1. PRINCIPIO DI REALTÀ: la realtà è costituita da cose situate nello spazio e che si evolvono nel tempo, la cui esistenza è indipendente da chi le osserva
2. PRINCIPIO DI LOCALITÀ: il comportamento di una cosa non è influenzato da azioni fatte su altre cose sufficientemente distanti nello spazio, in particolare non è influenzato istantaneamente, in quanto nulla può viaggiare a velocità superiore a quella della luce nel vuoto.
Con un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale.
Quali conseguenze filosofiche può avere ciò?
Cosa significa affrontare tale questione dal punto di vista filosofico?
Sapete se qualche filosofo, o chi per lui, abbia tentato l'impresa?
Indipendentemente dal fatto che i fisici ne abbiano dato una dimostrazione sperimentale, considerate un lavoro da filosofi immaginare le conseguenze della falsità di uno dei due principi o di entrambi?
Dovendo rinunciare ad uno dei due principi, a quale vi sentireste di rinunciare e perchè?
Il ciarpame scientista non ha perso occasione di fare pessima patafisica. Finita la saga della "particella di Dio" è iniziata quella della "non località". Purtroppo per loro, la scienza esiste solo in un contesto di causalità. Fuori dalla causalità, un imbecille può azzeccarci più dello scienziato più erudito. La filosofia su questo non ha nulla da dire che non sia al traino delle evidenze scientifiche, col limite che i filosofi ci capiscono assai meno. La filosofia ha le sue praterie da bonificare e mi pare sempre più in ritardo col lavoro da fare.
Citazione di: Ipazia il 29 Maggio 2024, 15:21:01 PMIl ciarpame scientista non ha perso occasione di fare pessima patafisica. Finita la saga della "particella di Dio" è iniziata quella della "non località". Purtroppo per loro, la scienza esiste solo in un contesto di causalità. Fuori dalla causalità, un imbecille può azzeccarci più dello scienziato più erudito. La filosofia su questo non ha nulla da dire che non sia al traino delle evidenze scientifiche, col limite che i filosofi ci capiscono assai meno. La filosofia ha le sue praterie da bonificare e mi pare sempre più in ritardo col lavoro da fare.
Un poco criptico questo tuo post.
Ho aperto questa discussione pensando ad Apeiron, non pù partecipante a questo forum.
Ha provato a spiegarci il teorema di Bell senza successo.
Ora però mi sento pronto ad affrontarne lo studio, ma non so a quali testi fare riferimento.
Tu stessa avevi richiamato in un tuo post il principio di realtà, e alla fine sono andato a cercare di cosa si trattasse, trovando anche il principio di località.
La mia impressione, leggendo questi principi, è che non avrei, oggi, rispetto a ieri, nessun problema a negarli, e la cosa mi ha sorpreso.
In effetti, senza saperlo, avendo posto la realtà dietro le quinte, cosa con cui vi ho martellato nei miei ultimi post, di fatto ho superato, senza saperlo, il principio di realtà, e adesso capisco col senno di poi il tuo richiamo ad esso.
E qualcosa del genere era successa prima col principio di località, partecipando a discussioni sull'entanglement.
Che l'esistenza delle cose poi non sia indipendente dalla loro osservazione è un idea che ho privato fino a farci una certa abitudine, etc...
Se tutto va male, conto di ammorbarvi in futuro con questi argomenti, nella sezione scienza. :)
ma l'idea della non indipendenza delle cose dalla nostra osservazione sta in piedi solo se di quelle cose la realtà non è fatta, essendo esse il risultato delle nostra interazione con la realtà, e in sostanza , come mi è parso di verificare, non ci sono idee strane e idee normali in generale, ma solo idee alle quali abbiamo fatto più o meno l'abitudine.
Più pratico idee strane e più mi sembrano normali, e se poi qualcuno me le propone dentro un discorso, come ad esempio il teorema di Bell, argomento ostico per eccellenza, mi sembra di non avere più difficoltà a seguire il discorso.
Se date un occhiata in rete alcuni indicano l'argomento di cui sopra come la cosa più geniale che la fisica abbia prodotto.
In generale inizio a credere che comprendere argomenti complessi sia più un fatto di muscoli , che di intelligenza, quando il muscolo da allenare è il pensiero.
Ho dato un'occhiata in wp al teorema di Bell che confuta l'uso di variabili nascoste di Einstein&soci teorizzato per ricondurre nella stalla locale le nonlocalità quantistiche. A distanza di quasi un secolo ce la siamo messa via - i fisici - che risolvono l'indeterminabile per via statistica, cercando di mettere in una stalla assai remunerativa anche il computer quantistico e la sua mirabolante sovrapposizione di stati, vera california per i nuovi cercatori d'oro. Pare che il puledro quantistico sia recalcitrante a defecare i suoi qbit dorati e quindi ancora per un po' non vedremo pc quantistici in bottega.
Quando li vedremo, sarà il segno che un'altra parte di indeterminabile è stata ammaestrata e, fatte salve millantate stregonerie tipo il siero, ci si potrà fidare dei risultati della sua operatività. Con la giusta dose di diffidenza e popperiana falsificazione. Fosse mai che l'anima indeterministica dei qbit combinasse qualche scherzo da prete. Magari coi risultati elettorali. :))
Citazione di: Ipazia il 30 Maggio 2024, 22:10:20 PMHo dato un'occhiata in wp al teorema di Bell che confuta l'uso di variabili nascoste di Einstein&soci teorizzato per ricondurre nella stalla locale le nonlocalità quantistiche.
La confutazione è arrivata da un esperimento basato sul teorema di Bell. Il teorema di Bell dice che se l'esperimento da come risultato un numero maggiore di 2 allora Einstein ha torto, e Borh ha ragione, e si ottenuto come risultato 2,52.
Capire come sia strutturato il teorema di Bell è considerata impresa di massima difficoltà.
Epperò mi viene da chiedermi.
Perchè una costruzione logica, per quanto complessa, dovrebbe essere tutta questa grande impresa per esseri razionali?
Una risposta potrebbe essere che effettivamente non dovrebbe trattarsi di una grande impresa per esseri ''esclusivamente'' razionali.
Ma quegli esseri non siamo noi, e un impedimento insuperabile a comprendere potrebbe essere quindi la nostra parte irrazionale.
Uno potrebbe allora provare a cambiare la propria metafisica cercandone una che agevoli la comprensione di uno specifico problema. Ma un cambio di metafisica a comando non sembra cosa praticabile.
Può succedere però che un problema che ti sembrava inattaccabile, inizi a non sembrarti più tale, e questo potrebbe succedere perchè nel frattempo hai cambiato la tua metafisica.
In effetti io ho cambiato la mia metafisica nel frattempo.
Se questo mio discorso sta in piedi, allora chi pensa che la filosofia abbia terminato la sua funzione si illude, e io questa illusione comunque non l'ho mai coltivata.
Faccio un esempio.
Se qualcuno mi dice che esistono diversi mondi paralleli con altrettanti Iano, in ognuno dei quali mondi si realizza ogni mia possibile scelta , questa è una premessa metafisica, cui poi quel qualcuno fa seguire un ragionamento logico che sembra spiegare molte cose della realtà, ma io non riesco a seguire comunque con profitto quel ragionamento, semplice o complesso che sia, a meno che con quella metafisica io non sia già entrato in confidenza in modo indipendente.
Ho fatto appunto un esempio di metafisica che rigetto.
Cioè non è che non ho la capacità di capire , è che mi rifiuto di capire e questo rifiuto è irrazionale , appunto.
Io però non riesco a prescindere a comando dalla mia parte irrazionale, mettendola anche solo momentaneamente da parte.
Se ci riuscissi sarei una perfetta macchina, la quale però, pur avendo il pregio di accettare senza pregiudizi qualunque premessa sulla quale poi applicare perfette deduzioni logiche, non ha la capacità di capire, segno che questa capacità ha a che fare con una dimensione irrazionale di cui essa è priva.
Credo non si rifletta abbastanza su cosa significhi per noi capire qualcosa, ma comunque non credo sia questione riducibile alla sola nostra sfera razionale.
Per fare nostra una conclusione, bisogna che prima abbiamo fatto nostre le sue premesse, e questo far nostre le premesse non è un processo razionale.
I principi di realtà e località sono nostri da un bel pò e li condividiamo coi nostri simili.
Perchè dovremmo rinunciarci?
Non dobbiamo rinunciarci infatti, ma può anche succedere che ciò avvenga.
Come e perchè avvenga è un altra storia, che non si può ridurre comunque alla consapevole istantanea assunzione di una ipotesi ad hoc.
E' quantomeno un processo che richiede il suo tempo, e di cui non esistono le istruzioni d'uso per portarlo avanti, e questa potrebbe essere una papabile definizione della filosofia.
Meta- e psico- quantistica sono già in piena svolta da far impallidire Heidegger. Basta estendere al tempo i paradossi della non-località. Dopo Einstein è possibile. Politici, poliziotti e ingegneri se li contendono. Figurarsi i filosofi. Che hanno pronta pure la formula:
"A questo punto, solo un sensitivo ci potrà salvare."
Eterno ritorno di veggenti e profeti. Magari di apocalissi atomiche e virali. Artificiali perché no ? Anche il cavallo di Troia lo era e Cassandra bisognava farla santa subito.
Citazione di: Ipazia il 31 Maggio 2024, 08:38:42 AMMeta- e psico- quantistica sono già in piena svolta da far impallidire Heidegger. Basta estendere al tempo i paradossi della non-località. Dopo Einstein è possibile. Politici, poliziotti e ingegneri se li contendono. Figurarsi i filosofi. Che hanno pronta pure la formula:
"A questo punto, solo un sensitivo ci potrà salvare."
Eterno ritorno di veggenti e profeti. Magari di apocalissi atomiche e virali. Artificiali perché no ? Anche il cavallo di Troia lo era e Cassandra bisognava farla santa subito.
I paradossi, cioè nel nostro caso i fatti che collidono coi nostri principi condivisi, come quello dell'entenglement, ci sollecitano a riformularli.
Riformularli in teoria è cosa fattibile, ma condividerli è un altra storia, perchè parliamo di fatti che vanno accettai sulla fiducia, non essendo gli esperimenti scientifici accessibili ai più.
Per riformularli in ogni caso basta la filosofia.
Il principio di località è filosoficamente aggredibile secondo me nella misura in cui manca di una definizione di ''cosa''.
Perchè tutti sappiamo di ''cosa'' parliamo, ma non tutti saprebbero dire bene di ciò che sentono di sapere.
Ma nel momento in cui lo diciamo, stiamo sostituendo una sensazione con una definizione, per accorgerci magari poi che e le due cose potrebbero collidere a loro volta.
La cosa che il principio di località richiama la sentiamo come il soggetto e al contempo l'oggetto di una azione.
Due particelle correlate sembrano non obbedire ai principi della fisica conosciuti, ma vi obbedirebbero se definissimo cosa ciò che vi obbedisce, per cui al posto di due cose correlate, avremmo una cosa sola.
Non è difficile dunque dare una nuova definizione di ''cosa'', difficile, se non impossibile, è riadattare la nostra sensazione alla nuova definizione, a meno che uno , giocoforza, non riterrà di poter rinunciare a questa sensazione.
In tal modo le definizioni, quando funzionano, si riducono ad essere definizioni ad hoc, e ci troviamo così a che fare con una realtà sempre più astratta, o, il che potrebbe essere la stessa cosa, sempre meno sentita come nostra.
Tornare a sentirla ancora nostra firmando una nuova pace coi fatti, potrebbe essere solo una questione di tempo, ma i tempi dell'evoluzione sono quelli di cui più non disponiamo.
Non mi ricordo chi ha detto (forse lo stesso Bohr) che chi dice di aver capito la MQ, allora non l'ha capita.
L'unico modo di interpretare questa frase volutamente paradossale, è che chi crede di aver capito la MQ, non ha capito che non c'è niente da capire.
Anche qui però bisogna ammettere che manca una definizione di ''capire'', perchè tutti sappiamo quando riusciamo a capire qualcosa, ma nessuno saprebbe esplicitare il processo che lo portato a capire, e questo è un problema ben più arduo da aggredire filosoficamente, credo.
Come riusciamo a fare entrare Heidegger in questa discussione Ipazia, perchè io qualcosa ho letto, ma nulla ho trattenuto.
In che senso Hidegger, col quale già mi sento solidale ;)), oggi impallidirebbe?
Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PM1. PRINCIPIO DI REALTÀ: la realtà è costituita da cose situate nello spazio e che si evolvono nel tempo, la cui esistenza è indipendente da chi le osserva
Fintanto che l'osservatore si limita ad osservare . Basta una diga per modificare un intero ecosistema. Sappiamo fin troppo bene come la mano dell uomo alteri la realtà , tanto che oggi si parla di era "antropocene" e non più "olocene" , antropocene ,
il periodo attuale della storia della Terra in cui le attività umane hanno profondamente condizionato l'ambiente, il clima e i cicli naturali del pianeta. Il principio secondo cui "il mondo è indipendente dalla mia volontà " necessita di una riconsiderazione.
Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PM2. PRINCIPIO DI LOCALITÀ: il comportamento di una cosa non è influenzato da azioni fatte su altre cose sufficientemente distanti nello spazio, in particolare non è influenzato istantaneamente, in quanto nulla può viaggiare a velocità superiore a quella della luce nel vuoto.
Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PMCon un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale.
l'esperimento da te citato dovrebbe essere , a quanto ho capito, il famoso esperimento EPR dalle iniziali di Einstein, Podolski e Rosen. La risposta convenzionale alla sfida EPR fu articolata da Neils Bohr. Egli sostenne che in fin dei conti non vi è realmente conflitto con la teoria della relatività se si accetta che le due particelle , anche se separate dallo spazio, facciano ancora parte di una singola funzione d'onda. Se le cose sono davvero così allora è semplicemente impossibile separare fisicamente le due particelle e considerarle come entità reali indipendenti, a dispetto del fatto che tutte le forze agenti direttamente fra di esse sono trascurabili su grande distanza. La realtà indipendente delle particelle si manifestano solo quando si eseguono delle misure su di esse. Il mistero sul come le particelle stabiliscono la loro intesa permane solo se si insiste a pensare che ciascuna di essa possieda una posizione e uno stato di moto ben definiti prima dell osservazione. La lezione impartita dagli esperimenti EPR è che i sistemi quantistici sono fondamentalmente non locali.
aggiungerei quindi un terzo principio;
PRINCIPIO NON LOCALE
in linea di principio tutte le particelle che abbiano interagito appartengono ad una singola funzione d'onda , sì una singola funzione d'onda globale contenente un formidabile numero di correlazioni.
La stessa realtà di una particella (che comunque non è il costituente fondamentale) si intreccia con quella dell intero resto dell universo.
Citazione di: Alberto Knox il 31 Maggio 2024, 12:48:01 PMFintanto che l'osservatore si limita ad osservare . Basta una diga per modificare un intero ecosistema. Sappiamo fin troppo bene come la mano dell uomo alteri la realtà , tanto che oggi si parla di era "antropocene" e non più "olocene" , antropocene , il periodo attuale della storia della Terra in cui le attività umane hanno profondamente condizionato l'ambiente, il clima e i cicli naturali del pianeta. Il principio secondo cui "il mondo è indipendente dalla mia volontà " necessita di una riconsiderazione.l'esperimento da te citato dovrebbe essere , a quanto ho capito, il famoso esperimento EPR dalle iniziali di Einstein, Podolski e Rosen. La risposta convenzionale alla sfida EPR fu articolata da Neils Bohr. Egli sostenne che in fin dei conti non vi è realmente conflitto con la teoria della relatività se si accetta che le due particelle , anche se separate dallo spazio, facciano ancora parte di una singola funzione d'onda. Se le cose sono davvero così allora è semplicemente impossibile separare fisicamente le due particelle e considerarle come entità reali indipendenti, a dispetto del fatto che tutte le forze agenti direttamente fra di esse sono trascurabili su grande distanza. La realtà indipendente delle particelle si manifestano solo quando si eseguono delle misure su di esse. Il mistero sul come le particelle stabiliscono la loro intesa permane solo se si insiste a pensare che ciascuna di essa possieda una posizione e uno stato di moto ben definiti prima dell osservazione. La lezione impartita dagli esperimenti EPR è che i sistemi quantistici sono fondamentalmente non locali.
Si esatto, grazie per questo tuo illuminante intervento.
Però osservare la realtà e agire su di essa non sono la stessa cosa.
Il punto è che se ciò che osserviamo dipende da noi non meno che dalla realtà, ciò che osserviamo non è direttamente la realtà.
La realtà si può allora ancora salvare secondo me spostandola dietro le quinte di quella che consideravamo prima essere la realtà.
Fatto ciò, non dovremo più preoccuparci se la natura dell'ex realtà continui ad apparirci sempre più astratta, ne ci faremo scrupolo di azzardare ipotesi che appaiono troppo irrealistiche, se ciò dovesse servire.
Libereremo cioè il fare fisica dai vincoli del nostro senso di realtà, anche se mi rendo conto di stare in questo modo riraccontando la favola della volpe e dell'uva, che però è anche un modo di essere diversamente realisti.
E' come se di fatto finora fossimo stati più realisti della re-altà stessa.
La realtà come ci appare è il risultato della nostra interazione con una realtà di cui pur siamo parte.
La realtà come ci appare è cioè un mondo che nasce dalla collisione, potenzialmente catastrofica come ben dici, fra due sue parti.
Ma se allarghiamo l'orizzonte della nostra visuale terrestre, la realtà con cui abbiamo a che fare è ben più resiliente rispetto a noi, per cui le vere significative catastrofi, nel senso buono del termine, avvengono in noi.
Se potessimo ripercorrere la storia di queste catastrofi ontologiche-epistemiche ( non so cosa significhi, ma ormai l'ho detto :) ) e potessimo quindi confrontare la realtà come ci appare, con quella che appariva ai nostri predecessori, e magari pure con quella che apparirà ai nostri posteri, potremmo forse, allora si, portar a fattor comune il nocciolo duro della realtà
Resterebbe allora solo il mistero di come queste parti possano essere separate, ma da qualche parte un mistero ci deve pur stare.
La conclusione filosofica che potremmo trarne è che in qualche modo, qualunque tipo di conoscenza, è sempre anche in parte conoscenza di noi, e anzi, stante la resilienza dell'universo, potrebbe dire molto più di noi di quanto non dica della realtà.
Se il mondo
Citazione di: iano il 31 Maggio 2024, 13:11:47 PMFatto ciò, non dovremo più preoccuparci se la natura dell'ex realtà continui ad apparirci sempre più astratta, ne ci faremo scrupolo di azzardare ipotesi che appaiono troppo irrealistiche, se ciò dovesse servire.
io penso che si ti occupi della realtà dal punto di vista quantistico allora la realtà risulterà astratta. La M.Q. è una teoria
statistica . Ma a differenza di altre teorie statistiche ; come ad esempio il comportamento statistico del mercato finanziario o di una roulette, la sua natura probabilistica non è semplicemente dovuta a una nostra scarsa conoscenza dei particolari, ma è intrinseca. Non bisogna pensare che la m.q sia inadeguata a predire l'esatta posizione, stato, moto delle particelle. Il fatto è che una particella quantistica semplicemente non possiede un insieme completo di attributi fisici con valori ben precisi. Non ha nemmeno senso pensare a un elettrone come a un oggetto che, in un dato istante di tempo, occupa una ben precisa posizione e uno stato di moto ben determinato. Il principio di indeterminazione non dipende dal modo in cui si cerca di rilevare tali grandezze ma è una propietà intriseca della natura stessa della particella. I fisici hanno inventato la filosofia meccanicistica-riduzionista , l hanno insegnata ai biologi e l'hanno poi abbandonata. Non si puònegare che la fisica moderna ha un sapore fortemente olistico, persino teologico, e che ciò è in larga misura dovuto all influenza della teoria quantistica.
Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PM1. PRINCIPIO DI REALTÀ: la realtà è costituita da cose situate nello spazio e che si evolvono nel tempo, la cui esistenza è indipendente da chi le osserva
2. PRINCIPIO DI LOCALITÀ: il comportamento di una cosa non è influenzato da azioni fatte su altre cose sufficientemente distanti nello spazio, in particolare non è influenzato istantaneamente, in quanto nulla può viaggiare a velocità superiore a quella della luce nel vuoto.
Con un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale.
A me all'universita', per quel poco di fisica che si insegna a filosofia, hanno spiegato che, oggigiorno, lo sanno benissimo quale dei due non e' valido: il principio di localita', non e' valido.
Cioe' l'entanglment come fenomeno fisico esiste, ma, pur esistendo, non puo' veicolare materia, energia o informazione, perche'
localmente, produce risultati identici ad un risultato (di misurazione) casuale.
Perche' un osservatore cosciente possa capire che tra le particelle entagled c'e' correlazione, le due "zone", zona in cui viene misurata la particella A, e zona in cui viene misurata la particella B, devono riconnettersi, causalmente, a velocita', appunto, luminare.
Non c'e' alcun modo, di presagire la pur esistente connessione, insomma di saperlo
prima.E' solo con la riconnessione luminare delle due zone, che, tutto quello che prima, in condizioni di separatezza, poteva sembrare solo
casuale, rivela la sua natura
causale, cioe' deterministica.
L'argomento EPR non e' valido, cioe' la meccanica quantistica come teoria e'
completa, e la realta', non e'
locale.
Citazione di: niko il 02 Giugno 2024, 01:31:49 AMNon c'e' alcun modo, di presagire la pur esistente connessione, insomma di saperlo prima.
Penso che sia vero il contrario, cioè o la sai prima che le particelle sono correlate, perchè sei testimone della comune nascita, o non lo saprai mai.
Inoltre penso che da un punto di vista filosofico non sia importante sapere a priori quale dei due principi non sia valido, ma riflettere su quali siano le conseguenze della loro eventuale non validità, e quanto poi queste conseguenze possano valere una risposta ai nostri quesiti irrisolti.
In sintesi secondo me la questione è la seguente:
se le cose non si comportano come noi ci aspettiamo, in mancanza di una loro chiara definizione, possiamo provare a definirle come ciò che ha quel comportamento ''strano'' che abbiamo rilevato.
Il quesito che si pone allora è, come abbiamo fatto prima a trattare di cose di cui ci mancava una chiara definizione?
Una risposta potrebbe essere che il nostro agire non richiede necessariamente di possedere la coscienza di ciò che trattiamo, ma che quando questa coscienza interviene ciò non è indifferente al modo in cui le cose che trattiamo ci appaiono, perdendo in evidenza e guadagnando in astrazione.
L' astrazione di una cosa il cui essere prescinde dallo spazio che si prende, perdendo la località perde in evidenza, ma questa perdita di evidenza/località non compromette la nostra capacità di trattarla.
Potremmo definire la scienza come quella cosa che nel suo progredire tende a sostituire l'irrazionale evidenza con l'astratta ragione, laddove i principi di località e di realtà, nati nel mondo delle cose trattate come evidenti, verranno inevitabilmente messi in discussione perchè non più rappresentativi di un mondo alternativo dove le evidenze non la fanno più da padroni.
Ma come dobbiamo immaginarcelo questo nuovo mondo alternativo?
Non possiamo immaginarcelo in mancanza di evidenze, perchè anche quando possiamo ancora fare analogie con il mondo delle evidenze, queste non varranno un evidenza.
Ciò equivale, in una paradossale analogia, a vedere il mondo al modo in cui lo vede una macchina, cioè senza vederlo, e questo è il motivo per cui possiamo sempre più delegare le nostre funzioni a una macchina, con un effetto alienante, fintanto che non riusciremo a sentire la macchina come parte di noi, cosa difficile da ''immaginare'', ed è strano che lo sia, dato che si è sempre verificata fin qui nella storia dell'uomo.
Quello che Socrate non poteva prevedere nell'esortarci a conoscere noi stessi è che quello che avremmo trovato avrebbe potuto non piacerci, perchè ci vuole coraggio a restare ancora se stessi una volta che abbiamo scoperto quel che siamo.
Perchè ciò avvenga quindi non occorre necessariamente che in noi avvenga una sostanziale evoluzione, ma è sufficiente riuscire a guardarsi con occhi diversi, è ciò basta per farci vedere qualcosa di talmente inaspettato da farci apparire estranei a noi stessi.
Non è bello quello che dico, lo sò, e ci vuole appunto coraggio per vedersi per quel che si è, e quando questo coraggio manca ciò spiega perchè cose che in se non sono impossibili da comprendere per quanto complesse, bastando l'uso di una ragione che non ci manca, l'impresa possa apparire invece disperata.
Valla a capire dunque questa MQ, questo nuovo mondo che sembra profilarsi, ma in effetti ci manca solo il coraggio di viverci dentro, a meno che non ci sovvenga l'irrazionale spirito di avventura e non ci prenda la voglia di andare alla scoperta di nuovi mondi.
Citazione di: iano il 02 Giugno 2024, 02:58:39 AMPenso che sia vero il contrario, cioè o la sai prima che le particelle sono correlate, perchè sei testimone della comune nascita, o non lo saprai mai.
Ma che cosa dici?
Bob ottiene "nord" tutte le volte che Alice ottiene "sud".
Mettiamo che facciano cento tentativi:
La probabilita' di ottenere nord tutte le volte che l'altro ottiene sud "per puro caso", cioe', appunto, esaminando due particelle "non correlate", sara' tipo, una, su cento miliardi di miliardi.
La scartano, tale ipotetica possibilita', perche' sono scienziati e non giocatori di superenalotto, e ottengono cosi' la ragionevole certezza che "le due particelle", cioe' le cento coppie di due particelle che hanno aooena analizzato, siano correlate.
Il problema e': come fanno Bob e Alice a
confrontare le tabelle con annotati i loro rispettivi risultati, e quindi a
sapere, o meglio a
scoprire che i loro risultati sono, con ragionevole certezza, correlati?
Nella migliore delle ipotesi, Bob ha il telefono pronto sul bancone, e senza perdere un attimo, telefona subito ad Alice, appena esaminata la centesima particella.
Nella migliore delle ipotesi, quella telefonata va alla velicita' della luce, non di piu'.
Quindi: l'entanglement, come fenomeno in se', e' stato "istantaneo" cioe' ha "superato" la velocita' della luce, ma, non ha
trasmesso informazione perche' quei risultati, prima che Bob e Alice si telefonassero, erano identici a dei risultati casuali, rispettavano tutti i parametri attesi per dei risultati casuali.
A me non fa differenza se lancio una moneta e ottengo croce "per caso", o, deterministicamente, perche' qualcuno, in Australia, lancia una moneta magicamente "correlata", alla mia, e ottiene "testa". Non me la fa, finche' non telefono a questo tizio in Australia.
Il punto, e' che si puo' predisporre un esperimento, per dirimere e stabilire se:
Ipotesi A> tutte le particelle del sistema hanno qualche caratteristica segreta intrinseca per cui in teoria si potrebbe sapere quali si polarizzeranno a nord e quali a sud, fin da prima, della misurazione, e noi siamo umanamente costretti a misurare, ma solo perche' non lo sappiamo (il che sarebbe assolutamente logico: prendo una scarpa a caso da bendato da una scatola che ne contiene un paio; solo quando, magari fra due ore, vedo che la mia scarpa e' la destra, sono ragionevolmente certo, che la scarpa rimasta nella scatola... e' la sinistra!)
Oppure, in alternativa, ipotesi B> la correlazione, con i conseguenti due risultati opposti escludentisi, si stabilisca, realmente, solo e soltanto "al momento della misura", insomma di almeno una, misura, delle due misure possibili, sulle due particelle (il che e' illoggico, e' una delle cose illoggiche della quantistica: io guardo la scarpa, vedo che e' destra, e solo in quel momento, si stabilisce una connessione necessitata per cui l'altra e' sinistra: solo d'ora in poi, e non prima, non prima del mio guardare, chi guardasse l'altra, la vedrebbe sicuramente sinistra: a pensarci bene, alla realta' fisica di cose come questa, c'e' da uscirci pazzi).
Si possono stabilire dei risultati attesi per l'ipotesi delle variabili nascoste, cioe' della preesistenza, alla misura, di una correlazione, ipotesi A, e dei diversi risultati attesi, per l'ipotesi dello stabilirsi istantaneo, della correlazione, al momento della misura, ipotesi B.
Si fa l'esperimento, e si vede che e' vera l'ipotesi B (quella illogica), e falsa l'ipotesi A (quella logica).
Conclusione: la teoria e' completa, non ci sono variabili nascoste, e la realta' non e' locale. Se proprio vogliamo immagginare la correlazione come un segnale che viaggia ad una velocita', quel segnale viaggia ad una velocita' infinita.
O almeno, questa e' la conclusione che dobbiamo accettare allo stato attuale della scienza e della tecnologia. Finche', e se, non si fara' un altro esperimento, che falsifichi i risultati di quello precedente, eccetera eccetera.
Citazione di: niko il 02 Giugno 2024, 11:51:23 AMMa che cosa dici?
Ma che cosa scrivi?
Hai scritto:
Non c'e' alcun modo, di presagire la pur esistente connessione, insomma di saperlo.
Ancora mi chiedo cosa volessi dire.
Parliamoci chiaro, la chiarezza non è mai stato il tuo forte.
Citazione di: niko il 02 Giugno 2024, 11:51:23 AMQuindi: l'entanglement, come fenomeno in se', e' stato "istantaneo" cioe' ha "superato" la velocita' della luce, ma, non ha trasmesso informazione perche' quei risultati, prima che Bob e Alice si telefonassero, erano identici a dei risultati casuali, rispettavano tutti i parametri attesi per dei risultati casuali.
La distanza si misura fra due ''cose'', ma i principi in discorso sembrano mancare della definizione di ''cosa'', per cui potremmo dire ''cosa'' ciò che ci pare stabilendolo ad hoc. Oppure esiste una definizione di cosa che a me è sfuggita.
Dire che le distanze si misurano fra due cose, in ogni caso significa dire che la distanza è una cosa relativa, significa cioè dire che ad ogni sola cosa non è propria una distanza, come ad ogni singola cosa non è propria una velocità.
Quindi se stabiliamo ad hoc che le particelle correlate sono una sola cosa, a tale cosa non è propria una distanza, e ciò giustifica perchè non c'è trasmissione di informazione, perchè una cosa non trasmette informazione a se stessa.
Questa appare certamente come una stramberia, e se l'ho voluta esporre è per evidenziare che la stramberia di una velocità infinita non è l'unica improbabile spiegazione, anche se è la prima che viene in mente.
Se le cose sembrano violare i principi della fisica, basta ridefinirle, o definirle ex- novo se una definizione manca, come ciò che non viola i principi della fisica.
Le particelle non sono distanti,si trovano su stati diversi di sovrapposizione ed è la misura che innesca il fenomeno dell'entanglement.
Gli Stati Quantici sono ovunque e da nessuna parte,forse sono infiniti e le particelle hanno un senso solo in relazione ai Campi.
Inoltre,l'entanglement è un fenomeno osservabile solo come la risultante di una misura di spin.
Quindi non esiste "distanza" e "località", spazio tempo dimensioni, ma neppure istantaneità e contemporaneità perché queste due ultime sono comunque legate all'idea di tempo e di spazio!!!
I campi Quantici e le particelle se ne fottono della fisica classica e della relatività di Einstein.
E poi..
La mq parla di fenomeni evidenziati dalle sue misurazioni e queste misurazioni sembrano in parte determinarli e in parte spazzare via fisica classica e relatività in parecchi casi.
Bisogna smascherare i pregiudizi teorici che condizionano la fisica chiarendo il fatto che essi sono dovuti al fatto che vivendo una "realtà mediana" CHE NON È ALTRO CHE IL NOSTRO MODO DI COGLIERE LE SOVRAPPOSIZIONI DI STATO,GLI ENTANGLEMENT E LE FUNZIONI D'ONDA ...SECONDO IL NOSTRO PUNTO DI VISTA E I NOSTRI LIMITI NEUROLOGICI ,STRUMENTALI COMPRESI.
Questo è il punto e il bivio.
Citazione di: iano il 02 Giugno 2024, 12:34:58 PMMa che cosa scrivi?
Hai scritto:
Non c'e' alcun modo, di presagire la pur esistente connessione, insomma di saperlo.
Ancora mi chiedo cosa volessi dire.
Parliamoci chiaro, la chiarezza non è mai stato il tuo forte.
Non e' vero, che non lo saprai mai che due particelle sono correlate, lo potresti sapere, o scoprire, in molti e sperimentati modi, ma non in maniera istantanea: il tuo sapere della connessione, non potra' mai essere istantaneo, mentre lo stabilirsi della correlazione, in se', lo e'.
E il suo esito, non dipende da una proprieta' del sistema posseduta dal sistema stesso prima della misurazione.
Le due particelle hanno proprieta' sovrapposte, che si definiscono in maniera reciprocamente escludentesi (solo) al momento della misurazione, quindi tu misuri, ottieni un effetto sulla particella che misuri, a te "vicina" e, questa e' la cosa che comprensibilmente faceva problema ad Einstein, pure uno sulla particella "lontana", che
non misuri.
Questo effetto, in se', e' istantaneo, e' a velocita' infinita, o come lo vuoi chiamare.
Einstein, sosteneva che questo effetto dipende solo dall'ignoranza delle condizioni iniziali del sistema: e' la mia conoscenza di qualcosa, che si stabilisce e si puo' stabilire istantaneamente, non certo il qualcosa in se'.
Come dire predo una di due palline da una scatola e di loro so che una e blu e una e' rossa e la mia, che prendo, li' per li' chiudo gli occhi e non la guardo; dopo due anni, e dopo essere andato in Australia, guardo la mia pallina, e' rossa, so con certezza che l'altra e' blu.
Il mio guardare, non ha certo fatto diventare blu l'altra pallina: semplicemente, le cose sono sempre state cosi', e io non lo sapevo.
Con l'entanglmen, le cose non stanno, e non sono sempre state cosi': il tuo guardare, fa diventare blu l'altra pallina.
Oppure, che e' lo stesso tu puoi vedere la tua pallina rossa non gia', a livello causale, "perche' le cose sono sempre state cosi' ", ma specificamente perche' un tizio, a un certo punto, ha guardato la sua, di pallina, e l'ha vista blu.
Non possiamo, comunicare a velocita' superiori a quelle della luce determinando i colori di alcune palline a distanza solo perche' i risultati, di ogni singolo controllo su ogni singola pallina, sono, e restano, localmente identici a quelli che si avrebbero con il prelievo in natura di una pallina "genuinamente" casuale: diversamente, potremmo.
Da cui quello che ho detto prima: la realta' non e' locale, il principio di localita', tra quelli che tu hai detto, e' quello che, alla luce delle piu' recenti scoperte, non tiene.
Se ti sembra una cosa normale...
Citazione di: iano il 02 Giugno 2024, 13:17:48 PMLa distanza si misura fra due ''cose'', ma i principi in discorso sembrano mancare della definizione di ''cosa'', per cui potremmo dire ''cosa'' ciò che ci pare stabilendolo ad hoc. Oppure esiste una definizione di cosa che a me è sfuggita.
Dire che le distanze si misurano fra due cose, in ogni caso significa dire che la distanza è una cosa relativa, significa cioè dire che ad ogni sola cosa non è propria una distanza, come ad ogni singola cosa non è propria una velocità.
Quindi se stabiliamo ad hoc che le particelle correlate sono una sola cosa, a tale cosa non è propria una distanza, e ciò giustifica perchè non c'è trasmissione di informazione, perchè una cosa non trasmette informazione a se stessa.
Questa appare certamente come una stramberia, e se l'ho voluta esporre è per evidenziare che la stramberia di una velocità infinita non è l'unica improbabile spiegazione, anche se è la prima che viene in mente.
Se le cose sembrano violare i principi della fisica, basta ridefinirle, o definirle ex- novo se una definizione manca, come ciò che non viola i principi della fisica.
Che "le due cose siano una" a me suona abbastanza mistico, per questo mi pare meno stramba una velocita' infinita.
Direi piuttosto: sono due cose, correlate.
Potrebbe esistere un "campo quantistico" di dimensioni galileiane enormi che non funziona sulla base della comunicazione ma del suo stato (sovrapposto), non influenzato dalla distanza (monodimensionale), ma da una geometria polidimensionale che permette alle particelle entangled di agire "istantaneamente" secondo una concezione di tempo, che analogamente allo spazio - galileiani entrambi - non le sfiora nemmeno.
In questo senso l'entanglement è innovativo per la nostra percezione della realtà, che può essere comunque risolta, per restare scienza, solo in una teoria causale deterministica, riportandovi dentro ciò che, secondo i parametri della vecchia fisica, appare indeterministico.
Ipazia,mi stai diventando metaquantica!
Nel contempo potresti aver intuito l' Uno.
Il che srebbe interessante
Comunque,il campo di Higgs è qualcosa del genere e la particella di Higgs non rilascia alcuna massa alle altre come sembra essere.
Dovrebbe essere un campo universale che agisce sulle particelle attraverso processi molto complicati ma il bosone non è un commesso viaggiatore.
Dio non gioca a bocce se mai
sembrano essere le bocce e tutto il resto a giocare violando più o meno spesso le regole soprattutto nella mente di chi gioca con loro.
Citazione di: niko il 02 Giugno 2024, 14:05:17 PMCon l'entanglmen, le cose non stanno, e non sono sempre state cosi': il tuo guardare, fa diventare blu l'altra pallina.
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Se ti sembra una cosa normale...
Non è che io voglia spacciarmi per esperto della materia, Niko, e i tuoi competenti chiarimenti sono più che desiderabili.
Quindi non sto escludendo che io stia facendo ipotesi fuoriluogo, ma in quanto sto filosofando in generale, seppur prendendo spunto da esperimenti fisici, posso fare qualunque ipotesi, e la mia ipotesi è che le due particelle siano in effetti una cosa sola, e ad essa è perciò relativa una unica funzione d'onda, che collassando rivelerà il suo stato, in modo pur parziale, potendomi ricavare la restante parte.
Non mi sembra una cosa normale, ma anche qui ci manca la definizione di cosa sia normale e cosa no.
Normale potrebbe essere ciò in cui nel tempo si trasforma ciò che ci aveva stupito, essendo inatteso, non essendo più tale.
Insisto inoltre sulla mancanza di una definizione di cosa.
Dentro una ''cosa'' noi immaginiamo che non vi sia trasmissione di informazione, in quanto la trasmissione avviene fra cose. Cioè la trasmissione di informazione è un concetto relativo perchè richiede almeno due cose, e quindi non è una proprietà della singola cosa.
Allo stesso modo una cosa non si muove perchè il movimento è una sua proprietà. il movimento è una proprietà di un insieme di cose, al minimo due.
Due particelle correlate non si allontanano fra loro se le consideriamo una sola cosa, e allo stesso modo non si trasmette informazione all'interno di quella singola cosa.
Questo non sarebbe assolutamente normale. E allora?
Citazione di: niko il 02 Giugno 2024, 14:53:54 PMChe "le due cose siano una" a me suona abbastanza mistico, per questo mi pare meno stramba una velocita' infinita.
Direi piuttosto: sono due cose, correlate.
Una velocità infinita non contrasta con la relatività, semplicemente perchè non esiste, e quindi non se ne dovrebbe proprio parlare.
Che cose prima considerate distinte vengano poi considerate una cosa sola non è niente di mistico, trattandosi di una ipotesi ad hoc, che risolve tutte le problematiche relative a due cose correlate.
Quindi l'unico motivo per cui la si possa rifiutare è se dovesse introdurre più problemi di quanti ne risolva, e non il quanto a naso ci possa apparire normale, perchè ciò che per noi è normale non lo era per Aristotele e compagnia, e usando un criterio di normalità, ai loro tempi saremmo ancora fermi.
Citazione di: Ipazia il 02 Giugno 2024, 15:54:10 PMIn questo senso l'entanglement è innovativo per la nostra percezione della realtà, che può essere comunque risolta, per restare scienza, solo in una teoria causale deterministica, riportandovi dentro ciò che, secondo i parametri della vecchia fisica, appare indeterministico.
Si, sempre posto che sia necessario sviluppare una nuova percezione, per quanto io lo desideri al pari di te.
Se usciamo dal determinismo usciamo dalla possibilità di fare scienza, ma siccome dalla scienza non siamo usciti mi viene il sospetto, per non saper ne leggere ne scrivere, che di indeterminismo si parli a sproposito, forse perchè è meno ''doloroso'' ammettere il caso, che ritrattare la metafisica dell'essere, perchè ciò potrebbe in effetti valere proprio come un addio definitivo e massimamente doloroso alla nostra percezione..
Certo si potrebbe dire che una metafisica vale un altra, ma io mi sentirei di escludere il caso, preferendo ritrattare la metafisica dell'essere, che anche nella sua vecchia forma ha dato comunque buoni risultati, mentre dal caso non ci abbiamo mai cavato nulla.
Però di questo essere nuovo urge almeno un tentativo di definizione, e non per odio alla metafisica. Tutt'altro, perchè la metafisica che esce dalla porta rientra sempre dalla finestra.
Bisognerebbe uscire dall'essere come ciò che è, essendo esso evidente, tentando un altra strada dove però perderemo in evidenza, e dove perciò la nostra percezione non svolgerà più un ruolo primario, ma potrà convivere comunque in sovrapposizione di stati con la scienza.
Non mi pare sia così disperata la situazione. Si procede con la lanterna di Diogene sapendo di non sapere quello che non si sa, e di sapere quello che si sa. La non località è una bella sfida per il pensiero. Abbiamo metabolizzato Copernico, Darwin, Einstein e lo faremo anche con la non località.
Citazione di: iano il 02 Giugno 2024, 18:47:42 PMUna velocità infinita non contrasta con la relatività, semplicemente perchè non esiste, e quindi non se ne dovrebbe proprio parlare.
Che cose prima considerate distinte vengano poi considerate una cosa sola non è niente di mistico, trattandosi di una ipotesi ad hoc, che risolve tutte le problematiche relative a due cose correlate.
Quindi l'unico motivo per cui la si possa rifiutare è se dovesse introdurre più problemi di quanti ne risolva, e non il quanto a naso ci possa apparire normale, perchè ciò che per noi è normale non lo era per Aristotele e compagnia, e usando un criterio di normalità, ai loro tempi saremmo ancora fermi.
Un unico oggetto arbitrariamente grande non esiste, e quindi, non se ne dovrebbe nemmeno parlare...
Se pensi che due particelle entangled, possono essere una qui, e una nella galassia di Andromeda, l'oggetto che tu pensi, per concettualizzare in un "uno", le due, se ha una continuita' spaziale e temporale, e' immenso in almeno una direzione e dimensione, se non ha una continuita' spaziale e temporale, stai facendo un unico oggetto, a partire da due cose che una continuita' spaziale e temporale non ce l'hanno, stai unendo arbitrariamente due "isole", separate dal "mare", quindi, un unico oggetto vietato dal buon senso.
Il fatto e' che le interazioni istantanee fanno problema, che siano o no il frutto di un "qualcosa" che viaggia a velocita' infinita.
Credo che nessuno, possa avere una definizione "giusta", di un fatto del genere.
Vorrei anticipare che io non sono un esperto nel senso che non ho studiato fisica quindi non ho tutte le argomentazioni che un fisico ha per scrivere su queste cose cosi complicate.
Però mi sono allenato nel tempo, anche parlando con i fisici e leggendo o ascoltando le conferenze che si trovano anche online, su questo tema e su altri.
Ciò che fino alla fine non avevo ancora capito ma poi l'ho capito, che quando si parla di entanglend, riferendoci ad esempio a due particelle (che si sono un giorno incontrate) bisogna essere consapevoli che tra le due particelle si instaura una specie di intreccio. In che consiste questo intreccio? Consiste nel fatto pur essendo due entità differenti sono accomunate dalla stessa funzione d'onda (come si dice tra gli esperti).
Ma in realtà che vuol dire?
I fisici per fare fisica devono fare esperimenti, su questo non ci piove. Tralasciamo quindi cosa li accomuna nel senso matematico dei termini. Andiamo sul concreto.
Ogni particella può essere misurata su una qualche osservabile. Si fa un certo esperimento e si trova un valore che vale per quella osservabile. Ok? Tutto apposto? Si, ma cosa succede all'altra particella se facciamo una misura alla particella che stiamo controllando noi su una osservabile che ora chiamo Oss1?
Ricordiamo che erano in uno stato intrecciato fra loro, quindi se faccio un esperimento su di una l'altra si suppone "reagisca" istantaneamente. In effetti dovrebbe essere cosi se poi alla fine sono praticamente la stessa entità non separabile.
Ma c'è un problema, che io non avevo capito dall'inizio.
L'intreccio, quindi lo stato entanglend, riguarda tutte le osservabili di ogni singolo sistema. Ma solo quando entrambi vengono misurate su una osservabile in particolare, si stabilisce la correlazione del valore di entrambi.
E' il tipo di esperimento che costringe il sistema ad essere correlato su una qualche osservabile scelta a caso. Ma i due fisici possono fare anche misure scorrelate. Questo è il problema.
Cosa c'entra questo con la questione secondo il modello di realtà? Significa che le due particelle distine ma intrecciate (anche distanti fra loro) non hanno valori reali prima di essere messe sotto la lente di osservazione. Altrimenti anche qualora i due fisici compiessero due esperimenti su due osservabili scorrelate, ad esempio Oss1 e Oss2, esisterebbe realmente una correlazione fra loro aprescindere dall'esperimento stesso.
Come hanno fatto a scoprire che è cosi? Einstein pensava, come tutti del resto, che era impossibile scoprire se il valore dell'osservabile non misurata avesse un valore reale (cioè quello e non un altro fin dall'inizio dell'intreccio) oppure no.
Arrivò però il Fisico J. Bell (anni dopo la loro morte) che attraverso un calcolo aritmetico riuscì a trovare un nesso tra le probabilità classiche (cioè quelle secondo cui le particelle hanno valori reali e le misure sono solo un atto di pura formalità) e quelle quantistiche.
E' inutile dire chi abbia vinto e anche con un buon margine di vantaggio.
Ricapitolo un attimo.
1) due particelle intrecciate
2) le particelle sono entangled su tutte le osservabili
3) scelta da parte del fisico di misurare una osservabile in particolare
4) la correlazione avviene solo se i due fisici fanno la misura sulla stessa osservabile
Per quanto riguarda invece la non-località qui il concetto diventa ambiguo. Alle volte si pensa al fatto che bisogna mandare un segnale non locale mettendosi di traverso con la relatività ristretta.
Per non-locale qui credo si debba intendere che nonostante i sistemi non siano reali (o meglio non sono nati con valori reali) i fisici mentre fanno i loro esperimenti in libertà assoluta anche se si trovano distanti spazialmente, trovano invece che i sistemi, per talune specifiche osservazioni, si trovano in uno stato di correlazione.
Tutto questo gioco di parti viene chiamato connessione non-locale.
Quindi praticamente alla domanda iniziale la mia risposta è che credo siano da bocciare entrambe
Citazione di: iano il 02 Giugno 2024, 18:40:09 PMNon è che io voglia spacciarmi per esperto della materia, Niko, e i tuoi competenti chiarimenti sono più che desiderabili.
Quindi non sto escludendo che io stia facendo ipotesi fuoriluogo, ma in quanto sto filosofando in generale, seppur prendendo spunto da esperimenti fisici, posso fare qualunque ipotesi, e la mia ipotesi è che le due particelle siano in effetti una cosa sola, e ad essa è perciò relativa una unica funzione d'onda, che collassando rivelerà il suo stato, in modo pur parziale, potendomi ricavare la restante parte.
Non mi sembra una cosa normale, ma anche qui ci manca la definizione di cosa sia normale e cosa no.
Normale potrebbe essere ciò in cui nel tempo si trasforma ciò che ci aveva stupito, essendo inatteso, non essendo più tale.
Insisto inoltre sulla mancanza di una definizione di cosa.
Dentro una ''cosa'' noi immaginiamo che non vi sia trasmissione di informazione, in quanto la trasmissione avviene fra cose. Cioè la trasmissione di informazione è un concetto relativo perchè richiede almeno due cose, e quindi non è una proprietà della singola cosa.
Allo stesso modo una cosa non si muove perchè il movimento è una sua proprietà. il movimento è una proprietà di un insieme di cose, al minimo due.
Due particelle correlate non si allontanano fra loro se le consideriamo una sola cosa, e allo stesso modo non si trasmette informazione all'interno di quella singola cosa.
Questo non sarebbe assolutamente normale. E allora?
Ii credo, che dal fatto che non esistono interazioni stantanee, deriva che esiste sempre un intermedio/indefinito anche tra le cose che noi umani consideriamo piu' dicotomiche, come vita e morte, in moto, fermo, pensato, non pensato, eccetera. Ci vuole tempo per morire, tempo per iniziare a muoversi, tempo per formulare un pensiero eccetera.
Nello spazio intermedio di questo tempo, una cosa non e' ne' viva ne' morta, ne' in moto ne' ferma, ne' pensata ne' non pensata, eccetera.
La prima relelativita', e' la relativita' delle dicotomie e delle oppisizioni che, in quanto intermedio, si manifesta come relativita' di compimento, tra, i due termini, delle dicotomie.
Un evento istantaneo di correlazione a distanza pero', contraddice anche tutto questo che ho detto finora.
Qui non ha mediazione lo scioglimento del dilemma, della dicotomia.
E vabbe', la natura e' strana.
La metrica dell'universo non ha niente a che fare con la quantistica universale.
La distanza non ha senso per la quantistica,non serve neppure alla quantistica.
La velocità della luce e la sua direzione hanno un senso per la relatività ma non per la quantistica
Dire che l'entanglement è contemporaneo e istantaneo è un tentativo per capirlo e descriverlo connesso ancora all'idea di spazio e di tempo.
In realtà,l'entanglement avviene e basta,tutto qui.
Potrebbe anche non avere un perché,un motivo,avviene e basta.
Certo che se si resta ancorati alla logica di causa effetto e al determinismo non si potrà capire niente dei fenomeni più importanti del mondo subatomico.
Se non si accetta l'idea che la misura in quantistica non riesce a misurare niente di determinato perché è proprio la misura a determinarne l'apparente suo essere....determinato non si va avanti di un passo
Se non si capisce che la funzione d'onda collassa proprio per il fatto di essere misurata....
La quantistica non è fantascienza ma è una scienza fantastica che sta rivelando cose fantastiche e non nel senso di phantasy.
La vecchia fisica si occupi di ciò che misurato rivela le sue misure.
La quantistica ha ben altro da fare!
@Pensarbene.
Sono d'accordo in parte, purché si tolga all'apparenza la sua connotazione negativa, come se con essa la realtà volesse ingannarci, nascondendoci la verità, perchè queste ''apparenze'' sono parte della realtà nella misura in cui noi lo siamo.
Esse compongono quindi una realtà virtuale, della quale la realtà virtuale propriamente detta è un evoluzione.
Cioè la realtà virtuale propriamente detta e la realtà come ci appare, sono fatti della stessa sostanza, dove la differenza è fatta dalla quantità di consapevolezza che abbiamo impiegato nella loro costruzione, essendo l'uso della coscienza un modo non necessario, ma sufficiente, di interagire con la realtà.
Questi mondi sono più o meno collegati alla realtà, e da ciò dipenderanno le loro sorti nell'evoluzione delle idee, dipendendo ciò da come attraverso essi possiamo interagire indirettamente con la realtà.
L'apparenza cioè è una fantasy non gratuita, in quanto ha superato l'esame di interazione con la realtà.
La realtà non è determinata, ma possiede una coerenza che la rende determinabile in un modo non univoco, ma dipendente da chi la determina, comprensivo delle sue tecnologie.
Questa apparenza di realtà può essere quindi assoluta, cioè può coincidere con la realtà stessa, solo se chi la determina, comprensivo delle sue tecnologie, è assoluto, il che non è, ma è ciò che fra le righe sottende il principio di realtà, il quale quindi non ha la necessità di essere.
Una realtà diversamente determinabile, nella misura in cui non riusciamo a determinarla, apparirà fatta di casualità, dove il caso dunque è una lacuna dell'apparenza.
La meccanica quantistica dunque è un apparenza che non ghettizza le sue lacune, ammettendole, e in ciò consiste il suo essere rivoluzionaria.
E' cioè una teoria incompleta, dove l'incompletezza è figlia della nostra consapevolezza del suo essere apparente.
Non ci sono dunque variabili nascoste, ma c'è una mancanza di variabili che caratterizza la teoria.
Queste lacune non sono colmabili se non snaturando la teoria, il che equivale a superarla con una nuova teoria che sarà a sua volta comprensiva delle sue lacune che diversamente la caratterizzeranno.
La mq ha fatto una sola grande scoperta che nessuno ha ancora capito: la misura è informazione e l'informazione sembra avere uno strano potere sulla materia energia.
Questa è la sua vera grande scoperta!
Il resto la conferma!
Quindi,l'unica cosa che resta da fare è la formulazione di una Teoria dell'Informazione e non è detto che debba essere un quantistico a delinearla.
Ben venga la teoria, non so quanto più esplicabile in termini di comunicazione (pur sempre legata al fattore "distanza") piuttosto che di relazione o misura. Probabilmente bisognerà inventare un fattore più cogente.
Resta il fatto che la macrorealtà, cui appartiene il nostro organismo comprensivo di psiche, resta saldamente continua, come il flusso di sangue che lo tiene in vita e l'ossigeno (chimico, quindi "galileiano") che lo rinnova.
Troppa scienza da riscrivere - fisicamente, non metafisicamente o poeticamente - per rinunciare al metodo classico deterministico. E pure la quantistica deve essere rinchiusa nel recinto deterministico per essere utilizzata proficuamente.
Per ora, è così.
Secondo me si è troppo legati psicologicamente alle idee scientifiche e religiose.
Questo come "credenti" e "non credenti"!
Quello che conta è l'esperienza personale,soggettiva vissuta e goduta bene(bene essere)
Il resto davvero è una sovrastruttura a volte interessante e utile.
Secondo me la tecnoscienza ha una sua utilità pratica che necessita di buone pratiche e calcoli al netto di tutte le credenze. Vince chi trova il bandolo della matassa e la dipana per poter tessere qualcosa di utile, indipendentemente da quello in cui crede. Anzi, materialisticamente, avviene l'esatto contrario: toccare con mano il costato, vince su qualsiasi precedente convinzione. Poi, si aggiusterà pure la teoria. Finora la quantistica, al di là di fotoni polarizzati e spin elettronici non è andata.
Dovrebbe essere comunque chiaro, da quello che si è fin qui detto, che il rigido determinismo non ha più un posto nella scienza. é bene spendere qualche parola sull uso del termine legge. In generale una legge è un affermazione relativa a qualuque tipo di regolarità scoperta in natura. Il fisico, tuttavia, terrà in gran conto quelle leggi che si applicano con precisione matematica. Un riduzionista veramente rigido negherebbe l'esistenza di qualunque altro tipo di legge , affermando che tutte le regolarità presenti in natura derivano da un insieme fondamentali di tali leggi matematiche. Con questo uso restrittivo si può verificare una legge solo applicandola a un certo numero di sistemi identici . Considerando sistemi di complessità sempre maggiori, il concetto di classe di sistemi identici diviene sempre meno pertinente perchè la caratteristica importante di un sistema molto complesso è la sua unicità . è quindi dubbio che si possa fare una qualunque affermazione matematicamente esatta relativamente a classi di sistemi molto complessi. Non può esistere nessuna biologia teorica fondata su affermazioni matematiche esatte allo stesso modo della fisica teorica.
Si potrebbe scoprire che anche il caso ha le sue leggi...
Oppure che non esiste nessuna legge particolare perché tutto l'esistente funziona come un unico sistema complesso.
In questo caso,le apparenti leggi non sarebbero altro che manifestazioni della funzionalità del sistema stesso.
Ad esempio,la gravitazione si "comporterebbe" come notiamo perché variabile sistemica connessa a tutte le altre.
La prova di questo sarebbero i buchi neri dove la gravità,oltre l'orizzonte degli eventi,si ritrova separata dalla sistemica generale e quindi si comporta in modo strano e sconosciuto.
Le leggi nucleari sarebbero parimenti fuori gioco e l'elettromagnetismo potrebbe diventare...?
Io la penso in questo modo,quindi,quando parlo di leggi penso allo "spirito della legge" cioè alla sistemica generale che le determina così apparentemente rigorose.
Torno all'inizio e dico: anche il caso è una variabile di sistema in fondo,quindi l'esistente potrebbe davvero essere Uno,Complesso e nel contempo logico e casuale,probabilistico e deterministico.
Le leggi potrebbero esserne l'aspetto
apparentemente più logico e rigoroso ma fino ad un certo punto...
Le funzioni d'onda collassano anche quando non "misurate", cosi' come i pini, esistono anche quando nessuno li guarda (e senza bisogno che li guardi Dio), ma, per capire questo, bisognerebbe avere un approccio un po' meno mistico.
La mq ha implicazioni filosofiche che vanno verso l'interconnessione universale e l'assenza del se', non verso il soggettivismo.
Quindi semmai, i pini non esistono al di fuori della realzione che li fa esistere.
Tale rete di relazioni, ci implica per puro caso.
Il pino, non ha bisogno di urtare contro "i miei occhi", per materializzarsi.
Potrebbe benissimo urtare contro qualcosa di non vivente, e soprattutto non cosciente, come una goccia di pioggia o un soffio di vento.
Infatti, l'osservazione/misurazione e' un urto.
La necessita' della coscienza, in tutto cio', e' inessenziale.
Per il resto io resto determinista, perche' secondo me tutti i sistemi esistono moltitudinariamente, quindi tutti i sistemi sono soggetti a leggi matematiche.
La liminarita' della nostra coscienza, cioe' il fatto che noi abitiamo un orizzonte e ingnoriamo le complesse verita' dell'oltre (dell'oltre ho detto, non dell'aldila', a proposito di un'altra recente discossione) ci fa (soggettivamente) apparire alcuni dei sistemi, in realta' anche loro moltitudinari come tutti i sistemi, come sporadici o unici.
Qualche sistema e' (ovvero, ci appare) unico, perche' la nostra coscienza, ci taglia fuori dalla realta' dualita' e molteplicita'.
Tra il se' e il doppio, del sistema, passa l'orizzonte.
Noi stessi, siamo il caso piu' importante di quanto detto sopra, insomma di esseri molteplici che nella loro molteplicita' si ignorano (eterno ritorno).
Ma la matematica delle complessita' troppo distanziate e troppo in fuga oltre l'orizzonte perche' noi le possiamo cogliere, continua ad agire, e agisce anche su quel falso-unico che noi cogliamo.
In questo senso, sono determinista.
La realta' e' deterministica, e, sviluppandosi secondo leggi in spazi sostanzialmente omogenei, non puo' prevedere casi unici. Se non il blocco unico della reata' stessa, contenente la ridda delle molteplicita'. Che pero' non e' attingibile. Perche' se fosse attingibile, sarebbe molteplice.
Citazione di: Pensarbene il 04 Giugno 2024, 06:58:13 AMSi potrebbe scoprire che anche il caso ha le sue leggi...
E una volta scoperte le sue leggi concluderai che si trattava di un caso apparente.
Il caso può esistere solo come ente metafisico.
Citazione di: niko il 04 Giugno 2024, 11:36:49 AMLe funzioni d'onda collassano anche quando non "misurate", cosi' come i pini, esistono anche quando nessuno li guarda (e senza bisogno che li guardi Dio), ma, per capire questo, bisognerebbe avere un approccio un po' meno mistico.
Non c'è bisogno della mistica, basta la metafisica.
Un principio, per quanto suggeritoci dalla nostra interazione con la realtà, resta pur sempre metafisica, e lo si può cambiare quindi quando ci arrivano suggerimenti nuovi.
Bohr ammoniva Einstein che non era lui a dover dire a Dio cosa doveva fare, ma in effetti è quello che facciamo da sempre producendo principi metafisici, e siccome siamo noi produrli Dio in questo discorso non ci dovrebbe neanche entrare.
Ma in effetti entra nel discorso nella misura in cui non siamo consapevoli delle nostre costruzioni e/o ne abbiamo perso memoria, per cui se non l'abbiamo costruite noi qualcun altro deve averlo fatto.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che la luna esiste anche quando non la osserviamo, ma il fatto che siamo tutti d'accordo non rende ciò un fatto, ma qualcosa che va oltre il fatto di osservare la luna, va cioè oltre la fisica, ed è perciò una metafisica, che possiamo esprimere con un principio che sancisce il nostro accordo su una data metafisica, e questo accordo è reso possibile dal comune esercizio di coscienza.
I problemi nascono quando scambiamo la metafisica per fisica, dando per scontato che l'esistenza di una luna indipendente dalla nostra osservazione sia parte della fisica.
O meglio , i problemi nascono quando la metafisica, secondo quanto ci suggeriscono fatti nuovi, risulta inadeguata, e il problema propriamente è che non sembra possibile riadeguare ciò che pur essendo metafisico è stato assimilato di fatto alla fisica.
Ma cosa significherebbe esattamente dire che la luna non esiste quando non la osserviamo?
Secondo me significa dire che non esiste neanche quando la osserviamo, nel senso che esiste solo come prodotto della nostra interazione con la realtà.
La luna cioè non è parte della realtà, ma ciò che si produce dalla nostra interazione con essa, e che dura il tempo che l'interazione dura.
Può benissimo continuare ad esistere dopo, ma solo come metafisica.
Più che una questione di mistica è secondo me una questione che riguarda la nostra cattiva opinione sulla metafisica, come di ciò che stando oltre la fisica se ne potrebbe fare a meno, e potendosene fare a meno non si capisce perchè ne stiamo ancora a parlare.
Secondo me le cose non stanno così.
Fisica è metafisica in fatti sono cosi intrinsecamente intrecciate da fare fra esse confusione, come quando crediamo che esista ancora una luna anche quando non la osserviamo, pur non essendo questo un fatto.
Non può esistere alcuna fisica senza metafisica.
Il mondo in cui viviamo ci apparirà più o meno astratto in dipendenza della consapevolezza che abbiamo delle nostre metafisiche.
Questo mondo in sè io credo che sia del tutto astratto, ponendosi come intermediario fra noi e la realtà,
ma apparendoci tanto più come reale quanto più confondiamo la nostra metafisica coi fatti, fatti che sono il prodotto della nostra interazione con la realtà.
Potrebbe anche darsi che la quantistica si sbagli.
Diciamolo: ancora oggi,appena fanno una "scoperta" nel cosmo che grosso modo confermerebbe la teoria della relatività tutti entusiasti nell' annunciarlo!!!
In realtà,come mi dice un mio arguto amico:" non hanno ancora ben capito l'equazione di campo,non riescono a misurare esattamente(!) l'equivalenza dell'energia liberata da una bomba atomica e il corrispondente quantitativo di materia che si darebbe trasformato in essa,hanno dei dubbi sulla relatività soprattutto dopo l' avvento della fisica quantistica e, non vogliono ammettere tutti ciò facendo figuracce!!!"
In altre parole stanno aspettando,c'è sempre, il Messia che dovrebbe tirarli fuori dai guai.
Come SEMPRE,d'altronde, dimenticandosi ogni volta che il Messia di turno li tira fuori dalla padella per metterli a bollire in una pentola!!!
Citazione di: Pensarbene il 04 Giugno 2024, 14:44:20 PMPotrebbe anche darsi che la quantistica si sbagli.
Non è che potrebbe darsi, ma si sbaglia di sicuro, se no non sarebbe una teoria fisica.
La lezione di Popper e allievi hai ancora da capirla, nella sua essenza secondo me.
E non è che non si riesca a fare misure esatte, è che misure esatte non se ne possono fare, ne ora ne mai, e per sopperire a ciò c'e una teoria degli errori che fa parte del metodo scientifico.
Con la scienza tu hai un rapporto schizofrenico.
Secondo te la scienza fa rovinose cadute, ma ciò è vero solo se tu gli fai scalare vette che essa non è capace di raggiungere, e perchè gliele fai scalare lo sai solo tu, e qui mi fermo, perchè per quanto non sei permaloso avresti anche ragione di inc...ti.
Chi ha studiato fisica sa che le leggi si applicano a sistemi circoscritti in cui le leggi relative danno risultati accettabili, secondo ben definite condizioni di esistenza e procedure di calcolo.
La fisica non postula sistemi in astratto, ma concreti, fondati su non falsificate evidenze sperimentali.
Un piano inclinato, una pallina, e un orologio sono quanto serve al fisico Galileo per studiare un sistema (gravitazionale) in senso fisico, elaborando le dovute formule matematiche che permettono di definire le "grandezze" in gioco (forza, velocità, accelerazione, costanti) e correlarle tra loro.
Ottenendo risultati affidabili senza dover ripartire dalla Genesi.
Citazione di: Ipazia il 04 Giugno 2024, 15:15:07 PMChi ha studiato fisica sa che le leggi si applicano a sistemi circoscritti in cui le leggi relative danno risultati accettabili, secondo ben definite condizioni di esistenza e procedure di calcolo.
La fisica non postula sistemi in astratto, ma concreti, fondati su non falsificate evidenze sperimentali.
Un piano inclinato, una pallina, e un orologio sono quanto serve al fisico Galileo per studiare un sistema (gravitazionale) in senso fisico, elaborando le dovute formule matematiche che permettono di definire le "grandezze" in gioco (forza, velocità, accelerazione, costanti) e correlarle tra loro.
Ottenendo risultati affidabili senza dover ripartire dalla Genesi.
Sono d'accordo, ma.... mi rendo conto che le questioni che io pongo potrebbero apparire come problemi di lana caprina, perchè in effetti che le palline e i piani inclinati di Galilei esistano oppure no mentre non li guardo, si può dimostrare che ciò non cambia i risultati degli esperimenti di Galilei, e tutto ciò è fin troppo evidente.
Meno evidente quando dobbiamo far passare elettroni da due fenditure, a meno che non li assimiliamo arbitrariamente a scivoli e palline, producendone una posticcia evidenza, e quando poi assimiliamo l'evidenza più o meno posticcia alla fisica il pasticcio di fisica e metafisica è servito.
Ma se ipotizzare che la luna esista anche quando non la guarda non cambia il risultato di un sperimento sulla luna, significa solo che sto usando la metafisica giusta nell'ambito di interesse.
Se la stessa metafisica non funziona con la meccanica quantistica, significa che le metafisiche che uso sono relative, non derivando assolutezza dal fatto che funzionino in certi delimitati campi.
In sostanza quello che non sappiamo è da dove nasca l'evidenza degli scivoli e delle palline, senza che ciò debba necessariamente essere un problema.
Il problema nasce quando, come nel caso della meccanica quantistica ci improvvisiamo come modellatori di evidenze cui non riusciremo mai a dare forma, se è vero come credo che è l'ignoranza della costruzione delle cose a generare la loro eventuale evidenza, ignoranza che in meccanica quantistica non è invece data, per cui è inutile cercarvi evidenze.
Evidenze eventuali che per noi equivarrebbero capire la teoria, la quale si può dimostrare che per essere compresa non necessita di quelle evidenze.
Bisogna solo metterci d'accordo sul fatto se la comprensione delle cose sia una meta, o solo un passaggio determinabile in modo non univoco, al fine del nostro agire.
la comprensione è un requisito essenziale nel ristretto campo della nostra percezione ''naturale'', che nel momento in cui si è allargata a quella ''artificiale'' scientifica, ha perso la sua necessità.
In altri termini la comprensione può essere sufficiente al nostro agire, ma non necessaria, e la sua importanza fino a un certo punto è stata tale da essere stata scambiata come meta, invece che strumento del nostro agire, a nessuna meta rivolto, che noi si possa mai sperare di sapere.
Insomma, io credo che avendo ghettizzato la filosofia, essa è diventata un cestino in cui abbiamo creduto di poter gettare la metafisica, dopo averla appallottolata.
Cioè con la metafisica e la fisica è successo quello che succede fra padri e figli, quando i figli per crescere ripudiano i padri, e adesso siamo solo in attesa che i figli, ormai cresciuti, ammettano le ragioni dei padri.
Detto in altre parole, è finito il tempo in cui il verbo si faceva carne, scivolo o pallina, e da ora in poi è destinato a rimanere tale, perchè a ciò ci ha condannati il peccato capitale di aver mangiato dall'albero della conoscenza.
La favola biblica esprime con una ''precisone quasi scientifica'' (abbisognando solo di una piccola correzione che in seguito daremo) quello che è stato uno dei nostri passaggi cruciali, che è consistito in un casuale significativo incremento dell'uso della coscienza, divenuto strumento irrinunciabile del nostro stare al mondo, mentre prima non lo era in quel mondo chiamato paradiso, dal quale però ancora non ci siamo del tutto distaccati, perchè di mele ancora continuiamo a mangiarne, talchè il distacco da esso, e questa è la correzione promessa, diversamente da come racconta la favola biblica, non è stato una caduta rovinosa, ma una discesa ancora in corsa su di uno scivolo galileano.
Dalla genesi, o giù di lì, a quanto pare è ancora utile ripartire Ipazia, dunque. :))
La storia dell'uomo non è fatta di salti, ma la si può raccontare solo simulando salti, col pericolo che poi si creda a questi salti, esistendone una documentazione storica.
Lenti e continui sono i cambiamenti nella storia umana, ma di questi la coscienza prende atto con salti, che si tende poi ad attribuire alla storia, essendo la coscienza a raccontarla.
Allo stesso modo non abbiamo altra maniera di percepire la continua realtà, se non come fatta di salti, e a noi non resta che constare che trattandola come se di questi salti fosse fatta ciò funziona, cadendo nell'inganno perciò che di quei salti sia fatta la realtà.
L'inganno si svela quando sostituendo quei salti con altri, la cosa pur continua a funzionare.
A scuola possiamo ripartire dalla Genesi, ma nella vita pratica non possiamo fare a meno di sistemi chiusi (la lavatrice) ed evidenze (il libretto d'istruzioni).
Vale pure per la quantistica che per passare dal fenomeno alla scienza/episteme deve sottostare al medesimo metodo scientifico della scienza classica, con evidenze, riproducibilità, prevedibilità, pari pari. Magari aggiustando la maggiore incertezza fenomenologica con più sofisticati strumenti di calcolo.
E quando si passa alla tecnica, finisce la trippa per gatti metafisici. Liberi comunque di scorrazzare altrove.
Citazione di: Ipazia il 04 Giugno 2024, 16:56:27 PMA scuola possiamo ripartire dalla Genesi, ma nella vita pratica non possiamo fare a meno di sistemi chiusi (la lavatrice) ed evidenze (il libretto d'istruzioni).
Vale pure per la quantistica che per passare dal fenomeno alla scienza/episteme deve sottostare al medesimo metodo scientifico della scienza classica, con evidenze, riproducibilità, prevedibilità, pari pari. Magari aggiustando la maggiore incertezza fenomenologica con più sofisticati strumenti di calcolo.
E quando si passa alla tecnica, finisce la trippa per gatti metafisici. Liberi comunque di scorrazzare altrove.
No, c'è solo l'illusione di poter scorazzare altrove, secondo me, ma le evidenze sono sempre meno e i calcoli sempre di più, e questo è difficile da accettare per chi proviene da un mondo fatto di molte evidenze e pochi ragionamenti.
Ma quello che appunto sto tentando di fare è di agevolare, prima a me, e poi ad altri, questa accettazione, ragionando sul fatto che al di là delle apparenze, non stiamo facendo nulla di veramente nuovo, in una continuità di agire, senza veri salti, che non siano generati da una coscienza discontinua.
In quanto agiamo non siamo differenti dagli altri esseri viventi, essendo che ognuno si caratterizza per il suo modo di agire, e noi, forse in questo si unici, ne stiamo sperimentando diversi dentro a una sola generazione, di modo che potendoli mettere a confronto in modo diretto ne scopriamo la natura relatività, come ad altri esseri non è stato finora possibile sperimentare.
Citazione di: iano il 04 Giugno 2024, 14:16:05 PMNon c'è bisogno della mistica, basta la metafisica.
Un principio, per quanto suggeritoci dalla nostra interazione con la realtà, resta pur sempre metafisica, e lo si può cambiare quindi quando ci arrivano suggerimenti nuovi.
Bohr ammoniva Einstein che non era lui a dover dire a Dio cosa doveva fare, ma in effetti è quello che facciamo da sempre producendo principi metafisici, e siccome siamo noi produrli Dio in questo discorso non ci dovrebbe neanche entrare.
Ma in effetti entra nel discorso nella misura in cui non siamo consapevoli delle nostre costruzioni e/o ne abbiamo perso memoria, per cui se non l'abbiamo costruite noi qualcun altro deve averlo fatto.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che la luna esiste anche quando non la osserviamo, ma il fatto che siamo tutti d'accordo non rende ciò un fatto, ma qualcosa che va oltre il fatto di osservare la luna, va cioè oltre la fisica, ed è perciò una metafisica, che possiamo esprimere con un principio che sancisce il nostro accordo su una data metafisica, e questo accordo è reso possibile dal comune esercizio di coscienza.
I problemi nascono quando scambiamo la metafisica per fisica, dando per scontato che l'esistenza di una luna indipendente dalla nostra osservazione sia parte della fisica.
O meglio , i problemi nascono quando la metafisica, secondo quanto ci suggeriscono fatti nuovi, risulta inadeguata, e il problema propriamente è che non sembra possibile riadeguare ciò che pur essendo metafisico è stato assimilato di fatto alla fisica.
Ma cosa significherebbe esattamente dire che la luna non esiste quando non la osserviamo?
Secondo me significa dire che non esiste neanche quando la osserviamo, nel senso che esiste solo come prodotto della nostra interazione con la realtà.
La luna cioè non è parte della realtà, ma ciò che si produce dalla nostra interazione con essa, e che dura il tempo che l'interazione dura.
Può benissimo continuare ad esistere dopo, ma solo come metafisica.
Più che una questione di mistica è secondo me una questione che riguarda la nostra cattiva opinione sulla metafisica, come di ciò che stando oltre la fisica se ne potrebbe fare a meno, e potendosene fare a meno non si capisce perchè ne stiamo ancora a parlare.
Secondo me le cose non stanno così.
Fisica è metafisica in fatti sono cosi intrinsecamente intrecciate da fare fra esse confusione, come quando crediamo che esista ancora una luna anche quando non la osserviamo, pur non essendo questo un fatto.
Non può esistere alcuna fisica senza metafisica.
Il mondo in cui viviamo ci apparirà più o meno astratto in dipendenza della consapevolezza che abbiamo delle nostre metafisiche.
Questo mondo in sè io credo che sia del tutto astratto, ponendosi come intermediario fra noi e la realtà,
ma apparendoci tanto più come reale quanto più confondiamo la nostra metafisica coi fatti, fatti che sono il prodotto della nostra interazione con la realtà.
Esistono infinite prove empiriche, che le cose esistano anche quando nessuno le osserva.
Cio' che fa collassare la funzione d'onda e' una interazione.
Molto spesso, anzi, quasi sempre, una interazione non ha nulla a che fare con una osservazione cosciente.
Tutte le osservazioni coscienti, in mq comportano interazioni, ma certo non tutte le interazioni, comportano osservazioni coscienti. Insomma, non vale il viceversa.
Le interazioni, possibili, e che avvengono in natura, sono molte di piu', delle "osservazioni".
E sono (tutte) le interazioni, che materializzano e localizzano la realta', non gia' tra le interazioni, solo le osservazioni.
Per quanto mi riguarda, fine del nesso tra mq e soggettivismo.
E molto piu' significativo il nesso tra mq e mancanza del se'.
Le cose, non esistono al di fuori delle relazioni tra le cose.
Neanche noi.
L'accento non cade, sulla soggettivita', ma sull'interdipendenza.
Citazione di: Ipazia il 04 Giugno 2024, 15:15:07 PMUn piano inclinato, una pallina, e un orologio sono quanto serve al fisico Galileo per studiare un sistema (gravitazionale) in senso fisico, elaborando le dovute formule matematiche che permettono di definire le "grandezze" in gioco (forza, velocità, accelerazione, costanti) e correlarle tra loro.
questo è un esempio di fisica classica. Sono moltissimi gli esempi di sistemi per i quali il comportamento del tutto è effettivamente la somma delle sue parti. Lo studio dei sistemi complessi a mostrato che questo assunto non è più valido. Anche quando si possegga una mappa dettagliata dei componenti costitutivi non è possibile ricavare il comportamento futuro del sistema. La speranza che la fisica riduzionista possa raggiungere la comprensione completa grazie a una conoscenza sempre più particolare e esatta delle forze fisiche e dei costituenti fondamentali è infondata.
l'intereazione delle componenti a una data scala può provocare su scala più vasta un comportamento globale complesso che in generale non può essere ricavato dalla conoscenza delle singole componenti. Questa particolarità viene definita "comportamento emergente" nello studio dei sistemi complessi. Questo fatto è particolarmente evidente negli organismi biologici ; anche quando si possegga una mappa completa del sistema nervoso di un organismo semplice non è possibile ricavarne il comportamento dell organismo. Il fallimento del riduzionismo in biologia è stato: 1) di non comprendere che ad ogni livello di integrazione che si verifica nei sistemi biologici si manifestano nuove qualità che hanno bisogno di nuovi principi esplicativi che sono sconosciuti ed estranei (e non necessari) in fisica.
2) l'ineguatezza delle leggi fisiche a spiegare il finalismo biologico
3) vale la pena, altresì, sottolineare che l'assunto secondo cui sia la materia animata che quella inanimata sono soggette alle medesime forze fisiche è ben lungi dall essere stata verificata in pratica.
Ragionare per sistemi non implica ridurre i sistemi complessi a sistemi semplici, ma isolare quei sistemi che possono essere gestiti in maniera semplice all'interno di un sistema complesso. L'utilità di tale operazione è evidente se pensiamo alla trasfusione di sangue correlata alla conoscenza del sistema circolatorio. Con tale operazione non si riduce un sistema complesso come quello umano alla circolazione del sangue.
Chi grida al riduzionismo dovrebbe fornire comunque elementi epistemici adeguati al proprio approccio olistico, suffragandoli con evidenze fattuali al pari di chi si limita a sistemi circoscritti della fisiologia umana.
Cosa si intende e come opera il "finalismo biologico ?
Oltre a quello che ho scritto (che mi pare ad occhio e croce nessuno l'abbia letto o capito) vi è un aspetto molto particolare e del tutto bizzarro sulla questione del principio di realtà secondo la m.q.
Facciamo un esempio (per capirci): prendiamo le nostre braccia. Vi sono varie possibili posizioni. Entrambe le braccia lungo il corpo, oppure entrabe alzate. Oppure alzata la sinistra e abbassata la destra o viceversa abbassata la sinistra e alzata la destra.
Nel principio di realtà io avrei una posizione precisa per ogni mio braccio in ogni istante di tempo.
Non è così secondo le regole della m.q. chiaramente non relative al mio braccio ma a specifici osservabili dei sistemi quantistici. Secondo queste regole i valori (cioè braccio alzato o braccio abbassato) sono in sovrapposizione di stati.
Cosa voglia dire questo rispetto al concetto di realtà secondo la filosofia?
Fisicamente non vuol dire nulla, ammesso di non scomodare gli universi paralleli. Insomma sarebbero reali tutti i valori ma in universi paralleli. Oppure nessuno, per cui la sovrapposizione di stati è solo un metodo matematico per stabilire le probabilità future?
Comunque sia non può che crollare il concetto di realtà che eravamo abituati a credere.
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 00:06:50 AMFisicamente non vuol dire nulla, ammesso di non scomodare gli universi paralleli. Insomma sarebbero reali tutti i valori ma in universi paralleli. Oppure nessuno, per cui la sovrapposizione di stati è solo un metodo matematico per stabilire le probabilità future?
Comunque sia non può che crollare il concetto di realtà che eravamo abituati a credere.
Secondo me più che universi paralleli ci sono realtà affiancate, che perciò, divenendo relative, succede che nessuna di esse può essere considerata rappresentativa della vera realtà, della quale per mantenere l'unicità bisogna porla dietro le quinte.
Se crolla il principio di realtà non necessariamente ne dobbiamo cassare il concetto.
Ciò che crolla è il principio dell'essere come cosa in sè, la cui metafisica rimasta vacante viene occupata da una realtà che cambia la sua sostanza da fisica a metafisica.
Crollando la cosa in sè, sinonimo di evidenza, le evidenze iniziano a mancare.
Nella mq non vi è nulla di evidente, eppure insistiamo a cercare di rifondarla sulla cosa in sè , perchè crediamo di non avere alcun altro modo di capirla.
Ma secondo Bohr chi dice di aver capito la mq ha capito fischi per fiaschi. Bohr in tal modo sta affermando di non averla capita, ma che ciò non sia per lui un problema.
Se questa posizione nasce pur come una resa, non resta che fare di necessità virtù.
Per chi invece insiste a cercare di capire, dovrebbe prima aver chiaro cosa significhi davvero capire qualcosa, e avendo chiaro ciò ne potrebbe ricavare il motivo per cui nel caso della meccanica quantistica non occorre capire, e perchè invece in altri ambiti capire possa essere invece essenziale.
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 00:06:50 AMOltre a quello che ho scritto (che mi pare ad occhio e croce nessuno l'abbia letto o capito)
Non è vero.
Del tuo post mi è piaciuta la seguente parte:
''Ciò che fino alla fine non avevo ancora capito ma poi l'ho capito, che quando si parla di entanglend, riferendoci ad esempio a due particelle (che si sono un giorno incontrate) bisogna essere consapevoli che tra le due particelle si instaura una specie di intreccio. In che consiste questo intreccio? Consiste nel fatto pur essendo due entità differenti sono accomunate dalla stessa funzione d'onda (come si dice tra gli esperti).''
I tuoi post sono un tentativo di capire la mq che vuoi condividere con noi, io però vorrei sapere da te cosa intendi con 'capire''.
Cosa intende Bohr quando dice che chi dice di aver capito la mq allora non l'ha capita?
Citazione di: niko il 04 Giugno 2024, 19:41:15 PMEsistono infinite prove empiriche, che le cose esistano anche quando nessuno le osserva.
Sarebbe interessante dilungarsi su questo punto.
Ammetto che a me di queste prove non me ne viene in mente alcuna.
E' vero che se si suppone che le cose esistano anche quando non le osserviamo, la cosa sembra funzionare,
ma questa non vale come prova, perchè il fatto che una teoria funzioni non prova che sia vera.
Poi la mia posizione è anche un po' più articolata di così come ho provato a spiegare nei miei precedenti post.
Anche gli universi paralleli della sovrapposizione di stati quantistici devono finire in un recinto sistemico per essere praticamente gestibili, così come hanno fatto, a ritroso, altre fenomenologie antintuitive quali la relatività del tempo e il sistema solare copernicano.
L'esito metafisico di tale operazione sarà, as usual, un ampliamento del concetto di realtà, che non rimette in discussione sistemi collaudati perfettamente funzionanti e ben noti nel cosmo in cui operano, dal sistema solare al sistema umano, biologico e, più indeterministicamente, sociale.
Incluse le forme teoriche (grandezze, unità di misura, formule, simboli) che abbiamo convenzionalmente adottato per adeguare mondo e intelletto. Liberandoci alfine di feticci e centri di gravità permanenti, che hanno fatto il loro tempo. Che è il maggiore risultato della riflessione filosofica, cui gli orientali arrivarono prima degli occidentali. (Rischiando però di feticizzare l'apparenza, una volta relativizzata la realtà).
Citazione di: Ipazia il 05 Giugno 2024, 07:14:17 AM(Rischiando però di feticizzare l'apparenza, una volta relativizzata la realtà).
Col senno di poi potrei sintetizzare la mia filosofia in un ''credere per agire'' dove dunque la fede, ancor meglio se inconsapevole, è amica dell'agire, essendo essa creatrice di solide evidenze con cui avere a che fare, e il dubbio invece ne è nemico, fino al punto da bloccare l'agire in una inconcludente contemplazione.
Infatti feticizzare l'apparenza, una volta relativizzata la realtà, è il miglior modo per giungere alla conclusione che non valga la pena portare avanti alcuna azione.
La relativizzazione della realtà in effetti diventa essenziale solo quando occorre dare una svolta al nostro agire, per approdare a un nuovo credo, che mi pare sia propriamente il momento che stiamo vivendo. Il rischio dunque è che il processo si arresti a metà bloccandosi nella contemplazione delle apparenze.
La mia speranza è però che il ''distruggere la realtà'' attraverso l'esercizio del dubbio, possa intendersi come il percorso inverso alla sua costruzione, dal quale apprendere come abbiamo fatto a costruirlo , per poterlo diversamente ricostruire, quando occorre operare quella svolta che ci possa salvare dall'estinzione.
Occorre perciò dismettere quelle evidenze, date le quali non sembra esserci per noi scampo, se il mondo è quello che è, cosi come in modo evidente appare.
Il problema è che nuove evidenze non si ricostruiscono in un giorno, per cui il mondo nuovo non sarà un mondo fatto di evidenze, e per quanto esse siano desiderabili non vi è una stretta necessità che vi siano.
Alla fine non è importante se il mondo in cui viviamo sia fatto di solide realtà o di apparenze, ma che riusciamo a viverci tutti insieme.
Citazione di: iano il 05 Giugno 2024, 01:21:59 AMio però vorrei sapere da te cosa intendi con 'capire''.
Nel contesto della m.q. da parte di chi non ha conseguito una laurea in fisica capire vuol solo dire farsi un'idea più vicina possibile alle cose come stanno. E le cose stanno dalla parte del modello matematico scelto e quello che l'esperimento dice su di esso.
Mentre capire per alcuni è mettere a confronto una idea preconcetta (ad esempio di realtà) con quello che sia il modello matematico che quello sperimentale non dicano.
E bisogna stare molto attenti, le cose non sono assolutamente facili. Per far si che si possa intuire come stanno le cose ci si può aiutare con gli esempi ma alle volte si prendono troppo sul serio gli esempi.
Ad esempio nessuno mi ha chiesto cosa siano le osservabili. Presumo che tutti sappiano cosa si intende in m.q. con osservabile.
L'osservabile in m.q. è la prima nota di realtà. E' una cosa oggettiva. Ciò che è in sovrapposizione di stati sono le variabili di quelle osservabili. Le osservabili sono quelle proprietà della materia che possono essere misurate.
Ma anche il concetto di misura non è assolutamente come la intendiamo noi solitamente.
Se tutte queste cose non si sanno poi ci si perde in pensieri che non producono nulla di buono.
Se prendo un pezzo di pane e lo metto sulla bilancia, potrei misurare quanto pesa.
In m.q. la misura non vuol dire per forza conoscere quale valore ha un sistema.
Prima di tutto in m.q. i valori si conoscono e la misura consiste nel sapere se ha quel valore in particolare. Quindi non quale valore abbia (perchè è una cosa differente).
Ad esempio se faccio passare un fotone polarizzato da un sistema di rivelamento lo faccio passare in modo che passino quelli polarizzati verticalmente. Per cui passeranno solo quelli che sono polarizzati verticalmente. Non sto chiedendo ai fotoni com'è la loro polarizzazione. Non sto misurando (come solitamente si intende) la polarizzazione dei fotoni.
Questi particolari sono indispensabili per capire come stanno le cose.
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 08:57:14 AMNel contesto della m.q. da parte di chi non ha conseguito una laurea in fisica capire vuol solo dire farsi un'idea più vicina possibile alle cose come stanno.
Ma se da chi non solo una laurea ha conseguito, ma è riconosciuto come uno dei padri della teoria quantistica, Bohr, ti senti dire che se sei arrivato a capirla, allora vuol dire che non l'hai capita, sottintendo con ciò che lui stesso non l'ha capita, come puoi sperare ancora di capirla?
E se pure perciò rinunciamo pragmaticamente a capire, rimane il fatto che il processo di comprensione è stato per noi fino a un certo punto fondamentale, e quindi perchè adesso non dovrebbe esserlo più?
Ci troviamo dunque di fronte a una svolta radicale sulla quale i filosofi, più che gli scienziati, avrebbero da dire la loro?
Cosa è esattamente ''capire'' alla luce della nuova evidenza che se ne può fare pure a meno in certi casi?
Non si tratta cioè di una semplice rinuncia a capire, i attesa di una eventuale illuminante intuizione.
Bohr sembra dirci ''non puoi capire finché non rinunci a capire'', o ''quello che è da capire è che non c'è nulla da capire'' e questa è una bella novità dal punto di vista filosofico.
Perchè noi per giungere a delle conclusioni dobbiamo prima capire, quando un computer può giungervi senza capirci nulla?
Citazione di: iano il 05 Giugno 2024, 09:16:34 AMMa se da chi non solo una laurea ha conseguito, ma è riconosciuto come uno dei padri della teoria quantistica, Bohr, ti senti dire che se sei arrivato a capirla, allora vuol dire che non l'hai capita, sottintendo con ciò che lui stesso non l'ha capita, come puoi sperare ancora di capirla?
E se pure perciò rinunciamo pragmaticamente a capire, rimane il fatto che il processo di comprensione è stato per noi fino a un certo punto fondamentale, e quindi perchè adesso non dovrebbe esserlo più?
Ci troviamo dunque di fronte a una svolta radicale per la quale i filosofi, più che gli scienziati, avrebbero da dire la loro?
Cosa è esattamente ''capire'' alla luce della nuova evidenza che se ne può fare pure a meno in certi casi?
Se Bohr non l'avesse per davvero capita vuoi che un filosofo qualsiasi possa avanzare qualche pretesa in più?
Il fatto è che non possiamo inventarci dei modelli esterni (filosofici) alla fisica. Bisogna fare il contrario entrare piu che si può nella fisica e tracciare dei modelli filosofici possibili. Che già ci sono e si chiamano "interpretazioni" e sono tante.
Quella che dopo tante vicissitudini e approfondimenti prediligo è quella probabilistica. In fondo la conoscenza maggiore che la m.q. ha per capire la nostra realtà è probabilistica. Ma non è esattamente come giocare a dadi.
Se prendi l'esempio della polarizzazione verticale o orrizonatale. Che mi dice la teoria? Che i fotoni hanno il 50%/50% di passare da un polarizzatore posto verticalmente. E se fai l'esperimento il 50% dei fotoni passerà da un polarizzatore verticale.
E' l'insieme dei fotoni che è
determinato nel risultato che ci si aspetta.
Ora se ti senti piu filosofo traduci questo fatto in un modello filosofico adeguato.
Citazione di: iano il 05 Giugno 2024, 01:29:10 AMSarebbe interessante dilungarsi su questo punto.
Ammetto che a me di queste prove non me ne viene in mente alcuna.
E' vero che se si suppone che le cose esistano anche quando non le osserviamo, la cosa sembra funzionare,
ma questa non vale come prova, perchè il fatto che una teoria funzioni non prova che sia vera.
Poi la mia posizione è anche un po' più articolata di così come ho provato a spiegare nei miei precedenti post.
I
fossili, ci raccontano che sono esistiti i
dinosauri (che nessun umano ha mai direttamente visto).
Il
pavimento, ti sostiene anche se non lo guardi.
Il
sole, esercita la sua attrazione anche se non lo guardi.
Tu, respiri l'ossigeno prodotto sulla terra da miliardi di piante
che non vedi.Se sbatti contro un palo ad occhi chiusi,
ti fai male lo stesso.E con cio' puo' dirsi chiusa la questione, almeno per me.
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 09:41:22 AME' l'insieme dei fotoni che è determinato nel risultato che ci si aspetta.
Ora se ti senti piu filosofo traduci questo fatto in un modello filosofico adeguato.
Non mi è chiaro questo esempio, e comunque mi sembra più significativo applicarsi sul problema della doppia fenditura.
A dire il vero non mi è neanche chiaro quale differenza vi sia fra un modello analogico esplicativo e una interpretazione.
Il caso non è esattamente come giocare a dadi, in quanto il gioco dei dadi è una simulazione del caso così ben riuscita, che molti ancora la confondono col caso stesso.
In ogni ''caso'' mi pare che non stiamo affrontando di petto in modo filosofico il concetto di ''capire'', continuando a darlo per scontato e a girarci attorno.
Tutti sappiamo cosa significa capire, ma nessuno sembra saperlo dire.
Una analogia può aiutare a giungere alla comprensione, ma per giungere alla comprensione bisogna andare oltre l'analogia in un modo che non è chiaro come avvenga.
L'analogia è potenzialmente un vicolo cieco, in quanto si cerca di capire facendo un analogia con cose già capite, ma se bastasse fare analogie per capire, il capire si ridurrebbe a un circolo vizioso di analogie.
Il problema filosofico che indirettamente la mq quantistica ci suggerisce di affrontare non è per niente facile, e non si può affrontare con faciloneria.
Non a caso non ho avuto alcuna risposta nonostante sia da un pò che lo propongo, e una risposta che avrei già considerato buona è ''sono in grado di capire, ma non saprei dirti come''.
Sappiamo che l'analogia può innescare il processo di comprensione, ma finché il processo non si attiva, l'analogia non lo sostituisce.
Consiste forse in ciò una interpretazione, in una analogia che non giunge allo scopo?
Cosa ne pensi tu che con queste interpretazioni sembri aver pratica?
Citazione di: iano il 05 Giugno 2024, 10:35:00 AMNon mi è chiaro questo esempio, e comunque mi sembra più significativo applicarsi sul problema della doppia fenditura.
A dire il vero non mi è neanche chiaro quale differenza vi sia fra un modello analogico esplicativo e una interpretazione.
Il caso non è esattamente come giocare a dadi, in quanto il gioco dei dadi è una simulazione del caso così ben riuscita, che molti ancora la confondono col caso stesso.
In ogni ''caso'' mi pare che non stiamo affrontando di petto in modo filosofico il concetto di ''capire'', continuando a darlo per scontato e a girarci attorno.
Tutti sappiamo cosa significa capire, ma nessuno sembra saperlo dire.
Una analogia può aiutare a giungere alla comprensione, ma per giungere alla comprensione bisogna andare oltre l'analogia in un modo che non è chiaro come avvenga.
L'analogia è potenzialmente un vicolo cieco, in quanto si cerca di capire facendo un analogia con cose già capite, ma se bastasse fare analogie per capire, il capire si ridurrebbe a un circolo vizioso di analogie.
Il problema filosofico che indirettamente la mq quantistica ci suggerisce di affrontare non è per niente facile, e non si può affrontare con faciloneria.
Non a caso non ho avuto alcuna risposta nonostante sia da un pò che lo propongo, e una risposta che avrei già considerato buona è ''sono in grado di capire, ma non saprei dirti come''.
Sappiamo che l'analogia può innescare il processo di comprensione, ma finché il processo non si attiva, l'analogia non lo sostituisce.
Consiste forse in ciò una interpretazione, in una analogia che non giunge allo scopo?
Cosa ne pensi tu che con queste interpretazioni sembri aver pratica?
Per capire serve conoscere prima di ogni cosa. Quando le cose le conosci allora ad una domanda su questa conoscenza ne ricavi una risposta adeguata. Se la domanda presume una conoscenza del sistema che tu non possiedi, allora la tua sarà una risposta che rispetti questa tua non conoscenza del sistema.
Questo è ciò che posso esprimere cosi su due piedi. Poi se tu riesci ad essere piu esplicativo, cioè riesci a formulare una domanda su una conoscenza comune allora possiamo confrontare il modo come abbiamo capito quello che entrambi possediamo come conoscenza.
Se ti è più facile partire dalla doppia fenditura, allora li hai per ogni fotone una funzione d'onda ed anche li hai una densità di probabilità. L'impatto del fotone, quando supera le due fenditure aperte, tiene conto di quella ampiezza di probabilità. Cioè i fotoni si dispongono sulla lastra rispettando la funzione d'onda.
Il risultato (quello che vedrai alla fine, cioè le bande scure e chiare) rispettano l'ampiezza di probabilità che ti è stata fornita per ogni singolo fotone. Quindi quello che tu vedrai rispetta la probabilità che ogni singolo fotone aveva di impattare sulla lastra.
Questo risultato è molto simile a quello che ti avevo detto prima. Per un fotone polarizzato la m.q. ti fornisce la probabilità che sia polarizzato verticale od orizzontale. Quando spedisci sul polarizzatore posizionato verticalmente un numero consistente di fotoni, constaterai che il 50% di quei fotoni è passato. Esattamente quello che prevedeva la m.q.
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 11:02:27 AMPer capire serve conoscere prima di ogni cosa.
Ciò significherebbe che capire sia il compimento di un processo che inizia con la conoscenza, ma che non si conclude con essa.
Infatti Bohr conosce la mq, ma non la comprende.
Non basta quindi che tu ci trasmetta la conoscenza della mq perchè noi si possa arrivare a comprenderla, non avendola inoltre tu stesso compresa.
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 11:02:27 AMQuesto è ciò che posso esprimere cosi su due piedi. Poi se tu riesci ad essere piu esplicativo, cioè riesci a formulare una domanda su una conoscenza comune allora possiamo confrontare il modo come abbiamo capito quello che entrambi possediamo come conoscenza.
da quello che qui scrivi invece sembrerebbe che la comprensione si concluda con la conoscenza, però Bohr ha piena conoscenza della mq, ma dichiara di non averla capita, e azzarda perfino che non l'ha capita chi dichiara di averla capita.
Dunque non sembra che l'incomprensione sia dovuta ad una mancanza di conoscenza, ma che l'incomprensibilità sia una caratteristica della mq, ed è per questo che se dici di averla capita...allora non l'hai capita.
Quindi mi chiedo, cos'è che rende una teoria intrinsecamente comprensibile oppure no?
Io azzardo che ciò che rende incomprensibile una teoria è il suo potersi ridurre in modo completo a conoscenza, conoscenza completa che è propriamente l'obiettivo della scienza.
Ciò spiegherebbe perchè la scienza nel suo progredire, di cui la mq è una tappa significativa, diventi sempre più incomprensibile.
Viceversa una teoria tanto più è comprensibile per noi quanto più è fatta di metafisiche condivise.
Così se la teoria verte sulla dinamica delle palle da biliardo la cui natura a tutti noi è evidente, essa sembra a noi comprensibile.
Questo significherebbe che alla base della comprensione non vi sia la conoscenza in sè, ma una conoscenza che si serva di evidenze a tutti noi comuni.
Ciò che rende incomprensibile in modo intrinseco la mq è la mancanza di evidenze, o altrimenti detto l'essere una conoscenza pura.
Poi se vogliamo possiamo anche parlare della doppia fenditura, ma come vedi non è stato necessario farlo in modo stretto per fare un pò di filosofia, anche se il discorso filosofico da li è partito.
Poi ognuno potrà provare a dire la sua su questa apparente contraddizione, che più sappiamo e meno ci sembra di capire.
la conoscenza quindi non ci aiuterebbe a capire, ottenendo anzi l'effetto contrario.
Ma come potremmo continuare a vivere in un mondo che più non comprendiamo?
La risposta è conoscendolo, laddove la comprensione è un modo alternativo di viverlo.
E' per questo che nel passaggio dal mondo che comprendiamo al mondo che conosciamo il nostro mondo sembra svanire, ma in effetti si sta solo trasformando insieme a noi, perchè è a noi che quel mondo è legato, seppur ricavato dalla interazione con una realtà che se ne sta dietro alle quinte delle nostre rappresentazioni.
Il mondo in cui viviamo dice della realtà quanto dice di noi in modo inestricabile, e si trasforma perciò insieme a a noi.
1. PRINCIPIO DI MONDANITA': il mondo è costituito da cose situate nello spazio e che si evolvono nel tempo, la cui esistenza è dipendente da chi le osserva.
.2. PRINCIPIO DI ''COSITA' '': se il comportamento di una cosa sembra essere influenzato in modo istantaneo da azioni fatte su una altra cosa, allora le due cose sono da considerare una.
Un corollario di questo principio è ciò che ben sapevamo, e cioè che il comportamento di una cosa non ha effetti su se stessa.
Per gioco filosofico si può provare ad inquadrare vecchi e nuovi fatti dentro a questi strambi principi, che potremmo quindi provare a definire meglio insieme per tentativi ed errori, posto che di principi non strambi non ne esistono.
E' sufficiente infatti guardarli da sufficientemente vicino per scoprire la stramberia di ogni principio, vecchio e nuovo, che solo l'abitudine ci fà vedere come normale.
il ruolo della filosofia, come la intendo io, non è adagiarsi sulle evidenze, ma scoprire le stramberie che stanno dietro alla normalità.
Citazione di: Ipazia il 04 Giugno 2024, 23:46:33 PMRagionare per sistemi non implica ridurre i sistemi complessi a sistemi semplici, ma isolare quei sistemi che possono essere gestiti in maniera semplice all'interno di un sistema complesso. L'utilità di tale operazione è evidente se pensiamo alla trasfusione di sangue correlata alla conoscenza del sistema circolatorio. Con tale operazione non si riduce un sistema complesso come quello umano alla circolazione del sangue.
è quello che fa la fisica analitica , scomporre, sezionare, ricomporre il tutto...qual'è il problema di questa prospettiva Cartesiana? ma ancora più importante , che cos'è la complessità? tenterò di rispondere prima a quest'ultima domanda dopo di che dovrebbe essere più semplice rispondere alla prima.
L'interazioni tra le parti di un sistema genera delle propietà che non appartengono alle partiEs. l'acqua, H2o (idrogeno e ossigeno) a temperatura ambiente si presenta liquida ma a temperatura ambiente dei suoi componenti costitutivi ovvero idrogeno e ossigeno sono gassosi. La propietà liquida non è una propietà degli elementi che compongono l acqua ma la propietà liquida emerge dalla loro interazione.
altro es. Un neurone non pensa , il pensiero non è una propietà del singolo neurone ma della loro interazione con le sinapsi e tra neuroni. .
Ritornando alla prima domanda allora che cosa bisogna fare? dovrebbe essere evidente che il caro vecchio metodo Cartesiano , nel gergo odierno chiamato Riduzionismo (perchè si riduce in parti il problema) si capisce che non è più sufficiente . Allora bisogna considerare non solo le parti ma anche l'interazione tra le parti e quindi non basta analizzare e dividere in parti semplici ma bisogna avere un approccio di tipo sistemico (termine caro a pensaperbene) .
La vecchia fisica cercava nell infinitamente piccolo le ragioni dell infinitamente grande in una logica di causa/effetto . Poi la fisica ha scoperto "il passaggio di scala" e l'emergere della complessità. Per fare un analogia è come una casa a più piani dove hai livelli inferiori ci sono le parti elementari ma quando si sale di piano si trovano delle propietà che sotto non ci sono!. Questo è il fenomeno dell emergenza, ovvero le particelle interagendo fanno emergere delle propietà che altrementi non si trovano. Si capisce quindi che non è più possibile fare come ci indicava Cartesio di prendere un fenomeno, scomporlo in parti , trovare la soluzione nelle parti, ricomporre il tutto e quindi risolvere il problema.
Citazione di: Ipazia il 04 Giugno 2024, 23:46:33 PMCosa si intende e come opera il "finalismo biologico ?
anche qui la domanda necessita di argomentazione. Come ho detto l'esempio più evidente di sistema complesso è la vita biologica. Gli organismi viventi rappresentano l'esempio supremo di materia attiva.Essi rappresentano la forma più sviluppata che conosciamo di materia ed energia organizzata. Essi incarnano tutte le caratteristiche ;crescita, adattamento, complessità , dispiegamento di forme, varietà, impredicibilità che si possano trovare nei manuali di fisica classica e quantistica. Chiediamoci ora se la vita può essere ricondotta alla fisica. I biologi riduzionisti sostengono che una volta che i meccanismi fisici di base che operano in un organismo biologico sono stati identificati , la vita si spiega come nient'altro che un normale processo fisico ordinario. Sostengono che , poichè ciascuna componente di un organismo vivente non rileva alcuna indicazione dell esistenza di forze speciali , la vita è stata di fatto già ridotta alla fisica e alla chimica ordinaria. Ammetiamo pure che questo biologo abbia ragione su questo punto. è ancora ben lungi , in realtà, dall avere spiegato la vita con la fisica. Piuttosto viene semplicemente ridefinita. Perchè se la materia inanimata e quella animata sono indistinguibili per quanto riguarda il loro comportamento secondo le leggi fisiche , in che cosa consiste la distinzione cruciale fra sistemi viventi e non viventi? il mistero della vita non sta tanto nella natura delle forze agenti sulle singole molecole che costituiscono un organismo , ma nel modo in cui l'intera struttura si comporta collettivamente in maniera coerente e cooperativa , sono propietà emergenti che non eisistono nei singoli costituenti dell organismo. La biologia non si riconcilierà mai con la fisica finchè non si riconoscerà che ciascun nuovo livello di organizzazione gerarchica della materia porta alla luce nuove qualità che sono semplicemente irrilevanti a livello atomistico.
Benchè la casualità finale venga respinta con forza dagli scienziati il sapore teleologico posseduto dai sistemi biologici è innegabile . Monod lo esprime così "l'obbiettività ci obbliga tuttavia a riconoscere il carattere teleonomico degli organismi viventi , ad ammettere che nella loro struttura e nei loro atti essi decidono secondo uno scopo e lo perseguono. Qui perciò, almeno in apparenza , si trova una profonda contraddizione epistemolgica" . Qual'è la contraddizione epistemolgica riguardo la struttura e agli atti dei sistemi fisici viventi che alludeva Monod? perora mi fermo qui.
Citazione di: iano il 05 Giugno 2024, 13:28:39 PMda quello che qui scrivi invece sembrerebbe che la comprensione si concluda con la conoscenza, però Bohr ha piena conoscenza della mq, ma dichiara di non averla capita, e azzarda perfino che non l'ha capita chi dichiara di averla capita.
Dunque non sembra che l'incomprensione sia dovuta ad una mancanza di conoscenza, ma che l'incomprensibilità sia una caratteristica della mq, ed è per questo che se dici di averla capita...allora non l'hai capita.
Quindi mi chiedo, cos'è che rende una teoria intrinsecamente comprensibile oppure no?
Ti avevo gia risposto. E mi aspettavo una risposta su quello che ho detto. Tu dici alla fine che non c'è nemmeno bisogno di parlare della doppia fenditura o piu in generale di quello che dicono gli esperimenti rispetto al modello fisico proposto, secondo me ti sbagli. In piu ci sono le previsioni che sono sempre rispettate e questo lo devi ammettere. Non comprendi perchè sono rispettate le previsioni? Perchè il modello funziona. Cosa non comprendi?
La questione sulla non comprensione deriva dal fatto che non è prevedibile il risultato di ogni misura. Ma se uno pensa che dovrebbe essere comprensibile anche quello allora potrebbe supporre che il modello sia incompleto. Come voleva Einstein. Ma gli esperimenti successivi hanno dimostrato che non c'è piu nulla da comprendere.
Sempre che, rispettando le previsioni della m.q. e gli esisti degli esperimenti, si voglia invocare un'altra teoria che renda quel modello piu completo, cioè dove ogni esito sia prevedibile.
Ma se attualmente non c'è, dovremmo per lo meno concedere alla natura di non averlo inserito nel suo programma.
Se nonostante tutto continuiamo a non comprendere... la natura se ne farà una ragione. Non riusciremo a piegare la natura alla nostra comprensione. Siamo noi che dobbiamo salire al suo livello di programmazione.
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 22:14:37 PMTi avevo gia risposto. E mi aspettavo una risposta su quello che ho detto. Tu dici alla fine che non c'è nemmeno bisogno di parlare della doppia fenditura o piu in generale di quello che dicono gli esperimenti rispetto al modello fisico proposto, secondo me ti sbagli. In piu ci sono le previsioni che sono sempre rispettate e questo lo devi ammettere. Non comprendi perchè sono rispettate le previsioni? Perchè il modello funziona. Cosa non comprendi?
Il tema non è la MQ, sebbene possiamo prendere spunto da essa per criticare i principi di realtà e di località.
Mi sembra da quello che scrivi che tu la MQ la capisci, per cui secondo Bohr in effetti non l'avresti capita.
Quindi a meno che non abbia frainteso tu una risposta me l'hai data.
Perchè io non ho risposto a te?
Se apri una discussione sulla meccanica quantistica non mancherò di risponderti.
Citazione di: iano il 05 Giugno 2024, 23:06:40 PMIl tema non è la MQ, sebbene possiamo prendere spunto da essa per criticare i principi di realtà e di località.
Mi sembra da quello che scrivi che tu la MQ la capisci, per cui secondo Bohr in effetti non l'avresti capita.
Quindi a meno che non abbia frainteso tu una risposta me l'hai data.
Perchè io non ho risposto a te?
Se apri una discussione sulla meccanica quantistica non mancherò di risponderti.
scusa forse devo aver capito male o peggio non sono stato attento al tuo incipit
tu scrivi all'inizio:
Con un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale. Posso chiedere quale sia questo esperimento?
Citazione di: Il_Dubbio il 05 Giugno 2024, 23:44:20 PMscusa forse devo aver capito male o peggio non sono stato attento al tuo incipit
tu scrivi all'inizio: Con un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale.
Posso chiedere quale sia questo esperimento?
Avrei dovuto mettere subito il link.
Era la prima cosa che appariva nella mia ricerca su Google, dove invece adesso appare la nostra discussione.
Non riesco più a trovarlo.
Ma comunque per è stato solo il motivo di aprire una discussione sui principi di località e di realtà dal punto di vista filosofico.
Sarebbe bello se tu mettessi insieme un pò di materiale aprendo una discussione sulla meccanica quantistica nella sezione scienza.
@Alberto Knox L'approccio analitico si è rivelato oltrmodo fecondo nel risolvere enigmi "locali" a partire dai fenomeni piuttosto che da pregiudizi metafisici. Ovvero, come replica il dubbioso a iano: la natura funziona in un certo modo e tocca al nostro intelletto adeguarsi alle cose e non viceversa.
Tacciare ciò di riduzionismo significa fare un processo alle intenzioni prendendo la parte (lo scientismo) per il tutto (la ricerca).
L'acqua è fatta di H e O, ma è un "essente" diverso. Non c'è altro da capire a livello metafisico. Così come non trovo contraddizioni epistemologiche nell'intenzionalità della biologia rispetto alla realtà minerale. Una volta che la materia ha imparato a generarsi e riprodursi, a muoversi e doversi procacciare il sostentamento, segue naturalmente che affinerà ciò di cui è dotata per mantenersi in vita. Il teleologismo biologico è implicito nel suo
stato, non
riducibile alla condizione minerale e ancor meno subatomica.
Come piuttosto fanno i metafisici quantistici al pari degli scientisti veterocartesiani. (Oggi neppure Cartesio, che fu persona intelligente, sosterrebbe l'homunculus di Elon Musk).
Citazione di: Ipazia il 06 Giugno 2024, 07:50:43 AM@Alberto Knox
come replica il dubbioso a iano: la natura funziona in un certo modo e tocca al nostro intelletto adeguarsi alle cose e non viceversa.
Ancor più che adeguarsi alla natura il nostro intelletto ne è una parte che nel tempo prende coscienza del suo adeguarsi che avviene sgomitando col resto della realtà.
Come sarebbe bello se potessimo dare una sbirciata nel futuro per osservare l'adeguamento che verrà!
Ma il modo in cui l'adeguamento è avvenuto possiamo osservarlo, potendoci ancora immedesimare in Aristotele, ciò che equivale a un viaggio nel passato, con viaggio di ritorno nel futuro, fino ad oggi.
E' ragionevole infatti assumere che le modalità non cambino, anche se ogni volta tutto sembra radicalmente nuovo, per il motivo che tendiamo a dare centralità al tempo che viviamo, e da ciò deriviamo che gli antichi erano in torto e noi invece siamo nella ragione, o viceversa, asseconda del tipo di distorsione temporale che sperimenta il nostro intelletto.
Ma nella misura in cui riusciamo ad immedesimarci coi nostri antenati noi viviamo più vite in una, perchè siamo in grado di rivivere l'adeguamento passato alla natura.
Questo dovrebbe consentirci di proiettarci nel futuro per cercare di intravedere quali nuovi principi lo governeranno.
Ma stante l'accelerazione con cui l'adeguamento avviene, ne siamo anche testimoni in tempo reale, e questo, nel bene e nel male, è un privilegio che alle generazioni passate non è toccato.
Citazione di: Ipazia il 06 Giugno 2024, 07:50:43 AM@Alberto Knox
L'approccio analitico si è rivelato oltrmodo fecondo nel risolvere enigmi "locali" a partire dai fenomeni piuttosto che da pregiudizi metafisici.
Si, ma la mia impressione è che il miglior modo di restare invischiati nella metafisica lo si ottiene cercando di liberarsene in modo pregiudiziale, perchè nell'acqua che non si vuole bere alla fine ci si annega.
Io, in questa discussione, siccome non sò mai dove andrò a parare, ammetto di aver constatato con un certo imbarazzo, di aver ribaltato la fisica in metafisica e viceversa, dal che ricavo l'impressione che le due cose siano quantomeno intrecciate più di quanto non ci piaccia pensare, cosicché nel tentativo di separarle stiamo di fatto ridefinendo in modo inconsapevole la nostra metafisica, spostando di qua e di la le cose dal confine.
Del progredire della nostra coscienza dovremmo fare punto fermo il fatto che l'incoscienza continua ad agire, e questa incoscienza è ciò che da potere alla metafisica, per cui quando ne parliamo è facile criticarla, perchè ne possiamo parlare solo quando, essendo entrata nell'orbita della coscienza essa ha di fatto perso il suo potere. Infierire sulla metafisica significa uccidere una metafisica già morta, mentre un altra, che silenziosamente ha preso il suo posto, continua a governarci.
Enunciare un principio metafisico equivale di fatto a suggerirne il futuro annuncio mortuario, così che nel momento che enunci il principio di realtà quella realtà ha i giorni contati.
Una metafisica viva non può che avere, come la vita reale, i giorni contati. Il guaio dei metafisici è quando insistono ad anteporre e opporre le mummie di metafisiche morte allo scorrere della vita del pensiero, correttamente sincronizzato a ciò che diviene (transeunte) patrimonio epistemico.
Essere postumi ha il vantaggio di possedere più punti di vista degli antichi sapienti, restando appollaiati sulle loro spalle, come da nota metafora (magari non sempre tra nani e giganti, ma talvolta sì, secondo buona prassi ermeneutica).
Citazione di: Ipazia il 06 Giugno 2024, 07:50:43 AML'approccio analitico si è rivelato oltrmodo fecondo nel risolvere enigmi "locali" a partire dai fenomeni piuttosto che da pregiudizi metafisici. Ovvero, come replica il dubbioso a iano: la natura funziona in un certo modo e tocca al nostro intelletto adeguarsi alle cose e non viceversa.
Sono d'accordissimo su questo, più calcoli ci sono e più analisi ci sono e meglio è per tutti. Non possiamo fare a meno di quella grande conoscenza derivante dall'approccio analitico. Sto dicendo se mai che così come ci sono problemi che possono e devono essere affrontati con l approccio riduzionista , esistono problemi che o verranno compresi con un approccio olistico o non verranno compresi affatto. Analisi e riduzione avranno sempre un ruolo centrale nella scienza ma non condivido il pensiero che questo ruolo debba essere esclusivo.
Citazione di: Ipazia il 06 Giugno 2024, 07:50:43 AML'acqua è fatta di H e O, ma è un "essente" diverso. Non c'è altro da capire a livello metafisico
ma questi esempi non sono esempi metafisici, sono fisici. Ne vuoi un altro? guarda i colori attorno a te. Il colore non è una propietà delle particelle elementari ma una volta che si trovano a comporre l'atomo la loro intereazione comporta assorbimento della luce esterna a rimanda (riflessione ) la radiazione elettromagnetica che non viene assorbita. Il colore che vediamo emerge da un interazione, esso non esiste indipendentemente dall interazione.
Citazione di: Ipazia il 06 Giugno 2024, 07:50:43 AMCosì come non trovo contraddizioni epistemologiche nell'intenzionalità della biologia rispetto alla realtà minerale. Una volta che la materia ha imparato a generarsi e riprodursi, a muoversi e doversi procacciare il sostentamento, segue naturalmente che affinerà ciò di cui è dotata per mantenersi in vita. Il teleologismo biologico è implicito nel suo stato, non riducibile alla condizione minerale e ancor meno subatomica.
Non è riconducibile alle parti costitutive perchè il funzionamento organizzato dei sistemi biologici non può essere spiegato da una teoria secondo la quale ogni atomo è semplicemente attratto o respinto alla cieca dai suoi vicini senza riferimento alcuno a una struttura globale (approccio olistico). Qual'è dunque la contraddizione epistemologica a cui si riferiva Monod? gli elementi di cui siamo composti sono tali e quali a quelli della tavola di Mendelev le quali presentano le medesime caratteristiche chimiche e fisiche e soggetti alle medesime forze fisiche , per un biologo riduzionista esclusivo ( ricordo che Monod era un biologo riduzionista) questo basta e avanza per affermare che l'insorgere della vita può essere interamente spiegato come ad un normale processo fisico. Bene, ma è propio grazie ai meraviglisi progressi della biologia moderna che possiamo ora comprendere nel dettaglio lo scontro fra due idee antiche che risalgono all atomismo di Democrito e la teleologia olistica di Aristotele. Come possono i singoli atomi , muovendosi obbedendo rigorosamente alle leggi causali della fisica e rispondendo solo a forze
locali prodotte dagli atomi vicini , agire tuttavia collettivamente in maniera intenzionale, organizzata e cooperativa su scale di grandezza enormemente più grandi rispetto alle distanze intermolecolari?
Questa è la profonda contraddizione epistemologica di Monod citata in precedenza.
A dispetto della decisa propensione meccanicistica dei biologi moderni , una tale contraddizione prima o poi si manifesta inevitabilmente se si tenta di ridurre tutti i fenomeni biologici alla fisica molecolare.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Giugno 2024, 15:52:00 PMIl colore non è una propietà delle particelle elementari ma una volta che si trovano a comporre l'atomo la loro intereazione comporta assorbimento della luce esterna a rimanda (riflessione ) la radiazione elettromagnetica che non viene assorbita. Il colore che vediamo emerge da un interazione, esso non esiste indipendentemente dall interazione.
Però finché i diversi approcci, riduzionista od olistico, non fanno i conti con l'osservatore, rimane sempre qualcosa che non quadra.
Facendo questi conti è possibile che nulla esista indipendentemente dall'interazione dell'osservatore con l'osservabile realtà, che perciò non è fatta dai prodotti di questa interazione, e l'esistenza perde il suo significato, come di ciò che è evidente che sia.
Se però noi assumiamo che la realtà di quelle cose sia fatta (principio di realtà) non dobbiamo sorprenderci del fatto che poi non tutto quadra, ma dovremmo sorprenderci del contrario, cioè del fatto che le cose sembrano quadrare abbastanza a seguito di quella assunzione.
L'assunzione del principio dunque ha una giustificazione, ma andrebbe considerato come il gioco di un umanità che deve ancora crescere, e che cresce giocando: ''Facciamo che la realtà sia fatta di questo e quest'altro''.
Ma che la realtà sia fatta di questo e quest'altro noi lo abbiamo sempre assunto senza bisogno di esplicitare tale assunzione in un principio di realtà, apparendoci ciò evidente, per cui nel momento in cui questa esplicitazione avviene, significa che l'umanità è cresciuta, avendo preso coscienza del suo gioco di simulazione della realtà.
La luna non esiste quando non la osserviamo, ma assumere che esista anche quando non la osserviamo funziona, finché funziona...
Ma il problema non è che a un certo punto ci accorgiamo che la nostra assunzione non funziona, ma che non ce lo aspettavamo.
Se ce lo fossimo aspettato che prima o poi avrebbe fallito, avremmo considerato ciò come normale.
Oggi che una teoria prima o poi non funzioni, è un fatto atteso (falsificabilità).
Possiamo provare a sostituire il principio di realtà con altro principio che sembri meglio funzionare, ma restando sempre in attesa di sue possibili disfunzioni, se non andandole proprio a cercare, sapendo che sempre ci sono, perchè giocare di anticipo con le sue previsioni è nella natura della scienza.
Paradossalmente sancire ''l'evidente realtà'' con un principio, significa mettere in discussione quelle evidenze, perchè si può sempre negare ciò che si afferma, mentre non si può negare ciò di cui manca una affermazione.
E fino a un certo punto, questa è stata per noi la natura di ciò che è evidente, come di ciò che non si può negare,
finché non abbiamo messo nero su bianco il principio di realtà
Quando qualcuno ha affermato che ''l'essere è ciò che è'' si sentiva davvero la mancanza di questa affermazione, che oltretutto ha dato adito ai detrattori della filosofia di affermarne la vanità?
E' un pò come se l'essere sentendosi maltrattato avesse tentato una difesa con un:
- Lei non sa chi sono io.
- Anvedi, e chi saresti tu?
- Io sono quel che sono.
- Oh mamma! Che paura... :D
Citazione di: iano il 06 Giugno 2024, 16:46:05 PMPerò finché i diversi approcci, riduzionista od olistico, non fanno i conti con l'osservatore, rimane sempre qualcosa che non quadra.
Facendo questi conti è possibile che nulla esista indipendentemente dall'interazione dell'osservatore con l'osservabile realtà, che perciò non è fatta dai prodotti di questa interazione, e l'esistenza perde il suo significato, come di ciò che è evidente che sia.
Questo mi ricorda molto la provocazione filosofica "che rumore fa un albero che cade in una foresta se nessuno l ascolta"
Quello che noi chiamiamo "colore" è un onda elettromagnetica di una certa frequenza. Non c'è alcun motivo plausibile di dubitare che essa non si propaghi in assenza di un osservatore allo stesso modo di quello che noi chiamiamo "rumore" è un onda longitudinale che si propaga nell aria misurabile in Hz. Non c'è motivo di credere che essa non si propaghi in assenza di osservatore. Noi queste onde le abbiamo rilevate, con dispositivi , con la vista, con l'udito , non li abbiamo in alcun modo create e tanto meno dipendono da noi.
Citazione di: iano il 06 Giugno 2024, 16:46:05 PMe l'esistenza perde il suo significato, come di ciò che è evidente che sia.
l'esistenza precede l'essenza, in termini antropologici, l'esistenza viene prima di ogni suo significato. Ebbene che significato ha il colore, il suono, la luce, il vento, la rugiada , un albero , un cane? nello stesso momento che io le pronuncio è implicita la loro definizione. Infatti c'è una relazione stretta fra la parola "cane" e un cane. Non sembra esserci nulla di tutto questo nel mondo naturale, un evento fisico di per sè non significa niente!
Pensandoci sembra il compito che Dio diede ad Adamo ed Eva nel giardino dell Eden, "darete il nome agli animali, ai diversi tipi di frutta, agli alberi e ad ogni altra cosa presente nel mondo" in un certo senso il lavoro naturalistico che fece Aristotele. Siamo noi con la nostra interazione nel mondo e coscienza di quel che accade o non accade a dare significato a quegli oggetti e a quei fenomeni che si manifestano ai nostri sensi e non solo ai nostri sensi.
La vista è strutturata evolutivamente per vedere colori, e li vede anche se non sa nulla di ottica. Nessun ricercatore degno di questo nome riduce la complessità biologica a meccanica, semmai lo fanno i metafisici quantistici che vorrebbero spiegare tutta la realtà riducendola a interazione di particelle subatomiche, intenzionalità compresa.
La grande contraddizione epistemologica dell'olismo è che non avendo mai cognizione del tutto finiamo col non avere cognizione di nulla. Insomma: un cul de sac permanente, surrogato da narrazioni.
L'approccio analitico invece limita il suo ambito di postulazione alle fenomenologie che ha gli strumenti per testare, astenendosi da eccessi narrativi. Sapendo, ormai lo sanno anche i bambini, che tutto è correlato, e senza scomodare l'universo tutto, alla stella attorno a cui orbita il nostro pianeta.
Citazione di: Ipazia il 06 Giugno 2024, 21:21:13 PMLa vista è strutturata evolutivamente per vedere colori, e li vede anche se non sa nulla di ottica.
Attenzione Ipazia, questa non è una buona risposta in base alla discussione che stavamo avendo . il tutto equivale alla somma delle sue parti? un riduzionista convinto forte della filosofia atomistica direbbe di sì. Io ti ho mostrato come questo assunto non può essere vero. perchè il colore come lo stato liquido dell acqua e come il pensiero non sono propietà che si trovano nelle parti costitutive di questi sistemi. Essi affiorano, appunto emergono, dall interazione globale di tali costituenti nel sistema e con le relazioni che tale sistema ha con altri sistemi. Sto dicendo delle cose ben risapute fra l'altro. Un motore endotemirco nel suo insieme rappresenta un sistema di meccanismi ma esso al contrario di un sistema biologico non è un sistema complesso, è un sistema complicato e con un aprroccio analitico lo si può smontare e rimontare all infinito ed esso funzionerà sempre nel medesimo modo. Risulta evidente che questo non si può fare con un essere vivente. l 'analisi si è forse fermata per questo? certo che no, ha sezionato e sperimentato sull embrione , si è letteralmente amputato l'embrione andando in contro a problematiche dello sviluppo embrionale, sono loro stessi che trovano questi problemi e cercano di rispondere non sono io che le faccio. è evidente che il "progetto" per il prodotto finito è di natura molecolare , il problema è allora di capire in che modo la configurazione spaziale di qualcosa che ha le dimensioni di parecchi centimetri possa essere organizzata a livello molecolare. Considera il fenomeno della differenzazione cellulare. Come fanno alcune cellule a sapere che devono diventare cellule ematiche o le cellule del becco di un pulcino o delle sue zampette mentre altre devono diventare parte dell intestino o della spina dorsale? Vi è poi il problema del posizionamento nello spazio. In che modo una determinata cellula sa qual'è la sua posizione in relazione alle altri parti dell organismo di modo che essa possa "trasformarsi" nel giusto tipo di cellula per il prodotto finito diciamo del becco? e per estensione dell intero organismo? legato a queste difficoltà è il fatto che benchè parti diverse dell organismo si sviluppano differentemente , tutte contengono lo stesso DNA. Se ogni molecala di Dna è in possesso dello stesso progetto globale per l'intero organismo com'è che cellule differenti eseguono parti differenti del progetto? vi è forse un metaprogetto che dice a ciascuna cellula quali parti del progetto complessivo essa deve eseguire? se è così dove si trova questo metaprogetto? nel DNA? ma in questo modo si va avanti all infinito. Attualmente i biologi stanno affrontando questi problemi con la teoria dell attivazione genica, benchè si siano fatte scoperte eccitanti in tal senso esse riguardano solamente il "meccanismo" della morfogenesi , ma non riescono a svelare il mistero più profondo di come tale meccanismo sia costretto ad obbedire ad un progetto globale.
La vera sfida è quella di dimostrare in che modo interazioni locali possono esergitare un controllo globale. Ed ecco perchè mi interessano gli studi dei sistemi complessi che ho cercato di condividere con voi.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Giugno 2024, 19:44:40 PMQuesto mi ricorda molto la provocazione filosofica "che rumore fa un albero che cade in una foresta se nessuno l ascolta"
Quello che noi chiamiamo "colore" è un onda elettromagnetica di una certa frequenza. Non c'è alcun motivo plausibile di dubitare che essa non si propaghi in assenza di un osservatore allo stesso modo di quello che noi chiamiamo "rumore" è un onda longitudinale che si propaga nell aria misurabile in Hz. Non c'è motivo di credere che essa non si propaghi in assenza di osservatore. Noi queste onde le abbiamo rilevate, con dispositivi , con la vista, con l'udito , non li abbiamo in alcun modo create e tanto meno dipendono da noi.
Quello che noi chiamiamo colore è un prodotto dell'interazione fra un osservatore e la realtà.
In mancanza dell'osservatore vi sarà pure un onda elettromagnetica, ma nessun colore, senza così aver privato la realtà di alcun suo componente.
Non è difficile convincersi di questo, difficile è convincersi che non vi sia neanche l'onda elettromagnetica finché uno spettrometro non la rileva.
Quello che noi facciamo applicando il principio di realtà, è assumere che l'onda vi sia anche quando nessuno la rileva, e tale assunzione sembra funzionare, dal che si potrebbe ricavare che l'onda vi sia di per sè, avendo prodotto una prova, seppur indiretta, della sua esistenza in continuità.
Tutto ciò sembra ragionevole, ma cosa succede poi se la prova indiretta di esistenza non viene prodotta?
Succede che il fatto verrà rifiutato, in un contesto in cui pur si era dichiarato che solo i fatti contassero, cadendo in contraddizione.
Quindi pur di mantenere la ragionevole assunzione si è disposti a sostenere le più improbabili congetture, al fine di giustificare gli inattesi fatti, come variabili nascoste e quant'altro. Si è disposti così a scalare le ipotesi più impervie rifiutando quelle piane.
Se il principio di realtà lo chiamassimo più correttamente principio di centralità dell'osservatore, forse lo considereremmo meglio per quel che è.
Se noi siamo gli unici osservatori in discorso, dire che la realtà è indipendente da chi la osserva, equivale a dire che è indipendente da noi, ma questo è un modo sottile di dire che noi siamo osservatori assoluti.
Con me Alberto sfondi una porta aperta sulla complessità certosina del biologico umano, che l'evoluzione ci ha messo milioni di anni terrestri a perfezionare e gli affaristi stregoni della $cienza M€dica ci mettono meno che niente a sconquassare.
Evoluzione che ha tarato perfettamente la sensorialità dei viventi al complesso fisico-chimico-biologico dell'ambiente che li circonda, convertendo onde elettromagnetiche in colori, molecole organiche in odori e sapori. Un meraviglioso "meccanismo" infinitamente superiore alle più complesse cianfrusaglie artificiali che sappiamo produrre.
E che pure il più olistico ricercatore riesce a comprendere non più di una talpa in un supermercato ...
Citazione di: iano il 06 Giugno 2024, 22:55:25 PMIn mancanza dell'osservatore vi sarà pure un onda elettromagnetica, ma nessun colore, senza così aver privato la realtà di alcun suo componente.
il colore
è l'onda elettromagnetica Iano, siamo noi a rilevarla e la chiamiamo colore. Gli abbiamo dato noi il nome colore.
L'esistenza di un essere senziente su un pianeta nell universo in grado di rilevare tale onda vedendola e chiamandola colore è senz altro un aspetto significativo. è tale essere a dare significato alle cose e a riconosce un cane come un cane, un albero come un albero e così via. lungi da me presentare l'osservatore come un inutile accidente casuale cosmico. la scienza, la vera scienza , (non quella di parte) suggerisce che l'esistenza di organismi coscienti è un aspetto
fondamentale dell universo. Sono convinto che nelle leggi naturali che han permesso l'esistenza siamo iscritti in maniera significativa. Un evento fisico di per sè non significa niente fino a quando da tale evento scaturisce una mente cosciente in grado di dare significato ai fenomeni fisici dalle iterazioni microscopiche dell infinitamente piccole a quelle dell infinitamente grande o più semplicemente ai fenomeni luminosi , ai temporali ecc. l'universo ha generato , attraverso degli esseri coscienti, la consapevolezza di sè. è questo è sicuramente un fatto di importanza fondamentale. Non può essere in alcun modo un dettaglio banale.
Citazione di: Ipazia il 06 Giugno 2024, 23:01:14 PME che pure il più olistico ricercatore riesce a comprendere non più di una talpa in un supermercato ...
bhè, questo è da vedere immagino.
La realtà dal punto di vista dell'osservatore cosciente (perchè poi in sintesi mi pare di capire che questo voglia puntare Iano) ha due opzioni possibili:
1) ciò che sta sotto la nostra osservazione non muta il suo meccanismo nel tempo, per cui noi osserveremo sempre la stessa identica cosa
2) la nostra percezione cambia repentinamente quindi nonostante il meccanismo sottostante sia rimasto immutato percepiremo diversamente la realtà sottostante.
Fisicamente parlando il principio di realtà è un'altra cosa. Qui non si sta parlando mi sembra del principio fisico ma di quello "psicologico" o soggettivo di chi osserva.
Chiaramente non possiamo eliminare del tutto la maschera.
In tutti i modi il problema è noto e si tenta di porre rimedio.
Ne dico solo una: se qualcuno fa un esperimento e trova una cosa strana come risultato, lo stesso esperimento viene ripetuto altre volte ragionando piu volte su possibili condizionamenti dovuti anche a situazioni particolari o soggettive.
Quando lo stesso esperimento avesse riscontrato gli stessi esisti dopo aver aggiustato possibili condizionamenti, solo allora viene proposto come un fatto.
Quello che accade nell'esperimento è ritenuto il più scevro dai condizionamenti soggettivi.
Al limite il condizionamento potrà essere collettivo. Cioè se tutti vediamo la stessa cosa allora o siamo tutti condizionati allo stesso modo, oppure la realtà sottostante è proprio cosi come ci appare.
Per quanto riguarda ad esempio l'onda elettromagnetica (faccio un esempio) che ci fa vedere il colore, in che modo possiamo condizionarla? Al limite se non ci fosse un osservatore il colore non si rivelerebbe al nostro occhio (e potrebbe anche essere un occhio daltonico). Ma possiamo dire lo stesso dell'onda elettromagnetica? Esiste la possibilità che l'onda elettromagnetica sia daltonica? ;D
Citazione di: Alberto Knox il 06 Giugno 2024, 23:51:19 PMbhè, questo è da vedere immagino.
C'è poco, anzi molto, da vedere. Basta fare la spettrometria di massa di un olio essenziale di un fiore per vedere con che facilità la natura sintetizza molecole complesse rispetto ai nostri arrancanti laboratori.
E con quanta delicatezza entropica un microrganismo riesce a produrre CO2, mentre è indaffarato in qualche gioiosa (per noi) sintesi chimica da zuccheri ad alcol (etilico), rispetto alla nostra cialtronesca modalità tecnologica di produzione di CO2, bestemmia entropica che sta all'origine stessa del nostro destino tecnoscientifico.
E che dire dell'ingegnoso ciclo dell'acqua, ingegneria possente da far impallidire la supponenza tecnologica umana.
Per un estimatore del teleologismo biologico non dovrebbero esserci ostacoli alla condivisione della infinita superiorità dell'evoluzione naturale rispetto ai nostri muggiti tecnoscientifici.
Non c'è proprio partita.
Citazione di: Ipazia il 07 Giugno 2024, 17:15:14 PMBasta fare la spettrometria di massa di un olio essenziale di un fiore per vedere con che facilità la natura sintetizza molecole complesse rispetto ai nostri arrancanti laboratori.
E con quanta delicatezza entropica un microrganismo riesce a produrre CO2, mentre è indaffarato in qualche gioiosa (per noi) sintesi chimica da zuccheri ad alcol (etilico), rispetto alla nostra cialtronesca modalità tecnologica di produzione di CO2, bestemmia entropica che sta all'origine stessa del nostro destino tecnoscientifico.
E che dire dell'ingegnoso ciclo dell'acqua, ingegneria possente da far impallidire la supponenza tecnologica umana.
Per un estimatore del teleologismo biologico non dovrebbero esserci ostacoli alla condivisione della infinita superiorità dell'evoluzione naturale rispetto ai nostri muggiti tecnoscientifici.
alla luce di quanto hai scritto qual'è dunque il fondamentale problema di principio nello spiegare le forme biologiche in termini di fisica riduzionista?
Citazione di: Alberto Knox il 07 Giugno 2024, 17:50:19 PMalla luce di quanto hai scritto qual'è dunque il fondamentale problema di principio nello spiegare le forme biologiche in termini di fisica riduzionista?
L'ignoranza e la strafottenza. La natura è molto più avanti della nostra limitata intelligenza nel gestire il suo impero olisticamente. Noi siamo elefanti in una cristalleria. E ovunque ci muoviamo combiniamo danni.
Citazione di: Ipazia il 07 Giugno 2024, 18:51:56 PML'ignoranza e la strafottenza. La natura è molto più avanti della nostra limitata intelligenza nel gestire il suo impero olisticamente. Noi siamo elefanti in una cristalleria. E ovunque ci muoviamo combiniamo danni.
Vediamo quindi la mia risposta a tale quesito; Da quanto ho detto dovrebbe essere ormai chiaro che è la relazione fra le informazioni immagazzinate localmente e la manipolazione globale , olistica, essere al centro del "miracolo" della morfogenesi. Lo scienziato risce a scorgere chiaramente i fattori organizzatori operanti, per esempio, nello sviluppo dell embrione, ma ha solo una minima idea (o nessuna) della relazione esistente fra questi fattori e la fisica conosciuta. Sotto molti aspetti lo sviluppo dell embrione incarna il principale mistero della biologia, ovvero in che modo strutture e qualità completamente nuove possono emergere nella progressione dall inanimato all animato.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Giugno 2024, 23:43:38 PMil colore è l'onda elettromagnetica Iano, siamo noi a rilevarla e la chiamiamo colore.
La sensazione del rosso è causata dall'onda elettromagnetica.
L'effetto non è la causa.
La stessa onda può essere causa di uno spettro elettromagnetico.
Lo spettro elettromagnetico non è l'onda elettromagnetica.
Sono due processi analoghi, uno relativo alla percezione naturale, e l'altro relativo alla ''percezione scientifica''.
Da un punto di vista psicologico però la differenza c'è.
Infatti non diremo mai che la realtà sia fatta di spettri elettromagnetici, mentre saremo portati a dire, come tu infatti fai, che sia fatta di colori, scambiando la causa con l'effetto.
Non c'è un solo modo di interagire con la realtà, per cui diversi saranno i prodotti di queste interazioni, essendo tutti fatti della stessa sostanza, l'essere il prodotto di una interazione, per cui non possiamo ad essi riservare destini cosi diversi, di modo che uno lo si possa considerare come un costituente della realtà , e l'altro invece no.
Quindi o lo sono tutti o non lo è nessuno .
Tale conclusione scaturisce dal confronto fra i due diversi prodotti nel nostro esempio, mentre non poteva ciò dedursi dalla considerazione del solo colore.
Cioè finche' avevamo a che fare con un solo tipo di percezione, quello naturale, eravamo scusati a pensare che la realtà fosse fatta di colori.
Per salvare il principio di realtà tu potresti dire, non hai tutti i torti Iano, ma una cosa è un colore e un altra è una palla da biliardo, se non fosse che un robot percepisce un onda elettromagnetica o una massa usando gli stessi meccanismi, trattandoli a tutti gli effetti come fossero fatti della stessa sostanza, che sono dati digitali sottoposti ad elaborazioni che danno un risultato.
Diversamente, quando le macchine non esistevano, Platone salvava la realtà, ghettizzando i diversi gradi coi quali questa gli appariva l'essere, in diversi mondi a parte.
E' un operazione che noi abbiamo replicato, parlando di microfisica e macrofisica, ma la fisica è una sola e una è la realtà. Diversi sono i modi in cui ci si può rapportare con al realtà, e questi modi sono tutti relativi agli osservatori, perchè diversi gli osservatori fra loro, o perché lo stesso osservatore ne usa diversi, come facciamo noi.
Citazione di: iano il 07 Giugno 2024, 19:26:07 PMInfatti non diremo mai che la realtà è fatta di spettri elettromagnetici, mentre saremo portai a dire, come tu infatti fai, che sia fatta di colori
"colore" è il nomen che abbiamo dato alla res. io non direi mai che la realtà sia fatta di colori ovviamenre in quanto è fatta anche da cose che non si vedono e non si sentono ma non solo per questo.
Se la realtà fosse fatta di colori allora ad ogni colore dovrebbe essere associato uno spettro , la scomposizione dei colori al passaggio della luce attraverso un prisma indica che lo spettro è uno per tutti . Tecnicamente esiste il colore e non i colori e questo colore sarebbe il bianco . Il nero invece è l'unico colore che si può vedere in assenza totale di luce .
Citazione di: Alberto Knox il 07 Giugno 2024, 19:46:21 PM"colore" è il nomen che abbiamo dato alla res. io non direi mai che la realtà sia fatta di colori ovviamenre in quanto è fatta anche da cose che non si vedono e non si sentono ma non solo per questo.
Se la realtà fosse fatta di colori allora ad ogni colore dovrebbe essere associato uno spettro , la scomposizione dei colori al passaggio della luce attraverso un prisma indica che lo spettro è uno per tutti . Tecnicamente esiste il colore e non i colori e questo colore sarebbe il bianco . Il nero invece è l'unico colore che si può vedere in assenza totale di luce .
Quindi diresti che la realtà è fatta anche di colori.
Infatti io non ho detto che secondo te è fatta di colori di modo che questi esauriscano la realtà, tanto è vero che ho parlato anche di palle da biliardo, dando per scontato che anche quelle per te fossero costituenti della realtà.
Sicuramente la realtà poi sarà fatta anche di cose che non si vedono, non si sentono e non si misurano, finché non disporremo di strumenti nuovi per misurarle.
, dato che sarà improbabile sviluppare nuovi sensi all'uopo.
Piuttosto che concentrarci sui colori mi concentrerei sul sofisticato detector ingegnerizzato da mamma natura per convertire onde elettromagnetiche in colori e onde sferiche longitudinali attraverso un mezzo elastico in suoni. Concentrando tutti gli effetti in una cpu da fantamiliardi di byte. Ed è solo l'hardware. Mentre il software riesce a organizzare tutto ciò in azione e autocoscienza. Addà venì Scienziatone.
Riguardo all'embrione siamo già in ambito biologico e lo siamo pure nei gameti che lo hanno generato. Il salto tra inanimato e animato c'è già stato e non richiede ulteriori spiegazioni.
Citazione di: Ipazia il 07 Giugno 2024, 20:38:12 PMRiguardo all'embrione siamo già in ambito biologico e lo siamo pure nei gameti che lo hanno generato. Il salto tra inanimato e animato c'è già stato e non richiede ulteriori spiegazioni.
non posso certo reprimere le mie richerche perchè ad una povera Ipazia non piace che le si smonti il giocattolo meccanico riduzionista :D
Fammi un fischio quando trovi l'anima dell'embrione. Buona ricerca.
sono perfettamente consapevole di quanto ti abbia roso il culetto certe mie affermazioni ;) . Va bene , grazie Ipazia, puoi andare
A proposito di caduta di stile. Trovo penoso chiunque nasconde in un mare di parole la propria inadeguatezza. Più che altro mi rode il tempo perso a confrontarmi con simili personaggi.
Citazione di: Il_Dubbio il 07 Giugno 2024, 00:57:50 AMLa realtà dal punto di vista dell'osservatore cosciente (perchè poi in sintesi mi pare di capire che questo voglia puntare Iano) ha due opzioni possibili:
1) ciò che sta sotto la nostra osservazione non muta il suo meccanismo nel tempo, per cui noi osserveremo sempre la stessa identica cosa
2) la nostra percezione cambia repentinamente quindi nonostante il meccanismo sottostante sia rimasto immutato percepiremo diversamente la realtà sottostante.
Penso che la nostra percezione muti nel tempo in ragione di quanta coscienza usiamo, non essendo la coscienza in se necessaria.
Chi non usa coscienza vive nel mondo dell'evidenza, una specie di paradiso, ove non occorre alcuna conoscenza, perchè ogni cosa già appare per quel che è.
Da questo mondo, usando sempre più coscienza, ci stiamo allontanando, che è come uscire dal paradiso per gradi, e non per rovinosa caduta, come racconta la bibbia, che con la sua favola di Adamo ed Eva comunque in qualche modo ci ha azzeccato.
I mondi sempre più virtuali nei quali viviamo per alcuni sono un inferno dentro il quale scivoliamo piano piano.
Sembra dunque che abbiamo adesso due mondi fra i quali scegliere, ma in effetti noi possiamo scegliere solo l'inferno, perchè nel paradiso semplicemente ci siamo ritrovati.
CitazioneSotto molti aspetti lo sviluppo dell embrione incarna il principale mistero della biologia, ovvero in che modo strutture e qualità completamente nuove possono emergere nella progressione dall inanimato all animato.
A che mistero ti riferisci? I meccanismi della vita nei mammiferi, così come in tutte le altre specie, sono stati scoperti da diversi decenni in tutta la loro complessità. In breve, due strutture biologiche, dotate anch'esse di vita (poiché nascono e muoiono all'interno del nostro corpo) si fondono e sommano pressappoco il loro dna, l'uno con l'altra, essendo ognuna di esse dotata della metá circa del dna di un essere umano completo (in realtà la madre apporta più del 50 per cento, a causa del dna mitocondriale che è sempre materno). Il vero mistero non ancora risolto riguarda il passaggio, circa 3 miliardi e mezzo di anni fa dall'inorganico all'organico. Ovvero come sono nati i primi batteri e/o virus da materiale inorganico.
https://it.quora.com/Cosè-il-principio-di-realtà?top_ans=261942647
Citazione di: Jacopus il 08 Giugno 2024, 00:02:23 AMOvvero come sono nati i primi batteri e/o virus da materiale inorganico.
Andando di fantasia, mi viene da pensare che il primo passo, restando ancora nell'inorganico, potrebbe essere stato l'organizzarsi della materia in una struttura che funzioni come una memoria, cioè una specie di computer primordiale.
Il secondo passo, restando ancora nell'inorganico , è immaginare un sistema che mantenga la sua memoria.
Il movimento di due masse a seguito di un loro scontro potremmo riguardarlo ad esempio infatti come la registrazione di quell'evento, che però si cancellerà al prossimo scontro.
La meteria non strutturata sarebbe quindi come un computer che possieda un solo bit di memoria, che viene sempre cancellato riscrivendoci sopra, come succedeva per le vecchie musicassette. :)
Citazione di: Jacopus il 08 Giugno 2024, 00:02:23 AMA che mistero ti riferisci? I meccanismi della vita nei mammiferi, così come in tutte le altre specie, sono stati scoperti da diversi decenni in tutta la loro complessità. In breve, due strutture biologiche, dotate anch'esse di vita (poiché nascono e muoiono all'interno del nostro corpo) si fondono e sommano pressappoco il loro dna, l'uno con l'altra, essendo ognuna di esse dotata della metá circa del dna di un essere umano completo (in realtà la madre apporta più del 50 per cento, a causa del dna mitocondriale che è sempre materno). Il vero mistero non ancora risolto riguarda il passaggio, circa 3 miliardi e mezzo di anni fa dall'inorganico all'organico. Ovvero come sono nati i primi batteri e/o virus da materiale inorganico.
Stavamo parlando di morfogenesi. Nel caso dell embrione l'insieme iniziale di cellule che deriva da una singola cellula fecondata , forma una massa omogenea , ma con lo sviluppo dell embrione questa simmetria spaziale si spezza sempre più e lascia il posto ad una struttura incredibilmente complicata, ad es. un pulcino. L'idea dei biologi è che certi geni all interno della catena del DNA siano responsabili di particolari compiti inerenti allo sviluppo . Normalmente questi geni rimangono inattivi, ma al momento opportuno essi vengono in qualche modo attivati e intraprendono la loro funzione di regolazione . L'ordine in cui avviene l attivazione di questi geni è perciò estremamente importante. Se avviene un solo errore l'organismo può trasformarsi in un mostro con caratteristiche anatomiche nel posto sbagliato. Esperimenti eseguiti su mosche della frutta hanno prodotto molte mostruosità di questo tipo. Questa ricerca ha condotto all identificazione di un gruppo di geni principali chiamati "
Homeobox". Che sembra essere presente anche in altri organismi compreso l'uomo. La sua abiquità suggerisce che esso giochi un ruolo fondamentale nel controllare altri geni che regolano la differenzazione cellulare. Ma ancora una volta queste scoperte riguardano il "meccanismo" della morfogenesi ma da sole non possono svelare il mistero più profondo di come tale meccanismo sia costretto a obbedire a un progetto globale. La vera sfida è quella di dimostrare in che modo interazioni localizzate possano esercitare un controllo globale. è molto difficile capire come questo si possa spiegare in termini meccanicistici a livello molecolare di cui sopra.
Dal mio punto di vista non c'è alcun mistero. Ovviamente la natura si autoregola e questo processo è aiutato dal tempo, ovvero dai miliardi di anni che la vita ha accumulato in termini di esperienza, sulla Terra. Altrimenti non sarebbe riuscita a creare organismi così sofisticati come i mammiferi. Ripeto l'unico evento davvero ancora inspiegabile è il passaggio dall'inorganico all'organico. Ma i passaggi successivi sono piuttosto chiari, compresi tutti i meccanismi protettivi per non creare troppe mutazioni. La vita deve mutare perché l'ambiente muta e per farlo deve rispettare alcune condizioni, il risparmio di risorse, ma anche la differenziazione, l'equilibrio omeostatico, la ricerca di nuove strade evolutive. Ci si muove sempre fra stabilità e cambiamento, ma certi meccanismi sono stabili da quando la vita è emersa, e questo è un altro elemento sorprendente. Il dna ha creato una incredibile diversità di forme di vita ma il metodo è sempre lo stesso. Come se ci fosse un unico alfabeto con il quale sono stati scritti tutti i libri che noi conosciamo (con differenze marginali come quella del dna ordinato dentro il nucleo della cellula oppure situato casualmente - eucarioti e procarioti). Mi domando se ci sono stati altri esperimenti per creare la vita che noi non conosciamo, ma è davvero fonte di meraviglia il fatto che esista solo un metodo per la vita, animale, vegetale, funghina, microbica. Siamo tutti imparentati.
Citazione di: iano il 08 Giugno 2024, 01:13:15 AMhttps://it.quora.com/Cosè-il-principio-di-realtà?top_ans=261942647
La variabile nascosta può esserlo così bene da avere finora impedito di riscrivere, a livello di realtà quantistica, il principio di località. Includendo anche le realtà eretiche.
Salvando così entrambi i paradigmi. Del resto la ricerca dell' "anello mancante" è ancora in corso ed è un po' presto per annunciare la morte del principio di località, che rimane valido dall'atomo in su e per la stragrande maggioranza degli eventi quantistici. Non per motivi catechistici, ma perché i laboratori non possono fare a meno di ritenerlo valido. Anche quando analizzano lo spazio profondo e le particelle più arcane.
Citazione di: Ipazia il 09 Giugno 2024, 06:02:48 AMNon per motivi catechistici, ma perché i laboratori non possono fare a meno di ritenerlo valido.
Concordo, ma i laboratori portavano avanti il loro lavoro anche prima che il principio venisse enunciato, quindi secondo me il principio vale più come una presa di coscienza di come si lavora, e si lavora come se ciò che osserviamo fosse indipendente da noi, ma nel momento stesso in cui lo dichiariamo di fatto stiamo insinuando che così potrebbe non essere.
Quindi secondo me un principio non è ne vero ne falso, perchè un modo di lavorare non è ne vero ne falso.
Nella mia riflessione pongo cioè il fare avanti a tutto, notando che il fare non richiede in se coscienza, e quindi poi mi chiedo cosa cambia nel fare quando interviene la coscienza, e ciò che avviene è un passaggio dal concreto mondo delle evidenze agli astratti mondi della scienza.
Viceversa, un nuovo principio che non nasce dal fare, diventa un suggerimento su come diversamente fare.
La realtà esiste se io riesco ad agirvi dentro, prima ancora che perchè si para davanti a me in modo evidente.
Agire in base ad evidenze è cioè un modo di agire, ma non l'unico. Quindi se la mancanza di evidenze non compromette il fare, allora secondo me il problema non sussiste.
Mettendo il fare inanzi a tutto, siccome fra diversi modi di fare non vi è contraddizione, la contraddizione può nascere solo quando ad ognuno di questi diversi modi di fare associamo un un diverso mondo, mondi che quindi entrano in contraddzione nella misura in cui riteniamo che possa esistere un solo mondo.
Se però posizioniamo i diversi mondi, compreso quello a noi più abituale, fatto di evidenze, e quindi di cose che esistono di per se, fra noi e la realtà, allora l'unicità della realtà risolve la contraddizione.
In sostanza credo che se si rinuncia a una conoscenza diretta della realtà, per la quale il mondo delle nostre evidenze storicamente si candida , molte questioni da troppo tempo rimaste sospese si risolvono perdendo di senso.
Questo non significa dover rinunciare al mondo delle evidenze dove le cose esistono di per se, e possiamo anche decidere che sia l'unico mondo in cui vogliamo vivere, però bisognerebbe avere la consapevolezza che nel momento in cui ci scegliamo una nicchia in modo così esclusivo questo avrà delle conseguenze.
Il rischio è cioè che ci si divida per questioni di principio , rinchiudendosi ognuno nel mondo corrispondente al principio associato.
Quindi secondo me bisognerebbe alleggerire questi principi della loro inerzia realista, rendendone più agevole l'uso.
I nostri mondi infine non sono funzionali al nostro fare, ma nascendo invece dal nostro fare sono molto più che viziati dalle nostre osservazioni, in quanto le nostre osservazioni sono parte del nostro fare, che si scava la sua nicchia agendi dentro alla realtà, confondendola a volte noi con essa in ragione della consuetudine che vi abbiamo, consuetudine che ci fà apparire le cose come ovvie.
Agisco, dunque la realtà è, ed io ne sono parte.
Concordo, possiamo rinunciare a tutti i paradigmi riferiti alla realtà. Il mondo sopravvive indipendentemente da noi anche se non scomodiamo il "principio di realtà"; e il pallone necessitava di un calcio per muoversi anche prima che qualcuno parlasse di "località".
Il principio di causa-effetto è più difficile da rimuovere ed è impossibile fare ricerca in sua assenza: si tratti di un assassino o dell'entanglement. Nemmeno quast'ultimo vi sfugge: un elettrone cambia spin "se e solo se" un'azione esterna cambia lo spin del suo gemello.
Causalità fenomenologica rispettata. Quindi possibilità di indagare le cause più recondite.
Citazione di: Jacopus il 08 Giugno 2024, 22:10:43 PMDal mio punto di vista non c'è alcun mistero. Ovviamente la natura si autoregola e questo processo è aiutato dal tempo, ovvero dai miliardi di anni che la vita ha accumulato in termini di esperienza, sulla Terra. Altrimenti non sarebbe riuscita a creare organismi così sofisticati come i mammiferi. Ripeto l'unico evento davvero ancora inspiegabile è il passaggio dall'inorganico all'organico. Ma i passaggi successivi sono piuttosto chiari, compresi tutti i meccanismi protettivi per non creare troppe mutazioni. La vita deve mutare perché l'ambiente muta e per farlo deve rispettare alcune condizioni, il risparmio di risorse, ma anche la differenziazione, l'equilibrio omeostatico, la ricerca di nuove strade evolutive. Ci si muove sempre fra stabilità e cambiamento, ma certi meccanismi sono stabili da quando la vita è emersa, e questo è un altro elemento sorprendente. Il dna ha creato una incredibile diversità di forme di vita ma il metodo è sempre lo stesso. Come se ci fosse un unico alfabeto con il quale sono stati scritti tutti i libri che noi conosciamo (con differenze marginali come quella del dna ordinato dentro il nucleo della cellula oppure situato casualmente - eucarioti e procarioti). Mi domando se ci sono stati altri esperimenti per creare la vita che noi non conosciamo, ma è davvero fonte di meraviglia il fatto che esista solo un metodo per la vita, animale, vegetale, funghina, microbica. Siamo tutti imparentati.
Io ti parlo di Roma e tu mi parli di Milano. Io ti parlo di sviluppo e tu mi parli di evoluzione, ma che c'entra? lascio in sospeso la questione inerente l origine della vita e mostrerò che non è l'unico problema .
In un modo o nell altro la microscopica catena monodimensionale di informazioni genetiche deve esercitare un influenza coordinatrice , sia nello spazio che nel tempo, sull attività collettiva di miliardi di cellule disseminate in un immensa regione di spazio tridimensionale. Che relazione c'è fra le informazioni immagazzinate localmente in ciascuna cellula e la manipolazione globale che è di fatto necessaria per poter produrre l'organismo? lo sviluppo dell embrione procede per passaggi logici , ma dove sono le istruzione per ciascun passaggio? Come avviene che le strisce ampie vengano definite prima di quelle strette o che alcune ossa vengano posizionate prima di altre? Come sanno i geni del kit di montaggio quando entrare in azione per definire lo sviluppo della forma? Dove sono le istruzioni operative del kit degli attrezzi?
Nello studiare lo sviluppo dell embrione è difficile resistere all impressione che da qualche parte esista un progetto, o schema costruttivo, contenente le istruzioni necessarie per realizzare la forma completa. In qualche maniera, assai poco chiara , la crescita dell organismo in formazione è obbligata a obbedire a questo progetto. Sembra che l'organismo in via di sviluppo venga guidato verso il suo stato finale da un qualche tipo di agente supervisore globale. Questo senso del deestino ha indotto i biologi ad usare il termine "mappa presuntiva" (fate map) per descrivere l'apparentemente progettato sviluppo embrionale.
Alberto non sono un esperto di genetica ma qualche libro introduttivo l'ho letto, almeno per considerare che non parlo di Milano ma di Roma. Probabilmente sono informazioni che hai anche tu ma le ripeto ad maiorem gloria dei. Ogni cellula ha il dna che è una catena di quattro acidi dove sono depositate tutte le informazioni per creare l'organismo di cui fa parte quella cellula. Ovvero, in ogni cellula ci sono le informazioni per creare ogni altra cellula. Per rappresentare la complessità, il dna umano corrisponde alle informazioni che potrebbero essere contenute in 600 bibbie (se non ricordo male). Ad esempio la cellula del fegato ha, nel suo dna, tutte le informazioni utili per creare cellule dell'occhio o del femore o dell'intestino e viceversa. Però ogni cellula ha dei sopressori che permettono l'espressione genetica solo della cellula prevista. Pertanto la cellula del fegato riprodurrà attraverso il "libro" dna e il messaggero "rna" che porterà le informazioni necessarie per la produzione della nuova cellula, il cui materiale per produrla è stata immagazzinata e inviata attraverso il sistema circolatorio che ha reso disponibile il materiale alimentare che abbiamo ingerito. In questo processo può accadere che alcune informazioni non siano trascritte bene e quindi provocano delle mutazioni casuali, alcune delle quali nocive, alcune evolutive ed altre neutrali (la maggior parte). Quello che rende difficile la comprensione di questo processo è il tempo, visto che non siamo in grado, dati i nostri limiti vitali a rappresentarci archi di tempo, nell'ordine di miliardi di anni, che è il tempo della vita sul pianeta Terra. Quindi non capisco a quale tipo di mistero fai riferimento. I meccanismi della vita sono chiarissimi, evidenti e collegati alla teoria evoluzionistica di Darwin, che per lungimiranza e creatività intellettuale, può essere paragonato a Galilei e a Einstein. Il problema è che la sua teoria scardina l'idea errata che l'uomo sia il padrone della Terra, mente invece siamo il risultato di una storia biologica iniziata con virus e batteri.
Citazione di: Ipazia il 09 Giugno 2024, 09:19:31 AMIl principio di causa-effetto è più difficile da rimuovere ed è impossibile fare ricerca in sua assenza: si tratti di un assassino o dell'entanglement. Nemmeno quast'ultimo vi sfugge: un elettrone cambia spin "se e solo se" un'azione esterna cambia lo spin del suo gemello.
Noi conosciamo in modo cosciente come se valesse il principio di causa-effetto, e non riusciamo ad immaginare un diverso modo di conoscere.
Cioè, per quel che ne sappiamo, il nostro conoscere è il principio di causa effetto sono la stessa cosa.
Dunque il principio riguarda la nostra conoscenza più che la realtà, ma riguardando così, seppur indirettamente, la realtà, potremmo indurre ad esempio una sua coerenza, di cui prenderemo nota senza necessità di farne un principio .
E' vero che si invoca un diverso modo di conoscere alternativo alla ragione, non foss'altro che per scongiurare di ridurci a ragione, ma in tal modo stiamo continuando ad assimilare la realtà, di cui siamo parte, alla conoscenza.
Assimilare l'uomo alla ragione sarebbe come assimilare il falegname alla sega.
Dal fatto che la realtà ci appare come composta di parti, deduciamo che la realtà di quelle parti sia fatta, senza che ci sfiori nemmeno il dubbio che siamo stati noi a segarne le parti con una sega.
La realtà non è fatta di parti, ma si presta ad essere segata, e nella misura in cui riusciamo a dividerla la dominiamo
Essa ci apparirà fatta di parti solo nella misura in cui non abbiamo coscienza di averla segata, ed è dalla mancanza di questa coscienza che queste parti deriveranno la loro solida concretezza, parti che infatti quando andiamo a indagare la realtà in modo cosciente si faranno sempre più impalpabili.
Più che di parti più meno invisibili della realtà, sono parti della realtà che ci spariscono sotto gli occhi man mano che la ricerca procede, palesandosi così la loro natura virtuale, per cui se abbiamo confuso quelle parti con la realtà, la realtà sembrerà così svanire.
Quelle parti possono benissimo confondersi con la realtà, ma non c'è una stretta necessita a che ciò avvenga, essendo solo una questione di opportune assunzioni più o meno coscienti.
Assunzioni che in mancanza di una coscienza di averle fatte, appariranno come evidenze, al modo che evidenti ci apparivano le assunzioni poste a premessa della geometria euclidea, mentre oggi sono solo ipotesi che possiamo assumere fra tante, che non occorre condividere a priori, ma su cui si può opportunamente convenire.
Citazione di: Jacopus il 09 Giugno 2024, 11:58:18 AMOgni cellula ha il dna che è una catena di quattro acidi dove sono depositate tutte le informazioni per creare l'organismo di cui fa parte quella cellula. Ovvero, in ogni cellula ci sono le informazioni per creare ogni altra cellula. Per rappresentare la complessità, il dna umano corrisponde alle informazioni che potrebbero essere contenute in 600 bibbie (se non ricordo male). Ad esempio la cellula del fegato ha, nel suo dna, tutte le informazioni utili per creare cellule dell'occhio o del femore o dell'intestino e viceversa. Però ogni cellula ha dei sopressori che permettono l'espressione genetica solo della cellula prevista. Pertanto la cellula del fegato riprodurrà attraverso il "libro" dna e il messaggero "rna" che porterà le informazioni necessarie per la produzione della nuova cellula, il cui materiale per produrla è stata immagazzinata e inviata attraverso il sistema circolatorio che ha reso disponibile il materiale alimentare che abbiamo ingerito.
Citazione di: Jacopus il 09 Giugno 2024, 11:58:18 AMQuindi non capisco a quale tipo di mistero fai riferimento.
Citazione di: Alberto Knox il 09 Giugno 2024, 10:28:35 AMIn un modo o nell altro la microscopica catena monodimensionale di informazioni genetiche deve esercitare un influenza coordinatrice , sia nello spazio che nel tempo, sull attività collettiva di miliardi di cellule disseminate in un immensa regione di spazio tridimensionale. Che relazione c'è fra le informazioni immagazzinate localmente in ciascuna cellula e la manipolazione globale che è di fatto necessaria per poter produrre l'organismo?
la tua spiegazione , anche se imperfetta (ti sei dimenticato degli attivatori genici) riguarda il meccanismo della morfogenesi tuttavia questa spiegazione lascia aperto il problema di come tali meccanismi possano essere controllati da un insieme di particelle microscopiche , specialmente considerando il fatto che questo controllo ha un carattere
non locale che coinvolge condizioni al contorno. Come ho già ripetuto è la realzione fra le informazioni immagazzinate localmente e la manipolazione globale/olistica , necessarie per produrre le strutture relative che è al centro del mistero della morfogenesi che sto tentando in tutti i modi di mostrare. Ho capito che è grazie al lavoro della natura in un tempo estremamente enorme ma questo non svela niente di per sè oltre che ha dire che sono necessari milioni di anni di variazioni biologiche .
Detto ciò (vedi mio post precedente) il mondo delle evidenze più o meno concrete in cui ci sembra vivere, non verrà messo in crisi dalle nostre libere convenzioni, perchè non si distrugge nell'arco di poche generazioni umane l'edificio messo su dall'evoluzione della vita in miliardi di anni.
Semplicemente dovremo mettere da parte, e anche quello, concordo, a malincuore, nella misura in cui genera adrenalina , il nostro stupore quando questo ''nostro'' mondo riceve scosse epistemologiche.
Niente paura, si tratta di un edificio più che solido, e sono solo da considerare come normali eventi dinamici di una evoluzione che va avanti, perchè nessuno la può arrestare.
CitazioneCome ho già ripetuto è la realzione fra le informazioni immagazzinate localmente e la manipolazione globale/olistica , necessarie per produrre le strutture relative che è al centro del mistero della morfogenesi che sto tentando in tutti i modi di mostrare.
Provo a interpretare ma non sono certo di aver capito, eventualmente puoi provare a rispiegare (la tematica mi interessa molto e quindi cerca di avere pazienza se sono un pò "de coccio"). Con informazioni locali intendi quelle del dna che replicano la vita a livello di ontogenesi. mentre a livello più globale, il mistero risiede nel fatto che vi è una sorta di "impulso" alla vita che non è facilmente spiegabile. Se è così sono d'accordo. Anche questo è al momento, inesplicato, che io sappia. La tendenza alla vita a restare pervicacemente vitale in ogni modo, è una legge che c'è ma potrebbe anche non esserci. Da dove scaturisca non è dato sapere. Si potrebbe ipotizzare come fa Iano ad una sorta di equilibrio omeostatico che riguarda sia l'organico che l'inorganico, ma sono supposizioni e pertanto non è dato sapere al momento.
Citazione di: Jacopus il 09 Giugno 2024, 14:39:04 PMProvo a interpretare ma non sono certo di aver capito, eventualmente puoi provare a rispiegare (la tematica mi interessa molto e quindi cerca di avere pazienza se sono un pò "de coccio"). Con informazioni locali intendi quelle del dna che replicano la vita a livello di ontogenesi. mentre a livello più globale, il mistero risiede nel fatto che vi è una sorta di "impulso" alla vita che non è facilmente spiegabile. Se è così sono d'accordo.
No, sto parlando dello sviluppo da un uovo fecondato a un animale complesso. Per fare questo il biologo avrà bisogno di individuare una mappa "geografica" dell embrione. Il metodo più semplice per farlo consiste nel marcare le singole cellule con un colarante chimico non tossico e poi osservare dove sarebbe finita quella specifica cellula e tutte le sue figlie. Questo condusse gli embriologi alla costruzione di mappe degli embrioni ai primi stadi di sviluppo , le già citate "mappe presuntive" . Furono creati atlanti degli embrioni di molti animali in modo analogo alla latitudine e longitudine della terra, furono così identificate le coordinate dell embrione che definivano la futura posizione di tessuti, organi e appendici. Continuando con la nostra analogia con la geografia , le cellule, i tessuti e gli organi hanno una posizione specifica all interno della sfera dell embrione definita dalla loro longitudine , latitudine, altitudine e profondità (all interno e verso l'esterno degli strati del corpo) .è chiaro che debba essersi generata un intera serie di informazioni nel corso dello sviluppo perchè venga assegnata in modo univoco una localizzazione in aree specifiche dell embrione a dozzine di tipi di cellule diverse che dopo la segmentazione formano uno strato tutto attorno al tuorlo ( il tuorlo è il grediente nutritivo) come fanno le cellule a sapere la loro posizione spaziale ripetto alle altre parti dell organismo e la loro identità?
Nel Dna di ogni singola cellula troviamo la ricetta per costruire un intero organismo e più precisamente per costruirne i mattoni. Se ogni molecola di Dna è in possesso dello stesso progetto globale com'è che cellule differenti eseguono parti differenti del progetto? riconoscere mirabili funzioni di particolari tipi di geni della famiglia dei Homeobox e geni Hox che regolano la differenzazione cellulare porta alla luce un meccanismo regolatore. le mappe presuntive rivelano che , a partire di un certo punto nello sviluppo , le cellule "sanno" dove si trovano nell embrione e di quali strutture e tessuti fanno parte ma non spiega nulla di "come lo sanno" . Nello studiare la biologia evolutiva dello sviluppo embrionale o "Evo-Devo" sono giunto alla risposta. In questo topic si è parlato di causa-effetto , principi di realtà , relazioni fra osservatore e realtà realitive a cose che si vedono. Ma come la mattiamo riguardo a cose che non si vedono ? come nell esplorazione spaziale la biologia è stata formidabile nel vedere le stelle del genoma ma come nello spazio vi è la materia oscura analogamente e per fare un anologia lo stesso si può dire del genoma.