Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
Citazione di: maral il 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
Non sono del tutto d'accordo con la premessa. La filosofia può e deve comprendere qualsiasi sviluppo scientifico, come quelli delle biotecnologie. Come lo possa fare non lo sappiamo, ma secondo me è inevitabile che prima o poi ci riesca
Citazione di: albert il 05 Aprile 2016, 07:47:35 AM
Non sono del tutto d'accordo con la premessa. La filosofia può e deve comprendere qualsiasi sviluppo scientifico, come quelli delle biotecnologie. Come lo possa fare non lo sappiamo, ma secondo me è inevitabile che prima o poi ci riesca
La premessa è ciò che l'attuale biologia mostra di saper fare sul vivente, che mette in discussione il senso di individualità umana con tutte le dicotomie che parevano poter prestabilire delle mappature di riferimento sensato: vivente-non vivente, naturale-artificiale, sessuato- asessuato ecc.). E' in relazione a questo poter fare sempre crescente e alla necessità di farlo che, a fronte della manifesta impotenza della filosofia a stare al passo del progresso biotecnologico, il biologo rivendica a sé il diritto e dovere di stabilire la propria filosofia, proprio sulla sulla base di ciò che sa fare: una filosofia che, nei significati che stabilisce, non sia altro che un'emanazione della capacità e della prospettiva tecnologica.
Sicuramente la rivoluzione tecnologica del prossimo futuro riguarderà proprio la biologia (basti pensare a quello che si può fare con le cellule staminali, alle modifiche che si possono introdurre nelle cellule somatiche, agli sviluppi della biomedicina e della diagnostica biomedica), il problema è che questa rivoluzione viene ben più di quelle che l'hanno preceduta, a interessare direttamente il senso dell'essere vivente umano, dunque il senso profondo di ciò che siamo.
Un saluto a tutti e speriamo che tutto riprenda alla meglio, anche se il fardello che ci si lascia alle spalle è veramente pesante e difficilmente sostituibile.
X Maral. Sinceramente sono dell' opinione che sia tutto un grave errore. Intervenire sulla biologia degli organismi significa purtroppo rendere molto più difficile qualsiasi futuro per la specie umana.
Gli scienziati sanno? Sanno quello che fanno? Non credo proprio. Loro non sanno proprio niente di ciò che innescano, sanno soltanto che innescano qualcosa, ma cosa?
E d' altronde non si può neanche pensare di impedirlo. Chi rispetterebbe questo divieto? Come purtroppo da diverso tempo continuo a sostenere, siamo alla follia. E non c' è scienza o filosofia che possa salvarci. Come può un filosofo conoscere se anche gli operatori ( gli scienziati ) non sanno minimamente cosa stanno innescando e quali potranno essere i possibili risultati e le possibili implicazioni?
A mio avviso, questa non è Scienza. Perciò come può parlarsi di gap quando non c' è conoscenza ma soltanto follia o arbitrarietà?
Il gap culturale a livello tecnologico c' è naturalmente ed è enorme. Ed è difficile che possa essere colmato. Questo naturalmente per l' uomo comune. Ma un filosofo che voglia ritenersi tale dovrebbe comunque conoscere anche la tecnologia in tutti i suoi risvolti. Non è che non è possibile che ciò avvenga, è che filosofi attualmente proprio non ve ne sono.
Un saluto cordiale a te e a tutto lo staff.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 05 Aprile 2016, 20:10:17 PM
Sinceramente sono dell' opinione che sia tutto un grave errore. Intervenire sulla biologia degli organismi significa purtroppo rendere molto più difficile qualsiasi futuro per la specie umana...
Ma un filosofo che voglia ritenersi tale dovrebbe comunque conoscere anche la tecnologia in tutti i suoi risvolti. Non è che non è possibile che ciò avvenga, è che filosofi attualmente proprio non ve ne sono.
Ricambio il tuo cordiale saluto Garbino, benvenuto nel nuovo forum.
Preciso che è proprio con lo scopo di creare una transdisciplinarietà tra filosofia e scienze biologiche che il gruppo culturale Mechrì ha promosso a Milano un seminario di biologia-filosofia, che conta della partecipazione come figure di spicco di Carlo Alberto Redi (illustre biologo, accademico e saggista) e Carlo Sini (il famoso filosofo). Lo scopo degli incontri è da una parte creare un linguaggio comune sulla base del quale intendersi e dall'altro mostrare le nuove possibilità delle biotecnologie per assicurare salute e benessere, i problemi che sollevano e le resistenze che incontrano. Ho partecipato al seminario e sono rimasto impressionato sia dalle possibilità che la biotecnologia mette in campo soprattutto per la bio medicina, sia della portata dei problemi filosofici che solleva e scompiglia: cos'è la vita, se ha ancora senso parlare di naturale e artificiale, in cosa potrà consistere la sessualità e la procreazione in un futuro già presente in cui le due cose appaiono sempre più disgiunte, il senso antiquato di appartenenza del proprio corpo, gli effetti sull'ambiente e così via, tutto questo in ragione delle conoscenze genomiche andate maturate negli ultimi anni a partire dalla scoperta di LUCA (Living Unit Common Ancestor, corrispondente al DNA originario, fonte prima della vita).
A fronte dell'enorme gap che si è creato tra ciò che si può fare e il suo significato, il biologo rivendica al suo poter fare la base per istituire ogni significato in merito ai temi basilari per l'esistenza, ricusando ogni tentativo filosofico (o religioso) di rallentare o porre limiti alla capacità tecnica acquisita, al massimo è disposto a concedere al filosofo un ruolo di aiuto specialistico per costruire una semantica efficace per il "mondo nuovo" che egli sa tecnologicamente costruire.
Sini parte dalla concezione che è sempre stato il lavoro dell'uomo, gli strumenti materiali che egli è venuto usando a determinare la visione del mondo e di se stessi, ma sottolinea sempre come questo riconoscimento è sempre culturale e dunque, per l'essere umano, la natura, fondamentalmente riflessa dal lavoro umano, resta il prodotto di situazioni culturali. Questa è una posizione che pur andando incontro alle esigenze del biologo, non pare lo soddisfi, perché forse avverte in essa una resistenza a quel concetto di oggettività scientifica basata sull'evidenza sperimentale incontrovertibile del funzionare.
Il problema allora è: possiamo essere sicuri che un mondo il cui significato resta dettato dalle biotecnologie, funzioni davvero?
Citazione di: maral il 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
A fronte dell'enorme gap che si è creato tra ciò che si può fare e il suo significato, il biologo rivendica al suo poter fare la base per istituire ogni significato in merito ai temi basilari per l'esistenza, ricusando ogni tentativo filosofico (o religioso) di rallentare o porre limiti alla capacità tecnica acquisita, al massimo è disposto a concedere al filosofo un ruolo di aiuto specialistico per costruire una semantica efficace per il "mondo nuovo" che egli sa tecnologicamente costruire.Sini parte dalla concezione che è sempre stato il lavoro dell'uomo, gli strumenti materiali che egli è venuto usando a determinare la visione del mondo e di se stessi, ma sottolinea sempre come questo riconoscimento è sempre culturale e dunque, per l'essere umano, la natura, fondamentalmente riflessa dal lavoro umano, resta il prodotto di situazioni culturali. Questa è una posizione che pur andando incontro alle esigenze del biologo, non pare lo soddisfi, perché forse avverte in essa una resistenza a quel concetto di oggettività scientifica basata sull'evidenza sperimentale incontrovertibile del funzionare. Il problema allora è: possiamo essere sicuri che un mondo il cui significato resta dettato dalle biotecnologie, funzioni davvero? Sono un veteromarxista, lo so, e inoltre mi rendo conto di ripetere quanto già più volte da me sostenuto nel vecchio forum, ma (a parte il fatto che quanto qui riferito (da parte di Maral) del filosofo Carlo Sini mi sembra inequivocabilmente "marxiano", come preferiscono dire i politicamente corretti), penso che il "fare" della biologia (contrariamente al suo "sapere") non sia scienza (casomai tecnica), e dipenda innanzitutto dagli assetti sociali dominanti (capitalistici e secondo me "in avanzato stato di putrefazione").La biologia in quanto scienza conosce, e le applicazioni tecniche che consente a rigore non sono necessarie, né inevitabili in linea di principio, ma casomai soltanto di fatto; e a mio parere a causa della struttura sociale capitalistica dominante, che imponendo oggettivamente la concorrenza nella ricerca del massimo profitto a qualsiasi costo e a breve termine cronologico fra unità produttive, proprietarie private dei mezzi di produzione, reciprocamente indipendenti, non può che ignorare il concetto eminentemente razionalistico di "limite" (infatti il modo di produzione capitalistico é eminentemente irrazionale): limite oggettivamente ineliminabile innanzitutto della quantità e della qualità della vita umana, individuale e di specie, limite delle risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili e della capacità dell' ambiente naturale di "metabolizzare" gli inevitabili (in qualche misura finita) effetti nocivi delle produzioni e dei consumi delle merci (tutte, anche dei "servizi" pretesi più "immateriali"), limite delle conoscenze scientifiche reali di fatto e possibili, ecc. Non é la scienza biologica, bensì la società capitalistica "in avanzato stato di putrefazione" a imporre di ignorare irrazionalisticamente i limiti dell' agire umano e non sono, secondo me, la filosofia o l' etica che potrebbero imporle di rispettarli, bensì unicamente nuovi, più avanzati, più oggettivamente adeguati, più razionali rapporti sociali di produzione.Circa la realizzazione dei quali nella nostra storia umana di specie parlante, pensante, "culturale" naturalmente (naturalisticamente) comparsa per evoluzione biologica su questo nostro pianeta, credo ci sia da essere assai pessimisti. Il che non giustifica secondo me alcuna accettazione pavida e vigliacca dello stato di cose presente e inevitabilmente della conseguente "estinzione prematura e di sua propria mano" dell' umanità stessa: per chiunque abbia una corretta concezione etica e una corretta visione della realtà di fatto lottare, anche "disperatamente" é un' ineludibile imperativo categorico!
Ben ritrovati a tutti!
Credo che tecnoscienze e comprensione (di un senso della vita) viaggino parallelamente in senso euclideo. Il metodo scientifico sperimentale funziona bene nei confronti dell'ambiente (e dell'uomo inteso come parte dell'ambiente), ma non riesce a replicare i suoi successi nell'ambito del senso dell'interiorità umana. Se esiste lo spirito, unica cosa che può dare un senso all'accozzaglia di materia organica destinata a deperire che siamo, deve essere una realtà non assoggettabile alle pratiche scientifico sperimentali. Si tratta di consapevolizzare socraticamente che la scienza umana ha dei limiti, quale appunto l'imperscrutabilità dello spirito e del divino. Invece la scienza contemporanea pare considerarsi illimitata nelle sue potenzialità. Ma il senso (profondo) che l'uomo da alla vita e alle cose non può essere il risultato di un esperimento.
La filosofia,soprattutto morale, necessariamente condiziona le scelte e gli indirizzi, perchè ragiona su premesse ontologiche e intenzionalità. Il suo limite è la difficoltà nel saper fare, nel rendere protocollare un'attività, che vorrebbe dire passare dalle coscienze alle prassi attraverso la legge positiva. Dall'altra la scienza essendo legata al rapporto finanziario dove la ricerca è commissionata e alla fine veicolata da interessi (commerciali,militari,ecc.) reclama libertà d'invenzione e di attività.
Intanto abbiamo visto soprattutto negli ultimi decenni che le coscienze di massa se unite e numericamente consistenti, possono per ragioni speculative(il voto politico) far mutare o riconoscere dei diritti;pensiamo alle battaglie ambientaliste ad esempio,delle coppie di fatto od omosessuali,ecc.
Infine oggi il ruolo del filosofo non è quello di alcuni secoli fa. Con la società di massa è l'anchor man, "l'opinionista", i mass media a veicolare l'informazione che ha spodestato il ruolo del filosofo.Quest'ultimo può semmai adattarsi a scrivere un editoriale,
Quello che fu il rapporto fra il ruolo del principe e del filosofi, oggi è un rapporto fra governo istituzionale(poco o nulla), ma soprattutto proprietari dei mass media o responsabile editoriale e filosofo..
Nella problematica specifica del filosofo sul bios contro il biotech scientifico è la definizione di vita, identità, autenticità nei loro relati,Da ciò ne deriva ciò che viene ritenuto manipolabile oppure immodificabile.Il filosofo non può che limitare,condizionare poichè la scienza non si pone premesse, ma obiettivi in questo caso assolutamente suadenti:debellare malattie ereditarie,allungare la vita.E' importante la contraddizione dell'opinione pubblica su questo argomento, che ha un ruolo decisivo fra il filoso e lo scienziato: chiede diritti agli animali, è contro gli organismi geneticamente modificati;ma si chiede cosa sia la vita,identità, autenticità e aggiungerei dignità? E' la stessa opinione pubblica che chiede alla scienza...."avanti tutta"
Daccapo ,l'opinione pubblica è a sua volta la manipolazione delle menti per indirizzare un pensiero di massa.
Adatto che alla fine sono le persone e le organizzazioni dei ruoli dirigenti a tutti i livelli che veicolano la cultura, facciamoci un'idea della loro"consistenza"e abbiamo davanti l'immediato futuro generazionale.
L'unico isituto che è contrario alla manipolazione della vita è la Chiesa: è ovvio.Ma non solo nei contenuti, ma nel metodo, perchè la fermezza dogmatica non può a sua volta diventare opinione, quindi il paradigma morale teologico si scontra con la pretesa di una libertà di intraprendenza. Andrebbe definito quindi anche il concetto di libertà che vale per la scienza e l'economia e sempre meno per il singolo individuo dentro le organizzazioni sociali di quella cultura.
Hai giustamente spiegato anche gli allontanamenti e specificità di ruoli e funzioni nel biotech, come la separazione di sessualità e riproduzione. Si evince infatti che dalla modernità ad oggi per i rami specialistici che hanno ruolificato la conoscenza in scienze hanno contribuito anche alla separazione medica del concetto di corpo fisico , mente e spirito.
Se la natura ha accompagnato nelle tassonomie nei rami più evoluti alla riproduzione gamica accompagnandola ad un rapporto sessuale piacevole, separando i due concetti in due funzioni diverse si vuol separare la problematica così da poterla risolvere in maniera diversa. Questo approccio è fortemente ambiguo.Se la vita è un insieme inseriamo innumerevoli sottoinsiemi che complicano l'approccio, volutamente deviano i contesti dal vero problema:cosa intendiamo per vità non solo in termini biologici?
Cosa vieta costruire corpi fisici atti a compiti militari, a innesti organici con materiali nanotecnologici,ecc.
Dove il biotech può alleviare sofferenze e dolore senza compromettere identità, autenticità, dignità? La cellula di un corpo umano è una cellula singola se vista al microscopio, ma è parte funzionale di un organismo che pensa riflette agisce.
Citazione di: cvc il 06 Aprile 2016, 21:09:39 PM
Ben ritrovati a tutti!
Credo che tecnoscienze e comprensione (di un senso della vita) viaggino parallelamente in senso euclideo. Il metodo scientifico sperimentale funziona bene nei confronti dell'ambiente (e dell'uomo inteso come parte dell'ambiente), ma non riesce a replicare i suoi successi nell'ambito del senso dell'interiorità umana. Se esiste lo spirito, unica cosa che può dare un senso all'accozzaglia di materia organica destinata a deperire che siamo, deve essere una realtà non assoggettabile alle pratiche scientifico sperimentali. Si tratta di consapevolizzare socraticamente che la scienza umana ha dei limiti, quale appunto l'imperscrutabilità dello spirito e del divino. Invece la scienza contemporanea pare considerarsi illimitata nelle sue potenzialità. Ma il senso (profondo) che l'uomo da alla vita e alle cose non può essere il risultato di un esperimento.
infatti secondo me il punto e' proprio questo.la riduzione al solo dominio fisico inteso come unica realtà possibile,la negazione percio del fatto che l'uomo non può essere separato dai fenomeni,essendo anch'esso integrato a questi a tutti gli effetti.significa più semplicemente che siamo ben altra cosa rispetto all'idea estremamente limitata,nonche dogmatica,che oggi predomina incontrastata.disconoscendo questo si trasforma in un apprendista stregone che non trova ne il controllo e ne più il senso di cio che lui stesso ha scatenato in origine,portandolo al caos più completo e alla sua stessa autodistruzione
Citazioneacquario69
infatti secondo me il punto e' proprio questo.
la riduzione al solo dominio fisico inteso come unica realtà possibile,la negazione percio del fatto che l'uomo non può essere separato dai fenomeni,essendo anch'esso integrato a questi a tutti gli effetti.
significa più semplicemente che siamo ben altra cosa rispetto all'idea estremamente limitata,nonche dogmatica,che oggi predomina incontrastata.
disconoscendo questo si trasforma in un apprendista stregone che non trova ne il controllo e ne più il senso di cio che lui stesso ha scatenato in origine,portandolo al caos più completo e alla sua stessa autodistruzione
E' la pretesa, da parte di una visione esageratamente scientifica della realtà, che tutto sia fenomenico, che tutto sia manifesto. Sicuramente la scienza attraverso la suddivisione e specializzazione (nonché frammentazione) del sapere ha messo in luce parecchi fenomeni che apparivano oscuri, ed ha offerto all'uomo nuove opportunità di adattamento. Però le più che secolari questioni dell'antichità rimangono ancora aperte: Come mai la vita? Da dove veniamo? Esiste una realtà trascendente? Esiste Dio? Corpo e spirito sono realtà distinte? Il senso della vita. Il senso della morte. Di fronte a tutte queste questioni la mia misera e insignificante opinione ha altrettanta validità di quella del più eminente scienziato. Non credo che le manipolazioni biologiche della scienza debbano cambiare la nostra visione del mondo, almeno finchè gli interrogativi millenari di cui sopra rimangono insoluti e attuali.
Citazione di: cvc il 07 Aprile 2016, 12:21:41 PM
Citazioneacquario69
infatti secondo me il punto e' proprio questo.
la riduzione al solo dominio fisico inteso come unica realtà possibile,la negazione percio del fatto che l'uomo non può essere separato dai fenomeni,essendo anch'esso integrato a questi a tutti gli effetti.
significa più semplicemente che siamo ben altra cosa rispetto all'idea estremamente limitata,nonche dogmatica,che oggi predomina incontrastata.
disconoscendo questo si trasforma in un apprendista stregone che non trova ne il controllo e ne più il senso di cio che lui stesso ha scatenato in origine,portandolo al caos più completo e alla sua stessa autodistruzione
Non credo che le manipolazioni biologiche della scienza debbano cambiare la nostra visione del mondo, almeno finchè gli interrogativi millenari di cui sopra rimangono insoluti e attuali.secondo me non sono tanto gli interrogativi a rimanere attuali quanto cio che li "produce" in radice,ossia la loro essenza perenne ed immutabile,quindi il rischio a mio avviso e' che questi interrogativi si rendano in un certo senso "autonomi" cioè separati appunto dal loro principio fondativo e la tecnoscienza diventa nel caso il suo strumento ideale perché quest'opera venga compiuta.il rischio dicevo e' che questi interrogativi a quel punto non saranno nemmeno più tali e se non vengano deformati o che scompaiono addirittura del tutto dal nostro orizzonte speculativo..ho il timore più o meno fondato che sia proprio la nostra visione del mondo a farne le conseguenze,come se non si avvertisse più ne il pericolo implicito e ne la percezione stessa della realtà...un po potrei fare anche l'esempio,secondo me calzante di quell'articolo di aldo giannulli che ho postato su cultura e società
Stephen Hawkings non molto tempo fa aveva destato molta indignazione asserendo che la filosofia era morta, e che i soldi che si spendevano nelle scuole per insegnarla andrebbero reindirizzati. Ci furono molte repliche, la più autorevole in Italia probabilmente di Eco, che onestamente non mi convinse più di tanto, non più di quanto mi aveva convinto Hawkings. Rinunciare alla filosofia intesa in maniera etimologica, come semplice amore per la conoscenza, sembra ovviamente una scemenza, da quel punto di vista anche Hawkings è un filosofo prima di un fisico (come in un certo senso disse Eco) ma non credo che Hawkings si riferisse a questo, per di più accostando al discorso la questione scolastica. Onestamente bisogna anche guardarsi intorno e vedere la realtà. In un mondo ad altissima specializzazione figure "newtoniane" che accostano fisica, alchimia, teologia, filosofia in un unico calderone sono ormai inaccettabili, perchè per forza di cose non riescono a competere con i colleghi specializzati. A questo si aggiunge la constatazione pacifica che la filosofia, ha perso da tempo la sua qualità pionieristica, sopratutto in campo scientifico. I filosofi devono nella maggior parte dei casi accontentarsi di arrivare sempre secondi "sul pezzo" e commentare ed elucubrare a riguardo. Roba da poco ? No di certo, almeno in teoria. Tuttavia salvo rari casi, spesso fanno anche un pessimo lavoro, se non altro di interpretazione e\o divulgazione. Perlomeno della stessa qualità che viene raggiunta dalle arti sensoriali, che però hanno il vantaggio dell'immediatezza, del pathos, e della multimedialità. Insomma, da amante della conoscenza, sentir dire che la filosofia è morta sulle prime mi ha lasciato urtato. Tuttavia sempre più spesso mi guardo intorno e vedo gli amici "filosofi" coloro i quali hanno intrapreso un percorso di studi nella materia e hanno raggiunto diversi gradi, e vedo in loro spesso e volentieri, più una volontà nevrotica di differenziarsi tramite perniciose dispute semantiche che una sana passione per la verità, un continuo riverbero di concetti, ampollose reminiscenze, citazioni autodifensive, che a fine giornata il tutto trasuda di un imperioso "e vabbè, anche oggi non si è combinato niente". D'accordo o meno con l'asserzione di Hawkings, sono perlomeno d'accordo che la filosofia è in un momento di grande confusione e dovrebbe trovare una stella polare al più presto, per non svelare il risentimento e la nostalgica ammissione di impotenza che a mio avviso spesso stanno alla base delle argomentazioni filosofiche moderne.
Citazione di: maral il 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
Innanzitutto ben ritrovati a tutti in questo forum nuovo di zecca,speriamo abbia la fortuna del primo.
Che la Scienza possa stabilire una propria filosofia,ossia dei valori propri,è fuorviante. La conoscenza scientifica non si dà scopi che non gli siano stati già precostituiti,ma pone all'uomo uno sguardo per comprendere la realtà cosi come lo circonda,il modo in cui si organizza e si disfa,si trasforma. Ma non fa filosofia; L'uso distorto che si può fare delle biotecnologie,anche se non sei entrato troppo nel merito,non è imputabile alla disciplina stessa. Ma,al contrario,denota un grosso limite della ricerca filosofica moderna.
Come si pone rimedio a questo dislivello? Senza dubbio riportando la filosofia a guardare la VITA per saperla poi affrontare,per scoprire ragioni non in enti trascendenti e assoluti ma insite nell'uomo e nella sua natura. Se la filosofia osserva le nuove teorie delle scienze con indifferenza,fondamentalmente è perché guarda la realtà con la stessa indifferenza. Quanto può valere una filosofia che tratti di principi ultimi e non del qui e ora,una filosofia della morte? Potrà mai essere amica della conoscenza?
Francamente non capisco proprio in che modo "le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica".
A me sembra che le scoperte della biologia non intacchino in alcun modo il pensiero filosofico, tantomeno quello etico in generale e non ne influenzino neppure le prospettive.
Tutt'al più, forse, possono mettere in crisi ALCUNE posizioni filosofiche.
Sarebbe forse il caso di spiegare meglio...
Citazione di: Donalduck il 07 Aprile 2016, 20:38:37 PM
Francamente non capisco proprio in che modo "le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica".
A me sembra che le scoperte della biologia non intacchino in alcun modo il pensiero filosofico, tantomeno quello etico in generale e non ne influenzino neppure le prospettive.
Tutt'al più, forse, possono mettere in crisi ALCUNE posizioni filosofiche.
Sarebbe forse il caso di spiegare meglio...
Ciò che viene messo in discussione dall'ingegneria genetica è il concetto di natura del vivente e in particolar modo il concetto di natura umana, nonché l'idea di individualità tramite processi di clonazione (realizzabili da cellule embrionali - con tutti i problemi etici sull'uso di embrioni- o anche a partire da nuclei di cellule somatiche introdotti in un oocita denucleato); di partenogenesi (la filiazione a partire dal solo oocita femminile), di ritrasformazione di cellule somatiche in cellule pluri o totipotenti o delle stesse in cellule sessuali, la selezione in laboratorio di una doppia elica genomica originaria da riprodurre indefinitivamente senza i fenomeni degenerativi dell'invecchiamento, la fabbricazione di OGM e cibridi (organismi con DNA misto di specie diverse), la possibilità di realizzare raccolte dati in continuo su tutti gli esseri umani tramite banche dati elettroniche (Google, Yahoo ecc.). Tutto questo solleva ovviamente un grosso problema etico che il biologo (e su questo sono d'accordo) propone di risolvere pragmaticamente sulla base di un'etica operativa della responsabilità, anziché sulle vecchie etiche facenti perno su controversi principi morali.
Riporto un passo di un articolo di C.A. Redi e M. Monti ("Clonazione e cellule staminali") che forse può chiarire meglio la questione dal punto di vista del biologo. Scrivono gli autori (le sottolineature e le evidenziazioni sono mie):
CitazioneL'enorme quantità di conoscenze che in modo rapidissimo la ricerca biologica va accumulando sta cambiando profondamente persino la nostra concezione di cosa sia l'essere umano, della salute e della malattia con accesi dibattiti in merito a se, come e quanto utilizzare questo patrimonio di conoscenze per modificare aspetti della vita umana che potrebbero contribuire ad un miglioramento della qualità della vita stessa, in particolare dei senescenti (stante l'attuale tasso demografico occidentale), delle nuove generazioni (grazie alle tecniche di diagnosi prenatale) e dell'ambiente (grazie alle biotecnologie ambientali ed alimentari). Purtroppo siamo dinnanzi ad una generale profonda ignoranza del sapere scientifico, in particolare di quello biologico, da parte dei testimoni più rilevanti della società civile (decisori politici, magistrati, operatori dei media) con un sistema autoreferenziale di ispirazione pseudofilosofica che ben si presta a creare una confusione di ruoli inaccettabile: politici, filosofi, teologi e pensatori di varia estrazione che si occupano di natura umana (cosa che dovrebbe competere al solo biologo) e non, come dovrebbero, della sola condizione umana; con la grave conseguenza che i cittadini tutti finiscono con il recepire come fatto naturale, cosa normale, la produzione di significanti alieni alla Biologia (es. il concepito, la persona) da parte di costoro.
Nello stesso articolo si entra in polemica con la tesi di Habermas (ultimo esponente della famosa "Scuola di Francoforte") il quale nel suo libro "Il futuro della natura umana (i rischi di una genetica liberale)" mette in guardia dalle biotecnologie e "suggerisce di smetterla di pasticciare con il genoma umano, anzi col genoma di tutti gli esseri viventi"
Citazione di: maral il 07 Aprile 2016, 23:24:17 PM
Ciò che viene messo in discussione dall'ingegneria genetica è il concetto di natura del vivente e in particolar modo il concetto di natura umana, nonché l'idea di individualità tramite processi di clonazione.
Quello che non mi risulta chiaro, è di quale concezione (o meglio di quali concezioni) della "natura umana" si parla. Perché, che io sappia, siamo ben lontani, biologia o no, dall'avere una visione comune e condivisa di questa "natura". E neppure risulta chiaro in quali aspetti e in che modo questa concezione (o queste concezioni) verrebbero messe in crisi.
CitazioneTutto questo solleva ovviamente un grosso problema etico che il biologo (e su questo sono d'accordo) propone di risolvere pragmaticamente sulla base di un'etica operativa della responsabilità, anziché sulle vecchie etiche facenti perno su controversi principi morali.
Non so cosa intenda per "etica operativa della responsabilita". Se significa semplicemente prendersi (collettivamente) la responsabilità delle scelte, operate secondo un esame razionale dei fatti, piuttosto che cercare la risposta in presunti libri sacri o in rigidi precetti ideologici, sono d'accordo. Ma bisogna ricordare che la razionalità ha come riferimento ineliminabile un sistema gerarchico di valori che formano l'ossatura di qualunque etica. Ed è prima di tutto nella definizione di questi sistemi di valori che dobbiamo in prima persona assumerci la nostra responsabilità. E non vedo come i biologi possano in questo essere più o meno capaci di noi, più o meno "competenti".
Indubbiamente problemi se ne pongono, ma secondo me l'unico principio irrinunciabile è quello di non compiere azioni di cui non si conoscono le conseguenze quando ci sia il rischio di effetti dannosi. E' chiaro che una certa dose di rischio va accettata, altrimenti non sarebbe possibile nessun progresso, ma le valutazioni devono essere politiche, ossia, almeno in teoria, basata sugli interessi e la volontà della collettività, e non certo lasciati alla"comunità scientifica". Inoltre, nel caso di scelte individuali, ognuno deve essere correttamente informato e conscio del rischio (eventuale) che corre (come per gli OGM: che siano pericolosi o no, ognuno deve poterli riconoscere dall'etichetta e decidere in base alle sue valutazioni).
Un possibile abuso, a cui parte della comunità scientifica tende, è quello di volersi sostituire nel giudizio a ognuno di noi, pretendendo una fiducia a priori in questa "Scienza" (ossia in coloro che se ne proclamano rappresentanti) in scelte che hanno o possono avere un impatto sulla qualità delle nostre vite e sull'etica.
Da una parte cercano di diffondere nel pensiero comune, di massa, una visione mitica della scienza: "è scientificamente provato", "certezza scientifica", eccetera, anche su argomenti ben lontani dall'essere dimostrati. E dall'altra tentano di mettere a tacere con ogni mezzo le voci fuori dal coro della mainstream scientifica.
Su queste "invasioni di campo" - frequenti nel campo della biologia e della medicina soprattutto - soprattutto se viene rivendicato un ruolo o un'influenza in campo etico - ritengo che dobbiamo vigilare e difendere fermamente la nostra autonomia di giudizio.
Citazione di: Donalduck il 08 Aprile 2016, 01:21:20 AMQuello che non mi risulta chiaro, è di quale concezione (o meglio di quali concezioni) della "natura umana" si parla. Perché, che io sappia, siamo ben lontani, biologia o no, dall'avere una visione comune e condivisa di questa "natura". E neppure risulta chiaro in quali aspetti e in che modo questa concezione (o queste concezioni) verrebbero messe in crisi.
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ma le valutazioni devono essere politiche, ossia, almeno in teoria, basata sugli interessi e la volontà della collettività, e non certo lasciati alla"comunità scientifica". Inoltre, nel caso di scelte individuali, ognuno deve essere correttamente informato e conscio del rischio (eventuale) che corre (come per gli OGM: che siano pericolosi o no, ognuno deve poterli riconoscere dall'etichetta e decidere in base alle sue valutazioni).
purtroppo pero,sempre se vogliamo vedere le cose il più obiettivamente possibile,non mi sembra che finora venga adottato questo criterio,che sarebbe anche secondo me quello corretto ma credo si possa riscontrare senza nemmeno troppe difficoltà che la direzione vada esattamente in direzione contraria e sono gli interessi economici e particolari ad avere praticamente la predominanza assoluta interferendo su un ambito che gli dovrebbe essere precluso poiché a mio avviso oltre ad essergli totalmente incompatibile si può capire benissimo che tipo di conseguenze disastrose porta con sesempre secondo me il concetto di natura (compresa quella umana) e' più semplice di quanto si possa immaginare,allora l'assurdità sarebbe proprio quella di voler modificare (pur ammettendo le buone intenzioni - ma ricordiamoci pure che la strada per l'inferno e' lastricata di buone intenzioni) qualcosa che e' in se e per l'appunto semplicemente perfetto..che sarebbe il concetto stesso di natura
Citazione di: Donalduck il 08 Aprile 2016, 01:21:20 AM
Quello che non mi risulta chiaro, è di quale concezione (o meglio di quali concezioni) della "natura umana" si parla. Perché, che io sappia, siamo ben lontani, biologia o no, dall'avere una visione comune e condivisa di questa "natura". E neppure risulta chiaro in quali aspetti e in che modo questa concezione (o queste concezioni) verrebbero messe in crisi.
E' chiaro che natura umana è qui quella che il biologo viene definendo sulla base della sua ricerca sperimentale condotta con metodologia scientifica. Per esempio, in merito all'utilizzabilità degli embrioni (la famosa domanda
quando è che l'embrione è da considerarsi un individuo?), il biologo propone di identificare l'individualità con la formazione di un codice genetico indipendente da quello della madre, questo avviene per l'essere umano 2 giorni dopo la fecondazione (o dal formarsi dello zigote nei casi in cui questo avvenga senza fecondazione), ossia in presenza di uno stato embrionale a 4 cellule: la natura umana è quindi rappresentata da un qualsiasi vivente con codice genetico umano con più di 4 cellule, è una definizione semplicissima e senza ambiguità alcuna, basta saper contare al microscopio. Ci sono poi quegli embrioni con più di 4 cellule che sono conservati nei frigo dei laboratori per la fecondazione artificiale la cui utilizzabilità andrebbe comunque garantita, propria alla luce di un'etica operativa (l'alternativa sarebbe, fa notare il biologo, solo la loro eliminazione più o meno dilazionata nel tempo, uno spreco che non si può accettare, quando le loro cellule pluri potenti garantirebbero enormi benefici e la partecipazione degli embrioni stessi a una sorta di vita cellulare diffusa).
Su tutto questo si può essere d'accordo, ma il punto su cui sento di dover sollevare obiezioni sta proprio nella separazione proposta dal biologo tra natura umana (di cui egli rivendica la totale competenza) e condizione umana (che invece lascia alle scienze sociali), come se potesse esistere una natura separabile dalla condizione, come se le due cose non si determinassero sempre reciprocamente, come se non fosse la condizione a definire la natura e la natura a definire la condizione, come se esistesse una natura incondizionata di cui solo il biologo può parlare e una condizione non naturata da lasciare al sociologo.
Per quanto riguarda
l'etica della responsabilità personalmente non la intendo semplicemente come un farsi carico collettivo (il collettivo andrebbe quanto meno ben predefinito caso per caso per evitare la solita manfrina del "tutti responsabili, nessun responsabile") di rischi razionalmente prevedibili e misurabili, questo non è più sufficiente nel mondo della tecnologia odierna, con la potenza che mette in campo. La intendo invece come responsabilità anche per ciò che nemmeno ci si immagina, ma che può scatenarsi con il proprio agire. Responsabilità che deriva dal sapere di non sapere.
Un esempio può chiarire la questione. Se un laboratorio di bio ingegneria sviluppa dei nuovi batteri GM, in grado di nutrirsi di petrolio (esistono già peraltro, si tratterebbe solo di migliorarli) e, dopo averli testati secondo protocollo in ambiente controllato, li introduce in una zona oceanica in cui si è avuta una dispersione di petrolio e quei batteri, pur contenendo il rischio petrolio, provocano gravi e impreviste alterazioni dell'ecosistema, quei biologi restano comunque responsabili, non possono cavarsela giustificandosi con il fatto che la sperimentazione in condizioni controllate non lasciava intravedere alcun rischio. Questo non significa non fare, terrorizzati dal proprio non poter mai sapere tutto, ma fare assumendosi il carico di quello che si decide di fare, in ogni caso e in ragione della libertà di cui ci si sente capaci.
Citazione di: acquario69 il 07 Aprile 2016, 14:24:37 PM
Citazione di: cvc il 07 Aprile 2016, 12:21:41 PM
Citazioneacquario69
Non credo che le manipolazioni biologiche della scienza debbano cambiare la nostra visione del mondo, almeno finchè gli interrogativi millenari di cui sopra rimangono insoluti e attuali.
Cercherò di leggere l' articolo che proponi (se eccederà in irrazionalismo e superstizione non ci riuscirò; ma non voglio fare preventivi processi alle intenzioni, metto solo le mano avanti nel caso lo trovassi troppo estraneo al mio modo di pensare e pormi davanti alla vita e non riuscissi a leggerlo per intero).
Intanto rispondo a questa tesi qui sopra citata.
Secondo me l progressi delle conoscenze scientifiche e in particolare biologiche non scalfiscono di certo minimamente l' attualità intramontabile delle domande millenarie sull' esistenza e la vita in generale e sul "che fare?" nella vita e della vita, ma anzi le sollecitano ad ulteriori sviluppi e applicazioni.
Con tutta evidenza non danno risposte a queste domande, ma richiedono che queste stesse domande e le risposte che ad esse cerchiamo siano applicate a nuovi casi concreti, come alla possibilità (e non certo: necessità, a rigor di logica; anche se gli assetti sociali dominanti e non la scienza stessa, a mio parere, tendono a farla diventare di fatto necessità) di modificarla ad esempio rendendola più salubre oppure più insalubre, di qualità potenzialmente migliore oppure potenzialmente peggiore, o piuttosto per certi aspetti migliore per altri peggiore, allungandola (limitatamente e non certo arbitrariamente!), in qualche misura procreandola o realizzandola in modi in parte nuovi, non naturali o non del tutto naturali, facendola finire in modi più piacevoli o meno spiacevoli (significato quasi letterale della parola "eutanasia"), ecc.
La vita, e in particolare la vita umana (per lo meno; e probabilmente in qualche misura anche animale) per me non è solo materia vivente (oggetto di possibile conoscenza scientifica), e dunque considero la pretesa scientistica (per esempio di Hawkig, che altri citano in questa discussione) che la biologia risolva gli "interrogativi millenari" e che la filosofia sia una oziosa (in senso deteriore) perdita di tempo dietro vane chimere una colossale c _ _ _ _ _ a (concetto censurabile in "sciocchezza"), come pure, e in modo più gravemente immorale (letteralmente "irresponsabile") e pericoloso per le sorti di ciascun uomo e dell' umanità tutta, la pretesa che "tutto ciò che è fattibile vada fatto" (pretesa piuttosto "tecnicistica" che "scientistica", a mio avviso di "veteromarxista molto engelsiano" condizionata in realtà dagli attuali assetti sociali capitalistici "in avanzato stato di putrefazione" e non affatto dalla scienza, e men che meno dal razionalismo): anche fare esplodere tutte le bombe atomiche attualmente esistenti è "fattibile", anzi é fattibilissimo...
Citazione di: InVerno il 07 Aprile 2016, 14:57:24 PM
Stephen Hawkings non molto tempo fa aveva destato molta indignazione asserendo che la filosofia era morta, e che i soldi che si spendevano nelle scuole per insegnarla andrebbero reindirizzati. Ci furono molte repliche, la più autorevole in Italia probabilmente di Eco, che onestamente non mi convinse più di tanto, non più di quanto mi aveva convinto Hawkings. Rinunciare alla filosofia intesa in maniera etimologica, come semplice amore per la conoscenza, sembra ovviamente una scemenza, da quel punto di vista anche Hawkings è un filosofo prima di un fisico (come in un certo senso disse Eco) ma non credo che Hawkings si riferisse a questo, per di più accostando al discorso la questione scolastica. Onestamente bisogna anche guardarsi intorno e vedere la realtà. In un mondo ad altissima specializzazione figure "newtoniane" che accostano fisica, alchimia, teologia, filosofia in un unico calderone sono ormai inaccettabili, perchè per forza di cose non riescono a competere con i colleghi specializzati. A questo si aggiunge la constatazione pacifica che la filosofia, ha perso da tempo la sua qualità pionieristica, sopratutto in campo scientifico. I filosofi devono nella maggior parte dei casi accontentarsi di arrivare sempre secondi "sul pezzo" e commentare ed elucubrare a riguardo. Roba da poco ? No di certo, almeno in teoria. Tuttavia salvo rari casi, spesso fanno anche un pessimo lavoro, se non altro di interpretazione e\o divulgazione. Perlomeno della stessa qualità che viene raggiunta dalle arti sensoriali, che però hanno il vantaggio dell'immediatezza, del pathos, e della multimedialità. Insomma, da amante della conoscenza, sentir dire che la filosofia è morta sulle prime mi ha lasciato urtato. Tuttavia sempre più spesso mi guardo intorno e vedo gli amici "filosofi" coloro i quali hanno intrapreso un percorso di studi nella materia e hanno raggiunto diversi gradi, e vedo in loro spesso e volentieri, più una volontà nevrotica di differenziarsi tramite perniciose dispute semantiche che una sana passione per la verità, un continuo riverbero di concetti, ampollose reminiscenze, citazioni autodifensive, che a fine giornata il tutto trasuda di un imperioso "e vabbè, anche oggi non si è combinato niente". D'accordo o meno con l'asserzione di Hawkings, sono perlomeno d'accordo che la filosofia è in un momento di grande confusione e dovrebbe trovare una stella polare al più presto, per non svelare il risentimento e la nostalgica ammissione di impotenza che a mio avviso spesso stanno alla base delle argomentazioni filosofiche moderne.
R I S P O S T A di Sgiombo
(Mi scuso, ma la mia imbranataggine telematica mi impedisce di fare comparire in altro modo la differenza fra la citazione e la mia risposta).
Non concordo con Eco: a mio modesto parere di "uno che ha letto di lui solo la ormai lontana nel tempo prima edizione di Dal Big bang ai buchi neri e qualche articolo o intervista su quotidiani", Hawking non è un filosofo, o per lo meno è un pessimo filosofo, e come tutti quegli scienziati che pretenderebbero di disfarsi della filosofia
"ignorandola od insultandola (omissis) poichè senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero, (omissis) accolgono queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte, dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po' di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all' Università (che è non solo frammentaria, ma un miscuglio delle concezioni delle persone appartenenti alle più diverse, e spesso peggiori, scuole), o dalla lettura acritica ed asistematica di scritti filosofici di ogni specie; pertanto essi non sono affatto meno schiavi della filosofia", e dunque lo sono il più delle volte, purtroppo, della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia" (F. Engels, Dialettica della natura).
Inoltre a mio parere anche "In un mondo ad altissima specializzazione" figure "newtoniane che accostano fisica", (non alchimia), "teologia, filosofia in un unico calderone" sono accettabilissime e non è detto affatto che necessariamente "per forza di cose non riescono a competere con i colleghi specializzati".
Fra l' altro tutte le maggiori scoperte scientifiche dell' ultimo secolo si devono a mio parere proprio a simili "figure newtoniane" cultrici attente e interessate e preparate della filosofia, come furono in modo particolarmente spiccato Einstein, Schroedinger, anche Bohr ed Heisenberg (che a mio parere seguivano filosofie irrazionalistiche che non condivido affatto), Monod, Gould, (e prima ancora Darwin), ma in qualche meno eclatante misura anche molti altri grandi ricercatori del '900.
Peraltro i loro colleghi "iperspecialisti", come li definisco io, rischiano di sapere tutto non sull' albero, non su un certo ramo dell' albero, non su una certa foglia di quel certo ramo dell' albero, ma solo su certe venature di una certa foglia di un certo ramo di un certo albero, e di ignorare invece completamente la foresta; il che, oltre ad essere a mio parere dimostrazione di disdicevole limitatezza mentale e "provincialismo intellettuale", non li favorisce nel trovare soluzioni efficaci ai problemi veramente profondi e importanti che si pongono alla ricerca scientifica, ma casomai solo nel portare avanti la scienza "routinaria" o "ordinaria" (ne fa tendenzialmente ottimi "compilatori" ma pessimi "scopritori", realizzatori di autentici, rivoluzionari progressi scientifici).
Sul fatto che ci siano pessimi filosofi fra i professori di filosofia (oltre a pessimi ricercatori fra i professori di fisica o di biologia) sono perfettamente d' accordo.
Ma non si possono confondere tutti i filosofi con i peggiori filosofi; non più di come non si possono confondere tutti gli scienziati con i peggiori scienziati.
Dalla filosofia, dati problemi che affronta, (ma invero nemmeno dalla scienza, sia pure in altra misura e in altri termini) non si possono pretendere risposte definitive e insindacabili, il che è tutt' altra cosa che un ammissione di "risentimento" o una "nostalgica ammissione di impotenza".
Ma a parte queste considerazioni, comunque, quanto a "momenti di grande confusione e bisogni di trovare una stella polare al più presto "non mi pare proprio che la scienza odierna sia messa molto meglio della filosofia...
Maral scrive:
Citazionela natura umana è quindi rappresentata da un qualsiasi vivente con codice genetico umano con più di 4 cellule
Secondo me, per portare aventi una discussione chiara, bisogna stare molto attenti ai termini e ai loro significati. Il termine "natura", già di per sé parecchio ambiguo, qui è usato in maniera totalmente impropria. Quello che la frase citata definisce non si può attribuire a nessuna accezione di "natura umana". Si tratta della definizione di "individualità di un'entità biologica di specie umana", cosa completamente diversa. Quello che si intende in genere per "natura umana" è l'insieme delle caratteristiche comuni a tutti gli esseri umani (anche biologiche ma non solo) e indipendenti sia dalle peculiarità individuali che da modifiche determinate dall'ambiente (naturale e sociale) o dallo stesso individuo volontariamente.
Resta comunque un concetto astratto, perché su quante e quali siano queste caratteristiche comuni ci sono molti pareri diversi. E' questo ciò che chiedevo: di quale concezione della natura umana stiamo parlando?
In effetti però non condivido neppure il concetto di una "natura umana" che possa essere assecondata o contrastata, ossia che possa esistere qualche comportamento "contro natura", dal momento che qualunque cosa facciamo, restiamo nell'ambito della "natura" (ossia di ciò che esiste indipendentemente dalla nostra volontà, comprese le nostre pulsioni e sensazioni) e non potrebbe essere diversamente.
Il discorso sull'individualità assume rilevanza, per alcuni, a proposito di temi come l'aborto o le ricerche su cellule staminali. Ma, secondo me, si tratta di un brutto equivoco. Infatti si mischia etica e scienza in un modo confuso e fuorviante. Se ho interpretato bene, il fatto che 4 cellule possano determinare una "individualità" si suppone che debba dare queste 4 cellule uno status etico differente da quello di 3 cellule, che non determinano individualità. Ovviamente, per fare un'affermazione del genere, dobbiamo chiarire molto bene di quali principi etici stiamo parlando e quale sia il loro fondamento (o se siano dati come postulati). Ammesso che quello che dice il biologo risulti sufficientemente dimostrato, è comunque compito del tutto estraneo alla biologia decidere se questo attributo di "individualità" delle 4 cellule posso avere o no qualche rilevanza di carattere etico, e in che modo.
Sulla responsabilità: è chiaro che questa riguarda qualunque decisione, che sia possibile stabilire a priori l'entità dei rischi oppure no. Il punto, secondo me, è l'assumersi direttamente le responsabilità, individualmente per le decisioni individuali e collettivamente per quelle collettive, senza trasferirle ad "autorità superiori" che siano umane ("la scienza" o "i saggi" o "gli illuminati") o "divine".
Quali siano le responsabilità individuali e quali quelle collettive, ovviamente lo decide ogni entità collettiva per convenzione, come parte delle sue regole sociali.
Sgiombo scrive:
CitazioneFra l' altro tutte le maggiori scoperte scientifiche dell' ultimo secolo si devono a mio parere proprio a simili "figure newtoniane" cultrici attente e interessate e preparate della filosofia, come furono in modo particolarmente spiccato Einstein, Schroedinger, anche Bohr ed Heisenberg (che a mio parere seguivano filosofie irrazionalistiche che non condivido affatto), Monod, Gould, (e prima ancora Darwin), ma in qualche meno eclatante misura anche molti altri grandi ricercatori del '900.
I principi che secondo me sarebbero da seguire sono:
- La filosofia riguarda individualmente ognuno di noi. Non si può lasciare ai filosofi di preofessione il compito di decidere i principi guida razionali ed etici che riguardano l'umanità, e quindi ognuno di noi. Ognuno ha un cervello, e quando lo usa per riflettere su questioni considerate "di rilevanza filosofica", è un filosofo.
- Nessuno specialista ha nessuna particolare competenza nel decidere la collocazione dei risultati delle sue ricerche specialistiche nell'ambito del pensiero generale (ossia in ambito filosofico) e meno ancora qualche autorità in merito.
Capita abbastanza spesso che scienziati si avventurino (come è giusto che sia, per loro come per chiunque di noi) in ambito filosofico, ossia cerchino di dare una collocazione metafisica a determinati risultati della scienza. Ma bisogna sottolineare molto bene che quando lo fanno, la loro competenza e autorevolezza non è diversa da quella di qualunque "profano", a differenza di quello che riguarda il loro campo specialistico.
Ad esempio gli astrofisici, partendo da dati sull'allontanamento dei corpi celesti tra loro ("espansione dell'universo") e da equazioni matematiche, arrivano a configurare uno scenario di una "nascita dell'universo" compatibile con dati osservati ed equazioni che hanno dimostrato una loro validità in varie circostanze. Questa è una cosa totalmente diversa dal sostenere che effettivamentr l'universo "ha avuto inizio". Si tratta, quest'ultima di un'affermazione di carattere metafisico che la teoria e i dati empirici e sperimentali sono ben lontani dal dimostrare. Sia tratta di territori del tutto diversi. In un caso si dimostra semplicemente che un certo scenario immaginario è compatibile con certi dati, nell'altro si arriva ad asserzioni anche incongrue dal punto di vista logico (il più evidente è quando si parla, come fa Hawking di "inizio del tempo", mettendo assurdamente il tempo all'interno di sé stesso: se non esiste il tempo non può esistere nessun istante e quindi non può esistere l'istante in cui inizia il tempo, dato che niente può esistere prima della sua nascita).
Quindi, fermo restando che gli scienziati possono legittimamente parlare di filosofia, spesso sono dei pessimi filosofi perché fanno confusione tra scienza e filosofia.
Un altro esempio è Monod che, affannandosi a cercare di dimostrare l'indimostrabile, finisce con l'invocare un'assurdo "postulato di oggettività" come "principio etico" che dovrebbe essere alla base della "conoscenza vera". L'assurdità sta nel fatto di far derivare la "verità" da pricipi etici arbitrari piuttosto che fondare sia l'etica che la "verità" (ossia la conoscenza) sui dati di fatto e sulla ragione.
E lo stesso Darwin ha reso un pessimo servizio alla filosofia, dal momento che ha spacciato (o almeno lo fanno lo fanno i neodarwiniani) una confusa teoria (in particolare quella della mutazione casuale e selezione naturale come motore dell'evoluzione) che travalica il campo scientifico per approdare a un'incongrua metafisica, per "verità scientifica", col risultato che oggi chi ipotizza un "disegno intelligente" alla base dell'universo e della vita viene tacciato di antiscientificità, quando invece la scienza non ha semplicemente nulla da dire su simili questioni.
Citazione di: Donalduck il 10 Aprile 2016, 17:40:41 PM
Il discorso sull'individualità assume rilevanza, per alcuni, a proposito di temi come l'aborto o le ricerche su cellule staminali. Ma, secondo me, si tratta di un brutto equivoco. Infatti si mischia etica e scienza in un modo confuso e fuorviante. Se ho interpretato bene, il fatto che 4 cellule possano determinare una "individualità" si suppone che debba dare queste 4 cellule uno status etico differente da quello di 3 cellule, che non determinano individualità. Ovviamente, per fare un'affermazione del genere, dobbiamo chiarire molto bene di quali principi etici stiamo parlando e quale sia il loro fondamento (o se siano dati come postulati). Ammesso che quello che dice il biologo risulti sufficientemente dimostrato, è comunque compito del tutto estraneo alla biologia decidere se questo attributo di "individualità" delle 4 cellule posso avere o no qualche rilevanza di carattere etico, e in che modo.
Sulla responsabilità: è chiaro che questa riguarda qualunque decisione, che sia possibile stabilire a priori l'entità dei rischi oppure no. Il punto, secondo me, è l'assumersi direttamente le responsabilità, individualmente per le decisioni individuali e collettivamente per quelle collettive, senza trasferirle ad "autorità superiori" che siano umane ("la scienza" o "i saggi" o "gli illuminati") o "divine".
Quali siano le responsabilità individuali e quali quelle collettive, ovviamente lo decide ogni entità collettiva per convenzione, come parte delle sue regole sociali.
Concordo.
Il fatto é che, in barba a qualsiasi delirio di onnipotenza (o "di onniscienza") scientistico non esistono in natura in generale (oggetto di conoscenza scientifica) e in particolare nella materia vivente (oggetto in particolare di conoscenza biologica)
oggettivi confini netti e precisi:
dove comincia e dove finisce la vita?
La vita in generale quando é iniziata?
Alla comparsa delle prime sequenze di nucleotidi e/o delle prime proteine?
Delle prime membrane lipoproteiche?
E la vita individuale quando inizia?
(nel caso degli eucarioti pluricellulari) con lo zigote?
Con le prime due cellule embrionali?
Le prime quattro?
(Questo limite citato da Maral probabilmente si fonda sul fatto che dalle prime due possono ancora originarsi due distinti gemelli monoovulari, dunque nel caso umano due diverse persone, mentre non mi risulta che se ne siano mai originate quattro dalle prime quattro cellule embrionali).
E la vita propriamente
umana quando comincia?
Con lo zigote (secondo la tesi "classica" -ma quasi sicuramente destinata prima o poi ad essere abbandonata- della chiesa cattolica)?
Alla fine del secondo mese (passaggio -tutt' altro che netto e definito, ed arbitrariamente stabilito!- dall' embrione al feto)?
Alla fine del terzo (limite legale della possibilità di abortire in molti paesi)?
Alla comparsa delle prime attività neurologiche (altro limite
tutt' altro che netto e definito!)?Al parto (che pure non accade certo puntualmente, "a un orario preciso", oltre a non avere certo durata istantanea)?Ai primi segni di verbalizzazione (idem)?All' uso della prima persona singolare nei verbi e del pronome "io"?E la vita individuale (in particolare umana) quando finisce?All' arresto del cuore (allorché tutt' altro che di rado é ancora possibile la rianimazione)?Alla uniformizzazione della temperatura con l' ambiente?All' arresto delle attività neurali (eeg piatto;)? E i (rarissimi) casi di risveglio dal coma profondo!?Qualsiasi linea di confine non può che essere convenzionale, arbitraria.
Ecco allora l' importanza dei principi etici di responsabilità e di
prudenza:
Non esistendo oggettivamente (o comunque non essendo conoscibili) limiti netti e definiti alla vita in generale e alla vita umana in particolare,
nell' agire (eticamente) si deve sempre stare "ben al di qua" dell' ignoto confine della vita umana, rischiando di trattare da(e rispettare come) persona umana anche chi persona umana non é, anziché rischiare di non trattare da(e non rispettare come) persona umana anche chi persona umana é.Mi sembra che un buon esempio di questo sia la soglia dei tre mesi dal concepimento come limite della possibilità di abortire: a mio parere solo ignoranza e infondati pregiudizi "veteroreligiosi", se così si può dire, possono indurre a temere che prima di allora (ma anche molto dopo!) possa darsi personalità umana cosciente (ma ho precisato "a mio parere" perché si tratta comunque pur sempre di problemi non risolvibili affatto indiscutibilmente con misurazioni, pesature o calcoli matematici: sempre alla faccia delle penose pretese scientistiche!).
Citazione di: Donalduck il 10 Aprile 2016, 18:29:02 PM
E lo stesso Darwin ha reso un pessimo servizio alla filosofia, dal momento che ha spacciato (o almeno lo fanno lo fanno i neodarwiniani) una confusa teoria (in particolare quella della mutazione casuale e selezione naturale come motore dell'evoluzione) che travalica il campo scientifico per approdare a un'incongrua metafisica, per "verità scientifica", col risultato che oggi chi ipotizza un "disegno intelligente" alla base dell'universo e della vita viene tacciato di antiscientificità, quando invece la scienza non ha semplicemente nulla da dire su simili questioni.
Su tutto il resto di questo tuo intervento sono convintamente d' accordo (sospenderei il giudizio su Monod perché pur avendo letto e molto apprezzato in gioventù Caso e necessità, una lettura che mi ha dato molto in termini di sviluppo personale, non saprei valutare le sue affermazioni che critichi).
Dissento completamente (e mi limito a segnalarlo in quanto non credo proprio che nell' ambito di un forum come questo sia realisticamente possibile una discussione sufficientemente approfondita e costruttiva in proposito) con quanto qui citato, dal momento che sono convinto che quella dell' evoluzione biologica per
mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa "a la Gould" e non scorrettamente assolutizzata e caricaturalizzata "a la Dawkins") non sia affatto metafisica (al contrario del "disegno intelligente": pessima metafisica, a mio parere) ma costituisca invece una delle più solidamente fondate "verità scientifiche".
Citazione di: sgiombo il 10 Aprile 2016, 19:21:37 PMDissento completamente (e mi limito a segnalarlo in quanto non credo proprio che nell' ambito di un forum come questo sia realisticamente possibile una discussione sufficientemente approfondita e costruttiva in proposito) con quanto qui citato, dal momento che sono convinto che quella dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa "a la Gould" e non scorrettamente assolutizzata e caricaturalizzata "a la Dawkins") non sia affatto metafisica (al contrario del "disegno intelligente": pessima metafisica, a mio parere) ma costituisca invece una delle più solidamente fondate "verità scientifiche".
E' un vero peccato, dal mio punto di vista, che tu pensi che "nell' ambito di un forum come questo sia realisticamente possibile una discussione sufficientemente approfondita e costruttiva in proposito". Perché mai? Quale sarebbe allora l'ambito adatto? O non esiste perché si tratta di qualcosa che non può essere messo in discussione?
E' un vero peccato, perché non riesco mai a trovare qualche sostenitore delle teoria della mutazione-selezione che sia disposto a discuterla. Che discuterla sia un tabù e infrangerlo porti perenne disgrazia? O è scaduto il termine e le discussioni sono state chiuse? E da chi?
Se così non fosse, sarei ben felice di aprire un'altra discussione sull'argomento sperando di trovare qualcuno disposto a darmi qualche risposta a una domanda che mi faccio spesso: com'è possibile che una teoria che trovo così debole abbia avuto e abbia così tanto credito?
Citazione di: Donalduck il 10 Aprile 2016, 20:47:57 PM
Citazione di: sgiombo il 10 Aprile 2016, 19:21:37 PMDissento completamente (e mi limito a segnalarlo in quanto non credo proprio che nell' ambito di un forum come questo sia realisticamente possibile una discussione sufficientemente approfondita e costruttiva in proposito) con quanto qui citato, dal momento che sono convinto che quella dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa "a la Gould" e non scorrettamente assolutizzata e caricaturalizzata "a la Dawkins") non sia affatto metafisica (al contrario del "disegno intelligente": pessima metafisica, a mio parere) ma costituisca invece una delle più solidamente fondate "verità scientifiche".
E' un vero peccato, dal mio punto di vista, che tu pensi che "nell' ambito di un forum come questo sia realisticamente possibile una discussione sufficientemente approfondita e costruttiva in proposito". Perché mai? Quale sarebbe allora l'ambito adatto? O non esiste perché si tratta di qualcosa che non può essere messo in discussione?
E' un vero peccato, perché non riesco mai a trovare qualche sostenitore delle teoria della mutazione-selezione che sia disposto a discuterla. Che discuterla sia un tabù e infrangerlo porti perenne disgrazia? O è scaduto il termine e le discussioni sono state chiuse? E da chi?
Se così non fosse, sarei ben felice di aprire un'altra discussione sull'argomento sperando di trovare qualcuno disposto a darmi qualche risposta a una domanda che mi faccio spesso: com'è possibile che una teoria che trovo così debole abbia avuto e abbia così tanto credito?
RISPOSTA DI SGIOMBO (ma come caspita funziona "tecnicamente - graficamente" questo nuovo forum?):
Ma come puoi seriamente pensare che "si tratta di qualcosa che non può essere messo in discussione"? ? ?o che "discuterla sia un tabù e infrangerlo porti perenne disgrazia? O è scaduto il termine e le discussioni sono state chiuse? E da chi?"? ? ?
Sono ovviamente dispostissimo a discutere (anche) dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche causali e selezione naturale con chiunque (E ci mancherebbe altro!), e l' ho fatto molte volte, ma ci vogliono ore e ore di dialogo serrato e argomentato e mi sembra ovvio che non sia qualcosa di realizzabile in un forum come questo: qui si può casomai discutere su qualche singola argomentazione delle tante che la questione comporta.
D' altra parte tu non hai esposto alcuna argomentazione ma solo un' affermazione indimostrata (sulla presunta natura "metafisica e non scientifica" della teoria dell' evoluzione biologica); al che, dal momento che "chi tace acconsente", mi sono sentito in dovere di opporre la mia convinzione contraria.
Se proporrai qualche argomentazione contro la teoria non mancherò certo di criticarla!
Intanto posso consigliarti la lettura di qualche libro, innanzitutto di quelli di Stephen Jay Gould.
Sgiombo ha scritto:
CitazioneMa come puoi seriamente pensare che "si tratta di qualcosa che non può essere messo in discussione"? ? ?o che "discuterla sia un tabù e infrangerlo porti perenne disgrazia? O è scaduto il termine e le discussioni sono state chiuse? E da chi?"? ? ?
Dai! E' chiaro che si tratta di battute ironiche bonariamente provocatorie. Come fai tu, piuttosto, a prenderle sul serio?
CitazioneSono ovviamente dispostissimo a discutere (anche) dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche causali e selezione naturale con chiunque (E ci mancherebbe altro!), e l' ho fatto molte volte, ma ci vogliono ore e ore di dialogo serrato e argomentato e mi sembra ovvio che non sia qualcosa di realizzabile in un forum come questo: qui si può casomai discutere su qualche singola argomentazione delle tante che la questione comporta.
Continuo a non capire cos'abbia questo forum che lo renda inadatto. Non mi sembra che ci siano limiti di lunghezza dei messaggi tali da impedire discorsi articolati e approfonditi, non abbiamo limiti di tempo, insomma non vedo quali siano gli impedimenti. Comunque prendo atto con piacere della tua disponibilità a trattare almeno alcuni aspetti e mi appresto ad aprire un'altra discussione (qui saremmo un po' fuori tema e l'argomento merita comunque un thread a parte), sperando di coinvolgere anche altri frequentatori del forum.
P.S. Per le citazioni di consiglio di procedere come faccio io:
1) Rispondo aprendo un nuovo tab (tasto destro del mouse sul "RISPONDI", dal menu contestuale, "Apri in un altra scheda" o qualcosa di simile) in questo modo posso passare comodamente dal messaggio a cui rispondo alla risposta che sto scrivendo
2) Scrivo "X ha scritto"
3) seleziono e copio (su Windows Control+C) la frase che voglio citare
4) clicco sull'icona col "fumetto" (prima della lista puntata) e incollo (su Windows Control+V) dentro l'area grigia il testo copiato
5) continuo a scrivere fuori dall'area grigia della citazione
Citazione di: Donalduck il 10 Aprile 2016, 17:40:41 PM
Sulla responsabilità: è chiaro che questa riguarda qualunque decisione, che sia possibile stabilire a priori l'entità dei rischi oppure no. Il punto, secondo me, è l'assumersi direttamente le responsabilità, individualmente per le decisioni individuali e collettivamente per quelle collettive, senza trasferirle ad "autorità superiori" che siano umane ("la scienza" o "i saggi" o "gli illuminati") o "divine".
Quali siano le responsabilità individuali e quali quelle collettive, ovviamente lo decide ogni entità collettiva per convenzione, come parte delle sue regole sociali.
mi scuso in anticipo per l'ennesima intrusione,ma visto che siamo su riflessioni a me ne sarebbe venuta una,con l'unico scopo di capire meglio e a maggior ragione su tematiche che altri meglio informati di me potrebbero suggerire.sulla responsabilità (o le responsabilità),sarebbe appunto bello capire come...e sul significato che si darebbe quando si afferma che ovviamente queste vengano decise da ogni entità collettiva per convenzione,come parte delle sue regole sociali.e allora quali sarebbero percio queste entità collettive?!visto e considerato pure che non dovrebbero essere trasferite ad alcuna autorità,siano queste umane oppure "divine" ?!
Citazione di: sgiombo il 10 Aprile 2016, 19:07:57 PM
Citazione di: Donalduck il 10 Aprile 2016, 17:40:41 PM
Il discorso sull'individualità assume rilevanza, per alcuni, a proposito di temi come l'aborto o le ricerche su cellule staminali. Ma, secondo me, si tratta di un brutto equivoco. Infatti si mischia etica e scienza in un modo confuso e fuorviante. Se ho interpretato bene, il fatto che 4 cellule possano determinare una "individualità" si suppone che debba dare queste 4 cellule uno status etico differente da quello di 3 cellule, che non determinano individualità. Ovviamente, per fare un'affermazione del genere, dobbiamo chiarire molto bene di quali principi etici stiamo parlando e quale sia il loro fondamento (o se siano dati come postulati). Ammesso che quello che dice il biologo risulti sufficientemente dimostrato, è comunque compito del tutto estraneo alla biologia decidere se questo attributo di "individualità" delle 4 cellule posso avere o no qualche rilevanza di carattere etico, e in che modo.
dove comincia e dove finisce la vita?
La vita in generale quando é iniziata?
Alla comparsa delle prime sequenze di nucleotidi e/o delle prime proteine?
Delle prime membrane lipoproteiche?
E la vita individuale quando inizia?
(nel caso degli eucarioti pluricellulari) con lo zigote?
Con le prime due cellule embrionali?
Le prime quattro?
(Questo limite citato da Maral probabilmente si fonda sul fatto che dalle prime due possono ancora originarsi due distinti gemelli monoovulari, dunque nel caso umano due diverse persone, mentre non mi risulta che se ne siano mai originate quattro dalle prime quattro cellule embrionali).
...
Qualsiasi linea di confine non può che essere convenzionale, arbitraria.
Il motivo per cui Redi indica lo stadio delle 4 cellule nello sviluppo embrionale umano (per il topo sarebbe invece quello a 2 cellule) come punto di inizio di una forma vivente individuale è, ripeto, che
a partire da questo stadio il DNA dell'embrione può esprimersi in modo indipendente da quello materno, ossia a quel punto il suo codice genetico (che per il biologo definisce la natura)
è autonomo. Un embrione con 4 cellule non è individuo perché ha 4 cellule, ma perché, se la sua natura è umana, a quello stadio di sviluppo esprime un genoma funzionalmente autonomo. E questa, per il biologo, corrisponde a una definizione di natura la cui arbitrarietà è giustificata dalla sua competenza specialistica e su cui tutti possono e devono convenire a motivo di una chiarezza perfettamente verificabile che disambigua ogni problema sull'inizio di una forma vivente.
Altro discorso è la condizione umana, in merito alla quale il biologo riconosce competenze diverse dalle sue e che coinvolgono i temi etici dell'aborto, dell'utilizzo degli embrioni di diverse settimane ecc. Su questo punto comunque il biologo fa appello alla necessità di un'etica strettamente operativa basata soprattutto su una
non proprietà da parte del vivente dell'informazione contenuta nelle sue stesse cellule. In sostanza l'informazione delle cellule (e le cellule stesse al limite) non è di proprietà dell'individuo vivente, ma è un utilizzabile illimitatamente a disposizione da parte della bioscienza, e questa "disponibilità" è richiesta per motivi etici.
Non nascondo che questa posizione (che paradossalmente mi pare riecheggiare l'affermazione marxista della proprietà comune dei mezzi di produzione, ove qui i mezzi sono le stesse cellule) mi suona di una ipocrisia enorme.
Citazione di: sgiombo il 10 Aprile 2016, 21:32:19 PM
RISPOSTA DI SGIOMBO (ma come caspita funziona "tecnicamente - graficamente" questo nuovo forum?):
Ciao Sgiombo, segnalo a tutti che per eventuali problemi di utilizzo c'è nel forum una sezione apposita ove potranno essere più dettagliatamente segnalati e discussi. Si chiama "Problemi utilizzo forum" nella sezione off topic (v. indice)
CitazioneMa come puoi seriamente pensare che "si tratta di qualcosa che non può essere messo in discussione"? ? ?o che "discuterla sia un tabù e infrangerlo porti perenne disgrazia? O è scaduto il termine e le discussioni sono state chiuse? E da chi?"? ? ?
Ovviamente non c'è alcun tabù a discutere del significato dell'evoluzione per selezione naturale (anche se espone a rischi di polemiche a non finire), magari in un topic appositamente creato. :)
Chiedo scusa se utilizzo il rasoio di Ockam sulle vostre interessanti argomentazioni.
1) O l'etica diventa prassi in una legislazione e quindi diritto ,oppure è " legge della jungla"
2) Né la scienza ha certezze sulla natura umana,così come non ne ha la filosofia. Ma la pratica impone che la scienza "faccia" senza chiedersi cosa e come verranno applicate le sue scoperte e innovazioni, così come la legge esiste a prescindere dalla nostra sapienza o ignoranza.
E' la dialettica fra libertà di fare e sicurezza sociale che le stesse legislazioni pongono in maniera ambigua; esempi banali, dal diritto d'autore di una innovazione procedurale genetica, alla privacy di utenti/pazienti.
3) Se le normative vigenti , e non mi riferisco solo allo Stato italiano, non si prendono carico delle proprie responsabilità di governo, sarà fra solo una generazione che il diritto di famiglia e delle successioni ereditarie porranno seri problemi sul concetto e definizione di "embrione" inteso come definizione di un diritto.
Saranno i giudici che dovranno dirimere liti legali con giurisprudenze e soprattutto legislazioni anacronistiche.
Voglio vedere, ad esempio, "madri in affitto" che camperanno diritti , o "banche del seme" anonime in un mondo dove anche le società off shore possono essere svelate.
Per quanto mi riguarda il diritto nasce con il concepimento naturale, altre manipolazioni non sono ammesse su embrioni.
Citazione di: paul11 il 11 Aprile 2016, 14:41:22 PM
Chiedo scusa se utilizzo il rasoio di Ockam sulle vostre interessanti argomentazioni.
1)O l'etica diventa prassi in una legislazione e quindi diritto ,oppure è " legge della jungla"
Indubbiamente, ma ogni legislazione deve a mio avviso basarsi su un sentire morale ed è l'enorme potenza della tecno scienza odierna che rende problematica la questione. La morale precedente che poneva il principio di responsabilità in relazione a ciò che si può prevedere e conoscere non è più sufficiente: nessuno scienziato, politico o tecnico può prevedere con certezza ad esempio cosa succederà con un ceppo batterico di sintesi (sia pure testato mille volte in condizioni controllate) una volta introdotto in un ecosistema. Anzi, la garanzia di controllo che offre la sperimentazione in laboratorio tende a mio avviso a far sottovalutare il caso imprevisto.
Citazione2)Né la scienza ha certezze sulla natura umana, così come non ne ha la filosofia. Ma la pratica impone che la scienza "faccia" senza chiedersi cosa e come verranno applicate le sue scoperte e innovazioni, così come la legge esiste a prescindere dalla nostra sapienza o ignoranza.
Ripeto, il biologo si arroga il diritto di definire la natura umana stabilendo una definizione sperimentalmente verificabile: la natura umana è ciò che è definita da un DNA cellulare umano operativamente autonomo, ossia non dipendente dal genoma materno per la sua attività biochimica. Per dare questa definizione il biologo separa la natura dalla condizione umana, cosa che è a mio avviso discutibile. Come trovo discutibile che la conoscenza scientifica sia da perseguire da parte dello scienziato indipendentemente dalle sue applicazioni. Questa "innocenza" della conoscenza pura la trovo in ogni caso, ma soprattutto oggi in cui la scienza è fondamentalmente tecnica, quindi prassi operativa, del tutto inopportuna, ingenuamente astratta e altamente rischiosa, anche se operativamente facilitante.
Ad esempio lo studio di microrganismi altamente virulenti per fini solo di conoscenza, non può esimersi dal valutare il loro possibile impiego letale ed esserne moralmente condizionato. Resta una questione di coscienza che il biologo non può lasciare fuori dalla porta del suo laboratorio, anche se pensa di agire in nome della più disinteressata conoscenza.
CitazioneE' la dialettica fra libertà di fare e sicurezza sociale che le stesse legislazioni pongono in maniera ambigua; esempi banali, dal diritto d'autore di una innovazione procedurale genetica, alla privacy di utenti/pazienti.
3)Se le normative vigenti , e non mi riferisco solo allo Stato italiano, non si prendono carico delle proprie responsabilità di governo, sarà fra solo una generazione che il diritto di famiglia e delle successioni ereditarie porranno seri problemi sul concetto e definizione di "embrione" inteso come definizione di un diritto.
Saranno i giudici che dovranno dirimere liti legali con giurisprudenze e soprattutto legislazioni anacronistiche.
Voglio vedere, ad esempio, "madri in affitto" che camperanno diritti , o "banche del seme" anonime in un mondo dove anche le società off shore possono essere svelate.
Per quanto mi riguarda il diritto nasce con il concepimento naturale, altre manipolazioni non sono ammesse su embrioni.
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Certamente la possibilità di procreazione che le biotecnologie rendono oggi possibili determinano una problematica legislativa quanto mai complessa. Ma il problema è anche definire in cosa consista un "concepimento naturale", che in realtà è sempre il risultato di una prospettiva culturale. Di fatto ad esempio la pratica dell'inseminazione artificiale è già molto estesa /perché non si dovrebbe considerarla naturale come consideriamo naturale il cibo di cui ci nutriamo o un paesaggio campestre, cose che naturali non lo sono per nulla), dovremmo forse considerare esseri umani non naturali i tanti bambini nati senza una fecondazione sessuale?
Per l'uomo, come dice Sini, la natura è sempre stata il risultato delle trasformazioni che lui stesso ha culturalmente determinato.
Cos'è naturale e cosa artificiale nel mondo in cui viviamo?
MARAL ha scritto:
CitazioneCome trovo discutibile che la conoscenza scientifica sia da perseguire da parte dello scienziato indipendentemente dalle sue applicazioni. Questa "innocenza" della conoscenza pura la trovo in ogni caso, ma soprattutto oggi in cui la scienza è fondamentalmente tecnica, quindi prassi operativa, del tutto inopportuna, ingenuamente astratta e altamente rischiosa, anche se operativamente facilitante.
Ad esempio lo studio di microrganismi altamente virulenti per fini solo di conoscenza, non può esimersi dal valutare il loro possibile impiego letale ed esserne moralmente condizionato. Resta una questione di coscienza che il biologo non può lasciare fuori dalla porta del suo laboratorio, anche se pensa di agire in nome della più disinteressata conoscenza.
Personalmente trovo non solo discutibile ma decisamente inaccettabile che la conoscenza scientifica sia da perseguire da parte dello scienziato indipendentemente dalle sue applicazioni. Concordo infatti che Questa "innocenza" della conoscenza pura sia in ogni caso, ma soprattutto oggi in cui la scienza è fondamentalmente tecnica, quindi prassi operativa, del tutto inopportuna, ingenuamente astratta e altamente rischiosa, anche se operativamente facilitante.Lo scienziato non può a mio parere ignorare i possibili usi delle sue scoperte, come chiunque altro non può ignorare i possibili usi delle sue realizzazioni, quali che siano: sarebbe un atteggiamento per me del tutto immorale, come quello di un collezionista di armi che lasciasse incustodite in una casa frequentata anche da bambini delle armi pericolose (e mi pare che le sofferte riflessioni autocritiche di alcuni dei più filosoficamente ed eticamente sensibili fra i ricercatori che contribuirono alla realizzazione delle prime armi atomiche -certamente non Fermi, né il famigerato Teller- vadano in questo senso).Resta una questione di coscienza che il biologo non può lasciare fuori dalla porta del suo laboratorio, anche se pensa di agire in nome della più disinteressata conoscenza per il semplice fatto che in generale, ma in modo particolarmente evidente e preoccupante oggi la più disinteressata conoscenza, meramente teorica non esiste proprio, ma ogni scoperta in generale può avere molteplici applicazioni tecniche; e alcune in particolare possono averne di pericolosissime e dannosissime per l' umanità, e realizzarle per "puro amore di conoscenza" (o peggio, come di solito di fatto accade per avidità di denaro o di "gloria", notorietà, fama, riconoscimenti scientifici, ecc.) senza tener conto dei suoi possibili usi antiumani é esattamente come collezionare armi pericolose incustodite in una casa frequentata da bambini perché ci da soddisfazione; perché si può avere la "vocazione" di collezionare armi pericolose, come si può avere quella di estendere le conoscenze umane, di ottenere denaro o fama, onori o riconoscimenti scientifici; ma nessuno può eticamente seguire le proprie vocazioni fregandosene delle possibili conseguenze per gli altri, men che meno per l' umanità tutta presente e potenzialmente futura.P. S.: Ringrazio DonaldDuk per i consigli: pare funzionino malgrado la mia inarrivabile imbranataggine telematica
forse non sappiamo che lo scienziato è spesso un ricercatore di base o di un procedimento da industrializzare ,dipendente da enti pubblici o imprese commerciali. Forse non sappiamo che un avvocato difende un criminale e un medico presta cura a un disgraziato.
La deontologia è una parte dell'etica, per cui la conseguenza di una innovazione o scoperta ricade su chi brevetta la scoperta e troppo spesso è industria privata commerciale o un ente pubblico; così come non è responsabilità dell'avvocato cosa farà dopo un processo il criminale o il disgraziato dopo le cure mediche. E' colpa di Enrico Fermi e dei fisici se l'energia atomica è stata utilizzata per costruire bombe atomiche e sganciarle su città? L'uomo qualunque scoperta e innovazione abbia compiuto ha sempre due possibilità, o utilizzarle per il benessere umano o per utilizzarle ai fini di potenza. E già questa è la dicotomia della natura umana nella pratica,cioè nel comportamento morale.
Come fanno ad esistere venditori di armi, da chi ricevono le conoscenze e le tecnologie per costurire armi all'avanguardia se non dalla Nasa e dal Cern ,cioè i più alti livelli di applicazione e strumentazione fisica, comprando scienziati e acquisendo conoscenze. Come è possible che Paesi in via di sviluppo abbiano armi atomiche e batteriologiche ,chi gli ha dato le conoscenze ?. Le applicazioni sono lasciate volutamente alle industrie commerciali perchè la salute è un enorme giro di affari e interessi commerciali.E se della malattia si fa commercio ,pretendiamo che sia "un topo di laboratorio" a decidere le sorti del mondo? Abbiamo sbagliato i ruoli degli attori sociali.
Lo scienziato pazzo non lo fermerà la deontologia e il topo di laboratorio non è responsabile del suo datore di lavoro.
Gli unici attori che possono determinare attraverso regole legislative e il controllo sono gli Stati o organizzazioni sovrannazionali con accordi internazionali.Ma non lo faranno, prima dovrà accadere qualche conseguenza nefasta.
Una coscienza sociale da parte del popolo su queste problematiche non esiste, anzi la ritengo ambigua e contraddittoria..
Animalisti e ambientalisti sono contrari ad esperimenti suglia animali e alle sementi brevettate da grandi imprese private commerciali, come la Monsanto, con semi geneticamente modificati. Ma sul trattamento e manipolazione di embrioni, geni umani c'è coscienza sociale? C' è il contrario, sono le persone che richiedono alla scienza di dargli più benessere dandogli ciò che la natura gli ha tolto. Ecco perchè vincerà il biotech e nessuno normificherà. Il diritto sarà definito oltre l'ordine naturale.
quindi la natura umana è ambigua e non accetta la condizione dettata dallì'ordine naturale, per cui tutte le scienze tenderanno ad andare oltre il limite che nessuno conosce se non come modello da dati sul passato e lo stanno facendo passare come diritto ad essere felici.Il problema è l'uomo ,prima ancora dello scienziato.
Paul, ho fatto ricerca di base in sintesi chimica per diversi anni, anche all'università, e ti possa assicurare che di fatto non esiste una ricerca di base pura, anche quando la finalità proclamata è solo quella di una pura conoscenza teorica dei meccanismi di reazione o la possibilità del tutto neutra di sostituire una funzione chimica con un altra per conoscerne la reattività. La ricerca di base ha di fatto il compito fondamentale di fornire gli elementi per un processo di industrializzazione e questo significa che, per quanto possa fare comodo a tutti, la responsabilità del ricercatore non può fermarsi alla porta del suo laboratorio, proprio perché ciò che elabora trova scopo fuori da quella porta, per cui deve operare con coscienza umana e non solo professionale. Altrimenti si ripropone la logica estrema del funzionario del campo di sterminio che si sentiva del tutto innocente semplicemente perché eseguiva in modo tecnicamente impeccabile il suo compito procedurale lì dove gli era richiesto di svolgerlo: trovare il modo migliore di smistare e smaltire un certo carico giornaliero secondo procedura, poco importa se fosse un carico umano o di legname, la problematica dal punto di vista tecnico era esattamente la medesima. Smaltito il carico, smaltita ogni responsabilità.
Questo significa che lavorare alla costruzione di una bomba atomica o allo studio di un ceppo batterico virale per scopi di conoscenza non è la stessa cosa che fabbricare caramelle o studiarne il dosaggio dei gusti. Anche se pure le caramelle possono servire per compiere azioni moralmente assai riprovevoli, l'impatto della bomba non è in alcun modo comparabile (e non solo in termini fisici diretti, questo per dire a Sgiombo che in realtà la bomba atomica è già stata usata, nel solo modo in cui poteva essere usata, è stata infatti l'arma principale con cui si è combattuta la cosiddetta guerra fredda, persa dal blocco comunista).
Il discorso di porre a riferimento del diritto un ordine naturale, è assai problematico, poiché non è mai esistito nella storia di qualsiasi civiltà umana (nemmeno cristiana) un ordine naturale che non fosse il prodotto culturale di ciò che l'uomo poteva fare della natura. Poiché la natura dell'uomo è trasformare la natura. L'ordine naturale non è un ordine di natura, ma corrisponde da un lato ai contesti a cui abbiamo fatto abitudine, in cui troviamo casa e dall'altro a ciò che sentiamo di sbagliato, di impedente. La tecnica, quando funziona, serve a superare l'impedimento della natura, per farci trovare una nuova natura in cui riconoscerci e abitare. Il problema è che con l'industrializzazione, la tecnologia, con la potenza che mette in campo, non ha il tempo per farci acquisire questa abitudine, per consentirci un riconoscimento e meno che mai nel caso delle biotecnologie che pur proclamandosi capaci di sanare gli storpi, ridare la vista ai ciechi, sfamare gli affamati, mantenerci indefinitamente in salute e giovinezza, ci sconcertano e ci angosciano. il biologo in buona o cattiva fede, fa finta di non capirne il motivo di questo sconcerto e propone definizioni funzionali che in realtà non tolgono minimamente di mezzo il problema, perché il problema è ciò a cui il biotecnologo non può assolutamente rinunciare: la rapidità di realizzare producendo.
Sicuramente, se il cambiamento avvenisse secondo tempi atti a conseguire il riconoscimento del significato di quanto si fa (qualche millennio), si svilupperebbe una nuova naturalità anche per le cose che più ci sconcertano e si troverebbero anche soluzioni di diritto appropriate. Ma il tempo non c'è più, parlare di millenni è da folli oggi, e questo è il problema.
Da donalduck e maral è stata accennata la questione su cosa si intenda o si debba intendere per natura. Le origini del pensiero filosofico greco hanno come una delle sue premesse fondamentali quella di osservare le cose nella loro totalità. Ed è in questa visione totalizzante o, meglio, in questo tentativo di trovare un elemento comune in cose apparente diverse ed eterogenee che si dovrebbe collocare il concetto di natura, inteso come ordinamento del tutto. Questo tentativo di mettere ordine nel caos del divenire e del molteplice, che è l'approccio filosofico greco, diverge profondamente dalla prassi scientifico-sperimentale per cui si parte dal singolo evento, l'esperimento, per poi giungere a concetti via via più generali. Quindi non si tratta del fatto che una qualche nuova scoperta possa cambiare la precedente visione del mondo. Si tratta di visione top-down contro visione bottom-up. La differenza è nel metodo, non nelle scoperte.
Non capisco per quale motivo lo scienziato biotecnologico debba avere problemi etici, mentre Il proprietario di quella industria,nonchè suo datore di lavoro no, e nemmeno lo Stato che ha un suo ordinamento giuridico di competenza.
Cosa può fare di etico il ricercatore, opporsi come obiettore di coscienza? E quale sarà la conseguenza se non esiste una tutela legislativa che si avvalga del diritto di obiezione, perde il posto di lavoro e sarà rimpiazzato da un nuovo ricercatore con meno scrupoli etici.
E intanto il proprietario brevetta e fa denaro vendendo biotecnologie.
Il problema di noi tutti nel rapporto fra nostra coscienza e mondo pratico è purtroppo senso di frustrazione e impotenza.
Vorremmo scegliere la strada virtuosa e ne avremmo la volontà, ma non riusciamo ad attuarla a praticarla.
Un paradigma etico o morale, o è eterno e universale oppure non vale nulla .
Io penso che da un paio di secoli l'umanità occidentale abbia prima pensato e riflettuto sui paradigmi dei valori etici ,poi li ha definiti, dichiarati promulgati in Convenzioni e Carte Costituzionali, mentre in realtà, nelle pratiche concetti come libertà, uguaglianza, giustizia, e parliamo di ordinamenti repubblicani liberali e democratici siano stati in molta parte disattesi, Sono rimasti lì come principi ,ma non come pratiche, Le dottrine antiche hanno contribuito a portare questi valori nella storia.
In realtà alcuni diritti sono più importanti di altri diritti ,alla faccia dei principi
Alterare da parte nostra il genoma umano è contro natura. Manipolare embrioni è manipolare vita e rendere"cosa" la vita stessa cioè un oggetto fra tanti oggetti e quindi costruirci un mercato .
Già mi è difficile dire che lo Stato può farlo,.Sicuramente il privato a mio parere mai e poi mai.
Ma sono sicuro che dalla pecora Dolly ,ad oggi, siano state eseguite anche clonazioni umane e che magari esista o esiterà il mercato nero di part idi ricambio umano.
Proprio per questo sono perentorio .Sono completamente in disaccordo con qualsiasi manipolazione di ciò che riguarda "VITA"
sia per le conseguenze che non conosciamo e potrebbero essere disastrose, sia per la mortificazione del concetto stesso di vita .
CitazionePaul11 ha scritto:
E' colpa di Enrico Fermi e dei fisici se l'energia atomica è stata utilizzata per costruire bombe atomiche e sganciarle su città? L'uomo qualunque scoperta e innovazione abbia compiuto ha sempre due possibilità, o utilizzarle per il benessere umano o per utilizzarle ai fini di potenza. E già questa è la dicotomia della natura umana nella pratica,cioè nel comportamento morale.
Come fanno ad esistere venditori di armi, da chi ricevono le conoscenze e le tecnologie per costurire armi all'avanguardia se non dalla Nasa e dal Cern ,cioè i più alti livelli di applicazione e strumentazione fisica, comprando scienziati e acquisendo conoscenze. Come è possible che Paesi in via di sviluppo abbiano armi atomiche e batteriologiche ,chi gli ha dato le conoscenze ?. Le applicazioni sono lasciate volutamente alle industrie commerciali perchè la salute è un enorme giro di affari e interessi commerciali.E se della malattia si fa commercio ,pretendiamo che sia "un topo di laboratorio" a decidere le sorti del mondo? Abbiamo sbagliato i ruoli degli attori sociali.
Lo scienziato pazzo non lo fermerà la deontologia e il topo di laboratorio non è responsabile del suo datore di lavoro.
Gli unici attori che possono determinare attraverso regole legislative e il controllo sono gli Stati o organizzazioni sovrannazionali con accordi internazionali.Ma non lo faranno, prima dovrà accadere qualche conseguenza nefasta.
Una coscienza sociale da parte del popolo su queste problematiche non esiste, anzi la ritengo ambigua e contraddittoria..
Animalisti e ambientalisti sono contrari ad esperimenti suglia animali e alle sementi brevettate da grandi imprese private commerciali, come la Monsanto, con semi geneticamente modificati. Ma sul trattamento e manipolazione di embrioni, geni umani c'è coscienza sociale? C' è il contrario, sono le persone che richiedono alla scienza di dargli più benessere dandogli ciò che la natura gli ha tolto. Ecco perchè vincerà il biotech e nessuno normificherà. Il diritto sarà definito oltre l'ordine naturale.
quindi la natura umana è ambigua e non accetta la condizione dettata dall'ordine naturale, per cui tutte le scienze tenderanno ad andare oltre il limite che nessuno conosce se non come modello da dati sul passato e lo stanno facendo passare come diritto ad essere felici.Il problema è l'uomo ,prima ancora dello scienziato.
Fermi non ha solo studiato teoricamente l' energia atomica, ma ha anche attivamente partecipato alla realizzazione (pratica, tecnica) della bomba atomica: non è colpa sua se ha studiato la fisica atomica, ma è colpa (o merito, se si ritiene che l' anticipare i nazisti compensi tutte le altre conseguenze che ne sono derivate) anche sua se sono state costruite le bombe di Hiroshima e Nagasaki; e contrariamente ad altri partecipanti all' impresa, come Einstein e lo stesso "principale dirigente non militare" del progetto Oppenheimer, non si è minimamente rammaricato dopo Hiroshima e Nagasaki, non ha sentito alcun rimorso. Ma la questione posta da Maral è un' altra e probabilmente (non sono del tutto certo in proposito) allora non si poneva nemmeno, per lo meno soggettivamente (nel senso che non era ancora chiara davanti alla coscienza di ogni ricercatore che non cercasse di chiudere deliberatamente gli occhi sulla portata e le conseguenze del suo lavoro, che non si ponesse nietzchianamente "al di là del bene e del male", assumendo un atteggiamento letteralmente amorale).La questione, oggi certamente di un' attualità e di un 'evidenza immensa, è quella che i risultati della stessa ricerca teorica "pura", almeno in alcuni campi, stanti gli assetti sociali dominanti, certamente, inevitabilmente avranno conseguenze tecniche pratiche gravissimamente offensive verso moltitudini umane, o addirittura verso l' umanità tutta, presente e potenzialmente futura, e fregarsene in nome dell' ideale della conoscenza pura (ammesso e non concesso) o di qualsiasi altra aspirazione o "vocazione personale" più o meno "nobile" ed "elevata" secondo me è qualcosa di moralmente ripugnante, eticamente malvagio.In questo senso non sono assolutamente d' accordo con l'equiparazione della ricerca scientifica con la difesa legale o la cura della vita e della salute di malfattori e delinquenti; in questi casi infatti è sempre teoricamente possibile e auspicabile che costoro si ravvedano e facciano buon uso dei servigi ottenuti da avvocati o medici.Ma stanti gli attuali assetti sociali non è invece affatto possibile (e auspicarlo sarebbe puramente e semplicemente dimostrazione di totale ignoranza e incomprensione della realtà o più spesso e più verosimilmente di malafede) che determinate scoperte toriche "pure" non abbiano un impiego disumano (letteralmente).E dire che "se non lo farò io, allora lo farà qualcun altro" sarebbe come dire da parte di una o uno che si prostituisse che la domanda di sesso a pagamento esiste ed è sempre esistita e dunque "se non mi venderò io si venderà qualcun altro": la differenza fra il vendersi e il non vendersi da parte di ciascuno è per l' appunto ciò che distingue un prostituto da un non-prostituto.Così il dedicarsi o il non dedicarsi alla ricerca in certi settori fa la differenza fra chi si assume la responsabilità morale di esporre certamente l' umanità a gravi offese, che addirittura potrebbero essere irreparabili, universali e definitive, e chi lo evita.Secondo me questa è la scelta che oggi (e non cent' anni fa: per lo meno per quanto riguarda la probabile irreparabilità, universalità e apocalitticità delle conseguenze) si presenta inevitabilmente di fronte alla coscienza di chi fa ricerca scientifica, anche "puramente teorica (anche ammesso che di fatto possa darsi) per lo meno in determinati campi. Concordo che lo "scienziato pazzo" non lo fermerà la deontologia (ma casomai -secondo me- una rivoluzione sociale, ahimé alquanto improbabile); ma contrariamente al topo di laboratorio è moralmente responsabile del suo lavoro e delle prevedibilissime e di fatto previste inevitabili conseguenze del suo lavoro. Sono molto pessimista sulle sorti dell' umanità. Ma penso che cercare di darsi da fare per evitarne la "fine prematura e di sua propria mano" o fregarsene o addirittura contribuirvi attivamente (per i più disparati motivi) sia ciò che fa la differenza fra etica e amoralità o addirittura immoraltà.
CitazioneCitazione da: paul11 - Tue Apr 12 2016 15:06:30 GMT+0200 (ora legale Europa occidentale)
Citazione di: paul11 il 12 Aprile 2016, 15:06:30 PM
Non capisco per quale motivo lo scienziato biotecnologico debba avere problemi etici, mentre Il proprietario di quella industria,nonchè suo datore di lavoro no, e nemmeno lo Stato che ha un suo ordinamento giuridico di competenza.
Cosa può fare di etico il ricercatore, opporsi come obiettore di coscienza? E quale sarà la conseguenza se non esiste una tutela legislativa che si avvalga del diritto di obiezione, perde il posto di lavoro e sarà rimpiazzato da un nuovo ricercatore con meno scrupoli etici.
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Alterare da parte nostra il genoma umano è contro natura. Manipolare embrioni è manipolare vita e rendere"cosa" la vita stessa cioè un oggetto fra tanti oggetti e quindi costruirci un mercato .
Proprio per questo sono perentorio .Sono completamente in disaccordo con qualsiasi manipolazione di ciò che riguarda "VITA"
sia per le conseguenze che non conosciamo e potrebbero essere disastrose, sia per la mortificazione del concetto stesso di vita .
Ma credo che nessuno, attribuendola (anche) allo scienziato biotecnologico (che spesso vorrebbe negarla) neghi la (evidentissima e da nessuno negata) responsabilità etica, del proprietario di quella industria, nonchè suo datore di lavoro, e nemmeno dello Stato che ha un suo ordinamento giuridico di competenza. Certo il ricercatore che facesse obiezione di coscienza non é tutelato dalla legge, come quando ero giovane io non era tutelato dalla legge l' obiettore di coscienza al servizio militare: vi son frangenti della storia umana nei quali talora certe scelte richiedono forti dosi di eroismo (ne aveva più bisogno il non-violento obiettore al servizio militare di quando ero giovane, che finiva in carcere a Gaeta, che il ricercatore che oggi obiettasse alla clonazione umana, che potrebbe comunque cercarsi un altro lavoro, anche se certamente meno consono alla sua "vocazione").***************Segnalo (senza alcuna presuntuosa pretesa di presunta "superiorità morale", come pura e semplice manifestazione di diversità) un forte dissenso da parte mia:per me vi sono differenze profondissime, vari e propri "salti di qualità" fra:a) vita in generale (compresa la vita senza sensibilità cosciente di vegetali, batteri, ecc.; e anche di colture di tessuti in vitro o di organi espiantati, anche di origine umana);b) vita animale (sensibile, cosciente);c) vita umana (autocosciente).
Paul non ho certo detto che il proprietario di un'industria che opera in campo biotecnologico (privato o pubblico che sia) debba considerarsi libero da responsabilità etiche, le ha eccome, enormi. Ho solo detto che lo scienziato non può presumersi libero da tale responsabilità adducendo come pretesto il fatto che lui sperimenta solo in vista di una pura conoscenza. La conoscenza pura nella scienza attuale non esiste (sempre ammesso che sia mai esistita), oggi la scienza è finalizzata comunque alla produzione di ciò che studia perché solo nel come produrre trova inveramento. E oggi la tecnoscienza è in grado di produrre su una scala incommensurabilmente maggiore di un tempo, con il rischio di esiti comunque inaspettati per quanto rigorosi siano i protocolli di verifica in contesti controllati quanto mai prima in passato. Nessuno scienziato può dichiarare la sua innocenza morale e la sua indifferenza etica.
Cosa poi debba fare potrà solo essere la sua coscienza a deciderlo, non sta a noi creare nuovi decaloghi morali, ma sta a tutti cercare di sensibilizzare il proprio sentire responsabile, nei limiti che a ciascuno competono, senza dichiararsene esenti in nome di un'asettica visione della conoscenza "oggettiva". Che poi questo voler essere etici abbia un prezzo è evidente, ma per sentirsi liberi occorre avere il coraggio di pagare questo prezzo alla propria coscienza, anche fermandosi, senza addurre l'autogiustificazione di comodo (e in questo Sgiombo ha perfettamente ragione) che tanto ci saranno altri a farlo. Nessuna etica ha senso se non permette all'individuo di poter scegliere nei limiti che si riconosce, davanti alla propria coscienza, di fare o di non fare, l'etica ha per presupposto fondamentale la libertà che equivale alla responsabilità.
CVC ha ragione a dire che la scienza, a differenza della filosofia classica, utilizza un metodo induttivo (sia pure non in senso così puro come vorrebbe far credere: il dato da cui parte non è il dato di natura per come si presenta, è un dato già pre.interpretato alla luce di un metodo che prefissa il come considerarlo, quali aspetti di esso prendere in esame e quali no), ma non è questo il punto, non è un problema di grammatica gnoseologica: il punto è ciò che la tecno scienza con il suo metodo mostra di saper fare che va a intaccare il senso esistenziale più profondo di ciò che siamo, va a intaccare la dimensione più profonda del significato di noi stessi, presentandoci un mondo e un modo di essere al mondo in cui consciamente o inconsciamente, pur apparendo desiderabilissimo, stentiamo sempre più a riconoscerci, sia nella materia che nello spirito di questo mondo.
Tu dici che alterare il genoma umano è contro natura e con questo istituisci una linea di separazione tra l'essere umano e tutti gli altri esseri viventi (il cui genoma è stato tranquillamente alterato continuamente in passato, tant'è che non esiste più nulla di "naturale", ma di converso questo mondo alterato ha alterato noi stessi. anche se non ce ne siamo accorti per i tempi impiegati). Questa assunzione poteva (e può) trovare ragione alla luce di una visione che concepiva l'uomo come creatura privilegiata di un Dio che lo aveva creato a sua immagine e somiglianza, ma oggi la scienza ha completamente oltrepassato questa visione e non con la sua impostazione teorica (che ben pochi possono cogliere), ma proprio con il suo poter fare che tutti colgono. Il principio a cui ti appelli può solo essere imposto in nome di una fede che il mondo prodotto dalla rivoluzione industriale, che lo si voglia o meno, ha di fatto reso obsoleto con i suoi stessi prodotti. Non è più possibile imporre un tale principio simile, è troppo debole, troppo arbitrario, senza avere più la forza di sostenere la propria arbitrarietà.
Quando il biologo prevede un futuro in cui l'individuo, in cambio della sua salute continuamente monitorata, dovrà rinunciare alla proprietà del suo corpo, inteso come un insieme di dati a disposizione della ricerca, raccolti da multinazionali dell'informatica e suscettibili di proprietà brevettuale da parte di chi li acquisisce, li studia e li manipola (famoso il caso di Craig Venter, il discusso scienziato che, dopo aver voluto brevettare i segmenti del genoma umano da lui decifrati, è ora riuscito a produrre da un batterio un genoma minimale come base per costruire quello che si vuole, una perfetta macchina biologica modulabile a progetto), si presenta lo scenario di un mondo veramente diverso da quello in cui siamo abituati a esistere e a concepirci. Un mondo in cui ogni esistente è solo materia prima a disposizione della tecnologia progettante, uomo compreso (e ovviamente sempre per il suo bene, per il bene di tutti) e non c'è legislazione o principio trascendente che potrà impedire questa trasformazione, perché si può fare e qualcuno lo farà e l'essenziale sarà alla fine solo poterlo fare per primi.
Rispondo in sintesi perchè mi sembra di aver già argomentato almeno parti della discussione.
1) sono d'accordo con CVC: la conoscenza della manifestazione fenomenica nel mondo rientra in noi come coscienza che costituisce una unità di senso del tutto ,Ogni cosa è relazionata ad una unità di senso che la nostra coscienza costruisce.
2) mi tocca fare l'avvocato delle scienze e la loro apologia.Non può esistere un "blocco" della conoscenza è contraddittoriamente immorale ,così come non si possono fare processi alle intenzioni. Ma è praticamente impossibile tentare di fermare conoscenza e tecnologia. Sgiombo capisco il tuo intervento e sono pienamente d'accordo con il tuo allarme sulle conseguenze e strumentalizzazioni economiche, ma se ogni individuo umano fosse più virtuoso e meno individualista ed egoista forse non avremmo nemmeno la situazione socio economica attuale.Dobbiamo purtroppo essere realisti..Mi trovo d'accordo anche con la tua classificazione sugli organismi viventi.
3) continuate ad insistere ad una deontologia aprioristica che poco serve ai fini pratici ,non ha appunto un rapporto di forza superiore il singolo scienziato, al massimo può insieme i suoi colleghi creare, costituire un manifesto pubblico etico per sollecitare le coscienze nell'opinione pubblica..Ma io sono del parere che bisogna andare oltre.L'etica è pratica e deve entrare come diritto negli ordinamenti giuridici.
4) sono contrario anche alla modificazione genetica di altri organismi viventi ,perchè possono alterare l'ecologia e gli equilibri ,tutto ciò che è organico diventa a sua volta alimento di altri organismi e alla fine arriviamo a noi
5) capisco che il portato scientifico ha superato la soglia che ci potrebbe consegnare all'autodistruzione e alterazioni del pianeta, ma indietro non si torna.Ci tocca tentare soluzioni del governo delle conoscenze dentro un'etica-
6) la priorità è filosoifa morale che diventa diritto sul fare scientifico. Lo scienziato èl ibero di sperimentare fin dove la legge ha costruito dei limiti Quindi sostengo una libertà di conoscenza scientifica, ma dentro un ordinamento legislativo che tenga in considerazione i suggerimenti della filosofia morale.
Non sono nemmeno io molto ottimista, ma dobbiamo resistere, Sono parecchio d'accordo sul tuo ultimo scritto Maral. e complimenti per avere inserito questa discussione.Nel nostro piccolo speriamo di riuscire a far riflettere e sollecitare coscienze su un argomento decisamente difficile e importante.
Citazione di: cvc il 12 Aprile 2016, 11:40:07 AM
Da donalduck e maral è stata accennata la questione su cosa si intenda o si debba intendere per natura. Le origini del pensiero filosofico greco hanno come una delle sue premesse fondamentali quella di osservare le cose nella loro totalità. Ed è in questa visione totalizzante o, meglio, in questo tentativo di trovare un elemento comune in cose apparente diverse ed eterogenee che si dovrebbe collocare il concetto di natura, inteso come ordinamento del tutto. Questo tentativo di mettere ordine nel caos del divenire e del molteplice, che è l'approccio filosofico greco, diverge profondamente dalla prassi scientifico-sperimentale per cui si parte dal singolo evento, l'esperimento, per poi giungere a concetti via via più generali. Quindi non si tratta del fatto che una qualche nuova scoperta possa cambiare la precedente visione del mondo. Si tratta di visione top-down contro visione bottom-up. La differenza è nel metodo, non nelle scoperte.
Condivido ,ho già espresso l'origine di questo "dislivello" nel mio primo post. La filosofia è ancora essenzialmente radicata nel pensiero religioso (basti pensare alla dialettica hegeliana),mentre la scienza,come ho avuto motivo di approfondire nell'altro thread,utilizza un metodo di matrice atea,esclude cioè qualsiasi teoria che non possa essere valutata empiricamente. Il contrasto perciò è molto forte. Collocare il Logos al di là del dato apparente,divinizzare la natura,è un pensiero che non può e non deve appartenere al fare scientifico. Ma quando smetteremo di guardarci indietro? Dio è morto e nessuno che tragga le conseguenze.
Non si può parlare di etica come se esistesse un'unica morale..si continua a reiterare nell'errore.
Il sapere scientifico ci mostra che gli usi che si possono fare delle forze naturali sono molteplici e svariati. Perciò dovrebbe essere chiaro che anche gli scopi per cui la scienza può e viene utilizzata sono tanti e disparati. Il "benessere dell'umanità" è un concetto arbitrario,filosoficamente antiquato. Ancora una volta la scienza dovrebbe riferirsi ad un dato totalmente trascendente per definire sé stessa? Dovrebbe andare alla ricerca di questo irraggiungibile Santo Graal?
Citazione di: memento il 13 Aprile 2016, 18:57:24 PM
Citazione di: cvc il 12 Aprile 2016, 11:40:07 AM
La filosofia è ancora essenzialmente radicata nel pensiero religioso (basti pensare alla dialettica hegeliana),mentre la scienza,come ho avuto motivo di approfondire nell'altro thread,utilizza un metodo di matrice atea,esclude cioè qualsiasi teoria che non possa essere valutata empiricamente. Il contrasto perciò è molto forte. Collocare il Logos al di là del dato apparente,divinizzare la natura,è un pensiero che non può e non deve appartenere al fare scientifico. Ma quando smetteremo di guardarci indietro? Dio è morto e nessuno che tragga le conseguenze.
Non si può parlare di etica come se esistesse un'unica morale..si continua a reiterare nell'errore.
Il sapere scientifico ci mostra che gli usi che si possono fare delle forze naturali sono molteplici e svariati. Perciò dovrebbe essere chiaro che anche gli scopi per cui la scienza può e viene utilizzata sono tanti e disparati. Il "benessere dell'umanità" è un concetto arbitrario,filosoficamente antiquato. Ancora una volta la scienza dovrebbe riferirsi ad un dato totalmente trascendente per definire sé stessa? Dovrebbe andare alla ricerca di questo irraggiungibile Santo Graal?
Forse in parte usiamo (io e te) le stesse parole per intendere concetti (almeno in qualche misura) diversi.
Comunque non sono d' accordo che la filosofia sia (ancora) radicata nel pensiero religioso in quanto ritengo che la filosofia possa esprimersi in un amplissimo ventaglio di modi alternativi che spazia dal teismo all' ateismo (e quindi alla negazione assoluta della religione), passando per infinite "sfumature intermedie" come politeismo, deismo, "polideismo a la Epicuro" (se così si può dire), panteismo.
Possono darsi e si danno (parecchie) filosofie ateistiche e completamente "svincolate dalla religione". Esse sono altra cosa sia dalla religione sia dalla scienza: il proporre considerazioni letteralmente "metafisiche", che cioé vanno al di là della natura empiricamente data (la quale é oggetto di conoscenza scientifica), per essere "cosa diversa dalla scienza" non necessariamente é "la stessa cosa della religione".
Insomma per me tra scienza e religione tertium datur (et philosophia est).
Sono ateo, ma mi pare che dio non sia morto affatto (fra l' altro si direbbe almeno apparentemente che continui a uccidere uomini attraverso terroristi fanatici).
Ritengo che esistano di fatto in ogni uomo, in conseguenza (naturalissima e scientificamente provata) dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale tendenze comportamentali e alla valutazione dei comportamenti propri e altrui in parte universali e costanti (costituenti un' "unica morale universale",
anche se non é affatto possibile dimostrale: non sono universalmente valide "di diritto", per così dire), in parte culturalmente condizionate e dunque variabili col variare dei contesti sociali nel tempo e nello spazio.Simile dialettica fra universalità e costanza da una parte e variabilità storica e geografica dall' altra presenta il concetto (per me sempre attuale: il passare del tempo non rende necessariamente superati i concetti) di "benessere dell'umanità".Ma d' altra parte questo é un forum di filosofia: noi lo frequentiamo per fare della filosofia e non della scienza; e parte integrante della filosofia é (fra l' altro) la critica scientifica della conoscenza in generale e della conoscenza scientifica in particolare: ricerca del suo senso, dei suoi limiti, delle sue condizioni, del suo grado di certezza, ecc.
Citazione di: memento il 13 Aprile 2016, 18:57:24 PM
Condivido ,ho già espresso l'origine di questo "dislivello" nel mio primo post. La filosofia è ancora essenzialmente radicata nel pensiero religioso (basti pensare alla dialettica hegeliana),mentre la scienza,come ho avuto motivo di approfondire nell'altro thread,utilizza un metodo di matrice atea,esclude cioè qualsiasi teoria che non possa essere valutata empiricamente. Il contrasto perciò è molto forte. Collocare il Logos al di là del dato apparente,divinizzare la natura,è un pensiero che non può e non deve appartenere al fare scientifico. Ma quando smetteremo di guardarci indietro? Dio è morto e nessuno che tragga le conseguenze.
Non si può parlare di etica come se esistesse un'unica morale..si continua a reiterare nell'errore.
Il sapere scientifico ci mostra che gli usi che si possono fare delle forze naturali sono molteplici e svariati. Perciò dovrebbe essere chiaro che anche gli scopi per cui la scienza può e viene utilizzata sono tanti e disparati. Il "benessere dell'umanità" è un concetto arbitrario,filosoficamente antiquato. Ancora una volta la scienza dovrebbe riferirsi ad un dato totalmente trascendente per definire sé stessa? Dovrebbe andare alla ricerca di questo irraggiungibile Santo Graal?
Condivido qui l'obiezione di Sgiombo: la filosofia non è per nulla ancora radicata nel pensiero religioso o metafisico. Hegel è stato l'ultimo grande filosofo epistemico che ha tentato con la dialettica di risolvere il problema della verità, ma dopo di lui... sono passati due secoli e non vi è dubbio che Nietzsche ha decretato il tramonto definitivo della filosofia classica. Peraltro oggi si può essere metafisici pur essendo ontologicamente atei, come Severino, o fare scienza egregiamente pur credendo in Dio (e mi verrebbero da citare i grandissimi scienziati che avevano preso gli ordini religiosi, basti ricordare Mendel per la biologia, se non altro a testimonianza della continuità profonda che sussiste tra il pensiero cristiano e quello scientifico).
Mi chiedo se il "benessere dell'umanità" è un concetto antiquato con cosa lo sostituiamo? con il malessere? O con la pretesa di una indifferenza cognitiva amorale permessa da uno sguardo con pretese di collocarsi su quale sovrumana altura di assoluta oggettività pragmatica?
Le morali non possono che essere molteplici e contrastanti finché fanno riferimento a dei principi e per questo restano deboli e ininfluenti, l'unica possibilità è quella di una morale operativa in grado di farsi carico pieno della responsabilità a priori dell'agire, di qualsiasi agire, per quanto inconoscibili possano esserne gli esiti: si tratta della responsabilità che deriva dal sapere di non sapere di ogni essere davvero cosciente. L'alternativa è solo il nichilismo, nel senso peggiore (amorale) del termine.
Se si è deboli sul concetto di etica come si pensa d influire o essere ascoltati dalle scienze in generale e quelle biologiche in particolare?
Va bene partire anche da "benessere dell'umanità", ma deve essere definito e ancorato a dei principi universali.
Con la globalizzazione o un principio è universalistico o si lascia gestire come vuole ogni "fetta" di mondo.
L'etica nasce dall'osservazione del mondo ma deve rientrare nelle coscienze umane e poi rientrare nella pratica del mondo,diversamente rimane un'astrazione
Maral non sono d'accordo, l'etica ha perso quando è caduta nella scienza, perdendo il principio ,il paradigma.
L'etica si è relativizzata nelle pratiche quando è entrata parallelamente dentro le teorie economiche di convenienza e di principio edonistico ,molteplici etiche significa specificità senza una relazione fondamentale che le riunisca, e quì contano anche le influenze date anche pretestuosamente dalle teorie dell'evoluzione.
Bisognerebbe prima definire una teoria della di vita .
Chiedo scusa per la facezia, ma mi viene in mente il film comico "Una settimana da Dio" dove Jim Carrey si ritrova con la capacità di fare miracoli e pensa di poter fare tutto, ma poi si rende conto quanto sia difficile il "lavoro" di Dio. La stessa cosa sembra accadere alla tecno-scienza come qui lq si chiama. Si ritrova i super poteri ma poi.... come usarli? Si rischia il paradosso per cui si trovano metodi per prolungare sempre più la vita, ma poi si rischia di annientare l'intero pianeta. E appare anche ridicolo che nel processo di continua frammentazione e specializzazione che permette il progresso delle scienze, l'etica scientifica viene considerata una materia delle tante, una delle tante e nemmeno la più importante, anzi quella che più spesso infastidisce e frena il progresso. L'etica può avere senso solo se la si considera il problema dei problemi, e non un problema accessorio. Purtroppo dall'avere i super poteri alla tentazione di giocare a fare Dio il passo è breve. Sembrerebbe che nel fenomeno uomo il progresso scientifico rischi di essere una propaggine cresciuta a dismisura che rischia di ammorbare l'intero organismo, una sorta di tumore. Occorre riequilibrare questa sfasatura fra scienza e coscienza morale, e non si può certo sperare di farlo ponendo l'etica scientifica come una delle innumerevoli facce del poliedro scientifico. Se non c'è anteriormente un'etica che indichi dove deve e dove non deve applicarsi la scienza, non si può sperare che poi l'etica funzioni a posteriori. Ma il mondo scientifico pare non voglia accettare limitazione di sorta che possano intralciarne il progresso. Basta pensare alle cavie umane. In tempi di crisi 1000 franchi per 2 giorni da cavia possono fare comodo....
Citazione di: paul11 il 13 Aprile 2016, 23:29:00 PM
Se si è deboli sul concetto di etica come si pensa d influire o essere ascoltati dalle scienze in generale e quelle biologiche in particolare?
Va bene partire anche da "benessere dell'umanità", ma deve essere definito e ancorato a dei principi universali.
Con la globalizzazione o un principio è universalistico o si lascia gestire come vuole ogni "fetta" di mondo.
L'etica nasce dall'osservazione del mondo ma deve rientrare nelle coscienze umane e poi rientrare nella pratica del mondo,diversamente rimane un'astrazione
Maral non sono d'accordo, l'etica ha perso quando è caduta nella scienza, perdendo il principio ,il paradigma.
L'etica si è relativizzata nelle pratiche quando è entrata parallelamente dentro le teorie economiche di convenienza e di principio edonistico ,molteplici etiche significa specificità senza una relazione fondamentale che le riunisca, e quì contano anche le influenze date anche pretestuosamente dalle teorie dell'evoluzione.
Bisognerebbe prima definire una teoria della di vita .
Credo che oltre alle motivazioni da te elencate e che condivido, alla base del declino etico ci sia la valutazione morale a posteriori. Si pretende che le scoperte scientifiche possano avere un valore morale retroattivo, il che è un'assurdità. Non può essere il sapere derivante dalla scienza a stabilire la bontà della mia condotta morale, perché siamo esseri incompleti, la nostra conoscenza è limitata e agiamo nell'incertezza. Se crediamo che il valore morale è nelle intenzioni, allora deve esserci una scelta morale che precede i fatti, e la bontà morale dell'individuo sta nel mantenersi coerente con la sua prescelta. Se invece crediamo che il valore morale sia nei fatti, essendo la natura di questi in gran parte casuale, allora dobbiamo arrenderci ad una morale casuale. Il che ovviamente può servire a ripulire la coscienza da qualsiasi illecito.
Citazione di: paul11 il 13 Aprile 2016, 23:29:00 PM
Se si è deboli sul concetto di etica come si pensa d influire o essere ascoltati dalle scienze in generale e quelle biologiche in particolare?
Va bene partire anche da "benessere dell'umanità", ma deve essere definito e ancorato a dei principi universali.
Con la globalizzazione o un principio è universalistico o si lascia gestire come vuole ogni "fetta" di mondo.
L'etica nasce dall'osservazione del mondo ma deve rientrare nelle coscienze umane e poi rientrare nella pratica del mondo,diversamente rimane un'astrazione
Maral non sono d'accordo, l'etica ha perso quando è caduta nella scienza, perdendo il principio ,il paradigma.
L'etica si è relativizzata nelle pratiche quando è entrata parallelamente dentro le teorie economiche di convenienza e di principio edonistico ,molteplici etiche significa specificità senza una relazione fondamentale che le riunisca, e quì contano anche le influenze date anche pretestuosamente dalle teorie dell'evoluzione.
Bisognerebbe prima definire una teoria della di vita .
Come si possono stabilire oggi dei principi universali Paul? Il problema per cui non si può più credere a un'etica dei principi sta tutta lì, non sono più possibili principi che, per essere universale, devono fondarsi su una trascendenza (logica, mitica, religiosa), non è più credibile come assoluta alcuna metafisica, se non, forse la metafisica del divenire, che però, in quanto tale non fonda alcuna morale stabile. La debolezza etica che attualmente constatiamo non è il frutto di una sorta di scelta che rivela sempre più la sua fallacia e da cui si potrebbe anche retrocedere e non è un errore da cui si possa tornare indietro per ritrovare i bei valori andati perduti. E' ormai un accadimento ineluttabile, sempre ammesso che i cosiddetti principi universali abbiano mai avuto effettivamente valore alcuno. Stavano lì come monumenti, più che altro utili a tranquillizzare gli ingenui.
Siamo sempre stati eticamente deboli, tanto da avere avuto bisogno di norme e leggi che un tempo, affinché venissero rispettate, si dovevano credere dettate da un Dio giudice supremo, poi l'uomo ha cominciato a credere nella propria razionalità, che è pur sempre il frutto di un pensiero calcolante, di un'economia e questa razionalità ha creato una scienza a cui si pensava di poter ascrivere l'etica, basandola su di essa, ma così non è stato e nemmeno si può pensare di poter tornare indietro, alle mitologie e filosofie dell'era agricola che potevano avere senso di verità solo in quei contesti che non ci sono più (o se ci sono sono episodi di nicchia che sussistono solo in funzione di una produzione di tecnologia industriale pervasiva).
Tu dici che bisognerebbe definire una teoria della vita: ma chi la definisce? Il biologo è assolutamente convinto che spetti solo a lui, è lui che studia la vita con la necessaria competenza, chi altri può riconoscerla senza ambiguità e confusione? Il teologo a questo si ribella, perché concepisce ancora la vita in termini di dono divino, dunque solo in virtù di una teologia che ne tratta il significato primo la si deve definire; il filosofo è forse l'unico che può intendere che una teoria della vita è impossibile e trarne le conseguenze etiche (magari tornando alle implicazioni derivanti dal socratico sapere di non sapere), ma per lo più si rassegna a un tecnicismo che aderisce al pragmatismo vincente.
Poi ovviamente una nuova metafisica è sempre possibile, la tecnica stessa ha una sua metafisica che può renderla assoluta. Il problema è se questa metafisica può lasciare ancora spazio all'umano o se in essa l'uomo si presenta così antiquato da essere già superato.
Faccio un esempio relativamente alle difficoltà che la ricerca biotecnologica potrebbe determinare nella preposizione morale per cui la vita dovrebbe essere considerata intoccabile e quindi in ogni caso non manipolabile. Dalle cellule toti o pluripotenti di quegli embrioni conservati oggi fino a scadenza, in frigorifero, il biologo potrebbe sviluppare cellule cerebrali utili a guarire il Parkinson e l'Alzheimer: è morale impedirglielo in nome della presunta vita naturale (che naturale non è per nulla) di quegli embrioni? In nome di cosa?
Ma non solo, ormai la biologia, in linea di principio, è in grado di far recedere una cellula somatica adulta al suo stato originario di totipotenza, può quindi farla diventare una cellula uovo e stimolarla a una partenogenosi, da questa cellula uovo potrebbe dunque per partenogenesi indotta nascere un individuo. Questo significa che da una cellula della pelle si potrebbe far nascere un individuo, senza nemmeno il bisogno di procedere con una tecnica di clonazione. E' tutto naturale, perché la partenogenosi è un processo naturale, sia pure non in atto nella specie umana che si riproduce per via sessuata. E la stessa sessualità in natura è qualcosa di assai più complesso della semplice ripartizione maschio-femmina, già a livello cromosomico (per non parlare a livello ormonale e psicologico). Possiamo, in nome del tipo di riproduzione a cui la nostra tradizione culturale ha assegnato un preciso significato di naturalità, imporre un limite a questo tipo di ricerche che sono comunque possibili dal punto di vista scientifico e pensare di far rispettare davvero tale limite in nome di un principio etico, quando nessun principio etico ha di fatto mai fermato nessuno, nemmeno quando lo si pensava dettato su tavole di pietra da Dio in persona o alla mente da una razionalità indefettibile? Una teoria della vita dovrebbe comprendere o escludere queste possibilità che le biotecnologie ci mostrano fattibili con tutte le possibilità di potenza che esse dischiudono nel bene (sanare i sofferenti e gli ammalati e soccorrere i bisognosi) e nel male (concepire l'esistente solo in ragione di ciò che di esso serve)?
Volevo fare un po' di precisazioni in merito al mio ultimo post.
Innanzitutto quando parlo di una filosofia ancora radicata nel pensiero religioso (ma sarebbe più consono dire metafisico,cosi chiarisco ogni dubbio) intendo riferirmi a quell'antico retaggio di origine platonica/parmenidea di porre il Logos al di là della realtà sensibile e apparente,che si fonda appunto sulla fede in un ente trascendente,qualsiasi esso sia. In questo senso ogni tentativo di conciliare filosofie di questo stampo (ancora largamente presenti) e scienza risulta vanificato in partenza. Non sto assolutamente equiparando filosofia e religione: la critica è proprio questa.
Sgiombo,credo che se esistesse una "morale universale",o un "imperativo categorico" per dirla come Kant,non ci staremmo nemmeno ponendo il problema.
Il "benessere dell'umanità" è un concetto "arbitrario e antiquato" perché presuppone che il benessere della collettività coincida con quello del singolo individuo. E in cosa consiste? Nessuno di voi ha mai supposto il legame fra il nichilismo morale e il progressivo estendersi di uno stile di vita agiato? Che il benessere non sia propriamente un argomento a favore della morale,sebbene si presenti come suo scopo?
Sta alla filosofia porsi queste domande. E ogni filosofia che si dica "amante della sapienza" non può essere disgiunta dalle conoscenze scientifiche,anzi deve comprenderle in un progetto di più ampia portata. Ma non è solo di filosofia che si tratta,so benissimo.
Citazione di: memento il 14 Aprile 2016, 15:33:06 PM
Volevo fare un po' di precisazioni in merito al mio ultimo post.
Innanzitutto quando parlo di una filosofia ancora radicata nel pensiero religioso (ma sarebbe più consono dire metafisico,cosi chiarisco ogni dubbio) intendo riferirmi a quell'antico retaggio di origine platonica/parmenidea di porre il Logos al di là della realtà sensibile e apparente,che si fonda appunto sulla fede in un ente trascendente,qualsiasi esso sia. In questo senso ogni tentativo di conciliare filosofie di questo stampo (ancora largamente presenti) e scienza risulta vanificato in partenza. Non sto assolutamente equiparando filosofia e religione: la critica è proprio questa.
Sgiombo,credo che se esistesse una "morale universale",o un "imperativo categorico" per dirla come Kant,non ci staremmo nemmeno ponendo il problema.
Il "benessere dell'umanità" è un concetto "arbitrario e antiquato" perché presuppone che il benessere della collettività coincida con quello del singolo individuo. E in cosa consiste? Nessuno di voi ha mai supposto il legame fra il nichilismo morale e il progressivo estendersi di uno stile di vita agiato? Che il benessere non sia propriamente un argomento a favore della morale,sebbene si presenti come suo scopo?
Sta alla filosofia porsi queste domande. E ogni filosofia che si dica "amante della sapienza" non può essere disgiunta dalle conoscenze scientifiche,anzi deve comprenderle in un progetto di più ampia portata. Ma non è solo di filosofia che si tratta,so benissimo.
E' certamente utile per intenderci il chiarimento circa le filosofie di ispirazione
platonica/parmenidea (più o meno remota e mediata); ora ti intendo meglio.Tuttavia mi sembra che siano inconciliabili con la scienza filosofie che postulino l' esistenza di enti e/o eventi sopra- o preter- naturali immanenti, cioè interferenti con la realtà naturale - materiale e il suo divenire (per la chiusura causale del mondo fisico, a mio parere necessaria, indispensabile perché possa darsi conoscenza scientifica).Filosofie che implichino enti e/o eventi sopra- o preter- naturali trascendenti, cioé non interferenti con il divenire della realtà naturale - materiale ritengo invece siano tranquillamente conciliabili e integrabili con le scienza (io stesso, nel mio piccolo, coltivo una filosofia, che ho più volte esposto nel vecchio forum, la quale implica la non riducibilità del pensiero alla materia ma un loro divenire per così dire "parallelo su diversi piani non interferenti", che non inficia la chiusura causale del mondo fisico e dunque é perfettamente conciliabile con la conoscenza scientifica; che non condiziona ma casomai integra).Non vedo proprio come l' esistenza di una "morale universale", o un "imperativo categorico" per dirla come Kant, farebbe sì che non si ponga il problema: il problema della sua esistenza? Ma non é detto che tutto ciò che é reale debba anche essere immediatamente evidente nella sua realtà, e il fatto che vi sia chi dubita di qualcosa non dimostra che tale qualcosa non esista (per esempio per secoli c' é stato chi ha dubitato dell' esistenza di atomi e molecole, che però oggi é pressocchè universalmente accettata; il problema delle contravvenzioni a tale imperativo? Ma l' esistenza di una morale di fatto universale (in parte) non implica che sempre e comunque venga osservata, anzi!Il concetto di violazione e di colpa, non meno che quello di osservanza e di onestà (o alla maniera degli stoici "virtù") é quasi implicito in quello di morale; l' imperativo categorico é sempre stato inteso da Kant senza alcuna perpessità come passibile di essere disatteso.Non credo che benessere collettivo universale e benessere individuale coincidano mai perfettamente: contrasti interumani ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno, anche se di natura profondamente diversa nelle diverse epoche storiche.La maggiore o minore adeguatezza allo sviluppo delle forze produttive umane dei diversi assetti sociali (per me innanzitutto e suprattutto dei "rapporti di produzione" su cui si fondano) si "misura", per così dire alquanto metaforicamente, proprio dalla maggiore o minore estensione e intensità di queste contraddizioni fra benessere collettivo e individuale.Non credo proprio che esista un nesso inevitabile fra il nichilismo morale e il progressivo estendersi di uno stile di vita agiato; casomai fra il nichilismo morale e l'imporsi di disuguaglianze e iniquità crescenti negli stili di vita e nei rispettivi agi (dunque il diffondersi di "stili di vita" agiatissimi e anche di "stili di vita miserrimi).Che Stia alla filosofia porsi queste domande. E che ogni filosofia che si dica "amante della sapienza" non possa essere disgiunta dalle conoscenze scientifiche, anzi debba comprenderle in un progetto di più ampia portata sono perfettamente d' accordo.
Citazione di: maral il 14 Aprile 2016, 14:41:55 PM
Citazione di: paul11 il 13 Aprile 2016, 23:29:00 PMCome si possono stabilire oggi dei principi universali Paul? Il problema per cui non si può più credere a un'etica dei principi sta tutta lì, non sono più possibili principi che, per essere universale, devono fondarsi su una trascendenza (logica, mitica, religiosa), non è più credibile come assoluta alcuna metafisica, se non, forse la metafisica del divenire, che però, in quanto tale non fonda alcuna morale stabile. La debolezza etica che attualmente constatiamo non è il frutto di una sorta di scelta che rivela sempre più la sua fallacia e da cui si potrebbe anche retrocedere e non è un errore da cui si possa tornare indietro per ritrovare i bei valori andati perduti. E' ormai un accadimento ineluttabile, sempre ammesso che i cosiddetti principi universali abbiano mai avuto effettivamente valore alcuno. Stavano lì come monumenti, più che altro utili a tranquillizzare gli ingenui.
Siamo sempre stati eticamente deboli, tanto da avere avuto bisogno di norme e leggi che un tempo, affinché venissero rispettate, si dovevano credere dettate da un Dio giudice supremo, poi l'uomo ha cominciato a credere nella propria razionalità, che è pur sempre il frutto di un pensiero calcolante, di un'economia e questa razionalità ha creato una scienza a cui si pensava di poter ascrivere l'etica, basandola su di essa, ma così non è stato e nemmeno si può pensare di poter tornare indietro, alle mitologie e filosofie dell'era agricola che potevano avere senso di verità solo in quei contesti che non ci sono più (o se ci sono sono episodi di nicchia che sussistono solo in funzione di una produzione di tecnologia industriale pervasiva).
Tu dici che bisognerebbe definire una teoria della vita: ma chi la definisce? Il biologo è assolutamente convinto che spetti solo a lui, è lui che studia la vita con la necessaria competenza, chi altri può riconoscerla senza ambiguità e confusione? Il teologo a questo si ribella, perché concepisce ancora la vita in termini di dono divino, dunque solo in virtù di una teologia che ne tratta il significato primo la si deve definire; il filosofo è forse l'unico che può intendere che una teoria della vita è impossibile e trarne le conseguenze etiche (magari tornando alle implicazioni derivanti dal socratico sapere di non sapere), ma per lo più si rassegna a un tecnicismo che aderisce al pragmatismo vincente.
Poi ovviamente una nuova metafisica è sempre possibile, la tecnica stessa ha una sua metafisica che può renderla assoluta. Il problema è se questa metafisica può lasciare ancora spazio all'umano o se in essa l'uomo si presenta così antiquato da essere già superato.
QUESTA CITAZIONE E' DI MARAL E NON, COME NON RIESCO IN ALCUN MODO AD EVITARE CHE SIA ERRONEAMENTE INDICATA, DI PAUL11Mi stupisce, Maral, questo tuo (attuale; che prima non mi avevi mai fatto questa impressione!) pessimismo disperato (così mi pare: una sorta di resa senza condizioni al nichilismo).
Se ammetti che i
principi etici, per essere universali, devono fondarsi su una trascendenza (logica, mitica, religiosa), e ciò non è più credibile, se affermi "ammesso [ma, par di capire, non concesso da parte tua] che i cosiddetti principi universali abbiano mai avuto effettivamente valore alcuno. Stavano lì come monumenti, più che altro utili a tranquillizzare gli ingenui", allora mi sembra che in sostanza sei d' accordo che "Dio é morto (ucciso dalla scienza e dalla tecnica, con la loro "onnipotenza", o meglio presunzione di onnipotenza, e dunque tutto é lecito".Manifestato il mio stupore (e anche un certo rammarico, se mi si concede una fugace caduta nel sentimentalismo), non posso che opporre nuovamente a questo tuo nichilismo (che in altro modo non saprei definire) la mia convinzione che la natura materiale, attraverso l' evoluzione biologica (senza bisogno di ricorrere ad alcun inesistente trascendenza logica, mitica o religiosa, nè ad alcuna realtà metafisica; peraltro esistente secondo me), fa sì che un' etica umana di fatto universale sia reale (in parte; ed in parte storicamente determinata, essendo l' umanità per così dire "dialetticamente articolata" fra natura e cultura, fra biologia e storia); anche se non tale "di diritto", cioé non dimostrabile razionalmente.Certo che Siamo sempre stati eticamente deboli, ma non credo che avessimo (come umanità) mai avuto bisogno assoluto, come una necessità ineludibile, di norme e leggi che, affinché venissero rispettate, si dovevano credere dettate da un Dio giudice supremo: da Socrate agli stoici, agli stessi epicurei, a varie declinazioni del cristianesimo e di altre religioni, per non parlare del panteismo di Spinoza e degli ateismi, gli esempi dottrinali, (teorici) e pratici di dedizione alla "virtù" del tutto disinteressata, quale "premio a se stessa" si sprecano a mio avviso.Non sono inoltre d' accordo che la razionalità umana sia pur sempre e necessariamente, unicamente il frutto di un pensiero calcolante, di un'economia: la razionalità é per me una facoltà e una tendenza comportamentale umana e può (anche; oltre ad essere applicata alle più disparate aspirazioni e finalità, buone o cattive che siano) avere valore in se stessa, può essere anche fine a se stessa: la scienza é mezzo per fini più o meno nobili o più o meno abbietti, ma é anche amore di conoscenza in sé e per sé, per il gusto e la soddisfazione che da il sapere com é il mondo in cui viviamo, chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, così come si può comporre ed ascoltare musica per il piacere che ci dà in se stessa (anche se la poesia e la canzone -o la cantata- nacquero di fatto, come veri e propri "mezzi memotecnici", quando non si disponeva della scrittura per facilitare il ricordo di racconti e conoscenze ritenuti socialmente importanti).E continuo a proporre, in alternativa a questo tuo per me inaspettato pessimismo nichilistico la mia convinzione che tutte le possibili (sarebbero peraltro probabilmente infinite) applicazioni tecniche delle conoscenze scientifiche in linea di principio non sono ineluttabilmente destinate ad essere realizzate; anche se a questo proposito i rapporti sociali di produzione dominanti ("capitalistici in avanzato stato di putrefazione") sono in ultima analisi determinanti in senso opposto e sulla possibilotà che siano superati per tempo prima che determinino l' "estinzione prematura e di sua propria mano" della nostra specie sono pessimista (ma di un pessimismo relativo, non assoluto, che non giustifica una resa).
Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 09:18:31 AMQUESTA CITAZIONE E' DI MARAL E NON, COME NON RIESCO IN ALCUN MODO AD EVITARE CHE SIA ERRONEAMENTE INDICATA, DI PAUL11
Se legge attentamente il suo post, vedrà che la citazione è corretta.
Si legge chiaramente (primo rigo) che la citazione è di Maral, al cui interno (secondo rigo) vi è una citazione di paul11.
Hi visto persone poco più che alfabetizzate ottenere dei diritti perchè credevano nell'etica anche se non conoscevano la parola ,perchè la praticavano con dignità.
Vedo persone acculturate che perdono diritti plagiati nelle menti confuse e non credono più a niente.Il pensiero per loro è già un dolore.
Vedo nelle Cosituzioni delle repubbliche dei principi formulati a cui tutto l'ordinamento deve riferirsi; vedo persone prive di coscienza e conoscenza dei principi farsi sfruttare e supino servilismo accettare che quei diritti siano calpestati, perchè non hanno capito il testamento di generazioni precedenti e di culture precedenti che hanno discusso di etica, di teoria dello Stato di rapporto fra vita e individui e fra individuo e società. Chi perde il testamento perde la memoria storica e il rispetto per l'umanità, perchè non consegnerà quel testamento alle generazioni future
Vedo le scienze che oggi sono riuscite a farsi passare per realiste e razionaliste.
e si è dimenticato che il razionalismo era nella metafisica greca dentro gli oggetti concettuali, cioè assiomi ed enunciati che costruivano i primitivi della geometria e matematica. Il realismo era in Platone ,poichè non c'èra al divisone netta fra natura ed asatrazione, ma un cordone ombelicale che legava la materia e l'iperuranio. Il razionalismo sarà il contraltare dell'empirismo , il cui significato era conoscenza attraverso l'osservazione e l'esperienza.
Hanno saputo travisare così bene grazie a filosofi da due soldi e asserviti alle scienze da ribaltare termini e significati, per cui oggi la scienza è ragione la metafisica irrazionalità, le scienze verità e i concetti etici vestigia di antichi pensieri che non sono nel progresso.
Così l'umanità è divenuta come San Tommaso che deve vedere per credere. E nega in questo modo la sua natura.
La vita diventa un esercizio fisco e scientifico da laboratorio, essendo priva di sensi e significati .
Le grandi aziende commerciali costruiscono mission, codici etici e policy, intanto che il filosofo e il biochimico chiacchierano d etica e di libertà.
E' visibile che nella pratica l'economia è contro lo Stato di diritto di cui la filosofia morale è portatrice storica, e la scienza che è dalla parte e strumento dell'economia avendo prebende in cambio di innovazione e scoperte esautora il filosofo.
Perchè senza etica è finito il tempo del saggio
Forse per inquadrare meglio la discussione dovremmo ricorrere a qualche esempio concreto. Prendiamo un caso estremo: la clonazione umana. Se si arrivasse al punto in cui venissero clonati uomini da essere usati come pezzi di ricambio per trapianti, ciò sarebbe alquanto disumano. Eppure la filosofia era viva e vegeta in tempi in cui il razionalissimo Aristotele definiva gli schiavi "utensili umani" o quando centinaia di uomini subivano ogni sorta di brutalità sulle arene dell'impero per puro divertimento. Perché dunque la prevaricazione dell'etica da parte delle scienze dovrebbe decretare la fine della filosofia? E perché se la filosofia è morta si continua a parlarne? D'accordo, si parla anche di Cesare e Napoleone che sono morti da un pezzo, ma dopo un po' a continuare a parlarne ci si stufa. Non ci stanchiamo invece di continuare a parlare di filosofia. Ma chi ha fatto l'autopsia?
Citazione di: cvc il 15 Aprile 2016, 13:50:51 PM
Forse per inquadrare meglio la discussione dovremmo ricorrere a qualche esempio concreto. Prendiamo un caso estremo: la clonazione umana. Se si arrivasse al punto in cui venissero clonati uomini da essere usati come pezzi di ricambio per trapianti, ciò sarebbe alquanto disumano. Eppure la filosofia era viva e vegeta in tempi in cui il razionalissimo Aristotele definiva gli schiavi "utensili umani" o quando centinaia di uomini subivano ogni sorta di brutalità sulle arene dell'impero per puro divertimento. Perché dunque la prevaricazione dell'etica da parte delle scienze dovrebbe decretare la fine della filosofia? E perché se la filosofia è morta si continua a parlarne? D'accordo, si parla anche di Cesare e Napoleone che sono morti da un pezzo, ma dopo un po' a continuare a parlarne ci si stufa. Non ci stanchiamo invece di continuare a parlare di filosofia. Ma chi ha fatto l'autopsia?
Secondo me la differenza sta nel fatto Che a differenza dei tempi passati a cui tu fai Riferimento,Oggi siamo 4 gattii a parlarne di queste cose Che reputano decisive,perche credo lo siano,e il cerchio si fa sempre piu ristretto,forse fino a scomparire del tutto.
L'influenza Che poteva suscitare (anche indirettamente) poteva essere enorme,cosa Che oggi a mio avviso
E ' diventata impenetrabile.
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Secondo me la differenza sta nel fatto Che a differenza dei tempi passati a cui tu fai Riferimento,Oggi siamo 4 gattii a parlarne di queste cose Che reputano decisive,perche credo lo siano,e il cerchio si fa sempre piu ristretto,forse fino a scomparire del tutto.
L'influenza Che poteva suscitare (anche indirettamente) poteva essere enorme,cosa Che oggi a mio avviso
E ' diventata impenetrabile.
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Io credo che, al contrario, a quei tempi, dati l'analfabetismo dilagante, ben pochi fossero in grado di trattare questioni che non fossero legate alla pura sopravvivenza. Non credo che in percentuale il rapporto fra cinici e coscienziosi sia cambiato, il fatto è che i procaccianti hanno ora mezzi alquanto più potenti. Il progresso in sé non è né un bene né un male, è l'uso che se ne fa ciò che conta. Oramai il mondo è programmato per il consumismo, la produzione e la crescita. Non viene percepito altro modo di far funzionare il mondo anche perché le strutture che lo reggono sono troppo radicate e dure da smantellare. Glielo dici tu ai proprietari dei pozzi di petrolio che bisogna usare energia pulita? O alle industrie farmaceutiche di non produrre solo le medicine che le fanno guadagnare? Qui si parla di scavare la fossa all'etica, ma se collassa l'intero pianeta a ben poco serve coltivare il proprio orticello. Certamente i nostri discorsi qui non cambieranno come per magia lo stato delle cose, ma è pur sempre meglio che niente. A volte la coscienza richiede tempo per risvegliarsi, a forza di svuotare l'acqua col secchio ci si dovrà accorgere che la nave sta affondando. Speriamo non sia troppo tardi.
Secondo me la differenza sta nel fatto Che a differenza dei tempi passati a cui tu fai Riferimento,Oggi siamo 4 gattii a parlarne di queste cose Che reputano decisive,perche credo lo siano,e il cerchio si fa sempre piu ristretto,forse fino a scomparire del tutto.
L'influenza Che poteva suscitare (anche indirettamente) poteva essere enorme,cosa Che oggi a mio avviso
E ' diventata impenetrabile.
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Io credo che, al contrario, a quei tempi, dati l'analfabetismo dilagante, ben pochi fossero in grado di trattare questioni che non fossero legate alla pura sopravvivenza. Non credo che in percentuale il rapporto fra cinici e coscienziosi sia cambiato, il fatto è che i procaccianti hanno ora mezzi alquanto più potenti. Il progresso in sé non è né un bene né un male, è l'uso che se ne fa ciò che conta. Oramai il mondo è programmato per il consumismo, la produzione e la crescita. Non viene percepito altro modo di far funzionare il mondo anche perché le strutture che lo reggono sono troppo radicate e dure da smantellare. Glielo dici tu ai proprietari dei pozzi di petrolio che bisogna usare energia pulita? O alle industrie farmaceutiche di non produrre solo le medicine che le fanno guadagnare? Qui si parla di scavare la fossa all'etica, ma se collassa l'intero pianeta a ben poco serve coltivare il proprio orticello. Certamente i nostri discorsi qui non cambieranno come per magia lo stato delle cose, ma è pur sempre meglio che niente. A volte la coscienza richiede tempo per risvegliarsi, a forza di svuotare l'acqua col secchio ci si dovrà accorgere che la nave sta affondando. Speriamo non sia troppo tardi.
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non lo so ma al tempo stesso non ne sarei così convinto,ne che vi fosse solo pura sopravvivenza (forse agli occhi di noi moderni può fare sicuramente questo effetto ma anche per ragioni di chi scrive la storia stessa che tende troppo spesso a vedere - e difendere -solo quello che rientra nello stesso dogma dominante)
e ne che fossero così ignoranti come immaginiamo..la loro magari era una sapienza che non veniva stabilita da quanti libri si leggono oppure dalla iper-specializzazione che di fatto ti rende un ignorante istruito, ma aveva a che fare con la vita stessa che e' il "libro" per eccellenza..
per il resto sono perfettamente d'accordo con te (riserva a parte che il "progresso" sia di per se neutro)
Citazione di: acquario69 il 15 Aprile 2016, 15:17:50 PM
non lo so ma al tempo stesso non ne sarei così convinto,ne che vi fosse solo pura sopravvivenza (forse agli occhi di noi moderni può fare sicuramente questo effetto ma anche per ragioni di chi scrive la storia stessa che tende troppo spesso a vedere - e difendere -solo quello che rientra nello stesso dogma dominante)
e ne che fossero così ignoranti come immaginiamo..la loro magari era una sapienza che non veniva stabilita da quanti libri si leggono oppure dalla iper-specializzazione che di fatto ti rende un ignorante istruito, ma aveva a che fare con la vita stessa che e' il "libro" per eccellenza..
per il resto sono perfettamente d'accordo con te
Non lo sapremo mai. La storia la raccontano i sopravvissuti. La storia di chi è morto di stenti a venti o trent'anni non la racconta nessuno.
Citazione di: cvc il 15 Aprile 2016, 15:25:55 PM
Citazione di: acquario69 il 15 Aprile 2016, 15:17:50 PM
non lo so ma al tempo stesso non ne sarei così convinto,ne che vi fosse solo pura sopravvivenza (forse agli occhi di noi moderni può fare sicuramente questo effetto ma anche per ragioni di chi scrive la storia stessa che tende troppo spesso a vedere - e difendere -solo quello che rientra nello stesso dogma dominante)
e ne che fossero così ignoranti come immaginiamo..la loro magari era una sapienza che non veniva stabilita da quanti libri si leggono oppure dalla iper-specializzazione che di fatto ti rende un ignorante istruito, ma aveva a che fare con la vita stessa che e' il "libro" per eccellenza..
per il resto sono perfettamente d'accordo con te
Non lo sapremo mai. La storia la raccontano i sopravvissuti. La storia di chi è morto di stenti a venti o trent'anni non la racconta nessuno.
ma anche i "vincitori"...e chi muore di stenti a venti trent'anni ci sono anche ora
Citazione di: sgiombo il 14 Aprile 2016, 19:52:32 PME' certamente utile per intenderci il chiarimento circa le filosofie di ispirazione platonica/parmenidea (più o meno remota e mediata); ora ti intendo meglio.
Tuttavia mi sembra che siano inconciliabili con la scienza filosofie che postulino l' esistenza di enti e/o eventi sopra- o preter- naturali immanenti, cioè interferenti con la realtà naturale - materiale e il suo divenire (per la chiusura causale del mondo fisico, a mio parere necessaria, indispensabile perché possa darsi conoscenza scientifica).
Filosofie che implichino enti e/o eventi sopra- o preter- naturali trascendenti, cioé non interferenti con il divenire della realtà naturale - materiale ritengo invece siano tranquillamente conciliabili e integrabili con le scienza (io stesso, nel mio piccolo, coltivo una filosofia, che ho più volte esposto nel vecchio forum, la quale implica la non riducibilità del pensiero alla materia ma un loro divenire per così dire "parallelo su diversi piani non interferenti", che non inficia la chiusura causale del mondo fisico e dunque é perfettamente conciliabile con la conoscenza scientifica; che non condiziona ma casomai integra).
Non vedo proprio come l' esistenza di una "morale universale", o un "imperativo categorico" per dirla come Kant, farebbe sì che non si ponga il problema: il problema della sua esistenza? Ma non é detto che tutto ciò che é reale debba anche essere immediatamente evidente nella sua realtà, e il fatto che vi sia chi dubita di qualcosa non dimostra che tale qualcosa non esista (per esempio per secoli c' é stato chi ha dubitato dell' esistenza di atomi e molecole, che però oggi é pressocchè universalmente accettata; il problema delle contravvenzioni a tale imperativo? Ma l' esistenza di una morale di fatto universale (in parte) non implica che sempre e comunque venga osservata, anzi!
Il concetto di violazione e di colpa, non meno che quello di osservanza e di onestà (o alla maniera degli stoici "virtù") é quasi implicito in quello di morale; l' imperativo categorico é sempre stato inteso da Kant senza alcuna perpessità come passibile di essere disatteso.
Non credo che benessere collettivo universale e benessere individuale coincidano mai perfettamente: contrasti interumani ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno, anche se di natura profondamente diversa nelle diverse epoche storiche.
La maggiore o minore adeguatezza allo sviluppo delle forze produttive umane dei diversi assetti sociali (per me innanzitutto e suprattutto dei "rapporti di produzione" su cui si fondano) si "misura", per così dire alquanto metaforicamente, proprio dalla maggiore o minore estensione e intensità di queste contraddizioni fra benessere collettivo e individuale.
Non credo proprio che esista un nesso inevitabile fra il nichilismo morale e il progressivo estendersi di uno stile di vita agiato; casomai fra il nichilismo morale e l'imporsi di disuguaglianze e iniquità crescenti negli stili di vita e nei rispettivi agi (dunque il diffondersi di "stili di vita" agiatissimi e anche di "stili di vita miserrimi).
Che Stia alla filosofia porsi queste domande. E che ogni filosofia che si dica "amante della sapienza" non possa essere disgiunta dalle conoscenze scientifiche, anzi debba comprenderle in un progetto di più ampia portata sono perfettamente d' accordo.
La filosofia scevra da discorsi metafisici non deve postulare alcun ente o evento che contraddica la versione scientifica o che interferisca con la realtà naturale cosi conosciuta. È ovvio che metafisica e Scienza non possano interferire l'una con la materia dell'altra,ma questo per me è lontano dall'essere una vera conciliazione,quanto invece una "separazione consenziente".Sul problema della morale:se tu intendi la coscienza morale come tendenza comportamentale radicata nel singolo,come mi pare di capire,allora non capisco come possa tu considerare una sua contravvenzione,altresì se appartiene alla coscienza collettiva questa morale "universale" non può non mostrarsi. In ogni caso l'universalità della morale è cosa più sostenuta che dimostrata (e questo l'hai detto anche tu,ma mi chiedo se possiamo riferirci a un concetto cosi arbitrario).Per me benessere collettivo e benessere individuale non solo non coincidono ma divergono necessariamente,per propria natura,ostacolandosi quando possibile. Nel momento in cui si decide di fondere i due "sentimenti" in un unico grande ideale ,"benessere dell'umanità",questo rappresenta già di per sé una forzatura. Nessuna delle discipline scientifiche sarà mai in grado di garantire questo scenario cosi astratto e fuori dal mondo.
Citazione di: acquario69 il 15 Aprile 2016, 15:34:01 PM
Citazione di: cvc il 15 Aprile 2016, 15:25:55 PM
Citazione di: acquario69 il 15 Aprile 2016, 15:17:50 PM
non lo so ma al tempo stesso non ne sarei così convinto,ne che vi fosse solo pura sopravvivenza (forse agli occhi di noi moderni può fare sicuramente questo effetto ma anche per ragioni di chi scrive la storia stessa che tende troppo spesso a vedere - e difendere -solo quello che rientra nello stesso dogma dominante)
e ne che fossero così ignoranti come immaginiamo..la loro magari era una sapienza che non veniva stabilita da quanti libri si leggono oppure dalla iper-specializzazione che di fatto ti rende un ignorante istruito, ma aveva a che fare con la vita stessa che e' il "libro" per eccellenza..
per il resto sono perfettamente d'accordo con te
Non lo sapremo mai. La storia la raccontano i sopravvissuti. La storia di chi è morto di stenti a venti o trent'anni non la racconta nessuno.
ma anche i "vincitori"...e chi muore di stenti a venti trent'anni ci sono anche ora
Effettivamente la questione è interessante, immaginare cioè, per esempio, se ai tempi di Cesare la gente comune avesse delle concezioni, delle opinioni autonome di ciò che fosse il periodo, la realtà che stavano vivendo. Oppure se erano totalmente manovrati dalla propaganda dei potenti. Che opinione aveva di Roma e di Cesare o Pompeo il cittadino medio? Era in grado di farsi un'opinione dell'andamento politico del tempo e immaginare quali sarebbero state le cose giuste da fare? Oppure si preoccupano solo di sostenere chi assicurasse i rifornimenti di grano?
Di sicuro a Roma le opinioni della gente aavevano il loro peso e i personaggi influenti dovevano tenerne conto perché per regnare serviva anche il favore del popolo. Ma qui siamo in democrazia, la non proprio.
Comunque mi sa che stiamo scivolando fuori tema.......
MEMENTO HA SCRITTO:
La filosofia scevra da discorsi metafisici non deve postulare alcun ente o evento che contraddica la versione scientifica o che interferisca con la realtà naturale cosi conosciuta. È ovvio che metafisica e Scienza non possano interferire l'una con la materia dell'altra,ma questo per me è lontano dall'essere una vera conciliazione,quanto invece una "separazione consenziente".
Sul problema della morale:se tu intendi la coscienza morale come tendenza comportamentale radicata nel singolo,come mi pare di capire,allora non capisco come possa tu considerare una sua contravvenzione,altresì se appartiene alla coscienza collettiva questa morale "universale" non può non mostrarsi. In ogni caso l'universalità della morale è cosa più sostenuta che dimostrata (e questo l'hai detto anche tu,ma mi chiedo se possiamo riferirci a un concetto cosi arbitrario).
Per me benessere collettivo e benessere individuale non solo non coincidono ma divergono necessariamente,per propria natura,ostacolandosi quando possibile. Nel momento in cui si decide di fondere i due "sentimenti" in un unico grande ideale ,"benessere dell'umanità",questo rappresenta già di per sé una forzatura. Nessuna delle discipline scientifiche sarà mai in grado di garantire questo scenario cosi astratto e fuori dal mondo.
RISPONDO:
Riibadisco che una filosofia che comprenda una metafisica trascendente la realtà fisica (naturale materiale) oggetto di conoscenza scientifica può benissimo coesistere con la conoscenza scientifica in quanto non contraddice la chiusura causale del modo fisico.
Fra essa e le scienze può benissimo darsi a mio parere una integrazione come fra parti diverse, non reciprocamente escludentisi ma armonicamente complementari del sapere.
Veramente non riesco a trovare nulla di problematico nella possibilità di contravvenzione alla morale, intendendola come tendenza comportamentale radicata nel singolo (in tutti i singoli della specie umana) in conseguenza dell' evoluzione biologica: esistono pure altre tendenze (e controtendenze, rispetto a quelle etiche) comportamentali.
Non mi risulta che nessuna teoria dell' etica abbia mai implicato l' impossibilità dell' azione malvagia o immorale.
Sui rapporti fra benessere collettivo e individuale, e in particolarità sulla realizzabilità di una ragionevole (ovviamente limitata, relativa, come tutto ciò che é umano) armonia fra di essi abbiamo convinzioni evidentemente diversissime e per lo meno in larga misura contrarie.
Non sto ovviamente a ribadire le mie.
(Sgiombo)
Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 09:18:31 AM
Mi stupisce, Maral, questo tuo (attuale; che prima non mi avevi mai fatto questa impressione!) pessimismo disperato (così mi pare: una sorta di resa senza condizioni al nichilismo).
Non so, può essere che il mio discorso dia questa impressione, ma il fatto che ricusi un'etica basata sui principi (perché la ritengo di fatto, soprattutto oggi impraticabile), non lo sento come un pessimismo disperato o una resa senza condizioni al nichilismo, come se rinunciando al valore dei principi etici non restasse niente a cui affidare una speranza.
Trovo che abbia ragione paul11 quando scrive:
CitazioneHo visto persone poco più che alfabetizzate ottenere dei diritti perchè credevano nell'etica anche se non conoscevano la parola ,perchè la praticavano con dignità.
Sussiste ancora un sentimento morale e non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato, un sentimento morale che abita (forse come per una sorta di antiquata abitudine da cui non ci si può separare) nel proprio agire e che dà a volte ancora senso al proprio agire (scienziati compresi).
La razionalità calcola e soppesa, il sentimento no questo è il punto. La razionalità da sola è sterile e non può dare speranza, il sentimento da solo si disperde, suscita illusioni a cui si vuol credere, non speranze. Il punto è trovare l'equilibrio tra questi due fattori, senza fare di nessuno dei due un assoluto, e può non essere facile. Come Gramsci, quando vede il pessimismo della ragione critica e l'ottimismo della volontà dettata dal proprio sentire. La volontà è sempre ottimista, altrimenti non può sussistere, ma la ragione non può supinamente accettare questo ottimismo senza negarsi, la ragione deve costantemente essere critica verso l'ottimismo della volontà, perché è la ragione che filosoficamente istituisce il limite. Un limite che oggi non può che essere ascritto all'agire stesso, perché mai come prima nella storia umana, il poter fare ha di tanto oltrepassato ogni capacità di poter davvero comprendere quanto si può (e si deve) fare e dunque la volontà appare senza limiti, giacché sappiamo come fare, come restituire ogni cosa alla sua completa trasformabilità. Noi, che lo vogliamo o meno, comprendiamo ancora con categorie del pensiero pre industriale, anche se non valgono più e sentiamo che non valgono più.
Il pessimismo è il pessimismo del filosofo che, alla luce di una capacità critica, prende atto di quanto accade e non intende offrire, come Prometeo, vane e illimitate speranze e non perché esistono Dei che prefissano limiti per l'uomo, ma perché esiste l'uomo, con la sua umana necessità, con la sua coscienza che si rende cosciente del suo limite e se ne assume la piena responsabilità, rifiutando ogni sovrumana rivelazione e ogni infinita meravigliosa promessa (del mito o della tecnica fattasi mito poco importa).
E forse anche questa è una speranza, che spero non sia vana e illusoria. Ma in fondo, anche se lo fosse, sento che vale la pena di sperarci.
Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 17:15:01 PMVeramente non riesco a trovare nulla di problematico nella possibilità di contravvenzione alla morale, intendendola come tendenza comportamentale radicata nel singolo (in tutti i singoli della specie umana) in conseguenza dell' evoluzione biologica: esistono pure altre tendenze (e controtendenze, rispetto a quelle etiche) comportamentali.
Non mi risulta che nessuna teoria dell' etica abbia mai implicato l' impossibilità dell' azione malvagia o immorale.
La mia era una semplice perplessità al fatto che un comportamento derivante dall'evoluzione biologica (spiegazione molto minimalista che non tiene conto dei contesti storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare) possa avere delle contro-tendenze: se l'organismo si ribella alla morale da cui esso stesso è connotato forse la sua origine non è propriamente naturale. O essere amorale è contronatura? Almeno Kant collocava la dimensione morale oltre la realtà del mondo fenomenico,perché sapeva che il libero arbitrio che ne era alla base non poteva spiegarsi con la necessità delle leggi di natura.
Memento ha scrtitto:
CitazioneO essere amorale è contronatura?
Quello che non riesco a capire, in questi dibattiti (attaulmente piuttosto diffusi) sulla "natura", è in che modo e con quali criteri si definisce il dominio del "naturale" e di conseguenza quello del "non naturale". E anche con quali criteri si attribuisce alla natura una direzione, una sorta di volontà che può essere contrastata andando "contro natura".
Citazione di: Donalduck il 16 Aprile 2016, 18:12:22 PM
Memento ha scrtitto:
CitazioneO essere amorale è contronatura?
Quello che non riesco a capire, in questi dibattiti (attaulmente piuttosto diffusi) sulla "natura", è in che modo e con quali criteri si definisce il dominio del "naturale" e di conseguenza quello del "non naturale". E anche con quali criteri si attribuisce alla natura una direzione, una sorta di volontà che può essere contrastata andando "contro natura".
In questo caso si parlava di natura presa in senso stretto,ossia biologica. Da parte mia considero innaturali quei comportamenti che contrastano con le necessità dell'organismo. Se la morale fa parte di queste necessità,chiedo io,l'essere amorale è una condotta che va contro natura?
Citazione di: maral il 16 Aprile 2016, 09:37:42 AM
Non so, può essere che il mio discorso dia questa impressione, ma il fatto che ricusi un'etica basata sui principi (perché la ritengo di fatto, soprattutto oggi impraticabile), non lo sento come un pessimismo disperato o una resa senza condizioni al nichilismo, come se rinunciando al valore dei principi etici non restasse niente a cui affidare una speranza.
Trovo che abbia ragione paul11 quando scrive:
CitazioneHo visto persone poco più che alfabetizzate ottenere dei diritti perchè credevano nell'etica anche se non conoscevano la parola ,perchè la praticavano con dignità.
Sussiste ancora un sentimento morale e non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato, un sentimento morale che abita (forse come per una sorta di antiquata abitudine da cui non ci si può separare) nel proprio agire e che dà a volte ancora senso al proprio agire (scienziati compresi).
La razionalità calcola e soppesa, il sentimento no questo è il punto. La razionalità da sola è sterile e non può dare speranza, il sentimento da solo si disperde, suscita illusioni a cui si vuol credere, non speranze. Il punto è trovare l'equilibrio tra questi due fattori, senza fare di nessuno dei due un assoluto, e può non essere facile. Come Gramsci, quando vede il pessimismo della ragione critica e l'ottimismo della volontà dettata dal proprio sentire. La volontà è sempre ottimista, altrimenti non può sussistere, ma la ragione non può supinamente accettare questo ottimismo senza negarsi, la ragione deve costantemente essere critica verso l'ottimismo della volontà, perché è la ragione che filosoficamente istituisce il limite. Un limite che oggi non può che essere ascritto all'agire stesso, perché mai come prima nella storia umana, il poter fare ha di tanto oltrepassato ogni capacità di poter davvero comprendere quanto si può (e si deve) fare e dunque la volontà appare senza limiti, giacché sappiamo come fare, come restituire ogni cosa alla sua completa trasformabilità. Noi, che lo vogliamo o meno, comprendiamo ancora con categorie del pensiero pre industriale, anche se non valgono più e sentiamo che non valgono più.
Il pessimismo è il pessimismo del filosofo che, alla luce di una capacità critica, prende atto di quanto accade e non intende offrire, come Prometeo, vane e illimitate speranze e non perché esistono Dei che prefissano limiti per l'uomo, ma perché esiste l'uomo, con la sua umana necessità, con la sua coscienza che si rende cosciente del suo limite e se ne assume la piena responsabilità, rifiutando ogni sovrumana rivelazione e ogni infinita meravigliosa promessa (del mito o della tecnica fattasi mito poco importa).
E forse anche questa è una speranza, che spero non sia vana e illusoria. Ma in fondo, anche se lo fosse, sento che vale la pena di sperarci.
Non capisco cos' altro resterebbe, rinunciando al valore dei principi etici, a cui affidare una speranza di giusta regolazione dei rapporti personali e sociali fra gli uomini; secondo me resterebbe inevitabilmente l' hobbesiano "homo homini lupus", ovvero il dostoiewskiano "dio è morto e dunque tutto è lecito". Paul11 afferma di aver visto persone poco più che alfabetizzate che hanno ottenuto dei diritti perchè credevano nell'etica anche se non conoscevano la parola, perchè la praticavano con dignità. Dunque non si riferisce a persone il cui atteggiamento, le cui azioni fossero prive di etica, ma anzi che a un' etica si conformavano "con dignità", pur non chiamandola in questo modo, cioè con la parola "etica" (non erano certo "moralisti" o cultori di teorie etiche, ma erano indubbiamente agenti morali).Almeno io non riesco ad intendere in altro modo le sue parole.D' altra parte tu stesso affermi che Sussiste ancora un sentimento morale, sia pure "non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato" (locuzione per me alquanto oscura; ma se ti riferisci alla generalità dei ricercatori scientifici, allora sono d' accordo), e dunque l' impressione di "resa al nichilismo" che mi avevi dato era sbagliata (ma secondo me appariva inevitabile dal tuo precedente intervento; che dunque credo vada inteso come un' espressione, a mio parere esagerata e tale da generare inevitabilmente un siffatto fraintendimento, del gramsciano pessimismo della ragione, da non disgiungersi mai dall' ottimismo della volontà; e allora si che sono perfettamente d' accordo!). E sono perfettamente d' accordo anche su quanto affermi in generale circa razionalità e sentimento e circa la necessità drammaticamente ineludibile di acquisire da parte dell' umanità un ("razionalistissimo") senso del limite, credo sostanzialmente la stessa cosa che intendo io con la necessità di un "salto di qualità" nello sviluppo della razionalità umana, difficile, alquanto improbabile (pessimismo della ragione), ma nel quale è comunque necessario sperare, per il quale è comunque necessario lottare, e lo sarebbe anche nel caso finisse per rivelarsi illusorio (ottimismo della volontà).
Citazione di: memento il 16 Aprile 2016, 17:41:18 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 17:15:01 PMVeramente non riesco a trovare nulla di problematico nella possibilità di contravvenzione alla morale, intendendola come tendenza comportamentale radicata nel singolo (in tutti i singoli della specie umana) in conseguenza dell' evoluzione biologica: esistono pure altre tendenze (e controtendenze, rispetto a quelle etiche) comportamentali.
Non mi risulta che nessuna teoria dell' etica abbia mai implicato l' impossibilità dell' azione malvagia o immorale.
La mia era una semplice perplessità al fatto che un comportamento derivante dall'evoluzione biologica (spiegazione molto minimalista che non tiene conto dei contesti storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare) possa avere delle contro-tendenze: se l'organismo si ribella alla morale da cui esso stesso è connotato forse la sua origine non è propriamente naturale. O essere amorale è contronatura? Almeno Kant collocava la dimensione morale oltre la realtà del mondo fenomenico,perché sapeva che il libero arbitrio che ne era alla base non poteva spiegarsi con la necessità delle leggi di natura
E infatti ho sempre asserito che a tendenze comportamentali universali biologicamente condizionate se ne sovrappongono e intrecciano altre storicamente condizionate e dunque variabili nel tempo e nello spazio e transeunti (dei contesti [font='Times New Roman', serif]storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare ho sempre tenuto ben conto!)[/font]. E perché mai (in generale in natura, non solo –ma anche- nell' uomo- non dovrebbero potersi avere istinti comportamentali contrastanti: la vita è un continuo destreggiarsi fra Scilla e Cariddi! Preferisco evitare i concetti molto problematici e quantomeno poco chiari e distinti (per dirla a la Descartes) di "secondo natura " e "contro natura". Essere amorale non è (di fatto) la condizione generale dell' umanità: tutt' altro! Può accadere, come possono accadere tanti altri comportamenti "eccezionali" (che confermano le rispettive regole) nei più disparati campi, anche non eticamente rilevanti (per esempio nell' estetica).Come ho più volte argomentato nel vecchio forum per me (contro e completamente al contrario di Kant) il determinismo, cioè la negazione del libero arbitrio, è una conditio sine qua non perché possa darsi significato etico al comportamento umano (e in generale di soggetti di azione liberi da coercizioni estrinseche): il libero arbitrio è (sarebbe, ammesso e non concesso) incompatibile con l' etica.
Citazione di: sgiombo il 16 Aprile 2016, 20:20:10 PME infatti ho sempre asserito che a tendenze comportamentali universali biologicamente condizionate se ne sovrappongono e intrecciano altre storicamente condizionate e dunque variabili nel tempo e nello spazio e transeunti (dei contesti [font='Times New Roman', serif]storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare ho sempre tenuto ben conto!)[/font].
E perché mai (in generale in natura, non solo –ma anche- nell' uomo- non dovrebbero potersi avere istinti comportamentali contrastanti: la vita è un continuo destreggiarsi fra Scilla e Cariddi!
Preferisco evitare i concetti molto problematici e quantomeno poco chiari e distinti (per dirla a la Descartes) di "secondo natura " e "contro natura". Essere amorale non è (di fatto) la condizione generale dell' umanità: tutt' altro! Può accadere, come possono accadere tanti altri comportamenti "eccezionali" (che confermano le rispettive regole) nei più disparati campi, anche non eticamente rilevanti (per esempio nell' estetica).
Come ho più volte argomentato nel vecchio forum per me (contro e completamente al contrario di Kant) il determinismo, cioè la negazione del libero arbitrio, è una conditio sine qua non perché possa darsi significato etico al comportamento umano (e in generale di soggetti di azione liberi da coercizioni estrinseche): il libero arbitrio è (sarebbe, ammesso e non concesso) incompatibile con l' etica.
Ricordo il tuo discorso sulle condizioni socio-economiche/storiche come fattori da tenere in considerazione. Minimalista per il sottoscritto è l'idea di una morale universale posta su basi biologiche. A proposito,in cosa consisterebbe? Anche se solo vagamente dovresti avere un suo abbozzo di definizione (tanto più se è biologicamente determinata).
Confermi parzialmente quello che ho scritto due post fa: la contravvenzione ad una norma morale è possibile,ma come comportamento eccezionale,e mai regolarmente (sei molto ottimista a mio parere). La perplessità che ho prima espresso era legata proprio al fatto che,quando si presentano due tendenze opposte e contrastanti,si rende necessaria la scelta e,quindi,il concetto di libero arbitrio. Spero ci siamo intesi. Sull'ultima frase dissentirebbero in molti,si potrebbe anche aprire un topic al riguardo.
Citazione di: sgiomboNon capisco cos' altro resterebbe, rinunciando al valore dei principi etici, a cui affidare una speranza di giusta regolazione dei rapporti personali e sociali fra gli uomini; secondo me resterebbe inevitabilmente l' hobbesiano "homo homini lupus", ovvero il dostoiewskiano "dio è morto e dunque tutto è lecito".
Resterebbe quel senso morale che nasce dall'assunzione della responsabilità verso l'altro del proprio agire. Senso morale che non è prestabilito come principio, ma fa parte del proprio vivere e agire, di un sentire.
L'hobbesiano "homo homini lupus" in realtà lo sento come un'arbitraria impostura per giustificare un atteggiamento esclusivamente predatorio presente negli uomini ben di più che non tra i lupi. Tra l'altro una società in cui ciascuno è animato solo da intenzioni predatorie verso gli altri avrebbe ben poca durata.
La morale operativa è quindi a mio avviso una morale che non si basa su principi a priori, su dettati trascendenti, ma semplicemente nasce dal sentire l'altro collocandolo in una dimensione di assoluto rispetto, tale da sospendere i nostri intenti su di lui, e non perché c'è una norma o un principio che obbliga a farlo.
CitazioneMemento ha scritto:
Ricordo il tuo discorso sulle condizioni socio-economiche/storiche come fattori da tenere in considerazione. Minimalista per il sottoscritto è l'idea di una morale universale posta su basi biologiche. A proposito,in cosa consisterebbe? Anche se solo vagamente dovresti avere un suo abbozzo di definizione (tanto più se è biologicamente determinata).
Rispondo:
Per esempio in quanto scrive Maral nell' intervento immediatamente successivo al tuo:
"La morale operativa è quindi a mio avviso una morale che non si basa su principi a priori, su dettati trascendenti, ma semplicemente nasce dal sentire l'altro collocandolo in una dimensione di assoluto rispetto, tale da sospendere i nostri intenti su di lui, e non perché c'è una norma o un principio che obbliga a farlo".
Che personalmente (non mi stupirei se in disaccordo con Maral stesso) ritengo conseguenza della (perfettamente spiegata dalla) evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale.
Oppure l' antico concetto del comportarsi verso gli altri come si vorrebbe che gli altri si comportassero verso noi stessi, il volere il benessere degli altri non meno del benessere di noi stessi (in generale. Senza evitare di volere la giusta punizione di chi fa del male agli altri, poiché esiste ovviamente anche la possibilità di trasgressione dell' etica, e quest' ultima implica sia aspirazione al benessere di tutti sia alla giustizia per tutti; difficile conciliarle? Beh, così é la vita...).
Memento ha scritto:
Confermi parzialmente quello che ho scritto due post fa: la contravvenzione ad una norma morale è possibile, ma come comportamento eccezionale, e mai regolarmente (sei molto ottimista a mio parere). La perplessità che ho prima espresso era legata proprio al fatto che,quando si presentano due tendenze opposte e contrastanti,si rende necessaria la scelta e,quindi,il concetto di libero arbitrio. Spero ci siamo intesi. Sull'ultima frase dissentirebbero in molti,si potrebbe anche aprire un topic al riguardo.
Rispondo:
Ritengo di aver la fortuna di essere ottimista in generale (e non lo fossi, senza voler esagerare le difficoltà che ho incontrato nella vita, credo che mi sarei già dato molte volte l' eutanasia).
Comunque la vita impone tante scelte, quasi continuamente, certo. Si possono osservare oppure contravvenire i valori indimostrabili ma di fatto universalmente avvertiti (in parte; in parte diversamente declinati secondo le circostanze sociali in cui si vive: l' umanità è dialettica di natura e cultura); per me solo se le scelte libere da condizionamenti estrinseci sono intrinsecamente condizionate (da come si è: più o meno magnanimi "buoni", "virtuosi" oppure più o meno malvagi, gretti e meschini), allora sono eticamente valutabili (come appunto più o meno buone o cattive), mentre se non sono conseguenza deterministica di come si è bensì indeterminate, casuali (=liberoarbitrarie), allora non sono eticamente valutabili ma meramente fortuite (conseguenza e dimostrazione non di migliori o peggiori qualità morali ma di maggiore o minor fortuna).
Sono perfettamente d' accordo che è una tesi alquanto anticonformistica; e pure che meriterebbe una discussione "apposita" (e già ce ne sono state nel vecchio forum).
Maral ha scritto:
Resterebbe quel senso morale che nasce dall'assunzione della responsabilità verso l'altro del proprio agire. Senso morale che non è prestabilito come principio, ma fa parte del proprio vivere e agire, di un sentire.
L'hobbesiano "homo homini lupus" in realtà lo sento come un'arbitraria impostura per giustificare un atteggiamento esclusivamente predatorio presente negli uomini ben di più che non tra i lupi. Tra l'altro una società in cui ciascuno è animato solo da intenzioni predatorie verso gli altri avrebbe ben poca durata.
La morale operativa è quindi a mio avviso una morale che non si basa su principi a priori, su dettati trascendenti, ma semplicemente nasce dal sentire l'altro collocandolo in una dimensione di assoluto rispetto, tale da sospendere i nostri intenti su di lui, e non perché c'è una norma o un principio che obbliga a farlo.
Non posso che esprimere il mio accordo.