LOGOS

LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Apeiron il 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM

Titolo: Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM
"Il mondo è una mia rappresentazione" (Schopenhauer).



Una delle più grandi questioni dell'epistemologia è la seguente: distinguere cosa è oggettivo da cosa invece è soggettivo nelle'esperienza. Nessuno di noi (o quasi, a parte certi realisti "naive") ha difficoltà ad accettare che colori, suoni, sensazioni tattili, odori e gusti esistano solo come "rappresentazione" che la nostra mente produce della realtà. Ben diverso il discorso è quando si discute dell'oggettività delle regolarità della natura e dell'esistenza della materia (perfino Schopenhauer diceva che il cervello produceva la rappresentazione). Eppure la cosa a me è sempre suonata un po' sospetta. Cosa è dunque che ci fa veramente distinguere ciò che è soggettivo da ciò che invece è oggettivo?


Un'ipotesi di comodo è che ad esempio la matematica e la logica descrivano sia il funzionamento della nostra mente che quello della materia e quindi la descrizione matematica della natura è in linea di principio esatta. Tuttavia questa è un'assunzione forte e sinceramente vedo una forte contingenza sul particolare linguaggio usato in matematica, tanto da rendere alcune cose di essa arbitrarie (tipo il come noi sciriviamo le leggi della fisica...). Ma anche se accettiamo che la "materia" è oggettiva e segue leggi matematiche, l'unico modo per stabilirlo è l'esperienza. Tuttavia l'esperienza ci da informazioni sulla rappresentazione e non sulla realtà. D'altronde noi ad esempio diciamo che il Sole è (quasi) sferico utilizzando ciò che sappiamo dall'esperienza.



L'unica alternativa sarebbe quella di non passare per l'esperienza e di indagare il "rappresentante" MA questo metodo è chiaramente soggettivo. Detto questo: secondo voi esiste un metodo che ci permetta di dare una comprensione oggettiva della realtà?
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 18 Ottobre 2016, 22:15:00 PM
CitazioneRitengo che il solipsismo (e più generalmente lo scetticismo) non sia superabile razionalmente ma solo assumendo fideisticamente la verità di alcune tesi indimostrabili, né direttamente constatabili empiricamente.

Possiamo solo arbitrariamente, fideisticamente assumere -non dimostrare, né tantomeno constatare empiricamente- che altre esperienze coscienti oltre la "propria" direttamente esperita accadono realmente (come di fatto fanno -o almeno si comportano come se lo credessero- tutte le persone comunemente ritenute sane di mente).

E che la parte materiale – naturale (pressappoco la cartesiana "res extensa", intesa, contrariamente a Cartesio, come insieme e successione di mere sensazioni fenomeniche coscienti: "esse est percipi"!) sia poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti (sempre come di fatto fanno -o almeno si comportano come se lo credessero- tutte le persone comunemente ritenute sane di mente).

E lo stesso dicasi (con David Hume!) per il divenire ordinato, secondo regolarità o "leggi" universali e costanti esprimibili mediante formule matematiche ed empiricamente falsificabili nelle specifiche formulazioni che se ne possono ipotizzare.

La nostra conoscenza certa é quindi inevitabilmente limitata alle sensazioni fenomeniche (materiali – naturali e mentali o di pensiero) della "nostra esperienza fenomenica cosciente (e per ciascun effimero istante in cui sono in atto: già la memoria delle passate è degna di dubbio).

Onde spiegare la (indimostrabile) intersoggettività (= corrispondenza poliunivoca) delle componenti materiali – naturali delle diverse (a loro volta indimostrabili) esperienze fenomeniche coscienti, nonché la corrispondenza biunivoca fra (ciascuna) esperienza cosciente e (ciascun) cervello (dimostrata -alla condizione dell' indimostrabile verità dei necessari assunti indimostrabili, né constatabili empiricamente- dalle moderne neuroscienze) si possono poi ipotizzare determinate relazioni fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti e fra queste e una realtà in sé non apparente (non fatta di fenomeni) ma solo congetturabile (noumeno).
Personalmente lo spiego ipotizzando (e credendo per fede, indimostrabilmente, né men che meno mostrabilmente; le ripetute virgolette a segnalare che parlando del noumeno non si può evitare un' irriducibile incertezza e vaghezza dei termini usati) che nel "divenire" del noumeno accada l' esistenza di determinati "enti" a ciascuno dei quali corrisponde (è correlata) una determinata esperienza fenomenica cosciente.
E che allorché questi "enti" si trovano in determinate "relazioni estrinseche" con "altri, da essi distinti determinati enti ed eventi del noumeno", allora  essi "si vengono a trovare in determinate condizioni" alle quali nell' ambito della "loro propria" (la corrispondente, ad essi correlata) esperienza fenomenica cosciente corrispondono biunivocamente certe determinate sensazioni materiali – naturali; mentre allorché essi si trovano in determinate "relazioni intrinseche" con se stessi, allora  essi "si vengono a trovare in determinate condizioni" alle quali nell' ambito della "loro propria" (la corrispondente) esperienza fenomenica cosciente corrispondono biunivocamente certe determinate sensazioni mentali o di pensiero.
Così quando nella "mia" esperienza fenomenica cosciente vi sono determinate sensazioni (materiali e/o mentali) esse corrispondono biunivocamente a "determinate circostanze" del noumeno, riguardanti i "rapporti fra" la "entità in sé" che possiamo indicare come "me" e "altre entità noumeniche da essa diverse"; e che a determinate altre circostanze del noumeno contemporaneamente riguardanti "determinati rapporti estrinseci" fra altre "entità" cui corrispondano altre esperienze fenomeniche coscienti (per esempio quella che possiamo chiamare "te") e quella di cui sopra ("me"), allora in tali esperienze altre fenomeniche coscienti diverse dalla "mia" (correlate a queste altre "entità noumeniche" diverse da "me": per esempio la "tua", quella correlata all' "entità noumenica <te>") accada la visione del mio cervello (di solito di fatto indirettamente, per il tramite dell' imaging neurologico funzionale; e comunque in teoria e in potenza anche direttamente) in certe determinate circostanze funzionali biunivocamente corrispondenti alla di quest' ultimo (la "mia") esperienza fenomenica cosciente in corso (e alle "condizioni dell' entità noumenica <me>").

In sostanza propongo la seguente soluzione al problema dei rapporti mente/cervello (o pensiero/materia):

gli stessi "enti ed eventi in sé" (nell' ambito del noumeno), in quanto "percepiti fenomenicamente dall' esterno" -come oggetti di conoscenza da parte di soggetti altri, da essi diversi" sono le sensazioni fenomeniche materiali di un determinato cervello in un determinato stato funzionale (percepite nell' ambito delle esperienze coscienti di altri, di "osservatori"), in quanto "percepiti fenomenicamente dall' interno" -come oggetti di conoscenza coincidenti con il soggetto stesso di conoscenza- sono le sensazioni fenomeniche mentali (i pensieri) di un "osservato", cioé del "titolare" di tale cervello.

MI scuso con tutti coloro che hanno già letto ripetutamente queste teorie metafisiche.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 00:26:40 AM
No, Apeiron, non esiste alcun metodo che ci permetta una comprensione oggettiva della realtà. I motivi sono tanti e si possono esprimere in diversi modi. Ne elenco qualcuno:

- non è possibile dimostrare che la realtà non sia un sogno; da tale impossibilità consegue che il concetto di "oggettività" non ha alcun significato, ma è solo frutto di una nostra immaginazione; tale mancanza di significato ci costringe a concludere che ciò che chiamiamo realtà è effettivamente un sogno e non può essere altrimenti per noi esseri umani; non ci è umanamente possibile immaginare alcunché se non come sogno, cioè come creazione da parte della nostra immaginazione; ciò che pensiamo di immaginare come realtà esterna al nostro cervello non può essere immaginato che come sogno; la nostra impressione di poterlo immaginare come realtà esterna è un'illusione, visto che il nostro cervello non ha alcuna possibilità di venire a contatto con idee, percezioni, fenomeni o alcunché che non siano sua creazione, o come minimo (che poi è la stessa cosa), esperienze radicalmente condizionate da esso stesso;

- non abbiamo alcuna possibilità di dare un senso al verbo "essere", poiché è impossibile darne spiegazione senza fare ricorso ad esso stesso; ciò significa che tutte le volte che usiamo il verbo essere non ci è possibile sapere cosa stiamo dicendo;

- non ci è possibile pervenire ad alcuna verità, poiché qualsiasi cosa che chiamiamo con questo termine non può fare a meno di passare prima per il nostro cervello; e umanamente non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il nostro cervello ci inganna senza usare esso stesso; qualunque corrispondenza, qualunque conto matematico che torna, non può essere valutato come tale se non passando attraverso il nostro cervello, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato; non abbiamo alcuna possibilità di uscire dal nostro cervello.

Una volta mi dissero che una cosa è certa ed è il principio di non contraddizione e che io non avrei potuto dire tutte queste cose senza servirmi di esso. Ma in realtà, umanamente, non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il principio di contraddizione è un inganno del nostro cervello; qualunque metodo riusciamo ad escogitare per verificare ciò, alla fine esso non potrà fare a meno di passare per il nostro cervello per essere valutato.

Conclusione: come esseri umani non sappiamo fondamentalmente niente di niente, non ci è possibile affermare niente. Possiamo solo andare a tentoni, procedere con estrema modestia e umiltà, per tentativi. Altro che realtà oggettiva! Non esistono affermazioni a cui non si possano contrapporre critiche in grado di smentirle, le quali a loro volta potranno essere criticate e così via all'infinito. Anche tutte queste cose che ho detto sono incerte, ma ciò non serve a creare alcuna certezza, contribuisce soltanto ad accrescere il dubbio, l'incertezza, il disorientamento: dubitare del dubbio non fornisce certezze, non fa altro che accrescere ulteriormente il dubbio.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 19 Ottobre 2016, 13:30:15 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 00:26:40 AM
No, Apeiron, non esiste alcun metodo che ci permetta una comprensione oggettiva della realtà. I motivi sono tanti e si possono esprimere in diversi modi. Ne elenco qualcuno:

- non è possibile dimostrare che la realtà non sia un sogno; da tale impossibilità consegue che il concetto di "oggettività" non ha alcun significato, ma è solo frutto di una nostra immaginazione; tale mancanza di significato ci costringe a concludere che ciò che chiamiamo realtà è effettivamente un sogno e non può essere altrimenti per noi esseri umani; non ci è umanamente possibile immaginare alcunché se non come sogno, cioè come creazione da parte della nostra immaginazione; ciò che pensiamo di immaginare come realtà esterna al nostro cervello non può essere immaginato che come sogno; la nostra impressione di poterlo immaginare come realtà esterna è un'illusione, visto che il nostro cervello non ha alcuna possibilità di venire a contatto con idee, percezioni, fenomeni o alcunché che non siano sua creazione, o come minimo (che poi è la stessa cosa), esperienze radicalmente condizionate da esso stesso;

- non abbiamo alcuna possibilità di dare un senso al verbo "essere", poiché è impossibile darne spiegazione senza fare ricorso ad esso stesso; ciò significa che tutte le volte che usiamo il verbo essere non ci è possibile sapere cosa stiamo dicendo;

- non ci è possibile pervenire ad alcuna verità, poiché qualsiasi cosa che chiamiamo con questo termine non può fare a meno di passare prima per il nostro cervello; e umanamente non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il nostro cervello ci inganna senza usare esso stesso; qualunque corrispondenza, qualunque conto matematico che torna, non può essere valutato come tale se non passando attraverso il nostro cervello, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato; non abbiamo alcuna possibilità di uscire dal nostro cervello.

Una volta mi dissero che una cosa è certa ed è il principio di non contraddizione e che io non avrei potuto dire tutte queste cose senza servirmi di esso. Ma in realtà, umanamente, non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il principio di contraddizione è un inganno del nostro cervello; qualunque metodo riusciamo ad escogitare per verificare ciò, alla fine esso non potrà fare a meno di passare per il nostro cervello per essere valutato.

Conclusione: come esseri umani non sappiamo fondamentalmente niente di niente, non ci è possibile affermare niente. Possiamo solo andare a tentoni, procedere con estrema modestia e umiltà, per tentativi. Altro che realtà oggettiva! Non esistono affermazioni a cui non si possano contrapporre critiche in grado di smentirle, le quali a loro volta potranno essere criticate e così via all'infinito. Anche tutte queste cose che ho detto sono incerte, ma ciò non serve a creare alcuna certezza, contribuisce soltanto ad accrescere il dubbio, l'incertezza, il disorientamento: dubitare del dubbio non fornisce certezze, non fa altro che accrescere ulteriormente il dubbio.
CitazioneRammento il noto paradosso "antipseudoscettico" per il quale se "non ci è possibile pervenire ad alcuna verità", allora nemmeno questa affermazione fra virgolette può essere vera, nemmeno essa è vera (scrivo "antipseudoscettico perché lo scetticismo autentico non è l' affermare che non è possibile conoscere -veramente- alcunché, bensì che non ci può essere certezza -e non: verità- di alcunché, è sospendere il giudizio; col che il paradosso è brillantemente superato).
 
Ribadisco la mia convinzione già espressa nel precedente intervento in questa discussione, che lo scetticismo non è superabile razionalmente.
Ma come non si può avere certezza razionalmente fondata di alcuna conoscenza, così non la si può avere nemmeno della non conoscenza di alcunché: qualsiasi cosa (sensatamente) si creda potrebbe benissimo essere falsa; ma potrebbe anche altrettanto bene essere vera.
Di qui le ipotesi indimostrabili logicamente e non constatabili empiricamente da me avanzate (con qualche imprecisione per la pretesa di essere troppo sintetico) nel suddetto precedente intervento.
Seconde me essere scettici conseguentemente, fino in fondo, significa condannarsi all' inerzia pratica, cosa che -in modo non conseguentemente razionalistico- non sono disposto ad accettare; se si hanno interessi e aspirazioni che ci spingono ad agire in qualche modo, allora per lo meno ci si comporta "come se" si fosse sicuramente convinti di almeno qualcosa. E volendo (irrazionalisticamente) essere il più razionalistici possibile senza condannarsi all' inerzia pratica ("ragionevoli", se così vogliamo dire; invero non del tutto conseguentemente "razionalisti") si può applicare limitatamente (non fino in fondo) il fondamentale principio razionalistico del rasoio di Ockam, e dunque credere al minor numero possibile di tesi indimostrabili compatibile con il coltivare interessi e aspirazioni, nella consapevolezza dell' infondatezza, arbitrarietà di tali tesi (del fatto che letteralmente le si crede "per fede" irrazionale).
D' altra parte di fatto si constata (ammessa la verità di talune tesi indimostrabili né constatabili empiricamente) che tutte le persone comunemente ritenute sane di mente per lo meno si comportano "come se" credessero in qualcosa (per esempio -fra gli innumerevoli possibili- gettarsi dal centesimo piano di un grattacielo perché, non credendo alla costanza della legge di gravità, è indubbio che prima o poi si potrebbe finire per essere sfracellati contro il soffitto, e comunque la probabilità che ciò accada è uguale a quella che ci si sfracelli al suolo gettandosi e dunque tanto vale prima o poi provare, non è un comportamento da persona comunemente ritenuta sana di mente).
 
Sull' insensatezza del concetto di "essere" non sono d' accordo: esso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere" (è una regola generale che i concetti hanno significati stabiliti arbitrariamente per definizione ed espressi, costituiti da locuzioni, ovvero mettendo in determinati rapporti sintattici determinati altri concetti. "Omnis determinatio est negatio", Spinoza; i concetti di "essere" e di "non essere" sono i più generali, i più astratti, i meno determinarti di tutti e si definiscono unicamente attraverso il rapporto di negazione reciproca).
Ma certamente con la logica e applicando il principio di identità – non contraddizione e quello del terzo escluso si possono proporre solo giudizi analitici a priori, che propriamente non aggiungono conoscenze o verità a quelle ipotizzate nelle premesse -non "producono" conoscenza- ma si limitano ad esplicitarne talune in esse di già implicite: "poco più che tautologie".
E quanto ai giudizi sintetici a posteriori, stante la critica humeiana della causalità, la certezza della loro verità deve essere limitata alle singole, particolari constatazioni empiriche; e inoltre, poiché nulla garantisce della veridicità della memoria, solo nell' effimero istante presente nel quale sono in atto (accadono; se accadono).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 13:58:09 PM
Citazionequalsiasi cosa (sensatamente) si creda potrebbe benissimo essere falsa; ma potrebbe anche altrettanto bene essere vera
L'ipotesi che potrebbe essere vera presuppone che sia chiaro il significato di "vera". Il dubbio però non mette in questione non solo l'esistenza della verità; ne mette in questione anche il significato: se la verità potrebbe non essere mai esistita, se essa potrebbe essere stata nella nostra mente nient'altro che un inganno, non è più possibile dare per scontato che il suo significato sia chiaro; e se il suo significato non è chiaro non ha senso ipotizzare che essa potrebbe anche esistere.
CitazioneSeconde me essere scettici conseguentemente, fino in fondo, significa condannarsi all'inerzia pratica
Questo vale per chi ha deciso di far guidare la propria vita pratica da certi presupposti appartenenti a certa filosofia. Ma nel mondo non esiste né solo la filosofia, né solo certa filosofia. Un mare di gente di una vita significativa senza alcun bisogno di farsi guidare da una filosofia o da certa logica filosofica.
Citazioneesso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere"
Mi sembra che così hai confermato ciò che avevo detto: per definire l'essere hai dovuto far riferimento al "non essere", il quale a sua volta non è definibile se non facendo riferimento all'essere.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 14:10:34 PM
Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Non mi sembra che il senso dato da Apeiron al discorso fosse quello di discutere di oggettività non assoluta. Che senso ha dire che l'oggettività si può dimostrare e dopo aggiungere che però la intendi in modo diverso? Io posso dire che un cane è un gatto e poi aggiungere: sì, ma io attribuivo alla parola "cane" il significato di "gatto". Mi sembra che procedere in questo modo serva solo a cambiare le carte in tavola, creare confusione che non serve a nessuno.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: cvc il 19 Ottobre 2016, 14:24:05 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 14:10:34 PM
Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Non mi sembra che il senso dato da Apeiron al discorso fosse quello di discutere di oggettività non assoluta. Che senso ha dire che l'oggettività si può dimostrare e dopo aggiungere che però la intendi in modo diverso? Io posso dire che un cane è un gatto e poi aggiungere: sì, ma io attribuivo alla parola "cane" il significato di "gatto". Mi sembra che procedere in questo modo serva solo a cambiare le carte in tavola, creare confusione che non serve a nessuno.
Si parlava comunque di oggettività. Il senso di quello che ho detto è che l'oggettività è una convenzione del linguaggio. Non mi sembra di aver confuso niente.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 19 Ottobre 2016, 15:31:07 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 00:26:40 AMNo, Apeiron, non esiste alcun metodo che ci permetta una comprensione oggettiva della realtà. I motivi sono tanti e si possono esprimere in diversi modi. Ne elenco qualcuno: - non è possibile dimostrare che la realtà non sia un sogno; da tale impossibilità consegue che il concetto di "oggettività" non ha alcun significato, ma è solo frutto di una nostra immaginazione; tale mancanza di significato ci costringe a concludere che ciò che chiamiamo realtà è effettivamente un sogno e non può essere altrimenti per noi esseri umani; non ci è umanamente possibile immaginare alcunché se non come sogno, cioè come creazione da parte della nostra immaginazione; ciò che pensiamo di immaginare come realtà esterna al nostro cervello non può essere immaginato che come sogno; la nostra impressione di poterlo immaginare come realtà esterna è un'illusione, visto che il nostro cervello non ha alcuna possibilità di venire a contatto con idee, percezioni, fenomeni o alcunché che non siano sua creazione, o come minimo (che poi è la stessa cosa), esperienze radicalmente condizionate da esso stesso; - non abbiamo alcuna possibilità di dare un senso al verbo "essere", poiché è impossibile darne spiegazione senza fare ricorso ad esso stesso; ciò significa che tutte le volte che usiamo il verbo essere non ci è possibile sapere cosa stiamo dicendo; - non ci è possibile pervenire ad alcuna verità, poiché qualsiasi cosa che chiamiamo con questo termine non può fare a meno di passare prima per il nostro cervello; e umanamente non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il nostro cervello ci inganna senza usare esso stesso; qualunque corrispondenza, qualunque conto matematico che torna, non può essere valutato come tale se non passando attraverso il nostro cervello, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato; non abbiamo alcuna possibilità di uscire dal nostro cervello. Una volta mi dissero che una cosa è certa ed è il principio di non contraddizione e che io non avrei potuto dire tutte queste cose senza servirmi di esso. Ma in realtà, umanamente, non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il principio di contraddizione è un inganno del nostro cervello; qualunque metodo riusciamo ad escogitare per verificare ciò, alla fine esso non potrà fare a meno di passare per il nostro cervello per essere valutato. Conclusione: come esseri umani non sappiamo fondamentalmente niente di niente, non ci è possibile affermare niente. Possiamo solo andare a tentoni, procedere con estrema modestia e umiltà, per tentativi. Altro che realtà oggettiva! Non esistono affermazioni a cui non si possano contrapporre critiche in grado di smentirle, le quali a loro volta potranno essere criticate e così via all'infinito. Anche tutte queste cose che ho detto sono incerte, ma ciò non serve a creare alcuna certezza, contribuisce soltanto ad accrescere il dubbio, l'incertezza, il disorientamento: dubitare del dubbio non fornisce certezze, non fa altro che accrescere ulteriormente il dubbio.

Parto dalla logica. Il dubbio della logica non ha senso, perchè il dubbio, il metodo del dubitare si fonda su di essa. La logica perciò è appunto apriori, altrimenti nessuna proposizione ha significato. Per il resto concordo con te: non possiamo fare nient'altro che chiarificare meglio il contenuto della nostra esperienza. Ti faccio un esempio: quando si parla ad esempio di "entità necessaria" quello che stiamo facendo è creare un concetto con cui proviamo ad analizzare la realtà. Il fatto che nella nostra esperienza non ci sia nulla di non-contingente, non-condizionato ci porta a capire che non dovremmo "attaccarci troppo ad essa".

Detto ciò ho errato nel post inziale a non distinguere tra "oggettività" intesa come inter-soggettività, cioè oggettività intesa come ciò su cui più osservatori sono d'accordo e "oggettività assoluta", indipendente dall'osservatore. Ebbene non nego che si possa conoscere qualcosa di oggettivo nel primo significato (ammesso di avere abbastanza fede per rifiutare il solipsismo  ;D ), nego che sia possibile conoscere il secondo tipo di oggettività, cioè il "noumeno". Ora se è possibile parlare del noumeno, allora è anche possibile averne esperienza. Il problema è che ciò non è possibile in quanto per definizione tutto ciò che conosco è per sua natura soggettivo e io posso parlare solo di ciò che conosco. Quindi dire "c'è un noumeno", "la realtà in sé e per sé è tale" è insensato.

@sgiombio,

Il problema è che se di una cosa non puoi avere esperienza non puoi nemmeno parlarne. Tu puoi avere esperienza degli esseri, ma non dell'essere. Parlare dell'essere/noumeno è insensato, eppure siamo tentati a farlo perchè sarebbe "oggettività pura". Quindi anche secondo me non è possibile avere una conoscenza veramente oggettiva della realtà: se una cosa è veramente indipendente dall'esperienza come può essere descritta da un linguaggio nato per l'esperienza?

@cvc,

non nego come ho già detto l'oggettività inter-soggettiva o convenzionale. Quello che nego è che non si può conoscere nulla di oggettivo in senso stretto, cioè indipendente dall'esperienza. Ciò si mostra che ogni proposizione ch esi può fare su ciò che è al di là dell'esperienza possibile è insensatezza.

In ogni caso continuate a parlare di cervello, come se fosse il noumeno, una cosa oggettiva in modo assoluto. Ma d'altronde io ho la conoscenza del cervello tramite l'esperienza. Non è una conoscenza come quella  del principio di non-contraddizione.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 19 Ottobre 2016, 16:06:40 PM
Dalle nebbie dei secoli rispunta il lungimirante Gorgia:
- nulla c'è (e non "il nulla c'è"... problema della definizione logica dell'identità vs esperienza del divenire)
- se ci fosse non sarebbe conoscibile (problema della congettura del noumeno e della realtà-in-sè)
- se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile (problema dell'influenza della mediazione linguistica e della rappresentazione...).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 19 Ottobre 2016, 17:18:31 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 13:58:09 PM
Citazionequalsiasi cosa (sensatamente) si creda potrebbe benissimo essere falsa; ma potrebbe anche altrettanto bene essere vera
L'ipotesi che potrebbe essere vera presuppone che sia chiaro il significato di "vera". Il dubbio però non mette in questione non solo l'esistenza della verità; ne mette in questione anche il significato: se la verità potrebbe non essere mai esistita, se essa potrebbe essere stata nella nostra mente nient'altro che un inganno, non è più possibile dare per scontato che il suo significato sia chiaro; e se il suo significato non è chiaro non ha senso ipotizzare che essa potrebbe anche esistere.
CitazioneSignificato di "vero" (per definizione; cui non pertiene il dubbio o la credenza, non trattandosi di predicato): "affermazione che qualcosa é o accade, essendo o accadendo realmente tale qualcosa o che qualcosa non é o non accade non essendo o accadendo tale qualcosa".

Il dubbio mette in discussione  la verità ma anche la falsità di qualsiasi affermazione a cui sui applichi (é diverso dalla negazione -perentoria, certa- della verità).


CitazioneSeconde me essere scettici conseguentemente, fino in fondo, significa condannarsi all'inerzia pratica
Questo vale per chi ha deciso di far guidare la propria vita pratica da certi presupposti appartenenti a certa filosofia. Ma nel mondo non esiste né solo la filosofia, né solo certa filosofia. Un mare di gente di una vita significativa senza alcun bisogno di farsi guidare da una filosofia o da certa logica filosofica.
CitazioneSi, certo.
Ma costoro generalmente non sono scettici, bensì credono più o meno acriticamente a un sacco di cose (o almeno ad alcune cose, più o meno numerose).
Non é il mio caso nè -credo- di chi, come me, si considera un filosofo (e dunque bazzica per i forum di filosofia).



Citazioneesso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere"
Mi sembra che così hai confermato ciò che avevo detto: per definire l'essere hai dovuto far riferimento al "non essere", il quale a sua volta non è definibile se non facendo riferimento all'essere.
CitazioneOvvio!
Qualsiasi concetto si definisce così: mettendo in determinate relazioni sintattiche determinarti altri concetti.

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 19 Ottobre 2016, 17:27:19 PM
Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 14:24:05 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 14:10:34 PM
Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Non mi sembra che il senso dato da Apeiron al discorso fosse quello di discutere di oggettività non assoluta. Che senso ha dire che l'oggettività si può dimostrare e dopo aggiungere che però la intendi in modo diverso? Io posso dire che un cane è un gatto e poi aggiungere: sì, ma io attribuivo alla parola "cane" il significato di "gatto". Mi sembra che procedere in questo modo serva solo a cambiare le carte in tavola, creare confusione che non serve a nessuno.
Si parlava comunque di oggettività. Il senso di quello che ho detto è che l'oggettività è una convenzione del linguaggio. Non mi sembra di aver confuso niente.
Citazione


Quello di "oggettività", come qualsiasi altro concetto, é definito arbitrariamente ed accettato (da chi l' accetta) convenzionalmente.

Ma il suo significato (arbitrariamente e convenzionalmente stabilito) é quello di una condizione reale (della realtà) indipendente da chi eventualmente la conosca o meno, tale sia che sia conosciuta veracemente, sia che sia misconosciuta falsamente, sia che sia ignorata (tale a prescindere dall' eventuale accadere o meno di pensieri circa la realtà stessa  e dagli eventuali "contenuti" di tali pensieri).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 19 Ottobre 2016, 18:11:16 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Ottobre 2016, 15:31:07 PM


@sgiombo,

Il problema è che se di una cosa non puoi avere esperienza non puoi nemmeno parlarne. Tu puoi avere esperienza degli esseri, ma non dell'essere. Parlare dell'essere/noumeno è insensato, eppure siamo tentati a farlo perchè sarebbe "oggettività pura". Quindi anche secondo me non è possibile avere una conoscenza veramente oggettiva della realtà: se una cosa è veramente indipendente dall'esperienza come può essere descritta da un linguaggio nato per l'esperienza?

CitazioneCredo che si possa parlare (comunque sensatamente; casomai vagamente, oscuramente) di cose di cui non si ha esperienza: tantissimi parlano sensatamente di Dio (magari per dirne che non se ne può dimostrare l' esistenza), di Ippogrifi, centauri, chimere e chi più ne ha più ne metta (quelle della verità e della certezza di questi discorsi sono altre questioni).

Della realtà in sé o noumeno non può aversi certezza; essa sarebbe effettivamente oggettiva in senso forte, non meramente intersoggettiva, cioé puntualmente ed univocamente corrispondente fra diversi soggetti, come si può ritenere (comunque né mostrare né dimostrare nemmeno questo!) siano i fenomeni materiali - naturali (non quelli mentali) .
Ma credo se ne possa sensatissimamente parlare come -fra l' altro- di ciò che (forse: incertezza ineliminabile!) continua ad esserci anche allorchè chiudo gli occhi e non vedo più la montagna che ho davanti a me (e dunque i fenomeni costituenti la visione della montagna non accadono più) e fa sì che ogni volta che li riapro (o che ritorno qui e guardo nella giusta direzione) puntualmente la rivedo.



In ogni caso continuate a parlare di cervello, come se fosse il noumeno, una cosa oggettiva in modo assoluto. Ma d'altronde io ho la conoscenza del cervello tramite l'esperienza. Non è una conoscenza come quella  del principio di non-contraddizione.
CitazioneSono stato eccessivamente stringato nel primo intervento in questa discussione, ma tu non l' hai capito per nulla (poco male, non pretendo certo di salire in cattedra!). 

Ho infatti sostenuto che il mio cervello in un certo determinato stato funzionale (che é fatto di sensazioni fenomeniche nell' ambito delle esperienze coscienti di chi -direttamente o indirettamente- lo osserva) corrisponde agli stessi eventi in sé a cui corrisponde la mia propria esperienza cosciente con certi suoi determinati contenuti (e transitivamente certi miei determinati contenuti di coscienza corrispondono biunivocamente a certi determinati stati fisiologici del mio cervello, per lo meno potenzialmente e indirettamente nell' ambito delle esperienze coscienti di eventuali osservatori: tutti fenomeni, sia quelli costituenti la mia esperienza cosciente, sia quelle costituenti -perlomeno potenzialmente e indirettamente- il mio cervello nell' ambito dell' esperienza cosciente di eventuali osservatori).

Non é la coscienza ad essere nel cervello (come credono i monisti materialisti; nel cervello ci sono solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc, costituiti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc,: tutt' altra cosa che il verde albero che sto guardando, il teorema di Pitagora che sto dimostrando, il pensiero di mio figlio che mi sta passando per la mente, ecc. e che costituiscono -in momenti diversi- la mia esperienza fenomenica cosciente).

E' invece il cervello ad essere nella coscienza di che ha percezione (diretta; o più spesso di fatto indiretta, per il tramite dell' imaging neurologico) del cervello stesso: senza compiere questa rivoluzione copernicana non si può risolvere il problema dei rapporti coscienza/cervello.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PM
Previa le considerazioni che ho espresso qui.http://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'irrilevanza-del-filosofo-(-non-della-filosofia-)/

rispondo in successione sotto ad Apeiron Sgiombo Angelo Cvc Phil

PREMESSE

Reiniziamo il discorso che avevamo lasciato nel vecchio forum.

La mia posizione è quella della metafisica che io chiamo del "fondamento", quella iniziata da Kant e portata alla perfezione da Hegel in ambito europeo e da Peirce in

ambito americano analitico, ribaltata da Heideger e infine confutata magistralmente da Severino.

Vedo che a parte Maral non c'è ancora qualcuno che porti una posizione almeno simile nel forum, dunque accetto lo scontro analitico, che per l'appunto dimentica Hegel,

lapus freudiano non da poco nella civiltà del disagio contemporaneo, e invece si confronta con Kant, Locke e Berkely, essendo Hume, nella maggioranza dei casi incluso

(non so fino a che punto giustamente) nelle tesi riferite a Kant.

Avevo iniziato a leggere https://it.wikipedia.org/wiki/Sulla_quadruplice_radice_del_principio_di_ragion_sufficiente ma mi sono subito fermato, in quanto lo stesso

Schopenuer ammetteva di riprendere (nella introduzione all'opera) alla lettera il pensiero kantiano, anzitutto sfrondandolo dai preconcetti dell'epoca, e poi

criticandolo per via della mancanza della non considerazione della forza vitale che tutto sorregge, e che leggendo la wiki dovrebbe corrispondere al principio agendi.
Ovviamente a Kant sarebbe preso un colpo, in quanto tutta la sua opera è proprio un tentativo di sottrarsi alla metafisica medievale del principio dell'Uno, alias Dio.

Dunque avendo sistemato schopenauer rimane la questione della rappresentazione e dell'oggetto.

Già perchè bisogna correggere subito Apeiron, il dibattito non riguarda l'oggettività, quella è una questione della scienza, in qualunque libro analitico americano lo

si troverà come postilla finale, come monito ad andare oltre la questione filosofica. (già perchè sennò che senso avrebbe una catterdra di filosofia?se già c'è quella

di scienza?)

La domanda non è dunque se l'oggetto è oggettivo, nè se sia vero o no, quello spetta alla logica, ma se è reale o meno: Il che mi sembra molto ragionevole.

E salvo future smentite credo sia quello che interessi e interessa la maggiorparte degli utenti dediti alla filosofia.

Qui ovviamente il campo degli interventi diventa abbastanza variegato, ma visto l'interesse, proverò a ricimentarmici.

Le posizioni sono quelle dualiste ( "mente-oggetto reale") o quelle moniste ( "mente reale/oggetto non reale", o "mente non reale/oggetto reale")
Ovviamente tutte hanno nemico comune lo scetticismo (mente e oggetto non reali).
L'esercizo contro lo scetticismo è ovviamente il più gettonato.
Ma le lotte fra le altre fazioni non sono meno virulente.

Anche perchè poi vi sono le sottocategorie riguardanti la mente reale: mente (cervello reale-ambiente non reale) mente (cervello non reale-ambiente reale).
Con cervello si intende la capacità dello stesso di creare categorie senza bisogno o con bisogno di impulsi esterni.
Le categorie che si richiamano a questo monismo radicale si chiamano riduzioniste (il cervello nella vasca), e sono nella lora eccezione debole (si ammettono impulsi

esterni) la punta di diamante dell'intero movimento analitico.

Possiamo annoverare fra essi il buon sgiombo credo, con la sua particolare variante dualista nella impossibilità di constatare se questo monismo sia vero o meno.(per

questo probabilmente avrà come suoi interlocutori i monisti non riduzionisti, posizione difficile da difendere, e infatti sgiombo parla di atto di fede, ma forse

qualcuno in giro c'è che prova ad argomentare in altro modo, non è il caso di sgiombo, ma quelli hanno un cattedra da proteggere).

DISCUSSIONE



PER APEIRON

Ciao, diciamo che sono d'accordo con l'introduzione, le nostre sono rappresentazioni, questione di puro buon senso, e comunque a me basta l'argomento principe contro

gli scettici quello che li liquida in 2 secondi, e che per questo, dai filosofi analitici, è ritenuto volgare: lo stesso parlare di scetticismo comporta che esista

qualcuno che lo sta dicendo, fine! partita chiusa punto e capo. Il resto sono illazioni.
Ma volendo possiamo ancora parlarne. Ma per me è un puro gioco argomentativo, questo nel caso qualcuno si offenda.


Il punto proseguendo è dunque se l'oggetto sia reale. Francamente non capisco quale utilità noi possiamo trovarne, le questioni sono altre.
Il problema del rappresentazionalismo (così chiamato) sarebbe quello di dimostrare che in fin dei conti l'apparato nostro mentale sia verosimile con quello reale.

Nel caso Kantiano (e quindi quello da me difeso) la questione invece è che il mentale si configura come qualcosa che nel trascendentale, ossia nelle categorie spazio-

tempo-sensoriale, si configura come sintesi dell'intelletto fra noumenico (il reale) e il sublime (l'artistico, o metafisico o trascendente).

In Kant dunque il reale è meramente formale, in quanto si situerebbe un attimo prima dello scontro tra noumeno e trascendentale. In quanto sulla scorta di Hume il

noumeno è inconoscibile, nemmeno come reale dunque, e il reale come noi lo intendiamo, è una mera rappresentazione intellettuale, sì ma sintetica.

Il problema si sposta dunque dal noumeno al soggetto, come anche tu hai segnalato. E' una questione sintetica che poi prenderà la piega delirante degli imperativi

categorici (a mio parere).

Il tuo problema però risale a prima, e cioè secondo te essendo la questione soggettiva, non esiste possibilità di conoscenza del reale.

In realtà però non consideri la questione del sintetico che viene dal basso, direi quasi, kantiana. Ossia che appunto il reale è testimoniato proprio dalla attività

attiva dell'intelletto.(molto semplice)

In ambito analitico la questione è divisa tra qualità primarie (passive) come peso, calore, colore e secondarie che sono quelle della vera e propria attività

rappresentazionale in cui riempiamo di connotati le qualità primarie, dateci in natura come in sè.
Sono quelle chiamate così intuizioni primarie, che sono come dire la base per qualsiasi discorso successivo.

Dunque in un realismo ingenuo queste intuizioni primarie esistono, senza bisogno di argomentazioni successive.(ossia negano che il mentale si possa correlare a queste

intuzioni primarie).

Argomentazioni che invece esistono per i rappresentazionalisti che fanno notare che calore, colore e persino peso sono influenzabili dall'intelletto, in quanto abbiamo

capacità di resitenza al dolore diverse, e quindi anche il calore è percepito in maniera diversa da persone diverse. Come nel caso del daltonismo il colore è percepito

in maniera diversa. E per il peso basta pensare ai sistemi inerziali, vedo la mosca ferma dentro la nave, ma dall'esterno essa si muove con la nave, o agli esperimenti

della piuma e della pietra senza aria.

Si è dunque passati ad interrogarsi sull'oggetto in sè, esattamente come fai, tu.
Da qui le posizioni berkleiane hanno preso il sopravvento, l'oggetto chiede di essere visto da più posizioni, in quanto noi lo vediamo sempre e solo da un solo punto

di vista.(Come dici tu è la questione dell'esperienza che porta a volgere lo sguardo altrove)

Alla maggiore va in voga la posizione husserliana delle sintesi passive, ossia è l'oggetto stesso in sè che ha la proprietà di chiedere all'osservatore di essere

esaminata.
Si tratta dell'emergere delle posizioni più moderne e meno intendibili da un pubblico casuale, sullo spazio primario, che consente una prima osservabile operazione

mentale ossia PRIMA viene lo sfondo, e poi viene a definirsi lentamente un oggetto, sempre e in costante riferimento a quello sfondo.

Gli esperimenti della gestalt dimostrano che questa operazione sfondo-oggetto è però a sua volta influenzabile. Basta pensare a quei disegnini dove possiamo vedere una

vecchia o una giovane a seconda che mettiamo a fuoco ora questo, ora quell'elemento.

Siamo dunque al solito problema mentale-oggettuale. In linea di massimo però i rappresentazionalisti risolvono la questione con il prospettivismo, ossia, sì ammettono

che si può hackerare la percezione dello spazio primario, ma una volta inteso il tranello, la mente registra l'errore e tende a non ripeterlo più. Per cui una volta

rivisto il disegnino, vedrà sia la vecchia che la giovane (laddove prima vedeva solo una cosa).

Dunque il prospettivismo è una sorta di darwinismo evolutivo mentale, che non rinuncia all'analisi di cosa accade primariamente con l'oggetto primario.
Che come abbiamo capito non è il tavolo, ma la stanza in cui quel tavolo risiede.

Si potrebbe azzardare che dunque il reale è esattamente lo spazio. (questa è posizione continentale analitica maggiore, a mio avviso).

Dunque rispondendo alla tua questione sì il reale anche da un rappresentazionalista, è possibile intenderlo.

Siamo nel dualismo.(mente-oggetto)

Ora andiamo nel monismo, che invece considera l'esperienza assolutamente secondaria, e che si concentra dunque sul mentale.

PER SGIOMBO

Il problema caro sgiombo è come puoi descrive questa presunta coincidenza tra stato funzionale della mente e il noumenico?
D'altronde anche le recenti scoperte neuroscientifiche dovrebbero aiutarti a capire che l'ambiente è essenziale nello stesso processo cognitivo.

Che poi è (per me) anche il problema del monismo relativo o assoluto che sia: come far coincidere in un rapporto 1:1 la questione del reale?

Certo forse per quelli relativisti si concede la questione sensoriale, ma l'esperienza non è la sensorialità.

E il tempo cosa sarebbe per tutti voi????? una funzione? una variabile?? si ma di cosa????? visto che partite dal presupposto che è il cervello a stabilirla.
Eppoi non dimentichiamo proprio del termini esperienza....cosa sarebbe una funzione "uscita male"? un black out neuronale??? perchè ci ostiniamo a voler credere di

essere esseri storici????un mero traviamento dei sensi, un loro non prenderli troppo sul serio?????

e sopratutto come conciliare la questione del materialismo storico presente nel pensiero marxista?????

PER ANGELO CANNATA

buonasera professore. il punto del monismo radicale a parte le domande che solleva esattamente come quello relativo (vedi sopra), è ancora più grave.

Non solo si manifesterebbe come impossibilità all'azione (che poi le voglio ricordare è proprio quello che vuole il pensiero unico dominante) come concordo con

Sgiombo, ma poi c'è anche il problema di come lei distigua un unicorno da un cavallo.
Il monismo radicale sebbene lotti contro il relativismo scettico, rischia di cadere a piedi uniti in quello che loro stessi argomentano come inaccettabile.
Inacettabile perchè negherebbe anche qualsiasi attività neuronale, e quindi le nostra capacità di argomentare.
Ora rischiamo di cadere nelle idee di MONDO COME SOGNO, e altre sciocchezze simili.

Siccome so che lei è un sostenitore del pensiero debole, la metterei in guardia  nel mettersi nella scomoda posizione di promiscuità tra dualismo, benchè non

rappresentazionale(come di fatto per un analitico è il pensiero relativista), e monismo riduzionista o radicale, in cui il cervello determina tutto (e dunque già lì, e

allora quale relativismo?).
A mio parere queste soluzioni intermedie portano di solito ad un realimso ingenuo (non quello di ferraris, che è sociale, capitolo a parte) che si determina come

disgiuntivismo, o è reale (cavallo) o è mentale (unicorno). Scusi la mia domanda sarebbe allora: e cosa ci sarebbe di relativo dunque???????????(e notare che le

abbuono il problema del cervello in sè, d'altronde non c'è mai questa domanda nell'ambito della discussione, come dire che quello è principio.)

PER CVC

Ovviamente concordo al cento per cento, ma effettivamente come ho cercato di spiegare nella premessa, la questione non è tanto dell'oggetivismo, ma dell'oggetto.
Ovviamente insomma esistono strade case etc...il punto è se queste cose che percepiamo appartengano all'ambito del reale o del mentale.
E' l'intelletto che governa il mondo o è l'oggetto???essere attivi o essere passivi questo è il contenzioso.


Nel corso degli anni si è plasmato come il problema del sensorialismo e della sua sottocategoria il problema del riduzionismo (che a scanso di equivoci NON E' il

riduzionismo scientifico, che invece è un modello di ricerca sperimentale, stiamo invece appunto parlando del famoso cervello nella vasca).

PER PHIL

mi sa che siamo un pò fuori tema, comunque torniamo alla filosofia fondamentale, nulla c'è è un frase senza senso, se ci fosse il nulla sarebbe inesistente il concetto

di essere, e se ci fosse allora sarebba comunque qualcosa e dunque qualcosa ci sarebbe, e dunque il nulla non ci sarebbe.
certo l'essere è incomunicabile, ma non per questo non dovrebbe esserci, questo è il tipico errore della parte per il tutto!!!!
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 19 Ottobre 2016, 21:40:17 PM
Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PM
Le categorie che si richiamano a questo monismo radicale si chiamano riduzioniste (il cervello nella vasca), e sono nella lora eccezione debole (si ammettono impulsi

esterni) la punta di diamante dell'intero movimento analitico.

Possiamo annoverare fra essi il buon sgiombo credo, con la sua particolare variante dualista nella impossibilità di constatare se questo monismo sia vero o meno.(per

questo probabilmente avrà come suoi interlocutori i monisti non riduzionisti, posizione difficile da difendere, e infatti sgiombo parla di atto di fede, ma forse

qualcuno in giro c'è che prova ad argomentare in altro modo, non è il caso di sgiombo, ma quelli hanno un cattedra da proteggere).

CitazioneLungi da me qualsiasi atteggiamento egocentrico, tuttavia non posso esimermi (si, anche stavolta: sono un' "anesimiente") dal rigettare la qualifica di "monista radicale" -materialista mi par chiaramente di capire- sia pure in un' accezione "debole" (che fra l' altro mi pare un concetto alquanto incoerente: come si fa ad essere "radicali" in un' accezione "debole"? Mi sembra un po' come dire "estremisti" in un' accezione "moderata").
A questo proposito mi sento costretto a copiare/incollare dal mio intervento precedente (forse non l' avevi letto: poco male, almeno chiarisco la mia convinzione) queste telegrafiche considerazioni:

"Non é la coscienza ad essere nel cervello (come credono i monisti materialisti; nel cervello ci sono solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc, costituiti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc,: tutt' altra cosa che il verde albero che sto guardando, il teorema di Pitagora che sto dimostrando, il pensiero di mio figlio che mi sta passando per la mente, ecc. e che costituiscono -in momenti diversi- la mia esperienza fenomenica cosciente).

E' invece il cervello ad essere nella coscienza di che ha percezione (diretta; o più spesso di fatto indiretta, per il tramite dell' imaging neurologico) del cervello stesso: senza compiere questa rivoluzione copernicana non si può risolvere il problema dei rapporti coscienza/cervello".

Inoltre scusate il narcisismo, ma pur considerando la filosofia analitica infinitamente migliore degli epigoni "continentali" di Heidegger (credo basti ben poco per esserlo!), sono un "filosofo fai da te", un "cane sciolto". E mi richiamo (fra l' altro) direttamente all' empirismo classico (che pure, riguardo alla filosofia analitica, ne può lecitamente essere considerata una delle principali "radici teoriche", ma per me né più né meno; e comunque la mia formazione non è questa).



Il problema caro sgiombo è come puoi descrive questa presunta coincidenza tra stato funzionale della mente e il noumenico?
D'altronde anche le recenti scoperte neuroscientifiche dovrebbero aiutarti a capire che l'ambiente è essenziale nello stesso processo cognitivo.

Che poi è (per me) anche il problema del monismo relativo o assoluto che sia: come far coincidere in un rapporto 1:1 la questione del reale?

Certo forse per quelli relativisti si concede la questione sensoriale, ma l'esperienza non è la sensorialità.

E il tempo cosa sarebbe per tutti voi????? una funzione? una variabile?? si ma di cosa????? visto che partite dal presupposto che è il cervello a stabilirla.
Eppoi non dimentichiamo proprio del termini esperienza....cosa sarebbe una funzione "uscita male"? un black out neuronale??? perchè ci ostiniamo a voler credere di

essere esseri storici????un mero traviamento dei sensi, un loro non prenderli troppo sul serio?????

e sopratutto come conciliare la questione del materialismo storico presente nel pensiero marxista?????
CitazioneLungi da me il sostenere una presunta coincidenza fra "stato funzionale della mente e il noumenico".
Per me gli stati funzionali del cervello (e non della mente!) corrispondono biunivocamente (e non coincidono!) al noumeno; precisamente a determinati "enti ed eventi" in sé, non fenomenici, i quali corrispondono biunivocamente anche a una determinata esperienza cosciente; e transitivamente determinati stati funzionali di un determinato cervello corrispondono biunivocamente a una determinata esperienza fenomenica cosciente.
Questo mi sembra in perfetta compatibilità e coerenza con le recenti (e anche per niente recenti: anche risalenti a Broca e Wernicke!) scoperte neuroscientifiche.
 
Non sono in grado di comprendere le righe successive.
 
Posso solo dire che il tempo é per me un' aspetto del mutamento, del divenire (non stabilito di certo dal cervello, ma constato empiricamente).
E che il materialismo storico è per me una teoria scientifica, nel senso "largo" delle "scienze umane", confermata da un' infinità di osservazioni; che trovando il tempo come manifesto dato empirico non pone alcun problema in proposito.
 
Quello di Angelo Cannata non mi sembra un monismo ma uno scetticismo (secondo me, se posso permettermi, malinteso).
 
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: maral il 19 Ottobre 2016, 22:06:49 PM
Mi dispiace per Schopenhauer, se la citazione è corretta, perché il mondo non è una "mia rappresentazione", ma è una rappresentazione che possiamo intendere come "nostra", ossia di una collettività che rappresenta senza decidere cosa voler rappresentare o meno, attrice, non regista della sua parte.
L'oggettività, intesa come la cosa in se stessa che ci sta davanti (in ob-jectum) si presenta, alla nostra coscienza contemporanea (alla nostra rappresentazione contemporanea determinata dal presente accadere) come una mera fantasticheria, una sorta di superstizione, perché in ogni oggetto c'è il soggetto, in ogni percepito c'è il percipiente, in ogni pensato c'è il pensante, letteralmente c'è. Non ci sono quindi soggetto e oggetto separabili, se non come residuo di una volontà (sempre meno credibile) di tenerli separati, e allora non può più esserci nemmeno un dentro e un fuori, mon può più esserci qualcosa che da fuori mi arriva dentro, non può più esserci un io e un mondo che gli sta di fronte e che l'io guarda e descrive ponendosi idealmente fuori dal mondo per godere di quella visione panoramica totale che un tempo era prerogativa degli Dei e di chi in loro confidava e che, morti gli Dei, si è creduto e si crede di trovare nella Scienza, il loro più capace sostituto. Cosa ci resta allora, a parte il ricordo così nostalgicamente struggente delle antiche e superbe "onto-teo-logie"? A parte il senso di assurdo che si sente davanti a ogni pretesa di totalità? Cosa può ancora sapere il nostro sapere, oltre a sapere di non sapere? Cosa si può volere che abbia un minimo senso volere? Quale Verità oltre le verità sempre parziali e limitate, sempre contaminate e dunque sempre per tante misure false, fossero pure logicamente o matematicamente dimostrate perfettamente esatte? Cosa ci resta oltre le nostre patetiche pretese di verifica, come se verificando non interpretassimo? Che ne è della sacrosanta verità oggettiva che ci dava la certezza di un senso ideale a cui poter sempre fare riferimento stabile, che decidessimo di seguirlo o meno? Che resta di noi stessi e del mondo in cui credevamo di abitare, come si abita tra le cose consuete di tutti i giorni? Cosa resta dei fatti che si sono creduti per sempre?
Ci resta forse il senso di un gioco immenso in cui ci troviamo gettati, di cui siamo parte, in cui continuamente siamo giocati e non giocatori e la consapevolezza di esserlo insieme. Ed è proprio nel nostro stare insieme, fare insieme, confrontandoci e ascoltandosi gli uni con gli altri, ognuno per quello che è, che possiamo ritrovarci e riconoscerci; non alla luce di una grande verità oggettiva che illumina tutto il panorama ai nostri piedi, ma alla fioca e sempre incerta luce di una condivisibilità sempre rimessa in discussione che nessuno di noi ha stabilito, nessun Dio o ente metafisico, ma tutti gli enti presenti, passati e futuri, nessuno escluso, neppure il pidocchio che si nascondeva tra i riccioli della parrucca del Re Sole e di cui nessuna traccia è rimasta nella storia.
Ma anche questo senso è il gioco immenso di cui siamo parte e attori che ce lo propone giocandoci e il gioco è l'esistenza stessa, niente di più e niente di meno.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 19 Ottobre 2016, 22:17:09 PM
Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PMcomunque a me basta l'argomento principe contro gli scettici quello che li liquida in 2 secondi, e che per questo, dai filosofi analitici, è ritenuto volgare: lo stesso parlare di scetticismo comporta che esista qualcuno che lo sta dicendo, fine! partita chiusa punto e capo. Il resto sono illazioni. 
Non voglio deviare il tema del topic sullo scetticismo, ma, en passant, questa confutazione funzionerebbe se lo scettico fosse colui che afferma "sono scettico della mia esistenza...", ma è davvero questo l'atteggiamento portante dello scetticismo oggi o si tratta di una sua caricatura ingenua e banalizzante? E la "teoria dei tipi" di Russell non ha già risolto questa apparente contraddizione?

Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PMPER PHIL mi sa che siamo un pò fuori tema, comunque torniamo alla filosofia fondamentale, nulla c'è è un frase senza senso, se ci fosse il nulla sarebbe inesistente il concetto di essere
Non a caso, avevo preventivamente sottolineato come il beffardo Gorgia sostenga che "nulla c'è" non che "il nulla c'è"... e porre il conseguente "problema della definizione logica dell'identità vs esperienza del divenire" (auto-cit.) non è una questione irrilevante se si parla di conoscenza, di realtà e, soprattutto, di rappresentazione... proprio come nel caso dello scetticismo, si tratta di intendere la profondità e le conseguenze del problema posto: se il soggetto e l'oggetto della conoscenza-rappresentazione, sono mutevoli, "instabili" (e quindi non "neutri"), al punto che la loro stessa cristallizzazione in un'identità definita (di cui poter dire "è") risulta problematica (ecco quindi che "nulla è"  ;) ), non mi pare una questione marginale o priva di conseguenze...
 
Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PMcerto l'essere è incomunicabile, ma non per questo non dovrebbe esserci, questo è il tipico errore della parte per il tutto!!!!
Non è l'errore della parte per il tutto: la comunicabilità e il dover-esserci non sono rispettivamente "parte" e "tutto"... piuttosto, sullo sfondo c'è la questione della fede metafisica nell'Essere, "semplice" forma sostantivata di un verbo; ma sulla annosa questione del divenire e dell'essere (severiniano o meno), mi sono già dilungato, abusando della pazienza di tutti, nel topic sulla "critica della conoscenza" (se non erro), quindi te la risparmio :)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Ottobre 2016, 10:58:36 AM
Citazione di: Apeiron il 19 Ottobre 2016, 15:31:07 PM
Parto dalla logica. Il dubbio della logica non ha senso, perchè il dubbio, il metodo del dubitare si fonda su di essa. La logica perciò è appunto apriori, altrimenti nessuna proposizione ha significato.
Se la logica è apriori, cioè se ci è impossibile uscire da essa, ci ritroviamo nella situazione che ho descritto riguardo al cervello: se, per verificare che il mio cervello non m'inganni, la sola fonte che posso consultare è il mio cervello, come posso avere fiducia in esso? Allo stesso modo per la logica: se l'unico modo per controllare che la logica non sia un inganno è usare essa stessa, come posso fidarmi di essa, e quindi come posso fidarmi quando essa mi dice che è apriori? Io e te e l'intera umanità potremmo essere nient'altro che pazzi da manicomio che si scambiano pensieri folli, incoerenti, insensati e s'illudono che invece si tratti di idee coerentissime: chi ci avviserebbe di questa nostra condizione? Chi mi assicura che la logica sia davvero "logica", cioè coerente con se stessa, armonica, non contraddittoria, visto che l'unico modo per verificarlo è usare essa stessa?
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Ottobre 2016, 11:07:18 AM
Citazionesgiombo
esso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere"

Angelo Cannata
Mi sembra che così hai confermato ciò che avevo detto: per definire l'essere hai dovuto far riferimento al "non essere", il quale a sua volta non è definibile se non facendo riferimento all'essere.

sgiombo
Ovvio!
Qualsiasi concetto si definisce così: mettendo in determinate relazioni sintattiche determinati altri concetti.
Il problema è che hai messo in relazioni sintattiche non altri concetti, ma il concetto che è da spiegare. Che senso ha che io, per spiegare cos'è una mela a chi non ne ha mai vista una, gli dica che essa è il contrario di una non-mela?

Idem per la definzione di "vero" che hai dato:
CitazioneSignificato di "vero" (per definizione; cui non pertiene il dubbio o la credenza, non trattandosi di predicato): "affermazione che qualcosa é...
è una tautologia.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 11:45:50 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Ottobre 2016, 11:07:18 AM
Citazionesgiombo
esso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere"

Angelo Cannata
Mi sembra che così hai confermato ciò che avevo detto: per definire l'essere hai dovuto far riferimento al "non essere", il quale a sua volta non è definibile se non facendo riferimento all'essere.

sgiombo
Ovvio!
Qualsiasi concetto si definisce così: mettendo in determinate relazioni sintattiche determinati altri concetti.
Il problema è che hai messo in relazioni sintattiche non altri concetti, ma il concetto che è da spiegare. Che senso ha che io, per spiegare cos'è una mela a chi non ne ha mai vista una, gli dica che essa è il contrario di una non-mela?
CitazioneNo, nessun problema: ho messo in relazione di negazione il concetto di "essere" con quello di "non essere", così definendoli (arbitrariamente).
Peraltro una definizione non é un predicato o giudizio, non ha senso porsi il problema se sia vera o meno (casomai se e quanto e come sia utilizzabile nel discorso).

che io, per spiegare cos'è una mela a chi non ne ha mai vista una, gli dica che essa è il contrario di una non-mela non serve a nulla.
Ma questo é un altro discorso, la definizione di "essere" é diversa dalla definizione di "mela".

Idem per la definzione di "vero" che hai dato:
CitazioneSignificato di "vero" (per definizione; cui non pertiene il dubbio o la credenza, non trattandosi di predicato): "affermazione che qualcosa é...
è una tautologia.
CitazioneNo, é una definizione!

Non dico (predico) alcunché (predicazione che potrebbe essere tautologica o meno; oltre che vera o meno; se tautologica certamente "vera" nel senso di "logicamente corretta" ma assolutamente inutile, non apportatrice di conoscenza), bensì stabilisco per definzione, arbitrariamente che cosa intendo per "vero" (in linea di principio, teorica; di fatto impiego ,"faccio mia", "accolgo" una definizione già in precedennza arbitrariamente stabilita -e convenuta- da altri).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Ottobre 2016, 13:39:54 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 11:45:50 AM... stabilisco per definzione, arbitrariamente ...
La questione che avevo sollevato era che quando usiamo il verbo essere non sappiamo mai cosa stiamo dicendo, perché è impossibile definirlo senza servirsi di esso stesso (e quindi senza incorrere in tautologie). Hai fornito delle definizioni che confermano la questione che avevo sollevato.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Ottobre 2016, 13:39:54 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 11:45:50 AM... stabilisco per definzione, arbitrariamente ...
La questione che avevo sollevato era che quando usiamo il verbo essere non sappiamo mai cosa stiamo dicendo, perché è impossibile definirlo senza servirsi di esso stesso (e quindi senza incorrere in tautologie). Hai fornito delle definizioni che confermano la questione che avevo sollevato.
CitazioneNo, non l' ha affatto confermata:  il concetto di essere si definisce come negazione di "non essere" e viceversa.

L' "essere" si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non può darsi insieme al, non può accadere insieme al, "non essere".

Dove starebbe mai l' uso del concetto di "essere" in questa definizione del concetto di essere"?

"Omnis determinatio est negatio" (Spinoza)

Peraltro torno a ripetere che delle definizioni, non essendo predicati o proposizioni, non può dirsi (non ha senso dire) che siano tautologiche o meno.
Una proposizione o predicato può essere tautologica o meno, una definizione (di un concetto) potrà casomai essere più o meno "azzeccata" o "calzante" o "utile al discorso", preferibile a un' altra, ecc., ma non essendo un' affermazione non può attribuire (o meno) nel predicato (che non é attribuito al concetto stesso) la stessa cosa che é nell' oggetto di predicazione (sintatticamente il soggetto della frase), la quale infatti non accade.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: maral il 20 Ottobre 2016, 19:06:14 PM
Per quanto riguarda il verbo essere si potrebbe dire che vi sono due modi per intenderlo. Il primo è quello della perfetta tautologia che si afferma quando si dice che una cosa è (ed è l'uso che ne fa Severino), Se dico che il cavallo è intendo che per qualsiasi cosa significhi "cavallo" esso è se stesso (e chiaramente non può che esserlo sempre). In tal senso la negazione dell'essere è assoluta contraddizione, in quanto non vi può essere alcuna cosa (qualsiasi cosa sia) che non sia se stessa, nemmeno un cerchio quadrato, nemmeno lo stesso contraddirsi logico.
L'altro modo con cui si intende "essere" vuole dire invece che la cosa è nel modo in cui appare e questo è il modo più frequente di usarlo e sul quale è possibile discutere (mentre nel primo caso, trattandosi di una tautologia è assolutamente indiscutibile). E' in tal senso che si può dire: "questo animale è un cavallo" e di conseguenza discuterne con chi non gli appare come un cavallo, ma magari come un ippogrifo (che cito per fare contento Sgiombo, che richiama sempre volentieri questi "animali" :)). Nel senso espresso, in cui l'essere si riferisce all'apparire, l'essere non esclude un modo di apparire diverso, nella prospettiva di un contesto che diversamente lo presenta, pur riconducendolo alla medesima astrazione.
In ogni caso comunque la cosa è ricondotta al gioco dei suoi significati, è solo significando qualcosa (ossia affermando di sé qualcosa in rapporto alle sue negazioni) che qualsiasi cosa può concretamente esistere. 
 
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 21:37:13 PM
Citazione di: maral il 20 Ottobre 2016, 19:06:14 PM
Per quanto riguarda il verbo essere si potrebbe dire che vi sono due modi per intenderlo. Il primo è quello della perfetta tautologia che si afferma quando si dice che una cosa è (ed è l'uso che ne fa Severino), Se dico che il cavallo è intendo che per qualsiasi cosa significhi "cavallo" esso è se stesso (e chiaramente non può che esserlo sempre). In tal senso la negazione dell'essere è assoluta contraddizione, in quanto non vi può essere alcuna cosa (qualsiasi cosa sia) che non sia se stessa, nemmeno un cerchio quadrato, nemmeno lo stesso contraddirsi logico.
L'altro modo con cui si intende "essere" vuole dire invece che la cosa è nel modo in cui appare e questo è il modo più frequente di usarlo e sul quale è possibile discutere (mentre nel primo caso, trattandosi di una tautologia è assolutamente indiscutibile). E' in tal senso che si può dire: "questo animale è un cavallo" e di conseguenza discuterne con chi non gli appare come un cavallo, ma magari come un ippogrifo (che cito per fare contento Sgiombo, che richiama sempre volentieri questi "animali" :)). Nel senso espresso, in cui l'essere si riferisce all'apparire, l'essere non esclude un modo di apparire diverso, nella prospettiva di un contesto che diversamente lo presenta, pur riconducendolo alla medesima astrazione.
In ogni caso comunque la cosa è ricondotta al gioco dei suoi significati, è solo significando qualcosa (ossia affermando di sé qualcosa in rapporto alle sue negazioni) che qualsiasi cosa può concretamente esistere.  

CitazioneCosa volete? ci sono cinofili, ippofili, ornitofili, "gattare", ecc.
Io sono decisamente un ippogrifofilo! (E quasi quasi fondo un' ONG di "Amici degli ippogrifi" e chiedo qualche finanziamento al governo e ai privati...).

Mi sembra inutile ripetere le obiezioni già proposte non so quante volte circa il presunto necessario significare di ogni e qualsiasi cosa.


Piuttosto mi sembra utile reiterare la mia convinzione che un concetto di per sé non può essere tautologico (o meno; né vero o falso): tautologico é il predicato "un cavallo (o un da me amatissimo ippogrifo) é un cavallo (o rispettivamente uno splendido, meraviglioso ippogrifo)".
"Essere", "non essere", "cavallo", "ippogrifo", ecc., presi da soli e non sintatticamente articolati in una proposizione o predicato, non sono né veri né falsi, né tautologici, né contraddittori, né logicamente corretti.


Il contraddirsi logico non può essere perché la logica (almeno la logica classica) é statutariamente incompatibile con il contraddirsi.
Ma un contraddirsi illogico può ben essere, ovvero accadere realmente, eccone qui appena sotto uno:

"Un ippogrifo non é un ippogrifo".

Questa é una successione di parole reale, ed é autocontraddittoria, letteralmente "un contraddirsi illogico".


D' altra parte i concetti si definiscono gli uni tramite gli altri.

E infatti i vocaboli nei dizionari sono definiti tramite altri vocaboli.

Dunque le connotazioni dei concetti non possono che essere "più o meno strettamente" circolari (il circolo é strettissimo, "a due" nel caso dei concetti più generali e astratti di tutti, "essere" e "non essere" come "condizioni reciprocamente escludentisi", ma anche qualsiasi altro concetto si definisce mediante altri concetti definiti mediante altri concetti e così via fino a trovare inevitabilmente prima o poi il concetto da definire nelle definizioni di quelli che direttamente o più o meno indirettamente lo definiscono (o in alternativa anche ostativamente: "questo é un cavallo"; purtroppo, con grande dispiacere,  non sono riuscito a trovare ippogrifi reali da mostrare... Ma comunque l' indicare é un po' diverso dal definire).

Ma non si tratta di una circolarità "viziosa", contrariamente a quella fra predicati in inferenze fallaci, proprio perché le definizioni di concetti non affermano (più o meno correttamente) qualcosa circa la realtà (non sono veri o falsi), ma semplicemente "stabiliscono" ciò che si intende considerare, pensare, ciò di cui si parla (indipendentemente da come é la realtà), e dunque hanno come unici limiti inderogabili quelli della correttezza logica (e reciproca compatibilità e coerenza semantica), non quelli della correttezza gnoseologica: non sono veri o falsi di per sé.


Esempi:
"Asiafrica" non é né vero né falso (può essere cervellotico, ridicolo, inutile, ecc. ma non falso).
"L' Asiafrica é meno estesa dell' Eurasia" é falso.
"L' Asiafrica é l' Asiafrica" é tautologico.
"L' Asiafrica non é l' Asiafrica é contraddittorio".
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 20 Ottobre 2016, 21:46:30 PM
Non riesco a seguire bene il filo logico: se è vero che 
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMdelle definizioni, non essendo predicati o proposizioni, non può dirsi (non ha senso dire) che siano tautologiche o meno.
allora questa definizione
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMil concetto di essere si definisce come negazione di "non essere" e viceversa.
pur essendo un predicato ed una tautologia (x non è non-x), non è comunque una definizione?
Ciò sembra contraddire il tuo assunto secondo cui
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMUna proposizione o predicato può essere tautologica o meno, una definizione (di un concetto) potrà casomai essere più o meno "azzeccata" [...] ma non essendo un' affermazione non può attribuire (o meno) nel predicato [..] la stessa cosa che é nell' oggetto di predicazione
poichè qui (riguardo l'essere) è esattamente ciò che accade: il predicato e l'oggetto di predicazione si "rimpallano" vicendevolmente in una tautologia non esplicativa... se "ogni determinazione è una negazione", è anche vero che una definizione, se vuole essere "pragmaticamente fruibile" non può essere una tautologia in cui il "definiens" ed il "definendum" sono in circolo vizioso... se dico che xyz è tutto quello che non è non-xyz, chi può capire davvero cos'è xyz? Se dico che l'essere non è il non-essere e viceversa, non spiego nè definisco nulla di cosa sia l'essere (dire che "il bene è tutto ciò che non è il male", non aiuta a definire le giuste scelte etiche...). 

Ci sono definizioni che non sono tautologie, e forse sono quelle più fertili (anche se presuppongono altri elementi esterni che siano stati precedentemente definiti...), del tipo "spiego A tramite B e C": l'acqua è l'unione di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno (definizione approssimativa, come le conoscenze sulla chimica di chi la usa ;D ). Le pseudo-definizioni che invece sono tautologie non definiscono nulla, non comunicano (al di là del loro rapporto o non-rapporto con la realta) ma sono solo declinazioni del principio di non contraddizione (x non è non-x).

P.s. Ho scoperto oggi che su 386 lingue, ben 175 non hanno il verbo essere o un suo sostituto... non solo può essere un serio problema tradurre il celeberimmo motto parmenideo ("l'essere è e non può non essere, etc."), ma credo che la stessa "forma mentis" filosofica possa avere un'impalcatura differente; credo sarebbe interessante parlare di ontologia con qualcuno che non ha nel suo vocabolario il verbo essere...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 22:26:37 PM
Citazione di: Phil il 20 Ottobre 2016, 21:46:30 PM
Non riesco a seguire bene il filo logico: se è vero che
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMdelle definizioni, non essendo predicati o proposizioni, non può dirsi (non ha senso dire) che siano tautologiche o meno.
allora questa definizione
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMil concetto di essere si definisce come negazione di "non essere" e viceversa.
pur essendo un predicato ed una tautologia (x non è non-x), non è comunque una definizione?
Ciò sembra contraddire il tuo assunto secondo cui
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMUna proposizione o predicato può essere tautologica o meno, una definizione (di un concetto) potrà casomai essere più o meno "azzeccata" [...] ma non essendo un' affermazione non può attribuire (o meno) nel predicato [..] la stessa cosa che é nell' oggetto di predicazione
poichè qui (riguardo l'essere) è esattamente ciò che accade: il predicato e l'oggetto di predicazione si "rimpallano" vicendevolmente in una tautologia non esplicativa... se "ogni determinazione è una negazione", è anche vero che una definizione, se vuole essere "pragmaticamente fruibile" non può essere una tautologia in cui il "definiens" ed il "definendum" sono in circolo vizioso... se dico che xyz è tutto quello che non è non-xyz, chi può capire davvero cos'è xyz? Se dico che l'essere non è il non-essere e viceversa, non spiego nè definisco nulla di cosa sia l'essere (dire che "il bene è tutto ciò che non è il male", non aiuta a definire le giuste scelte etiche...).

Ci sono definizioni che non sono tautologie, e forse sono quelle più fertili (anche se presuppongono altri elementi esterni che siano stati precedentemente definiti...), del tipo "spiego A tramite B e C": l'acqua è l'unione di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno (definizione approssimativa, come le conoscenze sulla chimica di chi la usa ;D ). Le pseudo-definizioni che invece sono tautologie non definiscono nulla, non comunicano (al di là del loro rapporto o non-rapporto con la realta) ma sono solo declinazioni del principio di non contraddizione (x non è non-x).

P.s. Ho scoperto oggi che su 386 lingue, ben 175 non hanno il verbo essere o un suo sostituto... non solo può essere un serio problema tradurre il celeberimmo motto parmenideo ("l'essere è e non può non essere, etc."), ma credo che la stessa "forma mentis" filosofica possa avere un'impalcatura differente; credo sarebbe interessante parlare di ontologia con qualcuno che non ha nel suo vocabolario il verbo essere...
CitazioneIn sostanza credo di avere già obiettato rispondendo a Maral.
Aggiungo qualche ulteriore precisazione.
Le definizioni sono proposizioni, é vero; però non proposizioni che affermano qualcosa circa la realtà (ciò che realmente é o accade), bensì circa ciò che si intende con i concetti, in cosa consistono quelle "cose pensate" o "pensabili" che sono i significati dei concetti che usiamo, coi quali parliamo.
Non ha senso per essi il problema se siano veri o meno; certo, essendo proposizioni, devono essere (per essere realmente tali, dunque sensate e non mere sequenze casuali, insignificanti di caratteri tipografici o di vocalizzi) logicamente corrette, sensate e anche reciprocamente compatibili e coerenti semanticamente all' interno di ciascuna lingua (non si può, definendo il "cavallo" affermare che non é un sottoinsieme dell' "equino").

Però tautologico o meno, come vero o meno, può essere solo un predicato, non un singolo concetto che, di per sé, se non articolato sintatticamente in una proposizione, non dice nulla (nè di vero, né di falso, nè di tautologico, né di contraddittorio, né di logicamente corretto; é casomai la sua definizione che dice qualcosa, essendo una proposizione").

Quanto alla "circolarità delle definizioni", ribadisco anche qui quanto già obiettato a Maral: é inevitabile poiché i concetti si possono definire solo mediante altri concetti e di definizione in definizione non si può evitare prima o poi di incappare nel concetto che si intende definire; che si definisce quindi per forza più o meno direttamente o indirettamente mediante altri concetti che a loro volta più o meno direttamente o indirettamente sono stati definiti mediante esso.

Ma non si tratta di circolarità "viziosa" proprio perché non pretende di dire qualcosa circa ciò che realmente é o accade (e questo non lo si può fare utilizzando circolarmente ciò che va dimostrato per dimostrare ciò con cui lo si dimostra), ma solo di stabilire che cosa si intende, a cosa si pensa quando di pensa a un certo concetto (e, contrariamente al predicare circa la realtà, il pensiero "svincolato da esigenze gnoseologiche" ha come unici limiti e vincoli quelli logici, non quelli gnoseologici e ontologici propri della predicazione circa la realtà): le definizioni -di per sé- non sono vere o false ma solo corrette o meno e più o meno "azzeccate" ai fini del discorso (anche circa la realtà, anche per conoscere la realtà; eventualmente anche, ma non necessariamente, non solo, non di per sé; ossia non senza articolare sintatticamente i concetti che connotano in predicati).

.

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: davintro il 20 Ottobre 2016, 23:33:05 PM
Lo scetticismo si può sconfiggere attraverso il metodo cartesiano (poi ripreso per un certo aspetto e sviluppato dal procedimento delle riduzioni fenomenologiche husserliane) per il quale portando all'estremo il dubbio, questo dubbio presupporebbe l'esistenza di un soggetto dubitante, dunque pensante, dunque esistente o vivente (ma già Agostino aveva anticipato questo discorso nella polemica contro gli  Accedemici, gli scettici della sua epoca). Si potrebbe pensare che allora il campo della certezza dovrebbe essere ristretto all'esistenza del soggetto pensante e dunque rappresentante la realtà, mentre l'esistenza di una realtà oggettiva dovrebbe essere lasciata nell'oscurità, nell'arbitrarietà di qualunque pretesa di giudizio scientifico o descrizione. Ad evitare tale rischio interviene l'idea dell'intenzionalità per la quale coscienza e mondo non sono realtà dualisticamente estrinseche o separati tali che la certezza del riconoscimento della prima resterebbe indifferente a qualunque discorso sul secondo. Se la coscienza è essenzialmente intenzionalità, coscienza sempre di "qualcosa", allora non è mai chiusa in sè stessa ma correlata agli oggetti del mondo che si manifestano come contenuti dei propri vissuti. L'intenzionalità fissa una polarità "attività-passività" per cui da un lato intenzionalmente un Io si rivolge attivamente verso un mondo oggettivo attraverso prese di posizioni di tipo intellettuale, estetico, volontario, dall'altro lato questa attività trae la sua base dalla percezione, che non è solo attività dell'io percepiente, ma presupone anche una passività. Una passività per la quale la percezione di un oggetto è costantemente rifondata e modificata dalla ricezione di stimoli esterni che colpiscono l'attenzione dell'Io portandolo a rivolgersi verso contenuti che smentiscono le aspettative della sintesi anticipativa che la percezione determina. Questa possibilità che il mondo smentisca le aspettative che su di esso il soggetto si crea nel corso del flusso delle percezioni attraverso la passività delle sensazioni testimonia l'esistenza di un'alterità, un'ulteriorità del mondo che interviene nella costituzione della coscienza a partire dalla base percettiva. Diciamo che mi troverei d'accordo con il "realismo trascendentale"... la certezza del soggetto pensante può essere trasferita alla realtà oggettiva, spogliando quest'ultima dal complesso di giudizi che nell'atteggiamento comune, naturale rivolgiamo su essa, atteggiamento ingenuo in cui non tematizziamo il problema della corrispondenza tra nostra rappresentazione e realtà e pensiamo, per abitudine, che le cose oggettive coincidano pienamente con i contenuti percettivi una volta che di questi ultimi si è stata accertato un certo livello (ovviamente stabilito in modo arbitrario) di regolarità, e limitandoci alla certezza che una realtà X indeterminata comunque esiste come fattore di fronte al quale la coscienza passivamente si pone e da questa passività fondare la percezione, che essendo un vissuto immanente, soggettivo, partecipa della certezza della coscienza. "Realismo" perchè riconosce l'esistenza di questa trascendenza (trascendenza non in senso teologico, verticale, ma gneoseologico, orizzontale), ma non "ingenuo", bensì "trascendentale" perchè ci si limita ad ammetterne un'esistenza generica, sufficiente a riconoscerla come necessaria per la costituzione della coscienza soggettiva intenzionale, che la critica dello scetticismo manifesta come presenza di un'evidenza originaria, a partire dallo stadio primordiale di tale intenzionalità, la percezione, dove attività e passività, immanenza e trascendenza, si incontrano interagendo fra loro
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 21 Ottobre 2016, 11:32:44 AM
Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2016, 23:33:05 PM
Lo scetticismo si può sconfiggere attraverso il metodo cartesiano (poi ripreso per un certo aspetto e sviluppato dal procedimento delle riduzioni fenomenologiche husserliane) per il quale portando all'estremo il dubbio, questo dubbio presupporebbe l'esistenza di un soggetto dubitante, dunque pensante, dunque esistente o vivente (ma già Agostino aveva anticipato questo discorso nella polemica contro gli  Accedemici, gli scettici della sua epoca). Si potrebbe pensare che allora il campo della certezza dovrebbe essere ristretto all'esistenza del soggetto pensante e dunque rappresentante la realtà, mentre l'esistenza di una realtà oggettiva dovrebbe essere lasciata nell'oscurità, nell'arbitrarietà di qualunque pretesa di giudizio scientifico o descrizione. Ad evitare tale rischio interviene l'idea dell'intenzionalità per la quale coscienza e mondo non sono realtà dualisticamente estrinseche o separati tali che la certezza del riconoscimento della prima resterebbe indifferente a qualunque discorso sul secondo. Se la coscienza è essenzialmente intenzionalità, coscienza sempre di "qualcosa", allora non è mai chiusa in sè stessa ma correlata agli oggetti del mondo che si manifestano come contenuti dei propri vissuti. L'intenzionalità fissa una polarità "attività-passività" per cui da un lato intenzionalmente un Io si rivolge attivamente verso un mondo oggettivo attraverso prese di posizioni di tipo intellettuale, estetico, volontario, dall'altro lato questa attività trae la sua base dalla percezione, che non è solo attività dell'io percepiente, ma presupone anche una passività. Una passività per la quale la percezione di un oggetto è costantemente rifondata e modificata dalla ricezione di stimoli esterni che colpiscono l'attenzione dell'Io portandolo a rivolgersi verso contenuti che smentiscono le aspettative della sintesi anticipativa che la percezione determina. Questa possibilità che il mondo smentisca le aspettative che su di esso il soggetto si crea nel corso del flusso delle percezioni attraverso la passività delle sensazioni testimonia l'esistenza di un'alterità, un'ulteriorità del mondo che interviene nella costituzione della coscienza a partire dalla base percettiva. Diciamo che mi troverei d'accordo con il "realismo trascendentale"... la certezza del soggetto pensante può essere trasferita alla realtà oggettiva, spogliando quest'ultima dal complesso di giudizi che nell'atteggiamento comune, naturale rivolgiamo su essa, atteggiamento ingenuo in cui non tematizziamo il problema della corrispondenza tra nostra rappresentazione e realtà e pensiamo, per abitudine, che le cose oggettive coincidano pienamente con i contenuti percettivi una volta che di questi ultimi si è stata accertato un certo livello (ovviamente stabilito in modo arbitrario) di regolarità, e limitandoci alla certezza che una realtà X indeterminata comunque esiste come fattore di fronte al quale la coscienza passivamente si pone e da questa passività fondare la percezione, che essendo un vissuto immanente, soggettivo, partecipa della certezza della coscienza. "Realismo" perchè riconosce l'esistenza di questa trascendenza (trascendenza non in senso teologico, verticale, ma gneoseologico, orizzontale), ma non "ingenuo", bensì "trascendentale" perchè ci si limita ad ammetterne un'esistenza generica, sufficiente a riconoscerla come necessaria per la costituzione della coscienza soggettiva intenzionale, che la critica dello scetticismo manifesta come presenza di un'evidenza originaria, a partire dallo stadio primordiale di tale intenzionalità, la percezione, dove attività e passività, immanenza e trascendenza, si incontrano interagendo fra loro
CitazioneRitengo (con Hume) che nel praticare il dubbio critico razionale delle credenze sia possibile andare "fino in fondo", essere più radicali e conseguenti di Cartesio, procedere oltre il "cogito ergo sum": ciò di cui può darsi assoluta certezza (se accadono "eventi di coscienza": pensieri e anche percezioni tipo "res extensa") sono unicamente tali eventi fenomenici, tali percezioni: la realtà constatabile ogni ragionevole dubbio finisce lì.
Che esista anche inoltre un loro "soggetto", oltre che loro "oggetti", "ulteriore rispetto ad esse non è constato (sono constate unicamente le sensazioni fenomeniche) né a mio parere dimostrabile: non c' è nulla di contraddittorio, assurdo, insensato nell' ipotesi contraria.
 
 
E nemmeno mi sembra dimostrabile la tesi husserliana circa l' intenzionalità: chi mi dice, come mi si dimostra che la coscienza è essenzialmente intenzionalità, coscienza sempre di "qualcosa", e dunque non è mai chiusa in sè stessa ma correlata agli oggetti del mondo che si manifestano come contenuti dei propri vissuti?
L' ipotesi contraria, che la coscienza esaurisca la realtà non essendo intenzionalità verso "qualcosa" di diverso da essa (ma semplicemente essendo "qualcosa" di fenomenico e basta" che esaurisce la realtà), che sia chiusa in sè stessa e non correlata ad alcun oggetto del mondo non presenta nulla di contraddittorio, assurdo, insensato.
Il fatto che la percezione di un oggetto è costantemente rifondata e modificata indipendentemente dalla volontà percepita è ipotizzabile non contraddittoriamente, sensatamente anche senza postulare la passivaricezione di stimoli esterni che colpiscono l'attenzione di un io portandolo a rivolgersi verso contenuti che smentiscono le aspettative della sintesi anticipativa che la percezione determina: nulla impedisce che ciò accada senza attività oggettiva e passibità soggettiva, che "accada e basta", che "la realtà sia tutta lì".
 
Dunque secondo me solo "indimostratamente né "mostratamente", solo arbitrariamente, letteralmente per un irrazionale, gratuito atto di fede si possono superare il solipsismo (e anzi un ancor più radicale scetticismo) e si può credere che, oltre alle sensazioni fenomeniche immediatamente evidenti nel loro accadere, esistano anche soggetti ed e oggetti di esse (che, se esistono, poiché sono pensati, poiché li si intende, come reali anche indipendentemente dalle sensazioni, anche allorché non accadono sensazioni fenomeniche, allora non possono essere della stessa natura, fenomenica, non possono essere costituiti da sensazioni, bensì "di altra natura" non sensibile, non apparente -non fenomeni- ma solo pensabile, congetturabile –noumeno-).
 
Per quel che mi riguarda, una volta fatta questa (che io ritengo invece una) scelta (irrazionale, arbitraria) di credere all' esistenza di soggetti e oggetti delle sensazioni fenomeniche, sostanzialmente concordo con quanto esponi come "realismo trascendentale" nel senso che è necessario spogliare la realtà oggettiva dal complesso di giudizi che nell'atteggiamento comune, naturale rivolgiamo su essa, atteggiamento ingenuo in cui non tematizziamo il problema della corrispondenza tra nostra rappresentazione e realtà e pensiamo, per abitudine, che le cose oggettive coincidano pienamente con i contenuti percettivi una volta che di questi ultimi si è stata accertato un certo livello (ovviamente stabilito in modo arbitrario) di regolarità, e limitandoci alla certezza che una realtà X indeterminata comunque esiste come fattore di fronte al quale la coscienza passivamente si pone e da questa passività fondare la percezione, che essendo un vissuto immanente, soggettivo, partecipa della certezza della coscienza. "Realismo" perchè riconosce l'esistenza di questa trascendenza (trascendenza non in senso teologico, verticale, ma gneoseologico, orizzontale), ma non "ingenuo", bensì "trascendentale" perchè ci si limita ad ammetterne un'esistenza generica, sufficiente a riconoscerla come necessaria per la costituzione della coscienza soggettiva intenzionale.
Ma senza ammettere da parte mia che la critica dello scetticismo manifesta questa reltà trascendente i fenomeni (noumeno) come presenza di un'evidenza originaria, a partire dallo stadio primordiale di tale intenzionalità, la percezione, dove attività e passività, immanenza e trascendenza, si incontrano interagendo fra loro.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 21 Ottobre 2016, 14:56:37 PM
Per quel che mi riguarda la discussione si è divisa i 2 tronconi.

Tra chi sostiene lo scetticismo (Cannata,Sgiombo,Phil) integralmente (ma con diverse argomentazioni), tra chi lo sostiene solo non convenzionalmente (Apeiron), e chi invece lo ritiene superabile con l'argomento del soggetto esistente (Green,Maral,Davintro).

In attesa di portare altre soluzioni dei vari dualismi e monismi contro lo scetticismo, che non ricordo più, e devo andare a recuperare dal Fish.

Certamente sono d'accordo con te Maral che la rappresentazione non è di dominio del soggetto, ma piuttosto dei soggetti. Ma qui apriremmo il capitolo del linguaggio (sia a livello veritativo, logico-formale che sia, sia  quello descrittivo metafisico, nominalista o realista che sia).

Il discorso scetticista non ha la grandezza del discorso sul Mondo, ma si intrattiene con se stesso, nella semplice ma per loro fondamentale desiderio di stabilire se la realtà esista o meno.

Scrivi infatti nel secondo intervento.

"In ogni caso comunque la cosa è ricondotta al gioco dei suoi significati, è solo significando qualcosa (ossia affermando di sé qualcosa in rapporto alle sue negazioni) che qualsiasi cosa può concretamente esistere."

Che io parafraso nella questione della corrispondenza 1:1 tra senso e realtà.

Portato nella nostra discussione su Severino, ricordo che il nostro accettava la coincidenza tra il suo "apparire" e il "fenomeno" nell'accezione continentale.

Probabilmente la parola apparizione sembra qualcosa di evanescente rispetto alla parola oggettività.

Ma in fin dei conti l'oggettività non riguarda il campo del filosofo, perciò a mio modo di vedere sbagli a concentrarti su quello.(Che va bene solo quando critichiamo un certo modo di fare scienza. metafisico, ingenuo etc....).

Il punto è se il fenomeno possa avere la qualità trascendentale a cui Davintro allude.
Mi sembra infatti di essere totalmente d'accordo con il suo intervento.

Davintro però mette l'accento più sul trascendente che sul quello dell'esperienza, la qualità della regolarità del contenuto mentale.

Ma su cosa sia questa trascendenza non accenna. Quindi nel caso aspetto delucidazioni.

A mio parere il trascendentale è quella superficie che è direttamente a contatto con la sensorialità.
Al contrario di Kant o di Husserl non credo vi siano delle celle inferiori come le facoltà o l'intenzione, che decidano per essa (la percezione).

Ripeto fuor di scetticismo la percezione esiste, d'altronde anche scientificamente oggi il soggetto che prima dicevamo è riconosciuto come PROPRIOCEZIONE.

Ma la propriocezione è di fatto nel tempo, e quindi nello spazio, che ne decide le regole convenzionali. (dunque è del tempo storico di cui si parla, non quello assoluto, e cioè a mio parere dell'esperienza).

Infatti la propriocezione tramite NEGAZIONE assume di volta in volta il carattere di IO, io non sono più in quello spazio, ora sono in questo, e nell'accumulo degli infiniti fotogrammi, egli decide formalmente di avere una esperienza. Ossia intenzionalmente si fa soggetto.

A quel punto e solo a quel punto egli giudicando come tale, come soggetto cioè, il contenuto della sua percezione, potrà decidere del fenomeno.

A quel punto decide che deve esistere per forza una superficie (abduzione), e a quel punto si innesta il problema se esista la corrispondenza.

Ossia senso e reale hanno carattere speculare?

Poichè il mondo analitico non analizza il trascendente (kant) nè il formale, ossia il carattere di presentazione NEGATIVA del contenuto(Hegel-Heideger), appunto il significato, il simbolo direbbe Lacan.
A noi non rimane che stare alla soglia del gioco. Ossia nella parte inferiore, dobbiamo cari Maral e Davintro spiegare come il reale informi del sensoriale.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 21 Ottobre 2016, 18:28:07 PM
Citazione di: green demetr il 21 Ottobre 2016, 14:56:37 PMPer quel che mi riguarda la discussione si è divisa i 2 tronconi. Tra chi sostiene lo scetticismo (Cannata,Sgiombo,Phil) integralmente (ma con diverse argomentazioni)
A scanso di equivoci, vorrei precisare che aver ricordato la "profondità" dello scetticismo (che impedisce di sbarazzarsene semplicemente affermando "io esisto e non ne posso dubitare", poichè è proprio tutto il resto che il dubbio autentico problematizza, non certo la "voce dalla coscienza"), non implica affatto che, nel mio piccolo, sia un "sostenitore dello scetticismo". 

Di fatto, le tre questioni che ho ricordato scomodando Gorgia, non sono esclusive dello scetticismo: identità, conoscenza e linguaggio sono temi inestricabili per ogni prospettiva filosofica... e più che metterle in dubbio, secondo me, la questione cruciale è fare i conti con la loro "relatività", il loro dipendere biunivocamente dal paradigma che le impiega (che è a sua volta basato su un approccio relativo... re-lativo, ovvero che ri-porta al suo punto di partenza, agli assiomi assunti come indubitabili, alla preferenze teoretiche, etc....). 
La laboriosa sfida concettuale è probabilmente quella di barcamenarsi fra i molteplici orizzonti e le impostazioni disponibili, per provare a lanciare uno sguardo al di là di quello che scoprono e inventano le (neuro)scienze.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 21 Ottobre 2016, 22:19:18 PM
Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2016, 18:28:07 PM
A scanso di equivoci, vorrei precisare che aver ricordato la "profondità" dello scetticismo (che impedisce di sbarazzarsene semplicemente affermando "io esisto e non ne posso dubitare", poichè è proprio tutto il resto che il dubbio autentico problematizza, non certo la "voce dalla coscienza"), non implica affatto che, nel mio piccolo, sia un "sostenitore dello scetticismo".

Di fatto, le tre questioni che ho ricordato scomodando Gorgia, non sono esclusive dello scetticismo: identità, conoscenza e linguaggio sono temi inestricabili per ogni prospettiva filosofica... e più che metterle in dubbio, secondo me, la questione cruciale è fare i conti con la loro "relatività", il loro dipendere biunivocamente dal paradigma che le impiega (che è a sua volta basato su un approccio relativo... re-lativo, ovvero che ri-porta al suo punto di partenza, agli assiomi assunti come indubitabili, alla preferenze teoretiche, etc....).
La laboriosa sfida concettuale è probabilmente quella di barcamenarsi fra i molteplici orizzonti e le impostazioni disponibili, per provare a lanciare uno sguardo al di là di quello che scoprono e inventano le (neuro)scienze.

Si infatti se pazienti recupero le argomentazioni successive a quella che tu ritieni semplice, infatti non le ricordo, a me ripeto basta la spiegazione più semplice, non ho bisogno di ulteriori strumenti capziosi. Comunque attendi, ne scriverò.


Sulla relatività del sistema di riferimento infatti ci può aiutare la scuola analitica, in quanto pensavo che fossimo un gradino più avanti nella discussione, ne avevo gettato un primo abbozzo nel mio primo intervento.
(non so forse la questione è troppo accademica, e se non piace agli amici del forum, figuriamoci a me, che sono di idee opposte a quelle analitiche).
Comunque se non accettiamo la questione che lo scetticismo è battibile, non avrebbe senso nemmeno la argomentazione successiva. Quella che tu chiami del relativismo.






Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 22 Ottobre 2016, 13:33:46 PM
Chiedo perdono a @sgiombo e @Angelo Cannata per il fraintendimento del discorso del cervello. Attualmente ho poco tempo per leggere tutti i post e dare risposte sensate e ben fatte. Perciò in questo post cercherò di spiegare meglio il mio dilemma.

Anzitutto volevo precisare ancora una volta una cosa:
Realtà puramente oggettiva: l'oggetto in-sé indpendentemente da qualsiasi rappresentazione di uno o più soggetti. Con questo voglio dire che l'oggetto deve possedere qualità intrinseche e non solamente derivanti dall'"osservazione"/interazione col soggetto. Come dicevo nel post inziale non si può dire di conoscere la realtà in-sè se conosciamo solo come appare-a-noi. Per inciso se divento cieco tutti i colori spariscono e quindi la realtà in-sé è incolore. Il problema è che la stessa scienza potrebbe conoscere la realtà come "apparente" e come quindi derivante da come ci appare a noi.

Sembra anche che l'evoluzione della fisica ci suggerisca che una descrizione (matematicamente) esatta della realtà è completamente diversa da come come ci "appare" nella vita di "tutti i giorni". Il che potrebbe significare che l'essenza, cioè la realtà-in-sé è logico-matematica. Guarda a caso non possiamo "uscire" dalla logica e dalla matematica nei nostri studi razionali. In un certo senso questo sarebbe una sorta di "argomento" a favore del fatto che la nostra mente funziona come la realtà in-sé. Quello che però in tutto questo mi perplede è che di fatto siamo noi a conoscere queste cose e quindi ovviamente tale conoscenza dipende dai soggetti che conoscono. E quindi siamo al punto di partenza.

Concludo la prima parte di questo post dicendo che: abbiamo come la "tentazione" di asserire che qualcosa di assolutamente oggettivo c'è e che questo sia una sorta di "Logos", una sorta di "legge" dietro ai fenomeni. Il punto è che lo stesso pensiero di Logos deriva dalla nostra mente e quindi di fatto è una rappresentazione!

Vi è poi peraltro la precisazione sul concetto di "rappresentazione". Primo: la rappresentazione avviene sia a livello individuale che a livello collettivo. Ognuno di noi ha una sua "prospettiva" sulla realtà. Ciò è innegabile. Secondo: vi è anche però la rappresentazione ulteriore della rappresentazione che è data dalla nostra cultura, le nostre abitudini, i nostri legami interpersonali ecc. Ad esempio quando vedo un tavolo io lo riconosco come tale ma posso pensare ad una persona che vederebbe il tavolo come un "oggetto non identificato". Perciò sì il mondo è per così dire sia la "mia" che la "nostra" rappresentazione. In entrambi i casi quello che ci sembra "oggettivo" in realtà per gran parte è una sorta di "creazione" della nostra mente: il pensare che quello che percepiamo sia "la realtà in sé" produce "distorsioni" della nostra comprensione e quindi conduce all'ignoranza.

Per capire meglio il senso che volevo dare all'argomento: supponete di avere vicino uno specchio d'acqua torbido e voler capire quando l'acqua è limpida. Per farlo bisogna "tirare via" tutte le sostanze che la rendono torbida. E per fare ciò bisogna distinguere cosa è acqua e cosa non lo è.  Nel caso di questa discussione: "la realtà oggettiva" è l'acqua limpida. Le rappresentazioni sono ciò che la intorbidisce. Quindi a mio giudizio è di primaria importanza stabilire cosa non è oggettivo per capire la realtà.

Il problema è: è possibile rimuovere tutte le "impurità" o no. A mio giudizio NO, il massimo che possiamo fare è conoscere il funzionamento della nostra mente (o meglio le leggi del nostro pensiero). Questo perchè appunto abbiamo una prospettiva "nostra" e per eliminarla in "toto" dovremmo finire di essere "noi". Tuttavia si può avvicinarsi a tale situazione: conoscendo cioè le "rappresentazioni" come "rappresentazioni". In questo contesto l'empistemologia è sia una ricerca di qualcosa sia una terapia che ci libera dall'illusione di conoscere "veramente" qualcosa.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 22 Ottobre 2016, 14:27:14 PM
@ Apeiron
Sono d'accordo con te. E' impossibile liberarsi totalmente dalle rappresentazioni, pena il liberarsi di "noi stessi". Però è possibile aver consapevolezza che le rappresentazioni sono rappresentazioni. E questo è "saggezza" (  scusate la parola desueta, fuori moda, così poco...filosofica. Cercherò di usarla il meno possibile...).
"Noi stessi" siamo la nostra rappresentazione; siamo la rappresentazione che di noi si fanno gli altri; siamo la rappresentazione che noi e gli altri facciamo di noi; siamo la rappresentazione che costruiamo su di noi confrontandola con la rappresentazione che abbiamo costruito sugli altri e siamo costruiti dalla rappresentazione che gli altri hanno costruito su di noi...
La nostra rappresentazione si riflette su molteplici specchi , posti su piani diversi, in gran parte inconsci e impersonali. Non c'è in definitiva un "noi stessi" ma solo infinite rappresentazioni di noi rimandate distorte di specchio in specchio. La consapevolezza dell'illusione rappresentativa non è "in noi", a mio parere. E' "qualcos'altro"...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 22 Ottobre 2016, 21:08:12 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Ottobre 2016, 13:33:46 PM


Anzitutto volevo precisare ancora una volta una cosa:
Realtà puramente oggettiva: l'oggetto in-sé indpendentemente da qualsiasi rappresentazione di uno o più soggetti. Con questo voglio dire che l'oggetto deve possedere qualità intrinseche e non solamente derivanti dall'"osservazione"/interazione col soggetto. Come dicevo nel post inziale non si può dire di conoscere la realtà in-sè se conosciamo solo come appare-a-noi. Per inciso se divento cieco tutti i colori spariscono e quindi la realtà in-sé è incolore. Il problema è che la stessa scienza potrebbe conoscere la realtà come "apparente" e come quindi derivante da come ci appare a noi.


Sembra quasi che tu intenda la distinzione dei percetti come impossibile, perchè mere rappresentazioni soggettive.

Eppure per esempio proprio l'esempio da te citato dice il contrario. E cioè che effettivamente il rappresentato non può sopravvivere senza il senso dato.

Come nell'esperimento citato da Berkley del cieco che riacquistata la vista, non  distingue la sfera che aveva sino a qualche tempo prima conosciuto col tatto.

Come dire l'idea soggettiva del cieco, la sua rappresentazione è stata negata dalla realtà.

Quindi come vedi noi non siamo solo rappresentazione.

Diverso il caso nell'induismo caro Sariputra in quanto siamo abituati a conoscerlo come monismo rappresentazionale.
In cui la rappresentazione è dualista(velo di maya), e l'uno è DIO. Questione lontanissima dalla concezione occidentale, che ne vedrebbe un evidente contradizione.

Il punto rimarebbe quindi nello stabilire se il dato sensibile sia reale o immaginario.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 22 Ottobre 2016, 21:24:36 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Ottobre 2016, 13:33:46 PM
 Come dicevo nel post inziale non si può dire di conoscere la realtà in-sè se conosciamo solo come appare-a-noi. Per inciso se divento cieco tutti i colori spariscono e quindi la realtà in-sé è incolore. Il problema è che la stessa scienza potrebbe conoscere la realtà come "apparente" e come quindi derivante da come ci appare a noi.

CitazioneConcordo che si può esperire (e conoscere come inieme e successioni di sensazioni fenomeniche) solo la realtà come appare (a noi, se anche noi come soggetti di tali sensazioni siamo reali) e non come é in sé (se qualcosa in sé é reale oltre le sensazioni fenomeniche che appaiono).
Della realtà in sé si può secondo me sensatamente parlare, si può ipotizzare e predicare che é reale (eventualmente anche conoscerla in qualche misura, conoscerne "qualcosa", se se ne predica veracemente; cosa comunque insuperabilmente dubbia; dunque non si può mai sapere se se ne conosce "qualcosa", non si può comunque essere certi di questa eventuale conoscenza).
Ma non si può dimostrare, né tantomeno mostrare (per definizione) che realmente accada.

Se divento cieco la realtà per come appare é incolore: la realtà in sé é incolore comunque.

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: davintro il 23 Ottobre 2016, 18:16:10 PM
Citazione di: green demetr il 21 Ottobre 2016, 14:56:37 PMPer quel che mi riguarda la discussione si è divisa i 2 tronconi. Tra chi sostiene lo scetticismo (Cannata,Sgiombo,Phil) integralmente (ma con diverse argomentazioni), tra chi lo sostiene solo non convenzionalmente (Apeiron), e chi invece lo ritiene superabile con l'argomento del soggetto esistente (Green,Maral,Davintro). In attesa di portare altre soluzioni dei vari dualismi e monismi contro lo scetticismo, che non ricordo più, e devo andare a recuperare dal Fish. Certamente sono d'accordo con te Maral che la rappresentazione non è di dominio del soggetto, ma piuttosto dei soggetti. Ma qui apriremmo il capitolo del linguaggio (sia a livello veritativo, logico-formale che sia, sia quello descrittivo metafisico, nominalista o realista che sia). Il discorso scetticista non ha la grandezza del discorso sul Mondo, ma si intrattiene con se stesso, nella semplice ma per loro fondamentale desiderio di stabilire se la realtà esista o meno. Scrivi infatti nel secondo intervento. "In ogni caso comunque la cosa è ricondotta al gioco dei suoi significati, è solo significando qualcosa (ossia affermando di sé qualcosa in rapporto alle sue negazioni) che qualsiasi cosa può concretamente esistere." Che io parafraso nella questione della corrispondenza 1:1 tra senso e realtà. Portato nella nostra discussione su Severino, ricordo che il nostro accettava la coincidenza tra il suo "apparire" e il "fenomeno" nell'accezione continentale. Probabilmente la parola apparizione sembra qualcosa di evanescente rispetto alla parola oggettività. Ma in fin dei conti l'oggettività non riguarda il campo del filosofo, perciò a mio modo di vedere sbagli a concentrarti su quello.(Che va bene solo quando critichiamo un certo modo di fare scienza. metafisico, ingenuo etc....). Il punto è se il fenomeno possa avere la qualità trascendentale a cui Davintro allude. Mi sembra infatti di essere totalmente d'accordo con il suo intervento. Davintro però mette l'accento più sul trascendente che sul quello dell'esperienza, la qualità della regolarità del contenuto mentale. Ma su cosa sia questa trascendenza non accenna. Quindi nel caso aspetto delucidazioni. A mio parere il trascendentale è quella superficie che è direttamente a contatto con la sensorialità. Al contrario di Kant o di Husserl non credo vi siano delle celle inferiori come le facoltà o l'intenzione, che decidano per essa (la percezione). Ripeto fuor di scetticismo la percezione esiste, d'altronde anche scientificamente oggi il soggetto che prima dicevamo è riconosciuto come PROPRIOCEZIONE. Ma la propriocezione è di fatto nel tempo, e quindi nello spazio, che ne decide le regole convenzionali. (dunque è del tempo storico di cui si parla, non quello assoluto, e cioè a mio parere dell'esperienza). Infatti la propriocezione tramite NEGAZIONE assume di volta in volta il carattere di IO, io non sono più in quello spazio, ora sono in questo, e nell'accumulo degli infiniti fotogrammi, egli decide formalmente di avere una esperienza. Ossia intenzionalmente si fa soggetto. A quel punto e solo a quel punto egli giudicando come tale, come soggetto cioè, il contenuto della sua percezione, potrà decidere del fenomeno. A quel punto decide che deve esistere per forza una superficie (abduzione), e a quel punto si innesta il problema se esista la corrispondenza. Ossia senso e reale hanno carattere speculare? Poichè il mondo analitico non analizza il trascendente (kant) nè il formale, ossia il carattere di presentazione NEGATIVA del contenuto(Hegel-Heideger), appunto il significato, il simbolo direbbe Lacan. A noi non rimane che stare alla soglia del gioco. Ossia nella parte inferiore, dobbiamo cari Maral e Davintro spiegare come il reale informi del sensoriale.

L'ammissione di un livello di trascendenza, o se si preferisce di di ""autonomia" del reale la considero a partire appunto dal carattere di passività che la percezione, livello basico della coscienza umana, porta con sè. Il complesso dell'orientamento percettivo non è la produzione creativa di un Io ma si costituisce in relazione all'apprensione passiva di stimoli sensibili provenienti da un mondo esterno. Se una persona proveniente dagli anni '40 o '50 venisse catapultata nella nostra epoca e poi osservasse camminare per strada davanti a lui, di spalle, una persona con dei capelli lunghi, i suoi schemi associativi lo porterebbero a percepire, cioè effettuare una sintesi anticipativa dell'immagine di una donna, perchè il suo contesto esperienziale di origine ha prodotto nella sua mente lo schema associativo "capelli lunghi-donna, capelli corti-uomo", schemi regolanti il decorso della sua percezione del mondo, aventi una provenienza culturale. Se poi la persona davanti a lui si girasse all'indietro e mostrasse al signore proveniente dal passato un volto maschile, il signore dovrebbe da qual momento in poi operare una modifica, una riformulazione degli schemi percettivi, facendo saltare l'equazione "capelli lunghi-donna". Ma a questo risultato il signore proveniente dal passato, la sua soggettività pensante, non ci sarebbe mai arrivato da solo, è stato necessario l'intervento di una realtà oggettiva, l'oggetto "corpo umano estraneo", che mostrando di sè nel decorso temporale delle percezioni lati diversi costringe il soggetto percepiente a modificare i propri schemi interpretativi. Non è cioè idealisticamente il soggetto ad applicare categorie e schemi validi aprioristicamente al di fuori dell'esperienza all'oggetto, ma è l'oggetto che con una sorta di intenzionalità "al contrario" interviene sulla mente soggettiva, che può apprendere nuovi lati, nuovi modi d'essere della realtà quanto più resta passiva nella ricezione degli stimoli sensibili con cui gli oggetti richiamano l'attenzione dell'Io. Questa è trascendenza. Questa riformulazione degli schemi associativi percettivi, che nel corso della nostra esperienza vitale è costante, è del tutto disfunzionale in relazione alla condizione di attività e creatività dell'Io nei confronti del mondo. La libera e creativa attività soggettiva, che trova più che nella conoscenza, nella volontà il suo livello di massima espressione, troverebbe la necessità di riformulare costantemente i propri schemi mentali un impaccio, una scomodità, una "perdita di tempo", piuttosto che intervenire sul mondo siamo costretti intervenire su noi stessi. Dunque tale necessità non può essere posta spontaneamente, naturalmente dal soggetto, ma imposta dai nostri limiti ontologici nei confronti di un'alterità che ci limita e ci impone costantemente di "rientrare in noi stessi" per adeguare i nostri strumenti percettivi e intellettuali ai fini dell'apprensione dei modi d'essere degli oggetti. Questo non è realismo ingenuo, ma critico poichè l'autonomia degli oggetti non viene affermata a partire da un'abitudinaria e ingenua constatazione della regolarità del presentarsi degli oggetti alla nostra coscienza, ma alla luce di una deduzione dall'ammissione di un'evidenza originaria, la nostra coscienza soggettiva. E se l'origine dell'attività intenzionale della coscienza è la percezione, e questa a sua volta si relaziona all'oggetto percepito tramite degli schemi associativi che l'Io percepiente non inventa arbitrariamente ma costantemente forma a partire dagli stimoli che gli oggetti nel loro manifestarsi a noi ci comunicano, allora occorre ammettere che la nostra soggettività cosciente è resa possibile dall'incontro con un' oggettività ulteriore che interviene su di noi. Quest'ulteriorità non è come prenserebbe una realista ingenuo ed estremo separata ed estranea alla nostra rappresentazione, alla nostra esperienza soggettiva, eppure al tempo stesso non si esaurisce nella rappresentazione in quanto ha il potere in ogni momento di modificarne le regole o gli schemi. Cioè, proprio il primato epistemologico, non o almeno non ancora, ontologico della soggettività conduce coerantemente a riconoscere un'alterità che con tale soggettività interagisce e si relaziona all'insegna della reciprocità
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 14:01:04 PM
Citazione di: green demetr il 22 Ottobre 2016, 21:08:12 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Ottobre 2016, 13:33:46 PMAnzitutto volevo precisare ancora una volta una cosa: Realtà puramente oggettiva: l'oggetto in-sé indpendentemente da qualsiasi rappresentazione di uno o più soggetti. Con questo voglio dire che l'oggetto deve possedere qualità intrinseche e non solamente derivanti dall'"osservazione"/interazione col soggetto. Come dicevo nel post inziale non si può dire di conoscere la realtà in-sè se conosciamo solo come appare-a-noi. Per inciso se divento cieco tutti i colori spariscono e quindi la realtà in-sé è incolore. Il problema è che la stessa scienza potrebbe conoscere la realtà come "apparente" e come quindi derivante da come ci appare a noi.
Sembra quasi che tu intenda la distinzione dei percetti come impossibile, perchè mere rappresentazioni soggettive. Eppure per esempio proprio l'esempio da te citato dice il contrario. E cioè che effettivamente il rappresentato non può sopravvivere senza il senso dato. Come nell'esperimento citato da Berkley del cieco che riacquistata la vista, non distingue la sfera che aveva sino a qualche tempo prima conosciuto col tatto. Come dire l'idea soggettiva del cieco, la sua rappresentazione è stata negata dalla realtà. Quindi come vedi noi non siamo solo rappresentazione. Diverso il caso nell'induismo caro Sariputra in quanto siamo abituati a conoscerlo come monismo rappresentazionale. In cui la rappresentazione è dualista(velo di maya), e l'uno è DIO. Questione lontanissima dalla concezione occidentale, che ne vedrebbe un evidente contradizione. Il punto rimarebbe quindi nello stabilire se il dato sensibile sia reale o immaginario.

Non capisco l'obiezione  :D

Quello che volevo dire io è: supponi di avere davanti un tavolo. Lo vedi, lo tocchi ecc. Lo descrivi come "ruvido, con quattro gambe, color marrone...". Il problema è che queste proprietà che tu affidi al tavolo in realtà non sono strettamente parlando del tavolo, cioè di un oggetto indipendente da te, ma del "tavolo rappresentato". A questo punto se uno ti chiedesse: "ok ora però dimmi cosa è un tavolo usando proprietà che non dipendono dalla presenza di un osservatore" cosa gli diresti?  La mia tesi è esattamente questa: nulla. Potresti pensare poi in realtà a questo ragionamento: così come per migliorare le osservazioni controllo lo strumento di misura, allo stesso modo per migliorare la conoscenza oggettiva del tavolo analizzo me stesso. Ma anche qui ci sono due problemi. Primo se anche conoscessi meglio me stesso quello che potrei dire è come rappresento il tavolo . Secondo: analizzo me stesso secondo la "mia" prospettiva. In sostanza non si esce da se stessi.

P.S. Non avrei dovuto dire che la realtà è incolore. Ma che: il concetto di "colore" non si può applicare alla realtà-in-sé. La realtà non è né colorata nè incolore (cioè senza colori, il paradosso logico non c'è perchè la domanda stessa "la realtà è colorata?" è insensata - per dirla alla Wittgenstein: il linguaggio è andato in vacanza). Ho il vago sospetto che questo ragionamento porti a dire che la realtà è ineffabile, cioè oltre i concetti: tuttavia il concetto di ineffabilità è contraddittorio... o forse no https://aeon.co/essays/the-logic-of-buddhist-philosophy-goes-beyond-simple-truth
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 25 Ottobre 2016, 14:18:40 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 14:01:04 PM
Non capisco l'obiezione  :D

Quello che volevo dire io è: supponi di avere davanti un tavolo. Lo vedi, lo tocchi ecc. Lo descrivi come "ruvido, con quattro gambe, color marrone...". Il problema è che queste proprietà che tu affidi al tavolo in realtà non sono strettamente parlando del tavolo, cioè di un oggetto indipendente da te, ma del "tavolo rappresentato". A questo punto se uno ti chiedesse: "ok ora però dimmi cosa è un tavolo usando proprietà che non dipendono dalla presenza di un osservatore" cosa gli diresti?  La mia tesi è esattamente questa: nulla. Potresti pensare poi in realtà a questo ragionamento: così come per migliorare le osservazioni controllo lo strumento di misura, allo stesso modo per migliorare la conoscenza oggettiva del tavolo analizzo me stesso. Ma anche qui ci sono due problemi. Primo se anche conoscessi meglio me stesso quello che potrei dire è come rappresento il tavolo . Secondo: analizzo me stesso secondo la "mia" prospettiva. In sostanza non si esce da se stessi.


sì ma questo tuo, sembra un rappresentazionalismo monista. l'obiezione che ti pongo è che il cieco che ha riacquistato la vista può analizzarsi fin che vuoi da dentro, ma di fronte al senso dato, è costretto ad ammettere che realtà è disgiunta dalla sua percezione.
Ossia che essa pretende come direbbe Berkley sempre nuovi punti di vista.

Non esiste dunque IL (quello unico soggettivo monista) punto di vista dell'osservatore, per cui è necessario una sintesi (in antitesi alla pluralità di visioni, che ci consegni l'idea di oggetto unitario. Come noi lo conosciamo, una sfera che si fa vedere in quel modo, e una sfera che si fa toccare in quel modo. Noi la chiamiamo sfera solo per comodità, per sintesi appunto.

Noi non analizziamo il punto di vista, ma l'insieme dei punti di vista dati.
La sintesi appunto, come nel caso da Kant in poi.


Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 25 Ottobre 2016, 14:32:43 PM
Citazione di: davintro il 23 Ottobre 2016, 18:16:10 PM

L'ammissione di un livello di trascendenza, o se si preferisce di di ""autonomia" del reale la considero a partire appunto dal carattere di passività che la percezione, livello basico della coscienza umana, porta con sè. Il complesso dell'orientamento percettivo non è la produzione creativa di un Io ma si costituisce in relazione all'apprensione passiva di stimoli sensibili provenienti da un mondo esterno. Se una persona proveniente dagli anni '40 o '50 venisse catapultata nella nostra epoca e poi osservasse camminare per strada davanti a lui, di spalle, una persona con dei capelli lunghi, i suoi schemi associativi lo porterebbero a percepire, cioè effettuare una sintesi anticipativa dell'immagine di una donna, perchè il suo contesto esperienziale di origine ha prodotto nella sua mente lo schema associativo "capelli lunghi-donna, capelli corti-uomo", schemi regolanti il decorso della sua percezione del mondo, aventi una provenienza culturale. Se poi la persona davanti a lui si girasse all'indietro e mostrasse al signore proveniente dal passato un volto maschile, il signore dovrebbe da qual momento in poi operare una modifica, una riformulazione degli schemi percettivi, facendo saltare l'equazione "capelli lunghi-donna". Ma a questo risultato il signore proveniente dal passato, la sua soggettività pensante, non ci sarebbe mai arrivato da solo, è stato necessario l'intervento di una realtà oggettiva, l'oggetto "corpo umano estraneo", che mostrando di sè nel decorso temporale delle percezioni lati diversi costringe il soggetto percepiente a modificare i propri schemi interpretativi. Non è cioè idealisticamente il soggetto ad applicare categorie e schemi validi aprioristicamente al di fuori dell'esperienza all'oggetto, ma è l'oggetto che con una sorta di intenzionalità "al contrario" interviene sulla mente soggettiva, che può apprendere nuovi lati, nuovi modi d'essere della realtà quanto più resta passiva nella ricezione degli stimoli sensibili con cui gli oggetti richiamano l'attenzione dell'Io. Questa è trascendenza. Questa riformulazione degli schemi associativi percettivi, che nel corso della nostra esperienza vitale è costante, è del tutto disfunzionale in relazione alla condizione di attività e creatività dell'Io nei confronti del mondo. La libera e creativa attività soggettiva, che trova più che nella conoscenza, nella volontà il suo livello di massima espressione, troverebbe la necessità di riformulare costantemente i propri schemi mentali un impaccio, una scomodità, una "perdita di tempo", piuttosto che intervenire sul mondo siamo costretti intervenire su noi stessi. Dunque tale necessità non può essere posta spontaneamente, naturalmente dal soggetto, ma imposta dai nostri limiti ontologici nei confronti di un'alterità che ci limita e ci impone costantemente di "rientrare in noi stessi" per adeguare i nostri strumenti percettivi e intellettuali ai fini dell'apprensione dei modi d'essere degli oggetti. Questo non è realismo ingenuo, ma critico poichè l'autonomia degli oggetti non viene affermata a partire da un'abitudinaria e ingenua constatazione della regolarità del presentarsi degli oggetti alla nostra coscienza, ma alla luce di una deduzione dall'ammissione di un'evidenza originaria, la nostra coscienza soggettiva. E se l'origine dell'attività intenzionale della coscienza è la percezione, e questa a sua volta si relaziona all'oggetto percepito tramite degli schemi associativi che l'Io percepiente non inventa arbitrariamente ma costantemente forma a partire dagli stimoli che gli oggetti nel loro manifestarsi a noi ci comunicano, allora occorre ammettere che la nostra soggettività cosciente è resa possibile dall'incontro con un' oggettività ulteriore che interviene su di noi. Quest'ulteriorità non è come prenserebbe una realista ingenuo ed estremo separata ed estranea alla nostra rappresentazione, alla nostra esperienza soggettiva, eppure al tempo stesso non si esaurisce nella rappresentazione in quanto ha il potere in ogni momento di modificarne le regole o gli schemi. Cioè, proprio il primato epistemologico, non o almeno non ancora, ontologico della soggettività conduce coerantemente a riconoscere un'alterità che con tale soggettività interagisce e si relaziona all'insegna della reciprocità


Per me la trascendenza non può venire dal "DAS DING" alias l'oggetto prima che si dia alla percezione.
La tua teoria della sintesi passiva husserliana oggi va molto di moda.

Di certo concordiamo fortemente sul carattere di sintesi, ci discostiamo su quale sia il ruolo del percetto, passivo come nella tua teoria, o attivo come nella teoria classica dell'idealismo da Kant in poi.

Per noi metafisici essendo la trascendenza Dio (un Dio inconoscibile sia chiaro) la sintesi non potrà essere che epifania dello svolgimento del mondo storico reale. (Hegel)

In Husserl o in te sembra quasi ribaltato il procedimento per cui è lo scontro dialettico col reale, a determinare il valore della sintesi, e non quello esperenziale.
E per cui appunto l'esperenziale è questo scontro cieco con la Natura in fin dei conti.(


excursus
certamente non ne nego la potenza antimetafisica, e di certo funziona bene contro certe presunzioni della tecno-scienza, rimane il fatto che questo reale a me puzza di metafisico, nè più nè meno che come prima
fine excursus

Il realismo ingenuo si discosta da noi in maniera maxima perchè ritiene il valore della sintesi non a livello di sintesi rappresentazionale, bensì meramente esperenziale. Il lato vincente di quella mossa è che possono fare a meno di entrare nel dibattito formale di tutta la fenomenologia del 900 fino agli epingoni dell'oggi.

Il lato debole è che non intendono più il lato storico-culturale come hai ben scritto tu.

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 25 Ottobre 2016, 18:45:30 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 14:01:04 PM


P.S. Non avrei dovuto dire che la realtà è incolore. Ma che: il concetto di "colore" non si può applicare alla realtà-in-sé. La realtà non è né colorata nè incolore (cioè senza colori, il paradosso logico non c'è perchè la domanda stessa "la realtà è colorata?" è insensata - per dirla alla Wittgenstein: il linguaggio è andato in vacanza). Ho il vago sospetto che questo ragionamento porti a dire che la realtà è ineffabile, cioè oltre i concetti: tuttavia il concetto di ineffabilità è contraddittorio... o forse no https://aeon.co/essays/the-logic-of-buddhist-philosophy-goes-beyond-simple-truth
CitazioneLa realtà fenomenica di un vedente senza grosse patologie della visone (perfino quella di un daltonico) é colorata (anche, fra l' altro, oltre ad esempio che profumata, caratterizzata da suoni e rumori e da aspetti tattili -morbida, ruvida, calda , fredda- ecc., salvo patologie dei rispettivi organi di senso e vie e centri nervosi).

La realtà fenomenica di un cieco non é colorata.

Della realtà in sé (se esiste, cosa indimostrabile; che personalmente credo) non ha senso parlare in termini di qualia sensitivi di qualsiasi genere (nemmeno "interiori" o "mentali": non é nemmeno soddisfatta o insoddisfatta, allegra o triste, né costituita da nozioni, concetti, ecc., oltre a non essere colorata, calda o fredda, profumata, ecc.).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:41:26 PM
@sgiombo

Rispondo brevemente a te. L'unica realtà di cui abbiamo esperienza è quella fenomenica. Su questa ha senso parlare e costruire concetti. Sono d'accordo con te: il cieco ha una realtà fenomenica incolore, il vedente colorata. Il noumeno non è nè colorato nè senza colore in quanto il concetto di colore è provo di senso per il noumeno.

Il problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso. Quindi è "ineffabile" (se c'è). Ora per dire che una cosa è "ineffabile" devi parlare di essa. Ma dell'ineffabile non si può parlare (cioè non si possono produrre concetti sul noumeno, visto che nessun linguaggio può descriverlo). Ma allora "il noumeno è ineffabile" è una proposizione priva di senso! Ergo: o la "logica normale" non si può applicare perchè il noumeno "trascende" la logica ("misticismo" nel senso di Wittgenstein) oppure non vi può essere il noumeno.

Siccome il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" mi pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole") è alquanto singolare che alla fine si sviluppa questo problema. Il problema della filosofia di Kant, di Wittgenstein, di Berkeley, di Hume, del Buddha, dei Vedanta ecc è proprio che pur essendo "capolavori" (per lo meno per certi aspetti) sono tutte inconsistenti. TUTTAVIA se si può abbandonare la logica "classica" allora hanno certamente una speranza.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:43:30 PM
@green demetr

Non capisco il tuo punto di vista  :D  Rispondi a questa domanda: esiste qualche proprietà che è indipendente da ogni punto di vista?
Se sì riesci a formulare un linguaggio/dei concetti... su di essa?

P.S. Non sono un "monista" anche se non nego che quel tipo di filosofia mi affascina parecchio (es: Advaita Vedanta)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 21:36:36 PM
**  scritto da Apeiron:
CitazioneIl problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso.
Come privi di senso? ...io più leggo da Kant sul noumeno, più comprendo che se avesse avuto fede, sarebbe stato facile per lui identificarlo con lo Spirito Santo.
Il noumeno è lo Spirito Santo, giacché non esiste un fenomeno nell'Universo che non dipenda da Lui.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 25 Ottobre 2016, 21:42:29 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:41:26 PM
@sgiombo

Rispondo brevemente a te. L'unica realtà di cui abbiamo esperienza è quella fenomenica. Su questa ha senso parlare e costruire concetti. Sono d'accordo con te: il cieco ha una realtà fenomenica incolore, il vedente colorata. Il noumeno non è nè colorato nè senza colore in quanto il concetto di colore è provo di senso per il noumeno.

Il problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso. Quindi è "ineffabile" (se c'è). Ora per dire che una cosa è "ineffabile" devi parlare di essa. Ma dell'ineffabile non si può parlare (cioè non si possono produrre concetti sul noumeno, visto che nessun linguaggio può descriverlo). Ma allora "il noumeno è ineffabile" è una proposizione priva di senso! Ergo: o la "logica normale" non si può applicare perchè il noumeno "trascende" la logica ("misticismo" nel senso di Wittgenstein) oppure non vi può essere il noumeno.

Siccome il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" mi pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole") è alquanto singolare che alla fine si sviluppa questo problema. Il problema della filosofia di Kant, di Wittgenstein, di Berkeley, di Hume, del Buddha, dei Vedanta ecc è proprio che pur essendo "capolavori" (per lo meno per certi aspetti) sono tutte inconsistenti. TUTTAVIA se si può abbandonare la logica "classica" allora hanno certamente una speranza.

CitazioneNon capisco l' ultimo capoverso e come si possa conciliare con i primi due.
Se il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" ti pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole"), allora anche tu parli (sensatamente) del noumeno e ne affermi l' esistenza reale.
Di "esterno alla realtà fenomenica cosciente" (alla propria esperienza fenomenica cosciente di ciascuno (ammettendone altre oltre la "proria immediatamente percepita"; cosa indimostrabile; che credo) non può esservi che una realtà in sé non apparente (non fenomenica) ma solo congetturabile (noumeno), mentre qualsiasi cosa sia fenomeno è (questa è una sorta di sinonimia) "appartenente alla (a una) esperienza cosciente, sensibile".

Kant, Berkeley e Hume (purtroppo Buddha e il Vedanta non li conosco per nulla e Wittgenstein pochissimo) cercano appunto di "elucubrare" qualcosa di sensato (e i primi due, in modi e su fondamenti molto diversi, secondo me si illudono di averne conoscenza certa) sul noumeno.
 
Secondo me il noumeno pur non potendosi ovviamente esperire, può essere oggetto di ipotesi indimostrabili ma sensate, per quanto ovviamente caratterizzate da un inevitabile "oscurità" (anche metaforica) e vaghezza (da qui l' abbondante uso di virgolette da parte mia nel parlarne).
 
Seconde me sono ipotesi che possono spiegare i seguenti fatti (essi stessi indimostrabili):

a)  l' intersoggettività (corrispondenza biunivoca, non uguaglianza: nessuno può "sbirciare nelle altrui esperienze coscienti" per verificare se i relativi fenomeni –esempio: il Monte Bianco visto da me e il Monte Bianco visto da te- siano uguali o meno a quelli della propria) delle componenti materiali ("extensae") delle diverse, reciprocamente trascendenti esperienze fenomeniche coscienti (che è una conditio sine qua non della -possibilità della- conoscenza scientifica vera), attraverso la corrispondenza di tutte e ciascuna per l' appunto con la (medesima) realtà in sé (in alternativa bisognerebbe ammettere fra di esse una sorta di, a mio parere ancora più vaga ed oscura, leibniziana "armonia prestabilita");

b)  la corrispondenza biunivoca fra determinati eventi neurofisiologici cerebrali (in determinati cervelli; per lo meno indirettamente, e comunque potenzialmente nell' ambito delle esperienze fenomeniche di "osservatori"; per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e determinate esperienze coscienti di "osservati" (per esempio della mia esperienza cosciente) e viceversa, secondo quanto sempre più ampiamente e fondatamente appurato dalle moderne neuroscienze, soprattutto mediante l' imaging neurologico funzionale (ma già fondato su antiche e "grossolane" osservazioni anatomopatologiche risalenti a Broca, Wernicke anche a prima): in un certo senso si può dire che gli stessi "enti ed eventi in sé" sono "fenomenicamente percepiti dall' esterno" come (corrispondono biunovocamente a) determinati eventi neurofisiologici (per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e "fenomenicamente percepiti dall' interno" come (corrispondono biunovocamente a) determinate evenienze di determinate esperienze coscienti, materiali e mentali (per esempio della mia esperienza cosciente; e viceversa).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 25 Ottobre 2016, 23:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:43:30 PM
@green demetr

Non capisco il tuo punto di vista  :D  Rispondi a questa domanda: esiste qualche proprietà che è indipendente da ogni punto di vista?
Se sì riesci a formulare un linguaggio/dei concetti... su di essa?

P.S. Non sono un "monista" anche se non nego che quel tipo di filosofia mi affascina parecchio (es: Advaita Vedanta)

Non è difficile se ci pensi. Mettiamo che ogni senso ha un punto di vista, innegabile, soggettivo, eppure ogni punto di vista sensoriale, è slegato dagli altri.  8)

E nel contempo, qui le idee cominciano a farsi ostiche, il mix di 2 sensi, udito e vista per esempio, crea un altro punto di vista slegato. Per ciò quando vedi una porta che sta per sbattere, è come se ascoltassi quella porta mentre ancora il suono non è pervenuto.

Insomma la rappresentazione non è mai soggettivamente assoluta ma è in continua rimessa in discussione con la realtà. con il noumeno.

Perciò stesso per inferenza, esattamente come diceva Hume possiamo azzardare che esista una realtà esterna slegata dal nostro punto di vista sensoriale.

Questo significa che possiamo conoscere il fenomeno NON il noumeno, che rimane come una necessità sullo sfondo.

(correggo così anche sgiombo per quel che riguarda Kant).

NB

con monismo non intedevo quello dell'advaita. che ripeto è un altro mondo. ma quello della coincidenza tra cervello e mentale.


Citazione di: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 21:36:36 PM
**  scritto da Apeiron:
CitazioneIl problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso.
Come privi di senso? ...io più leggo da Kant sul noumeno, più comprendo che se avesse avuto fede, sarebbe stato facile per lui identificarlo con lo Spirito Santo.
Il noumeno è lo Spirito Santo, giacché non esiste un fenomeno nell'Universo che non dipenda da Lui.

Probabilmente però lo pensava, non essendo conoscibile tramite il fenomeno, Kant nella critica del giudizio pensa sia conoscibile come trascendente, tramite la categoria del bello e del sublime.

In fin dei conti è figlio non solo della nuova scienza newtoniana, ma anche del suo ambiente luterano.

Su questa trascendenza e la lotta tra sintesi attive classiche, e passive contemporanee rimando al mio excursus relativo alla posizione di davintro.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PM
Citazione di: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 21:36:36 PM** scritto da Apeiron:
CitazioneIl problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso.
Come privi di senso? ...io più leggo da Kant sul noumeno, più comprendo che se avesse avuto fede, sarebbe stato facile per lui identificarlo con lo Spirito Santo. Il noumeno è lo Spirito Santo, giacché non esiste un fenomeno nell'Universo che non dipenda da Lui.

Non ha potuto farlo per il semplice fatto che cercava risposte filosofiche e non religiose. La religione e la filosofia sono diverse: se anche un filosofo pensa che il cristianesimo è vero, non si "accontenta" di credere ma vorrebbe "provarlo" o comunque far vedere che è ragionevole. Perciò forse Kant non ha indentificato le cose per onestà intellettuale o forse semplicemente non credeva ad una interpretazione letterale della Bibbia oppure magari come dici tu non era credente (anche se la Critica della Ragion Pratica da MOLTA importanza alla religione). Insensatezza = proposizione i cui termini non sono ben definiti. Quello che continui a dire è "Dio ha creato tutto...", "Dio è il noumeno..." ecc senza portare dietro un'argomentazione per dire così. Almeno spiega perchè secondo te lo Spirito Santo è il noumeno. (Perdona il tono, non vuole essere polemico o offensivo, ma solo vuole puntualizzare che lo Spirito Santo non c'entra con questo problema - poi eh se trovi passi della Bibbia che parlano di questo problema, te ne sarò grato :) . Anzi daresti più "credibilità" alla religione cristiana se riuscissi a collegare questi argomenti)

Citazione di: green demetr il 25 Ottobre 2016, 23:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:43:30 PM@green demetr Non capisco il tuo punto di vista :D Rispondi a questa domanda: esiste qualche proprietà che è indipendente da ogni punto di vista? Se sì riesci a formulare un linguaggio/dei concetti... su di essa? P.S. Non sono un "monista" anche se non nego che quel tipo di filosofia mi affascina parecchio (es: Advaita Vedanta)
Non è difficile se ci pensi. Mettiamo che ogni senso ha un punto di vista, innegabile, soggettivo, eppure ogni punto di vista sensoriale, è slegato dagli altri. 8) E nel contempo, qui le idee cominciano a farsi ostiche, il mix di 2 sensi, udito e vista per esempio, crea un altro punto di vista slegato. Per ciò quando vedi una porta che sta per sbattere, è come se ascoltassi quella porta mentre ancora il suono non è pervenuto. Insomma la rappresentazione non è mai soggettivamente assoluta ma è in continua rimessa in discussione con la realtà. con il noumeno. Perciò stesso per inferenza, esattamente come diceva Hume possiamo azzardare che esista una realtà esterna slegata dal nostro punto di vista sensoriale. Questo significa che possiamo conoscere il fenomeno NON il noumeno, che rimane come una necessità sullo sfondo. (correggo così anche sgiombo per quel che riguarda Kant). NB con monismo non intedevo quello dell'advaita. che ripeto è un altro mondo. ma quello della coincidenza tra cervello e mentale.

Ok però fai conto che lo stesso concetto di "causa" deriva dall'esperienza e quindi dall'analisi del fenomeno. Concordo con Schopenhauer che non si può pensare che il fenomeno sia causato dal noumeno per il semplice fatto che il principio di causa "non si applica" al noumeno (così come non si applicano i concetti di "colore", "suono"...). L'esempio che tu fai del cieco che riacquista la vista non prova (o meglio: "non corrobora l'idea") che esista "una realtà oggettiva/noumeno" ma solo che qualcosa di oltre alla prospettiva del singolo. Al massimo prova che c'è una realtà "intersoggettiva", una prospettiva condivisa da più soggetti. Tuttavia quello che non prova è che esista qualcosa di "indipendente da ogni prospettiva". Qui faccio notare il problema è linguistico: ogni linguaggio necessita di un contesto. Non appena si va fuori dal contesto si arriva a insensatezze. Il nesso causale e l'inferenza si possono infatti fare solo sui fenomeni e non sul noumeno.

Citazione di: sgiombo il 25 Ottobre 2016, 21:42:29 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:41:26 PM@sgiombo Rispondo brevemente a te. L'unica realtà di cui abbiamo esperienza è quella fenomenica. Su questa ha senso parlare e costruire concetti. Sono d'accordo con te: il cieco ha una realtà fenomenica incolore, il vedente colorata. Il noumeno non è nè colorato nè senza colore in quanto il concetto di colore è provo di senso per il noumeno. Il problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso. Quindi è "ineffabile" (se c'è). Ora per dire che una cosa è "ineffabile" devi parlare di essa. Ma dell'ineffabile non si può parlare (cioè non si possono produrre concetti sul noumeno, visto che nessun linguaggio può descriverlo). Ma allora "il noumeno è ineffabile" è una proposizione priva di senso! Ergo: o la "logica normale" non si può applicare perchè il noumeno "trascende" la logica ("misticismo" nel senso di Wittgenstein) oppure non vi può essere il noumeno. Siccome il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" mi pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole") è alquanto singolare che alla fine si sviluppa questo problema. Il problema della filosofia di Kant, di Wittgenstein, di Berkeley, di Hume, del Buddha, dei Vedanta ecc è proprio che pur essendo "capolavori" (per lo meno per certi aspetti) sono tutte inconsistenti. TUTTAVIA se si può abbandonare la logica "classica" allora hanno certamente una speranza.
CitazioneNon capisco l' ultimo capoverso e come si possa conciliare con i primi due. Se il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" ti pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole"), allora anche tu parli (sensatamente) del noumeno e ne affermi l' esistenza reale. Di "esterno alla realtà fenomenica cosciente" (alla propria esperienza fenomenica cosciente di ciascuno (ammettendone altre oltre la "proria immediatamente percepita"; cosa indimostrabile; che credo) non può esservi che una realtà in sé non apparente (non fenomenica) ma solo congetturabile (noumeno), mentre qualsiasi cosa sia fenomeno è (questa è una sorta di sinonimia) "appartenente alla (a una) esperienza cosciente, sensibile". Kant, Berkeley e Hume (purtroppo Buddha e il Vedanta non li conosco per nulla e Wittgenstein pochissimo) cercano appunto di "elucubrare" qualcosa di sensato (e i primi due, in modi e su fondamenti molto diversi, secondo me si illudono di averne conoscenza certa) sul noumeno.  Secondo me il noumeno pur non potendosi ovviamente esperire, può essere oggetto di ipotesi indimostrabili ma sensate, per quanto ovviamente caratterizzate da un inevitabile "oscurità" (anche metaforica) e vaghezza (da qui l' abbondante uso di virgolette da parte mia nel parlarne).  Seconde me sono ipotesi che possono spiegare i seguenti fatti (essi stessi indimostrabili): a)l' intersoggettività (corrispondenza biunivoca, non uguaglianza: nessuno può "sbirciare nelle altrui esperienze coscienti" per verificare se i relativi fenomeni –esempio: il Monte Bianco visto da me e il Monte Bianco visto da te- siano uguali o meno a quelli della propria) delle componenti materiali ("extensae") delle diverse, reciprocamente trascendenti esperienze fenomeniche coscienti (che è una conditio sine qua non della -possibilità della- conoscenza scientifica vera), attraverso la corrispondenza di tutte e ciascuna per l' appunto con la (medesima) realtà in sé (in alternativa bisognerebbe ammettere fra di esse una sorta di, a mio parere ancora più vaga ed oscura, leibniziana "armonia prestabilita"); b)la corrispondenza biunivoca fra determinati eventi neurofisiologici cerebrali (in determinati cervelli; per lo meno indirettamente, e comunque potenzialmente nell' ambito delle esperienze fenomeniche di "osservatori"; per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e determinate esperienze coscienti di "osservati" (per esempio della mia esperienza cosciente) e viceversa, secondo quanto sempre più ampiamente e fondatamente appurato dalle moderne neuroscienze, soprattutto mediante l' imaging neurologico funzionale (ma già fondato su antiche e "grossolane" osservazioni anatomopatologiche risalenti a Broca, Wernicke anche a prima): in un certo senso si può dire che gli stessi "enti ed eventi in sé" sono "fenomenicamente percepiti dall' esterno" come (corrispondono biunovocamente a) determinati eventi neurofisiologici (per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e "fenomenicamente percepiti dall' interno" come (corrispondono biunovocamente a) determinate evenienze di determinate esperienze coscienti, materiali e mentali (per esempio della mia esperienza cosciente; e viceversa).

Anche tu però parli di "realtà condivisa da più soggetti" e non di "realtà indipendente da ogni soggetto" come invece sarebbe il noumeno.

Se dunque accettate (intendo tu e demetr) l'esistenza della "realtà esterna/cosa in sè" oltre le "prospettive" non vi sembra singolare che si arriva sempre al punto in cui si dice che "i nostri concetti qui non si applicano". Ok va bene togli tutte le proprietà sensoriali. Rimane la "materia"/"cosa in sé" ecc. Ma davvero si necessita di tale concetto se non è nemmeno possibile costruire proposizioni sensate su di esso? I continui riferimenti che fate alla scienza non aiutano perchè ti posso contraddire dicendo che al massimo mostrano un'interosggetività e non una pura oggettività. D'altronde ogni proprietà non è un concetto fatto da una "prospettiva"?

Per questo motivo a mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. A parte forse Wittgenstein:

La logica riempie il mondo; i limiti del mondo sono anche i suoi limiti.
Non possiamo dunque dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no.
Ciò parrebbe infatti presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poiché altrimenti la logica dovrebbe trascendere i limiti del mondo; cioè, se essa potesse contemplare questi limiti anche dall'altro lato.
Ciò, che non possiamo pensare, non possiamo pensare; né dunque possiamo dire ciò che non possiamo pensare. (Tractatus 5.61)


La proposizione non può rappresentare la forma logica; questa si specchia in quella.

Ciò che nel linguaggio si specchia, il linguaggio non può rappresentare.

Ciò che nel linguaggio esprime , noi non possiamo esprimere mediante il linguaggio.

La proposizione mostra la forma logica della realtà.

L'esibisce. (Tractatus 4.121)





Tuttavia e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile?  Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile". La prova per inferenza fallisce perchè l'inferenza è una tecnica che ha senso nell'ambito del fenomeno e non nel noumeno. Nel caso di Wittgenstein voleva dire che la forma logica "non può essere espressa". Tuttavia un concetto che non può essere espresso non è un concetto e quindi:




Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v'è salito).


Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo. (Tractatus 6.54)


P.S. Ripeto non nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio".

Edit: So di aver scritto in una forma orrenda ma spesso trovo difficoltà ad articolare il mio pensiero... Perdonate la confusione, spero non vi dia troppi grattacapi :)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 26 Ottobre 2016, 18:20:41 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PMa mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. [...] e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile? Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile".
Il concetto di limite logico mi sembra sia il punto archimedeo della questione: ogni ambito d'indagine/azione ha bisogno di un limite entro cui agire, altrimenti non è possibile definire un "campo di indagine/azione" e dunque l'indagine/azione rischierebbe di essere dispersiva e caotica. 

Tale limite deve essere postulato ma insondabile, poichè se il limite non fosse insondabile verrebbe indagato dall'indagine stessa (seppur dall'interno) e potrebbe, in teoria, essere anche valicato, perdendo così la sua funzione stessa di limite (si rivelerebbe piuttosto solo un confine provvisorio).
Il limite "perfetto" è il limite che non può essere tematizzato, quindi non conosciuto e tantomeno "scavalcato".

In matematica c'è l'infinito, in religione c'è la divinità, in logica c'è il principio di identità, per la conoscenza c'è il reale/noumeno/mondo-in-sè, etc. ciascuno di questi ambiti presuppone il suo rispettivo limite insonsabile e proprio grazie ad esso può avere il suo ambito definito, grazie ad esso può strutturarsi, operare (e eventualmente indagare) all'interno del "terreno" che il limite delimita.

L'interrogarsi sul limite non trova "oggetto" abbastanza definito da poter essere indagato, per cui non può nemmeno delineare la sua risposta. Del limite si sa soltanto che delimita, che non può essere spostato né tematizzato (tantomeno conosciuto), ed è logicamente neccessario che sia così, altrimenti non sarebbe un vero limite. "Dare ragioni per cui è inconoscibile"(cit.) significa che dall'interno è possibile individuarlo come limite; e come facciamo a capire che non è semplicemente esterno, ma è esattamente il limite che sancisce l'interno e l'esterno? Perchè se fosse solamente esterno ed estraneo, non avrebbe ripercussioni fondamentali (e fondanti) su tutto il sistema interno (come accade invece nel caso del "mondo-in-sè" per la conocenza, della divinità per la religione, dell'identità per la logica, etc.), invece la constatazione che tale elemento non sia dentro il sistema, ma gli sia nondimeno estremamente pertinente, determinante eppure insondabile, lo individua adeguatamente come limite.

Superare il limite è comunque possibile teoreticamente con un gesto tanto ardito quanto radicale: rinunciare, andando oltre pur senza spostarsi, a quell'ambito di indagine ed alle "leggi" che lo governano... se mi astengo dal voler matematizzare il mondo, l'infinito non delimita più il mio ragionare; se rinuncio a formalizzare logicamente il mondo, l'identità non è più un limite; se non mi limito alla fede in una divinità, allora... (non concludo per non innescare le pure lecite considerazioni di chi è "dentro" quell'ambito  ;) ). Lo stesso vale per la gnoseologia.
Per questo Wittgenstein può alludere (non "tematizzare"!), al limite della sua "scala", al silenzio ed al mistico... chi resta sulla scala, non la usa davvero fino in fondo (se non erro Budda proponeva la stessa dinamica parlando della barca da cui bisognerebbe scendere dopo aver compiuto il viaggio...).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 26 Ottobre 2016, 18:36:31 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Ottobre 2016, 21:42:29 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:41:26 PMAnche tu però parli di "realtà condivisa da più soggetti" e non di "realtà indipendente da ogni soggetto" come invece sarebbe il noumeno.

CitazioneParlo solo di intersoggettività della componente materiale dei fenomeni, che non è dimostrabile né mostrabile empiricamente ma che è un postulato della conoscenza scientifica.
Non vedo dove possa avere scritto o anche indirettamente suggerito che per me il noumeno sarebbe "condiviso da più soggetti" e non invece "indipendente da ogni soggetto".




Se dunque accettate (intendo tu e demetr) l'esistenza della "realtà esterna/cosa in sè" oltre le "prospettive" non vi sembra singolare che si arriva sempre al punto in cui si dice che "i nostri concetti qui non si applicano". Ok va bene togli tutte le proprietà sensoriali. Rimane la "materia"/"cosa in sé" ecc. Ma davvero si necessita di tale concetto se non è nemmeno possibile costruire proposizioni sensate su di esso? I continui riferimenti che fate alla scienza non aiutano perchè ti posso contraddire dicendo che al massimo mostrano un'interosggetività e non una pura oggettività. D'altronde ogni proprietà non è un concetto fatto da una "prospettiva"?

CitazionePer forza: i nostri concetti nascono per astrazione da sensazioni fenomeniche, mentre la realtà in sé non è apparenza sensibile!
E per questo del noumeno si più parlare secondo me sensatamente, anche se con un irriducibile vaghezza (quanto ne ho scritto anche nell' ultimo intervento mi sembra ben comprensibile).

Mi sono sempre accuratamente astenuto dall' impiegare il termine "oggettività" (ti sfido amichevolmente a trovarlo in un qualsiasi mio intervento nel forum) per usare invece proprio quello di "intersoggettività" (peraltro sempre, immancabilmente sottolineata essere indimostrabile né empricamente mostrabile, constatabile) a proposito della parte materiale scientificamente conoscibile della realtà fenomenica (mi fai perfino veirne perfino il dubbio: non è che, non parlando arabo o cinese ma italiano, mi sono completamente rincoglionito e scrivo il contrario di ciò che penso?).

Sono costretto a ripetere che la necessità dell' "ipotesi noumeno" nasce per me dall' esigenza di spiegare appunto l' intersoggettività (indimostrabile né tantomeno mostrabile; e non affatto una pretesa oggettività, che può darsi unicamente del noumeno!) dei fenomeni materiali (contrariamente a quelli mentali), la quale altrimenti richiederebbe una sorta di ancor più oscura (a mio parare) "leibniziana armonia prestabilita".




Per questo motivo a mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. A parte forse Wittgenstein:

CitazioneTi sfido a trovare qualcosa di illogico in quanto ho scritto nel forum sul noumeno: dove mai mi sarei contraddetto???




La logica riempie il mondo; i limiti del mondo sono anche i suoi limiti.
Non possiamo dunque dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no.
Ciò parrebbe infatti presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poiché altrimenti la logica dovrebbe trascendere i limiti del mondo; cioè, se essa potesse contemplare questi limiti anche dall'altro lato.
Ciò, che non possiamo pensare, non possiamo pensare; né dunque possiamo dire ciò che non possiamo pensare. (Tractatus 5.61)


La proposizione non può rappresentare la forma logica; questa si specchia in quella.

Ciò che nel linguaggio si specchia, il linguaggio non può rappresentare.

Ciò che nel linguaggio esprime , noi non possiamo esprimere mediante il linguaggio.

La proposizione mostra la forma logica della realtà.

L'esibisce. (Tractatus 4.121)

CitazioneLa logica non riempie affatto il mondo (che c'era anche quando l' uomo, in grado di pensare logicamente, era ancora di là da venire e ci sarà anche quando l' uomo, con la sua logica non ci sarà più).


Il mondo è, diviene (realmente; non logicamente o meno).


La logica informa invece i discorsi umani corretti (sia sul mondo, sia anche del tutto fantastici, romanzeschi, ecc.).
Logico o meno può essere un discorso, non il mondo reale che può solo essere reale (divenire realmente).


Non possiamo casomai dire all' empiria (giudizi sintetici a posteriori): "Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no", in quanto è l' empiria a dircelo "a sua totale discrezione".
"Alla logica possiamo benissimo dire" tutto e (anzi: o) il contrario di tutto, di tutto di più (del tutto indipendentemente dalla realtà) purché non contraddittoriamente (almeno in questo dissento radicalmente dall' ultima affermazione citata di Wittgenstein: la proposizione mostra la sua propria forma logica, e non della realtà, della quale non ha senso cercare una forma logica o meno, ma solo ciò che vi accade realmente o –per negarlo, volendo avere conoscenza vera- ciò che non vi accade realmente).


Il resto di queste tue affermazioni non lo comprendo, non riesco ad attribuirvi una senso comprensibile.


Comunque ribadisco che ciò che ho detto del noumeno è del tutto logicamente corretto, anche se (ovviamente) non possiamo farcene immagini (=apparenze) mentali e questo ne limita (ma non ne inficia) la nostra comprensione.




Tuttavia e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile?  Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile". La prova per inferenza fallisce perchè l'inferenza è una tecnica che ha senso nell'ambito del fenomeno e non nel noumeno. Nel caso di Wittgenstein voleva dire che la forma logica "non può essere espressa". Tuttavia un concetto che non può essere espresso non è un concetto e quindi:

CitazioneNon ho mai preteso di provare, per inferenza o altrimenti il noumeno; ho anzi sempre chiaramente affermato, detto e ripetuto che non é dimostrabile (oltre che mostrabile) e che lo ipotizzo e ne credo -fideisticamente- la realtà onde spiegare intersoggettività dei fenomeni materiali e corrispondenze coscienza/cervello (scientificamente provate).

Noumeno =/= apparente, fenomeno, sensibile.

E  non:

Noumeno =/= conoscibile.





P.S. Ripeto non nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio".


CitazioneDissento: é oltre i limiti del sensibile, ovviamente, non del congetturabile.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PM
Citazione di: Phil il 26 Ottobre 2016, 18:20:41 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PMa mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. [...] e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile? Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile".
Il concetto di limite logico mi sembra sia il punto archimedeo della questione: ogni ambito d'indagine/azione ha bisogno di un limite entro cui agire, altrimenti non è possibile definire un "campo di indagine/azione" e dunque l'indagine/azione rischierebbe di essere dispersiva e caotica. Tale limite deve essere postulato ma insondabile, poichè se il limite non fosse insondabile verrebbe indagato dall'indagine stessa (seppur dall'interno) e potrebbe, in teoria, essere anche valicato, perdendo così la sua funzione stessa di limite (si rivelerebbe piuttosto solo un confine provvisorio). Il limite "perfetto" è il limite che non può essere tematizzato, quindi non conosciuto e tantomeno "scavalcato". In matematica c'è l'infinito, in religione c'è la divinità, in logica c'è il principio di identità, per la conoscenza c'è il reale/noumeno/mondo-in-sè, etc. ciascuno di questi ambiti presuppone il suo rispettivo limite insonsabile e proprio grazie ad esso può avere il suo ambito definito, grazie ad esso può strutturarsi, operare (e eventualmente indagare) all'interno del "terreno" che il limite delimita. L'interrogarsi sul limite non trova "oggetto" abbastanza definito da poter essere indagato, per cui non può nemmeno delineare la sua risposta. Del limite si sa soltanto che delimita, che non può essere spostato né tematizzato (tantomeno conosciuto), ed è logicamente neccessario che sia così, altrimenti non sarebbe un vero limite. "Dare ragioni per cui è inconoscibile"(cit.) significa che dall'interno è possibile individuarlo come limite; e come facciamo a capire che non è semplicemente esterno, ma è esattamente il limite che sancisce l'interno e l'esterno? Perchè se fosse solamente esterno ed estraneo, non avrebbe ripercussioni fondamentali (e fondanti) su tutto il sistema interno (come accade invece nel caso del "mondo-in-sè" per la conocenza, della divinità per la religione, dell'identità per la logica, etc.), invece la constatazione che tale elemento non sia dentro il sistema, ma gli sia nondimeno estremamente pertinente, determinante eppure insondabile, lo individua adeguatamente come limite. Superare il limite è comunque possibile teoreticamente con un gesto tanto ardito quanto radicale: rinunciare, andando oltre pur senza spostarsi, a quell'ambito di indagine ed alle "leggi" che lo governano... se mi astengo dal voler matematizzare il mondo, l'infinito non delimita più il mio ragionare; se rinuncio a formalizzare logicamente il mondo, l'identità non è più un limite; se non mi limito alla fede in una divinità, allora... (non concludo per non innescare le pure lecite considerazioni di chi è "dentro" quell'ambito ;) ). Lo stesso vale per la gnoseologia. Per questo Wittgenstein può alludere (non "tematizzare"!), al limite della sua "scala", al silenzio ed al mistico... chi resta sulla scala, non la usa davvero fino in fondo (se non erro Budda proponeva la stessa dinamica parlando della barca da cui bisognerebbe scendere dopo aver compiuto il viaggio...).

Nonostante l'oscurità di quanto ho scritto sei riuscito a capire il problema del limite (sgiombo spero che la lettura del post di Phil ti aiuti a capire il mio. Nei prossimi giorni comunque cercherò di esprimermi meglio). I problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala". Nel caso del noumeno credo che esista (non l'ho dimostrato...).

Il problema ribadisco è il seguente: ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno? Una volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala. Tuttavia in queste argomentazioni non trovo ancora una vera "dimostrazione" che c'è il noumeno (che sia necessario cioè) e che tale noumeno sia logicamente compatibile col resto dell'epistemologia.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 26 Ottobre 2016, 20:41:27 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMI problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala" [...] ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno? 
Il senso delle mie osservazioni è proprio che l'oggetto è un postulato (o un "mito"?) necessario al "funzionamento" della nostra logica comune, ma non potremmo mai stabilire se esiste con certezza, proprio perchè è esso stesso il limite fondante della nostra logica (praticamente è la versione gnoseologica dell'"indecidibilità" di Godel  ;) ). 
Non credo si possa uscire dalla nostra ragione interpretante senza perdere al contempo la ragione stessa (d'altronde, o si sta sulla scala, o si sta "fuori" dalla scala...). Sarebbe come cercare di vedere con i propri occhi (senza strumenti!) cosa succede nel buio pesto, in assenza di luce: bisogna ammettere che se possiamo vedere è perchè c'è la luce, come sia il mondo quando non è illuminato dalla luce, i nostri occhi non potranno mai saperlo (ovviamente è solo una metafora... niente cavilli sui visori notturni  ;D ).
Se si sta dentro la rappresentazione non si può sapere esattamente cosa c'è fuori (e se c'è); se invece si sta fuori allora non c'è più (bisogno di) rappresentazione...

Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMUna volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala. 
Non ne sono convinto, se l'esistenza del noumeno fosse verificata e dimostrata, allora si potrebbe stare fieramente in cima alla scala (finalmente giunti al noumeno!), ma se si buttasse via la scala si butterebbe via anche il percorso che porta al noumeno e forse il noumeno stesso... per questo gettare la scala senza noumeno (come suggerisce Wittgenstein) apre ad altri orizzonti in cui il problema del noumeno non si pone (essendo andati oltre... o almeno oltre la settima proposizione!).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AM
Per Apeiron.

A mio parere invece il punto non è quello di stabilire la verità del noumeno.

Ci si avvicina abbastanza l'interpretazione di Phil, quando appunto parla della funzione di limite del noumeno, che appunto è la mai compresa trascendentalità Kantiana.
Solo che dissento da Phil, nel senso che il suo obiettivo è quello di stare nello scetticismo avanzando strane ipotesi sull'infinito e il mistico.

Io invece sono dentro il fenomeno.

Mi pare di capire che il tuo problema sia quello linguistico.

Dunque apperecchiamo la tavola al punto in cui siamo.

noumeno=x

fenomeno=limite di x  (lascio da stare per ora la parte trascendente, non serve nella discussione)

conoscenza=inferenza del limite di x

dunque il fenomeno è descrivibile lingusticamente come la funzione del limite di x

Questo funziona se noi stabiliamo che stiamo parlando di " come se esistesse qualcosa" (e attenzione le teorie del senso dato partono da questa premessa).

Credo infine di aver capito che però il tuo problema è ancora a monte.

E cioè se quella x, se quel "qualcosa di come ci fosse dato", Esista effettivamente o no.

Vorrei puntualizzare questa tua idea, nel senso che secondo te è un problema linguistico, ma la lingua è essa stessa la risposta al tuo domandare, in quanto per definizione è la forma che si da come Nominazione (di qualcosa appunto).

Tu forse però intendi proprio invece il contenuto di verità sotteso, a quella domanda/nominazione stessa.

Ovviamente al di là di Severino o il pensiero eleatico, non vi sono altre formulazioni che io conosca.

Ossia la verità è la stessa esistenza, l'esistere in quanto esistere. In quella posizione il fenomeno è dunque la copia, l'idea platonica che domina l'occidente ancora oggi. Fenomeno come apparenza.


A mio modo di vedere invece, la questione stà a valle, appunto come hai inteso bene, sul fenomeno, che essendo in contatto col noumeo dice qualcosa del noumeno stesso. Al contrario di Sgiombo dunque credo che la forma inferenziale abbia un valore, proprio nel suo valore di limite.
Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni.
Il prospettivismo è dunque la regola vivente, dinamica, cangiante a cui siamo sempre costretti a rispondere.
Linguisticamente si configura come scienza da Newton ( e prima ancora Galilei) in poi. Lingua matematica ovvio.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 08:33:13 AM
Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AM
Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni.

CitazioneC' é credenza fideistica e credenza fideistica (altrimenti cadiamo nella famosa notte hegeliana).

Degli unicorni, se anche esistessero, non saprei che farmene, sono inutili orpelli che rado con Ockam.

Invece con il noumeno spiego intersoggettività dei fenomeni materiali e corrispondenze cervello/coscienza.

D' altra parte non trovo alcuna filosofia in grado di superare razionalmente (per dimostrazioni e/o osservazioni empiriche) lo scetticismo; ma se non ci si vuole rassegnare alla passività pratica (ed é il mio caso) bisogna per lo meno comportarsi come se a qualcosa di indimostrabile né constatabile empiricamente si credesse.

Trovo personalmente un importante elemento di razionalismo il rendersi conto di questo ineludibile limite (inevitabili credenze indimostrabili né mostrabili empiricamente, accantonamento fideistico dello scetticismo) di un razionalismo che sia compatibile con il non volersi rassegnare alla passività pratica.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 09:07:43 AM
Mi sembra corretto l'approccio scettico di Sgiombo sulla possibilità di dimostrare empiricamente e logicamente il famoso noumeno. Il fatto poi che Sgiombo non si rassegni alla passività pratica dimostra il salto che fa la mente, bypassando le contraddizioni logiche, rapportandosi "naturalmente" alla Bestia, al gioco del divenire, realtà non concepibile logicamente e aderendovi istintivamente, quindi riconoscendo implicitamente ( come lo riconosco anch'io) un valore superiore dell'intuizione immediata pre-logica, anche se questo poi non viene accettato, ovviamente, dalla forma mentis logica ( e allora si dice che "lo accetto per fede"). 
Un passo interessante:
Ma al livello del "discorso sul mondo", non siamo mai veramente in 
grado di rintracciare delle definizioni che soddisfino il requisito di 
esistere in sé e, al contempo, di "funzionare" nel sistema di relazioni 
che costituisce il mondo. Non siamo cioè capaci di far coesistere le 
conclusioni rigorose della logica formale (se una cosa esiste, allora 
devo poterla definire in modo univoco e completo una volta per tutte) 
con la mia descrizione dell'esperienza quotidiana (tutto è prodotto e 
condizionato). Ogni volta che analizzo il linguaggio con cui 
costruisco la mia descrizione del mondo, scopro che si tratta di uno 
strumento non adeguato, che dovrebbe soddisfare una logica 
inapplicabile al mondo. D'altra parte, però, non posso fare altro che 
ridurre il mondo ad un discorso, e, facendolo, accettare 
implicitamente il fatto che le regole di tale discorso non 
permetterebbero la loro applicazione al tipo di fenomeno che devo 
descrivere (il mondo in quanto legge di produzione condizionata).

Giacomo Foglietta
La pragmatica in Nagarjuna.
Dal giudizio di esistenza all'assenza di giudizio.

P.S. A Villa Sariputra  è arrivato il vino novello. Il vigneto ha prodotto ancora dell'ottimo prosecco. Siete tutti invitati virtualmente all'assaggio. In concreto assaggerò io a nome vostro... ;D
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 10:35:44 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 09:07:43 AM
Mi sembra corretto l'approccio scettico di Sgiombo sulla possibilità di dimostrare empiricamente e logicamente il famoso noumeno. Il fatto poi che Sgiombo non si rassegni alla passività pratica dimostra il salto che fa la mente, bypassando le contraddizioni logiche, rapportandosi "naturalmente" alla Bestia, al gioco del divenire, realtà non concepibile logicamente e aderendovi istintivamente, quindi riconoscendo implicitamente ( come lo riconosco anch'io) un valore superiore dell'intuizione immediata pre-logica, anche se questo poi non viene accettato, ovviamente, dalla forma mentis logica ( e allora si dice che "lo accetto per fede").
Un passo interessante:
Ma al livello del "discorso sul mondo", non siamo mai veramente in
grado di rintracciare delle definizioni che soddisfino il requisito di
esistere in sé e, al contempo, di "funzionare" nel sistema di relazioni
che costituisce il mondo. Non siamo cioè capaci di far coesistere le
conclusioni rigorose della logica formale (se una cosa esiste, allora
devo poterla definire in modo univoco e completo una volta per tutte)
con la mia descrizione dell'esperienza quotidiana (tutto è prodotto e
condizionato). Ogni volta che analizzo il linguaggio con cui
costruisco la mia descrizione del mondo, scopro che si tratta di uno
strumento non adeguato, che dovrebbe soddisfare una logica
inapplicabile al mondo. D'altra parte, però, non posso fare altro che
ridurre il mondo ad un discorso, e, facendolo, accettare
implicitamente il fatto che le regole di tale discorso non
permetterebbero la loro applicazione al tipo di fenomeno che devo
descrivere (il mondo in quanto legge di produzione condizionata).

Giacomo Foglietta
La pragmatica in Nagarjuna.
Dal giudizio di esistenza all'assenza di giudizio.

P.S. A Villa Sariputra  è arrivato il vino novello. Il vigneto ha prodotto ancora dell'ottimo prosecco. Siete tutti invitati virtualmente all'assaggio. In concreto assaggerò io a nome vostro... ;D

CitazioneNon che l' averne goduto attraverso la tua degustazione mi soddisfi granché (sarà meglio farmene dare un po' del suo da mio suocero).

Comunque complimenti e grazie ...per il pensiero.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:07:30 AM
@ Sgiombo
Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo:
Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero...
Ho analizzato queste possibilità:
1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino.
2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te.
3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano.
5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali.
6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore.
Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2.
Potresti definirti "noumenicamente"?  ??? ???

Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green  demetr... :-[ :-[ :-[
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 11:31:36 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:07:30 AM
@ Sgiombo
Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo:
Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero...
Ho analizzato queste possibilità:
1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino.
2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te.
3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano.
5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali.
6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore.
Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2.
Potresti definirti "noumenicamente"?  ??? ???

Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green  demetr... :-[ :-[ :-[

CitazionePurtroppo non é il caso 2 ...ovviamente mia moglie non ha accesso al forun, altrimenti sarebbe "per fortuna" (sono di un opportunismo vergognoso, lo so; non per niente non ho buttato nel cesso Machiavelli).

In realtà mio suocero é morto ormai una ventina di anni fa e adesso il suo limitato (si sa mai che qualche raro compagno ancora in circolazione bazzichi per il forum) terreno é curato dai miei cognati (ma per me quello é sempre "il vino di mio suocero").

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:39:59 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 11:31:36 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:07:30 AM@ Sgiombo Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo: Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero... Ho analizzato queste possibilità: 1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino. 2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te. 3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano. 5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali. 6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore. Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2. Potresti definirti "noumenicamente"? ??? ??? Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green demetr... :-[ :-[ :-[
CitazionePurtroppo non é il caso 2 ...ovviamente mia moglie non ha accesso al forun, altrimenti sarebbe "per fortuna" (sono di un opportunismo vergognoso, lo so; non per niente non ho buttato nel cesso Machiavelli). In realtà mio suocero é morto ormai una ventina di anni fa e adesso il suo limitato (si sa mai che qualche raro compagno ancora in circolazione bazzichi per il forum) terreno é curato dai miei cognati (ma per me quello é sempre "il vino di mio suocero").

Grazie. Allora è il punto 4 che avevo VOLUTAMENTE  8)  saltato, giusto per inserire la tua risposta.
Adesso posso finalmente riposare , alla notte...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 12:11:24 PM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:39:59 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 11:31:36 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:07:30 AM@ Sgiombo Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo: Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero... Ho analizzato queste possibilità: 1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino. 2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te. 3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano. 5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali. 6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore. Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2. Potresti definirti "noumenicamente"? ??? ??? Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green demetr... :-[ :-[ :-[
CitazionePurtroppo non é il caso 2 ...ovviamente mia moglie non ha accesso al forun, altrimenti sarebbe "per fortuna" (sono di un opportunismo vergognoso, lo so; non per niente non ho buttato nel cesso Machiavelli). In realtà mio suocero é morto ormai una ventina di anni fa e adesso il suo limitato (si sa mai che qualche raro compagno ancora in circolazione bazzichi per il forum) terreno é curato dai miei cognati (ma per me quello é sempre "il vino di mio suocero").

Grazie. Allora è il punto 4 che avevo VOLUTAMENTE  8)  saltato, giusto per inserire la tua risposta.
Adesso posso finalmente riposare , alla notte...

CitazioneCaspita (non mi ero accorto della mancanza del nimero 4), ne sai una più del diavolo!

Prosit!
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Jean il 27 Ottobre 2016, 12:39:48 PM
Eh, Sari... 

complimenti per il punto 4, si potrebbe dire reale (in quanto una delle ipotesi) ma non rappresentato...

Certo che se il suocero di sgiombo si chiamava Teseo... (Il vino di Teseo... suona bene)  si complicherebbe ancor più la faccenda del tuo topic... con la presenza che perdura nonostante l'assenza...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 12:49:36 PM
Citazione di: Jean il 27 Ottobre 2016, 12:39:48 PMEh, Sari... complimenti per il punto 4, si potrebbe dire reale (in quanto una delle ipotesi) ma non rappresentato... Certo che se il suocero di sgiombo si chiamava Teseo... (Il vino di Teseo... suona bene) si complicherebbe ancor più la faccenda del tuo topic... con la presenza che perdura nonostante l'assenza...

Il suocero di Sgiombo è come il noumeno: Non c'è ma nello stesso tempo c'è, ma possiamo rappresentarcelo sotto forma del vino novello... ;D
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PM
Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AMPer Apeiron. A mio parere invece il punto non è quello di stabilire la verità del noumeno. Ci si avvicina abbastanza l'interpretazione di Phil, quando appunto parla della funzione di limite del noumeno, che appunto è la mai compresa trascendentalità Kantiana. Solo che dissento da Phil, nel senso che il suo obiettivo è quello di stare nello scetticismo avanzando strane ipotesi sull'infinito e il mistico. Io invece sono dentro il fenomeno. Mi pare di capire che il tuo problema sia quello linguistico. Dunque apperecchiamo la tavola al punto in cui siamo. noumeno=x fenomeno=limite di x (lascio da stare per ora la parte trascendente, non serve nella discussione) conoscenza=inferenza del limite di x dunque il fenomeno è descrivibile lingusticamente come la funzione del limite di x Questo funziona se noi stabiliamo che stiamo parlando di " come se esistesse qualcosa" (e attenzione le teorie del senso dato partono da questa premessa). Credo infine di aver capito che però il tuo problema è ancora a monte. E cioè se quella x, se quel "qualcosa di come ci fosse dato", Esista effettivamente o no. Vorrei puntualizzare questa tua idea, nel senso che secondo te è un problema linguistico, ma la lingua è essa stessa la risposta al tuo domandare, in quanto per definizione è la forma che si da come Nominazione (di qualcosa appunto). Tu forse però intendi proprio invece il contenuto di verità sotteso, a quella domanda/nominazione stessa. Ovviamente al di là di Severino o il pensiero eleatico, non vi sono altre formulazioni che io conosca. Ossia la verità è la stessa esistenza, l'esistere in quanto esistere. In quella posizione il fenomeno è dunque la copia, l'idea platonica che domina l'occidente ancora oggi. Fenomeno come apparenza. A mio modo di vedere invece, la questione stà a valle, appunto come hai inteso bene, sul fenomeno, che essendo in contatto col noumeo dice qualcosa del noumeno stesso. Al contrario di Sgiombo dunque credo che la forma inferenziale abbia un valore, proprio nel suo valore di limite. Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni. Il prospettivismo è dunque la regola vivente, dinamica, cangiante a cui siamo sempre costretti a rispondere. Linguisticamente si configura come scienza da Newton ( e prima ancora Galilei) in poi. Lingua matematica ovvio.

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto. E qui prova a pensare alla dottrina del Dio creatore: fintantochè riesci a immaginarti  ad esempio un Dio che "crea" le cose in modo simile ad un artigiano allora ok. Quando però dici "Dio crea dal nulla" beh credo che questa proposizione sia per così dire priva di senso, perchè appunto la parola "creazione" si riferisce all'esperienza ordinaria e la parola "nulla" è maldefinita. E se poi ti chiedi se Dio è un fenomeno o un noumeno non ne esci.

Riprendendo Wittgenstein: Non come il mondo è, è il mistico ma che esso è.

Citazione di: Phil il 26 Ottobre 2016, 20:41:27 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMI problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala" [...] ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno?
Il senso delle mie osservazioni è proprio che l'oggetto è un postulato (o un "mito"?) necessario al "funzionamento" della nostra logica comune, ma non potremmo mai stabilire se esiste con certezza, proprio perchè è esso stesso il limite fondante della nostra logica (praticamente è la versione gnoseologica dell'"indecidibilità" di Godel ;) ). Non credo si possa uscire dalla nostra ragione interpretante senza perdere al contempo la ragione stessa (d'altronde, o si sta sulla scala, o si sta "fuori" dalla scala...). Sarebbe come cercare di vedere con i propri occhi (senza strumenti!) cosa succede nel buio pesto, in assenza di luce: bisogna ammettere che se possiamo vedere è perchè c'è la luce, come sia il mondo quando non è illuminato dalla luce, i nostri occhi non potranno mai saperlo (ovviamente è solo una metafora... niente cavilli sui visori notturni ;D ). Se si sta dentro la rappresentazione non si può sapere esattamente cosa c'è fuori (e se c'è); se invece si sta fuori allora non c'è più (bisogno di) rappresentazione...
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMUna volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala.
Non ne sono convinto, se l'esistenza del noumeno fosse verificata e dimostrata, allora si potrebbe stare fieramente in cima alla scala (finalmente giunti al noumeno!), ma se si buttasse via la scala si butterebbe via anche il percorso che porta al noumeno e forse il noumeno stesso... per questo gettare la scala senza noumeno (come suggerisce Wittgenstein) apre ad altri orizzonti in cui il problema del noumeno non si pone (essendo andati oltre... o almeno oltre la settima proposizione!).
Quando ho finito il Tractatus mi sembrava di essere libero e di aver risolto tutti i problemi. Col tempo tuttavia mi sono accorto che il Problema rimaneva e quindi non ho smesso di ricercare: il Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio? Purtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare". Ci vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 16:21:05 PM
Apeiron scrive:

Quando ho finito il Tractatus mi sembrava di essere libero e di aver risolto tutti i problemi. Col tempo tuttavia mi sono accorto che il Problema rimaneva e quindi non ho smesso di ricercare: il Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio? Purtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare". Ci vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.

Personalmente invece ho bisogno proprio di quel silenzio che non ti soddisfa. Ma se sei un serio ricercatore perché escludi che il silenzio possa alla fine essere la risposta? E' porti un pre-concetto irrazionale, che formula già un giudizio negativo su di un'esperienza senza averla conosciuta. Non è che alla fine vorresti che la famosa "Verità" fosse una formula verbale, o un algoritmo, o una formula matematica e rifiuti anche solo l'idea che non lo sia? Non potrebbe nascondersi il desiderio che la "Verità" dia appagamento?  Un'esperienza in più da godere da parte dell'Io ?
Il silenzio non è morte, è qualcosa di estremamente vivo e pulsante. Essendo vivo lo puoi solo vivere. Nel silenzio non c'è dualità ( Sarebbe più esatto dire che "rimane sullo sfondo" non essendo più l'attore principale).  :) Siamo su un terreno "mistico" ( termine orribile che richiama apparizioni, statue che piangono e amenità varie, quindi ASSOLUTAMENTE da non usare)e quel terreno non è adatto a tutti perché MOLTO pericoloso ( si possono fare strani incontri nel silenzio... ;D). Può essere una benedizione oppure un'autentica maledizione...Come uno nasce musicista, un altro matematico, così si nasce con tendenze "buffonesche"( non so che termine usare per...) ,purtroppo non ci si può far niente . E' il nostro karma (pali: kamma ) ::) ::)...

P.S: Che poi la "mistica" è solo un altro modo ( pochissimo conosciuto ed esplorato) di funzionare della nostra mente...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 27 Ottobre 2016, 17:46:56 PM
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMil Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio?
Se non erro, il silenzio di Wittgenstein non è il silenzio dell'assenza di risposta o il silenzio che non sa che dire, è invece un silenzio come rispota e un silenzio che non può e non deve dire nulla ("si deve tacere" dice il Tractatus, se non ricordo male).
Il silenzio rigorso che testimonia il raggiungimento della soglia del limite è un "silenzio deontologico" per il ricercatore: quel silenzio dà voce proprio a tutto ciò che non è silenzio, e che è quindi il "dicibile" della ricerca. Un percorso/discorso filosofico che non ha zone di silenzio o è una (improbabile) onniscienza oppure non ha uno statuto epistemologico ben definito (ovvero limitato, ovvero circondato dal silenzio...).

Come osserva Sariputra, se si decide aprioristicamente di non accettare un tipo di risposta, la ricerca non è autentica, perchè si è disposti ad ammettere solo il tipo di risposta che si è già deciso di ottenere (e ciò vizia irrimediabilmente sia il ricercare che il rispondere...).

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMPurtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare".
Il capire che "qui non puoi indagare" è una "tappa" utilissima perchè richiede o di cambiare il metodo/strumento di ricerca (così da poter indagare anche qui) oppure indica semplicemente che si sta cercando la risposta nel "posto" sbagliato.
D'altronde, se usando la logica formale volessimo indagare la poesia, la sua risposta non sarebbe esattamente un serafico "qui non puoi indagare" seguito da un "quindi devi restare in silenzio"?

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMCi vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.
Quel "ci vorrebbe" allude ad una necessità: si tratta di un'esigenza logica, psico-logica, onto-logica o esistenziale?


P.s.
@sariputra: il mistico di cui parla Wittgenstein è il mistero inteso come rebus irrisolvibile per la logica razionale, non tanto il mistico di matrice religiosa, spiritualistica o folkloristica... e concordo appieno sul fatto che sia comunque una "parolaccia"!  ;D
@green demetr: quando parlo del "mistico", parlo della prospettiva di Wittgenstein, non della mia  :)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 18:01:19 PM
@ Phil
Sì, ma non mi riferivo nello specifico al silenzio di Wittgenstein.  Mi riferivo al "silenzio" inteso come esperienza ( a cui, a rigor di termine, non si può nemmeno dare una connotazione religiosa, spirituale, ecc. anche se queste si servono del termine per indicare qualcos'altro...). Anche se...se non ricordo male...lo stesso W. si è avvicinato alla spiritualità per un certo periodo della sua vita ( o ricordo male? ::)...).
Mah...beviamoci sopra... :-[
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 18:15:55 PM
Il Silenzio mistico/religioso/spirituale è un silenzio "reverenziale" in cui appunto si tace perchè la cosa su cui non si dice nulla è "assolutamente più grande di noi". Ok, è una prospettiva che calma l'animo. Tuttavia è anti-filosofica questa prospettiva perchè "pone un veto". Ma anche qui il senso "mistico", la meraviglia, in realtà paradossalmente ha fatto nascere la filosofia (come dicevano i greci). Che sia tipo un cerchio che si chiude nella meraviglia?

Ad oggi il silenzio "non mi piace" perchè sinceramente non ho ancora "dimostrato" che ci deve essere. Perchè se il silenzio entra la filosofia deve finire... E ancora nessun "silenzio" mi ha convinto. Pur chiaramente essendo la "pace". Il problema che ogni "silenzio" che ho incontrato non mi sembra pienamente soddisfacente.... Quello "trovato" da W. sembra una sorta di "nulla".

@Sariputra: usa pure il sanscrito, il Pali l'ho usato io per denotare i concetti propri del Buddismo più vicino (forse) all'originale, il Theravada :)

INIZIO OT ("off-topic") :

Comunque ammiro  Buddha, Wittgenstein, Anassimandro (Apeiron :) ), Kant, Berkeley, Schopenhauer, Nietzsche ecc, tuttavia secondo me sono tutti "perfezionabili".

Nietzsche: " Noi, aeronauti dello spirito! - Tutti questi temerari uccelli che volano là in lontananza, in estrema lontananza, - di sicuro! a un certo punto non potranno più andar oltre e si appollaieranno sull'albero di una nave o su un piccolo scoglio - e grati per giunta di questo misero rifugio! Ma a chi sarebbe lecito trarne la conclusione che dinanzi a loro non c'è nessuna immensa, libera via, che essi sono volati tanto lontano quanto si può volare! Tutti i nostri grandi maestri e precursori hanno finito per arrestarsi, e non è il gesto più nobile e leggiadro quello con cui la stanchezza si arresta: anche a me e a te accadrà così! Ma cosa importa di me e di te! Altri uccelli voleranno oltre! Questa nostra consapevolezza e fiducia spicca il volo con essi facendo a gara nel volare in alto, sale a picco sul nostro capo e oltre la sua impotenza, lassù in alto, e di là guarda nella lontananza, antivede stormi d'uccelli molto più possenti di quel che siamo noi, che aneleranno quel che noi anelammo, in quella direzione dove tutto è ancora mare, mare, mare! - E dove vogliamo dunque arrivare? Al di là del mare? Dove ci trascina questa potente brama, che per noi è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché proprio in questa direzione, laggiù dove fino ad oggi sono tramontati tutti i soli dell'umanità? Si dirà forse un giorno di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere le Indie, - ma che nostro destino fu quello di naufragare nell'infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure? -"

Wittgenstein si è avvicnato alla religione fin dal 1912 (quando ancora era studente di Russell, prima della guerra e del Tractatus) e poi è sempre stato "quasi religioso" per tutta la vita.

FINE OT
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 18:25:03 PM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 12:49:36 PM
Citazione di: Jean il 27 Ottobre 2016, 12:39:48 PMEh, Sari... complimenti per il punto 4, si potrebbe dire reale (in quanto una delle ipotesi) ma non rappresentato... Certo che se il suocero di sgiombo si chiamava Teseo... (Il vino di Teseo... suona bene) si complicherebbe ancor più la faccenda del tuo topic... con la presenza che perdura nonostante l'assenza...

Il suocero di Sgiombo è come il noumeno: Non c'èma nello stesso tempo c'è, ma possiamo rappresentarcelo sotto forma del vino novello... ;D
CitazioneFra l' altro ne sarebbe (o ne é? Beh fate voi...) contento
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: davintro il 27 Ottobre 2016, 18:35:14 PM
Green demetr scrive

"Per me la trascendenza non può venire dal "DAS DING" alias l'oggetto prima che si dia alla percezione.
La tua teoria della sintesi passiva husserliana oggi va molto di moda.

Di certo concordiamo fortemente sul carattere di sintesi, ci discostiamo su quale sia il ruolo del percetto, passivo come nella tua teoria, o attivo come nella teoria classica dell'idealismo da Kant in poi.

Per noi metafisici essendo la trascendenza Dio (un Dio inconoscibile sia chiaro) la sintesi non potrà essere che epifania dello svolgimento del mondo storico reale. (Hegel)

In Husserl o in te sembra quasi ribaltato il procedimento per cui è lo scontro dialettico col reale, a determinare il valore della sintesi, e non quello esperenziale.
E per cui appunto l'esperenziale è questo scontro cieco con la Natura in fin dei conti.("




In realtà, nella "mia posizione" la percezione non è un vissuto passivo, ma attivo. Anzi, proprio il carattere attivo, o meglio intenzionale, della percezione, rende possibile il discorso realista sull'autonomia degli oggetti percepiti rispetto all'Io percepiente, anche se capisco che messo così il discorso può apparire paradossale. L'autonomia è costituita dalla capacità degli oggetti di comunicare stimoli all'Io, che si trova  costretto, come nel mio esempio del signore che corregge la sua percezione sulla persona davanti a lui coi capelli lunghi, a modificare gli schemi associativi che regolano le sintesi percettive. Ma perchè ci siano modifiche occorre che ci sia qualcosa che subisce tale modifica, nello specifico, la "presunzione" da parte della percezione della corrispondenza tra il proprio contenuto fenomenico e la realtà oggettiva trascendente. Cioè, non ci sarebbe alcuna necessità di modificare i nostri schemi associativi che la percezione utilizza se quest'ultima si limitasse a registrare passivamente ciò che la sensazione comunica. Al contrario la modifica degli schemi diviene necessaria nel momento in cui quegli schemi si sono rivelati inefficaci al fine dell'apprensione della realtà oggettiva, e tale rivelazione si riferisce al tentativo del soggetto percepiente di operare una sintesi anticipativa, di unire sinteticamente il lato dell'oggetto che cade attualmente sotto i nostri occhi, con i lati dell'oggetto nascosti, come il volto di una persona di cui per ora vediamo di spalle, ma che nel futuro, modificando la posizione spaziale del nostro corpo nei confronti dell'oggetto percepito o dell'oggetto percepito stesso, diverebbero contenuti percettivi attuali. Io riconosco che gli schemi associativi erano inadeguati perchè essi hanno portato a elaborare delle anticipazioni sulla forma complessiva e unitaria dell'oggetto che i nuovi dati sensitivi hanno mostrato come inadeguati. Se invece la percezione fosse passività, mera risultante o sommatoria passiva dell'accumulo di sensazioni provenienti dall'esterno che entrano in contatto con la nostra soggettività, allora essa dovrebbe limitarsi ad un'espansione quantitativa, qualcosa che s'ingrandisce quanto più le sensazioni presentano nuovi dati, mentre resterebbe inspiegata la necessità, che invece riconosciamo come costante e concreta, di una riformulazione qualitativa dei nostri schemi associativi ed aspettative sulla realtà fenomenica. Noi modifichiamo le nostre aspettative perchè queste aspettative le abbiamo, le abbiamo perchè la percezione non si limita ad apprendere il lato dell'oggetto che abbiamo sotto gli occhi, ma lo trascende elaborando la visione dell'oggetto nella sua interezza, comprendente anche i lati per ora nascosti, e questa tensione verso il trascendimento del "qui e ora" è un'attiva presa si posizione del soggetto sulla realtà, cioè ciò che va inteso come "intenzionalità".

Dunque la percezione è attività intenzionale, ma proprio perchè tale, cioè rivolta a dare un senso oggettivo all'esperienza del reale non può essere arbitrarietà, ma motivazionalità regolata dalla passività delle sensazioni che l'oggetto ci comunica. Ragion per cui, trovo fuori luogo le posizioni di tutti coloro che hanno visto la dottrina husserliana fenomenologica della coscienza intenzionale come il ritorno a un idealismo soggettivo, invece penso che sia un realismo critico la posizione gnoseologia più coerente con tale dottrina, almeno per quello che mi è sembrato di comprendere della fenomenologia husserliana
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 19:13:16 PM
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PM
Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AM
N. B.:

QUESTA CITAZIONE E' DA APEIRON, NON DA GREEN DEMETR (sono imbranato e non riesco a togliere l' intestazione. Abbiate pazienza)

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto.


CitazioneMa se é per questo, allora anche parlando delle (presunte, credibili ma non dimostrabili né tantomeno mostrabili) esperienze coscienti "altre" (oltre la "propria" effettivamente avvertita) vorremmo descrivere qualcosa di cui non possiamo avere esperienza.

Anche  le (presunte, credibili ma non dimostrabili né tantomeno mostrabili) esperienze coscienti "altre" (oltre la "propria" effettivamente avvertita) sono qualcosa che è "oltre" l'esperienza praticabile e descrivibile, quindi a rigore non può essere descritto.

Considera il famoso esperimento mentale dello "spettro cromatico invertito": perché ciò che io vedo come rosso nella tua esperienza cosciente non potrebbe essere verde e viceversa? Se così fosse non cambierebbe proprio nulla nella nostra comunicazione verbale (e dunque non si può verificare e stabilire se lo é o meno).
Ma anche questo esperimento mentale é solo un modo di alludere a qualcosa di non dicibile letteralmente: semplicemente, come mi piace dire, "non si può sbirciare in altre esperienze fenomeniche coscienti" (oltre la "propria" effettivamente apparente) per vedere se, in che misura, limitatamente a che sono uguali o no alla propria.
Dunque, oltre a non essere dimostrabile né mostrabile (ma credibile solo per fede, per quanto questa parola possa dispiacere) la loro reale esistenza, non ha senso chiedersi se i loro contenuti materiali, considerabili (e non dimostrabili né mostrabili nemmeno limitatamente a ciò) intersoggettivi siano uguali o diversi dai "nostri propri".
Perché la conoscenza scientifica (vera) sia possibile é necessario che siano reciprocamente corrispondenti (questo significa "intersoggetivi"): per una certa sfumatura di rosso e una certa forma di un certo oggetto nella mia propria esperienza fenomenica cosciente esiste una e una sola certa sfumatura di rosso e una e una sola certa forma di uno e un solo certo oggetto nella tua esperienza fenomenica cosciente e in quella di chiunque altro si collochi nelle opportune condizioni così da poterlo vedere; ma non é possibile accostare il mio "rosso" di tale oggetto al tuo nel modo (nel senso) in cui nella coscienza di ciascuno di noi é possibile, accostando gli oggetti, confrontarlo al "rosso, uguale, oppure un po' più chiaro o più scuro o più tendente all' arancione o al viola" di un altro oggetto: ciò che io chiamo "rosso" corrisponde biunivocamente a ciò che tu e chiunque altro non daltonico chiama "rosso", punto e basta. Confrontarli non é possibile, parlare a loro proposito di uguaglianza o meno non ha senso.

Se non ritieni sensato parlare del noumeno, allora inevitabilmente dovresti allo stesso modo non ritenere sensato parlare nemmeno dei contenuti di altre esperienze fenomeniche oltre alla "propria", le quali é possibile (non dimostrabile né mostrabile) ritenere esistere (oltre che ritenere -sempre arbitrariamente, fideisticamente- che quelli materiali fra di essi siano intersoggettivi) e che comunque più né meno del noumeno, se reali, sono trascendenti la "propria", l' unica effettivamente esperita, sentita, constata.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 27 Ottobre 2016, 21:24:00 PM
Credo sia anche lecito chiedersi (forse è una radicalizzazione di quanto osserva sgiombo): gli altri esseri umani non fanno parte del noumeno? Non sono essi stessi qualcosa che identifico (parlandone), percepisco (mi vengono rappresentati dai sensi), interpreto (relazionandomici), esattamente come faccio con altri oggetti esterni ed estranei alla mia autocoscienza?

L'intersoggettività (che vuole slanciarsi oltre il solipsismo) mette in salvo "gli altri umani" dall'inattingibilità del noumeno, ma come dimostrare che in fondo non siano anch'essi "noumenici"?
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 28 Ottobre 2016, 10:52:45 AM
Citazione di: davintro il 27 Ottobre 2016, 18:35:14 PM
Green demetr scrive

"Per me la trascendenza non può venire dal "DAS DING" alias l'oggetto prima che si dia alla percezione.
La tua teoria della sintesi passiva husserliana oggi va molto di moda.

Di certo concordiamo fortemente sul carattere di sintesi, ci discostiamo su quale sia il ruolo del percetto, passivo come nella tua teoria, o attivo come nella teoria classica dell'idealismo da Kant in poi.

Per noi metafisici essendo la trascendenza Dio (un Dio inconoscibile sia chiaro) la sintesi non potrà essere che epifania dello svolgimento del mondo storico reale. (Hegel)

In Husserl o in te sembra quasi ribaltato il procedimento per cui è lo scontro dialettico col reale, a determinare il valore della sintesi, e non quello esperenziale.
E per cui appunto l'esperenziale è questo scontro cieco con la Natura in fin dei conti.("




In realtà, nella "mia posizione" la percezione non è un vissuto passivo, ma attivo. Anzi, proprio il carattere attivo, o meglio intenzionale, della percezione, rende possibile il discorso realista sull'autonomia degli oggetti percepiti rispetto all'Io percepiente, anche se capisco che messo così il discorso può apparire paradossale. L'autonomia è costituita dalla capacità degli oggetti di comunicare stimoli all'Io, che si trova  costretto, come nel mio esempio del signore che corregge la sua percezione sulla persona davanti a lui coi capelli lunghi, a modificare gli schemi associativi che regolano le sintesi percettive. Ma perchè ci siano modifiche occorre che ci sia qualcosa che subisce tale modifica, nello specifico, la "presunzione" da parte della percezione della corrispondenza tra il proprio contenuto fenomenico e la realtà oggettiva trascendente. Cioè, non ci sarebbe alcuna necessità di modificare i nostri schemi associativi che la percezione utilizza se quest'ultima si limitasse a registrare passivamente ciò che la sensazione comunica. Al contrario la modifica degli schemi diviene necessaria nel momento in cui quegli schemi si sono rivelati inefficaci al fine dell'apprensione della realtà oggettiva, e tale rivelazione si riferisce al tentativo del soggetto percepiente di operare una sintesi anticipativa, di unire sinteticamente il lato dell'oggetto che cade attualmente sotto i nostri occhi, con i lati dell'oggetto nascosti, come il volto di una persona di cui per ora vediamo di spalle, ma che nel futuro, modificando la posizione spaziale del nostro corpo nei confronti dell'oggetto percepito o dell'oggetto percepito stesso, diverebbero contenuti percettivi attuali. Io riconosco che gli schemi associativi erano inadeguati perchè essi hanno portato a elaborare delle anticipazioni sulla forma complessiva e unitaria dell'oggetto che i nuovi dati sensitivi hanno mostrato come inadeguati. Se invece la percezione fosse passività, mera risultante o sommatoria passiva dell'accumulo di sensazioni provenienti dall'esterno che entrano in contatto con la nostra soggettività, allora essa dovrebbe limitarsi ad un'espansione quantitativa, qualcosa che s'ingrandisce quanto più le sensazioni presentano nuovi dati, mentre resterebbe inspiegata la necessità, che invece riconosciamo come costante e concreta, di una riformulazione qualitativa dei nostri schemi associativi ed aspettative sulla realtà fenomenica. Noi modifichiamo le nostre aspettative perchè queste aspettative le abbiamo, le abbiamo perchè la percezione non si limita ad apprendere il lato dell'oggetto che abbiamo sotto gli occhi, ma lo trascende elaborando la visione dell'oggetto nella sua interezza, comprendente anche i lati per ora nascosti, e questa tensione verso il trascendimento del "qui e ora" è un'attiva presa si posizione del soggetto sulla realtà, cioè ciò che va inteso come "intenzionalità".

Dunque la percezione è attività intenzionale, ma proprio perchè tale, cioè rivolta a dare un senso oggettivo all'esperienza del reale non può essere arbitrarietà, ma motivazionalità regolata dalla passività delle sensazioni che l'oggetto ci comunica. Ragion per cui, trovo fuori luogo le posizioni di tutti coloro che hanno visto la dottrina husserliana fenomenologica della coscienza intenzionale come il ritorno a un idealismo soggettivo, invece penso che sia un realismo critico la posizione gnoseologia più coerente con tale dottrina, almeno per quello che mi è sembrato di comprendere della fenomenologia husserliana


A mio parere fai il solito errore su cosa sia l'idealismo, che non è una posizione rappresentazionalista monista, ma piuttosto una RIVELAZIONE STORICA.

Infatti la posizione critica gnoseologica dell'intenzionalità, è identica, e concordiamo totalmente.

Non concordiamo, o io non concordo su Husserl (visto che in realtà mi sembri anche tu d'accordo sul carattere positivo della sintesi), sul carattere passivo della sintesi. Per Husserl l'oggetto chiede di essere visto in un determinto delta di tempo. Questa mossa, insensata a mio parere, serve al filosofo proprio per evitare una forma trascendente, in cui anche l'io si formi in quanto "proiezione divina", e dunque per stare in una dimensione totalmente anti-metafisica, di sospensione del mondo.

Questo trascendentismo idealista probabilmente viene scambiato come solispsimo percettivo, quando invece è il contrario.
Il trascendente viene dato come epifania proprio nel suo scontro con il reale. Quindi tra Noumeno (cosa in sè) e Dio si situerebbe l'uomo, con la sua intenzionalità attiva.

Per Husserl non esistendo alcun Dio fra L'uomo e il noumeno si porrebbe una dimensione (non so quanto critica, a me pare ugualmente metafisica) intenzionale ribaltata, come se fosse l'oggetto a volersi far conoscere, e non come se l'uomo volesse conoscersi tramite la negazione storica delle sue intezioni.(ma allora dico io è come se fosse l'oggetto DIO. non so se mi spiego).

Ora io non so se questo sia anche il tuo caso, non riesco a desumerlo dalla tua posizione, che mi sembre "semplicemente" quella di salvare il reale in maniera critica. Se la limitiamo solo a quello, senza aprire appunto il problema del trascendente o metafisico che sia, siamo in totale accordo.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:02:42 AM
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PM

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto. E qui prova a pensare alla dottrina del Dio creatore: fintantochè riesci a immaginarti  ad esempio un Dio che "crea" le cose in modo simile ad un artigiano allora ok. Quando però dici "Dio crea dal nulla" beh credo che questa proposizione sia per così dire priva di senso, perchè appunto la parola "creazione" si riferisce all'esperienza ordinaria e la parola "nulla" è maldefinita. E se poi ti chiedi se Dio è un fenomeno o un noumeno non ne esci.

Riprendendo Wittgenstein: Non come il mondo è, è il mistico ma che esso è.



Esatto, quella che descrivi è la mia posizione. Tranne l'ultima, in cui parli di un DIO ex-machina alla Leibniz., Locke etc..

A mio avviso anche DIO è inconoscibile, ed esattamente come per l'oggetto noi possiamo DESUMERLO dal processo storico di RIVELAZIONE, come epifania però in questo caso, non rappresentazione, ma come apertura di senso, UGUALMENTE PER NEGAZIONE nel suo processo di somma cognitiva del manifestantesi, ora e adesso, nel qui. (essendo freudiano, per somma cognitiva intendo anche quella onirica, inconscia).


Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM

Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 11:14:29 AM
Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

Ah!...I pregiudizi, i pregiudizi...cosa dovremmo dire allora del buon Friedrich ?...Mah!  ;)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:28:48 AM
Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 11:14:29 AM
Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

Ah!...I pregiudizi, i pregiudizi...cosa dovremmo dire allora del buon Friedrich ?...Mah!  ;)

Cosa intendi?  :)

Si insomma non avendolo ancora capito bene, mi astengo, però il dubbio allo stato attuale mi rimane.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 11:37:49 AM
Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:28:48 AM
Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 11:14:29 AM
Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).
Ah!...I pregiudizi, i pregiudizi...cosa dovremmo dire allora del buon Friedrich ?...Mah! ;)
Cosa intendi? :) Si insomma non avendolo ancora capito bene, mi astengo, però il dubbio allo stato attuale mi rimane.

Intendo dire  che, se hai dei pregiudizi sul Wittgenstein filosofo perchè lo ritieni disturbato psichicamente, dovresti averli anche sul Nietzsche filosofo che non godeva umanamente di molta serenità mentale, per dirla con un eufemismo. Tutto qua.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 13:47:39 PM
Sgiombo, molto giustamente, scrive che il "solipsismo" non è superabile razionalmente ma solo assumendo fideisticamente la verità di alcune tesi indimostrabili, né direttamente constatabili empiricamente.
Fondamentalmente, ritengo che tale assunto sia corretto, ma vorrei fare qualche ulteriore osservazione al riguardo.
In effetti, noi partiamo dal presupposto -sia pure fideistico- che il "mondo noumenico", se esiste, sia, in senso lato, la "causa" del "mondo fenomenico"; e, questo, sia in generale che per quanto concerne ogni singolo fenomeno.
Il problema è che noi possiamo riscontrare il nesso di causa-effetto, solo sul piano fenomenico; ad esempio, il fenomeno "fuoco" provoca (cioè è causa) del fenomeno "calore"...e così per i rapporti che intercorrono tra tutti gli altri fenomeni.
Sebbene lo stesso concetto di "causa" sia messo da molti in discussione.
Ma ammettendo pure che i fenomeni siano tra loro legati da un nesso causale...estendere tale nesso ad un altro piano -quello noumenico-, asserendo che c'è un "albero in sè" (inconoscibile), che "provoca" la mia "idea di albero" (essendone la causa), o meglio, la mia "immagine mentale di albero", secondo me, costuisce un'illazione logica illecita; dico questo, perchè, cos' facendo, trasponiamo il "rapporto di causa effetto" dall'unico piano (fenomenico) in cui possiamo sperimentarlo e verificarlo, ad un rapporto tra due diversi piani ("noumenico" quale causa del "fenomenico").
Il che, appunto, è non solo indimostrabile (perchè l'albero potrebbe essere un miraggio), ma, mi sembra, anche logicamente alquanto improprio, trattandosi di una conclusione che non nasce da alcuna premessa valida; anzi, da premesse errate.
Ed invero, a parte il fatto che l'"esistenza del mondo noumenico" è indimostrabile, anche ammesso che esso esistesse (il che è indubbiamente possibile), non mi sembra invece possibile che esso possa avere un rapporto di causa-effetto con un altro mondo, quello fenomenico; questo, perchè tale (dubbio) rapporto di causa-effetto, noi lo riscontriamo solo sul piano fenomenico.
Per fare un esempio un po' forzato, sarebbe come dire che, poichè vediamo che gli esseri umani vengono generati da altri esseri umani, il primo essere umano è stato generato dall'accoppiamento di due angeli.
Lungi da me, peraltro, dire che questo dimostri la validità del "solipsismo" inteso in senso stretto; perchè, inteso in tal senso, esso è secondo me "autocontraddittorio".
Ed infatti, il mondo non può essere un sogno di Pippo Pippi, impiegato del catasto, perchè tutte le sue "differenze specifiche" (sesso, età, codice fiscale ecc.) implicherebbero che il mondo non può essere sognato da lui come singolo individuo; sarebbe un controsenso.
Semmai, potrebbe essere il "sogno di Dio", come sosteneva Berkeley...o meglio ancora un'unica realtà monistica, secondo la visione idealistica Vedanta (per la quale propendo).
Ma questo è un altro tema.
:)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 28 Ottobre 2016, 14:24:51 PM
Citazione di: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 13:47:39 PM
Sgiombo, molto giustamente, scrive che il "solipsismo" non è superabile razionalmente ma solo assumendo fideisticamente la verità di alcune tesi indimostrabili, né direttamente constatabili empiricamente.
Fondamentalmente, ritengo che tale assunto sia corretto, ma vorrei fare qualche ulteriore osservazione al riguardo.
In effetti, noi partiamo dal presupposto -sia pure fideistico- che il "mondo noumenico", se esiste, sia, in senso lato, la "causa" del "mondo fenomenico"; e, questo, sia in generale che per quanto concerne ogni singolo fenomeno.
Il problema è che noi possiamo riscontrare il nesso di causa-effetto, solo sul piano fenomenico; ad esempio, il fenomeno "fuoco" provoca (cioè è causa) del fenomeno "calore"...e così per i rapporti che intercorrono tra tutti gli altri fenomeni.
Sebbene lo stesso concetto di "causa" sia messo da molti in discussione.
Ma ammettendo pure che i fenomeni siano tra loro legati da un nesso causale...estendere tale nesso ad un altro piano -quello noumenico-, asserendo che c'è un "albero in sè" (inconoscibile), che "provoca" la mia "idea di albero" (essendone la causa), o meglio, la mia "immagine mentale di albero", secondo me, costuisce un'illazione logica illecita; dico questo, perchè, cos' facendo, trasponiamo il "rapporto di causa effetto" dall'unico piano (fenomenico) in cui possiamo sperimentarlo e verificarlo, ad un rapporto tra due diversi piani ("noumenico" quale causa del "fenomenico").
Il che, appunto, è non solo indimostrabile (perchè l'albero potrebbe essere un miraggio), ma, mi sembra, anche logicamente alquanto improprio, trattandosi di una conclusione che non nasce da alcuna premessa valida; anzi, da premesse errate.
Ed invero, a parte il fatto che l'"esistenza del mondo noumenico" è indimostrabile, anche ammesso che esso esistesse (il che è indubbiamente possibile), non mi sembra invece possibile che esso possa avere un rapporto di causa-effetto con un altro mondo, quello fenomenico; questo, perchè tale (dubbio) rapporto di causa-effetto, noi lo riscontriamo solo sul piano fenomenico.
Per fare un esempio un po' forzato, sarebbe come dire che, poichè vediamo che gli esseri umani vengono generati da altri esseri umani, il primo essere umano è stato generato dall'accoppiamento di due angeli.

CitazioneConcordo pressocché completamente.

I nessi causa-effetto (indimostrabili come rilevato da Hume) hanno senso nel solo mondo fenomenico (e secondo me hanno "pienamente senso in -orrible gioco di parole!- senso stretto" solo nella sua componete materiale (le "res extensa" intesa fenomenicamente).
Anzi, un principio irrinunciabile della scienza (per chi, come me, la ritiene possibile e vera, almeno limitatamente e salvo errori od omissioni) é la chiusura causale del mondo fisico (fenomenico).

Le ipotesi che, a quanto mi par di capire sconcertando molti e convincendo pochissimi o nessuno nel forum, avanzo sul noumeno non implicano propriamente una "causazione" da parte di quest' ultimo dei fenomeni; almeno nel senso che non si possono dare per definizione "leggi naturali", fisiche (ma casomai -ammesso e non concesso- "metafisiche", letteralmente) che descrivano (o in un certo senso prescrivano) rapporti di causalità fra noumeno e fenomeni; secondo me si possono semplicemente ipotizzare (e, volendo, credere indimostrabilmente né mostrabilmente) rapporti di corrispondenza biunivoca fra ogni esperienza fenomenica cosciente e noumeno (e transitivamente poliunivoche fra tutte le sperienze fenomeniche coscienti, limitatamente alle loro componenti materiali, intersoggettive).

Lungi da me, peraltro, dire che questo dimostri la validità del "solipsismo" inteso in senso stretto; perchè, inteso in tal senso, esso è secondo me "autocontraddittorio".
Ed infatti, il mondo non può essere un sogno di Pippo Pippi, impiegato del catasto, perchè tutte le sue "differenze specifiche" (sesso, età, codice fiscale ecc.) implicherebbero che il mondo non può essere sognato da lui come singolo individuo; sarebbe un controsenso.
Semmai, potrebbe essere il "sogno di Dio", come sosteneva Berkeley...o meglio ancora un'unica realtà monistica, secondo la visione idealistica Vedanta (per la quale propendo).
Ma questo è un altro tema.
:)

CitazioneNon comprendo invece questa affermazione di autocontraddittorietà del solipsismo, che secondo me é una forma leggermente meno drastica di scetticismo (rispetto a uno scetticismo integrale per il quale tutto é dubbio, anche l' immediatamente constatato "solipsisticamente") non superabile razionalmente.

A me sembra che un qualunque Pippo Pippi, impiegato del catasto, non abbia ragioni per essere sicuro che tutta la realtà non si esaurisca nelle sue sensazioni.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 15:32:21 PM
Sgiombo scrive:

A me sembra che un qualunque Pippo Pippi, impiegato del catasto, non abbia ragioni per essere sicuro che tutta la realtà non si esaurisca nelle sue sensazioni.

Sari scrive:

Appunto, non potrà avere "ragioni" ma troverei Pippo Pippi alquanto coione ( termine filosofico desueto...) se , essendo causa del suo mondo, si affannasse a costruirselo pieno di sensazioni di sofferenza, che via via incontra, giorno dopo giorno, nella sua vita di impiegato del catasto. Essendo inconsciamente e razionalmente portato a cercare il piacere e a  fuggire il dolore, non sarebbe molto logico il suo agire in senso contrario alle sue pulsioni più profonde. Forse solo ipotizzando una sorta di masochismo solipsistico avrebbe un senso.
Direi che, nel mentre non ci sono dimostrazioni possibili che il tutto non si esaurisca nel sogno di Pippo Pippi, c'è un istintivo intuire pre-logico che così non può essere ( un intuire da persona comunemente designata come "sana di mente") e infatti agiamo tutti sulla base di questa intuizione pre-logica, azzuffandoci come se Pippo Pippi fosse veramente solo un comune impiegato del catasto.  
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 15:39:46 PM
Caro Sgiombo, io intendevo riferirmi al "solipsismo" in senso stretto (o "riduttivo" che dir si voglia); cioè, all'assunto che l'intero universo sia il sogno dello specifico individuo Pippo Pippi.
Tale assunto, secondo me, è in sè stesso contraddittorio, perchè se partiamo dal presupposto che tutto sia il sogno di uno specifico individuo Pippo Pippi (un "jīva", secondo la terminologia indiana), allora i casi sono due:
a) O Pippo Pippo esiste davvero, come un individuo che viene aristotelicamente definito "per differenza specifica" rispetto ad altri individi (ed entità) aventi autonoma e indipendente esistenza in un esistente mondo reale, e allora, qualunque cosa lui si sogni, esiste anche il mondo materiale intorno a lui, che lo determina specificatamente in quanto Pippo Pippi; 
b) Oppure il mondo reale non esiste, e allora non può esistere neanche "Pippo Pippi" che sta lì a sognarselo, bensì esiste una SOLA MENTE che trascende lui e tutto il resto, e sogna (rectius: "è")il TUTTO, illusorie differenze specifiche comprese;
Nel caso b) si perviene ad una concezione "latu sensu" idealistica, mentre nel caso a) ad una concezione "latu sensu"  materialistica...ma in entrambi i casi non c'è spazio per il "solipsismo" riduttivo, che sarebbe un assurdo e contraddittorio "miscuglio" tra le due cose.
No so se questa volta sono riuscito a spiegarmi meglio (ammesso che quello che io dico abbia un senso).
:)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 28 Ottobre 2016, 19:34:54 PM
Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 15:32:21 PMnon potrà avere "ragioni" ma troverei Pippo Pippi alquanto coione ( termine filosofico desueto...) se , essendo causa del suo mondo, si affannasse a costruirselo pieno di sensazioni di sofferenza
Distinguerei l'essere-percipiente, l'essere-"ingegnere della percezione" e l'essere-causa: percepisci qualcosa e di questa tua percezione non dubiti (puoi invece dubitare della realtà dell'esterno alla percezione o di quanto tale percezione sia affidabile), ma ciò non significa che tu possa progettarla e decidere che tipo di percezione essa debba essere (piacevole o spiacevole), tantomeno che tu sia la causa della percezione... l'impiegato catastale solipsista Pippo Pippi non è causa del suo mondo (sgiombo mi correggerà se fraintendo la sua affermazione), piuttosto non si fida ciecamente del fatto che ci sia un mondo (e di come sia tale mondo) che lo circonda nell'infinito spazio-temporale...

Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 15:32:21 PMc'è un istintivo intuire pre-logico che così non può essere ( un intuire da persona comunemente designata come "sana di mente") e infatti agiamo tutti sulla base di questa intuizione pre-logica, azzuffandoci come se Pippo Pippi fosse veramente solo un comune impiegato del catasto.
L'essere "sani di mente" ha un suo legame con il senso comune, il che invita a prenderlo con la dovuta circospezione: i "sani di mente" erano anche quelli che vedevano il sole muoversi in cielo e lo interpretavano come un suo moto (invece era solo apparente); i "sani di mente" pensavano che fosse impossibile arrivare in america in 6-7 ore o parlare in tempo reale con persone a migliaia di chilometri di distanza; i "sani di mente" pensavano che il ruolo della donna dovesse inevitabilmente essere quello di "angelo del focolare", che la democrazia avrebbe fatto contento tutto il popolo e che ci fosse una sola verità... i "sani di mente" sono i primi a restare un passo indietro, anche se nessuno di loro resta mai solo...


Citazione di: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 15:39:46 PMperchè se partiamo dal presupposto che tutto sia il sogno di uno specifico individuo Pippo Pippi [...] allora i casi sono due: 
Se partiamo dal suddetto presupposto i due casi seguenti sono contraddittori al presupposto (e viceversa!), per cui si tratta solo di stabilire di chi ci fidiamo di più, per poi dedurre chi falsifica chi (con dimostrazione "per assurdo"). Tuttavia, in ottica solipsista, un'argomentazione del genere (supponiamo che Tizio sogni, etc.) non ha senso, perchè si dubita, a monte, che ci sia un Tizio-che-non-sono-io (altrimenti non si è davvero solipsisti  ;) ).

Ciò premesso, affrontiamo la questione da una prospettiva non-solipsistica:
Citazione di: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 15:39:46 PMa) O Pippo Pippo esiste davvero, come un individuo che viene aristotelicamente definito "per differenza specifica" rispetto ad altri individi (ed entità) aventi autonoma e indipendente esistenza in un esistente mondo reale, [...] 
b) Oppure il mondo reale non esiste, e allora non può esistere neanche "Pippo Pippi" che sta lì a sognarselo, bensì esiste una SOLA MENTE che trascende lui e tutto il resto, e sogna (rectius: "è")il TUTTO
Se fossi Pippo, proporrei una "variazione catastale" delle due posizioni:
a-bis) esisto, in quanto Pippo (il celeberrimo "pippo ergo sum"), ma la reale esistenza del mondo di cui mi fido è confinata in ciò che esperisco... e potrei persino sbagliarmi... 
b-bis) esisto, altrimenti non potrei fare queste riflessioni (o non potrei darmi una bastonata), ma sull'esistenza reale del mondo sono diffidente (sogno o son desto? Direi che comunque non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...)


P.s. 
Mi diletto a fare l'avvocato dello scetticismo e dell'impiegato catastale solipsista, ma, fuori dal forum (ovvero "fuorum"  ;D ), sono, per pigrizia e comodità, un "sano di mente" (il "gioco della società" ha le sue regole e, per ora, preferisco stare al gioco...).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 28 Ottobre 2016, 21:19:42 PM
Citazione di: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 15:39:46 PM
CitazioneSgiombo scrive:

A me sembra che un qualunque Pippo Pippi, impiegato del catasto, non abbia ragioni per essere sicuro che tutta la realtà non si esaurisca nelle sue sensazioni.

Sari scrive:

Appunto, non potrà avere "ragioni" ma troverei Pippo Pippi alquanto coione ( termine filosofico desueto...) se , essendo causa del suo mondo, si affannasse a costruirselo pieno di sensazioni di sofferenza, che via via incontra, giorno dopo giorno, nella sua vita di impiegato del catasto. Essendo inconsciamente e razionalmente portato a cercare il piacere e a  fuggire il dolore, non sarebbe molto logico il suo agire in senso contrario alle sue pulsioni più profonde. Forse solo ipotizzando una sorta di masochismo solipsistico avrebbe un senso.
Direi che, nel mentre non ci sono dimostrazioni possibili che il tutto non si esaurisca nel sogno di Pippo Pippi, c'è un istintivo intuire pre-logico che così non può essere ( un intuire da persona comunemente designata come "sana di mente") e infatti agiamo tutti sulla base di questa intuizione pre-logica, azzuffandoci come se Pippo Pippi fosse veramente solo un comune impiegato del catasto.  

Caro Sgiombo, io intendevo riferirmi al "
solipsismo" in senso stretto (o "riduttivo" che dir si voglia); cioè, all'assunto che l'intero universo sia il sogno dello specifico individuo Pippo Pippi.
Eutidemo:
Tale assunto, secondo me, è in sè stesso contraddittorio, perchè se partiamo dal presupposto che tutto sia il sogno di uno specifico individuo Pippo Pippi (un "jīva", secondo la terminologia indiana), allora i casi sono due:
a) O Pippo Pippo esiste davvero, come un individuo che viene aristotelicamente definito "per differenza specifica" rispetto ad altri individi (ed entità) aventi autonoma e indipendente esistenza in un esistente mondo reale, e allora, qualunque cosa lui si sogni, esiste anche il mondo materiale intorno a lui, che lo determina specificatamente in quanto Pippo Pippi;
b) Oppure il mondo reale non esiste, e allora non può esistere neanche "Pippo Pippi" che sta lì a sognarselo, bensì esiste una SOLA MENTE che trascende lui e tutto il resto, e sogna (rectius: "è")il TUTTO, illusorie differenze specifiche comprese;
Nel caso b) si perviene ad una concezione "latu sensu" idealistica, mentre nel caso a) ad una concezione "latu sensu"  materialistica...ma in entrambi i casi non c'è spazio per il "solipsismo" riduttivo, che sarebbe un assurdo e contraddittorio "miscuglio" tra le due cose.
No so se questa volta sono riuscito a spiegarmi meglio (ammesso che quello che io dico abbia un senso).

CitazioneRispondo (Sgiombo):

Il "solipsismo" di cui parlo io è probabilmente un tantino diverso da ciò che comunemente si intende con questa parole (avrei dovuto precisarlo chiaramente, mi scuso per non averlo fatto prima e cerco di farlo ora).

Parlando di solipsismo mi riferisco unicamente all' esperienza fenomenica cosciente effettivamente ed immediatamente sentita, "questa propria", prescindendo (e qui appunto derogo dal comune significato attribuito solitamente alla parola) dall' eventuale esistenza anche di un soggetto reale di essa da essa stessa distinto (che, allo stesso modo degli eventuali oggetti, sarebbe qualcosa di "in sé", noumeno e non fenomeni).
Il primo, il minimo possibile passo nella negazione (irrazionale, non provabile logicamente né empiricamente ) dello scetticismo è appunto costituito dalla credenza in "questa propria -la- esperienza fenomenica cosciente.
Il passo immediatamente successivo è costituito dalla credenza nella realtà in sé; la quale può comprendere il soggetto di questa esperienza cosciente e magari anche gli oggetti di essa (fra i quali ultimi si possono considerare anche altri soggetti di altre eventuali esperienze fenomeniche coscienti; le quali peraltro potrebbero anche essere ipotizzate accadere realmente anch' esse senza i rispettivi soggetti).
Se ammettiamo che esista realmente quell' esperienza fenomenica cosciente di Pippo Pippi", allora nell' ambito di essa può credersi all' esistenza di essa stessa, e può credersi come ipotesi plausibile e non negabile con certezza (nel suo ambito, non da parte nostra) che la realtà in toto sia limitata ad essa stessa (l' esperienza fenomenica cosciente di Pippo Pippi) e nient' altro. L' esistenza della cosa in sé "Pippo Pippi" soggetto dei essa è un' ulteriore ipotesi non provabile né constatabile empiricamente (ed effettivamente per "solipsismo" solitamente si intende il credere al reale accadere di un' esperienza fenomenica cosciente, come quella di Pippo Pippi, e inoltre anche del suo soggetto, .nel nostro caso Pippo Pippi stesso).

Nell' accezione che alquanto impropriamente impiego di "solipsismo" (potremmo più propriamente chiamarla "solipsismo fenomenico"), Pippo Pippi soggetto in sé di tale esperienza, non esistendo, a maggior ragione non può stabilire a suo piacimento in cosa consistano i contenuti fenomenici di essa, della esperienza cosciente (esistente-accadente senza di esso).
Peraltro non sarebbe nemmeno assurdo (autocontraddittorio) ipotizzare che esista anche il soggetto noumenico di essa Pippo Pippi ma che il suo divenire, e soprattutto quello della sua esperienza cosciente fenomenica coi suoi contenuti non siano governati dalla sua volontà (fenomenica, fenomenicamente mente percepita), e dunque che potrebbero comunque benissimo essere in larga misura spiacevoli.


Per rispondere in particolare ad Eutidemo, secondo me la sua obiezione con tutta evidenza non vale a proposito del "solipsismo fenomenico" come qui definito: l' ipotesi sarebbe quella dell' esistenza del sogno senza alcun Pippo Pippi o altri che ne sia soggetto.

Ma anche nel caso esistesse anche il soggetto in sé del sogno, l' ormai celebre Pippo Pippi impiegato del catasto (inteso come noumeno), credo che una relazione con altri enti e/o eventi sia necessaria per stabilire e pensare il (concetto di) "soggetto P.P." ("omnis determinatio est negatio" Spinoza), ed eventualmente predicare veracemente, cioè conoscere, la sua esistenza; ma nella realtà, come "cosa esistente-accadente" indipendentemente dal nostro pensarlo o meno come "cosa (inoltre anche) pensata essere esistente-accadente" (il che fra l' altro è escluso nell' ipotesi solipsistica: la cosa Pippo Pippi e non il concetto di "Pippo Pippi"), il soggetto di esperienza cosciente Pippo Pippi potrebbe anche essere, insieme appunto alla sua -aggettivo possessivo del tutto superfluo- esperienza fenomenica, tutto ciò che è-accade realmente (è il pensarlo, il pensare il suo essere che implica necessariamente relazioni con altri concetti, pure pensati); esattamente come la SOLA MENTE che trascende lui e tutto il resto, e sogna da te ipotizzata come alternativa possibile al nulla (perché la SOLA MENTE non potrebbe essere, anziché qualcosa di quasi divino,  la mente limitata e senza pretese del travet Pippo Pippi?).

Insomma Pippo Pippi, come qualsiasi altra cosa, per esistere realmente, non ha bisogno di essere
aristotelicamente definito "per differenza specifica" rispetto ad altri individui; casomai deve esserlo il concetto di "Pippo Pippi" rispetto ad altri concetti per pensare all' ente reale Pippo Pippi, per conoscerne l' esistenza (ma conoscenza dell' esistenza =/= esistenza).



P.S.: Mi compiaccio di concordare con Phil, con cui fra l' altro mi complimento per il suo sens of humor: "Il celeberrimo Pippo ergo sum" mi ha fatto ridere di gusto.

E anch' io, da "comunemente considerato (salvo qualche maligno denigratore...) sano di mente" mi tiro "fuorum" dallo scetticismo "integrale", e anche dal più limitato solipsismo (evviva le virgolette e chi le ha inventate!).




Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AM
SGIOMBO scrive:
"Se fossi Pippo, proporrei una "variazione catastale" delle due posizioni:
a-bis) esisto, in quanto Pippo (il celeberrimo "pippo ergo sum"), ma la reale esistenza del mondo di cui mi fido è confinata in ciò che esperisco... e potrei persino sbagliarmi... 
b-bis) esisto, altrimenti non potrei fare queste riflessioni (o non potrei darmi una bastonata), ma sull'esistenza reale del mondo sono diffidente (sogno o son desto? Direi che comunque non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...)"
Io, invece, ritengo che:
a-ter) Se REALMENTE "io" esisto "in quanto Pippo Pippi impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., allora esiste un mondo materiale che mi circonda e mi definisce, e di cui sono  parte quale individuo.
b-ter) Se, invece, un mondo materiale esterno che mi circonda non esiste, io solo FITTIZIAMENTE  credo di esistere in quanto Pippo impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., perchè se è un'illusione l'intero universo, è un'illusione anche Pippo Pippi in quanto individuo; non può esistere una parte di un intero che non esiste...questa è la contraddizione.
Quanto al "pippo ergo sum", in realtà, si può dire solo che esiste una "res cogitans", di cui viene autoappurata l'esistenza; cioè "c'è qualcosa che pensa", credendo di essere Pippo Pippi, ma questo non implica che quest'ultimo "realmente" esista.
Se il mondo esterno non esiste, Pippo Pippi "crede" di esperire...ma in realtà non esperisce niente; nè niente "realmente" vuole.
Questo è il punto.
SGIOMBO scrive: "...non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...".
In effetti Pippo, tecnicamente, non è un sogno di "qualcun altro"...cioè di un altro Pippo (o di una farfalla), ma, semmai, è ' un IO individuale sognato dal suo più intimo SE' universale; figurativamente, si potrebbe dire che sia un'onda che si crede mare.
Non è che l'"onda" (l'io individuale) non esista; ma esiste solo "sub specie" di "onda"...finchè si intestardisce a non capire che la sua vera sostanza è il mare.
E ciò che lo frena è soprattutto la sua illusoria "volontà" individuale, che gli impedisce di prendere consapevolezza di quello che realmente "è": è "Lui", ma non è "lui".
Ovviamente, a questo punto si comincia a fare a cazzotti con le parole, perchè la logica e la sintassi hanno raggiunto il loro limite estremo.
Non può esistere una "parte" di un "intero" universo materiale che non esiste...ma una "quota ideale" di un mondo unitario (a questo punto sfuma anche la distinzione tra materiale e mentale) sì.
:)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 29 Ottobre 2016, 09:00:39 AM
Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AMSGIOMBO scrive: "Se fossi Pippo, proporrei una "variazione catastale" delle due posizioni: a-bis) esisto, in quanto Pippo (il celeberrimo "pippo ergo sum"), ma la reale esistenza del mondo di cui mi fido è confinata in ciò che esperisco... e potrei persino sbagliarmi... b-bis) esisto, altrimenti non potrei fare queste riflessioni (o non potrei darmi una bastonata), ma sull'esistenza reale del mondo sono diffidente (sogno o son desto? Direi che comunque non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...)" Io, invece, ritengo che: a-ter) Se REALMENTE "io" esisto "in quanto Pippo Pippi impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., allora esiste un mondo materiale che mi circonda e mi definisce, e di cui sono parte quale individuo. b-ter) Se, invece, un mondo materiale esterno che mi circonda non esiste, io solo FITTIZIAMENTE credo di esistere in quanto Pippo impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., perchè se è un'illusione l'intero universo, è un'illusione anche Pippo Pippi in quanto individuo; non può esistere una parte di un intero che non esiste...questa è la contraddizione. Quanto al "pippo ergo sum", in realtà, si può dire solo che esiste una "res cogitans", di cui viene autoappurata l'esistenza; cioè "c'è qualcosa che pensa", credendo di essere Pippo Pippi, ma questo non implica che quest'ultimo "realmente" esista. Se il mondo esterno non esiste, Pippo Pippi "crede" di esperire...ma in realtà non esperisce niente; nè niente "realmente" vuole. Questo è il punto. SGIOMBO scrive: "...non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...". In effetti Pippo, tecnicamente, non è un sogno di "qualcun altro"...cioè di un altro Pippo (o di una farfalla), ma, semmai, è ' unIO individuale sognato dal suo più intimo SE' universale; figurativamente, si potrebbe dire che sia un'onda che si crede mare. Non è che l'"onda" (l'io individuale) non esista; ma esiste solo "sub specie" di "onda"...finchè si intestardisce a non capire che la sua vera sostanza è il mare. E ciò che lo frena è soprattutto la sua illusoria "volontà" individuale, che gli impedisce di prendere consapevolezza di quello che realmente "è": è "Lui", ma non è "lui". Ovviamente, a questo punto si comincia a fare a cazzotti con le parole, perchè la logica e la sintassi hanno raggiunto il loro limite estremo. Non può esistere una "parte" di un "intero" universo materiale che non esiste...ma una "quota ideale" di un mondo unitario (a questo punto sfuma anche la distinzione tra materiale e mentale) sì. :)

E quindi si giunge al "Tat tvam Asi" di Shankara memoria: "Tu sei Quello".  L'onda per comprender-si anziché osservare il cielo dovrebbe introiettare l'osservazione, per dirla in modo volgare, al suo interno (meditazione intesa non nel senso cristiano di riflessione ) al mare che la genera che è Sat-chit-ananda. Ti rendi conto Eutidemo che questo è puro Vedanta? Non provi un briciolo di vergogna  ;D ?
Il Vedanta va bene per poveri indiani seminudi , che si fumano di tutto e cantano Hare Krishna, ma per noi seri "occidentali" ?  Per noi che da sempre abbiamo identificato l'essere con il pensare ( pensare di essere)?..."Pentiti Arlecchino, disse l'uomo del Tic-tac"... :) ( Chissà perché mi è venuta fuori improvvisamente dall'oceano di sat-chit-ananda questa citazione di Harlan Ellison... :-\ :-\ totalmente inconscio...che mistero la mente umana!)...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 12:33:04 PM
Citazione di: Sariputra il 29 Ottobre 2016, 09:00:39 AM


E quindi si giunge al "Tat tvam Asi" di Shankara memoria: "Tu sei Quello".  L'onda per comprender-si anziché osservare il cielo dovrebbe introiettare l'osservazione, per dirla in modo volgare, al suo interno (meditazione intesa non nel senso cristiano di riflessione ) al mare che la genera che è Sat-chit-ananda. Ti rendi conto Eutidemo che questo è puro Vedanta? Non provi un briciolo di vergogna  ;D ?
Il Vedanta va bene per poveri indiani seminudi , che si fumano di tutto e cantano Hare Krishna, ma per noi seri "occidentali" ?  Per noi che da sempre abbiamo identificato l'essere con il pensare ( pensare di essere)?..."Pentiti Arlecchino, disse l'uomo del Tic-tac"... :) ( Chissà perché mi è venuta fuori improvvisamente dall'oceano di sat-chit-ananda questa citazione di Harlan Ellison... :-\ :-\ totalmente inconscio...che mistero la mente umana!)...


La mia "Weltanschauung" è molto simile a quella Vedanta, lo ammetto!
Ma, se scaviamo ben a fondo sia nella religione che nella filosofia occidentale, secondo me, molti (più o meno velatamente) sono arrivati alle stesse conclusioni; le quali,  secondo me, più si approfondisce e più diventano inevitabili!
Ad esempio, per quanto concerne la RELIGIONE OCCIDENTALE, San Paolo, pur divagando su svariati temi, ad un certo punto conclude che Dio "est omnia in omnibus", e che "chi si unisce al Signore forma con lui UN SOLO spirito"; cioè, in sostanza, diventa la stessa cosa, perchè "essere uno", è qualcosa di più che semplicemente "unirsi" a Lui (anche se tale esegesi è considerata eretica).
O meglio, "si ricorda" di essere sempre stato UNO con Lui, in quanto, come nell'"incipit" del Vangelo di Giovanni, "in Lui ERA la vita, e la vita ERA la luce degli uomini." (ma anche tale esegesi è considerata eretica).
E tale concezione, è stata più volte ripresa ed approfondita nei secoli: soprattutto da Meister Eckart, Thauler, Suso, Boheme, Silesius -letti tutti- e molti altri (benchè avversata dagli scolastici di ispirazione aristotelica).
Quanto alla FILOSOFIA OCCIDENTALE, da PLOTINO (per non dire Platone) a FICHTE ed HEGEL, molti filosofi hanno sostenuto tesi molto affini a quelle Vedanta, sia pure ciascuno con approcci alquanto diversi; come, ad esempio, quello di SCHOPENAUER, che, però, è quasi identico.
Ma la cosa paradossale, è che persino un filosofo "empirista" come BERKELY, secondo me, sostiene una teoria "immaterialistica" molto simile al VEDANTA , in quanto il suo "essere est percipi", non si riduce ad un gretto solipsismo, in quanto è Dio, spirito infinito, che ci fa percepire sotto forma di cose e fatti le sue idee calate nel mondo. 
Ovviamente, lungi da me fare di tutte le erbe un fascio, perchè tra le concezioni sopra enunciate intercorrono anche "notevolissime" differenze: ma in tutte, almeno per quel poco che ho letto io, intravedo lo stesso "file rouge"...per niente in contrapposizione al nocciolo della filosofia indiana (e non solo vedantina).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 15:44:44 PM
Riassumendo abbiamo queste posizioni:

1 Advaita Vedanta -Platone - Plotino - Spinoza - Fichte/Schelling/Hegel - Meister Eckhart - Schopenhauer - Berkeley - Cristianesimo (?) -Wittgenstein (?):
Tutto quello che vediamo è "insostanziale", nel senso che non è "veramente" reale ma che in realtà esiste tutto nella "mente di Dio/Brahman" o come "modo di Dio" non separato dallo stesso. Il Creatore/rappresentatore è o l'"io" oppure l'Io divino;

2 Buddismo (e varianti... Wittgenstein?):

Concorda con la posizone (1) fintantochè si parla dell'insostanzialità delle "cose mondane". Tuttavia con la dottrina dell'ANATTA, il Non-Sé: tutte le cose sono prive di un Sé (Dhammapada). Perciò non ci sono nè creatori nè rappresentanti, o forse meglio dire "L'Io non si può trovare" e quindi "non si possono trovare nè creatori nè rappresentanti". Perciò non ci si deve attaccare al mondo dell'"inconsitenza".

3 "Rappresentazionalismo dualistico" (Kant - Wittgenstein (?) - Cristianesimo (?)):
Ci sono anime/Sé in ogni essere cosciente che rappresenta ma c'è anche una realtà che però è inconoscibile. I limiti della ragione sono dati dalla "rappresentazione", la conoscenza della realtà è impossibile.

4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?):

Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale".

5 Common Sense Realism/Moore/Naive Realism/Aristotele (?):
Qui c'è una mano, quindi la realtà esterna è quella che percepisco.

6 Pirronismo:
Non si può dire nulla della "realtà vera".


Ora tutte queste posizioni hanno problemi. La (1) per quanto plausibili, elegante e bella (non a caso ogni fisico vuole unificare tutti le leggi in una legge e quindi la tentazione a dire "tutto è uno" è enorme) non spiega non riesce a spiegare perchè c'è la molteplicità e perchè siamo tutti illusi della nostra vera natura se siamo di fatto "la stessa cosa". La (3) va bene fino a quando non diventa "solipsismo epistemologico" da una parte e assume l'esistenza di una "realtà in sé" inconoscibile contraddicendosi nel dire che quest'ultima "è il motivo" per cui c'è il fenomeno. La (5) non è filosofia. La (6) nemmeno anche se è meglio della (5) perchè riconosce che c'è un problema epistemologico (anzi qui c'è la sicurezza di non conoscere, cosa non dimostrata). La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera). Rimane la (2) che mi affascina come la (1) e la (4) (che sono un miglioramento della (3) a mio giudizio): il suo problema è che di fatto è indistinguibile dal nichilismo. Il Buddha dice chiaramente che non è così e che il Tathagatha/Nirvana è "inconoscibile" però allo stesso tempo non dice perchè è diverso dal nulla.

P.S. Per Sariputra: Leggendo con la mera ragione "logica" il Buddismo/Canone Pali non capisco proprio come si faccia a dire che non è nichilismo. D'altronde se dopo la morte non c'è nulla non ci sono più sensazioni e quindi c'è l'estinzione del desiderio ecc. Eppure il Buddha dice che esplicitamente che non è così. Tuttavia quando vedo cose come "il Nirvana è come un fuoco estinto" non vedo la differenza tra questa esperessione e "il Nirvana è il nulla". Per questo "preferisco" quello che dicono i "poveri indiani seminudi" o Nietzsche che per lo meno era coerente col suo nichilismo (non c'è rappresentazione perchè non c'è il rappresentante. Siccome non c'è il rappresentante alla morte semplicemente "si muore").
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 29 Ottobre 2016, 16:13:29 PM
Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AMa-ter) Se REALMENTE "io" esisto "in quanto Pippo Pippi impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., allora esiste un mondo materiale che mi circonda e mi definisce, e di cui sono parte quale individuo. 
Infatti, il punto a-bis non sostiene l'inesistenza del mondo, ma solo che "la reale esistenza del mondo è confinata in ciò che esperisco" (auto-cit.), ovvero il mondo che c'è, è quel "poco" che sperimento...

Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AMb-ter) Se, invece, un mondo materiale esterno che mi circonda non esiste, io solo FITTIZIAMENTE credo di esistere in quanto Pippo impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., perchè se è un'illusione l'intero universo, è un'illusione anche Pippo Pippi in quanto individuo; non può esistere una parte di un intero che non esiste...
Il punto b-bis invece sostiente che la percezione del mondo, e il mondo stesso, può essere un'illusione, come in un sogno... ma se il mondo-per-come-viene-percepito non esiste, non significa che allora non esista nemmeno il solipsista percipiente (il sognatore esiste materialmente, il sogno di cui fa parte no...).

Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AMIn effetti Pippo, tecnicamente, non è un sogno di "qualcun altro"...cioè di un altro Pippo (o di una farfalla), ma, semmai, è ' unIO individuale sognato dal suo più intimo SE' universale; figurativamente, si potrebbe dire che sia un'onda che si crede mare. Non è che l'"onda" (l'io individuale) non esista; ma esiste solo "sub specie" di "onda"...finchè si intestardisce a non capire che la sua vera sostanza è il mare. 
La sostanza è il mare, ma l'individuazione parziale di tale sostanza è l'onda; come dire: sono parte della (di ciò che viene definito come) "vita sul pianeta terra", ma non sono tutt'Uno con tutta la vita... infatti se un'onda dicesse "sono il mare", si ingannerebbe, proprio perchè è solo un'onda "fatta"di mare... che poi sia fatta di una sostanza che la accomuna alle altre onde, non implica che ogni onda sia la medesima onda o che ogni onda possa acquisire coscienza di tutta la vastità del mare... 

Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AME ciò che lo frena è soprattutto la sua illusoria "volontà" individuale, che gli impedisce di prendere consapevolezza di quello che realmente "è": è "Lui", ma non è "lui".
La volontà individuale, come forza che "guida" alcune azioni di un determinato vivente, non mi pare illusoria, il che tuttavia non comporta che non possa essere molto meno "libera" di quanto comunemente si pensi...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 29 Ottobre 2016, 17:20:41 PM
Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AM
SGIOMBO scrive:
"Se fossi Pippo, proporrei una "variazione catastale" delle due posizioni:
a-bis) esisto, in quanto Pippo (il celeberrimo "pippo ergo sum"), ma la reale esistenza del mondo di cui mi fido è confinata in ciò che esperisco... e potrei persino sbagliarmi...
b-bis) esisto, altrimenti non potrei fare queste riflessioni (o non potrei darmi una bastonata), ma sull'esistenza reale del mondo sono diffidente (sogno o son desto? Direi che comunque non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...)"
Io, invece, ritengo che:
a-ter) Se REALMENTE "io" esisto "in quanto Pippo Pippi impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., allora esiste un mondo materiale che mi circonda e mi definisce, e di cui sono  parte quale individuo.
b-ter) Se, invece, un mondo materiale esterno che mi circonda non esiste, io solo FITTIZIAMENTE  credo di esistere in quanto Pippo impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., perchè se è un'illusione l'intero universo, è un'illusione anche Pippo Pippi in quanto individuo; non può esistere una parte di un intero che non esiste...questa è la contraddizione.
Quanto al "pippo ergo sum", in realtà, si può dire solo che esiste una "res cogitans", di cui viene autoappurata l'esistenza; cioè "c'è qualcosa che pensa", credendo di essere Pippo Pippi, ma questo non implica che quest'ultimo "realmente" esista.
Se il mondo esterno non esiste, Pippo Pippi "crede" di esperire...ma in realtà non esperisce niente; nè niente "realmente" vuole.
Questo è il punto.

CitazioneMi attribuisci erroneamente quanto scritto da Phil (col quale sono comunque in discreta sintonia in questo argomento); e comunque esprimo le mie opbiezioni.

L' affermazione "a-ter)Se REALMENTE "io" esisto "in quanto Pippo Pippi impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., allora esiste un mondo materiale che mi circonda e mi definisce, e di cui sono parte quale individuo: non è dimostrata: tutto quello che esperisco, compresi l' Ufficio Catasto, Pippa Pippi, ecc., potrebbe non essere altro che un mio sogno (e dunque esistiamo so io, Pippo Pippi e isuoi sogni)e non c' è modo di dimostrare il contraruio.

Che significa l' affermazione b-ter) "Se, invece, un mondo materiale esterno che mi circonda non esiste, io soloFITTIZIAMENTE credo di esistere in quanto Pippo impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., perchè se è un'illusione l'intero universo, è un'illusione anche Pippo Pippi in quanto individuo; non può esistere una parte di un intero che non esiste...questa è la contraddizione"? Se intendi dire che esiste solo l' esperienza fenomenica (di Pippo Pippi, allora l' universo è costituito di quest' ultima: esiste realmente eccome, solo che è mera apparenza (fenomeni).
E se per Pippo Pippi intendi il corpo di Pippo Pippi incluso nel modo materiale fenomenico, allora anche questo esiste senza alcuna contraddizione esattamente come tutto il resto della materia fenomenica (dei fenomeni materiali)..
Se invece per Pippo Pippi intendi il soggetto in sé (noumeno) dell' esperienza fenomenica esistente, allora certo, la sua esistenza reale non è dimostrabile (potrebbe non accadere), né tantomeno mostrabile.

Ma il vero problema è che di questo mondo materiale l' "esse est percipi": si tratta di meri insiemi e successioni di sensazioni (apparenze) fenomeniche coscienti, reali (in quanto tali) unicamente se e quando sono percepite nell' ambito della mia (di Pippo Pippi) esperienza fenomenica cosciente.
Se qualcos' altro è-accade realmente anche allorché tali sensazioni fenomeniche non accadono (per esempio nel sonno senza sogni di Pippo Pippi), allora per definizione e onde non cadere in una patente contraddizione non può essere costituito da tali insiemi e successioni di sensazioni fenomeniche materiali (che altrimenti accadrebbero -anche- allorché non accadessero!); allora è invece qualcos' altro di non sensibile, non apparente (dal greco: non fenomeno) bensì puramente congetturabile (da greco noumeno).

Circa la res cogitans il discorso è del tutto identico a quello della res extensa: anche il pensiero è costituito da insiemi e successioni di sensazioni (anche se con certe caratteristiche diverse da quelle materiali) da mere apparenze fenomeniche coscienti; e se Pippo Pippi come soggetto-oggetto delle sensazioni fenomeniche mentali (introspettive), reale anche allorché queste non accadono (per esempio durante il sonno senza sogni) esiste, allora allo stesso modo per definizione e per evitare una patente contraddizione non può essere costituito da sensazioni mentali (fenomeni introspettivi), che in tali circostanze non accadono, ma è noumeno.
Se il mondo esterno non esiste (in sé, come noumeno) e Pippo Pippi vede l' Ufficio catasto, Pippa Pippi e avverte interiormente la sua volontà, ecc., allora Pippo Pippi non solo esperisce di credere di percepite, ma anche percepisce tali oggetti fenomenici materiali e mentali; solo che essi sono reali solo e unicamente se e quando appaiono (accadono in quanto insiemi e successioni di sensazioni) nell' ambito della sua esperienza fenomenica cosciente.


SGIOMBO scrive: "...non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...".
In effetti Pippo, tecnicamente, non è un sogno di "qualcun altro"...cioè di un altro Pippo (o di una farfalla), ma, semmai, è ' unIO individuale sognato dal suo più intimo SE' universale; figurativamente, si potrebbe dire che sia un'onda che si crede mare.
Non è che l'"onda" (l'io individuale) non esista; ma esiste solo "sub specie" di "onda"...finchè si intestardisce a non capire che la sua vera sostanza è il mare.
E ciò che lo frena è soprattutto la sua illusoria "volontà" individuale, che gli impedisce di prendere consapevolezza di quello che realmente "è": è "Lui", ma non è "lui".
Ovviamente, a questo punto si comincia a fare a cazzotti con le parole, perchè la logica e la sintassi hanno raggiunto il loro limite estremo.
Non può esistere una "parte" di un "intero" universo materiale che non esiste...ma una "quota ideale" di un mondo unitario (a questo punto sfuma anche la distinzione tra materiale e mentale) sì.
:)
CitazioneAnche questo non l' ho scritto io.

E le affermazioni decisamente immaginifiche e metaforiche che obietti a questa non mia affermazione semplicemente non riesco a comprenderle (lo trovo effettivamente una specie di "scazzottata fra le parole", però decisamente oltre il limite estremo consentito dalla logica).

Secondo me un "sè" può solo essere costituito dai pensieri, dalla "res cogitanns" intesa come fenomeni nell' ambito dell'esperienza fenomenica del suo "io" inteso come soggetto-oggetto in sé (noumeno) di essa.

E inoltre, secondo logica, oltre a una "parte" di un "intero" universo materiale che non esiste, non può esistere nemmeno una "quota ideale" di un mondo unitario che non esiste (materiale o mentale che sia inteso essere; e ovviamente non: che sia realmente).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 29 Ottobre 2016, 17:27:44 PM
Citazione di: Sariputra il 29 Ottobre 2016, 09:00:39 AM


E quindi si giunge al "Tat tvam Asi" di Shankara memoria: "Tu sei Quello".  L'onda per comprender-si anziché osservare il cielo dovrebbe introiettare l'osservazione, per dirla in modo volgare, al suo interno (meditazione intesa non nel senso cristiano di riflessione ) al mare che la genera che è Sat-chit-ananda. Ti rendi conto Eutidemo che questo è puro Vedanta? Non provi un briciolo di vergogna  ;D ?
Il Vedanta va bene per poveri indiani seminudi , che si fumano di tutto e cantano Hare Krishna, ma per noi seri "occidentali" ?  Per noi che da sempre abbiamo identificato l'essere con il pensare ( pensare di essere)?..."Pentiti Arlecchino, disse l'uomo del Tic-tac"... :) ( Chissà perché mi è venuta fuori improvvisamente dall'oceano di sat-chit-ananda questa citazione di Harlan Ellison... :-\ :-\ totalmente inconscio...che mistero la mente umana!)...


CitazioneSono purtroppo assolutamente digiuno (ben più che vegano!)  di filosofia orientale.

Però qui in occidente personalmente (non frequento Hegel e idealisti: ma per fortuna nella filosofia occidentale c' é anche tantissimo d' altro!) che identifica l'essere con il pensare (pensare di essere) ho trovato solo Maral.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 29 Ottobre 2016, 17:39:05 PM
@ Eutidemo

Amo Maestro Eckhart...il più grande mistico e teologo occidentale a parer mio, che...poveraccio...non ha avuto il fegato di un Giordano Bruno ed è arrivato a ritrattare (in parte) le sue intuizioni sulla Natura di Dio...ma non  possiamo certo fargliene una colpa...finire abbrustolito non è certo piacevole per nessuno, oltre che poco elegante... ;)
Il Vedanta è un Assolutismo ed è vero che molti raggi in un cerchio hanno un solo centro. Molte vie , all'interno di un Uno, come raggi portano allo stesso luogo. A volte pare solo una differenza di linguaggio con analoghe filosofie occidentali. Tutto è Uno.


@Apeiron

L'errore che fai, secondo me, è di leggere il Canone Pali e i vari sutra come fossero dei trattati di filosofia. Il Dharma è un insegnamento pratico per raggiungere uno stato di non-sofferenza. I sutra sono strumenti ( all'inizio tramandati a memoria) di meditazione pratica . Le continue, incessanti, ripetizioni che troviamo avevano proprio lo scopo di calmare la mente, introdurre nei  cinque dhyana concentrativi, indurre il samadhi.  Che poi l'Insegnamento abbia delle ovvie conseguenze filosofiche è quasi incidentale per Siddharta, non è il focus primario: "Nient'altro io insegno: il Dolore , la sua origine, la sua fine e la Via che porta alla fine". Sarà compito della speculazione posteriore al Buddha dare una struttura filosofica all'insegnamento del Maestro. Comprendere il focus , il bersaglio a cui mira il Dharma è fondamentale, pena un travisamento dell'intera struttura. E infatti , seguendo la logica, ti sembra una sorta di nichilismo... cosa che, ovviamente, non è.
Questo mondo, Kacchana, solitamente dipende da un dualismo: dal credere nell'esistenza o nella non-esistenza...Evitando questi due estremi, il Perfetto espone la dottrina di mezzo: le formazioni kammiche dipendono dall'ignoranza...Al cessare dell'ignoranza, le formazioni kammiche cessano... (Samyutta Nikaya, 12:15).
Questo discorso si riferisce alla dualità dell'esistenza e della non-esistenza. Questi due termini alludono alle teorie dell'eternalismo e del nichilismo, le fondamentali concezioni errate della realtà, secondo Gautama, che ricompaiono ripetutamente, in varie forme, nella storia del pensiero dell'uomo.
Le due parole chiave del testo si riferiscono (1) all'esistenza assoluta, cioè eterna, di qualsiasi presunta sostanza o entità e (2) all'annullamento finale e assoluto delle entità separate concepite come impermanenti, vale a dire della loro inesistenza al termine del loro periodo di vita. Questi due punti di vista estremi concordano nel presumere qualcosa di statico, che può essere di natura permanente o impermanente. Essi perdono completamente fondamento quando e se si vede la vita nella sua vera natura, cioè, sempre secondo il buddhismo, come un flusso continuo di processi materiali e mentali che si manifestano a causa di condizioni appropriate, un processo che può cessare solamente quando queste condizioni vengono meno.  Qui entra il discorso sulla produzione condizionata (patìcca-samuppada) e il suo opposto, la cessazione condizionata.
Il movimento esiste per chi ha attaccamenti; ma non c'è movimento per chi è senza attaccamenti. Quando non c'è movimento, c'è la quiete. Quando c'è la quiete, non c'è il desiderio. Quando non c'è il desiderio, non c'è né andare né venire. Quando non c'è né andare né venire, non c'è né il manifestarsi né lo scomparire. Quando non c'è né il manifestarsi né lo scomparire, non c'è né questo mondo né un aldilà, e neppure uno stato intermedio tra questi. Questa, in verità, è la fine della sofferenza.   (Udana 8:4).
la produzione condizionata, essendo un processo ininterroto, esclude la credenza in una inesistenza assoluta o "nulla", al termine dell'esistenza individuale: però la qualifica "condizionata" indica che non c'è neppure un'esistenza assoluta, indipendente, un essere statico (in sé) , ma solo un effimero apparire di fenomeni che dipendono da condizioni altrettanto effimere.
La cessazione condizionata esclude il credere ad un'esistenza assoluta e permanente. Mostra anche che non c'é un cadere automatico nella inesistenza, perché la cessazione dell'esistenza relativa è anch'essa un evento condizionato.
Pertanto l'insegnamento della paticca-sammupada ,della produzione-condizionata e della cessazione condizionata sono una vera via mediana, che trascende gli estremi del pensare la vita in termini di esistenza e non-esistenza. Ed è , a parer mio, insieme con la teoria dell'anatman, la differenza fondamentale tra il Dharma di Gautama Siddharta e qualunque altra concezione ( religiosa e non). E il suo carattere profondamente rivoluzionario per il contesto vedico sul cui suolo nasceva. Ed è l'unica cosa che ha dato un pò di conforto alla mia misera vita ( ma questo lo aggiungo io... :-[).
Spero di esserti stato , almeno un pò, utile. scusa i miei limiti...
Namaste :D
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 18:17:22 PM
Sariputra,

Ho letto piacevolmente quello che hai scritto e devo dire che mi è stato utile. In realtà quello che dicevo prima non voleva essere un affronto al buddismo. In effetti come dici tu se non si leggono come trattati di filosofia le sutras sono eccellenti. Anzi ritengo il Buddha la persona più geniale mai esistita (o almento una delle più geniali). L'errore che vedo però è il seguente: aver trasformato il buddismo in una religione dogmatica. Di modo che si è creato un "attaccamento" alla sua "filosofia".

Sono d'accordissimo sulla coproduzione condizionata e sull'asserire che tutte le cose condizionate sono impermanenti, sono "dolorose" e sono senza un Sé e che la sofferenza nasce dal fatto che noi rappresentiamo (consciamente e inconsciamente) le cose condizionate come "aventi un Sé", "permanenti", nostre ecc...
Tuttavia il problema che ho io è che l'anatman invece non ha fondamento filosofico: infatti mentre l'impermanenza "dimostra" l'anatman nel caso di ciò che è prodotto condizionalmente, non c'è nessuna dimostrazione per cui debba valere l'anatman anche per ciò che non è condizionato (non ho trovato una "dimostrazione" secondo la quale sia in effetti così). Infatti la dimostrazione per le cose "impermanenti" è come segue: è impermanente quindi è "dukkha" e perciò non puoi dire che è "tuo, c'è un Sè...". Questa intuizione ci fa capire che "rappresentiamo" male le cose condizionate come permanenti ecc e invece non lo sono. Ma perchè mai l'incondizionato non può essere un Sé? Qui il buddismo mi sembra irrazionale in quanto assume che non sia un Sé senza dimostrarlo.


E qui arriva il problema: noi occidentali non diamo troppa importanza alla pratica meditativa quindi vogliamo capire il messaggio ultimo di un insegnamento. Personalmente la meditazione non la vedo come una tecnica che ci fa capire le cose di più ma la vedo come una "tecnica per migliorare la propria vita". Posso capire che gli indiani avendo questo come obiettivo si siano per così dire "accontentati". Tuttavia noi occidentali siamo molto più "attaccati" al capire le cose razionalmente e quindi secondo me finchè qualcuno non dimostrerà la teoria dell'anatman anche per le cose incondizionate il buddismo rimarrà come un "lavoro di un genio" ma non come "la soluzione di tutti i problemi".

Personalmente sono propenso a credere in un "atman" in modo simile a Spinoza, Eckhart, Bruno, Shankhara ecc. Tuttavia nemmeno loro hanno risolto tutti i problemi come ho scritto nel punto (1) del mio post precedente. Quindi in realtà non mi sento di accettare nemmenno le loro dottrine in quanto se vuoi le ritengo forse più erronee di quella buddista. Quest'ultima però mi lascia sempre un senso di "incompletezza". Ergo continuo a cercare ecc.

Riassumendo: come filosofia, per quanto ammirevole e geniale, il buddismo ormai è superato secondo me. Così come le altre dottrine. Ti invito a leggerti l'aforisma "noi areonauti dello spirito" di Nietzsche che ho citato qualche post fa.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:47:55 PM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 15:44:44 PM
Riassumendo abbiamo queste posizioni:

4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?):

Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale".

La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera).

Con l'ultima deriva religiosa, mi sottraggo al discorso, rispondendo solo: sciocchezze.

Ad Apeiron un particolare:

No! Nietzche non è questa cosa che dici...che pazienza!

Per Nietzche c'è la sostanza, eccome se c'è! E infatti dobbiamo dunque esprimerci. Che mi sembra che qui nessuno se la precluda.

Tutto è interpretazione si riferisce al problema del soggetto (del rappresentante, di chi parla) non della sostanza, dell'oggetto.(tra l'altro, non so se sia vero, non avendolo letto direttamente, si riferisce alle teorie del Boskovich, quindi potremmo quasi associarlo all'atomismo democriteo).

Della rappresentazione Nietzche se ne infischia, io sono qui non in veste Nietzchiana, ma come idealista (che si limita ai risultati kantiani).

Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM
Green demetr scrive

"A mio parere fai il solito errore su cosa sia l'idealismo, che non è una posizione rappresentazionalista monista, ma piuttosto una RIVELAZIONE STORICA.

Infatti la posizione critica gnoseologica dell'intenzionalità, è identica, e concordiamo totalmente.

Non concordiamo, o io non concordo su Husserl (visto che in realtà mi sembri anche tu d'accordo sul carattere positivo della sintesi), sul carattere passivo della sintesi. Per Husserl l'oggetto chiede di essere visto in un determinto delta di tempo. Questa mossa, insensata a mio parere, serve al filosofo proprio per evitare una forma trascendente, in cui anche l'io si formi in quanto "proiezione divina", e dunque per stare in una dimensione totalmente anti-metafisica, di sospensione del mondo.

Questo trascendentismo idealista probabilmente viene scambiato come solispsimo percettivo, quando invece è il contrario.
Il trascendente viene dato come epifania proprio nel suo scontro con il reale. Quindi tra Noumeno (cosa in sè) e Dio si situerebbe l'uomo, con la sua intenzionalità attiva.

Per Husserl non esistendo alcun Dio fra L'uomo e il noumeno si porrebbe una dimensione (non so quanto critica, a me pare ugualmente metafisica) intenzionale ribaltata, come se fosse l'oggetto a volersi far conoscere, e non come se l'uomo volesse conoscersi tramite la negazione storica delle sue intezioni.(ma allora dico io è come se fosse l'oggetto DIO. non so se mi spiego).

Ora io non so se questo sia anche il tuo caso, non riesco a desumerlo dalla tua posizione, che mi sembre "semplicemente" quella di salvare il reale in maniera critica. Se la limitiamo solo a quello, senza aprire appunto il problema del trascendente o metafisico che sia, siamo in totale accordo.
"




La percezione è un atto di esperienza vissuta, un "Erleben", attivo, intenzionale, proprio in virtù del suo tendere alla visualizzazione anticipante dei lati nascosti dell'oggetto percepito, ed in questo visualizzare lati nascosti, in virtù di schemi associativi via via interiorizzati, il soggetto percepiente mostra un certo livello di autonomia dalla passività, che di per sè dovrebbe limitarlo alla ricezione del lato che l'oggetto gli mostra a livello di contatto meramente fisico. Tuttavia la percezione è fattore necessario ma non sufficiente per il darsi della cosa come "fenomeno". Se fosse sufficiente allora si dovrebbe parlare di "sintesi attiva". Invece la percezione, senza un contenuto fenomenico che riceve dagli stimoli della sensazione, resterebbe solo un'intenzionalità vuota, astratta, indeterminata, essa ha bisogno della sensazione, nella quale il soggetto subisce passivamente il contatto con l'oggetto, che offre i contenuti concreti della sintesi e costringe la percezione a un costante riorientamento dei suoi schemi associativi, che devono essere aggiornati in relazione ai nuovi stimoli che l'oggetto ci comunica. In fin dei conti anche la dicitura "sintesi passiva" la trovo scorretta, perchè non c'è pura passività nè pura attività, ma interrelazione di passività e attività, attività sintetica dell'io che collega il lato della cosa attualmente percepita con i lati nascosti, passività di fronte all'oggetto che disvelandosi mostra aspetti nuovi di sè che costringono l'io a modificare le sue strutture interpretative. Interessante è che tutto ciò prepara le basi dal passaggio dalla pura gnoseologia all'ontologia, o meglio alla contestualizzazione della prima all'interno della seconda. Perchè questa unità di attività e passività altro non è che il correlato gnosologico di una condizione ontologica dell'essere umano, caratterizzato dalla sintesi da un lato, di coscienza e libertà (che porta a rivolgerci intenzionalmente verso l'oggetto, a dargli un senso), corporeità e finitezza dall'altro, che rende necessario il contatto fisico con l'oggetto di fronte al quale l'Io è passivo. Cioè l'autonomia seppur relativa degli oggetti rispetto al soggetto rispecchia la condizione ontologica di finitezza (in termini scolastici potremmo dire anche "imperfezione") dell'uomo, il suo non essere ente assoluto. Come giustamente notato, la teoria fenomenologia dell'intenzionalità presuppone come fondamentale la temporalità: la percezione di un oggetto è sempre diacronica, l'apprensione di un singolo lato accade in un certo istante temporale, e gli schemi associativi di cui la percezione si serve sono residuo di esperienze passate conservate nella memoria. La finitezza ontologica dell'uomo fà sì che la sua coscienza sia strutturata come temporale e ciò vuol dire che la necessità di un substrato gnoseologico di passività è data da tale temporalità, gli schemi soggettivi vanno modificati in quanto il passato va adeguato alla conoscenza dell'oggetto reale, cioè presente (agostinianamente, solo il presente è reale).

Al contrario, ipotizzando l'esistenza di una mente divina, assoluta, sovratemporale come soggetto rappresentazionale, allora la passività dovrebbe scomparire, perchè gli oggetti non potrebbe mostrare lati nuovi, inizialmente nascosti, che modificherebbe la struttura della soggettività, perchè tale soggettività avrebbe una visione IMMEDIATAMENTE assoluta e perfetta dei suoi oggetti. Tutto ciò mostra come l'autonomia dell'oggetto che sembra quasi per un'intenzionalità "al contrario"  muoversi attivamente volendo farsi conoscere da noi, non deve farci pensare ad un'indipendenza metafisica del mondo esterno, dell'oggettività, un realismo metafisico, come implicazione della teoria dell'intenzionalità. Tale autonomia dell'oggetto rispetto al soggetto non è un'autonomia assoluta ma solo, in nome della relativizzazione della gnoseologia all'interno dell'ontologia, conseguenza della limitatezza del soggetto in questione, l'uomo, mentre non potrebbe esserci autonomia di un mondo oggettivo in relazione ad un Soggetto, una Coscienza divina assoluta (a prescindere dal supporla esistente o meno). Cioè la diatriba idealismo- realismo va risolta non sul terreno meramente gnoseologico, dove pure sorge, ma su quello ontologico e metafisico che chiarifica la natura del soggetto conoscente in questione. Ogni filosofia, compresa la fenomenologia a prescindere dalla lettera esplicita di Husserl, è satura di potenzialità metafisica (perchè a mio avviso qualunque critica della metafisica è pur sempre metafisica). Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Sariputra il 30 Ottobre 2016, 00:55:43 AM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 18:17:22 PMSariputra, Ho letto piacevolmente quello che hai scritto e devo dire che mi è stato utile. In realtà quello che dicevo prima non voleva essere un affronto al buddismo. In effetti come dici tu se non si leggono come trattati di filosofia le sutras sono eccellenti. Anzi ritengo il Buddha la persona più geniale mai esistita (o almento una delle più geniali). L'errore che vedo però è il seguente: aver trasformato il buddismo in una religione dogmatica. Di modo che si è creato un "attaccamento" alla sua "filosofia". Sono d'accordissimo sulla coproduzione condizionata e sull'asserire che tutte le cose condizionate sono impermanenti, sono "dolorose" e sono senza un Sé e che la sofferenza nasce dal fatto che noi rappresentiamo (consciamente e inconsciamente) le cose condizionate come "aventi un Sé", "permanenti", nostre ecc... Tuttavia il problema che ho io è che l'anatman invece non ha fondamento filosofico: infatti mentre l'impermanenza "dimostra" l'anatman nel caso di ciò che è prodotto condizionalmente, non c'è nessuna dimostrazione per cui debba valere l'anatman anche per ciò che non è condizionato (non ho trovato una "dimostrazione" secondo la quale sia in effetti così). Infatti la dimostrazione per le cose "impermanenti" è come segue: è impermanente quindi è "dukkha" e perciò non puoi dire che è "tuo, c'è un Sè...". Questa intuizione ci fa capire che "rappresentiamo" male le cose condizionate come permanenti ecc e invece non lo sono. Ma perchè mai l'incondizionato non può essere un Sé? Qui il buddismo mi sembra irrazionale in quanto assume che non sia un Sé senza dimostrarlo. E qui arriva il problema: noi occidentali non diamo troppa importanza alla pratica meditativa quindi vogliamo capire il messaggio ultimo di un insegnamento. Personalmente la meditazione non la vedo come una tecnica che ci fa capire le cose di più ma la vedo come una "tecnica per migliorare la propria vita". Posso capire che gli indiani avendo questo come obiettivo si siano per così dire "accontentati". Tuttavia noi occidentali siamo molto più "attaccati" al capire le cose razionalmente e quindi secondo me finchè qualcuno non dimostrerà la teoria dell'anatman anche per le cose incondizionate il buddismo rimarrà come un "lavoro di un genio" ma non come "la soluzione di tutti i problemi". Personalmente sono propenso a credere in un "atman" in modo simile a Spinoza, Eckhart, Bruno, Shankhara ecc. Tuttavia nemmeno loro hanno risolto tutti i problemi come ho scritto nel punto (1) del mio post precedente. Quindi in realtà non mi sento di accettare nemmenno le loro dottrine in quanto se vuoi le ritengo forse più erronee di quella buddista. Quest'ultima però mi lascia sempre un senso di "incompletezza". Ergo continuo a cercare ecc. Riassumendo: come filosofia, per quanto ammirevole e geniale, il buddismo ormai è superato secondo me. Così come le altre dottrine. Ti invito a leggerti l'aforisma "noi areonauti dello spirito" di Nietzsche che ho citato qualche post fa.

Non so se questo topic sia il luogo adatto per approfondire una riflessione sul buddhismo ( il rischio è che personalità profondamente filosofiche trovino il tutto rivoltante e si irritino oltremodo... ;D).
In parte ho dato una specie di risposta al tuo primo interrogativo. Credo che il buddhismo dogmatico abbia poco a che fare con l'insegnamento originale, è una deriva storica, forse inevitabile. Più volte il Buddha ha spiegato che il Dharma è una zattera. Una volta raggiunta l'altra sponda, non dobbiamo mettercela sulle spalle o, peggio ancora, adorarla. L'insegnamento è figurato come una medicina prescritta da un abile medico. Ma quando sei guarito ha senso continuare a prendere la medicina o metterla su un altare e , in ginocchio adorarla o pregarla? Puoi portare un enorme rispetto per il medico e la medicina, punto ( questo non è da confondere con l'attaccamento ad un ideale). Sono anche molto perplesso sul cosiddetto Western Buddhism , che va molto di moda e che rischia di relegare l'insegnamento ad una specie di pratica anti-stress ridicola ( facendogli fare la fine dello Yoga, credo che ci capiamo...). Non puoi comprendere questo Insegnamento facendo affidamento solo sul suo lato filosofico, come non puoi comprendere Cristo  solamente leggendo Agostino d'Ippona o Tommaso d'Aquino. Il Buddhismo, come il Cristianesimo, sono religioni dell'esperienza ( Mircea Eliade e D.T. Suzuki docet) e quindi vanno vissute. Sta solo a te decidere se vuoi provare a viverle o maturare per esse, o per altre, un interesse squisitamente filosofico ( anche se la dialettica buddhista è veramente complessa e profonda). Dipende sempre da ciò che uno cerca e dall'intensità della propria sofferenza ( questo è poco filosofico, lo so, ma molto, molto concreto... ;))
Penso che Siddharta non si sia mai posto l'obiettivo di trovare una soluzione a tutti i problemi, come dici. Lui parla del problema del dolore interiore umano, del carattere insoddisfacente e impermanente dell'esistenza. Sia che ci sia un Buddha ,sia che non ci sia, la catena di produzione-cessazione condizionata prosegue indifferente.
Non esiste un incondizionato per il Buddha. Quindi non esiste il problema di attribuirgli un Sè sostanziale, sarebbe contradditorio. Tutto  è condizionato. L'unico elemento non condizionato, chiamiamolo così, è il NIbbana, ma il Nibbana è trascendente qualsiasi concetto, quindi anche alla definizione di condizionato o incondizionato. trascende qualunque definizione. E' indefinibile. Va vissuto.
La filosofia non può raggiungere il Nibbana. Può solo delineare quello che non è il Nibbana ( Non-nato, non divenuto, non composto, non soggetto a nascita e morte, ecc.). Lo scopo della meditazione non è quello di farci stare meglio, più rilassati ( per quello basta dell'ottimo prosecco di Villa Sariputra... ;D ) ma è una strada di comprensione vissuta dell'insegnamento. Non bisogna attaccarsi nemmeno a questa. E' sempre una medicina...non la guarigione.
Mi dispiace per Nietzsche, ma non l'ho mai preso in considerazione ( anch'io, non essendo un buddha, sono pieno di pregiudizi  ;D ;D ). Ho letto l'Anticristo, Così parlò Zarathustra, Ecce Homo, ma credo che non abbia realmente compreso la radice del Cristianesimo. Opinione mia s'intende. Del Buddhismo non ne parliamo. Le prime serie traduzioni del canone Pali sono posteriori a Nietzsche, datano 1903 e sono opera del grande indianista Karl Eugen Neumann. E poi troppo odio, gronda odio da ogni pagina. Chiaramente troppo disturbato. Non fa per me. Poi puoi ben immaginare uno come me, nelle mie condizioni, quando sente parlare di super-uomini...che risate che si fa!!! ;D ;D ;D
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 30 Ottobre 2016, 09:10:04 AM
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:47:55 PM


Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??


CitazioneNon mi sembra di polemizzare sempre né, ancor meno, di aver mai sostenuto che l' idealismo (occidentale; che fra l' altro non é per nulla di mio interesse) "c' entri" in qualche modo con l' oriente.

(E con questo ho polemizzato; stavolta).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 30 Ottobre 2016, 09:24:11 AM
Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM


La percezione è un atto di esperienza vissuta, un "Erleben", attivo, intenzionale, proprio in virtù del suo tendere alla visualizzazione anticipante dei lati nascosti dell'oggetto percepito, ed in questo visualizzare lati nascosti, in virtù di schemi associativi via via interiorizzati, il soggetto percepiente mostra un certo livello di autonomia dalla passività, che di per sè dovrebbe limitarlo alla ricezione del lato che l'oggetto gli mostra a livello di contatto meramente fisico. Tuttavia la percezione è fattore necessario ma non sufficiente per il darsi della cosa come "fenomeno". Se fosse sufficiente allora si dovrebbe parlare di "sintesi attiva". Invece la percezione, senza un contenuto fenomenico che riceve dagli stimoli della sensazione, resterebbe solo un'intenzionalità vuota, astratta, indeterminata, essa ha bisogno della sensazione, nella quale il soggetto subisce passivamente il contatto con l'oggetto, che offre i contenuti concreti della sintesi e costringe la percezione a un costante riorientamento dei suoi schemi associativi, che devono essere aggiornati in relazione ai nuovi stimoli che l'oggetto ci comunica. In fin dei conti anche la dicitura "sintesi passiva" la trovo scorretta, perchè non c'è pura passività nè pura attività, ma interrelazione di passività e attività, attività sintetica dell'io che collega il lato della cosa attualmente percepita con i lati nascosti, passività di fronte all'oggetto che disvelandosi mostra aspetti nuovi di sè che costringono l'io a modificare le sue strutture interpretative. Interessante è che tutto ciò prepara le basi dal passaggio dalla pura gnoseologia all'ontologia, o meglio alla contestualizzazione della prima all'interno della seconda. Perchè questa unità di attività e passività altro non è che il correlato gnosologico di una condizione ontologica dell'essere umano, caratterizzato dalla sintesi da un lato, di coscienza e libertà (che porta a rivolgerci intenzionalmente verso l'oggetto, a dargli un senso), corporeità e finitezza dall'altro, che rende necessario il contatto fisico con l'oggetto di fronte al quale l'Io è passivo. Cioè l'autonomia seppur relativa degli oggetti rispetto al soggetto rispecchia la condizione ontologica di finitezza (in termini scolastici potremmo dire anche "imperfezione") dell'uomo, il suo non essere ente assoluto. Come giustamente notato, la teoria fenomenologia dell'intenzionalità presuppone come fondamentale la temporalità: la percezione di un oggetto è sempre diacronica, l'apprensione di un singolo lato accade in un certo istante temporale, e gli schemi associativi di cui la percezione si serve sono residuo di esperienze passate conservate nella memoria. La finitezza ontologica dell'uomo fà sì che la sua coscienza sia strutturata come temporale e ciò vuol dire che la necessità di un substrato gnoseologico di passività è data da tale temporalità, gli schemi soggettivi vanno modificati in quanto il passato va adeguato alla conoscenza dell'oggetto reale, cioè presente (agostinianamente, solo il presente è reale).
CitazioneMi sembra che tu distingua "sensazione" come mero evento fenomenico (passivo; aggettivo che presuppone però già la realtà di un oggetto agente e un soggetto paziente che sarebbe da dimostrare; oppure da ammettere, come faccio io, che ci si crede arbitrariamente, letteralmente "per fede") e "percezione" come attenzionamento, considerazione teorica (attiva da parte del soggetto; sempre da dimostrarsi previamente o credersi fideisticamente), che per me è soltanto un' ulteriore sensazione fenomenica o un insieme di sensazioni fenomeniche (mentali in questo caso) che accadono "in aggiunta" alla mera sensazione (materiale o anche mentale).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 30 Ottobre 2016, 09:33:20 AM
Citazione di: Sariputra il 30 Ottobre 2016, 00:55:43 AM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 18:17:22 PM
Non so se questo topic sia il luogo adatto per approfondire una riflessione sul buddhismo ( il rischio è che personalità profondamente filosofiche trovino il tutto rivoltante e si irritino oltremodo... ;D).
In parte ho dato una specie di risposta al tuo primo interrogativo. Credo che il buddhismo dogmatico abbia poco a che fare con l'insegnamento originale, è una deriva storica, forse inevitabile. Più volte il Buddha ha spiegato che il Dharma è una zattera. Una volta raggiunta l'altra sponda, non dobbiamo mettercela sulle spalle o, peggio ancora, adorarla. L'insegnamento è figurato come una medicina prescritta da un abile medico. Ma quando sei guarito ha senso continuare a prendere la medicina o metterla su un altare e , in ginocchio adorarla o pregarla? Puoi portare un enorme rispetto per il medico e la medicina, punto ( questo non è da confondere con l'attaccamento ad un ideale). Sono anche molto perplesso sul cosiddetto Western Buddhism , che va molto di moda e che rischia di relegare l'insegnamento ad una specie di pratica anti-stress ridicola ( facendogli fare la fine dello Yoga, credo che ci capiamo...). Non puoi comprendere questo Insegnamento facendo affidamento solo sul suo lato filosofico, come non puoi comprendere Cristo  solamente leggendo Agostino d'Ippona o Tommaso d'Aquino. Il Buddhismo, come il Cristianesimo, sono religioni dell'esperienza ( Mircea Eliade e D.T. Suzuki docet) e quindi vanno vissute. Sta solo a te decidere se vuoi provare a viverle o maturare per esse, o per altre, un interesse squisitamente filosofico ( anche se la dialettica buddhista è veramente complessa e profonda). Dipende sempre da ciò che uno cerca e dall'intensità della propria sofferenza ( questo è poco filosofico, lo so, ma molto, molto concreto... ;))
Penso che Siddharta non si sia mai posto l'obiettivo di trovare una soluzione a tutti i problemi, come dici. Lui parla del problema del dolore interiore umano, del carattere insoddisfacente e impermanente dell'esistenza. Sia che ci sia un Buddha ,sia che non ci sia, la catena di produzione-cessazione condizionata prosegue indifferente.
Non esiste un incondizionato per il Buddha. Quindi non esiste il problema di attribuirgli un Sè sostanziale, sarebbe contradditorio. Tutto  è condizionato. L'unico elemento non condizionato, chiamiamolo così, è il NIbbana, ma il Nibbana è trascendente qualsiasi concetto, quindi anche alla definizione di condizionato o incondizionato. trascende qualunque definizione. E' indefinibile. Va vissuto.
La filosofia non può raggiungere il Nibbana. Può solo delineare quello che non è il Nibbana ( Non-nato, non divenuto, non composto, non soggetto a nascita e morte, ecc.). Lo scopo della meditazione non è quello di farci stare meglio, più rilassati ( per quello basta dell'ottimo prosecco di Villa Sariputra... ;D ) ma è una strada di comprensione vissuta dell'insegnamento. Non bisogna attaccarsi nemmeno a questa. E' sempre una medicina...non la guarigione.
Mi dispiace per Nietzsche, ma non l'ho mai preso in considerazione ( anch'io, non essendo un buddha, sono pieno di pregiudizi  ;D ;D ). Ho letto l'Anticristo, Così parlò Zarathustra, Ecce Homo, ma credo che non abbia realmente compreso la radice del Cristianesimo. Opinione mia s'intende. Del Buddhismo non ne parliamo. Le prime serie traduzioni del canone Pali sono posteriori a Nietzsche, datano 1903 e sono opera del grande indianista Karl Eugen Neumann. E poi troppo odio, gronda odio da ogni pagina. Chiaramente troppo disturbato. Non fa per me. Poi puoi ben immaginare uno come me, nelle mie condizioni, quando sente parlare di super-uomini...che risate che si fa!!! ;D ;D ;D
CitazioneSe temi una mia irritazione, tranquillo: cercherò di leggere e capire (ora però vado a farmi -adeguatamente coperto!- un bel giro in bici che c' bel tempo e voglio arrivare a casa per tempo a pranzo senza fare aspettare mia pazientissima moglie, verso la quale ho già troppi rimorsi*).

Mannaggia!

Se non fosse che ho già una lunghissima lista di scritti da cercare di leggere almeno in parte prima di tirare le cuoia, ti chiedere qualche consiglio bibliografico sulla filosofia orientale.

__________________________________
* Prego tutti di astenersi da battute scontate su eventuali sorprese che potrei trovare nel caso arrivassi a casa prima del previsto (fra l' altro non credo accadrà: non sono in forma; ma lei non lo sa...).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
@Sariputra,
Ti ringrazio nuovamente della tua spiegazione. La tua interpretazione è molto interessante pur non essendo "canonica" (almeno da quanto ho letto io la tua interpretazione è vicina a quella di Nagarjuna rispetto a quella theravada). Comunque sì direi di tornare a parlare di rappresentazioni. Capisco anche l'irritazione di alcuni utenti, se c'è stata.

Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:47:55 PM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 15:44:44 PMRiassumendo abbiamo queste posizioni: 4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?): Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale". La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera).
Con l'ultima deriva religiosa, mi sottraggo al discorso, rispondendo solo: sciocchezze. Ad Apeiron un particolare: No! Nietzche non è questa cosa che dici...che pazienza! Per Nietzche c'è la sostanza, eccome se c'è! E infatti dobbiamo dunque esprimerci. Che mi sembra che qui nessuno se la precluda. Tutto è interpretazione si riferisce al problema del soggetto (del rappresentante, di chi parla) non della sostanza, dell'oggetto.(tra l'altro, non so se sia vero, non avendolo letto direttamente, si riferisce alle teorie del Boskovich, quindi potremmo quasi associarlo all'atomismo democriteo). Della rappresentazione Nietzche se ne infischia, io sono qui non in veste Nietzchiana, ma come idealista (che si limita ai risultati kantiani). Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??

green demetr, permettimi di dissentire. Prima però mi devo scusare se ti ha dato fastidio la discussione palesemente off-topic di prima. Detto questo però fammi un secondo ripetere quello che intendo io per rappresentazione:
1) La rappresentazione sensoriale: cioè quell'immagine del mondo fornita dai cinque sensi;
2) La rappresentazione concettuale: cioè quella che deriva dalla concettualizzazione della precedente;
Ebbene Nietzsche (non ricordo più dove) dice chiaramente che è errato attribuire un'identità a noi stessi. Per questo anche Nietzsche in modo poi non così diverso dal Buddha (permettimi di citarlo ancora, solamente per far notare che sto discutendo non di religione ma di filosofia quando parla del buddismo...) asserisce che il Sé non esiste. E giustamente tu dici: beh era contrario al concetto di "soggetto" ma non aveva problemi a dare sostazialità all'oggetto. Ebbene qui ti sbagli per due motivi:
1) Il concetto stesso di oggetto è una "rappresentazione concettuale" che Nietzsche abbandona perchè appunto abbandona il soggetto (cosa che in realtà è fatta anche in parte da Schopenhauer);
2) Nietzsche critica ardentemente la concettualizzazione della realtà, dicendo che è solo un'interpretazione nostra. Anzi (e non trovo nuovamente la citazione) è contrario a dare dei nomi alle cose dicendo che sono arbitrari e convenzionali. Per questo motivo Nietzsche vuole liberarci da una sorta di "ignoranza" per la quale affidiamo un'essenza a cose che non la hanno (pensa al fiume di Eraclito; per Nietzsche il fiume non ha identità, ogni secondo è diverso). Il mondo di Nietzsche è senza nomi e senza identità. Essendo senza nomi e senza identità il mondo non può avere valori assoluti e quindi la moralità è relativa (anche se ciò non significa che le moralità sono tutte uguali per lui...). Perciò tutto è "interpetazione", scienza compresa. Chiaramente visto che non c'è nulla di fisso, immutabile ecc non hanno più senso la moralità, l'etica, la metafisica, l'ontologia...
Quello che rimane per lui è un "nichilismo attivo" in cui l'oltreuomo (l'artista creativo) nonostante il "flusso" crea valori e per così dire esprime al massimo livello la sua Volontà di Potenza (e qui lui usa la parola "craft", che è legata alla creatività).  Secondo Nietzsche il concetto di Essere nasce proprio da una visione sbagliata che abbiamo delle cose (c'è solo il Divenire e nel divenire non esistono sostanze). Spero dunque di essere stato chiaro.

Il problema che ho con i nichilisti "attivi" in generale è che non comprendono fino in fondo il dolore di questa esistenza ma invece fanno in modo che la "Lotta" (il Polemos di Eraclito, che Nietzsche considerava quasi giustamente un suo alter-ego) e quindi la sofferenza venga continuamente prodotta. Inoltre se Tutto è volontà di potenza e non ci sono assoluti cadi in assurdità: cosa proibisce di commettere reati se non una "sana coscienza", che tanto Nietzsche disprezzava?

Per Kant: come risolvi il problema della percezione? Come è possibili dire che il noumeno è inconoscibile se Kant stesso lo assume come condizione dei fenomeni e inoltre asserisce che tutti noi vediamo lo stesso fenomeno? Secondo me Kant pur di non finire in contraddizioni ha voluto limitarsi da solo cadendo a sua volta in contraddizione.

In ogni caso forse abbiamo esagerato nella discussione "religiosa" però comunque green demetr molte brillanti idee filosofiche le ho trovate in personalità religiose: anzi fino al novecento spesso era difficile dare una ciara linea di demarcazione. Se vuoi ti dico la mia: "religione" significa l'insieme di culti e credenze senza evidenza empirica che fanno da "fondamento" ad una società e che non hanno origine filosofico/razionale. Il fondamentalismo invece nasce dalla "fede cieca" in queste credenze.

@Sariputra,
Nietzsche certamente ha avuto i suoi difetti, tuttavia per molte cose lo trovo interessantissimo (e non molto distante da Buddha, Nagarjuna...).

P.S./O.T
sgiombo:
http://www.canonepali.net/ Qui trovi parte del Canone Pali buddhista in italiano;
http://www.accesstoinsight.org/ Qui in inglese trovi commenti e testi in inglese;
In generale non è difficile trovare materiale in rete su questi argomenti. Diffida in ogni caso di cavolate come "mente quantica", "legge di attrazione","la mente crea la realtà"... Questa non è filosofia orientale!
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 30 Ottobre 2016, 20:39:13 PM
Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM

La percezione è un atto di esperienza vissuta, un "Erleben", attivo, intenzionale, proprio in virtù del suo tendere alla visualizzazione anticipante dei lati nascosti dell'oggetto percepito, ed in questo visualizzare lati nascosti, in virtù di schemi associativi via via interiorizzati, il soggetto percepiente mostra un certo livello di autonomia dalla passività, che di per sè dovrebbe limitarlo alla ricezione del lato che l'oggetto gli mostra a livello di contatto meramente fisico. Tuttavia la percezione è fattore necessario ma non sufficiente per il darsi della cosa come "fenomeno". Se fosse sufficiente allora si dovrebbe parlare di "sintesi attiva". Invece la percezione, senza un contenuto fenomenico che riceve dagli stimoli della sensazione, resterebbe solo un'intenzionalità vuota, astratta, indeterminata, essa ha bisogno della sensazione, nella quale il soggetto subisce passivamente il contatto con l'oggetto, che offre i contenuti concreti della sintesi e costringe la percezione a un costante riorientamento dei suoi schemi associativi, che devono essere aggiornati in relazione ai nuovi stimoli che l'oggetto ci comunica. In fin dei conti anche la dicitura "sintesi passiva" la trovo scorretta, perchè non c'è pura passività nè pura attività, ma interrelazione di passività e attività, attività sintetica dell'io che collega il lato della cosa attualmente percepita con i lati nascosti, passività di fronte all'oggetto che disvelandosi mostra aspetti nuovi di sè che costringono l'io a modificare le sue strutture interpretative. Interessante è che tutto ciò prepara le basi dal passaggio dalla pura gnoseologia all'ontologia, o meglio alla contestualizzazione della prima all'interno della seconda. Perchè questa unità di attività e passività altro non è che il correlato gnosologico di una condizione ontologica dell'essere umano, caratterizzato dalla sintesi da un lato, di coscienza e libertà (che porta a rivolgerci intenzionalmente verso l'oggetto, a dargli un senso), corporeità e finitezza dall'altro, che rende necessario il contatto fisico con l'oggetto di fronte al quale l'Io è passivo. Cioè l'autonomia seppur relativa degli oggetti rispetto al soggetto rispecchia la condizione ontologica di finitezza (in termini scolastici potremmo dire anche "imperfezione") dell'uomo, il suo non essere ente assoluto. Come giustamente notato, la teoria fenomenologia dell'intenzionalità presuppone come fondamentale la temporalità: la percezione di un oggetto è sempre diacronica, l'apprensione di un singolo lato accade in un certo istante temporale, e gli schemi associativi di cui la percezione si serve sono residuo di esperienze passate conservate nella memoria. La finitezza ontologica dell'uomo fà sì che la sua coscienza sia strutturata come temporale e ciò vuol dire che la necessità di un substrato gnoseologico di passività è data da tale temporalità, gli schemi soggettivi vanno modificati in quanto il passato va adeguato alla conoscenza dell'oggetto reale, cioè presente (agostinianamente, solo il presente è reale).
Al contrario, ipotizzando l'esistenza di una mente divina, assoluta, sovratemporale come soggetto rappresentazionale, allora la passività dovrebbe scomparire, perchè gli oggetti non potrebbe mostrare lati nuovi, inizialmente nascosti, che modificherebbe la struttura della soggettività, perchè tale soggettività avrebbe una visione IMMEDIATAMENTE assoluta e perfetta dei suoi oggetti. Tutto ciò mostra come l'autonomia dell'oggetto che sembra quasi per un'intenzionalità "al contrario"  muoversi attivamente volendo farsi conoscere da noi, non deve farci pensare ad un'indipendenza metafisica del mondo esterno, dell'oggettività, un realismo metafisico, come implicazione della teoria dell'intenzionalità. Tale autonomia dell'oggetto rispetto al soggetto non è un'autonomia assoluta ma solo, in nome della relativizzazione della gnoseologia all'interno dell'ontologia, conseguenza della limitatezza del soggetto in questione, l'uomo, mentre non potrebbe esserci autonomia di un mondo oggettivo in relazione ad un Soggetto, una Coscienza divina assoluta (a prescindere dal supporla esistente o meno). Cioè la diatriba idealismo- realismo va risolta non sul terreno meramente gnoseologico, dove pure sorge, ma su quello ontologico e metafisico che chiarifica la natura del soggetto conoscente in questione. Ogni filosofia, compresa la fenomenologia a prescindere dalla lettera esplicita di Husserl, è satura di potenzialità metafisica (perchè a mio avviso qualunque critica della metafisica è pur sempre metafisica). Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno



Grazie della delucidazione, alla distinzione ontologica - gnoseologica del problema non ci avevo ancora pensato.(mi hai risparmiato almeno 5 anni di studi! visto la mia lentezza).
Mi piace anche come risolvi la questione della passività, in effetti con questa nuova visione proposta, non serve tanto mettere in discussione il carattere passivo-attivo delle sintesi, lo facevo solo perchè nella discussione con amici, l'avevamo messa su quel piano.
Il problema del correlato come questione ontologica, in quanto l'uomo è metafisicamente (concordo) destinato al suo esser legato all'oggetto.

E non l'oggetto come principio metafisico, che farebbe appunto il paio con l'errore dell'uomo metafisico. Metafisica è solo la domanda, come Hegel e Heideger giustamente (eh eh) concordano.


Sul principio di DIO come ente immobile, invece non mi trovi d'accordo affatto. L'azione trascendente non è una questione dell'unarità (come in Hegel, visto che lo sto studiano parallalemante a questi scritti, tramite Zizek), ma appunto come testimonia il pensiero luterano, dalla negatività.
Che si dissolve come storia della morte del soggetto. Non è questione di aldilà, ma dello stare qui, sul momento presente, in cui dissolve ora ed ora ed ora ogni nostra velleità, intenzionale o rappresentazionale che sia.
Il senso che ne deriva secondo me è la questione del terrore metafisico, a cui la filosofia cerca di fare da Pharmacon, alemno fino al postmoderno, quando appunto la questione della modernità (chi siamo) andrebbe di nuovo posta come carattere sovversivo, negativo e non più positivista alla questione meravigliosamente indicata da Hegel e Heideger del Dasein.
A maggior ragione proprio da una posizione ontologica dell'uomo! che richiama al problema antropologico certo, nella accezione contemporanea, quasi tutti i filosofi contemporanei infatti si stanno dirigendo verso l'antropologico. (per fare un paio di esempi che conosco la cura del sè di focauldiana memoria, o il monachesimo di un Agamben).
Ma non è l'ennesimo abbaglio? A mio modo di vedere sì, infatti la filosofia è dentro al discorso del terrore, cioè a quello paranoico. Come se noi fossiamo già morti.
Ecco che allora l'antropologico diventa l'ennesimo scudo, (meglio qualitativamente, ma nè più nè meno che l'analitico della filosofia americana).
E invece il terrore va guardato negli occhi. Di modo da scoprire la sua fantasmatica, ossia la legge della madre (il fantasma materno).

Uscire da simile inpasse è impresa disperata per l'occidente schizoide. Purtroppo questa è la mia seconda intuzione di questo anno.

infatti il livello schizoide fa credere all'uomo di essere qualcosa d'altro, da quello che è. Lo fa tramite una legalizzazione del soggetto borghese, per via delle origini storiche bla bla bla....Di modo che sembra sia l'etica la questione fondante.

Ma nessuno, sottolineo nessuno puà stare in quella etica. Semplicemente perchè non esiste come naturale, quando la fanno passare come tale.
(l'opposizione politica, alla focault, o la rinuncia politica monacale-religiosa (agamben), sono opposizione e rinuncia contro qualcosa che non c'è, a livello antropologico.).

Dunque l'indagine ontologica, che risente del paranoico non è semplicemente doppiata, ma quadruplicata.


reale - fantasma

antropologia (fantasma del reale).  problema dell'uomo

reale - fantasma

sociologia (fantasma del fantasma del reale). problema comunitario

Per tornare all'ontologia fondamentale, idealista, di stampo hegeliano, bisogna dunque di nuovo interrogare il fenomeno e il suo carattere dissolvente.

Per questo se da una parte vi è una intenzionalità "dal basso" che di volta in volta si conforma all'oggetto, dall'altra ci DEVE essere una intenzionalità (criticità) che si conforma a quello che viene "dall'alto".

Se da un lato infatti il problema è gnoseologico-ontologico, dall'altro è linguistico-ontologico, infatti l'apertura al discorso è la stessa lingua, che come sempre meglio si va descrivendo, viene PRIMA del soggetto, non vi sarebbe apertura sul Mondo, senza la possibilità di descriverlo.

Per questo in Lacan, la dicotomia simbolico-reale va indagata in quanto linguistica, in quanto discorso.


Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM

Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno



Siamo dunque totalmente d'accordo sull'errore naturalistico-cosmologico, ma non sul carattere esistenziale, che per me è appunto metafisico e per te antropologico.

(tra l'altro in cosa consisterebbe questo carattere antropologico tuo? forse lo scoprirò in futuri 3d, o forse ne hai già parlato e non ricordo...ehmmmm)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 30 Ottobre 2016, 21:01:56 PM
Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

1) La rappresentazione sensoriale: cioè quell'immagine del mondo fornita dai cinque sensi;
2) La rappresentazione concettuale: cioè quella che deriva dalla concettualizzazione della precedente;

Ebbene Nietzsche (non ricordo più dove) dice chiaramente che è errato attribuire un'identità a noi stessi.


Certo, lo dice sostanzialmente ad ogni pagina, in quanto è il suo tema principale, quello che fa da sfondo a tutto.

Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

Per questo anche Nietzsche in modo poi non così diverso dal Buddha (permettimi di citarlo ancora, solamente per far notare che sto discutendo non di religione ma di filosofia quando parla del buddismo...) asserisce che il Sé non esiste.





E infatti ci sono molti scritti sul parallelismo Nietzche - Buddismo, lo stesso Sini ha invitato più volte i suoi allievi ad approfondirne la questione.
Ma ricordiamoci è solo un parallelismo, sono d'accordo al 1000% con Sari sul carattere western delle considerazioni sulla filosofia buddista.
In quanto per loro indiani, non esiste qualcosa come la filosofia in senso congnitivo occidentalista.

Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

E giustamente tu dici: beh era contrario al concetto di "soggetto" ma non aveva problemi a dare sostazialità all'oggetto. Ebbene qui ti sbagli per due motivi:
1) Il concetto stesso di oggetto è una "rappresentazione concettuale" che Nietzsche abbandona perchè appunto abbandona il soggetto (cosa che in realtà è fatta anche in parte da Schopenhauer);
2) Nietzsche critica ardentemente la concettualizzazione della realtà, dicendo che è solo un'interpretazione nostra. Anzi (e non trovo nuovamente la citazione) è contrario a dare dei nomi alle cose dicendo che sono arbitrari e convenzionali. Per questo motivo Nietzsche vuole liberarci da una sorta di "ignoranza" per la quale affidiamo un'essenza a cose che non la hanno (pensa al fiume di Eraclito; per Nietzsche il fiume non ha identità, ogni secondo è diverso). Il mondo di Nietzsche è senza nomi e senza identità. Essendo senza nomi e senza identità il mondo non può avere valori assoluti

l fatto che il fiume che guardiamo non è mai lo stesso, non significa che non esista un fiume.



Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
e quindi la moralità è relativa (anche se ciò non significa che le moralità sono tutte uguali per lui...). Perciò tutto è "interpetazione", scienza compresa. Chiaramente visto che non c'è nulla di fisso, immutabile ecc non hanno più senso la moralità, l'etica, la metafisica, l'ontologia...


Capisco dai tuoi interventi iniziali che tu voglia cogliere quel fiume a tutti i costi, ma non è certo volgendoti al'etica, alla morale, che puoi trovare punti fissi.


A meno che comincia a venirmi il dubbio, tu voglia salvare la morale e l'etica, avendola introiettata come Legge Paterna. E dunque è solo per preservare il Padre, che cerchi a tutti i costi di preservare il noumeno, come reale.

Va bene, per carità, ne va del nostro equilibrio preservare la moralità. E d'altronde tutti noi non possiamo che dirci cristiani. (a cui farebbe eco il nefasto moriremo tutti democristiani).

Ma criticamente non possiamo permettere che il lume fioco della ragione si spenga.(e per cui Nietzche guai a chi me lo tocca!!!).

La legge è una legalizzazione della morale, arbitraria, gratuita, frutto del potere gerarchico.
Fa quasi tenerezza vedere certi discorsi in questo periodo politico della nostra italietta, basti pensare al 3d di Garbino, che dice Nietzche della colpa introiettata????
Quella è un arma demagogica potentissima, in quanto radicata nel subconscio della gente. Infatti che dice lo slogan per il sì referendario ? (disastro dei disastri, al peggio non c'è mai fine, abrogare la nostra meravigliosa costituzione...che affronto!)..."se passa il no perdiamo l'occasione di migliorare" (alias SIETE COLPEVOLI SE VOTATE NO).

Sottigliezze (macchiavelliche) del discorso paranoico, usato dal politico (che è paranoico per definizione).

Non possiamo fare i chierichetti del MALE!


Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
Per Kant: come risolvi il problema della percezione? Come è possibili dire che il noumeno è inconoscibile se Kant stesso lo assume come condizione dei fenomeni e inoltre asserisce che tutti noi vediamo lo stesso fenomeno? Secondo me Kant pur di non finire in contraddizioni ha voluto limitarsi da solo cadendo a sua volta in contraddizione.


Non conosco Kant così a fondo, quindi tecnicamente non so spiegartelo, per quanto riguarda il problema del vedere lo stesso fenomeno.

Sul fatto se esista un noumenico o meno, ti ripeto, Kant usa il metodo inferenziale, lo stesso di Hume, è arcinoto il debito del filosofo tedesco verso quello inglese.

Il noumeno è qualcosa "come se ci fosse". Esiste solo a livello formale. Ed ha contenuto reale solo a livello trascendentale come fenomeno, incontro tra senso dato e categorie mentali, apriori. Io per comodità uso il concetto di sintesi attiva. Dunque il noumeno non è reale. E infatti il noumeno è il DAS DING, non esiste per fare un esempio la sedia noumenica. E' un errore da matita rossa. (vedasi la figura imbarazzante che hanno fatto vattimo e ferraris, al cospetto del maestro Severino).

Sulla evoluzione dell'idealismo ti invito a riflettere sullo scritto di DAVINTRO, che scrive cento volte meglio di me.

Comunque capisco che l'idealismo non ti soddisfi. Forse Severino ti può aiutare a cercare quella oggettività verità che cerchi.


Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

In ogni caso forse abbiamo esagerato nella discussione "religiosa" però comunque green demetr molte brillanti idee filosofiche le ho trovate in personalità religiose: anzi fino al novecento spesso era difficile dare una ciara linea di demarcazione. Se vuoi ti dico la mia: "religione" significa l'insieme di culti e credenze senza evidenza empirica che fanno da "fondamento" ad una società e che non hanno origine filosofico/razionale. Il fondamentalismo invece nasce dalla "fede cieca" in queste credenze.


Rispondo a te e quindi anche al Sari.

Non ce l'ho col cristianesimo (che conosco pochissimo, avevo iniziato l'anno scorso sul vecchio forum un dialogo con DUC in ALTUM, ma mi sono arenato, ci vuole pazienza).

Figuriamoci con l'oriente! Non so se hai letto miei post precedenti, ma tutta la mia giovinezza è legata indissolubilmente col pensiero induista, nel senso proprio della pratica meditativa, sotto gli insegnamente del raja Yoga di Patanjali e gli insegnamenti del mio maestro, il celeberrimo Paramahansa Yogananda, si proprio quello adorato da steve job.
Proseguendo ho conosciuto le upanishad come le tramanda il centro hare krsna, non se mai avete visto quei libroni meravigliosamente illustrati e rilegati.(ricordo il "nettare della devozione")

Conservo ancora una memoria, come ogni cosa dell'infanzia, magica dell'incontro con quegli scritti.

Come dire non posso fare a meno di essere metafisico proprio per quelle radici.

Capisco benissimo il Sari quando parla di via pratica, e la distinzione western, come pratica intellettuale.
In realtà non mi dispiacciono entrambe. Sopratutto la variante Advaita, quella della non-dualità, intellettualizzata da Śaṇkara (nel medioevo indiano).
Che poi di fatto è la tradizione, la scuola più forte fra le sette sorelle, sia in oriente, sia in occidente, dove fondamentalmente conosciamo solo quella.
(essendo il tantra di origine himalayana, la considero fuori dal discorso).
Ultimamente ho conosciuto anche Nisargadatta, ma come dire, i maestri in India non mancano proprio.
Basta vedere la digitalizzazione fatta nelle università indiane, una mole mastodontica di scritti, di rotoli rinvenuti, tutta da scoprire.
Con polemica annessa, infatti sono più gli studi occidentali su quelle scritture, che non quelle indiane, sia in termini di traduzione (i codici sono in pali antico etc...) sia in termini di riflessione teorica.
Il fatto che l'occidente non capisce, e non capirà mai, è che l'India è veramente l'utima culla della tradizione orale, una tradizione che non vuole morire.
(cosa volete che gli importi della intellettualizzazione) Lo capisco benissimo.
Una tradizione che lotta contro la cultura islamica dilagante sopratutto in India (per ragioni storiche).(anche lì ci sono grossi problemi col fondamentalismo).

Ed è qui il punto: non si può sfuggire alla politicizzazione, e nessuna tradizione orale, riesce ad intenderla, in quanto è interna ai costumi stessi.

E' necessario una illuminazione laterale, appunto intellettuale, politica però, non semplicemente analitica, sebbene ne sia alla base.


Per quanto riguarda il buddismo: non lo conosco, dovrebbe essere il Sari a guidarci. Qualcosina ce lo fa sempre trapelare.


Sia chiaro siete liberi di associare pensiero orientale e occidentale.
(ci mancherebbe)

Il polemos, nasce da parte mia, solo perchè abbraccio la questione filosofica come una questione politica.
E' una semplice presa di posizione (per me salutare, valvola di sfogo, e spero anche per qualcun altro).

saluti.  ;)


Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 23:43:50 PM
green demetr la tua risposta è interessantissima, davvero.
Comunque vedo che su molte cose in realtà siamo d'accordo e la differenza è dovuta al fatto che nel mio caso non conosco in realtà bene l'idealismo e non conosco per nulla autori come Severino, Husserl ecc. D'altronde ho un background culturale un po' povero: di filosofi novecenteschi di fatto conosco solo Wittgenstein, non ho mai letto nulla di Aristotele ecc... quindi chiaramente a volte il mio linguaggio non è "canonico". D'altronde non ho scelto filosofia come università e quindi provo a fare il possibile ;) 


Per quanto riguarda la moralità credo che un qualche "assoluto etico" (il Valore etico) sia necessario e per questo motivo non riesco ad accettare il nichilismo. Credo tuttavia che il miglior metodo per conoscere (in parte) tale "valore" non sia quello di interiorizzare leggi esterne ma di studiare la propria coscienza morale. Perciò il discorso della "colpa introiettata" non c'entra con la "mia" concezione di "etica". Detto questo non voglio salvare il Padre ma l'etica stessa in quanto l'etica relativistica non è etica.

Infine per quanto riguarda il discorso del fiume: beh è la mia ossessione da mesi a questa parte  ;)  Io sono arrivato a dire che il fiume c'è come entità convenzionale, ma affidarli realtà significherebbe "astrarlo" dal resto del mondo e quindi di fatto non comprendere la sua (vera) natura. Tutte le cose perciò sono senza identità. Or come ora non so se dire la stessa cosa del "rappresentante", cioè di noi stessi.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: davintro il 06 Novembre 2016, 17:25:41 PM
Sgiombo scrive

"Mi sembra che tu distingua "sensazione" come mero evento fenomenico (passivo; aggettivo che presuppone però già la realtà di un oggetto agente e un soggetto paziente che sarebbe da dimostrare; oppure da ammettere, come faccio io, che ci si crede arbitrariamente, letteralmente "per fede") e "percezione" come attenzionamento, considerazione teorica (attiva da parte del soggetto; sempre da dimostrarsi previamente o credersi fideisticamente), che per me è soltanto un' ulteriore sensazione fenomenica o un insieme di sensazioni fenomeniche (mentali in questo caso) che accadono "in aggiunta" alla mera sensazione (materiale o anche mentale)."



Esattamente, la penso così. La distinzione percezione-sensazione è la base fondamentale del mio discorso. In assenza di questa distinzione sarebbe a mio avviso impossibile giustificare la capacità che ha la sensazione di modificare il corso normale della percezione dell'oggetto. Quante volte ci sembra di percepire una figura e poi, con l'immissione di nuovi dati fenomenici riconosciamo che la figura corrisponde a un oggetto diverso da quello percepito inizialmente?  E tale situazione presuppone da un lato il protendersi della percezione al di là del contatto fisico del singolo lato con i campi sensoriali del corpo soggettivo, che immagina lati nascosti in sisntesi con quello appreso attualmente, ed è questa anticipazione che poi può venir confermata o "delusa, dall'altro l'esistenza di un'alterità esteriore che costringe l'io percepiente a modificare i prori schemi e regole percettive. Se l'Io percepiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di tale modifica, nè ovviamente sarebbero possibili degli errori da correggere, la realtà oggettiva conciderebbe pienamente con la visione soggettiva che l'uomo ne avrebbe. Ecco perchè, pur a mio avviso all'interno di una tesi secondo me errata, la soluzione teologica di Berkeley era perfettamente coerente e consequenziale internamente con i suoi presupposti. Una volta identificato il reale con i fenomeni, annullando la distinzione tra il soggetto ed un'oggettività che lo limita, occorreva ammettere la possibilità che il soggetto umano, cioè un soggetto imperfetto, contingente, scomparisse, e fosse allora necessario ammettere l'esistenza di un Soggetto percepiente eterno e che  non potrebbe scomparire, Dio, per salvaguardare l'esistenza del reale. Almeno per come mi pare di aver capito Berkeley, pur non essendo d'accordo con le premesse, la conclusione religiosa è coerente con essa. Volendo fare una battuta si potrebbe dire, citando il Polonio di Shakespeare, "è follia ma c'è del metodo"!







Green demetr scrive

"Siamo dunque totalmente d'accordo sull'errore naturalistico-cosmologico, ma non sul carattere esistenziale, che per me è appunto metafisico e per te antropologico.

(tra l'altro in cosa consisterebbe questo carattere antropologico tuo? forse lo scoprirò in futuri 3d, o forse ne hai già parlato e non ricordo...ehmmmm)"




Sicuramente ne riparlemo o perlomeno me lo auguro. Per ora ci tengo a puntualizzare che nulla è più lontano da me che contrapporre una centralità dell'antropologia rispetto all'esplicitazione dello sfondo metafisico di ogni possibile questione ontologica. Proprio il fatto che la gnoseologia presuppone la considerazione della categorie fondamentali che costituiscono l'essere umano, coscienza, corpo, psiche ecc. ed in particolare il concetto di intenzionalità, e dunque di libertà dell'Io che trova nella percezione la prima, parziale, manifestazione, stanno per me a mostrare che l'uomo soggetto della conoscenza possiede una complessità, che lo rende sfuggente ad ogni riduzionismo che lo considera come mera oggettività fisica,  ignorando che proprio l'intenzionalità apre alla necessità di ammettere una dimensione spirituale, dunque metafisica, fondamentale per capire tale complessità. Ricordiamo sempre che la fenomenologia, e questo è proprio l'aspetto che la rende ai miei occhi così fondamentale e convincente, nasce in polemica con l'assolutizzazione positivista ed empirista delle scienze di fatto naturalistiche, naturalismo che di fronte a cose come "visione d'essenza" griderebbe scandalizzato al ritorno della metafisica classica e medioevale
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 06 Novembre 2016, 20:48:06 PM
Citazione di: davintro il 06 Novembre 2016, 17:25:41 PM
Sgiombo scrive

"Mi sembra che tu distingua "sensazione" come mero evento fenomenico (passivo; aggettivo che presuppone però già la realtà di un oggetto agente e un soggetto paziente che sarebbe da dimostrare; oppure da ammettere, come faccio io, che ci si crede arbitrariamente, letteralmente "per fede") e "percezione" come attenzionamento, considerazione teorica (attiva da parte del soggetto; sempre da dimostrarsi previamente o credersi fideisticamente), che per me è soltanto un' ulteriore sensazione fenomenica o un insieme di sensazioni fenomeniche (mentali in questo caso) che accadono "in aggiunta" alla mera sensazione (materiale o anche mentale)."



Esattamente, la penso così. La distinzione percezione-sensazione è la base fondamentale del mio discorso. In assenza di questa distinzione sarebbe a mio avviso impossibile giustificare la capacità che ha la sensazione di modificare il corso normale della percezione dell'oggetto. Quante volte ci sembra di percepire una figura e poi, con l'immissione di nuovi dati fenomenici riconosciamo che la figura corrisponde a un oggetto diverso da quello percepito inizialmente?  E tale situazione presuppone da un lato il protendersi della percezione al di là del contatto fisico del singolo lato con i campi sensoriali del corpo soggettivo, che immagina lati nascosti in sisntesi con quello appreso attualmente, ed è questa anticipazione che poi può venir confermata o "delusa, dall'altro l'esistenza di un'alterità esteriore che costringe l'io percepiente a modificare i prori schemi e regole percettive. Se l'Io percepiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di tale modifica, nè ovviamente sarebbero possibili degli errori da correggere, la realtà oggettiva conciderebbe pienamente con la visione soggettiva che l'uomo ne avrebbe. Ecco perchè, pur a mio avviso all'interno di una tesi secondo me errata, la soluzione teologica di Berkeley era perfettamente coerente e consequenziale internamente con i suoi presupposti. Una volta identificato il reale con i fenomeni, annullando la distinzione tra il soggetto ed un'oggettività che lo limita, occorreva ammettere la possibilità che il soggetto umano, cioè un soggetto imperfetto, contingente, scomparisse, e fosse allora necessario ammettere l'esistenza di un Soggetto percepiente eterno e che  non potrebbe scomparire, Dio, per salvaguardare l'esistenza del reale. Almeno per come mi pare di aver capito Berkeley, pur non essendo d'accordo con le premesse, la conclusione religiosa è coerente con essa. Volendo fare una battuta si potrebbe dire, citando il Polonio di Shakespeare, "è follia ma c'è del metodo"!

CitazioneConcordo che la conclusione teistica di Berkeley è coerente (compatibile; ma secondo me –in questo dissento- non necessaria) con la sua critica della realtà del mondo materiale (l' "esse est percipi"), e che citando Shakespeare si può dire che "è follia ma c'è del metodo"; e anche se personalmente non lo seguo in tale conclusione per me possibile ma non necessaria (compatibile ma non inevitabile) perché trovo più soddisfacenti, cioè più razionalistiche secondo il principio del rasoio di Ockam, altre ipotesi). 
 
E' vero che se l'Io percipiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di adeguare i suoi giudizi errati circa le sensazioni per adeguarli ad esse.
Però in alternativa a un simile Soggetto idealistico (hegeliano? Punto interrogativo necessario per la mia "atavica allergia" ad Hegel e conseguente ignoranza in materia) credo sia sempre ammissibile un semplice solipsismo poiché, come notava Phil in risposta a Sariputra nella risposta #79 di questa discussione:
"Distinguerei l'essere-percipiente, l'essere-"ingegnere della percezione" e l'essere-causa: percepisci qualcosa e di questa tua percezione non dubiti (puoi invece dubitare della realtà dell'esterno alla percezione o di quanto tale percezione sia affidabile), ma ciò non significa che tu possa progettarla e decidere che tipo di percezione essa debba essere (piacevole o spiacevole), tantomeno che tu sia la causa della percezione".

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 07 Novembre 2016, 01:14:14 AM
Citazione di: davintro il 06 Novembre 2016, 17:25:41 PM

Sicuramente ne riparlemo o perlomeno me lo auguro. Ricordiamo sempre che la fenomenologia, e questo è proprio l'aspetto che la rende ai miei occhi così fondamentale e convincente, nasce in polemica con l'assolutizzazione positivista ed empirista delle scienze di fatto naturalistiche, naturalismo che di fronte a cose come "visione d'essenza" griderebbe scandalizzato al ritorno della metafisica classica e medioevale

Bene credo che allora siamo d'accordo anche sul lato metafisico della questione, che è appunto il trascendente.

Il problema però è nella sua continuazione che hai già dato rispondendo a Sgiombo.

Citazione di: davintro il 06 Novembre 2016, 17:25:41 PM
Esattamente, la penso così. La distinzione percezione-sensazione è la base fondamentale del mio discorso. In assenza di questa distinzione sarebbe a mio avviso impossibile giustificare la capacità che ha la sensazione di modificare il corso normale della percezione dell'oggetto. Quante volte ci sembra di percepire una figura e poi, con l'immissione di nuovi dati fenomenici riconosciamo che la figura corrisponde a un oggetto diverso da quello percepito inizialmente?  E tale situazione presuppone da un lato il protendersi della percezione al di là del contatto fisico del singolo lato con i campi sensoriali del corpo soggettivo, che immagina lati nascosti in sisntesi con quello appreso attualmente, ed è questa anticipazione che poi può venir confermata o "delusa, dall'altro l'esistenza di un'alterità esteriore che costringe l'io percepiente a modificare i prori schemi e regole percettive. Se l'Io percepiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di tale modifica, nè ovviamente sarebbero possibili degli errori da correggere, la realtà oggettiva conciderebbe pienamente con la visione soggettiva che l'uomo ne avrebbe. Ecco perchè, pur a mio avviso all'interno di una tesi secondo me errata, la soluzione teologica di Berkeley era perfettamente coerente e consequenziale internamente con i suoi presupposti. Una volta identificato il reale con i fenomeni, annullando la distinzione tra il soggetto ed un'oggettività che lo limita, occorreva ammettere la possibilità che il soggetto umano, cioè un soggetto imperfetto, contingente, scomparisse, e fosse allora necessario ammettere l'esistenza di un Soggetto percepiente eterno e che  non potrebbe scomparire, Dio, per salvaguardare l'esistenza del reale. Almeno per come mi pare di aver capito Berkeley, pur non essendo d'accordo con le premesse, la conclusione religiosa è coerente con essa. Volendo fare una battuta si potrebbe dire, citando il Polonio di Shakespeare, "è follia ma c'è del metodo"![/font][/color]

Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


Il fatto è invece come la diatriba che ci accompagna dal vecchio forum (più che altro vissuta da Maral), derivi dal fatto che il soggetto non è assolutamente sopprimibile, pena la dimenticanza di chi parla: e cioè chi fa il discorso che non esiste un "soggetto che fa il discorso"????

Direi che invece la trascendenza derivi più che altro (come dice Levinas mi pare di aver capito da un recentissimo intervento di Organisti (il Curatore NL VBA - 16_10_29 - Ambrosiana. J. Organisti legge Levinas_ Sapere su Dio 1-5" reperibile su youtube), dal discorso della negatività all'interno stesso del soggetto.
Ossia alle modalità in cui DIO si sottrae alla nostra intenzionalità. (e non come dice il prete Organisti, alla coincidenza della intenzionalità seppure etica cristiana con DIO, perchè quello sarebbe soggetto assoluto).
D'altronde è poi intervenuto il medievalista (non ricordo il nome) che ha bacchettato il professore.
Capovolgendo il problema da Metafisico-Morale, a Morale-Metafisico, che poi sarebbe anche il problema di Nietzche, con cui esordisce Organisti.(e di tutto il medioevo, ossia la teologia negativa, di cui so ancora troppo poco).

E' interessante anche la questione che l'epoca moderna starebbe viaggiando verso una idea di soppressione dell'antropologico, a favore di un transumananesimo. Ossia di una sopressione del soggetto.
(non vorrei ti iscrivessi in questo spiacevole, per me, fraintendimento)


Ora tutto questo che ho scritto dovrei ripensarlo in base alle tue stesse delucidazioni del poste precedente.

Devo dire che c'è qualcosa che mi sfugge. Intanto però magari aggiungi qualcosa o Sgiombo o a me. Di modo di chiarire ulteriormente questa concettualizzazione.

Grazie, e buonanotte a tutti. ;)  ;)
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 07 Novembre 2016, 08:10:50 AM
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 01:14:14 AM


Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


CitazioneMi dispiace, ma anche qui mi fraintendi completamente:

Non sostengo il solipsismo ma solo (cosa ben diversa!) la non confutabilità logica né falsificabilità empirica del solipsismo (e più in generale la insuperabilità razionale -logica e/od empirica- dello scetticismo).

Non sono un solipsista (e se lo fossi mi considerei anch' io "delirante"; fra l' altro non discuterei in alcun forum con interlocutoiri ritenuti inesistenti), sono un crirìtico razionalista del significato, delle condizioni (in ultima analisi indimostrabli né empiricamente constatabili), dei limiti delle mie credenze.

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 07 Novembre 2016, 19:51:24 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Novembre 2016, 08:10:50 AM
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 01:14:14 AM


Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


CitazioneMi dispiace, ma anche qui mi fraintendi completamente:

Non sostengo il solipsismo ma solo (cosa ben diversa!) la non confutabilità logica né falsificabilità empirica del solipsismo (e più in generale la insuperabilità razionale -logica e/od empirica- dello scetticismo).

Non sono un solipsista (e se lo fossi mi considerei anch' io "delirante"; fra l' altro non discuterei in alcun forum con interlocutoiri ritenuti inesistenti), sono un crirìtico razionalista del significato, delle condizioni (in ultima analisi indimostrabli né empiricamente constatabili), dei limiti delle mie credenze.


Lo so, fai bene a specificarlo.

Ma sempre per polemos:

Il fatto è che se io credo che razionalmente è dimostrabile (mostrabile) che il soggetto esista, ecco che allora per me tu diventi un solipsista o monista radicale, che poi è peggio, quando ti richiami al buon senso.
Come diceva il buon Carmelo Bene. Il caro buon senso da CONDOMINIO.


Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 07 Novembre 2016, 23:27:02 PM
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 19:51:24 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Novembre 2016, 08:10:50 AM
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 01:14:14 AM


Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


CitazioneMi dispiace, ma anche qui mi fraintendi completamente:

Non sostengo il solipsismo ma solo (cosa ben diversa!) la non confutabilità logica né falsificabilità empirica del solipsismo (e più in generale la insuperabilità razionale -logica e/od empirica- dello scetticismo).

Non sono un solipsista (e se lo fossi mi considerei anch' io "delirante"; fra l' altro non discuterei in alcun forum con interlocutoiri ritenuti inesistenti), sono un crirìtico razionalista del significato, delle condizioni (in ultima analisi indimostrabli né empiricamente constatabili), dei limiti delle mie credenze.



Lo so, fai bene a specificarlo.

Ma sempre per polemos:

Il fatto è che se io credo che razionalmente è dimostrabile (mostrabile) che il soggetto esista, ecco che allora per me tu diventi un solipsista o monista radicale, che poi è peggio, quando ti richiami al buon senso.
Come diceva il buon Carmelo Bene. Il caro buon senso da CONDOMINIO.
CitazioneNo, il fatto che tu affermi di ritenere, secondo me erroneamente, che razionalmente sarebbe dimostrabile (mostrabile) che il soggetto esista non ti autorizza a pretendere che chi, come me, lo crede rendendosi invece conto che é indimostrabile né mostrabile sia, contro il significato comunemente accettato delle parole in lingua italiana, un solipsista.
Il "monismo radicale", poi, non vedo che ci azzecchi.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PM
Credo che, nel momento in cui di dice che la pretesa di una corrispondenza tra il contenuto fenomenico e le "cose in sè" oggettive è sempre arbitraria ed oggetto di un atto di fede, e che qualunque discorso sulla realtà deve sempre partire dall'analisi dei vissuti soggettivi della coscienza, si sia già concesso tantissimo al solipsismo, o più precisamente, all'ammissione della considerazione della possibilità del solipsismo come presupposto indispensabile di una valutazione il più possibile critica e razionale della realtà. Quello che per me è importante è riconoscere la distinzione tra l'idea di poter razionalmente "saturare" la conoscenza del reale con tutte le nostre concrete e particolari manifestazioni fenomeniche delle nostre rappresentazioni, pensando ad una piena aderenza tra fenomeno e cosa in sè, e l'ammissione razionale dell'esistenza di un mondo oggettivo, in senso molto più vuoto e indeterminato, cioè ammettiamo che una realtà oggettiva genericamente intesa esiste in modo razionale, mentre lasciamo alla fede (o al limite ad una ragionevolezza probabilistica non apodittica) il ritenere di poter riempire la X con tutto ciò che noi pensiamo e percepiamo di essa. Solo la prima ipotesi va iscritta al realismo ingenuo del senso comune, la seconda è realismo critico, perchè la realtà viene riconosciuta a partire dalla certezza della coscienza, e trascendentale, perchè di questa realtà oggettiva ci si limita a parlarne entro precisi limiti, i limiti della giustificazione dei vissuti soggettivi della coscienza, il punto di partenza indubitabile. Il problema che voglio sollevare è: qual'è il rapporto del solipsismo con la seconda posizione? Cosa si intende per solipsismo?  "Solipsismo" è una declinazione di "solus", solo.  Ma la solitudine è qua un concetto ambiguo, e l'ambiguità determina due diverse acccezioni di solipsismo. La prima, più "moderata", considera la non esistenza di altri soggetti. Io sono solo nel senso che sono l'unico Io percepiente o cosciente al mondo. La seconda, ancora più, dal punto di vista del  senso comune, delirante ed estrema, pone tale solitudine non come assenza di alter ego, ma  di qualunque cosa altra differente dal mio Io, non solo altri soggetti, ma anche la natura meramente fisica, non esiste alcuna altra cosa al mondo che il mio pensiero con il suo contenuto fenomenico. Quest'ultima posizione non può che dedurre l'assolutizzazione, la divinizzazione dell'Io. Inteso in questo modo il solipsismo non può che porre l'Io, non solo come "l'unico e solo", ma anche come Dio non limitato da altro da sè, perchè nulla esisterebbe di fuori di sè (tutto ciò a conferma che le questioni filosofiche finiscono sempre col dover trovare una soluzione entrando nel campo delle affermazioni metafisiche, cioè la metafisica non è un ramo della filosofia tra gli altri, ma lo sfondo necessario di ogni sua espressione, ma il discorso ci porta troppo lontano da qui, mi fermo). L'ipotesi moderata invece è assolutamente conciliabile con il realismo critico. Infatti negando l'esistenza di altri soggetti da me, ma non di una realtà oggettiva in generale, il solipsismo inteso così respinge la pretesa della coincidenza tra determinate rappresentazioni e realtà (la percezione di altre coscienze, l'empatia, rientra certamente nei miei fenomeni eppure il suo contenuto non sarebbe realtà oggettiva ma illusione), ma salverebbe una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa. Insomma, a me pare che una discussione sul solipsismo debba per forza risolvere la questione e stabilire di quale solipsismo si sta parlando, a quale delle due accezioni ci riferiamo quando parliamo di esso. O almeno, questa è la mia esigenza personale di chiarimento...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 11 Novembre 2016, 12:14:21 PM
Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PM
Credo che, nel momento in cui di dice che la pretesa di una corrispondenza tra il contenuto fenomenico e le "cose in sè" oggettive è sempre arbitraria ed oggetto di un atto di fede, e che qualunque discorso sulla realtà deve sempre partire dall'analisi dei vissuti soggettivi della coscienza, si sia già concesso tantissimo al solipsismo, o più precisamente, all'ammissione della considerazione della possibilità del solipsismo come presupposto indispensabile di una valutazione il più possibile critica e razionale della realtà.

CitazioneD' accorrdo.
Ma non vedo una dimostrazione della falsità del solipsismo.
Ergo: sono costretto a fare queste concessioni (se qualcuno mi dimostrasse come uscire con certezza razionalmente o empiricamente fondata dal solipsismo sarei ben lieto di evitarle).




Quello che per me è importante è riconoscere la distinzione tra l'idea di poter razionalmente "saturare" la conoscenza del reale con tutte le nostre concrete e particolari manifestazioni fenomeniche delle nostre rappresentazioni, pensando ad una piena aderenza tra fenomeno e cosa in sè, e l'ammissione razionale dell'esistenza di un mondo oggettivo, in senso molto più vuoto e indeterminato, cioè ammettiamo che una realtà oggettiva genericamente intesa esiste in modo razionale, mentre lasciamo alla fede (o al limite ad una ragionevolezza probabilistica non apodittica) il ritenere di poter riempire la X con tutto ciò che noi pensiamo e percepiamo di essa. Solo la prima ipotesi va iscritta al realismo ingenuo del senso comune, la seconda è realismo critico, perchè la realtà viene riconosciuta a partire dalla certezza della coscienza, e trascendentale, perchè di questa realtà oggettiva ci si limita a parlarne entro precisi limiti, i limiti della giustificazione dei vissuti soggettivi della coscienza, il punto di partenza indubitabile.

CitazioneMi sembra che sia quanto vado sostenendo anch' io (a parte una certa mia diffidenza verso l' aggettivo "trascendentale" che mi ricorda  Kant, col quale non concordo in toto; e salvo la precisazione che ritengo i nostri discorsi circa la realtà oggettiva, in sé o noumeno, "riempibili" con tutto ciò che noi pensiamo di esso, ma da nulla di percepito o percepibile ovviamente; ma forse questa é una precisazione pleonastica).

Fra l' altro non riesco a cogliere un senso all' espressione "aderenza tra fenomeno e cosa in sè"; la cosa in sé non può che essere tutt' altro rispetto ai fenomeni, anche solo per definizione, per il fatto che si intende essere reale -se lo é, come credo indimostrabilmente- anche indipendemntememnte dall' accadere realmente dei fenomeni, anche se e quando questi ultimi non sono reali; secondo me la parola più adatta a suggerire le relazioni fra noumeno e fenomeni è "corrispondenza biunivoca".
Per me il realismo ingenuo é appunto il confondere fenomeni e cose in sé: credere che questo albero qui davanti che vedo quando lo vedo, che é costituito unicamente di sensazioni fenomeniche (determinate forme e colori) esiste anche quando non lo vedo (e duque tali forme e colori -ergo: tale albero- non esistono), il non rendersi conto che "esse est percipi".

Inoltre ci terrei aprecisare che per "giustificazione dei vissuti soggettivi della coscienza" secondo me si può intendere solo "spiegazione" (ipotesi esplicativa) di alcune loro caratteristiche, come l' intersoggettività delle loro componenti materiali e la corrispondenza biunivoca fra coscienza (certi determinati "contenuti fenomenici di" certe determinate esperienze coscienti) e cervello (certi determinati eventi neurofisiologici in certi determinati cervelli), non dimostrazione; non invece "dimostrazione di tale ipotesi": per me di "indubtabile" c' é solo il "punto di partenza fenomenico".




Il problema che voglio sollevare è: qual'è il rapporto del solipsismo con la seconda posizione? Cosa si intende per solipsismo?  "Solipsismo" è una declinazione di "solus", solo.  Ma la solitudine è qua un concetto ambiguo, e l'ambiguità determina due diverse acccezioni di solipsismo. La prima, più "moderata", considera la non esistenza di altri soggetti. Io sono solo nel senso che sono l'unico Io percepiente o cosciente al mondo. La seconda, ancora più, dal punto di vista del  senso comune, delirante ed estrema, pone tale solitudine non come assenza di alter ego, ma  di qualunque cosa altra differente dal mio Io, non solo altri soggetti, ma anche la natura meramente fisica, non esiste alcuna altra cosa al mondo che il mio pensiero con il suo contenuto fenomenico. Quest'ultima posizione non può che dedurre l'assolutizzazione, la divinizzazione dell'Io. Inteso in questo modo il solipsismo non può che porre l'Io, non solo come "l'unico e solo", ma anche come Dio non limitato da altro da sè, perchè nulla esisterebbe di fuori di sè

CitazioneLa seconda forma più radicale di solipsismo che consideri (che ammette l' esistenza reale seolo di me e dei contenuti fenomenici, sia "di pensiero" o mentali che materiali, della mia coscienza) secondo me non implica comunque l' identificazione dell' "io" con Dio, almeno nell' accezione più comune del concetto, implicante l' onnipotenza.
Concordo infatti con quanto Phil ha obiettato a Sariputra circa la differenza fra l'essere-percipiente, l'essere-"ingegnere della percezione" e l'essere-causa (Risposta #79 di questa discussione).


Inoltre considererei una terza forma ancor più radicale e delirante di solipsismo (che invero più correttamente sarebbe da denominare "scetticismo"; o per lo meno "solfenomenismo"): il limitare la credenza all' accadere dei fenomeni, senza (nemmeno) un soggetto in sé (oltre che senza oggetti in sé) di essi.




L'ipotesi moderata invece è assolutamente conciliabile con il realismo critico. Infatti negando l'esistenza di altri soggetti da me, ma non di una realtà oggettiva in generale, il solipsismo inteso così respinge la pretesa della coincidenza tra determinate rappresentazioni e realtà (la percezione di altre coscienze, l'empatia, rientra certamente nei miei fenomeni eppure il suo contenuto non sarebbe realtà oggettiva ma illusione), ma salverebbe una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa. Insomma, a me pare che una discussione sul solipsismo debba per forza risolvere la questione e stabilire di quale solipsismo si sta parlando, a quale delle due accezioni ci riferiamo quando parliamo di esso. O almeno, questa è la mia esigenza personale di chiarimento...
CitazioneNon vedo perché, se ammetto l' esistenza di una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa, e dunque seguo un realismo critico, non dovrei spingermi anche a credere alla verità e sensatezza di quanto mi dicono gli altri uomini (superare il dubbio non confutabile trattarsi di mere coincidenze, un po' come le rocce che in Sardegna sembrano sculture intenzionali di elefanti e non eventi casuali) e dunque uscire dal solipsismo. Certo, in teoria non é strettamente necessario, tuttavia trovo che, per arrivarci, "il passo é breve").
D' altra parte soggettivamente trovo che faccia ben poca differenza credere che ci sono solo io con i fenomeni della mia coscienza o invece credere che oltre a ciò esiste una realtà in sé (eccedente il mio io cosciente) e tuttavia meramente "inerte", materiale, non implcante altri soggetti di sensazioni coscienti simili al mio "io" (a me): tra solipsismo compatibile con realismo critico e realismo critico implicante la credenza nell' esistenza di altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente trovo -beninteso soggettivamente- molta più differenza che tra solipsismo "forte" senza realismo critico e solipsismo "debole" con realismo critico ma senza altri soggetti di esperienza cosciente).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Phil il 11 Novembre 2016, 17:54:20 PM
Qualche osservazione sulle due forme di solipsismo proposte da davintro:
Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PMLa prima, più "moderata", considera la non esistenza di altri soggetti. Io sono solo nel senso che sono l'unico Io percepiente o cosciente al mondo [...] negando l'esistenza di altri soggetti da me, ma non di una realtà oggettiva in generale, il solipsismo inteso così respinge la pretesa della coincidenza tra determinate rappresentazioni e realtà (la percezione di altre coscienze, l'empatia, rientra certamente nei miei fenomeni eppure il suo contenuto non sarebbe realtà oggettiva ma illusione), ma salverebbe una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa 
Quindi la percezione dell'esistenza di altri soggetti circostanti non rimanda ad una realtà oggettiva ma è illusione, invece la realtà oggettiva priva di altre coscienze è postulata realmente esistente (nonostante  i miei vissuti non la colgano adeguatamente)?
Come è possibile discriminare fra le due percezioni (quella dell'altro uomo e quella dell'oggetto "reale"), fino a riconoscere una come totalmente illusoria e l'altra come interpretazione soggettiva di qualcosa che tuttavia esiste?
L'altro uomo che mi "affronta" e parla è inesistente, mentre l'oggetto inerte che tace esiste anche se lo colgo solo come fenomeno di coscienza?
Quel "salvataggio della realtà oggettiva"(semi-cit.) è una concessione fatta al/dal solipsista da parte del realismo critico al paradossale prezzo di sacrificare l'altro-uomo-come-oggetto-fenomenico?


Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PMLa seconda [...] pone tale solitudine non come assenza di alter ego, ma  di qualunque cosa altra differente dal mio Io, non solo altri soggetti, ma anche la natura meramente fisica, non esiste alcuna altra cosa al mondo che il mio pensiero con il suo contenuto fenomenico.
Per quanto estrema, questa posizione di solipsismo radicale è forse la più logicamente coerente: se arriviamo a dubitare che ci siano gli altri (di cui uno verosimilmente ci ha generato e molti altri con cui ci relazioniamo), allora può ben essere illusorio (fino all'inesistenza) persino il restante palcoscenico, ormai privo di attori, ad eccezione del monologhista che si chiede come fa ad essere lì da solo  ;)


Proporrei poi una quarta forma di solipsismo (la terza, piuttosto interlocutoria, l'ha già proposta sgiombo), quella in cui l'autocoscienza è l'unica certezza (cartesiana) che porta a sospendere il giudizio di esistenza per quanto riguarda la realtà (altri umani compresi), riconoscendola non come inesistente, ma al massimo come ipotesi di giustificazione dei fenomeni di coscienza, come supposizione la cui esistenza reale è asintoticamente insondabile e, quindi, in fin dei conti, irrilevante...
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 12 Novembre 2016, 07:19:22 AM
Citazione di: Phil il 11 Novembre 2016, 17:54:20 PM

Proporrei poi una quarta forma di solipsismo (la terza, piuttosto interlocutoria, l'ha già proposta sgiombo), quella in cui l'autocoscienza è l'unica certezza (cartesiana) che porta a sospendere il giudizio di esistenza per quanto riguarda la realtà (altri umani compresi), riconoscendola non come inesistente, ma al massimo come ipotesi di giustificazione dei fenomeni di coscienza, come supposizione la cui esistenza reale è asintoticamente insondabile e, quindi, in fin dei conti, irrilevante...

CitazioneTrovo (soggettivamente) rilevante il fatto che possa spiegare, sia pure ipoteticamente, indimostrabilmente, i fenomeni (alcune importanti -sempre soggettivamente- caratteristiche attribuibili -anche queste almeno in parte indimostrabilmente- ai fenomeni).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: maral il 13 Novembre 2016, 21:59:54 PM
Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere alla contradizione nichilistica ontologica.
L'assunzione di un me stesso come unico soggetto cosciente del mondo si limita a negare la dimensione altra della coscienza, ma non tiene conto che la coscienza (la mia coscienza) è un fatto relazionale determinato da altre coscienze che la fondano, affidandomi il significato originario di ciò di cui via via divento cosciente. La mia coscienza si presenta solo nel mutare dei segni ad essa dati da altre coscienze, non è originaria.
La totale negazione dell'altro (indicata come seconda più radicale posizione), sia come soggetto che come oggetto, pone il problema di un pensare del tutto soggettivo e privo di oggetto. Cosa sente e pensa questo "io che sento, penso, dubito e rappresento"? Il nulla o me stesso? O il nulla che è me stesso, dunque ciò che avevo presupposto come tutto? Si noti che anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui.
L'autocoscienza (richiamata da Phil) come interiore coscienza di se stessi ha già presupposto quel soggetto autocosciente autore di ogni pensare, dubitare, interpretare; quindi non lo dimostra (il cogito cartesiano non dimostra il sum, ma lo presuppone e lo mostra come un prestigiatore che teneva nascosto il coniglio nel doppio fondo del cappello).
La posizione più radicale e coerente è appunto quella, indicata da Sgiombo, in cui non vi è più ne soggetto né oggetto, ma un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo. E' una posizione ambigua, senza dubbio nichilistica se si ritiene che questo è tutto quello che accade, mentre non lo è se ci si rende conto che questo accadere implica l'accadere sempre insieme di qualcuno (soggetto) e qualcosa (oggetto) nella loro singolare diversità di volta in volta presentata. L'accadere di me e di un altro insieme e inseparabilmente uniti dall'alterità che ci lega reciprocamente. Il pensiero filosofico attuale è giunto proprio a questo bivio e ha davanti a sé da un lato quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade), dall'altro l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano. La realtà accadendo lascia segni che giocano giochi simbolici e questi giochi simbolici sono la sua autentica rappresentazione di cui siamo parte a nostra volta come segni per ogni altro.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Citazione di: maral il 13 Novembre 2016, 21:59:54 PM
Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere alla contradizione nichilistica ontologica.
L'assunzione di un me stesso come unico soggetto cosciente del mondo si limita a negare la dimensione altra della coscienza, ma non tiene conto che la coscienza (la mia coscienza) è un fatto relazionale determinato da altre coscienze che la fondano, affidandomi il significato originario di ciò di cui via via divento cosciente. La mia coscienza si presenta solo nel mutare dei segni ad essa dati da altre coscienze, non è originaria.
CitazioneTutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.

(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?


La totale negazione dell'altro (indicata come seconda più radicale posizione), sia come soggetto che come oggetto, pone il problema di un pensare del tutto soggettivo e privo di oggetto. Cosa sente e pensa questo "io che sento, penso, dubito e rappresento"? Il nulla o me stesso? O il nulla che è me stesso, dunque ciò che avevo presupposto come tutto? Si noti che anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui.

CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).


L'autocoscienza (richiamata da Phil) come interiore coscienza di se stessi ha già presupposto quel soggetto autocosciente autore di ogni pensare, dubitare, interpretare; quindi non lo dimostra (il cogito cartesiano non dimostra il sum, ma lo presuppone

CitazioneSu questo invece concordo.

La posizione più radicale e coerente è appunto quella, indicata da Sgiombo, in cui non vi è più ne soggetto né oggetto, ma un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo. E' una posizione ambigua, senza dubbio nichilistica se si ritiene che questo è tutto quello che accade, mentre non lo è se ci si rende conto che questo accadere implica l'accadere sempre insieme di qualcuno (soggetto) e qualcosa (oggetto) nella loro singolare diversità di volta in volta presentata. L'accadere di me e di un altro insieme e inseparabilmente uniti dall'alterità che ci lega reciprocamente. Il pensiero filosofico attuale è giunto proprio a questo bivio e ha davanti a sé da un lato quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade), dall'altro l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano. La realtà accadendo lascia segni che giocano giochi simbolici e questi giochi simbolici sono la sua autentica rappresentazione di cui siamo parte a nostra volta come segni per ogni altro.

CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?

Mi sembra evidentemente autocontraddittoria anche l' affermazione "quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade)" se per "puro accadere" si intende l' accadere di qualcosa (e in particolare "un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo").

"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente

Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: maral il 14 Novembre 2016, 16:01:04 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Tutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.
Il punto è che nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine. Ovviamente si potrebbe anche dire che questa storia che mi consegna il significato di un mondo e di qualsiasi cosa all'interno di esso è una mia creazione dal nulla, ma questo non è ciò che immediatamente si presenta alla mia coscienza. Ciò che si presenta in principio alla mia coscienza infatti non è la mia coscienza, ma l'essere di me cosciente da parte di qualcun altro che mi guarda e mi considera mentre per lui accado. La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere e solo su questa base posso anche arrivare follemente a pensare che quella coscienza che l'altro ha avuto originariamente di me non è mai esistita e vivere il delirio di un'autocoscienza perfettamente autocratica.  

Citazione(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?
che niente è.

CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).
In lingua italiana e probabilmente in molte altre lingua, ma questo non toglie che sia una sorta di astrazione presa per comodità, ma concretamente falsa. L'io che pensa non può coincidere con l'io pensato dall'io che pensa, anche se lo pensa e lo vuole intendere come sé medesimo, uno è soggetto e l'altro è oggetto del pensare e questo non è per nulla indifferente alle caratteristiche specifiche concretamente differenzianti.

CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?
Lo intendo come un "appare evidente che" ogni accadere è l'accadere di qualcosa a qualcuno e non un accadere che sta da solo, ossia un accadere di nulla a nessuno.
L'accadere è sempre l'accadere di qualcosa (pensare, percepire ecc.), ma se qualcosa in qualche modo accade l'accadere non è auto sussistente (necessita cioè di qualcosa che accade), questa impossibile perfetta auto sussistenza isolata è quella che identificavo come caratteristica di un "puro accadere" che quindi altro non è che un accadere di nulla a nessuno, totalmente disincarnato.


Citazione"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente
Bè, la proposizione "il soggetto crea il mondo pensandolo" si può dimostrare insoddisfacente nel momento in cui ci si domandi che cosa crea il soggetto, e contraddittoria se si pensa il mondo come tutto quello che c'è e quindi il soggetto creatore come fuori dal mondo, da qualche parte che non c'è, dato che non è al mondo, ma lo precede.
Empiricamente penso che constatiamo tutti i giorni (sogni compresi, che non sono forme solipsistiche) che non siamo mai assolutamente soli (forse lo siamo solo nel sonno profondo, perfettamente incosciente), nemmeno quando siamo con noi stessi. L'altro si dà sempre alla coscienza e, proprio alla luce della coscienza, mi pare che solo dall'esperienza dell'altro può fare apparire di riflesso un me stesso differente da lui e pertanto in necessario e originario rapporto con lui.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 14 Novembre 2016, 20:12:18 PM
Citazione di: maral il 14 Novembre 2016, 16:01:04 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Tutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.
Il punto è che nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine. Ovviamente si potrebbe anche dire che questa storia che mi consegna il significato di un mondo e di qualsiasi cosa all'interno di esso è una mia creazione dal nulla, ma questo non è ciò che immediatamente si presenta alla mia coscienza. Ciò che si presenta in principio alla mia coscienza infatti non è la mia coscienza, ma l'essere di me cosciente da parte di qualcun altro che mi guarda e mi considera mentre per lui accado. La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere e solo su questa base posso anche arrivare follemente a pensare che quella coscienza che l'altro ha avuto originariamente di me non è mai esistita e vivere il delirio di un'autocoscienza perfettamente autocratica.  
CitazioneMa che significa "nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine"?
Del mondo constatato empiricamente "esse est percipi": l' esperirlo non è altro che insieme e successione di sensazioni fenomeniche.
 
Nemmeno capisco che cosa possa significare che "La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere"; e comunque la "mia" coscienza (la coscienza immediatamente esperita) può anche essere pensata del tutto logicamente, senza alcuna contradizion che nol consente, come tutto ciò che accade realmente senza alcuna altra coscienza nell' ambito della quale si prenda atto dell' accadere della "mia" coscienza stessa (esistenza di "altre" coscienze che dunque pare indimostrabile, né mostrabile empiricamente).




Citazione(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?
che niente è.
Citazione"Niente è" mi sembra evidentemente un' affermazione falsa, ma non contraddittoria (sarebbero contraddittorie "niente è e inoltre è qualcosa" o "qualcosa è niente").

Non vedo comunque come potresti dimostrare l' affermazione che "Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere a sostenere che niente è [= la contraddizione nichilistica ontologica]": il solipsismo, anche inteso nell' accezione più radicale, ammette comunque l' esistenza di "qualcosa che è": (per lo meno) l' esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita (se non anche il suo soggetto).




CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).
In lingua italiana e probabilmente in molte altre lingua, ma questo non toglie che sia una sorta di astrazione presa per comodità, ma concretamente falsa. L'io che pensa non può coincidere con l'io pensato dall'io che pensa, anche se lo pensa e lo vuole intendere come sé medesimo, uno è soggetto e l'altro è oggetto del pensare e questo non è per nulla indifferente alle caratteristiche specifiche concretamente differenzianti.
CitazioneMa perché mai "L'io che pensa" non dovrebbe poter "coincidere con l'io pensato dall'io che pensa", ovvero perché mai il soggetto del pensare non potrebbe esserne anche l' oggetto?
Mi capita spessissimo di pensare a me stesso (anche se la mia esistenza in sé come soggetto e/o oggetto di sensazione fenomenica è indimostrabile, la credo), e in tali circostanze il mio essere sia soggetto del pensiero sia suo oggetto non mi fa diventare ontologicamente due diverse cose per il fatto di esercitare due diverse funzioni epistemologiche; non più che il fatto di essere sia italiano sia medico, o sia marito sia padre (se non é contraddittoria ciascuna di queste due coppie di diverse caratteristiche ontologiche della medesima entità -io- non vedo come potrebbe esserla quella fra le diverse caratteristiche gnoseologiche della stessa entità).




CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?
Lo intendo come un "appare evidente che" ogni accadere è l'accadere di qualcosa a qualcuno e non un accadere che sta da solo, ossia un accadere di nulla a nessuno.
L'accadere è sempre l'accadere di qualcosa (pensare, percepire ecc.), ma se qualcosa in qualche modo accade l'accadere non è auto sussistente (necessita cioè di qualcosa che accade), questa impossibile perfetta auto sussistenza isolata è quella che identificavo come caratteristica di un "puro accadere" che quindi altro non è che un accadere di nulla a nessuno, totalmente disincarnato.
CitazioneDato che non ne dai dimostrazione logica alcuna né lo ostenti empiricamente, ne deduco che lo credi per fede (come me).
Dunque l' impossibilità di questa "perfetta auto sussistenza isolata" ecc. la credi per fede, dal momento che essa è pensabile sensatissimamente, senza alcuna contradizion che nol consente, e cioè non dimostrabile essere impossibile.
 
Ma un accadere che sta da solo, non é un accadere di nulla, bensì un accadere di qualcosa che non è accadere di alcunché ad alcuno(la lingua italiana con l' illogicissima ammissione di due negazioni che negano anziché affermare può creare fraintendimenti), ma non un non accadere di alcunché (in assoluto): affermarlo significherebbe cadere nella contraddizione ("nichilistica ontologica"?) pretendendo che qualcosa accada e anche contemporaneamente non accada.




Citazione"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente
Bè, la proposizione "il soggetto crea il mondo pensandolo" si può dimostrare insoddisfacente nel momento in cui ci si domandi che cosa crea il soggetto, e contraddittoria se si pensa il mondo come tutto quello che c'è e quindi il soggetto creatore come fuori dal mondo, da qualche parte che non c'è, dato che non è al mondo, ma lo precede.
CitazioneMa il solipsismo non è l'affermazione che "il soggetto crea il mondo pensandolo" (questo è casomai idealismo), bensì al massimo che "esiste solo il soggetto con la sua esperienza fenomenica (che non crea ad libitum; vedi risposta #79 di Phil) in un accezione "debole"; o magari addirittura che esiste solo l' esperienza fenomenica cosciente (senza soggetto) in una più "forte" o più "scettica".


Empiricamente penso che constatiamo tutti i giorni (sogni compresi, che non sono forme solipsistiche) che non siamo mai assolutamente soli (forse lo siamo solo nel sonno profondo, perfettamente incosciente), nemmeno quando siamo con noi stessi. L'altro si dà sempre alla coscienza e, proprio alla luce della coscienza, mi pare che solo dall'esperienza dell'altro può fare apparire di riflesso un me stesso differente da lui e pertanto in necessario e originario rapporto con lui.
CitazioneNon lo constatiamo empiricamente bensì lo crediamo fideisticamente interpretando indimostratamente ciò che constatiamo empiricamente.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: maral il 14 Novembre 2016, 23:19:07 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 20:12:18 PM
Ma che significa "nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine"?
Significa che i significati che ci appaiono accadendo in forma di enti reali non ci si presentano originariamente come inventati da noi dal nulla, ma come dati dalla storia della coscienza umana che ingloba miliardi di altri soggetti.
CitazioneDel mondo constatato empiricamente "esse est percipi": l' esperirlo non è altro che insieme e successione di sensazioni fenomeniche.
L'esperire è sempre esperire un significato, non una cosa, non un fenomeno puro e senza alcun significato, ma qualcosa che ha già significato nel momento stesso in cui lo esperisco.
CitazioneNemmeno capisco che cosa possa significare che "La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere";
significa che originariamente la mia coscienza è generata da un altro che prende coscienza di me come individuo.

Citazionee comunque la "mia" coscienza (la coscienza immediatamente esperita) può anche essere pensata del tutto logicamente, senza alcuna contradizion che nol consente, come tutto ciò che accade realmente senza alcuna altra coscienza nell' ambito della quale si prenda atto dell' accadere della "mia" coscienza stessa (esistenza di "altre" coscienze che dunque pare indimostrabile, né mostrabile empiricamente).
Sì, è possibile postularla in tal modo, ma questo non spiega perché originariamente il mondo mi si dia abitato da altri individui coscienti quanto me (a me simili in fatto di coscienza). Non solo, ma quanto più la cultura è "primitiva", quanto più l'uomo è vicino alla sua infanzia, tanto più questa coscienza altra appare estesa. Il solipsismo appare piuttosto come un punto di arrivo acquisito da una lunga storia di interpretazioni che sottraggono via via coscienza, piuttosto che come un punto di partenza originario ove ogni forma fenomenica appare piuttosto dotato di una forma di coscienza sua propria, altra dalla mia ancora embrionale e, come forma embrionale, contenuta nell'altro.  

Citazione"Niente è" mi sembra evidentemente un' affermazione falsa, ma non contraddittoria (sarebbero contraddittorie "niente è e inoltre è qualcosa" o "qualcosa è niente").
Da un punto di vista logico il falso è autocontaddittorio (non vi è alcun altro falso logico che non sia una contraddizione). Se niente è allora "il niente" è, proprio perché tutto è niente.
CitazioneNon vedo comunque come potresti dimostrare l' affermazione che "Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere a sostenere che niente è [= la contraddizione nichilistica ontologica]": il solipsismo, anche inteso nell' accezione più radicale, ammette comunque l' esistenza di "qualcosa che è": (per lo meno) l' esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita (se non anche il suo soggetto).
No, ammette l'esistenza solo del soggetto, che sono io stesso che esperisco creando dal nulla l'oggetto. Ma questo soggetto originario che precede il suo oggetto non può esserci da solo senza l'oggetto che pretende di creare, dunque non è l'assoluto originario.

CitazioneMa perché mai "L'io che pensa" non dovrebbe poter "coincidere con l'io pensato dall'io che pensa", ovvero perché mai il soggetto del pensare non potrebbe esserne anche l' oggetto?
Proprio perché essere soggetto del pensare è l'opposto dell'esserne oggetto, l'oggetto e il soggetto del pensare sono tenuti insieme da quel pensare che accade, ma sono posti ai due poli estremi dal pensare che li lega. Essere contemporaneamente italiano e medico nella stessa identità è possibile, perché non rappresentano polarità opposte come il pensante e il pensato (fermo restando che è ancora possibile pensare Sgiombo solo come italiano o solo come medico e in questo caso le due entità parimenti non coincidono).
CitazioneDunque l' impossibilità di questa "perfetta auto sussistenza isolata" ecc. la credi per fede, dal momento che essa è pensabile sensatissimamente, senza alcuna contradizion che nol consente, e cioè non dimostrabile essere impossibile.
No, non è per nulla sensatissima, dato che risulta auto contraddittoria e si mostra autocontraddittoria in quanto l'accadere senza che nulla accada equivale al nulla dell'accadere. Ed è proprio per questo che il solipsismo, esattamente come il puro oggettivismo è una tappa verso il nichilismo ontologico di cui sopra: il nulla è assoluto (nulla del soggetto, nulla dell'oggetto, nulla dello stesso accadere in quanto ognuno di questi elementi preso in origine separato è nulla e non per fede, ma per logica)  

CitazioneMa un accadere che sta da solo, non é un accadere di nulla, bensì un accadere di qualcosa che non è accadere di alcunché ad alcuno(la lingua italiana con l' illogicissima ammissione di due negazioni che negano anziché affermare può creare fraintendimenti), ma non un non accadere di alcunché (in assoluto): affermarlo significherebbe cadere nella contraddizione ("nichilistica ontologica"?) pretendendo che qualcosa accada e anche contemporaneamente non accada.
Va vene, diciamo che "l'accadere accade per l'accadere", ma anche in questo caso abbiamo posto un accadere che è soggetto del proprio accadere e un accadere che è oggetto del proprio accadere e, come sopra si è detto non sono la stessa cosa essendo uno il soggetto e l'altro l'oggetto e non possono esserlo contemporaneamente.




CitazioneMa il solipsismo non è l'affermazione che "il soggetto crea il mondo pensandolo" (questo è casomai idealismo), bensì al massimo che "esiste solo il soggetto con la sua esperienza fenomenica (che non crea ad libitum; vedi risposta #79 di Phil) in un accezione "debole"; o magari addirittura che esiste solo l' esperienza fenomenica cosciente (senza soggetto) in una più "forte" o più "scettica".
solipsismo significa solo io stesso: io solo sono e faccio tutto, penso, percepisco e creo mentre penso e percepisco. Le radici del solipsismo stanno negli aspetti assoluti del cogito cartesiano e certo, anche dell'idealismo. Come poi possa sussistere un'esperienza fenomenica cosciente senza una coscienza resta un grande mistero, un vero mistero della fede.


CitazioneNon lo constatiamo empiricamente bensì lo crediamo fideisticamente interpretando indimostratamente ciò che constatiamo empiricamente.
Lo constatiamo proprio empiricamente in ogni istante anche minimamente cosciente della nostra esistenza, mentre fideisticamente si può giungere a credere il contrario, ossia di essere coincidenti con la totalità dell'esistente, senza nessun altro che me in giro, e al limite nemmeno me stesso, proprio in quanto tutto.

Ma mi sa che stiamo imbarcandoci in un'altra delle nostre discussioni senza fine caro Sgiombo (da cui ogni altro partecipante a ragione subito rifugge), quindi non aggiungerò altro se non che a me l'autocontraddizione logica del solipsista (del "solo me stesso") e la contraddizione rispetto all'esperienza primaria della realtà appare quanto mai evidente e chiara, prendo atto che per te non lo è altrettanto.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 15 Novembre 2016, 08:59:18 AM
Citazione di: maral il 14 Novembre 2016, 23:19:07 PM
Ma mi sa che stiamo imbarcandoci in un'altra delle nostre discussioni senza fine caro Sgiombo (da cui ogni altro partecipante a ragione subito rifugge),
CitazioneConcordo unicamente con quest' ultima affermazioine, mentre tutte le altre le trovo evidentissimamente postulate senza alcuna dimostrazione (potrebbero essere vere o anche false), in parte evidentemente false, in qualche caso addirittura autocontraddittorie (concetti, fra l' altro, per me assai diversi l' uno dall' altro).

E conseguentemente, onde evitare l' imbarco anche da te il deprecato, non entro nei dettagli , anche perché dovrei ripetere argomentazioni già sviluppate in precedenza.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: maral il 15 Novembre 2016, 14:21:56 PM
Che vuoi che dica Sgiombo, se non che proprio tutti i miei infruttuosi tentativi di mostrarti che sia logicamente che empiricamente l'esistenza di "io" implica quella reale dell' "altro" e i tuoi per negarne il fondamento, mostrino la nostra irriducibile e reale alterità, che tu non sei né una creazione della mia mente né della mia percezione (per quanto per di più mediata dallo schermo di un computer). E non è per fede che lo credo, non ho fede che tu esista come altro da me, so che tu esisti come altro da me e per questo anch'io posso esistere realmente come altro da te (e sono convinto che pure tu lo sai e non ci credi per fede).
Con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme e proprio questo manifesta che il reale comincia sempre da 2 (anzi, per la precisione da 3 visto che c'è pure la relazione che collega i 2, con tre gambe la realtà sta in piedi) e mai da 1, comunque lo si intenda.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 15 Novembre 2016, 19:03:14 PM
Citazione di: maral il 15 Novembre 2016, 14:21:56 PM
Che vuoi che dica Sgiombo, se non che proprio tutti i miei infruttuosi tentativi di mostrarti che sia logicamente che empiricamente l'esistenza di "io" implica quella reale dell' "altro" e i tuoi per negarne il fondamento, mostrino la nostra irriducibile e reale alterità, che tu non sei né una creazione della mia mente né della mia percezione (per quanto per di più mediata dallo schermo di un computer). E non è per fede che lo credo, non ho fede che tu esista come altro da me, so che tu esisti come altro da me e per questo anch'io posso esistere realmente come altro da te (e sono convinto che pure tu lo sai e non ci credi per fede).
Con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme e proprio questo manifesta che il reale comincia sempre da 2 (anzi, per la precisione da 3 visto che c'è pure la relazione che collega i 2, con tre gambe la realtà sta in piedi) e mai da 1, comunque lo si intenda.

CitazioneNon per insistere inutilmente sulle nostre reciproche, irriducibili divergenze, ma non vedo come queste possano mostrare o dimostrare a me la tua esistenza (in cui ovviamente credo; ma rendendomi ben conto della non fondatezza razionale di questa credenza) e consentirmi di superare razionalmente (per dimostrazione logica o constatazione empirica) il solipsismo.
Dunque io al contrario di te e di ciò di cui tu sei convinto a proposito di me, ho fede (irrazionale; e non certezza razionalmente fondata) che tu esista come altro da me, e per questo anch' io posso esistere realmente come altro da te (ma comprendo bene che invece tu sei convinto -anche se non posso comprendere come di fatto, effettivamente; e dunque credo erroneamente- di saperlo razionalmente e dunque, contrariamente a me, di non crederlo per fede).

Dunque che con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme, e anche che si nasce in società e si comincia a pensare credendo alla presenza di altri (che solo dopo un' attenta riflessione critica si può mettere in dubbio), lo credo per fede, ma non perché sia manifestato da alcuna esperienza sensibile o dimostrazione logica.

(Se così non fosse, vorrebbe dire che mi hai convinto, cosa di cui credo tu sia consapevole non sia accaduta, malgrado gli sforzi generosamente profusi, esattamente come io sono consapevole di non aver convinto te).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Donalduck il 18 Novembre 2016, 00:25:23 AM
Apeiron ha scritto:
Citazionenon nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio"
Credo che questa frase centri il problema più di tutto il resto.

1) Secondo me cercare qualsiasi tipo di "verità ultima" o "assoluta" attraverso la logica (ossia il linguaggio) è futile. O meglio lo è se si pensa di poter arrivare a una conclusione. Il linguaggio non può mai superare i limiti del relativo, pretendere di usarlo per "definire" l'assoluto (ammesso che questa parola abbia un referente in qualche modo esperibile) lo trovo fallimentare in partenza.

2) Trovo che pensare di poter separare del tutto l'oggettivo dal soggettivo sia semplicemente un'assurdità. Oggettivo e soggettivo si presuppongono a vicenda e non possono avere alcuna forma di esistenza indipendente. Per questo motivo ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso.

3) Tuttavia soggetto e oggetto hanno una loro relativa indipendenza, il che ci consente di pensarli e studiarli separatamente. Quel che possiamo verificare è che sia il soggetto che l'oggetto fanno la loro parte nella costruzione dell"esistenza" (che risulta appunto dalla relazione soggetto-oggetto)

4) A proposito di questi temi trovo molto interessanti le speculazioni epistemologiche legate alla fisica quantistica e ai suoi paradossi, in particolare quelle di David Bohm e altri che seguono un simile linea di pensiero. In estrema sintesi, la tesi di fondo (secondo la mia interpretazione) è che ci sia un "ordine implicito" di natura virtuale, potenziale, "non locale" (ma non per questo "non reale") che guida il "flusso indiviso" dell'esistenza, flusso (quindi processo, divenire) da cui trae origine la "realtà", che sarebbe una manifestazione indotta dall'osservazione (ossia dalla relazione, o meglio una catena di relazioni che all'estremità è connessa a un soggetto). La differenza principale rispetto alla "cosa in sé" kantiana è costituita dal suo carattere potenziale (strettamente imparentato con concetto di "campo" nella fisica) e dal fatto che costituisce solo una componente della realtà (un lato della medaglia) e non una realtà a sé stante. In questa prospettiva non c'è esistenza senza conoscenza, e soggetto e oggetto fanno entrambi parte di questo flusso indiviso (una sorta di monismo dinamico).

5) Diverse tendenze di pensiero della recente epistemologia (con i suoi risvolti ontologici) portano a mettere in primo piano (fino a considerarlo il concetto più fondamentale che possiamo raggiungere a proposito dell'"essenza dell'esistenza") il concetto di informazione. E, se ci riflettiamo, ci rendiamo conto che in effetti possiamo "tradurre" qualunque elemento dela nostra esperienza in termini di informazione. E l'informazione presuppone un emittente, un ricevente e un codice (una "trinità" in stretta relazione con quella della semiotica, particolarmente evidente nei concetti di Peirce di "primità", "secondità" e "terzità")

Tutto ciò non esclude la possibilità di esperienze extrarazionali come il Nirvana o altro, che possano rendere l'"esperienza dell'assoluto", ma si tratterebbe comunque di dimensioni dell'esperienza inafferrabili per il linguaggio, riferibili solo attraverso allusioni e metafore.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 18 Novembre 2016, 01:59:22 AM
A me caro DonalDuck pare che manchi il problema del soggetto.

Qualsiasi delirio sull'oggetto quantistico, è un atto paranoico, come se il soggetto non esistesse.
E invece bisognerebbe chiedersi perchè film sempre più fantasmagorici fanno del reale qualcosa per pochi eletti (filosofi e qualche intellettuale), (e i cari film noir (hollywood '50) non se ne vedono più. :'(  )

Tra l'altro seguendo il filo di Maral, che condiviso al 100% (e che mi rende ancora più stupito di come possa seguire il suo 3d su verità come pratica...ma va bè, è un altra questione), ho riletto la posizione di DAVINTRO, ed effettivamente credo che il problema sia ANCORA sempre quello, ossia che caro DAVINTRO sei un solipsita, in filosofia analitica saresti sotto l'etichetta di DUALISTA RADICALE, in quanto accetti che esiste l'oggetto come conoscibile, ma non che lo sia il SOGGETTO (almeno credo  :P  *).


Ma come già ampiamente spiegato da Maral (nella sua diatriba infinita con il pessimo ;)  Sgiombo) il soggetto si dà solo come negazione rispetto ad un oggetto (sempre Spinoza omnis determinatio est negatio).

Se vogliamo pensarlo in termini trascendenti il carattere ontologico della sottrazione si presenta solo come problema del soggetto. (questione religiosa e non filosofica).
In termini psicanalitici purtroppo vedo sempre il fantasma paranoico, ossia io non posso conoscermi, e quindi non  esisto.

E dunque se non esisto, io sono DIO. (che poi sarebbe la solita posizione paranoide dell'occidentale tipo cattolico-borghese).

Sarebbe il caso di tornare a vederci come ancora vivi (per lo meno), ridarci un minimo di dignità filosofica come soggetti, a me sta bene pure tornare a Cartesio, anzi comincio seriamente a pensare che la gente senta un bisogno di tornarci.

Diciamo pure che esiste un soggetto frutto di un algebra matematizzante. Solo allora forse possiamo capire quale sia l'importanza dell'oggetto.

Perchè altrimenti qua le prolusioni del discorso fantasmatico rischiano di creare una inflazione virtuale mica da ridere.

Dio non esiste, figuriamoci l'oggetto frutto di un soggetto che si crede DIO.....POVERO ME! (lo dicevo io, il discorso schizoide, sta obnubilando la filosofia in maniera definitiva....AHIME'!....mmm posizione paranoica pure la mia EH!  ;) )

NB
(* sono un genio c'ho azzeccato! https://it.wikipedia.org/wiki/Dualismo sotto la voce dualismo epistemologico).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 18 Novembre 2016, 11:03:12 AM
Citazione di: green demetr il 18 Novembre 2016, 01:59:22 AM
A me caro DonalDuck pare che manchi il problema del soggetto.

Qualsiasi delirio sull'oggetto quantistico, è un atto paranoico, come se il soggetto non esistesse.
E invece bisognerebbe chiedersi perchè film sempre più fantasmagorici fanno del reale qualcosa per pochi eletti (filosofi e qualche intellettuale), (e i cari film noir (hollywood '50) non se ne vedono più. :'(  )

Tra l'altro seguendo il filo di Maral, che condiviso al 100% (e che mi rende ancora più stupito di come possa seguire il suo 3d su verità come pratica...ma va bè, è un altra questione), ho riletto la posizione di DAVINTRO, ed effettivamente credo che il problema sia ANCORA sempre quello, ossia che caro DAVINTRO sei un solipsita, in filosofia analitica saresti sotto l'etichetta di DUALISTA RADICALE, in quanto accetti che esiste l'oggetto come conoscibile, ma non che lo sia il SOGGETTO (almeno credo  :P  *).


Ma come già ampiamente spiegato da Maral (nella sua diatriba infinita con il pessimo ;)  Sgiombo) il soggetto si dà solo come negazione rispetto ad un oggetto (sempre Spinoza omnis determinatio est negatio).

Citazione(Purtroppo da qui in poi non ho capito nulla, e dunque mi astengo da obiezioni; che rivolgo dunque solo a quanto affermato qui sopra, che cerdo di aver capito).


Beh, naturalmete non si può pretendere di piacere a tutti.
Personalmente non l' ho mai preteso (e in genere, essendo alquanto "all' antica" e politicamente scorretto, preferisco piacere alle belle donne; fino a qualche tempo fa, adesso sono troppo vecchio e non voglio cadere nel ridicolo), dunque non faccio nessuna fatica ad accettare con grande serenità la qualifica di "pessimo" da parte tua.
Anzi, devo dire che apprezzo molto la tua franchezza, che trovo una qualità decisamente positiva (e alquanto rara, oggigiorno, rispetto al' ipocrisia).

"Omnis determinatio est negatio", certo, ma non nella realtà in generale (non "in sede ontologica"), bensì  nel pensiero ("in sede logica"; e conseguentemente gnoseologica o epistemologica); altrimenti poiché la "realtà di qualcosa" non si può sensatamente pensare senza metterla in relazione (di negazione) con "il nulla" si arriverebbe all' assurdo (autocontraddizione) di sostenere che esiste realmente qualcosa e contemporaneamente esiste realmente anche il nulla, mentre in realtà esiste qualcosa e non il nulla, anche se lo sappiamo perché possiamo pensarlo inseparabilmente dal pensiero (concetto) del "nulla".
Così non si può pensare l' il "soggetto" se non in relazione con l' "oggetto" (come concetti), ma questo non toglie che -in linea teorica, di principio, ipoteticamente- nella realtà possa esistere unicamente il soggetto con i suoi pensieri e nient' altro (anche se per saperlo, per inenderlo egli dovrebbe conoscere anche il concetto di "oggetto" privo di referente reale o denotazione, in relazione di negazione-alterità con quello di "soggetto").

A me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Donalduck il 18 Novembre 2016, 20:05:53 PM
green demeter ha scritto:
CitazioneA me caro DonalDuck pare che manchi il problema del soggetto.

Qualsiasi delirio sull'oggetto quantistico, è un atto paranoico, come se il soggetto non esistesse.
E invece bisognerebbe chiedersi perchè film sempre più fantasmagorici fanno del reale qualcosa per pochi eletti (filosofi e qualche intellettuale), (e i cari film noir (hollywood '50) non se ne vedono più. (http://www.riflessioni.it.cloud.seeweb.it/logos/Smileys/default/cry.gif)  )
Caro GD,  spero che ti renda conto, rileggendoti, che le tue frasi sono incomprensibili, o se vuoi, possono essere interpretate in cento modi diversi.
In una discussione sarebbe auspicabile cercare di esprimere idee chiare e il più possibile precise, altrimenti la discussione muore lì o va avanti vagando senza meta e senza regole.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: davintro il 19 Novembre 2016, 02:07:38 AM
Solo per chiarire sinteticamente la mia posizione in riferimento all'ultimo post di Green demetr:

Non mi ritengo un solipsista. Dal punto di vista del "realismo ingenuo" ammetto ad un livello non apodittico, ma probabilistico, la corrispondenza tra le mie percezione e l'oggettività delle cose. Dal punto di vista filosofico-razionale penso che il solipsismo sia un'ipotesi da ammettere a livello metodologico procedurale, ma non valida a livello definitivo e assoluto. Razionalità del discorso vuol dire fondare tale discorso su basi certe ed inoppugnabili, e dunque, seguendo Cartesio, queste basi sono la certezza dell'Io come soggetto pensante ed esistente e l'ammissione di una struttura di vissuti che compongono la coscienza soggettiva. L'esistenza di tale soggettività cosciente, ed in particolare il carattere di intenzionalità che porta l'Io a tendere ad un mondo fuori di sè e la passività del contenuto delle percezioni che forma le categorie e gli schemi dell'Io, tutti punti approfonditi dalla fenomenologia, presuppone l'esistenza di un'oggettività nei confronti della quale la ragione riconosce l'esistenza di alcuni modi relazionali con la coscienza, ma sospende il giudizio sulla corrispondenza tra  essa e la totalità delle percezioni, corrispondenza assunta in modo fideistico e probabilistico dal senso comune non filosofico che l'ipotesi del solipsismo non la considera. Sono temi che mi hanno più volte coinvolto nelle mie riflessioni personali Ho pensato all'angoscia in cui si può cadere nel riconoscimento dell'incertezza costituita dalla possibilità dell'illusione, della possibilità che le nostre percezioni fossero solo allucinazione, che tutta l'esperienza del mondo, gli eventi, le persone che conosco, fosse solo un sogno, una fantasia inconsapevole che nasconde la vera realtà, della quale non possiamo sapere nulla con certezza. Ed ho sperimentato la quiete nella almeno parziale soluzione del problema nell'idea che, nella "peggiore" delle ipotesi, considerando tutto l'apparato percettivo come illusorio, il riconoscimento del non arbitrario ma passivo accadere nella mia mente di tali percezioni illusorie presupponesse pur sempre l'esisitenza di un Qualcosa  di altro dal mio Io che interviene su di esso infondendo nella mia coscienza quelle immagini. Anche nella più estrema separazione della percezione soggettiva dalla realtà oggettiva, non sarei solo, ma ci sarebbe questo Qualcosa con cui essere in una sorta di relazione, al di là del caratterizzarlo in termini personali (genio ingannatore, Dio benevolo comunicatore di sogni ecc..) o impersonali, è qualcosa di irriducibile all'Io

Per tutto ciò non penso di sostenere che, cito da Green,  "esiste l'oggetto come conoscibile, ma che non lo sia il SOGGETTO". Al contrario, per me proprio partendo dal livello basico di evidenza, l'intuizione dei vissuti soggettivi, si può giungere a una conoscenza il più possibile razionale e rigorosa dell'oggetto. L'intenzionalità è relazione soggetto-oggetto
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Donalduck il 20 Novembre 2016, 12:07:14 PM
Sgiombo ha scritto
CitazioneA me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".
questa la definizione di solipsismo nell'enciclopedia Treccani online:
CitazioneTermine filosofico con cui si indica l'orientamento di chi considera il soggetto come l'unica autentica realtà, sia dal punto di vista pratico, ponendo l'interesse individuale a fondamento determinante dell'azione, sia da quello gnoseologico-metafisico, intendendo la realtà esterna come semplice rappresentazione della coscienza soggettiva.
La mia posizione non ha nulla a che vedere, se non forse in apparenza, con il solipsismo. Questo si può già desumere dalla frase riportata in cui evidenzio che per me non solo non ha senso parlare di realtà senza coscienza, ma neppure di coscienza senza realtà.
Si tratta di due facce indivisibili della stessa moneta, di due aspetti o componenti della realtà, entrambi necessari, che si presuppongono a vicenda.
Inoltre il solipsismo, comunemente inteso, mette l'accento sul soggetto singolo, mentre io mi riferisco al soggetto in generale, come entità concettuale, come ruolo, alla coscienza in generale e non a uno qualunque degli innumerevoli centri di coscienza (forme viventi). Ritengo che la coscienza non sia né mia né di nessun altro, ma dell'esistenza in generale, e noi, in quanto centri, o nodi di una rete, ne siamo semplicemente partecipi. Allo stesso modo in cui la forza di gravità non appartiene a nessun corpo in particolare o a nessun punto dello spazio (o spaziotempo) in particolare, ma all'universo in generale.
Una posizione agli antipodi di quella di chi considera la coscienza un "epifenomeno", la vita come un fatto accidentale e l'uomo come una bizzarra anomalia dell'universo. E anche, naturalmente, in contrasto con quella di chiunque fantastichi di un mondo "oggettivo" in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" senza nessuna presenza cosciente che lo osservi. Uso il termine "fantasticare" perché, al di là del valore di "verità" che si posso o voglia attribuire a questo presunto mondo "oggettivo", si tratta di qualcosa al di fuori di ogni nostra possibile esperienza e al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, quindi un prodotto dell'immaginazione.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 20 Novembre 2016, 14:43:47 PM
Citazione di: Donalduck il 20 Novembre 2016, 12:07:14 PM
Sgiombo ha scritto
CitazioneA me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".
questa la definizione di solipsismo nell'enciclopedia Treccani online:
CitazioneTermine filosofico con cui si indica l'orientamento di chi considera il soggetto come l'unica autentica realtà, sia dal punto di vista pratico, ponendo l'interesse individuale a fondamento determinante dell'azione, sia da quello gnoseologico-metafisico, intendendo la realtà esterna come semplice rappresentazione della coscienza soggettiva.
La mia posizione non ha nulla a che vedere, se non forse in apparenza, con il solipsismo. Questo si può già desumere dalla frase riportata in cui evidenzio che per me non solo non ha senso parlare di realtà senza coscienza, ma neppure di coscienza senza realtà.
Si tratta di due facce indivisibili della stessa moneta, di due aspetti o componenti della realtà, entrambi necessari, che si presuppongono a vicenda.
Inoltre il solipsismo, comunemente inteso, mette l'accento sul soggetto singolo, mentre io mi riferisco al soggetto in generale, come entità concettuale, come ruolo, alla coscienza in generale e non a uno qualunque degli innumerevoli centri di coscienza (forme viventi). Ritengo che la coscienza non sia né mia né di nessun altro, ma dell'esistenza in generale, e noi, in quanto centri, o nodi di una rete, ne siamo semplicemente partecipi. Allo stesso modo in cui la forza di gravità non appartiene a nessun corpo in particolare o a nessun punto dello spazio (o spaziotempo) in particolare, ma all'universo in generale.
Una posizione agli antipodi di quella di chi considera la coscienza un "epifenomeno", la vita come un fatto accidentale e l'uomo come una bizzarra anomalia dell'universo. E anche, naturalmente, in contrasto con quella di chiunque fantastichi di un mondo "oggettivo" in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" senza nessuna presenza cosciente che lo osservi. Uso il termine "fantasticare" perché, al di là del valore di "verità" che si posso o voglia attribuire a questo presunto mondo "oggettivo", si tratta di qualcosa al di fuori di ogni nostra possibile esperienza e al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, quindi un prodotto dell'immaginazione.

CitazioneTi ringrazio per la spiegazione (e ovviamente prendo atto delle tue convinzioni).
 
Noto per parte mia che l' ipotesi di un mondo oggettivo (contrariamente a te non uso le virgolette) in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" (che sarebbe tale) anche indipendentemente dalla (e ulteriormente alla) presenza cosciente che lo osservi (o "alla quale si manifestasse fenomenicamente"; salvo ovviamente questa presenza, nella realtà complessivamente intesa), oltre ad essere non dimostrabile (essere vera; in quanto al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, oltre che al di fuori di ogni nostra possibile esperienza: concordo), nemmeno è dimostrabile essere falsa.

Un po' come Dio

Personalmente la credo (ritenendo che, al contrario di Dio, spieghi quanto constato e/o dimostrato; a mio parere –mi rendo conto soggettivo- meglio di un' alternativa sorta di leibniziana "armonia prestabilita" fra le diverse componenti materiali delle esperienze coscienti, se si crede –come da parte mia- alla possibilità-verità della conoscenza scientifica di queste ultime).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: green demetr il 21 Novembre 2016, 06:38:33 AM
scritto ieri  (tentativo di sintesi grossolana delle posizioni che seguo) un post per nessuno  :P (ma visto che ci ho speso un sacco di tempo lo propongo lo stesso. 8) )






Allora Donalduck certo i miei post hanno un abbondante dose di rapsodismo, ma è il mio modo di scaricare nello scritto le tensioni filosofiche ed esistenziali.

Non ho ben capito quali siano queste "regole da mantenere per un discorso che non si areni". A mio parere sono anch'esse proiezioni dell'io per mascherare il desiderio o volontà che la discussione sia NOSTRA e dunque si attinene alle NOSTRE regole, nelle mie discussioni io la chiamo fantasma, fantasmatica, paranoia.

Ora provo a rispondere a DAVINTRO così da far capire anche a Donalduck in cosa consiste "il problema del soggetto". [nd. ok Donalduck sono troppe cose messe insieme, d'altronde sono frutto di 20 anni di ricerca, allora stando alla tua argomentazione, ti chiedo semplicemente ma cosa sarebbe il soggetto, il tuo io, all'interno di questo campo quantistico, almeno proviamo a proseguire un minimo assieme sull'argomentazione tua.]

DAVINTRO ho detto che sei un DUALISTA, non un solipsista comunuqe.

Ma come la si metta, la propria posizione, rispetto alla scuola analitica americana, rimane non capita la questione che pongo (e che a mio parere dovrebbe essere la questione principale in tutto il panorama filosofico).

Il problema che tiene in scacco la filosofia fino alla grande crisi del soggetto del '900, anticipata dalle svolte dei maestri del sospetto Nietzche, Freud, Marx (come ebbe modo di scrivere con fortuna RICOEUR), è proprio il dualismo Cartesiano.

DAVINTRO scrive "Ed ho sperimentato la quiete nella almeno parziale soluzione del problema nell'idea che, nella "peggiore" delle ipotesi, considerando tutto l'apparato percettivo come illusorio, il riconoscimento del non arbitrario ma passivo accadere nella mia mente di tali percezioni illusorie presupponesse pur sempre l'esisitenza di un Qualcosa  di altro dal mio Io che interviene su di esso infondendo nella mia coscienza quelle immagini. Anche nella più estrema separazione della percezione soggettiva dalla realtà oggettiva, non sarei solo, ma ci sarebbe questo Qualcosa con cui essere in una sorta di relazione, al di là del caratterizzarlo in termini personali (genio ingannatore, Dio benevolo comunicatore di sogni ecc..) o impersonali, è qualcosa di irriducibile all'Io"

Il punto è che se esiste un oggetto, una variabile, una realtà "irriducibile al soggetto", vuol dire che ESISTE ANCORA un soggetto.

Quello che rimarrebbe da pensare è dunque cosa diventi questa irriducibilità all'interno dello stesso soggetto.

Ma appunto da qui partirebbero le varie scuole analitiche, posizioni moniste, dualiste, miste (radicali o moderate che siano).

Cosa manca però rispetto al SOSPETTO? Manca proprio il soggetto! Che cosa noi intendiamo quando noi diciamo "IO", in che senso si verrebbero ad instaurare rapporti con l'oggetto? Ovvero il soggetto è sempre lo stesso??

Per la scuola del sospetto la risposta è NO.

Il soggetto DIVIENE in corrispondenza della irriducibilità del reale esterno ad una nostra fantasia.

Parlo di fantasia proprio perchè essendo il soggetto, la collezione mnemonica e bios-logica, vivente della corrispondenza relativa fra percetto e scrittura o mnestica che sia, rispetto ad una oggettività che è irriducibile non solo come divenienza (mnestica) ma proprio con la stessa corrispondeza relativa.

Ossia il soggetto si interroga sempre sulla propria mnestica rispetto a quel valore che è SEMPRE supposto di CORRISPONDENZA con ciò che chiama reale, e che appunto NON RIESCE MAI ad afferrare.

La scienza è la punta di DIAMANTE di questo processo di FISSAZIONE delle CORRISPONDENZE mnestiche e di scrittura.

Ma questa fissazione è APRIORI falsificabile, in quanto esiste sempre l'irriducibilità stessa del reale. (reale che appunto non è il reale oggettivo, come pensiamo sempre in maniera positiva, propositiva, ma è invece per INFERENZA, per NEGAZIONE, RELATIVA alla CORRISPONDENZA SUPPOSTA.)

Dunque è relativa rispetto ad una corrispondenza irriducibile della mnestica inferenziale.

Dunque l'IO è questo tentativo infinito (fin che morti non ci separi) di tenersi insieme come mnestica del relativo corrispondente.

Ma cosa è questo corrispettivo mmestico se non che l'OGGETTO.

Dunque l'io è quel tentativo sempre fallito di diventare l'oggetto stesso, su cui come spesso dico "l'io si piega".

Il punto NODALE che la filosofia è TENUTA a rispondere è proprio quale sia il carattere EMOTIVO di questo FALLIMENTO.

Per questo credo che la psicanalisi, ma anche Nietzche, ma anche Marx (nel suo primo libro sul CAPITALE) ci aiutino immensamente a capire in cosa consiste la curvatura la coloratura, visto che sono emozioni, delle stesse.

L'emozione, la spinta bios-logica vitale,il vivente (Agamben), quella che spinge nell'ATTO a diventare SOGGETTO (che poi se non erro sarebbe l'intenzionalità husserliana, od una sua possibile lettura), ha caratteristiche a mio parere trascendenti, ma questo è una mia fantasia, o proposta di indagine.(teologia negativa)

Rimane il fatto è che se implode come fallimento costitutivo di un SOGGETTO ETERNO (che si vuole eterno, per principio di conservazione, per mera costitutività della emozione stessa etc...etcc...), essa si colora si curva creando il suo CLONE, LA COPIA (platonica), il FANTASMA, Il DIAVOLO (IL DUE), ossia cerca di rendere TOLLERABILE il suo fallimento.

E' quello che FREUD scoprì, chiamandolo l'impulso di morte. (nel libretto AUREO e rimosso da tutti, "AL DI LA' DEL PRINCIPIO DEL PIACERE").

(Platone, per quanto a me sospetto, in quanto antico, potrebbe averne parlato a lungo di questa questione, sarebbe poi il concetto di IDEA e BENE, no?)

Il THANATOS, la storia segreta dell'occidente, della civiltà che si AUTODISTRUGGE etcc...etcc...


Dunque per tornare a bomba della nostra discussione, ritorniamo a pensare il rapporto soggetto-oggetto.

Al solipsista come sapete gli rimprovero che non sa riconoscere l'oggetto, ma in realtà il problema è ancor più a monte (a questo punto).

Perchè per me è CHIARO e LAPALISSIANO, che è una RINUNCIA a qeulla guerra che costitutivamente ci impegna nella ricerca di "come se fossimo dei soggetti" variabili e non FISSI, MONOLITICI.

Il problema è ancora reso più chiaro dalle ricerche psicanalitiche lacaniane, che scopre come questo FISSAZIONE FALLITA, riproduca puntualmente alla rinuncia di conoscersi (conosci te stesso, per conoscere meglio l'ALTRO, recitava la SIBILLA), e cioè si inventa un soggetto paranoide, folle, che non ha relazione con il reale, dinamico cangiante, diventa MONUMENTO A SE STESSO (e diventa come la psicanalisi fenomenologica ha scoperto SENZA TEMPO, con il mito della eterna giovinezza etc..etc..).

L'operazione sottesa è dunque che suppone il soggetto non esista  (in realtà come ho cercato di spiegare, fallisce a riconoscersi cangiante)  e lo sostituisce con una fantasia.

Siccome è difficile avere fantasia, aggiungo, il POTERE subentra a queste operazioni paranoidi, tipiche dell'occidente, sostituendo al soggetto fantastico, il soggetto  giuridico, e imponendosi come LEGGE.

Dunque il soggetto di cui parlate, o da cui parlate, io ritengo sia un soggetto legale, giurdico, che mai si sognerebbe di smantellare la FANTASMATICA sottesa al paranoide.

Dunque il soggetto è fallito e spedito su MARTE ;) (in un imprecisato mondo legale, che molto somiglia a quello cattolico), divenendo quindi paranoide e schizzato. :'(

Da qui l'impossibilità mia di ipotizzare una sottrazione al POTERE dei miei amici. :-[  (che è l'ultima mia acquisizione in ordine temporale).
(Ci si presenta sempre tramite la propria professione, come se quella veramente decidesse "legalmente" della nostra esistenza.....In quale inferno mi tocca vivere???  :'( )

Il problema del dualismo cartesiano è dunque radicalmente il "problema dei problemi", in quanto di quel soggetto ne fa addirittura un algebra, una formula certa.
(Cadendo come Calciolari ha notato nella depressione, come testimoniano le lettere alla regina svedese).
D'altronde per quanto geniale intellettualmente, il genio maligno non è forse la REALE CONSEGNA di quel modo di (s)ragionare?
Ossia appunto....ma non è che io Cartesio sto vaneggiando???

Non esiste certezza di un "IO". Ragazzi il punto è quello! sebbene dubito che abbiate capito qualcosa della mia argomentazione  :'(  (in quanto ritengo tutti, me compreso se avete capito bene, DENTRO il processo SCHIZOIDE,alias io sono qualcosa di concreto, quando invece tutti noi siamo qualcosa di cangiante).



Dunque caro DAVINTRO anche il soggetto se vogliamo fare una fenomenologia seria, deve stare dentro a questo processo di interiorizzazione della realtà, ossia deve anch'esso essere irriducibile (e per questo come dice il MAESTRO Nietzche, in perenne guerra con se stesso).

D'altronde la sospensione del giudizio Husserliana, io la vedo più così: come un mettere da parte per un istante il soggetto forte, farlo diventare per così dire DEBOLE (su questo quanto avrebbe da dire il buon VATTIMO!) e riappropiarsi dell'oggetto che è sempre cangiante.

Anche se poi ripeto Husserl parla dell'oggetto che si da a me, e non di io che vado all'oggetto, e  questa cosa mi lascia perplesso.

Però grazie a te DAVINTRO, grazie allo spostamento in chiave ontologica, il problema viene (può essere, per amore di discussione) bypassato. Certo rimaniamo di fatto inconciliabili dal punto di vista argomentativo, perchè tu di quel soggetto non vuoi proprio parlarne.

Per questo dicevo che per te il "soggetto dunque non esiste". Questioni di punti di vista e di altezze differenti dello sguardo. (ovviamente io ho ragione e tu hai torto, ma va bè!  ;)  ;) )
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 21 Novembre 2016, 12:39:46 PM
Risposta a GreenDemetr

Francamente ti trovo scarsissimamente comprensibile (commento solo quel poco che credo di aver -forse!- capito)
 
Che qualcuno abbia accomunato Marx a Freud e a Nietzche come "maestri del sospetto" non mi sembra autorizzi in alcun modo a parlare di una presunta "scuola del sospetto" (a meno che con questa espressione non intenda qualcos' altro: altri autori fra loro collaboranti, reciprocamente approvantisi, o per lo meno conciliabili).
A mio parere il primo dei tre, del quale ho una certa conoscenza, è assolutamente inconciliabile in alcun modo con gli altri due, ad essi del tutto antitetico; questi li conosco pochissimo o nulla, specialmente il terzo, e probabilmente sono fra loro accomunabili per lo meno in quanto entrambi irrazionalisti, almeno a mio modesto avviso, e del tutto contrariamente a Marx).
 
 
Citazione (GreenDemetr):
"Non esiste certezza di un "IO". Ragazzi il punto è quello! sebbene dubito che abbiate capito qualcosa della mia argomentazione".


Esatto: non ho capito per lo meno quasi nulla della tua argomentazione; ma con la sua conclusione (cui non so come né perché giungi) concordo in pieno!
Nel senso che non c' é certezza razionalmente fondabile (logicamente o empiricamente), ma comunque abbracciabile irrazionalisticamente ("per fede").
 

Ma perché mai qualcosa di concreto non dovrebbe poter anche essere cangiante, senza alcunché de "schizoide" (?): sono casomai i concetti astratti ad essere "fissati" di regola "una volta per tutte", per quanto convenzionalmente, per definizione, e quindi non "cangianti" (se non alquanto eccezionalmente, e sempre per convenzione).
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: maral il 21 Novembre 2016, 23:30:58 PM
Citazione di: green demetr il 21 Novembre 2016, 06:38:33 AM
DAVINTRO scrive "Ed ho sperimentato la quiete nella almeno parziale soluzione del problema nell'idea che, nella "peggiore" delle ipotesi, considerando tutto l'apparato percettivo come illusorio, il riconoscimento del non arbitrario ma passivo accadere nella mia mente di tali percezioni illusorie presupponesse pur sempre l'esisitenza di un Qualcosa  di altro dal mio Io che interviene su di esso infondendo nella mia coscienza quelle immagini. Anche nella più estrema separazione della percezione soggettiva dalla realtà oggettiva, non sarei solo, ma ci sarebbe questo Qualcosa con cui essere in una sorta di relazione, al di là del caratterizzarlo in termini personali (genio ingannatore, Dio benevolo comunicatore di sogni ecc..) o impersonali, è qualcosa di irriducibile all'Io"

Il punto è che se esiste un oggetto, una variabile, una realtà "irriducibile al soggetto", vuol dire che ESISTE ANCORA un soggetto.

Quello che rimarrebbe da pensare è dunque cosa diventi questa irriducibilità all'interno dello stesso soggetto.

Ma appunto da qui partirebbero le varie scuole analitiche, posizioni moniste, dualiste, miste (radicali o moderate che siano).

Cosa manca però rispetto al SOSPETTO? Manca proprio il soggetto! Che cosa noi intendiamo quando noi diciamo "IO", in che senso si verrebbero ad instaurare rapporti con l'oggetto? Ovvero il soggetto è sempre lo stesso??
La soluzione del problema soggetto sta nell'oggetto e nella distanza.
E' chiaro, Davintro, quando scrive quello che hai citato, dà il suo io già come "punto 0", dice "la mia mente" senza porsi il problema di cosa sia "la mia mente" e il "mio io", parte da lì e li tiene fermi, anche se sospetta che dietro al gioco fantasmatico di immagini che si trova davanti qualcosa di consistente, qualcosa che offre resistenza a quell'uno che sono io, un altro ci debba pur essere. Non si accorge che questa "mia mente" e questo "mio io" e lo stesso io a cui rimanda la parola "io" fa parte del medesimo gioco fantasmatico, è anch'esso immagine, ma di che? E allora ecco che tu intervieni a ricordarglielo.
Come Cartesio Davintro ha già stabilito da dove cominciare; si comincia da "io", io che sto pensando e dubitando, come potrei mai dubitare di me soggetto di questo dubitare dato che so di essere proprio io in oggetto a pensare e a dubitare?
D'altra parte, tolto di mezzo l'io, tolti di mezzo tutti gli oggetti, vanificata la permanenza di questo e di quelli cosa ci resta? La fisica direbbe il vuoto quantistico, lo spirito nichilista del XX secolo direbbe il nulla: tutto non è che un'oscillazione del nulla, la negazione assoluta che non afferma e non nega nulla, nulla resiste al nulla, nemmeno la nicciana volontà di potenza.
Proviamo (e dico solamente "proviamo") a partire in modo diverso, proviamo ad esempio a partire da qualcosa che accade (prima che ci sia un oggetto che è la "mia mente", il "mio io"), io non ci sono, ma qualcosa accade, o meglio c'è un accadere che si staglia sul nulla, come una sorta di bagliore o di tuono o un tepore improvviso. Non ci sono ancora io, non c'è nemmeno l'oggetto (non c'è il lampo, non c'è il tuono, è solo per tentare di farmi capire a chi ha già un io pensante e dubitante e non può staccarsene che uso questi termini e nemmeno c'è un tempo e uno spazio, perché non c'è distanza). Questo è l'inizio, poiché questo accadere non ha ancora posto né un soggetto né un oggetto, ma istantaneamente, accadendo li richiama e li richiama al suo "orlo" ai bordi del nulla cosicché tra loro vi sia una distanza, la giusta distanza che mantiene uno spazio per un certo tempo, in questa distanza c'è un tempo e quell'originario accadere diventa subito accaduto che attende il suo riaccadere in cui soggetto e oggetti possono mantenersi ai bordi, separati e legati dalla giusta distanza.
Quando il bambino vede e tocca per la prima volta il seno della madre e ne sente le parole senza capirle, forse è proprio questo che percepisce: l'inizio, un puro accadere che lo chiama a essere, a venire letteralmente al mondo quando ancora non c'è (non può esserci) né io né mondo, non c'è il bambino e non c'è il seno, poiché il seno è il bambino e il bambino è il seno, solo noi, a partire dal sogno del nostro io, vediamo un seno e un bambino, separati dalla giusta distanza che li mantiene distinti, io e l'altro, entrambi all'orlo di un nulla che non è nulla.
Quell'attimo non ha ancora tempo né spazio, ma è in sé il tempo e lo spazio e ogni discorso che si tenti di fare su di esso lo tradisce, ma ogni vera parola lo evoca e lo chiama, come il pianto di un bambino chiama la madre, quando il seno non gli è offerto e, mostrandogli così la sua resistenza, suggerisce una permanenza dell'oggetto nell'ingiustizia del suo sottrarsi, ma poi ritornando lo rassicura e consente al bambino di cominciare a permanere come soggetto.
La chiave è la giusta distanza tra due poli estremi che rimangono l'uno nel richiamo dell'altro, entrambi prospicenti su un nulla di un infinito accadere in cui infiniti diversi accadere ripetono il reciproco chiamarsi simultaneo di mondi e di io, cosicché qualcosa accadendo possa apparire accaduto e da questo accaduto qualcos'altro possa ancora accadere.
La giusta distanza non è solo una distanza spaziale, ma è nel ritmo e nel suono ripetuto che ancora non è parola, ma che potrà farsi parola, sogno, storia e discorso.
A morire non sono io, ma è l'altro che non ritorna e quando ogni altro non ritorna, io muoio e allora i molti tornano a essere l'uno, ove non c'è distanza, quindi non ci sono né soggetti né oggetti.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: cvc il 22 Novembre 2016, 13:05:41 PM
Stando a Kant, la rappresentazione è indefinibile, perché non si può definire una rappresentazione se non con un'altra rappresentazione. La realtà fenomenica è - mi azzardo a dire - l'oggettivazione delle nostre rappresentazioni, in quanto prima avvertiamo che qualcosa è, poi cerchiamo di dire che cos'è quel qualcosa, oggettivandolo (mi azzardo anche a dire che il solipsismo deve essere un tentativo di oggettivazione di un proprio sentire interiore, non credo che un solipsista aspiri realmente a non essere compreso da nessuno). La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile in quanto alla natura evanescente della rappresentazione. Se tutta la realtà mentale consistesse solo di rappresentazioni, sarebbe assai difficile o impossibile per noi avere delle salde fondamenta che ci permettano di imbastire dei ragionamenti. Perché qualsiasi rappresentazione, persino le più chiare ed evidenti, in quanto astrazioni tendono a svanire. Dunque l'esistenza di conoscenze a priori non mi pare cosa balzana.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 22 Novembre 2016, 18:37:57 PM
Citazione di: cvc il 22 Novembre 2016, 13:05:41 PM
Stando a Kant, la rappresentazione è indefinibile, perché non si può definire una rappresentazione se non con un'altra rappresentazione. La realtà fenomenica è - mi azzardo a dire - l'oggettivazione delle nostre rappresentazioni, in quanto prima avvertiamo che qualcosa è, poi cerchiamo di dire che cos'è quel qualcosa, oggettivandolo (mi azzardo anche a dire che il solipsismo deve essere un tentativo di oggettivazione di un proprio sentire interiore, non credo che un solipsista aspiri realmente a non essere compreso da nessuno). La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile in quanto alla natura evanescente della rappresentazione. Se tutta la realtà mentale consistesse solo di rappresentazioni, sarebbe assai difficile o impossibile per noi avere delle salde fondamenta che ci permettano di imbastire dei ragionamenti. Perché qualsiasi rappresentazione, persino le più chiare ed evidenti, in quanto astrazioni tendono a svanire. Dunque l'esistenza di conoscenze a priori non mi pare cosa balzana.

CitazioneEspongo i mie motivi di dissenso:

La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
In quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
La componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).

Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.


Concordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
 
Infine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.

Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).

L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
 
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io. 
CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 23 Novembre 2016, 19:26:05 PM
a CVC

Grazie per le stimolanti obiezioni.
Essendo via da casa e "precariamente connesso" a Internet, rispondero' fra qualche giorno.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: Donalduck il 23 Novembre 2016, 23:55:05 PM
green demeter ha scritto:
Citazioneti chiedo semplicemente ma cosa sarebbe il soggetto, il tuo io, all'interno di questo campo quantistico, almeno proviamo a proseguire un minimo assieme sull'argomentazione tua

Il soggetto, campo quantistico o no, è la coscienza, il polo ricevente e l'elaboratore dell'informazione.

Il discorso sulla fisica quantistica e i suoi paradossi e sul campo quantistico di Bohm non tendeva a una "definizione" del soggetto (tantomeno in termini fisici), compito impossibile se non ci si accontenta dei termini generici in cui l'ho definito sopra.
La fisica quantistica, o meglio le discussioni epistemologiche a cui ha dato origine, hanno a che fare col tema del soggetto principalmente per la nota difficoltà (che alcuni considerano impossibilità intrinseca) di definire le entità e le grandezze studiate dalla fisica quantistica prescindendo dalla loro misurazione, ossia dalla relazione, e sulla difficoltà di spiegare la doppia identità onda-particella che caratterizza le onde elettromagnetiche e le particelle associate, sempre legata alla misurazione. Se ti interessa si può approfondire il discorso, ma è complicato e sto ancora leggendo Bohm, il cui pensiero conosco per ora solo per sommi capi.

In ogni caso gli argomenti su cui baso le mie considerazioni su soggetto-oggetto prescindono dall'epistemologia quantistica (che desta il mio interesse e curiosità più che altro per le somiglianze con la mia linea di pensiero), sono molto più basilari dal punto di vista logico e fondate sulla semplice osservazione diretta.
Essendo la coscienza il fondamenteo, l'essenza stessa della nostra personale esistenza, sfugge a qualunque definizione (come del resto la realtà, come oggetto della coscienza). Ma l'esperienza ci evidenzia che l'esistenza, "cio che è" è formato da una coscienza che riceve dati, sotto le più disparate forme, elabora queste informazioni e interagisce con le fonti di queste informazioni. Una "esistenza" in cui esistono solo i "dati" senza l'elaboratore dei dati è solo una fantasia che non trova riscontro da nessuna parte, a quanto mi risulta.
Il mio è un ragionamento elementare: la coscienza esiste in quanto coscienza di qualcosa e le cose esistono in quanto rappresentazioni di una coscienza. Questo ci dice l'esperienza e niente lascia intendere che ci siano altre forme di esistenza possibili, o anche solo concepibili se non in modo del tutto astratto.

Se poi tutto questo si possa considerare monismo o dualismo, mi sembra francamente una discussione inutile. Mi sembra anche ovvio che qualunque dualità presupponga una unità (un tutto) entro cui è contenuta, per cui veramente non riesco a dare una giustificazione al problema. Per dargli un senso, bisognerebbe spiegare quale sono le conseguenze, rispetto alla visione del mondo, e soprattutto rispetto ai valori e a i criteri di valutazione dei più disparati aspetti di ciò che entra a far parte della nostra esperienza, in un caso e nell'altro. Se, come tendo a pensare, non ci sono effettive conseguenze "concretizzabili", si tratta di una contrapposizione futile e di un non-problema.
Diverso è il discorso su quel tipo di monismo basato sul riduzionismo, che vorrebbe risolvere la dualità facendo fagocitare uno dei due "poli dell'esistenza" dall'altro, senza alcuna giustificazione plausibile, giusto per trovare un modo sbrigativo di risolvere il "problema" (ammesso che ci sia). Questo ha evidenti ripercussioni su sistemi di valori e criteri di valutazione, e credo che la sua valenza sia tutta lì, come posizione ideologica (intendendo per ideologia una visione pregiudiziale delle cose), non avendo nessuna giustificazione logica o esperienziale.

Per quanto riguarda l'io bisogna distinguere tra "il mio io" e il soggetto. Non sono la stessa cosa. Nella mia visione ogni centro di coscienza è in qualche modo inesplicabile un'espressione o emanazione di una non meglio identificata coscienza universale. Più che di soggetto si può parlare di soggettività, che forse rende meglio, essendo impersonale.
E centro di coscienza e io nel senso comunemente inteso non sono la stessa cosa. Se con io personale intendiamo l'ego, quello che diverse correnti di pensiero considerano un'illusione o poco più, quello che si offende e che vuole affermarsi ingrandendosi e gonfiandosi, è anch'esso un oggetto di osservazione per la coscienza, che è perfettamente in grado di distaccarsene (anche se può risultare molto difficile, a causa dell'attaccamento, la viscosità dell'io). La coscienza ha la capacità di identificarsi e disidentificarsi, si potrebbe dire di mettere dimora da qualche parte, e di cambiare residenza. E l'io è un prodotto di questa facoltà. L'esperienza personale mi dice che è possibile vedere questo io in cui mi identifico normalmente, dall'esterno, come un fenomeno oggettivo che posso guardare senza sentire quel senso di appartenenza caratteristico dell'identificazione.
E se la domanda da "esiste l'io?" diventa "esiste la coscienza"? rispondo senza esitazioni che si tratta di una domanda senza senso, fino a prova contraria (che consisterebbe nel mostrare quale sia questo senso). Anche perché significherebbe dare maggior valore alle elucubrazioni che non all'esperienza e all'intuizione, quel modo misterioso di ricevere informazioni complesse, già dotate intrinsecamente di senso, e irriducibili, che invece sono il fondamento di ogni altra cosa, per quanto ci riguarda.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 26 Novembre 2016, 10:56:40 AM
Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
Citazione
Secondo me si, per il semplice fatto che ciò é pensabile in maniera non autocontraddittoria, sensata:  potrebbe anche darsi che la la realtà si esaurisca nelle percezioni fenomeniche e nulla più.
Che inoltre esistano realmente oggetti e io come soggetto delle percezioni -gli uni e l' altro essendo evidentemente cose in sé congetturabili (noumeno) e non insiemi di apparenze sensibili (fenomeni)- lo credo senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare (e ciò vale in particolare per il fatto che  pure che fra gli altri oggetti fenomenici delle (mie) sensazioni esistano pure altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente oltre a me).
 



CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneFermo restando il fatto che si tratta di mere sensazioni fenomeniche e insiemi di sensazioni fenomeniche ("esse est percipi"), questo é ciò che chiamo "intersoggettività" della parte "esteriore" - materiale ) dell' esperienza fenomenica cosciente (la res extensa; ed anche questo non é dimostrabile ma solo credibile -e di fatto anche da me creduto, ovviamente- arbitrariamente, "per pura fede)": reciproca univoca corrispondenza fra ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti (la cui anche sola esistenza stessa é credibile e non dimostrabile esistere), ovvero corrispondenza "poliunivoca" fra esse.

Non si tratta comunque propriamente di "oggettività stiamo parlando pur sempre di enti ed eventi accadenti nella ("appartenenti alla") coscienza di di ciascun soggetto, enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali: "esse est percipi"
Per oggetti propriamente tali, se esistono (come credo, ancora una volta, senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare), non si può che intendere cose in sé che a quanto di "esterno" o materiale fenomenicamente (e dunque pur sempre soggettivamente, per quanto intersoggettivamente) accade si possono non certo identificare, ma casomai postulare essere biunivocamente corrispondenti.



CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
CitazioneIn particolare che esistano (anche) cose in sé, "oggetti" in senso proprio delle sensazioni (fenomeniche) "esteriori o materiali, a queste ultime biunivocamente corrispondenti "intersoggettivamente", cioé allo stesso modo in ogni esperienza fenomenica cosciente di ciascun soggetto di sensazioni (in particolare materiali: res extensa) non può essere in alcun modo dimostrato: non c' é argomentazione cogente che possa convincere che necessariamente così stiano le cose in realtà.



Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordo: le misure (i rapporti quantitativi esprimibile mediante numeri) nell' ambito materiale (la rese extensa) di ciascuna esperienza fenomenica cosciente (se queste esistono e sono poliunivocamente corrispondenti) sono le stesse (proprio per la corrispondenza biunivoca di ciascuna di esse con la realtà in sé o noumeno e transitivamente fra tutte esse (= "poliunivoca").

Per esempio qualsiasi cosa sia nella tua esperienza fenomenica cosciente ciò che con me chiami "(visione di) questo cedro", il rapporto fra (ciò che chiamiamo) la sua altezza e (ciò che chiamiamo) il metro campione conservato a Parigi é -poniamo- ciò che tu nella tua esperienza cosciente chiami "40" ed anch' io nella ia chiamo "40".



CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io.
CitazioneSpero di averlo chiarito nelle risposte alle tue precedenti considerazioni e obiezioni.



CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
CitazioneConcordo.Però preciserei che per me si tratta solo di "potenzialità comportamentali" che si attuano in seguito a esperienze e non di vere e proprie "nozioni" o conoscenza di già presenti (innate) in noi: di innato c'è la capacità di ragionare secondo certe regole , l' "intelligenza", se vogliamo, cioè la capacità di sapere non qualche nozione o conoscenza "già pronta a priori" indipendentemente dall' esperienza: se si muore in tenera età non si fa a tempo a tradurre in atto tali potenzialità" e ad avere conoscenze, che dunque non sono, propriamente parlando, "innate".
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: cvc il 26 Novembre 2016, 11:25:08 AM
Citazione di: sgiombo il 26 Novembre 2016, 10:56:40 AM
Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
Citazione
Secondo me si, per il semplice fatto che ciò é pensabile in maniera non autocontraddittoria, sensata:  potrebbe anche darsi che la la realtà si esaurisca nelle percezioni fenomeniche e nulla più.
Che inoltre esistano realmente oggetti e io come soggetto delle percezioni -gli uni e l' altro essendo evidentemente cose in sé congetturabili (noumeno) e non insiemi di apparenze sensibili (fenomeni)- lo credo senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare (e ciò vale in particolare per il fatto che  pure che fra gli altri oggetti fenomenici delle (mie) sensazioni esistano pure altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente oltre a me).



CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneFermo restando il fatto che si tratta di mere sensazioni fenomeniche e insiemi di sensazioni fenomeniche ("esse est percipi"), questo é ciò che chiamo "intersoggettività" della parte "esteriore" - materiale ) dell' esperienza fenomenica cosciente (la res extensa; ed anche questo non é dimostrabile ma solo credibile -e di fatto anche da me creduto, ovviamente- arbitrariamente, "per pura fede)": reciproca univoca corrispondenza fra ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti (la cui anche sola esistenza stessa é credibile e non dimostrabile esistere), ovvero corrispondenza "poliunivoca" fra esse.

Non si tratta comunque propriamente di "oggettività stiamo parlando pur sempre di enti ed eventi accadenti nella ("appartenenti alla") coscienza di di ciascun soggetto, enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali: "esse est percipi"
Per oggetti propriamente tali, se esistono (come credo, ancora una volta, senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare), non si può che intendere cose in sé che a quanto di "esterno" o materiale fenomenicamente (e dunque pur sempre soggettivamente, per quanto intersoggettivamente) accade si possono non certo identificare, ma casomai postulare essere biunivocamente corrispondenti.



CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
CitazioneIn particolare che esistano (anche) cose in sé, "oggetti" in senso proprio delle sensazioni (fenomeniche) "esteriori o materiali, a queste ultime biunivocamente corrispondenti "intersoggettivamente", cioé allo stesso modo in ogni esperienza fenomenica cosciente di ciascun soggetto di sensazioni (in particolare materiali: res extensa) non può essere in alcun modo dimostrato: non c' é argomentazione cogente che possa convincere che necessariamente così stiano le cose in realtà.



Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordo: le misure (i rapporti quantitativi esprimibile mediante numeri) nell' ambito materiale (la rese extensa) di ciascuna esperienza fenomenica cosciente (se queste esistono e sono poliunivocamente corrispondenti) sono le stesse (proprio per la corrispondenza biunivoca di ciascuna di esse con la realtà in sé o noumeno e transitivamente fra tutte esse (= "poliunivoca").

Per esempio qualsiasi cosa sia nella tua esperienza fenomenica cosciente ciò che con me chiami "(visione di) questo cedro", il rapporto fra (ciò che chiamiamo) la sua altezza e (ciò che chiamiamo) il metro campione conservato a Parigi é -poniamo- ciò che tu nella tua esperienza cosciente chiami "40" ed anch' io nella ia chiamo "40".



CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io.
CitazioneSpero di averlo chiarito nelle risposte alle tue precedenti considerazioni e obiezioni.



CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
CitazioneConcordo.Però preciserei che per me si tratta solo di "potenzialità comportamentali" che si attuano in seguito a esperienze e non di vere e proprie "nozioni" o conoscenza di già presenti (innate) in noi: di innato c'è la capacità di ragionare secondo certe regole , l' "intelligenza", se vogliamo, cioè la capacità di sapere non qualche nozione o conoscenza "già pronta a priori" indipendentemente dall' esperienza: se si muore in tenera età non si fa a tempo a tradurre in atto tali potenzialità" e ad avere conoscenze, che dunque non sono, propriamente parlando, "innate".
Credo che il tuo discorso ruoti molto intorno al concetto di percezione, che però mi pare che tu veda come un qualcosa di fondante, come una sorta di monade di verità, dove io invece trovo che la percezione sia un fenomeno strutturato al cui interno agiscono la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza. Le convinzioni di fondo di un soggetto possono cambiare la sua percezione di un dato fenomeno. Ad esempio percepisco X come una gran bella persona, poi vengo a sapere che ha commesso azioni immorali, allora la mia percezione di X cambia. Per me questo basta per dire che la percezione è si un fenomeno importantissimo, ma non una monade di significato con cui sovvertire la conoscenza tradizionale che parte dalla coscienza, come mi pare abbia fatto Hume. E quindi non credo che la realtà possa esaurirsi nelle percezioni fenomeniche, perchè manca un elemento fondamentale: la psiche che sa di avere un ruolo attivo sulle stesse. La percezione è un fenomeno passivo, l'intelligenza è attiva. Se la realtà si esaurisse con le percezioni fenomeniche, noi saremmo solo degli esseri passivi, ma l'intelligenza e il sentimento ci portano spesso ad agire contro le nostre percezioni, come nel caso dell'autocontrollo.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 26 Novembre 2016, 15:31:02 PM
Citazione di: cvc il 26 Novembre 2016, 11:25:08 AM
Citazione di: sgiombo il 26 Novembre 2016, 10:56:40 AM
Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazione
Credo che il tuo discorso ruoti molto intorno al concetto di percezione, che però mi pare che tu veda come un qualcosa di fondante, come una sorta di monade di verità, dove io invece trovo che la percezione sia un fenomeno strutturato al cui interno agiscono la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza. Le convinzioni di fondo di un soggetto possono cambiare la sua percezione di un dato fenomeno. Ad esempio percepisco X come una gran bella persona, poi vengo a sapere che ha commesso azioni immorali, allora la mia percezione di X cambia. Per me questo basta per dire che la percezione è si un fenomeno importantissimo, ma non una monade di significato con cui sovvertire la conoscenza tradizionale che parte dalla coscienza, come mi pare abbia fatto Hume. E quindi non credo che la realtà possa esaurirsi nelle percezioni fenomeniche, perchè manca un elemento fondamentale: la psiche che sa di avere un ruolo attivo sulle stesse. La percezione è un fenomeno passivo, l'intelligenza è attiva. Se la realtà si esaurisse con le percezioni fenomeniche, noi saremmo solo degli esseri passivi, ma l'intelligenza e il sentimento ci portano spesso ad agire contro le nostre percezioni, come nel caso dell'autocontrollo.


CitazioneSu tantissime fondamentali questioni sono in totale accordo con il (per me "sommo") David Hume.

Come lui (e te; e tutte le persone comunemente ritenute sene di mente) nemmeno io credo che la realtà non si esaurisca nelle sensazioni fenomeniche della (costituenti la; "questa mia propria" immediatamente avvertita) esperienza cosciente (Hume non usava il temine "fenomeno", almeno in questo senso, almeno se mi ricordo bene dalle ripetute ma non recenti letture delle sue opere); ma come lui sottopongo a critica razionale serrata (il più possibile conseguente) le mie convinzioni e giungo alla conclusione che questa credenza é infondata, non dimostrabile né tantomeno mostrabile, empiricamente constatabile.

In questo senso secondo me "la sensazione  é fondante" ogni possibile conoscenza critica, é una sorta di fondamentale, indubitabile "monade di verità" ("esse est percipi").
(In questo presuntuosamente cercando di andare probabilmente almeno in parte oltre -ma non contro- Hume) Credo inoltre -ma rendendomi ben conto dell' infondatezza razionale di questa credenza- che essa (la sensazione) sia in un certo senso "qualcosa di strutturato" il cui reale accadere implica la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza; credo cioé che esista oltre all' esperienza fenomenica cosciente fatta di mere percezioni (esteriori" o materiali o res extensa ed "interiori o mentali o res cogitans, intese non come cose in sé a la Cartesio" ma come meri eventi percettivi a la Hume; e in parte a la Berkeley) una realtà oggettiva in sé (non costituita di sensazioni) comprendente i soggetti (me stesso e altri) e gli oggetti di essa. E che la parte materiale di ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti sia biunivocamente corrispondente alla medesima realtà in sè o (a la Kant) noumeno; e conseguentemente per proprietà transitiva, che ciascuna di esse sia "poliunivocamente corrispondente" alle altre, indipendentemente dai loro rispettivi soggetti (cioé, in questo senso, intersoggettiva).

Credo che le convinzioni di ogni soggetto possano cambiare (le sensazioni interiori o mentali di considerazioni, valutazioni, giudizi, credenze; più o meno vere) circa (le sue sensazioni fenomeniche costituenti) gli svariati enti e/o eventi fenomenici da lui percepiti; e non tali enti e/o eventi fenomenici stessi (intersoggettivi nel caso di quelli "esteriori" o materiali).

Ovviamente tutto ciò é perfettamente compatibile con la passività delle sensazioni "esteriori" o materiali e con l' attività di (sensazioni "interiori" o mentali costituenti) valutazioni, pensieri, conoscenze circa di esse e di decisioni pratiche. E con il fatto che l'intelligenza e il sentimento (e la forza di volontà) ci portano spesso ad agire contro le nostre spontanee inclinazioni avvertite ("interiormente", mentalmente) come immediate pulsioni ad agire, come nei casi di autocontrollo.

Uso sempre le virgolette per i termini "interiore ed "esteriore" riferendoli ad "oggetti" (enti e/o eventi) che sono comunque sempre irriducibilmente interni all' esperienza fenomenica cosciente (anche nel caso di quelli intersoggettivi), e dunque in ultima analisi propriamente soggettivi.
E mi sembra che il punto difficile da comprendere ed accettare sia proprio il "mio punto di partenza filosofico", cioé l' "esse est percipi", il rendersi conto che gli "oggetti" (cosiddetti) di esperienza (in generale; ed in particolare quelli "esterni" o materiali) non sono che insiemi e successioni di mere sensazioni in quanto tali, e dunque non (più e/o non ancora) reali allorché non accadono presentemente in atto (in quanto tali): il solito maestoso cedro del Libano, o il monte Bianco o quant' altro di materiale, allorché non li vediamo non esistono per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esiteranno enti ed eventi in sé (non costituiti da sensazioni) ad essi biunivocamente corrispondenti; e lo stesso dicasi delle sensazioni fenomeniche coscienti "interiori" o mentali: allorché non accadono noi in quanto insiemi e/o successioni di esse, noi intesi in quanto "i nostri pensieri" non esistiamo per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esitereremo in quanto (intesi come) 
enti ed eventi in sé (cioé non in quanto ci percepiamo "interiormente)".
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: cvc il 26 Novembre 2016, 23:32:23 PM
CitazioneInviato da sgiombo:

Su tantissime fondamentali questioni sono in totale accordo con il (per me "sommo") David Hume.


Come lui (e te; e tutte le persone comunemente ritenute sene di mente) nemmeno io credo che la realtà non si esaurisca nelle sensazioni fenomeniche della (costituenti la; "questa mia propria" immediatamente avvertita) esperienza cosciente (Hume non usava il temine "fenomeno", almeno in questo senso, almeno se mi ricordo bene dalle ripetute ma non recenti letture delle sue opere); ma come lui sottopongo a critica razionale serrata (il più possibile conseguente) le mie convinzioni e giungo alla conclusione che questa credenza é infondata, non dimostrabile né tantomeno mostrabile, empiricamente constatabile.
Ma  esistono anche cose non empiricamente dimostrabili, anzi esistono cose di cui non posiamo avere esperienza. Ad esempio parliamo spesso della nostra vita intesa nel suo complesso, ma non abbiamo mai esperienza della vita nel suo complesso.  Ma non credo si possa dubitare che esista una vita nel suo complesso (la mia, la tua) pur non avendone esperienza.
CitazioneIn questo senso secondo me "la sensazione  é fondante" ogni possibile conoscenza critica, é una sorta di fondamentale, indubitabile "monade di verità" ("esse est percipi").
(In questo presuntuosamente cercando di andare probabilmente almeno in parte oltre -ma non contro- Hume) Credo inoltre -ma rendendomi ben conto dell' infondatezza razionale di questa credenza- che essa (la sensazione) sia in un certo senso "qualcosa di strutturato" il cui reale accadere implica la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza; credo cioé che esista oltre all' esperienza fenomenica cosciente fatta di mere percezioni (esteriori" o materiali o res extensa ed "interiori o mentali o res cogitans, intese non come cose in sé a la Cartesio" ma come meri eventi percettivi a la Hume; e in parte a la Berkeley) una realtà oggettiva in sé (non costituita di sensazioni) comprendente i soggetti (me stesso e altri) e gli oggetti di essa. E che la parte materiale di ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti sia biunivocamente corrispondente alla medesima realtà in sè o (a la Kant) noumeno; e conseguentemente per proprietà transitiva, che ciascuna di esse sia "poliunivocamente corrispondente" alle altre, indipendentemente dai loro rispettivi soggetti (cioé, in questo senso, intersoggettiva).
Certo il problema del dualismo è trovare il modo di far coincidere spazio-temporalmente materia e pensiero. Certo dividere res cogitans e res extensa semplifica le cose, ma poi rimane il problema di due realtà distinte che si trovano nello stesso "qui e ora". Diversamente il monismo finisce col ridurre il pensiero alla materia o, eventualmente, viceversa. Il miglior compromesso mi sembra quello di Eraclito, il fuoco come specchio della ragione, che permane nel tempo mutando continuamente forma e assimilando a se ciò che incontra (il fuoco assimila il combustibile, la ragione assimila conoscenza)
CitazioneCredo che le convinzioni di ogni soggetto possano cambiare (le sensazioni interiori o mentali di considerazioni, valutazioni, giudizi, credenze; più o meno vere) circa (le sue sensazioni fenomeniche costituenti) gli svariati enti e/o eventi fenomenici da lui percepiti; e non tali enti e/o eventi fenomenici stessi (intersoggettivi nel caso di quelli "esteriori" o materiali).

Ovviamente tutto ciò é perfettamente compatibile con la passività delle sensazioni "esteriori" o materiali e con l' attività di (sensazioni "interiori" o mentali costituenti) valutazioni, pensieri, conoscenze circa di esse e di decisioni pratiche. E con il fatto che l'intelligenza e il sentimento (e la forza di volontà) ci portano spesso ad agire contro le nostre spontanee inclinazioni avvertite ("interiormente", mentalmente) come immediate pulsioni ad agire, come nei casi di autocontrollo.
Su questo mi pare siamo d'accordo
CitazioneUso sempre le virgolette per i termini "interiore ed "esteriore" riferendoli ad "oggetti" (enti e/o eventi) che sono comunque sempre irriducibilmente interni all' esperienza fenomenica cosciente (anche nel caso di quelli intersoggettivi), e dunque in ultima analisi propriamente soggettivi.
E mi sembra che il punto difficile da comprendere ed accettare sia proprio il "mio punto di partenza filosofico", cioé l' "esse est percipi", il rendersi conto che gli "oggetti" (cosiddetti) di esperienza (in generale; ed in particolare quelli "esterni" o materiali) non sono che insiemi e successioni di mere sensazioni in quanto tali, e dunque non (più e/o non ancora) reali allorché non accadono presentemente in atto (in quanto tali): il solito maestoso cedro del Libano, o il monte Bianco o quant' altro di materiale, allorché non li vediamo non esistono per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esiteranno enti ed eventi in sé (non costituiti da sensazioni) ad essi biunivocamente corrispondenti; e lo stesso dicasi delle sensazioni fenomeniche coscienti "interiori" o mentali: allorché non accadono noi in quanto insiemi e/o successioni di esse, noi intesi in quanto "i nostri pensieri" non esistiamo per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esitereremo in quanto (intesi come) enti ed eventi in sé (cioé non in quanto ci percepiamo "interiormente)".
Si ma se esamini le percezioni è difficile trovare due percezioni identiche. La scienza mostra invece che alcuni fenomeni sotto le stesse condizioni si comportano sempre allo stesso modo. Quindi non credo potrebbe esserci scienza sulla base delle sole percezioni. Occorrono la logica e la matematica che si fondano sull'astrazione. E spiegare l'astrazione partendo dalla percezione non saprei proprio
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: sgiombo il 28 Novembre 2016, 10:42:49 AM
Risposta @ CVC:

Citazione da: cvc - Sat Nov 26 2016 23:32:23 GMT+0100 (ora solare Europa occidentale)


Ma  esistono anche cose non empiricamente dimostrabili, anzi esistono cose di cui non posiamo avere esperienza. Ad esempio parliamo spesso della nostra vita intesa nel suo complesso, ma non abbiamo mai esperienza della vita nel suo complesso.  Ma non credo si possa dubitare che esista una vita nel suo complesso (la mia, la tua) pur non avendone esperienza.

   Risposta Sgiombo:

   L' esistenza della nostra vita complessivamente intesa, del nostro passato e del nostro probabile (e limitato) futuro é credibile per fede ma non dimostrabile in quanto sarebbe a tal fine necessario dimostrare la veridicità della memoria, cosa impossibile (ogni ricordo, per recente che sia, é passibile di dubbio).

   Peraltro al nostro passato si crede (indimostrabilmente) avendone avuto esperienza, secondo quanto ci dice la memoria; e al futuro per immaginazione-induzione.




Citazione CVC:

Certo il problema del dualismo è trovare il modo di far coincidere spazio-temporalmente materia e pensiero. Certo dividere res cogitans e res extensa semplifica le cose, ma poi rimane il problema di due realtà distinte che si trovano nello stesso "qui e ora". Diversamente il monismo finisce col ridurre il pensiero alla materia o, eventualmente, viceversa. Il miglior compromesso mi sembra quello di Eraclito, il fuoco come specchio della ragione, che permane nel tempo mutando continuamente forma e assimilando a se ciò che incontra (il fuoco assimila il combustibile, la ragione assimila conoscenza)

 Risposta Sgiombo:

   Non credo si possa parlare di coincidenza spazio-temporale di materia e pensiero.
   Infatti la prima ("res extensa") occupa uno spazio, ma il secondo ("res cogitans") ha estensione unicamente temporale; dunque essi si trovano (accadono) nello stesso "ora" ma non nello stesso "qui".
   Però entrambi sono, per così dire, "ubicati" nella, cioé fanno parte della, esperienza fenomenica cosciente ("esse est percipi").

   Penso sia possibile, in alternativa all' impossibile riduzione monistica del pensiero alla materia e viceversa, considerarli entrambi enti ed eventi fenomenici, diverse manifestazioni sensibili di un' unica realtà in sé o noumeno (dualismo dei fenomeni, monismo del noumeno).
   Un po' come Spinoza li considerava diversi "attributi" della medesima, unica "Sostanza" (applicherei però il rasoio di Ockam a tutti gli altri infiniti attributi considerati da Spinoza oltre i due effettivamente constatati empiricamete; e inoltre non ne accoglierei il carattere "divino" attrubuito alla Sostanza naturale).

   Conosco ben poco Eraclito, ma il suo fuoco come arché che periodicamente si "scompone e differenzia" negli enti ed eventi particolari che poi in esso "riconfluiscono" (spero di non aver detto una sciocchezza) mi sembra sia applicabile unicamente alla materia e non anche al pensiero (quella con pensiero e conoscenza mi sembra solo un' analogia o una metafora).





   Citazione Sgiombo:

   Uso sempre le virgolette per i termini "interiore ed "esteriore" riferendoli ad "oggetti" (enti e/o eventi) che sono comunque sempre irriducibilmente interni all' esperienza fenomenica cosciente (anche nel caso di quelli intersoggettivi), e dunque in ultima analisi propriamente soggettivi.
   E mi sembra che il punto difficile da comprendere ed accettare sia proprio il "mio punto di partenza filosofico", cioé l' "esse est percipi", il rendersi conto che gli "oggetti" (cosiddetti) di esperienza (in generale; ed in particolare quelli "esterni" o materiali) non sono che insiemi e successioni di mere sensazioni in quanto tali, e dunque non (più e/o non ancora) reali allorché non accadono presentemente in atto (in quanto tali): il solito maestoso cedro del Libano, o il monte Bianco o quant' altro di materiale, allorché non li vediamo non esistono per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esiteranno enti ed eventi in sé (non costituiti da sensazioni) ad essi biunivocamente corrispondenti; e lo stesso dicasi delle sensazioni fenomeniche coscienti "interiori" o mentali: allorché non accadono noi in quanto insiemi e/o successioni di esse, noi intesi in quanto "i nostri pensieri" non esistiamo per niente (sarebbe platealmente autocontraddittorio pretenderlo!): casomai esitereremo in quanto (intesi come) enti ed eventi in sé (cioé non in quanto ci percepiamo "interiormente)".

RIsposta CVC:

Si ma se esamini le percezioni è difficile trovare due percezioni identiche. La scienza mostra invece che alcuni fenomeni sotto le stesse condizioni si comportano sempre allo stesso modo. Quindi non credo potrebbe esserci scienza sulla base delle sole percezioni. Occorrono la logica e la matematica che si fondano sull'astrazione. E spiegare l'astrazione partendo dalla percezione non saprei proprio

 Risposta Sgiombo:

   Nei limti di un' ineliminable approssimazione delle misure due o più enti o eventi materiali uguali possono spesso essere rilevati in natura (nella "res extensa").

   La scienza rileva che che alcuni fenomeni sotto le stesse condizioni si sono finora comportati allo stesso modo tutte le volte che sono stati osservati; e non che si comportano sempre, universalmente e constantemente allo stesso modo (anche in futuro; anche altrove); essa non può dimostrare ma deve assumere come un postuato (teoricamente passibile di dubbio) l' uniformità del divenire naturale secondo leggi universali e costanti.

   Concordo che non potrebbe esserci scienza sulla base delle sole percezioni ma occorrono anche la logica e la matematica che si fondano sull'astrazione.
   Peraltro non trovo problematico spiegare l' astrazione come la facoltà di distinguere nelle concrete esperienze sensibili ciò che é comune a più enti o eventi nel loro ambito da ciò che li differenzia e di generalizzare illimitatamente (anche ad eventuali esperienze future) ciò che é comune a quelle esperite in passato.
Titolo: Re:Realtà e rappresentazione
Inserito da: cvc il 29 Novembre 2016, 08:37:01 AM
@Sgiombo

Hume, come Epicuro, parte dalla percezione considerandola come un dato di fatto, un fenomeno passivo - dal punto di vista dell'io - cui non ci si può opporre. Diversamente gli stoici credevano nella dottrina dell'assenso, secondo la quale l'uomo ha la facoltà di dire si o no alle impressioni che si affacciano sulla soglia della coscienza . Questa divergenza è uno dei capisaldi delle celebri contese fra le due scuole. Sono due punti di vista alternativi e probabilmente non ha senso indagare se uno sia più giusto o più vero dell'altro. Posso solo dire che alla mia forma mentis è più congeniale lo stoicismo, perché più coerente con le mie convinzioni più profonde.