Al riguardo, non solo "terminologicamente", ma anche e soprattutto a livello concettuale:
- "prima" significa "anteriormente", e cioè, In un tempo precedente a quello che stiamo considerando;
- "dopo" significa "posteriormente", e cioè, In un tempo successivo a quello che stiamo considerando.
***
Ora, almeno stando alle attuali conoscenze scientifiche, il "tempo" esiste solo nel nostro universo, che ha avuto inizio con il BIG BANG; per cui, consequenzialmente, ne dovremmo dedurre che "prima" il "tempo" non esisteva.
Ma se "prima" significa "anteriormente", e cioè, In un "tempo" precedente a quello che stiamo considerando, questo, a mio parere, ci conduce un po' a un paradosso!
***
Stephen William Hawking spiega tale paradosso, sostenendo che, "prima" del Big Bang il tempo era "ripiegato", curvo su se stesso (?), cioè: "Si avvicinava a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente; ed infatti non c'è mai stato un Big Bang che ha prodotto qualcosa dal nulla."
E, in un'altra occasione, aveva anche scritto: "Gli eventi precedenti al Big Bang sono semplicemente non definiti, perché non c'è modo di misurare che cosa sia successo a tali eventi. Poiché gli eventi avvenuti prima del Big Bang non hanno conseguenze osservazionali, si possono anche tagliare fuori dalla teoria, e dire che il tempo è iniziato con il Big Bang".
***
Nel mio piccolo, non sono sicuro di aver ben compreso quello che sostiene Hawking.
Però, a mio sommesso parere, se è vero (come è inevitabile supporre), che ci sono stati degli eventi avvenuti "prima" del Big Bang, questo vuol dire, anche se non c'è modo di misurare che cosa sia successo, che il "tempo" esisteva necessariamente anche "allora"; e che, quindi, che il "tempo" non è affatto iniziato con il Big Bang.
O meglio, semmai, si può dire soltanto che "dopo" il Big Bang si è innescato un nuovo ordine temporale.
***
Ovvero, come scriveva Virgilio nelle "Bucoliche":
"Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo"
("Nasce 'ex novo' un grande ordine dei secoli)
(Virgilio, Bucoliche).
***
E, se c'era il tempo anche "prima", vuol dire che "prima" non c'era affatto il "nulla", ma necessariamente "qualcosa"; anche se non sapremo mai che cosa!
Anche perchè "Ex nihilo nihil!"
***
Ovvero, come scriveva Lucrezio nel "De rerum natura":
"Principium cuius hinc nobis exordia sumet,
nullam rem e nihilo gigni divinitus umquam."
("Il suo fondamento prenderà per noi l'inizio da questo: che nulla mai si genera dal nulla per volere divino")
(De rerum natura I, 149-150)
***
Dicendo "c'era", peraltro, sottintendiamo un "essere" che si manifestava, sia pure in altri modi (altri universi?), "prima" che cominciasse a manifestarsi il nostro universo, "dopo" il BIG BANG.
***
Tale paradosso, in effetti, si manifesta anche per quanto riguarda l'"espansione" del nostro universo; ed infatti, dire che qualcosa "si espande", implica che ci sia uno "spazio" in cui si espande, altrimenti la nostra affermazione non avrebbe senso.
E, uno "spazio", anche se "vuoto", non è certo il "nulla"; ed infatti, per definizione, "il nulla non è niente", per cui non può essere neanche uno "spazio vuoto".
***
Però, ovviamente, le mie sono solo "elucubrazioni" al limite delle mie facoltà di pensiero; ed infatti, in realtà, ad essere sincero, non ho la più vaga idea di come realmente stiano le cose.
Lo ammetto!
:-[
***
Ovvero, come scriveva Virgilio nelle "Georgiche":
"Felix qui potuit rerum cognoscere causas"
("Beato colui che ha potuto conoscere le cause delle cose")
(Virgilio, Georgiche, lI, 489).
***
Recentemente si è fatta largo la teoria dei multiversi. Una di queste teorie del prof. Poplawski, teorizza che la materia dalla quale è scaturito il ns universo era contenuto in una particella più piccola 3 miliardi di volte della particella più piccola scoperta dall'uomo. Questa particella così piccola può essere stata formata, secondo poplawski solo da un gigantesco buco nero al termine della sua vita. La sua successiva esplosione ha determinato questo universo come lo conosciamo, all'interno del quale vi sono altri buchi neri, che produrranno, alla fine della loro vita fisica, lo stesso fenomeno, producendo un universo parallelo. Secondo questa teoria pertanto, questo universo è la conseguenza di un buco nero super massicciò e quindi ogni buco nero è un universo in gestazione. Grazie alla materia che viene inghiottita dal buco nero e alla velocità che si sprigiona al suo interno, vicina a quella della luce, si ottiene la famosa equazione di Einstein sulla relatività ma su ordini quantitativi di massa e velocità paurosi e quasi inconcepibili dalla mente umana.
La teoria del Big Bang offre l'occasione, tra le tante possibili, di giungere al limite del comprensibile.
Limite che il pensiero razionale non ammette, rifiutandone l'esistenza. E infatti reagisce costruendo ipotesi che riconducano il limite nell'alveo del razionale, svuotandolo del pathos.
Così fantastica su tempi ripiegati, su multiversi, su buchi neri che non sono proprio delle singolarità, se no...
Insomma ci si immagina di tutto pur di non fermarsi di fronte al limite!
Eppure, Eutidemo, già nei brani che hai riportato si accenna alla risposta...
È sufficiente interpretarli tenendo fermo il limite.
E il limite è il Nulla.
"Ex nihilo nihil!"
"Nessuna cosa si genera dal nulla"
"Nulla si genera dal nulla per volere divino"
Se non vi è stato un prima... non vi è mai alcun prima!
I concetti che usiamo sono , credo, direttamente o indirettamente, legati alla nostra percezione sensibile.
Esiste però anche una "percezione scientifica" in parallelo, che usa quei concetti, a volte forzandoli fino snaturali, ma non riuscendo a costruirne di veramente nuovi.
Il tempo è qualcosa che percepiamo e misuriamo insieme.
Ma il vero paradosso è: come facciamo a misurare ciò che, seppure percepiamo, non sappiamo dire cosa sia secondo S.Agostino, quanto ancora secondo noi.
In un caso abbiamo il concetto, ma non sappiamo dire.
Nell'altro sappiamo dire ma non abbiamo il concetto.
Non possiamo quindi mettere da parte il dubbio che non si tratti di due cose del tutto coincidenti, limitandoci a pure considerazioni filosofiche.
Cosa c'era prima?
Nei due mondi che abbiamo distinto, sia in quello della percezione che in quello della misura, si può rispondere alla domanda se si specifica bene e con precisione prima di cosa.
Se invece il cosa rimane vago, come tutto e niente, allora diventa impossibile rispondere per entrambi i mondi, percettivo e fisico, che abbiamo considerato.
Se ci chiediamo cosa vi è oltre ogni cosa, la risposta è già implicita nella domanda: nulla.
Il nulla quindi nasce dalla presunzione di poter considerare, se non conoscere, ogni cosa.
Il Big Bang non è un fatto ben specificato , ma una proiezione di fatti noti.
Quando ben specificati sappiamo sempre cosa c'era prima.
Prima dell'universo, cioè prima e oltre di ogni cosa, non vi è nulla, ovviamente.
La teoria del Big Bang è quella che va per la maggiore, ma è una teoria.Ce ne sono altre sull'origine dell'Universo. Una è quella dell'Universo al Plasma, portata avanti dal premio Nobel per la fisica Hannes Alfvén, assieme a Oskar Klein e Carl-Gunne Fälthammar, e ancora in fase di studio e sperimentazione. L'ipotesi principale di questa teoria è che nella struttura dell'universo i fenomeni di natura elettromagnnetica hanno un ruolo altrettanto importante della gravitazione. La Cosmologia al Plasma è un modello non standard, alternativo al modello standard del Big Bang.
L'universo, in questa teoria chiamato anche metagalassia, sarebbe eterno, e si genererebbero sempre nuove stelle al posto di quelle esaurite.
Su WP c'è un'esauriente spiegazione di questa interessante teoria cosmologica, su cui si continua a lavorare, nonostante sia minoritaria tra gli astrofisici.
Dal punto di vista filosofico preferisco che l'Universo abbia avuto un inizio, così che poi possa andare a finire, come tutte le cose che hanno un principio. Sarebbe terribile se "questo" fosse eterno.
Citazione di: Alexander il 15 Settembre 2021, 09:59:55 AM
La teoria del Big Bang è quella che va per la maggiore, ma è una teoria.Ce ne sono altre sull'origine dell'Universo. Una è quella dell'Universo al Plasma, portata avanti dal premio Nobel per la fisica Hannes Alfvén, assieme a Oskar Klein e Carl-Gunne Fälthammar, e ancora in fase di studio e sperimentazione. L'ipotesi principale di questa teoria è che nella struttura dell'universo i fenomeni di natura elettromagnnetica hanno un ruolo altrettanto importante della gravitazione. La Cosmologia al Plasma è un modello non standard, alternativo al modello standard del Big Bang.
L'universo, in questa teoria chiamato anche metagalassia, sarebbe eterno, e si genererebbero sempre nuove stelle al posto di quelle esaurite.
Su WP c'è un'esauriente spiegazione di questa interessante teoria cosmologica, su cui si continua a lavorare, nonostante sia minoritaria tra gli astrofisici.
Dal punto di vista filosofico preferisco che l'Universo abbia avuto un inizio, così che poi possa andare a finire, come tutte le cose che hanno un principio. Sarebbe terribile se "questo" fosse eterno.
Non conoscevo questa interessante teoria! :)
Comunque io, sinceramente, avrei preferito che questo Universo non avesse mai avuto inizio; però, visto che, ormai, è cominciato, anche io, come te, mi auguro che finisca il prima possibile.Il che, almeno a livello personale, per fortuna accadrà molto presto! ;)
Citazione di: Eutidemo il 15 Settembre 2021, 07:15:54 AM
Nel mio piccolo, non sono sicuro di aver ben compreso quello che sostiene Hawking.
Però, a mio sommesso parere, se è vero (come è inevitabile supporre), che ci sono stati degli eventi avvenuti "prima" del Big Bang, questo vuol dire, anche se non c'è modo di misurare che cosa sia successo, che il "tempo" esisteva necessariamente anche "allora"; e che, quindi, che il "tempo" non è affatto iniziato con il Big Bang.
O meglio, semmai, si può dire soltanto che "dopo" il Big Bang si è innescato un nuovo ordine temporale.
***
Non scorreva, però. Un tempo che non scorre è ancora tempo?
Citazione di: Lou il 15 Settembre 2021, 11:02:40 AM
Citazione di: Eutidemo il 15 Settembre 2021, 07:15:54 AM
Nel mio piccolo, non sono sicuro di aver ben compreso quello che sostiene Hawking.
Però, a mio sommesso parere, se è vero (come è inevitabile supporre), che ci sono stati degli eventi avvenuti "prima" del Big Bang, questo vuol dire, anche se non c'è modo di misurare che cosa sia successo, che il "tempo" esisteva necessariamente anche "allora"; e che, quindi, che il "tempo" non è affatto iniziato con il Big Bang.
O meglio, semmai, si può dire soltanto che "dopo" il Big Bang si è innescato un nuovo ordine temporale.
***
Non scorreva, però. Un tempo che non scorre è ancora tempo?
Certo che scorreva, altrimenti non sarebbe stato "tempo"; ed infatti, ad un certo momento del suo scorrere, ha avuto inizio il nostro Universo.Ma questo è l'unico istante del suo scorrimento, che noi conosciamo! ::)
Citazione di: Alexander il 15 Settembre 2021, 09:59:55 AM
Dal punto di vista filosofico preferisco che l'Universo abbia avuto un inizio, così che poi possa andare a finire, come tutte le cose che hanno un principio. Sarebbe terribile se "questo" fosse eterno.
Non per deludere le tue speranze, ma prima del big bang potrebbe esserci stato, è ancora ci sarà, un big crunch, con ciclicità infinita.
La misurazione stessa del tempo fisico sottende che esistano fenomeni ciclici e l'universo stesso potrebbe essere un grande orologio.
Citazione di: Eutidemo il 15 Settembre 2021, 11:10:33 AM
Citazione di: Lou il 15 Settembre 2021, 11:02:40 AM
Citazione di: Eutidemo il 15 Settembre 2021, 07:15:54 AM
Nel mio piccolo, non sono sicuro di aver ben compreso quello che sostiene Hawking.
Però, a mio sommesso parere, se è vero (come è inevitabile supporre), che ci sono stati degli eventi avvenuti "prima" del Big Bang, questo vuol dire, anche se non c'è modo di misurare che cosa sia successo, che il "tempo" esisteva necessariamente anche "allora"; e che, quindi, che il "tempo" non è affatto iniziato con il Big Bang.
O meglio, semmai, si può dire soltanto che "dopo" il Big Bang si è innescato un nuovo ordine temporale.
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Non scorreva, però. Un tempo che non scorre è ancora tempo?
Certo che scorreva, altrimenti non sarebbe stato "tempo"; ed infatti, ad un certo momento del suo scorrere, ha avuto inizio il nostro Universo.
Ma questo è l'unico istante del suo scorrimento, che noi conosciamo!
::)
Ma sei sicuro di conoscere quell'istante?
Se parliamo di tempo fisico, quello misurabile, è solo una possibile proiezione congruente con dati noti.
Se parliamo di tempo percepito, ne parliamo, ma non sappiamo ben dire di cosa parliamo.
Per poterne parlare dovremmo poter estendere il concetto di percezione inglobandovi pienamente quello di misura e previsione fisica.
L'attualità del pensiero di S.Agostino in tal senso è talmente sorprendente, che possiamo considerarlo il big bang della nostra discussione in corso, come se prima non vi fosse nulla di paragonabilmente notevole, compreso Lucrezio.
Diversamente ci si condanna a vertigini di pensiero su abissi di nulla.
Un nulla, una contraddizione ciclica ed ineliminabile, che si origina in una arbitraria coincidenza fra tempo fisico e tempo percepito.
A priori infatti sono due cose distinte, e seppure, con una relativa utilità, ciò facciamo, di confonderli, non dovremmo dimenticare che siamo ben lontani dal dimostrare di poterlo fare.
Ma poi, estendendo il dubbio, è proprio vero che riusciamo a misurare il tempo fisico?
La risposta è sì, ma a condizione che esistano fenomeni ciclici, che si ripetano cioè sempre in modo identico.
Se ci pensi , il fatto che esistano, non è cosa banale, e da un punto di vista filosofico risolverebbe la contraddizione fra essere e divenire.
Prima del big bang ritengo ci fosse un "altro" tempo.
Poi .... reset .... unica cosa certa negli universi ( e non solo)
pare che all'interno di un buco nero il tempo si fermi: se potessimo tutti spostarci in uno di questi (senza morire ovviamente :) ), avrebbe senso parlare di passato, presente e futuro dell'universo?
avrebbe senso parlare di "età dell'universo"?
:-[ :-[ :-[
Citazione di: ricercatore il 15 Settembre 2021, 11:53:59 AM
pare che all'interno di un buco nero il tempo si fermi: se potessimo tutti spostarci in uno di questi (senza morire ovviamente :) ), avrebbe senso parlare di passato, presente e futuro dell'universo?
avrebbe senso parlare di "età dell'universo"?
:-[ :-[ :-[
Sì, non avrebbe senso.
Ma non siamo già forse in un buco nero?
Senza che sia neppure un "buco"...
Dipende...Se fossimo all'interno di un buco nero, ma potessimo continuare a pensare, il tempo (soggettivo) continuerebbe ad esistere. Il pensiero è tempo.
Salve. Sinchè non salta fuori una definizione di "tempo" (secondo me c'è, è facilissima, incontrovertibile, chiarissima).........penso proprio di restare nel ruolo di passivo lettore di un simile argomento. Saluti.
La seconda citazione di Hawking è la più scientificamente fondata: se possiamo fare osservazioni fino al bigbang, chiedersi cosa c'era prima è solo una fabbrica di finzioni ipotetiche.
Anche per l'espansione dell'universo penso vi siano misure sperimentali e l'universo può benissimo espandersi nel vuoto come farebbe qualsiasi gas in condizioni analoghe verificabili sperimentalmente.
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2021, 19:32:40 PM
La seconda citazione di Hawking è la più scientificamente fondata: se possiamo fare osservazioni fino al bigbang, chiedersi cosa c'era prima è solo una fabbrica di finzioni ipotetiche.
Anche per l'espansione dell'universo penso vi siano misure sperimentali e l'universo può benissimo espandersi nel vuoto come farebbe qualsiasi gas in condizioni analoghe verificabili sperimentalmente.
Salve Ipazia. Sul Big Bang preferisco continuare a tacere. A proposito invece dell'espansione dei gas.............trovi sia più corretto collocarla "nel vuoto" (cioè in uno spazio privo di qualsiasi contenuto).......od invece - secondo la mia visione - collocarla "in uno spazio privo di materia ma comunque occupato od occupabile da dell'energia radiante"...??.
Ciò dal momento che - sempre a mio parere.............come in filosofia non può esistere una concretezza del NULLA........in fisica non può esistere la concretezza di un qualsiasi "vero" VUOTO. Saluti.
Possiami immaginare il bigbang come una grande esplosione che dissipa energia espandendosi. Per tale motivo l'universo si espande, così come i gas e materiali di una bomba che finché non hanno dissipato la loro energia continuano nel loro moto travolgendo tutto ciò che incontrano.
Se le galassie incontrano un vuoto interstellare la resistenza del mezzo all'espansione, qualunque cosa esso contenga, è pressoché nulla.
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2021, 19:32:40 PM
Anche per l'espansione dell'universo penso vi siano misure sperimentali e l'universo può benissimo espandersi nel vuoto come farebbe qualsiasi gas in condizioni analoghe verificabili sperimentalmente.
Questa sarebbe l'idea di uno spazio Newtoniano come contenitore preesistente al big bang , cioè come scenario già esistente e pronto per accoglierne gli effetti.
Ma, se prima del big bang non vi è nulla, a meno che non si identifichi lo spazio col nulla, allora è lo spazio stesso ad espandersi col big bang.
Il big bang comunque, descritto come un gas in espansione non regge, perché vi sono evidenze di una accelerazione delle galassie.
Vorrei comunque insistere su un punto che non sembra aver trovato il vostro interesse.
Allora lo ripeto in modo che possa meglio intrigarvi.
A che servirebbe uno spazio privo di materia?
Concettualmente è uno "spreco".
Così l'origine della materia attraverso il big bang può farsi coincidere con quella dello spazio.
Uno spazio ovviamente non Newtoniano, cioè non come contenitore .
Così dove c'è spazio c'è energia/materia e viceversa.
In analogia, a che servirebbe il tempo se non vi fossero orologi?
Così come è la materia a "creare" spazio, sono gli orologi a "creare" il tempo?
Adesso resta solo da definire cosa sia un orologio.
Intuitivamente è qualcosa che ha a che fare col movimento della materia e con una trasformazione di energia che si ripetono ciclicamente uguali a se stesse.
La cosa in se' non è per nulla banale, e su ciò vi invito a riflettere.
Se posso trovare equazioni che descrivono il moto in generale , e perché posso confrontare ogni movimento con dei movimenti "campione", che posso usare come orologi.
Ma se è il movimento a creare il tempo, allora stiamo parlando di un movimento diverso da quel che solitamente intendiamo, per descrivere il quale non possiamo fare a meno del tempo.
Stiamo in effetti parlando di un tipo particolare di movimento, che si presta a farsi orologio, la cui esistenza non è per nulla da dare per scontata.
Diciamolo meglio, seppur in modo schematicamente riduttivo, laddove parleremo di materia trascurando l'energia.
Da un punto di vista fisico si può parlare solo di ciò che si può misurare.
Se uno spazio non può misurarsi allora non esiste.
Se lo si può misurare il motivo è che esiste un righello che è materia.
Quindi lo spazio esiste solo se esiste un righello.
Stesso discorso può farsi sul tempo che esiste solo se esiste un orologio.
Mettiamo adesso insieme le due cose.
Attraverso l'uso di un righello e di un orologio possiamo rilevare un ordine nell'universo.
Ma esisterebbe quell'ordine se non fosse possibile misurarlo?
Ciò che sembra scaturire dal presunto big bang è appunto un ordine, o se preferite, il che è uguale, ciò che produce il big bang è un righello e un orologio.
In analogia, se si considera che in un buco nero non vi siano orologi e righelli, ecco perché non vi è in esso tempo ne' spazio.
Non è che il tempo in esso si arresta, è che proprio non vi è, perché non è misurabile.
Lo stesso dicasi per lo spazio.
L'idea di uno spazio e un tempo assoluti di tipo Newtoniano, che esistono cioè indipendentemente dalla materia e dagli orologi, che io ho definito coloritamente come uno spreco concettuale, se a prima vista sembrano concetti innocenti, come uno spreco concettuale appunto più che sostenibili, generano invece problemi di comprensione quando ci si allarga alla dinamica dell'intero universo.
Nel buco nero, o nel punto singolare da cui ha inizio il big bang, il tempo non è fermo, ma proprio non c'è, così come non c'è uno spazio puntiforme, perché non c'è spazio.
Il tempo si crea col big bang, quindi chiedersi cosa c'era prima, per rispondere ad Eutidemo è domanda inevitabile quanto priva di senso.
A meno che l'universo stesso non sia un big clock dove il big bang segna le ore zero e le armonie delle sfere si riducano ai ritocchi di un cucù'. :D
Se comunque vogliamo ipotizzare il big bang, come coerente proiezione dei dati sperimentali, si può meglio pensare come una semiretta escluso l'estremo.
Non possiamo chiederci quindi cosa c'è prima di quell'estremo, perché l'estremo non ne è parte.
Possiamo spostarci sulla semiretta priva di estremo in un verso o nell'altro, andando verso l'infinito o verso l'infinitesimo, i quali, parimenti, non hanno una fine, tanto che viene da chiedersi fra i due quale sia la vera differenza.
Spostandosi sulla semiretta cambia la densità della materia.
Ma dire se sia la diminuzione di densità causata dall'espansione della materia nello spazio, o dire che sia la diminuzione di densità a creare lo spazio, non è dire la stessa cosa alla luce dei diversi paradossi logici che possono risultarne, e conviene scegliere il punto di vista che li riduca, semplificando e rendendo più coerente una possibile descrizione dell'universo, perché noi più di questo non possiamo fare.
Citazione di: iano il 15 Settembre 2021, 11:29:34 AM
Citazione di: Eutidemo il 15 Settembre 2021, 11:10:33 AM
Citazione di: Lou il 15 Settembre 2021, 11:02:40 AM
Citazione di: Eutidemo il 15 Settembre 2021, 07:15:54 AM
Nel mio piccolo, non sono sicuro di aver ben compreso quello che sostiene Hawking.
Però, a mio sommesso parere, se è vero (come è inevitabile supporre), che ci sono stati degli eventi avvenuti "prima" del Big Bang, questo vuol dire, anche se non c'è modo di misurare che cosa sia successo, che il "tempo" esisteva necessariamente anche "allora"; e che, quindi, che il "tempo" non è affatto iniziato con il Big Bang.
O meglio, semmai, si può dire soltanto che "dopo" il Big Bang si è innescato un nuovo ordine temporale.
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Non scorreva, però. Un tempo che non scorre è ancora tempo?
Certo che scorreva, altrimenti non sarebbe stato "tempo"; ed infatti, ad un certo momento del suo scorrere, ha avuto inizio il nostro Universo.
Ma questo è l'unico istante del suo scorrimento, che noi conosciamo!
::)
Ma sei sicuro di conoscere quell'istante?
Se parliamo di tempo fisico, quello misurabile, è solo una possibile proiezione congruente con dati noti.
Se parliamo di tempo percepito, ne parliamo, ma non sappiamo ben dire di cosa parliamo.
Per poterne parlare dovremmo poter estendere il concetto di percezione inglobandovi pienamente quello di misura e previsione fisica.
L'attualità del pensiero di S.Agostino in tal senso è talmente sorprendente, che possiamo considerarlo il big bang della nostra discussione in corso, come se prima non vi fosse nulla di paragonabilmente notevole, compreso Lucrezio.
Diversamente ci si condanna a vertigini di pensiero su abissi di nulla.
Un nulla, una contraddizione ciclica ed ineliminabile, che si origina in una arbitraria coincidenza fra tempo fisico e tempo percepito.
A priori infatti sono due cose distinte, e seppure, con una relativa utilità, ciò facciamo, di confonderli, non dovremmo dimenticare che siamo ben lontani dal dimostrare di poterlo fare.
Ma poi, estendendo il dubbio, è proprio vero che riusciamo a misurare il tempo fisico?
La risposta è sì, ma a condizione che esistano fenomeni ciclici, che si ripetano cioè sempre in modo identico.
Se ci pensi , il fatto che esistano, non è cosa banale, e da un punto di vista filosofico risolverebbe la contraddizione fra essere e divenire.
In base ai calcoli basati sulla misura della radiazione cosmica di fondo osservata della sonda Wmap (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe), quell'istante ci sarebbe stato 13,77 miliardi di anni fa.
Secondo me, non si può sapere con certezza; però si può sapere con certezza che c'è stato!
;)
Ringrazio iano per la completezza dell'esposizione che coinvolge materia, spazio e tempo e pone l'accento sull'elemento ontologico cruciale della misurazione. Alcune impressioni:
L'accelerazione delle galassie potrebbe dipendere da forze non ancora identificate o dall'indebolimento di briglie e attriti di tipo gravitazionale che si riducono aumentando le distanze delle masse.
Il "vuoto spaziale newtoniano" esterno all'universo (misurato) può essere inteso, come suggerisce iano, appunto come "nulla", e diventare "qualcosa" di misurabile solo dopo che l'universo lo ha "colonizzato" espandendosi.
Un conto è l'inizio di un qualcosa, ben altro è invece il supporre l'inizio del tempo!
Perché quel qualcosa che inizia a esistere, prima non esisteva.
Ma se è il tempo ad avere un inizio...
Allora la realtà, ciò che è veramente, quindi noi stessi, la nostra essenza, è ancora da sempre là in quell'inizio. Da cui non si è mai allontanata.
Difatti la luce testimonia questa verità.
Per il fotone nessun tempo è mai passato, non vi è alcun tempo!
Il fotone è ancora in quello che per noi è l'istante iniziale e lo spazio un punto.
Per il fotone tutta la storia dell'universo è puro nulla.
Questo nostro mondo non è che il sogno di Dio.
Lo spazio-tempo è il contenitore della realtà fisica.
Realtà la cui molteplicità è permessa dalla separazione spaziale e temporale.
Lo spazio e il tempo non sono nient'altro che questa stessa separazione.
Senza la quale non vi sarebbe il molteplice.
Ma ipotizzare l'esistenza di uno spazio o di un tempo senza separazione di qualcosa è solo una allucinazione.
Perché è il qualcosa che, separandosi da tutto il resto fa essere lo spazio e il tempo.
Questa allucinazione deriva dall'uso improprio della logica.
Cioè dall'utilizzarla al di fuori del suo ambito.
Perché la logica è fondata proprio sulla separazione.
Cioè su quel A = A che separa A da tutto il resto.
Pensare uno spazio vuoto che non separi dei qualcosa è un pensiero che nega se stesso.
Perché lo spazio vuoto è, ed è soltanto, separazione tra dei qualcosa.
Così come supporre la realtà dell'infinito.
Concetto necessario per la logica, ma che non corrisponde ad alcuna realtà fisica.
Sia il finito che l'infinito sono necessari per il pensiero razionale, ma se approfonditi per davvero non possono che svanire.
Citazione di: bobmax il 16 Settembre 2021, 09:23:36 AM
Un conto è l'inizio di un qualcosa, ben altro è invece il supporre l'inizio del tempo!
Perché quel qualcosa che inizia a esistere, prima non esisteva.
Non esisteva quel qualcosa a condizione che esistesse un prima.
Come dire che, la condizione della non esistenza di qualcosa è nell'esistenza di qualcos'altro.
Quindi qualcosa esisterebbe sempre, fosse anche il solo tempo e null'altro.
Ciò sarebbe condivisibile se non avessimo difficoltà a considerare il tempo come qualcosa, motivo per cui riusciamo a immaginare un tempo in cui nulla esisteva, non essendo il tempo stesso qualcosa.
Però noi dovremmo provare a ripartire da dove ha interrotto il discorso S. Agostino, il quale ci ha sfidato a dire cosa sia il tempo.
Io ho suggerito che siccome un orologio è certamente qualcosa, sebbene qualcosa su cui poco riflettiamo, il tempo non è disgiungibile dall'esistenza di un orologio.
Se esiste un orologio esiste il tempo, se non esiste non esiste il tempo.
Io credo che il tempo sia sempre esistito perché sono propenso a pensare che gli orologi non appaiono dal nulla.
Ma lamento il fatto che il credere di poter pensare un tempo anche in assenza di orologi ci distragga dal riflettere su cosa sia un orologio.
Questa riflessione sarebbe il primo passo per riprendere il discorso da dove S.Agostino lo ha lasciato.
Provare a dire non cosa sia il tempo, ma cosa sia un orologio , e quindi poter dire che il tempo è ciò che si misura con un orologio.
Può essere, come temo, che dire cosa sia un orologio non sia cosa meno banale del dire direttamente cosa sia il tempo, ma quantomeno avremo meglio focalizzato l'oggetto della nostra riflessione.
La teoria del Big Bang da la possibilità di avvicinarsi a capire il tempo e lo spazio.
Il tempo è successione di eventi, di stati, lo spazio è dato da energia e materia(corpi fisici)..Se siano ontologicamente tempo e spazio e non derivati, è un problema millenario.
Così come esiste il fotone per l'elettromagnetismo, il gravitone per la gravità, vale a dire c'è una particella che determina elettromagnetismo e gravità e quindi ontologicamente esistono, per il tempo e lo spazio è assai più arduo sapere se esistono particelle. Se non esistono, sono derivati , sono effetti.
L'espansione e l'inflazione della teoria del Big Bang, dicono che le forze fondamentali, interagenti, modellano plasticamente il tempo e lo spazio in quanto interagiscono con energia e materia. Il tempo non è solo successione, movimento, scorrimento, c'è un tempo anche eterno, immobile. ( Per inciso non escludo a priori che si possa tornare indietro nel tempo) .C'è un tempo fisico convenzionale, c'è un tempo mentale come disse Bergson aprendo una polemica con Einstein, che necessariamente non coincidono.
Lo spazio è dato dall'energia e corpi fisici; fin dove vi è energia che si espande e corpi fisici, vi è spazio e che sia vuoto o pieno poco importa.
In fondo noi misuriamo tempo e spazio con parametri arbitrari, come in un gps che da la posizione in base a più satelliti, abbiamo necessità di parametrarci con più punti .......ma se tutto scorre, nessun parametro è veramente "fermo" per cui la misura è un pressapoco.
Tempo e spazio ci aiutano a orientarci.....ma pensando ad un malato demenza senile che non sa più orientarsi siamo daccapo, quanto è importante la relazione fra mente e fisica naturale e forse è proprio dal connubio che nasce l'esigenza umana di misurare tempo e spazio.
A me, personalmente, interessa più il senso che l'ontologia spazio/temporale. C' è una sorta di finalismo , di entelechia filosoficamente. Per cui a mio parere la domanda è il perché l'universo doveva essere necessariamente in questo modo e non in un altro; quindi, anche, che senso ha la nostra esistenza ai fini universali.
Citazione di: Ipazia il 16 Settembre 2021, 09:20:17 AM
Ringrazio iano per la completezza dell'esposizione che coinvolge materia, spazio e tempo e pone l'accento sull'elemento ontologico cruciale della misurazione. Alcune impressioni:
L'accelerazione delle galassie potrebbe dipendere da forze non ancora identificate o dall'indebolimento di briglie e attriti di tipo gravitazionale che si riducono aumentando le distanze delle masse.
Il "vuoto spaziale newtoniano" esterno all'universo (misurato) può essere inteso, come suggerisce iano, appunto come "nulla", e diventare "qualcosa" di misurabile solo dopo che l'universo lo ha "colonizzato" espandendosi.
Ti ringrazio per i complimenti.
Il concetto del nulla è una trappola. Io lo considero come il non universo.
Se l'universo è nato dal big bang allora il nulla è nato insieme a lui, come sua negazione logica.
Prima non c'era nulla ( ecco la trappola, ma non possiedo altri termini per dirlo) , nemmeno il nulla.
Linguisticamente sembra impossibile, per la limitatezza del linguaggio, non partire da una contraddizione. Amen.
Se ipotizziamo che l'universo possa avere avuto un inizio, come le evidenze sperimentali sembrano suggerirci, è perché pensiamo che vi fosse un nulla preesistente.
Sembra che senza un nulla preesistente non possiamo neanche ipotizzare un inizio dell'universo.
Prima esisteva il nulla, che però proprio nulla non era se esisteva il tempo, e questo nulla si reggeva logicamente in piedi pur in mancanza del suo opposto logico.
Ma, se pretendiamo di usare la logica non possiamo fare,eccezioni.
Citazione di: paul11 il 16 Settembre 2021, 13:08:06 PM
In fondo noi misuriamo tempo e spazio con parametri arbitrari,
Il fondamento della scienza è la ripetibilità, alla cui base a sua volta sta la replicabilita' degli strumenti di misura.
Fortuna vuole poi che la natura sembra fornirci delle repliche già' belle e pronte.
Questo è un ulteriore elemento su cui poco riflettiamo.
La ripetibilità della scienza poggia sul fatto che la natura è fatta di repliche.
Facciamo fatica ( comprensibilmente) a considerare onde che si propaghino nel vuoto , ma stranamente ci sfuggono singolarità non meno incredibili, come il fatto che le lunghezze delle onde sono identiche, che si prestano perciò ad essere una serie praticamente inesauribile di righelli tutti identici.
Lo stesso dicasi per altri fenomeni atomici che ci forniscono perfette repliche di orologi.
Questi strumenti, che potenzialmente potrebbero essere arbitrari, invece non sembrano esserlo per niente, e ciò non è cosa per nulla banale.
Quando si parla di aridità di una visione materialistica del mondo, non senza ragioni, si manca però di portare a sostegno queste incredibili meraviglie,
È un po' come se lanciassimo tante volte un dado è uscisse sempre lo stesso risultato.
Nulla, infinito, eterno, sono concetti logici, non ontologici. L'ontologia ci dice che l'universo si espande. Dove ? Unsinnig risponderebbe Wittgenstain.
Buongiorno a tutti
Non esistono, in tutto l'Universo, effetti senza causa. Come possibile allora dire che il Big Bang è incausato? Il nulla non può generare effetti. Se l'Universo fosse sorto dal nulla, come mai non sono sorti altri universi dal nulla? Cosa impedirebbe nuovi Big bang? Anche dire che la causazione inizia solo con il Big Bang non risolve la questione, perché si affermerebbe che il nulla ha generato la possibilità della stessa. Noi possiamo dire che il Big bang ha generato l'Universo come noi lo studiamo con i nostri sensi, ma non possiamo conoscere ciò che ha determinato la possibilità dello stesso. Dire che è sorto dal nulla non ha alcun senso logico. Magia?
Alexander. In realtà vi sono diverse teorie che tentano di spiegare la causa del big bang, ma sono ipotesi, senza un fondamento scientifico certo, mentre sul fatto che 15 miliardi di anni fa la materia era concentrata e si è successivamente espansa vi sono delle prove concrete. Ovvero il big bang, è "abbastanza" dimostrabile. Tutto ciò che c'era prima no e pertanto una posizione pragmatica della scienza impone di tacere su ciò che (per il momento) non ci è dato sapere.
Citazione di: Alexander il 16 Settembre 2021, 17:02:30 PM
Buongiorno a tutti
Non esistono, in tutto l'Universo, effetti senza causa. Come possibile allora dire che il Big Bang è incausato? Il nulla non può generare effetti. Se l'Universo fosse sorto dal nulla, come mai non sono sorti altri universi dal nulla? Cosa impedirebbe nuovi Big bang? Anche dire che la causazione inizia solo con il Big Bang non risolve la questione, perché si affermerebbe che il nulla ha generato la possibilità della stessa. Noi possiamo dire che il Big bang ha generato l'Universo come noi lo studiamo con i nostri sensi, ma non possiamo conoscere ciò che ha determinato la possibilità dello stesso. Dire che è sorto dal nulla non ha alcun senso logico. Magia?
Una causa si può sempre supporre, come un universo finito di cui non vi è traccia, essendo finito.
@iano
Il fondamento universale non è ,nello specifico, il fondamento della scienza o della conoscenza, bensì il fondamento dell'universo attraverso cui l'intelligenza umana cerca di capire e spiegare.
Gli strumenti di misura, come la strumentistica che ispeziona l'universo, sono prolungamenti della sensibilità umana percettiva. L'aspetto mentale è in relazione con l'universo , di conseguenza la nostra conoscenza non può essere esente dalle due ontologie, mente ed universo.
La misurabilità è comunque influita dal tempo considerato o lineare o ciclico (personalmente sostengo entrambi) e questo è un concetto culturale umano interpretativo dell'universo.
Ma quando si dice che la natura è fatta di repliche, che fin dai tempi degli Ari posero negli scritti gli yuga, come ciclicità del tempo, perché è così?
Il vuoto: ma cosa si intende per vuoto? Il vuoto non è il nulla, sensibilmente diciamo vuoto un luogo, un contenitore privo di corpi fisici, ma il luogo, lo spazio, non è il corpo stesso in sé, è altro, ne è determinato, né è conseguenza. E' la mancanza o la presenza di un corpo che ci fa dire la che esiste lo spazio .
La teoria del Big Bang sembra dichiarare che il tempo e lo spazio siano determinati dal movimento continuo di materia ed energia e lo spazio è l'estensione in cui avviene questa espansione.
E'come una bomba che non ha un limite apriori spaziale, bensì sono le sue onde, quind la sua energia , che propagandosi formulano il limite spaziale. L'universo non ha a sua volta un contenitore.
@alexander
non se ne esce dal "motore immobile incausato" scientificamente, essendovi scientificamente , direi più matematicamente, della pseudo-scienza (perché siamo ai confini se non oltre dalle dimostrazioni scientifiche), sono quindi d'accordo con Jacopus, per questo mi trovo d'accordo più filosoficamente che scientificamente che non può sorgere dal nulla l'universo. Forse, ed è interpretazione, solo qualcosa fuori dall'universo poteva generare l'universo. Ma il problema ontologico è relazionato al senso dell'universo , è attraverso quest'ultimo che si possono fare ipotesi sia scientifiche che filosofiche.
@ iano
un universo finito che ha un tempo e uno spazio già finito dall'origine? Presupporrebbe, mi pare, che spazio e tempo siano ontologici e apriori all'origine dell'universo,essendo già prima o con il sorgere dell'universo già definiti, determinati nel loro limite spazio/temporale.
@Phill 11
No, intendevo che ha avuto fine un universo e che la sua fine è stata causa di un nuovo universo, quello nostro, nato con BB.
Mi sono espresso male.
Sono d'accordo che gli strumenti di misura sono "parte di noi" compresi quelli fornitici direttamente dalla natura che abbiamo fatto nostri.
Sono repliche nel senso che ne esistono una moltitudine fra loro identiche, e ciò caratterizza la materia.
Esistono moltitudini di orologi naturali perfettamente identici così come esistono moltitudini identiche di componenti la materia.
Non esiste spazio senza materia e non esiste tempo senza orologi.
Se c'è stato un big bang esso ha creato lo spazio e il tempo insieme ad energia e materia.
Comunque io non mi affezionerei troppo alla teoria del big bang, come non mi affeziono a nessuna teoria fisica in genere. Sono fatte per essere usate. Ma oggi ci sono e domani le cambiamo.
Sono tutte falsificabili e tutte saranno falsificate.Solo questione di "tempo".
La filosofia non mi interessa in quanto ricerca di verità, ma in quanto costituisce il telaio, a volte non evidente, delle costruzioni scientifiche. Senza filosofia non c'è scienza e conoscenza.
Quando cambia il quadro filosofico la ricerca scientifica acquisisce nuove prospettive.
La filosofia e la scienza siamo noi e cambiano con noi.
Naturalmente poi ognuno ha la sua opinione e la sua filosofia, nessuna delle quali ha un vero senso, perché il vero senso sta nella loro varietà e diversità. Nel loro essere moltitudini non identiche.
Riguardo al tempo e all'essere trovo interessante l'opinione che ne aveva Jacovitti, immortalata in un suo fumetto :
Che ore sono?
Sei le sei.
Giusto per non prenderci, come sempre dico, troppo sul serio.😊
Citazione di: iano il 17 Settembre 2021, 01:12:43 AM
Naturalmente poi ognuno ha la sua opinione e la sua filosofia, nessuna delle quali ha un vero senso, perché il vero senso sta nella loro varietà e diversità. Nel loro essere moltitudini non identiche.
Riguardo al tempo e all'essere trovo interessante l'opinione che ne aveva Jacovitti, immortalata in un suo fumetto : Che ore sono?
Sei le sei.
Giusto per non prenderci, come sempre dico, troppo sul serio.😊
Mi ricorda un'altra battuta, che, se non ricordo male, era pure quella del grande Jacovitti.Il re di Argo Acrisio, inviò un suo delegato a ricercare il nipote Perseo, che era stato dato per disperso in Tracia; e che si era reso irriconoscibile facendosi crescere la barba. Il primo trace che il delegato incontrò, nonostante la barba, somigliava molto a Perseo, per cui gli chiese a bruciapelo: "Sei Perseo?"E quello, senza il minimo indugio, rispose: "Trentaseo!" :D :D :D
L'esserci dell'orologio ci dice che con una convenzione aprioristica misuriamo qualcosa di esistente. Come per il metro , come per il kg ecc ecc. Quando non c'era l'orologio c'era la clessidra , ma anche il sole e l'altre stelle ( uso della meridiana) Se vogliamo , invece , possiamo anche affidarci allo specchio i 40 anni che sono passati dai miei 20 saranno anche una convenzione ( lo sono) ma il cambiamento sulla mia faccia dimostra in maniera lampante ( non l'esistenza di Dio) ma l'esistenza di un tempo quantomeno biologico.
Buongiorno Paul11
cit:.non se ne esce dal "motore immobile incausato" scientificamente, essendovi scientificamente , direi più matematicamente, della pseudo-scienza (perché siamo ai confini se non oltre dalle dimostrazioni scientifiche), sono quindi d'accordo con Jacopus, per questo mi trovo d'accordo più filosoficamente che scientificamente che non può sorgere dal nulla l'universo. Forse, ed è interpretazione, solo qualcosa fuori dall'universo poteva generare l'universo. Ma il problema ontologico è relazionato al senso dell'universo , è attraverso quest'ultimo che si possono fare ipotesi sia scientifiche che filosofiche.
Ciò che mi manca è il capire veramente me stesso. Cosa mi serve conoscere l'origine dell'Universo? Il senso di limitatezza è nel conflitto interiore, nella disperazione e angoscia esistenziale. Il vedersi niente osservando i cieli è solo lo specchio del sentirsi niente dentro. Così è importante quello che devo fare, non quello che devo conoscere. E' nel mio fare che posso trovare la mia verità, che è verità per me. Trovare cioè l'idea per la quale abbia un senso, per me, il dover vivere e morire. A cosa mi servirebbe poter chiarire molti singoli fenomeni, se esso non avesse per me un significato più profondo? Se anche mi fosse svelato il significato arcano di ogni singolo fenomeno non dovrei forse chiedermi lo stesso che senso avrebbe per me?
Per Alexander. Apri un altro mondo con il tuo ultimo intervento, che avrebbe bisogno di un topic a parte (anzi probabilmente di una enciclopedia a parte). Ovvero, si può agire nel mondo, senza chiedersi l'origine e il funzionamento degli avvenimenti fisici che ci circondano? Temo di no, poichè abbiamo bisogno in modo potente di "spiegazioni" e di "spiegazioni di spiegazioni" ed anche di falsificazione di spiegazioni a cui sostituire altre spiegazioni. Ogni spiegazioni dei fenomeni fisici inoltre non è mai neutra, poichè se al posto del big-bang sostituisci i sette giorni necessari a Dio per creare l'universo, anche la tua posizione nel mondo cambia ed anche la finalità delle tue azioni.Teoricamente è vero che una "buona vita" non ha bisogno di conoscere la dinamica geotermica di un vulcano ed è anche possibile che quella conoscenza "oggettiva", "oggettivizzi" anche i rapporti umani, rendendoli strumentali. D'altro canto è stata proprio l'oggettivizzazione scientifica ad averci reso la vita così confortevole. La domanda quindi è: "la sete di conoscenza, la volontà di squarciare il velo di Maya, ci porta dei vantaggi, degli svantaggi, o entrambi? E' conciliabile questa sete di conoscenza che ci perseguita da Adamo ed Eva in poi, con un modello di vita "buona" o percorrono due strade confliggenti?
Citazione di: Alexander il 17 Settembre 2021, 11:26:17 AM
Buongiorno Paul11
cit:.non se ne esce dal "motore immobile incausato" scientificamente, essendovi scientificamente , direi più matematicamente, della pseudo-scienza (perché siamo ai confini se non oltre dalle dimostrazioni scientifiche), sono quindi d'accordo con Jacopus, per questo mi trovo d'accordo più filosoficamente che scientificamente che non può sorgere dal nulla l'universo. Forse, ed è interpretazione, solo qualcosa fuori dall'universo poteva generare l'universo. Ma il problema ontologico è relazionato al senso dell'universo , è attraverso quest'ultimo che si possono fare ipotesi sia scientifiche che filosofiche.
Ciò che mi manca è il capire veramente me stesso. Cosa mi serve conoscere l'origine dell'Universo? Il senso di limitatezza è nel conflitto interiore, nella disperazione e angoscia esistenziale. Il vedersi niente osservando i cieli è solo lo specchio del sentirsi niente dentro. Così è importante quello che devo fare, non quello che devo conoscere. E' nel mio fare che posso trovare la mia verità, che è verità per me. Trovare cioè l'idea per la quale abbia un senso, per me, il dover vivere e morire. A cosa mi servirebbe poter chiarire molti singoli fenomeni, se esso non avesse per me un significato più profondo? Se anche mi fosse svelato il significato arcano di ogni singolo fenomeno non dovrei forse chiedermi lo stesso che senso avrebbe per me?
ciao Alexander
Gli umani non sono corpi estranei all'universo. In qualche modo, anche animale, mentalmente sentiamo interiormente armonie o stonature. Ma siamo noi che dobbiamo accordarci come le corde della chitarra , non l'universo. Il problema esistenziale è relazionato ai principi universali e devono essere dedotti, essendo tutto, compreso il sociale umano che è cultura ,soggiacente al piano universale in quanto l'uomo non può andare contro natura che ,a sua volta, appartiene all'universo.
Conoscere l'origine dell'universo significa capire cosa si può e non si può fare. La morale discende proprio dal senso degli universali, da cui dipende la vita naturale, in quanto quest'ultima sorge per determinate condizioni fisiche. Tutto all'interno dell'universo è metafora dello stesso universo, da quello che pensiamo, crediamo, agiamo; la nostra cultura ne è mimesi, metafora dentro la cultura e il sociale. La dialettica che cosa è in fondo se non il movimento dettato dai contrasti, dagli opposti, dai contrari? Penso che la conoscenza riduca il dado dell'agire dell'infinite facce, cercando una ragione di senso nell'agire stesso.
Ogni cosa dell'universo ha un verso, un senso ed essendo tutto dell'uomo metafora dell'universo, della natura in particolare essendo più vicina direttamente, si impara. Per questo motivo ogni cultura ha una cosmologia. Ci deve essere prima un'interpretazione del cosmos affinchè sia statuita una cultura.
Forse il saper accettare è uno dei segreti della vita.
Riprendo una frase di paul "sui due livelli ontologici, quello della realtà e quello della mente", per fare alcune povere considerazioni filosofiche, che vanno al di là del tema proposto, ma essendo tale tema, l'origine dell'Universo, un tema limite, non mi sembrano del tutto fuori luogo.
Il senso comune, il razionalismo e la scienza sono d'accordo su un "dualismo naturale" secondo cui esistono due livelli ontologici separati e opposti:
- quello della realtà in se', del mondo oggettivo;
- quello del pensiero, della mente, il livello soggettivo;
Ora, il razionalismo era perfettamente consapevole del problema che il postulato dei due livelli comporta: bisogna stabilire un terzo livello, un super-livello che permetta l'incontro e la coordinazione dei due. Questo super livello viene individuato in Dio.
Nella filosofia cartesiana per esempio è Dio che garantisce la possibilità che i contenuti soggettivi della conoscenza siano realmente corrispondenti agli oggetti.
Nella scienza moderna il posto di Dio viene preso dallo scienziato, depurato però dalla sua umanità, e garantito nella sua visione oggettiva dal metodo scientifico (che porta alle stesse conclusioni a cui arriverebbe Dio).
Nella vita comune invece abbiamo la tendenza a rifiutare di mettere continuamente in discussione l'istintiva ovvietà dell'esistenza di una realtà indipendente da noi, che poi noi stessi possiamo conoscere secondo livelli di profondità e rigore che dipendono dalle contingenti esigenze del momento.
Il razionalismo viene riformato dal criticismo di Kant. Ora la realtà in se' viene posta come inconoscibile. Noi del mondo possiamo conoscere solo le apparenze, i fenomeni. Le nostre rappresentazioni delle cose, regolate dai meccanismi intersoggettivi dell'intelletto, sono la conoscenza che si può avere del mondo.
Ma è chiaro che le cose non tornano. Quando dico che esiste una realtà in se', di fatto io lo sto appunto dicendo. È un pensiero, un contenuto del pensiero del soggetto.
Ogni volta che cerco di porre dei limiti alla conoscenza finisco cioè in questo paradosso: è già da subito il mio pensiero che stabilisce il confine. Il confine, e lo spazio di realtà pura che si staglia al di là di questo confine, è un pensato, un contenuto del mio pensiero.
Non si può uscire dal pensiero per indicare realtà in se', natura, mondo.
Non che con questo si voglia dire che la realtà non esiste e la nostra esistenza è una pura illusione mentale.
Si vuole dire invece che la natura è già da subito natura interpretata, natura per noi umani, natura pensata.
E le regolarità che la scienza dimostra? Certamente esistono, ma solo all'interno dell'unico livello esistente, quello dell'interazione pensiero-essere (espressione ambigua perché già rimanda al dualismo ingenuo istintivo, ma necessaria per capirci).
L'interazione pensiero-essere produce l'unica realtà di cui facciamo esperienza. Ciò appare evidente nella fisica delle particelle dove l'osservazione, la presenza del pensiero, determina in modo concreto la realtà di ciò che si sta osservando (la posizione e l'energia della particella osservata).
Nel mondo macroscopico questa dipendenza reciproca pensiero-essere non può essere evidenziata da una misurazione scientifica, ma è la conclusione ineludibile del lungo percorso filosofico dell'Occidente.
O mi sbaglio?
Credo che il rapporto pensiero-essere sia meglio un rapporto essere-essere che produce un pensiero.
Abbiamo un pensiero di cui ipotizziamo una causa, la quale , più che completare l'album delle figurine del determinismo, serve a rassicuraci, come un benefico placebo, che il pensiero non gira a vuoto, se non bastasse come prova il suo evolversi.
Guardando le cose in quest'ottica, un pensiero che pur essendo, non è mai uguale a se stesso, ci rassicura. Il mutamento diventa l'ancora.
Se però si pone fede nell'essere, e non ci si limita quindi ad ipotizzarlo, la prospettiva cambia, ed esso diventa l'ancora. Ciò che tenendosi fermo ci rassicura, a costo però di una limitazione per il pensiero razionale che ama le pure ipotesi.
Pur di tenere ben fissa quell'ancora si chiudono gli occhi su mille contraddizioni , traendosene di volta in volta a fatica per l'inerzia che la fede genera.
Ipotizzare una realtà oggettiva è già' troppo. Basta dire realtà.
Gli oggetti sono il risultato del supposto rapporto essere-essere.
Sarebbe una ipotesi ripetuta ipotizzare che la realtà sia fatta di oggetti di cui poi il pensiero dovrebbe appropriarsi approssimandoli al limite attraverso la progressione della conoscenza.
Ne risulta una dicotomia problematica di troppo fra soggettivo ed oggettivo.
Gli oggetti sono solo "soggettivi", proprietà esclusiva del pensiero.
Dipendono solo dal particolare rapporto essere-essere.
Se cambia il rapporto cambiano gli oggetti.
L'intersoggettivo non migliora la situazione in tal senso. Non si esce dal soggettivo, ma si trascende il soggetto nella condivisione fra soggetti diversi.
È il soggettivismo di un super- individuo.
L'intersoggettivo non è la strada che conduce all'oggettivo, ma è il corso delle vasche domenicali, dove tutti convergono.
Quando io dico che vedo rosso, non vi è nulla di soggettivo in ciò, se mi riferisco a me soltanto , e non vi è nulla di oggettivo se non riferito esclusivamente al pensiero.
L'evoluzione del pensiero non è un progresso ne' un regresso, ma un mutamento condizionato dalla sostenibilità.
Non si ottiene nulla in cambio di niente.
Noi stiamo cedendo il senso di realtà. In cambio di cosa?
Non è chiaro, per cui sembrerebbe che ci resti solo di lamentarci della perdita.
Abbiamo già ceduto l'acutezza dei nostri sensi in cambio del potenziamento della ragione.
Con quale altra merce vogliamo barattare il nostro senso di realtà, gettato via come zavorra dalla mongolfiera della scienza partita in cerca della verità, ma che è già tanto se procede, e che altro non fa' e forse non sa' fare?
Il vero problema che dovrebbe preoccuparci è che i posti sulla mongolfiera sono limitati.
Però non si vede nessuna ressa per salire e tutti sembrano preferire restare ancorati al proprio senso di realtà .
Citazione di: Kobayashi il 18 Settembre 2021, 10:49:56 AM
Riprendo una frase di paul "sui due livelli ontologici, quello della realtà e quello della mente", per fare alcune povere considerazioni filosofiche, che vanno al di là del tema proposto, ma essendo tale tema, l'origine dell'Universo, un tema limite, non mi sembrano del tutto fuori luogo.
Il senso comune, il razionalismo e la scienza sono d'accordo su un "dualismo naturale" secondo cui esistono due livelli ontologici separati e opposti:
- quello della realtà in se', del mondo oggettivo;
- quello del pensiero, della mente, il livello soggettivo;
Ora, il razionalismo era perfettamente consapevole del problema che il postulato dei due livelli comporta: bisogna stabilire un terzo livello, un super-livello che permetta l'incontro e la coordinazione dei due. Questo super livello viene individuato in Dio.
Nella filosofia cartesiana per esempio è Dio che garantisce la possibilità che i contenuti soggettivi della conoscenza siano realmente corrispondenti agli oggetti.
Nella scienza moderna il posto di Dio viene preso dallo scienziato, depurato però dalla sua umanità, e garantito nella sua visione oggettiva dal metodo scientifico (che porta alle stesse conclusioni a cui arriverebbe Dio).
Nella vita comune invece abbiamo la tendenza a rifiutare di mettere continuamente in discussione l'istintiva ovvietà dell'esistenza di una realtà indipendente da noi, che poi noi stessi possiamo conoscere secondo livelli di profondità e rigore che dipendono dalle contingenti esigenze del momento.
Il razionalismo viene riformato dal criticismo di Kant. Ora la realtà in se' viene posta come inconoscibile. Noi del mondo possiamo conoscere solo le apparenze, i fenomeni. Le nostre rappresentazioni delle cose, regolate dai meccanismi intersoggettivi dell'intelletto, sono la conoscenza che si può avere del mondo.
Ma è chiaro che le cose non tornano. Quando dico che esiste una realtà in se', di fatto io lo sto appunto dicendo. È un pensiero, un contenuto del pensiero del soggetto.
Ogni volta che cerco di porre dei limiti alla conoscenza finisco cioè in questo paradosso: è già da subito il mio pensiero che stabilisce il confine. Il confine, e lo spazio di realtà pura che si staglia al di là di questo confine, è un pensato, un contenuto del mio pensiero.
Non si può uscire dal pensiero per indicare realtà in se', natura, mondo.
Non che con questo si voglia dire che la realtà non esiste e la nostra esistenza è una pura illusione mentale.
Si vuole dire invece che la natura è già da subito natura interpretata, natura per noi umani, natura pensata.
E le regolarità che la scienza dimostra? Certamente esistono, ma solo all'interno dell'unico livello esistente, quello dell'interazione pensiero-essere (espressione ambigua perché già rimanda al dualismo ingenuo istintivo, ma necessaria per capirci).
L'interazione pensiero-essere produce l'unica realtà di cui facciamo esperienza. Ciò appare evidente nella fisica delle particelle dove l'osservazione, la presenza del pensiero, determina in modo concreto la realtà di ciò che si sta osservando (la posizione e l'energia della particella osservata).
Nel mondo macroscopico questa dipendenza reciproca pensiero-essere non può essere evidenziata da una misurazione scientifica, ma è la conclusione ineludibile del lungo percorso filosofico dell'Occidente.
O mi sbaglio?
C' è una delucidazione storico filosofica da porre: fu addirittura nei presocratici ,chi ponendo il fuoco, chi l'acqua, chi l'aria o la terra, a cercare i fondamenti naturali e il movimento, la trasformazione era data da elementi contrastanti . Che poi oggi si è capito che elettromagnetismo funziona con un filo elettrico neutro e uno di fase e che se vi sono due poli, il catodo, l'anodo, il positivo e il negativo che permettono elettrolisi e magnetismo ,è base della fisica classica ancora attuale.
E' la natura, il funzionamento dell'universo attraverso l'osservazione umana, al di là delle speculazioni filosofiche, che ci dice che tutto scorre ,si muove e si trasforma grazie ad una struttura, che è anche quella dell'atomo, dei legami polari delle molecole, che funziona tutto.
Il dualismo, i contrasti, i contrari, sono parte della regola universale, affinché quasi tutto tenda a mutarsi.
E' vero ciò che sostieni su Cartesio, ma con un altrettanto chiarimento, l'oggettività dalla modernità in poi viene consegnata alle scienze naturali e fisiche. Ciò che proporranno dopo i razionalisti e dopo in modo dirompente gli empiristi (Hegel è un filosofo a parte...) è il tentativo di capire il processo gnoseologico, della conoscenza, dell'uomo che porterà alla psicologia empirica, alla psicanalisi di Freud, alla fenomenologia di Husserl.
Cartesio è quindi importante storicamente per aver scisso l'io cogito, il soggetto pensante, dalla realtà fisico naturale; con tutti i problemi conseguenti. L'io sono del criticismo kantiano, segue per certi versi il percorso cartesiano , ma prendendo anche la lezione degli empiristi, soprattutto di Hume. Se il noumeno kantiano rompe storicamente con lo spirito, con Dio , con la metafisica, ponendo il noumeno, significa che tolta l'oggettività della realtà indagata dalla scienza, tolta la metafisica .....rimane solo l'io sono; per cui deve inventarsi un imperativo categorico essendo la moral e non più fondata né su natura , nè su universali, né su Dio, ma solo su vuote parole prive di logica non essendo relazionate se non ad un moto banale interiore umano ( per questo sarà necessario riscoprire il termine psiche antico, che era l'anima, e darne una nuova definizione; la psicologia nasce proprio dalla spinta filosofica dell'indagine sul procedimento conoscitivo umano di stampo empirista).
La scienza prende il posto di Dio, solo nel ruolo succedaneo salvifico. Il medico sentenzia e se questa è sfavorevole....allora ci sarà eventualmente una preghiera a Dio. Il ruolo di Dio nella cultura non è stato totalmente consegnato alla scienza ,dispensatrice di doni tecnici, di ricerche, innovazioni importanti, ma proprio perché il metodo scientifco , o quel che ne rimane oggi, non può totalmente surrogare Dio, in quanto la scienza non può creare, può solo indagare, la scienza costruisce condizioni per trasformare, movimentare, ma la scienza non è la regola che governa l'unverso . Cercare di capire non è l'essere.
Un conto è dire che si vive anche senza pensare ad un Dio, un altro è cercare di capire come funziona l'universo.ed è lì, dalle cosmologie che necessariamente nascono domande su chi o cosa lo abbia generato, perché debba funzionare così, perché c'è la vita, perché ci siamo noi.
Quando Eutidemo cita Hawking, ipotizzando un tempo ripiegato su se stesso ,prima del Big Bang, da scienziato ha necessità di capire cosa sia il tempo ed in termini ontologici, non come idea semplice derivata da altri fondamentali . Anche la teoria delle stringhe è una formulazione ipotetica del più minuscolo corpo atomico che vibra; ma proprio perché lo scienziato ha necessità di avere un fondamento fisico materico , e quindi rilevabile e dimostrabile. Le continue cacce a nuovi elementi della tavola periodica, al bosone di Higgs, sanciscono la via scientifica della dimostrabilità fisica che vince su ipotesi diventando teoria dimostrabile rilevabile.
La nevrosi umana della consapevolezza, da una parte, di essere una tale pochezza di una vita spazio/temporale rispetto ai tempi universali, rispetto ad una società, dove una persona muore e la memoria è qualcosa che svanirà ineluttabilmente,.. dove tutto scorrendo e muovendo e trasformando è già altrove, e la nostra presenza diventa indifferenza del mondo, perché il mondo manco si accorge di noi, pone l'uomo interrogativi esistenziali sul proprio scopo, se mai vi è, nella sua vita, nell'universo. Questo solo la filosofia può indagarlo, nessuna scienza o neuroscienza o cognitivismo.
Una delle cose che temiamo di più è l'indifferenza, il fatto di essere presenti, ma per il mondo, l'universo, la società, questa presenza in realtà gli è indifferente, questo "non servire a nulla" se non al grande gioco dell'universo dove tutto appare e scompare. Per questo è necessario che le relazioni siano significative e che abbiano senso.
Dici ben quando scrivi il dogma moderno dell'inconoscibile. Tutto ciò che non è dimostrabile sensibilmente è sentenziato come inconoscibile ( ed è in fondo il noumeno kantiano). SE i filosofi moderni si pongono sullo stesso limite scientifico fisico naturale, smettono di fare filosofia. Le loro frasi diventano linguistica che non è propriamente filosofia, la quale specula necessariamente sui fondamenti universali. Finisce il ruolo del filosofo , diventando un narratore come un romanziere.
L'inconoscibile, il limite dichiarato dalla scienza, è un limite fisico e non del pensiero, diversamente non vi sarebbe mai stato progresso tecnico scientifico.
Significa che uno scienziato è libero di ipotizzare, ma affinchè diventi tesi dimostrabile, deve seguire una metodica, osservare strumentalmente, replicare e dimostrare sensibilmente.
Il filosofo segue vie deduttive, che sono logico razionali, ma non dimostrabili sensibilmente dall'induttivismo scientifico . Quindi il filosofo va anche nell'inconoscibile ,dove ha posto il limite la scienza naturale e una certa filosofia a suo tempo.
E'ovvio che la separazione oggetto dal soggetto è più una comodità che nulla ha a che fare con il processo conoscitivo. Se un senso del nostro corpo è colpito da un mondo esterno, come un fotone nell'occhio, c'è sempre un' interazione fra mondo e soggetto umano e mai una separazione netta.
Per cui anche lo scienziato interpreta gli esperimenti, semplicemnte esegue un metodo logico induttivo verificabile dai sensi umani.
Quindi è chiaro che è il pensiero interpreativo che ho dell'universo che mi fa propendere soggettivamente a pensarla in un certo modo. Allora signifca che ognuno avendo una sua intepretazione, la costruisce in base alle proprie esperienze che ala fine sono dentro la sua mente.
Che la realtà esista solo se ha un senso è una paturnia squisitamente umana che ha più a che fare con l'essere umano pensante che con la realtà. Il modo di pensare scientifico ha quantomeno il merito di essersi/ci tolta di dosso la zavorra delle causalità e teleologie metafisiche che meritavano una sana, occamistica, rasoiata.
Rimossa la zavorra finalistica metafisica rimangono aperte due questioni: appropriarsi di tecniche conoscitive sempre più accurate e decidere il senso da dare alla realtà. Alla prima provvede la scienza, alla seconda, la filosofia. Dialetticamente interfacciate perché la crescita epistemica modifica il materiale della riflessione filosofica e la maturazione del pensiero orienta l'attribuzione di senso verso finalità qualitativamente più gratificanti impegnando la ricerca tecnoscientifica in tale direzione.
Tale dialettica è ideale perchè si deve tener conto dell'evoluzione reale della nostra specie e delle contraddizioni motivazionali, quindi di attribuzione di senso, al suo interno, ma metodologicamente funziona sempre, anche per vincere le guerre materiali e ideologiche che tali contraddizioni innescano.
Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2021, 12:07:00 PM
Che la realtà esista solo se ha un senso è una paturnia squisitamente umana che ha più a che fare con l'essere umano pensante che con la realtà. Il modo di pensare scientifico ha quantomeno il merito di essersi/ci tolta di dosso la zavorra delle causalità e teleologie metafisiche che meritavano una sana, occamistica, rasoiata.
Giusto.
Ma il fatto e', che noi, quando parliamo di realtà, parliamo in effetti di ciò che da essa ne traiamo, e non della realtà stessa, la quale non si può trarre se non per un dato verso.
Il,vecchio senso però fa' zavorra quando là traiamo per altro verso, avendo scambiato ciò che traiamo con ciò da cui si trae.
Gli scienziati, che è bene non dimenticare siamo ancora noi, che non sono fuori da questo gioco, si comportano però come commercianti che, in vista di un grosso affare non se lo lasciano sfuggire per questioni spicciole di moralità.
La moralità, o l'etica che dir si voglia, per chi ne conosce la differenza, è già dentro al senso di ciò che abbiamo tratto per un dato verso, ed è quella che fa' più resistenza.
Da un lato abbiamo bisogno di credere che ciò che traiamo sia proprio la realtà, seppur non tutta intera, per potervi liberamente agire, come se lo fosse appunto davvero.
Dall'altro, quando la creduta realtà muta sotto ai nostri occhi meravigliati, il rasoio di Occam inizia a fare la sua parte per tradurci verso nuovi credi e nuove realtà più sostenibili.
La metafisica è quella muffa che alligna nella metarealtà fisica in cui viviamo e si moltiplica finché non se ne sopporta più il tanfo.
Quindi si fa' pulizia e ci si prepara a trasferirsi in una nuova realtà.
Nella vecchia realtà ancora ci chiedevamo cosa ci fosse prima del Big Bang.
Ma nuove domande e nuove metafisiche ci aspettano nel nuovo.
Quali?
Questo è un problema propriamente filosofico, i quali filosofi che dovrebbero porselo, è ben non dimenticare, siamo sempre noi.
Ma nessuna di queste vecchie e nuove domande, che a vicenda si scalzano, avranno mai risposta, perché derivano dal senso che diamo alla presunta realtà, secondo il verso per cui l'abbiamo estratta dalla vera, e quando cambia il verso semplicemente cambiano le domande senza risposta.
Ma quelle domande ci rispondono sul senso che diamo alla realtà di volta in volta, ogni volta che la cambiamo.
Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2021, 12:07:00 PM
Che la realtà esista solo se ha un senso è una paturnia squisitamente umana che ha più a che fare con l'essere umano pensante che con la realtà. Il modo di pensare scientifico ha quantomeno il merito di essersi/ci tolta di dosso la zavorra delle causalità e teleologie metafisiche che meritavano una sana, occamistica, rasoiata.
Rimossa la zavorra finalistica metafisica rimangono aperte due questioni: appropriarsi di tecniche conoscitive sempre più accurate e decidere il senso da dare alla realtà. Alla prima provvede la scienza, alla seconda, la filosofia. Dialetticamente interfacciate perché la crescita epistemica modifica il materiale della riflessione filosofica e la maturazione del pensiero orienta l'attribuzione di senso verso finalità qualitativamente più gratificanti impegnando la ricerca tecnoscientifica in tale direzione.
Tale dialettica è ideale perchè si deve tener conto dell'evoluzione reale della nostra specie e delle contraddizioni motivazionali, quindi di attribuzione di senso, al suo interno, ma metodologicamente funziona sempre, anche per vincere le guerre materiali e ideologiche che tali contraddizioni innescano.
I pensieri, come precedentemente scritto, attraverso l'osservazione umana, vengono dopo l'osservazione, e questo da sempre e anche in filosofia.
Bene altro è dire se un'interpretazione è corretta o meno. E chi lo decide, secondo quale parametro?
Tant'è che anche la scienza, nonostante il tentativo poco credibile di costruire un metodo oggettivo, non fa altro che rappresentare e modellare. Non ci può essere una netta separazione fra oggetto e soggetto e descrivere il mondo come se fosse assente l'uomo.
Il senso è semplicemente dato dal funzionamento dell'universo che tende a procedimenti e processi, di cui, spesso , non sono reversibili. O forse si riesce i a far vivere un morto, o forse a far ridiventare grappoli d'uva il vino. Non c'è bisogno di scienza da laboratorio, basta l'osservazione quotidiana, per capire che l'universo ha un senso di movimento.
C'è eccome un finalismo ed è altrettanto intuibile quanto il percorso di un vagito di un bimbo finisce nel rantolo di un'agonia e non è reversibile . Se non ci fosse finalismo sarebbe tutto legge di probabilità...qualche volta sarebbe possibile per qualcuno resuscitare e qualcuno dal vino trarrebbe grappoli d'uva. E invece gli animali superiori tendono a riprodursi in un certo modo ,così come i vegetali superiori e non per divisione del corpo come in un protozoo. Tutto sta nel suo posto grazie alle condizioni di forze interagenti e di pressione e temperatura che dettano le condizioni ambientali
La scienza non fa altro che "prendere atto". Una mappatura di un RNA di un coronavirus non ci dice la dinamica delle sue mimesi , perché il meccanismo è sconosciuto su come tenderà ad evolversi, non riusciamo nemmeno a predire come si evolve un virus.La dinamica del sorgere della vita è altrettanto sconosciuta.
Non c'è nessuna crescita da dichiarare episteme, perché l'epistemologia moderna ha uno strano asso nella manica, per barare, dicendo che ogni teoria scientifica è giusta se falsificabile. Ciò significa che la scienza non appura verità, ma solo teorie confutabili, Interpreta e fa opinioni, proprio come la miriadi di scritti di scienziati che in un anno e mezzo a questa parte non sanno cavare un ragno dal buco sul covid......mentre andiamo su Marte.
Basterebbe vedere il confronto che ci fu fra fra Severino e Penrose, per capire che non c'è dialettica fra filosofia e scienza : sono due concezioni diverse.
Chi decide "l'evoluzione reale"? Così come la pandemia lo decide il politico.
Covidemia è irruzione pandemica di vili affaristi nel tempio. Ma, come insegna il nazareno, li si può pure scacciare e liberare l'episteme dai loro maneggi.
Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2021, 20:54:01 PM
Covidemia è irruzione pandemica di vili affaristi nel tempio. Ma, come insegna il nazareno, li si può pure scacciare e liberare l'episteme dai loro maneggi.
Cosa cavolo c'entra, questo, con il problema del "tempo" prima e dopo il BIG BANG?Forse mi sbaglio, ma mi sembra un intervento un tantino OFF TOPIC; e non il solo, in verità! :)
Il tempo nella sezione filosofica non può essere altro che il tempo antropologico. Supponendo sia iniziato col bigbang, quello che possiamo esperire è il tempo in tutta la sua semantica scientifico-filosofica, dalle antiche cosmogonie alle attuali, fisiche e metafisiche.
Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2021, 19:50:41 PM
I pensieri, come precedentemente scritto, attraverso l'osservazione umana, vengono dopo l'osservazione, e questo da sempre e anche in filosofia.
Bene altro è dire se un'interpretazione è corretta o meno. E chi lo decide, secondo quale parametro?
Tant'è che anche la scienza, nonostante il tentativo poco credibile di costruire un metodo oggettivo, non fa altro che rappresentare e modellare. Non ci può essere una netta separazione fra oggetto e soggetto e descrivere il mondo come se fosse assente l'uomo.
La scienza non si limita a rappresentare e modellare. La scienza sperimenta. E nell'esperimento cerca di essere il più oggettiva possibile sezionando aree di realtà in maniera riproducibile. La riproducibilità è il crisma della cresima scientifica. E' l'oggettività nella misura antropologica, già metafisicamente posta da Protagora.
CitazioneIl senso è semplicemente dato dal funzionamento dell'universo che tende a procedimenti e processi, di cui, spesso , non sono reversibili. O forse si riesce i a far vivere un morto, o forse a far ridiventare grappoli d'uva il vino. Non c'è bisogno di scienza da laboratorio, basta l'osservazione quotidiana, per capire che l'universo ha un senso di movimento.
C'è eccome un finalismo ed è altrettanto intuibile quanto il percorso di un vagito di un bimbo finisce nel rantolo di un'agonia e non è reversibile . Se non ci fosse finalismo sarebbe tutto legge di probabilità...qualche volta sarebbe possibile per qualcuno resuscitare e qualcuno dal vino trarrebbe grappoli d'uva. E invece gli animali superiori tendono a riprodursi in un certo modo ,così come i vegetali superiori e non per divisione del corpo come in un protozoo. Tutto sta nel suo posto grazie alle condizioni di forze interagenti e di pressione e temperatura che dettano le condizioni ambientali
E' grande saggezza trarre il senso delle cose dalle cose stesse. Il senso della vita è la vita. Perfetta, tautologica, verità. Ma il senso a cui mi riferivo è il senso antropologico nella sua dimensione spazio-temporale-mentale. Una volta stabilito che le cose stanno "così e così" che valore aggiunto di significato possiamo noi dare al mondo ? E' quel valore aggiunto di senso che mi interessa, contenuto nella domanda di Alexander: "Cosa mi serve conoscere l'origine dell'Universo?"
CitazioneLa scienza non fa altro che "prendere atto". Una mappatura di un RNA di un coronavirus non ci dice la dinamica delle sue mimesi , perché il meccanismo è sconosciuto su come tenderà ad evolversi, non riusciamo nemmeno a predire come si evolve un virus. La dinamica del sorgere della vita è altrettanto sconosciuta.
Non è che sia gioco da ragazzini "prendere atto". C'è evoluzione di intelligenza e sapere in tutto ciò. Al netto dei "mercanti nel tempio" epistemico, il sapere cresce. Magari nelle catacombe sotto l'effige di Galileo, ma cresce. Si muove ed è immortale.
CitazioneNon c'è nessuna crescita da dichiarare episteme, perché l'epistemologia moderna ha uno strano asso nella manica, per barare, dicendo che ogni teoria scientifica è giusta se falsificabile. Ciò significa che la scienza non appura verità, ma solo teorie confutabili, Interpreta e fa opinioni, proprio come la miriadi di scritti di scienziati che in un anno e mezzo a questa parte non sanno cavare un ragno dal buco sul covid......mentre andiamo su Marte.
Il ragno dorato dal buco economico l'hanno cavato. Si auspica cavino anche quello scientifico ad usum vili. La falsificazione non è falsificazione a priori della verità scientifica, bensì tecnica di asseverazione, dialettica negativa. Solo ciò che vale, dicendo il vero, rimane. Il principio di Archimede sfida i millenni senza essere sfiorato da alcuna minaccia falsificante, nel suo ambito lecito di applicazione. E così funziona tutta la (tecno)scienza e l'episteme ad essa connessa.
CitazioneBasterebbe vedere il confronto che ci fu fra fra Severino e Penrose, per capire che non c'è dialettica fra filosofia e scienza : sono due concezioni diverse.
Basta leggere Carlo Rovelli per capire che c'è dialettica tra filosofia e scienza.
CitazioneChi decide "l'evoluzione reale"? Così come la pandemia lo decide il politico.
"L'evoluzione reale" la decide il senno di poi ed è la sommatoria di fini spesso discordanti e di beffarde eterogenesi. Ma c'è chi ci vede più in là e, tornando al tempo (antropologico), qualcuno disse: "merita di essere signore del suo tempo colui che si limita ad anticiparlo". Con lievità e senza violenza. Con la forza mentale della ragione.
Citazione di: iano il 19 Settembre 2021, 19:04:15 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2021, 12:07:00 PM
Che la realtà esista solo se ha un senso è una paturnia squisitamente umana che ha più a che fare con l'essere umano pensante che con la realtà. Il modo di pensare scientifico ha quantomeno il merito di essersi/ci tolta di dosso la zavorra delle causalità e teleologie metafisiche che meritavano una sana, occamistica, rasoiata.
Giusto.
Ma il fatto e', che noi, quando parliamo di realtà, parliamo in effetti di ciò che da essa ne traiamo, e non della realtà stessa, la quale non si può trarre se non per un dato verso.
Il,vecchio senso però fa' zavorra quando là traiamo per altro verso, avendo scambiato ciò che traiamo con ciò da cui si trae.
Gli scienziati, che è bene non dimenticare siamo ancora noi, che non sono fuori da questo gioco, si comportano però come commercianti che, in vista di un grosso affare non se lo lasciano sfuggire per questioni spicciole di moralità.
La moralità, o l'etica che dir si voglia, per chi ne conosce la differenza, è già dentro al senso di ciò che abbiamo tratto per un dato verso, ed è quella che fa' più resistenza.
Da un lato abbiamo bisogno di credere che ciò che traiamo sia proprio la realtà, seppur non tutta intera, per potervi liberamente agire, come se lo fosse appunto davvero.
Dall'altro, quando la creduta realtà muta sotto ai nostri occhi meravigliati, il rasoio di Occam inizia a fare la sua parte per tradurci verso nuovi credi e nuove realtà più sostenibili.
La metafisica è quella muffa che alligna nella metarealtà fisica in cui viviamo e si moltiplica finché non se ne sopporta più il tanfo.
Quindi si fa' pulizia e ci si prepara a trasferirsi in una nuova realtà.
Nella vecchia realtà ancora ci chiedevamo cosa ci fosse prima del Big Bang.
Ma nuove domande e nuove metafisiche ci aspettano nel nuovo.
Quali?
Questo è un problema propriamente filosofico, i quali filosofi che dovrebbero porselo, è ben non dimenticare, siamo sempre noi.
Ma nessuna di queste vecchie e nuove domande, che a vicenda si scalzano, avranno mai risposta, perché derivano dal senso che diamo alla presunta realtà, secondo il verso per cui l'abbiamo estratta dalla vera, e quando cambia il verso semplicemente cambiano le domande senza risposta.
Ma quelle domande ci rispondono sul senso che diamo alla realtà di volta in volta, ogni volta che la cambiamo.
Questo è l'effetto d'insieme, stocastico anche in senso trilussiano. Invece bisogna andare nel dettaglio e si scoprirà che la verità tratta da alcune parti dura (e quindi vale) di più di quella tratta da altre parti e che c'è una verità pure nel fatto che non duri più. Gli apprendisti stregoni hanno stanato l'atomo, ma dopo qualche catastrofe si sono accorti che le loro arti magiche erano (ancora) inadeguate a gestire quella forza arcana. Per un po' ne hanno corretto la gestione ma alla fine, gestirla, coi mezzi attuali, è diventato così dispendioso che hanno dovuto dirigere l'episteme, e il senso scientifico ed etico connesso, verso altri lidi.
Citazione di: Ipazia il 20 Settembre 2021, 10:19:52 AM
Questo è l'effetto d'insieme, stocastico anche in senso trilussiano. Invece bisogna andare nel dettaglio e si scoprirà che la tratta da alcune parti dura (e quindi vale) di più di quella tratta da altre parti e che c'è una verità pure nel fatto che non duri più. Gli apprendisti stregoni hanno stanato l'atomo, ma dopo qualche catastrofe si sono accorti che le loro arti magiche erano (ancora) inadeguate a gestire quella forza arcana. Per un po' ne hanno corretto la gestione ma alla fine, gestirla, coi mezzi attuali, è diventato così dispendioso che hanno dovuto dirigere l'episteme, e il senso scientifico ed etico connesso, verso altri lidi.
Stocastico trilussiano? :-\
Mi pare che stai con un piede dentro e uno fuori.😊
La sostenibilità della ricerca più che limitarla, la invalida come ricerca di verità.
Non esiste un edificio teorico, per quanto si confermi solido, che resista al tempo.
Seppure non manca certo di valore la sua durata.
Più che improvvisarci come cercatori di verità dovremmo farci maestri su come si costruisca il nuovo sul vecchio, perché questa è la costanza sulla quale scommetto.
Non è necessariamente una evoluzione in senso positivistico, ma un allineamento continuo fra teoria e teorizzatore/ sperimentatore.
Pensare che tutto ciò non abbia un fine non sembra essere credibile, ma ancor meno credibile è che lo abbia.
Che senso dovrebbe avere, avere un fine?
Difficile davvero da immaginare un fine, tanto che non riusciamo a immaginarne uno diverso dal ritorno a ciò che è già stato, al paradiso primordiale.
Come dire....fantasia zero.
Ci si fa' più figura ad astenersi.
Tuttavia finché dura la teoria c'è la teniamo cara, come cara ci è la pelle, che seppur si sia gonfiata fino alle orbite satellitari, rimane un limite che è dimensionale.
Ciò che non muta è infatti questo limite che ci definisce come parte; ciò che muta è la sua definizione.
Il nostro io e' il fil rouge che lega queste successive partizioni, e che per esser tale abbisogna di continue conferme.
Cogito ergo sum, ma il pensiero ci mette nulla a svanire.
Fantasia fin troppa. Per chi se la può permettere. Per gli altri la verità è combinare il pranzo con la cena senza rischiare la pelle ed in un contesto amabilmente socievole: un fine che ha mooolto senso. La verità della scienza è combinare la teoria con i risultati di un esperimento. Ed anche qui serve molta fantasia. Come Ipazia, quando su una nave dimostrò che un peso caduto dall'alto di un albero cade perpendicolare, malgrado il moto della nave e lo spazio-tempo trascorso tra rilascio e atterraggio del grave. Forse leggenda, ma pesante e densa di senso, e verità, a venire.
Citazione di: Ipazia il 20 Settembre 2021, 14:44:03 PM
Fantasia fin troppa. Per chi se la può permettere. Per gli altri la verità è combinare il pranzo con la cena senza rischiare la pelle ed in un contesto amabilmente socievole: un fine che ha mooolto senso. La verità della scienza è combinare la teoria con i risultati di un esperimento. Ed anche qui serve molta fantasia. Come Ipazia, quando su una nave dimostrò che un peso caduto dall'alto di un albero cade perpendicolare, malgrado il moto della nave e lo spazio-tempo trascorso tra rilascio e atterraggio del grave. Forse leggenda, ma pesante e densa di senso, e verità, a venire.
Se la metti in questi termini allora mi piace essere d'accordo.
Ma i castelli che costruiamo con la fantasia sono fatti di mattoni sfornati dalla poco premiata ditta filosofica.
Se gli si dà' abbastanza tempo arrivano a solidificarsi assumendo l'apparenza di immutabilità , come si ponessero oltre il mondo del divenire, in metafisichilandia.
O almeno così andavano le cose fino a un certo punto.
Oggi anche chi non fa' in tempo ad avere un inizio che già è finito si dice solida materia.
La materia, ciò che era sinonimo di solidità, più non lo è.
Solida si, ma quanto?
Il tempo che dura, anche un nulla.
È notizia dei nostri giorni che la collaudata (solida ?) teoria standard venga messa in discussione da uno scostamento della misura rispetto a quella prevista di un milionesimo di un milionesimo e giù di lì , d'un secondo.
Ma cosa c'era prima della teoria standard e cosa ci sarà dopo?
Questa è la domanda corretta che ammette risposta.
Cosa c'era prima della teoria del Big Bang e cosa ci sarà dopo?
A questa domanda possiamo rispondere: un altra teoria.
Se ogni cultura ha una cosmologia , c'è un motivo e questo è indipendente dal grado di conoscenze tecnico scientifiche.
Questa motivazione è spiegabile con il semplice fatto che l'uomo sa di essere assoggettato e dipendente dalle condizioni naturali, oggi diremmo anche risorse, e celesti (inteso come moti dei corpi celesti).
Questi moti .lo avevano notato gli antichi, basterebbe studiarsi un po' di archeoastronomia, erano ciclici. Le stelle, e gruppi di stelle, comparivano all'orizzonte con le stagioni. Il tempo quindi era ritenuto più ciclico che lineare come lo intendiamo oggi.
Alle cosmologie erano affiancate le cosmogonie, dalla trimurti induista, al pantheon greco e altri.
Cronos era il titano del tempo per gli antichi greci.
In astronomia e astrofisica non si utilizza il tempo terrestre e spesso si collega il parsec o l'unità astronomica che sono parametri di misurazione dello spazio per relazionarli al tempo (perché la velocità è data dallo spazio/tempo). Il nostro tempo terrestre è relazionato al moto di rotazione e rivoluzione, così che ogni pianeta ha una durata giornaliera e annua tutta sua.
Il sincrotrone del Cern di Ginevra, dove si è scoperto il bosone di Higgs (era solo da trovarlo sperimentalmente ,confermando la teoria della struttura atomica), è da considerare come il tentativo sperimentale di regressione verso il tempo del Big Bang. Per far questo è necessaria moltissima energia , per questo si fabbricano sicrotroni sempre più potenti, perché ritornando indietro nel tempo, sviluppando quindi sempre più energie, è possible scoprire particelle.
Paradossalmente significherebbe che per tornare al tempo zero del Big Bang bisognerebbe utilizzare tutta l'energia ( e materia) che si è espansa nel tempo .nell'universo.
L'altro paradosso scientifico , stante alle attuali teorie, è da dove è arrivata tutta l'energia che ha prodotto questo universo? Vale a dire, se al tempo zero tutto l'universo che oggi vediamo era racchiuso in una capocchia di fiammifero, c'è da immaginarsi con quale densità, non solo da dove veniva l'energia, ma anche cosa ha prodotto "l'innesco". Se si studia gli infiniti attimi in cui compaiono le quattro forze interagenti (nucleare forte, nucleare debole, elettromagnetismo e gravità), vediamo che non sono contemporanei, la luce del fotone del Big Bang non è immediata con il Big bang, appare un "attimo" dopo. Il raggio d'azione delle quattro forze interagenti non è identico, è ovvio che quella nucleare è a cortissimo raggio, mentre quella gravitazionale è a larghissimo raggio.
Il punto filosofico è che la cosmologia scientifica non ha preso il posto del mistero dell'universo nella sua creazione e formazione. Non ne ha svelato il mistero, come non ha svelato il mistero della vita. Il tempo, più ancora dello spazio, rimane anch'esso una derivazione misteriosa nella creazione dell'universo. Ed è chiaro, almeno per me, che creazione, vita e tempo rimangono contenuti filosofici fondamentali per la costruzione di una filosofia e cultura.
Il modo infatti in cui le diverse culture interpretano creazione, vita e tempo costituisce il senso della propria cultura, bella o brutta, piacevole o disdicevole che possa sembrare.
Il processo scientifico tecnico occidentale, ha "desacralizzato" (non solo in termini teistici) questi tre fondamenti, ha teso a separarli dal soggetto umano che più che osservatore è vivente, nel senso che vive il mistero della creazione, della vita e del tempo inesorabile.
Dalla modernità ad oggi la creazione è divenuta la grande X, l'incognita a cui facciamo a meno di sapere, in quanto non è necessario, così si ritiene, tentare di spiegare : si vive ugualmente. La vita è divenuta nella complessità culturale un concetto quasi più medico giuridico ,che non filosofico.
Giorgio Agamben spiega il passaggio di come già dal diritto romano, preso dal diritto canonico, la "nuda vita" è un concetto diverso dalla vita all'interno della società giuridica : tant'è che divide i due concetti di zoe da quello di bios. Essere banditi dalla società giuridica ,significava essere possibilitati ad essere uccisi. Se si ragiona attentamente, si capirà cosa significherà giuridicamente medicina oggi, salute pubblica, e del perché possono contrastare la libertà. La scienza non ha potere giuridico , ha necessità che passi da quest'ultima e che il politico di turno decida. Il tempo che batte lo scandire del nostro fare, perso ormai nella società prima e post industriale , lo scandire del dì e della notte delle società agresti , è velocità e durata più che tempo lineare, è vissuto nel rincorrere le faccende che non più la natura poneva, ma che pongono il lavoro, le problematiche domestiche, i problemi istituzionali, i calendari fiscali ,ecc.
Il numero dei problemi che la società pone, forse sono anche maggiori di quelle di un tempo.
Questo uomo post moderno occidentale è quindi una particolarità di insiemi di fratture che non sono ricomponibili, perché gli manca il senso generale del riferimento sui tre contenuti. La vita è quindi interpretata come fenomeno termodinamico, un venire al mondo per poi decomporsi fisicamente.
E' sparito culturalmente il prima della vita e il dopo della vita, rischiando l'insignificazione della vita, dentro una cultura che ha oggettivato la vita stessa coni suoi corollari, fra cui il tempo.
Personalmente sostengo che tuto ciò nell'attuale uomo occidentale è allarmante come ricaduta dei concetti culturali dentro la vita come senso; si rischia l'indifferenza, l'insignificazione della persona.
Il valore della vita, intesa come particolarità esistenziale fisico-razionale- emotiva- sentimentale- memoria, svanisce . Questa cultura mortifica ci accompagnerà nel declino ,nel tramonto dell'Occidente, allorchè ed è già in atto, altre culture non occidentali ci supereranno.
Quindi le culture che hanno ancora una cosmogonia, hanno ancora una identità e sanno relazionare creazione, vita e tempo e hanno una morale grazie a queste relazioni; le altre culture tecnico scientifiche e potenti in armamenti ,se vinceranno "fisicamente", tenderanno a decadere implodendo e frammentandosi sotto le spinte interne ed esterne al loro sistema.
Non vedo vie di uscita. Ho letto a suo tempo la polemica proprio sul concetto di tempo fra il filosofo Bergson ed Einstein, che a suo tempo ho scritto in questo forum; così come il dibattito fra sordi fra il filosofo Severino e l'altrettanto, come Einstein premio Nobel, Penrose.
Scienza e filosofia sono dicotomici su certi contenuti, come i tre che ho esposto.
Se si vuole forzare la verità verso una cosmogonia qualunque, bislacca-maledetta-e-subito, che narri anche il prima e il dopo dell'universo e di noi stessi, siamo messi davvero male. E fondarci sopra un'etica è anche peggio: una favola al quadrato.
L'emergere dell'universo e nell'universo la vita e nella vita l'autocoscienza sono singolarità avvolte ancora nel mestero. Non sarà fingendo ipotesi che questo mistero si mostrerà. Questa è la grande lezione dell'epistome che merita il nome di scienza. Ricercando qualcosa si troverà. Fingendo avremo soltanto favole, che a forza di segnare il passo si annichiliranno da sole. Hai voglia poi di metterti strillare al lupo nichilista.