materiali (res extensa), direttamente esperiti o indirettamente inferiti: se io chiudo gli occhi schermo e tastiera e ciò di cui (inferisco che) sono costituiti (probabilmente -inferenza non falsificata- determinate configurazioni di particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.) non esistono fino a quando non li riapro.
Per non cadere in contraddizione si deve pensare che se qualcosa esiste anche quando ho gli occhi chiusi, allora si tratta di ben altro che le sensazioni materiali costituenti schermo e tastiera e ciò di cui inferisco che tali sensazioni sono costituite.
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 11:16:18 AM
CitazioneApeiron:
Allo stesso modo, secondo me, l'idealismo trascendentale ci dice che io non vedo "il mondo" ma vedo il "mondo visto da me". Dunque, così si capisce perché Schopenhauer può dire che "l'oggetto senza soggetto non è pensabile", ovvero non possiamo pensare al mondo "al di fuori" della nostra prospettiva. In pratica, il mondo fenomenico non si riduce alle sole "sensazioni" bensì è la "realtà vista da noi".
Sgiombo:
Che differenza c'é?
Io non ne vedo.
Visto che nel caso di K & S (=Kant e Schopenhauer) il mondo fenomenico comprende anche le cause della sensazione, la differenza c'è :)
Citazione
Mi sembra di averti già risposto che (anche per Kant almeno) poiché il mondo fenomenico comprende anche le cause della sensazione, la differenza non c'è: il mondo fenomenico si riduce alle sole "sensazioni" ovvero è la "realtà vista da noi"; io vedo "il mondo" ovvero vedo il "mondo visto da me"
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CitazioneCitazione Apeiron:
Per questo motivo usare le categorie dell'intelletto, come la causalità, diventa problematico nel caso della "realtà in sé". Non a caso, Kant, a differenza di Hume riteneva che potevamo, limitandoci al mondo fenomenico, usare la causalità senza problemi.
Sgiombo:
E sbagliava (casomai senza problemi pratici; non certo senza problemi teorici, come sostenuto da Hume.
Concordo, visto che non possiamo avere la "certezza" che la causalità valga nella nostra esperienza (d'altronde secondo me uno degli errori di K & S è stato quello di non vedere che la loro teoria dell'idealismo trascendentale è un'ipotesi - assunta questa ipotesi, ovvero che la mente ordina l'esperienza causalmente, comunque non c'è certezza sul noumeno...). Però, assumendo vera l'ipotesi ragionevole che vale, si può usarla senza problemi e dedurre che noi possiamo conoscere anche il "mondo esterno" (d'altronde, l'intenzione di Kant era proprio quella di dare una giustificazione alla scienza. Che poi ci sia riuscito o meno, è un altro discorso. Dire che per Kant, però la scienza si limita al solo studio delle sensazioni (visive, uditive...) non è corretto. Non a caso, nella Critica, se non erro, dice che il campo magnetico pur non essendo "percepibile" esiste e può essere indagato dalla scienza...)
Citazione
Non vedo come se ne possa dedurre che noi possiamo conoscere anche il "mondo esterno" alla nostra coscienza fenomenica, ovvero il noumeno.
Secondo me (ma non ne sono un esegeta attendibile) Kant intendeva dire che nell' ambito dei fenomeni (scientificamente conoscibili) e in quanto entità - eventi di tale ambito (fenomeni, per quanto indiretti, inferiti e non direttamente esperiti) il campo magnetico pur non essendo "percepibile" si può inferire che esiste, e può essere indagato dalla scienza.
( Ma se così non fosse, non avrei problemi a dissentire da Kant).
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Personalmente leggo la cosa in modo abbastanza sottile: senza soggetto l'oggetto non può essere concepito. Per questo motivo per Kant era problematico concepire la "realtà in sé".
Citazione
"Concepire la "realtà in sé" é problematico di per sé (scusa l' orrendo gioco di parole).
Per Hume (il mio principale maestro, e dunque anche per me) invece le sensazioni (materiali e mentali) possono benissimo essere concepite non solo senza oggetto (in sé), ma anche senza soggetto (in sé): "esse est percipi"!
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Il parallelismo con i sistemi di riferimento è che, in fisica, è impossibile, di fatto, parlare delle "osservazioni" indipendentemente dal sistema di riferimento. Se ci fosse un "riferimento privilegiato" questo probabilmente vedrebbe i "veri valori" delle grandezze fisiche. Ma, il riferimento privilegiato è ormai un concetto abbandonato... inoltre c'è pure, volendo, l'analogia nel fatto che la "realtà" indipendente dai sistemi di riferimento è abbastanza difficile da considerare come l'oggetto dello studio della fisica. Semmai la fisica studia gli elementi "comuni" che si trovano nei vari riferimenti (ad esempio le grandezze "invarianti" - per fare un esempio: la velocità della luce, nella relatività ristretta, è la stessa nei sistemi di riferimento inerziali... ma ciò non significa che tale "velocità" è una grandezza indipendente dai riferimenti inerziali, ovvero che ha senso parlare di "(valore della) velocità della luce" quando non ci si riferisce ad un riferimento). Forse così l'analogia è un po' più chiara. Non a caso, è proprio per questo che mi affascina la nozione dell'"oggetto" che può essere concepito "in relazione ad un soggetto" (o forse è un mero delirio della mia mente ;D )
Citazione
Non vedo che c' entri tutto ciò con la realtà meramente fenomenica, ben diversa dalla cosa in sé o noumeno, di tutto ciò che la scienza può studiare e conoscere
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CitazioneSgiombo:
Ma in realtà le cause dei fenomeni sono altri fenomeni né più né meno dei loro effetti. di oggetti .Sono cose non osservate ma osservabili o comunque anche se non osservabili ricavabili inferenzialmente da quanto direttamente osservato, e dunque reali non più di quanto sia reale il direttamente osservato, ovvero non più che come apparenze fenomeniche non reali allorché ciò da cui sono inferite non é reale in quanto insieme – successione di mere apparenze sensibili.
Allorché non é visto un albero non esiste l' albero e dunque non esistono nemmeno gli atomi, i quark, ecc. che lo costituiscono; se qualcosa esiste anche allora (come credo per fede), non é l' albero, né ciò che circa la sua costituzione possiamo inferire, che ciò sia visibile o meno: se é invisibile, allora é invisibile come il noumeno ma non é in sé come il noumeno, non é il noumeno; é bensì ciò che di invisibile costituisce i fenomeni. E infatti se nella realtà in toto non ci fossero enti coscienti soggetti di esperienza fenomenica, nemmeno ci sarebbero, oltre agli oggetti fenomenici macroscopici, nemmeno i loro costituenti di cui si ha (ma solo se si é soggetti di coscienza) inferenza: non ci sarebbe l' universo materiale (fenomenico; né i fenomeni mentali, di pensiero).
...E quindi probabilmente concordiamo ;D ma se ci sono anche le cause delle sensazioni nel mondo fenomenico non vedo perché dobbiamo "scomodare" il noumeno per spiegare l'inter-soggettività e l'interazione tra i vari soggetti (o almeno questo credo che sia il motivo per cui dici che ci deve essere una corrispondenza biunivoca :) ). Quello che, semmai, è contro-intuitivo è che le cause delle sensazioni sono altri fenomeni quando il mondo fenomenico è una "rappresentazione" (o nella mia "lettura" quando ).
Citazione
Non ci intendiamo.
Le cause delle sensazioni nel mondo fenomenico sono altre sensazioni (fenomeni) e non il noumeno (che é """fuori""" dal mondo fenomenico).
Bisogna scomodare il noumeno se non ci si vuole accontentare, come spiegazione, di una sorta di leibniziana armonia prestabilita.
Ma perché mai dovrebbe essere contro-intuitivo che le cause delle sensazioni sono altri fenomeni quando il mondo fenomenico è una "rappresentazione" (o nella mia "lettura" quando ). ? ? ?
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Capito, ma qui per forza ritieni che ci deve essere "altro" nel noumeno oltre a ciò che corrisponde a fenomeni mentali e materiali. E che in questo "altro" risieda la ragione della presenza della coscienza. Vuoi dire questo, giusto? :)
Citazione
Nel noumeno deve esserci anche altro se il mio cervello lo puoi vedere anche allorché dormo senza sognare (e nulla corrisponde a miei -infatti inesistenti- fenomeni mentali) e se devo credere che la terra é esistita senza animali coscienti (= se qualcuno avesse osservato nella maniera adeguata l' avrebbe vista e sentita) per la di gran lunga maggior parte della sua esistenza fino ad oggi (= esistevano anche allora enti ed eventi in sé tali che si sarebbe potuta osservare la terra, ma di fatto non esisteva nessuna osservazione della terra, ovvero essi di fatto non corrispondevano biunivocamente ad alcun fenomeno).
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CitazioneSgiombo:
La regolarità del divenire deve essere presente anche nel noumeno perché si possano spiegare con le corrispondenze biunivoche i rapporti fra cervello e coscienza e l' intersoggettività dei fenomeni materiali: tutte cose che (si assume indimostrabilmente) divengono regolarmente.
Infatti per me quello della "matematica che funziona" non é assolutamente per niente affatto un problema ma qualcosa di del tutto ovvio.
Ma non per la corrispondenza biunivoca fra fenomeni e noumeno (che secondo me non c' entra per nulla), ma semplicemente perché la matematica pura é fatta di deduzioni logiche da astrazioni assiomatizzate di osservazioni concrete fisiche materiali (fenomeni materiali, quantitativamente misurabili).
Apeiron:
In realtà, non è problematico se assumi che tali regolarità siano così "bene" rappresentabili da concetti matematici astratti come numeri immaginari, spazi di Hilbert ecc
Sgiombo:
Ma allora (anche per te) dove mai starebbe la "problematicità"?
La "problematicità" è che tale assunzione si possa fare :)
CitazionePer me é buio pesto: continuo a non vederla.
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 12:08:14 PM
CitazioneConcordo, visto che non possiamo avere la "certezza" che la causalità valga nella nostra esperienza (d'altronde secondo me uno degli errori di K & S è stato quello di non vedere che la loro teoria dell'idealismo trascendentale è un'ipotesi - assunta questa ipotesi, ovvero che la mente ordina l'esperienza causalmente, comunque non c'è certezza sul noumeno...).
Puntualizzo che è un'ipotesi che non può essere verificata. E, inoltre, concordo che la "causalità" sia innata nel nostro intelletto (e l'esperienza per essere comprensibile deve essere "ordinata" - se non lo è già - per essere compatibile con le forme dell'intelletto...).
CitazionePer me (con gli empiristi "classici" e contro Chomsky) di innato nel nostro intelletto non c' é alcuna conoscenza, ma solo tendenze comportamentali (pratiche e teoriche).
sgiombo,ci sono tre problemi che faranno slittare la mia risposta: ovvero il fatto che su alcune cose sono confuso io, il fatto che su altre mi sono spiegato male e, infine, la presenza di alcuni equivoci dati da "equivoci", ovvero dal fatto che usiamo le parole in modo diverso (per esempio, attualmente non riesco proprio a capire come si possa affermare che "le sensazioni sono causate da altre sensazioni" ::) - ho il fortissimo sospetto che usiamo il termine "sensazione" in modo diverso). Dovrai lasciarmi un po' di tempo per risponderti :)
(ahimè, non ti garantisco che gli equivoci (?) spariranno :( )
Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 18:58:59 PM
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 14:16:32 PMHai ragione, effettivamente Schopenhauer dice una cosa poco giustificata ;D d'altronde a volte certi istinti o desideri sopravanzano l'istinto di sopravvivenza (o anche quello di "non farsi male") Ma allo stesso tempo, secondo me, i comportamenti che seguono istinti e i desideri si basano sull'intuizione della causalità. Non riesco a comprendere tali comportamenti negli esseri senzienti senza una intuizione della causalità (che ovviamente può benissimo essere pre-concettuale, come mostra l'esempio del cagnolino nei riguardi dell'istinto di autoconservazione). Quindi, secondo me, l'intuizione della causalità è innata.
Sì, nell'uomo è probabile che "certi istinti o desideri sopravanzino l'istinto di sopravvivenza".
Forse non solo nell'uomo :) anzi, credo proprio che a volte sia vero anche negli altri animali...
Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 18:58:59 PM
Dovremmo imparare dai nostri cani ad essere un po' più saggi e dare più importanza a quello che sta scritto nel nostro DNA. Che certamente, al di là di ogni intuizione e "giudizio sintetico a priori", è tarato per evitarci i guai peggiori.
Certamente! l'uomo - direi più che altro l'adulto - dovrebbe senz'altro fare più attenzione al suo DNA :)
Secondo me la causalità, come dicevo, si manifesta "innatamente" nella mente. Ma non come "contenuto di conoscenza" ma proprio come "funzionamento". Basta pensare a come funzionano i comportamenti che seguono anche gli istinti più basilari. In questo, senso, direi - come ipotesi per me ragionevole - che la "causalità" è una "intuizione"/"forma a-priori" presente in tutte le menti...
E direi che oltre a conoscere il nostro corpo, ci servirebbe la consapevolezza di come "funziona" la mente. D'altronde, "mente e corpo" (per usare il linguaggio di sgiombo) sono gli aspetti della nostra
esperienza cosciente.
Citazione di: Apeiron il 02 Novembre 2018, 15:16:00 PM
Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 18:58:59 PM
Sì, nell'uomo è probabile che "certi istinti o desideri sopravanzino l'istinto di sopravvivenza".
Forse non solo nell'uomo :) anzi, credo proprio che a volte sia vero anche negli altri animali...
Nella difesa della prole certamente. Nell'uomo molto di più. Spesso anche in forma autolesionistica, quando ci sono induzioni mitologiche di mezzo.
Citazione di: Ipazia il 02 Novembre 2018, 15:54:13 PM
Citazione di: Apeiron il 02 Novembre 2018, 15:16:00 PM
Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 18:58:59 PM
Sì, nell'uomo è probabile che "certi istinti o desideri sopravanzino l'istinto di sopravvivenza".
Forse non solo nell'uomo :) anzi, credo proprio che a volte sia vero anche negli altri animali...
Nella difesa della prole certamente. Nell'uomo molto di più. Spesso anche in forma autolesionistica, quando ci sono induzioni mitologiche di mezzo.
Non solo.
Come in altri mammiferi quando c' é di mezzo la difesa reale e non affatto mitologica della prole, così nell' uomo anche quando ci sono aspirazioni della più varia natura, comunque spesso fondate su una buona conoscenza razionale della realtà e non su miti più o meno immaginari e falsi.
Certo. Ma volevo evidenziare gli aspetti patologici della questione. Dando per scontati quelli di sano umanesimo.
sgiombo (e chi avesse voglia di leggere ovviamente :) ),questa è l'analisi che più o meno fa il filosofo Kelley L. Ross ( http://www.friesian.com/kant.htm#idealism. link in inglese - analisi che condivido visto che Kant voleva distanziarsi sia dai razionalisti che dagli empiristi, sia da quello che chiamava "realismo trascendentale" che da quello che chiamava "idealismo empirico").
- "Trascendentale" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto in modo indipendente dall'esperienza"
- "Empirico" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto tramite l'esperienza"
Dunque, "trascendentale" ed "empirico" si riferiscono all'epistemologia.
- "Idealismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo dipendente dall'esistenza del soggetto"
- "Realismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo indipendente dall'esistenza del soggetto"
Dunque, la posizione di Cartesio/Spinoza è "realismo trascendentale", ovvero:
- "realismo trascendentale" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti indipendentemente dall'esperienza"
Questo perché secondo Cartesio e Spinoza la nostra mente si fa un'immagine distorta della "realtà esterna" e quindi essa rimane inconoscibile se si usa solo un'indagine empirica. Non a caso sia Spinoza che Cartesio erano razionalisti: la "realtà esterna" poteva essere conosciuta solo tramite la "ragione pura", ovvero tramite la speculazione intellettuale. La posizione di Berkeley (e di Hegel) è "idealismo empirico":
- "idealismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza." - che è proprio quello che Berkeley proponeva: gli oggetti "esterni" in realtà sono semplici sensazioni ("esse est percipi") che dipendono dall'esistenza della mente.
Kant voleva evitare entrambe le conclusioni e propose:
- "realismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza" -
Fin qui Kant pare essere un realista naive. Tuttavia, questa è solo una parte della filosofia di Kant e riguarda gli oggetti "esterni" della nostra esperienza (ovvero tavoli, sedie, case ecc). In realtà c'è la parte che lascia più confusi ed è:
- "idealismo trascendentale"= "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono indipendentemente dall'esperienza".
Ovviamente, questi non sono gli stessi oggetti di prima... quali sono? (http://blob:https://www.riflessioni.it/a417e597-4c78-4039-80d4-f20618fd7809)Ora essi devono essere per forza gli aspetti, che secondo Kant, erano a-priori nella nostra esperienza, ovvero "forme a-priori", "categorie dell'intelletto" e così via, ovvero le "facoltà" con cui la mente ordina l'esperienza. Tutto questo "casino" non è nato, storicamente, da Kant ma da Cartesio (quindi @CarloPierini dovrebbe prendersela con Cartesio ;D ). Per Cartesio, i sensi non potevano essere uno "valido strumento di conoscenza" perché la nostra esperienza sensibile presenta alcune caratteristiche che, certamente, dipendono dalla nostra esistenza soggettiva (colori, suoni ecc) - le "qualità secondarie". A differenza di Galileo, però, Cartesio non riteneva che noi potessimo dire che le "qualità primarie" (quantitative) erano degli oggetti esterni. Perché? Per il fatto che, in fin dei conti, secondo Cartesio la nostra "esperienza sensibile" è una costruzione mentale (e un "genio maligno" poteva ingannarci sulla sua "fedeltà" alla "realtà"). Quindi, Cartesio ha concluso che non si poteva sapere niente con certezza della realtà esterna se ci si basava sull'esperienza ("realismo trascendentale"...). Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza. Fu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento. Visto che Berkeley riteneva che gli oggetti comunemente ritenuti esterni erano in realtà interni proponeva un "idealismo empirico". Infine arrivò Hume, che pur considerando la causalità un'ipotesi ragionevole, riteneva che in realtà è indimostrabile. Così come la conoscenza scientifica. In entrambi i casi, ci affidiamo all'"abitudine".Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca"). Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.E qui sta l'antinomia/indecidibilità della filosofia kantiana: da un lato afferma che la nostra mente ordina le sensazioni per renderle comprensibili, dall'altro affinché ciò sia possibile devono esistere oggetti esterni. La filosofia kantiana, perciò arriva ad una sorta di paradosso: gli oggetti esterni sono necessari per rendere l'esperienza comprensibile e quindi sono parte della rappresentazione e, allo stesso tempo, devono essere anche "esterni" ad essa (http://blob:https://www.riflessioni.it/a417e597-4c78-4039-80d4-f20618fd7809)Ora quanto detto sopra lo vedo come una sorta di "paradosso", che, in pratica, riflette la nostra limitatezza. Se, infatti, neghiamo la validità delle "categorie" e delle "forme", finiamo per dover ammettere che non possiamo conoscere nemmeno la nostra stessa esperienza sensibile (Hume diceva che al massimo potevamo fare "ipotesi ragionevoli" e su questo, secondo me, è "più coerente" di Kant, visto che Kant, effettivamente non dimostra quanto afferma). Se, invece, concordiamo con i "realisti trascendentali" (Cartesio/Spinoza...) rimane il problema che non si può sapere che relazione c'è tra la nostra "esperienza sensibile" e "gli oggetti reali". Se, diciamo che la "realtà esterna" dipende ontologicamente dalla mente finiamo in una forma di idealismo (es: Berkeley e Hegel). La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato ::) ).Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni date dalle filosofie empiriste (Berkeley, Hume) e dalle filosofie razionaliste (Spinoza, Cartesio) per le quali, rispettivamente, c'è a priori un problema di applicare i concetti all'esperienza e c'è anche il problema di capire che conoscenza ci può dare, in ultima analisi, l'esperienza. Rispetto Kant per il tentativo di risolvere il problema anche se, effettivamente, ha generato un'altra "antinomia" e quindi di fatto forse non è riuscito a risolvere questi problemi. Il "realismo diretto" perciò, non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza e, inoltre, non spiega perché la nostra esperienza "ci fa conoscere" la "realtà esterna". Per esempio, come dicevo, un teista può "spiegare" la "corrispondenza" tra le nostre "facoltà mentali" e l'esperienza sostenendo che Dio ha creato il mondo in un modo a noi comprensibile ("spiegando" così il dilemma di Einstein, secondo cui "la cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità"). Oppure un platonico può spiegare la validità dello studio empirico della natura dicendo che la natura "partecipa" alla "Forme". Un materialista però, semplicemente, deve sempre "prendere atto" della "validità" dei concetti senza riuscire a dare alcuna spiegazione per cui tale "validità" c'è (pur sostenendo che è così e non c'è nessun motivo per cui è così)**. Diverso è lo scettico "tout-court" per il quale non si può conoscere una ragione di tale "corrispondenza" ("sospendendo il giudizio" su tale questione)*. *se devo essere onesto, strettamente parlando, la mia attuale posizione non può essere che quella "scettica" visto che non sono veramente convinto da nessuna alternativa proposta, anche se alcune alternative mi affascinano e mi sembrano più "ragionevoli", per così dire, di altre. Detto ciò, ritengo che questo "dilemma" forse è veramente insolubile con la razionalità, lo studio "empirico" (e ovviamente anche la ragionevolezza che non può dare "soluzioni" ma "ipotesi ragionevoli", quando va bene - come dicevo, per avere una sorta di "sicurezza" si dovrebbe avere forse una "esperienza straordinaria" che non si potrebbe nemmeno chiamare "esperienza", strettamente parlando...) :) **P.S. Secondo me, come filosofia, è insoddisfacente perché nemmeno prova a dare una spiegazione di tale "corrispondenza". Questo è il motivo per cui non sono materialista. Per me "non è ovvio" che ci sia questa "comprensibilità" e critico il materialismo proprio perché sembra essere indifferente a questo problema (ovviamente, non sto dicendo che il materialista è "più dogmatico" di altri... :) tuttavia, talvolta mi sembra che la filosofia materialista semplicemente ignori questo problema...).
La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa. Di tutto il bestiario filosofico narrato, mi pare che Kant sia quello che si avvicina di più alla realtà. Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo, capaci di trascendere col ragionamento logico i livelli meramente empirici dell'esperienza. Come una particella subatomica siamo contemporaneamente massa e onda, esperienza empirica e trascendentale. Non vi è alcuna contraddizione perchè siamo entrambe le cose. Mi auguro che scienza e filosofia finiscano con l'accorgersene, mettendo nella spazzatura della loro storia dispute tardonominalistiche il cui tempo è scaduto.
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
Citazione di: Apeiron il 05 Novembre 2018, 22:01:10 PM
sgiombo (e chi avesse voglia di leggere ovviamente :) ),
questa è l'analisi che più o meno fa il filosofo Kelley L. Ross ( http://www.friesian.com/kant.htm#idealism. link in inglese - analisi che condivido visto che Kant voleva distanziarsi sia dai razionalisti che dagli empiristi, sia da quello che chiamava "realismo trascendentale" che da quello che chiamava "idealismo empirico").
- "Trascendentale" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto in modo indipendente dall'esperienza"
- "Empirico" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto tramite l'esperienza"
CitazioneQui farei una prima obiezione:
Conoscere =/= sentire
Conoscere == predicare circa il sentire (o altro) conformemente alla realtà (del sentire o altro).
Nessun possibile oggetto di conoscenza é sentito indipendentemente dall' esperienza (per definizione); dunque nessuna sensazione (e non conoscenza) può accadere indipendentemente dall' esperienza costituita da sensazione (o sensazioni), tutti gli oggetti di sensazione sono sentiti tramite l' esperienza, anzi in quanto sensazioni costituenti l' esperienza; ma se continuano ad esistere anche senza l' esperienza (anche se e quando le sensazioni non accadono realmente, anche indipendentemente dalla eventuale realtà di queste, allora sono cosa diversa da esse, dall' esperienza), allora non sono costituite da sensazioni ovvero apparenze sensibili (fenomeni) ma invece da cose reali in sé e non apparenti ma congetturabili (noumeno).
Dunque, "trascendentale" ed "empirico" si riferiscono all'epistemologia.
- "Idealismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo dipendente dall'esistenza del soggetto"
- "Realismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo indipendente dall'esistenza del soggetto"
CitazioneNon si riferiscono all' epistemologia (allo studio della conoscenza) ma all' ontologia (alla realtà): le sensazioni sono fatti, non conoscenze (conoscenze sono invece -peculiari sensazioni costituite da- proposizioni, pensieri, predicati veri circa fatti (come le sensazioni o eventualmente altro); veri o "conformi" (concetto da definire per bene) ai fatti stessi.
Traducendo dalla questione (secondo me mal posta) delle sensazioni in quella (corretta) delle conoscenze circa le sensazioni, allora circa queste ultime si pone il problema se ad esistere o meno indipendentemente dal soggetto sono le sensazioni (fenomeni) o gli oggetti in sé (noumeno) delle stesse
Se le sensazioni (fenomeni) necessitano di un soggetto (in sé, da esse diverso, reale anche indipendentemente da esse: noumeno), allora i fenomeni sono indubbiamente dipendenti dal soggetto, mentre il noumeno (le cose in sé oggetto di sensazione fenomenica) potrebbero:
o esistere (essendo ben altra cosa ei fenomeni) indipendentemente dall' esistenza del soggetto e dei fenomeni o sensazioni: realismo:
oppure semplicemente non esistere: irrealismo (o idealismo a là Berkeley: esistono solo le sensazioni e non loro specifici oggetti, loro "oggetto" essendo in ultima analisi alquanto aspecificamente Dio che le fa esistere
Dunque, la posizione di Cartesio/Spinoza è "realismo trascendentale", ovvero:
- "realismo trascendentale" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti indipendentemente dall'esperienza"
Questo perché secondo Cartesio e Spinoza la nostra mente si fa un'immagine distorta della "realtà esterna" e quindi essa rimane inconoscibile se si usa solo un'indagine empirica. Non a caso sia Spinoza che Cartesio erano razionalisti: la "realtà esterna" poteva essere conosciuta solo tramite la "ragione pura", ovvero tramite la speculazione intellettuale.
La posizione di Berkeley (e di Hegel) è "idealismo empirico":
- "idealismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza." - che è proprio quello che Berkeley proponeva: gli oggetti "esterni" in realtà sono semplici sensazioni ("esse est percipi") che dipendono dall'esistenza della mente.
CitazioneUna volta reimpostata correttamente (secondo me) la questione come questione delle sensazioni e non delle conoscenze (delle sensazioni), si può credere che gli oggetti in sé (noumeno) esistono indipendentemente dalle sensazioni e dai soggetti di sensazione (essi stessi in sé o noumeno), con esse correlate (biunivocamente corrispondenti) ma da essi diverse: altre "cose"!
Ma non lo si può dimostrare logicamente né tantomeno (per definizione) constatare empircamente (e questo vale pari pari per il soggetto delle sensazioni, cosa in sé o noumeno anch' esso).
Quello che si percepisce sensibilmente sono solo fenomeni, sensazioni: "esse est percipi"; e forse hanno oggetti reali in sé (noumeno) da esse stesse del tutto diversi (ad esse solo correlati, corrispondenti), forse no: lo si può credere solo per fede.
Questa é la posizione di Hume (e naturalmente mia), mentre mi sembra (se non li fraintendo) che per Kant e "in un certo senso" per Spinoza l' esistenza reale delle cose in sé o noumeno (per quanto inteso in maniera del tutto indeterminata) sia certa (sebbene per Kant esso non sia conoscibile nelle caratteristiche determinate che lo costituiscono -razionalmente- dalla ragion pratica ma solo -a mio parere irrazionalmente- dalla ragion pratica).
Kant voleva evitare entrambe le conclusioni e propose:
- "realismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza" -
Fin qui Kant pare essere un realista naive. Tuttavia, questa è solo una parte della filosofia di Kant e riguarda gli oggetti "esterni" della nostra esperienza (ovvero tavoli, sedie, case ecc). In realtà c'è la parte che lascia più confusi ed è:
- "idealismo trascendentale"= "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono indipendentemente dall'esperienza".
Ovviamente, questi non sono gli stessi oggetti di prima... quali sono? (http://blob:https://www.riflessioni.it/a417e597-4c78-4039-80d4-f20618fd7809)
Ora essi devono essere per forza gli aspetti, che secondo Kant, erano a-priori nella nostra esperienza, ovvero "forme a-priori", "categorie dell'intelletto" e così via, ovvero le "facoltà" con cui la mente ordina l'esperienza.
CitazioneQui entra in ballo la conoscenza delle sensazioni.
La quale per me può limitarsi a essere una conoscenza "episodica" o "aneddottica" di singoli enti o eventi particolari concreti immediatamente esperiti; oppure può (limitatamente ai fenomeni materiali: res extensa, in quanto misurabili qantitativamente e postulabili essere intersoggettivi) ambire ad essere conoscenza scientifica, ovvero conoscenza delle modalità generali astratte, universali e costanti del divenire; ma in questo caso richiede la verità di talune conditiones sine qua non indimostrabili né empiricamente constatabili: oltre all' intersoggettività, il divenire ordinato secondo concatenazioni causali (di questa infondatezza razionale, di questa incertezza o dubitabilità in linea teorica o di principio é ben consapevole Hume, mentre -se ben l' ho compreso- Kant pretende di fondarne la certezza sulle -per me inesistenti, se non come tendenze comportamentali e non come credenze certe; casomai come "credute certezze" e non come "certezze reali" - forme a priori
CONTINUA
Tutto questo "casino" non è nato, storicamente, da Kant ma da Cartesio (quindi @CarloPierini dovrebbe prendersela con Cartesio ;D ). Per Cartesio, i sensi non potevano essere uno "valido strumento di conoscenza" perché la nostra esperienza sensibile presenta alcune caratteristiche che, certamente, dipendono dalla nostra esistenza soggettiva (colori, suoni ecc) - le "qualità secondarie". A differenza di Galileo, però, Cartesio non riteneva che noi potessimo dire che le "qualità primarie" (quantitative) erano degli oggetti esterni. Perché? Per il fatto che, in fin dei conti, secondo Cartesio la nostra "esperienza sensibile" è una costruzione mentale (e un "genio maligno" poteva ingannarci sulla sua "fedeltà" alla "realtà"). Quindi, Cartesio ha concluso che non si poteva sapere niente con certezza della realtà esterna se ci si basava sull'esperienza ("realismo trascendentale"...). Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.
Fu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento. Visto che Berkeley riteneva che gli oggetti comunemente ritenuti esterni erano in realtà interni proponeva un "idealismo empirico". Infine arrivò Hume, che pur considerando la causalità un'ipotesi ragionevole, riteneva che in realtà è indimostrabile. Così come la conoscenza scientifica. In entrambi i casi, ci affidiamo all'"abitudine".
Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").
Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.
E qui sta l'antinomia/indecidibilità della filosofia kantiana: da un lato afferma che la nostra mente ordina le sensazioni per renderle comprensibili, dall'altro affinché ciò sia possibile devono esistere oggetti esterni. La filosofia kantiana, perciò arriva ad una sorta di paradosso: gli oggetti esterni sono necessari per rendere l'esperienza comprensibile e quindi sono parte della rappresentazione e, allo stesso tempo, devono essere anche "esterni" ad essa (http://blob:https://www.riflessioni.it/a417e597-4c78-4039-80d4-f20618fd7809)
Ora quanto detto sopra lo vedo come una sorta di "paradosso", che, in pratica, riflette la nostra limitatezza. Se, infatti, neghiamo la validità delle "categorie" e delle "forme", finiamo per dover ammettere che non possiamo conoscere nemmeno la nostra stessa esperienza sensibile (Hume diceva che al massimo potevamo fare "ipotesi ragionevoli" e su questo, secondo me, è "più coerente" di Kant, visto che Kant, effettivamente non dimostra quanto afferma). Se, invece, concordiamo con i "realisti trascendentali" (Cartesio/Spinoza...) rimane il problema che non si può sapere che relazione c'è tra la nostra "esperienza sensibile" e "gli oggetti reali". Se, diciamo che la "realtà esterna" dipende ontologicamente dalla mente finiamo in una forma di idealismo (es: Berkeley e Hegel).
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato ::) ).
Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni date dalle filosofie empiriste (Berkeley, Hume) e dalle filosofie razionaliste (Spinoza, Cartesio) per le quali, rispettivamente, c'è a priori un problema di applicare i concetti all'esperienza e c'è anche il problema di capire che conoscenza ci può dare, in ultima analisi, l'esperienza. Rispetto Kant per il tentativo di risolvere il problema anche se, effettivamente, ha generato un'altra "antinomia" e quindi di fatto forse non è riuscito a risolvere questi problemi.
Il "realismo diretto" perciò, non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza e, inoltre, non spiega perché la nostra esperienza "ci fa conoscere" la "realtà esterna". Per esempio, come dicevo, un teista può "spiegare" la "corrispondenza" tra le nostre "facoltà mentali" e l'esperienza sostenendo che Dio ha creato il mondo in un modo a noi comprensibile ("spiegando" così il dilemma di Einstein, secondo cui "la cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità"). Oppure un platonico può spiegare la validità dello studio empirico della natura dicendo che la natura "partecipa" alla "Forme". Un materialista però, semplicemente, deve sempre "prendere atto" della "validità" dei concetti senza riuscire a dare alcuna spiegazione per cui tale "validità" c'è (pur sostenendo che è così e non c'è nessun motivo per cui è così)**. Diverso è lo scettico "tout-court" per il quale non si può conoscere una ragione di tale "corrispondenza" ("sospendendo il giudizio" su tale questione)*.
*se devo essere onesto, strettamente parlando, la mia attuale posizione non può essere che quella "scettica" visto che non sono veramente convinto da nessuna alternativa proposta, anche se alcune alternative mi affascinano e mi sembrano più "ragionevoli", per così dire, di altre. Detto ciò, ritengo che questo "dilemma" forse è veramente insolubile con la razionalità, lo studio "empirico" (e ovviamente anche la ragionevolezza che non può dare "soluzioni" ma "ipotesi ragionevoli", quando va bene - come dicevo, per avere una sorta di "sicurezza" si dovrebbe avere forse una "esperienza straordinaria" che non si potrebbe nemmeno chiamare "esperienza", strettamente parlando...) :)
**P.S. Secondo me, come filosofia, è insoddisfacente perché nemmeno prova a dare una spiegazione di tale "corrispondenza". Questo è il motivo per cui non sono materialista. Per me "non è ovvio" che ci sia questa "comprensibilità" e critico il materialismo proprio perché sembra essere indifferente a questo problema (ovviamente, non sto dicendo che il materialista è "più dogmatico" di altri... :) tuttavia, talvolta mi sembra che la filosofia materialista semplicemente ignori questo problema...).
Citazione di: Apeiron il 05 Novembre 2018, 22:01:10 PMCONTINUAZIONE
Tutto questo "casino" non è nato, storicamente, da Kant ma da Cartesio (quindi @CarloPierini dovrebbe prendersela con Cartesio ;D ). Per Cartesio, i sensi non potevano essere uno "valido strumento di conoscenza" perché la nostra esperienza sensibile presenta alcune caratteristiche che, certamente, dipendono dalla nostra esistenza soggettiva (colori, suoni ecc) - le "qualità secondarie". A differenza di Galileo, però, Cartesio non riteneva che noi potessimo dire che le "qualità primarie" (quantitative) erano degli oggetti esterni. Perché? Per il fatto che, in fin dei conti, secondo Cartesio la nostra "esperienza sensibile" è una costruzione mentale (e un "genio maligno" poteva ingannarci sulla sua "fedeltà" alla "realtà"). Quindi, Cartesio ha concluso che non si poteva sapere niente con certezza della realtà esterna se ci si basava sull'esperienza ("realismo trascendentale"...).
CitazioneFin qui concordo con Cartesio: le qualità primarie, per il fatto di essere misurabili direttamente, non sono meno fenomeniche o più in sé (il loro "esse" non é meno "pecipi") di quelle secondarie.
Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.
CitazioneQui naturalmente dissento da Cartesio (sempre seguendo l' immenso Hume) sulla certezza del soggetto del "cogito" (l' "ego" che ne sarebbe -erroneamente- dedotto) e sulla cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio e tutto ciò che ne ricava.
Fu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento.
CitazioneMa soprattutto che provocava, causava la loro presenza come meri fenomeni nella nostra coscienza.
Visto che Berkeley riteneva che gli oggetti comunemente ritenuti esterni erano in realtà interni proponeva un "idealismo empirico". Infine arrivò Hume, che pur considerando la causalità un'ipotesi ragionevole, riteneva che in realtà è indimostrabile. Così come la conoscenza scientifica. In entrambi i casi, ci affidiamo all'"abitudine".
Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").
CitazioneMa le "forme" e "categorie" "a-priori" non sono empiricamente dimostrabili né mostrabili come applicabili con certezza di verità all' esperienza fenomenica: Kant si illude di superare lo scetticismo humeiano, ma in realtà non lo supera affatto!
Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.
CitazioneMa se ben lo intendo erano "oggetti" e non sensazioni immediate solo in quanto cose in sé o noumeno, non i quanti fenomeni.
E qui sta l'antinomia/indecidibilità della filosofia kantiana: da un lato afferma che la nostra mente ordina le sensazioni per renderle comprensibili, dall'altro affinché ciò sia possibile devono esistere oggetti esterni. La filosofia kantiana, perciò arriva ad una sorta di paradosso: gli oggetti esterni sono necessari per rendere l'esperienza comprensibile e quindi sono parte della rappresentazione e, allo stesso tempo, devono essere anche "esterni" ad essa (http://blob:https://www.riflessioni.it/a417e597-4c78-4039-80d4-f20618fd7809)
Ora quanto detto sopra lo vedo come una sorta di "paradosso", che, in pratica, riflette la nostra limitatezza. Se, infatti, neghiamo la validità delle "categorie" e delle "forme", finiamo per dover ammettere che non possiamo conoscere nemmeno la nostra stessa esperienza sensibile (Hume diceva che al massimo potevamo fare "ipotesi ragionevoli" e su questo, secondo me, è "più coerente" di Kant, visto che Kant, effettivamente non dimostra quanto afferma).
CitazionePerfettamente d' accordo!
Se, invece, concordiamo con i "realisti trascendentali" (Cartesio/Spinoza...) rimane il problema che non si può sapere che relazione c'è tra la nostra "esperienza sensibile" e "gli oggetti reali". Se, diciamo che la "realtà esterna" dipende ontologicamente dalla mente finiamo in una forma di idealismo (es: Berkeley e Hegel).
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato ::) ).
CitazioneSecondo me l' apparente paradosso (che mi sembra proprio della tua interpretazione errata -ma potrei invece sbagliarmi io!- di Kant e non del grande konigsberghese) si scioglie facilmente distinguendo fra "oggetto" (di sensazione e non di conoscenza), impropriamente inteso come apparenza fenomenica nell' ambito della nostra coscienza (quelle materiali -res cogitans- non sono propriamente oggettive ma possono solo essere -indimostrabilmente postulate- essere intersoggettive; cioè reciprocamente corrispondenti -e non "cose" uguali, che non avrebbe senso, né men che meno le medesime "cose"- fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti); e "oggetto" propriamente inteso come cosa in sé o noumeno (in determinate relazioni con l' altra cosa in sé che é l' oggetto allorché accadono i determinati fenomeni coscienti; quelli materiali se soggetti ed oggetti sono diverse cose in sé, mentali se riflessivamente si identificano nella medesima cosa in sé).
Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni
CitazionePerfettamente d' accordo salvo "sentire" anziché "conoscere" (e solo conseguentemente il conoscere ciò che si sente).
date dalle filosofie empiriste (Berkeley, Hume) e dalle filosofie razionaliste (Spinoza, Cartesio) per le quali, rispettivamente, c'è a priori un problema di applicare i concetti all'esperienza e c'è anche il problema di capire che conoscenza ci può dare, in ultima analisi, l'esperienza. Rispetto Kant per il tentativo di risolvere il problema anche se, effettivamente, ha generato un'altra "antinomia" e quindi di fatto forse non è riuscito a risolvere questi problemi.
Il "realismo diretto" perciò, non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza
CitazioneQui devo ripetere che per me é un fatto del tutto ovvio non richiedente alcuna spiegazione.
e, inoltre, non spiega perché la nostra esperienza "ci fa conoscere" la "realtà esterna". Per esempio, come dicevo, un teista può "spiegare" la "corrispondenza" tra le nostre "facoltà mentali" e l'esperienza sostenendo che Dio ha creato il mondo in un modo a noi comprensibile ("spiegando" così il dilemma di Einstein, secondo cui "la cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità").
CitazionePer me un falso dilemma, un problema mal posto; anzi inesistente.
Oppure un platonico può spiegare la validità dello studio empirico della natura dicendo che la natura "partecipa" alla "Forme". Un materialista però, semplicemente, deve sempre "prendere atto" della "validità" dei concetti senza riuscire a dare alcuna spiegazione per cui tale "validità" c'è (pur sostenendo che è così e non c'è nessun motivo per cui è così)**. Diverso è lo scettico "tout-court" per il quale non si può conoscere una ragione di tale "corrispondenza" ("sospendendo il giudizio" su tale questione)*.
CitazionePer me é sempre un falso dilemma, un problema mal posto; anzi inesistente.
*se devo essere onesto, strettamente parlando, la mia attuale posizione non può essere che quella "scettica" visto che non sono veramente convinto da nessuna alternativa proposta, anche se alcune alternative mi affascinano e mi sembrano più "ragionevoli", per così dire, di altre. Detto ciò, ritengo che questo "dilemma" forse è veramente insolubile con la razionalità, lo studio "empirico" (e ovviamente anche la ragionevolezza che non può dare "soluzioni" ma "ipotesi ragionevoli", quando va bene - come dicevo, per avere una sorta di "sicurezza" si dovrebbe avere forse una "esperienza straordinaria" che non si potrebbe nemmeno chiamare "esperienza", strettamente parlando...) :)
**P.S. Secondo me, come filosofia, è insoddisfacente perché nemmeno prova a dare una spiegazione di tale "corrispondenza". Questo è il motivo per cui non sono materialista. Per me "non è ovvio" che ci sia questa "comprensibilità" e critico il materialismo proprio perché sembra essere indifferente a questo problema (ovviamente, non sto dicendo che il materialista è "più dogmatico" di altri... :) tuttavia, talvolta mi sembra che la filosofia materialista semplicemente ignori questo problema...).
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa.
Citazione
Secondo me la "filosofia materialista" non riesce a risolvere il problema perché non ne ha una comprensione corretta; infatti per via puramente e semplicemente neuroscientifica non si può risolvere.
Dire che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura) é assurdo: nei cervelli si possono trovare solo neuroni (e cellule gliali, vasi, ecc), assoni, sinapsi, potenziali d' azione ed eccitazioni e d inibizioni trans-sinaptiche (perfettamente riducibili a particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: materia tout court) e non affatto coscienza: nessun colorato arcobaleno o panorama se il "titolare "di un cervello che si osserva sta vedendo un arcobaleno o un panorama, nessun odio, amore, paura, soddisfazione, speranza, immaginazione, ecc. se sta odiando, amando, provando soddisfazione, sperando immaginando, ecc.).
Per il semplice motivo che non é l' esperienza** (del suo "titolare") ad essere nel cervello osservato, ma invece il cervello (osservato) ad essere nella coscienza* (di chi o osserva).
Per la chiusura causale del mondo fisico (senza la quale sarebbero possibili i miracoli e la scienza andrebbe a farsi benedire; magari anche letteralmente, da qualche prete o stregone) la res cogitans non può avere alcun effetto di alcun genere (qualsiasi cosa possa significare "trascendentale"), non può agire in alcun modo sulla res extensa.
Di tutto il bestiario filosofico narrato, mi pare che Kant sia quello che si avvicina di più alla realtà. Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo, capaci di trascendere col ragionamento logico i livelli meramente empirici dell'esperienza.
Citazione
La conoscenza e la spiegazione scientifica della comparsa nel corso dell' evoluzione biologica delle facoltà conoscitive umane, quella filosofica (gnoseologica o come si preferisce di fatto dire epistemologica) dei fondamenti, significato, natura, limiti, condizioni, ecc. della conoscenza e quella pure filosofica (ontologica) dei rapporti materia (cerebrale) - coscienza sono tre ben diversi ordini di questioni, da non confondersi.
In particolare la scienza biologica ci spiega benissimo come si é evoluto il cervello umano e conseguentemente il comportamento umano da esso "diretto" o regolato, ma nulla dei rapporti mente - cervello: per la biologia la coscienza potrebbe benissimo non accompagnare alcun cervello, uomini e animali potrebbero essere delle sorta di zombi "funzionanti" (agenti) come agiscono senza averne coscienza, e nulla cambierebbe, per nulla potremmo accorgercene.
Come una particella subatomica siamo contemporaneamente massa e onda, esperienza empirica e trascendentale. Non vi è alcuna contraddizione perchè siamo entrambe le cose. Mi auguro che scienza e filosofia finiscano con l'accorgersene, mettendo nella spazzatura della loro storia dispute tardonominalistiche il cui tempo è scaduto.
Citazione
NOn si tratta affatto di dispute tardonominalistiche fra scienza e filosofia da gettare nella spazzatura ma invece di problemi (per me soggettivamente interessantissimi!): si tratta di comprendere in che senso (che significano queste affermazioni) siamo contemporaneamente materia cerebrale (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da altri, nell' ambito delle loro coscienze*), e la nostra propria esperienza cosciente** (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da noi stessi).
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
Citazione
NOn comprendo: per me la verità é sempre verità per qualcuno che la conosce (se nessuno crede nulla esistono fatti, non verità, né falsità; le quali sono caratteristiche proprie di quei peculiari fatti che sono i predicati o affermazioni o giudizi).
E la veridicità é la caratteristica del soggetto di un' affermazione che dice il vero (a meno di non considerarla come mero sinonimo di "verità" attribuendola all' affermazione stessa).
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa.
Secondo me la "filosofia materialista" non riesce a risolvere il problema perché non ne ha una comprensione corretta; infatti per via puramente e semplicemente neuroscientifica non si può risolvere.
Dire che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura) é assurdo: nei cervelli si possono trovare solo neuroni (e cellule gliali, vasi, ecc), assoni, sinapsi, potenziali d' azione ed eccitazioni e d inibizioni trans-sinaptiche (perfettamente riducibili a particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: materia tout court) e non affatto coscienza: nessun colorato arcobaleno o panorama se il "titolare "di un cervello che si osserva sta vedendo un arcobaleno o un panorama, nessun odio, amore, paura, soddisfazione, speranza, immaginazione, ecc. se sta odiando, amando, provando soddisfazione, sperando immaginando, ecc.).
Per il semplice motivo che non é l' esperienza** (del suo "titolare") ad essere nel cervello osservato, ma invece il cervello (osservato) ad essere nella coscienza* (di chi o osserva).
L'uomo compreso il suo pensiero, è parte della natura, che ne influenza profondamente il cogito. ABC del materialismo marxista. Ma anche delle neuroscienze e del buonsenso. Che le neuroscienze siano in alto mare lo so. Ma hanno tutto il sacrosanto diritto, senza fingere ipotesi, di ricercare.
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Per la chiusura causale del mondo fisico (senza la quale sarebbero possibili i miracoli e la scienza andrebbe a farsi benedire; magari anche letteralmente, da qualche prete o stregone) la res cogitans non può avere alcun effetto di alcun genere (qualsiasi cosa possa significare "trascendentale"), non può agire in alcun modo sulla res extensa.
La res cogitans modifica, attraverso l'operari umano, la natura. Biotecnologie, un esempio a caso. Anche questo è abc del marxismo.
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
La conoscenza e la spiegazione scientifica della comparsa nel corso dell' evoluzione biologica delle facoltà conoscitive umane, quella filosofica (gnoseologica o come si preferisce di fatto dire epistemologica) dei fondamenti, significato, natura, limiti, condizioni, ecc. della conoscenza e quella pure filosofica (ontologica) dei rapporti materia (cerebrale) - coscienza sono tre ben diversi ordini di questioni, da non confondersi.
In particolare la scienza biologica ci spiega benissimo come si é evoluto il cervello umano e conseguentemente il comportamento umano da esso "diretto" o regolato, ma nulla dei rapporti mente - cervello: per la biologia la coscienza potrebbe benissimo non accompagnare alcun cervello, uomini e animali potrebbero essere delle sorta di zombi "funzionanti" (agenti) come agiscono senza averne coscienza, e nulla cambierebbe, per nulla potremmo accorgercene.
Non la farei così complicata. Le facoltà cognitive umane sono un prodotto evolutivo naturale.
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
NOn si tratta affatto di dispute tardonominalistiche fra scienza e filosofia da gettare nella spazzatura ma invece di problemi (per me soggettivamente interessantissimi!): si tratta di comprendere in che senso (che significano queste affermazioni) siamo contemporaneamente materia cerebrale (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da altri, nell' ambito delle loro coscienze*), e la nostra propria esperienza cosciente** (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da noi stessi).
Mia spiegazione: siamo contemporaneamente physis e psichè. La (auto)coscienza è il connettore tra le due sfere, il medium della dimensione psicofisica. Separarle con il rasoio, fosse pure quello di Occam, non si ottiene nulla di meglio che due cadaveri. Disjecta membra, come diceva il buon Karl.
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
NOn comprendo: per me la verità é sempre verità per qualcuno che la conosce (se nessuno crede nulla esistono fatti, non verità, né falsità; le quali sono caratteristiche proprie di quei peculiari fatti che sono i predicati o affermazioni o giudizi).
E la veridicità é la caratteristica del soggetto di un' affermazione che dice il vero (a meno di non considerarla come mero sinonimo di "verità" attribuendola all' affermazione stessa).
Rispondevo ad apeiron che intende la matematica come verità, mentre è soltanto veridica (soggetto che dice il vero) nel suo ristretto ambito onto-logico, epifenomenico rispetto alla "forma" della razionalità umana.
Citazione
CitazioneSgiombo:
Premetto che di marxismo penso di conoscere un po' di più dell' "abc" (anche perché non essendo un corpus di testi sacri non esiste alcuna "versione ufficialmente accettata", con tanto di "imprimatur", né del marxismo complessivamente inteso, né di alcun suo "abc").
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 13:21:45 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa.
Secondo me la "filosofia materialista" non riesce a risolvere il problema perché non ne ha una comprensione corretta; infatti per via puramente e semplicemente neuroscientifica non si può risolvere.
Dire che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura) é assurdo: nei cervelli si possono trovare solo neuroni (e cellule gliali, vasi, ecc), assoni, sinapsi, potenziali d' azione ed eccitazioni e d inibizioni trans-sinaptiche (perfettamente riducibili a particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: materia tout court) e non affatto coscienza: nessun colorato arcobaleno o panorama se il "titolare "di un cervello che si osserva sta vedendo un arcobaleno o un panorama, nessun odio, amore, paura, soddisfazione, speranza, immaginazione, ecc. se sta odiando, amando, provando soddisfazione, sperando immaginando, ecc.).
Per il semplice motivo che non é l' esperienza** (del suo "titolare") ad essere nel cervello osservato, ma invece il cervello (osservato) ad essere nella coscienza* (di chi o osserva).
L'uomo compreso il suo pensiero, è parte della natura, che ne influenza profondamente il cogito. ABC del materialismo marxista. Ma anche delle neuroscienze e del buonsenso. Che le neuroscienze siano in alto mare lo so. Ma hanno tutto il sacrosanto diritto, senza fingere ipotesi, di ricercare.
Citazione
Questa banalissima ovvietà (piuttosto che abc del marxismo, mero buon senso) che L'uomo compreso il suo pensiero, è parte della natura, che ne influenza profondamente il cogito non é certamente la soluzione della questione dei rapporti cervello-mente.
Le neuroscienze, compiendo progressi a mio parere filosoficamente assai poco rilevanti (secondo me bastava quello che si sapeva quasi un secolo e mezzo fa, ai tempi di Broca e Wernicke per impostare il problema filosofico su basi scientificamente assai consistenti) non hanno fatto che confermare e "illustrare sempre meglio nei dettagli" il fatto che ogni determinata esperienza cosciente necessariamente coesiste con determinato eventi neurofisiologici nell' ambito di un determinato cervello .
Ma questo é precisamente solo il punto di partenza per affrontare la questione filosofica (che taluni credono di risolvere "eliminativisticamente", negando contro l' evidenza empirica dei fatti la realtà della coscienza "soggettiva" (dei "qualia"). altri identificandola, pure contro l' evidenza empirica dei fatti, con quelle ben altre, diverse, seppur necessariamente coesistenti, cose che sono tali processi neurofisiologici, altri pretendono che "emerga da" o sopravvenga a" essi, altri che con essi interferisca causalmente contro la chiusura causale del mondo fisico, io nel mio piccolo che vi corrisponda biunivocamente, altri ancora ecc.).
Dunque nessuno si sogna di vietare (e ci mancherebbe altro!) alle scienze neurofisiologiche di fare il suo mestiere (nel quale si trovano tutt' altro che "in alto mare"), ma nemmeno la neurofisiologia (o lo scientismo o il positivismo) può pretendere di vietare alla filosofia di trattare queste ed altre teorie esplicative dl problema, nell ' intento di risolverlo (se possibile).
Se poi tu (a mio parere contro il marxismo inteso correttamente; sebbene dimostri di averne un' eccellente conoscenza -concetto ovviamente ben diverso da quello di conoscenza "perfetta", assolutamente indenne da fraintendimenti- per la quale ti faccio i miei sinceri complimenti) ritieni che le scienze naturali bastino a comprendere la questione (e forse anche la diversa questione del materialismo storico e dell' economia politica), fai pure.
Per conto mio invece non bastano proprio.
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CitazioneCitazione da: sgiombo - Tue Nov 06 2018 11:53:24 GMT+0100 (Ora standard dell'Europa centrale)
Per la chiusura causale del mondo fisico (senza la quale sarebbero possibili i miracoli e la scienza andrebbe a farsi benedire; magari anche letteralmente, da qualche prete o stregone) la res cogitans non può avere alcun effetto di alcun genere (qualsiasi cosa possa significare "trascendentale"), non può agire in alcun modo sulla res extensa.
La res cogitans modifica, attraverso l'operare umano, la natura. Biotecnologie, un esempio a caso. Anche questo è abc del marxismo.
Citazione(A parte l' ultima pretesa che sia l' abc del marxismo) Concordo in pieno (ma non l' ho mai negato).
Ma é irrilevante circa la questione dei rapporti mente - cervello (che a mio parere va affrontata dandolo ovviamente per scontato).
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Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
La conoscenza e la spiegazione scientifica della comparsa nel corso dell' evoluzione biologica delle facoltà conoscitive umane, quella filosofica (gnoseologica o come si preferisce di fatto dire epistemologica) dei fondamenti, significato, natura, limiti, condizioni, ecc. della conoscenza e quella pure filosofica (ontologica) dei rapporti materia (cerebrale) - coscienza sono tre ben diversi ordini di questioni, da non confondersi.
In particolare la scienza biologica ci spiega benissimo come si é evoluto il cervello umano e conseguentemente il comportamento umano da esso "diretto" o regolato, ma nulla dei rapporti mente - cervello: per la biologia la coscienza potrebbe benissimo non accompagnare alcun cervello, uomini e animali potrebbero essere delle sorta di zombi "funzionanti" (agenti) come agiscono senza averne coscienza, e nulla cambierebbe, per nulla potremmo accorgercene.
Non la farei così complicata. Le facoltà cognitive umane sono un prodotto evolutivo naturale.
CitazioneChe le facoltà cognitive umane sono un prodotto evolutivo naturale é ovvio (e da me mai negato), ma limitarsi a questa ovvietà ("farla così semplice") non solo non risolve la questione, ma dimostra anche che la si ignora tout court (beninteso: niente di male, ognuno coltiva gli interessi che più gli aggradano).
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Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
NOn si tratta affatto di dispute tardonominalistiche fra scienza e filosofia da gettare nella spazzatura ma invece di problemi (per me soggettivamente interessantissimi!): si tratta di comprendere in che senso (che significano queste affermazioni) siamo contemporaneamente materia cerebrale (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da altri, nell' ambito delle loro coscienze*), e la nostra propria esperienza cosciente** (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da noi stessi).
Mia spiegazione: siamo contemporaneamente physis e psichè. La (auto)coscienza è il connettore tra le due sfere, il medium della dimensione psicofisica. Separarle con il rasoio, fosse pure quello di Occam, non si ottiene nulla di meglio che due cadaveri. Disjecta membra, come diceva il buon Karl.
CitazioneParole che trovo molto vaghe ed oscure, che mi sembrano piuttosto enunciare la negazione del problema che tentarne una comprensione e un tentativo di soluzione.
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Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
NOn comprendo: per me la verità é sempre verità per qualcuno che la conosce (se nessuno crede nulla esistono fatti, non verità, né falsità; le quali sono caratteristiche proprie di quei peculiari fatti che sono i predicati o affermazioni o giudizi).
E la veridicità é la caratteristica del soggetto di un' affermazione che dice il vero (a meno di non considerarla come mero sinonimo di "verità" attribuendola all' affermazione stessa).
Rispondevo ad apeiron che intende la matematica come verità, mentre è soltanto veridica (soggetto che dice il vero) nel suo ristretto ambito onto-logico, epifenomenico rispetto alla "forma" della razionalità umana.
CitazioneLa matematica mi sembra piuttosto astratta rispetto ala realtà fenomenica immediatamente esperita che "epifenomenica rispetto alla "forma" della razionalità umana" (locuzione cui non saprei che senso dare).
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AMLa "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa. Di tutto il bestiario filosofico narrato, mi pare che Kant sia quello che si avvicina di più alla realtà. Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo, capaci di trascendere col ragionamento logico i livelli meramente empirici dell'esperienza. Come una particella subatomica siamo contemporaneamente massa e onda, esperienza empirica e trascendentale. Non vi è alcuna contraddizione perchè siamo entrambe le cose. Mi auguro che scienza e filosofia finiscano con l'accorgersene, mettendo nella spazzatura della loro storia dispute tardonominalistiche il cui tempo è scaduto.
Ciao Ipazia,Direi che la "filosofia materialistica" può accettare in parte e solo in parte quel tipo di ragionamento :) ... La "filosofia materialistica" assume che le nostre categorie mentali possano essere utilizzate per comprendere la "realtà esterna" alla nostra esperienza cosciente, assumendo, inoltre, che tale "realtà esterna" si possa conoscere empiricamente. Facendo così "si allontana" sia da Cartesio sia da Kant (pur conservando analogie con entrambi...). Da Cartesio perché, secondo Cartesio, a-priori la conoscenza empirica non ci può dare una conoscenza adeguata sulla realtà esterna. Da Kant, perché la "realtà esterna" è comprensibile dalle nostre categorie perché tale "realtà esterna" è implicata dall'ordinamento delle nostre sensazioni (ovvero applicando la causalità alle sensazioni, queste ultime non si possono spiegare senza "realtà esterna", perciò la "realtà esterna" è paradossalmente "interna" alla nostra rappresentazione). La "filosofia Kantiana" cerca di spiegare la validità dell'applicazione delle nostre categorie mentali all'esperienza (e quindi, per Kant, la scienza) assumendo che l'esperienza viene ordinata dalla nostra mente in un certo modo. Hume e Cartesio criticherebbero Kant per l'assunzione, seppur per motivi diversi e, inoltre, è ben da vedere quanto questo tentativo di spiegazione riesce effettivamente a spiegare...Andando nel dettaglio del tuo intervento:Citazione
Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura).
[preferirei il termine "mente" piuttosto che "pensiero" che può essere una parola fuorviante ma lasciando perdere ciò], questo però non è un punto "assodato" è una assunzione della filosofia materialistica (peraltro, c'è anche quello che è definito "the hard problem of consciousness"...). Citazione
Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa
se ciò è vero qui si assume che si può riuscire fino a che punto le facoltà trascendentali "distorcono" la "res extensa" (che per il materialismo, è la "realtà vera"). Ovvero: se non diciamo che la "realtà esterna" è parte della rappresentazione come possiamo dire che tale "realtà esterna" è "conoscibile" (dubbio Cartesiano)? In pratica, qui c'è l'assunzione del realismo diretto già criticata sia dagli empiristi (Hume, Berkeley...) che dai razionalisti (Cartesio, Spinoza) che da Kant. Per Cartesio e Spinoza il problema è che non c'è nessuna categoria che il nostro sistema percettivo ci possa dare una conoscenza della "realtà esterna". Per Hume e Berkeley, i sensi non dimostrano l'esistenza della "materia". Per Kant, non si può sapere come è "la realtà indipendentemente dalle nostre rappresentazioni". Citazione
Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo
per farlo, si deve assumereche tale spiegazione valga nel tempo (quindi in qualche modo, ci deve essere qualcosa che è "indipendente" dal tempo...). Il punto è che così non superilo scetticismo di Hume e Cartesio (cosa che ha provato a fare Kant senza ahimè riuscirci)Vedo che ci sono molte assunzioni e pochi tentativi di spiegare perché:1) perché si può conoscere qualcosa di indipendente dalle "rappresentazioni";2) e ammesso ciò, perché si può conoscere qualcosa. Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
Se appoggi la filosofia Kantiana no problem. Se appoggi la filosofia materialistica, invece, devi assumere che possiamo distinguere la "verità" dalla "veridicità" altrimenti, è una filosofia materialistica solo di nome. In fin dei conti, se assumi la "filosofia materialistica" e credi che le neuroscienze possano darci una conoscenza della realtà aldilà delle nostre "funzioni trascendentali" assumi che la "realtà esterna" è conoscibile :) Da qui il mio richiamo al problema della matematica. Ma visto che ha portato un po' fuori strada (anche se, il buon Einstein - che era un realista diretto o quasi - affermava che "l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo")Perché tale di "realtà esterna" indipendente dalle nostre funzioni trascendentali si possono conoscere le proprietà? :)
SgiomboCitazioneQui farei una prima obiezione:
Conoscere =/= sentire
Conoscere == predicare circa il sentire (o altro) conformemente alla realtà (del sentire o altro).
Nessun possibile oggetto di conoscenza é sentito indipendentemente dall' esperienza (per definizione); dunque nessuna sensazione (e non conoscenza) può accadere indipendentemente dall' esperienza costituita da sensazione (o sensazioni), tutti gli oggetti di sensazione sono sentiti tramite l' esperienza, anzi in quanto sensazioni costituenti l' esperienza; ma se continuano ad esistere anche senza l' esperienza (anche se e quando le sensazioni non accadono realmente, anche indipendentemente dalla eventuale realtà di queste, allora sono cosa diversa da esse, dall' esperienza), allora non sono costituite da sensazioni ovvero apparenze sensibili (fenomeni) ma invece da cose reali in sé e non apparenti ma congetturabili (noumeno).
Apeironvero però senza il "supporto" dell'esperienza (ed, eventualmente, ciò che può essere ricavato in modo indubitabile da essa) la "conoscenza" è una
congettura (cosa su cui anche tu sei d'accordo ;) )
. Onestamente, pensavo che fosse chiaro che, ad esempio, "realismo empirico" significa proprio che si ha
conoscenza di qualcosa che è indipendente ontologicamente e che lo si può conoscere tramite l'esperienza (e quindi, in ultima analisi le sensazioni...). Non capisco cosa cambia questa tua precisazione (per me era già implicita...)
SgiomboCitazioneNon si riferiscono all' epistemologia (allo studio della conoscenza) ma all' ontologia (alla realtà): le sensazioni sono fatti, non conoscenze (conoscenze sono invece -peculiari sensazioni costituite da- proposizioni, pensieri, predicati veri circa fatti (come le sensazioni o eventualmente altro); veri o "conformi" (concetto da definire per bene) ai fatti stessi.
Traducendo dalla questione (secondo me mal posta) delle sensazioni in quella (corretta) delle conoscenze circa le sensazioni, allora circa queste ultime si pone il problema se ad esistere o meno indipendentemente dal soggetto sono le sensazioni (fenomeni) o gli oggetti in sé (noumeno) delle stesse
Se le sensazioni (fenomeni) necessitano di un soggetto (in sé, da esse diverso, reale anche indipendentemente da esse: noumeno), allora i fenomeni sono indubbiamente dipendenti dal soggetto, mentre il noumeno (le cose in sé oggetto di sensazione fenomenica) potrebbero:
o esistere (essendo ben altra cosa ei fenomeni) indipendentemente dall' esistenza del soggetto e dei fenomeni o sensazioni: realismo:
oppure semplicemente non esistere: irrealismo (o idealismo a là Berkeley: esistono solo le sensazioni e non loro specifici oggetti, loro "oggetto" essendo in ultima analisi alquanto aspecificamente Dio che le fa esistere[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif] [/font][/size][/color]
ApeironBeh "trascendentale" e "empirico" sono concetti epistemologici. Il loro significato è nel campo epistemologico. Riguardo ad "idealismo" ed "empirismo" direi che è invece abbastanza ovvio che il significato è ontologico. Sulla questione del noumeno torno più avanti.
SgiomboCitazioneUna volta reimpostata correttamente (secondo me) la questione come questione delle sensazioni e non delle conoscenze (delle sensazioni), si può credere che gli oggetti in sé (noumeno) esistono indipendentemente dalle sensazioni e dai soggetti di sensazione (essi stessi in sé o noumeno), con esse correlate (biunivocamente corrispondenti) ma da essi diverse: altre "cose"!
Ma non lo si può dimostrare logicamente né tantomeno (per definizione) constatare empircamente (e questo vale pari pari per il soggetto delle sensazioni, cosa in sé o noumeno anch' esso).
Quello che si percepisce sensibilmente sono solo fenomeni, sensazioni: "esse est percipi"; e forse hanno oggetti reali in sé (noumeno) da esse stesse del tutto diversi (ad esse solo correlati, corrispondenti), forse no: lo si può credere solo per fede.
Questa é la posizione di Hume (e naturalmente mia), mentre mi sembra (se non li fraintendo) che per Kant e "in un certo senso" per Spinoza l' esistenza reale delle cose in sé o noumeno (per quanto inteso in maniera del tutto indeterminata) sia certa (sebbene per Kant esso non sia conoscibile nelle caratteristiche determinate che lo costituiscono -razionalmente- dalla ragion pratica ma solo -a mio parere irrazionalmente- dalla ragion pratica).
Apeironconcordo... pure su Kant (udite, udite!) ;D o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare
conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie).
SgiomboCitazioneQui entra in ballo la conoscenza delle sensazioni.
La quale per me può limitarsi a essere una conoscenza "episodica" o "aneddottica" di singoli enti o eventi particolari concreti immediatamente esperiti; oppure può (limitatamente ai fenomeni materiali: res extensa, in quanto misurabili qantitativamente e postulabili essere intersoggettivi) ambire ad essere conoscenza scientifica, ovvero conoscenza delle modalità generali astratte, universali e costanti del divenire; ma in questo caso richiede la verità di talune conditiones sine qua non indimostrabili né empiricamente constatabili: oltre all' intersoggettività, il divenire ordinato secondo concatenazioni causali (di questa infondatezza razionale, di questa incertezza o dubitabilità in linea teorica o di principio é ben consapevole Hume, mentre -se ben l' ho compreso- Kant pretende di fondarne la certezza sulle -per me inesistenti, se non come tendenze comportamentali e non come credenze certe; casomai come "credute certezze" e non come "certezze reali" - forme a priori
ApeironPenso di essere d'accordo e penso che anche la "mia interpretazione di Kant" sia d'accordo con quanto dici (forse non sarebbe d'accordo con la critica che "gli" fai alla fine, ma hai ragione :) - anche se, a rigore, Hume non ha mai
realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
SgiomboCitazioneFin qui concordo con Cartesio: le qualità primarie, per il fatto di essere misurabili direttamente, non sono meno fenomeniche o più in sé (il loro "esse" non é meno "pecipi") di quelle secondarie.
ApeironIdem...
SgiomboCitazioneApeiron
Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.
Citazione
CitazioneQui naturalmente dissento da Cartesio (sempre seguendo l' immenso Hume) sulla certezza del soggetto del "cogito" (l' "ego" che ne sarebbe -erroneamente- dedotto) e sulla cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio e tutto ciò che ne ricava.
ApeironConcordo.
Tra l'altro anche Kant, pur ritenendo "verità indubitabili" le forme e le categorie riteneva che le prove dell'esistenza di Dio non potevano portare a niente perché Dio non è un oggetto dell'esperienza fenomenico (per Kant). Così come non lo è nemmeno l'universo nella sua interezza (non può essere "osservato" dall'esterno, per così dire...). In ambo i casi, la ragione - per Kant- genera antinomie e, al massimo, congetture. Inoltre, Kant dice la stessa cosa anche per l'anima (l'"io noumenico") e il libero arbitrio.
SgiomboCitazioneFu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento.
Citazione
CitazioneMa soprattutto che provocava, causava la loro presenza come meri fenomeni nella nostra coscienza.
ApeironVero
SgiomboCitazioneApeiron
Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").
Citazione
CitazioneMa le "forme" e "categorie" "a-priori" non sono empiricamente dimostrabili né mostrabili come applicabili con certezza di verità all' esperienza fenomenica: Kant si illude di superare lo scetticismo humeiano, ma in realtà non lo supera affatto!
ApeironConcordo... non puoi dimostrarlo. A meno che non riesci a conoscere "direttamente" la "natura della mente"...conoscenza che non è né necessaria logicamente né empiricamente (Wittgenstein nel Tractatus pur riconoscendo all'idealismo trascendentale che "il mondo è il mio mondo" e che le proposizioni devono avere un contenuto** critica l'idealismo trascendentale perché
postula un "ordine a priori" nell'esperienza).
**per Kant, il "contenuto" che fa andare fuori dal mondo fenomenico è, per certi versi, l'etica (anche se, in realtà non dà vera conoscenza). Per Wittgenstein, le scienze naturali producevano "proposizioni sensate" perché potevano essere ricondotte all'empirico (era
vicino al neopositivismo logico - anche se non lo era, come è evidente dalla parte finale del Tractatus stesso...)
SgiomboCitazioneApeiron
Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.
Citazione
CitazioneMa se ben lo intendo erano "oggetti" e non sensazioni immediate solo in quanto cose in sé o noumeno, non i quanti fenomeni.
ApeironSono indipendenti dalla nostra esistenza ma al tempo stesso sono "interni" all'esperienza cosciente (o meglio, alla "rappresentazione") perché sono necessari per spiegare la presenza delle sensazioni. Quindi non sono "fenomeni" in quanto sensazioni, bensì sono all'interno del mondo fenomenico in quanto sono implicati dalla causalità (che è una forma regolativa a-priori). O almeno questo è quello che pensa "Kant interpretato da me" ::)
SgiomboCitazioneApeiron
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/rolleyes.gif) ).
Citazione
CitazioneSecondo me l' apparente paradosso (che mi sembra proprio della tua interpretazione errata -ma potrei invece sbagliarmi io!- di Kant e non del grande konigsberghese) si scioglie facilmente distinguendo fra "oggetto" (di sensazione e non di conoscenza), impropriamente inteso come apparenza fenomenica nell' ambito della nostra coscienza (quelle materiali -res cogitans- non sono propriamente oggettive ma possono solo essere -indimostrabilmente postulate- essere intersoggettive; cioè reciprocamente corrispondenti -e non "cose" uguali, che non avrebbe senso, né men che meno le medesime "cose"- fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti); e "oggetto" propriamente inteso come cosa in sé o noumeno (in determinate relazioni con l' altra cosa in sé che é l' oggetto allorché accadono i determinati fenomeni coscienti; quelli materiali se soggetti ed oggetti sono diverse cose in sé, mentali se riflessivamente si identificano nella medesima cosa in sé).
Apeiron E invece credo di no ;D secondo "la mia interpretazione di Kant" o "Kant interpretato da me", gli oggetti esterni, pur essendo ontologicamente indipendenti dall'esistenza del soggetto, sono pur parte della rappresentazione in quanto sono necessari nell'ordinamento della "causalità". Su questo punto si capisce, secondo me, il fatto che Kant voleva distanziarsi da Berkeley/Hume e Cartesio/Spinoza
e il motivo della critica rivoltagli da Fichte, Schelling e Hegel, secondo i quali non ha completato la sua "rivoluzione" (per questi filosofi, il "mondo esterno" era la creazione di una coscienza...per Kant ciò era possibile solo per Dio, la cui esistenza non poteva essere dimostrata con la "ragion pura" ma al massimo postulata dalla ragion pratica. Per il trio appena nominato tale coscienza era lo "Spirito" che ha creato il mondo esterno e di cui noi siamo "manifestazioni" - se non li ho fraintesi :) )
SgiomboCitazioneApeiron
Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni
Citazione
CitazionePerfettamente d' accordo salvo "sentire" anziché "conoscere" (e solo conseguentemente il conoscere ciò che si sente).
Concordo...
SgiomboCitazioneApeiron
Il "realismo diretto" perciò, non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza
Citazione
CitazioneQui devo ripetere che per me é un fatto del tutto ovvio non richiedente alcuna spiegazione.
ApeironNon è affatto ovvio che una "realtà esterna", indipendente ontologicamente da noi e non parte della nostra rappresentazione, sia regolare (assunzione 1) e che tali regolarità siano comprensibili da noi (assunzione 2) - ci sono anche altre assunzioni ma mi fermo qui. Onestamente, non capisco il motivo per cui a te sembra così "ovvio" :)
Come diceva Einstein:
"l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo" E Einstein era un realista diretto o molto vicino al realismo diretto se non ricordo male...
Ciao!
X Ipazia,fai conto che ho detto che questo casino era iniziato con Cartesio perché è lui che ha messo in dubbio tutto. Anche Hume poi ha messo in discussione l'applicazione dei concetti all'esperienza.
Con la questione delle "categorie" e delle "forme" a-priori Kant voleva dare un fondamento
certo alla scienza per eliminare la possibilità che argomenti come quelli proposti da Cartesio e Hume potevano mostrare che si poteva
dubitare della scienza. L'
intenzione di Kant perciò era quella di dare alla scienza un fondamento
indubitabile, irrefutabile, certo...se poi il suo tentativo sia fallito è un altro discorso :)
Ovviamente, uno può "fregarsene" di questo tipo di dubbi, usando un approccio pragmatico ;) (in fin dei conti anche Hume poi sceglieva di "credere" nella ragionevolissima ipotesi che la causalità era vera - e che quindi non aveva senso pratico di dubitare che prendendo a pugni un muro si potevano avere danni alle mani)
@ Apeiron
Io assumo il punto di vista della cosa-per-noi, non della cosa-in-sè. Da questa prospettiva "pragmatica" e realista le cose sono molto più semplici e richiedono meno dimostrazioni. Quello che la ricerca scientifica offre mi basta e avanza. Ad essa consegno l'ontologia degli enti materiali incluso l'Essere e il suo ibrido Creatore. Ritengo tale posizione filosofica sostanzialmente materialista. A questo punti tu dici: non mi basta. Concordo e pertanto mi riservo uno spazio ontologico particolare, cui attribuisco un carattere trascendentale, agli enti immateriali prodotti dall'attività umana (res cogitans) interagendo con la Natura (res extensa) non intesa come realtà esterna vista da fuori, ma da dentro da una sua parte interagente. Tale interazione modifica la natura sia materialmente che "spiritualmente", trascendendo la legge esclusiva del DNA. Il processo ha caratteristiche dialettiche, di feedback, retroattive ed è su questa dialettica che si gioca il destino umano, la sua progettualità. Anche questa posizione mi pare compatibile con una filosofia materialistica (homo sive natura). Certamente non meccanicistica e dogmaticamente deterministica. Peraltro, delle patenti di ortodossia scolastica, non mi preoccupo granchè. Mi basta ridurre tutto il reale alla sua dimensione - in divenire -antropologicamente rappresentabile. La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco.
Citazione di: Apeiron il 06 Novembre 2018, 21:48:24 PM
Apeiron
vero però senza il "supporto" dell'esperienza (ed, eventualmente, ciò che può essere ricavato in modo indubitabile da essa) la "conoscenza" è una congettura (cosa su cui anche tu sei d'accordo ;) ).
Onestamente, pensavo che fosse chiaro che, ad esempio, "realismo empirico" significa proprio che si ha conoscenza di qualcosa che è indipendente ontologicamente e che lo si può conoscere tramite l'esperienza (e quindi, in ultima analisi le sensazioni...). Non capisco cosa cambia questa tua precisazione (per me era già implicita...)
Citazione
Sgiombo:
La conoscenza delle sensazioni é una cosa (un fatto), le sensazioni sono altre cose (altri fatti).
"Ciò di cui si ha sensazione" può essere inteso come le sensazioni stesse (un albero che vedo), delle quali "esse est percipi", e dunque qualcosa di non indipendente (anzi: di identico) ontologicamente dalle sensazioni stesse (e dal rispettivo soggetto, se reale; anche se non solo da tutto ciò); oppure come la cosa in sé (se reale) che "si manifesta come le (corrisponde biunivocamente alle) sensazioni , ma é indipendente da esse (é reale anche e e quando non lo sono le corrispondenti sensazioni con le quali "si manifesta" fenomenicamente) e dal rispettivo soggetto.
CitazioneNon si riferiscono all' epistemologia (allo studio della conoscenza) ma all' ontologia (alla realtà): le sensazioni sono fatti, non conoscenze (conoscenze sono invece -peculiari sensazioni costituite da- proposizioni, pensieri, predicati veri circa fatti (come le sensazioni o eventualmente altro); veri o "conformi" (concetto da definire per bene) ai fatti stessi.
Traducendo dalla questione (secondo me mal posta) delle sensazioni in quella (corretta) delle conoscenze circa le sensazioni, allora circa queste ultime si pone il problema se ad esistere o meno indipendentemente dal soggetto sono le sensazioni (fenomeni) o gli oggetti in sé (noumeno) delle stesse
Se le sensazioni (fenomeni) necessitano di un soggetto (in sé, da esse diverso, reale anche indipendentemente da esse: noumeno), allora i fenomeni sono indubbiamente dipendenti dal soggetto, mentre il noumeno (le cose in sé oggetto di sensazione fenomenica) potrebbero:
o esistere (essendo ben altra cosa ei fenomeni) indipendentemente dall' esistenza del soggetto e dei fenomeni o sensazioni: realismo:
oppure semplicemente non esistere: irrealismo (o idealismo a là Berkeley: esistono solo le sensazioni e non loro specifici oggetti, loro "oggetto" essendo in ultima analisi alquanto aspecificamente Dio che le fa esistere
Apeiron
Beh "trascendentale" e "empirico" sono concetti epistemologici. Il loro significato è nel campo epistemologico. Riguardo ad "idealismo" ed "empirismo" direi che è invece abbastanza ovvio che il significato è ontologico. Sulla questione del noumeno torno più avanti.
Citazione
Sgiombo:
Ma non stavamo parlando di ontologia?
Apeiron
concordo... pure su Kant (udite, udite!) ;D o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie).
CitazioneNOn capisco la differenza: gli assiomi i quali sono imposti (= il credere nella verità dei quali é imposto) dalla ragion pratica che cosa sono se non conoscenza (che esistono Dio, l' anima individuale immortale e il libero arbitrio)?
Apeiron
a rigore, Hume non ha mai realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
Citazione
Ne ha realmente dubitato, anche se ovviamente si é sempre comportato "ragionevolmente", come se non ne dubitasse (differenza fra conoscenza o teoria e pratica).
Citazione di: Apeiron il 06 Novembre 2018, 22:13:20 PM
CitazioneApeiron
Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.
Citazione
Citazione
CitazioneSgiombo:
Ma se ben lo intendo erano "oggetti" e non sensazioni immediate solo in quanto cose in sé o noumeno, non i quanti fenomeni.
Apeiron
Sono indipendenti dalla nostra esistenza ma al tempo stesso sono "interni" all'esperienza cosciente (o meglio, alla "rappresentazione") perché sono necessari per spiegare la presenza delle sensazioni. Quindi non sono "fenomeni" in quanto sensazioni, bensì sono all'interno del mondo fenomenico in quanto sono implicati dalla causalità (che è una forma regolativa a-priori). O almeno questo è quello che pensa "Kant interpretato da me" ::)
CitazioneSgiombo:
Concordo se (come mi pare di comprendere ora) stai parlando di cose come gli atomi, le particelle-onde, i campi di forza, ecc.: questi non sono cose in sé ma invece ciò che si teorizza (si conosce come non falsificato) circa i fenomeni (il "mondo fenomenico" analizzato nelle modalità del suo divenire, nei suoi aspetti anche non immediatamente evidenti ma da ipotizzare per spiegare il divenire di quelli immediatamente evidenti: non usciamo dall' "esse est percipi", ma semplicemente percepiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente; o meglio consideriamo, pensiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente ciò che percepiamo.
CitazioneApeiron
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/rolleyes.gif) ).
Citazione
CitazioneSgiombo:
Secondo me l' apparente paradosso (che mi sembra proprio della tua interpretazione errata -ma potrei invece sbagliarmi io!- di Kant e non del grande konigsberghese) si scioglie facilmente distinguendo fra "oggetto" (di sensazione e non di conoscenza), impropriamente inteso come apparenza fenomenica nell' ambito della nostra coscienza (quelle materiali -res cogitans- non sono propriamente oggettive ma possono solo essere -indimostrabilmente postulate- essere intersoggettive; cioè reciprocamente corrispondenti -e non "cose" uguali, che non avrebbe senso, né men che meno le medesime "cose"- fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti); e "oggetto" propriamente inteso come cosa in sé o noumeno (in determinate relazioni con l' altra cosa in sé che é l' oggetto allorché accadono i determinati fenomeni coscienti; quelli materiali se soggetti ed oggetti sono diverse cose in sé, mentali se riflessivamente si identificano nella medesima cosa in sé).
Apeiron
E invece credo di no ;D secondo "la mia interpretazione di Kant" o "Kant interpretato da me", gli oggetti esterni, pur essendo ontologicamente indipendenti dall'esistenza del soggetto, sono pur parte della rappresentazione in quanto sono necessari nell'ordinamento della "causalità". Su questo punto si capisce, secondo me, il fatto che Kant voleva distanziarsi da Berkeley/Hume e Cartesio/Spinoza e il motivo della critica rivoltagli da Fichte, Schelling e Hegel, secondo i quali non ha completato la sua "rivoluzione" (per questi filosofi, il "mondo esterno" era la creazione di una coscienza...per Kant ciò era possibile solo per Dio, la cui esistenza non poteva essere dimostrata con la "ragion pura" ma al massimo postulata dalla ragion pratica. Per il trio appena nominato tale coscienza era lo "Spirito" che ha creato il mondo esterno e di cui noi siamo "manifestazioni" - se non li ho fraintesi :) )
CitazioneSgiombo:
Se per "oggetti esterni" intendi le cose in sé (o il noumeno) dissento: sono ontologicamente indipendenti dall' esistenza del soggetto di coscienza e diversi (altre "cose") dalle rappresentazioni fenomeniche.
Se invece (dicendo che sono necessari nell'ordinamento della "causalità"; comunque credibile per fede e non dimostrabile) intendi che sono aspetti "nascosti", non immediatamente evidenti della realtà fenomenica ma deducibili dai suoi aspetti immediatamente evidenti (atomi, particelle-onde, ecc.), comunque non reali indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (e dal rispettivo soggetto, se é reale anch' esso), allora concordo.
Sgiombo
CitazioneApeiron
Il "realismo diretto" perciò, non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza
Citazione
CitazioneQui devo ripetere che per me é un fatto del tutto ovvio non richiedente alcuna spiegazione.
Apeiron
Non è affatto ovvio che una "realtà esterna", indipendente ontologicamente da noi e non parte della nostra rappresentazione, sia regolare (assunzione 1)
CitazioneSgiombo:
Deve esserlo se si vuole spiegare con essa l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello coscienza (altro modo di farlo non vedo, se non una leibniziana armonia prestabilita, nella quale il noumeno nemmeno esiste; casomai esiste Dio).
e che tali regolarità siano comprensibili da noi (assunzione 2) - ci sono anche altre assunzioni ma mi fermo qui. Onestamente, non capisco il motivo per cui a te sembra così "ovvio" :)
CitazioneSgiombo:
Ma da noi le regolarità del noumeno o cosa in sé non sono comprensibili (nemmeno immaginabili); lo sono solo quelle (postulabili ma non dimostrabili) dei fenomeni).
In fin dei conti anche Hume poi sceglieva di "credere" nella ragionevolissima ipotesi che la causalità era vera - e che quindi non aveva senso pratico di dubitare che prendendo a pugni un muro si potevano avere danni alle mani)
CitazioneMa nella piena consapevolezza dell' infondatezza razionale di questa credenza.
Ciao!
Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 10:50:56 AM@ Apeiron Io assumo il punto di vista della cosa-per-noi, non della cosa-in-sè. Da questa prospettiva "pragmatica" e realista le cose sono molto più semplici e richiedono meno dimostrazioni. Quello che la ricerca scientifica offre mi basta e avanza. Ad essa consegno l'ontologia degli enti materiali incluso l'Essere e il suo ibrido Creatore. Ritengo tale posizione filosofica sostanzialmente materialista.
@Ipazia,
beh, diciamo che è un "materialismo" molto particolare, il tuo (ho difficoltà a chiamarlo "materialismo", ma posso capire il motivo che ti porta a farlo ed è legittimo...). Rilevo una influenza del "relazionalismo" di Carlo Rovelli... sbaglio?
Chi è il "Creatore"? :)
Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 10:50:56 AM
A questo punti tu dici: non mi basta. Concordo e pertanto mi riservo uno spazio ontologico particolare, cui attribuisco un carattere trascendentale, agli enti immateriali prodotti dall'attività umana (res cogitans) interagendo con la Natura (res extensa) non intesa come realtà esterna vista da fuori, ma da dentro da una sua parte interagente. Tale interazione modifica la natura sia materialmente che "spiritualmente", trascendendo la legge esclusiva del DNA. Il processo ha caratteristiche dialettiche, di feedback, retroattive ed è su questa dialettica che si gioca il destino umano, la sua progettualità. Anche questa posizione mi pare compatibile con una filosofia materialistica (homo sive natura). Certamente non meccanicistica e dogmaticamente deterministica. Peraltro, delle patenti di ortodossia scolastica, non mi preoccupo granchè. Mi basta ridurre tutto il reale alla sua dimensione - in divenire -antropologicamente rappresentabile. La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco.
Penso di capire... punto di vista interessante!
Quello che a me piace del relazionalismo, è che, effettivamente, sembra che si basa su un ragionamento che sembra funzionare bene nella fisica stessa. Galileo ha scoperto che le velocità erano definite
in relazione ad un determinato riferimento. Einstein addirittura arriva a dire lo stesso per la simultaneità (e, quindi, anche per distanze e durate). Quello che i vari riferimenti hanno veramente in comune - a parte, ad esempio il valore della velocità della luce - sono le "regolarità" dei fenomeni. Tuttavia, mentre Minkowski riteneva che la "vera realtà" era uno "spazio-tempo quadridimensionale" da cui ogni riferimento "ricavava" le sue prospettive, è anche vero che noi non sperimentiamo uno "spazio-tempo quadridimensionale", bensì le "prospettive" (che Minkowski paragonava ad "ombre"). Usando, quindi, il gergo di Minkowski mentre lo "spazio-tempo quadridimensionale" sembra qualcosa di "astratto", le "ombre" sembrano molto "concrete" (anche se hanno una "realtà" puramente
relazionale...quindi, effettivamente, sembrano essere "ombre"). La metafisica di Rovelli sembra dire che, in realtà, ci sono
solo ombre. Ho abbastanza difficoltà a "immaginarmi" una "realtà" del genere, ma è anche vero che già un mondo dove non sono "definite" le velocità (vedi Galileo, se non prendi "sistemi di riferimento privilegiati") è contro-intuitivo.
La filosofia di Kant, per certi versi, mi sembra "l'analogo" con le coscienze (anche se, in Kant, lo stato ontologico della "cosa in sé" non è ben chiarito...). In questo caso, però, se noi abbiamo accesso alla sola "cosa-per-noi" come spieghiamo il fatto di riuscire a interagire tra di noi? :) sembra una domanda un po' stupida, ma il rischio dell'approccio Kantiano è proprio quello di "scivolare" in una sorta di solipsismo epistemologico o addirittura ontologico (mi pare che Carnap ha esplicitamente detto che il neopositivismo è "solipsismo ontologico" o "metodologico" e il neopositivismo deve molto a Kant. Così come (almeno) il "primo" Wittgenstein, che arriva a dire che "ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto, solo che non si può dire"...). Secondo me "qualcosa" di importante viene "segnalato", per così dire, da queste filosofie ma forse questo "qualcosa" si riduce all'antinomia di cui parlavo a sgiombo, ovvero ammettere che ci sono cose che
esistono in modo indipendente da noi (la Luna
esiste quando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente) e ciononostante sono parte della rappresentazione/esperienza/mondo fenomenico. Chiaramente è una antinomia o un "paradosso"...
Sgiombo,Citazione
La conoscenza delle sensazioni é una cosa (un fatto), le sensazioni sono altre cose (altri fatti).
"Ciò di cui si ha sensazione" può essere inteso come le sensazioni stesse (un albero che vedo), delle quali "esse est percipi", e dunque qualcosa di non indipendente (anzi: di identico) ontologicamente dalle sensazioni stesse (e dal rispettivo soggetto, se reale; anche se non solo da tutto ciò); oppure come la cosa in sé (se reale) che "si manifesta come le (corrisponde biunivocamente alle) sensazioni , ma é indipendente da esse (é reale anche e e quando non lo sono le corrispondenti sensazioni con le quali "si manifesta" fenomenicamente) e dal rispettivo soggetto.
ApeironAdesso capisco la distinzione, grazie.
Ritengo che Kant sia, nella Ragion Pura, agnostico sulla cosa in sé. Tuttavia, per Kant, non è necessario chiamare in "causa" il noumeno per "rendere conto" dei fenomeni anche quando non li si osserva. Per Kant, traduco da una citazione dall'inglese "
la conoscenza delle cose come effettive non richiede, certamente, l'immediata percezione (e, quindi, le sensazioni di cui siamo coscienti) dell'oggetto la cui esistenza è da conoscere " (A225/B272). Come dicevo, per spiegare l'insorgere delle sensazioni non è necessario "scomodare" il noumeno, per Kant (visto che sia le sensazioni che le cause delle sensazioni sono parti del "mondo empirico"/"mondo fenomenico"). Per lui, questo bastava per spiegare l'inter-soggettività e il fatto che viviamo in un mondo "condiviso".
Onestamente, però, credo che questo ragionamento produca solo un'antinomia, come dicevo (antinomia, peraltro interessante...).
CitazioneSgiombo:
Ma non stavamo parlando di ontologia?
ApeironHo avuto un lapsus. "Trascendentale" = "conoscenza indipendente dall'esperienza" /"Empirico" = "conoscenza derivata dall'esperienza".
"Realismo" = "esistenza indipendente dall'esistenza oggettiva" /"Idealismo" = "esistenza dipendente dall'esistenza soggettiva".
Ergo, stiamo parlando di entrambe. Il "paradosso" è che per Kant l'esperienza è "costruita" dalla mente e ciononostante in questa costruzione ci sono oggetti che esistono indipendentemente dalla mente ("realismo empirico"). La costruzione viene fatta tramite forme e categorie a priori, "a priori" e quindi che non si conoscono con l'esperienza. Inoltre, essendo "proprietà" della nostra mente, non possono "esistere" all'infuori di essa (ovviamente, esistono in altre menti) - "idealismo trascendentale".
Citazione
[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif]Apeiron
concordo... pure su Kant (udite, udite!) (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie).
Citazione[/b][/font][/size]
CitazioneSgiombo:
NOn capisco la differenza: gli assiomi i quali sono imposti (= il credere nella verità dei quali é imposto) dalla ragion pratica che cosa sono se non conoscenza (che esistono Dio, l' anima individuale immortale e il libero arbitrio)?
ApeironSono imposti dalla "pratica", dal
dovere morale. In pratica, l'etica
richiede quei postulati. Ma questa è una
richiesta, non una conoscenza "di per sé". Meglio adesso? :)
Citazione
Apeiron
a rigore, Hume non ha mai realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
Citazione
CitazioneSgiombo
Ne ha realmente dubitato, anche se ovviamente si é sempre comportato "ragionevolmente", come se non ne dubitasse (differenza fra conoscenza o teoria e pratica).
ApeironConcordo! Diciamo che ne ha dimostrato l'indimostrabilità (argomento peraltro non nuovo, Sesto Empirico a quanto pare aveva già messo in dubbio l'induzione con un'argomentazione praticamente identica) :) d'altro canto, però, c'è, diciamo, la "quasi" certezza che sia così :)
CitazioneCitazioneCitazioneSgiombo:
CitazioneSgiombo:
Concordo se (come mi pare di comprendere ora) stai parlando di cose come gli atomi, le particelle-onde, i campi di forza, ecc.: questi non sono cose in sé ma invece ciò che si teorizza (si conosce come non falsificato) circa i fenomeni (il "mondo fenomenico" analizzato nelle modalità del suo divenire, nei suoi aspetti anche non immediatamente evidenti ma da ipotizzare per spiegare il divenire di quelli immediatamente evidenti: non usciamo dall' "esse est percipi", ma semplicemente percepiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente; o meglio consideriamo, pensiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente ciò che percepiamo.
Apeiron
Credo che ci stiamo avvicinando :)
Ma questo è il "casino" della filosofia Kantiana. Per rendere sensata la rappresentazione gli "oggetti" devono esistere (la Ragion Pura lo "richiede", per così dire). Però la rappresentazione è, ovviamente, appunto una "rappresentazione" e quindi interna.
Kant arriva addirittura a fare una distinzione tra l'arcobaleno e le gocce che lo "causano". Arriva a distinguere le apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" (in un certo senso, visto che come dici tu "ipotizziando" "percepiamo meglio") ma al contempo lo si fa (visto che la rappresentazione non avrebbe alcun senso senza tali "cose" non direttamente percepite) ;D
Quindi la Ragion Pura arriva ad un paradosso. In pratica, gli "oggetti" sono esterni ed interni a seconda di come li si considera. Ovviamente, è difficile giustificare che qualcosa sia all'interno della rappresentazione e indipendente ontologicamente da noi (per questo motivo ritengo che la filosofia Kantiana arriva ad una indecidibilità/antinomia...per Kant, forse, non c'era questa "antinomia" visto che da quanto mi sembra di capire pensava di aver risolto il dibattito tra razionalisti ed empiristi dando il tanto ricercato fondamento "certo" alla conoscenza scientifica). CitazioneSgiombo:
Se per "oggetti esterni" intendi le cose in sé (o il noumeno) dissento: sono ontologicamente indipendenti dall' esistenza del soggetto di coscienza e diversi (altre "cose") dalle rappresentazioni fenomeniche.
Se invece (dicendo che sono necessari nell'ordinamento della "causalità"; comunque credibile per fede e non dimostrabile) intendi che sono aspetti "nascosti", non immediatamente evidenti della realtà fenomenica ma deducibili dai suoi aspetti immediatamente evidenti (atomi, particelle-onde, ecc.), comunque non reali indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (e dal rispettivo soggetto, se é reale anch' esso), allora concordo.
ApeironQui in realtà credo di concordare con te e non con il "mio Kant", anche se, in realtà, quello che dice è consistente seppur "paradossale" :) nel senso, se la rappresentazione è ordinata, ovviamente, necessita degli "oggetti esterni" (quelli che Kant chiama "cose in sé empiriche"), tuttavia la rappresentazione non è "indipendente" da noi. Però, "punta" a qualcosa di esterno. La filosofia Kantiana arriva lì (da come leggo Kant, lui credeva che veramente il "puntare" era un "dimostrare", in realtà :) ). Non va oltre, secondo me. Andare oltre, significa parlare della "realtà-così-come-è". E non abbiamo alcuna garanzia che "essa" - se c'è, come ben dici tu - sia come è "richiesto" dalla Ragion Pura. Nel rifiuto all'idealismo (anche se è un tentativo di rifiutare il solipsismo), Kant dice che solo con qualcosa di "esterno" possiamo avere auto-coscienza (grazie alla distinzione "interno" ed "esterno"...). Quindi per Kant la Ragion Pura "prova" l'esistenza di "qualcosa di esterno". Ma di questo "qualcosa" non possiamo sapere "come è veramente" indipendentemente dalle nostre categorie trascendentali (in realtà, a rigore, nemmeno "se c'è" ma assumendo che c'è vale quello che dicevo). CitazioneSgiombo:
Ma da noi le regolarità del noumeno o cosa in sé non sono comprensibili (nemmeno immaginabili); lo sono solo quelle (postulabili ma non dimostrabili) dei fenomeni).
ApeironMi riferivo alla "cosa in sé". Per un realista diretto, però dovremmo conoscere la "cosa in sé" ;) Perchè, però, dici che non possiamo nemmeno comprendere e immaginare le (eventuali) regolarità del noumeno? Mi aspettavo che dicevi che, ammesso che esistono, non possiamo sapere quali sono... :) Ciao!
Citazione di: Apeiron il 09 Novembre 2018, 19:38:52 PM
Secondo me "qualcosa" di importante viene "segnalato", per così dire, da queste filosofie ma forse questo "qualcosa" si riduce all'antinomia di cui parlavo a sgiombo, ovvero ammettere che ci sono cose che esistono in modo indipendente da noi (la Luna esiste quando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente) e ciononostante sono parte della rappresentazione/esperienza/mondo fenomenico. Chiaramente è una antinomia o un "paradosso"...
Citazione
Che secondo me si risolve distinguendo fra:
cosa in sé (noumeno; per esempio corrisponde alla mia visione della luna) che esistequando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente;
e
fenomeni (la mia visione della luna) che esistono solo quando li sento (solo quando osservo la luna).
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Citazione
La conoscenza delle sensazioni é una cosa (un fatto), le sensazioni sono altre cose (altri fatti).
"Ciò di cui si ha sensazione" può essere inteso come le sensazioni stesse (un albero che vedo), delle quali "esse est percipi", e dunque qualcosa di non indipendente (anzi: di identico) ontologicamente dalle sensazioni stesse (e dal rispettivo soggetto, se reale; anche se non solo da tutto ciò); oppure come la cosa in sé (se reale) che "si manifesta come le (corrisponde biunivocamente alle) sensazioni , ma é indipendente da esse (é reale anche e e quando non lo sono le corrispondenti sensazioni con le quali "si manifesta" fenomenicamente) e dal rispettivo soggetto.
Apeiron
Adesso capisco la distinzione, grazie.
Ritengo che Kant sia, nella Ragion Pura, agnostico sulla cosa in sé. Tuttavia, per Kant, non è necessario chiamare in "causa" il noumeno per "rendere conto" dei fenomeni anche quando non li si osserva. Per Kant, traduco da una citazione dall'inglese "la conoscenza delle cose come effettive non richiede, certamente, l'immediata percezione (e, quindi, le sensazioni di cui siamo coscienti) dell'oggetto la cui esistenza è da conoscere " (A225/B272). Come dicevo, per spiegare l'insorgere delle sensazioni non è necessario "scomodare" il noumeno, per Kant (visto che sia le sensazioni che le cause delle sensazioni sono parti del "mondo empirico"/"mondo fenomenico"). Per lui, questo bastava per spiegare l'inter-soggettività e il fatto che viviamo in un mondo "condiviso".
Onestamente, però, credo che questo ragionamento produca solo un'antinomia, come dicevo (antinomia, peraltro interessante...).
Citazione
Ma secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).
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CitazioneSgiombo:
Ma non stavamo parlando di ontologia?
Apeiron
Ho avuto un lapsus. "Trascendentale" = "conoscenza indipendente dall'esperienza" /"Empirico" = "conoscenza derivata dall'esperienza".
"Realismo" = "esistenza indipendente dall'esistenza oggettiva" /"Idealismo" = "esistenza dipendente dall'esistenza soggettiva".
Ergo, stiamo parlando di entrambe. Il "paradosso" è che per Kant l'esperienza è "costruita" dalla mente e ciononostante in questa costruzione ci sono oggetti che esistono indipendentemente dalla mente ("realismo empirico"). La costruzione viene fatta tramite forme e categorie a priori, "a priori" e quindi che non si conoscono con l'esperienza. Inoltre, essendo "proprietà" della nostra mente, non possono "esistere" all'infuori di essa (ovviamente, esistono in altre menti) - "idealismo trascendentale".
Citazione
Per me é semplicemente intersoggettività (cioè soggettività, ma con qualcosa di condiviso indipendentemente dal singolo particolare soggetto, di corrispondente fra tutti i reali o potenziali soggetti.
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Citazione
Apeiron
concordo... pure su Kant (udite, udite!) (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie).
Citazione
CitazioneSgiombo:
NOn capisco la differenza: gli assiomi i quali sono imposti (= il credere nella verità dei quali é imposto) dalla ragion pratica che cosa sono se non conoscenza (che esistono Dio, l' anima individuale immortale e il libero arbitrio)?
Apeiron
Sono imposti dalla "pratica", dal dovere morale. In pratica, l'etica richiede quei postulati. Ma questa è una richiesta, non una conoscenza "di per sé". Meglio adesso? :)
Citazione
Veramente no: mi sembra sempre la richiesta di una credenza, che si presume essere vera (cioè conoscenza).
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Citazione
Citazione
CitazioneSgiombo:
CitazioneSgiombo:
Concordo se (come mi pare di comprendere ora) stai parlando di cose come gli atomi, le particelle-onde, i campi di forza, ecc.: questi non sono cose in sé ma invece ciò che si teorizza (si conosce come non falsificato) circa i fenomeni (il "mondo fenomenico" analizzato nelle modalità del suo divenire, nei suoi aspetti anche non immediatamente evidenti ma da ipotizzare per spiegare il divenire di quelli immediatamente evidenti: non usciamo dall' "esse est percipi", ma semplicemente percepiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente; o meglio consideriamo, pensiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente ciò che percepiamo.
Apeiron
Credo che ci stiamo avvicinando :)
Ma questo è il "casino" della filosofia Kantiana. Per rendere sensata la rappresentazione gli "oggetti" devono esistere (la Ragion Pura lo "richiede", per così dire). Però la rappresentazione è, ovviamente, appunto una "rappresentazione" e quindi interna.
Kant arriva addirittura a fare una distinzione tra l'arcobaleno e le gocce che lo "causano". Arriva a distinguere le apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" (in un certo senso, visto che come dici tu "ipotizziando" "percepiamo meglio") ma al contempo lo si fa (visto che la rappresentazione non avrebbe alcun senso senza tali "cose" non direttamente percepite) ;D
Quindi la Ragion Pura arriva ad un paradosso. In pratica, gli "oggetti" sono esterni ed interni a seconda di come li si considera. Ovviamente, è difficile giustificare che qualcosa sia all'interno della rappresentazione e indipendente ontologicamente da noi (per questo motivo ritengo che la filosofia Kantiana arriva ad una indecidibilità/antinomia...per Kant, forse, non c'era questa "antinomia" visto che da quanto mi sembra di capire pensava di aver risolto il dibattito tra razionalisti ed empiristi dando il tanto ricercato fondamento "certo" alla conoscenza scientifica).
Citazione
Sì, mi sembra che aumenta la nostra reciproca comprensione .
Concordo con la distinzione fra apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" proprio del "mondo fenomenico".
NOn trovo però nulla di problematico o addirittura paradossale: i fenomeni materiali sono interni alla coscienza (soggettivi), ma corrispondenti fra le diverse esperienze di qualsiasi soggetto (intersoggettivi), "pubblici" e non "privati" (contrariamente a quelli mentali che sono meramente soggettivi) in quanto manifestazioni (fenomeniche) di una realtà in sé (noumeno) che é la stessa per tutti
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CitazioneSgiombo:
Se per "oggetti esterni" intendi le cose in sé (o il noumeno) dissento: sono ontologicamente indipendenti dall' esistenza del soggetto di coscienza e diversi (altre "cose") dalle rappresentazioni fenomeniche.
Se invece (dicendo che sono necessari nell'ordinamento della "causalità"; comunque credibile per fede e non dimostrabile) intendi che sono aspetti "nascosti", non immediatamente evidenti della realtà fenomenica ma deducibili dai suoi aspetti immediatamente evidenti (atomi, particelle-onde, ecc.), comunque non reali indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (e dal rispettivo soggetto, se é reale anch' esso), allora concordo.
Apeiron
Qui in realtà credo di concordare con te e non con il "mio Kant", anche se, in realtà, quello che dice è consistente seppur "paradossale" :) nel senso, se la rappresentazione è ordinata, ovviamente, necessita degli "oggetti esterni" (quelli che Kant chiama "cose in sé empiriche"), tuttavia la rappresentazione non è "indipendente" da noi. Però, "punta" a qualcosa di esterno. La filosofia Kantiana arriva lì (da come leggo Kant, lui credeva che veramente il "puntare" era un "dimostrare", in realtà :) ). Non va oltre, secondo me. Andare oltre, significa parlare della "realtà-così-come-è". E non abbiamo alcuna garanzia che "essa" - se c'è, come ben dici tu - sia come è "richiesto" dalla Ragion Pura. Nel rifiuto all'idealismo (anche se è un tentativo di rifiutare il solipsismo), Kant dice che solo con qualcosa di "esterno" possiamo avere auto-coscienza (grazie alla distinzione "interno" ed "esterno"...). Quindi per Kant la Ragion Pura "prova" l'esistenza di "qualcosa di esterno". Ma di questo "qualcosa" non possiamo sapere "come è veramente" indipendentemente dalle nostre categorie trascendentali (in realtà, a rigore, nemmeno "se c'è" ma assumendo che c'è vale quello che dicevo).
Citazione
Qui concordo in pieno.
Ma mi sembra che Kant ne consideri una conoscibilità "non puramemte raziocinativa", attraverso la ragion pratica.
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CitazioneSgiombo:
Ma da noi le regolarità del noumeno o cosa in sé non sono comprensibili (nemmeno immaginabili); lo sono solo quelle (postulabili ma non dimostrabili) dei fenomeni).
Apeiron
Mi riferivo alla "cosa in sé". Per un realista diretto, però dovremmo conoscere la "cosa in sé" ;)
Perchè, però, dici che non possiamo nemmeno comprendere e immaginare le (eventuali) regolarità del noumeno? Mi aspettavo che dicevi che, ammesso che esistono, non possiamo sapere quali sono... :)
Citazione
Per "non immaginabili" intendevo che non ce ne possiamo fare una raffigurazione mentale, fantastica (alla maniera in cui ci immaginiamo qualcosa di fenomenico mai percepito (che che so, una giraffa da parte di un europeo che ai tempi di Kant, in assenza di fotografie e non disponendo di dipinti, se la fosse sentita descrivere come "una sorta di capra dal collo lunghissimo -un po' più di un suo arto inferiore- senza barba, dal pelo corto giallastro a "chiazze" marroni).
Ciao!
@apeiron
Tra tanti atti di fede che facciamo, tipo prendere appuntamenti per la prossima settimana, penso che ipotizzare un mondo reale al di là di, e indipendente da, noi - e dalla nostra percezione - sia uno degli atti di fede più sensati. A tal punto che anche chi non ci crede è costretto a vivere come fosse vero. Trovandosi lui quotidianamente a fare i conti con questa antinomia. Io, almeno, me la risparmio.
Citazione di: Ipazia il 10 Novembre 2018, 19:43:31 PM
@apeiron
Tra tanti atti di fede che facciamo, tipo prendere appuntamenti per la prossima settimana, penso che ipotizzare un mondo reale al di là di, e indipendente da, noi - e dalla nostra percezione - sia uno degli atti di fede più sensati. A tal punto che anche chi non ci crede è costretto a vivere come fosse vero. Trovandosi lui quotidianamente a fare i conti con questa antinomia. Io, almeno, me la risparmio.
Secondo me non é un' antinomia, é semplicemente un rendersi conto dei limiti delle proprie convinzioni (compreso il fatto che talune importantissime non sono fondabili razionalmente; il che a mio parere significa essere più conseguentemente razionalisti che l' ignorarlo).
Io invece trovo interessantissimo e di grande soddisfazione porsi il problema e cercarne soluzioni razionali (anche se la conclusione -sempre passibile di essere rimessa in dubbio- di queste é che non ce ne sono).
Ovviamente questa inclinazione é puramente soggettiva: c' é chi non la avverte e chi sì.
Citazione di: Ipazia il 10 Novembre 2018, 19:43:31 PM
@apeiron
Tra tanti atti di fede che facciamo, tipo prendere appuntamenti per la prossima settimana, penso che ipotizzare un mondo reale al di là di, e indipendente da, noi - e dalla nostra percezione - sia uno degli atti di fede più sensati. A tal punto che anche chi non ci crede è costretto a vivere come fosse vero. Trovandosi lui quotidianamente a fare i conti con questa antinomia. Io, almeno, me la risparmio.
@Ipazia,
certamente. Anche se, il buon Kant
non negava l'inter-soggettività del "mondo", il fatto che era "pubblico" e così via... stavo semplicemente facendo notare a cosa quel tipo di ragionamento poteva portare (infatti, ho citato Wittgenstein come l'autore della citazione "
Ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto; solo, non si può dire, ma mostra sé." - TLP 5.62).
Ad ogni modo, rimane da
spiegare perché "le cose tornano" (ovvero perché le nostre categorie "trascendentali" funzionano così bene nel spiegare ciò che è esterno alla rappresentazione...). Quindi se il motivo per cui tornano
non è il fatto che è la "realtà-vista-da-noi" (rappresentazione, diciamo, "condivisa") ma è perché "in qualche modo" le nostre categorie concettuali riguardano la "realtà-così-come-è", ritorniamo alle domande del mio precedente intervento che erano dovute a tue affermazioni come la seguente:
Citazione
CitazionePS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
a cui io ho replicato con:
CitazioneSe appoggi la filosofia Kantiana no problem.
Se appoggi la filosofia materialistica, invece, devi assumere che possiamo distinguere la "verità" dalla "veridicità" altrimenti, è una filosofia materialistica solo di nome. In fin dei conti, se assumi la "filosofia materialistica" e credi che le neuroscienze possano darci una conoscenza della realtà aldilà delle nostre "funzioni trascendentali" assumi che la "realtà esterna" è conoscibile (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
Da qui il mio richiamo al problema della matematica. Ma visto che ha portato un po' fuori strada (anche se, il buon Einstein - che era un realista diretto o quasi - affermava che "l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo")
Perché tale di "realtà esterna" indipendente dalle nostre funzioni trascendentali si possono conoscere le proprietà? (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif)
a cui tu hai replicato con:
Citazione@ Apeiron Io assumo il punto di vista della cosa-per-noi, non della cosa-in-sè. Da questa prospettiva "pragmatica" e realista le cose sono molto più semplici e richiedono meno dimostrazioni. Quello che la ricerca scientifica offre mi basta e avanza. Ad essa consegno l'ontologia degli enti materiali incluso l'Essere e il suo ibrido Creatore. Ritengo tale posizione filosofica sostanzialmente materialista. A questo punti tu dici: non mi basta. Concordo e pertanto mi riservo uno spazio ontologico particolare, cui attribuisco un carattere trascendentale, agli enti immateriali prodotti dall'attività umana (res cogitans) interagendo con la Natura (res extensa) non intesa come realtà esterna vista da fuori, ma da dentro da una sua parte interagente. Tale interazione modifica la natura sia materialmente che "spiritualmente", trascendendo la legge esclusiva del DNA. Il processo ha caratteristiche dialettiche, di feedback, retroattive ed è su questa dialettica che si gioca il destino umano, la sua progettualità. Anche questa posizione mi pare compatibile con una filosofia materialistica (homo sive natura). Certamente non meccanicistica e dogmaticamente deterministica. Peraltro, delle patenti di ortodossia scolastica, non mi preoccupo granchè. Mi basta ridurre tutto il reale alla sua dimensione - in divenire -antropologicamente rappresentabile. La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco.
D'altronde se tu dici che per te il problema dell'antinomia non è un problema e, inoltre, ritieni che possiamo fare tranquillamente affermazioni sulla realtà "oltre" le nostre rappresentazioni, allora una affermazione del tipo "
La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." non è una "vera risposta". Infatti, "magicamente" tali strumenti che sono "farina del nostro sacco" riescono a "descrivere" così bene qualcosa che è indipendente da noi (ovviamente, la tale cosa "indipendente" da noi deve essere descrivibile anche
prima della nostra interazione affinché una buona filosofia materialista abbia senso...).
In pratica, quello che mi sembra è che tu critichi tranquillamente i "metafisici" dicendo che la Verità è un concetto "dogmatico" e ciononostante affermi che la "realtà così come è" è comprensibile da noi, visto che dopotutto, devi per forza ammettere che "la realtà indipendente da noi" è
comprensibile. Perciò, non riesco proprio a capire se la tua posizione è consistente o meno. In particolare tra:
- "Teoria della verità come corrispondenza" = la "verità" è ciò che corrisponde alla "realtà"
- "Teoria della verità come coerenza" = la "verità" è ciò che è coerente con un determinato insieme di proposizioni che fanno da "assiomi".
cosa scegli? se per te è vera la seconda, allora una risposta del tipo "
La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." la considero una vera risposta. Il problema è che - a meno che non si appoggi una qualche forma di idealismo - è difficile evitare l'antinomia di cui parlo.
Secondo me Kant, di fatto, appoggiava una teoria della verità come coerenza se sostituiamo a "proposizioni" le kantiane "forme" e "categorie" a priori. Rimaneva
agnostico sulla validità di tali "verità" nei riguardi della "cosa in sé" e quindi agnostico per la corrispondenza (questa teoria della coerenza però non era relativistica, visto che le "forme" e le "categorie" - e quindi le rappresentazioni - sono condivise...).
Aggiungo che, ovviamente, le verità scientifiche, per Kant, erano date dalla
corrispondenza tra teoria e i dati ricavati dal mondo fenomenico. Però, in realtà, la sua concezione della verità è più vicina a quella della
coerenza visto che, in ultima analisi, il motivo per cui Kant ritiene che le verità scientifiche siano inter-soggettive è perché condividiamo "forme" e "categorie"...Quindi per Kant, Schopenhauer (e direi anche Berkeley, Hegel ecc seppur per motivi diversi) abbiamo una teoria della coerenza della verità (nel caso di Kant, agnosticismo sulla (eventuale) corrispondenza con la cosa-in-sé).
Ah, comunque, anche dire "tutto è relazione" o "ci sono solo prospettive" oppure scegliere la teoria di Rovelli del "relazionalismo" è ancora scegliere "metafisiche". Quindi il problema non è la "vecchia metafisica". Platone
ha ipotizzato l'esistenza delle Forme per spiegare la comprensibilità del mondo. Non lo ha fatto in modo necessariamente "dogmatico". Vedendo per esempio che un fungo ed un albero sono diversi, Platone ha pensato che esistesse una Forma che corrisponde a "ciò che rende un fungo, un fungo" e "ciò che rende un albero, un albero", sostenendo che la "realtà sensibile" è costruita seguendo i
modelli date da queste Forme (o archetipi). In questo modo, il mondo è comprensibile, perché è "modellato" in modo da esserlo. La filosofia materialistica
non spiega il motivo per cui la comprensibilità è possibile. E nemmeno lo fa la teoria di Rovelli (d'altronde c'è ben poco di epistemologicamente "relativo" o di epistemologicamente "prospettico" in una teoria in cui la meccanica quantistica viene intesa come la teoria
di tutti i sistemi fisici). Motivo per cui, tempo fa, avevo definito la teoria di Rovelli un "relativismo ontologico" e non "epistemologico", e quindi una teoria "metafisica" (o meglio "ontologica"). Anche la tua, se è simile a quella di Rovelli, deve essere una teoria metafisica. E quindi, se l'interpretazione relazionale della meccanica quantistica fosse vera, sarebbe una "verità universale". Detto ciò, non ci vedo molto un atteggiamento "molto più dogmatico" in Platone rispetto a quello di Rovelli, visto che, per quanto ne sappiamo, Platone ha
ipotizzato le Forme e riteneva tale ipotesi convincente. Rovelli ha ipotizzato che la realtà è fatta "di relazioni e non di cose" e ritiene che tale ipotesi è convincente.
Dunque, ricapitolando: primo: appoggi la teoria della coerenza della verità o quella della corrispondenza? secondo:
perché dunque il mondo è comprensibile, secondo te
se ritieni che la scienza ci dice verità che vanno oltre le nostre rappresentazioni? terzo: le entità inosservabili empiricamente postulate dalla scienza secondo te esistono in modo indipendente da noi o no? :)
Riguardo alla seconda domanda, va benissimo dire "non lo so". Quello che non mi va bene è dire "è ovvio che sia così" perché
non è ovvio, visto che a priori la realtà potrebbe essere incomprensibile.
Onestamente non ho capito la tua posizione. Metà delle cose che dici suggeriscono che tu, effettivamente, proponi teoria della coerenza. L'altra metà invece suggerisce che tu, invece, proponi una teoria della corrispondenza. O, in altre parole, da una parte sembra che tu dici che la "cosa in sé" è qualcosa di inconoscibile (o addirittura inesistente) e dall'altra sembra che invece tale "cosa in sé" è, oltre che esistente, conoscibile.
Se ti può interessare, la mia posizione è che ha ragione Einstein a dire che possiamo conoscere la realtà
in parte con le nostre categorie (quindi vado "oltre" Kant*). Tuttavia, non mi sono ancora fatto un'idea sul
perché ciò avvenga. Tutte le risposte a questa domanda non mi hanno mai veramente convinto...
* vado oltre Kant perché, secondo me, la sua filosofia
non riesce a veramente dare conto del fatto che viviamo in un mondo "pubblico" (contrariamente a quanto sosteneva lui, c'è l'antinomia). Se però qualcuno mi mostrasse che senza ricorrere al "mondo noumenico" fosse sufficiente il "mondo fenomenico condiviso" per spiegare la scienza, allora accetterei la filosofia di Kant (in tal caso, si spiegherebbe la comprensibilità e avrebbe senso quanto dici tu: "
La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." ).
Quindi per me ha senso la teoria della corrispondenza (anche se nella "realtà" sono convinto che ci sono cose che non sono comprensibili, da qui il mio fascino col "mistero", l'"infinito" ecc), tuttavia non escludo che abbiano ragione chi ritiene che la teoria della corrispondenza sia vera (a meno che non scivolino nel "relativismo", negando la possibilità di conoscere verità condivise). In tal caso, la "realtà indipendente" potrebbe o non esistere (Berkeley, ad esempio, ammetteva che esistevano solo coscienze - idem Hegel, Bradley, McTaggart e altri...) oppure essere "oltre la nostra comprensione" ma allo stesso tempo in qualche modo collegata con il mondo fenomenico e "presente" (per certi versi) in esso (Kant, Schopenhauer (per il quale la "cosa in sé" poteva essere conosciuta ma non dalla conoscenza scientifica dei fenomeni) e altri...). Se avessero ragione questi filosofi, il problema di Einstein si risolverebbe :) anzi, onestamente, tra le due prospettive sono indeciso (anche se per ora tendo alla prima...)
Ciao!
SgiomboCitazioneChe secondo me si risolve distinguendo fra:
cosa in sé (noumeno; per esempio corrisponde alla mia visione della luna) che esistequando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente;
e
fenomeni (la mia visione della luna) che esistono solo quando li sento (solo quando osservo la luna).
Concordo, il
realismo trascendentale risolve l'antinomia in questo modo
CitazioneMa secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).
Beh, sì :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero
esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da
tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...
CitazioneSì, mi sembra che aumenta la nostra reciproca comprensione .
Concordo con la distinzione fra apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" proprio del "mondo fenomenico".
NOn trovo però nulla di problematico o addirittura paradossale: i fenomeni materiali sono interni alla coscienza (soggettivi), ma corrispondenti fra le diverse esperienze di qualsiasi soggetto (intersoggettivi), "pubblici" e non "privati" (contrariamente a quelli mentali che sono meramente soggettivi) in quanto manifestazioni (fenomeniche) di una realtà in sé (noumeno) che é la stessa per tutti
Ok, però le goccioline non dipendono ontologicamente dalla nostra esistenza pur essendo parte del mondo fenomenico ( che è una "rappresentazione condivisa da noi"). L'antinomia per me si forma quando ci chiediamo cosa succederebbe a queste goccioline nel caso in cui non ci fossero più coscienze (visto che sono parte del "mondo fenomenico" - e quindi "interne" alle "coscienze" - ma ontologicamente esistenti in modo indipendente) :) onestamente, ci vedo una antinomia ma, come dicevo prima, non insisterò su questo punto...(d'altro canto sono molto contento che alla fine ci siamo compresi reciprocamente ;) )
CitazioneQui concordo in pieno.
Ma mi sembra che Kant ne consideri una conoscibilità "non puramemte raziocinativa", attraverso la ragion pratica.
Più che conoscenza direi che è una convinzione "imposta" dalla ragion pratica (l'unica vera conoscenza per Kant è quella data dalla ragion pura, se non ricordo male). In pratica, la ragion pratica ci "impone" di credere che il noumeno "contiene" (tra le varie cose) Dio, l'anima immortale e il libero arbitrio.
Ovvero, per Kant, la ragion pratica ci "costringe" a fare certe assunzioni sul noumeno.
CitazionePer "non immaginabili" intendevo che non ce ne possiamo fare una raffigurazione mentale, fantastica (alla maniera in cui ci immaginiamo qualcosa di fenomenico mai percepito (che che so, una giraffa da parte di un europeo che ai tempi di Kant, in assenza di fotografie e non disponendo di dipinti, se la fosse sentita descrivere come "una sorta di capra dal collo lunghissimo -un po' più di un suo arto inferiore- senza barba, dal pelo corto giallastro a "chiazze" marroni).
Ah, ok :) Questo però non preclude la possibilità che forse, per esempio, possiamo fare in linea di principio un modello matematico delle regolarità del noumeno.
Ciao!
Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM
Ipazia
Ad ogni modo, rimane da spiegare perché "le cose tornano" (ovvero perché le nostre categorie "trascendentali" funzionano così bene nel spiegare ciò che è esterno alla rappresentazione...). Quindi se il motivo per cui tornano non è il fatto che è la "realtà-vista-da-noi" (rappresentazione, diciamo, "condivisa") ma è perché "in qualche modo" le nostre categorie concettuali riguardano la "realtà-così-come-è"
Citazione
Io continuo a non vedere alcun problema: i nostri concetti e ragionamenti ci consentono (ammesse come vere alcune premesse indimostrabili né empiricamente provabili) di conoscere il "mondo fenomenico materiale" costituito dalle nostre percezioni immediate e enti ed eventi proposti da teorie atte a spiegare indirettamente il divenire delle nostre percezioni immediate materiali (postulabili essere intersoggettive; fatto spiegabile ammettendo che siano la manifestazione fenomenica di un "mondo noumenico" che é lo stesso per tutti i soggetti).
E perché mai non dovrebbero consentirlo?
Che cosa c'é mai da spiegare nel fatto che c elo cosnìentono?
Sgiombo
Beh, sì :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...
CitazioneNon posso che continuare a rilevare il dissenso.
NOn si può dire che "qualcosa esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") -solo quella materiale- indipendentemente dai soggetti (l' intersoggettività del mondo fenomenico materiale é un' altra cosa: corrispondenza fra le esperienze fenomeniche di tutti i soggetti; spiegata con l' unicità del mondo noumenico per tutti i soggetti di esperienza cosciente del mondo fenomenico).
Senza soggetti, niente mondo fenomenico: ciò che davvero esiste indipendentemente dalle esperienze fenomeniche coscienti é solo la realtà in sé o noumeno.
CitazioneSì, mi sembra che aumenta la nostra reciproca comprensione .
Concordo con la distinzione fra apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" proprio del "mondo fenomenico".
NOn trovo però nulla di problematico o addirittura paradossale: i fenomeni materiali sono interni alla coscienza (soggettivi), ma corrispondenti fra le diverse esperienze di qualsiasi soggetto (intersoggettivi), "pubblici" e non "privati" (contrariamente a quelli mentali che sono meramente soggettivi) in quanto manifestazioni (fenomeniche) di una realtà in sé (noumeno) che é la stessa per tutti
Ok, però le goccioline non dipendono ontologicamente dalla nostra esistenza pur essendo parte del mondo fenomenico ( che è una "rappresentazione condivisa da noi"). L'antinomia per me si forma quando ci chiediamo cosa succederebbe a queste goccioline nel caso in cui non ci fossero più coscienze (visto che sono parte del "mondo fenomenico" - e quindi "interne" alle "coscienze" - ma ontologicamente esistenti in modo indipendente) :) onestamente, ci vedo una antinomia ma, come dicevo prima, non insisterò su questo punto...(d'altro canto sono molto contento che alla fine ci siamo compresi reciprocamente ;) )
CitazionePer me le goccioline sono qualcosa di meramente fenomenico (ovvero dipendono ontologicamente dalla nostra esperienza e dunque dalla nostra esistenza come soggetti di esperienza fenomenica).
Ovviamente nel caso non ci fossero più esperienze coscienti (e rispettivi soggetti) la goccioline non ci sarebbero più (visto che sono parte del "mondo fenomenico" - e quindi "interne" alle "coscienze" - e dunque ontologicamente non esistenti in modo indipendente da esse).
Invece ciò che esiste indipendentemente dalle esperienze fenomeniche coscienti é solo la realtà in sé o noumeno.
Citazione.
CitazioneQui concordo in pieno.
Ma mi sembra che Kant ne consideri una conoscibilità "non puramemte raziocinativa", attraverso la ragion pratica.
Più che conoscenza direi che è una convinzione "imposta" dalla ragion pratica (l'unica vera conoscenza per Kant è quella data dalla ragion pura, se non ricordo male). In pratica, la ragion pratica ci "impone" di credere che il noumeno "contiene" (tra le varie cose) Dio, l'anima immortale e il libero arbitrio.
Ovvero, per Kant, la ragion pratica ci "costringe" a fare certe assunzioni sul noumeno
CitazioneMa ciò che la ragion pratica ci "impone" o ci "costringe" ad accettare sono credenze, cioé conoscenza (se vere; ma sono di fatto ritenute tali).
CitazionePer "non immaginabili" intendevo che non ce ne possiamo fare una raffigurazione mentale, fantastica (alla maniera in cui ci immaginiamo qualcosa di fenomenico mai percepito (che che so, una giraffa da parte di un europeo che ai tempi di Kant, in assenza di fotografie e non disponendo di dipinti, se la fosse sentita descrivere come "una sorta di capra dal collo lunghissimo -un po' più di un suo arto inferiore- senza barba, dal pelo corto giallastro a "chiazze" marroni).
Ah, ok :) Questo però non preclude la possibilità che forse, per esempio, possiamo fare in linea di principio un modello matematico delle regolarità del noumeno.
CitazioneMa poiché il noumeno non é "visualizzabile" e dunque nemmeno quantificabile o misurabile, non vedo come se ne potrebbero fare modelli matematici.
Ciao!
Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM
Concordo, il realismo trascendentale risolve l'antinomia in questo modo
CitazioneMa secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).
Beh, sì :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...
Preferisco illustrare meglio le mie convinzioni su questa questione che mi sembra centrale nel nostro tentativo di trovare un' intesaPer me (e credo anche per Kant) il "mondo fenomenico (materiale)" é un' astrazione (operata dal pensiero) con la quale si intendono le sensazioni o fenomeni coscienti reali di fatto e anche potenziali, cioè quelli che (secondo la conoscenza scientifica; la quale si fonda, oltre che su osservazioni empiriche, anche su postulati indimostrabili e nemmeno empiricamente provabili: Hume!) puntualmente, inevitabilmente sarebbero reali ogniqualvolta che si compissero le "opportune" reali osservazioni, nonché da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità di fatto ne fanno comunque parte, nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne é percepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente: anche di esse -molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc- l' "esse est percipi", se non si hanno esperienze fenomeniche coscienti non esistono; ma invece unicamente esisterebbero -potenzialmente- solo nel caso esperienze fenomeniche coscienti accadessero).Di esso ("mondo fenomenico" materiale) di effettivamente, attualmente reale vi sono solo e unicamente (gli insiemi e successioni de-) -le percezioni direttamente accadenti nell' ambito delle esperienze coscienti se e quando e fintato che effettivamente accadono in quanto tali. Il resto di esso non é reale se non potenzialmente: ossia é (sarebbe) reale come insiemi e successioni di percezioni solo se si compiono (compissero) le opportune osservazioni (altrimenti no); oppure come descrizione dei meccanismi ipotetici (non falsificati da osservazioni empiriche) che consentono di spiegare e calcolare il divenire naturale potenzialmente esperibile, anche al fine di prevederlo e di postvederlo (ovvero "ricostruire conoscitivamente come é accaduto nel passato nella sua potenziale esperibilità), nonché di ottenere -limitatamente- realizzazioni pratiche intenzionalmente volute applicando tali conoscenze, spiegazioni e calcoli nell' azione cosciente e finalizzata (se e quando possibile).Tutto ciò si spiega egregiamente senza alcuna antinomia ipotizzando la realtà delle cose in sé o noumeno come esistente (questo sì -cioè le cose in sé o noumeno e solo esso- effettivamente reale indipendentemente dalle nostre sensazioni o fenomeni).
Citazione di: sgiombo il 12 Novembre 2018, 16:42:02 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM
Concordo, il realismo trascendentale risolve l'antinomia in questo modo
CitazioneMa secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).
Beh, sì :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...
Preferisco illustrare meglio le mie convinzioni su questa questione che mi sembra centrale nel nostro tentativo di trovare un' intesa
Per me (e credo anche per Kant) il "mondo fenomenico (materiale)" é un' astrazione (operata dal pensiero) con la quale si intendono le sensazioni o fenomeni coscienti reali di fatto e anche potenziali, cioè quelli che (secondo la conoscenza scientifica; la quale si fonda, oltre che su osservazioni empiriche, anche su postulati indimostrabili e nemmeno empiricamente provabili: Hume!) puntualmente, inevitabilmente sarebbero reali ogniqualvolta che si compissero le "opportune" reali osservazioni, nonché da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità di fatto ne fanno comunque parte, nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne é percepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente: anche di esse -molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc- l' "esse est percipi", se non si hanno esperienze fenomeniche coscienti non esistono; ma invece unicamente esisterebbero -potenzialmente- solo nel caso esperienze fenomeniche coscienti accadessero).
Di esso ("mondo fenomenico" materiale) di effettivamente, attualmente reale vi sono solo e unicamente (gli insiemi e successioni de-) -le percezioni direttamente accadenti nell' ambito delle esperienze coscienti se e quando e fintato che effettivamente accadono in quanto tali. Il resto di esso non é reale se non potenzialmente: ossia é (sarebbe) reale come insiemi e successioni di percezioni solo se si compiono (compissero) le opportune osservazioni (altrimenti no); oppure come descrizione dei meccanismi ipotetici (non falsificati da osservazioni empiriche) che consentono di spiegare e calcolare il divenire naturale potenzialmente esperibile, anche al fine di prevederlo e di postvederlo (ovvero "ricostruire conoscitivamente come é accaduto nel passato nella sua potenziale esperibilità), nonché di ottenere -limitatamente- realizzazioni pratiche intenzionalmente volute applicando tali conoscenze, spiegazioni e calcoli nell' azione cosciente e finalizzata (se e quando possibile).
Tutto ciò si spiega egregiamente senza alcuna antinomia ipotizzando la realtà delle cose in sé o noumeno come esistente (questo sì -cioè le cose in sé o noumeno e solo esso- effettivamente reale indipendentemente dalle nostre sensazioni o fenomeni).
Sgiombo,posta così la tua spiegazione di Kant mi torna... con la seguente precisazione però.
Per Berkeley, imputare alla "materia" il ruolo di causalità delle sensazioni era problematico (infatti, per Berkeley, l'assunzione della materia era inutile). Per Kant,
è necessario per la Ragion Pura identificare nella "materia" la causa delle "sensazioni materiali". In altri termini, la Ragion Pura
implica che esistano "entità non direttamente percepibili" che causano l'insorgenza delle "sensazioni materiali" (mere sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive e gustative). La scienza è fondata perché è possibile sempre "fare test" empirici delle teorie.
Quindi l'insorgenza delle sensazioni citate poco fa è
necessariamente spiegata dalla presenza di "oggetti esterni".
Questi "oggetti esterni" sono però
parte della rappresentazione, perché sono "costruiti" dall'applicazione delle "forme e categorie" a-priori all'esperienza sensoriale.
Chiaramente, questi "oggetti esterni" sono per la Ragion Pura,
ontologicamente indipendenti da noi. Tuttavia, allo stesso tempo, noi possiamo
conoscerli solo in quanto
rappresentazioni. Questo però non ci garantisce che, strettamente parlando, gli "oggetti esterni" sono
veramente come implica l'applicazione delle "forme e categorie" all'esperienza sensoriale. Questa è la "chiave" del discorso (e credo che stavolta ci siamo capiti, anche senza questa precisazione). Quindi, "come è la realtà indipendentemente da noi" è una domanda che non ha una
vera risposta. In pratica, rimane
indeterminata (su tale "realtà" sono possibili solo speculazioni)
.Ora è ben chiaro che questo tipo di ragionamento rischia di degenerare in un solipsismo o in una "armonia prestabilita" alla Leibniz.Non a caso, sia Kant che Schopenhauer sembrano essere convinti che "in qualche modo" (non saprei dirti come) la "rappresentazione" è
pubblica. Ovvero: la rappresentazione non è veramente "mia", ma "nostra" (questo è un punto di difficoltà della filosofia Kantiana).
Ergo, la "Cosa in Sé" potrebbe anche essere, per esempio, totalmente diversa da come la
immaginiamo (la nostra immaginazione, in fin dei conti, si basa sulle sensazioni e sui concetti...)
. Per esempio, la filosofia di Galileo implicava che la "Cosa in Sé" era formata da oggetti con forme geometriche. In realtà, potrebbe essere tutt'altro (la filosofia Kantiana perciò non fa proclami su come è la "Cosa in sé" - Schopenhauer sì)...
Ora... tu mi chiederai perché Apeiron che, presumibilmente crede nella ricerca scientifica si dice "affascinato" da questo tipo di ragionamento? Beh, peri esempio trovo qualcosa di analogo, per certi versi, nella Meccanica Quantistica.
In molte interpretazioni della Meccanica Quantistica, le particelle
non-osservate hanno caratteristiche
indeterminate (ovvero: non hanno posizione, velocità ecc - ovvero non si può descriverle secondo qualità classiche...). Prendiamo per esempio l'interpretazione di Bohr. Fino a quando il sistema quantistico non interagisce con un sistema classico (cioè fino a quando il sistema quantistico non interagisce
causalmente col sistema classico) non è possibile imputare le "qualità classiche" al sistema quantistico. Se ciò fosse vero (so che per te non è così, ma cerca di seguirmi...), allora si arriverebbe al punto per cui le "qualità classiche" (che sono ciò che rendono il nostro mondo "classico" comprensibile) non sono applicabili al "mondo quantistico".
Il "problema" della filosofia di Bohr è che in tutto ciò, c'è una separazione tra il "mondo classico" e il "mondo quantistico". Nel mondo classico, tutto ha posizioni, velocità ecc definite in ogni istante. Nel mondo quantistico ciò si può dire solo quando c'è l'interazione (in pratica, per così dire, quando il sistema quantistico "entra in relazione" con quello classico).
Bohm cerca di "riempire il buco" ammettendo che le particelle hanno
sempre posizioni definite (altre proprietà, però, come lo spin, nella interpretazione di Bohm, sono proprietà della
funzione d'onda). Bohr però, dice: "Bohm, potresti aver ragione. Però, nella meccanica quantistica non c'è
niente che necessariamente implica che le particelle abbiano sempre posizioni precise". Lo status delle "qualità classiche" di un sistema fisico è indeterminato. Il parallelo tra Bohr e Kant con Kant è che il "mondo quantistico"
slegato dalle interazioni con il mondo classico è "indeterminato" (così come la "Cosa in sé" è indeterminata).
Bohr ovviamente non ha mai detto che è la coscienza a "far collassare l'onda" (lo hanno detto fisici del calibro di Wigner, Wheeler...). Secondo questi fisici, quindi, è proprio la presenza della coscienza a "far collassare l'onda" e, quindi, a distinguere, in ultima analisi, tra il mondo classico e quantistico. Se ciò fosse vero, allora effettivamente sarebbe qualcosa di simile a Kant (la differenza, ovviamente, è che in Kant la coscienza non ha una ruolo ontologico sugli "oggetti classici" ma solo epistemologico...). Inoltre, Dieter Zeh pur usando la "decoerenza" per evitare il collasso (cosa usata anche da Bohm) ha introdotto l'interpretazione "a molte menti" che è una modifica di quella a "molti mondi" (non sono un esperto, ma il nome dice tutto) - (ci sono anche alcuni proponenti di quella a molti mondi che danno un ruolo preferenziale alla coscienza per spiegare il motivo per cui il mondo classico ci appare classico (evitando il problema "preferred basis" - della base preferenziale) che è tuttora irrisolto dalla teoria... non sono un esperto neanche di questo, quindi potrei dire inesattezze se mi mettessi a spiegare)
Come vedi, l'idea sembra tornare. Sotto altri aspetti torna anche in Rovelli (anche se, per lui, la coscienza non ha un ruolo fondamentale...). Dunque, ci deve essere secondo me qualcosa di "vero" in questo tipo di ragionamento :) (ovviamente, tu dissenti sulla meccanica quantistica con me, Bohr, Rovelli ecc per non parlare di Wheeler ecc...)
Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...
Sulla questione della Ragion Pratica, non capisco come, secondo te, una "credenza vera" sia una conoscenza (non direi che è così, perchè la credenza vera è un'ipotesi vera - non una "conoscenza"). Per esempio, se Dio esiste, un conto è crede che esiste (in questo caso ipotesi vera), un conto è assistere ad una Rivelazione.
Ciao!
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 19:39:21 PM
Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...
Effettivamente,
sgiombo, quesa parte si applica anche alla tua metafisica (tra l'altro sia al mondo fenomenico che al mondo noumenico, ammettendo che entrambi abbiano regolarità comprensibili - nel tuo caso vale anche per quello fenomenico visto che non accetti la teoria kantiana delle categorie e forme a-priori).
Ma, se non sono riuscito a convincerti del fatto che quella cosa non è scontata, non penso di riuscirci con altre spiegazioni.
Buona serata :)
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 19:39:21 PM
Sgiombo,
posta così la tua spiegazione di Kant mi torna... con la seguente precisazione però.
Per Berkeley, imputare alla "materia" il ruolo di causalità delle sensazioni era problematico (infatti, per Berkeley, l'assunzione della materia era inutile). Per Kant, è necessario per la Ragion Pura identificare nella "materia" la causa delle "sensazioni materiali". In altri termini, la Ragion Pura implica che esistano "entità non direttamente percepibili" che causano l'insorgenza delle "sensazioni materiali" (mere sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive e gustative). La scienza è fondata perché è possibile sempre "fare test" empirici delle teorie.
Quindi l'insorgenza delle sensazioni citate poco fa è necessariamente spiegata dalla presenza di "oggetti esterni".
CitazioneMa questi oggetti esterni alle sensazioni o fenomeni non possono che essere cose in sé o noumeno.
(Non mi sbilancerei su Kant, dati i forti limiti delle mie conoscenze in proposito, ma per quanto modestissimamente mi riguarda) il concetto di "causa" in senso stretto o forte (implicante la calcolabilità -letterale, matematica- degli effetti) é applicabile solo ai fenomeni materiali ( o "mondo fenomenico materiale").
Questi "oggetti esterni" sono però parte della rappresentazione, perché sono "costruiti" dall'applicazione delle "forme e categorie" a-priori all'esperienza sensoriale.
Chiaramente, questi "oggetti esterni" sono per la Ragion Pura, ontologicamente indipendenti da noi. Tuttavia, allo stesso tempo, noi possiamo conoscerli solo in quanto rappresentazioni.
CitazioneAllora, se sono ontologicamente indipendenti da noi e dalla nostra esperienza cosciente, sono noumeno, non appartengono al "mondo fenomenico".
Noi possiamo sentire (e conseguentemente conoscere) le rappresentazioni sensibili ovvero i fenomeni e non le cose in sé che attraverso le rappresentazioni fenomeniche ci si manifestano.
Questo però non ci garantisce che, strettamente parlando, gli "oggetti esterni" sono veramente come implica l'applicazione delle "forme e categorie" all'esperienza sensoriale. Questa è la "chiave" del discorso (e credo che stavolta ci siamo capiti, anche senza questa precisazione). Quindi, "come è la realtà indipendentemente da noi" è una domanda che non ha una vera risposta. In pratica, rimane indeterminata (su tale "realtà" sono possibili solo speculazioni).
Ora è ben chiaro che questo tipo di ragionamento rischia di degenerare in un solipsismo o in una "armonia prestabilita" alla Leibniz.Non a caso, sia Kant che Schopenhauer sembrano essere convinti che "in qualche modo" (non saprei dirti come) la "rappresentazione" è pubblica. Ovvero: la rappresentazione non è veramente "mia", ma "nostra" (questo è un punto di difficoltà della filosofia Kantiana).
CitazionePerché si può postulare che la rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva: corrispondente fra le diverse esperienze coscienti dei diversi soggetti in quanto corrispondente alle medesime, identiche cose in sé o noumeno; e a condizione che sia vero questo postulato indimostrabile.
Ergo, la "Cosa in Sé" potrebbe anche essere, per esempio, totalmente diversa da come la immaginiamo (la nostra immaginazione, in fin dei conti, si basa sulle sensazioni e sui concetti...). Per esempio, la filosofia di Galileo implicava che la "Cosa in Sé" era formata da oggetti con forme geometriche. In realtà, potrebbe essere tutt'altro (la filosofia Kantiana perciò non fa proclami su come è la "Cosa in sé" - Schopenhauer sì)...
CitazioneNon credo che Galileo parlasse di "cose in sé (in senso kantiano per lo meno); si interessava di fenomeni materiali.
Apprezzo la prudenza di Kant, non l' avventatezza di Shopenhauer.
Ora... tu mi chiederai perché Apeiron che, presumibilmente crede nella ricerca scientifica si dice "affascinato" da questo tipo di ragionamento? Beh, peri esempio trovo qualcosa di analogo, per certi versi, nella Meccanica Quantistica.
In molte interpretazioni della Meccanica Quantistica, le particelle non-osservate hanno caratteristiche indeterminate (ovvero: non hanno posizione, velocità ecc - ovvero non si può descriverle secondo qualità classiche...). Prendiamo per esempio l'interpretazione di Bohr. Fino a quando il sistema quantistico non interagisce con un sistema classico (cioè fino a quando il sistema quantistico non interagisce causalmente col sistema classico) non è possibile imputare le "qualità classiche" al sistema quantistico. Se ciò fosse vero (so che per te non è così, ma cerca di seguirmi...), allora si arriverebbe al punto per cui le "qualità classiche" (che sono ciò che rendono il nostro mondo "classico" comprensibile) non sono applicabili al "mondo quantistico".
Il "problema" della filosofia di Bohr è che in tutto ciò, c'è una separazione tra il "mondo classico" e il "mondo quantistico". Nel mondo classico, tutto ha posizioni, velocità ecc definite in ogni istante. Nel mondo quantistico ciò si può dire solo quando c'è l'interazione (in pratica, per così dire, quando il sistema quantistico "entra in relazione" con quello classico).
Bohm cerca di "riempire il buco" ammettendo che le particelle hanno sempre posizioni definite (altre proprietà, però, come lo spin, nella interpretazione di Bohm, sono proprietà della funzione d'onda). Bohr però, dice: "Bohm, potresti aver ragione. Però, nella meccanica quantistica non c'è niente che necessariamente implica che le particelle abbiano sempre posizioni precise". Lo status delle "qualità classiche" di un sistema fisico è indeterminato. Il parallelo tra Bohr e Kant con Kant è che il "mondo quantistico" slegato dalle interazioni con il mondo classico è "indeterminato" (così come la "Cosa in sé" è indeterminata).
CitazioneA parte il fatto che (da "non addetto ai lavori") respingo l' interpretazione conformistica della M Q, quella fra essa e la concezione kantiana (e si parva licet mia) dei rapporti fenomeni - noumeno mi sembra una semplice analogia: gli enti ed eventi quantistici, anche nell' interpretazione corrente, sono pur sempre del tutto interni al "mondo fenomenico".
Bohm risponde a Bohr: "nella meccanica quantistica non c'è niente che necessariamente implica che le particelle non abbiano sempre -anche quando non osservate- posizioni precise, per quanto non conoscibili unitamente alle loro velocità precise; ma conoscibili singolarmente sia le une che le altre, entrambe. E perché qualcosa possa essere conosciuta essere reale (in ogni e qualsiasi istante in cui la si osservi; come lo sono -sia pure separatamente le une dalle altre, fatto ontologicamente del tutto irrilevante- entrambe le grandezze delle coppie correlate dal pr. di ind. di Heisenberg), allora tale qualcosa deve innanzitutto esserci, deve essere reale; ergo: devono essere reali entrambe in ogni e qualsiasi istante").
Bohr ovviamente non ha mai detto che è la coscienza a "far collassare l'onda" (lo hanno detto fisici del calibro di Wigner, Wheeler...). Secondo questi fisici, quindi, è proprio la presenza della coscienza a "far collassare l'onda" e, quindi, a distinguere, in ultima analisi, tra il mondo classico e quantistico. Se ciò fosse vero, allora effettivamente sarebbe qualcosa di simile a Kant (la differenza, ovviamente, è che in Kant la coscienza non ha una ruolo ontologico sugli "oggetti classici" ma solo epistemologico...)
CitazioneMI pare una differenza abissale...
. Inoltre, Dieter Zeh pur usando la "decoerenza" per evitare il collasso (cosa usata anche da Bohm) ha introdotto l'interpretazione "a molte menti" che è una modifica di quella a "molti mondi" (non sono un esperto, ma il nome dice tutto) - (ci sono anche alcuni proponenti di quella a molti mondi che danno un ruolo preferenziale alla coscienza per spiegare il motivo per cui il mondo classico ci appare classico (evitando il problema "preferred basis" - della base preferenziale) che è tuttora irrisolto dalla teoria... non sono un esperto neanche di questo, quindi potrei dire inesattezze se mi mettessi a spiegare)
CitazioneIl povero Guglielmo di Ockam si sta rigirando disperatamente nella tomba come una trottola!
Lungi da me queste farneticazioni irrazionalistiche!
I miti dei preti e degli stregoni sono almeno più pittoreschi, letterariamente più pregevoli.
Come vedi, l'idea sembra tornare. Sotto altri aspetti torna anche in Rovelli (anche se, per lui, la coscienza non ha un ruolo fondamentale...). Dunque, ci deve essere secondo me qualcosa di "vero" in questo tipo di ragionamento :) (ovviamente, tu dissenti sulla meccanica quantistica con me, Bohr, Rovelli ecc per non parlare di Wheeler ecc...)
CitazioneEsatto.
Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...
CitazioneMa nemmeno é a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni non debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: perché mai non dovrebbe essere ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi).
Purché non autocontraddittoria, qualsiasi ipotesi a priori sul mondo reale potrebbe essere tanto vera quanto falsa (potrebbe essere tanto confermata quanto falsificata dall' osservazione empirica a posteriori dei fatti).
Sulla questione della Ragion Pratica, non capisco come, secondo te, una "credenza vera" sia una conoscenza (non direi che è così, perchè la credenza vera è un'ipotesi vera - non una "conoscenza"). Per esempio, se Dio esiste, un conto è crede che esiste (in questo caso ipotesi vera), un conto è assistere ad una Rivelazione.
CitazioneUna credenza (vera o falsa) é una conoscenza per definizione.
E una credenza vera é una conoscenza vera per definizione.
Per esempio se credo che morirò fra pochi mesi non perché mi é stata fatta scientificamente, correttamente una diagnosi di malattia con prognosi infausta a breve (se fossi superstizioso mi toccherei gli attributi o farei le corna; ma non lo sono) ma perché me l' ha detto l' astrologo (che ovviamente ci ha imbroccato per puro culo!), non per questo la mia credenza che morirò presto non é una conoscenza vera (casomai non la sarebbe se fossi sano come un pesce ...e neanche con certezza).
...Ma sù con la vita (anche se può sempre finire da un momento all' altro)!
Ciao!
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 21:23:25 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 19:39:21 PM
Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...
Effettivamente, sgiombo, quesa parte si applica anche alla tua metafisica (tra l'altro sia al mondo fenomenico che al mondo noumenico, ammettendo che entrambi abbiano regolarità comprensibili - nel tuo caso vale anche per quello fenomenico visto che non accetti la teoria kantiana delle categorie e forme a-priori).
Ma, se non sono riuscito a convincerti del fatto che quella cosa non è scontata, non penso di riuscirci con altre spiegazioni.
Buona serata :)
Effettivamente al meraviglia é un sentimento alquanto soggettivo: o la si prova (nel senso di "si sente, si avverte"), o non la si prova; ma non la si può dimostrare
Buona serata anche a te
Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM
- "Teoria della verità come corrispondenza" = la "verità" è ciò che corrisponde alla "realtà"
- "Teoria della verità come coerenza" = la "verità" è ciò che è coerente con un determinato insieme di proposizioni che fanno da "assiomi".
cosa scegli? se per te è vera la seconda, allora una risposta del tipo "La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." la considero una vera risposta. Il problema è che - a meno che non si appoggi una qualche forma di idealismo - è difficile evitare l'antinomia di cui parlo....
...
Dunque, ricapitolando: primo: appoggi la teoria della coerenza della verità o quella della corrispondenza? secondo: perché dunque il mondo è comprensibile, secondo te se ritieni che la scienza ci dice verità che vanno oltre le nostre rappresentazioni? terzo: le entità inosservabili empiricamente postulate dalla scienza secondo te esistono in modo indipendente da noi o no? :)
Riguardo alla seconda domanda, va benissimo dire "non lo so". Quello che non mi va bene è dire "è ovvio che sia così" perché non è ovvio, visto che a priori la realtà potrebbe essere incomprensibile.
Onestamente non ho capito la tua posizione. Metà delle cose che dici suggeriscono che tu, effettivamente, proponi teoria della coerenza. L'altra metà invece suggerisce che tu, invece, proponi una teoria della corrispondenza. O, in altre parole, da una parte sembra che tu dici che la "cosa in sé" è qualcosa di inconoscibile (o addirittura inesistente) e dall'altra sembra che invece tale "cosa in sé" è, oltre che esistente, conoscibile.
Sposo entrambe le teorie perchè la "realtà" è intermediata da un antropomorfismo che la assiomatizza. E lo fa così bene, nella koinè scientifica, da adeguare il mezzo conoscitivo all'oggetto della conoscenza. Pensarla così mi libera dal concetto "duro" di verità, senza rinunciare a quello pratico di
adeguamento della narrazione ai fatti, così come li definisce LW nel Tractatus.
Seconda domanda: Ovvio che NO. Non esiste una verità che vada oltre le nostre rappresentazioni. Eventualmente esiste una realtà oltre, ma non è verità di scienza fino alla sua verifica sperimentale. La scienza è la migliore tecnica conoscitiva, ma è farina del nostro sacco. Avessimo 12 dita, forse il nostro cervello funzionerebbe meglio con un sistema di enumerazione dodecadecimale.
Terza domanda: scommetto di sì. E visto come si comportano praticamente coloro che scommettono di no, sono certa di vincere la scommessa. Lasciando loro solo la soddisfazione di uno sterile sofisma.
La cosa-in-sè è più che inconoscibile: è inesistente. Hai ragione tu sull'antinomia di Kant. Postulare "ontologicamente" qualcosa di inconoscibile non fonda scienza, ma religione. Esiste solo la cosa-per-noi fenomenologica su cui possiamo testare rigorosamente, attraverso un metodo, i nostri criteri asseverativi. Ed è quello che fa pure Carlo Rovelli: tutto è meta-fisica, anche la scienza. Mi sta bene la definizione della scienza come
ontologia relazionale, in quanto l'esperienza ci dimostra che tutto è interattivo tra enti e fatti. Quando ciò pare non accadere, come nell'
entanglement, si aprono nuove frontiere all'episteme, ma siamo così bravi, che anche senza spiegarci un fenomeno che sconvolge tutte le nostre teorie di causa-effetto, lo sfruttiamo ugualmente nei calcolatori quantistici. Così come guidiamo l'auto senza sapere com'è fatta. E questo ci fa capire pure la differenza tra il metafisico Platone e lo scienziato Rovelli: il differenziale metafisico tra i due è che il primo postula il mondo delle idee,
ante rem, mentre Rovelli inserisce la ricerca fondamentale in un ipotetico paradigma
post rem sulla base di pregresse conoscenze di tipo sperimentale e comunque da sottoporre a verifica dello stesso tipo di certificabilità. Insomma, la scienza non ipostatizza la cima della montagna avvolta da nubi, come fa Kant, sapendo che potrebbe non esserci alcuna cima, ma qualcosa di inusitato, inimmaginabile. La (cono)scienza, non affetta dai pregiudizi aprioristici della vecchia metafisica, si limita a diradare la nube formulando ipotesi atte allo scopo. Il cui contenuto di verità non lo decidono i sofismi e le cattedre, ma la nube.
Salve Ipazia. Un secondo applauso.
Sgiombo,CitazioneMa questi oggetti esterni alle sensazioni o fenomeni non possono che essere cose in sé o noumeno.
(Non mi sbilancerei su Kant, dati i forti limiti delle mie conoscenze in proposito, ma per quanto modestissimamente mi riguarda) il concetto di "causa" in senso stretto o forte (implicante la calcolabilità -letterale, matematica- degli effetti) é applicabile solo ai fenomeni materiali ( o "mondo fenomenico materiale").
In realtà, non vedo perché definire il concetto di causa in modo così ristretto
se non si assume già in partenza che il determinismo sia vero. Per esempio, un "Copenaghista" può dire che l'interazione "apparato strumentale"-"sistema quantistico"
causa l'attualizzarsi di una determinata probabilità anche se, effettivamente, in questo caso il risultato è random.
CitazioneAllora, se sono ontologicamente indipendenti da noi e dalla nostra esperienza cosciente, sono noumeno, non appartengono al "mondo fenomenico".
Noi possiamo sentire (e conseguentemente conoscere) le rappresentazioni sensibili ovvero i fenomeni e non le cose in sé che attraverso le rappresentazioni fenomeniche ci si manifestano.
"Nì" ;D (lasciami rispiegare la cosa in altro modo):
per Kant la
ragion pura, per "spiegare" l'insorgenza delle sensazioni assume che "oggetti esterni" interagiscano con gli organi di senso. Chiaramente, questi oggetti esterni non esistono dipendentemente da noi (per quanto "sostiene" la "ragion pura"). Tuttavia, le forme e le categorie "a priori" costituiscono la "struttura" della
rappresentazione. Quindi gli "oggetti esterni"
come "previsti" (per la mancanza di un termine migliore) dalla ragion pura sono parte
della rappresentazione. Quindi, a rigore, lo status
ontologico ed
epistemologico rimane indeterminato (Kant sosteneva che lo status ontologico era determinato dalla sua positiva - da quanto mi ricordo. Ma, in realtà, non lo è affatto...). Quindi, non sappiamo né se la "cosa in sé" c'è né "come è fatta", se c'è. Infatti, la sua "presenza" è "prevista" dalla Ragion Pura. Inoltre, non c'è alcuna "garanzia" che, in caso "esistesse", la cosa in sé è come quella "prevista" dalla ragion pura :) Ti torna un po' meglio così? L'"antinomia" deriva proprio dal fatto che per rendere la
rappresentazione sensata si devono "prevedere" oggetti esterni, i quali però non dovrebbero essere "conoscibili" visto che non sono contenuti dell'esperienza cosciente...
CitazionePerché si può postulare che la rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva: corrispondente fra le diverse esperienze coscienti dei diversi soggetti in quanto corrispondente alle medesime, identiche cose in sé o noumeno; e a condizione che sia vero questo postulato indimostrabile.
Certo. E volendo, potrebbero esserci solo coscienze "a la Berkeley" (e anche Leibniz), quindi non necessariamente si deve postulare "l'esistenza della cosa in sé"... Da come leggo la cosa, in pratica, la filosofia Kantiana per essere consistente non dovrebbe dire
niente sul noumeno.
Quindi, forse, è sufficiente postulare che "
rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva" senza "spingersi" sul noumeno.
CitazioneNon credo che Galileo parlasse di "cose in sé (in senso kantiano per lo meno); si interessava di fenomeni materiali.
Apprezzo la prudenza di Kant, non l' avventatezza di Shopenhauer.
Direi che, invece, Galileo parlava di "cose in sé" visto che per lui tolte le "qualità secondarie" (colori, suoni...) rimanevano le "qualità primarie" (chiaramente, nella tua "metafisica" Galileo si occupava di fenomeni materiali...), tant'è che usando l'analogia del libro (citata da Ipazia) per lui l'universo era stato "disegnato" da Dio matematicamente.
Anche a me qui Kant sembra più coerente di Schopenhauer. Schopenhauer, attraverso un approccio "meditativo" incentrato sul corpo (che era un fenomeno "speciale") ha concluso che è la
Volontà a "muovere" la materia (e le menti...) - il termine "volontà" però è un po' fuorviante, visto che è più un "movimento direzionato" nella sua manifestazione più semplice (ovvero nelle cose materiali che seguono le "leggi della natura"). Inoltre, poi Schopenhauer arriva a dire che la Volontà è al di là del mutamento, cosa che è abbastanza discutibile (come fa un "movimento direzionato" ad essere al di là del mutamento? ::) :-\ )
CitazioneA parte il fatto che (da "non addetto ai lavori") respingo l' interpretazione conformistica della M Q, quella fra essa e la concezione kantiana (e si parva licet mia) dei rapporti fenomeni - noumeno mi sembra una semplice analogia: gli enti ed eventi quantistici, anche nell' interpretazione corrente, sono pur sempre del tutto interni al "mondo fenomenico".
Bohm risponde a Bohr: "nella meccanica quantistica non c'è niente che necessariamente implica che le particelle non abbiano sempre -anche quando non osservate- posizioni precise, per quanto non conoscibili unitamente alle loro velocità precise; ma conoscibili singolarmente sia le une che le altre, entrambe. E perché qualcosa possa essere conosciuta essere reale (in ogni e qualsiasi istante in cui la si osservi; come lo sono -sia pure separatamente le une dalle altre, fatto ontologicamente del tutto irrilevante- entrambe le grandezze delle coppie correlate dal pr. di ind. di Heisenberg), allora tale qualcosa deve innanzitutto esserci, deve essere reale; ergo: devono essere reali entrambe in ogni e qualsiasi istante").
Concordo con entrambe le osservazioni ;)
CitazioneMI pare una differenza abissale...
Hai ragione, ho parlato di "analogia" perché c'è un ruolo "preferenziale" della coscienza (nel caso dell'interpretazione a molti mondi, se la coscienza "sceglie" la base preferenziale si potrebbe discutere di una similitudine un po' più forte, però...)...
CitazioneIl povero Guglielmo di Ockam si sta rigirando disperatamente nella tomba come una trottola!
Lungi da me queste farneticazioni irrazionalistiche!
I miti dei preti e degli stregoni sono almeno più pittoreschi, letterariamente più pregevoli.
Sì, non piace nemmeno a me l'idea dei "molti mondi" ;D eppure è una delle più diffuse interpretazioni della M.Q.
Citazione
Ma nemmeno é a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni non debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: perché mai non dovrebbe essere ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi).
Purché non autocontraddittoria, qualsiasi ipotesi a priori sul mondo reale potrebbe essere tanto vera quanto falsa (potrebbe essere tanto confermata quanto falsificata dall' osservazione empirica a posteriori dei fatti).
Certo... ma tali "regolarità comprensibili" sono inspiegabili (se ci si ferma qui senza fare ipotesi sul motivo della loro presenza, si deve essere "agnostici" sull'eventuale "ragione" della loro presenza...). Da qui la mia meraviglia :) CitazioneUna credenza (vera o falsa) é una conoscenza per definizione.
E una credenza vera é una conoscenza vera per definizione.
Per esempio se credo che morirò fra pochi mesi non perché mi é stata fatta scientificamente, correttamente una diagnosi di malattia con prognosi infausta a breve (se fossi superstizioso mi toccherei gli attributi o farei le corna; ma non lo sono) ma perché me l' ha detto l' astrologo (che ovviamente ci ha imbroccato per puro culo!), non per questo la mia credenza che morirò presto non é una conoscenza vera (casomai non la sarebbe se fossi sano come un pesce ...e neanche con certezza).
...Ma sù con la vita (anche se può sempre finire da un momento all' altro)!
Beh, capisco cosa vuoi dire...ma...posso "credere" che domani mattina sorgerà il Sole. Se domani mattina effettivamente osservo che è sorto il Sole, allora confermerò la mia ipotesi. Quindi mentre oggi posso credere che domani sorgerà il Sole ma non so che questo è vero (e non è una "definizione condivisa"... Platone per esempio nel Teeteto ha argomentato contro quella definizione. Ovviamente, non sto dicendo che Platone ha ragione, ma è solo per fare un esempio di dissenso (tra l'altro, incredibilmente, Platone in quel dialogo arriva ad un'aporia, ovvero non riesce a dare una definizione di "conoscenza" e non cita nemmeno le "Forme"...)...)...Ciao!Ipazia,CitazioneSposo entrambe le teorie perchè la "realtà" è intermediata da un antropomorfismo che la assiomatizza. E lo fa così bene, nella koinè scientifica, da adeguare il mezzo conoscitivo all'oggetto della conoscenza. Pensarla così mi libera dal concetto "duro" di verità, senza rinunciare a quello pratico di adeguamento della narrazione ai fatti, così come li definisce LW nel Tractatus.
Anche io sono per "sposarle" entrambe (che sono "vere", secondo me, nei loro rispettivi ambiti di validità - perdona il gioco di parole...). Se parli di "fatti" parli della "verità" (anzi della Verità), visto che in questo caso conoscere i fatti significa "conoscere la realtà" (e quindi, dire il vero se le parole corrispondono ai fatti...). Tu non sei relativista. Non capisco perché usare il linguaggio che usano i relativisti quando non lo si è (non sei l'unica che lo fa...basterebbe dire, ad esempio, che "la "Realtà" è troppo complicata da comprendere concettualmente e quindi possiamo avere solo approssimazioni" o cose simili)...CitazioneLa cosa-in-sè è più che inconoscibile: è inesistente. Hai ragione tu sull'antinomia di Kant. Postulare "ontologicamente" qualcosa di inconoscibile non fonda scienza, ma religione. Esiste solo la cosa-per-noi fenomenologica su cui possiamo testare rigorosamente, attraverso un metodo, i nostri criteri asseverativi. Ed è quello che fa pure Carlo Rovelli: tutto è meta-fisica, anche la scienza. Mi sta bene la definizione della scienza come ontologia relazionale, in quanto l'esperienza ci dimostra che tutto è interattivo tra enti e fatti. Quando ciò pare non accadere, come nell'entanglement, si aprono nuove frontiere all'episteme, ma siamo così bravi, che anche senza spiegarci un fenomeno che sconvolge tutte le nostre teorie di causa-effetto, lo sfruttiamo ugualmente nei calcolatori quantistici. Così come guidiamo l'auto senza sapere com'è fatta. E questo ci fa capire pure la differenza tra il metafisico Platone e lo scienziato Rovelli: il differenziale metafisico tra i due è che il primo postula il mondo delle idee, ante rem, mentre Rovelli inserisce la ricerca fondamentale in un ipotetico paradigma post rem sulla base di pregresse conoscenze di tipo sperimentale e comunque da sottoporre a verifica dello stesso tipo di certificabilità. Insomma, la scienza non ipostatizza la cima della montagna avvolta da nubi, come fa Kant, sapendo che potrebbe non esserci alcuna cima, ma qualcosa di inusitato, inimmaginabile. La (cono)scienza, non affetta dai pregiudizi aprioristici della vecchia metafisica, si limita a diradare la nube formulando ipotesi atte allo scopo. Il cui contenuto di verità non lo decidono i sofismi e le cattedre, ma la nube.
Se assumi che la "cosa in sé" non esiste, devi ammettere che non c'è niente di "esterno" alle coscienze (e le loro rappresentazioni quindi...), quindi scivoli nell'idealismo... Concordo che Kant ha assunto che ci fosse qualcosa in mezzo alle nubi (sarebbe stato più coerente a dire che lo status ontologico della cosa in sé è indeterminato...). Rovelli, assume anche lui la "cosa in sé", visto che nella sua interpretazione della meccanica quantistica (i fisici più pragmatici bollano tutte le "interpretazioni" con il termine "metafisica" perché non è possibile distinguerle sperimentalmente. Quindi, come vedi, il termine metafisica è abbastanza "abusato"...). Riguardo all'interpretazione di Rovelli, nello specifico, concordo con te che è un'interpretazione molto promettente che sembra andare "nel verso giusto". D'altro canto, c'è un elemento molto "universalistico" nella teoria di Rovelli (non sostenuto dall'interpretazione di Copenaghen) ovvero che la meccanica quantistica (o meglio, le sue estensioni) spiegano tutti i fenomeni fisici. Quindi, oltre a "relativizzare" i valori delle grandezze fisiche è anche molto "unificatrice". Platone ha cercato di spiegare la presenza di regolarità dei fenomeni (anzi, della materia-in-sé visto per lui non c'erano "rappresentazioni"...) con la Teoria delle Forme (e addirittura nel Parmenide arriva a metterla in dubbio). Certamente, non era uno scienziato ma, al contempo, uno scienziato non può spiegare il "motivo" della presenza delle regolarità (comprensibili). Quindi, la tua avversione alla "vecchia metafisica" mi pare piuttosto esagerata. Come dicevo anche ad altri, il solo fatto di appoggiare il platonismo (magari come "ipotesi di lavoro") non rende uno dogmatico (d'altronde un buon numero di eminenti scienziati, nella storia, ha subito il "fascino" del platonismo ...).CitazioneSeconda domanda: Ovvio che NO. Non esiste una verità che vada oltre le nostre rappresentazioni. Eventualmente esiste una realtà oltre, ma non è verità di scienza fino alla sua verifica sperimentale. La scienza è la migliore tecnica conoscitiva, ma è farina del nostro sacco. Avessimo 12 dita, forse il nostro cervello funzionerebbe meglio con un sistema di enumerazione dodecadecimale.
:-\ ?? Se avessimo 12 dita, il fatto di avere 12 dita sarebbe comunque vero. Probabilmente in tal caso arriveremmo a dire "abbiamo 10 dita" ("10" è 12 nel sistema dodecadecimale. Così come "10" è 2 in quello binario...). Di certo, simili osservazioni non dimostrano che la "Verità" non esiste (e nemmeno confutano il platonismo). Al massimo dicono che si può esprimere la verità in vari modi (tra di loro legati, tra l'altro da precise relazioni che si possono scoprire...)...CitazioneTerza domanda: scommetto di sì. E visto come si comportano praticamente coloro che scommettono di no, sono certa di vincere la scommessa. Lasciando loro solo la soddisfazione di uno sterile sofisma.
Quindi ammetti che la scienza scopre "come è fatto il mondo". Ovvero, tu dici che, in pratica, la scienza ci fa scoprire la verità (la pensava così anche Heisenberg, sostenendo addirittura che la meccanica quantistica dava ragione all'odiato Platone, vedi questo link, per esempio "Heisenberg, il superamento del materialismo" *)... La scienza, lungi dall'aver demolito la Verità, per te è un valido mezzo per arrivare ad essa e quindi ci avvicina alla cima della montagna che si rivela "molto reale" anche per te seppur offuscata da nubi che sono magari più spesse di quelle che ci sembravano fino a poco tempo fa (bene o male concordo... :) ). La tua posizione mi sembra molto lontana dal negare la "Verità". Non ti piacerà la metafisica "tradizionale" (e gli approcci basati su di essa) ma da qui a negare la Verità c'è molta, molta differenza...*oltre a Heisenberg, il platonismo è appoggiato anche dal famoso fisico Roger Penrose (oltre che da eminenti matematici... nel secolo scorso, ad esempio, il famoso Goedel...). Tutti questi personaggi non mi paiono più dogmatici di Rovelli. Ma forse è solo un'impressione di uno che è affascinato anche dalla teoria delle "Forme" :) Ciao!
Ipazia,
Un linguaggio "simil-relativistico" andrebbe bene, secondo me, se si ammette solo l'intersoggettività (questo perché in questo caso non c'è una vera "realtà così come è" ma solo come è per noi, quindi non ci sono "fatti" oggettivi...) così come fanno i coerentisti (che negano una realtà che indipendente dalle coscienze) o chi ritiene, come Kant, che la "cosa in sé" (ovvero come è la realtà indipendente dalle rappresentazioni è totalmente - e non solo parzialmente - inconoscibile... Anche se in questo caso c'è). Ma anche in questo caso, ovviamente, non sarebbe "relativismo puro" ma una sorta di via di mezzo...
L'idealismo è sicuramente "coerentista" perché non riconoscendo alcuna realtà oltre alle coscienze, non può certo parlare di "corrispondenza" (e in genere è così per tutte le filosofie "anti-fondazionaliste" (tra cui c'è anche l'antico Pirronismo), che, come dicevo, possono avere, secondo me, il loro fascino per quanto mi riguarda a meno che non diventino "relativiste"...ovvero quando per me sono "ben fatte" :) ). Avevo citato Schopenhauer tra i "coerentisti". Il che non va bene, visto che lui affermava che si poteva conoscere la "Cosa in sé" (allo stesso tempo, però, visto che per lui le verità scientifiche erano fenomeniche, si avvicina molto al coerentissimo o all'"anti-fondazionalismo"...).
Nel tuo caso però sembra che ritieni che la realtà indipendente da noi (e dalle rappresentazioni) è almeno parzialmente conoscibile dalla scienza, quindi non capisco perché per esporre la tua posizione usi un linguaggio in cui sembra che neghi una realtà oggettiva (mi pare proprio che tu non lo fai).
Ah, e preciso che ci sono alcuni idealismi che non sono sofistici secondo me (controintuitivi sì però). Ovviamente, il solipsismo è un sofismo (anche se è interessante vedere che è difficile da rigettare...).
Forse usi quel linguaggio per contrastare il dogmatismo. Ma anche qui, non sono per niente d'accordo che chi segue un approccio tradizionale nella metafisica è dogmatico (infatti, uno può credere a-criticamente sia alla teoria di Rovelli che al platonismo!)...
Spero di essermi dimenticato di fare precisazioni (anche se non ne sono per niente sicuro...).
Ciao!
P.S. Ah, ecco, mi dimenticavo... per quanto riguarda la questione del sistema "dodecadecimale", mi spiego meglio (quello che ho detto era, in effetti, superficiale...). Ovvero che con un cervello "diverso" anche i nostri ragionamenti quantitativi avrebbero una "forma" diversa. Ma l'esempio che fai può benissimo dare supporto al platonismo visto che ci è possibile tradurre il sistema "dodecadecimale" in quello decimale. In pratica, anche se la "forma" cambia, il "contenuto" non cambia (e per un platonismo basta quello ;) ). Questo quindi rafforza l'ipotesi che esista in realtà una sola "matematica" esprimibile in vari modi (una delle ipotesi del platonismo).
Rispondo prima a questo post, sull'altro devo meditare un po' di più.
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2018, 20:42:08 PM
Ipazia,
Un linguaggio "simil-relativistico" andrebbe bene, secondo me, se si ammette solo l'intersoggettività (questo perché in questo caso non c'è una vera "realtà così come è" ma solo come è per noi, quindi non ci sono "fatti" oggettivi...) ... Nel tuo caso però sembra che ritieni che la realtà indipendente da noi (e dalle rappresentazioni) è almeno parzialmente conoscibile dalla scienza, quindi non capisco perché per esporre la tua posizione usi un linguaggio in cui sembra che neghi una realtà oggettiva (mi pare proprio che tu non lo fai). ... Forse usi quel linguaggio per contrastare il dogmatismo. Ma anche qui, non sono per niente d'accordo che chi segue un approccio tradizionale nella metafisica è dogmatico (infatti, uno può credere a-criticamente sia alla teoria di Rovelli che al platonismo!)...
Credo ad una oggettività intersoggettiva su scala umana (cosa-per-noi) senza negare, perchè sarebbe dogmatico, una oggettività a prescindere dalla percepibilità e cognitività umana. La mia avversione alla cosa-in-sè non è ontologica (sono oggettivista), ma metodologica, perchè è una postulazione aprioristica, col suo corollario di inconoscibilità dal sapore teologico cui, giustamente, la ricerca scientifica, che condivide nello spirito il tuo nick, non dà alcun credito. Ritengo pertanto di essere un'oggettivista sulla base di un'intersoggettività autorevole. In assenza di autorevolezza, come nelle pseudoscienze ad alto tasso ideologico, liberi tutti di contrastarle e demistificarle. Soprattutto quando nell'interesse di una parte, sacrificano il tutto (quindi anche critica serrata della comunità scientifica quando si fa ancella di interessi inconfessabili). Il che non mi rende relativista in termini di ricerca della verità. Se non su ciò: la verità è contestuale. Quindi plurale in contesti diversi. E laddove, come nell'universo antropologico dei valori, il contesto è conflittuale, ovvero esistono più verità a confronto, decide la dialettica. Come la intendeva il vecchio Marx.
Citazione
P.S. Ah, ecco, mi dimenticavo... per quanto riguarda la questione del sistema "dodecadecimale", mi spiego meglio (quello che ho detto era, in effetti, superficiale...). Ovvero che con un cervello "diverso" anche i nostri ragionamenti quantitativi avrebbero una "forma" diversa. Ma l'esempio che fai può benissimo dare supporto al platonismo visto che ci è possibile tradurre il sistema "dodecadecimale" in quello decimale. In pratica, anche se la "forma" cambia, il "contenuto" non cambia (e per un platonismo basta quello ;) ). Questo quindi rafforza l'ipotesi che esista in realtà una sola "matematica" esprimibile in vari modi (una delle ipotesi del platonismo).
L'universalismo della matematica resta una fede innocente finchè non le si appiccica lo spettro di un Primo Matematico. Non so se Platone era del tutto innocente.
La questione della traducibilità dei saperi raggiunse il suo apice quando i primi segnali pulsar captati vennero interpretati come di origine intelligente. Il risultato fu questo:
Placca dei Pioneer. Un
segno coi fiocchi dedicato, forse con inconsapevole hybris da cowboy, agli extraterrestri.
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2018, 19:47:29 PM
Anche io sono per "sposarle" entrambe (che sono "vere", secondo me, nei loro rispettivi ambiti di validità - perdona il gioco di parole...). Se parli di "fatti" parli della "verità" (anzi della Verità), visto che in questo caso conoscere i fatti significa "conoscere la realtà" (e quindi, dire il vero se le parole corrispondono ai fatti...). Tu non sei relativista. Non capisco perché usare il linguaggio che usano i relativisti quando non lo si è (non sei l'unica che lo fa...basterebbe dire, ad esempio, che "la "Realtà" è troppo complicata da comprendere concettualmente e quindi possiamo avere solo approssimazioni" o cose simili)...
La verità è plurale dipendendo dal contesto. Per cui niente Verità. I fatti hanno livelli diversi di interpretazione a seconda della partecipazione ad essi e della lontananza nel tempo. Verità è spesso un percorso in salita e talvolta non ci si arriva mai, non per la metafisica inconoscibilità Kantiana, ma allorquando la cosa-in-sè contenuta nel fatto è scaduta o dispersa.
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Se assumi che la "cosa in sé" non esiste, devi ammettere che non c'è niente di "esterno" alle coscienze (e le loro rappresentazioni quindi...), quindi scivoli nell'idealismo... Concordo che Kant ha assunto che ci fosse qualcosa in mezzo alle nubi (sarebbe stato più coerente a dire che lo status ontologico della cosa in sé è indeterminato...). Rovelli, assume anche lui la "cosa in sé", visto che nella sua interpretazione della meccanica quantistica (i fisici più pragmatici bollano tutte le "interpretazioni" con il termine "metafisica" perché non è possibile distinguerle sperimentalmente. Quindi, come vedi, il termine metafisica è abbastanza "abusato"...).
Riguardo all'interpretazione di Rovelli, nello specifico, concordo con te che è un'interpretazione molto promettente che sembra andare "nel verso giusto". D'altro canto, c'è un elemento molto "universalistico" nella teoria di Rovelli (non sostenuto dall'interpretazione di Copenaghen) ovvero che la meccanica quantistica (o meglio, le sue estensioni) spiegano tutti i fenomeni fisici. Quindi, oltre a "relativizzare" i valori delle grandezze fisiche è anche molto "unificatrice".
Sulla "cosa" ho già detto la mia nel post precedente (sono oggettivista). La fisica non può che tendere ad una unificazione delle sue teorie. Sarebbe metafisica se prescindesse dalla dimostrazione sperimentale. Più correttamente si tratta di ipotesi, ciascuna con fondamenti fisici e un armamentario matematico ah hoc che avrebbe fatto gridare Platone allo scandalo.
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Platone ha cercato di spiegare la presenza di regolarità dei fenomeni (anzi, della materia-in-sé visto per lui non c'erano "rappresentazioni"...) con la Teoria delle Forme (e addirittura nel Parmenide arriva a metterla in dubbio). Certamente, non era uno scienziato ma, al contempo, uno scienziato non può spiegare il "motivo" della presenza delle regolarità (comprensibili). Quindi, la tua avversione alla "vecchia metafisica" mi pare piuttosto esagerata. Come dicevo anche ad altri, il solo fatto di appoggiare il platonismo (magari come "ipotesi di lavoro") non rende uno dogmatico (d'altronde un buon numero di eminenti scienziati, nella storia, ha subito il "fascino" del platonismo ...).
La vecchia metafisica postula le cosmogonie aprioristicamente (il mondo delle idee), quella nuova cerca di dimostrarle con argomenti scientifici.
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Quindi ammetti che la scienza scopre "come è fatto il mondo". Ovvero, tu dici che, in pratica, la scienza ci fa scoprire la verità (la pensava così anche Heisenberg, sostenendo addirittura che la meccanica quantistica dava ragione all'odiato Platone, vedi questo link, per esempio "Heisenberg, il superamento del materialismo" *)... La scienza, lungi dall'aver demolito la Verità, per te è un valido mezzo per arrivare ad essa e quindi ci avvicina alla cima della montagna che si rivela "molto reale" anche per te seppur offuscata da nubi che sono magari più spesse di quelle che ci sembravano fino a poco tempo fa (bene o male concordo... :) ). La tua posizione mi sembra molto lontana dal negare la "Verità". Non ti piacerà la metafisica "tradizionale" (e gli approcci basati su di essa) ma da qui a negare la Verità c'è molta, molta differenza...
oltre a Heisenberg, il platonismo è appoggiato anche dal famoso fisico Roger Penrose (oltre che da eminenti matematici... nel secolo scorso, ad esempio, il famoso Goedel...). Tutti questi personaggi non mi paiono più dogmatici di Rovelli. Ma forse è solo un'impressione di uno che è affascinato anche dalla teoria delle "Forme" :)
La scienza è il sapere che ci offre il migliore aggancio ai misteri del mondo fisico. Tu chiamala, se vuoi, verità. Assai mobile per l'idea che i parmenidei hanno di quel concetto. Ma se accettiamo una verità in divenire, va bene anche quel termine.
Il link mi ha permesso di capire la tua antipatia per Carlo Rovelli. Egli sostiene la quantistica dei campi, tra i quali vi è pure lo spazio quantistico che acquista così un aspetto quasi corpuscolare. Una quantistica democritea che espugna l'ultimo territorio libero del platonismo: lo spazio vuoto in cui galleggiano le Forme ideali e le loro formule matematiche astratte. I campi, come una gelatina, avvolgono tutto il reale e si intrufolano nelle pure forme insudiciandole un pochino. Materialismo a gogò.
Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2018, 19:47:29 PM
Sgiombo,
CitazioneMa questi oggetti esterni alle sensazioni o fenomeni non possono che essere cose in sé o noumeno.
(Non mi sbilancerei su Kant, dati i forti limiti delle mie conoscenze in proposito, ma per quanto modestissimamente mi riguarda) il concetto di "causa" in senso stretto o forte (implicante la calcolabilità -letterale, matematica- degli effetti) é applicabile solo ai fenomeni materiali ( o "mondo fenomenico materiale").
In realtà, non vedo perché definire il concetto di causa in modo così ristretto se non si assume già in partenza che il determinismo sia vero. Per esempio, un "Copenaghista" può dire che l'interazione "apparato strumentale"-"sistema quantistico" causa l'attualizzarsi di una determinata probabilità anche se, effettivamente, in questo caso il risultato è random.
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Che il determinismo sia vero (e pure che non lo sia) non é dimostrabile, ma il fatto di assumerlo (arbitrariamente) non c' entra con la accezione ristretta da parte mia del concetto di causalità, che essendo una definizione é arbitraria (pure!).
E poiché include la calcolabilità matematica degli effetti dalle cause (o più precisamente del futuro e del passato dal presente) e viceversa, é applicabile solo all' interno della res extensa fenomenica (che é misurabile) e non ai rapporti tra noumeno e fenomeni (nemmeno a quelli fra noumeno e fenomeni materiali o res extensa).
Comunque per intendersi posso benissimo ammettere che fra noumeno e fenomeni (materiali e mentali) intercorra una relazione di casualità in senso lato o improprio
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CitazioneAllora, se sono ontologicamente indipendenti da noi e dalla nostra esperienza cosciente, sono noumeno, non appartengono al "mondo fenomenico".
Noi possiamo sentire (e conseguentemente conoscere) le rappresentazioni sensibili ovvero i fenomeni e non le cose in sé che attraverso le rappresentazioni fenomeniche ci si manifestano.
"Nì" ;D (lasciami rispiegare la cosa in altro modo):
per Kant la ragion pura, per "spiegare" l'insorgenza delle sensazioni assume che "oggetti esterni" interagiscano con gli organi di senso.
Citazione
Secondo me no.
Ma invece che oggetti esterni in sé (noumeno) siano in determinati rapporti col soggetto dei fenomeni, che non può essere considerato altro che noumeno o cosa in sé esso stesso; gli organi di senso sono già fenomeni (materiali) che per la chiusura causale del mondo fisico interagiscono causalmente unicamente col resto di fenomeni materiali producendo effetti materiali e non coscienza.
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Chiaramente, questi oggetti esterni non esistono dipendentemente da noi (per quanto "sostiene" la "ragion pura"). Tuttavia, le forme e le categorie "a priori" costituiscono la "struttura" della rappresentazione. Quindi gli "oggetti esterni" come "previsti" (per la mancanza di un termine migliore) dalla ragion pura sono parte della rappresentazione.
Citazione
Secondo me invece (ma credo anche per Kant) sono cose in sé o noumeno.
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Quindi, a rigore, lo status ontologico ed epistemologico rimane indeterminato (Kant sosteneva che lo status ontologico era determinato dalla sua positiva - da quanto mi ricordo. Ma, in realtà, non lo è affatto...). Quindi, non sappiamo né se la "cosa in sé" c'è né "come è fatta", se c'è. Infatti, la sua "presenza" è "prevista" dalla Ragion Pura. Inoltre, non c'è alcuna "garanzia" che, in caso "esistesse", la cosa in sé è come quella "prevista" dalla ragion pura :) Ti torna un po' meglio così? L'"antinomia" deriva proprio dal fatto che per rendere la rappresentazione sensata si devono "prevedere" oggetti esterni, i quali però non dovrebbero essere "conoscibili" visto che non sono contenuti dell'esperienza cosciente...
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Ma non vedo antinomie: l' ipotesi indimostrabile del noumeno "positivo" (ma potrebbe anche essere invece costituito da nulla) "merita" di essere creduta proprio perché é la migliore, se non l' unica, spiegazione (qui non seguo Kant, ma espongo le mie personali convinzioni) dell' intersoggettività (indimostrabile; ma necessaria ala conoscenza scientifica) dei fenomeni materiali e dei rapporti fra materia cerebrale e coscienza (come argomenterò più sotto).
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CitazionePerché si può postulare che la rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva: corrispondente fra le diverse esperienze coscienti dei diversi soggetti in quanto corrispondente alle medesime, identiche cose in sé o noumeno; e a condizione che sia vero questo postulato indimostrabile.
Certo. E volendo, potrebbero esserci solo coscienze "a la Berkeley" (e anche Leibniz), quindi non necessariamente si deve postulare "l'esistenza della cosa in sé"... Da come leggo la cosa, in pratica, la filosofia Kantiana per essere consistente non dovrebbe dire niente sul noumeno.
Quindi, forse, è sufficiente postulare che "rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva" senza "spingersi" sul noumeno.
Citazione
La teoria teistica di Berkeley non mi pare più prendibile in considerazione; quella di Leibniz dell' armonia prestabilita, anche volendola "profondissimamente emendare" eliminando il teismo che pure la caratterizza, secondo me non spiega i lunghissimi lassi di tempo e spazio senza animali coscienti e le conseguenti discontinuità delle esperienze fenomeniche coscienti: che senso ha dire che c'é una corrispondenza poliunivoca (o "armonia prestabilita") fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti senza che essa dipenda da una corrispondenza biunivoca fra ciascuna coscienza e il noumeno o cose in sé esistente anche durante i largamente preponderanti lassi di tempo e spazio nei quali (nell' ambito del "mondo fenomenico materiale", meramente potenziale ma non attualmente, non effettivamente reale in tali circostanze) nessun animale dotato di coscienza esiste e vive e dunque nessuna esperienza fenomenica cosciente accade in "armonia prestabilita" (o corrispondenza poliunivoca) con alcun altra?
In che senso le esperienze coscienti che c' erano quando e dove c' erano nel mondo fenomenico stesso animali in grado di "averle" (tali che accadessero corrispondentemente ai loro processi neurofisiologici "centrali") possono essere considerate poliunivocamente corrispondenti a (in armonia prestabilita con) quelle che ci saranno dopo lassi di tempo e intervalli di spazio enormi senza animali coscienti le cui esperienze fenomeniche possano "garantire la continuità dell' armonia stessa (o delle corrispondenza stesse)?
Se questa corrispondenza poliunivoca (o armonia) non é mediata da quella ininterrotta di ciascuna esperienza cosciente fenomenica con sempre persistenti cose in sé ovvero con un sempre persistente noumeno, che senso ha pensarla esistere anche fra esperienze coscienti non continuamente coesistenti (sempre contemporaneamente almeno alcune di esse) in modo da costituire una catena ininterrotta?
Attraverso i "buchi senza esperienze fenomeniche coscienti" come può "propagarsi" la corrispondenza poliunivoca o armonia prestabilita dalle esperienze fenomeniche coscienti precedenti a quelle successive a tali "buchi" se non vi é nulla che consenta una continuità di corrispondenze o di armonia?
Unica possibile alternativa potrebbe forse essere una sorta di pampsichismo, comunque di per lo meno dubbia sensatezza (o possibilità logica sensata: cosa potrebbe essere la -ulteriore- coscienza, per quanto "elementare" o "effimera" o "embrionale": in che senso?- di ciascuna molecola cerebrale che già fa parte di un cervello in funzione cui corrisponde una esperienza cosciente "pienamente sviluppata"? E quelle -ulteriori ancora- di ciascun atomo? E quelle ulteriori ancora ancora di ciascuna particella-onda elementare?).
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CitazioneNon credo che Galileo parlasse di "cose in sé (in senso kantiano per lo meno); si interessava di fenomeni materiali.
Apprezzo la prudenza di Kant, non l' avventatezza di Shopenhauer.
Direi che, invece, Galileo parlava di "cose in sé" visto che per lui tolte le "qualità secondarie" (colori, suoni...) rimanevano le "qualità primarie" (chiaramente, nella tua "metafisica" Galileo si occupava di fenomeni materiali...), tant'è che usando l'analogia del libro (citata da Ipazia) per lui l'universo era stato "disegnato" da Dio matematicamente.
Anche a me qui Kant sembra più coerente di Schopenhauer. Schopenhauer, attraverso un approccio "meditativo" incentrato sul corpo (che era un fenomeno "speciale") ha concluso che è la Volontà a "muovere" la materia (e le menti...) - il termine "volontà" però è un po' fuorviante, visto che è più un "movimento direzionato" nella sua manifestazione più semplice (ovvero nelle cose materiali che seguono le "leggi della natura"). Inoltre, poi Schopenhauer arriva a dire che la Volontà è al di là del mutamento, cosa che è abbastanza discutibile (come fa un "movimento direzionato" ad essere al di là del mutamento? ::) :-\ )
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Qui bisogna distinguere fra quello di cui Galileo credeva di occuparsi e parlare (effettivamente qualcosa che era contemporaneamente apparenza fenomenica e -contraddittoriamente- pure cosa in sé reale anche indipendentemente dalle sensazioni coscienti: le "qualità primarie" da lui erano effettivamente considerate tali) e ciò di cui si occupava e parlava realmente: se invece, come mi sembra concordiamo (fra noi e con Berkeley e Hume), anche le "qualità primarie", esattamente come le "secondarie", non sono che meri fenomeni coscienti il cui "esse est percipi", allora in realtà si occupava di meri fenomeni e non di cose in sé (contrariamente a quanto erroneamente credeva).
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Sì, non piace nemmeno a me l'idea dei "molti mondi" ;D eppure è una delle più diffuse interpretazioni della M.Q.
Citazione
E questo la dice lunga sull' importanza di una buna preparazione filosofica di base anche per i ricercatori più (e giustamente) rinomati (come tali), onde evitare di sparare simili penose cazzate irrazionalistiche: alla faccia delle pretese veteropositivistiche e scientistiche (spesso baldanzosamente affermate anche in questo forum) che la filosofia sarebbe una "cane morto", ormai del tutto irreversibilmente superata nella ricerca della verità ontologica dalle scienze empiriche o naturali, riducendosi oggi a una specie di ospizio pieno vecchi rincoglioniti in attesa di tirare giustamente le quoia liberandoci quanto prima possibile dalla loro deleteria presenza ...
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Citazione
Ma nemmeno é a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni non debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: perché mai non dovrebbe essere ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi).
Purché non autocontraddittoria, qualsiasi ipotesi a priori sul mondo reale potrebbe essere tanto vera quanto falsa (potrebbe essere tanto confermata quanto falsificata dall' osservazione empirica a posteriori dei fatti).
Certo... ma tali "regolarità comprensibili" sono inspiegabili (se ci si ferma qui senza fare ipotesi sul motivo della loro presenza, si deve essere "agnostici" sull'eventuale "ragione" della loro presenza...). Da qui la mia meraviglia :)
Citazione
Ma nella spiegazione dei fenomeni naturali, se si vuole evitare un illogicissimo circolo vizioso o un inane (ai fini della spiegazione stessa) regresso all' infinito bisogna prima o poi fermarsi a qualcosa che spiega il resto essendo a sua volta inspiegato: qualcosa che se é così, allora può bensì essere pensato essere diverso da così, ma in realtà non può che essere così e non altrimenti per nessun altro motivo o spiegazione che non sia il puro e semplice fatto stesso di essere così e non altrimenti (per il quale motivo e per il principio di non contraddizione non può che essere realmente -ma casomai solo immaginativamente- così e non altrimenti senza bisogno di ulteriori motivi).
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CitazioneUna credenza (vera o falsa) é una conoscenza per definizione.
E una credenza vera é una conoscenza vera per definizione.
Per esempio se credo che morirò fra pochi mesi non perché mi é stata fatta scientificamente, correttamente una diagnosi di malattia con prognosi infausta a breve (se fossi superstizioso mi toccherei gli attributi o farei le corna; ma non lo sono) ma perché me l' ha detto l' astrologo (che ovviamente ci ha imbroccato per puro culo!), non per questo la mia credenza che morirò presto non é una conoscenza vera (casomai non la sarebbe se fossi sano come un pesce ...e neanche con certezza).
...Ma sù con la vita (anche se può sempre finire da un momento all' altro)!
Beh, capisco cosa vuoi dire...ma...
posso "credere" che domani mattina sorgerà il Sole. Se domani mattina effettivamente osservo che è sorto il Sole, allora confermerò la mia ipotesi. Quindi mentre oggi posso credere che domani sorgerà il Sole ma non so che questo è vero (e non è una "definizione condivisa"... Platone per esempio nel Teeteto ha argomentato contro quella definizione. Ovviamente, non sto dicendo che Platone ha ragione, ma è solo per fare un esempio di dissenso (tra l'altro, incredibilmente, Platone in quel dialogo arriva ad un'aporia, ovvero non riesce a dare una definizione di "conoscenza" e non cita nemmeno le "Forme"...)...)...
Citazione
Se:
a) Credi che domani sorgerà il sole
e
b) (Accade realmente che) Domani sorgerà il sole,
allora per definizione sai (hai la conoscenza vera) che domani sorgerà il sole.
Ciao!