La lettura (ad essere sincero molto parziale e un po' distratta) della discussione sulla nave di Teseo e quella più puntuale e partecipata all' altro argomento della conoscenza e critica della conoscenza (si vede che sono allergico ai termini tecnici in inglese come "topic" o "nick name" quando esistono parole italiane che esprimono chiarissimamente ed anche piuttosto elegantemente i relativi concetti) mi hanno suggerito la considerazione che vado ad esporre sotto questo titolo alquanto pomposo di "principio di arbitrarietà mereologica" (non mi sembrava si potesse inserire con sufficiente coerenza in quelle altre due discussioni).
Secondo me la realtà può essere presa in considerazione teoricamente (cioè pensata, fatta oggetto di predicato -ad esempio predicata accadere realmente in un certo o in un certo altro modo-, conosciuta -cioè predicata correttamente, conformemente al suo effettivo accadere; oppure predicata falsamente, ecc.-, desiderata accadere in questo o quest' altro modo, ecc.) in quanto suddivisa in parti stabilite con assoluta arbitrarietà.
La realtà accade così come accade e non altrimenti indipendentemente dall' eventuale essere pensata linguisticamente (attraverso concetti di cui sia denotazione, simboleggiati da vocaboli).
Il pensiero può anche sbizzarrirsi del tutto arbitrariamente ad immaginare indefinitamente enti ed eventi non reali, ma se ambisce a conoscere la realtà (veracemente; di fatto inevitabilmente in modo solo parziale e relativo, cioè non senza qualche necessariamente ineliminabile elemento di errore e falsità "mescolato" all' eventuale verità "sostanziale" delle conoscenza; ma in linea di principio ciò varrebbe a maggior ragione nel caso di una conoscenza integrale, assoluta) deve (per definizione) descrivere la realtà stessa così come è o accade.
E dunque la conoscenza è pensiero della realtà vincolato oggettivamente alla realtà stessa e non arbitrario.
E tuttavia vincolato oggettivamente solo in modo relativo, limitato, parziale (secondo la regola generale per cui l' assoluto, la perfezione, se anche fossero reali, sarebbero comunque incompatibili con ciò che è umano, con ciò che l' uomo fa, compreso il suo conoscere: nulla di assoluto -se anche fosse- può essere oggetto di sensata considerazione umana, men che meno di conoscenza).
Il pensiero (umano; o di eventuali altri soggetti) se vuole essere conoscenza deve essere pensiero della realtà oggettiva (da esso indipendente), ma può comunque "applicarsi del tutto arbitrariamente ad essa", prendendone in considerazione elementi, insiemi di elementi, componenti, parti da esso stesso stabilite, "scelte del tutto arbitrariamente, ad libitum".
Per esempio si può del tutto correttamente, "lecitamente" considerare l' evento costituito dall' esistenza (divenire, muoversi, mutare) del sistema solare negli ultimi 500 000 anni ("oggetto" di conoscenza comunemente considerabile piuttosto "naturale", "ragionevole", non "astruso", ma soprattutto utile a ricavare ulteriori conoscenze di tipo scientifico e ad agire praticamente con successo nel perseguimento di scopi; ovviamente realistici).
Ma si possono altrettanto "lecitamente", correttamente prendere in considerazione "oggetti" o eventi ("pezzi di realtà") ben più "astrusi", costituiti per esempio dai tre quarti settentrionali del pianeta terra negli anni dal 237 a. C. al 1729 d. C unitamente a tre galassie diverse dalla Via lattea in tre arbitrarie posizioni del cosmo dagli anni dal 7429 d. C. al 15711 d. C.; oppure da Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 d. C. al 9555 d. C. alla mia moto dal 2011 al 2117, unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967, ecc., ecc. ecc.
Come può considerare ad libitum enti ed eventi "immaginari", non reali, così il pensiero altrettanto ad libitum può "ritagliare" nelle sue considerazioni la realtà oggettiva esistente-diveniente dal pensiero stesso indipendentemente (anche se non fosse pensata) in parti spaziotemporali altrettanto arbitrarie.
Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C. alla mia moto dal 2011 al 2117, unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc.
Sgiombo,
rispettabilissimo il tuo punto di vista culturale, ma sfugge un passaggio fondamentale, che se sensitivamente io tocco, vedo, odoro una foglia,quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma sono segnali elettromagnetici che a loro volta si ricostituiscono dentro una materia che è cervello, neuroni, sinapsi ecc. e di nuovo formano un pensiero che non è materiale.
In sostanza noi abbiamo un'"immagine "della foglia ,non la sua fisicità, perchè nel cervello non c'è quella foglia fiisica.
Adatto che quella immagine fisica della foglia adesso è pensiero,concetto relazionato ad altre miriadi di fenomeni, allora solo linguisticamente è possible descriverla.
Il problema è semmai quanto dell'immagine divenuto pensiero che è nel mio cervello corrisponda linguisticamente a quella fisicità che è là fuori dal mio cervello/mente. Quindi l'immagine è già astrazione descrivibile linguisticamente.
Citazione di: paul11 il 07 Ottobre 2016, 10:42:33 AM
Sgiombo,
rispettabilissimo il tuo punto di vista culturale, ma sfugge un passaggio fondamentale, che se sensitivamente io tocco, vedo, odoro una foglia,quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma sono segnali elettromagnetici che a loro volta si ricostituiscono dentro una materia che è cervello, neuroni, sinapsi ecc. e di nuovo formano un pensiero che non è materiale.
In sostanza noi abbiamo un'"immagine "della foglia ,non la sua fisicità, perchè nel cervello non c'è quella foglia fiisica.
Adatto che quella immagine fisica della foglia adesso è pensiero,concetto relazionato ad altre miriadi di fenomeni, allora solo linguisticamente è possible descriverla.
Il problema è semmai quanto dell'immagine divenuto pensiero che è nel mio cervello corrisponda linguisticamente a quella fisicità che è là fuori dal mio cervello/mente. Quindi l'immagine è già astrazione descrivibile linguisticamente.
CitazioneLa questione di cui parli mi sembra compleamente diversa da quella da me proposta.
Anch' io credo che se tocco, vedo, odoro una foglia, quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma vi sono correnti di impulsi nervosi, eccitazioni o inibizioni postsinaptiche ecc. (eventi neurofisiologici determinati) nel mio cervello (visto da altri, nell' ambito delle esperienze coscienti di altri) che corrispondono a quella mia determinata esperienza fenomenica cosciente; la quale, al pari delle altre umane e forse almeno in parte di altri animali, comprende anche "res cogitans", pensieri che non sono materiali.
E i miei pensieri (esperienza fenomenica "mentale") comprendono (possono comprendere) considerazioni, pensieri, predicati, desideri, ecc. delle più svariate parti della mia esperienza fenomenica materiale del tutto arbitrariamente "ritagliabili" spaziotemporalmente in "oggetti" (enti e/o eventi) distinti dagli altri "oggetti" che con essi la mia esperienza fenomenica materiale stessa costituiscono nella sua integrità.
Sgiombo,
......e adesso chiediti perchè nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso?
perchè la prima fase è il passaggio dalla percezione della foglia fisico-materiale in immagine-astratta del pensiero, ovvero quella foglia è diventata "mentale" Ma la seconda fase è speculativa, quando il pensiero riflette se stesso, ovvero ora quell'immagine astratta della foglia ha necessità di collegarsi alle altre immagini astratte costruite attraverso l'esperienza e la speculazione filosofica.
Quindi quella foglia deve "incastrarsi" in un pregresso che è la formazione del nostro punto di vista.
C'è una doppia forma trascendentale: la prima dal fisico-materiale in pensiero, che può essere indagata dalla logica per capire se è un verità in quanto giustificata(quello che fa anche la scienza contemporanea)(, ma dall'altra c'è la seconda trascendenza che va oltre la giustificazione logica del pensiero in relazione all'osservato fenomenico materiale, ed è il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda, anch'essa esplorabile con la logica
Quì sta la la diattriba dei "punti di vista"; se la verità è SOLO giustificabile dalla realtà materiale e fisica o se sensi e signifcazioni vadano oltre il dominio della sola materialità in un ordine superiore che comprenda lo stesso agente conoscente e l'osservato fenomenico.
Di nuovo, "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare sens oe signifcazione ad un disegno complessivo?"C'è chi dice sì, c'è chi dice nì e c'è chi dice no.,e lo scontro è propri osulla logic della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire.
E' altrettanto ovvio che entrambi i domini necessitano di un linguaggio, il primo che relazioni materia e pensiero e il secondo pensiero e pensiero
Citazione di: paul11 il 07 Ottobre 2016, 14:49:21 PM
Sgiombo,
......e adesso chiediti perchè nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso?
perchè la prima fase è il passaggio dalla percezione della foglia fisico-materiale in immagine-astratta del pensiero, ovvero quella foglia è diventata "mentale" Ma la seconda fase è speculativa, quando il pensiero riflette se stesso, ovvero ora quell'immagine astratta della foglia ha necessità di collegarsi alle altre immagini astratte costruite attraverso l'esperienza e la speculazione filosofica.
Quindi quella foglia deve "incastrarsi" in un pregresso che è la formazione del nostro punto di vista.
CitazioneCaro Paul, devo confessare che ultimamente fatico a comprendere i tuoi interventi, e in particolare la considerazione vale per quest' ultimo.
Cosa intendi dicendo che "nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso"?
"Punto di vista" in senso letterale, prospettico o (come mi sembrerebbe di capire) metaforico (credenze, opinioni diverse circa le percezioni)?
Per me la percezione (-i) fiscica (-he) materiale (-i) di (costituenti) una foglia é (sono) già qualcosa di fenomenico, facente parte della coscienza, esattamente come il suo ricordo, la sua immaginazione, il concetto (particolare-concreto) di "quella foglia", mediante il quale si può pensare, eventualmete predicare, eventualmente conoscere (qualcosa circa) quella foglia.
Ovviamente il concetto di "quella foglia", nei vari soggetti che lo percepiscono e ci pensano, si trova ad essere in relazione alle diverse esperienze proprie di ciascuno di essi, che quindi potrà pensarlo diversamente (accompagnandolo con diversi altri pensieri e considerazioni) rispetto a ciascun altro.
C'è una doppia forma trascendentale: la prima dal fisico-materiale in pensiero, che può essere indagata dalla logica per capire se è un verità in quanto giustificata(quello che fa anche la scienza contemporanea)(, ma dall'altra c'è la seconda trascendenza che va oltre la giustificazione logica del pensiero in relazione all'osservato fenomenico materiale, ed è il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda, anch'essa esplorabile con la logica
CitazioneSecondo me il passaggio dalla percezione (materiale) della foglia al concetto (pensiero: percezione mentale) della foglia non ha nulla di trascendentale: accadono entrambi nell' ambito della medesima esperienza fenomenica cosciente.
E non é la logica, ma il confronto empirico con la percezione materiale (anche se pur sempre, anch' essa, "interna alla coscienza", fenomenica) che può stabilire se il predicato (mentale) dell' esistenza (reale) di tale foglia é vero o meno.
Ma non capisco che significhi che "il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda" é "anch'essa esplorabile con la logica", né in che senso si tratti di una seconda "trascendenza": per me semplicemente a partire dalla percezione di quella stessa foglia si possono fare diverse considerazioni (o meno) a seconda della propria diversa esperienza.
Quì sta la la diattriba dei "punti di vista"; se la verità è SOLO giustificabile dalla realtà materiale e fisica o se sensi e signifcazioni vadano oltre il dominio della sola materialità in un ordine superiore che comprenda lo stesso agente conoscente e l'osservato fenomenico.
Di nuovo, "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare sens oe signifcazione ad un disegno complessivo?"C'è chi dice sì, c'è chi dice nì e c'è chi dice no.,e lo scontro è propri osulla logic della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire.
E' altrettanto ovvio che entrambi i domini necessitano di un linguaggio, il primo che relazioni materia e pensiero e il secondo pensiero e pensiero
CitazionePer me (credo semplicemente per definizione) la verità di qualsiasi predicato circa (la percezione di) quella foglia (se si dà) consiste semplicemente nella conformità del predicato stesso (che é pensiero; fenomenico) con la realtà (della percezione; pure fenomenica) di quella foglia, quale si dà indipendentemente da tale predicato o pensiero (che "inoltre" tale predicato o pensiero accada o meno).
Che significa la domanda "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare senso e signifcazione ad un disegno complessivo"?
Personalmente circa i rapporti coscienza/materia (o mente/cervello) ho una concezione che chiamo "dualismo dei fenomeni, monismo del noumeno" che più volte ho illustrato nel forum, ma non comprendo in che senso "lo scontro" sarebbe "proprio sulla logica della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire".
Ho letto l' ultimo intervento di Davintro nella discussione sull' identità (la nave di Teseo) e concordando con gran parte di quello che vi afferma, in particolare nella prima parte (salvo l' uso dei termini "spirituale" e "spiritualità" che mi suonano un po' ambigui (preferisco "mentale" e "coscienza" o "coscienzialità"):
"Coscienza, pensiero volontà, sensazioni... possono essere considerate come "parti" dello spirito solo in senso metaforico, figurato, non reale. Il concetto di parte ha un senso reale solo se si parla del piano materiale, il piano nel quale qualcosa occupa uno spazio ed occupandolo esclude l'occupazione dello spazio ad un'altra cosa, producendo una separazione che fà sì che l'unità materiale sia sempre un'unità esteriore e fittizia. Pensiero, volontà ecc. sono diverse forme di espressioni della spiritualità, non sono propriamente "parti", non seguono il principio fisico, dell'impenetrabilità dei corpi, ma sono nel complesso della vita interiore della persona costantemente intrecciati, reciprocamente condizionati, tra loro vi è una compenetrazione, e questa compenetrazione è il segno della tendenza all'unità data dalla nostra componente spirituale".
Forse avrei fatto meglio a inserire in quella discussione le mie considerazioni sull' arbitrarietà degli enti ed eventi considerabili e delle possibili partizioni teoriche della realtà (considerabili nel pensiero su di essa).
In particolare quanto qui affermato da Davintro (che ringrazio) mi impone una correzione o integrazione a ciò che ho affermato a mia volta in quest' altra discussione.
Le mie considerazioni valgono probabilmente, almeno in un senso "forte", solo per la realtà materiale - naturale (grosso modo la cartesiana "res extensa", che però per me é costituita unicamente da sensazioni, fenomeni, non é reale "in sé", indipendentemente dall' essere percepita) e non per la realtà mentale o di pensiero (la "res cogitans", da me ritenuta altrettanto meramente fenomenica): quest' ultima non essendo estesa (e misurabile) non é propriamente distinguibile in parti occupanti determinate porzioni di spazio e tempo, anche se ciò che la costituisce può comunque essere arbitrariamente distinto e/o considerato in quanto variamente aggregato in diversi possibili "assemblaggi (teorici)": se vogliamo "parti" arbitrariamente considerate, ma comunque non "spaziotemporalmente distinte" della realtà: "parti" da intendersi in un senso in larga misura diverso da quello delle "parti" del modo fisico - materiale.
Fra l' altro mentre nella res extensa possiamo considerare teoricamente enti ed eventi (oltre che arbitrariamente "assemblati" o "aggregati" in "totalità arbitrariamente grandi" o per l' appunto estese spazio-temporale) anche in quanto distinti, suddivisi in parti indefinitamente più piccole ad libitum (per esempio possiamo considerare la metà inferiore od occidentale di un sasso, i suoi 2/15, 3 /376, 1/6396, ecc. indefinitamente; e analogamente per quanto riguarda l' estensione spaziale), ciò non é possibile nella res cogitans (non é possibile considerare una parte di un sentimento o di una nozione o di una conoscenza: cos' é 1/50000000 del mio odio per la classe dirigente attuale dell' Occidente? Qualcosa di comunque sicuramente "enormissimo" -licenza poetica- ma che in realtà non ha un senso definito, é estremamente vago); al massimo ne é -forse- possibile considerare arbitrariamente suddivisa indefinitamente in diverse parti la sola durata temporale, ma unicamente grazie alla sua contemporaneità con enti ed eventi fisici-materiali; e comunque é per lo meno difficilissimo stabilire con precisione l' inizio di un sentimento o una convinzione o una conoscenza, ecc.; i sentimenti e le convinzioni o credenze fa ' altro variano di entità -o intensità- in maniera non quantificabile.
Ancor più vaga e indefinita -e dubbia- é la possibilità di un' eventuale "arbitrarietà mereologica" applicata a enti ed eventi di entrambi i tipi di fenomeni, mentali e materiali; mentre del tutto senza senso sarebbe pretendere di estenderla alla realtà in sé o noumeno (se esiste), da sola o in "pretesi assemblaggi" con enti ed eventi fenomenici materiali o mentali.
Sgiombo,
se entrambi osserviamo la stessa foglia nello stesso tempo e luogo, e ci limitiamo ad una sua descrizione fisico materiale, sono solo i nostri sensi che decidono linguisticamente l'osservazione, per cui il nostro pensiero +/-
collima. Ma se ognuno di noi due pensa alla foglia astrattamente, senza necessariamente essere nella condizione dell'esempio precedente, a me possono venire in mente una miriade di tipologie di foglie, come penso a te.
Ma ancora quella foglia può acquisire una simbologia.
Più ci allontaniamo dalla condizione del primo esempio e più quella foglia diventa rappresentazione che trascende la condizione fisica di quella foglia.
La mereologia tratta delle parti e del tutto. Non è vero che debbano essere necessariamente oggetti fisici, possono essere parti proposizionali ed essere quindi oggetto di analisi di logica formale, oppure ad esempio un articolo, un aggettivo, una preposizione nella grammatica o possono essere enti metafisici.
.....adesso alzo il livello di difficoltà, così sarò "incomprensivo".
Prima di tutto è vero Sgiombo che le mereologia può aiutare ad affrontare la problematica della discussione "la nave di Teseo", poichè ponendo in relazione le parti con l'intero richiama la regola dell'identità e in più l'implicazione in quanto una parte è all'interno di un complesso e dall'insiemistica l'inclusione, in quanto una proprietà è l'insieme di particolari che la istanziano...........
Può una parte sussistere senza l'interò? Può una foglia o una gamba vivere senza una pianta o una persona;
può l'alberatura o la velatura della nave essere da sole definita nave?.............
Secondo me ogni "ente" che è formato da parti è solo convenzionalmente reale, nel senso che c'è sempre un'arbitrarietà di definizione di tale ente. Il che significa che ogni descrizione che facciamo sulla realtà "macroscopica" è convenzionale e arbitraria. Infatti se ad esempio prendiamo un tavolo e cerchiamo di definirlo a livello atomico, vediamo che nemmeno i suoi confini sono ben definiti e la sua "forma" è in continuo mutamento.
Tuttavia visto che i nostri concetti sono "fissi" abbiamo bisogno per vivere di etichettare in modo arbitrario le "cose" che ci stanno attorno.
Non nego tuttavia ad esempio che il tavolo ha certe proprietà "macroscopiche" che lo defniniscono, la sedia ne ha altre e così via. Tuttavia non appena le osservi analiticamente ti accorgi che in realtà non sono entità fisse e nemmeno fondamentali. Sono quindi "entità convenzionali", che noi usiamo per comodità. In altri termini gli oggetti composti da parti mancano di "sostanzialità" e di "identità". L'errore di Platone e di Aristotele fu proprio, secondo me, quello di parlare di essenze per questi oggetti che in realtà ne sono privi.
L'arbitrarietà mereologica nasce dal fatto che la nostra mente lavora con concetti che sono "fissi", "ben definiti", "indipendenti" mentre gli oggetti macroscopici sono "in divenire", "indefiniti" e "dipendenti l'uno dall'altro".
La nostra immagine della realtà dipende perciò dalle convenzioni di cui siamo abituati. Non è possibile rimuovere tutta l'ambiguità presente nelle nostre convenzioni perchè altrimenti non potremo letteralmente vivere. Tuttavia è bene ricordarci che l'immagine che ci facciamo della realtà è una distorsione della realtà. Quello che possiamo fare è renderla il meno distorta possibile.
...sì, ma assecondo il tuo discorso e dico:
solo un oggetto, ente non costituito di parti non è convenzionale? Se così fosse l'uomo in quale categoria ontologica apparterrebbe?
Una molecola d'acqua è composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma ognuno di essi ha proprietà e caratteristiche diverse
La convenzione è lessicale, linguistica in quanto denotando un nome ed essendo il linguaggio naturale conosciuto da tutti noi, se dici sedia io so cosa indichi, perchè mi evochi un'immagine che la parola identifica.
L'arbitrarietà può essere il termine linguistico utilizzato; in italiano, inglese, tedesco,ecc, ma non l'ente o l'oggetto denotato
Il fattore temporale, il celebre divenire filosofico, è sempre stato oggetto anche dalla scienza fin dai tempi di Bacone, di una problematica mai definitivamente risolta. Il problema è la sussistenza identitaria di un ente o oggetto e quale sia l'essere che permette la continuità identificativa.
Questa problematica della teoria mereologica è posta dai metafisici della persistenza, detti anche tridimensionalisti o ancora endurantisti, ma temo che ci porterebbe oltre questa tematica, essendo di per sè molto ampia.
Ma è importante sapere che organicamente l'uomo mantiene la continuità dell'essere, di ente, di "io" pur mutando cellule continuamente e ricostruendone altre, perchè questo cambiamento di parti relazionato all'intero avviene in tempi successivi per cui l'"io" mantiene la continuità.Sempre ammesso e non concesso che questo "io", ente o essere possa essere ricondotto solo ad un ontologia fisico-materiale.
La nostra mente nel momento in cui denota un oggetto in fondo lo separa dal mondo, dal tutto.
Ma se così come lo stessa mente umana costruisce teorie mereologiche, significa che è consapevole di categorizzazioni, tassonomie, ovvero non si ferma al concetto, ma sa costruire una concatenazione logica che dall'infinitesimamente piccolo, va al grande, costruendo ordini nelle diversi domini ontologici. Quì sta infatti un' altra complessità ,se un ente complesso o le parti di esso siano solo e soltanto dentro un dominio, come ad esempio la foglia che è parte di una pianta vegetale, ma può anche essere simbolo, significato dentro domini psicologici, metafisici,ecc.
La mereologia è una teoria con due assiomi fondamentali che si muove nella conoscenza attraverso la logica formale costruendo altre formulazioni lessicali,ecc.
Vuol dire che tenta di togliere ambiguità arbitrarie .
Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2016, 01:13:05 AM
Sgiombo,
se entrambi osserviamo la stessa foglia nello stesso tempo e luogo, e ci limitiamo ad una sua descrizione fisico materiale, sono solo i nostri sensi che decidono linguisticamente l'osservazione, per cui il nostro pensiero +/-
collima. Ma se ognuno di noi due pensa alla foglia astrattamente, senza necessariamente essere nella condizione dell'esempio precedente, a me possono venire in mente una miriade di tipologie di foglie, come penso a te.
Ma ancora quella foglia può acquisire una simbologia.
Più ci allontaniamo dalla condizione del primo esempio e più quella foglia diventa rappresentazione che trascende la condizione fisica di quella foglia.
CitazioneSe ho ben capito intendi dire che ad esempio una foglia d' acero oltre ad essere una foglia d' acero é anche il simbolo del Canada (per chi lo sa, e dunque può pensarlo) e la foglia d' edera, oltre ad essere una foglia d' edera era anche il simbolo del (credo) fu Partito Repubblicano Italiano, con gli stessi limiti e alle stesse condizioni; e un aquila oltre a essere un' aquila é il simbolo dell Moto Guzzi e un leone oltre ad essere un leone é il simbolo della Benelli, ecc.
Bene; se é così sono d' accordo.
La mereologia tratta delle parti e del tutto. Non è vero che debbano essere necessariamente oggetti fisici, possono essere parti proposizionali ed essere quindi oggetto di analisi di logica formale, oppure ad esempio un articolo, un aggettivo, una preposizione nella grammatica o possono essere enti metafisici.
CitazioneAnche qui concordo: la mereologia é talmente arbitraria da poter "mescolare" enti ed eventi e "pezzi di enti ed eventi" (fenomenici) esteriori-materiali e/o interiori-mentali ad libitum.
Ma a differenza dei secondi (e di quelli auditivi, gustativi e olfattivi fra i primi , cioé quelli caratterizzati da qualità "secondarie"), i primi (e in particolare quelli visivi e tattili: grosso modo quelli caratterizzabili -per lo meno anche- dalle qualità "primarie") sono anche sensatamente "spezzettabili" nello spazio, oltre che nel tempo, (e poi "riassemblabili" fra loro e con qualsiasi cosa d' altro) ad libitum: si può considerare qualsivoglia pezzetto di un sasso, di un cavallo o di un albero senza limiti di "spezzettamento" (proseguendo, se si vuole, all' infinito nel considerarne parti sempre più piccole), mentre un sentimento o una credenza o anche solo il pensiero di un concetto si possono spezzettare ad libitum (e all' infinito) nel tempo (grazie alla sincronia con eventi esteriori-materiali!) per poi eventualmente "riassemblarli" con "di tutto e di più", ma non invece nello spazio, ovvero in ogni istante di tempo (quale sarebbe la metà o un terzo o i 7/495 di un concetto, di una credenza o di un sentimento?).
.....adesso alzo il livello di difficoltà, così sarò "incomprensivo".
Prima di tutto è vero Sgiombo che le mereologia può aiutare ad affrontare la problematica della discussione "la nave di Teseo", poichè ponendo in relazione le parti con l'intero richiama la regola dell'identità e in più l'implicazione in quanto una parte è all'interno di un complesso e dall'insiemistica l'inclusione, in quanto una proprietà è l'insieme di particolari che la istanziano...........
Può una parte sussistere senza l'interò? Può una foglia o una gamba vivere senza una pianta o una persona;
può l'alberatura o la velatura della nave essere da sole definita nave?.............
CitazioneQui secondo me bisogna distinguere le questioni "di diritto" o teoriche da quelle "di fatto" o reali.
Ho affermato l' arbitrarietà di qualsiasi considerazione mereologica (suddivisione e/o "assemblaggio") di enti ed eventi nello spazio e nel tempo (salvo quelli mentali e fra i materiali quelli caratterizzati da qualità secondarie per quel che riguarda lo spazio) da un punto di vista teorico, della pensabilità (della possibile esistenza reale di concetti, di enti ed eventi tali -reali- unicamente in quanto pensati), cioè del pensiero sulla realtà o meno, e non della realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica.
.
Ma ho anche scritto che di fatto in pratica le infinite possibili "definizioni mereologice" di enti ed eventi differiscono fra loro per quanto riguarda l' "utilità pratica" e anche l' "applicabiltà o fecondità teorica", se così la vogliamo chiamare:
Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C., alla mia moto dal 2011 al 2117, e unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc.
Come dire che, al di là della totale arbitrarietà mereologica propria del pensiero (circa la realtà o meno), esistono delle "linee di faglia naturali" (o "generi naturali") che non essendo proprie del pensiero circa la realtà o meno ma invece della realtà quale è/diviene, anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica o pensiero, non possono per nulla essere arbitrariamente scelte o stabilite ad libitum.
Sempre più mi convinco, anche in seguito alle discussioni nel forum su La nave di Teseo e su Conoscenza e critica della conoscenza, che la "questione critica" o "fondamentale", il "punto archimedico", per così dire, della filosofia (per lo meno dell' ontologia e della gnoseologia) è proprio questo: quello della distinzione o differenza fra realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica da una parte, e dall' altra considerazione teorica o pensiero della realtà o meno (nozioni, concetti, predicati, oggetti di immaginazione fantastica, di desiderio -positivo o negativo- di aspettativa, di speranza, di timore, ecc.), i cui "oggetti" o "contenuti", se tutto ciò accade, sono necessariamente reali di per sé solo e unicamente in quanto tali (oggetti di considerazione teorica) e non necessariamente "come enti ed eventi quali sono o accadono anche indipendentemente dal loro essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica.
Fra gli enti ed eventi reali ve ne sono di peculiarissimi, la cui distinzione dagli altri per così dire "generici" è fondamentale (per la conoscenza e indirettamente per l' azione razionalmente fondata), e cioè gli enti ed eventi "teorici", che oltre ad essere reali in sé (come tutti gli altri, se accadono) "alludono a", per così dire, o per far contenti i seguaci della fenomenologia si potrebbe anche dire "intenzionano", la realtà o meno di altro da sé (e confondere le due ben diverse cose è sempre e comunque "peccato mortalissimo" in filosofia, e spesso anche generalmente nella vita).
Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2016, 16:32:13 PM...sì, ma assecondo il tuo discorso e dico: solo un oggetto, ente non costituito di parti non è convenzionale? Se così fosse l'uomo in quale categoria ontologica apparterrebbe? Una molecola d'acqua è composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma ognuno di essi ha proprietà e caratteristiche diverse La convenzione è lessicale, linguistica in quanto denotando un nome ed essendo il linguaggio naturale conosciuto da tutti noi, se dici sedia io so cosa indichi, perchè mi evochi un'immagine che la parola identifica. L'arbitrarietà può essere il termine linguistico utilizzato; in italiano, inglese, tedesco,ecc, ma non l'ente o l'oggetto denotato Il fattore temporale, il celebre divenire filosofico, è sempre stato oggetto anche dalla scienza fin dai tempi di Bacone, di una problematica mai definitivamente risolta. Il problema è la sussistenza identitaria di un ente o oggetto e quale sia l'essere che permette la continuità identificativa. Questa problematica della teoria mereologica è posta dai metafisici della persistenza, detti anche tridimensionalisti o ancora endurantisti, ma temo che ci porterebbe oltre questa tematica, essendo di per sè molto ampia. Ma è importante sapere che organicamente l'uomo mantiene la continuità dell'essere, di ente, di "io" pur mutando cellule continuamente e ricostruendone altre, perchè questo cambiamento di parti relazionato all'intero avviene in tempi successivi per cui l'"io" mantiene la continuità.Sempre ammesso e non concesso che questo "io", ente o essere possa essere ricondotto solo ad un ontologia fisico-materiale. La nostra mente nel momento in cui denota un oggetto in fondo lo separa dal mondo, dal tutto. Ma se così come lo stessa mente umana costruisce teorie mereologiche, significa che è consapevole di categorizzazioni, tassonomie, ovvero non si ferma al concetto, ma sa costruire una concatenazione logica che dall'infinitesimamente piccolo, va al grande, costruendo ordini nelle diversi domini ontologici. Quì sta infatti un' altra complessità ,se un ente complesso o le parti di esso siano solo e soltanto dentro un dominio, come ad esempio la foglia che è parte di una pianta vegetale, ma può anche essere simbolo, significato dentro domini psicologici, metafisici,ecc. La mereologia è una teoria con due assiomi fondamentali che si muove nella conoscenza attraverso la logica formale costruendo altre formulazioni lessicali,ecc. Vuol dire che tenta di togliere ambiguità arbitrarie .
Sapevo di essere stato "estremo", però per capire il mio punto di vista lasciami dare una definizione di "ente assolutamente reale/perfetto", sperando di non andare off-topic. Un ente di questo tipo esiste senza dipendere da alcuna condizione (ad esempio non è composto di parti, non nasce per un certo motivo, non può essere distrutto ecc). Solo un ente di tale tipo è veramente reale perchè la sua identità non dipende da nulla. Un ente che può essere distrutto non è "veramente reale" in quanto appunto dipende da altri "enti" o comunque è contingente. E ciò che è contingente non ha né un'
essenza nè un'
identità ben definita. Detto questo torniamo in topic.
Allora capisco anche io che una sedia è un qualcosa di tangibile e quando parliamo di sedie sappiamo di cosa stiamo parlando. Non nego cioè l'esistenza delle cose formate da parti. Quello che nego è che abbiano un'
essenza o un'
identità ben definita. Inoltre noi sappiamo che la "sedia" è una "sedia" perchè siamo immersi in una cultura che ci permette di dare a quell'oggetto un utilizzo (posso immaginarmi culture in cui il concetto di "sedia" non esiste - qui riprendo un po' il secondo Wittgenstein). Nell'altro esempio della molecola d'acqua. Allora una molecola d'acqua è propriamente ciò che hai descritto, tuttavia anche qui il fatto che la consideriamo un "ente" è arbitrario. Per quanto riguarda un essere umano: l'"io" è reale a mio giudizio solo se esiste una cosa come l'anima (l'anima infatti è pensata come un qualcosa di "fondamentale"). In assenza di anima si può dire che la nostra identità è in parte "illusoria".
Detto questo non nego certamente che ad esempio la Terra, il Sistema Solare, la specie umana ecc siano per così dire "entità". Non nego che abbiano un qualche "grado di realtà", però nego che siano "assolutamente reali". Tuttavia certamente questi enti non possono ridursi alle loro parti ("olismo"), sono un qualcosa in più ma questo qualcosa in più è contingente, dipende da certe condizioni ecc.
Per farti un esempio prova a pensare l'Italia. L'Italia è certamente un "oggetto composto da parti". Ha una certa sua identità, interagisce come un tutt'uno con gli altri stati. Tuttavia è solamente per una convenzione che l'Italia è quella che è:) per quanto riguarda l'essere umano, anche qui c'è arbitrarietà. Ci sono esseri umani con tutte le loro peculiari caratteristiche, ma l'"uomo" non c'è. Nella pratica e nell'etica chiaramente dobbiamo pensare in termini di "esseri umani", "io" e così via.
Nell'esempio della foglia. Anche qua quando vedi una foglia attaccata ad un ramo, dimmi
precisamente ad esempio dove finisce la foglia e dove inizia il ramo. A livello atomico non si riesce a dire, a livello sub-atomico ancora meno. Certo che l'esigenza pratica ci "costringe" a parlare di "foglie" però il concetto che ci facciamo nella pratica
non corrisponde
esattamente alla realtà.
In sostanza non nego la loro esistenza (cioè di tutti gli "enti" contingenti) in toto e non l'affermo in toto. Prendo una via di mezzo, non sono nè totalmente reali nè totalmente irreali.
Per la questione della persistenza si potrebbe aprire un'altra discussione.
Parte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico, parimenti astratto quanto il punto, ma il tutto e il punto sono tra loro ancora concettualmente legati, così legati fino a potersi confondere l'uno con l'altro.
In tutto questo discorso però non possiamo dimenticarci un'altra relazione fondamentale che è quella tra l'insieme parte-intero e l'osservatore che è una delle indispensabili polarità relazionali. Questa relazione non manca mai e per questo non può sussistere alcuna concezione che definisca oggettivamente (in sé) cosa è parte e men che meno cosa è l'intero, ossia che possa prescindere dal modo di concepirli e di pensarli. Questo modo di concepirli e di pensarli oggi lo intendiamo (come osservatori che vivono nel tempo attuale) comunque contingente, ma non deriva da un'arbitraria decisione a intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per dare al mondo ogni significato che si vuole. L'osservatore, anche se le definizioni dipendono da lui, non è assolutamente il creatore di definizioni, ma è definito operativamente da quelle stesse definizioni, giacché esse fissano la sua prospettiva in modo pubblico, ossia in qualche modo la prospettiva è già condivisa e di pubblico significato, lo stesso pubblico significato che determina il suo modo di osservare e descrivere.
Allora il fatto che possano sussistere delle suddivisioni in parti dell'intero, il fatto che possa sussistere un intero fatto propriamente da quelle parti (una nave fatta di un timone, di una chiglia, di vele e via dicendo, tutte ben ripartite per quello che sono e a loro volta suddivisibili fino ai loro atomi), che funziona rispetto ad altre che ci sembrano frutto di pura fantasia e immaginazione, non ci dice nulla della realtà in sé oggettiva delle cose, ma può dirci molto in merito ai contesti in cui, come osservatori facenti parte del mondo che osserviamo, ci troviamo a essere collocati vivendo e riconoscendo in esso quel modo di funzionare su cui istituiamo i nostri giudizi di valenza pragmatica. Giudizi il cui valore non può mai essere assoluto come se fossimo giunti a cogliere la cosa per come è in sé, ma che effettivamente funzionano in questo contesto in cui le cose possono apparirci coerentemente ad essi, ove questo apparirci non si esaurisce mai in alcuna definizione definitiva, dunque è sempre in qualche modo un errore e solo per questo è sempre aperto alla verità.
CitazioneAd Apeiron:
Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi.
Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria".
Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio".
A Maral:
Concordo che Parte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico.
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).
Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?
Concordo che è "l' osservatore" (o meglio, secondo me il "pensatore", colui che li prende in considerazione) a stabilire che cosa è un certo determinato "tutto" e che cosa ne sono certe determinate "parti", e che dunque una tale distinzione non è oggettiva, propria della realtà ma soggettiva, posta (considerata) dal pensiero.
Però mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
Creatore di definizione può in teoria essere chiunque (nessuno mi impedisce di definire, se così mi pare, "sistema alpinappenninico" quell' insieme di rilievi montuosi che vanno ininterrottamente dall' Aspromonte "fin quasi a Vienna" o "Asiafrica" -così come altri considerano l' "Eurasia"- l' insieme dei continenti asiatico e africano), anche se le definizioni per essere socialmente rilevanti devono ovviamente essere pubblicamente condivise (ma non per questo sono meno arbitrarie e convenzionali; anzi, convenzionali lo sono senz' altro di più delle mie due suddette personalissime definizioni, che ho stabilito sui due piedi e non ho convenuto con nessuno).
La definizione di "nave", oltre a dirci qualcosa (molto o poco? Valutazione soggettiva e arbitraria) del contesto sociale in cui è formulata e usata (per esempio che non si tratta di una comunità chiusa vivente in una zona montuosa con corsi d' acqua troppo piccoli e impervi per essere navigati), ci dice anche qualcos' altro (molto o poco? Valutazione altrettanto soggettiva e arbitraria) della realtà oggettiva delle cose (per esempio che tale oggetto può essere usato per navigare e trasportare merci non troppo pesanti e ingombranti su specchi d' acqua abbastanza ampi e profondi e non troppo agitati).
Che poi i nostri giudizi e le nostre conoscenze siano sempre limitati e imperfetti e non possano mai esaurire integralmente e assolutamente le cose cui si riferiscono (se è questo che intendi dire) sono perfettamente d' accordo.
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica.
Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica?
Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali?
Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo".
Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità.
Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata.
P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene! ;D
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM
P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene! ;D
E poi si può sempre decidere di non litigare (o fose é meglio di non litigare troppo, che un po' di sale anche nei migliori dolci bisogna mettercelo...).
Al resto dell' intervento risponderò eventualmente più tardi o domani.
Ciao!
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
CitazioneAd Apeiron: Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi. Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria". Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio"..[/color]
Allora per me in effetti l'unico ente veramente reale è l'Assoluto (es: Dio, Atman/Brahman indù, Deus sive Natura di Spinoza, Apeiron di Anassimandro, il Dio-Tutto di Eraclito, l'Essere di Parmenide, il Tao e il Nirvana/Nibbana buddista - se ci fai caso sono tutti enti indipendenti e non condizionati dal divenire). Detto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina. L'atman induista lo è invece.
Nel tuo esempio del cavallo. Il cavallo non è "assolutamente reale", tuttavia lo è ma di un grado inferiore. Perciò non è nè illusorio nè reale. Non è illusorio perchè appunto esiste ma non è reale - non ha un'identità ben definita - perchè appunto dipende da condizioni per la sua esistenza. L'ippogrifo se esistesse realmente allora sarebbe, se vogliamo un assoluto se la sua esistenza non dipende da altro. Tuttavia l'ippogrifo come mito è ancora meno reale del cavallo, perchè appunto esiste solo in quanto parte del mito, il quale esiste solo perchè lo abbiamo inventato noi ecc.
Citazione di: maral il 09 Ottobre 2016, 20:09:24 PMParte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico, parimenti astratto quanto il punto, ma il tutto e il punto sono tra loro ancora concettualmente legati, così legati fino a potersi confondere l'uno con l'altro. In tutto questo discorso però non possiamo dimenticarci un'altra relazione fondamentale che è quella tra l'insieme parte-intero e l'osservatore che è una delle indispensabili polarità relazionali. Questa relazione non manca mai e per questo non può sussistere alcuna concezione che definisca oggettivamente (in sé) cosa è parte e men che meno cosa è l'intero, ossia che possa prescindere dal modo di concepirli e di pensarli. Questo modo di concepirli e di pensarli oggi lo intendiamo (come osservatori che vivono nel tempo attuale) comunque contingente, ma non deriva da un'arbitraria decisione a intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per dare al mondo ogni significato che si vuole. L'osservatore, anche se le definizioni dipendono da lui, non è assolutamente il creatore di definizioni, ma è definito operativamente da quelle stesse definizioni, giacché esse fissano la sua prospettiva in modo pubblico, ossia in qualche modo la prospettiva è già condivisa e di pubblico significato, lo stesso pubblico significato che determina il suo modo di osservare e descrivere. Allora il fatto che possano sussistere delle suddivisioni in parti dell'intero, il fatto che possa sussistere un intero fatto propriamente da quelle parti (una nave fatta di un timone, di una chiglia, di vele e via dicendo, tutte ben ripartite per quello che sono e a loro volta suddivisibili fino ai loro atomi), che funziona rispetto ad altre che ci sembrano frutto di pura fantasia e immaginazione, non ci dice nulla della realtà in sé oggettiva delle cose, ma può dirci molto in merito ai contesti in cui, come osservatori facenti parte del mondo che osserviamo, ci troviamo a essere collocati vivendo e riconoscendo in esso quel modo di funzionare su cui istituiamo i nostri giudizi di valenza pragmatica. Giudizi il cui valore non può mai essere assoluto come se fossimo giunti a cogliere la cosa per come è in sé, ma che effettivamente funzionano in questo contesto in cui le cose possono apparirci coerentemente ad essi, ove questo apparirci non si esaurisce mai in alcuna definizione definitiva, dunque è sempre in qualche modo un errore e solo per questo è sempre aperto alla verità.
Quando avrò più tempo risponderò meglio. Comunque non nego che la nostra mente lavora innatamente con i concetti di parte ed intero. Tuttavia (1) sono appunto concetti e appunto questi concetti potrebbero non rispecchiare la realtà (2) le parti sono più fondamentali dell'intero: se le parti spariscono lo fa anche l'intero, il viceversa non è vero. Tuttavia l'intero può non essere riducibile alle sue parti, ma ciò non significa che sia "più reale" delle parti. (3) concordo con te che alla fine il
come analizziamo la realtà ci dice più su di noi osservatori che sulla realtà stessa.
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AMOggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica. Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica? Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali? Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo". Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità. Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata. P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene! ;D
(1) il mio attuale modo di vedere la mente è tipo un software in esecuzione, quindi per forza di cose è possibile che "si esegua" anche su "supporti" diversi rispetto al corpo umano. Se poi tale essere sia lo stesso o no, non saprei dire.
(2) "Sariputra" il tuo nick mi da l'idea che ti affascina il buddismo. Ebbene anche nel buddismo (canone Pali) c'è comunque un Assoluto impersonale, il Nibbana/Nirvana (chiaramente descritto come "non-nato, non soggetto alla morte, incondizionato (indipendente dalle condizioni)" - in questo senso non è poi così diverso da una qualche nozione di "Dio"). Intendo dire che la dottrina dell'Anatta non pregiudica l'esistenza di assoluti - qui si potrebbe aprire un'altra discussione XD.
(3) concordo che in assenza di anima/atman è convenzionale anche l'identità personale.
(4) anche noi dipendiamo da energia e nutrimento perciò non siamo molto più "reali" dell'amico virtuale :D
@ Apeiron
Il nirvana buddhista non può essere inteso come un assoluto concettuale ( come nel caso del Dio filosofico ). Questo per prevenire la deriva metafisica del Dharma stesso ( che purtroppo ha designato, a mio parere, tutta la speculazione mahayanica post-Nagarjuna con il risultato di arrivare quasi a concepire il Buddha come una divinità). Il nirvana è correttamente inteso solo con riferimento al Dolore, di cui ne è l'estinzione. Come dicevamo l'altra sera con Phil, lavando i piatti, il Nirvana è un'esperienza , non un concetto. Concordo con te che è magari il caso di approfondire in altra discussione. :)
** scritto da Apeiron:
CitazioneDetto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina.
Ma l'anima del cristianesimo, se s'intende come messaggio di Cristo, è l'amore di Dio, quindi non c'è niente, per chi ci crede, di più totalmente eterno (infatti senza di esso non si sarebbe avuto l'Universo in cui noi esistiamo e possiamo sperimentare il Suo amore e possiamo concepire il concetto di anima e di eterno); se si riferisce all'anima dell'individuo cristiano, essa diviene eterna (nel bene o nel male) dall'attimo in cui l'ovulo accoglie lo spermatozoo.
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).
Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?
La totalità (tutto quello che c'è) è definibile solo in senso astratto in quanto non è possibile pensarla concretamente (ossia andando a definirne gli elementi). Non è possibile in due sensi: il primo è che non possiamo definirla per sottrazione di quello che non c'è, dato che qualsiasi cosa di cui diciamo che non c'è ha pur tuttavia un suo modo di esserci e in questo modo c'è, fa parte della realtà; il secondo è che non possiamo definirla nemmeno per addizione, ossia nominando tutti gli enti che ci sono, non tanto in quanto questi enti sarebbero un numero molto grande, ma che potremmo concepire finito, quanto perché via via che li andiamo numerando essi crescono in virtù della loro stessa numerazione (E' come per la diagonalizzazione con cui Cantor dimostra che i numeri reali sono sempre di più dei numeri naturali: ci sarà un insieme di tutti i numeri naturali, ma non si potrà mai dire quanti e quali sono nella loro totalità, ce ne è sempre almeno uno in più ancora da individuare e contare). Se la totalità che costituisce l'insieme di tutti gli insiemi è concretamente indefinibile è un principio formale astratto quanto quello di punto inteso come intero primario non ulteriormente suddivisibile in parti. Questi elementi primari (i mattoni che permettono di costruire il reale e i suoi significati) infatti sono sempre stati cercati e mai trovati, siano essi le particelle subatomiche o le proposizioni elementari del linguaggio.
CitazionePerò mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
A me pare piuttosto che possiamo pensare la distinzione come qualcosa che avrebbe potuto essere diversa, ma di fatto non lo è. Ossia noi vediamo che le cose vengono considerate in modo diverso (nel tempo e nei luoghi) e che da questi modi diversi di considerarle è possibile giungere a un'intesa, a una traduzione. Ma nel loro ambito originario esse non sono per nulla arbitrarie: noi non scegliamo a caso quale significato (e implicazione di significati) dare agli enti, cosa sia parte e cosa sia intero, è il contesto che lo decide per ciascuno di noi, l'insieme dei rapporti, degli usi e dei modi di fare che insieme già tutti pubblicamente condividiamo in un determinato luogo e tempo. Per esempio "Italia" (come Eurasia o qualsiasi denominazione geografica) può sembrare solo un nome del tutto arbitrario per una certa regione del globo terrestre, che qualcuno ha scelto di chiamare così potendola chiamare anche diversamente (Enotria, Esperia ...), ma sappiamo che così non è, perché il significato di quel nome non è per nulla arbitrario, ma il frutto di secoli di storia in cui è presente qualcosa che nonostante tutto accomuna in modo simbolico astratto e che quel nome indica. Non è in origine "solo un'espressione geografica", come diceva Metternich, anche se certamente può diventarlo, ossia il simbolo può perdere ogni significato e diventare solo un segno che non significa più nulla e quindi a piacere tutto e il contrario di tutto, ma non il contrario.
Chiunque può trovare (non inventare dal nulla) una definizione, ma in realtà non è lui che la trova, è il contesto che gli sta attorno che sempre gliela suggerisce e gliela impone anche nella sua novità e questo è il motivo per cui, anche se sembra che nulla te lo impedisca, non potrai mai chiamare se non per insignificante vezzo una cosa in altro modo (e anche questo solo richiamandoti al modo o ai modi con cui la si chiama e la si conosce), finché il contesto non ammette questo altro modo che è un altro modo di significare e quindi di apparire.
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale ...
Douglas Hofstadter in "Anelli dell'io" racconta di essersi spinto ben più in là, quando, morta l'amatissima moglie, ritenne possibile farla
realmente e non solo virtualmente tornare, ricostruendone ogni relazione che l'aveva espressa, da ritrovarsi in ogni minimo ricordo di lei in chiunque la avesse conosciuta o incontrata.
C'è anche un romanzo di fantascienza che lessi molti anni fa che parte da questa affascinante ipotesi: l'eternità di ogni anima è un software che un super computer (Dio?) tiene registrato nella sua memoria fissa e potrà riprodurre per ricreare l'universo quante volte vorrà.
Chiaramente queste sono ipotesi che derivano dal considerare l'ente (inteso come accadente piuttosto che come essente) solo come un prodotto di una rete relazionale, una volta definita la mappa di rete si può ripetere l'ente facendolo accadere quante volte si vuole, ma mi sa che le cose non siano così semplici.
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 10:14:03 AM
(1) sono appunto concetti e appunto questi concetti potrebbero non rispecchiare la realtà (2) le parti sono più fondamentali dell'intero: se le parti spariscono lo fa anche l'intero, il viceversa non è vero.
1) certamente nessuna concettualizzazione rispecchia l'intera realtà, ne rispecchia una parte che come tale va considerata insieme alle altre parti, senza cioè assolutizzarla, ossia senza considerarla come intero (e anche qui siamo dovuti ricorrere ai concetti di parte e intero)
2) Eh ma anche se l'intero sparisce spariscono anche le sue parti (come parti di quell'intero e non di altro, ossia come entità concrete e non astratte che vanno bene a qualsiasi intero). Si potrebbe peraltro nello stesso senso astratto dire che può benissimo sparire qualche parte dell'intero e l'intero rimanere lo stesso (è proprio quello che accade alla nave di Teseo e pensiamo che accada a tutti noi: io da infante divento vecchio, cambio non qualche parte di me, ma addirittura tutte le mie parti, eppure resto paradossalmente sempre il medesimo), ma questi sensi astratti che sembrano sistemare le cose, poi creano a ben vedere insormontabili problemi di interpretazione.
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 17:51:40 PM
Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2016, 01:13:05 AMSgiombo, se entrambi osserviamo la stessa foglia nello stesso tempo e luogo, e ci limitiamo ad una sua descrizione fisico materiale, sono solo i nostri sensi che decidono linguisticamente l'osservazione, per cui il nostro pensiero +/- collima. Ma se ognuno di noi due pensa alla foglia astrattamente, senza necessariamente essere nella condizione dell'esempio precedente, a me possono venire in mente una miriade di tipologie di foglie, come penso a te. Ma ancora quella foglia può acquisire una simbologia. Più ci allontaniamo dalla condizione del primo esempio e più quella foglia diventa rappresentazione che trascende la condizione fisica di quella foglia.
CitazioneSe ho ben capito intendi dire che ad esempio una foglia d' acero oltre ad essere una foglia d' acero é anche il simbolo del Canada (per chi lo sa, e dunque può pensarlo) e la foglia d' edera, oltre ad essere una foglia d' edera era anche il simbolo del (credo) fu Partito Repubblicano Italiano, con gli stessi limiti e alle stesse condizioni; e un aquila oltre a essere un' aquila é il simbolo dell Moto Guzzi e un leone oltre ad essere un leone é il simbolo della Benelli, ecc. Bene; se é così sono d' accordo.
La mereologia tratta delle parti e del tutto. Non è vero che debbano essere necessariamente oggetti fisici, possono essere parti proposizionali ed essere quindi oggetto di analisi di logica formale, oppure ad esempio un articolo, un aggettivo, una preposizione nella grammatica o possono essere enti metafisici.
CitazioneAnche qui concordo: la mereologia é talmente arbitraria da poter "mescolare" enti ed eventi e "pezzi di enti ed eventi" (fenomenici) esteriori-materiali e/o interiori-mentali ad libitum. Ma a differenza dei secondi (e di quelli auditivi, gustativi e olfattivi fra i primi , cioé quelli caratterizzati da qualità "secondarie"), i primi (e in particolare quelli visivi e tattili: grosso modo quelli caratterizzabili -per lo meno anche- dalle qualità "primarie") sono anche sensatamente "spezzettabili" nello spazio, oltre che nel tempo, (e poi "riassemblabili" fra loro e con qualsiasi cosa d' altro) ad libitum: si può considerare qualsivoglia pezzetto di un sasso, di un cavallo o di un albero senza limiti di "spezzettamento" (proseguendo, se si vuole, all' infinito nel considerarne parti sempre più piccole), mentre un sentimento o una credenza o anche solo il pensiero di un concetto si possono spezzettare ad libitum (e all' infinito) nel tempo (grazie alla sincronia con eventi esteriori-materiali!) per poi eventualmente "riassemblarli" con "di tutto e di più", ma non invece nello spazio, ovvero in ogni istante di tempo (quale sarebbe la metà o un terzo o i 7/495 di un concetto, di una credenza o di un sentimento?).
.....adesso alzo il livello di difficoltà, così sarò "incomprensivo". Prima di tutto è vero Sgiombo che le mereologia può aiutare ad affrontare la problematica della discussione "la nave di Teseo", poichè ponendo in relazione le parti con l'intero richiama la regola dell'identità e in più l'implicazione in quanto una parte è all'interno di un complesso e dall'insiemistica l'inclusione, in quanto una proprietà è l'insieme di particolari che la istanziano........... Può una parte sussistere senza l'interò? Può una foglia o una gamba vivere senza una pianta o una persona; può l'alberatura o la velatura della nave essere da sole definita nave?.............
CitazioneQui secondo me bisogna distinguere le questioni "di diritto" o teoriche da quelle "di fatto" o reali. Ho affermato l' arbitrarietà di qualsiasi considerazione mereologica (suddivisione e/o "assemblaggio") di enti ed eventi nello spazio e nel tempo (salvo quelli mentali e fra i materiali quelli caratterizzati da qualità secondarie per quel che riguarda lo spazio) da un punto di vista teorico, della pensabilità (della possibile esistenza reale di concetti, di enti ed eventi tali -reali- unicamente in quanto pensati), cioè del pensiero sulla realtà o meno, e non della realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica. . Ma ho anche scritto che di fatto in pratica le infinite possibili "definizioni mereologice" di enti ed eventi differiscono fra loro per quanto riguarda l' "utilità pratica" e anche l' "applicabiltà o fecondità teorica", se così la vogliamo chiamare: Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C., alla mia moto dal 2011 al 2117, e unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc. Come dire che, al di là della totale arbitrarietà mereologica propria del pensiero (circa la realtà o meno), esistono delle "linee di faglia naturali" (o "generi naturali") che non essendo proprie del pensiero circa la realtà o meno ma invece della realtà quale è/diviene, anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica o pensiero, non possono per nulla essere arbitrariamente scelte o stabilite ad libitum. Sempre più mi convinco, anche in seguito alle discussioni nel forum su La nave di Teseo e su Conoscenza e critica della conoscenza, che la "questione critica" o "fondamentale", il "punto archimedico", per così dire, della filosofia (per lo meno dell' ontologia e della gnoseologia) è proprio questo: quello della distinzione o differenza fra realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica da una parte, e dall' altra considerazione teorica o pensiero della realtà o meno (nozioni, concetti, predicati, oggetti di immaginazione fantastica, di desiderio -positivo o negativo- di aspettativa, di speranza, di timore, ecc.), i cui "oggetti" o "contenuti", se tutto ciò accade, sono necessariamente reali di per sé solo e unicamente in quanto tali (oggetti di considerazione teorica) e non necessariamente "come enti ed eventi quali sono o accadono anche indipendentemente dal loro essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica. Fra gli enti ed eventi reali ve ne sono di peculiarissimi, la cui distinzione dagli altri per così dire "generici" è fondamentale (per la conoscenza e indirettamente per l' azione razionalmente fondata), e cioè gli enti ed eventi "teorici", che oltre ad essere reali in sé (come tutti gli altri, se accadono) "alludono a", per così dire, o per far contenti i seguaci della fenomenologia si potrebbe anche dire "intenzionano", la realtà o meno di altro da sé (e confondere le due ben diverse cose è sempre e comunque "peccato mortalissimo" in filosofia, e spesso anche generalmente nella vita).
...ma potremmo inoltre cercare di capire il perché quei simboli e non altri sono stati scelti, quindi il legame fra oggetto materiale e un simbolo scelto, comunque trascende l'aspetto materiale, lo astrae dal suo dominio originario per portarlo in un altro.E' chiaro che un oggetto fisico lo si può spezzettare fino all'atomo(fermiamoci al'atomo per non andare oltre, quark,ecc), ma deve essere riconoscibile come parte di un'unità definita e quindi limita quello spezzettamento. Deve essere salvaguardata la relazione che lega la parte all'unità.E'chiaro che fisicamente non posso frazionare un concetto, ma posso analizzarne le parti che lo costituiscono ma ribadisco deve essere relazionata la parte e l'unità di "quel" concetto.Ad esempio, l'articolo "la" posso inserirlo in una miriadi di frasi che indicano un concetto che si vuol esprimere .Può appartenere quindi come parte linguistica in tutti i domini da descrivere, ma se lo limito dentro un concetto, quel concetto non può perdere di senso e significato se tolgo quel "la" dalla frase.Sei legato all'utilità e funzionalità e va bene, ma a mio parere la conoscenza se è limitata a questo ambito del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale,non è conoscenza o meglio è parziale conoscenza.Il pensiero diviene conoscenza se riesce a concatenare in un'unità di senso le diversi parti di conoscenza.Più che arbitrarietà direi un non senso ,in quanto non concatena, una conoscenza che è priva dei legami delle parti. E' una catena di senso in cui ogni anello della catena che costruisce la concatenazione è legato al precedente,quindi relazionato, e potrebbe anche inizare dalle tue considerazioni di realtà fisica e di utilità e funzionalità che non nego, ma personalmente non mi bastano a costruire una conoscenza. Capisco il tuo punto di vista, ma devi tener presente che il tuo stesso pensiero, il tuo stesso linguaggio, che poi è quello che ci accomuna in una "convenzione" che può essere naturale o specialistica, fino al formale, è già oltre quella realtà fisica che osserviamo, appartiene ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo.Penso che al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo.Sono d'accordo, infatti per me la conoscenza quando va "oltre" il dominio naturale deve rispettarne la logica, ma questa stessa logica deve e può essere utilizzata anche nel dominio del pensiero speculativo, quando il pensiero riflette se stesso ed è già oltre il dominio del fisico-materiale.Penso che l'uomo ,nel momento in cui viene in contatto come essere che esiste nella realtà fisica, in qualche modo lo trascenda(non prendere questo termine come spirituale in questa discussione),Vuol dire che porta la realtà fisica in una rappresentazione del pensiero attraverso concetti, simboli, psiche, emotività e anche spiritualità.Ma non deve separare dicotomicamente i domini e quindi analizzare in forma diversa, ma concatenare l'unità in un senso logico,Diversamente allora sorgerebbe quell'arbitrarietà per cui la filosfia diverrebbe fantasia.
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica.
Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica?
Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali?
Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo".
Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità.
Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata.
P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene! ;D
CitazionePenso che una riproduzione "virtuale" dei nostri cari estinti non possa costituire altro che un modesto sollievo o una consolazione al dolore della loro perdita (non molto diverso da una fotografia o uno scritto o un oggetto che ci abbiano lasciato).
Non é di certo un modo per continuare a farli esistere.
Un "alter ego" artificiale, robotico (ammesso e non concesso che sia effettivamente realizzabile di fatto) sarebbe altrettanto altra cosa dalla persona reale che una sua statua (la quale pure occupa uno spazio e un tempo): né più né meno.
Ma non credo ci sia bisogno di questi argomenti per rendersi conto dell' arbitrarietà con la quale si possono distinguere dal tutto enti ed eventi "parziali".
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 10:14:03 AM
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
CitazioneAd Apeiron: Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi. Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria". Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio"..[/color]
Allora per me in effetti l'unico ente veramente reale è l'Assoluto (es: Dio, Atman/Brahman indù, Deus sive Natura di Spinoza, Apeiron di Anassimandro, il Dio-Tutto di Eraclito, l'Essere di Parmenide, il Tao e il Nirvana/Nibbana buddista - se ci fai caso sono tutti enti indipendenti e non condizionati dal divenire). Detto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina. L'atman induista lo è invece.
Nel tuo esempio del cavallo. Il cavallo non è "assolutamente reale", tuttavia lo è ma di un grado inferiore. Perciò non è nè illusorio nè reale. Non è illusorio perchè appunto esiste ma non è reale - non ha un'identità ben definita - perchè appunto dipende da condizioni per la sua esistenza. L'ippogrifo se esistesse realmente allora sarebbe, se vogliamo un assoluto se la sua esistenza non dipende da altro. Tuttavia l'ippogrifo come mito è ancora meno reale del cavallo, perchè appunto esiste solo in quanto parte del mito, il quale esiste solo perchè lo abbiamo inventato noi ecc.
CitazioneMi sembra una buona traduzione dei concetti che impieghi (per me alquanto originali e tuoi personali -in linguaggio corrente un cavallo esistente é reale al 100% anche se contingente e morituro- ma con queste spiegazione comprensibili).
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:25:41 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).
Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?
La totalità (tutto quello che c'è) è definibile solo in senso astratto in quanto non è possibile pensarla concretamente (ossia andando a definirne gli elementi). Non è possibile in due sensi: il primo è che non possiamo definirla per sottrazione di quello che non c'è, dato che qualsiasi cosa di cui diciamo che non c'è ha pur tuttavia un suo modo di esserci e in questo modo c'è, fa parte della realtà; il secondo è che non possiamo definirla nemmeno per addizione, ossia nominando tutti gli enti che ci sono, non tanto in quanto questi enti sarebbero un numero molto grande, ma che potremmo concepire finito, quanto perché via via che li andiamo numerando essi crescono in virtù della loro stessa numerazione (E' come per la diagonalizzazione con cui Cantor dimostra che i numeri reali sono sempre di più dei numeri naturali: ci sarà un insieme di tutti i numeri naturali, ma non si potrà mai dire quanti e quali sono nella loro totalità, ce ne è sempre almeno uno in più ancora da individuare e contare). Se la totalità che costituisce l'insieme di tutti gli insiemi è concretamente indefinibile è un principio formale astratto quanto quello di punto inteso come intero primario non ulteriormente suddivisibile in parti. Questi elementi primari (i mattoni che permettono di costruire il reale e i suoi significati) infatti sono sempre stati cercati e mai trovati, siano essi le particelle subatomiche o le proposizioni elementari del linguaggio.
CitazioneCiò che non c'è non ha alcun modo di esserci (realmente): ha eventualmente qualche modo di essere (realmente) pensato; e con i concetti non si costruisce la realtà, ma casomai la conoscenza della realtà (a questo proposito non replicherò, né in questa discussione né in quella su Conoscenza e critica della conoscenza, con ulteriori ripetizioni da parte mia ad ulteriori ripetizioni da parte tua; col che, chi tacesse, in questo caso non acconsentirebbe).
Concordo invece che la totalità del reale non è pensabile particolareggiatamente ma solo indefinitamente.
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 10:30:48 AM@ Apeiron Il nirvana buddhista non può essere inteso come un assoluto concettuale ( come nel caso del Dio filosofico ). Questo per prevenire la deriva metafisica del Dharma stesso ( che purtroppo ha designato, a mio parere, tutta la speculazione mahayanica post-Nagarjuna con il risultato di arrivare quasi a concepire il Buddha come una divinità). Il nirvana è correttamente inteso solo con riferimento al Dolore, di cui ne è l'estinzione. Come dicevamo l'altra sera con Phil, lavando i piatti, il Nirvana è un'esperienza , non un concetto. Concordo con te che è magari il caso di approfondire in altra discussione. :)
Perdonami se non sono d'accordo con questa prospettiva. Secondo me contraddice il buddismo theravada stesso. Vedi: http://www.beyondthenet.net/dhamma/nibbana.html o anche: http://www.canonepali.net/ud/ud8-3.htm o http://www.canonepali.net/dn/dn_11.htm (il nirvana qui è descritto come "coscienza illimitata, assoluta, ultima")
Comunque già dire che il Nirvana è incondizionato è dire qualcosa di concettuale. Inoltre l'esperienza di chi? Stando all'anatman il nirvana non è l'esperienza di nessuno, ma è semplicemente una "realtà" che non è soggetta a cambiamento. Per questo motivo è una realtà "assoluta" e quindi "assolutamente reale" come dicevo prima io.
Citazione di: Duc in altum! il 10 Ottobre 2016, 10:35:04 AM** scritto da Apeiron: CitazioneDetto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina.
Ma l'anima del cristianesimo, se s'intende come messaggio di Cristo, è l'amore di Dio, quindi non c'è niente, per chi ci crede, di più totalmente eterno (infatti senza di esso non si sarebbe avuto l'Universo in cui noi esistiamo e possiamo sperimentare il Suo amore e possiamo concepire il concetto di anima e di eterno); se si riferisce all'anima dell'individuo cristiano, essa diviene eterna (nel bene o nel male) dall'attimo in cui l'ovulo accoglie lo spermatozoo.
L'anima dipende da Dio e dal rapporto con Dio. Magari non si distrugge ma può cambiare (altrimenti la Salvezza non potrebbe essere raggiunta). Dio invece è immutabile e quindi "più reale" dell'anima. Se vogliamo lo stato dell'anima è contingente e grazie proprio al fatto che non abbiamo un'identità definita possiamo salvarci secondo il cristianesimo.
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:55:07 PMEh ma anche se l'intero sparisce spariscono anche le sue parti (come parti di quell'intero e non di altro, ossia come entità concrete e non astratte che vanno bene a qualsiasi intero). Si potrebbe peraltro nello stesso senso astratto dire che può benissimo sparire qualche parte dell'intero e l'intero rimanere lo stesso (è proprio quello che accade alla nave di Teseo e pensiamo che accada a tutti noi: io da infante divento vecchio, cambio non qualche parte di me, ma addirittura tutte le mie parti, eppure resto paradossalmente sempre il medesimo), ma questi sensi astratti che sembrano sistemare le cose, poi creano a ben vedere insormontabili problemi di interpretazione.
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Citazione di: paul11 il 10 Ottobre 2016, 16:04:30 PM
E' chiaro che un oggetto fisico lo si può spezzettare fino all'atomo(fermiamoci al'atomo per non andare oltre, quark,ecc), ma deve essere riconoscibile come parte di un'unità definita e quindi limita quello spezzettamento. Deve essere salvaguardata la relazione che lega la parte all'unità.
E'chiaro che fisicamente non posso frazionare un concetto, ma posso analizzarne le parti che lo costituiscono ma ribadisco deve essere relazionata la parte e l'unità di "quel" concetto.
Ad esempio, l'articolo "la" posso inserirlo in una miriadi di frasi che indicano un concetto che si vuol esprimere .Può appartenere quindi come parte linguistica in tutti i domini da descrivere, ma se lo limito dentro un concetto, quel concetto non può perdere di senso e significato se tolgo quel "la" dalla frase.
Sei legato all'utilità e funzionalità e va bene, ma a mio parere la conoscenza se è limitata a questo ambito del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale,non è conoscenza o meglio è parziale conoscenza.
Il pensiero diviene conoscenza se riesce a concatenare in un'unità di senso le diversi parti di conoscenza.
Più che arbitrarietà direi un non senso ,in quanto non concatena, una conoscenza che è priva dei legami delle parti. E' una catena di senso in cui ogni anello della catena che costruisce la concatenazione è legato al precedente,quindi relazionato, e potrebbe anche inizare dalle tue considerazioni di realtà fisica e di utilità e funzionalità che non nego, ma personalmente non mi bastano a costruire una conoscenza.
Capisco il tuo punto di vista, ma devi tener presente che il tuo stesso pensiero, il tuo stesso linguaggio, che poi è quello che ci accomuna in una "convenzione" che può essere naturale o specialistica, fino al formale, è già oltre quella realtà fisica che osserviamo, appartiene ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo.
Penso che al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo.
Sono d'accordo, infatti per me la conoscenza quando va "oltre" il dominio naturale deve rispettarne la logica, ma questa stessa logica deve e può essere utilizzata anche nel dominio del pensiero speculativo, quando il pensiero riflette se stesso ed è già oltre il dominio del fisico-materiale.
Penso che l'uomo ,nel momento in cui viene in contatto come essere che esiste nella realtà fisica, in qualche modo lo trascenda(non prendere questo termine come spirituale in questa discussione),
Vuol dire che porta la realtà fisica in una rappresentazione del pensiero attraverso concetti, simboli, psiche, emotività e anche spiritualità.Ma non deve separare dicotomicamente i domini e quindi analizzare in forma diversa, ma concatenare l'unità in un senso logico,Diversamente allora sorgerebbe quell'arbitrarietà per cui la filosfia diverrebbe fantasia.
CitazioneNon trovo interessante (e ovviamente mi guardo bene dal pretendere che non lo trovino nemmeno gli altri) cercare di capire il perché quei simboli e non altri sono stati scelti; i motivi possono essere i più disparati e contingenti.
Se affermando che che "il legame fra oggetto materiale e un simbolo scelto, comunque trascende l'aspetto materiale, lo astrae dal suo dominio originario per portarlo in un altro" intendi dire che una cosa è la parola (simbolo verbale), un' altra ben diversa cosa è l' oggetto (ente o evento) che la parola significa, (connota e denota se reale o solo connota se immaginario) sono d' accordo.
Non esistono limiti alla considerazione (teorica, nel pensiero) di parti sempre più piccole delle cose: può darsi (ma non ci giurerei: è già stato fatto erroneamente per gli atomi e per le particelle subatomiche!) che la scienza dimostri che i quark non sono fisicamente divisibili, ma il pensiero può comunque sempre considerare correttamente "parti di quark" di qual si voglia "piccolezza", illimitatamente.
Concordo (è appunto quanto ho sempre sostenuto da parte mia) che non si può frazionare spazialmente un concetto: analizzarlo è certamente possibile, ma è un' altra cosa.
Non sono particolarmente "legato all' utilità e funzionalità" (se non per lo stretto indispensabile per vivere e vivere discretamente bene): sono un filosofo, e ciò che più cerco come scopo nella vita è la conoscenza!
Che "la conoscenza se è limitata a questo ambito del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale, [omissis] è parziale conoscenza" è un' obiezione che potrai rivolgere a qualcun altro, ma -accidenti!- non certo a me!
Lostesso dicasi per "una conoscenza che è priva dei legami delle parti (a-ri-accidenti!).
Direi quindi che "il mio punto di vista" non l' hai capito per nulla!
(Sarò magari io che non mi so spiegare ma è proprio così).
Se leggi i miei inutili, disperati tentativi di dialogo con Maral ci trovi dozzine di volte l' affermazione che enti ed eventi reali (indipendentemente dall' essere eventualmente anche pensati o meno) da una parte e pensieri di enti ed eventi (reali o meno) dall' altra sono due "generi di cose" completamente diversi: se intendi questo (altro significato non riesco a dare alle tue parole) dicendo che pensiero e linguaggio sono "già oltre quella realtà fisica che osserviamo", appartengono "ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo", allora sfondi una porta non aperta, ma apertissima, spalancatissima!
Invece pensando (a proposito di me): "al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo" pensi bene: qui mi hai capito perfettamente.
E mi compiaccio del tuo accordo.
Concordo anche che la logica serve per pensare e conoscere il pensiero, oltre che la realtà in generale (ma almeno per questa serve anche l' esperienza sensibile).
Per me l' uomo che consce la natura può "trascenderla" solo nel senso che è altra cosa da essa, non certo nel senso che ne è assolutamente separato, irrelato, che non é in rapporto con essa.
Per me conoscenza è predicazione dell' accadere del reale così come il reale accade; e questo vale per la "res cogitans" come per la "res extensa"; ma conoscere è anche distinguere ciò che non è uniforme nella realtà.
@Apeiron scrive:
Perdonami se non sono d'accordo con questa prospettiva. Secondo me contraddice il buddismo theravada stesso. Vedi: http://www.beyondthenet.net/dhamma/nibbana.html o anche: http://www.canonepali.net/ud/ud8-3.htm o http://www.canonepali.net/dn/dn_11.htm (il nirvana qui è descritto come "coscienza illimitata, assoluta, ultima")Comunque già dire che il Nirvana è incondizionato è dire qualcosa di concettuale. Inoltre l'esperienza di chi? Stando all'anatman il nirvana non è l'esperienza di nessuno, ma è semplicemente una "realtà" che non è soggetta a cambiamento. Per questo motivo è una realtà "assoluta" e quindi "assolutamente reale" come dicevo prima io. Parlare del Nibbana non è l'esperienza del Nibbana. Parlare del Nibbana in termini positivi fa scivolare l'elemento Nibbana nell'estremo positivo dell'interpretazione metafisica. Parlare del Nibbana in termini negativi fa scivolare l'elemento Nibbana nell'interpretazione nichilistica. Se esaminiamo le definizioni che si danno nel Canone pali, troviamo che esso è descritto ( meglio direi illustrato) con termini sia positivi che negativi. Quelli positivi includono designazioni come "il profondo, il vero, il puro, il permanente, il meraviglioso, ecc." (Samyutta Nikaya, 43) e altri testi con designazioni come "C'è un non-nato, un non-divenuto, un non-composto, ecc.". Le enunciazioni in forma di termini negativi includono le definizioni del Nibbana come " la distruzione del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza" e come "la cessazione dell'esistenza (bhava-nirodha). Se si vuole comprendere correttamente la concezione "buddhista" del Nibbana, è necessario prendere accuratamente in considerazione il significato di entrambi i tipi di enunciazioni. Il citarne uno solo per confermare le proprie opinioni unilaterali, risulterebbe un'interpretazione non equilibrata.L'enfasi sul "C'è" con la quale iniziano i due celebri testi sul Nibbana dell'Udana, indica senza alcun dubbio che non è concepito come una semplice estinzione o come la dissimulazione di uno zero assoluto. D'altra parte però, come "precauzione" nei riguardi di una interpretazione metafisica errata dell'affermazione "C'è..." , troviamo l'altrettanto enfatica negazione dei due estremi dell'esistenza (atthita) e della non-esistenza (natthita). Anche le espressioni in termini positivi che si riferiscono al Nibbana includono spesso termini negativi: " C'è una dimensione in cui non è né terra...né questo mondo o l'altro mondo, dove non c'è né andare né venire". " C'è un non-nato, un non-divenuto..."Tutti questi testi che riuniscono definizioni sia positive che negative sono complementari, per evitare di scivolare in uno dei due estremi speculativi. I modi di definirlo negativi hanno però un importante vantaggio su quelli positivi. Le affermazioni come quella che lo definisce come " la distruzione della brama, dell'odio e dell'illusione" indicano la direzione da prendere nel sentiero verso la meta e quel che si deve fare "concretamente" per realizzarlo davvero.Se il desiderio, l'odio e l'illusione sono stati completamente distrutti, allora si può vedere il Nibbana qui e ora, senza indugi, disponibile alla verifica e direttamente sperimentabile dal saggio. (Anguttara Nikaya, 3: 55)Si può a volte gustare attimi di Nibbana nell'ordinarietà della nostra misera vita quotidiana. In ogni attimo di gioioso e sereno distacco...Chi vede in profondità la verità della sofferenza "non è più trascinato via dall'irrreale (metafisica), e non si ritrae più di fronte al reale ( nichilismo)". La cessazione ultima della sofferenza, ciò che non muore, è il Nibbana. Il Buddha storico in verità non ha insegnato tante cose. Le quattro Nobili verità , se ben studiate, riempiono un'intera vita di riflessioni. La terza nobile verita ( la verità della cessazione) coincide con la realizzazione del Nibbana.P.S. chiedo umilmente scusa ai moderatori per l'EVIDENTISSIMO fuori tema prodotto. Rinnovo l'invito ad Apeiron di continuare magari nella sezione spiritualità dove si potranno confrontare queste interpretazioni con la critica feroce che sicuramente ne verrà dalle temibili entità che la popolano... ;D ;D
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.
@Sariputra,
Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede.
Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre:
1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione;
2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni;
3) "non esistenza"
Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 00:02:53 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.
Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:14:48 AM@Sariputra, Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede. Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre: 1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione; 2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni; 3) "non esistenza" Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.
Ne abbiamo discusso parecchio in "La nave di Teseo". Sono d'accordo che , tutto ciò che è composto, non ha realtà assoluta ( se per assoluta intendi un'esistere fondato in se stesso, durevole, immutabile, eterno, non dipendente da cause e condizioni), ma nemmeno è privo di realtà ("Qualcosa c'è là fuori" per dirla in parole povere). C'è una realtà , che è però priva di esistenza intrinseca. Possiede un'esistenza dipendente da cause e condizioni, un'esistenza limitata proprio dall'insorgere dipendente. Consideriamo anche che ogni parte di un insieme è a sua volta un insieme di parti. Per es. l'insieme dei miei ricordi fonda il mio senso di continuità personale, ma se andiamo ad analizzare i ricordi vediamo che si trasformano di continuo, tanto che , dopo molto tempo, i confini tra l'esperienza effettiva vissuta e la colorazione che ne dà la mente sfumano. Appare evidente come anche il singolo ricordo è un insieme ( coscienza, fantasia, proiezioni, ecc.) di parti psicologiche. E' come se , dentro un universo, ci fossero innumerevoli altri universi. Dentro una parte, innumerevoli altre parti. Il problema evidente è, per me, che la mente non può concepire,se non intuitivamente o per mezzo dell'espressione artistica, la fluidità e la compenetrazione di questi "universi" negli universi; di questo " esistere senza esistenza propria", apparentemente contradditorio per il pensiero che ha necessità logica di analizzare per parti o per insiemi di parti. Il pensiero però , elaborando nomi, forme e significati agisce all'interno di questo divenire di esistenza-priva-di-esistenza e lo trasforma, attraverso la volontà e la rappresentazione che si fa della sua "parti-colare" percezione di questa esistenza dipendente. Pertanto, come dice Schopenhauer: "Il mondo è la mia rappresentazione".
Però se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione, sostiene sempre Sch., non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico. Ma noi siamo anche corpo: in quanto corpo soffriamo ( di desiderio) e godiamo ( dell'appagamento del desiderio). Ripiegandoci su noi stessi ci rendiamo conto che la nostra più intima spinta è la "volontà di vivere": un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Noi, proprio noi, siamo vita, ovvero "volontà di vivere".
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:25:41 PM
CitazionePerò mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
A me pare piuttosto che possiamo pensare la distinzione come qualcosa che avrebbe potuto essere diversa, ma di fatto non lo è. Ossia noi vediamo che le cose vengono considerate in modo diverso (nel tempo e nei luoghi) e che da questi modi diversi di considerarle è possibile giungere a un'intesa, a una traduzione. Ma nel loro ambito originario esse non sono per nulla arbitrarie: noi non scegliamo a caso quale significato (e implicazione di significati) dare agli enti, cosa sia parte e cosa sia intero, è il contesto che lo decide per ciascuno di noi, l'insieme dei rapporti, degli usi e dei modi di fare che insieme già tutti pubblicamente condividiamo in un determinato luogo e tempo. Per esempio "Italia" (come Eurasia o qualsiasi denominazione geografica) può sembrare solo un nome del tutto arbitrario per una certa regione del globo terrestre, che qualcuno ha scelto di chiamare così potendola chiamare anche diversamente (Enotria, Esperia ...), ma sappiamo che così non è, perché il significato di quel nome non è per nulla arbitrario, ma il frutto di secoli di storia in cui è presente qualcosa che nonostante tutto accomuna in modo simbolico astratto e che quel nome indica. Non è in origine "solo un'espressione geografica", come diceva Metternich, anche se certamente può diventarlo, ossia il simbolo può perdere ogni significato e diventare solo un segno che non significa più nulla e quindi a piacere tutto e il contrario di tutto, ma non il contrario.
Chiunque può trovare (non inventare dal nulla) una definizione, ma in realtà non è lui che la trova, è il contesto che gli sta attorno che sempre gliela suggerisce e gliela impone anche nella sua novità e questo è il motivo per cui, anche se sembra che nulla te lo impedisca, non potrai mai chiamare se non per insignificante vezzo una cosa in altro modo (e anche questo solo richiamandoti al modo o ai modi con cui la si chiama e la si conosce), finché il contesto non ammette questo altro modo che è un altro modo di significare e quindi di apparire.
CitazioneNon sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
E naturalmente, essendo animali sociali generalmente ("di regola") concordiamo e condividiamo queste scelte con gli altri; e ovviamente nella storia i concetti tendono ad assumere e in molti casi assumono significati più o meno complessi e "stratificati" (anche mutandoli, almeno in parte).
M ma questo non mi imedische, per esempio, di stabilire del tutto lecitamente e sensatamente il concetto (fra l' altro dotato di una denotazione reale) di "Asiafrica". Le caratteristiche del contesto oggettivo potranno impedire che si affermi in un ambiente sociale, culturale, non destituirlo di significato e correttezza (men che meno di denotazione).
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AM
Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
Ma l'oggetto in sé non esiste, ovvero esiste come astrazione concepibile in sé solo dal nostro modo di pensare concettuale. Il discorso che tu fai mi pare che si inquadri nel discorso più generale di voler stabilire quali siano gli elementi (interi) semplici alla base di ogni composto (senza dubbio un discorso che ha una lunga storia sia nella filosofia che nella scienza dell'Occidente, con enormi conseguenze sulla nostra visione del mondo), le parti unitarie e fondamentali che, prese in sé (ovvero non più come parti) stanno alla base di tutto. Mi pare evidente che questo è un processo infinito di astrazione (poiché ogni parte si rivela sempre all'osservazione un intero di altre parti ancora più semplici e fondamentali) che a mio avviso basa la sua pretesa su un errore fondamentale, ossia considerare che ci siano elementi in sé (ad esempio gli atomi) che possano essere "in essenza" gli stessi sia che li si ritrovino isolati o come parti, ossia che la loro modalità di essere non incida in effetti per nulla su ciò che sono, quando invece ciò che sono solo le loro modalità di essere possono determinarlo effettivamente.
Citazione di: sgiombo il 11 Ottobre 2016, 09:10:09 AM
Non sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
Perdona Sgiombo, ma qui c'è qualcosa che mi sfugge. Non sostieni che scegliamo a caso (i nostri modi di considerare le cose e intenderne i significati dandone espressione), bene, fin qui siamo d'accordo, ma allora in che modo le nostre scelte possono essere arbitrarie, determinate fondamentalmente da un nostro libero arbitrio svincolato dai contesti (e nei contesti ci metto dentro, oltre ai modi di pensare, i modi linguistici di esprimersi, gli strumenti tecnici che utilizziamo per fare le cose, le credenze a cui partecipiamo secondo istruzione ricevuta e tutte le nostre prassi)? Come è possibile pensare insieme che il significato (il modo in cui qualsiasi cosa appare) non è frutto del caso, ma nello stesso tempo è frutto di una volontà mia, tua o di altri individui che possono scegliere ad libitum, svincolati da qualsiasi necessità davanti a un panorama di infinite possibilità in origine (ossia nella loro purezza oggettiva in sé) del tutto equivalenti?
Non c'è dubbio che le espressioni linguistiche possano arrivare a traduzioni, accordi espressivi, vocabolari concordati e via dicendo, ma questo è il risultato finale del processo linguistico, non il suo punto di partenza. Nessuna lingua è nata da un vocabolario (anche perché pe comporre un vocabolario, bisogna già avere un vocabolario), ma ogni lingua produce il suo vocabolario che non è chi parla quella lingua a decidere in partenza.
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AM
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 00:02:53 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.
Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
CitazioneEsistono realmente, nella realtà (ovviamente "con un grado limitato di realtà", secondo la terminolgia di Apeiron: contingenti e non eterni) gli atomi di idrogeno e quello di ossigeno (che formano la molecola d' acqua), ovvero esiste la molecola d' acqua.
Il pensiero li può del tutto arbitrariamente, ad libitum considerare separatamente (considerare ciascuno dei tre atomi: "primo atomo di H"; "secondo atomo di H"; "atomo di O") o congiuntamente come "molecola d' acqua", ovvero molecola "H2O".
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 10:24:40 AM
Citazione di: sgiombo il 11 Ottobre 2016, 09:10:09 AM
Non sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
Perdona Sgiombo, ma qui c'è qualcosa che mi sfugge. Non sostieni che scegliamo a caso (i nostri modi di considerare le cose e intenderne i significati dandone espressione), bene, fin qui siamo d'accordo, ma allora in che modo le nostre scelte possono essere arbitrarie, determinate fondamentalmente da un nostro libero arbitrio svincolato dai contesti (e nei contesti ci metto dentro, oltre ai modi di pensare, i modi linguistici di esprimersi, gli strumenti tecnici che utilizziamo per fare le cose, le credenze a cui partecipiamo secondo istruzione ricevuta e tutte le nostre prassi)? Come è possibile pensare insieme che il significato (il modo in cui qualsiasi cosa appare) non è frutto del caso, ma nello stesso tempo è frutto di una volontà mia, tua o di altri individui che possono scegliere ad libitum, svincolati da qualsiasi necessità davanti a un panorama di infinite possibilità in origine (ossia nella loro purezza oggettiva in sé) del tutto equivalenti?
CitazioneSemplicemente scegliamo secondo i nostri interessi teorici o pratici i nomi da dare alle cose: queste scelte non sono casuali (in generale; potrebbero esserle se decidiamo che lo siano) perché motivate, determinate dai nostri interessi, ma sono arbitrarie perché questi interessi che ci condizionano a sceglierli sono insindacabilmente avvertiti e assecondati (o meno) da ciascuno di noi (li scegliamo arbitrariamente, ma le nostre scelte non sono casuali, bensì determinate, comunque dai nostri soggettivi interessi e non dalla realtà oggettiva; anche quando il nostro interesse, come spesso accade di fatto, é quello di conoscere la realtà oggettiva).
Non c'è dubbio che le espressioni linguistiche possano arrivare a traduzioni, accordi espressivi, vocabolari concordati e via dicendo, ma questo è il risultato finale del processo linguistico, non il suo punto di partenza. Nessuna lingua è nata da un vocabolario (anche perché pe comporre un vocabolario, bisogna già avere un vocabolario), ma ogni lingua produce il suo vocabolario che non è chi parla quella lingua a decidere in partenza.
CitazioneLe lingue evolvono e i vocabolari si definiscono in seguito aprocessi storici; ma ciò non toglie che le parole e i loro significati sono decisi arbitriamente (qualche volta perfino "in partenza"; per esempio Galileo stabilì "in partenza", oltre che del tutto arbitrariamente, anche se motivatamente, non casualmente, di chìamare "pianeti medicei" -e così infatti si chiamarono per molto tempo- quelli che oggi, non più "in partenza" ma altrettanto convenzionalmente sono detti "satelliti di Giove".
Aperion,
una unità, che è composta da parti ha intrinsecamente proprietà che non sono date dalle parti.
Una casa è composta da mattoni, la matematica è composta da numeri, le frasi le componiamo da un alfabeto.
Non è riducendo la casa al mattone che noi relazioniamo le proprietà e e le caratteristiche della casa diverse dal mattone, così come un numero non è solo l'1 o l'alfabeto solo la a. la composizione è ovvio che costruisce complessità e quindi categorie ontologiche che tu stesso hai diviso ,ma proprio perchè sai le differenze relazionali.
Non è riducendo all'atomos alla tavola degli elementi chimico/fisici che noi troviamo le proprietà degli acidi o dei metalli e così via.
Dobbiamo tenere presente proprietà e caratteristiche di un ente ,oggetto affinchè il moviment odelal conoscenza a discendere e a salire, induttivo e deduttivo trovino significati .L'essenza non è propriamente l'infitesimamente piccolo non suddividibile.
Perchè se il Tutto fosse solo la scomposizione infinita di positroni, stringhe, quark, non ci dice nulla del mondo, del perchè si formano meteore invece di pianeti, stelle, galassie senza intervento umano.
E' la natura stessa che esige per essere conosciuta la relazione fra una stringa atomica e la galassia, così come un mitocondrio cellulare, o una gamba invece di una testa umana.
In altre parole, non è ponendosi metafisicamente che riesco ad eludere il fatto che una casa esiste, una frase, dei numeri esitano e ogni unità abbia proprietà, caratteristiche che lo differenziano da altre ontologicamente.
Tu dici che la contingenza e il divenire fanno sì che le parti siano più importanti dell'unità complessa, ma quell'atomo di idrogeno che oggi compone un corpo umano, domani potrà comporre un acido inorganico, chi conosce il viaggio delle composizioni dell'infinitesimamente piccolo?
Un uomo fin quando è ritenuto lo stesso uomo anche nel divenire? Oppure moriamo e rinasciamo ogni attimo? Forse è i lricordo o la memoria a darci identità, ma anche un cane o l'antilope sono le stesse dalla nascita alla morte.
Poni una categorizzazione filosfica, ma dimentichiamo che la mereologia ha il compito come teoria di supportare la conoscenza come strumento di indagine
Citazione di: paul11 il 11 Ottobre 2016, 13:37:29 PMAperion, una unità, che è composta da parti ha intrinsecamente proprietà che non sono date dalle parti. Una casa è composta da mattoni, la matematica è composta da numeri, le frasi le componiamo da un alfabeto. Non è riducendo la casa al mattone che noi relazioniamo le proprietà e e le caratteristiche della casa diverse dal mattone, così come un numero non è solo l'1 o l'alfabeto solo la a. la composizione è ovvio che costruisce complessità e quindi categorie ontologiche che tu stesso hai diviso ,ma proprio perchè sai le differenze relazionali. Non è riducendo all'atomos alla tavola degli elementi chimico/fisici che noi troviamo le proprietà degli acidi o dei metalli e così via. Dobbiamo tenere presente proprietà e caratteristiche di un ente ,oggetto affinchè il moviment odelal conoscenza a discendere e a salire, induttivo e deduttivo trovino significati .L'essenza non è propriamente l'infitesimamente piccolo non suddividibile. Perchè se il Tutto fosse solo la scomposizione infinita di positroni, stringhe, quark, non ci dice nulla del mondo, del perchè si formano meteore invece di pianeti, stelle, galassie senza intervento umano. E' la natura stessa che esige per essere conosciuta la relazione fra una stringa atomica e la galassia, così come un mitocondrio cellulare, o una gamba invece di una testa umana. In altre parole, non è ponendosi metafisicamente che riesco ad eludere il fatto che una casa esiste, una frase, dei numeri esitano e ogni unità abbia proprietà, caratteristiche che lo differenziano da altre ontologicamente. Tu dici che la contingenza e il divenire fanno sì che le parti siano più importanti dell'unità complessa, ma quell'atomo di idrogeno che oggi compone un corpo umano, domani potrà comporre un acido inorganico, chi conosce il viaggio delle composizioni dell'infinitesimamente piccolo? Un uomo fin quando è ritenuto lo stesso uomo anche nel divenire? Oppure moriamo e rinasciamo ogni attimo? Forse è i lricordo o la memoria a darci identità, ma anche un cane o l'antilope sono le stesse dalla nascita alla morte. Poni una categorizzazione filosfica, ma dimentichiamo che la mereologia ha il compito come teoria di supportare la conoscenza come strumento di indagine
Non sono necessariamente in disaccordo con te. Sono in realtà
d'accordo sull'utilità pratica della mereologia (e ci mancherebbe...). Tuttavia pensa all'esempio dell'attrito: diciamo che per camminare risentiamo della "forza d'attrito". Macroscopicamente si comporta proprio come un'interazione come ad esempio la gravità. Però più indaghi e più scopri che in realtà è una proprietà
emergente e non fondamentale della realtà: le forze fondamentali sono per quanto ne sappiamo ora 4, l'attrito non è che una composizione di queste 4. perciò non ha un'identità "propria" o un'"essenza". Oppure pensa alla tensione superficiale di un liquido. Di nuovo è una forza emergente, così come lo è la stessa fase liquida. Ogni fase della materia è di questo tipo. Recentemente si è proposto che la coscienza stessa sia emergente, una sorta di "fase della materia". In tal caso la stessa coscienza (ovviamente non saprei dirti se mi convince pienamente questa idea, visto che mi pare ancora assurdo di
avere un'identità personale, una prospettiva unica con cui interagisco col mondo) sarebbe "meno reale" delle "parti". Non dico di "buttare al vento" la mereologia però bisogna conoscere la sua intrinseca (parziale) arbitrarietà.
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 10:24:40 AMCitazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AMPerò questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
Ma l'oggetto in sé non esiste, ovvero esiste come astrazione concepibile in sé solo dal nostro modo di pensare concettuale. Il discorso che tu fai mi pare che si inquadri nel discorso più generale di voler stabilire quali siano gli elementi (interi) semplici alla base di ogni composto (senza dubbio un discorso che ha una lunga storia sia nella filosofia che nella scienza dell'Occidente, con enormi conseguenze sulla nostra visione del mondo), le parti unitarie e fondamentali che, prese in sé (ovvero non più come parti) stanno alla base di tutto. Mi pare evidente che questo è un processo infinito di astrazione (poiché ogni parte si rivela sempre all'osservazione un intero di altre parti ancora più semplici e fondamentali) che a mio avviso basa la sua pretesa su un errore fondamentale, ossia considerare che ci siano elementi in sé (ad esempio gli atomi) che possano essere "in essenza" gli stessi sia che li si ritrovino isolati o come parti, ossia che la loro modalità di essere non incida in effetti per nulla su ciò che sono, quando invece ciò che sono solo le loro modalità di essere possono determinarlo effettivamente.
Molto probabilmente sono condizionato dalla mia formazione da fisico, il cui mestiere è prettamente "analitico" :) . Ho sempre visto la fisica come quella disciplina che tenta di vedere (1) i fondamentali costituente della realtà (2)
come (e NON perchè) essi interagiscono. Ora concordo con te che in realtà quello che la fisica ha trovato è che queste stesse "particelle elementari" sono anch'esse "non completamente reali" per il fatto che
possono scomparire (in fisica delle particelle nulla è assolutamente indistruttibile. Ad esempio un elettrone è stabile, non decade spontaneamente e non è composto da parti, ma se incontra per strada un positrone "schiatta"). Per questo motivo
nessuna cosa contingente è "completamente" reale. Tuttavia queste "entità fondamentali" sono "più reali" degli oggetti che "costruiscono" per i motivi detti in altri post. Poi il discorso è questo: se vuoi analizzare un oggetto meccanico lo rompi e poi vedi come e parti "interagiscono". Il perchè interagiscono nel modo in cui interagiscono non ha una risposta empirica e quindi è pura speculazione.
Citazione di: Sariputra il 11 Ottobre 2016, 01:19:29 AMCitazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:14:48 AM@Sariputra, Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede. Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre: 1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione; 2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni; 3) "non esistenza" Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.
Ne abbiamo discusso parecchio in "La nave di Teseo". Sono d'accordo che , tutto ciò che è composto, non ha realtà assoluta ( se per assoluta intendi un'esistere fondato in se stesso, durevole, immutabile, eterno, non dipendente da cause e condizioni), ma nemmeno è privo di realtà ("Qualcosa c'è là fuori" per dirla in parole povere). C'è una realtà , che è però priva di esistenza intrinseca. Possiede un'esistenza dipendente da cause e condizioni, un'esistenza limitata proprio dall'insorgere dipendente. Consideriamo anche che ogni parte di un insieme è a sua volta un insieme di parti. Per es. l'insieme dei miei ricordi fonda il mio senso di continuità personale, ma se andiamo ad analizzare i ricordi vediamo che si trasformano di continuo, tanto che , dopo molto tempo, i confini tra l'esperienza effettiva vissuta e la colorazione che ne dà la mente sfumano. Appare evidente come anche il singolo ricordo è un insieme ( coscienza, fantasia, proiezioni, ecc.) di parti psicologiche. E' come se , dentro un universo, ci fossero innumerevoli altri universi. Dentro una parte, innumerevoli altre parti. Il problema evidente è, per me, che la mente non può concepire,se non intuitivamente o per mezzo dell'espressione artistica, la fluidità e la compenetrazione di questi "universi" negli universi; di questo " esistere senza esistenza propria", apparentemente contradditorio per il pensiero che ha necessità logica di analizzare per parti o per insiemi di parti. Il pensiero però , elaborando nomi, forme e significati agisce all'interno di questo divenire di esistenza-priva-di-esistenza e lo trasforma, attraverso la volontà e la rappresentazione che si fa della sua "parti-colare" percezione di questa esistenza dipendente. Pertanto, come dice Schopenhauer: "Il mondo è la mia rappresentazione". Però se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione, sostiene sempre Sch., non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico. Ma noi siamo anche corpo: in quanto corpo soffriamo ( di desiderio) e godiamo ( dell'appagamento del desiderio). Ripiegandoci su noi stessi ci rendiamo conto che la nostra più intima spinta è la "volontà di vivere": un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Noi, proprio noi, siamo vita, ovvero "volontà di vivere".
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)
Aperion,
cosa non è discutibile, soggetto ad arbitrio? L'essenza dal punto di vista storico filosofico, ha avuto essa stessa alterne vicende e definizioni da Aristotele alla contemporaneità. Quindi bisogna intendersi cosa si intende per essenza, perchè può aiutare a capire le relazioni fra parti e unità.
Non dimentichiamoci, che noi umani se siamo contingenti nel divenire, siamo agenti epistemologici e questo creerebbe un paradosso.Noi siamo esseri finiti eppure definiamo l'infinito e l'eterno.Significa che non è l'ontologia a relegare l'epistemologia a limitarla.
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)
Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"..."Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%qui sotto l'articolo completo:http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html
Citazione di: paul11 il 11 Ottobre 2016, 23:17:08 PMAperion, cosa non è discutibile, soggetto ad arbitrio? L'essenza dal punto di vista storico filosofico, ha avuto essa stessa alterne vicende e definizioni da Aristotele alla contemporaneità. Quindi bisogna intendersi cosa si intende per essenza, perchè può aiutare a capire le relazioni fra parti e unità. Non dimentichiamoci, che noi umani se siamo contingenti nel divenire, siamo agenti epistemologici e questo creerebbe un paradosso.Noi siamo esseri finiti eppure definiamo l'infinito e l'eterno.Significa che non è l'ontologia a relegare l'epistemologia a limitarla.
L'epistemologia è più importante dell'ontologia, secondo me.
Per una definizione di "essenza": dico che una cosa ha un'essenza se esiste di per sé (definizione "ontologica") o equivalentemente se riesco a conoscere se tale cosa esiste o no basta solamente la conoscenza della cosa stessa (definizione "epistemologica"). In poche parole ciò che ha una sua essenza è ciò che è
totalmente indipendente concettualmente.
In ogni caso sono d'accordo che
nulla nell'esperienza, o se vuoi in "questo mondo" ha un'essenza. Nulla è veramente distinto dal "resto" delle cose. Ogni distinzione che facciamo è arbitraria. Quando vedo un tavolo (reale) in ultima analisi riconosco non è una cosa "separata" dal resto dell'universo. Come dicevo l'impressione che mi da l'universo è come una schiuma in cui sembra che ci sia molteplicità ma non c'è :)
Per il discorso parti/intero: io posso considerare un'ente il tavolo ma posso considerare come unico ente la stanza in cui è presente il tavolo, posso considerare come unico ente l'edificio e così via. Le particelle fondamentali queste si potrebbero "isolare" ed "etichettare". Ma sono contingenti e quindi nemmeno loro sono indipendenti, ma questo è un altro discorso.
Tornando in tema nell'esempio del tavolo, della stanza ecc: come vedi qui tutto è convenzione.
Citazione di: acquario69 il 11 Ottobre 2016, 23:34:49 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)
Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"...
"Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".
queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%
qui sotto l'articolo completo:
http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html
Sotto questo punto di vista sono agnostico (epistemologicamente), personalmente credo che ci sia un Assoluto ma lo concepisco in modo diverso da come è tradizionalmente concepito il Dio cristiano. Per il problema dell'origine della materia... Potrebbe non aver mai avuto origine.
"Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (Wittgenstein) - Il fatto che "c'è qualcosa anzichè nulla" è un problema insolubile con la ragione. Personalmente per onestà intellettuale non lo so. Ogniuno ha la sua risposta, l'importante è avere il "senso del mistico/mistero (usando un termine meno "religioso" ma col medesimo significato)" davanti all'esistenza.
Citazione di: acquario69 il 11 Ottobre 2016, 23:34:49 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)
Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"...
"Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".
queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%
qui sotto l'articolo completo:
http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html
CitazionePerché mai cercare una presunta "origine della materia" quando si può benissimo ipotizzare che sia sempre esistita e in trasformazione secondo modalità universali e costanti (leggi di conservazione)?
Non esiste nessuna relazione necessaria fra credenze in fatto di ontologia e metafisica (quale, come qualsiasi altra, quella nello scientismo; che personalmente non seguo affatto considerandolo una forma di irrazionalismo e considerando me stesso un razionalista) e morale e moralità, come dimostrano innumereoli illustri credenti in Dio immoralissimi (da Costantino ai Bush a Obama a Woytila, ecc., ecc., ecc.) e innumerevoli illustri atei moralissimi (da Ernesto "Che" Guevara a Salvador Allende a Giacomo Matteotti, ecc., ecc. ecc.).
Chiunque non abbia pregiudizi (spesso pericolosissimi perché tendono a favorire atteggiamenti "fondamentalistici" e intolleranti) non può che constatare che possesso di un' etica e comportamento etico e mancanza di un' etica e comportamento immorale o amorale sono equamente distribuiti fra credenti e non credenti.
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 23:42:18 PML'epistemologia è più importante dell'ontologia, secondo me. Per una definizione di "essenza": dico che una cosa ha un'essenza se esiste di per sé (definizione "ontologica") o equivalentemente se riesco a conoscere se tale cosa esiste o no basta solamente la conoscenza della cosa stessa (definizione "epistemologica"). In poche parole ciò che ha una sua essenza è ciò che è totalmente indipendente concettualmente. In ogni caso sono d'accordo che nulla nell'esperienza, o se vuoi in "questo mondo" ha un'essenza. Nulla è veramente distinto dal "resto" delle cose. Ogni distinzione che facciamo è arbitraria. Quando vedo un tavolo (reale) in ultima analisi riconosco non è una cosa "separata" dal resto dell'universo. Come dicevo l'impressione che mi da l'universo è come una schiuma in cui sembra che ci sia molteplicità ma non c'è :) Per il discorso parti/intero: io posso considerare un'ente il tavolo ma posso considerare come unico ente la stanza in cui è presente il tavolo, posso considerare come unico ente l'edificio e così via. Le particelle fondamentali queste si potrebbero "isolare" ed "etichettare". Ma sono contingenti e quindi nemmeno loro sono indipendenti, ma questo è un altro discorso. Tornando in tema nell'esempio del tavolo, della stanza ecc: come vedi qui tutto è convenzione.
Voglio fare alcune precisazione. Mi sono espresso male in quanto ho scritto di fretta ieri (ci sono anche alcuni errori nell'italiano, per i quali mi scuso, che non riesco a modificare). La similitudine della schiuma non vuole dire che "la molteplicità è apparente ma dietro c'è un'unità", quello che vuole dire è che quelle che noi designamo come "cose" sono enti convenzionali, non assoluti (non so dire se abbia senso considerare "l'universo"/"il multiverso"/l'insieme di ciò che esiste come una "cosa sola"). Non essendo in realtà seprarabili concettualmente dal resto sono "senza essenza". D'altronde a mio giudizio una cosa è tanto più reale quanto è più concepibile come distinta da altro. Ciò che ha sostanza/essenza gode di un'indipendenza concettuale.
Ad esempio in fisica si fa l'astrazione di considerare il corpo che scende sul piano inclinato come assolutamente separato dal piano inclinato. Tuttavia
non è così. Certamente è utile ma è convenzionale si basa su assiomi che abbiamo scelto noi. La mia posizione non è così distante da quelle di Sariputra e sgiombo. Quello che facciamo per "vivere" è farci una mappa del mondo, eticchettando continuamente le cose come se fossero distinte, tuttavia dobbiamo riconoscere che tali mappe sono arbitrarie (seppur utilissime). Allo stesso modo per il discorso delle "entità composte" queste hanno un motivo per essere inessenziali: (*) a differenza del "Tutto" le cose composte
che si trovano nella realtà sono inserite nel mondo e quindi possono essere viste a loro volta come parti. Sono perciò "pseudo-entità", entità che "vediamo noi" perchè rappresentiamo la realtà in un certo modo. Notare che (*) è ciò che veramente distingue l'idea di "tavolo" dal "tavolo nella realtà". Se non ci fosse questa condizione ovvia il tavolo sarebbe incondizionato e quindi avrebbe una propria "essenza" ma così non è (non a caso fu per questo motivo che Platone pensò all'Iperuranio). A differenza del tavolo reale quello concettuale puoi anche considerarlo come un tutt'uno, cioè ti puoi "dimenticare" che è composto da parti. Nella realtà
non puoi farlo.