Effettivamente come è stato notato in una diversa discussione, manca un dibattito centrato su relativismo/assolutismo e qui, se volete, possiamo approfondire il discorso, che come al solito ci porterà in mille luoghi diversissimi del pensiero. Inizio con una riflessione di oggi alla quale potrete agganciarvi oppure no.
Stavo dando un'occhiata al libro di Croce: "Perchè non possiamo non dirci cristiani", e ho intuito che il fondamento del relativismo moderno sta proprio nel Cristianesimo, nel suo accettare l'uomo, qualsiasi uomo. Il rovesciamento attuato dal capro espiatorio, cioè Gesù che storicamente muore sulla croce da innocente, apre un varco incommensurabile. Il primo diventa l'ultiimo e gli ultimi saranno i primi. L'umanità è unica e l'uomo è tenuto ad amare il prossimo suo come sè stesso, indipendentemente da colore della pelle, credo religioso, convinzioni o cultura. Cosa c'è di più relativo di ciò? Se bisogna amare anche il nostro carnefice e porgere l'altra guancia non si può certo distinguere un comportamento da un altro. Per certi versi l'assolutismo dell'amore sulla terra sfocia in un relativismo assoluto dei valori, poichè ogni valore deve essere accettato dall'essere cristiano che tutto e tutti ama.
E' vero che il cristianesimo ha preso tante direzioni nel corso dei secoli. Non dimentico le guerre di religione, le crociate e le parole del monaco Jorge contrapposte a quelle di Guglielmo nel Nome della rosa, ma alla radice vi è questo sedimento relativista che rende il Padre, cioè Dio, una figura arcaica, davvero assolutistica. Con il Cristianesimo sorge una sorta di dialettica fra quell'assolutismo originario e un figlio che si sporca le mani fra gli uomini e finchè resterà sulla terra non giudicherà e non condannerà. Non guiderà una rivoluzione religiosa e sarà messo a morte a fianco di due ladroni. L'uomo incarnazione di Dio accanto ad un ladrone, entrambi crocifissi. Una immagine fortemente relativistica. Da quel momento è nato nella storia della cultura dell'uomo, in termini assai più diffusi ed universali, il principio della pietà, della tolleranza. E' dalla figura di Cristo che nasce la nostra stessa supposta debolezza, che autorizza le costruzioni delle sinagoghe e delle moschee, che ci avverte di non scagliare la prima pietra perchè siamo tutti peccatori. Proprio in questo modo si è sviluppata la cultura occidentale così come la conosciamo, una medusa dalla mille teste, che confluiscono tutte verso un cuore cristiano.
@JacopusComplimenti, molto bello e profondo, unica annotazione che sento il "dovere" di notificare è:
Citazioneho intuito che il fondamento del relativismo moderno sta proprio nel Cristianesimo, nel suo accettare l'uomo, qualsiasi uomo.
...certo, ma sempre ricordando all'uomo che la salvezza offerta da Cristo non è per qualsiasi uomo, ma per qualsiasi uomo creda nel Cristo (
Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.), ossia, Gesù ci pone un bastone mentre stiamo annegando, ma noi dobbiamo fare almeno il tentativo di afferrare quel bastone, quindi non basta con l'accettare che nell'uomo qualsiasi ci sia Cristo, dunque accettarlo relativisticamente, per poterlo (potersi) salvare.
Ho già espresso più che abbondantemente le mie posizioni in proposito nella
discussione aperta da Ceravolo.
Condivido l'idea che Gesù abbia relativizzato il rapporto con Dio. Questo processo di relativizzazione può essere individuato già in tutta la storia religiosa dell'Antico Testamento. In tutto questo cammino, tuttavia, fino a giungere al presente, vedo una conflittualità, una dialettica tuttora non risolta. Per esempio, nell'Antico Testamento c'è una continua tensione tra un Dio che non è l'unico e quindi si prende la rivalsa rivendicando di essere il migliore, il più potente, e un Dio che si pretende universale, unico nel mondo, e però non sa rispondere alle critiche di Giobbe, il quale gli chiede conto del perché delle proprie sofferenze. È il problema della teodicea. Anche Gesù oscilla tra relativizzazioni, come quando dice ai discepoli di non avversare chi fa miracoli pur non essendo dei suoi, e assolutismi, come quando prega il Padre affinché si formi un solo gregge sotto un solo pastore, il che equivale a desiderare che spariscano tutte le altre religioni e resti solo la sua. La questione continua oggi nella Chiesa, che col Vaticano II ha affermato che anche i non cristiani si possono salvare, e tuttavia con Ratzinger non è riuscita a trattenersi dal dichiarare che solo in Gesù c'è salvezza, non in un senso vago, ma nel senso più aggressivo secondo cui l'unica religione da ritenera vera e autentica rimane il Cristianesimo.
Mi pare che a chiudere definitivamente la questione stia pensando il mondo in generale, mandando al diavolo filosofi e religiosi e disinteressandosi completamente di tutte queste questioni.
Un ritorno credo che ci sarà, lo ritengo inevitabile, ma già adesso mi pare evidente che la metafisica non ha più come difendersi; i soli tentativi che riesce a fare sono di compromesso con il relativismo. D'altra parte, mi sembra che il relativismo fatichi ad affermarsi semplicemente perché è vittima di un sacco di fraintendimenti: si pensa al relativista come ad uno che dice che tutto è relativo, il che non è vero, uno che di conseguenza è del tutto privo di attenzione per criteri come la giustizia, la pace, l'amore, il rispetto. Insomma, mi pare che oggi il relativismo sia più che altro frainteso oppure sconosciuto.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Marzo 2017, 19:34:28 PMHo già espresso più che abbondantemente le mie posizioni in proposito nella discussione aperta da Ceravolo. Condivido l'idea che Gesù abbia relativizzato il rapporto con Dio. Questo processo di relativizzazione può essere individuato già in tutta la storia religiosa dell'Antico Testamento. In tutto questo cammino, tuttavia, fino a giungere al presente, vedo una conflittualità, una dialettica tuttora non risolta. Per esempio, nell'Antico Testamento c'è una continua tensione tra un Dio che non è l'unico e quindi si prende la rivalsa rivendicando di essere il migliore, il più potente, e un Dio che si pretende universale, unico nel mondo, e però non sa rispondere alle critiche di Giobbe, il quale gli chiede conto del perché delle proprie sofferenze. È il problema della teodicea. Anche Gesù oscilla tra relativizzazioni, come quando dice ai discepoli di non avversare chi fa miracoli pur non essendo dei suoi, e assolutismi, come quando prega il Padre affinché si formi un solo gregge sotto un solo pastore, il che equivale a desiderare che spariscano tutte le altre religioni e resti solo la sua. La questione continua oggi nella Chiesa, che col Vaticano II ha affermato che anche i non cristiani si possono salvare, e tuttavia con Ratzinger non è riuscita a trattenersi dal dichiarare che solo in Gesù c'è salvezza, non in un senso vago, ma nel senso più aggressivo secondo cui l'unica religione da ritenera vera e autentica rimane il Cristianesimo. Mi pare che a chiudere definitivamente la questione stia pensando il mondo in generale, mandando al diavolo filosofi e religiosi e disinteressandosi completamente di tutte queste questioni. Un ritorno credo che ci sarà, lo ritengo inevitabile, ma già adesso mi pare evidente che la metafisica non ha più come difendersi; i soli tentativi che riesce a fare sono di compromesso con il relativismo. D'altra parte, mi sembra che il relativismo fatichi ad affermarsi semplicemente perché è vittima di un sacco di fraintendimenti: si pensa al relativista come ad uno che dice che tutto è relativo, il che non è vero, uno che di conseguenza è del tutto privo di attenzione per criteri come la giustizia, la pace, l'amore, il rispetto. Insomma, mi pare che oggi il relativismo sia più che altro frainteso oppure sconosciuto.
Il tuo "relativismo" mi è sempre parso una sorta di "pensiero debole". Con questo intendo una posizione che vedendo che è inevitabile che i nostri giudizi dipendano dalla nostra prospettiva afferma che non si può affermare una "verità assoluta". Non lo definirei relativismo perchè chiaramente nella tua posizione è
meglio non imporre piuttosto che imporre la propria prospettiva. Il tuo relativismo lo potrei definire "etico" rispetto ad esempio a chi afferma che "ogni azione ha lo stesso valore".
Citazione di: Duc in altum! il 05 Marzo 2017, 18:46:27 PM@Jacopus Complimenti, molto bello e profondo, unica annotazione che sento il "dovere" di notificare è: Citazioneho intuito che il fondamento del relativismo moderno sta proprio nel Cristianesimo, nel suo accettare l'uomo, qualsiasi uomo.
...certo, ma sempre ricordando all'uomo che la salvezza offerta da Cristo non è per qualsiasi uomo, ma per qualsiasi uomo creda nel Cristo (Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.), ossia, Gesù ci pone un bastone mentre stiamo annegando, ma noi dobbiamo fare almeno il tentativo di afferrare quel bastone, quindi non basta con l'accettare che nell'uomo qualsiasi ci sia Cristo, dunque accettarlo relativisticamente, per poterlo (potersi) salvare.
E qui si potrebbe aprire il discorso su cosa significhi "credere". Su cosa significa "avere fede" ecc. Se credere significa credere allo stesso modo in cui si crede ad un fatto storico non ci vedo nulla di speciale e anzi non ci vedeva nulla di speciale nemmeno Gesù. Inoltre a volte se la prendeva proprio contro chi credeva in Dio (scribi, sacerdoti...) ed era molto più clemente con chi era "distante" dal culto, quasi a dire che se credi davvero in Dio devi saper amare l'uomo. Poi c'è il buon Samaritano (eretico) che "ha compassione" mentre il sacerdote che crede in Dio se ne sbatte altamente.
Crede di più in Dio uno che è pio ma se ne frega di tutto e di tutti (tipo quelli che vivono nel "loro mondo" e credono nella Terra Piatta...) oppure chi ha poca o nulla fede ma che si ammazza di lavoro per aiutare il prossimo? Lo stesso San Paolo, se non erro, oltre ad essere il "responsabile" della dottrina della salvezza per fede fa una affermazione scioccante per la quale l'amore è superiore alla fede (distinguendo in sostanza "fede", "amore" e "speranza"). Nel Vangelo di Giovanni si dice chiaramente che "chi crede in me non morrà" ma si dice anche che "riconosceranno che siete miei discepoli se vi amate gli uni con gli altri". Nel Vangelo di Matteo la salvezza si basa chiaramente sulle opere (ad esempio la parabola dei capri e delle pecore non nomina mai la questione dell'avere fede). Giovanni dice: "chi non ama non conosce Dio". Le beatitudini non nominano la questione della credenza ecc
Sinceramente credo che la compassione sia "superiore" alla fede perchè grazie alla compassione "puoi dare da mangiare ad un affamato..." senza prima chiedergli "credi nel Dio cristiano?".
Quindi caro mio Duc come puoi vedere non è affatto facile capire cosa significa "credere in Dio"...
La dottrina della "fede che giustifica" ha creato contraddizioni enormi. La Chiesa ha preferito per secoli che il suo "gregge" non avesse mai dubbi, che si concentrasse su piccolezze e che discriminasse porzioni della popolazione mondiale, invece di esortare all'amore che mi pare che sia la "cosa più importante". Forse senza amore non c'è (vera) fede e forse uno che sinceramente si "ribella" o ha "dubbi" forse crede di più di un altro.
Quindi ti chiedo: cosa significa "credere in Dio"? Anzi: vorrei che me lo dicesse la Chiesa visto che che a quanto sembra hanno le idee confuse. Si possono davvero salvare anche i credenti di altre fedi o gli atei giusti (per Bergoglio a quanto dice sì!) o lo dite solo perchè è "politically correct"? Un mio amico teologo e prete mi ha detto che la "teoria" del Cristo Pneumatico fa in modo che si possa "salvarsi" anche se non si è "consapevolmente" cristiani e che il compito della Chiesa è quello di migliorare la vita terrena (ossia "cercare di far vivere il Regno dei Cieli anche qui...") con l'ausilio della fede "consapevole".
Secondo me anche voi credenti avete le idee confuse tanto quanto i "pericolosi" ricercatori della verità, dei pensatori liberi, degli infedeli ecc
Citazione di: Apeiron il 05 Marzo 2017, 23:35:01 PM
Il tuo "relativismo" mi è sempre parso una sorta di "pensiero debole". Con questo intendo una posizione che vedendo che è inevitabile che i nostri giudizi dipendano dalla nostra prospettiva afferma che non si può affermare una "verità assoluta". Non lo definirei relativismo perchè chiaramente nella tua posizione è meglio non imporre piuttosto che imporre la propria prospettiva. Il tuo relativismo lo potrei definire "etico" rispetto ad esempio a chi afferma che "ogni azione ha lo stesso valore".
Io sono un seguace sviscerato del pensiero debole e difatti il pensiero debole è relativismo. Cosa ti fa pensare che il relativismo tenti di imporre la propria prospettiva? Come si può tentare di imporre ciò che è relativo? Mi sembra che in questo modo confermi ciò che ho detto nella conclusione del mio post precedente: "mi pare che oggi il relativismo sia più che altro frainteso oppure sconosciuto".
** scritto da Apeiron:
CitazioneQuindi caro mio Duc come puoi vedere non è affatto facile capire cosa significa "credere in Dio"...
Non vorrei sbagliarmi, ma non è la prima volta che ti
areni nel voler capire come si crede in Dio, senza provare a credere in Dio, per poi iniziare a capire cosa significhi davvero. Con questo Dio è tutto al contrario: vivi dopo essere morto, perdoni per vendicarti, e sei primo solo quando divieni ultimo. La capoccia si fonde se vuoi passare la vita a ragionarci sopra ste cose ...ma tutto si trasforma se fai il salto nel buio.
Non è la prima volta che mi fai questa domanda (cosa significa credere in Dio?), quindi continui a giustificare, caparbiamente, il tuo agnosticismo con le regole logiche da te fissate, mentre non esiste logica per credere in Qualcuno che non si vede e che forse non esiste neanche.
Vuoi capire cosa significa credere in Dio??!!! ...sempre se parliamo della 1^ persona della Santissima Trinità. Approfitta che siamo in Quaresima, metti in pratica, andando oltre il solo comprensorio concettuale, preghiera, elemosina e digiuno. Prova a non usare il cellulare fino alla Domenica delle Palme, sforzati di rivedere quell'amico o quel familiare con cui ormai c'è freddezza da tempo, specialmente quello che ti ha fatto un torto evidente, donandogli, controvoglia, il tuo perdono, tenta di recitare un'orazione di lode, del tipo
senza di Te non sono nessuno e niente, e non una preghiera di ringraziamento o di richiesta.
Come vedi non è affatto facile, come tu ben dici, ma non nel capirlo, ma nel metterlo in pratica. Tu ti sei arenato sul fatto che se non capisci prima poi non agisci, mi dispiace col cristianesimo non è così, giacché è sempre Dio a fare la prima mossa, e dunque tocca sempre e solamente a noi rispondere pragmaticamente , e non solo col "Io credo...", a quell'invito.
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneCosa ti fa pensare che il relativismo tenti di imporre la propria prospettiva? Come si può tentare di imporre ciò che è relativo?
Esatto, era questa la riflessione a cui t'invitavo nell'altra discussione: da quale verità assoluta puoi pretendere di esortare qualcuno che ciò che dice o fa non è moralmente cosa buona e giusta, visto che sei un iper-relativista?
O sei già diventato un "ex" anche in questo?
Pace &Bene
** scritto da Apeiron:
CitazioneSinceramente credo che la compassione sia "superiore" alla fede perchè grazie alla compassione "puoi dare da mangiare ad un affamato..." senza prima chiedergli "credi nel Dio cristiano?".
Gaudium et spes n° 22:
"...e ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (39). Cristo, infatti, è morto per tutti (40) e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale..."Benissimo, ma devi darlo sempre da mangiare e non solo (esempio )in tempo di elezioni, oppure lo sfami con prodotti non tuoi o sottratti immeritevolmente ad altri, oppure lo sfami e poi puoi dedicarti a circostanze private inique giacché hai già compiuto la tua "buona azione quotidiana", in stile scout (vedi Renzi), altrimenti non è carità, ma sentimentalismo.
Come vedi è ciò che tu credi e non cosa chiede di credere Iddio.
E' preferibile un relativo assolutismo o un assoluto relativismo? Questo è il dilemma... ;D
In questa mia banale e un pò stupidotta domanda si cela in realtà qualcosa di interessante e che accomuna ambedue le 'posizioni' (ovviamente il relativista si opporrà dicendo che la sua è una non-posizione, ma per farlo dovrà usare lo stesso linguaggio dell'assolutista), ambedue sono costruzioni linguistiche. E' plausibile pertanto una distinzione reale tra queste due posizioni, entrambe costruzioni immaginarie del pensiero? Questo dire due, questo dualismo di un'unica forma descrittiva della conoscenza? Una distinzione tra assoluto e relativo ( samsara e nirvana) è una finzione. Una contesa tra idee di cui la proliferazione discorsiva si appropria perpetuando il divenire e l'impermanenza.
Se il fantasma-io che ci abita se ne appropria per darsi consistenza e una pseudo-realtà convenzionale è proprio per la sua sete d'esistere o di non-esistere e ,in base e a forma di questi desideri, ora si china sull'idea di assoluto e ora su quella di relativo. Così l'assolutista sarà molto relativo nelle sue convinzioni assolute e il relativista molto assolutista nelle sue non-convinzioni. Queste due opinioni errate sulla natura del reale non faranno che perpetuarsi non sfuggendo alla logica del loro proliferare discorsivo senza fine...
E' colossale anche solo discutere di assolutismo e poi anche di relativismo.
Quindi espongo per somma sintesi quello che penso.
A mio parere è centrale la coscienza, quello che Sariputra chiama fantasma-io, probabilmente.
Nella coscienza si forma la certezza sensibile, la percezione, vale a dire il fenomeno mondano e dall'altra il concetto deduttivo, ciò che le percezioni inducono nella coscienza ad una sintesi che si proietta nel concetto astratto che unifica, :il Tuto, l'Uno,l'Assoluto.
Si potrebbe dire che il momento di sintesi dell'induttivo è la cosmologia del big bang come inizio e origine. la cosmogonia che ci viene dalle scienze antiche ne è correlazionata.
Quindi è il come la coscienza, intesa da una parte come agente conoscitivo attraverso l'esperienza nel divenire in cui i fenomeni naturali si manifestano e dall'altra come il non manifesto ed eterno ,come origine ,come principio unificatore e sintesi totale costruisce l'ordine e i domini in cui l'agente conoscitivo con l'intuito, l'induttivo e il deduttivo svela ciò che è nel mondo e ciò che è in noi come relazione con l'origine.
la mia personale atipicità, nel senso di modo di pensare, è che la coscienza è il luogo della problematizzazione che si esprime linguisticamente nell'ontologia, nell'epistemologia ,nella fenomenologia. Quindi tutto ciò che sta fra il principio originario assoluto e quello che vedono i miei occhi per orientarmi alla sopravvivenza nel mondo è nell'esercizio del dubbio, della correlazione, della contraddizione stessa fra l'astratto come concetto non ancora unitario e il fenomeno come esperienza della coscienza nel mondo.
Quindì il mio è un Assoluto che si relativizza, se quest'ultimo viene inteso come momento in cui fra conoscenza acquisita e coscienza si forma la problematizzazione dell'in-comprensione, come momento del contraddittorio dialogico fra il sè e il sè o fra il sè e i nostri simili come nel forum.
Citazione di: Angelo Cannata il 06 Marzo 2017, 07:20:51 AM
Citazione di: Apeiron il 05 Marzo 2017, 23:35:01 PMIl tuo "relativismo" mi è sempre parso una sorta di "pensiero debole". Con questo intendo una posizione che vedendo che è inevitabile che i nostri giudizi dipendano dalla nostra prospettiva afferma che non si può affermare una "verità assoluta". Non lo definirei relativismo perchè chiaramente nella tua posizione è meglio non imporre piuttosto che imporre la propria prospettiva. Il tuo relativismo lo potrei definire "etico" rispetto ad esempio a chi afferma che "ogni azione ha lo stesso valore".
Io sono un seguace sviscerato del pensiero debole e difatti il pensiero debole è relativismo. Cosa ti fa pensare che il relativismo tenti di imporre la propria prospettiva? Come si può tentare di imporre ciò che è relativo? Mi sembra che in questo modo confermi ciò che ho detto nella conclusione del mio post precedente: "mi pare che oggi il relativismo sia più che altro frainteso oppure sconosciuto".
Tu non imponi ciò che è relativo. Un altro potrebbe farlo... D'altronde è una tua scelta quella di non imporre e di ritenere che sia meglio non imporre. Un altro potrebbe scegliere in modo diverso. E anche l'altro si sentirebbe "libero" di fare quello che vuole. Io devo convincermi che sia giusto non imporre ciò che è relativo. Se per te è sufficiente sapere che la tua prospettiva è relativa per non imporla va benissimo. Però un altro potrebbe proprio giustificare la violenza e l'odio col relativismo e il pensiero debole.
Citazione di: Duc in altum! il 06 Marzo 2017, 09:55:55 AM** scritto da Apeiron:
CitazioneQuindi caro mio Duc come puoi vedere non è affatto facile capire cosa significa "credere in Dio"...
Non vorrei sbagliarmi, ma non è la prima volta che ti areni nel voler capire come si crede in Dio, senza provare a credere in Dio, per poi iniziare a capire cosa significhi davvero. Con questo Dio è tutto al contrario: vivi dopo essere morto, perdoni per vendicarti, e sei primo solo quando divieni ultimo. La capoccia si fonde se vuoi passare la vita a ragionarci sopra ste cose ...ma tutto si trasforma se fai il salto nel buio. Non è la prima volta che mi fai questa domanda (cosa significa credere in Dio?), quindi continui a giustificare, caparbiamente, il tuo agnosticismo con le regole logiche da te fissate, mentre non esiste logica per credere in Qualcuno che non si vede e che forse non esiste neanche. Vuoi capire cosa significa credere in Dio??!!! ...sempre se parliamo della 1^ persona della Santissima Trinità. Approfitta che siamo in Quaresima, metti in pratica, andando oltre il solo comprensorio concettuale, preghiera, elemosina e digiuno. Prova a non usare il cellulare fino alla Domenica delle Palme, sforzati di rivedere quell'amico o quel familiare con cui ormai c'è freddezza da tempo, specialmente quello che ti ha fatto un torto evidente, donandogli, controvoglia, il tuo perdono, tenta di recitare un'orazione di lode, del tipo senza di Te non sono nessuno e niente, e non una preghiera di ringraziamento o di richiesta. Come vedi non è affatto facile, come tu ben dici, ma non nel capirlo, ma nel metterlo in pratica. Tu ti sei arenato sul fatto che se non capisci prima poi non agisci, mi dispiace col cristianesimo non è così, giacché è sempre Dio a fare la prima mossa, e dunque tocca sempre e solamente a noi rispondere pragmaticamente , e non solo col "Io credo...", a quell'invito.
Citazione di: Duc in altum! il 06 Marzo 2017, 10:32:57 AM** scritto da Apeiron:
CitazioneSinceramente credo che la compassione sia "superiore" alla fede perchè grazie alla compassione "puoi dare da mangiare ad un affamato..." senza prima chiedergli "credi nel Dio cristiano?".
Gaudium et spes n° 22: "...e ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (39). Cristo, infatti, è morto per tutti (40) e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale..." Benissimo, ma devi darlo sempre da mangiare e non solo (esempio )in tempo di elezioni, oppure lo sfami con prodotti non tuoi o sottratti immeritevolmente ad altri, oppure lo sfami e poi puoi dedicarti a circostanze private inique giacché hai già compiuto la tua "buona azione quotidiana", in stile scout (vedi Renzi), altrimenti non è carità, ma sentimentalismo. Come vedi è ciò che tu credi e non cosa chiede di credere Iddio.
Grazie delle risposte. Ok quindi in un documento ufficiale si dice che esistono "uomini di buona volontà ma non cristiani" - finalmente si è capito anche questo.
Allora ti faccio un esempio che dovrebbe far capire che è anche importante capire (per quanto si può) in cosa si deve o non deve credere. Ricordi il mito della Caverna di Platone? Ebbene se fin dalla nascita ci viene
detto cosa è la "verità" e cosa non lo è finiamo per crederci. Tuttavia questa "credenza" non è diversa da quella che il bambino piccolo ha delle favole. Per un bimbo Babbo Natale è una realtà. Poi scopre che in realtà Babbo Natale erano i suoi genitori che gli regalavano i dolci. Oppure posso dire "non uccido perchè c'è scritto così nella Bibbia" senza "cambiare il mio cuore" e
capire che è giusto "non uccidere" (mi chiedo se sia un peccato per la Bibbia la legittima difesa...). Ossia per formarmi la coscienza serve in realtà anche la comprensione.
Questo infantilismo ha annebbiato le coscienze per secoli e ciò è dovuto alla durezza di chi doveva "evangelizzare". Si predicava e si predicava, si facevano riti ecc solo perchè "me lo dice il prete", dimodoché si aveva ancora una catttiva volontà ma certe cose non le si faceva per "paura dell'Inferno". Poi venne il seicento e gente come Giordano Bruno ci ha rimesso la vita per dire che è importante anche formarsi la coscienza prima di "credere perchè lo dicono gli altri" (e mi perplede parecchio il fatto che il cardinale Bellarmino sia santo, ma tant'è...). Sinceramente non voglio essere credente solo perchè me lo dicono gli altri o per avere paura dell'inferno. Cerco per quanto mi è possibile che la mia presenza possa essere di aiuto all'altro nei limiti delle mie possibilità, riconoscendo che sono ben al di sotto della "perfezione". Cerco ad esempio di non sprecare, di non arrabbiarmi ingiustamente, di non offendere. Purtroppo riconosco il fallimento.
Il non capire in cosa si crede fa in modo che ci siano ad esempio criminali che uccidono l'altro in nome di Dio o che uccidono persone senza scrupoli, "tanto poi ci si confessa". Questo atteggiamente denota appunto la differenza tra una moralità imposta e un'infantilismo della coscienza e una vera "buona volontà" nella quale certi atti non si commettono perchè "non sono giusti".
Ho anche appreso che secondo la Chiesa l'inferno è un'auto-esclusione all'amore e che in un certo senso ci va chi "vive solo per se stesso e non vuole bene a nessuno" (d'altronde in una comunità uno che non gli importa nulla dell'altro non ci rimane perchè "non è il suo habitat"). Mi è stato quindi detto che il "segreto" è aprirsi all'altro e "mettere a disposizione le proprie capacità" ossia "donare" all'altro. Ad una cosa del genere credo. Ad un Dio che manda all'inferno chi fa sesso prima del matrimonio non credo.
Mi dici di non "usare il cellulare fino alle Palme"! Ma come posso contattare un mio amico che non sento da molto tempo senza cellulare, specie se non riesco a vederlo di persona? Mi dici di perdonare controvoglia e mi impegno a farlo. Non credo nella "buona azione quotidiana" se questa non mi cambia e non la fa rimanere isolata in un mare di iniquità - ma questa come vedi è appunto coscienza. Ti confesso che ho anche cercato di pregare però non riesco a farlo in modo "sensato". Potrei
dire di credere ma non sarei sincero, quindi non lo faccio.
In ogni caso è stato grazie a ragionamenti logici che ho capito che
dire di credere e
credere sono due cose diverse. Grazie a ragionamenti logici ho "scoperto" che "seguire i riti" non è sufficiente a rendere buona la volontà ecc. Come vedi la logica è utile. Così come lo sono il dubbio e la curiosità. Peccato che non appena dici "il papa non è infallibile" ti tolgono la cattedra come successo ad Hans Kung.
L'assolutismo è pericoloso perchè conduce a volte a non capire in cosa si crede e quindi a venerare un "falso Dio" pensando di venerare un "vero Dio" (ossia venerare una falsa immagine di Dio).
Secondo me non è giusto ad esempio imporre con la violenza a qualcuno di andare a messa. E penso che non sia giusto nemmeno per te. Chi lo fa secondo me ha un'immagine errata di Dio.
Citazione di: Jacopus il 05 Marzo 2017, 16:46:13 PM
Stavo dando un'occhiata al libro di Croce: "Perchè non possiamo non dirci cristiani", e ho intuito che il fondamento del relativismo moderno sta proprio nel Cristianesimo, nel suo accettare l'uomo, qualsiasi uomo. Il rovesciamento attuato dal capro espiatorio, cioè Gesù che storicamente muore sulla croce da innocente, apre un varco incommensurabile. Il primo diventa l'ultiimo e gli ultimi saranno i primi. L'umanità è unica e l'uomo è tenuto ad amare il prossimo suo come sè stesso, indipendentemente da colore della pelle, credo religioso, convinzioni o cultura. Cosa c'è di più relativo di ciò? Se bisogna amare anche il nostro carnefice e porgere l'altra guancia non si può certo distinguere un comportamento da un altro. Per certi versi l'assolutismo dell'amore sulla terra sfocia in un relativismo assoluto dei valori, poichè ogni valore deve essere accettato dall'essere cristiano che tutto e tutti ama.
......
Da quel momento è nato nella storia della cultura dell'uomo, in termini assai più diffusi ed universali, il principio della pietà, della tolleranza. E' dalla figura di Cristo che nasce la nostra stessa supposta debolezza, che autorizza le costruzioni delle sinagoghe e delle moschee, che ci avverte di non scagliare la prima pietra perchè siamo tutti peccatori. Proprio in questo modo si è sviluppata la cultura occidentale così come la conosciamo, una medusa dalla mille teste, che confluiscono tutte verso un cuore cristiano.
Non sono affatto d'accordo che il relativismo o la tolleranza abbiano origine con Gesù e col cristianesimo, tantomeno che la cultura occidentale abbia un cuore cristiano.
Il messaggio dei Vangeli è troppo incoerente, contradditorio, può prendere molte direzioni come la storia del cristianesimo dimostra con tutte le sue ramificazioni. Involontariamente l'incoerenza, la contraddittorietà, ha favorito la pluralità, la concorrenza nel cristianesimo dando un apporto essenziale agli esiti relativistici.
Un riconoscimento cristiano della relatività di ciascun individuo è dato dalla parabola del seminatore, ma non prefigura affatto propositi di tolleranza o di amore.
Citazione di: Apeiron il 06 Marzo 2017, 14:33:45 PMTu non imponi ciò che è relativo. Un altro potrebbe farlo... D'altronde è una tua scelta quella di non imporre e di ritenere che sia meglio non imporre. Un altro potrebbe scegliere in modo diverso. E anche l'altro si sentirebbe "libero" di fare quello che vuole. Io devo convincermi che sia giusto non imporre ciò che è relativo. Se per te è sufficiente sapere che la tua prospettiva è relativa per non imporla va benissimo. Però un altro potrebbe proprio giustificare la violenza e l'odio col relativismo e il pensiero debole.
Relativismo significa dubbio, esaltazione della libertà. Se uno esercita la violenza, vuol dire che sta smettendo di dubitare riguardo a ciò che sta facendo, quindi non è più un relativista. Allo stesso modo, sfruttare la propria libertà per opprimere quella degli altri significa relativizzare solo gli altri e non farlo su se stessi, perciò anche in questo caso non è più relativismo. Ci possono essere falsi relativisti di ogni tipo, ma proprio il fatto che sono falsi non inficia la bontà del relativismo.
Se è relativismo non può essere violenza; se è violenza, non è relativismo.
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneRelativismo significa dubbio, esaltazione della libertà.
Libertà da che, visto che non hai un principio di schiavitù?!?!
Eppoi, sempre per le stesse assenze, perché l'uomo dovrebbe esaltare la libertà, invece di "godere" della sicurezza della schiavitù?!?
CitazioneSe è relativismo non può essere violenza; se è violenza, non è relativismo.
Ma non può essere neanche serenità.
** scritto da Apeiron:
CitazioneCerco ad esempio di non sprecare, di non arrabbiarmi ingiustamente, di non offendere. Purtroppo riconosco il fallimento.
Purtroppo nessuno si salva da solo...
CitazioneMi è stato quindi detto che il "segreto" è aprirsi all'altro e "mettere a disposizione le proprie capacità" ossia "donare" all'altro.
Sì, ma se non ti chiami Erri De Luca o Gino Strada (e rientri quindi nel n°22), per donarti all'altro, davvero conoscendo e comprendendo ciò in cui credi, lo puoi fare solo se assolvi questa vocazione in nome di Gesù Cristo e per merito Dello Spirito Santo (quindi non nostro) e per la gloria di Dio.
Ciò che tu definisci segreto non è relativo, ma ben assoluto: il Mistero della Fede:
Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell'attesa della tua venuta! CitazioneMa come posso contattare un mio amico che non sento da molto tempo senza cellulare, specie se non riesco a vederlo di persona?
Come faccio io che "esisto" da sempre senza cellulare: o usi la cabina telefonica (essere credente vero significa essere visto come il grullo del villaggio! ;D ), o ancor meglio ti presenti sotto casa e lo citofoni. Negli ultimi 6 anni ne ho fatti piangere di commozione un bel po', mentre con altri ho presentato le mie scuse con non poca vergogna, ma sono situazioni indescrivibili! :D
CitazioneTi confesso che ho anche cercato di pregare però non riesco a farlo in modo "sensato". Potrei dire di credere ma non sarei sincero, quindi non lo faccio.
Prova con un semplice "aumenta/illumina la mia fede", o come fece (questa è fuori di testa ma è Vangelo) il padre del fanciullo: «Credo, aiutami nella mia incredulità».
CitazioneL'assolutismo è pericoloso perchè conduce a volte a non capire in cosa si crede e quindi a venerare un "falso Dio" pensando di venerare un "vero Dio" (ossia venerare una falsa immagine di Dio).
Secondo me questo non è assolutismo, ma fanatismo.
CitazioneSecondo me non è giusto ad esempio imporre con la violenza a qualcuno di andare a messa. E penso che non sia giusto nemmeno per te.
Perché da qualche parte lo fanno?
Basterebbe l'incredibile ondata di razzismo sempre più pubblico e sempre meno privato, per testimonare di quello che è l'occidente cristiano.
Un assolutismo barbaro, MENZOGNA che si nasconde dietro la narrazione tragica dell'amore cristiano.
Il problema del relativismo contemporaneo è che (da bravo studioso di Nietzche l'ho capito) viene scambiato per il suo doppio appunto l'assolutismo.
L'assolutismo viene spacciato per RELATIVISMO. Questa è l'indigesta realtà che ogni onesto pensatore dovrebbe arrivare ad ammettere.
Per risolverlo Sini in un recente seminario a cui partecipai, precisò che lui era un relativista con un eccezione fondamentale: che il relativismo non può essere relativo.
Vi lascio spazio per pensarci, non è cosa semplice.
Anche se per me vale sempre la questione nichilista dostoevskiana, se niente vale, allora TUTTO è valido.
Ovviamente la questione dostoevskiana era legata a DIO, ma con un minimo di malizia in più non possiamo proprio intendere che l'assoluto per essere valido deve sempre essere messo in discussione?
Il relativo per funzionare non può relativizzarsi, ma può solo fare da funzione, da indirizzo, da senso dell'esistente.
In quanto relativo è ciò che accade nel reale, il relativo è SOLO nel reale.
L'assoluto è il suo doppio, ossia" il relativo che è relativo" diventa solo un PRETESTO per delle scelte POLITICHE.
E' la maschera che il potere politico detta come occasione, come crisi, come coercizione autoritaria.
Bauman l'ha chiamata società liquida ad indicarne lo scontro con le istanze del soggetto civile.
Ma è ben più di quello, è esattamente la presa di posizione che tutto è ASSOLUTAMENTE precario.
Ossia se uno è capace di leggere che sta succedendo nell'epoca contemporane, l'esatto opposto.
Ossia il FISSO esiste solo in nome del Precario, come lotta, come ambizione.
Difficile sottrarvici, per Pasolini impossibile. Non rimane che il qui e ora, non il qui e ora del COME SE FOSSE PER SEMPRE, ma del qui e ora che ROVINA SEMPRE in qualcosaltro, fossanco la nostra morte, di solito meglio nella nostra condizione PARANOICA. DI certo MAI nella postazione del relativo che sia fedele a se stesso.E questo è male gente, MOLTO male.
Ritengo utile dare tre precisazioni riguardo al relativismo, per diminuire i fraintendimenti riguardo ad esso.
1. Non ha senso usare come metodo lo spauracchio dell'anarchia, dell'immoralità o del non poterci intendere, causati dalla distruzione, da parte del relativismo, di tutti i valori, significati e criteri. Non ha senso perché sarebbe come dire: vista la gravità della situazione, dobbiamo trovare a tutti i costi un riferimento. Voler trovare un riferimento a tutti costi, giustificando l'atteggiamento "a tutti i costi" con la gravità distruttiva del relativismo, va a significare voler trovare un riferimento anche a costo di inventarselo. Insomma, è come uno che sta precipitando e pensa: "Qui la situazione è gravissima: devo trovare a tutti i costi un conforto, a costo di inventarmelo". Non sarebbe di per sé vietato inventarsi un conforto, ma il problema è che la metafisica non accetta di essere considerata qualcosa di inventato. Se la situazione è grave, non ha senso inventarsi punti di riferimento o di conforto: è più efficace prendere atto della gravità e vedere cosa si può fare. Quindi non ha senso dire che col relativismo su dà via libera alla violenza, al fare ognuno quello che pare e piace: se anche fosse così, vuol dire che bisognerà trovare modi per affrontare tale situazione, non far finta che il castello delle certezze non sia inesorabilmente crollato e non più ripristinabile al suo stato precedente.
2. Il relativismo non è un sistema di idee, ma un discorso storico. Se il relativista dice che il cielo è blu, non lo dice come affermazione di principio, ma come esperienza storica, cioè inclusa nel tempo, nello spazio, localizzata, soggetta al divenire, all'opinabilità. L'errore che tutti fanno in questo senso è trattare invece il relativismo come un sistema statico, come una matematica: "Se tutto è relativo, questa è già una pretesa di verità". No, perché nel momento in cui il relativista dice che tutto è relativo, non lo sta dicendo come affermazione di principio, ma come racconto storico, come esperienza soggettiva umana: abbiamo fatto un cammino, eravamo metafisici, ci siamo accorti che siamo umani, ci viene a risultare che tutto è relativo. Il problema è che i metafisici vengono a risultare talmente imbevuti di metafisica, da non riuscire a fare a meno di trattare il relativismo come se fosse una metafisica. Ma l'uso del verbo essere da parte del relativista non va inteso come dichiarazione astratta, oggettiva: va inteso come racconto di una storia, consapevole di essere nient'altro che una prospettiva soggettiva, soggetta al confronto delle opinioni, poiché non è altro che un'opinione, proposta di un dialogo.
3. Le affermazioni espresse dal relativismo valgono proprio perché sono soggettive. Se come relativista dico che il cielo è blu, la mia affermazione ha valore proprio perché è la mia opinione, nient'altro che la mia opinione. In questo senso si può dire che tale affermazione vale quanto me, vale quanto valgo io; se un altro mi dice che il cielo è rosso, la sua affermazione vale quanto vale lui, cioè quanto vale una persona qualsiasi. Ne consegue che quando un relativista fa un'affermazione qualsiasi, egli non sta presentando all'altro un pacchetto di verità oggettive, ma sta presentando se stesso. Il relativismo non è incontro di verità, princìpi, affermazioni: è incontro di persone. Al contrario, voler dare forza alle proprie affermazioni tentando di presentarle come qualcosa di indipendente dal proprio cervello non fa che azzerarne il valore, poiché non risulta che finora ci sia mai stato qualcuno in grado di presentare affermazioni senza aver incluso in esse l'uso del proprio cervello. Quindi le cose stanno esattamente al contrario: ciò che viene presentato come verità oggettiva o principio assoluto vale zero, perché fino ad oggi nessuno è stato in grado di mostrare l'esistenza di affermazioni indipendenti dal proprio cervello; ciò che invece viene presentato come opinione vale, perché l'opinione è offerta di un dialogo, un confronto tra persone.
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 08:29:44 AMRitengo utile dare tre precisazioni riguardo al relativismo, per diminuire i fraintendimenti riguardo ad esso. 1. Non ha senso usare come metodo lo spauracchio dell'anarchia, dell'immoralità o del non poterci intendere, causati dalla distruzione, da parte del relativismo, di tutti i valori, significati e criteri. Non ha senso perché sarebbe come dire: vista la gravità della situazione, dobbiamo trovare a tutti i costi un riferimento. Voler trovare un riferimento a tutti costi, giustificando l'atteggiamento "a tutti i costi" con la gravità distruttiva del relativismo, va a significare voler trovare un riferimento anche a costo di inventarselo. Insomma, è come uno che sta precipitando e pensa: "Qui la situazione è gravissima: devo trovare a tutti i costi un conforto, a costo di inventarmelo". Non sarebbe di per sé vietato inventarsi un conforto, ma il problema è che la metafisica non accetta di essere considerata qualcosa di inventato. Se la situazione è grave, non ha senso inventarsi punti di riferimento o di conforto: è più efficace prendere atto della gravità e vedere cosa si può fare. Quindi non ha senso dire che col relativismo su dà via libera alla violenza, al fare ognuno quello che pare e piace: se anche fosse così, vuol dire che bisognerà trovare modi per affrontare tale situazione, non far finta che il castello delle certezze non sia inesorabilmente crollato e non più ripristinabile al suo stato precedente. 2. Il relativismo non è un sistema di idee, ma un discorso storico. Se il relativista dice che il cielo è blu, non lo dice come affermazione di principio, ma come esperienza storica, cioè inclusa nel tempo, nello spazio, localizzata, soggetta al divenire, all'opinabilità. L'errore che tutti fanno in questo senso è trattare invece il relativismo come un sistema statico, come una matematica: "Se tutto è relativo, questa è già una pretesa di verità". No, perché nel momento in cui il relativista dice che tutto è relativo, non lo sta dicendo come affermazione di principio, ma come racconto storico, come esperienza soggettiva umana: abbiamo fatto un cammino, eravamo metafisici, ci siamo accorti che siamo umani, ci viene a risultare che tutto è relativo. Il problema è che i metafisici vengono a risultare talmente imbevuti di metafisica, da non riuscire a fare a meno di trattare il relativismo come se fosse una metafisica. Ma l'uso del verbo essere da parte del relativista non va inteso come dichiarazione astratta, oggettiva: va inteso come racconto di una storia, consapevole di essere nient'altro che una prospettiva soggettiva, soggetta al confronto delle opinioni, poiché non è altro che un'opinione, proposta di un dialogo. 3. Le affermazioni espresse dal relativismo valgono proprio perché sono soggettive. Se come relativista dico che il cielo è blu, la mia affermazione ha valore proprio perché è la mia opinione, nient'altro che la mia opinione. In questo senso si può dire che tale affermazione vale quanto me, vale quanto valgo io; se un altro mi dice che il cielo è rosso, la sua affermazione vale quanto vale lui, cioè quanto vale una persona qualsiasi. Ne consegue che quando un relativista fa un'affermazione qualsiasi, egli non sta presentando all'altro un pacchetto di verità oggettive, ma sta presentando se stesso. Il relativismo non è incontro di verità, princìpi, affermazioni: è incontro di persone. Al contrario, voler dare forza alle proprie affermazioni tentando di presentarle come qualcosa di indipendente dal proprio cervello non fa che azzerarne il valore, poiché non risulta che finora ci sia mai stato qualcuno in grado di presentare affermazioni senza aver incluso in esse l'uso del proprio cervello. Quindi le cose stanno esattamente al contrario: ciò che viene presentato come verità oggettiva o principio assoluto vale zero, perché fino ad oggi nessuno è stato in grado di mostrare l'esistenza di affermazioni indipendenti dal proprio cervello; ciò che invece viene presentato come opinione vale, perché l'opinione è offerta di un dialogo, un confronto tra persone.
Secondo me però all'atto pratico non cambia nulla. Il metafisico arriva e dice: "Ecco la verità" e un altro metafisico sostiene."No, guarda ecco, è questa la verità" dicutiamone e vediamo quale delle due è più logica. Il relativista arriva e dice: "Ecco la mia opinione attuale" e un altro relativista risponde: " No, guarda, io ho invece quest'altra opinione", discutiamone.
L'errore che fai tu, così mi sembra almeno, è quello di ritenere che il credere in una verità ti faccia AUTOMATICAMENTE diventare un dogmatico, autoritario e impositivo. In realtà il dogmatismo è qualcosa d'altro che non il credere in una verità e ha più a che fare con la volontà di potere che non con la verità stessa. In realtà anche il relativista può essere parimenti dogmatico: basta il semplice affermare:"Guarda che NON PUOI stabilire alcuna verità, perché tutto è relativo". Sia nel primo che nel secondo caso, il metafisico e il relativista diventano dogmatici. Quindi il problema non è la teoria ma la struttura stessa del pensiero a poter diventare dogmatica. Tra l'altro sostituire una verità "fissa" con una "mutevole" non risolve affatto il problema del criterio etico con cui agire, che si impone tanto al metafisico che al relativista. Che il metafisico agisca in nome di una 'verità' o che il relativista agisca in nome di un''opinione' sempre ci troviamo di fronte al dilemma del COME agire. Anche dire che il relativismo dia più importanza al soggetto e alla sua personale e mutevole opinione che non la metafisica, non mi sembra corretto. In effetti un vero metafisico ama senz'altro il confronto e lo scambio sulle sue posizioni, così come può amarlo il relativista. Il problema, se ristretto alla sfera filosofica, si risolve in ambedue i casi in un sofisticato 'cazzeggio' inconcludente. Diverso il caso in cui l'assolutismo dogmatico o il totale relativismo coinvolgano l'intero sentire della società, che cioè investano il vissuto di masse di popolazione certamente poco ' raffinate', per usare un eufemismo. L'assolutismo con un'etica imposta che genera tirannia e un relativismo, che non può coerentemente proporre alcuna etica condivisa, che può quindi trascinare verso la più totale violenza personale ( e qui, come ha ricordato Green Demetr,la lezione dostoevskjana va approfondita).
Fare uno scattino "oltre", non sarebbe possibile? A me sembrano due "cul de sac" notevoli ambedue... :) Non mi sembra che l'usare la parola 'opinione' cambi l'agire rispetto alla parola 'verità'. L'agire cambia quando tu vuoi 'imporre' la tua opinione o la tua 'verità'. Tra l'altro il relativismo è estremamente funzionale al capitalismo e quindi, non volendolo, è di fatto uno strumento prezioso in mano proprio ad una struttura di potere e di tirannia da cui il relativista si vorrebbe liberare. Ossia: è perfetto che tutto cambi in continuazione, perché questo ci permette di non cambiare mai :(.
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AMSecondo me però all'atto pratico non cambia nulla. Il metafisico arriva e dice: "Ecco la verità" e un altro metafisico sostiene."No, guarda ecco, è questa la verità" dicutiamone e vediamo quale delle due è più logica. Il relativista arriva e dice: "Ecco la mia opinione attuale" e un altro relativista risponde: " No, guarda, io ho invece quest'altra opinione", discutiamone.
Per quanto riguarda i metafisici, è una situazione poco verosimile: di solito i metafisici vanno d'accordo tra di loro perché le verità metafisiche sono solitamente quelle tradizionali. Un esempio di disaccordo tra metafisici potrebbe essere il dibattito tra certi credenti e certi atei; in questo caso la discussione è ben lungi dall'arrivare a conclusioni e questo mostra che il metafisico è una persona ben poco propensa alla discussione; il motivo non è difficile da comprendere: il metafisico si è creato un sistema di idee nel quale ritiene di poter inquadrare qualsiasi cosa gli venga detta, qualsiasi obiezione gli venga rivolta. Qualunque cosa io dica al metafisico, egli la inquadra nella sua visione metafisica e in tal modo non c'è alcun verso di trovare punti in comune. Di ciò è esempio tipico quello che ho fatto tra credenti e atei: ognuno inquadra l'altro nel suo sistema e non fa altro che rimanervi rinchiuso.
A questo punto ci si può chiedere come sia stata storicamente possibile la nascita del relativismo, visto che esso nasce proprio dalla metafisica. Semplicemente mi viene da pensare che nel mondo esistono certi metafisici che riescono a portare avanti la logica fino ad ammetterne con se stessi i problemi a cui giunge; altri invece non accettano in alcun modo di ammettere le conseguenze autodistruttive della metafisica. Ci possono essere di mezzo anche motivazioni psicologiche, poiché è comprensibile che la distruttività del relativismo possa creare, almeno inizialmente, paure e timore di disorientamento.
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AMIn realtà anche il relativista può essere parimenti dogmatico: basta il semplice affermare:"Guarda che NON PUOI stabilire alcuna verità, perché tutto è relativo".
Quest'affermazione che hai scritto non è relativista, ma metafisica. Il relativista non dice e non può dire che tutto è relativo, perché ciò significherebbe avanzare la pretesa di stabilire una verità certa e indubitabile, la verità, appunto, che tutto è relativo. Il relativista, come ho detto, piuttosto che pronunciare affermazioni di principio, racconta una storia, cioè la storia di come la metafisica ha condotto all'autonegazione, una volta compreso di non dover trascurare il soggetto. Raccontare una storia significa proporre un proprio modo di interpretare ciò che è successo, non è un pronunciare dichiarazioni. Inoltre, raccontare una storia non significa imporre certezze sul futuro: dire "non puoi stabilire alcuna verità" significa "non puoi e non potrai mai..."; il "non puoi" l'ho già chiarito col riferimento alla storia. Il relativista non può avanzare la certezza che mai si giungerà a certezze. Egli dice solo: "Ho visto verificarsi una storia; mi sembra che questa storia ci dia motivo di rinunciare ad aspettarci dal futuro possibilità di giungere a certezze". Ma dice "mi sembra", non "non puoi". Il relativista non può mai pronunciare la frase "non puoi" riguardo a nulla, perché il relativista non pone limiti a nessuno; chi per mestiere pronuncia "non puoi" dalla mattina alla sera è il metafisico.
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AM... masse di popolazione certamente poco ' raffinate'...
Credo che non serva a niente e a nessuno occuparci del cattivo uso delle cose. Non ha senso che ci occupiamo di come i libri possano essere pericolosi, a causa del fatto che possono essere presi e lanciati in testa alle persone. L'ignoranza, l'immaturità, i problemi psicologici, sono fattori in grado di distorcere qualsiasi cosa e deviarne l'uso verso modalità non solo inimaginabili, ma soprattutto inutili da immaginare. Se dobbiamo discutere di relitivismo e metafisica, dobbiamo supporre che cosa essi sono e producono in una comprensione per quanto possibile corretta.
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 19:27:50 PM
Ma dice "mi sembra", non "non puoi". Il relativista non può mai pronunciare la frase "non puoi" riguardo a nulla, perché il relativista non pone limiti a nessuno; chi per mestiere pronuncia "non puoi" dalla mattina alla sera è il metafisico.
Rilevo una contraddizione.
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AMChe il metafisico agisca in nome di una 'verità' o che il relativista agisca in nome di un''opinione' sempre ci troviamo di fronte al dilemma del COME agire.
Eppure è un "come" molto differente: la (presunta) verità (pre)orienta l'agire, come una cartina (pre)orienta l'itinerario, mentre l'opinione è un rimedio improvvisato nella necessità di muoversi: come un bastone aiuta durante il viaggio ma non ci dice la strada, e quando si rompe dobbiamo trovarne un altro... il relativista non ha problemi a cambiare bastone, ma il metafisico è disposto con pari serenità a cambiare mappa? L'apostasia (religiosa o politica che sia) non è una pratica molto diffusa (ma talvolta persino traumatica) proprio perché una volta abbracciata una verità, l'uomo tende a tenersela stretta (anche se è come abbracciare la propria ombra, più la si stringe, più si soffoca se stessi...).Qualcuno forse (Duc? ;) ) dirà che si tratta pur sempre di usare un criterio di cui ci si
fida, seppur provvisorio... ma è come dire che andare in bicicletta dal vicino di casa oppure prendere l'aereo per arrivare a New York, sono comunque entrambi un modo di viaggiare, quindi un viaggio vale l'altro; invece, secondo me, sono proprio le differenze che fanno la differenza!
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AMIn effetti un vero metafisico ama senz'altro il confronto e lo scambio sulle sue posizioni, così come può amarlo il relativista
Tuttavia il metafisico ha (dal suo punto di vista) l'arma della verità con cui parare colpi e rispondere alle obiezioni altrui, il relativista è invece pacificamente disarmato, e (dal suo punto di vista) non riceve potenziali attacchi destabilizzanti, ma spunti critici di riflessione... il metafisico può vivere il confronto come un banco di prova, un test di "resistenza alla falsificazione" della sua teoria (anche se i suoi assiomi resteranno fideisticamente intoccabili, per cui si testano alcune conseguenze, ma mai le premesse), mentre il relativista si "sfama" delle opinioni altrui, che può usare per modificare la propria (e non ci sono assiomi intoccabili...).
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AMun relativismo, che non può coerentemente proporre alcuna etica condivisa, che può quindi trascinare verso la più totale violenza personale
Il relativismo, se declinato in pluralismo (ed è un passaggio piuttosto spontaneo), non sbiadisce le differenze, ma le tutela; non è l'elogio dell'indifferenza, de "l'uno vale l'altro", per cui uccidere o salvare è lo stesso... ci possono ben essere etiche condivise (da una comunità), solo che il relativista non le crede assolute o migliori delle altre (Angelo Cannata ricordava la "memoria storica", individuale e collettiva, del relativista).
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AML'agire cambia quando tu vuoi 'imporre' la tua opinione o la tua 'verità'.
Se la vuoi imporre, allora non la consideri più la tua opinione relativa, le opinioni non si impongono; si impone la propria volontà (che non è l'eventuale opinione che la muove) o la (propria) verità.
L'espressione "imporre la propria opinione" è un non-senso: se la mia opinione è che il "politico x" meriti di essere votato, posso cercare di convincere, o persino costringere, gli altri a votare per lui, ma non potrò mai
forzarli a concordare intimamente con la mia opinione se loro ne hanno una diversa (escludendo ipnotismo e altre manipolazioni...).
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 09:16:30 AMNon mi sembra che l'usare la parola 'opinione' cambi l'agire rispetto alla parola 'verità'.
Le verità (ironicamente, persino la parola si rifiuta di accettare il plurale! ;D ) hanno armato eserciti e fatto milioni di morti, l'opinione autentica (se non è verità camuffata) al massimo produce una grattata di capo, una battuta goliardica o un sospiro sconsolato; la verità consacra a sé i suoi paladini, l'opinione è figlia di "poveri diavoli" che cercano di capirci qualcosa; la verità può giustificare il tentativo di conversione altrui (in molti modi), l'opinione al massimo spinge al cercare l'opinione dell'altro per un dibattito; la verità è il fondamento di ogni rassicurazione esistenziale, l'opinione è una palafitta sulle sabbie mobili degli eventi... insomma, agire per opinione o per verità non mi pare indifferente (ma questa è solo la mia opinione ;) )
Citazione di: baylham il 07 Marzo 2017, 19:56:09 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 19:27:50 PM
Ma dice "mi sembra", non "non puoi". Il relativista non può mai pronunciare la frase "non puoi" riguardo a nulla, perché il relativista non pone limiti a nessuno; chi per mestiere pronuncia "non puoi" dalla mattina alla sera è il metafisico.
Rilevo una contraddizione.
Se considerate da un punto di vista metafisico, tutte le affermazioni del relativista sono contraddittorie. Egli non potrebbe dire assolutamente niente, ma parla e pensa lo stesso, perché egli non parla e non pensa metafisicamente. L'affermazione "Il relativista non può mai pronunciare la frase "non puoi"" non è un'affermazione di principio, una verità, un teorema, una certezza: se la consideriamo in questo modo stiamo continuando a commettere l'errore che fanno praticamente tutti, cioè trattare il relativismo come se fosse una metafisica.
La metafisica demolita dal relativismo è come un castello crollato. Il relativista, per poter parlare, non ha altri strumenti a disposizione che le pietre del castello crollato. Perciò il relativista parla, per lo meno in gran parte, con le stesse espressioni del metafisico, nella speranza che si capisca e che non si dimentichi mai che egli non le intende come affermazioni di principio. Il relativista esprime solo racconti, ricordi, aspettative, opinioni, proposte, emozioni, rabbia, ma per esprimere tutto ciò si serve del linguaggio preso a prestito dalla metafisica; dunque, anche il relativista usa il verbo essere, usa parole come "verità", "bisogna", "si deve", "dobbiamo", "è giusto", "è bene", ma il loro senso va sempre inteso come opinione, racconto di un'esperienza, cioè sempre con un sottofondo di apertura al dubbio e alla discutibilità.
Non capisco perché si faccia l'equivalenza metafisica= imposizione della propria volontà agli altri ??? . Se parliamo di dogmatismo sono d'accordo , ma è logica l'equivalenza metafisica=dogmatismo?
Mi sembra che sia come discutere del sesso degli angeli. Se un metafisico opera il bene per sé e per gli altri sulla base di quello che crede vero , che differenza c'è con un relativista che opera il bene per sé e per gli altri sulla base di quello che gli 'sembra' preferibile? Io non amo le definizioni. Non mi definisco mai , se posso farne a meno, non mi sono mai definito un buddhista,per es. , casomai mi sono definito inadeguato a definirmi...Vedo che altri però sentono forte questa necessità di definirsi e prendere partito ( magari mettendolo bene in vista sotto il proprio nick...). Questo lo trovo perlomeno "strano"...non si dovrebbe relativizzare anche il proprio dichiararsi ( perché poi in realtà bisogna vedere all'atto pratico se è proprio così...) relativisti?... ;D
Io sono credente, tu sei relativista, egli è juventino, noi siamo gay, voi siete stolti, essi sono santi...non sarebbe leggermente più 'saggio' ( è ancora valida questa parola?... :-\ ) essere semplicemente Phil. Angelo, Sari, ecc.?...
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 20:42:44 PM
Non capisco perché si faccia l'equivalenza metafisica= imposizione della propria volontà agli altri
1) Il metafisico crede nell'esistenza oggettiva di una verità;
2) a questo punto, il metafisico non può fare a meno di considerare il riconoscimento di tale verità un bene;
3) di conseguenza, non può fare a meno di considerare un bene che anche tutti gli altri riconoscano tale verità;
4) di conseguenza, si riconoscerà in dovere di indurre tutti gli altri a riconoscere tale verità;
5) il metafisico non può aver fatto a meno, nella conoscenza di tale verità, di usare il proprio cervello;
6) di conseguenza, la conoscenza di tale verità è inesorabilmente dipendente dalle strutture mentali del metafisico;
7) di conseguenza il metafisico, nel tentare di indurre gli altri a conoscere e seguire la verità, non potrà fare a meno, che egli lo voglia o no, anche eventualmente in totale buona fede, di tentare di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali di cui egli si è servito per conoscere la verità.
In conclusione, il metafisico, che lo voglia o no, che se ne renda conto o no, non può evitare la tentazione di cercare di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali che ha lui.
Anche il relativista tenta di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali che ha lui, ma lui lo fa con la consapevolezza che il motivo è solo perché gli piace, gli va di farlo; sapendo questo, il relativista sa di non avere motivi forti per il suo desiderio di indurre gli altri a pensarla come lui; il metafisico invece lo fa come un dovere che secondo lui dovrebbe diventare dovere di tutti: il metafisico ritiene di avere un motivo forte: tale motivo forte è che quella è la verità e di conseguenza è un bene seguirla, diffonderla, farla seguire a tutti. Il metafisico ha tolto a se stesso la libertà di dubitare della propria verità, di conseguenza ha tolto a se stesso la libertà di non farne propaganda. Il metafisico ha tolto a se stesso la libertà di pensare: "Questa per me è la verità": in metafisica il "per me" non è consentito: se quella è la verità, non lo è per te, ma per tutti, che ci credano o no, senza discussioni, altrimenti non sarebbe più verità, ma solo un'insignificante opinione.
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 20:42:44 PM
Non capisco perché si faccia l'equivalenza metafisica= imposizione della propria volontà agli altri ??? . Se parliamo di dogmatismo sono d'accordo , ma è logica l'equivalenza metafisica=dogmatismo?
Credo che né la metafisica né il dogmatismo comportino necessariamente l'assoggettamento degli altri (non sempre, intendo), mi pare sia soltanto un rischio dell'approccio metafisico (e quale approccio non ne ha?), ma non è una sua caratteristica essenziale, semmai un effetto collaterale (che magari si è verificato spesso nella storia, ma ciò non significa che sia necessario all'approccio metafisico in sé, o ad ogni dogmatismo in quanto tale).
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 20:42:44 PMIo sono credente, tu sei relativista, egli è juventino, noi siamo gay, voi siete stolti, essi sono santi...non sarebbe leggermente più 'saggio' ( è ancora valida questa parola?... :-\ ) essere semplicemente Phil. Angelo, Sari, ecc.?...
Il relativismo, come tutti i "pensieri deboli", è forse l'approccio che più è
individuale, personalizzabile, cangiante... dire "sono relativista" significa semplicemente indicare all'interlocutore che la propria visione del mondo è relativa allo spazio e tempo attuali, senza un codice di riferimento o capisaldi autorevoli che rendano stabile o rigidamente strutturata la propria prospettiva... per me, la differenza fra il metafisico e il relativista è che il primo dice "sto seguendo le indicazioni di un percorso", mentre il secondo si limita a uno scanzonato "sto curiosando in giro", con tutta l'incertezza e l'impermanenza che ne conseguono...
1)Il metafisico crede nell'esistenza oggettiva di una verità;
Questo non impedisce che il metafisico sia disposto a cambiare la sua idea di verità con un'altra che gli si palesa più soddisfacente. Es. Agostino non crede in nulla , poi cambia e crede in una data verità.
Continuamente i dubbi lo tormentano.
2)a questo punto, il metafisico non può fare a meno di considerare il riconoscimento di tale verità un bene;
Non necessariamente. Molti asceti hindu passarono la loro vita nascosti in qualche caverna sull'Himalaya...
3)di conseguenza, non può fare a meno di considerare un bene che anche tutti gli altri riconoscano tale verità;
Può pensare che sia un bene che anche gli altri conoscano tale verità, ma non necessariamente sentire il desiderio di imporla.
4)di conseguenza, si riconoscerà in dovere di indurre tutti gli altri a riconoscere tale verità;
Come sopra.
5)il metafisico non può aver fatto a meno, nella conoscenza di tale verità, di usare il proprio cervello;
Nulla si può pensare senza usare il pensiero.
6)di conseguenza, la conoscenza di tale verità è inesorabilmente dipendente dalle strutture mentali del metafisico;
Che poco si conoscono e di cui in definitiva poco si può dire. Ma il fatto che in questo momento stiamo discutendo dimostra che abbiamo qualcosa in comune.
7)di conseguenza il metafisico, nel tentare di indurre gli altri a conoscere e seguire la verità, non potrà fare a meno, che egli lo voglia o no, anche eventualmente in totale buona fede, di tentare di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali di cui egli si è servito per conoscere la verità.
Anche il relativista non può che servirsi delle stesse strutture mentali per dichiarare come relative le 'verità' del metafisico. Anche lui può sentire il desiderio di convincere che il pensare relativo è preferibile a quello metafisico. Non si spiega altrimenti perché tenti di spiegarlo continuamente.
In conclusione, il metafisico, che lo voglia o no, che se ne renda conto o no, non può evitare la tentazione di cercare di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali che ha lui.
Questa conclusione è dogmatica: "non può evitare". Si deve dubitare solamente che il metafisico possa evitare la tentazione, ecc.
Anche il relativista tenta di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali che ha lui, ma lui lo fa con la consapevolezza che il motivo è solo perché gli piace, gli va di farlo;
Anche il metafisico presumo lo faccia per il piacere che prova a farlo, se gli dispiacesse non si darebbe certo pena di convincere chicchessia.
il relativista sa di non avere motivi forti per il suo desiderio di indurre gli altri a pensarla come lui;
Non ha nessun tipo di motivi, infatti deve dubitare che ci siano persino dei motivi.
il metafisico invece lo fa come un dovere che secondo lui dovrebbe diventare dovere di tutti:
Questo è proselitismo di tipo religioso. Non è metafisica. La teoria è una cosa , l'uso che se ne fa è un'altra. Un coltello può tagliare o può uccidere.
Il metafisico ha tolto a se stesso la libertà di dubitare della propria verità, di conseguenza ha tolto a se stesso la libertà di non farne propaganda.
Ma credi veramente che possano esistere persone che non dubitano della propria verità? Ti pare possibile , al di là delle posizioni "ufficiali" di facciata che si tengono nella vita? Quanti non hanno mai cambiato le proprie verità? Questo significa forse che bisogna smettere di cercare? Trovo, se mi permetti, un pò "manichea" la tua divisione.
Il metafisico ha tolto a se stesso la libertà di pensare: "Questa per me è la verità": in metafisica il "per me" non è consentito: se quella è la verità, non lo è per te, ma per tutti, che ci credano o no, senza discussioni, altrimenti non sarebbe più verità, ma solo un'insignificante opinione.
Mi sembrano, scusa ancora, tutte 'proiezioni' tue , Ravviso un'avversione profonda di tipo personale, nel quale non mi permetto di entrare. Questa però mi sembra una teoria come un'altra, non corroborata dai fatti per me, propugnata in maniera decisa, assoluta e ben poco relativa.
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 21:16:41 PM
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 20:42:44 PM
Non capisco perché si faccia l'equivalenza metafisica= imposizione della propria volontà agli altri
1) Il metafisico crede nell'esistenza oggettiva di una verità;
2) a questo punto, il metafisico non può fare a meno di considerare il riconoscimento di tale verità un bene;
3) di conseguenza, non può fare a meno di considerare un bene che anche tutti gli altri riconoscano tale verità;
4) di conseguenza, si riconoscerà in dovere di indurre tutti gli altri a riconoscere tale verità;
5) il metafisico non può aver fatto a meno, nella conoscenza di tale verità, di usare il proprio cervello;
6) di conseguenza, la conoscenza di tale verità è inesorabilmente dipendente dalle strutture mentali del metafisico;
7) di conseguenza il metafisico, nel tentare di indurre gli altri a conoscere e seguire la verità, non potrà fare a meno, che egli lo voglia o no, anche eventualmente in totale buona fede, di tentare di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali di cui egli si è servito per conoscere la verità.
In conclusione, il metafisico, che lo voglia o no, che se ne renda conto o no, non può evitare la tentazione di cercare di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali che ha lui.
Anche il relativista tenta di indurre gli altri ad adeguarsi alle strutture mentali che ha lui, ma lui lo fa con la consapevolezza che il motivo è solo perché gli piace, gli va di farlo; sapendo questo, il relativista sa di non avere motivi forti per il suo desiderio di indurre gli altri a pensarla come lui; il metafisico invece lo fa come un dovere che secondo lui dovrebbe diventare dovere di tutti: il metafisico ritiene di avere un motivo forte: tale motivo forte è che quella è la verità e di conseguenza è un bene seguirla, diffonderla, farla seguire a tutti. Il metafisico ha tolto a se stesso la libertà di dubitare della propria verità, di conseguenza ha tolto a se stesso la libertà di non farne propaganda. Il metafisico ha tolto a se stesso la libertà di pensare: "Questa per me è la verità": in metafisica il "per me" non è consentito: se quella è la verità, non lo è per te, ma per tutti, che ci credano o no, senza discussioni, altrimenti non sarebbe più verità, ma solo un'insignificante opinione.
CitazioneCerto, il "metafisico" (casomai il dogmatico, come ben dice Sariputra) cerca di convincere gli altri, con argomentazioni (mica col mitra!), delle proprie convinzioni "metafisiche" perché é a priori un malvagio prepotente.
Invece il "relativista" fa la stessa identica cosa perché é altrettanto a priori rispettoso delle idee altrui.
Certo!
Citazione di: Phil il 07 Marzo 2017, 22:38:41 PMCitazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 20:42:44 PMNon capisco perché si faccia l'equivalenza metafisica= imposizione della propria volontà agli altri ??? . Se parliamo di dogmatismo sono d'accordo , ma è logica l'equivalenza metafisica=dogmatismo?
Credo che né la metafisica né il dogmatismo comportino necessariamente l'assoggettamento degli altri (non sempre, intendo), mi pare sia soltanto un rischio dell'approccio metafisico (e quale approccio non ne ha?), ma non è una sua caratteristica essenziale, semmai un effetto collaterale (che magari si è verificato spesso nella storia, ma ciò non significa che sia necessario all'approccio metafisico in sé, o ad ogni dogmatismo in quanto tale). Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 20:42:44 PMIo sono credente, tu sei relativista, egli è juventino, noi siamo gay, voi siete stolti, essi sono santi...non sarebbe leggermente più 'saggio' ( è ancora valida questa parola?... :-\ ) essere semplicemente Phil. Angelo, Sari, ecc.?...
Il relativismo, come tutti i "pensieri deboli", è forse l'approccio che più è individuale, personalizzabile, cangiante... dire "sono relativista" significa semplicemente indicare all'interlocutore che la propria visione del mondo è relativa allo spazio e tempo attuali, senza un codice di riferimento o capisaldi autorevoli che rendano stabile o rigidamente strutturata la propria prospettiva... per me, la differenza fra il metafisico e il relativista è che il primo dice "sto seguendo le indicazioni di un percorso", mentre il secondo si limita a uno scanzonato "sto curiosando in giro", con tutta l'incertezza e l'impermanenza che ne conseguono...
Quello che io non condivido del ragionamento di Angelo è quello di definire colui che "
sta seguendo le indicazioni di un percorso" una specie di monolite che non mette, e non si mette, mai in discussione. In più che vuole imporre agli altri di seguire il suo stesso percorso. Ora sappiamo benissimo che anche seguendo un percorso si getta lo sguardo di qua e di là, e mentre ci s'incammina si "
curiosa in giro". Il seguire un percorso significa anche verificare di persona che può portare ad una... 'strada sbarrata, divieto di transito, proprietà privata'. Allora si cerca un altro sentiero per raggiungere la meta ( la propria meta ovviamente...). Ci sono quelli che vagabondano nel bosco dilettandosi di cercare fiori o funghi e canzonando quelli che seguono un percorso, urlandogli dietro:" Non c'è alcuna meta!" nel mentre che sono tormentati da ogni tipo di insetto che popola il sottobosco...
Ma il seguire un percorso non è già in sé la meta? ::)
Citazione di: Sariputra il 07 Marzo 2017, 23:00:16 PMMi sembrano, scusa ancora, tutte 'proiezioni' tue , Ravviso un'avversione profonda di tipo personale, nel quale non mi permetto di entrare. Questa però mi sembra una teoria come un'altra, non corroborata dai fatti per me, propugnata in maniera decisa, assoluta e ben poco relativa.
Il fatto è che chi parla di metafisica dovrebbe conoscere ciò di cui parla e non mi sembra affatto che qui accada. Tutti i discorsi fatti prima non c'entrano un tubo con la metafisica ma invece con l'atteggiamento o la convinzione di qualcuno e la sua disposizione nel confronto con gli altri. Se uno afferma che la teoria dell'evoluzione è sicuramente e incontrovertibilmente vera non è affatto un metafisico, così come se uno afferma che è dubbia non è un relativista: sono solo due persone con atteggiamenti diversi nei confronti della medesima affermazione. La metafisica si occupa di questioni che prescindono dalla fisica, e quindi anche affermare ad esempio che Gesù Cristo è sicuramente esistito non è una affermazione metafisica, al di là della convinzione o meno di chi propone questa affermazione e vorrebbe magari "imporla" ad altri come verità. In un'altra discussione ho visto proporre come affermazione metafisica quella secondo la quale ogni ente è composto di materia e forma: è una sciocchezza bella e buona perchè questa affermazione non c'entra nulla con la metafisica. La metafisica si occupa di quelle verità che Leibniz definisce "di ragione", ovvero che sono sottoposte al principio di non contraddizione e non possono violarlo. Tutte le altre "verità" che non sottostanno al principio di non contraddizione (ovvero possono essere vere ma anche false nel medesimo tempo) sono "verità di fatto" e non c'entrano un tubo con la metafisica. "Oggi sono andato a comprare il giornale" è una verità di fatto che può essere vera ma anche falsa (oppure può essere vera oggi e falsa domani) mentre "l'infinito è infinito" è una verità di ragione perchè affermare che l'infinito è finito sarebbe una contraddizione logica, come dire che la mela è una pera. Ma se dall'affermazione che la mela è una mela non si deduce (praticamente) nulla da quell'altra invece si possono fare un'infinità di deduzioni, seguendo il sillogismo aristotelico. Se qualcuno contestasse l'affermazione secondo la quale l'infinito è infinito allora potrebbe a questo punto anche legittimamente dire che il cerchio è quadrato, che il pentagono ha otto lati (oppure sei, o magari sei oggi e otto domani) e così via, e allora parlare e discutere non ha più alcun senso. La differenza fra l'infinito e le forme geometriche è che il primo esiste, mentre le altre sono invenzioni umane che si utilizzano convenzionalmente per rappresentarsi qualcosa, come le parole del vocabolario. Rimane poi il fatto che se (quasi) tutti comprendono cos'è una mela o un cerchio magari non tutti riescono a comprendere il concetto di infinito, ma questo è solo un loro limite e non certo un fatto indiscutibile.
https://www.riflessioni.it/logos/profile/?u=129
Angelo per la prima volta sono d'accordo con (almeno) l'argomentazione.
Ma infatti il mio punto non è lo spauracchio ma come dici bene tu l'opinione storica dell'oggi, del qui e ora.
Il punto che però di solito è cieco al relativista è che se il relativo è a sua volta una questione relativa tanto per cui anche per te non dovrebbe che solo tacere.(nell'ottica metafisica)
https://www.riflessioni.it/logos/profile/?u=129
Allora tutto vale come solo come racconto, aspettativa etc....individuale.
MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo.
E' per questo che l'azione ricordata da Sariputra dovrebbe diventare o ridiventare oggetto di discussione.
Prassi e non Teoria.
Con la postilla che si tratta sempre di Teoria della prassi.
Ma è proprio nella teoria della prassi che ri-vediamo in scala filosofica lo stesso movimento di individualismo esasperato e omologazione. Dove è la monade che trionfa magnifica e pura nella teoria ma biecamente sull'altro nella realtà. Diventando per cui ALMENO un 2.
Cioè intendo dire che da una parte ci si vanta di preziosi sofismi relativisti, e in questo forum gli attacchi negli anni sono stati tanti.
Ma dall'altra all'atto della DISCUSSIONE, nemmeno per sogno si porta il caso personale, la propria storia, la propria aspirazione CHE funzionano benissimo nel mondo schizofrenico capitalista, dove credi di essere qualcosa di prezioso Ma nel reale sono tutti razzisti pronti a calpestare l'altro in tutte le maniere.
Non è una questione di classe, nella mia penosa esperienza per trovare un oasi di pace, dal lavoro in banca fino al pulire i cessi, la gente pensa solo a calpestarsi a vicenda.
Quindi non credo proprio siano parole al vento, è evidente che se vi è questa omologazione, in nome di una crisi, e la crisi non la rivendico certo io, ma proprio la POLITICA.
(Non parlo di unicorni parlo del tg quotidiano e del vano ciarlio della gente.)
allora è evidente che il metafisico debba per forza scontrarsi con questo specchio per allodole con questa trappola con questo miraggio che ha nome di RELATIVISMO RELATIVISTA.
Il relativismo deve essere metafisico cara Angelo, e quindi non a caso usa le stesse strutture di linguaggio delle vecchie metasifiche.
Ciò che cambia è ovviamente la prospettiva, dove la grazia la si attendeva dal cielo, oggi dovremmo attenderla dal nostro vicino di casa e di confine.
Io non credo che la metafisica debba essere automaticamente dogmatica.
Sono molto felice che Sariputra abbia colto questa essenzialità (anche se poi so che lo fa solo per gustarsi meglio e in pace col mondo, un mondo escluso da villa sariputra, il proprio vino di casa ;) ).
Va da se, ed è per questo che insisto che la teoria deve seguire una prassi.
Una prassi come quella di Sini che intende il relativismo come metafisico (ma ovviamente questa lezione Sini la mutua da Nietzche) diviene allora un controllo, una discussione delle prassi in atto.
Detto così non è nuovo, ma lo stesso Sini è stato più volte taciuto nel corso di conferenze internazionali, dove l'obiettivo era la discussione, ma poi in realtà se si parlava di giustizia, finiva che il musulmano deve diventare un buon cristiano.....(e parliamo di tempi non sospetti, del giovane sini degli anni 80, le cose da allora sono andate via via irrigidendosi, fino ai fenomeni populisti che stanno investendo oggi l'occidente)
al che Sini sorride e ricorda che allora dove starebbe questa relatività, questo margine di discussione, se una scelta è già stata apriori PRESA?
Questo sono i danni dell'agire giusto per agire, senza pensare, senza interrogarsi.
E questi sono i danni del professari relativi relativistissimi, e poi nella realtà comportarsi in tutt'altra maniera.
Insomma la questione non è meramente se il cielo sia blu o verde, in PENTOLA c'è dell'altro.
Citazione di: donquixote il 07 Marzo 2017, 23:59:49 PM
Il fatto è che chi parla di metafisica dovrebbe conoscere ciò di cui parla e non mi sembra affatto che qui accada. Tutti i discorsi fatti prima non c'entrano un tubo con la metafisica ma invece con l'atteggiamento o la convinzione di qualcuno e la sua disposizione nel confronto con gli altri. Se uno afferma che la teoria dell'evoluzione è sicuramente e incontrovertibilmente vera non è affatto un metafisico, così come se uno afferma che è dubbia non è un relativista: sono solo due persone con atteggiamenti diversi nei confronti della medesima affermazione.
Per metafisica si intende quel processo di astrazione per cui le cose valgone in termini generali e nell'assunto filosofico in termini Universali.
Ritenere che l'evoluzione come l'aveva modellata darwin sia un Universale ha come effetto quello di avere una comunità scientifica, poco avezza al cambiamento del modello stesso.
Non è una questione del modello, tanto quello nel lavoro serio dello scienziato cambia comunque, ma è nel lato POLITICO, nel lato di far credere agli altri di POSSEDERE una VERITA', non è solo un atto di orgoglio ma è proprio un modo dell'esistere nella comunità.
Una comunità secolarizzata allora userà la verità darwiniana per andare contro chi ha la verità biblica della creazione...etc...etc...
Non è una mera considerazione di opinioni, ma è una riflessione sugli esiti del VOLER AVERE certe opinioni.
Col il crollo degli ideali, con il nichilismo quello che si è visto è che avere certe RIGIDE CERTEZZE fa più male che bene.
Il problema è che non si è cercata una soluzione concertata al problema della comunità che si è sentita smarrita prima e poi fagocitata da 2 guerre mondiali, ma piuttosto si è riusciti a mantenere quella arroganza di fondo, e letale, in un mondo virtuale, di nome Individualismo e società dei consumi.
Insomma tanto parole al vento a me non sembrano. (ebbasta con questo principio del terzo escluso...cè sempre un terzo, e non capisco perchè lo si voglia sempre escludere!)
Credo che un esempio più concreto possa aiutare a farsi le idee più chiare.
Consideriamo quest'affermazione: "Penso, dunque sono".
Se tale affermazione viene pronunciata da uno scienziato, egli la intenderà in questo senso: abbiamo fatto degli esperimenti, i cui risultati si spiegano nella maniera più semplice supponendo che, se esiste un'azione del pensare, c'è qualcuno che la sta compiendo. Altre spiegazioni risultano non utili da seguire perché sono tutte più complesse. La scienza, per sua scelta, sceglie sempre le spiegazioni più semplici, dunque, oggi troviamo più conveniente questa spiegazione; domani altri esperimenti o altre scoperte potrebbero smentire tutto ciò che abbiamo detto, ma le conclusioni a cui riusciamo a pervenire oggi sono quelle che abbiamo espresso.
Se invece l'affermazione "Penso, dunque sono" viene pronunciata da un metafisico, egli la intende in questo senso: la logica ci costringe a concludere in maniera certa e assolutamente indubitabile che l'atto del pensare è dimostrazione inconfutabile di esistenza di qualcuno che pensa. La logica di cui ci siamo serviti per pervenire a tale certezza è inconfutabile, proprio perché è logica. Siccome è logica, qualunque altro modo di pensare è illogico, quindi falso. Da tutto ciò consegue che la certezza a cui siamo pervenuti non solo non è discutibile, ma lo sarà per sempre, perché è assoluta. Ci siamo arrivati per logica e prendiamo atto che la verità a cui siamo arrivati è autonoma dal nostro pensare. Che chiunque ci creda o no, che chiunque lo pensi o no, che chiunque sia d'accordo o no, la certezza "Penso, dunque sono" è autonoma, indipendente da qualsiasi atteggiamento o comportamento umano. Che tu lo creda o no, è così. È così non perché lo dico io o perché lo dici tu, ma perché è così, da se stesso, è così nella realtà e la realtà è sempre se stessa indipendentemente dal crederci o no. Anche quando l'umanità non dovesse più esistere, resterà vero e inconfutabile che se esiste un pensare deve esistere per forza qualcuno che pensa. È quindi una verità eterna.
Una volta che possiamo dirci definitavemente pervenuti ad una verità assoluta, autonoma dal crederci o non crederci, chiunque non vi aderisca pensa il falso. Ne consegue che chiunque neghi tale verità è da considerare un mentitore, o un pazzo, o un incosciente.
A questo punto, dobbiamo tener presente che non aderire alla verità può anche rivelarsi micidiale, per sé o per gli altri: per esempio, se uno guida un'automobile e inizia a dubitare della realtà del suo guidare un'automobile, può uccidere se stesso o altri. Di conseguenza, chi non aderisce alla verità è una persona pericolosa, almeno potenzialmente. Ne consegue che, al contrario, chiunque aderisca alla verità è una persona che favorisce il bene di tutti. Ne consegue che abbiamo il dovere di scoraggiare in tutti i modi chiunque non segua la verità; se chi segue la verità lo ritiene necessario, deve considerare legittimo ricorrere eventualmente anche alla forza contro chi non la segua.
A proposito dell'automobile, l'atteggiamento dello scienziato è diverso: lo scienziato dice: "Secondo i risultati della scienza, se guidi un'auto rischi di fare incidenti, ma sta a te decidere come comportarti: la scienza non detta comportamenti; essa non fa altro che descrivere i risultati degli esperimenti effettuati".
Diverso ancora è il comportamento della società civile: essa impone regole al conducente di un'auto non per princìpi metafisici di adesione alla verità, ma per convenzione, convenzionalismo, cioè votazione: che sia vero o no, la società civile vota democraticamente e stabilisce di imporre regole ai conducenti di automobili; impone anche sanzioni, ma all'origine di tali sanzioni sta sempre un accordo sociale, non una valutazione metafisica.
Il comportamento del relativista è una precisazione del convenzionalismo detto sopra: egli impone delle norme al conducente di auto per decisione socialmente votata e si sente di aggiungere esplicitamente che tale decisione non possiede alcun contenuto di verità: essa rappresenta soltanto l'opinione storica di quella certa società, che ha votato in quel certo modo. Il relativista può anche giungere ad usare la forza, ma ammetterà sempre di averlo fatto spinto dai propri istinti e non da ragioni giustificabili. Di conseguenza, il relativista sarà sempre pronto a mettere in discussione la legittimità, la giustezza di ciò che ha fatto o sta facendo o pensa di fare in futuro, mentre il metafisico riterrà di essere in una botte di ferro, perché riterrà di avere alle spalle tutta la forza della verità oggettiva.
Citazione di: green demetr il 08 Marzo 2017, 01:27:45 AMPer metafisica si intende quel processo di astrazione per cui le cose valgone in termini generali e nell'assunto filosofico in termini Universali.
Questa affermazione è palesemente falsa perchè la metafisica è una disciplina che si occupa di cose che riguardano quella disciplina, non è un modo diverso (più deciso, perentorio o categorico) per dire qualunque cosa, e meno che mai un processo di astrazione. Se la metafisica si occupa dell'universale, l'affermazione "penso dunque sono" non è una affermazione metafisica in quanto non è affatto universale, e non si può dire qualcosa "in modo metafisico" o "in modo relativistico" ma casomai in modo tassativo oppure dubbioso che è tutt'altra cosa e dipende dalla convinzione di ognuno. Qualunque affermazione scientifica non potrà MAI essere metafisica in quanto non è universale, in qualunque maniera si presenti o si proponga questa affermazione. Poi potete anche divertirvi a prendere in giro la gente che legge, ma sappiate che questa è pura e semplice disonestà intellettuale di cui dovete assumervi tutta la responsabilità.
E visto che la scienza moderna afferma che le sue teorie sono "vere fino a prova contraria" e ogni affermazione della scienza è enunciata in modo perentorio e categorico ("la scienza ha detto che è così!". Punto e non ci devono essere altre discussioni) e basta dire che qualcosa non è "scientifico" per squalificarlo allora l'unica metafisica che esiste, se dovessimo assumere questo punto di vista, è proprio la scienza, che però guarda caso per costituzione non si può occupare di verità universali, e quindi di metafisica. Sarebbe meglio che prima di scrivere di cose che ignorate vi metteste d'accordo con voi stessi.
Se potessimo sostituire il termine 'relativizzare' con quello che a me appare più "creativo" di 'dubitare', non potremmo fare un passo in avanti? Infatti , come giustamente sottolinea Green Demetr ( a proposito...guarda che il buon vino è fatto per essere condiviso, non me lo ciuccio tutto io! ;D) :
MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo.
Quando la prassi è semplicemente convenzionale e storica si ottiene il pensiero unico e la perfetta omologazione. Tutti si illudono di fare quello che vogliono, in realtà alla fine fanno tutti la stessa cosa e inseguono gli stessi obiettivi ( fare soldi e calpestare il prossimo...). Se invece la prassi diventa il 'dubitare' c'è qualche speranza ( piccola invero, ma almeno c'è...) che si arrivi anche a dubitare che il modello convenzionale e storico sia quello giusto ( non giusto in senso morale, che vi vedo allergici al solo termine, ma giusto nel senso di realizzazione dell'essenzialità umana). Se dubito riesco ancora a discutere ed arrabbiarmi con me stesso e con il mondo. Se invece mi dico:"Va bè, tanto... è tutto relativo..." finisco velocemente ad entrare in una concessionaria per ordinare il SUV...
E' un pò quello che scrivevo sopra: ossia della stretta connessione, nella prassi, tra il relativismo e il modello capitalistico della società. Il pensiero relativistico è perfettamente funzionale a questo modello di vita.
Per questo (come ho tentato di spiegare in "Mondi dell'utopia") bisogna sforzarsi di pensare alternative da costruire nel concreto del vivere e questo sforzo, piaccia o non piaccia il termine, è una forma di metafisica, di ricerca di qualcosa di più 'vero' ( o più 'essenziale' se il termine 'vero' dà fastidio...).
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneIl comportamento del relativista è una precisazione del convenzionalismo detto sopra: egli impone delle norme al conducente di auto per decisione socialmente votata e si sente di aggiungere esplicitamente che tale decisione non possiede alcun contenuto di verità:
Quindi se non possiede verità significa che la decisione sociale è un inganno convenzionale, e chi la impone è un complice, un colluso, e non un relativista.
Inoltre, il fatto d'imporla (le norme) fa divenire la votazione non solo opportunista, ma anche superba.
CitazioneDi conseguenza, il relativista sarà sempre pronto a mettere in discussione la legittimità, la giustezza di ciò che ha fatto o sta facendo o pensa di fare in futuro
Sì, benissimo, ma nel frattempo chi viene giudicato per i danni che ha commesso il relativista appoggiando una bufala che ha generato, con quelle norme, strazio e sfacelo.
Pace & Bene
Citazione di: donquixote il 08 Marzo 2017, 08:21:49 AM
Poi potete anche divertirvi a prendere in giro la gente che legge, ma sappiate che questa è pura e semplice disonestà intellettuale di cui dovete assumervi tutta la responsabilità.
E visto che la scienza moderna afferma che le sue teorie sono "vere fino a prova contraria" e ogni affermazione della scienza è enunciata in modo perentorio e categorico ("la scienza ha detto che è così!". Punto e non ci devono essere altre discussioni) e basta dire che qualcosa non è "scientifico" per squalificarlo allora l'unica metafisica che esiste, se dovessimo assumere questo punto di vista, è proprio la scienza, che però guarda caso per costituzione non si può occupare di verità universali, e quindi di metafisica. Sarebbe meglio che prima di scrivere di cose che ignorate vi metteste d'accordo con voi stessi.
Non so proprio di cosa stai parlando. (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/angry.gif)
La scienza dice una cosa ed è punto e basta...ma poi cambi idea e dici che la scienza non si occupa di verità universali.
Mi sembra che qui tu hai idee contradittorie e confuse.
Tra l'altro la scienza si occupa di costituire
per astrazione modelli di verità che riguardano universalmente la propria applicabilità.
Un reattore nucleare deve funzionare sia in Francia che in Giappone per es.
Non può essere caso per caso....non sarebbe scienza.
Ma poi abbi pazienza che cosa sarebbe per te questa metafisica? Io ne ho dato una definizione generica, in quanto vi sono diverse metafisiche.
E per quel che mi riguarda io parlo esplicitamente di quella hegeliana, se proprio vuoi che mi prenda delle responsabilità. (Uno dei paroloni nuovi della neo-lingua orweliana)
Quando Cartesio diceva penso dunque sono, quella era chiaramente una astrazione di valore universale. Idea che mi pare una certa qual fortuna ce l'ha avuta!
Dove starebbe la
palese falsità di cui parli??????
Citazione di: green demetr il 08 Marzo 2017, 10:29:41 AMTra l'altro la scienza si occupa di costituire per astrazione modelli di verità che riguardano universalmente la propria applicabilità. Un reattore nucleare deve funzionare sia in Francia che in Giappone per es. Non può essere caso per caso....non sarebbe scienza.
Quindi Francia e Giappone sono l'universo? Questo reattore nucleare potrebbe funzionare anche sulla luna o su di un remoto pianeta di una remota galassia? Le verità metafisiche, se sono tali, devono esserlo anche su un remoto pianeta di una remota galassia ed erano valide un miliardo di anni fa e lo saranno fra un miliardo di anni. Il famoso frammento di Parmenide sull'essere e il non essere è una verità metafisica, "il Tao che si può nominare non è l'eterno Tao" è la spiegazione di una verità metafisica (il Tao), qualsiasi affermazione della scienza (concettualizzata o meno) non lo è. Poi se ognuno si inventa un proprio modo di ragionare e lo chiama metafisica è un altro discorso. Se spieghi ad un intellettuale induista o a un saggio Cheyenne la metafisica di Kant non ci capiscono niente; se gli spieghi quella di Parmenide e Platone capiscono tutto.
Citazione di: green demetr il 08 Marzo 2017, 10:29:41 AMMa poi abbi pazienza che cosa sarebbe per te questa metafisica? Io ne ho dato una definizione generica, in quanto vi sono diverse metafisiche. E per quel che mi riguarda io parlo esplicitamente di quella hegeliana, se proprio vuoi che mi prenda delle responsabilità. (Uno dei paroloni nuovi della neo-lingua orweliana) Quando Cartesio diceva penso dunque sono, quella era chiaramente una astrazione di valore universale. Idea che mi pare una certa qual fortuna ce l'ha avuta! Dove starebbe la palese falsità di cui parli??????
Se non si vuole tornare a Platone e Aristotele basta leggere Wikipedia alla voce metafisica e almeno una vaga idea si può averla. E "penso dunque sono" è una affermazione che riguarda l'uomo terrestre e ha valore solo per l'uomo terrestre (anzi solo per l'uomo terrestre che la pensa come Cartesio), non certo per tutto l'universo per cui non può essere per definizione una affermazione metafisica ma "fisica". Metafisica è la
realtà che trascende quella fisica, e non certo l'astrazione o la concettualizzazione di un fenomeno fisico, che sono solo metodi umani convenzionali che servono per ragionare. Se non si ha alcuna idea di questa realtà, se non la si percepisce, non si può parlare di metafisica.
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 09:38:29 AM
Se potessimo sostituire il termine 'relativizzare' con quello che a me appare più "creativo" di 'dubitare', non potremmo fare un passo in avanti?
Ma infatti l'esercizio del dubbio è uno degli strumenti più efficaci della filosofia ad oggi.
esercizio gratuito di riflessione estemporanea.
parte 1 il dubbio e la prassi il livello teoricoLa prassi del dubbio sulle prassi generali o universali, dovrebbe avere esattamente il carattere del relativo.
Ove la relatività sta nel punto di vista che la comunità dovrebbe prendere a ragione come modello, nè più nè meno che la scienza.
Ovviamente i criteri non saranno quelli matematici, in quanto una prassi riguarda il lavoro (nel senso più lato del termine, non nel senso di mestiere che la società impone per fini di omologazione).
Ovviamente la prassi io non la intendo minimanente nel senso di ecosistema, direi l'opposto nel senso di convivenza umana comune.
Dove nel concetto di comune dovrebbero sparire parole fittizie come tolleranza e amore.
Non perchè quelle non siano in sè nobili, ma perchè fino ad oggi hanno celato SEMPRE il contrario.
Insomma il dubbio dovrebbe nascere proprio all'insegna degli esiti delle pratiche.
Non è che la parola morale debba fare per forza "schifo", il fatto è che se non mettiamo in dubbio l'esito della sua funzione, perdiamo di vista completamente il centro del discorso storico che influenza il presente.
Frequentando il corso di De Martino 3 anni fa, mi sono accorto che effettivamente come lo stesso docente affermava, la filosofia necessita un ripensamento della antropologia umana.
E' chiaro che la morale ha veramente TROPPO a che fare con la sua evoluzine storica.
Oggi non è possibile che si continuino a ignorare risultati come l'antropologia strutturale di LEVI STRAUSS, da cui deriverebbe che la famiglia è sì la base dell'intero sistema sociale, ma non dobbiamo dimenticare che lo fu storicamente per esigenze di protezione del clan.
Per mero opportunismo, per probabilità di sopravvivenza.
Quello che a me sconvolge è che quei vecchi valori oggi come oggi all'interno delle NAZIONI, non solo perdono il loro significato VITALE, di essere. Ma diventano un incredibile fonte di fraintendimento.
La scelta della chiesa di ripartire dalla famiglia, io lo capisco benissimo.
Ovviamente cercano di rimettere insieme quello che era il collante di una lunga tradizione.
La morale è così chiusa a doppia mandata dalla sua DERIVAZIONE DIVINA, e casomai questo non dovesse bastare a IMPEDIRE il dubbio, dalla sua SANTITA' ovvero dalla sua sacralità, ovvero dalla sua INTOCCABILITA' (come Agamben ha magistralmente dimostrato).
Il dubbio è così sostanzialmente PRESCRITTO in quanto a-morale.
Il punto è che funzionerebbe bene in una realtà dove le famiglie sono clan.
Ma laddove invece vige uno stato, si dimentica completamente che la necessità sta non nel rafforzamento del clan bensì nella frantumazione fino a ridurre l'uomo solo e individualista.
Perchè è più facile mantenere un potere centrale in questa maniera, anzi è necessario farlo, per poter garantire la sopravvivenza dello stesso (stato).
Il passaggio dalla sopravvivenza dello stato a quello delle macchine, è solo un ulteriore raffinazione di questo processo completamente astratto.
In questo senso la morale diventa uno spauracchio più che un arma di rivoluzione cristiana o atea che sia.
Ma tutto ciò non ha senso, anche predendola sul serio si rivelerebbe totalemente inadeguata, in quanto è sempre stata fittizia.
Il problema della comunità che vorrei tanto intravedere nasce da tutta questa congerie di eventi storici.
E' ovvio che una morale nuova dovrebbe nascere per lo meno se vuole rimanere consistente e contrapporsi alla civiltà delle macchine, come veritiera in cosa consista lo stare insieme delle persone.
Per questo ritengo da diversi anni, che solo il mondo filosofico, possa in piena coscienza cominciare a interrogarsi sul proprio agire in relazione agli altri.
(e chi altri potrebbe
rivelarsi (a se stesso cioè) prima che rivelare quale sia sia la nuova morale).
Affidarsi ad un DIO come Heideger o Severino infine ammettono, non è certo qualcosa che metta in gioco alcuna prassi.
Anche se è ovvio che ogni prassi si deve rimettere al gioco del destino, della destinazione, e perciò appunto ad un DIO.
Certamente il dubbio può essere messo come spesso si fa direttamente all'ultima questione, se esista un DIO o no.
Ma dimenticare tutte le prassi precedenti pone un dubbio enorme sullo stesso interrogarsi sul "dubbio di DIO".
E'veramente quel DIO, che compare infine come destinazione, o è il DIO SIMULACRO che deriva dal non porsi mai il dubbio sulle pratiche esistenti, e che utilizzano il sui feticcio, come TOTEM? Appunto come un avviso minatorio: NON DEVI PENSARE, NON DEVI DUBITARE.
E' per questo che il dubbio non può essere meramente una opinione, ma qualcosa di più, pensato insieme all'ALTRO.
Si dubita sempre in 2 (o più), è questo che penso realmente.
Il dubbio sulle prassi diventa dunque per SINI il vero nuovo compito della filosofia che verrà.
il dubbio del pensiero debole alla angelo cannata, alias vattimo, è un ottimo strumento, ma vedi proprio il caso vattimo, assolutamente inefficace allorchè cade nella stessa trappola che avrebbe dovuto evitare.
parte due il dubbio e la prassi nella storia odierna
il politico concertato deve per forza avere il buon senso di poter accettare in sè la posizione degli altri, il che equivale sempre ad una gran capacità di rimettersi in discussione, perchè in caso di idee forti, non esisterebbe concertato ma solo presa di posizione e lotta di potere.
il contrattualismo però nasconde come sempre più evidente dei limiti tali per cui la sinistra debole, con la sua idea di welfare state, accettando , e dunque rimettendosi in discussione dopo il fallimento dell'esperimento stalinista, le istanze libearali, per quanto democratiche, ha finito per diventare una forma di centrismo che ha rinunciato esattamente a quello che NON DOVEVA MAI rinunicare (visto il sangue e le morti lasciate giù dalla guerra) ossia appunto al welfare state.
in teoria questa forma di dubbio non è sbagliata, ma ha fatto l'errore di credere troppo al relativo del relativo.
Il liberalismo nasce anche come democratico, ma nelle sue istanze non aveva il dubbio di essere (e tuttora non lo ha) nel torto marcio (finisce chissà perchè nel creare SEMPRE oligarchie sociofobiche).
Lo aveva semmai la sinistra, che però prestando il fianco, ha finito per fare il gioco delle parti, producendo l'ennesimo giochino americano del reppublicano contro democratico.
Vattimo si è reiscritto al partito comunista, dopo anni di tentativi di apertura ai giochi della politica.
Come lui stesso ha detto più che essere un revanchismo nostalgico, si tratta di un atto simbolico, come a dire che forse ma forse, non si doveva cedere alle lusinghe della destra.
La faccenda come notasi non è di facile soluzione, perchè dire che la destra è il male è una delle forme di psicosi di massa meno sensate che ho visto.
Non ha direzione perchè anzitutto additando il male altrui non si vuol mai vedere quello di "casa sua".
Il povero Zizek è pesantemente sotto attacco, perchè ha osato dire proprio questo, che l'ascesa delle destre in europa e in america è un occasione per ripensari come realtà di prassi di sinistra.
L'ondata feroce di antipropaganda che lo sta vedendo protagonista, mi sta facendo veramente male, perchè viene proprio dal mondo intellettuale. Fa male perchè lo so che è così da gran tempo. Ma per una sorta di empatia lo sto vivendo male sulla mia stessa pelle.
L'intellettuale di sinistra CONTINUA a non porsi alcun problema. Anzi reagisce furioso a che si debba tornare a come si era prima (centristi alias).
Che è come una firma di impotenza al proprio cambiamento, una mesta conseguenza di una disillusione, e di un tentare di salvare gli ultimi avamposti di resistenza, che però agli occhi del semplice cittadino risultano sempre essere LE LORO POLTRONE DI POTERE.
Poichè è la sinistra a porsi il problema della comunità, la destra si pone il problema del mantenimento dello stato.
Ma nemmeno più queste semplici verità di fatto storiche, sono considerate. Siamo in un epoca di confusione totale.
E ad un'attenta analisi si capisce che tutto nasce proprio dal dubbio sorto dal fallimento russo.
Ma il dubbio avrebbe dovuto riguardare le prassi E NON LA TEORIA!!!!
Dubitare del dubbio è stata la grande scellerata azione di centrismo della sinistra che vuol diventare SOCIAL (stato) DEMOCRAZIA (comunità).
Una contradizione in termini come ho tentato sopra di esporre!
Una comunità che deve rispondere di uno stato che a sua volta dever rispondere a delle macchine (la scienza l'economia) diventa tutto fuorchè una comunità.(per riassumere).
E tra l'altro quel dubbio che inizialmente aveva dato strada ad un nuovo modello di prassi, ha smesso di dubitare!!!! :'(
Dunque la prassi di centrismo attuale non ha dubbi su se stessa.
E' per questo che non si può dubitare in assoluto ma relativamente agli esiti delle pratiche.
Il dubbio assoluto per quanto teoreticamente affascinante diventa sempre un coprirsi gli occhi davanti alla realtà.
Citazione di: donquixote il 08 Marzo 2017, 12:24:37 PM
Se non si vuole tornare a Platone e Aristotele basta leggere Wikipedia alla voce metafisica e almeno una vaga idea si può averla. E "penso dunque sono" è una affermazione che riguarda l'uomo terrestre e ha valore solo per l'uomo terrestre (anzi solo per l'uomo terrestre che la pensa come Cartesio), non certo per tutto l'universo per cui non può essere per definizione una affermazione metafisica ma "fisica". Metafisica è la realtà che trascende quella fisica, e non certo l'astrazione o la concettualizzazione di un fenomeno fisico, che sono solo metodi umani convenzionali che servono per ragionare. Se non si ha alcuna idea di questa realtà, se non la si percepisce, non si può parlare di metafisica.
Percepire non è un termine che amo.
Mi da sempre l'idea che chi lo usa ha paura dei fantasmi. E di solito infatti è sempre così.
La realtà (?) metafisica dunque la intendi nel senso proprio di entità divina suppongo.
Gli diamo due definizioni diverse.
Se non vuoi dimostrare che la realtà divina sia divina, perchè appunto disumana, allora la devi premettere.
Il fatto è che premettendola conduci poi delle dimostrazioni che riconducono a quello che dovresti dimostrare. La "petitio principii " è uno degli errori logici più antichi e duri a morire.
Tra l'altro è il motivo per cui (contro cui) il relativismo è diventato sistema.
Ammettere l'una e credere nel relativismo mi riesce difficile da pensare.
Mi sembrerebbe un DIO di comodo: vale tutto tranne che quando lo dico io ops DIO.....
I tempi di aristotele sono andati, già nel medioevo quella che era un physis è diventato un sistema di LOGICA.
La logica essendo nel più astratto dei domini appunto quello DIVINO.
Non amo associare DIO ad una Physis, mal mi accoppio con i deliri del mondo greco.
E convivo con dolore l'influenza che l'induismo ha avuto su di me nella adolescenza e infanzia.
Quella influenza sono conscio di non poterla eliminare in quanto fa parte di una emozione, si è fissata con una emozione.
Quindi in parte ti capisco, cioè a livello emozionale.
Ma la filosofia deve essere sopratutto un esercizio che si riferisce ad un una physis umana, benchè la ragione sia un prodotto dell'astrazione (con i suoi deliri di universalità).
nb.
E comunque un reattore nuclerare funzionerebbe con gli stessi principi anche sulla luna o ai confini dell'universo. il limite sta nella sua riproducibilità.
(lasciando perdere il fatto che il modello cambia storicamente, il principio di universalità che lo informa è sempre valido, perciò la scienza è una metafisica, una delle tante.)
Citazione di: green demetrAffidarsi ad un DIO come Heideger o Severino infine ammettono, non è certo qualcosa che metta in gioco alcuna prassi.
Scusa green, ma dov'è che Severino invita ad affidarsi a un Dio? Forse c'è stata una conversione da parte del filosofo in tarda età che mi è sfuggita?
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 09:38:29 AM
come giustamente sottolinea Green Demetr [...]:
MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo.
[...] Se invece mi dico:"Va bè, tanto... è tutto relativo..." finisco velocemente ad entrare in una concessionaria per ordinare il SUV...
E' un pò quello che scrivevo sopra: ossia della stretta connessione, nella prassi, tra il relativismo e il modello capitalistico della società. Il pensiero relativistico è perfettamente funzionale a questo modello di vita.
Concordo sul non demonizzare i metafisici (e nemmeno i dogmatici), perché non necessariamente sono individui mentalmente chiusi o con pretese di egemonia sul prossimo; tuttavia il binomio relativismo/omologazione mi lascia perplesso... e ancor più quello relativismo/capitalismo.
Forse può essere utile indagare il rapporto fra relativismo e società attuale, triangolandolo con la tecnologia: siamo sicuri che l'omologazione vada a braccetto con il relativismo, oppure è uno dei risultati della iper-comunicazione abilitata dalla tecnologia? La tecnologia serve al capitalismo forse meno di quanto il relativismo, con la sua selva di opinioni, favorisca la finanza attuale? Non direi...
Il relativismo, in quanto tale non omologa (sarebbe contraddittorio!), ma apre alla
pluralità delle opinioni fai-da-te; la tecnologia, invece, se assume le vesti della comunicazione di
massa, tende a
omologare e appiattire le opinioni (e di conseguenza le
prassi). Non è che, abbagliati dalla coincidenza della "sincronia storica", stiamo dando al relativismo una colpa (senza entrare nel merito se lo sia o meno) da imputare alla tecnologia? L'annichilimento tecnologico delle coscienze (se lo riteniamo tale) è coevo del relativismo, ma sarei cauto nel vedere una causalità fra i due: tecnologia e relativismo non sono parenti stretti (anzi, in ambito "commerciale" una invita a seguire delle mode comuni, impone dei bisogni indotti, etc. l'altro invita a riflettere, dubitare con la propria testa...).
Proviamo poi a pensare, per assurdo, se l'attuale tecnologia di comunicazione pervasiva fosse stata disponibile nei secoli scorsi: non avrebbe prodotto un'omologazione ancora più radicale?
Inoltre (e senza usare la fantasia) siamo sicuri che oggi si sia davvero più omologati di ieri? I nostri nonni e i nostri avi, non vivevano forse in una società in cui troneggiava l'alternativa: omologazione ai valori vigenti e adattamento forzato, oppure emarginazione-eliminazione (almeno quanto oggi)? In cosa la famigerata omologazione di oggi è maggiore di quella di ieri?
Siamo poi davvero sicuri che questa sia l'epoca del relativismo? Ognuno di noi può guardarsi in giro e chiedersi quanti relativisti conosce o vede... sono davvero la maggioranza?
Citazione di: maral il 08 Marzo 2017, 14:51:54 PM
CitazioneAffidarsi ad un DIO come Heideger o Severino infine ammettono, non è certo qualcosa che metta in gioco alcuna prassi.
Scusa green, ma dov'è che Severino invita ad affidarsi a un Dio? Forse c'è stata una conversione da parte del filosofo in tarda età che mi è sfuggita?
Si trova nel finale dell'intervista fatta da Fusaro a Severino reperibile sul sito Youtube di Fusaro.
E' una lunga conversazione illuminante sulla storia filosofica del 900.
Severino apprezza in particolar modo la domanda di Fusaro sulla "Gelassenheit" heideggeriana.
E in sostanza sull'insistenza di Fusaro che perora la causa della prassi fichtiana, Severino risponde che è impossibile superare quella ultima istanza heidegeriana.
Ovviamente il DIO a cui si riferiscono Heideger e Severino è quello del ritorno del ciclo degli enti o Apparire degli enti.
Ma non volevo appesantire ulteriormente la questione.Perciò uso la stessa metafora di Heideger, che si presta certo a totale incomprensione.(solo un DIO può salvarci).
Ma visto il punto sempre più basso anche nel mondo della cultura a cui siamo arrivati, CONVIENE far buona faccia a cattivo gioco e chiamarlo sommariamente DIO.
D'altronde anche Fusaro sembra proprio non capire di cosa si sta parlando, considerando l'"abbandono" alla lettera e cioè in una dimensione di divieto all'agire.
Cosa che assolutamente non è.
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 17:59:18 PM
La tecnologia serve al capitalismo forse meno di quanto il relativismo, con la sua selva di opinioni, favorisca la finanza attuale? Non direi...
Il relativismo, in quanto tale non omologa (sarebbe contraddittorio!), ma apre alla pluralità delle opinioni fai-da-te; la tecnologia, invece, se assume le vesti della comunicazione di massa, tende a omologare e appiattire le opinioni (e di conseguenza le prassi).....
Siamo poi davvero sicuri che questa sia l'epoca del relativismo? Ognuno di noi può guardarsi in giro e chiedersi quanti relativisti conosce o vede... sono davvero la maggioranza?
Pasolini parla di Omologazione perchè ha visto la disgregazione delle periferie, con i suoi ragazzi di strada, e ha visto la progressiva dismissione del dialetto dalle comunità rurali.
Si tratta di essere nati in una epoca diversa e di aver vissuto sulla pelle in cosa consistesse la diversità, qualcosa dal cinema anni 50 italiano possiamo intravedere.
E' ovvio che se ti riferisci ai costumi l'omologazione c'è ad ogni tempo.
Ma in particolare mi riferisco alla omologazione creata dai mass media,
esattamente come hai descritto tu, e infatti sono d'accordo la tecnologia è la principale causa di quel fenomeno, e le pagine di Pasolini sulla TV sono una delle analisi più lucide e profetiche scritte nel novecento.
Per rendere più diretta la cosa, visto che mi sembra non troppo chiara la questione: quello che dico è che relativizzare il dubbio per opinioni fai da te, significa diventare individualisti, e l'individuo all'interno della società distopica della neolingua (quella senza dialetti per brevità di esempio) orweliana, difficilmente crea una opinione fa da te, CHE NON SIA UN LUOGO COMUNE (a tutti) imboccato dalla tv.
Sono a favore di un relativismo pensato e ragionata in 2 o più. Il relativismo che si appoggia ai Luoghi comuni è invece quello che combatto invano nella vita quotidiana, ma che non mi rassegno a mollare a livello teorico.
Insomma oltre a esserci metafisica e metafisica, lo stessa dicasi per il relativismo.
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 17:59:18 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 09:38:29 AMcome giustamente sottolinea Green Demetr [...]: MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo. [...] Se invece mi dico:"Va bè, tanto... è tutto relativo..." finisco velocemente ad entrare in una concessionaria per ordinare il SUV... E' un pò quello che scrivevo sopra: ossia della stretta connessione, nella prassi, tra il relativismo e il modello capitalistico della società. Il pensiero relativistico è perfettamente funzionale a questo modello di vita.
Concordo sul non demonizzare i metafisici (e nemmeno i dogmatici), perché non necessariamente sono individui mentalmente chiusi o con pretese di egemonia sul prossimo; tuttavia il binomio relativismo/omologazione mi lascia perplesso... e ancor più quello relativismo/capitalismo. Forse può essere utile indagare il rapporto fra relativismo e società attuale, triangolandolo con la tecnologia: siamo sicuri che l'omologazione vada a braccetto con il relativismo, oppure è uno dei risultati della iper-comunicazione abilitata dalla tecnologia? La tecnologia serve al capitalismo forse meno di quanto il relativismo, con la sua selva di opinioni, favorisca la finanza attuale? Non direi... Il relativismo, in quanto tale non omologa (sarebbe contraddittorio!), ma apre alla pluralità delle opinioni fai-da-te; la tecnologia, invece, se assume le vesti della comunicazione di massa, tende a omologare e appiattire le opinioni (e di conseguenza le prassi). Non è che, abbagliati dalla coincidenza della "sincronia storica", stiamo dando al relativismo una colpa (senza entrare nel merito se lo sia o meno) da imputare alla tecnologia? L'annichilimento tecnologico delle coscienze (se lo riteniamo tale) è coevo del relativismo, ma sarei cauto nel vedere una causalità fra i due: tecnologia e relativismo non sono parenti stretti (anzi, in ambito "commerciale" una invita a seguire delle mode comuni, impone dei bisogni indotti, etc. l'altro invita a riflettere, dubitare con la propria testa...). Proviamo poi a pensare, per assurdo, se l'attuale tecnologia di comunicazione pervasiva fosse stata disponibile nei secoli scorsi: non avrebbe prodotto un'omologazione ancora più radicale? Inoltre (e senza usare la fantasia) siamo sicuri che oggi si sia davvero più omologati di ieri? I nostri nonni e i nostri avi, non vivevano forse in una società in cui troneggiava l'alternativa: omologazione ai valori vigenti e adattamento forzato, oppure emarginazione-eliminazione (almeno quanto oggi)? In cosa la famigerata omologazione di oggi è maggiore di quella di ieri? Siamo poi davvero sicuri che questa sia l'epoca del relativismo? Ognuno di noi può guardarsi in giro e chiedersi quanti relativisti conosce o vede... sono davvero la maggioranza?
Non ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa. Una societa capitalistica basata sulla creazione continua di bisogni da soddisfare e da imporre alle masse, "martella" un'opinione che finisce per essere condivisa da tutti, perché l'individuo, isolato e frammentato, non può opporre che opinioni 'deboli', relative, al quale lui stesso in definitiva non crede e alla fine, tra la scelta tra un'opinione personale debole e un desiderio ' forte' da soddisfare e che lo fa "includere" e accettare dal gruppo sociale( creato e imposto dalla società delle comunicazioni) sceglie quasi sempre il secondo, e lo vediamo.
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PM
... l'individuo, isolato e frammentato, non può opporre che opinioni 'deboli', relative, al quale lui stesso in definitiva non crede e alla fine, tra la scelta tra un'opinione personale debole e un desiderio ' forte' da soddisfare e che lo fa "includere" e accettare dal gruppo sociale( creato e imposto dalla società delle comunicazioni) sceglie quasi sempre il secondo, e lo vediamo.
Si sta continuando a parlare del relativismo nella sua accezione più superficiale e banale, un po' come se decidessimo di parlare dei cristiani concentrandoci solo sui bigotti, dimenticando tutti i personaggi di altissima levatura che vi sono stati, a cominciare da Gesù stesso.
Un relativismo che si rispetti, come ho ripetuto, è storia. Storia significa che il relativista serio si imbeve di storia, studia la storia passata, prende confidenza con la propria storia personale; dalla storia nasce la vita, il voler combattere per qualcosa, il senso critico, la voglia di condividere con altri valori per cui lottare. Qui invece state parlando del relativista intendendo l'uomo massificato, l'uomo consumatore. Sì, c'è anche questo, ma ciò non rende giustizia alla serietà di cui è capace un relativismo che sia davvero non metafisico. Infatti il relativismo inteso come "tutto è relativo, perciò facciamo ciò che ci pare e piace" rimane un relativismo inteso metafisicamente, cioè il peggio del relativismo, totale fraintendimento del relativismo.
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PM
Non ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa.
Lo avevo notato, ma mi pare che sia solo il relativismo "spento" e apatico a essere funzionale alla massificazione; attenzione a non buttare via anche il bambino con l'acqua sporca! ;D
In fondo, quando un relativista si veste di luoghi comuni (come ricorda Green Demetr) e cerca di uniformarsi per farsi trasportare dalla transumanza del gregge, perchè non si fida più nemmeno della sua stessa opinione (come osservi tu), possiamo ancora definirlo relativista? Se si arrende agli stereotipi e ammutina la sua stessa opinione, che relativista è?
Lo spaesamento nichilistico (non relativista!), una certa "pigrizia" e il desiderio di "fare gruppo" possono di certo portare all'omologazione, ma, come osserva Angelo, a questo punto siamo già fuori dal relativismo
pensante... se il sedicente relativista fa il gregario in modo acritico e non mette in dubbio i messaggi mediatici che gli grandinano addosso, significa che è diventato principalmente qualunquista, conformista, standardizzato o altro (e non sono mica malattie... ma non sono neppure relativismo!). Per questo insinuavo che non sono poi molti i relativisti "autentici" ;)
La migliore definizione di relativismo è quella di Assolutizzazione Unilaterale di uno dei due poli ( in correlazione essenziale) di Assoluto e di Relativo. (Costanzo Preve).
Ho trovato interessante questa definizione perché il relativismo, in sè, non esiste. Il termine stesso "relativo" implica una correlazione con qualcos'altro. Infatti abbiamo il relativismo culturale, il relativismo etico. , il relativismo morale,ecc. Se si tratta di una critica per...è una faccenda seria; se è una posizione a priori, no. In questo caso mi diventa una sorta di dogmatismo laico .
Tra l'altro Angelo sostiene che il relativismo si oppone alla metafisica ma mi sembra che l'opposto del relativismo non sia la metafisica ma l'assolutismo, che è cosa diversa ( diciamo il cattivo uso che si fa della metafisica, come si può fare cattivo uso della critica relativista, come ammette lo stesso Angelo...). Infatti:
Sì, c'è anche questo, ma ciò non rende giustizia alla serietà di cui è capace un relativismo che sia davvero non metafisico.
Allo stesso modo bisogna riconoscere lo stesso grado di serietà ad una metafisica che non sfocia in nessun assolutismo...di più , anche ad ogni forma di assolutismo che non abbia la fregola di rivendicare la necessità di imporsi come pensiero unico.
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneInfatti il relativismo inteso come "tutto è relativo, perciò facciamo ciò che ci pare e piace" rimane un relativismo inteso metafisicamente, cioè il peggio del relativismo, totale fraintendimento del relativismo.
Infatti, si può fraintendere il relativismo, ma non il relativista, lui sì che deve fare qualcosa (molti qualcosa!) che gli pare e piace, ed è allora che la fede lo giudica.
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 23:02:48 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PMNon ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa.
Lo avevo notato, ma mi pare che sia solo il relativismo "spento" e apatico a essere funzionale alla massificazione; attenzione a non buttare via anche il bambino con l'acqua sporca! ;D In fondo, quando un relativista si veste di luoghi comuni (come ricorda Green Demetr) e cerca di uniformarsi per farsi trasportare dalla transumanza del gregge, perchè non si fida più nemmeno della sua stessa opinione (come osservi tu), possiamo ancora definirlo relativista? Se si arrende agli stereotipi e ammutina la sua stessa opinione, che relativista è? Lo spaesamento nichilistico (non relativista!), una certa "pigrizia" e il desiderio di "fare gruppo" possono di certo portare all'omologazione, ma, come osserva Angelo, a questo punto siamo già fuori dal relativismo pensante... se il sedicente relativista fa il gregario in modo acritico e non mette in dubbio i messaggi mediatici che gli grandinano addosso, significa che è diventato principalmente qualunquista, conformista, standardizzato o altro (e non sono mica malattie... ma non sono neppure relativismo!). Per questo insinuavo che non sono poi molti i relativisti "autentici" ;)
Sì, ma non è che una rondine di relativista "autentico" faccia primavera nella massa degli spenti e apatici, fermi ai lati della strada dorata in attesa di aggiungersi alla transumanza... :D ( ma poi...'autentico' relativamente a che cosa?...)
E' difficile avere la forza di difendere la propria opinione, contro l'opinione comune, se non hai 'fede' nella tua opinione. A questo punto io ribalto la questione: può dirsi relativista uno che ha fede nella propria opinione ( almeno una fede 'sufficiente' a difendersi dall'opinione altrui) tanto da, come scrive Angelo:
voler combattere per qualcosa...la voglia di condividere con altri valori per cui lottare.?In questo caso cosa lo distinguerebbe da un non-relativista che abbia voglia di combattere e condividere con altri dei valori per cui vale la pena di lottare? Per es. un credente in qualcosa?Al di là dei sofismi, intendo... ;) E cosa significa "valori per cui lottare"? Valori storici? Convenzionali? Mi risulta nebuloso ...sarà l'ora e il sonno :)
Noto questa strana fissazione con la fede in questi due ultimi post, di Duc e di Sariputra. Così si continua ancora a trattare il relativismo come se fosse una metafisica, perché fede è questo: dare per certo qualcosa. Ma proprio non ce la fate a considerare il relativismo senza usare occhi metafisici?
Il relativista non porta avanti le sue lotte perché crede in qualcosa, non sceglie dei valori per aver deciso di credere in essi. Il relativista non crede in niente. Egli compie delle scelte perché si ritrova in questo mondo (e ora non venite a dirmi che egli ha fede di trovarsi in questo mondo: no, non ha fede in questo, è solo una sua percezione, tutta dubitabile), ha un passato, ha dei condizionamenti, un DNA, degli istinti, si è fatto una cultura, ha delle sensibilità umane, vive in una società; in mezzo a tutte queste situazioni prova a fare delle sintesi e alla fine dice "Oggi scelgo questo valore, decido di lottare per questa cosa, domani continuerò a riflettere e vedrò se sarà bene proseguire o modificare qualcosa". Il relativista è una persona, un essere umano, con delle spinte interiori, non è un programma per computer in cui sta scritta la formula "tutto è relativo".
Per quanto riguarda buono o cattivo uso della metafisica, l'assolutismo non è totalitarismo. Il metafisico può decidere di non essere totalitarista, ma non può decidere di non essere assolutista, perché la metafisica è per definizione proprio assolutismo: assoluto significa una verità slegata, indipendente dalla mente umana, cioè oggettiva. Un sinonimo di metafisica è realismo, cioè stabilire che esiste una realtà al di fuori del nostro cervello, stabilire che tale realtà non è un nostro sogno, ma esiste autonomamente, anche quando non pensiamo ad essa, e continuerà ad esistere anche dopo che noi saremo morti. Questa è metafisica.
Come tanti di voi avete evidenziato, il metafisico non può essere uno che si fa i fatti suoi, poiché una delle cose più importanti a cui egli tiene è l'ordine nella società, un ordine possibile proprio grazie alle verità metafisiche, che secondo lui sono riconosciute da tutti e dovrebbero essere da tutti riconosciute con maggiore consapevolezza di quanto avvenga oggi. Perciò il metafisico non può fare a meno di trasmettere, anche implicitamente in tutto ciò che dice e fa, anche senza che lui stesso se ne accorga, l'idea che è bene aderire alle verità metafisiche affinché l'andamento della vita sociale proceda ordinato.
Anche il relativista trasmette, più o meno implicitamente, più o meno consapevolmente, le sue posizioni. Egli però continua sempre a lavorare su se stesso, perché egli non ha fiducia nelle proprie idee, cerca sempre altro, desidera progredire, non è mai soddisfatto; in questo senso il relativista è in continua sofferenza, perché non si sente mai arrivato. Invece il metafisico si sente confortato dalle verità metafisiche, che ormai sono stabilite, sono un punto d'arrivo definitivo e non richiedono di essere messe in dubbio.
È in questo senso che relativismo e metafisica hanno forti implicazioni psicologiche: la metafisica va bene a chi cerca conforto, ristoro, tranquillità, idee sicure; il relativismo può essere seguito solo da chi è disposto a perenne irrequietezza, continue sconfitte, un continuo essere su strada senza mai poter avere chiarezza su quale sia la destinazione.
Il problema è che la tranquillità ottenuta dal metafisico viene sempre raggiunta, per quanto sembra a me, a spese di qualcun altro, così come tutte le tranquillità e tutto il benessere dell'Occidente sono dovuti in gran parte al sangue e all'oppressione esercitati in passato su popolazioni che poi ci interpellano sotto forma di migranti.
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PM
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 17:59:18 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 09:38:29 AMcome giustamente sottolinea Green Demetr [...]: MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo. [...] Se invece mi dico:"Va bè, tanto... è tutto relativo..." finisco velocemente ad entrare in una concessionaria per ordinare il SUV... E' un pò quello che scrivevo sopra: ossia della stretta connessione, nella prassi, tra il relativismo e il modello capitalistico della società. Il pensiero relativistico è perfettamente funzionale a questo modello di vita.
Concordo sul non demonizzare i metafisici (e nemmeno i dogmatici), perché non necessariamente sono individui mentalmente chiusi o con pretese di egemonia sul prossimo; tuttavia il binomio relativismo/omologazione mi lascia perplesso... e ancor più quello relativismo/capitalismo. Forse può essere utile indagare il rapporto fra relativismo e società attuale, triangolandolo con la tecnologia: siamo sicuri che l'omologazione vada a braccetto con il relativismo, oppure è uno dei risultati della iper-comunicazione abilitata dalla tecnologia? La tecnologia serve al capitalismo forse meno di quanto il relativismo, con la sua selva di opinioni, favorisca la finanza attuale? Non direi... Il relativismo, in quanto tale non omologa (sarebbe contraddittorio!), ma apre alla pluralità delle opinioni fai-da-te; la tecnologia, invece, se assume le vesti della comunicazione di massa, tende a omologare e appiattire le opinioni (e di conseguenza le prassi). Non è che, abbagliati dalla coincidenza della "sincronia storica", stiamo dando al relativismo una colpa (senza entrare nel merito se lo sia o meno) da imputare alla tecnologia? L'annichilimento tecnologico delle coscienze (se lo riteniamo tale) è coevo del relativismo, ma sarei cauto nel vedere una causalità fra i due: tecnologia e relativismo non sono parenti stretti (anzi, in ambito "commerciale" una invita a seguire delle mode comuni, impone dei bisogni indotti, etc. l'altro invita a riflettere, dubitare con la propria testa...). Proviamo poi a pensare, per assurdo, se l'attuale tecnologia di comunicazione pervasiva fosse stata disponibile nei secoli scorsi: non avrebbe prodotto un'omologazione ancora più radicale? Inoltre (e senza usare la fantasia) siamo sicuri che oggi si sia davvero più omologati di ieri? I nostri nonni e i nostri avi, non vivevano forse in una società in cui troneggiava l'alternativa: omologazione ai valori vigenti e adattamento forzato, oppure emarginazione-eliminazione (almeno quanto oggi)? In cosa la famigerata omologazione di oggi è maggiore di quella di ieri? Siamo poi davvero sicuri che questa sia l'epoca del relativismo? Ognuno di noi può guardarsi in giro e chiedersi quanti relativisti conosce o vede... sono davvero la maggioranza?
Non ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa. Una societa capitalistica basata sulla creazione continua di bisogni da soddisfare e da imporre alle masse, "martella" un'opinione che finisce per essere condivisa da tutti, perché l'individuo, isolato e frammentato, non può opporre che opinioni 'deboli', relative, al quale lui stesso in definitiva non crede e alla fine, tra la scelta tra un'opinione personale debole e un desiderio ' forte' da soddisfare e che lo fa "includere" e accettare dal gruppo sociale( creato e imposto dalla società delle comunicazioni) sceglie quasi sempre il secondo, e lo vediamo.
Riflettendoci, anche l'assolutismo è funzionale a un certo sistema, un sistema di potere. Io ho un'idea, interiormente posso considerarla relativa, ma pubblicamente ho bisogno di definirla assoluta perché dare rilevanza ad altre idee indebolirebbe il mio potere.
Questo inverte il rapporto consequenziale che è stato presentato in altri post: Non è il metafisico assolutista che è spinto ad imporre la sua idea, ma è il bisogno di imporre la propria persona che necessita dell'imposizione della propria idea che quindi viene posta come assolutista (metafisica o meno che sia).
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Marzo 2017, 08:19:26 AMNoto questa strana fissazione con la fede in questi due ultimi post, di Duc e di Sariputra. Così si continua ancora a trattare il relativismo come se fosse una metafisica, perché fede è questo: dare per certo qualcosa. Ma proprio non ce la fate a considerare il relativismo senza usare occhi metafisici? Il relativista non porta avanti le sue lotte perché crede in qualcosa, non sceglie dei valori per aver deciso di credere in essi. Il relativista non crede in niente. Egli compie delle scelte perché si ritrova in questo mondo (e ora non venite a dirmi che egli ha fede di trovarsi in questo mondo: no, non ha fede in questo, è solo una sua percezione, tutta dubitabile), ha un passato, ha dei condizionamenti, un DNA, degli istinti, si è fatto una cultura, ha delle sensibilità umane, vive in una società; in mezzo a tutte queste situazioni prova a fare delle sintesi e alla fine dice "Oggi scelgo questo valore, decido di lottare per questa cosa, domani continuerò a riflettere e vedrò se sarà bene proseguire o modificare qualcosa". Il relativista è una persona, un essere umano, con delle spinte interiori, non è un programma per computer in cui sta scritta la formula "tutto è relativo". Per quanto riguarda buono o cattivo uso della metafisica, l'assolutismo non è totalitarismo. Il metafisico può decidere di non essere totalitarista, ma non può decidere di non essere assolutista, perché la metafisica è per definizione proprio assolutismo: assoluto significa una verità slegata, indipendente dalla mente umana, cioè oggettiva. Un sinonimo di metafisica è realismo, cioè stabilire che esiste una realtà al di fuori del nostro cervello, stabilire che tale realtà non è un nostro sogno, ma esiste autonomamente, anche quando non pensiamo ad essa, e continuerà ad esistere anche dopo che noi saremo morti. Questa è metafisica. Come tanti di voi avete evidenziato, il metafisico non può essere uno che si fa i fatti suoi, poiché una delle cose più importanti a cui egli tiene è l'ordine nella società, un ordine possibile proprio grazie alle verità metafisiche, che secondo lui sono riconosciute da tutti e dovrebbero essere da tutti riconosciute con maggiore consapevolezza di quanto avvenga oggi. Perciò il metafisico non può fare a meno di trasmettere, anche implicitamente in tutto ciò che dice e fa, anche senza che lui stesso se ne accorga, l'idea che è bene aderire alle verità metafisiche affinché l'andamento della vita sociale proceda ordinato. Anche il relativista trasmette, più o meno implicitamente, più o meno consapevolmente, le sue posizioni. Egli però continua sempre a lavorare su se stesso, perché egli non ha fiducia nelle proprie idee, cerca sempre altro, desidera progredire, non è mai soddisfatto; in questo senso il relativista è in continua sofferenza, perché non si sente mai arrivato. Invece il metafisico si sente confortato dalle verità metafisiche, che ormai sono stabilite, sono un punto d'arrivo definitivo e non richiedono di essere messe in dubbio. È in questo senso che relativismo e metafisica hanno forti implicazioni psicologiche: la metafisica va bene a chi cerca conforto, ristoro, tranquillità, idee sicure; il relativismo può essere seguito solo da chi è disposto a perenne irrequietezza, continue sconfitte, un continuo essere su strada senza mai poter avere chiarezza su quale sia la destinazione. Il problema è che la tranquillità ottenuta dal metafisico viene sempre raggiunta, per quanto sembra a me, a spese di qualcun altro, così come tutte le tranquillità e tutto il benessere dell'Occidente sono dovuti in gran parte al sangue e all'oppressione esercitati in passato su popolazioni che poi ci interpellano sotto forma di migranti.
Non capisco perché l'uso della parola 'fede' ti disturbi tanto ( un'autentica allergia si direbbe... ;D ). Non lo stavo certo usando in senso religioso, ma solo di 'fiducia' , che può essere temporanea, suscettibile di mutare, di cambiare, di perfezionarsi, ecc. proprio in quei valori , ancorché 'relativi' per cui tu stesso affermi che l'uomo che si autodefinisce relativista combatte.
Il lottare per dei valori personali o il lottare per dei valori trasmessi, è un'azione che implica perlomeno un certo grado di 'fiducia' in quei valori. O si lotta così, giusto per passare il tempo?... ???
Sul discorso che, colui che si autodefinisce relativista, "lavora su stesso", "desidera progredire", ecc. mentre gli altri non lo fanno e accettano supinamente le opinioni altrui per cercare conforto, che invece l'impavido relativista disprezza, non posso che obiettare che nessuna persona che non sia un somaro ( certo non un somaro come Anselmo...) non si pone dei dubbi che lo spronano a progredire e migliorare. Se molti pensano che il farlo all'interno di un 'sentiero' già tracciato da altri sia più funzionale al proprio progresso personale, perché il soggetto che si autodefinisce relativista trova da obiettare? Anche lo scegliere un 'sentiero' è un atto personale, di 'fiducia' personale. Sul fatto che il sedicente metafisico sia tranquillo è un tua rispettabile opinione, ma io non vivo affatto la mia 'misera' vita in modo pacifico,anzi mi sento sempre qualcosa che mi punge da qualche parte... ;D
Se posso permettermi, mi sembra che stai veramente estremizzando e radicalizzando le varie posizioni. Un pò di sano relativismo fa bene, secondo me anche un pò di sana fiducia fa bene. Ma sempre, di tutto, un pò. Se si mette troppo sale, o troppo zucchero, la torta risulta sgradevole...
Citazione di: anthonyi il 09 Marzo 2017, 08:42:14 AMCitazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PMCitazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 17:59:18 PMCitazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 09:38:29 AMcome giustamente sottolinea Green Demetr [...]: MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo. [...] Se invece mi dico:"Va bè, tanto... è tutto relativo..." finisco velocemente ad entrare in una concessionaria per ordinare il SUV... E' un pò quello che scrivevo sopra: ossia della stretta connessione, nella prassi, tra il relativismo e il modello capitalistico della società. Il pensiero relativistico è perfettamente funzionale a questo modello di vita.
Concordo sul non demonizzare i metafisici (e nemmeno i dogmatici), perché non necessariamente sono individui mentalmente chiusi o con pretese di egemonia sul prossimo; tuttavia il binomio relativismo/omologazione mi lascia perplesso... e ancor più quello relativismo/capitalismo. Forse può essere utile indagare il rapporto fra relativismo e società attuale, triangolandolo con la tecnologia: siamo sicuri che l'omologazione vada a braccetto con il relativismo, oppure è uno dei risultati della iper-comunicazione abilitata dalla tecnologia? La tecnologia serve al capitalismo forse meno di quanto il relativismo, con la sua selva di opinioni, favorisca la finanza attuale? Non direi... Il relativismo, in quanto tale non omologa (sarebbe contraddittorio!), ma apre alla pluralità delle opinioni fai-da-te; la tecnologia, invece, se assume le vesti della comunicazione di massa, tende a omologare e appiattire le opinioni (e di conseguenza le prassi). Non è che, abbagliati dalla coincidenza della "sincronia storica", stiamo dando al relativismo una colpa (senza entrare nel merito se lo sia o meno) da imputare alla tecnologia? L'annichilimento tecnologico delle coscienze (se lo riteniamo tale) è coevo del relativismo, ma sarei cauto nel vedere una causalità fra i due: tecnologia e relativismo non sono parenti stretti (anzi, in ambito "commerciale" una invita a seguire delle mode comuni, impone dei bisogni indotti, etc. l'altro invita a riflettere, dubitare con la propria testa...). Proviamo poi a pensare, per assurdo, se l'attuale tecnologia di comunicazione pervasiva fosse stata disponibile nei secoli scorsi: non avrebbe prodotto un'omologazione ancora più radicale? Inoltre (e senza usare la fantasia) siamo sicuri che oggi si sia davvero più omologati di ieri? I nostri nonni e i nostri avi, non vivevano forse in una società in cui troneggiava l'alternativa: omologazione ai valori vigenti e adattamento forzato, oppure emarginazione-eliminazione (almeno quanto oggi)? In cosa la famigerata omologazione di oggi è maggiore di quella di ieri? Siamo poi davvero sicuri che questa sia l'epoca del relativismo? Ognuno di noi può guardarsi in giro e chiedersi quanti relativisti conosce o vede... sono davvero la maggioranza?
Non ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa. Una societa capitalistica basata sulla creazione continua di bisogni da soddisfare e da imporre alle masse, "martella" un'opinione che finisce per essere condivisa da tutti, perché l'individuo, isolato e frammentato, non può opporre che opinioni 'deboli', relative, al quale lui stesso in definitiva non crede e alla fine, tra la scelta tra un'opinione personale debole e un desiderio ' forte' da soddisfare e che lo fa "includere" e accettare dal gruppo sociale( creato e imposto dalla società delle comunicazioni) sceglie quasi sempre il secondo, e lo vediamo.
Riflettendoci, anche l'assolutismo è funzionale a un certo sistema, un sistema di potere. Io ho un'idea, interiormente posso considerarla relativa, ma pubblicamente ho bisogno di definirla assoluta perché dare rilevanza ad altre idee indebolirebbe il mio potere. Questo inverte il rapporto consequenziale che è stato presentato in altri post: Non è il metafisico assolutista che è spinto ad imporre la sua idea, ma è il bisogno di imporre la propria persona che necessita dell'imposizione della propria idea che quindi viene posta come assolutista (metafisica o meno che sia).
Sono d'accordo. Il problema consiste nell'esigenza che molti sentono di imporre la propria opinione agli altri. Quindi dovremmo investigare perché esiste nella psiche umana questa necessità. Mi sembra che sia la necessità che fa assumere una certa idea, o teoria, proprio perchè funzionale all'esigenza interiore di imporre. Quindi il problema non è tanto, a mio parere, l'autodefinirsi relativisti o assolutisti, questa sorta di falso dualismo, ma si sposta su un piano diverso ( antropologico? :-\ ). La puoi pensare relativa o assoluta, ma se senti la necessità di imporre la tua opinione per affermarti come individualità che ha 'potere', l'effetto è lo stesso...
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneNoto questa strana fissazione con la fede in questi due ultimi post, di Duc e di Sariputra. Così si continua ancora a trattare il relativismo come se fosse una metafisica, perché fede è questo: dare per certo qualcosa. Ma proprio non ce la fate a considerare il relativismo senza usare occhi metafisici?
Ma sei tu che non puoi dare per certo che puoi vivere senza esistere e senza decidere per e con fede. Perciò ritengo questa tua filosofia sul relativismo pura utopia, sei immerso in un limbo d'illusione, quindi puoi anche non rispondere ai miei spunti riflessivi, ma come vedi dai miei interventi non solo sei ricolmo di contraddizioni, ma non riesci a convivere col fatto che dalla mattina alla sera, innumerevoli volte, per scegliere il tuo da fare, devi appellarti alla metafisica (almeno che davvero non sei un ente superiore e galleggi nell'aria).
Poi che tu vuoi sostenere che sei l'unico essere umano che esisti senza necessità di respirare, amen e così sia, ma non puoi pretendere agli altri di non farti notare che mentre lo affermi stai respirando!
Ripeto, il relativismo può anche essere preso in seria considerazione, fin quando resta nella dialettica, nelle opinioni, ma al momento dei fatti, dell'agire, gentile
@Angelo Cannata, devi scegliere,
devi dare per certo una cosa, e la scelta è l'assenza del relativismo., poiché in quel momento la relativizzazione del fenomeno, del valore, del dubbio, si è concretizzata ed è giudicabile per sempre.
Ecco perché sostenere di essere relativista h24,
a mio parere, è come dire:
"...ma come fate a non vedere che io volo!..."
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneEgli compie delle scelte perché si ritrova in questo mondo (e ora non venite a dirmi che egli ha fede di trovarsi in questo mondo: no, non ha fede in questo, è solo una sua percezione, tutta dubitabile), ha un passato, ha dei condizionamenti, un DNA, degli istinti, si è fatto una cultura, ha delle sensibilità umane, vive in una società; in mezzo a tutte queste situazioni prova a fare delle sintesi e alla fine dice "Oggi scelgo questo valore, decido di lottare per questa cosa, domani continuerò a riflettere e vedrò se sarà bene proseguire o modificare qualcosa".
No, egli compie delle scelte perché non può evitare di scegliere,
è obbligato (quindi è assoluto, dunque è scomparso il relativismo); e con l'origine di questa "coincidenza" oggettiva, sia essa casuale o divina, non ci puoi ragionare relativisticamente, perché le due (o le altre supposizioni probabili che tu voglia aggregare) sono di dominio metafisico/spirituale.
Certo ci è concesso anche di poter dubitare della nostra stessa intima percezione di esistere, ma anche questa dimensione diviene invalida, nulla, inefficace mentre sperimentiamo empiricamente l'abbraccio sincero e gioioso con il prossimo.
Oggi scegli questo e domani codesto, quindi sei in perfetta sintonia con la società moderna (
"Chi dice di non credere in niente, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto". Keith Chesterton ), dove sarebbe allora questa novità filosofica, questa buona notizia che porterebbe serenità e allegria ai nostri giorni?!?!
** scritto da Sariputra:
CitazioneIl problema consiste nell'esigenza che molti sentono di imporre la propria opinione agli altri. Quindi dovremmo investigare perché esiste nella psiche umana questa necessità.
Se s'impone significa che si vuol tappare una qualche verità che ci da tanto fastidio.
Fede non significa dare per certo qualcosa, semmai il contrario. Si tira in ballo la fede perché non si è certi di qualcosa. Infatti la fede non ha alcun fondamento, può credere a qualunque cosa, anche la più assurda. La fede è l'ultima resistenza di qualcosa, di indifendibile e nello stesso tempo di invincibile.
D'altra parte proprio la fede è relativa, individuale, non trasmissibile: ciascuno ha la propria. Il numero dei fedeli in qualcosa è importante per altri aspetti, ma non cambia la sostanziale individualità della fede.
Quindi il problema è a monte dell'imposizione della propria fede agli altri, il problema è che comunque si ha una fede che non sempre corrisponde a quella degli altri. Il relativismo è una fede alla pari dell'assolutismo, al limite ha fede di non aver fede.
Tuttavia condivido l'atteggiamento relativista, anche nella forma radicale espressa da Angelo Cannata, perché lo avverto come più esplorativo, innovativo, libero ed umanamente conviviale rispetto all'atteggiamento assolutista.
Mi pare che il relativismo possa essere correttamente inteso a partire dalla idea di una totalizzazione sempre in corso come parzialità in atto (la cosa è stata detta da Sini, ma mi pare che si accordi molto bene anche con il pensiero di Severino che sta filosoficamente sull'altro lato della sponda). Il relativo è ovviamente della parte (definita dalle sue relazioni con le altre parti) ed è solo la parte che accade, quindi ogni reale accadere non può che essere relativo e nega l'assoluto con il suo stesso accadere, poiché l'assoluto è assolutamente, quindi non accade mai. Ma in quello che si nega nell'accadere l'assoluto riemerge: non accade mai, ma da ogni accadere è richiamato e in questo richiamo che si ripete ogni volta che qualcosa accade la parte (il relativo) si incammina mostrando il suo diventare sempre relativa a qualcos'altro.
Il problema sta qui allora: se la parte, che è tutto quello che accade, appare nella relazione, non possiede una sua verità, su cosa dunque si può fondare la verità di quello che accade se non su quello che non accade mai e proprio perché non accade mai può essere saldo e fermo, esente da ogni dubbio? Il relativista sarà allora tentato di sottolineare che nulla accade mai e senza vederlo richiamerà come assoluto proprio questo nulla, mentre chi esige una realtà accadente per l'assoluto cadrà nell'inganno rovinoso di scambiare una parte (che davvero accade) ed elevarla ad assoluto, in virtù della forza della sua fede in essa, che non potrà che essere necessaria fede di tutti, altrimenti che assoluto è? Così il relativista vedrà in qualunque pretesa di assoluto una gabbia mortificante dell'esistenza relativa, mentre il credente di assoluti vedrà nel relativo la debolezza frammentaria e sconclusionata che solo la salda presa dell'assoluto può tenere insieme senza che tutto frani liquefacendosi, dimenticando rispettivamente che nulla può essere più soffocante di un relativo che annulli l'assoluto e più impalpabile di qualsiasi assoluto (alla cui impalpabibilità l'assolutista tenta poi di rimediare costruendo la chiesa, il partito, il movimento, la struttura che sorregge l'ideologia).
Il problema non è se l'assoluto sia o non sia, chiaro che è, altrimenti che senso avrebbe mai il relativo? Il problema è la pretesa di dire l'assoluto in modo diverso dalla tautologia, per quanto ogni tautologia non dica nulla e ci lasci profondamente insoddisfatti. Il problema è capire che proprio e solo questa insoddisfazione per ogni assoluto (insoddisfazione che si esprime nel dubbio) che al di là della sua tautologia è un inganno (una parte mascherata e imbrogliona), è la forza che ci mantiene in cammino e ci fa esistere per tornare a essere proprio quello che siamo, pur non potendo esserlo mai in assoluto.
Citazione di: green demetrSi trova nel finale dell'intervista fatta da Fusaro a Severino reperibile sul sito Youtube di Fusaro...
La guarderò, ma questo accostamento Heidegger - Severino sotto il nome di Dio mi suona assurdo: non c'è praticamente pubblicazione di Severino in cui non critichi Heidegger (soprattutto la sua conclusione che "solo un Dio ci può salvare", giacché per Severino non c'è proprio nulla da salvare, tutto è da sempre e per sempre già salvo).
Per Severino non c'è alcun Super Ente Riparo Speciale, se lo prospettasse tutta la sua filosofia sarebbe contraddetta. Ontologicamente per Severino Dio vale quanto e meno di un granello di polvere, giacché ogni granello di polvere è Dio e oltre Dio.
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 23:45:07 PM
Sì, ma non è che una rondine di relativista "autentico" faccia primavera nella massa degli spenti e apatici, fermi ai lati della strada dorata in attesa di aggiungersi alla transumanza... :D ( ma poi...'autentico' relativamente a che cosa?...)
Proprio per questo sostengo che la nostra non è affatto l'epoca del relativismo: di relativisti autentici se ne vedono pochi, gli altri vengono definiti tali, o si definiscono tali, ma senza esserlo autenticamente... autenticamente rispetto a cosa? Semplicemente rispetto all'attitudine (o indole, se preferisci) relativista; detto in altri termini: un relativista che non si comporta (prassi!) da relativista, non lo è, e poco conta se si professa tale o se gli altri lo etichettano come tale... ad esempio, chi è dedito al pedissequo "copia e incolla" delle opinioni più in voga, non è relativista, ma gregario; "gli spenti ed apatici fermi ai lati della strada dorata in attesa di aggiungersi alla transumanza" non sono affatto relativisti, bensì ignavi... non si tratta di fare apologia del relativismo (sarebbe tragicomico! ;D ), ma soltanto di prendere atto di alcuni diffusi fraintendimenti, per poter poi chiamare le differenti posizioni con il loro nome autentico ("rettificare i nomi!", tuonerebbe Confucio...).
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 23:45:07 PMA questo punto io ribalto la questione: può dirsi relativista uno che ha fede nella propria opinione ( almeno una fede 'sufficiente' a difendersi dall'opinione altrui)
Formulazione con cui concordo solo in parte (per quel poco che vale il mio concordare ;D ), a patto di precisare che, appunto, "ha fede nella sua opinione" e non "ha fede nella verità/giustizia/etc. della sua opinione"... secondo me, inoltre, "fede" andrebbe sostituita con "fiducia", per evitare che tale af
fidarsi alla propria prospettiva possa suonare come un "atto di fede" spirituale o non-ragionato. Il "difendersi dalle opinioni altrui"(cit.) non mi sembra una priorità del relativista, anzi, più opinioni conosce meglio può (ri)formulare la propria...
Sul presunto "relativista militante", che combatte per un mondo migliore, o, peggio ancora, che critica i metafisici e i non-relativisti, sono piuttosto diffidente... per me, il combattere e il convertire/convincere sono il primo passo per smettere di essere relativisti (almeno di quelli autentici ;) ), che è una scelta decisamente legittima, ma che comporta al contempo un cambio di "etichetta" (altrimenti il povero Confucio si rivolta nella tomba :) ).
Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 11:40:04 AM... Ma in quello che si nega nell'accadere l'assoluto riemerge: non accade mai, ma da ogni accadere è richiamato...
In base a quale necessità l'assoluto dovrebbe essere richiamato dall'accadere? Chi ha stabilito che l'accadere debba richiamare l'assoluto?
Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 11:40:04 AM...Il problema non è se l'assoluto sia o non sia, chiaro che è, altrimenti che senso avrebbe mai il relativo?
Chi ha stabilito che il relativo debba per forza avere un senso?
Tutte queste cose non sono altro che esigenze mentali di alcuni, ma il fatto che il senso del relativo o il richiamo all'assoluto siano esigenze mentali non è dimostrazione di esistenza. Uno potrebbe avere l'esigenza mentale dell'esistenza di elefanti che volano, ma non per questo essi diventano esistenti.
Inoltre, quali che siano queste esigenze o logiche o meccanismi mentali, chi garantisce che essi non siano difettosi, contraddittori, incoerenti, ingannevoli?
Vedo in molti di questi ultimi interventi l'idea di sottofondo secondo cui per fare delle scelte o per lottare per qualcosa il relativista debba per lo meno avere una qualche fede o fiducia in ciò che sceglie o in ciò per cui lotta. Questo non è affatto indispensabile. Io posso benissimo operare una scelta senza avere alcuna fiducia in essa; posso lottare per una causa senza bisogno di fidarmi della sua bontà.
Per esempio, a me piace criticare la metafisica, ma non sono affatto convinto che ciò sia una cosa buona, né ripongo alcuna fiducia nelle mie critiche o nel mio relativismo. Ho aiutato tante persone, ma non sono affatto convinto di aver fatto un bene, e ciò non significa che io abbia dato tale aiuto senza metterci impegno.
Il mio si potrebbe definire un provare delle adozioni: oggi provo ad adottare l'idea di importanza della libertà, domani quella della giustizia, ma adottare un'idea e lottare per essa non significa doversi convincere che essa sia giusta o dare fiducia ad essa. Sono solo prove, tentativi.
Questa mentalità del convincersi per avere successo, per mettere molto impegno nelle cose, mi ricorda certe metodologie psicologiche di autoconvincimento che a mio parere non fanno altro che abituare alla falsità; mi ricorda la pratica dei lottatori e guerrieri, che per auto istigarsi emettono grida, si agitano oltre il necessario; mi ricorda Gesù, che rimproverò Pietro, che non riuscì a camminare sulle acque, dicendogli che ciò era successo perché aveva dubitato; mi ricorda il cartone di Disney Dumbo, in cui si trasmette il messaggio che quell'elefantino aveva bisogno solo dell'autoconvinzione per riuscire a volare. Questo a mio parere non abitua a coltivare armonia tra tutte le percezioni e tutte le capacità umane. Coltivare in sé armonia significa, a mio parere, piuttosto che insistere sul credere e autoconvincersi per avere successo, allenarsi, lavorare su se stessi, esercitarsi, autocriticarsi, cercare sempre di migliorarsi. Questo sì che fa diventare davvero persone capaci, persone che progrediscono, persone si guardano dal fanatismo.
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Marzo 2017, 20:07:52 PMVedo in molti di questi ultimi interventi l'idea di sottofondo secondo cui per fare delle scelte o per lottare per qualcosa il relativista debba per lo meno avere una qualche fede o fiducia in ciò che sceglie o in ciò per cui lotta. Questo non è affatto indispensabile. Io posso benissimo operare una scelta senza avere alcuna fiducia in essa; posso lottare per una causa senza bisogno di fidarmi della sua bontà. Per esempio, a me piace criticare la metafisica, ma non sono affatto convinto che ciò sia una cosa buona, né ripongo alcuna fiducia nelle mie critiche o nel mio relativismo. Ho aiutato tante persone, ma non sono affatto convinto di aver fatto un bene, e ciò non significa che io abbia dato tale aiuto senza metterci impegno. Il mio si potrebbe definire un provare delle adozioni: oggi provo ad adottare l'idea di importanza della libertà, domani quella della giustizia, ma adottare un'idea e lottare per essa non significa doversi convincere che essa sia giusta o dare fiducia ad essa. Sono solo prove, tentativi. Questa mentalità del convincersi per avere successo, per mettere molto impegno nelle cose, mi ricorda certe metodologie psicologiche di autoconvincimento che a mio parere non fanno altro che abituare alla falsità; mi ricorda la pratica dei lottatori e guerrieri, che per auto istigarsi emettono grida, si agitano oltre il necessario; mi ricorda Gesù, che rimproverò Pietro, che non riuscì a camminare sulle acque, dicendogli che ciò era successo perché aveva dubitato; mi ricorda il cartone di Disney Dumbo, in cui si trasmette il messaggio che quell'elefantino aveva bisogno solo dell'autoconvinzione per riuscire a volare. Questo a mio parere non abitua a coltivare armonia tra tutte le percezioni e tutte le capacità umane. Coltivare in sé armonia significa, a mio parere, piuttosto che insistere sul credere e autoconvincersi per avere successo, allenarsi, lavorare su se stessi, esercitarsi, autocriticarsi, cercare sempre di migliorarsi. Questo sì che fa diventare davvero persone capaci, persone che progrediscono, persone si guardano dal fanatismo.
Ma messa così qual'è l''utilità di una simile discussione?...Se a te va di fare le cose "così, tanto per provare" prosegui pure su questa strada, senza pretendere che gli altri lo ritengano 'ragionevole'. Ognuno ha i suoi gusti... ;D
Non si dovrebbe confondere "violenza" con forza". La violenza è solo una delle possibili declinazioni della forza, la forza che distrugge, provocante sofferenza. Ma esiste anche una forza costruttiva. La casa solida che resiste ai terremoti, alle intemperie, alle bombe è forte, ma la sua forza non si esprime nel distruggere qualcos'altro ma nel conservare se stessa. Relativismo è confondere "forza" e "violenza", sostenendo che il superamento del pensiero violento sia l'avvento di un pensiero "debole", cioè non forte, e non considera che il pensiero "forte" non è necessariamente violento, e che, riprendendo la metafora della casa, trae la sua forza da delle fondamenta che lo rendono solido. Ora le fondamenta del pensiero che lo rendono forte è la razionalità, che consiste nel mostrare l'aderenza del discorso, soggettivo, alla realtà, oggettiva. Come le fondamenta rendono la casa forte, resistente alle varie cause di distruzione, la ragione rende il pensiero forte, resistente alle varie obiezioni tese a smontarlo. In fondo il relativismo ha una sua rispettabile nobiltà, che gli deriva dal nascere da motivazioni etiche apprezzabili e condivisibili: la tolleranza, la tutela del pluralismo, valori che verrebbero messi a repentaglio dalla pretesa di un singolo punto di vista di porsi come l'unico possibile. Il problema è che il relativismo mostra la sua autocontraddittorietà non solo nel senso teoretico, per cui l'affermazione che "tutto è relativo" o "tutto è relazione" sono affermazioni che presumono per la loro validità che siano oggettivamente vere, cioè l'assunzione di un punto di vista oggettivo che smentirebbe il principio di arbitrarietà e soggettività di ogni verità, ma anche nel senso etico, cioè il piano dove il relativismo sente più intensamente le esigenze del suo sorgere. I valori della tolleranza, del rispetto della libertà individuale, della pace sono valori che un relativismo coerente con se stesso dovrebbe negare come ASSOLUTAMENTE validi, limitarli a porli come arbitrari, frutto di preferenze meramente soggettive e sentimentali. Ciò è legittimo ed io stesso ritengo non esista una razionalità oggettiva che ponga un'etica come migliore di un'altra (in questo senso potrei definirmi un relativista etico, mentre sul piano teoretico, conoscitivo, mi considero "realista" ritengo assurdo negare l'esistenza di verità oggettive e assolute). Ora, nel momento in cui il relativismo si impone come visione dominante all'interno di una società, si demanda ai singoli individui di agire in relazione ai propri valor soggettivi senza alcun limite dato da norme universali, da rispettare in assoluto e, inevitabilmente si imporrà la legge del più forte, chi ha maggiori mezzi materiali per imporre i suoi principi finirà inevitabilmente con lo schiacciare chi ne ha meno. Per evitare ciò è necessario che i valori di tolleranza che ispirano il relativista vengano assolutizzati, non nel senso, come invece dovrebbe essere a livello teoretico, di essere giustificati dalla ragione che ne mostri una presunta oggettività, ma nel senso di porli come valori universalmente normativi all'interno di una società, ed in nome di tale normatività ispirare una giurisprudenza, un complesso di leggi teso a proteggere le persone dalla violenza, la discriminazione, l'intolleranza. Cioè le esigenze etiche che ispirano il relativismo presuppongono il superamento del relativismo stesso, fintanto che si resta in esso qualunque giudizio di condanna riguardo atti di violenza e intolleranza resterebbe insensato in quanto mancante di criteri di giudizio riconoscibili come assoluti e universali. Quando si parla di "assoluto", di nesso tra assolutismo e violenza cioè occorre distinguere tra il piano formale e quello contenutistico del concetto di assoluto: quello formale è necessitante per qualunque giudizio o affermazioni, comprese le asserzioni etiche del relativista: giudicare implica sempre applicare criteri e categorie a cui si attribuisce un significato universale all'interno di cui riconduciamo l'esperienza dell'oggetto particolare che giudichiamo: non si può reputare un massacro come "ingiusto" se non si pone un criterio universale di giustizia che funga come riferimento, modello regolativo in relazione a cui raffrontare come "più o meno" giusto un evento storico particolare.. Qui assoluto è una forma, un modo d'essere di qualcosa. L'associazione assolutismo-violenza diviene questione sensata nel momento in cui l'assoluto si debba "riempire" di un contenuto, di una determinazione particolare. Il cristianesimo, questo era il riferimento originario della discussione, può essere visto come prospettiva ispiratrice di violenza in base al modo in cui lo si interpreta, si riempiono di un certo significato determinato concetti come "Dio", "chiesa". Appare evidente come un credente che vede Dio come entità vendicativa o la chiesa come una comunità chiusa, al di fuori del numero di chi ad essa esplicitamente e ritualisticamente aderisce "nulla salus est" sarà ispirato da un atteggiamento molto più intollerante rispetto al credente che vede Dio come padre amoroso di un' intera umanità in cui ci si riconosce come reciprocamente fratelli, al di là dei confini visibili della chiesa. Eppure per entrambi Dio e chiesa sono verità assolute. Insomma, trovo piuttosto superficiale e limitativo associare violenza e assunzione di verità assolute senza specificare di quale verità si sta parlando a livello contenutistico. C'è verità e verità come c'è forza e forza e dal modo con cui le si determina contenutisticamente dipende la loro carica di eventuale violenza e intolleranza.
Per quanto riguarda il "dubbio" non credo che il relativista abbia il monopolio del dubbio. Perché il dubitare non si fonda sul soggettivismo arbitrario, bensì dall'OGGETTIVO riconoscimento, razionale, di mancanze o fallacie teoretiche di un certo pensiero. Dubito di qualcosa perché ritengo di avere delle oggettive ragioni per il fatto che ciò verso cui applico il dubito non sia convincente. Il dubbio è fondamentale per ricercatori della verità come Cartesio od Husserl, che certo non erano relativisti, ma miravano alla fondazione di un sapere certo e rigoroso. Tutto sta nel come considerare il dubbio, se come punto di arrivo, gioco intellettualistico fine a se stesso (valore dunque assolutizzato... di nuovo contraddizione del relativismo), oppure strumento di ricerca per smontare discorsi non validi in favore di discorsi più validi. Dove sta l'irragionevolezza nel cessare di dubitare nel momento in cui una certa verità ci appare massimamente evidente? Evidenza che, in un eventuale futuro momento in cui cesserà di apparire tale, potrà di nuovo tornare a subire l'azione critica del dubbio, ciò sta all'onesta intellettuale del ricercatore della verità, una virtù individuale, non certo una proprietà esclusiva di una certa ideologia come il relativismo. Ma fintanto che l'evidenza continua a manifestarsi come tale, continuare a dubitare equivale all'infantilismo del bambino dispettoso che si diverte a calpestare sulla spiaggia i castelli di sabbia senza preoccuparsi di costruirne di più alti e belli. E questo è estremamente più violento della tanto vituperata "certezza", che invece dovrebbe essere la meta a cui l'esercizio del dubbio si orienta, quantomeno nel massimo possibile avvicinarcisi
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Marzo 2017, 19:47:57 PM
In base a quale necessità l'assoluto dovrebbe essere richiamato dall'accadere? Chi ha stabilito che l'accadere debba richiamare l'assoluto?
Perché è solo il relativo che accade e se accadendo non richiamasse l'assoluto, come altro da sé, si porrebbe esso stesso (il relativo) come assoluto. Si avrebbe cioè un relativo assoluto che non è che una perifrasi del nulla. L'assoluto è l'antitesi dialettica del relativo e ne dà significato in quanto ne è la negazione e viceversa, per questo l'assoluto è sempre richiamato e minacciato dalla sua antitesi relativa, quanto il relativo lo è dalla sua antitesi assoluta. Si tratta di vedere i termini in reciproca implicazione proprio in quanto opposti, l'uno è in ragione dell'altro che lo nega.
CitazioneCitazione di: maral il 09 Marzo 2017, 11:40:04 AM...Il problema non è se l'assoluto sia o non sia, chiaro che è, altrimenti che senso avrebbe mai il relativo?
Chi ha stabilito che il relativo debba per forza avere un senso?
Ho scritto senso, ma sarebbe stato giusto dire "significato" e dunque l'esigenza in termini di significato è chiarita da quanto ho scritto sopra. Un relativo senza assoluto altro da sé è esso stesso assoluto, resta solo l'autocontraddizione assoluta.
Non si tratta di un dovere morale, ma di una necessità ontologica rilevata su base dialettica.
Poi un relativista può respingere ogni accenno all'assoluto, ma in tal modo non fa altro che porsi lui stesso come assoluto relativista autocontraddicendosi.
CitazioneInoltre, quali che siano queste esigenze o logiche o meccanismi mentali, chi garantisce che essi non siano difettosi, contraddittori, incoerenti, ingannevoli?
Possono benissimo essere meccanismi ingannevoli, ma un relativo assoluto non è semplicemente una contraddizione, ma un'autocontraddizione e l'autocontraddizione demolisce in partenza qualsiasi tesi si voglia sostenere, qualsiasi cosa si dica, compreso che nulla può essere garantito. Chi può mai garantirlo?
@davintro, l'assoluto non può assolutamente essere tollerante, se non rinunciando al suo essere assoluto. Nell'ottica dell'assoluto che definisce un contenuto particolare come assoluto (dice precisamente che cosa solo va considerato assoluto) è evidente che la forza può solo essere violenza e lo è sempre stata, per ogni assoluto che si è proclamato, fosse principio di fede o di ragione, comandamento dell'amore compreso e soprattutto (proprio in nome dell'amore, la caritas, si può raggiungere il massimo della violenza), perché qualsiasi assoluto può convincere solo con la fede e la fede è volontà di credere che con la volontà si deve imporre facendo violenza assoluta su se stessi quando si dubita e su ogni altro che non ci crede, altrimenti, di nuovo, che assoluto è?
L'assoluto assunto come contenuto specifico è la vera e unica matrice di ogni violenza, inevitabilmente, anche (e forse ancor di più) se inteso come relativo assoluto. In realtà tu e Angelo Cannata fate lo stesso discorso, entrambi avete pretese assolute anche se di segno opposto.
La fondatezza delle proprie tesi lasciamole lontane dall'assoluto, stiamoci lontani dall'assoluto se vogliamo sopravvivere un po' meglio insieme. L'assoluto c'è, ma va tenuto a giusta distanza finché viviamo, perché solo nello spazio di questa distanza possiamo vivere e convivere. La fondatezza dei nostri principi non sta nel porli come assoluti, ma al contrario, pur ritenendoli giusti e sommamente giusti perché ci fanno essere quello che siamo, nel porli come sempre discutibili quando si tratta di attuarli, commisurandoli ai contesti, confrontandoci con le altrui realtà che determinano modi diversi di vivere e sentire, affinché, se proprio deve essere qualcosa, l'assoluto lo si possa vedere solo come un parziale relativo in cammino insieme ad altri relativi. L'assoluto è il relativo percorrere il nostro cammino insieme per tornare sempre a ciò che siamo, nelle relazioni che sole ci fanno essere proprio ciò che siamo.
Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 23:40:37 PM@davintro, l'assoluto non può assolutamente essere tollerante, se non rinunciando al suo essere assoluto. Nell'ottica dell'assoluto che definisce un contenuto particolare come assoluto (dice precisamente che cosa solo va considerato assoluto) è evidente che la forza può solo essere violenza e lo è sempre stata, per ogni assoluto che si è proclamato, fosse principio di fede o di ragione, comandamento dell'amore compreso e soprattutto (proprio in nome dell'amore, la caritas, si può raggiungere il massimo della violenza), perché qualsiasi assoluto può convincere solo con la fede e la fede è volontà di credere che con la volontà si deve imporre facendo violenza assoluta su se stessi quando si dubita e su ogni altro che non ci crede, altrimenti, di nuovo, che assoluto è? L'assoluto assunto come contenuto specifico è la vera e unica matrice di ogni violenza, inevitabilmente, anche (e forse ancor di più) se inteso come relativo assoluto. In realtà tu e Angelo Cannata fate lo stesso discorso, entrambi avete pretese assolute anche se di segno opposto. La fondatezza delle proprie tesi lasciamole lontane dall'assoluto, stiamoci lontani dall'assoluto se vogliamo sopravvivere un po' meglio insieme. L'assoluto c'è, ma va tenuto a giusta distanza finché viviamo, perché solo nello spazio di questa distanza possiamo vivere e convivere. La fondatezza dei nostri principi non sta nel porli come assoluti, ma al contrario, pur ritenendoli giusti e sommamente giusti perché ci fanno essere quello che siamo, nel porli come sempre discutibili quando si tratta di attuarli, commisurandoli ai contesti, confrontandoci con le altrui realtà che determinano modi diversi di vivere e sentire, affinché, se proprio deve essere qualcosa, l'assoluto lo si possa vedere solo come un parziale relativo in cammino insieme ad altri relativi. L'assoluto è il relativo percorrere il nostro cammino insieme per tornare sempre a ciò che siamo, nelle relazioni che sole ci fanno essere proprio ciò che siamo.
Maral, ma se io, per esempio, sostenessi che la Tolleranza è l'Assoluto, sarebbe lo stesso una forma di violenza? SE impongo che tutti DEVONO essere tolleranti cadrei in contraddizione, perché la mia prassi sarebbe la tollerenza, e quindi sarei semplicemente incoerente. Avendo 'fiducia' che l'assoluto è tolleranza tollererei coloro che non sono tolleranti, per essere coerente con il mio assolutismo.
Non so...c'è qualcosa che non mi torna nel tuo ragionamento... :)
Sono d'accordo con davintro che è il contenuto che determina la carica violenta di una particolare visione teorica,quando si fa prassi impositiva.
Mi sembra anche che , in questa discussione, ci sia un uso ambiguo del termine 'violenza'. Come fa la forza ad essere
sempre violenta? Per costruire qualunque cosa è necessaria la forza. La forza può essere costruttiva o distruttiva a seconda dell'uso che se ne fa. Illudersi di poter vivere in un mondo privato di una certa forza è assurdo, a parer mio. Anche solo per poter superare una grave malattia, per es., è necessaria la forza (d'animo in questo caso) e un imposizione ( a se stessi ). E' possibile 'educare' un bimbo senza usare un certo grado di imposizione? Chi ha dei figli credo comprenda perfettamente quello che intendo. A meno che, per voler evitare qualsiasi grado d'imposizione ( a se stessi e agli altri) non si ritenga preferibile tornare a saltellare su e giù dagli alberi gridando 'bunga, bunga!', ma allora s'imporrà su di noi la forza del predatore che ci farà correre in modo assai poco relativo... ;D
Tutti questi ultimi interventi continuano a trattare il relativismo come se fosse una metafisica.
Trovo interessante che maral, dopo aver sostenuto l'innegabilità dell'assoluto, lo dichiari fonte di ogni violenza. Da un particolare punto di vista mi troverei d'accordo: non parlo metafisicamente, ma esistenzialmente: come percezione esistenziale, trovo innegabile (non venitemi a dire che ora sto facendo un'affermazione di certezza metafisica) l'esistenza del male. Per me il male è la realtà, nel momento in cui essa s'impone alla mia libertà di pensiero e mi impedisce di pensare diversamente. Per esempio, una pietra che sta cadendo sulla mia testa forse non esiste, ma come esperienza di vita sono costretto a trattarla come esistente. Ciò è violenza. Non mi sto riferendo alla violenza nel senso del dolore che la pietra causerebbe alla mia testa: il dolore è solo un'arma di ricatto che la realtà usa contro di me per un'imposizione molto più grave e pesante: l'imposizione sulla mia libertà di pensiero.
Da questo punto di vista la realtà c'impone forzatamente di pensarla metafisicamente, ma non tutto è perduto: per lo meno io posso tentare di non imporre agli altri i miei modi di pensare, i miei schemi mentali: questo è il tentativo del relativista: lavorare per vedere se sia possibile non imporre qualcosa.
Questa è anche una chiave di lettura con cui è possibile interpretare la vicenda di Gesù: male, violenza, morte, sono la stessa cosa. La morte di Gesù è la vittoria della realtà che riesce ad imporsi sul soggetto e lo costringe a non dubitare, non perché essa riesca a dimostrarsi vera, ma attraverso il ricatto della violenza; la risurrezione rappresenta il tentativo di esistere umanamente senza imporsi.
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Marzo 2017, 08:12:32 AMTutti questi ultimi interventi continuano a trattare il relativismo come se fosse una metafisica. Trovo interessante che maral, dopo aver sostenuto l'innegabilità dell'assoluto, lo dichiari fonte di ogni violenza. Da un particolare punto di vista mi troverei d'accordo: non parlo metafisicamente, ma esistenzialmente: come percezione esistenziale, trovo innegabile (non venitemi a dire che ora sto facendo un'affermazione di certezza metafisica) l'esistenza del male. Per me il male è la realtà, nel momento in cui essa s'impone alla mia libertà di pensiero e mi impedisce di pensare diversamente. Per esempio, una pietra che sta cadendo sulla mia testa forse non esiste, ma come esperienza di vita sono costretto a trattarla come esistente. Ciò è violenza. Non mi sto riferendo alla violenza nel senso del dolore che la pietra causerebbe alla mia testa: il dolore è solo un'arma di ricatto che la realtà usa contro di me per un'imposizione molto più grave e pesante: l'imposizione sulla mia libertà di pensiero. Da questo punto di vista la realtà c'impone forzatamente di pensarla metafisicamente, ma non tutto è perduto: per lo meno io posso tentare di non imporre agli altri i miei modi di pensare, i miei schemi mentali: questo è il tentativo del relativista: lavorare per vedere se sia possibile non imporre qualcosa. Questa è anche una chiave di lettura con cui è possibile interpretare la vicenda di Gesù: male, violenza, morte, sono la stessa cosa. La morte di Gesù è la vittoria della realtà che riesce ad imporsi sul soggetto e lo costringe a non dubitare, non perché essa riesca a dimostrarsi vera, ma attraverso il ricatto della violenza; la risurrezione rappresenta il tentativo di esistere umanamente senza imporsi.
Ma che problema c'è nell'imporsi qualcosa? Nella tua visione , che da quel che capisco ruota attorno al tentativo di sentirsi libero da qualunque imposizione ( libertà...assoluta :)) non parli mai della necessità, per l'esistere stesso, di un certo grado d'imposizione, in primo luogo a se stessi. Imporsi di fare qualcosa è un atto stesso dell'esistere, per cui devo necessariamente esercitare una data forza ( mentale, morale , materiale, ecc.) e una certa violenza ( pensa solo a tutto il processo della nutrizione e della sofferenza che genera negli esseri senzienti e la cui violenza che esercitiamo è necessaria per la nostra sopravvivenza...). La pietra che cade in testa non è "il male", ma "fa male". La pietra non vuole imporci nulla, è la nostra frustrazione generata dalla botta che ci fa urlare ' la vita è un male'. Non sta esercitando un ricatto, è l'Io che esplode infuriato e pensa che la realtà genera un'"
imposizione sulla mia libertà di pensiero". Il problema è dalla nostra parte e non dalla parte della realtà. La realtà è la realtà, è quello che è ( che ci appare). E' l'Io nevrotico che vive la realtà come fosse qualcosa che vuole imporsi contro la sua libertà ( da che cosa poi? Da cosa vuol essere libero l'Io? Dal soffrire?). Se osserviamo questa nevrosi dell'io con distacco, con consapevolezza, non c'è nulla che può esserci imposta, nulla che può attaccarsi alla nostra libertà dalla nevrosi dell'io.
Ma sto facendo del buddhadharma e quindi la tronco qui... ;D
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Marzo 2017, 08:12:32 AMio posso tentare di non imporre agli altri i miei modi di pensare, i miei schemi mentali: questo è il tentativo del relativista: lavorare per vedere se sia possibile non imporre qualcosa.
Bisogna dire che questo ti riesce benissimo, soprattutto quando dai giudizi "tranchant" su normalissime affermazioni altrui e ti rivolgi anche agli "sbirri" per tentare di imporli. A parte tutta una serie di ragionamenti a mio avviso senza capo né coda che si riducono ad un semplice parolare intorno al nulla quando poi si tratta di "metterli in pratica" nell'ambito di argomenti specifici emerge esattamente l'opposto di ciò che predichi, e tutta la proclamata "libertà di pensiero" del "relativista" si riduce al banale appiattimento sull'ideologia unica del modernissimo politically correct, che la maggioranza della gente ha assimilato naturalmente senza aver avuto la necessità di "pensarlo" nemmeno per un secondo. Se l'albero si riconosce dai frutti...
Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 23:40:37 PM
@davintro, l'assoluto non può assolutamente essere tollerante, se non rinunciando al suo essere assoluto. Nell'ottica dell'assoluto che definisce un contenuto particolare come assoluto (dice precisamente che cosa solo va considerato assoluto) è evidente che la forza può solo essere violenza e lo è sempre stata, per ogni assoluto che si è proclamato, fosse principio di fede o di ragione, comandamento dell'amore compreso e soprattutto (proprio in nome dell'amore, la caritas, si può raggiungere il massimo della violenza), perché qualsiasi assoluto può convincere solo con la fede e la fede è volontà di credere che con la volontà si deve imporre facendo violenza assoluta su se stessi quando si dubita e su ogni altro che non ci crede, altrimenti, di nuovo, che assoluto è?
CitazioneIn premessa ringrazio Davintro per la sua lucidissima esposizione che condivido pienamente.
Come tu stesso hai rilevato nella tua ultima risposta ad Angelo Cannata, caro Maral, il significato di ogni concetto é relativo (ad altri concetti che negandolo, almeno in qualche misura, lo determinano: "omnis determinatio est negatio" - Spinoza).
Ma "relativo" é negazione di "assoluto" e non di "intollerante", mentre "assoluto" é negazione di !"relativo" e non di "tollerante"; negazione di "tollerante" é invece "intollerante" e viceversa (il relativismo e/o l' assolutismo riguardano soprattutto, almeno nella mia personale, relativa -!- alle mie convinzioni, interpretazione, le credenze, mentre la tolleranza e l' intolleranza riguardano soprattutto l' agire verso gli altri, imponendo loro le proprie convinzioni teoriche e/o le proprie pratiche o lasciandoli liberi di pensare e fare come gli pare).
Ergo: si può benissimo essere relativisti e intolleranti e assolutisti e tolleranti, oltre che viceversa; e lo confermano pratiche intolleranti (ignorerò ovviamente qualsiasi eventuale obiezione o commento di Fahreneit in proposito) come il divieto del velo cosiddetto molto impropriamente "islamico" (la mia nonna -del nord Italia: Cremona- che l' ha sempre portato era cattolicissima!) in Francia in nome dell' ideologia relativistica ivi dominante.
Assolutisti (nel pensiero, in campo teorico) possono benissimo mettere in dubbio il proprio assolutismo e cercare di fondarlo su ragionamenti vagliati criticamente (giusti o sbagliati teoricamente che siano) e convincere altri (di fatto; nella verità e/o nella coerenza logica o meno delle loro argomentazioni) delle loro credenze col ragionamento e la critica razionale e non esigendo una fede acritica. Un assolutismo teorico che si coniugasse con questa pratica sarebbe semplicemente un logicamente coerentissimo assolutismo tollerante.
Infatti "assoluto" non é negazione di "razionale"* o di "critico" e "relativo" non é negazione di "irrazionale" o di "acritico".
____________________
* Anche se lontanamente nella sua etimologia la "ratio" deriva dalla "relazione" di cui era originariamente sinonimo; ma le parole possono cambiare e a volte di fatto cambiano significato.
** scritto da Angelo Cannata:
Citazionequesto è il tentativo del relativista: lavorare per vedere se sia possibile non imporre qualcosa.
Arrivi in ritardo c'è già Gesù che ci è riuscito! E come ex/sacerdote dovresti sapere che questa dimensione che tu definisci relativista, è possibile raggiungerla anche da chi a Lui si abbandona. E' questo il vero tentativo.
** scritto da Angelo Cannata:
Citazioneil relativismo può essere seguito solo da chi è disposto a perenne irrequietezza, continue sconfitte, un continuo essere su strada senza mai poter avere chiarezza su quale sia la destinazione.
Quindi è una scelta di vita (secondo me molto sado), e se hai scelto questo sentiero, siccome non c'è prova che sia una decisione ragionevole, è per la fiducia (leggasi fede) che volente o nolente stai riponendo in esso. Non sai se la destinazione sia vera, prendi bastonate, ma continui nello stesso sentiero, né più né meno di ciò che fanno e hanno fatto da sempre, con e per fede, i seguaci di qualsiasi religione.
Non c'è peggior cieco di colui che decide di non voler osservare.
Pace&Bene
L'assoluto non è tollerante o intollerante, violento o non violento, l'assoluto non dipende dalla forza o dalla debolezza, semmai è il relativo ad essere tollerante o intollerante, violento o nonviolento, a dipendere dalla forza o dalla debolezza. E' appunto il relativo che pretende di essere assoluto a diventare violento o non violento, tollerante o intollerante. L'assoluto è tutto, comprende ogni parte, ogni uomo è parte del tutto, quindi relativo.
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 10:08:21 AML'assoluto non è tollerante o intollerante, violento o non violento, l'assoluto non dipende dalla forza o dalla debolezza, semmai è il relativo ad essere tollerante o intollerante, violento o nonviolento, a dipendere dalla forza o dalla debolezza. E' appunto il relativo che pretende di essere assoluto a diventare violento o non violento, tollerante o intollerante. L'assoluto è tutto, comprende ogni parte, ogni uomo è parte del tutto, quindi relativo.
Sono anni che scrivo che il problema non è l'assoluto (che essendo ab-solutus ovverosia slegato è in sé e per sé e non necessita di altro che di se stesso) ma l'assolutizzazione del relativo, che a quanto pare è un concetto molto difficile da comprendere. Tutto dipende dall'assoluto ed è relativo ad esso (ovvero in relazione di dipendenza con questo), e porre come assoluto qualcosa che non lo è (sia questo la vita, il bene, l'uomo, la natura, un dio particolare, l'economia, l'uguaglianza o qualunque altro relativo) è proprio ciò che genera la violenza di doverlo imporre, dato che essendo un relativo non si può imporre da solo, determinando conseguenze disastrose. Solo assumendo il punto di vista dell'assoluto si può riuscire a comprendere tutti i relativi (e anche le relazioni sussistenti non solo con l'assoluto ma anche fra di loro) e dar loro il corretto valore senza necessità di alcun tipo di imposizione.
Citazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 10:46:07 AM
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 10:08:21 AML'assoluto non è tollerante o intollerante, violento o non violento, l'assoluto non dipende dalla forza o dalla debolezza, semmai è il relativo ad essere tollerante o intollerante, violento o nonviolento, a dipendere dalla forza o dalla debolezza. E' appunto il relativo che pretende di essere assoluto a diventare violento o non violento, tollerante o intollerante. L'assoluto è tutto, comprende ogni parte, ogni uomo è parte del tutto, quindi relativo.
Sono anni che scrivo che il problema non è l'assoluto (che essendo ab-solutus ovverosia slegato è in sé e per sé e non necessita di altro che di se stesso) ma l'assolutizzazione del relativo, che a quanto pare è un concetto molto difficile da comprendere. Tutto dipende dall'assoluto ed è relativo ad esso (ovvero in relazione di dipendenza con questo), e porre come assoluto qualcosa che non lo è (sia questo la vita, il bene, l'uomo, la natura, un dio particolare, l'economia, l'uguaglianza o qualunque altro relativo) è proprio ciò che genera la violenza di doverlo imporre, dato che essendo un relativo non si può imporre da solo, determinando conseguenze disastrose. Solo assumendo il punto di vista dell'assoluto si può riuscire a comprendere tutti i relativi (e anche le relazioni sussistenti non solo con l'assoluto ma anche fra di loro) e dar loro il corretto valore senza necessità di alcun tipo di imposizione.
E' nell'assoluto che si risolvono le apparenti ( per l'uomo) contraddizioni del relativo. Come si 'attinge' all'assoluto per risolvere le contraddizioni? Si potrebbe forse iniziare con il non-attaccarsi e identificarsi con le contraddizioni relative?...Chiaro che non si deve trattare di formulare l'ennesima teoria ( relativa) sull'assoluto...
Citazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 10:53:30 AM
E' nell'assoluto che si risolvono le apparenti ( per l'uomo) contraddizioni del relativo. Come si 'attinge' all'assoluto per risolvere le contraddizioni? Si potrebbe forse iniziare con il non-attaccarsi e identificarsi con le contraddizioni relative?...Chiaro che non si deve trattare di formulare l'ennesima teoria ( relativa) sull'assoluto...
Infatti non e' una teoria :) ... perché questa deriva comunque dal "mentale" (che e' umano/relativo)
Citazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 10:46:07 AM
Sono anni che scrivo che il problema non è l'assoluto (che essendo ab-solutus ovverosia slegato è in sé e per sé e non necessita di altro che di se stesso) ma l'assolutizzazione del relativo, che a quanto pare è un concetto molto difficile da comprendere. Tutto dipende dall'assoluto ed è relativo ad esso (ovvero in relazione di dipendenza con questo), e porre come assoluto qualcosa che non lo è (sia questo la vita, il bene, l'uomo, la natura, un dio particolare, l'economia, l'uguaglianza o qualunque altro relativo) è proprio ciò che genera la violenza di doverlo imporre, dato che essendo un relativo non si può imporre da solo, determinando conseguenze disastrose. Solo assumendo il punto di vista dell'assoluto si può riuscire a comprendere tutti i relativi (e anche le relazioni sussistenti non solo con l'assoluto ma anche fra di loro) e dar loro il corretto valore senza necessità di alcun tipo di imposizione.
Trovo contraddittorio che il problema sia anche la soluzione: assumere il punto di vista dell'assoluto equivale proprio ad assolutizzare il relativo.
Citazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 10:53:30 AM
E' nell'assoluto che si risolvono le apparenti ( per l'uomo) contraddizioni del relativo. Come si 'attinge' all'assoluto per risolvere le contraddizioni? Si potrebbe forse iniziare con il non-attaccarsi e identificarsi con le contraddizioni relative?...Chiaro che non si deve trattare di formulare l'ennesima teoria ( relativa) sull'assoluto...
Non si risolvono le contraddizioni e non si attinge all'assoluto, si è relativi. Solo il relativo può porsi un problema, tra cui quello impossibile di diventare assoluto.
Citazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 10:53:30 AME' nell'assoluto che si risolvono le apparenti ( per l'uomo) contraddizioni del relativo. Come si 'attinge' all'assoluto per risolvere le contraddizioni? Si potrebbe forse iniziare con il non-attaccarsi e identificarsi con le contraddizioni relative?...Chiaro che non si deve trattare di formulare l'ennesima teoria ( relativa) sull'assoluto...
"Conosci te stesso, e conoscerai l'universo e gli dei" (frontespizio sul tempio di Apollo, a Delfi)
"Noli foras ire, in te ipsum redi. In interiore homine habitat veritas" (S. Agostino)
"Tat tvam asi" (Mandukya upanisad)
Il non-attaccamento, come del resto qualsiasi "comandamento", è sia un punto di partenza che uno di arrivo. Si può partire dalla comprensione dell'assoluto per arrivare alla necessità logica del non-attaccamento oppure viceversa, si tratta solo di avere la volontà di compiere il percorso e scegliere il modo che meglio si adatta alle proprie caratteristiche. Ma come dici sempre tu se non si "pratica" (in questo caso la meditazione o l'impegno intellettuale) ma si vuole rimanere alla superficie teorica e "razionale" sarà come credere di placare la fame leggendo il menu del ristorante.
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 11:20:22 AM
Citazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 10:46:07 AMSono anni che scrivo che il problema non è l'assoluto (che essendo ab-solutus ovverosia slegato è in sé e per sé e non necessita di altro che di se stesso) ma l'assolutizzazione del relativo, che a quanto pare è un concetto molto difficile da comprendere. Tutto dipende dall'assoluto ed è relativo ad esso (ovvero in relazione di dipendenza con questo), e porre come assoluto qualcosa che non lo è (sia questo la vita, il bene, l'uomo, la natura, un dio particolare, l'economia, l'uguaglianza o qualunque altro relativo) è proprio ciò che genera la violenza di doverlo imporre, dato che essendo un relativo non si può imporre da solo, determinando conseguenze disastrose. Solo assumendo il punto di vista dell'assoluto si può riuscire a comprendere tutti i relativi (e anche le relazioni sussistenti non solo con l'assoluto ma anche fra di loro) e dar loro il corretto valore senza necessità di alcun tipo di imposizione.
Trovo contraddittorio che il problema sia anche la soluzione: assumere il punto di vista dell'assoluto equivale proprio ad assolutizzare il relativo.
Non si può assumere il punto di vista dell'assoluto, in quanto l' assoluto non ha punti di vista ( al massimo comprende tutti i punti di vista), ossia è Vuoto di punti di vista realmente esistenti. Attingere all'assoluto non attaccandosi ai punti di vista non è la soluzione del problema, in quanto il problema non sussiste. Il problema è una creazione del pensiero. Il problema sorge sempre dall'attaccamento ai punti di vista. Non attaccamento ai punti di vista non significa non operare per necessità di vita, ma essere consapevole che questi punti di vista sono semplicemente necessari ( per la sopravvivenza).
Citazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 11:30:53 AMCitazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 10:53:30 AME' nell'assoluto che si risolvono le apparenti ( per l'uomo) contraddizioni del relativo. Come si 'attinge' all'assoluto per risolvere le contraddizioni? Si potrebbe forse iniziare con il non-attaccarsi e identificarsi con le contraddizioni relative?...Chiaro che non si deve trattare di formulare l'ennesima teoria ( relativa) sull'assoluto...
"Conosci te stesso, e conoscerai l'universo e gli dei" (frontespizio sul tempio di Apollo, a Delfi) "Noli foras ire, in te ipsum redi. In interiore homine habitat veritas" (S. Agostino) "Tat tvam asi" (Mandukya upanisad) Il non-attaccamento, come del resto qualsiasi "comandamento", è sia un punto di partenza che uno di arrivo. Si può partire dalla comprensione dell'assoluto per arrivare alla necessità logica del non-attaccamento oppure viceversa, si tratta solo di avere la volontà di compiere il percorso e scegliere il modo che meglio si adatta alle proprie caratteristiche. Ma come dici sempre tu se non si "pratica" (in questo caso la meditazione o l'impegno intellettuale) ma si vuole rimanere alla superficie teorica e "razionale" sarà come credere di placare la fame leggendo il menu del ristorante.
Ti amo, Don !!!.... ;D ;D
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 11:20:22 AM
Citazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 10:46:07 AMSono anni che scrivo che il problema non è l'assoluto (che essendo ab-solutus ovverosia slegato è in sé e per sé e non necessita di altro che di se stesso) ma l'assolutizzazione del relativo, che a quanto pare è un concetto molto difficile da comprendere. Tutto dipende dall'assoluto ed è relativo ad esso (ovvero in relazione di dipendenza con questo), e porre come assoluto qualcosa che non lo è (sia questo la vita, il bene, l'uomo, la natura, un dio particolare, l'economia, l'uguaglianza o qualunque altro relativo) è proprio ciò che genera la violenza di doverlo imporre, dato che essendo un relativo non si può imporre da solo, determinando conseguenze disastrose. Solo assumendo il punto di vista dell'assoluto si può riuscire a comprendere tutti i relativi (e anche le relazioni sussistenti non solo con l'assoluto ma anche fra di loro) e dar loro il corretto valore senza necessità di alcun tipo di imposizione.
Trovo contraddittorio che il problema sia anche la soluzione: assumere il punto di vista dell'assoluto equivale proprio ad assolutizzare il relativo.
Non c'è nessuna contraddizione: non ho mai detto che bisogna assolutizzare se stessi, ma semmai riconoscere in sé l'assoluto. Noi siamo tante cose, fra cui ad esempio natura, per cui possiamo in teoria assumere il punto di vista della natura partendo dalla comprensione di ciò che in noi è natura. Possiamo farlo con l'assoluto partendo dalla comprensione dell'assoluto che è in noi (che non vuole per niente dire che noi, soprattutto se intesi come tanti piccoli ego, siamo assoluti o dovremmo pensare di esserlo)
Citazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 11:31:57 AM
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 11:20:22 AM
Citazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 10:46:07 AMSono anni che scrivo che il problema non è l'assoluto (che essendo ab-solutus ovverosia slegato è in sé e per sé e non necessita di altro che di se stesso) ma l'assolutizzazione del relativo, che a quanto pare è un concetto molto difficile da comprendere. Tutto dipende dall'assoluto ed è relativo ad esso (ovvero in relazione di dipendenza con questo), e porre come assoluto qualcosa che non lo è (sia questo la vita, il bene, l'uomo, la natura, un dio particolare, l'economia, l'uguaglianza o qualunque altro relativo) è proprio ciò che genera la violenza di doverlo imporre, dato che essendo un relativo non si può imporre da solo, determinando conseguenze disastrose. Solo assumendo il punto di vista dell'assoluto si può riuscire a comprendere tutti i relativi (e anche le relazioni sussistenti non solo con l'assoluto ma anche fra di loro) e dar loro il corretto valore senza necessità di alcun tipo di imposizione.
Trovo contraddittorio che il problema sia anche la soluzione: assumere il punto di vista dell'assoluto equivale proprio ad assolutizzare il relativo.
Non si può assumere il punto di vista dell'assoluto, in quanto l' assoluto non ha punti di vista ( al massimo comprende tutti i punti di vista), ossia è Vuoto di punti di vista realmente esistenti. Attingere all'assoluto non attaccandosi ai punti di vista non è la soluzione del problema, in quanto il problema non sussiste. Il problema è una creazione del pensiero. Il problema sorge sempre dall'attaccamento ai punti di vista. Non attaccamento ai punti di vista non significa non operare per necessità di vita, ma essere consapevole che questi punti di vista sono semplicemente necessari ( per la sopravvivenza).
Il problema o la soluzione è relativo alla parte, che tu sei e rimarrai, pensiero o non pensiero, attaccamento o non attaccamento.
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 12:02:01 PMCitazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 11:31:57 AMCitazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 11:20:22 AMCitazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 10:46:07 AMSono anni che scrivo che il problema non è l'assoluto (che essendo ab-solutus ovverosia slegato è in sé e per sé e non necessita di altro che di se stesso) ma l'assolutizzazione del relativo, che a quanto pare è un concetto molto difficile da comprendere. Tutto dipende dall'assoluto ed è relativo ad esso (ovvero in relazione di dipendenza con questo), e porre come assoluto qualcosa che non lo è (sia questo la vita, il bene, l'uomo, la natura, un dio particolare, l'economia, l'uguaglianza o qualunque altro relativo) è proprio ciò che genera la violenza di doverlo imporre, dato che essendo un relativo non si può imporre da solo, determinando conseguenze disastrose. Solo assumendo il punto di vista dell'assoluto si può riuscire a comprendere tutti i relativi (e anche le relazioni sussistenti non solo con l'assoluto ma anche fra di loro) e dar loro il corretto valore senza necessità di alcun tipo di imposizione.
Trovo contraddittorio che il problema sia anche la soluzione: assumere il punto di vista dell'assoluto equivale proprio ad assolutizzare il relativo.
Non si può assumere il punto di vista dell'assoluto, in quanto l' assoluto non ha punti di vista ( al massimo comprende tutti i punti di vista), ossia è Vuoto di punti di vista realmente esistenti. Attingere all'assoluto non attaccandosi ai punti di vista non è la soluzione del problema, in quanto il problema non sussiste. Il problema è una creazione del pensiero. Il problema sorge sempre dall'attaccamento ai punti di vista. Non attaccamento ai punti di vista non significa non operare per necessità di vita, ma essere consapevole che questi punti di vista sono semplicemente necessari ( per la sopravvivenza).
Il problema o la soluzione è relativo alla parte, che tu sei e rimarrai, pensiero o non pensiero, attaccamento o non attaccamento.
Ma la parte fa parte dell'assoluto, non è che sia 'staccata' e che viva da sola da 'qualche parte'. Non c'è nessun problema nell'essere una parte, basta non desiderare di essere l'assoluto, il che è impossibile ( per la parte) e attaccarsi a questa idea assurda. Se la parte non ha alcun problema ad accettarsi come parte, perché deve andare in cerca di una 'soluzione'? :)
Noi siamo parte ma allo stesso "tempo" le stesse parti sono pur sempre contenute nel Tutto..
Citazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 12:13:26 PM
Ma la parte fa parte dell'assoluto, non è che sia 'staccata' e che viva da sola da 'qualche parte'. Non c'è nessun problema nell'essere una parte, basta non desiderare di essere l'assoluto, il che è impossibile ( per la parte) e attaccarsi a questa idea assurda. Se la parte non ha alcun problema ad accettarsi come parte, perché deve andare in cerca di una 'soluzione'? :)
infatti credo che questo sia in sintesi il relativismo che diventa in questo caso assoluto..perche si crede separato o peggio ancora che non "vede" il Tutto che ne sarebbe la sua vera essenza o la sua vera "natura"
Citazione di: acquario69 il 10 Marzo 2017, 12:29:08 PM
Citazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 12:13:26 PMMa la parte fa parte dell'assoluto, non è che sia 'staccata' e che viva da sola da 'qualche parte'. Non c'è nessun problema nell'essere una parte, basta non desiderare di essere l'assoluto, il che è impossibile ( per la parte) e attaccarsi a questa idea assurda. Se la parte non ha alcun problema ad accettarsi come parte, perché deve andare in cerca di una 'soluzione'? :)
infatti credo che questo sia in sintesi il relativismo che diventa in questo caso assoluto..perche si crede separato o peggio ancora che non "vede" il Tutto che ne sarebbe la sua vera essenza o la sua vera "natura"
Amo anche te, acquario... ;D ;D ( son pieno d'amore oggi, troppo bella questa giornata di cielo terso e primaverile, questa 'assoluta' Bellezza :'( )...
Citazione di: acquario69 il 10 Marzo 2017, 12:15:10 PMNoi siamo parte ma allo stesso "tempo" le stesse parti sono pur sempre contenute nel Tutto..
Detto in altro modo e utilizzando i concetti di questo topic possiamo dire che se noi siamo relativi rispetto all'assoluto, per raggiungere il medesimo bisogna partire da questa relazione e utilizzare per comprenderla ciò che, in noi, ci consente di stabilirla, e che Platone chiamava
nous, intelletto, e arrivare quindi a comprendere innanzitutto cosa in noi c'è di assoluto.
Citazione di: Sariputra il 10 Marzo 2017, 13:01:33 PM
Amo anche te, acquario... ;D ;D ( son pieno d'amore oggi, troppo bella questa giornata di cielo terso e primaverile, questa 'assoluta' Bellezza :'( )...
https://www.youtube.com/watch?v=EHV0zs0kVGg :)
forse riflettendoci un po sopra, l'amore (qui si intende l'amore nel senso più ampio possibile) coincide anch'esso con il Tutto.. CitazioneDetto in altro modo e utilizzando i concetti di questo topic possiamo dire che se noi siamo relativi rispetto all'assoluto, per raggiungere il medesimo bisogna partire da questa relazione e utilizzare per comprenderla ciò che, in noi, ci consente di stabilirla, e che Platone chiamava nous, intelletto, e arrivare quindi a comprendere innanzitutto cosa in noi c'è di assoluto.
sono d'accordo con te...forse non sarebbe male aprire una discussione a parte per comprendere meglio tale relazione in virtù delle proprie specificita in ognuno di noi...magari visto il punto in cui si e' giunti,sarebbe anche un modo per approfondire meglio..
Essere parte dell'assoluto non significa essere in relazione con l'assoluto, impossibile, ma con altre parti.
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 14:22:52 PMEssere parte dell'assoluto non significa essere in relazione con l'assoluto, impossibile, ma con altre parti.
Le fette di una torta sono tutte in relazione fra loro, ma sono soprattutto in relazione con la "torta", che trascende ogni fetta e fornisce "identità" ad ognuna di esse. Se eliminiamo il concetto di torta la "fetta" (la parte) perde di qualsiasi significato diventando semplicemente un ammasso di materia. La torta è quindi l'assoluto a cui ogni fetta si deve ricondurre. Ogni parte di un'automobile è in relazione con tutte le altre, ma senza il concetto di automobile (assoluto trascendente) con il progetto sottostante che la mette in condizione di viaggiare ogni parte perderebbe di senso e sarebbe solo un rottame ferroso. Non basta quindi mettere in qualche modo in relazione alcune parti, ma è necessario che questa relazione abbia un "senso" che le trascende, che non sta certo nelle parti ma altrove, e le parti acquisiscono senso solo dalla visione complessiva della relazione fra di esse che è rappresentata da un "progetto" come ad esempio quello dell'automobile. Se quindi ogni parte dell'auto è in relazione con altre (ma non è possibile che ogni parte sia in relazione con tutte le altre) TUTTE le parti dell'auto sono in relazione con l' "assoluto" chiamato in questo caso "automobile".
Sono in difficoltà, non so se sto andando fuori tema, termino con questa risposta a donquixote.
Una parte non può essere in relazione col tutto, con l'assoluto, sia perché l'assoluto sarebbe allora una parte, sia perché allora la parte sarebbe in relazione con sé stessa. Impossibile.
Questa è la ragione profonda del mio ateismo.
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2017, 15:51:40 PMSono in difficoltà, non so se sto andando fuori tema, termino con questa risposta a donquixote. Una parte non può essere in relazione col tutto, con l'assoluto, sia perché l'assoluto sarebbe allora una parte, sia perché allora la parte sarebbe in relazione con sé stessa. Impossibile. Questa è la ragione profonda del mio ateismo.
L'assoluto non deve necessariamente essere inteso e personificato come un Dio. A mio parere è la possibilità delle parti di stabilire una relazione tra loro, proprio perché parti di un assoluto che si manifesta attraverso parti ( le parti sono strutture concettuali umane). Se non fossero parti di un unico come potrebbero stabilire una relazione tra loro? E' proprio nella relazione tra parti che sono in relazione con l'assoluto. Non esiste un assoluto privo di parti in relazione e nemmeno parti che non siano in relazione con l'assoluto ( ossia dotate di esistenza intrinseca). Vedere l'assoluto come fatto di parti in relazione interdipendente ci permette di non cadere in quello che nella filosofia buddhista viene definito come 'l'estremo positivo della metafisica"( Assolutismo) e vedere le parti non separate e viventi intrinsecamente ma in relazione di co-originazione interdipendente ci tiene lontani dall' "estremo negativo del nichilismo" (Relativismo).
Citazione di: Sariputra il 09 Marzo 2017, 23:58:12 PM
Maral, ma se io, per esempio, sostenessi che la Tolleranza è l'Assoluto, sarebbe lo stesso una forma di violenza? SE impongo che tutti DEVONO essere tolleranti cadrei in contraddizione, perché la mia prassi sarebbe la tollerenza, e quindi sarei semplicemente incoerente. Avendo 'fiducia' che l'assoluto è tolleranza tollererei coloro che non sono tolleranti, per essere coerente con il mio assolutismo.
Non so...c'è qualcosa che non mi torna nel tuo ragionamento... :)
Infatti Sari la tolleranza non può essere presa in assoluto, ma dipende dai contesti che la ammettono oppure no come prassi. Penso che anche tu possa convenire che non si può essere sempre e comunque tolleranti, o no? :)
Citazione di: maral il 10 Marzo 2017, 16:58:17 PMCitazione di: Sariputra il 09 Marzo 2017, 23:58:12 PMMaral, ma se io, per esempio, sostenessi che la Tolleranza è l'Assoluto, sarebbe lo stesso una forma di violenza? SE impongo che tutti DEVONO essere tolleranti cadrei in contraddizione, perché la mia prassi sarebbe la tollerenza, e quindi sarei semplicemente incoerente. Avendo 'fiducia' che l'assoluto è tolleranza tollererei coloro che non sono tolleranti, per essere coerente con il mio assolutismo. Non so...c'è qualcosa che non mi torna nel tuo ragionamento... :)
Infatti Sari la tolleranza non può essere presa in assoluto, ma dipende dai contesti che la ammettono oppure no come prassi. Penso che anche tu possa convenire che non si può essere sempre e comunque tolleranti, o no? :)
Teoricamente si potrebbe anche...il problema è che non so quanto si durerebbe!! ;D
Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 23:06:04 PM
CitazioneInoltre, quali che siano queste esigenze o logiche o meccanismi mentali, chi garantisce che essi non siano difettosi, contraddittori, incoerenti, ingannevoli?
Possono benissimo essere meccanismi ingannevoli, ma un relativo assoluto non è semplicemente una contraddizione, ma un'autocontraddizione e l'autocontraddizione demolisce in partenza qualsiasi tesi si voglia sostenere, qualsiasi cosa si dica, compreso che nulla può essere garantito. Chi può mai garantirlo?
Questo deriva dal trattare il relativismo come una metafisica, cioè come se fosse un sistema di idee coerente, organico, con affermazioni assolute, come quella che sosterrebbe che "tutto è relativo".
In ogni caso, non è il relativismo a demolire la metafisica, ma la metafisica stessa. Non è il relativismo a dire che nulla è garantito, ma la metafisica, nel momento in cui si viene a trovare costretta a tener conto del soggetto.
Le cose procedono in questo modo:
1) la metafisica afferma di poter stabilire delle verità assolute;
2) a un certo punto si accorge che queste verità non nascono e non esistono mai da sole, ma sempre e soltanto in dipendenza da una mente umana che le pensa, in dipendenza da un soggetto;
3) la mente umana però è del tutto inaffidabile, perché dimentica, si distrae, s'inganna;
4) ne consegue che le verità assolute che la metafisica aveva pensato di stabilire non hanno alcuna affidabilità.
5) fino al punto 3) ci siamo mantenuti all'interno della metafisica, tutto è stato ragionato con logica metafisica; è col punto 4) che la metafisica si vede costretta a trasformarsi in relativismo.
In questo senso, bisogna anzitutto osservare che il relativismo non sostiene la verità metafisica secondo cui, come hai scritto, "nulla è garantito": il relativismo non afferma e non può affermare ciò, proprio perché sarebbe una verità metafisica. Il relativismo dice piuttosto "sembra che nulla sia garantito", oppure "finora non viene a risultare che alcuno sia riuscito a fornire garanzie di affermazioni assolute". Ciò significa che le affermazioni poste dal relativismo non richiedono di essere garantite da alcuno, perché non si pongono come verità, ma come incertezze, dubbi, sospetti, dubbi che non hanno alcuna certezza neanche di se stessi.
Citazione di: donquixote il 10 Marzo 2017, 09:43:23 AM
... e ti rivolgi anche agli "sbirri" ...
Trovo strano che per far riferimento a Ivo Nardi, piuttosto che usarne normalmente nome e cognome, abbia preferito definirlo prima "
forze dell'ordine" e ora addirittura "
sbirro". Sbirro è il modo in cui viene chiamato un poliziotto da coloro che lo odiano. Che senso ha usare queste espressioni per il proprietario del forum di cui sei moderatore?
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneCiò significa che le affermazioni poste dal relativismo non richiedono di essere garantite da alcuno, perché non si pongono come verità, ma come incertezze, dubbi, sospetti, dubbi che non hanno alcuna certezza neanche di se stessi.
Penso, purtroppo, con sincera umiltà ma in tutta parresia, che il forte sentimento di avversione verso la fede, che ti fa inabissare sempre più nella foschia della follia, man mano che tenti di argomentare con esempi frastornati dal nichilismo, sia solo un comportamento inevitabile per giustificare la scelta del tuo abiurare, per legittimare, a te e agli altri, l'abbandono della tua di fede.
Auspico di essere in equivoco.
"...se qualcuno ti dice che non ci sono verità, o che la verità è solo relativa, ti sta chiedendo di non credergli. E allora non credergli..."- Roger Scruton
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Marzo 2017, 18:40:58 PM
Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 23:06:04 PM
CitazioneInoltre, quali che siano queste esigenze o logiche o meccanismi mentali, chi garantisce che essi non siano difettosi, contraddittori, incoerenti, ingannevoli?
Possono benissimo essere meccanismi ingannevoli, ma un relativo assoluto non è semplicemente una contraddizione, ma un'autocontraddizione e l'autocontraddizione demolisce in partenza qualsiasi tesi si voglia sostenere, qualsiasi cosa si dica, compreso che nulla può essere garantito. Chi può mai garantirlo?
Questo deriva dal trattare il relativismo come una metafisica, cioè come se fosse un sistema di idee coerente, organico, con affermazioni assolute, come quella che sosterrebbe che "tutto è relativo".
In ogni caso, non è il relativismo a demolire la metafisica, ma la metafisica stessa. Non è il relativismo a dire che nulla è garantito, ma la metafisica, nel momento in cui si viene a trovare costretta a tener conto del soggetto.
Le cose procedono in questo modo:
1) la metafisica afferma di poter stabilire delle verità assolute;
2) a un certo punto si accorge che queste verità non nascono e non esistono mai da sole, ma sempre e soltanto in dipendenza da una mente umana che le pensa, in dipendenza da un soggetto;
3) la mente umana però è del tutto inaffidabile, perché dimentica, si distrae, s'inganna;
4) ne consegue che le verità assolute che la metafisica aveva pensato di stabilire non hanno alcuna affidabilità.
5) fino al punto 3) ci siamo mantenuti all'interno della metafisica, tutto è stato ragionato con logica metafisica; è col punto 4) che la metafisica si vede costretta a trasformarsi in relativismo.
In questo senso, bisogna anzitutto osservare che il relativismo non sostiene la verità metafisica secondo cui, come hai scritto, "nulla è garantito": il relativismo non afferma e non può affermare ciò, proprio perché sarebbe una verità metafisica. Il relativismo dice piuttosto "sembra che nulla sia garantito", oppure "finora non viene a risultare che alcuno sia riuscito a fornire garanzie di affermazioni assolute". Ciò significa che le affermazioni poste dal relativismo non richiedono di essere garantite da alcuno, perché non si pongono come verità, ma come incertezze, dubbi, sospetti, dubbi che non hanno alcuna certezza neanche di se stessi.
Citazionela mia impressione é che così si attribuiscono al relativismo caratteristiche che sono invece proprie dello scetticismo.
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Marzo 2017, 18:40:58 PM
In questo senso, bisogna anzitutto osservare che il relativismo non sostiene la verità metafisica secondo cui, come hai scritto, "nulla è garantito": il relativismo non afferma e non può affermare ciò, proprio perché sarebbe una verità metafisica. Il relativismo dice piuttosto "sembra che nulla sia garantito", oppure "finora non viene a risultare che alcuno sia riuscito a fornire garanzie di affermazioni assolute". Ciò significa che le affermazioni poste dal relativismo non richiedono di essere garantite da alcuno, perché non si pongono come verità, ma come incertezze, dubbi, sospetti, dubbi che non hanno alcuna certezza neanche di se stessi.
Citazione di: sgiombo il 10 Marzo 2017, 21:06:47 PM
la mia impressione é che così si attribuiscono al relativismo caratteristiche che sono invece proprie dello scetticismo.
Mi sembra che in ciò che dice Angelo Cannata ci sia piuttosto l'intento (per quanto mi riguarda del tutto condivisibile) di mantenere un'apertura nella visione del mondo e dell'esistenza, là dove l'assoluto esige un'assoluta chiusura autoreferenziale a sé che , in cambio di una promessa di salvezza sicura, non lascia scampo. Per sostenere questa apertura lo scetticismo viene a essere un utile strumento che non è fine a se stesso, dunque non è a sua volta scetticismo assoluto (che evidentemente sarebbe contraddittorio), ma una critica scettica da utilizzare ogni volta che serve per scardinare la tentazione di cedere alla pretesa dell'assoluto di pronunciare la parola definitiva che chiude ogni discorso e il senso di ogni esistenza assorbendone tutto il significato. Si tratta in altre parole dell'eterna e assai complessa battaglia tra gli esistenti e l'essenza.
Citazione di: maral il 11 Marzo 2017, 09:10:36 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Marzo 2017, 18:40:58 PMIn questo senso, bisogna anzitutto osservare che il relativismo non sostiene la verità metafisica secondo cui, come hai scritto, "nulla è garantito": il relativismo non afferma e non può affermare ciò, proprio perché sarebbe una verità metafisica. Il relativismo dice piuttosto "sembra che nulla sia garantito", oppure "finora non viene a risultare che alcuno sia riuscito a fornire garanzie di affermazioni assolute". Ciò significa che le affermazioni poste dal relativismo non richiedono di essere garantite da alcuno, perché non si pongono come verità, ma come incertezze, dubbi, sospetti, dubbi che non hanno alcuna certezza neanche di se stessi.
Citazione di: sgiombo il 10 Marzo 2017, 21:06:47 PMla mia impressione é che così si attribuiscono al relativismo caratteristiche che sono invece proprie dello scetticismo.
Mi sembra che in ciò che dice Angelo Cannata ci sia piuttosto l'intento (per quanto mi riguarda del tutto condivisibile) di mantenere un'apertura nella visione del mondo e dell'esistenza, là dove l'assoluto esige un'assoluta chiusura autoreferenziale a sé che , in cambio di una promessa di salvezza sicura, non lascia scampo. Per sostenere questa apertura lo scetticismo viene a essere un utile strumento che non è fine a se stesso, dunque non è a sua volta scetticismo assoluto (che evidentemente sarebbe contraddittorio), ma una critica scettica da utilizzare ogni volta che serve per scardinare la tentazione di cedere alla pretesa dell'assoluto di pronunciare la parola definitiva che chiude ogni discorso e il senso di ogni esistenza assorbendone tutto il significato. Si tratta in altre parole dell'eterna e assai complessa battaglia tra gli esistenti e l'essenza.
L'assoluto non dà alcuna certezza di salvezza sicura e non dà chiusura autoreferenziale, secondo me( e come potrebbe? Se è assoluto deve contenere anche il proprio contrario, ossia l'incertezza...). La certezza la danno le visioni relative che pretendono di farsi visioni assolute. In realtà assoluto dovrebbe essere superamento delle certezze delle visioni relative in quanto vuote di esistenza intrinsceca e superamento quindi anche della certezza che non vi siano certezze. Lasciare andare tutto quindi...tutta questa massa di concetti insostanziali, questo apparente dualismo assoluto/relativo in cui si impantana il pensiero, questa dialettica esistente/essente come se fosse possibile una realtà senza l'altra, la luce senza le tenebre. Relativo ha un senso solo se c'è un assoluto e assoluto non può che manifestarsi attraverso il relativo ( alla coscienza umana, in altre forme di coscienza non so... ;D ).
Angelo abbraccia il relativo , secondo me, perché pensa che questo gli permetta un'assoluta libertà, non rendendosi conto che proprio la sua ricerca di libertà e di non-imposizioni è di fatto una ricerca di assoluto...ma non è giusto fare un discorso 'su Angelo Cannata', diciamo che tutti i relativismi non possono che essere dinamiche in cui si manifesta l'assoluto...non c'è un menu 'assoluto', ma tanti menu 'relativi' per il pensiero, quindi leggiamoli e poi...sbarazziamocene e gustiamo il cibo...( come afferma giustamente il Don... :) ).
Vuoto di concetti relativo/assoluto , nel senso più puro, significa vastità. La vostra esistenza non si riduce alle piccole proporzioni del mondo: è vasta. Questo è il senso puro del momento. Ma se vedete il momento solo dal vostro punto di vista individuale, diventa limitato. Il senso puro del momento è vasto. Istantaneamente, l'esistenza individuale si estende ad abbracciare tutti gli esseri senzienti. E' un manifestarsi totale. Non è solo un aspetto della vita umana, è il ritratto fedele dell'esistenza. Tutti gli esseri senzienti esistono in questi termini. Perciò, prendervi cura di voi stessi non vuol dire prendervi cura di voi stessi ignorando gli altri. Dovete prendervi cura di voi stessi e al tempo stesso di tutti gli esseri senzienti. In quel momento, potrete cogliere davvero il gusto dell'impermanenza. (Dainin Katagiri)Questo spunto per riflettere sull'importanza di gustare, assaporare il momento dell'esistere...
Citazione di: Duc in altum! il 10 Marzo 2017, 19:52:59 PM** scritto da Angelo Cannata: CitazioneCiò significa che le affermazioni poste dal relativismo non richiedono di essere garantite da alcuno, perché non si pongono come verità, ma come incertezze, dubbi, sospetti, dubbi che non hanno alcuna certezza neanche di se stessi.
Penso, purtroppo, con sincera umiltà ma in tutta parresia, che il forte sentimento di avversione verso la fede, che ti fa inabissare sempre più nella foschia della follia, man mano che tenti di argomentare con esempi frastornati dal nichilismo, sia solo un comportamento inevitabile per giustificare la scelta del tuo abiurare, per legittimare, a te e agli altri, l'abbandono della tua di fede. Auspico di essere in equivoco. "...se qualcuno ti dice che non ci sono verità, o che la verità è solo relativa, ti sta chiedendo di non credergli. E allora non credergli..." - Roger Scruton
Non conoscevo la citazione, molto bella oltre che pienamente condivisibile!
Citazione di: davintro il 11 Marzo 2017, 15:53:13 PM
Citazione di: Duc in altum! il 10 Marzo 2017, 19:52:59 PM"...se qualcuno ti dice che non ci sono verità, o che la verità è solo relativa, ti sta chiedendo di non credergli. E allora non credergli..." - Roger Scruton
Non conoscevo la citazione, molto bella oltre che pienamente condivisibile!
Non conosco l'autore, ma se è un relativista, ci dà da riflettere su un possibile approccio "psicologistico" al relativismo, almeno partendo dal
suo caso... se non è un relativista, temo sia l'ennesimo non-relativista che vuole spiegare il relativismo dall'esterno ("a stomaco vuoto" o come un vegano che si metta a fare recensioni sulle salsicce ;) ), facendo dire al relativista qualcosa che un relativista non direbbe mai o interpretando il suo dire come sintomo di qualcosa che, curiosamente, non è relativista (eloquente la
chiusura, in tutti i sensi, dell' "allora non credergli").
Oppure è stato fatto uno studio sui relativisti che ha dimostrato che soffrono di una qualche "schizofrenia dissociativa"(?) per cui dicono il contrario di quello che pensano? ;D
Citazione di: Phil il 11 Marzo 2017, 17:21:43 PM
Citazione di: davintro il 11 Marzo 2017, 15:53:13 PM
Citazione di: Duc in altum! il 10 Marzo 2017, 19:52:59 PM"...se qualcuno ti dice che non ci sono verità, o che la verità è solo relativa, ti sta chiedendo di non credergli. E allora non credergli..." - Roger Scruton
Non conoscevo la citazione, molto bella oltre che pienamente condivisibile!
Non conosco l'autore, ma se è un relativista, ci dà da riflettere su un possibile approccio "psicologistico" al relativismo, almeno partendo dal suo caso... se non è un relativista, temo sia l'ennesimo non-relativista che vuole spiegare il relativismo dall'esterno ("a stomaco vuoto" o come un vegano che si metta a fare recensioni sulle salsicce ;) ), facendo dire al relativista qualcosa che un relativista non direbbe mai o interpretando il suo dire come sintomo di qualcosa che, curiosamente, non è relativista (eloquente la chiusura, in tutti i sensi, dell' "allora non credergli"). Oppure è stato fatto uno studio sui relativisti che ha dimostrato che soffrono di una qualche "schizofrenia dissociativa"(?) per cui dicono il contrario di quello che pensano? ;D
E allora colui che pensa di essere relativista dovrebbe smettere di definirsi relativista. Anzi smettere proprio di dire perché è inevitabile l'autocontraddizione.... ;D
Infatti per essere coerente nemmeno il relativista può giudicare dalla sua posizione l'altrui ( come un salumiere che si mette a fare recensioni sui vegani... ;)). E dire che la sua è una non-posizione mi sembra solo un'escamotage linguistico, un tentativo di 'librarsi nell'aria'...si risolve tutto in una specie di lotta linguistica?...Come fa il relativista a dire che i non-relativisti non comprendono la sua posizione se lui stesso dice di non avere alcuna posizione?
Forse, per qualche motivo tecnico o involontario, questo mio post a suo tempo non fu letto:
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 20:14:38 PMSe considerate da un punto di vista metafisico, tutte le affermazioni del relativista sono contraddittorie. Egli non potrebbe dire assolutamente niente, ma parla e pensa lo stesso, perché egli non parla e non pensa metafisicamente.
...
Il relativista, per poter parlare, non ha altri strumenti a disposizione che le pietre del castello crollato. Perciò il relativista parla, per lo meno in gran parte, con le stesse espressioni del metafisico, nella speranza che si capisca e che non si dimentichi mai che egli non le intende come affermazioni di principio. Il relativista esprime solo racconti, ricordi, aspettative, opinioni, proposte, emozioni, rabbia, ma per esprimere tutto ciò si serve del linguaggio preso a prestito dalla metafisica; dunque, anche il relativista usa il verbo essere, usa parole come "verità", "bisogna", "si deve", "dobbiamo", "è giusto", "è bene", ma il loro senso va sempre inteso come opinione, racconto di un'esperienza, cioè sempre con un sottofondo di apertura al dubbio e alla discutibilità.
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Marzo 2017, 17:50:43 PMForse, per qualche motivo tecnico o involontario, questo mio post a suo tempo non fu letto: Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 20:14:38 PMSe considerate da un punto di vista metafisico, tutte le affermazioni del relativista sono contraddittorie. Egli non potrebbe dire assolutamente niente, ma parla e pensa lo stesso, perché egli non parla e non pensa metafisicamente. ... Il relativista, per poter parlare, non ha altri strumenti a disposizione che le pietre del castello crollato. Perciò il relativista parla, per lo meno in gran parte, con le stesse espressioni del metafisico, nella speranza che si capisca e che non si dimentichi mai che egli non le intende come affermazioni di principio. Il relativista esprime solo racconti, ricordi, aspettative, opinioni, proposte, emozioni, rabbia, ma per esprimere tutto ciò si serve del linguaggio preso a prestito dalla metafisica; dunque, anche il relativista usa il verbo essere, usa parole come "verità", "bisogna", "si deve", "dobbiamo", "è giusto", "è bene", ma il loro senso va sempre inteso come opinione, racconto di un'esperienza, cioè sempre con un sottofondo di apertura al dubbio e alla discutibilità.
Per questo dico che sarebbe coerente il silenzio per il relativista. Perchè reiterare macerie? Tu sostieni che è 'giusto per passare il tempo', ma questo in cosa differisce dal
qualunquismo? Anche il qualunquista assume opinioni e le cambia a suo piacimento per 'passare il tempo'. E perché la metafisica non sarebbe aperta al dubbio?
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:57:52 PM
Tu sostieni che è 'giusto per passare il tempo'
Dov'è che l'ho detto?
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:26:11 PM
E allora colui che pensa di essere relativista dovrebbe smettere di definirsi relativista. Anzi smettere proprio di dire perché è inevitabile l'autocontraddizione.... ;D
Infatti per essere coerente nemmeno il relativista può giudicare dalla sua posizione l'altrui ( come un salumiere che si mette a fare recensioni sui vegani... ;)). E dire che la sua è una non-posizione mi sembra solo un'escamotage linguistico, un tentativo di 'librarsi nell'aria'...si risolve tutto in una specie di lotta linguistica?...Come fa il relativista a dire che i non-relativisti non comprendono la sua posizione se lui stesso dice di non avere alcuna posizione?
Il relativismo, che magari intendo diversamente da Angelo (ma concordo con il suo ultimo post sul sottile e cruciale slittamento di senso nell'uso del linguaggio da parte del relativista), non è una non-posizione, almeno per me, ma una
sequenza di posizioni "deboli", in cui ogni fase ha il suo impatto sulla vita e sulla prassi quotidiana: è il salumiere domestico (senza scopo di lucro ;D ) che parla delle
sue salsicce e,
di volta in volta, ne assaggia una
diversa e magari,
mentre la consuma, la commenta... e se qualcuno gli dice, "le tue salsicce sono tutte uguali!" o esprime un altro giudizio
assoluto sul suo modo di fare salsicce, ci può stare che l'umile macellaio faccia notare che il medesimo pezzo di carne del maiale non può essere usato due volte per fare salsicce (è un maiale "eracliteo"... ;D )
Se poi l'improvvisato salumiere si fa prendere dall'ardire del giudicare anche ciò che non ha mai assaggiato (ma bisognerebbe indagare nella sua biografia se sia davvero così, ognuno è figlio della sua storia ;) ) per come la vedo:
Citazione di: Phil il 09 Marzo 2017, 16:43:31 PM
Sul presunto "relativista militante", che combatte per un mondo migliore, o, peggio ancora, che critica i metafisici e i non-relativisti, sono piuttosto diffidente... per me, il combattere e il convertire/convincere sono il primo passo per smettere di essere relativisti (almeno di quelli autentici ;) ), che è una scelta decisamente legittima, ma che comporta al contempo un cambio di "etichetta" (altrimenti il povero Confucio si rivolta nella tomba :) ).
Per quanto riguarda l'auto-definirsi relativista: credo che le "etichette filosofiche", come i soprannomi, debbano darcele gli altri, anche se una certa auto-identificazione come risultato di una auto-analisi può essere un'istanza inevitabile per qualcuno, e non lo biasimo...
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Marzo 2017, 18:25:32 PMCitazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:57:52 PMTu sostieni che è 'giusto per passare il tempo'
Dov'è che l'ho detto?
Hai ragione , non l'hai detto , ma è una mia osservazione a riguardo di una tua affermazione:
...Io posso benissimo operare una scelta senza avere alcuna fiducia in essa;... al che io: "Se a te va di fare le cose "così, tanto per provare" ...
Citazione di: Phil il 11 Marzo 2017, 18:40:02 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:26:11 PME allora colui che pensa di essere relativista dovrebbe smettere di definirsi relativista. Anzi smettere proprio di dire perché è inevitabile l'autocontraddizione.... ;D Infatti per essere coerente nemmeno il relativista può giudicare dalla sua posizione l'altrui ( come un salumiere che si mette a fare recensioni sui vegani... ;)). E dire che la sua è una non-posizione mi sembra solo un'escamotage linguistico, un tentativo di 'librarsi nell'aria'...si risolve tutto in una specie di lotta linguistica?...Come fa il relativista a dire che i non-relativisti non comprendono la sua posizione se lui stesso dice di non avere alcuna posizione?
Il relativismo, che magari intendo diversamente da Angelo (ma concordo con il suo ultimo post sul sottile e cruciale slittamento di senso nell'uso del linguaggio da parte del relativista), non è una non-posizione, almeno per me, ma una sequenza di posizioni "deboli", in cui ogni fase ha il suo impatto sulla vita e sulla prassi quotidiana: è il salumiere domestico (senza scopo di lucro ;D ) che parla delle sue salsicce e, di volta in volta, ne assaggia una diversa e magari, mentre la consuma, la commenta... e se qualcuno gli dice, "le tue salsicce sono tutte uguali!" o esprime un altro giudizio assoluto sul suo modo di fare salsicce, ci può stare che l'umile macellaio faccia notare che il medesimo pezzo di carne del maiale non può essere usato due volte per fare salsicce (è un maiale "eracliteo"... ;D ) Se poi l'improvvisato salumiere si fa prendere dall'ardire del giudicare anche ciò che non ha mai assaggiato (ma bisognerebbe indagare nella sua biografia se sia davvero così, ognuno è figlio della sua storia ;) ) per come la vedo:
Citazione di: Phil il 09 Marzo 2017, 16:43:31 PMSul presunto "relativista militante", che combatte per un mondo migliore, o, peggio ancora, che critica i metafisici e i non-relativisti, sono piuttosto diffidente... per me, il combattere e il convertire/convincere sono il primo passo per smettere di essere relativisti (almeno di quelli autentici ;) ), che è una scelta decisamente legittima, ma che comporta al contempo un cambio di "etichetta" (altrimenti il povero Confucio si rivolta nella tomba :) ).
Per quanto riguarda l'auto-definirsi relativista: credo che le "etichette filosofiche", come i soprannomi, debbano darcele gli altri, anche se una certa auto-identificazione come risultato di una auto-analisi può essere un'istanza inevitabile per qualcuno, e non lo biasimo...
Francamente Phil io non riesco a vedere la distinzione tra 'posizione debole' e' posizione forte', se la 'forte' non ha nessuna pretesa di imporsi all'altra. Sono semplicemente due posizioni. Le salsicce sono diverse, ma la ciccia del maiale è sempre quella... ;D . Il salumiere non può certo fare salsicce di maiale con i peli della coda del toro...e l'avventore potrebbe ben rispondere al salumiere che gli fa notare che sono diverse:" ma sempre di maiale sono!"...Il tentativo di "pensare diverso" è velleitario...il pensiero non può uscire dal pensiero e infatti Angelo è costretto ad ammettere che non ha altri mezzi che quelli che tutti usano...Stiamo discutendo sul nulla. Veramente... :(
E siccome mi sento pure vagamente scemo ( cioè più di quello che sono normalmente... :-[ ) prendo l'uscita dalla discussione e vado a guardarmi un pò la Luna meravigliosa che ha fatto capolino sopra il Monte...
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:57:52 PMPer questo dico che sarebbe coerente il silenzio per il relativista.
Una volta che la metafisica si ritrova costretta ad ammettere l'impossibilità di affermazioni assolute, la prima a sentirsi costretta al silenzio è proprio la metafisica. Semmai, quindi, tutti dovrebbero fare silenzio, sia il metafisico che il relativista. Ma questo silenzio sarebbe dovuto soltanto al preconcetto che si abbia diritto a parlare solo se si è in grado di pronunciare certezze. E chi l'ha stabilito? Chi ha stabilito che dire "il cielo è azzurro" possa essere un'affermazione legittima solo ed esclusivamente se si riesce ad affermarlo con assoluta inconfutabilità? Chi vieta di pronunciare il verbo essere dando ad esso un significato umano, morbido, limitato a ciò che come umani riusciamo a fare?
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:57:52 PMPerchè reiterare macerie?
Le macerie sono ciò che è rimasto dal crollo della metafisica. Chi può vietare di riutilizzarle, soprattutto tenendo presente che abbiamo solo quelle per poterci esprimere? Chi può vietare di costruire con le pietre del muro di Berlino scuole, palestre, strade?
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:57:52 PM...questo in cosa differisce dal qualunquismo?
Ciò che fa la differenza è la storia da cui provengono. Il qualunquismo nasce come sfiducia e conseguente decisione di usare indifferenza. Il relativismo nasce dalla passione per la verità contenuta nella metafisica. Una volta caduta la metafisica, e con essa anche la verità, non è detto che con essa debba sparire la passione, il piacere di perseguire con tutte le proprie forze qualcosa che, almeno in apparenza, sembri un progresso, un miglioramento. Non è detto che dalla sconfitta della verità debba derivare necessariamente infiacchimento e sfiducia in tutto. La metafisica aveva cercato di oltrepassare, superare le capacità umane di trovare certezze, ma questo compito è fallito; è caduto l'oltrepassare, il superare, ma tutto questo lascia intravedere un orientamento che si lascia sospettare molto più serio e profondo della metafisica: l'orientamento verso l'umano, che ovviamente sarebbe tutto da chiarire, nella diversità in cui ognuno intende la parola umano, ma già lavorare per intenderci sull'umano, piuttosto che lavorare per trovare verità inossidabili, si lascia sospettare come qualcosa di migliore.
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 17:57:52 PME perché la metafisica non sarebbe aperta al dubbio?
La ragion d'essere della metafisica è proprio il superamento del dubbio. In questo senso, al di là dell'etimologia aristotelica, metafisica viene a significare voler oltrepassare la fisica, cioè ricerca delle certezze che la conoscenza fisica non riesce a dare, ricerca di qualcosa che sia capace di resistere ad ogni tipo di dubbio. Il metafisico sarà magari disposto a dubitare di qualsiasi altra cosa, ma su ciò che ritiene il punto d'arrivo della sua ricerca non può accettare di dubitare, perché il suo scopo era proprio trovare qualcosa di cui fosse impossibile dubitare, per tutti e per sempre.
Ora verrà Duc a dirmi che ho fatto riferimento alla fiducia ;D
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 20:13:25 PM
Francamente Phil io non riesco a vedere la distinzione tra 'posizione debole' e' posizione forte', se la 'forte' non ha nessuna pretesa di imporsi all'altra. Sono semplicemente due posizioni. Le salsicce sono diverse, ma la ciccia del maiale è sempre quella... ;D . Il salumiere non può certo fare salsicce di maiale con i peli della coda del toro...e l'avventore potrebbe ben rispondere al salumiere che gli fa notare che sono diverse:" ma sempre di maiale sono!"...Il tentativo di "pensare diverso" è velleitario...il pensiero non può uscire dal pensiero e infatti Angelo è costretto ad ammettere che non ha altri mezzi che quelli che tutti usano...Stiamo discutendo sul nulla. Veramente... :(
E siccome mi sento pure vagamente scemo ( cioè più di quello che sono normalmente... :-[ ) prendo l'uscita dalla discussione e vado a guardarmi un pò la Luna meravigliosa che ha fatto capolino sopra il Monte...
Sulla differenza fra posizione "debole" e "forte", o almeno per meglio intendere la "posizione debole" mi permetto di rinviarti al primo capoverso (non ho letto oltre ;D ) di questo articolo da wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Pensiero_debole
dove noterai che per "forza" non si intende quella dell'imposizione aggressiva, ma quella della solidità della struttura filosofica portante...
Sostenere "sono semplicemente due posizioni"(cit.) è corretto, come è parimenti corretto affermare "la dittatura e la democrazia sono semplicemente due forme di governo di un popolo", oppure, come avevo preventivamente accennato in precedenza
Citazione di: Phil il 07 Marzo 2017, 19:59:26 PM
come dire che andare in bicicletta dal vicino di casa oppure prendere l'aereo per arrivare a New York, sono comunque entrambi un modo di viaggiare, quindi un viaggio vale l'altro; invece, secondo me, sono proprio le differenze che fanno la differenza!
Se il fulcro di una posizione è una supposta (di) verità o soltanto un'opinione, fa un po' di differenza oppure è solo un sofisma? Tutto il dibattito culturale sul postmoderno ci risponde che fare i conti con questa differenza non sia esattamente un "discutere sul nulla" (cit.)... sebbene ammetto che i filosofi talvolta sono abili a porsi falsi problemi ;)
In fondo, concordo che dare uno sguardo alla placida luna giovi all'animo molto più che il cercare di mettere a fuoco (o al rogo? ;D ) il bistrattato relativismo :)
Citazione di: Sariputra il 11 Marzo 2017, 12:21:17 PM
L'assoluto non dà alcuna certezza di salvezza sicura e non dà chiusura autoreferenziale, secondo me( e come potrebbe? Se è assoluto deve contenere anche il proprio contrario, ossia l'incertezza...). La certezza la danno le visioni relative che pretendono di farsi visioni assolute. In realtà assoluto dovrebbe essere superamento delle certezze delle visioni relative in quanto vuote di esistenza intrinsceca e superamento quindi anche della certezza che non vi siano certezze. Lasciare andare tutto quindi...tutta questa massa di concetti insostanziali, questo apparente dualismo assoluto/relativo in cui si impantana il pensiero, questa dialettica esistente/essente come se fosse possibile una realtà senza l'altra, la luce senza le tenebre. Relativo ha un senso solo se c'è un assoluto e assoluto non può che manifestarsi attraverso il relativo ( alla coscienza umana, in altre forme di coscienza non so... ;D ).
Angelo abbraccia il relativo , secondo me, perché pensa che questo gli permetta un'assoluta libertà, non rendendosi conto che proprio la sua ricerca di libertà e di non-imposizioni è di fatto una ricerca di assoluto...ma non è giusto fare un discorso 'su Angelo Cannata', diciamo che tutti i relativismi non possono che essere dinamiche in cui si manifesta l'assoluto...non c'è un menu 'assoluto', ma tanti menu 'relativi' per il pensiero, quindi leggiamoli e poi...sbarazziamocene e gustiamo il cibo...( come afferma giustamente il Don... :) ).
Non c'è dubbio, giacché esistiamo solo nel relativo (ossia i nostri modi di sentire, vedere e pensare sono risultato di relazioni), allora l'assoluto è un relativo che si immagina assoluto e proprio qui sta il problema (la violenza fondamentale e primaria). Ed è pure vero che essente ed esistente si implicano sempre, come si implicano sempre i termini apparentemente contraddittori. Come si può essere senza esistere o esistere senza essere?
Ma altrettanto chiaro è che nel momento in cui ci si rende conto che l'assoluto deve comprendere in sé tutto questo, dopo che ci siamo liberati di ogni concetto, che cosa resta da poter dire o pensare? Nulla assolutamente nulla. O effettivamente l'assoluto è la morte, oppure l'assoluto è ciò che continuamente genera e rigenera la domanda su se stesso, è la domanda ( e
mai la risposta, giacché ogni risposta non può che essere relativa, compresa questa se la intendi come risposta e non come domanda). La risposta assoluta sta solo nel nulla, ma il nulla domanda, dunque non è nulla. Che cosa è? Di quanto si deve restringere la vastità per poter articolare e sentire una qualsiasi risposta sensata?
CitazioneVuoto di concetti relativo/assoluto , nel senso più puro, significa vastità. La vostra esistenza non si riduce alle piccole proporzioni del mondo: è vasta. Questo è il senso puro del momento. Ma se vedete il momento solo dal vostro punto di vista individuale, diventa limitato. Il senso puro del momento è vasto. Istantaneamente, l'esistenza individuale si estende ad abbracciare tutti gli esseri senzienti. E' un manifestarsi totale. Non è solo un aspetto della vita umana, è il ritratto fedele dell'esistenza. Tutti gli esseri senzienti esistono in questi termini. Perciò, prendervi cura di voi stessi non vuol dire prendervi cura di voi stessi ignorando gli altri. Dovete prendervi cura di voi stessi e al tempo stesso di tutti gli esseri senzienti. In quel momento, potrete cogliere davvero il gusto dell'impermanenza. (Dainin Katagiri)
E chi potrà mai o mai ha potuto prendersi cura di tutti gli esseri senzienti? E' già terribilmente difficile prendersi cura anche di uno solo! In astratto si può amare tutti, ma in concreto, ma davvero? Quanti se ne possono amare sentendo di amare nella loro reale, assoluta esistenza? Per assaporare il momento dell'esistere occorre imparare ad assaporarne soprattutto e fino in fondo l'amaro (il nostro amaro che è il più amaro di tutti), l'esistere non è di sicuro un piatto dolce da gustare, anche se la fede promette sempre una futura dolcezza a consolazione di quell'amaro che c'è nell'esistenza e proprio per questo inganna e ingannando seduce.
Citazione"...se qualcuno ti dice
che non ci sono verità,
o che la verità è solo relativa,
ti sta chiedendo di non credergli.
E allora non credergli..."
Certo, ogni essente è sempre nella verità, altrimenti non avrebbe esistenza. Il problema è chi dice di sapere cosa o chi è la verità e di poterlo dire chiaramente e definitivamente a tutti. Allora forse è meno credibile di chi dice che non ci sono verità. La verità non è di nessuno, proprio perché esprime tutti, ognuno per quello che veramente è. Verità è il vivere errando e a ogni errore chiedersi ancora: cosa è la verità?
Di rientro dalla contemplazione mi sono letto questa bombardata delle corazzate relativiste Phil, Angelo e Maral... ;D
Vista l'ora e la stanchezza mi proverò a dire quello che ne penso in succinto e dopo avermi riaggiustato l'elmetto ( essendo piccolo i colpi sono andati a vuoto per fortuna...).
Come vedete anche il non-relativista può cambiare idea... ;)
Maral, la 'verità' è solo un termine, se io non dò alcun valore ai termini perché dovrei preoccuparmi di dare una risposta ad un problema creato da un termine? Personalmente preferisco risolvere dei problemi e quindi 'vero' è ciò che sperimento nel vivere che ha la capacità di risolverli. Dopo averlo sperimentato posso consigliare altri di farlo, ma certo non imporlo. Sta a loro 'venire e vedere' se la medicina funziona. Se per loro non è un problema , che posso farci? Quindi solo con la mia vita e il mio esempio posso essere credibile, non certo se sostengo questa o quella teoria relativa o assoluta.
Prendersi cura di tutti gli esseri senzienti significa non fare distinzioni nell'esercitare la compassione, non significa letteralmente prendersi cura numericamente di TUTTI...pensavo fosse chiaro...un pò di intuizione in questo caso. Semplifico: c'è una malattia- ho bisogno di un dottore - devo fidarmi delle medicine prescritte. Se un altro pensa di essere sano - non va in cerca di un dottore - non prende nessuna medicina. Stop.
La violenza fondamentale e primaria è innata nell'essere umano e si lega con la paura. Le teorie sono solo una risposta alla paura . Il problema è la Paura , non le teorie. E' la paura che cerca di 'imporre' le teorie. Se non c'è paura, non c'è imposizione.
Phil la differenza concreta tra supposta verità e opinione non si può definire astrattamente, bisogna vederlo nel concreto dell'agire. Es. Io credo nell'amore e mi prodigo per l'altro( supposta verità dell'amore)-oppure- la mia opinione per adesso è che sia utile prodigarsi per l'altro ( relatività dell'amore). Risultato: ambedue si prodigano per l'altro. La differenza astratta, priva dell'agire concreto, è solo un sofisma per me. Non conosco nulla del dibattito sul post-moderno ( e devo ammettere che mi interessa manco che nulla... ;D ). D'altronde le mie forze intellettuali sono..."relative" ;) , quindi devo operare delle scelte, giusto?
Angelo Cannata, sì , concordo, il Silenzio è la cosa migliore per tutti, tanto è quello che facciamo , o non-facciamo, che parla per noi. Il qualunquismo nasce come sfiducia tu dici e il relativismo non nasce lo stesso dalla sfiducia di poter mai trovare la supposta 'verità'? Ambedue sono degli sfiduciati, in effetti. La 'passione', tu dici ,fa la differenza , ma penso che anche il qualunquista abbia molte passioni ( naturalmente relative a se stesso in questo caso...perché biasimarlo? Avere o non avere passione è cosa relativa in effetti :) ).
Certo che con le pietre del muro di Berlino si possono costruire scuole, ospedali, ecc. ma anche arsenali e fortezze. Perché il costruire scuole, ospedali, ecc. sarebbe da preferire alla costruzione di arsenali e fortezze? Perchè sanare è più 'giusto' che ammazzare? Abbiamo bisogno di un'etica per caso? Ma un'etica è una maledetta imposizione 'calata dall'alto' ( violenza fondamentale e primaria cit. Maral)...
Non mi risulta che la "metafisica viene a significare voler oltrepassare la fisica," pensavo che si occupasse di quelle realtà che non sono spiegabili dalle dimostrazioni empiriche della fisica...e mi sembra , ultimamente, piuttosto sfaccettata e polivalente. Mah...non si finisce mai di imparare... ::)
P.S. Phil, ho aperto il link che hai postato ma appena ho visto la faccia di Vattimo ho chiuso...non lo reggo, mi dispiace...gli esseri ' veramente' deboli odiano l'apologia della debolezza... ;D ;D ;D
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Marzo 2017, 17:50:43 PMForse, per qualche motivo tecnico o involontario, questo mio post a suo tempo non fu letto:
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 20:14:38 PMSe considerate da un punto di vista metafisico, tutte le affermazioni del relativista sono contraddittorie. Egli non potrebbe dire assolutamente niente, ma parla e pensa lo stesso, perché egli non parla e non pensa metafisicamente. ... Il relativista, per poter parlare, non ha altri strumenti a disposizione che le pietre del castello crollato. Perciò il relativista parla, per lo meno in gran parte, con le stesse espressioni del metafisico, nella speranza che si capisca e che non si dimentichi mai che egli non le intende come affermazioni di principio. Il relativista esprime solo racconti, ricordi, aspettative, opinioni, proposte, emozioni, rabbia, ma per esprimere tutto ciò si serve del linguaggio preso a prestito dalla metafisica; dunque, anche il relativista usa il verbo essere, usa parole come "verità", "bisogna", "si deve", "dobbiamo", "è giusto", "è bene", ma il loro senso va sempre inteso come opinione, racconto di un'esperienza, cioè sempre con un sottofondo di apertura al dubbio e alla discutibilità.
La presunzione di certezza non è requisito imprescindibile per l'utilizzo nei nostri giudizi di criteri e categorie a cui attribuire un valore assoluto e universale. Qualunque giudizio o affermazione, anche quelli che contengono elementi come "mi sembra", " forse" presuppongono tali criteri. La ragazza che incontro per strada, che vedo di fronte a me e che "mi sembra" di riconoscere come una mia vecchia compagna di scuola che non vedo da un po', può essere riconosciuta in questo modo in quanto è presente nella mia mente un'immagine-modello regolativo del riconoscimento della mia vecchia compagnia che coincide con il ricordo che ne ho. Questo modello è un criterio a cui attribuisco una valenza universale trascendentale, un assoluto appunto, in quanto è l'immagine mentale che porrei come criterio di riconoscimento in qualunque situazione spazio temporale mi trovi: dovunque sia, quanto più vedrò una ragazza simile a quell'immagine-modello tanto più sarò certo di riconoscerla come la mia compagna. "Mi sembra" di riconoscere la mia compagna perché opero un raffronto tra le due immagini: l'immagine particolare della ragazza che hic et nunc mi sta empiricamente di fronte e l'immagine-modello regolativo dell'identità della mia compagna e scorgo una somiglianza, cioè devo utilizzare quell'immagine-modello. Non c'è alcuna necessità che la prima immagine coincida pienamente con la seconda perché quest'ultima debba essere dalla mia mente utilizzata, coincidenza che determinerebbe la certezza del riconoscimento. Non sono certo che quella ragazza sia lei, ma "mi sembra" di sì, perché sto ponendo un criterio, a cui attribuisco un valore universale ed assoluto, come pietra di paragone in relazione a cui valutare la somiglianza dell'immagine particolare e noto un certo grado di prossimità che mi fa sembrare probabile, anche se non certo il riconoscimento. Ma sia nel caso di giudizi apodittici che opinabili la mia mente utilizza modelli regolativi assoluti, cioè mantenenti la stessa valenza in ogni contesto particolare possibile, senza tali modelli, presunzioni di verità, nessun giudizio sarebbe possibile, anche quelli opinabili, i "mi sembra" nei quali il relativista crede di potersi limitare. L'errore del relativista sta nel confondere un dato evidente, l'imperfezione e la fallibilità della conoscenza umana con l'idea che sia possibile un pensare, quello del relativista, privo di mire verso l'oggettività del vero. Il relativista non tiene conto del carattere di intenzionalità della coscienza, il fatto che ogni presa di posizione giudicante implica sempre un soggetto che si rivolge verso il mondo, "intenzionato" a rappresentare una verità oggettiva, cioè assoluta, indipendente dai punti di vista soggettivi. Io so che sono fallibile e posso sbagliarmi, ma so anche che, fintanto che penso o giudico qualcosa non posso fare a meno di ritenere che ciò che penso e giudico sia oggettivo, cioè valido non solo per me, ma a prescindere da me. Posso non essere sicuro delle mie convinzioni, ma se le ho è perché valuto un livello di vicinanza tra la rappresentazione del reale sottintesa alle mie convinzioni e un ideale regolativo di verità assoluta, di cui posso avere una visione nitida o confusa, che quanto più si avvicina alle mie convinzioni tanto più le rafforza nella loro pretesa di verità, così come nell'esempio della ragazza, la somiglianza dell'immagine particolare al modello-ideale del mio ricordo determina la convinzione del giudizio di riconoscimento. In ogni pensare e giudicare è implicito un mirare verso l'oggettività, mirare che può fallire il suo scopo ma che comunque non può essere negato a livello di movimento intenzionale. Senza tale intenzionalità il rapporto tra coscienza e mondo andrebbe ridotto al livello basico, bestiale e vegetativo di un soggetto che subisce passivamente il bombardamento di sensazioni esteriori, mentre le funzioni mentali superiori, dalla percezione fino al giudizio presuppongono la capacità dell'Io interpretante di rivolgersi attivamente verso questo caos di sensazioni dandogli una forma, un ordine, un significato alla luce di categorie estetiche, teoretiche, morali, su cui si formano i nostri giudizi e a cui attribuiamo una validità universale ed assoluta, indipendente dalla contingenza empirica dei contesti verso cui li applichiamo. Conoscere è giudicare e giudicare è sempre ricondurre il particolare all'universale, e questo è un dato che accomuna la mente di tutti, relativisti e assolutisti.
Per quanto riguarda, rispondo soprattutto a Maral, il discorso dei "contesti", credo si possa dire che dalla molteplicità dei contesti derivi la necessità di differenti mezzi e forme con cui realizzare i valori che sono il fondamento della mia coscienza morale, ma non sono i contesti ad inficiare la valenza di universalità che attribuisco ai valori stessi. In certi casi il contesto fa sì che la realizzazione di un certo valore debba passare anche per delle incoerenze, delle infrazioni alla norma del valore stesso, che però sono strumenti necessari per tutelare quel valore in una misura più ampia di quella che sarebbe senza passare per tali deviazioni. Uno stato che pone come valore assoluto la libertà individuale dei cittadini e riconoscerà nella tutela della vita una condizione indispensabile di tale libertà dovrà incarcerare gli assassini. Dovrà cioè limitare la libertà di alcuni, gli assassini, per preservare una libertà maggiore, quella sottintesa alla vita delle persone. Il contesto ha cioè suggerito la necessità di un'incoerenza rispetto al valore, però strumentale alla realizzazione ed alla conservazione del valore stesso, cioè la libertà, che resta così assoluto fondativo della coscienza morale. Nel caso in cui in un certo contesto un certo valore venga non solo tradito strumentalmente per preservarlo a livello più ampio, ma totalmente negato, allora si dovrà arrivare alla conclusione che quel valore già da prima non era per noi il più importante, l'assoluto, ma ad esso è stato anteposto un valore per noi superiore, e il "contesto" è stata solo l'occasione per rendersene conto a posteriori, ma non è stata la causa efficiente di tale cambiamento. Ogni decisione, ogni giudizio, ogni atto libero della nostra coscienza è sempre la conseguenza di un conflitto interno di motivi e valori tra loro confliggenti nel quale il superiore prevale sull'inferiore, ed i contesti sono solo il "campo di battaglia", il luogo di realizzazione dei valori che noi soggettivamente poniamo come superiori, ma non determinano i gradi della gerarchia (a meno di voler negare assolutamente il libero arbitrio). Ogni valore lo si avverte come più o meno importante di un altro all'interno di una gerarchia personale etica, e se tradiamo un valore è sempre in nome di uno superiore. Alla vetta della gerarchia stanno i valori che possiamo definire assoluti e fondativi della coscienza morale, assoluti nel senso che non possono essere vincolati agli altri, che gli sono inferiori per la nostra sensibilità interiore, e fondativi nel senso che tutti gli altri traggono la loro importanza nell'essere simili e adeguati ad essi, e non contrastanti
Ho provato ad immaginarmi un architetto (ma vale analogamente per tutto il resto) e che a un certo punto questo pensa:
Visto che tutto e' assolutamente relativo e che non esistono principi e verità autonome e indipendenti ma solo riconducibili alla mente umana...allora perché non provare a costruire una casa a cominciare dal tetto anziché dalle fondamenta?
ma e' talmente evidente, pure troppo infantile capire che, partire dalle fondamenta, come può essere il caso sopra e' il principio e la verità incontrovertibile e che ce già, completamente autonoma e indipendente e non e' certo la mente umana ad averla inventata.
siamo sicuri che il tema e' come da titolo oppure si continua a discutere sulla pazzia pura e semplice?
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 00:48:14 AMPerché il costruire scuole, ospedali, ecc. sarebbe da preferire alla costruzione di arsenali e fortezze?
Infatti non lo si fa perché sia da preferire, ma soltanto perché viene a risultare una preferenza condivisa; in sé potrebbe anche essere sbagliata o insensata, ma siccome tanti la condividono, fanno ciò che hanno condiviso. In questo senso anche il singolo opera le sue scelte in base alle sue condivisioni interiori, dettate non da criteri oggettivi, ma dall'insieme di tutti i condizionamenti ricevuti fino a quel momento; tale insieme può essere chiamato semplicemente storia.
Citazione di: davintro il 12 Marzo 2017, 01:16:02 AMQuesto modello è un criterio a cui attribuisco una valenza universale trascendentale, un assoluto appunto, in quanto è l'immagine mentale che porrei come criterio di riconoscimento in qualunque situazione spazio temporale mi trovi: dovunque sia, quanto più vedrò una ragazza simile a quell'immagine-modello tanto più sarò certo di riconoscerla come la mia compagna.
Ma guarda che dopo Platone ne sono venuti di altri filosofi, non è che la filosofia si sia fermata lì.
Citazione di: acquario69 il 12 Marzo 2017, 07:12:42 AM... la verità incontrovertibile e che ce già, completamente autonoma e indipendente e non e' certo la mente umana ad averla inventata.
Riesci a pensare "incontrovertibile" senza usare mente umana? E se per poter pensare che è una verità incontrovertibile devi necessariamente usare la tua mente umana, chi ti garantirà che non è la mente umana ad averla inventata? Chi ti garantisce che non sia la mente umana ad essersi falsamente persuasa che le case costruite partendo dal tetto non reggono? Mi dirai che è il fatto stesso che non reggono? Ma per dirlo hai dovuto usare la tua mente umana, o no?
In altre parole, hai modo di dimostrare che tutta l'esistenza, tutto il mondo, tutte le case che non reggono se fabbricate cominciando dal tetto, incluso te stesso che stai leggendo questo post, non sia tutto un sogno?
Come a te sembra ovvio che una casa costruita partendo dal tetto non regge, ci sono state epoche in cui tutti sul pianeta terra erano convinti che la terra fosse piatta e consideravano ciò verità incontrovertibile. Poi si scoprì che non lo era. Se è già successo, cosa vieta che succeda ancora, con qualsiasi altra verità che consideriamo incontrovertibile?
Citazione di: acquario69 il 12 Marzo 2017, 07:12:42 AMsiamo sicuri che il tema e' come da titolo oppure si continua a discutere sulla pazzia pura e semplice?
Chi è che in questo mondo deve stabilire chi sono i pazzi?
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 07:57:28 AM
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 00:48:14 AMPerché il costruire scuole, ospedali, ecc. sarebbe da preferire alla costruzione di arsenali e fortezze?
Infatti non lo si fa perché sia da preferire, ma soltanto perché viene a risultare una preferenza condivisa; in sé potrebbe anche essere sbagliata o insensata, ma siccome tanti la condividono, fanno ciò che hanno condiviso. In questo senso anche il singolo opera le sue scelte in base alle sue condivisioni interiori, dettate non da criteri oggettivi, ma dall'insieme di tutti i condizionamenti ricevuti fino a quel momento; tale insieme può essere chiamato semplicemente storia.
Citazione di: davintro il 12 Marzo 2017, 01:16:02 AMQuesto modello è un criterio a cui attribuisco una valenza universale trascendentale, un assoluto appunto, in quanto è l'immagine mentale che porrei come criterio di riconoscimento in qualunque situazione spazio temporale mi trovi: dovunque sia, quanto più vedrò una ragazza simile a quell'immagine-modello tanto più sarò certo di riconoscerla come la mia compagna.
Ma guarda che dopo Platone ne sono venuti di altri filosofi, non è che la filosofia si sia fermata lì.
Citazione di: acquario69 il 12 Marzo 2017, 07:12:42 AM... la verità incontrovertibile e che ce già, completamente autonoma e indipendente e non e' certo la mente umana ad averla inventata.
Riesci a pensare "incontrovertibile" senza usare mente umana? E se per poter pensare che è una verità incontrovertibile devi necessariamente usare la tua mente umana, chi ti garantirà che non è la mente umana ad averla inventata? Chi ti garantisce che non sia la mente umana ad essersi falsamente persuasa che le case costruite partendo dal tetto non reggono? Mi dirai che è il fatto stesso che non reggono? Ma per dirlo hai dovuto usare la tua mente umana, o no? In altre parole, hai modo di dimostrare che tutta l'esistenza, tutto il mondo, tutte le case che non reggono se fabbricate cominciando dal tetto, incluso te stesso che stai leggendo questo post, non sia tutto un sogno? Come a te sembra ovvio che una casa costruita partendo dal tetto non regge, ci sono state epoche in cui tutti sul pianeta terra erano convinti che la terra fosse piatta e consideravano ciò verità incontrovertibile. Poi si scoprì che non lo era. Se è già successo, cosa vieta che succeda ancora, con qualsiasi altra verità che consideriamo incontrovertibile?
Citazione di: acquario69 il 12 Marzo 2017, 07:12:42 AMsiamo sicuri che il tema e' come da titolo oppure si continua a discutere sulla pazzia pura e semplice?
Chi è che in questo mondo deve stabilire chi sono i pazzi?
Mi sembra che più che argomentare ti diverta a provocare... ;D. Legittimo, beninteso, ma senza argomentazioni solide anche la provocazione si risolve in un sasso buttato nell'acqua che provoca un pò di onde e poi , lentamente, l'acqua si placa e ...tutto ritorna come prima...
Quindi ritieni che , se è una preferenza condivisa dalla maggioranza l'ammazzare, in un dato momento storico, non è eticamente sbagliato l'ammazzare? Credo che fosse esattamente l'opinione dei nazisti. Anche i cittadini del Reich erano condizionati storicamente e culturalmente e la maggioranza condivideva l'opinione di zio Adolf. Perché quindi processarli ?...Questo è qualunquismo ( 'qualunque' opinione va bene purchè condivisa dalla maggioranza e dal sentire in quel dato momento storico...). La storia non è solo condizionamento, ma anche libertà e superamento attraverso la ragione, E' la ragione infatti che ha permesso il superamento del condizionamento e convinzione 'storica' che la Terra fosse piatta...
Non mi sembra che tu abbia presentato alcuna argomentazione per obiettare alla riflessione di davintro che trovo veramente ben strutturata ( quando leggo davintro mi rendo conto di quanto sono scarso in filosofia... :-[ ). Non ha senso dire che non possiamo dimostrare che tutta la realtà è un sogno. Che sia un sogno , un incubo o un'allucinazione ci sono delle leggi incontrovertibili che regolano questo sogno, incubo o allucinazione e queste leggi valgono per me come per A. Cannata. La prima e fondamentale è la legge della nutrizione a cui nessun essere vivente può sfuggire ( a meno che tu non riesca a dimostrarmi che puoi vivere senza nutrirti...). Quindi , che sia un sogno, un incubo o un'allucinazione collettiva le case NON possono costruirsi partendo dal tetto con le tecnologie attuali e le eventuali nuove tecnologie che lo renderanno forse possibile saranno trovate dalla ragione e dalle leggi della ragione e non dalle opinioni storiche condivise dalla maggioranza.
Per dirmi tutto ciò che hai scritto, hai dovuto usare il tuo cervello. Ugualmente anch'io, per poterlo leggere. Chi ci garantirà che i nostri cervelli non si sono ingannati? Qualunque riposta mi darai, qualunque strumento userai, non potrai fare a meno di metterci sempre in mezzo il tuo cervello. Non lo dico come verità assoluta, ma perché così immagino; rimango in ricerca se non sia meglio pensarla diversamente.
Una volta che ci risulta umanamente impossibile pensare senza usare il cervello, e sapendo che il cervello non riesce ad offrire alcuna garanzia contro l'inganno, che fiducia possiamo dare al nostro pensare?
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 09:11:37 AMPer dirmi tutto ciò che hai scritto, hai dovuto usare il tuo cervello. Ugualmente anch'io, per poterlo leggere. Chi ci garantirà che i nostri cervelli non si sono ingannati? Qualunque riposta mi darai, qualunque strumento userai, non potrai fare a meno di metterci sempre in mezzo il tuo cervello. Non lo dico come verità assoluta, ma perché così immagino; rimango in ricerca se non sia meglio pensarla diversamente. Una volta che ci risulta umanamente impossibile pensare senza usare il cervello, e sapendo che il cervello non riesce ad offrire alcuna garanzia contro l'inganno, che fiducia possiamo dare al nostro pensare?
Ma ingannati riguardo a che cosa? Cosè quella cosa che ti 'tormenta' e che immagini t'inganni? Il pensiero? Il pensiero che ci sia o non ci sia una 'verità'? E' solo un termine convenzionale del linguaggio. Ma l'uomo è solo pensiero? Non puoi 'pensarla' diversamente usando il pensiero, è totalmente contraddittorio. Il pensiero ha i suoi limiti , ma è pure un formidabile strumento , molto affilato e in grado di risolvere molti problemi. Il 'mondo' è una rappresentazione e concettualizzazione fatta dal cervello umano e questa rappresentazione è necessaria e il fatto che tra noi si sta discutendo dimostra che la rappresentazione fatta è condivisa sul piano delle strutture di linguaggio. Forse che un asino si preoccupa di non pensarla da asino? E perchè tu uomo ti preoccupi e desideri non pensarla da uomo?
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 09:53:52 AM
Il 'mondo' è una rappresentazione e concettualizzazione fatta dal cervello umano e questa rappresentazione è necessaria e il fatto che tra noi si sta discutendo dimostra che la rappresentazione fatta è condivisa sul piano delle strutture di linguaggio.
Ottimo. Quindi come fai a dirmi che ammazzare è eticamente sbagliato?
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 10:09:50 AM
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 09:53:52 AMIl 'mondo' è una rappresentazione e concettualizzazione fatta dal cervello umano e questa rappresentazione è necessaria e il fatto che tra noi si sta discutendo dimostra che la rappresentazione fatta è condivisa sul piano delle strutture di linguaggio.
Ottimo. Quindi come fai a dirmi che ammazzare è eticamente sbagliato?
Per il semplice fatto che, come ho scritto sopra, l'uomo non è semplicemente e solo pensiero. ( "c'è di più"...così faccio un pò di pubblicità al topic così intitolato... :D ).
Alcune considerazioni che vorrei condividere sull'argomento. Intanto mi "schiero" dalla parte dei relativisti, anche se mi piacerebbe che si potessero individuare almeno tre leggi fondamentali, un pò come quelle tre leggi della robotica, inventate da I. Asimov. Un precetto che secondo me non si può effettivamente relativizzare è quello della tutela della "dignità" della persona umana fisica. Un secondo precetto è quello della tutela dell'ambiente fisico che ci ospita, anch'esso non relativizzabile. Ovvio che se iniziassimo a discutere sul come.... :-\
1) E' stata talvolta esposta la presenza di leggi fisiche/naturali come la evidente presenza di leggi assolutistiche. Credo che sia importante mantenere la distinzione fra Geistwissenshaft e Naturwissenshaft, ovvero fra scienza dell'uomo e scienza della natura. Le due non sono mai sovrapponibili e quando è stato fatto i risultati sono stati orribili (darwinismo sociale, scienza del razzismo fino agli ultimi possibili epiloghi delle neuroscienze). Kant è stato tentato da questa sovrapposizione nella sua famosa frase sulla legge morale in me e il cielo stellato su di me. Ritengo che solo sul primo si possa fare un discorso relativista (escludendo da questo topic, la discussione su certe teorie scientifiche che presuppongono la possibilità che le leggi fisiche valide sulla terra possano non esserlo sul pianeta X).
2) Assolutismo e relativismo richiamano un altro binomio fondamentale, quello fra ordine e caos. Ogni storia religiosa serve a definire e a dare chiarezza ad un mondo dove è la paura il principio di ogni cosa, come giustamente sottolinea Sariputra, e il monoteismo di sicuro definisce meglio. All'alba del mondo moderno però quel caos è riemerso con le lotte di religione e la soluzione fu proprio l'ordine politico assolutista, teorizzato in modo esemplare da Hobbes. Ab-solutus significa sciolto da ogni vincolo. Il re assoluto di Hobbes è svincolato da ogni valore naturalistico o religioso ed esige la completa sottomissione del corpo politico.
3) Quell'assolutismo è proseguito ed ha forgiato anche quel movimento che apparentemente si era opposto ad esso, ovvero l'Illuminismo. L'Illuminismo infatti dopo essersi retto in precario equilibrio fra istanze naturalistiche e richiamo a supposte leggi morali universali e assolute (Kant) non ha fatto altro che strutturare un assolutismo ancora più feroce, fondato non sul primato politico ma sul primato scientifico-tecnologico al servizio della ricchezza capitalistica. In questo modo si crea una bizzarra sacra alleanza fra illuminismo e valori assolutistici siano essi religiosi, economici o scientisti.
4) La seconda rottura è avvenuta con l'avvento dei totalitarismi, ovvero quel messaggio di unione fra politica e sviluppo tecnologico che imponeva una nuova sottomissione assolutistica terribile. Da lì è iniziata una nuova riflessione sulla modernità e sui suoi "bachi" interni, teorizzata ancor prima dai profeti antimoderni. Ma i primi critici non facevano altro che riscoprire ancestrali valori assoluti con cui sostituire i nuovi assolutismi "tecnologici", e mi riferisco ad esempio a Nietzsche e a Dostoevskij che si riferivano a valori come la pura forza o il recupero del Dio della tradizione. Il relativismo emerge a questo punto come tentativo del sistema immunitario della modernità di far fronte alla sua stessa malattia.
5) Il relativismo è il riaffioriare del lato del caos. Mi ha colpito quello che dice Angelo a proposito del linguaggio, sull'uso delle parole che viene sempre problematizzato dal relativista, per cui il significato di ogni parola, anche la più neutra e chiara diventa una "doxa". In fondo è proprio il linguaggio il primo strumento dell'ordine e su Giovanni 1-1 sono state scritte intere enciclopedie (che tra l'altro ci suggerirebbero ulteriori percorsi sull'argomento che stiamo trattando).
6) Ma questa ripresa sul lato del caos nasce dagli eventi tragici del XX secolo e da una serie di eventi che continuano anche ai nostri giorni: la rivolta della natura contro noi stessi in termini di inquinamento, cambiamento climatico e sovrapopolamento.
Mi spiego: per tutta la storia dell'uomo fino a 50 anni fa, abbiamo potuto riversare sulla natura le nostre contraddizioni. Se in Inghilterra vi era un problema sociale, bastava far emigrare i poveri o i detenuti nella semidesertica Australia. Se si necessitava di ulteriore energia per evitare di trasformare gli uomini occidentali in bestie da soma (come accadeva nel Medioevo), bastava sfruttare di più i pozzi di petrolio. Se bisognava dar da mangiare all'aumentata popolazione bastava aumentare le flottiglie di pescherecci sui mari del mondo. Ora lo sviluppo fondato sul binomio tecnologia-capitalismo mostra di essere giunto a capolinea, sia per motivi ideologici come accennato a proposito dell'ideologia illuministica, sia per motivi strettamente fisici, ovvero la fine delle risorse e il condizionamento delle attività umane sul clima.
Ecco che il caos contrapposto all'ordine riaffiora, riaffiora l'ambivalenza, la contradditorietà e il relativismo come occasione per problematizzare lo stato di cose "storico" che ne è marxianamente il substrato (o se preferite la struttura).
E' un argomento decisivo della storia dell'uomo del XXI secolo saper gestire questo stato di cose, onde evitare la Scilla del pensiero assoluto con quanto di violento esso esprime a livello concettuale ed ha già espresso a livello storico, e la Cariddi del caos dove tutte le vacche sono nere (tra l'altro famosa definizione di Hegel in fenomenologia dello spirito, nella quale, guarda caso si parla proprio del concetto di assoluto, ma probabilmente qui si aprirerebbe un'altra lunga finestra).
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 00:48:14 AM
Phil la differenza concreta tra supposta verità e opinione non si può definire astrattamente, bisogna vederlo nel concreto dell'agire. Es. Io credo nell'amore e mi prodigo per l'altro( supposta verità dell'amore)-oppure- la mia opinione per adesso è che sia utile prodigarsi per l'altro ( relatività dell'amore). Risultato: ambedue si prodigano per l'altro. La differenza astratta, priva dell'agire concreto, è solo un sofisma per me.
Mi pare che la differenza non sia astratta: cosa c'è di più concreto e "pulsante" del modo in cui
vivi una scelta, del vissuto che colora il tuo agire? Per i robot conta solo il gesto e l'azione esecutiva (fare-x piuttosto che fare-y), per noi (e lo sai meglio di me ;) ) conta la consapevolezza e l'intenzione con cui compiamo e viviamo una scelta... se mi prodigo per l'altro nella
certezza assoluta di compiere il Bene, o nella
speranza di fare la cosa giusta (o almeno non causare danni), oppure nella pura gratuita
arbitrarietà di un gesto istintivo, oppure nel pieno
dubbio del valore del mio gesto, non fa proprio alcuna differenza? Si tratta davvero solo di una distinzione sofistica? Se è così, entriamo in un approccio meccanicistico disumanizzato che sfascia l'etica dalle fondamenta, ben altro che relativizzarla ;D
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 00:48:14 AM
P.S. Phil, ho aperto il link che hai postato ma appena ho visto la faccia di Vattimo ho chiuso...non lo reggo, mi dispiace...gli esseri ' veramente' deboli odiano l'apologia della debolezza... ;D ;D ;D
Ovviamente mi interessava solo porti l'informazione sulla "debolezza" in modo sintetico (per questo sono ricorso a wikipedia) la presenza di Vattimo è irrilevante (infatti non è lui l'autore del paragrafo che ti inìdicavo e non sono nemmeno tanto pratico della sua filosofia...)
@davintroCredo che il relativismo praticabile (e praticato) non sia quello radicalizzato (e ridicolizzato) secondo cui quando incontro mio zio, lo guardo e sono portato a dubitare che sia davvero lui... il raffronto con l'oggettività empirica, o modello condiviso di riferimento, non è secondo me il nocciolo del relativismo; il relativismo si palesa soprattutto quando c'è la mancanza dell'oggettività e la soggettività diventa problematica: che quella persona sia oggettivamente mio zio è in qualche modo verificabile, ma a quale oggettività mi appello (o tendo) se devo fare una scelta morale o esistenziale? Se mi riferisco ad una gerarchia di valori assoluti meta-individuale allora non sono relativista, se uso solo ciò che ho momentaneamente a disposizione nella mia prospettiva (senza ignorare il contesto in cui agisco), allora sono relativista (e credo in entrambi i casi non ci sia oggettività da rincorrere asintoticamente...).
In breve, mi pare che il non relativista proietti fiduciosamente la solidità del'oggettività anche in altri domini umani, il relativista è invece più sfiduciato e "sperimentale" (e non giudico il migliore o il peggiore fra i due approcci, cerco solo di rispettarne la differenza... se questo mi dipinge come "relativista", in fondo, non mi dispiace :) ).
@JacopusLa tua citazione della
doxa mi sembra molto significativa del percorso storico dell'occidente: la filosofia è nata come tentativo di coltivare l'
episteme (verità compresa come assoluta) bonificando il terreno umano dalla
doxa (opinione debole e ingenua); dopo più di duemila anni, le due si ritrovano ad essere settorializzate: l'
episteme cresce rigogliosa sul campo scientifico (ben fertilizzata dallo sviluppo tecnologico), mentre la
doxa rimane "muschiosa" nel sottobosco delle riflessioni umanistico-antropologiche (concimata dall'humus del relativismo).
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 10:30:07 AMPer il semplice fatto che, come ho scritto sopra, l'uomo non è semplicemente e solo pensiero.
Riesci a dire che "l'uomo non è semplicemente e solo pensiero" senza usare il tuo pensiero? Se la risposta è no, chi ci potrà assicurare che l'affermazione "l'uomo non è semplicemente e solo pensiero" non sia altro che un'invenzione del pensiero?
Citazione di: Jacopus il 12 Marzo 2017, 11:00:37 AM... la Scilla del pensiero assoluto con quanto di violento esso esprime a livello concettuale ed ha già espresso a livello storico, e la Cariddi del caos dove tutte le vacche sono nere (tra l'altro famosa definizione di Hegel in fenomenologia dello spirito, nella quale, guarda caso si parla proprio del concetto di assoluto, ma probabilmente qui si aprirerebbe un'altra lunga finestra).
Se il relativismo fosse caos in cui tutte le vacche sono nere, esso non sarebbe altro che una versione alternativa della metafisica: entrambi non farebbero altro che pretendere di affermare delle verità. Il relativismo non sostiene che tutte le vacche sono nere, perché sa di non poter sostenere nulla, e non sa neanche se ciò stesso sia vero. Non potendo sostenere nulla, il relativismo procede per tentativi, si immerge nella storia e prova ad ascoltare ciò che sembra umano. Sia la storia che l'umano non sono caos; possono essere ritenuti caos solo da chi non riesce in alcun modo a mettere in discussione la propria idea di ordine: se non è ordine
come dico io, allora è caos. All'essere caos e all'essere ordine ci sono altre alternative, tra cui il divenire.
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 12:04:00 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 10:30:07 AMPer il semplice fatto che, come ho scritto sopra, l'uomo non è semplicemente e solo pensiero.
Riesci a dire che "l'uomo non è semplicemente e solo pensiero" senza usare il tuo pensiero? Se la risposta è no, chi ci potrà assicurare che l'affermazione "l'uomo non è semplicemente e solo pensiero" non sia altro che un'invenzione del pensiero?
Lo posso dimostrare con il mio essere, con il mio vivere, con tutto ciò che fa parte dell'agire, con l'amore che posso dare o rifiutare, con la compassione che posso praticare o rifiutare, con la coscienza, ecc. Il pensiero lo può solo indicare, è il famoso dito, non è la Luna.. E' il linguaggio che può essere contradditorio quando usato come strumento per conoscere quello che non è pensabile. E perchè hai bisogno che qualcuno ti 'assicuri' qualcosa? Pensi forse che troverai una formula verbale che ti 'assicura' qualcosa? Non vedi i limiti del linguaggio? Hai proprio bisogno che arrivi qualcuno a dimostrarti qualcosa? Perché rifiutare per partito preso adducendo il pretesto "sono solo opinioni" ( del pensiero) come se l'esistere si riducesse al pensare?
Se ciò fosse vero, il tuo essere sarebbe in grado di togliere agli altri la possibilità di dubitare. Ciò che la metafisica persegue è infatti questo: raggiungere almeno una, anche una sola certezza, che non consenta alcuna possibilità di dubbio. La metafisica non ci riesce. Tu dici di riuscirci attraverso il tuo essere, il tuo vivere?
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 14:06:39 PMSe ciò fosse vero, il tuo essere sarebbe in grado di togliere agli altri la possibilità di dubitare. Ciò che la metafisica persegue è infatti questo: raggiungere almeno una, anche una sola certezza, che non consenta alcuna possibilità di dubbio. La metafisica non ci riesce. Tu dici di riuscirci attraverso il tuo essere, il tuo vivere?
Il mio essere non potrà mai togliere agli altri la possibilità di dubitare. Ma non si vive per togliere agli altri la possibilità di dubitare. Dove sta scritta 'sta cosa? Per questo io non faccio metafisica e non faccio relativismo. Se una cosa mi fa dubitare , dubito. Se un'altra non mi fa dubitare, non dubito. Dove sta il problema?
Quindi non è vero che tu riesca a dimostrare, attraverso il tuo essere e la tua vita, che ammazzare sia eticamente sbagliato.
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 14:20:45 PMQuindi non è vero che tu riesca a dimostrare, attraverso il tuo essere e la tua vita, che ammazzare sia eticamente sbagliato.
Ammazza che estremista! Certo che da battezzare a dubitare che ammazzare qualcuno sia male, il passo è grande...va bè...ognuno segue il suo karma... :)
Ripeto per l'ennesima volta: te lo devo dimostrare con una formula verbale? Se non lo scopri dentro te stesso, come te lo posso dimostrare con una formula verbale?
Un altro potrebbe dire che sei tu che devi scoprire dentro te stesso che ammazzare è una cosa giusta.
@Phil scrive:
Mi pare che la differenza non sia astratta: cosa c'è di più concreto e "pulsante" del modo in cui vivi una scelta, del vissuto che colora il tuo agire? Per i robot conta solo il gesto e l'azione esecutiva (fare-x piuttosto che fare-y), per noi (e lo sai meglio di me (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ) conta la consapevolezza e l'intenzione con cui compiamo e viviamo una scelta... se mi prodigo per l'altro nella certezza assoluta di compiere il Bene, o nella speranza di fare la cosa giusta (o almeno non causare danni), oppure nella pura gratuita arbitrarietà di un gesto istintivo, oppure nel pieno dubbio del valore del mio gesto, non fa proprio alcuna differenza? Si tratta davvero solo di una distinzione sofistica? Se è così, entriamo in un approccio meccanicistico disumanizzato che sfascia l'etica dalle fondamenta, ben altro che relativizzarla (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)
Vedi che non è l'idea ( relativo o assoluto) che fa la differenza ma proprio l'autenticità del proprio vissuto? E nell'atto autentico dell'agire non può esserci un a-priori preconfezionato, se no non è un atto autentico. Andrebbero investigate piuttosto le motivazioni, ben più profonde dell'idea, che ci spingono ad agire in un modo piuttosto che in un altro. tra queste , a mio avviso, una delle predominanti è la Paura. E' la paura che, a mio avviso, agisce da supporto al bisogno di aderire ad un 'idea "assoluta" ed è sempre la paura che ci fa fuggire verso l'idea opposta, quindi un pendolo che oscilla continuamente da una parte all'altra in relazione a ciò che ci fa più o meno paura.
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 14:45:46 PMUn altro potrebbe dire che sei tu che devi scoprire dentro te stesso che ammazzare è una cosa giusta.
Sei uscito di senno? Calmati e prendi fiato...concentarti sul respiro...
Ho già fatto notare in precedenza che i metafisici sembrano avere una particolare simpatia per l'idea di mandare gente al manicomio.
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Marzo 2017, 15:00:10 PM
Ho già fatto notare in precedenza che i metafisici sembrano avere una particolare simpatia per l'idea di mandare gente al manicomio.
CitazioneIo invece ho già fatto notare che certi "relativisti" sembrano avere una particolare simpatia per l'idea di attribuire a chi dissente da loro fantasiose e infondate intenzioni infamanti (e di reiterarle dopo che sono state ampiamente e inequivocabilmente destituite di ogni fondamento)
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 14:51:43 PM
Vedi che non è l'idea ( relativo o assoluto) che fa la differenza ma proprio l'autenticità del proprio vissuto? E nell'atto autentico dell'agire non può esserci un a-priori preconfezionato, se no non è un atto autentico.
Infatti il relativismo non è un "a-priori preconfezionato", e proprio per questo mettevo in corsivo espressioni come "di volta in volta", "per adesso", "opinioni", etc. tutte precisazioni
deboli che alludono all'opposto dell'a priori, e scandiscono di fatto la prassi del relativista, prassi che è differente (non migliore) dagli altri approcci, che danno un loro "colore" (etico, esistenziale, emotivo, etc.) al vissuto in questione... quindi ridurre tutte le tonalità disponibili a un monocromatico "ambedue si prodigano per l'altro"(cit.), significa rinunciare a considerare i colori e il vissuto nella sua pienezza (ipotesi comunque percorribile,
de gustibus...).
Chi sostiene che il relativismo sia comunque una struttura forte e rigida, prevedibile (?), assoluta (??), magari riassumibile nel motto "qualunque cosa tu dirai, ne dubiterò perché so già che non è vero", non parla del relativismo "autentico" (v. post precedente sul tema), ma di ben altro approccio
dogmatico...
Il relativista risulta perlopiù refrattario all'a priori,
ma non perché lo ha già deciso a priori, bensì perché sino ad un attimo prima ha mostrato concretamente questa tendenza (se non si coglie questo, il relativismo resterà un rebus senza possibilità di soluzione ;) ).
Non c'è nulla di sbagliato nel dubitare, nell'interrogarsi, nel mettersi in discussione. Questo mi sembra dovrebbe essere l'abito stesso del filosofo o del ricercatore. Quello che mi sembra contestabile è che il relativista avochi a sè questa caratteristica fondamentale escludendo che il fatto di dubitare sia qualcosa che è insito anche nell'approccio metafisico, altrimenti non sarebbero spiegabili le innumerevoli teorie sulla realtà che la metafisica propone. Un'altra cosa che non condivido è l'affermazione che ciò che non è relativo è dogmatico, ossia che l'abbracciare una teoria ti faccia automaticamente diventare un dogmatico. Questo è palesemente falso. Come mi sembra falso che la metafisica non sia una realtà 'in divenire'. Ogni metafisico è pronto a modificare la sua teoria e formularne un'altra , se al suo lavoro logico appare meno contraddittoria. Quindi quando si parla di 'colori' non è possibile ridurre al monocromatismo nemmeno l'approccio metafisico.
Poi, parliamoci chiaro, pensi veramente che esistano persone 'ragionevoli' che non dubitino prima di compiere un'azione?...
Noto per esempio che anche i relativisti hanno la tendenza di 'definire' le persone secondo i propri schemi mentali. Se adesso critico la posizione relativista perchè mi appare poco convincente, così criticavo le posizioni fideistiche e assolutistiche di alcuni utenti nella sezione spiritualità perchè anche le loro mi apparivano poco convincenti ( credo si possano definire "epiche" le mie discussioni col mitico Duc sul concetto di fede... ;D ) . Quindi rifiuto la definizione di 'metafisico' appioppatami . Io non sono nè assolutista , nè relativista...sono solo uno che 'passa il tempo a cercar di colorare le stelle che portiamo nel cuore'... :)
** scritto da maral:
CitazioneVerità è il vivere errando e a ogni errore chiedersi ancora: cosa è la verità?
Errando, errando, caro
@maral, si finisce poi per comprendere davvero qual è la verità. Sbagliando s'impara, no?!
Il problema è che essa però, una volta manifestataci, non ci aggrada, poiché dovremmo "sacrificare", per relazionarci completamente con essa, una parte nostra ben salda sul piedistallo dell'assoluto, ma che in realtà è più misera di un sotterfugio relativista.
In realtà noi facciamo come Pilato che girò i tacchi dopo aver esposto questo tuo stesso dilemma a Gesù:
"...che cos'è la verità?..." - dimenticando che noi, rispetto a Pilato, siamo "fortunati", perché possiamo leggere, comodamente seduti in poltrona con una pipa in bocca sorseggiando un rum nobile, il continuo della leggenda, e comprendere che la verità è che da soli, e col relativismo, si può solo esistere, come tu ben dici, errando ..errando ...errando ...
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 19:50:41 PMCome mi sembra falso che la metafisica non sia una realtà 'in divenire'. Ogni metafisico è pronto a modificare la sua teoria e formularne un'altra , se al suo lavoro logico appare meno contraddittoria.
Non è esattamente così. La metafisica è "nata vecchia" dicevano gli antichi, perchè è così com'è da sempre e lo sarà per sempre, dato che è la disciplina che si occupa di verità indiscutibili, che non sono affatto dogmi ma semplicemente non si possono contestare sul piano logico senza contraddirsi. Ma, qui sopra, tutti quelli che si definiscono "relativisti" hanno fatto molti esempi di "verità metafisiche" che invece non lo sono affatto mostrando di non conoscere ciò di cui parlano. La metafisica si occupa di "ovvietà", di cose che non si possono contestare in alcun modo. Il "tutto" è un concetto metafisico, come l'essere parmenideo, l'Uno di Plotino o l'infinito o il Brahman induista. Vogliono dire tutti la medesima cosa ma in un modo diverso. Se io dico "tutto" senza specificazioni vuol dire che ho detto proprio tutto, ma coloro che non sono in grado di comprendere che dal tutto non può essere escluso niente di niente perchè usano questa parola solo in senso relativo o come aggettivo allora tentano di contestarla, cadendo chiaramente in contraddizione (anche se non lo ammettono mai); Poi dai concetti metafisici si possono fare, a cascata, delle deduzioni, e queste saranno più o meno corrette a seconda della capacità intellettuale di chi le fa (sul frammento dell'essere e non essere di Parmenide si sono scritti miliardi di parole, la maggior parte sbagliate) ed è su queste deduzioni che potranno sorgere dubbi, che andranno risolti con l'impegno intellettuale e il ragionamento, fatti salvi i concetti basilari incontestabili. Coloro che non sono in grado di comprendere i concetti metafisici fondamentali solitamente sono quelli che confondono ad esempio il "tutto" con il "nulla", perchè se non possono immaginarsi qualcosa di specifico, di chiaramente definibile (dunque limitabile), allora lo considerano semplicemente "nulla"; in pratica pensano alla rovescia. Vi sono poi dei principi metafisici altrettanto incontestabili (pena l'insanabile contraddizione) come il famoso frammento di Parmenide e quello che afferma "ex nihilo nihil fit" e anche qui non vedo come si possa affermare il contrario se non negando il significato delle parole. Se lo si facesse sarebbe come quello che cerca di capire com'è fatta una mela e poi va a cercarla e torna con una banana o un carciofo: significa che ha qualche problemino. Il "panta rei" eracliteo per quanto corretto non è comunque un principio (o una "verità") metafisico, perchè solo nel mondo fisico "tutto scorre" dato che è il mondo del divenire, mentre nel mondo metafisico non c'è nulla che "diviene" e niente che scorre.
Poi qualcuno può utilizzare la parola "verità metafisica" impropriamente ed affibbiarla a frasi del tipo "l'uomo è superiore a tutti gli altri animali" mentre questa oltre a non essere una verità pura e semplice è men che meno una affermazione "metafisica". Altro errore che si fa spesso è quello di confondere le definizioni convenzionali che noi diamo alle parole che servono per indicare qualcosa con una "verità metafisica": Affermare che una mela è un frutto rotondo che cresce sugli alberi in autunno non è una verità metafisica, ma solo una maniera convenzionale e condivisa di indicare "quella cosa lì". E se anzichè la mela si prendono ad esempio concetti astratti come il pensiero, l'amore, la libertà, la vita, la morte, il bene, la giustizia eccetera si può vedere come la confusione possa essere molto maggiore.
In ogni caso la metafisica non c'entra proprio nulla con l'assolutismo perchè quest'ultimo è invece, come avevo già scritto, il relativo elevato arbitrariamente ad assoluto; c'entra invece con l'assoluto puro e semplice (nel senso di "slegato", indipendente) in quanto ciò che è metafisico non dipende da altro che da se stesso mentre tutto ciò che non lo è (ovvero il, "relativo") mantiene un rapporto di dipendenza dall'assoluto (qualcuno è in grado di dire se esiste qualcosa, nell'universo fisico, che sia completamente "indipendente"?). Le "verità metafisiche" si mostrano da sé, non c'è bisogno di alcuna "dimostrazione" di alcun genere; bisogna solo comprenderle, non avere fede in esse, perchè non hanno bisogno, per essere accettate, di alcun atto di fede, ma solo di capacità di comprensione. Chi non è in grado di farlo se ne faccia una ragione e passi oltre, tornando a trastullarsi (meglio se da solo) con i "ma chi l'ha detto che..." o con i "ma non potrebbe essere anche..." che lo divertono tanto.
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 19:50:41 PM
Non c'è nulla di sbagliato nel dubitare, nell'interrogarsi, nel mettersi in discussione. Questo mi sembra dovrebbe essere l'abito stesso del filosofo o del ricercatore. Quello che mi sembra contestabile è che il relativista avochi a sè questa caratteristica fondamentale escludendo che il fatto di dubitare sia qualcosa che è insito anche nell'approccio metafisico, altrimenti non sarebbero spiegabili le innumerevoli teorie sulla realtà che la metafisica propone. Un'altra cosa che non condivido è l'affermazione che ciò che non è relativo è dogmatico, ossia che l'abbracciare una teoria ti faccia automaticamente diventare un dogmatico. Questo è palesemente falso. Come mi sembra falso che la metafisica non sia una realtà 'in divenire'. Ogni metafisico è pronto a modificare la sua teoria e formularne un'altra , se al suo lavoro logico appare meno contraddittoria. Quindi quando si parla di 'colori' non è possibile ridurre al monocromatismo nemmeno l'approccio metafisico.
Penso anch'io che il dubbio non è monopolio esclusivo del relativista, che non ci sia solo l'alternativa relativista/dogmatico ma molte altre prospettive da poter utilizzare, e non ti ho affatto inquadrato come "metafisico" (non so se ti riferivi a me in questi casi, ma nel dubbio ho preferito disambiguare :) ).
Sul metafisico pronto a cambiare la sua teoria: chiaramente è possibile, ma solitamente, per quel poco che ho notato, i metafisici, al di là delle buone intenzioni e del "politicamente corretto", non lo fanno poi frequentemente... almeno non con la stessa "scivolosa inclinazione di pensiero" con cui può farlo un relativista (forse perché passare da un'opinione ad un'altra è meno traumatico che passare da una verità, almeno creduta tale, ad un'altra...).
Sul "monocromatismo", non mi riferivo alla metafisica, ma soltanto alla generalizzazione che appiattisce le differenti posizioni (fra cui quella relativista).
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 19:50:41 PM
Poi, parliamoci chiaro, pensi veramente che esistano persone 'ragionevoli' che non dubitino prima di compiere un'azione?...
Penso, magari sbagliando, che molte persone non abbiano tanti dubbi prima di compiere molte azioni perché hanno punti di riferimento, assiomi, comandamenti, certezze, etc. ben chiari da cui dedurre spontaneamente il da farsi. Non sempre, ovviamente; tuttavia, chi non ha quegli "appoggi fissi", ha più probabilità di trovarsi spesso a dover ponderare dubbi e scelte prima dell'azione (credo che essere relativisti non sia affatto "comodo" ;D ).
Citazione di: donquixote il 12 Marzo 2017, 21:51:18 PM
Le "verità metafisiche" si mostrano da sé, non c'è bisogno di alcuna "dimostrazione" di alcun genere; bisogna solo comprenderle, non avere fede in esse, perchè non hanno bisogno, per essere accettate, di alcun atto di fede, ma solo di capacità di comprensione. Chi non è in grado di farlo se ne faccia una ragione e passi oltre, tornando a trastullarsi (meglio se da solo) con i "ma chi l'ha detto che..." o con i "ma non potrebbe essere anche..." che lo divertono tanto.
Eppure tale "trastullo", tale porsi domande impudenti, può ampliare il panorama metafisico stesso. Ad esempio, restando nell'ambito della metafisica (correggimi se sbaglio), l'affermazione secondo cui
Citazione di: donquixote il 12 Marzo 2017, 21:51:18 PM
Vi sono poi dei principi metafisici altrettanto incontestabili (pena l'insanabile contraddizione) come il famoso frammento di Parmenide e quello che afferma "ex nihilo nihil fit" e anche qui non vedo come si possa affermare il contrario se non negando il significato delle parole. Se lo si facesse sarebbe come quello che cerca di capire com'è fatta una mela e poi va a cercarla e torna con una banana o un carciofo: significa che ha qualche problemino.
"dal nulla non si crea nulla" parrebbe un assunto metafisico incontestabile... tuttavia, grazie al suddetto "trastullo", tale verità viene messa in discussione da un'altra metafisica:
"
Nel grande inizio vi era il nulla: non vi erano esseri, né nomi. Dal nulla emerse l'Uno..."
(Chuang Tzu, capitolo 12)
A questo punto o Chuang Tzu "ha qualche problemino"(cit.) oppure la metafisica non è così limpidamente universale e apodittica (per non dire che è
relativa a quale cultura di partenza l'approccia ;) ).
Citazione di: Phil il 12 Marzo 2017, 22:39:04 PM"dal nulla non si crea nulla" parrebbe un assunto metafisico incontestabile... tuttavia, grazie al suddetto "trastullo", tale verità viene messa in discussione da un'altra metafisica:
"Nel grande inizio vi era il nulla: non vi erano esseri, né nomi. Dal nulla emerse l'Uno..."
(Chuang Tzu, capitolo 12)
A questo punto o Chuang Tzu "ha qualche problemino"(cit.) oppure la metafisica non è così limpidamente universale e apodittica (per non dire che è relativa a quale cultura di partenza l'approccia ;) ).
non esiste un "altra" metafisica...significa non aver capito che la metafisica non può avere limiti e definizioni.Change Tzu non intende il nulla come il "niente" ma il Tutto non ancora manifesto e che tutto gia contiene, quindi esattamente il contrario.
Citazione di: Phil il 12 Marzo 2017, 22:39:04 PM"Nel grande inizio vi era il nulla: non vi erano esseri, né nomi. Dal nulla emerse l'Uno..." (Chuang Tzu, capitolo 12) A questo punto o Chuang Tzu "ha qualche problemino"(cit.) oppure la metafisica non è così limpidamente universale e apodittica (per non dire che è relativa a quale cultura di partenza l'approccia ;) ).
La metafisica è e rimane limpidamente universale. Ciò che purtroppo non è universale è il vocabolario umano che dovendo trattare di "definizioni" e quindi di "delimitazioni" di qualcosa ed essendo i concetti metafisici non "definibili" poichè illimitati bisogna accontentersi delle parole che ci sono e che vanno superate se si vuole arrivare alla sostanza (se si vuole andare a Roma non basta fermarsi al primo cartello su cui è scritto Roma e pensare di essere arrivati). Se si volesse "definire" un granello di sabbia sotto tutti i punti di vista possibili probabilmente ci vorrebbe un'enciclopedia. Chuang Tzu ha perfettamente ragione a fare quella affermazione, così come è corretta la nostrana "creazione dal nulla", basta solo intendersi nei vari sensi in cui si usa il medesimo vocabolo il quale è necessariamente sempre una imperfetta indicazione, non certo una "realtà" sussistente. Il nulla da cui non può nascere nulla (che è anche il "non essere" di Parmenide) è inteso come opposto (puramente grammaticale, quindi inesistente in sé) del tutto (che non può avere opposizione alcuna), mentre il nulla da cui emerge l'uno è il totalmente indeterminato da cui sorge la prima determinazione possibile. Non vi erano esseri nè nomi significa solo che non vi era alcuna separazione, e in effetti questa separazione è una mera costruzione mentale determinata dal bisogno umano di "separare" gli enti e "definirli", determinarli come tali per poterseli rappresentare uno-alla-volta. Dal punto di vista dell'uomo esistono gli enti, e tutti gli enti dell'universo (fisico e non) formano il "tutto"; dal punto di vista non umano non esiste alcun ente (particolare e diverso dagli altri) per cui non esiste nulla di determinato, di definibile: quindi esiste il nulla. Basta variare il punto di vista e si può dire la stessa cosa usando due vocaboli apparentemente in opposizione. Così allo stesso modo si può affermare (solo apparentemente contraddicendo il frammento di Parmenide) che l'essere emerge dal non essere.
Phil scrive:
"Credo che il relativismo praticabile (e praticato) non sia quello radicalizzato (e ridicolizzato) secondo cui quando incontro mio zio, lo guardo e sono portato a dubitare che sia davvero lui... il raffronto con l'oggettività empirica, o modello condiviso di riferimento, non è secondo me il nocciolo del relativismo; il relativismo si palesa soprattutto quando c'è la mancanza dell'oggettività e la soggettività diventa problematica: che quella persona sia oggettivamente mio zio è in qualche modo verificabile, ma a quale oggettività mi appello (o tendo) se devo fare una scelta morale o esistenziale? Se mi riferisco ad una gerarchia di valori assoluti meta-individuale allora non sono relativista, se uso solo ciò che ho momentaneamente a disposizione nella mia prospettiva (senza ignorare il contesto in cui agisco), allora sono relativista (e credo in entrambi i casi non ci sia oggettività da rincorrere asintoticamente...).
In breve, mi pare che il non relativista proietti fiduciosamente la solidità del'oggettività anche in altri domini umani, il relativista è invece più sfiduciato e "sperimentale" (e non giudico il migliore o il peggiore fra i due approcci, cerco solo di rispettarne la differenza... se questo mi dipinge come "relativista", in fondo, non mi dispiace (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/smiley.gif) )."
Non va posta una sovrapposizione fra la dicotomia "relativo-assoluto" e la dicotomia "soggettività-oggettività", una sovrapposizione fra i primi termini fra le due coppie da un lato e tra i secondi fra un altro. Dal punto di vista dei giudizi morali i valori che poniamo come fondativi della nostra coscienza morale e delle nostre azioni, questi valori sono degli assoluti nel senso che essendo per noi i più importanti non possono essere soppiantati da altri, dunque restano come permanenti criteri di giudizio e di azione morale in ogni situazione. Quanto più un'azione aderisce a quei valori tanto più è reputata morale. Eppure non sono identificabili con delle oggettività, con dei fatti reali, perché non riguardano l' "essere", ma il "dover essere", sono delle idee regolative in relazione a cui reputiamo una cosa, un'azione, un evento come più o meno morale, ideali, dunque prodotti della mente di un soggetto. Eppure non c'è alcun bisogno per il loro porsi come degli ideali assoluti che siano intersoggettivamente condivisi, né che corrispondano a fatti oggettivi, sono assoluti in quanto l'Io li pone come metro di misura dei suoi giudizi morali e del suo agire in ogni situazione in cui si trova, ma in quanto è l'Io che li pone sono soggettivi, soggettivi ed assoluti. Non si parla di assoluto ontologico, ma assoluto trascendentale, criterio regolativo universale per giudicare il particolare, necessaria funzione cognitiva. Ed anche a livello teoretico, della conoscenza, la necessità dell'associazione assoluto-oggettività non sembra reggere. La contrapposizione fra verità "deboli", opinabili e incerte e verità "forti" che pretenderebbero di essere certe e assolute è solo una contrapposizione fittizia. Ogni opinione è sempre opinione di un Io che la sostiene, che la sostiene indipendentemente dal fatto che le opinioni siano intersoggettivamente condivise o corrispondenti alla realtà oggettiva (altrimenti tutti gli uomini avrebbero le stesse opinioni oppure tutte le opinioni sarebbero vere). Dunque ogni opinione, ogni presunzione di verità è sempre soggettiva, nel senso che è sempre il soggetto a sostenerle. Eppure, come nel caso della morale, anche qua le opinioni e i giudizi non possono che essere ritenute vere se non come raffrontate a criteri di verità posti come assoluti e universali, posti come validi a prescindere dal contesto particolare. Ogni opinione riferita a stati di cose particolari sono riferimenti intenzionali che presuppongono l'utilizzo di criteri di verità, ideali regolativi di verità in base a cui relazionare l'opinione particolare. La verosimiglianza dell'opinione riguardo lo stato di cose particolare dipende dall'adeguazione di questa con l'ideale di verità che vale come assoluto e universale metro di misura per giudicare le verità particolari. Quanto più un'opinione si avvicina a quell'ideale di verità universale tanto più la mia convinzione della verità dell'opinione si avvicinerà alla certezza, certezza che dovrebbe essere la meta finalistica di ogni scienza. Quest'ideale è posto da un soggetto, ma posto come criterio assoluto, valido per ogni contesto in cui mi trovo a giudicare delle verità particolari, altrimenti sarebbe suscettibile di essere squalificato da altri criteri, cessando di essere fondativo del giudizio: così come non posso reputare come giusta un'azione se non raffrontandola a un'ideale regolativo di giustizia, che colga l'essenza del concetto di giustizia, così non posso reputare vera un'affermazione se non raffrontandola a un'ideale di verità, che coglie l'essenza del concetto di verità e non c'è alcun bisogno che tale ideale rispecchi davvero la verità oggettiva del reale perché venga utilizzato come un assoluto da un soggetto. L'autocontraddizione del relativismo sta nel fatto che le opinioni che esprime presume di averle in assenza di tale criterio assoluto di verità in base a cui riconoscere le verità di esse, finendo con il considerare tali opinioni, assurdamente, come al contempo "vere" e non vere". Quindi i criteri di giudizio sono soggettivi ed assoluti, in due sensi distinti e non contrastanti, che ho provato maldestramente a spiegare. Credo che la definizione migliore per descrivere tali criteri sia "trascendentali"
Citazione di: donquixote il 12 Marzo 2017, 21:51:18 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 19:50:41 PMCome mi sembra falso che la metafisica non sia una realtà 'in divenire'. Ogni metafisico è pronto a modificare la sua teoria e formularne un'altra , se al suo lavoro logico appare meno contraddittoria.
Non è esattamente così. La metafisica è "nata vecchia" dicevano gli antichi, perchè è così com'è da sempre e lo sarà per sempre, dato che è la disciplina che si occupa di verità indiscutibili, che non sono affatto dogmi ma semplicemente non si possono contestare sul piano logico senza contraddirsi. Ma, qui sopra, tutti quelli che si definiscono "relativisti" hanno fatto molti esempi di "verità metafisiche" che invece non lo sono affatto mostrando di non conoscere ciò di cui parlano. La metafisica si occupa di "ovvietà", di cose che non si possono contestare in alcun modo. Il "tutto" è un concetto metafisico, come l'essere parmenideo, l'Uno di Plotino o l'infinito o il Brahman induista. Vogliono dire tutti la medesima cosa ma in un modo diverso. Se io dico "tutto" senza specificazioni vuol dire che ho detto proprio tutto, ma coloro che non sono in grado di comprendere che dal tutto non può essere escluso niente di niente perchè usano questa parola solo in senso relativo o come aggettivo allora tentano di contestarla, cadendo chiaramente in contraddizione (anche se non lo ammettono mai); Poi dai concetti metafisici si possono fare, a cascata, delle deduzioni, e queste saranno più o meno corrette a seconda della capacità intellettuale di chi le fa (sul frammento dell'essere e non essere di Parmenide si sono scritti miliardi di parole, la maggior parte sbagliate) ed è su queste deduzioni che potranno sorgere dubbi, che andranno risolti con l'impegno intellettuale e il ragionamento, fatti salvi i concetti basilari incontestabili. Coloro che non sono in grado di comprendere i concetti metafisici fondamentali solitamente sono quelli che confondono ad esempio il "tutto" con il "nulla", perchè se non possono immaginarsi qualcosa di specifico, di chiaramente definibile (dunque limitabile), allora lo considerano semplicemente "nulla"; in pratica pensano alla rovescia. Vi sono poi dei principi metafisici altrettanto incontestabili (pena l'insanabile contraddizione) come il famoso frammento di Parmenide e quello che afferma "ex nihilo nihil fit" e anche qui non vedo come si possa affermare il contrario se non negando il significato delle parole. Se lo si facesse sarebbe come quello che cerca di capire com'è fatta una mela e poi va a cercarla e torna con una banana o un carciofo: significa che ha qualche problemino. Il "panta rei" eracliteo per quanto corretto non è comunque un principio (o una "verità") metafisico, perchè solo nel mondo fisico "tutto scorre" dato che è il mondo del divenire, mentre nel mondo metafisico non c'è nulla che "diviene" e niente che scorre.
Poi qualcuno può utilizzare la parola "verità metafisica" impropriamente ed affibbiarla a frasi del tipo "l'uomo è superiore a tutti gli altri animali" mentre questa oltre a non essere una verità pura e semplice è men che meno una affermazione "metafisica". Altro errore che si fa spesso è quello di confondere le definizioni convenzionali che noi diamo alle parole che servono per indicare qualcosa con una "verità metafisica": Affermare che una mela è un frutto rotondo che cresce sugli alberi in autunno non è una verità metafisica, ma solo una maniera convenzionale e condivisa di indicare "quella cosa lì". E se anzichè la mela si prendono ad esempio concetti astratti come il pensiero, l'amore, la libertà, la vita, la morte, il bene, la giustizia eccetera si può vedere come la confusione possa essere molto maggiore.
In ogni caso la metafisica non c'entra proprio nulla con l'assolutismo perchè quest'ultimo è invece, come avevo già scritto, il relativo elevato arbitrariamente ad assoluto; c'entra invece con l'assoluto puro e semplice (nel senso di "slegato", indipendente) in quanto ciò che è metafisico non dipende da altro che da se stesso mentre tutto ciò che non lo è (ovvero il, "relativo") mantiene un rapporto di dipendenza dall'assoluto (qualcuno è in grado di dire se esiste qualcosa, nell'universo fisico, che sia completamente "indipendente"?). Le "verità metafisiche" si mostrano da sé, non c'è bisogno di alcuna "dimostrazione" di alcun genere; bisogna solo comprenderle, non avere fede in esse, perchè non hanno bisogno, per essere accettate, di alcun atto di fede, ma solo di capacità di comprensione. Chi non è in grado di farlo se ne faccia una ragione e passi oltre, tornando a trastullarsi (meglio se da solo) con i "ma chi l'ha detto che..." o con i "ma non potrebbe essere anche..." che lo divertono tanto.
CitazioneConcordo con l' affermazione che "In ogni caso la metafisica non c'entra proprio nulla con l'assolutismo perchè quest'ultimo è invece, come avevo già scritto, il relativo elevato arbitrariamente ad assoluto".
Però la metafisica di cui parli mi sembra in realtà quello che comunemente (oltre che personalmente, da parte mia) si intende per logica e matematica pura: giudizi analitici a priori dedotti da definizioni e assiomi arbitrariamente assunti.
Per parte mia intendo la "metafisica" o, etimologicamente, come (ricerca di conoscenza circa) ciò che eccede il mondo materiale - naturale (fisico): pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza, ecc.); oppure come sinonimo di "ontologia": (ricerca di conoscenza circa) la realtà (ciò che é e/o accade nell' accezione più astratta, generale, universale possibile.
In entrambi i casi ovviamente, in barba ai pregiudizi di certi "relativisti" reali o autopretesi tali, si tratte di ricerca della verità che può benissimo, anzi per essere corretta deve nei limiti del possibile (fatta salva l' ineliminabile fallibilità umana), essere condotta criticamente e razionalmente (e non necessariamente cadere nel dogmatismo).
Citazione di: Phil il 12 Marzo 2017, 21:52:07 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2017, 19:50:41 PM
Poi, parliamoci chiaro, pensi veramente che esistano persone 'ragionevoli' che non dubitino prima di compiere un'azione?...
Penso, magari sbagliando, che molte persone non abbiano tanti dubbi prima di compiere molte azioni perché hanno punti di riferimento, assiomi, comandamenti, certezze, etc. ben chiari da cui dedurre spontaneamente il da farsi. Non sempre, ovviamente; tuttavia, chi non ha quegli "appoggi fissi", ha più probabilità di trovarsi spesso a dover ponderare dubbi e scelte prima dell'azione (credo che essere relativisti non sia affatto "comodo" ;D ).
CitazionePuò darsi.
Ma può anche darsi che chi non ha quegli "appoggi fissi" (che possono benissimo essere stati criticamente e non dogmaticamente assunti), abbia più probabilità di trovarsi spesso ad agire acriticamente senza ponderare le proprie decisoni.
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 08:35:21 AMPerò la metafisica di cui parli mi sembra in realtà quello che comunemente (oltre che personalmente, da parte mia) si intende per logica e matematica pura: giudizi analitici a priori dedotti da definizioni e assiomi arbitrariamente assunti. Per parte mia intendo la "metafisica" o, etimologicamente, come (ricerca di conoscenza circa) ciò che eccede il mondo materiale - naturale (fisico): pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza, ecc.); oppure come sinonimo di "ontologia": [/size](ricerca di conoscenza circa) la realtà (ciò che é e/o accade nell' accezione più astratta, generale, universale possibile. In entrambi i casi ovviamente, in barba ai pregiudizi di certi "relativisti" reali o autopretesi tali, si tratte di ricerca della verità che può benissimo, anzi per essere corretta deve nei limiti del possibile (fatta salva l' ineliminabile fallibilità umana), essere condotta criticamente e razionalmente (e non necessariamente cadere nel dogmatismo).
La logica è un metodo umano di ragionare, di elaborare un pensiero e di esprimerlo in modo da farsi capire da altri umani, che si applica a qualunque linguaggio (com'è ad esempio quello matematico) e dal quale non si può prescindere se si vuole "strutturare" un pensiero ed esprimerlo in modo che sia comprensibile da altri. La logica ha delle regole e di per sè non dice il vero e nemmeno il falso (si sa che si può fare un ragionamento perfettamente logico ma anche perfettamente falso) e dunque per distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è bisogna andare ai presupposti da cui si parte per elaborare un ragionamento "logico". In metafisica tali presupposti (certo arbitrariamente assunti, come del resto tutti i significati delle parole elencate sul vocabolario sono "arbitrariamente assunti") devono essere assolutamente autoevidenti, innegabili, e rappresentare una realtà. Quando facevo l'esempio del "tutto" questa è una parola il cui significato deve includere qualunque realtà, visibile o invisibile che sia, perchè ovviamente se qualcosa fosse escluso dal tutto questo non sarebbe più tale e dovrebbe cambiare nome. Dunque il "tutto" (che si può chiamare anche diversamente come "essere", "infinito", "illimitato", "non essere", "nulla", "vuoto" etc., basta intendersi) è un concetto incontrovertibile, incontestabile, ed è anche assolutamente reale perchè se si nega la realtà del tutto non si può più dire che "qualcosa esiste" (dato che quel "qualcosa" è parte del tutto se non c'è questo non può esistere neppure quello), e partendo da questo concetto si possono poi fare, utilizzando correttamente la logica e rispettando il significato delle parole, tutte le deduzioni che uno crede. La matematica, a differenza della metafisica, si serve di simboli che vengono definiti in funzione del linguaggio matematico, che però non sono affatto reali e non hanno alcuna corrispondenza nella realtà, ma sono solo arbitrarie semplificazioni della medesima. Le figure geometriche ad esempio hanno ognuna una loro definizione, ma quale figura geometrica è effettivamente "reale" anche se vuole rappresentare la realtà? Come si fa a trovare nella realtà un triangolo o un quadrato così come definito dalla geometria?
E nella tua accezione di metafisica c'è un errore, perchè quest'ultima è vero che tratta di ciò che è al di là del "fisico", ma tutto ciò che hai elencato (pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza) non è al di là del fisico ma è "fisico" a tutti gli effetti: il "mentale" e il "psicologico" sono fenomeni fisici, non metafisici. In oriente vi è la distinzione fra materia grossolana (che è quella che vediamo e tocchiamo), materia sottile (che è tutto ciò che rientra nello "psichico") e non materiale (che è propriamente lo "spirituale" e che è l'oggetto della metafisica). Anche qui da noi si faceva la differenza fra corpo, anima (psiche) e spirito, che poi è andata un po' persa. Parlare di metafisica citando i talenti artistici, i sentimenti, le aspirazioni personali, i sogni in qualunque maniera considerati e altre cose di questo genere compresi i concetti umani fondamentali di spazio e tempo non è parlare di metafisica ma di fisica. I giudizi a priori di Kant (che rifacendosi a Hume affermava che "nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu") sono giudizi fisici e non metafisici. Ogni affermazione metafisica deve avere una validità che oltrepassa lo spazio e il tempo e deve essere vera in qualunque contesto, in qualunque situazione e per sempre; deve essere "eterna" nel senso appunto che è al di là dello spazio e del tempo e non è da questi condizionata. Un'affermazione che è vera solo "a determinate condizioni" (per quanto generiche queste possano essere) non può essere una verità metafisica. Come dicevo il "panta rei" eracliteo che sottolinea il "divenire" è una verità fisica, non metafisica.
Secondo me, tra fisica e metafisica, non c'è contrasto alcuno, perchè la prima si occupa del "fenomeno", mentre la seconda del "noumeno".
Ammetto, però, che esiste una zona di confine, a livello dell'acqua del mare, in cui distinguere i "pesci" dagli "uccelli" non è sempre facile; dipende solo da come uno li guarda.
Come nell'immagine che cerco di riprodurre qui sotto. ;)
(http://funkyimg.com/i/2qbWN.jpg)
Citazione di: Duc in altum! il 12 Marzo 2017, 20:09:53 PM
Errando, errando, caro @maral, si finisce poi per comprendere davvero qual è la verità. Sbagliando s'impara, no?!
Purtroppo no, caro Duc, sbagliando si impara solo a ripetere l'errore in forma diversa. non a comprendere la verità, perché è la verità che già ci comprende e volte, può capitare, inaspettatamente, di sentirsi in essa compresi e quando questo accade (per miracolo, per grazia, per una inattesa sincronia? Vedi tu) non c'è resistenza che tenga, semplicemente è così. Ma non dura troppo vivendo, non dura per sempre, è un attimo che è già passato, tutto quello che si può dire è che ha lasciato un segno e su questo segno si potrà tentare di immaginare un senso per il nostro cammino errante che si intreccia con altri cammini erranti, ognuno dei quali offre i propri segni a riconoscimento comune, ma senza pretese, senza volere che siano segni universali, senza progetto, solo lasciando che accada per come a ciascuno accade, ossia vedendo come ogni vita ha la sua profonda sapienza che si riflettono nei segni che lascia in possibile condivisione.
Dopotutto credo che la verità è solo questione di postura, non di volontà a credere in un determinato contenuto o significato anziché a un altro, è come quando si impara ad andare in bicicletta (o anche a camminare in equilibrio su un filo), non si tratta di quale bicicletta o della regola giusta per tutti per sapere come si fa, si tratta solo di farlo e rifarlo, ognuno tentando a modo suo insieme agli altri, errando sempre, ma nella speranza che ogni errore, ogni inevitabile sbilanciamento, corregga quello precedente, così che alla fine non si cade. Così ognuno impara dalla propria esperienza e dalla propria esistenza errante, vedendola reciprocamente riflessa negli altri che provano con noi, ognuno che nella sua differenza sa.
Non c'è una verità assoluta, proprio come non c'è un modo assoluto di andare in bicicletta, non c'è ricetta universale, non c'è progetto, ma può accadere ci si trovi disposti a lasciarla accadere mentre esistiamo relativamente l'uno all'altro.
La verità non si impara leggendo cosa è (per questo non siamo più fortunati di Pilato), ma la si sperimenta errando nel più modesto fare quotidiano, ossia esistendo, ove l'esistere comprende anche l'esperienza di leggere e capire cosa leggono gli altri chiedendosi perché.
Citazione di: donquixote il 13 Marzo 2017, 10:58:02 AM
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 08:35:21 AMPerò la metafisica di cui parli mi sembra in realtà quello che comunemente (oltre che personalmente, da parte mia) si intende per logica e matematica pura: giudizi analitici a priori dedotti da definizioni e assiomi arbitrariamente assunti. Per parte mia intendo la "metafisica" o, etimologicamente, come (ricerca di conoscenza circa) ciò che eccede il mondo materiale - naturale (fisico): pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza, ecc.); oppure come sinonimo di "ontologia": [/size](ricerca di conoscenza circa) la realtà (ciò che é e/o accade nell' accezione più astratta, generale, universale possibile. In entrambi i casi ovviamente, in barba ai pregiudizi di certi "relativisti" reali o autopretesi tali, si tratte di ricerca della verità che può benissimo, anzi per essere corretta deve nei limiti del possibile (fatta salva l' ineliminabile fallibilità umana), essere condotta criticamente e razionalmente (e non necessariamente cadere nel dogmatismo).
La logica è un metodo umano di ragionare, di elaborare un pensiero e di esprimerlo in modo da farsi capire da altri umani, che si applica a qualunque linguaggio (com'è ad esempio quello matematico) e dal quale non si può prescindere se si vuole "strutturare" un pensiero ed esprimerlo in modo che sia comprensibile da altri. La logica ha delle regole e di per sè non dice il vero e nemmeno il falso (si sa che si può fare un ragionamento perfettamente logico ma anche perfettamente falso) e dunque per distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è bisogna andare ai presupposti da cui si parte per elaborare un ragionamento "logico". In metafisica tali presupposti (certo arbitrariamente assunti, come del resto tutti i significati delle parole elencate sul vocabolario sono "arbitrariamente assunti") devono essere assolutamente autoevidenti, innegabili, e rappresentare una realtà. Quando facevo l'esempio del "tutto" questa è una parola il cui significato deve includere qualunque realtà, visibile o invisibile che sia, perchè ovviamente se qualcosa fosse escluso dal tutto questo non sarebbe più tale e dovrebbe cambiare nome. Dunque il "tutto" (che si può chiamare anche diversamente come "essere", "infinito", "illimitato", "non essere", "nulla", "vuoto" etc., basta intendersi) è un concetto incontrovertibile, incontestabile, ed è anche assolutamente reale perchè se si nega la realtà del tutto non si può più dire che "qualcosa esiste" (dato che quel "qualcosa" è parte del tutto se non c'è questo non può esistere neppure quello), e partendo da questo concetto si possono poi fare, utilizzando correttamente la logica e rispettando il significato delle parole, tutte le deduzioni che uno crede. La matematica, a differenza della metafisica, si serve di simboli che vengono definiti in funzione del linguaggio matematico, che però non sono affatto reali e non hanno alcuna corrispondenza nella realtà, ma sono solo arbitrarie semplificazioni della medesima. Le figure geometriche ad esempio hanno ognuna una loro definizione, ma quale figura geometrica è effettivamente "reale" anche se vuole rappresentare la realtà? Come si fa a trovare nella realtà un triangolo o un quadrato così come definito dalla geometria?
E nella tua accezione di metafisica c'è un errore, perchè quest'ultima è vero che tratta di ciò che è al di là del "fisico", ma tutto ciò che hai elencato (pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza) non è al di là del fisico ma è "fisico" a tutti gli effetti: il "mentale" e il "psicologico" sono fenomeni fisici, non metafisici. In oriente vi è la distinzione fra materia grossolana (che è quella che vediamo e tocchiamo), materia sottile (che è tutto ciò che rientra nello "psichico") e non materiale (che è propriamente lo "spirituale" e che è l'oggetto della metafisica). Anche qui da noi si faceva la differenza fra corpo, anima (psiche) e spirito, che poi è andata un po' persa. Parlare di metafisica citando i talenti artistici, i sentimenti, le aspirazioni personali, i sogni in qualunque maniera considerati e altre cose di questo genere compresi i concetti umani fondamentali di spazio e tempo non è parlare di metafisica ma di fisica. I giudizi a priori di Kant (che rifacendosi a Hume affermava che "nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu") sono giudizi fisici e non metafisici. Ogni affermazione metafisica deve avere una validità che oltrepassa lo spazio e il tempo e deve essere vera in qualunque contesto, in qualunque situazione e per sempre; deve essere "eterna" nel senso appunto che è al di là dello spazio e del tempo e non è da questi condizionata. Un'affermazione che è vera solo "a determinate condizioni" (per quanto generiche queste possano essere) non può essere una verità metafisica. Come dicevo il "panta rei" eracliteo che sottolinea il "divenire" è una verità fisica, non metafisica.
CitazioneIn che senso in metafisica i presupposti arbitrariamente assunti dai quali si deduce sono (oltre che assolutamente autoevidenti e innegabili) tali da "rappresentare una realtà"?.
Credo che si possa pensare circa una realtà o in termini generalissimi, assolutamente indeterminati, facendo delle tautologie (ciò che è è, ciò che non è non è, la parte è minore del tutto, ecc.), cioè non dicendo nulla di determinato, o in termini ipotetici (che consentono di dire tutto e -anzi: o- il contrario di tutto purché si evitino contraddizioni, oppure riferendosi a dati empiricamente rilevati; a priori nulla di non tautologico in ultima analisi (anche le deduzioni non fanno che esplicitare nozioni di già presenti, sia pure implicitamente nelle premesse arbitrariamente assunte) o di ipotetico (come la realtà potrebbe essere -oppure no- se...) circa come è e/o come non é la realtà può dirsi (contro il preteso "argomento ontologico", da cui vari metafisici, fra cui Cartesio, hanno tratto secondo me indebitamente, erroneamente varie deduzioni circa la realtà).
("Tutto" non è necessariamente sinonimo di "infinito"; è pensabile non autocontraddittoriamente anche un tutto finito)
Se si nega la realtà del tutto non si può più dire che "qualcosa esiste" (dato che quel "qualcosa" è parte del tutto se non c'è questo non può esistere neppure quello), ma nemmeno si può dire che cosa di determinato esiste e che cosa di determinato non esiste: è come dire che esiste ciò che esiste e non esiste ciò che non esiste (qualsiasi cosa sia).
E partendo da questo concetto (del "tutto") si possono poi fare, utilizzando correttamente la logica e rispettando il significato delle parole, tutte le deduzioni che uno crede, che sono giudizi analitici a priori, senza dire nulla (di determinato) su come le realtà è e/o non è, su ciò che é/accade realmente e ciò che non é/non accade realmente (nella stessa identica maniera dei teoremi della matematica pura).
Dissento completamente dalla tesi che tutto ciò che ho elencato (pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza) non è al di là del fisico ma è "fisico" a tutti gli effetti, che il "mentale" e lo "psicologico" sono fenomeni fisici, non metafisici".
Io di fisico conosco il cervello con tutte le sue funzioni (nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chi li esperisce, in cui accadono in quanto immediatamente esperiti o indirettamente dedotti) e non pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza (che accadono nell' ambito di -i quali costituiscono- parte di un' esperienza fenomenica cosciente che credo -indimostrabilmente né constatabilmente in modo empirico- necessariamente coesistente con gli eventi neurofisiologici di un cero determinato cervello ma ne sono "altra cosa"). E questo anche se "all' orientale" chiamiamo enti ed eventi (fenomenici) mentali "materia fine" per distinguerla da enti ed eventi (parimenti fenomenici) "materiali grossolani" (questa differenza permane anche impiegando termini linguistici -vocaboli- diversi per significare ciò che non è fisico ovvero materiale).
Per lo meno Hume (che conosco meglio) affermando che "nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu") parlava sia delle sensazioni fisiche o materiali che di quelle mentali (che non chiamava "metafisiche", ma non identificava con alcuna di quelle materiali o fisiche) indifferentemente.
Citazione di: Eutidemo il 13 Marzo 2017, 12:44:33 PM
Secondo me, tra fisica e metafisica, non c'è contrasto alcuno, perchè la prima si occupa del "fenomeno", mentre la seconda del "noumeno".
Ammetto, però, che esiste una zona di confine, a livello dell'acqua del mare, in cui distinguere i "pesci" dagli "uccelli" non è sempre facile; dipende solo da come uno li guarda.
Come nell'immagine che cerco di riprodurre qui sotto. ;)
(http://funkyimg.com/i/2qbWN.jpg)
CitazioneNon saprei in quale senso intenda "contrasto".
Certo c' é distinzione (se, come me, non si ritiene il mentale riducibile al né emergente dal fisico (ma coesistente e co-diveniente separatamente "trascendentalmente").
Citazione di: Eutidemo il 13 Marzo 2017, 12:44:33 PM
Secondo me, tra fisica e metafisica, non c'è contrasto alcuno, perchè la prima si occupa del "fenomeno", mentre la seconda del "noumeno".
Ammetto, però, che esiste una zona di confine, a livello dell'acqua del mare, in cui distinguere i "pesci" dagli "uccelli" non è sempre facile; dipende solo da come uno li guarda.
Come nell'immagine che cerco di riprodurre qui sotto. ;)
(http://funkyimg.com/i/2qbWN.jpg)
Azzardo una risposta ::) secondo me,In questo modo si farebbe rientrare la metafisica in un metodo (o un sistema piu o meno mediato dalla ragione) mentre credo che sia invece una diretta presa di coscienza.
Citazione di: maral il 13 Marzo 2017, 14:02:10 PM
Dopotutto credo che la verità è solo questione di postura, non di volontà a credere in un determinato contenuto o significato anziché a un altro, è come quando si impara ad andare in bicicletta (o anche a camminare in equilibrio su un filo), non si tratta di quale bicicletta o della regola giusta per tutti per sapere come si fa, si tratta solo di farlo e rifarlo, ognuno tentando a modo suo insieme agli altri, errando sempre, ma nella speranza che ogni errore, ogni inevitabile sbilanciamento, corregga quello precedente, così che alla fine non si cade. Così ognuno impara dalla propria esperienza e dalla propria esistenza errante, vedendola reciprocamente riflessa negli altri che provano con noi, ognuno che nella sua differenza sa.
Non c'è una verità assoluta, proprio come non c'è un modo assoluto di andare in bicicletta, non c'è ricetta universale, non c'è progetto, ma può accadere ci si trovi disposti a lasciarla accadere mentre esistiamo relativamente l'uno all'altro.
La verità non si impara leggendo cosa è (per questo non siamo più fortunati di Pilato), ma la si sperimenta errando nel più modesto fare quotidiano, ossia esistendo, ove l'esistere comprende anche l'esperienza di leggere e capire cosa leggono gli altri chiedendosi perché.
In effetti ognuno impara ad andare in bicicletta seguendo le istruzioni o le proprie inclinazioni in maniera diversa..pero mi viene pure da pensare che una volta imparato ci si dimentica di stare a pedalare...diventa una medesima cosa
Citazione di: acquario69 il 12 Marzo 2017, 23:16:51 PM
non esiste un "altra" metafisica...significa non aver capito che la metafisica non può avere limiti e definizioni.
Change Tzu non intende il nulla come il "niente" ma il Tutto non ancora manifesto e che tutto gia contiene, quindi esattamente il contrario.
Citazione di: donquixote il 12 Marzo 2017, 23:46:05 PM
La metafisica è e rimane limpidamente universale. [...] Il nulla da cui non può nascere nulla (che è anche il "non essere" di Parmenide) è inteso come opposto (puramente grammaticale, quindi inesistente in sé) del tutto (che non può avere opposizione alcuna), mentre il nulla da cui emerge l'uno è il totalmente indeterminato da cui sorge la prima determinazione possibile. Non vi erano esseri nè nomi significa solo che non vi era alcuna separazione, e in effetti questa separazione è una mera costruzione mentale determinata dal bisogno umano di "separare" gli enti e "definirli", determinarli come tali per poterseli rappresentare uno-alla-volta.
Mi scuso per aver troncato la citazione di Chuang Tzu, rendendo forse il testo troppo criptico; se continuiamo a leggere ci accorgiamo infatti che l'interpretazione metafisica occidentale, quella secondo cui quel niente è comunque un essere, seppur indeterminato, non è l'unica chiave di lettura possibile:
"Nel Grande Inizio vi era il nulla: non vi erano esseri, né nomi.
Dal nulla emerse l'Uno: vi era l'Uno, ma non aveva forma.
Dall'Uno nacquero gli esseri: questo è detto "la virtù"*.
Gli esseri ancora non avevano forma;
erano differenziati ma non separati..."
*qui vale come "potenzialità, capacità di manifestare una realtà"
(Chuang Tzu, 12)
Anche grazie alla nota, (mi) pare che il Grande Inizio abbia luogo nel niente/nulla (che quindi lo precede), da cui emerge l'Uno come
concretizzazione della potenzialità/"virtù" insita nel
vuoto/niente/
nihil primordiale; l'attenzione alla potenzialità e il ruolo centrale del vuoto sono d'altronde tipici del taoismo... dall'Uno attualizzato si innesca poi la differenziazione degli esseri, etc.
Quindi direi che siamo davvero di fronte ad un'altra metafisica (anche perché ogni metafisica non è altro che un'interpretazione, come secondo la lezione cardine di tutto il '900 occidentale...).
Citazione di: acquario69 il 13 Marzo 2017, 14:47:03 PM
Citazione di: maral il 13 Marzo 2017, 14:02:10 PM
Dopotutto credo che la verità è solo questione di postura, non di volontà a credere in un determinato contenuto o significato anziché a un altro, è come quando si impara ad andare in bicicletta (o anche a camminare in equilibrio su un filo), non si tratta di quale bicicletta o della regola giusta per tutti per sapere come si fa, si tratta solo di farlo e rifarlo, ognuno tentando a modo suo insieme agli altri, errando sempre, ma nella speranza che ogni errore, ogni inevitabile sbilanciamento, corregga quello precedente, così che alla fine non si cade. Così ognuno impara dalla propria esperienza e dalla propria esistenza errante, vedendola reciprocamente riflessa negli altri che provano con noi, ognuno che nella sua differenza sa.
Non c'è una verità assoluta, proprio come non c'è un modo assoluto di andare in bicicletta, non c'è ricetta universale, non c'è progetto, ma può accadere ci si trovi disposti a lasciarla accadere mentre esistiamo relativamente l'uno all'altro.
La verità non si impara leggendo cosa è (per questo non siamo più fortunati di Pilato), ma la si sperimenta errando nel più modesto fare quotidiano, ossia esistendo, ove l'esistere comprende anche l'esperienza di leggere e capire cosa leggono gli altri chiedendosi perché.
In effetti ognuno impara ad andare in bicicletta seguendo le istruzioni o le proprie inclinazioni in maniera diversa..pero mi viene pure da pensare che una volta imparato ci si dimentica di stare a pedalare...diventa una medesima cosa
CitazioneVi sono doversi stili, c' é modo e modo di andare in bicicletta (l' insuperabile Eddy Merckx resta un mito indelebile nella memoria della ma gioventù!).
Ma non per questo ci si può andare in qualsiasi modo (per esempio pedalando con le orecchie o soffiando sui pedali).
** scritto da maral:
CitazionePurtroppo no, caro Duc, sbagliando si impara solo a ripetere l'errore in forma diversa. non a comprendere la verità, perché è la verità che già ci comprende e volte, può capitare, inaspettatamente, di sentirsi in essa compresi e quando questo accade (per miracolo, per grazia, per una inattesa sincronia? Vedi tu) non c'è resistenza che tenga, semplicemente è così.
Hai ragione, a me è accaduto proprio così come tu lo hai descritto.
CitazioneMa non dura troppo vivendo, non dura per sempre, è un attimo che è già passato, tutto quello che si può dire è che ha lasciato un segno e su questo segno si potrà tentare di immaginare un senso per il nostro cammino errante che si intreccia con altri cammini erranti, ognuno dei quali offre i propri segni a riconoscimento comune, ma senza pretese, senza volere che siano segni universali, senza progetto, solo lasciando che accada per come a ciascuno accade, ossia vedendo come ogni vita ha la sua profonda sapienza che si riflettono nei segni che lascia in possibile condivisione.
Certo ogni vita ha la sua sapienza, ma quel che ci differenzia è l'intelligenza di scegliere il vero che quel segno, illuminando la saggezza, ci ha rivelato. Purtroppo non dura per sempre solo per chi non vuole.
CitazioneNon c'è una verità assoluta, proprio come non c'è un modo assoluto di andare in bicicletta, non c'è ricetta universale, non c'è progetto, ma può accadere ci si trovi disposti a lasciarla accadere mentre esistiamo relativamente l'uno all'altro.
Sai che su questo, per i segni a me accaduti e sperimentati, non sono per niente d'accordo.
CitazioneLa verità non si impara leggendo cosa è (per questo non siamo più fortunati di Pilato), ma la si sperimenta errando nel più modesto fare quotidiano, ossia esistendo, ove l'esistere comprende anche l'esperienza di leggere e capire cosa leggono gli altri chiedendosi perché.
Eh no, quando sperimenti qualcosa che comprovi leggendo già essere stato risolto e rivelato molto prima e da molti altri individui, ossia, che non è tuo merito ciò che hai scoperto empiricamente, s'apprende anche leggendo ...e quanto si apprende!
Citazione di: Phil il 13 Marzo 2017, 16:10:10 PM
Citazione di: acquario69 il 12 Marzo 2017, 23:16:51 PM
non esiste un "altra" metafisica...significa non aver capito che la metafisica non può avere limiti e definizioni.
Change Tzu non intende il nulla come il "niente" ma il Tutto non ancora manifesto e che tutto gia contiene, quindi esattamente il contrario.
Citazione di: donquixote il 12 Marzo 2017, 23:46:05 PM
La metafisica è e rimane limpidamente universale. [...] Il nulla da cui non può nascere nulla (che è anche il "non essere" di Parmenide) è inteso come opposto (puramente grammaticale, quindi inesistente in sé) del tutto (che non può avere opposizione alcuna), mentre il nulla da cui emerge l'uno è il totalmente indeterminato da cui sorge la prima determinazione possibile. Non vi erano esseri nè nomi significa solo che non vi era alcuna separazione, e in effetti questa separazione è una mera costruzione mentale determinata dal bisogno umano di "separare" gli enti e "definirli", determinarli come tali per poterseli rappresentare uno-alla-volta.
Mi scuso per aver troncato la citazione di Chuang Tzu, rendendo forse il testo troppo criptico; se continuiamo a leggere ci accorgiamo infatti che l'interpretazione metafisica occidentale, quella secondo cui quel niente è comunque un essere, seppur indeterminato, non è l'unica chiave di lettura possibile:
"Nel Grande Inizio vi era il nulla: non vi erano esseri, né nomi.
Dal nulla emerse l'Uno: vi era l'Uno, ma non aveva forma.
Dall'Uno nacquero gli esseri: questo è detto "la virtù"*.
Gli esseri ancora non avevano forma;
erano differenziati ma non separati..."
*qui vale come "potenzialità, capacità di manifestare una realtà"
(Chuang Tzu, 12)
Anche grazie alla nota, (mi) pare che il Grande Inizio abbia luogo nel niente/nulla (che quindi lo precede), da cui emerge l'Uno come concretizzazione della potenzialità/"virtù" insita nel vuoto/niente/nihil primordiale; l'attenzione alla potenzialità e il ruolo centrale del vuoto sono d'altronde tipici del taoismo... dall'Uno attualizzato si innesca poi la differenziazione degli esseri, etc.
Quindi direi che siamo davvero di fronte ad un'altra metafisica (anche perché ogni metafisica non è altro che un'interpretazione, come secondo la lezione cardine di tutto il '900 occidentale...).
Mi sento di risponderti in questa maniera;e cioè' che e' al quanto difficile provare a spiegare qualcosa che non rientra nell'ambito di un interpretazione,personale o meno che sia.Finche rimane questo assunto (per me) diventa impossibile.non ce' una reale distinzione, la Verità e' la Verità,non e' qualcosa di indipendente o separata da noi.
Citazione@Sgiombo
Vi sono doversi stili, c' é modo e modo di andare in bicicletta (l' insuperabile Eddy Merckx resta un mito indelebile nella memoria della ma gioventù!).
Ma non per questo ci si può andare in qualsiasi modo (per esempio pedalando con le orecchie o soffiando sui pedali).
quello che stavo semplicemente dicendo e' che per imparare ad andare in bicicletta,ognuno troverà modi e condizioni diverse per arrivarci,ma una volta "arrivati" , ossia che si e' imparati,sarà per tutti e indistintamente la stessa cosa e per ognuno l'andare in bicicletta verra' naturale.Questa vuole anche essere una metafora, un significato che gli sta "dietro" ....io mi esprimo in questo modo, che so già non puo essere perfetto.
Citazione di: acquario69 il 14 Marzo 2017, 04:59:33 AM
Citazione@Sgiombo
Vi sono doversi stili, c' é modo e modo di andare in bicicletta (l' insuperabile Eddy Merckx resta un mito indelebile nella memoria della ma gioventù!).
Ma non per questo ci si può andare in qualsiasi modo (per esempio pedalando con le orecchie o soffiando sui pedali).
quello che stavo semplicemente dicendo e' che per imparare ad andare in bicicletta,ognuno troverà modi e condizioni diverse per arrivarci,ma una volta "arrivati" , ossia che si e' imparati,sarà per tutti e indistintamente la stessa cosa e per ognuno l'andare in bicicletta verra' naturale.
Questa vuole anche essere una metafora, un significato che gli sta "dietro" ....io mi esprimo in questo modo, che so già non puo essere perfetto.
CitazionePur essendo un amante del linguaggio letterale e più rigoroso possibile e poco propenso alle metafore (quando si parla di filosofia e di scienza), credo che ci siamo intesi (per parte mia intendevo dire che nella conoscenza della realtà ci sono aspetti, caratteristiche, limiti soggettivi, ma anche elementi di oggettività o per lo meno di intersoggettività.
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMIn che senso in metafisica i presupposti arbitrariamente assunti dai quali si deduce sono (oltre che assolutamente autoevidenti e innegabili) tali da "rappresentare una realtà"?.
Sempre prendendo ad esempio il concetto di "tutto" ogni realtà che uno può vedere (o immaginare, o pensare) è inclusa in questo "tutto" e ne è una parte. Il "tutto" include dunque tutte le realtà possibili, quindi non può che rappresentare esso stesso una realtà, anzi l'unica realtà possibile dato che tutte le "parti" sono dipendenti da questo "tutto" e senza di esso non potrebbero manifestare la propria "realtà"
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMCredo che si possa pensare circa una realtà o in termini generalissimi, assolutamente indeterminati, facendo delle tautologie (ciò che è è, ciò che non è non è, la parte è minore del tutto, ecc.), cioè non dicendo nulla di determinato, o in termini ipotetici (che consentono di dire tutto e -anzi: o- il contrario di tutto purché si evitino contraddizioni, oppure riferendosi a dati empiricamente rilevati; a priori nulla di non tautologico in ultima analisi (anche le deduzioni non fanno che esplicitare nozioni di già presenti, sia pure implicitamente nelle premesse arbitrariamente assunte) o di ipotetico (come la realtà potrebbe essere -oppure no- se...) circa come è e/o come non é la realtà può dirsi (contro il preteso "argomento ontologico", da cui vari metafisici, fra cui Cartesio, hanno tratto secondo me indebitamente, erroneamente varie deduzioni circa la realtà).
Negli esempi che hai fatto manca la "realtà". Dire "ciò che è è" non è affermare qualcosa e da quella affermazione non si possono trarre deduzioni mentre invece dire che "il tutto comprende qualsiasi realtà" è certamente un'ovvietà ma niente affatto una tautologia dato che non è così comprensibile da chiunque (anzi la maggior parte delle persone non comprende affatto questa ovvietà e cerca di trovare sempre un modo di contestarla) e da quella si possono trarre indefinite deduzioni (ad esempio quella che anche se togli dal tutto una parte questo non cambia, ovvero non diminuisce, e l'affermazione "la parte è minore del tutto" non è una affermazione metafisica perché metafisicamente la parte non ha con il tutto alcuna misura comune; in parole povere il tutto non è un "insieme" ma una "cosa" in sé e per sé, un "intero" privo di parti).
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PM("Tutto" non è necessariamente sinonimo di "infinito"; è pensabile non autocontraddittoriamente anche un tutto finito)
Solo se il "tutto" lo usi come aggettivo o pronome (tutto il vino, tutto il mondo, ho visto tutto il film etc.). Se lo si usa come sostantivo ("il Tutto") può essere solo sinonimo di infinito, sempre metafisicamente parlando.
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMSe si nega la realtà del tutto non si può più dire che "qualcosa esiste" (dato che quel "qualcosa" è parte del tutto se non c'è questo non può esistere neppure quello), ma nemmeno si può dire che cosa di determinato esiste e che cosa di determinato non esiste: è come dire che esiste ciò che esiste e non esiste ciò che non esiste (qualsiasi cosa sia).
Non vi è nulla che non esiste: se tu puoi parlare di qualcosa (qualsiasi cosa, anche la più strana che riesci ad immaginare) significa che quel qualcosa esiste, che si manifesta (sia pure solo alla tua mente), altrimenti non potresti attribuire un predicato qual è quello dell'esistenza (o della non esistenza) a qualcosa che non "è" e di cui quindi non puoi sapere nulla. Si tende spesso a semplificare il concetto di "esistenza" attribuendolo solo a cose che si possono "vedere e toccare", ma a parte il fatto che le cose che si possono vedere e toccare sono mosse da ciò che non si vede e non si tocca se questo fosse vero non esisterebbe l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano. Bisognerebbe, più correttamente, dividere la realtà in "piani di esistenza": quello concreto, quello immaginario, quello concettuale, quello progettuale eccetera, tenendo presente che tutte queste "divisioni", queste "determinazioni", sono arbitrarie convenzioni umane e non sono in sé sussistenti dato che la realtà è una e una sola. Ciò che di determinato esiste non è una "verità" ma solo una convenzione umana che l'uomo utilizza ai suoi fini. Non si potrà mai sapere cos'è veramente un carciofo (dato che in sé non esiste, e per "in sé" intendo indipendentemente da tutte le condizioni che gli consentono di esistere senza le quali non potrebbe mai farlo), anche se noi lo categorizziamo in un certo modo e ce ne serviamo per la nostra alimentazione, e dato che la metafisica si occupa dell'universale non ti verrà certo a dire cos'è un carciofo (che per lei "non esiste").
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PME partendo da questo concetto (del "tutto") si possono poi fare, utilizzando correttamente la logica e rispettando il significato delle parole, tutte le deduzioni che uno crede, che sono giudizi analitici a priori, senza dire nulla (di determinato) su come le realtà è e/o non è, su ciò che é/accade realmente e ciò che non é/non accade realmente (nella stessa identica maniera dei teoremi della matematica pura).
La matematica è un linguaggio, e si può fare metafisica anche utilizzando i numeri in maniera simbolica (vedi Pitagora) e mi risulta che il calcolo infinitesimale sia stato usato anche in metafisica, ma come dicevo sopra siccome la metafisica si occupa di verità incontrovertibili e universali non ti potrà mai dire cosa sarà "esattamente" un oggetto materiale (dato che questo nessuno può dirlo) ma potrà al massimo, attraverso le sue deduzioni e l'osservazione, darne una qualche descrizione e inserirlo in un determinato contesto. Certo la metafisica non potrà mai dire e non dirà mai che se il carciofo è adatto all'alimentazione umana questo esiste apposta per alimentare l'uomo. La metafisica usa il principio di ragione (nihil est sine ratione) e non certo il "principio di ragione sufficiente" ove la sufficienza o meno della ragione dell'esistenza di qualcosa (o di qualcuno) la decide l'uomo, e si limita ad affermare che se qualcosa (qualunque cosa) esiste una ragione c'è, perché se non ci fosse alcuna ragione semplicemente non esisterebbe. Diverso è conoscere tale (o tali) ragione poiché qui si entra sempre nel campo delle ipotesi umane e non si fa certo metafisica (qualcuno potrebbe dire che il carciofo, dato che è robusto e punge, è un'arma e anziché mangiarlo lo usa per proteggersi o aggredire gli altri).
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMDissento completamente dalla tesi che tutto ciò che ho elencato (pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza) non è al di là del fisico ma è "fisico" a tutti gli effetti, che il "mentale" e lo "psicologico" sono fenomeni fisici, non metafisici. Io di fisico conosco il cervello con tutte le sue funzioni (nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chi li esperisce, in cui accadono in quanto immediatamente esperiti o indirettamente dedotti) e non pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza (che accadono nell' ambito di -i quali costituiscono- parte di un' esperienza fenomenica cosciente che credo -indimostrabilmente né constatabilmente in modo empirico- necessariamente coesistente con gli eventi neurofisiologici di un cero determinato cervello ma ne sono "altra cosa"). E questo anche se "all' orientale" chiamiamo enti ed eventi (fenomenici) mentali "materia fine" per distinguerla da enti ed eventi (parimenti fenomenici) "materiali grossolani" (questa differenza permane anche impiegando termini linguistici -vocaboli- diversi per significare ciò che non è fisico ovvero materiale).Per lo meno Hume (che conosco meglio) affermando che "nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu") parlava sia delle sensazioni fisiche o materiali che di quelle mentali (che non chiamava "metafisiche", ma non identificava con alcuna di quelle materiali o fisiche) indifferentemente.
È metafisico ciò che è universale; ciò che non si può applicare all'intero universo non può essere metafisico. Quindi metafisico è lo "spirituale", e non lo "psichico". La psiche è un attributo personale (dell'uomo ma anche, a mio avviso, degli animali e magari anche delle piante), ogni uomo ha la sua, unica e particolare, e tutto ciò che è più o meno riconducibile a sentimenti, carattere, personalità e cose di questo genere che sono caratteristiche particolari diverse da individuo ad individuo essendo parte di esso non possono che costituire parte della sua "materialità" particolare. La metafisica (o spiritualità), essendo "sovrumana" e universale, trascende ogni caratteristica particolare ed è invece identica per tutti gli uomini di ogni luogo e tempo, e di diverso da uomo a uomo c'è solo la sua interazione con lo "psichico" che determina la maggiore o minore comprensione di qualcuno rispetto ad altri o il diverso modo di esprimerne i principi e i concetti. Se la "psicologia" o la "psicanalisi", essendo scienze umane, si servono delle statistiche dei "casi" per affermare le proprie "verità", espresse sulla base appunto di una media "statistica", la metafisica, essendo una scienza sovrumana, non ha alcun bisogno di "statistiche" perché le proprie verità sono identiche per chiunque. Ogni testo, ogni frammento e ogni insegnamento metafisico, di qualsiasi epoca e di qualunque parte del mondo (dal Tao alle Upanisad, dal Sufismo alla Kabbalah, dalla Mistica di Meister Echkart all'esicaismo, dall'Ermetismo alle Enneadi, dall'Avesta ai racconti degli indiani d'America, dal Pitagorismo al Buddhismo zen) è sempre il medesimo, e quel che cambia è solo il modo di esprimerlo.
A me sembra che basti un granellino di sabbia, qualunque cosa esso sia, per mettere in eterna contraddizione, se non mandare in soffitta, le costruzioni metafisiche, gli universali, gli assoluti, i principi, gli uni, gli dei, i vuoti, i tutti.
Citazione di: donquixote il 14 Marzo 2017, 19:29:04 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMIn che senso in metafisica i presupposti arbitrariamente assunti dai quali si deduce sono (oltre che assolutamente autoevidenti e innegabili) tali da "rappresentare una realtà"?.
Sempre prendendo ad esempio il concetto di "tutto" ogni realtà che uno può vedere (o immaginare, o pensare) è inclusa in questo "tutto" e ne è una parte. Il "tutto" include dunque tutte le realtà possibili, quindi non può che rappresentare esso stesso una realtà, anzi l'unica realtà possibile dato che tutte le "parti" sono dipendenti da questo "tutto" e senza di esso non potrebbero manifestare la propria "realtà"
CitazioneMa in questo modo non si fa che dire che "tutto ciò che è reale è reale,qualsiasi cosa sia, dunque non si dice (non si conosce) alcunché (di determinato circa la realtà); infatti si tratta di giudizi analitici apriori.
Inoltre non distinguendo fra i ben diversi modi di essere reale di ciò che uno può vedere da una parte e di ciò che uno può immaginare o pensare dall' altra (o i ben diversi sensi in cui se ne intende l' essere reale) si cade nella "notte hegeliana in cui tutte le vacche sembrano (ma invece non sono!) nere".
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMCredo che si possa pensare circa una realtà o in termini generalissimi, assolutamente indeterminati, facendo delle tautologie (ciò che è è, ciò che non è non è, la parte è minore del tutto, ecc.), cioè non dicendo nulla di determinato, o in termini ipotetici (che consentono di dire tutto e -anzi: o- il contrario di tutto purché si evitino contraddizioni, oppure riferendosi a dati empiricamente rilevati; a priori nulla di non tautologico in ultima analisi (anche le deduzioni non fanno che esplicitare nozioni di già presenti, sia pure implicitamente nelle premesse arbitrariamente assunte) o di ipotetico (come la realtà potrebbe essere -oppure no- se...) circa come è e/o come non é la realtà può dirsi (contro il preteso "argomento ontologico", da cui vari metafisici, fra cui Cartesio, hanno tratto secondo me indebitamente, erroneamente varie deduzioni circa la realtà).
Negli esempi che hai fatto manca la "realtà". Dire "ciò che è è" non è affermare qualcosa e da quella affermazione non si possono trarre deduzioni mentre invece dire che "il tutto comprende qualsiasi realtà" è certamente un'ovvietà ma niente affatto una tautologia dato che non è così comprensibile da chiunque (anzi la maggior parte delle persone non comprende affatto questa ovvietà e cerca di trovare sempre un modo di contestarla) e da quella si possono trarre indefinite deduzioni (ad esempio quella che anche se togli dal tutto una parte questo non cambia, ovvero non diminuisce, e l'affermazione "la parte è minore del tutto" non è una affermazione metafisica perché metafisicamente la parte non ha con il tutto alcuna misura comune; in parole povere il tutto non è un "insieme" ma una "cosa" in sé e per sé, un "intero" privo di parti).
CitazioneAppunto: se si pretende di dedurre ciò che è reale da (per usare le tue parole) "dati arbitrariamente assunti" a priori non si ottiene mai alcuna conoscenza circa la realtà; non si fa della metafisica ma della logica ("il tutto comprende qualsiasi realtà") o della matematica pura.
Il fatto che si possano proporre giudizi analitici a priori errati e che di fatto molti ne esprimono di falsi non toglie che i giudizi analitici a priori corretti e veri non siano in ultima analisi che tautologie che non dicono nulla circa la realtà limitandosi ad esplicitare nozioni di già comprese nelle premesse, per quanto implicitamente.
Non vedo come dall' affermazione "il tutto comprende qualsiasi realtà" si possano trarre (correttamente) infinite deduzioni (vere); e infatti quella che proponi come esempio ("anche se togli dal tutto una parte questo non cambia, ovvero non diminuisce") è palesemente errata e falsa.
Non conosco il metafisichese, ma in italiano la "parte" è minore del "tutto" e il tutto può essere considerato come un "intero" nel qual si possono benissimo distinguere e considerate "parti" separatamente le une dalle altre e dal tutto stesso.
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PM("Tutto" non è necessariamente sinonimo di "infinito"; è pensabile non autocontraddittoriamente anche un tutto finito)
Solo se il "tutto" lo usi come aggettivo o pronome (tutto il vino, tutto il mondo, ho visto tutto il film etc.). Se lo si usa come sostantivo ("il Tutto") può essere solo sinonimo di infinito, sempre metafisicamente parlando.
CitazioneAnche usandolo come sostantivo (aggettivo sostantivato per la precisione), il "tutto" (= tutto ciò che é/accade realmente) non è affatto sinonimo di "infinito".
Infatti per esempio per i monisti materialisti (quale io non sono) le teorie cosmologiche correnti (cui io non credo; ma non stiamo parlando di cose reali bensì di significati di termini verbali, di vocaboli) in italiano (non conoscendo io il metafisichese, ammesso e non concesso che tutti i metafisici "parlino la stessa lingua") affermano che "il tutto (sostantivo)" è spazialmente e temporalmente finito.
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMSe si nega la realtà del tutto non si può più dire che "qualcosa esiste" (dato che quel "qualcosa" è parte del tutto se non c'è questo non può esistere neppure quello), ma nemmeno si può dire che cosa di determinato esiste e che cosa di determinato non esiste: è come dire che esiste ciò che esiste e non esiste ciò che non esiste (qualsiasi cosa sia).
Non vi è nulla che non esiste: se tu puoi parlare di qualcosa (qualsiasi cosa, anche la più strana che riesci ad immaginare) significa che quel qualcosa esiste, che si manifesta (sia pure solo alla tua mente), altrimenti non potresti attribuire un predicato qual è quello dell'esistenza (o della non esistenza) a qualcosa che non "è" e di cui quindi non puoi sapere nulla. Si tende spesso a semplificare il concetto di "esistenza" attribuendolo solo a cose che si possono "vedere e toccare", ma a parte il fatto che le cose che si possono vedere e toccare sono mosse da ciò che non si vede e non si tocca se questo fosse vero non esisterebbe l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano. Bisognerebbe, più correttamente, dividere la realtà in "piani di esistenza": quello concreto, quello immaginario, quello concettuale, quello progettuale eccetera, tenendo presente che tutte queste "divisioni", queste "determinazioni", sono arbitrarie convenzioni umane e non sono in sé sussistenti dato che la realtà è una e una sola. Ciò che di determinato esiste non è una "verità" ma solo una convenzione umana che l'uomo utilizza ai suoi fini. Non si potrà mai sapere cos'è veramente un carciofo (dato che in sé non esiste, e per "in sé" intendo indipendentemente da tutte le condizioni che gli consentono di esistere senza le quali non potrebbe mai farlo), anche se noi lo categorizziamo in un certo modo e ce ne serviamo per la nostra alimentazione, e dato che la metafisica si occupa dell'universale non ti verrà certo a dire cos'è un carciofo (che per lei "non esiste").
Citazione"Non vi è nulla che non esiste" è vero nel senso che nulla di esistente non esiste (tautologia!); ma vi sono molte cose pensabili e di fatto pensate (per esempio i solti ippogrifi cui nell' immaginazione faccio continuamente fischiare le orecchie immaginarie) che non esistono realmente; e si può benissimo attribuire (erroneamente, falsamente) il predicato dell' esistenza a qualcosa che non esiste realmente ma solo è realmente pensato, immaginato, oltre che correttamente, veracemente il ben diverso predicato di "intendersi", di "essere pensato" o "immaginato".
Infatti anche l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano ma realmente esistono o accadono sono tutt' altro ("sono" in tutt' atro senso) che l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano ma non esistono o accadono realmente ma solo sono pensate, immaginate (magari realmente).
Confondendo i due ben diversi significati in cui può essere usato il verbo essere (esistere realmente ed essere oggetto di considerazione teorica, di pensiero; magari anche realmente) si fa della logica errata e falsa (e pretesa essere metafisica): non si distingue correttamente la realtà fra diversi "piani di esistenza", quello concreto, quello immaginario, quello concettuale, quello progettuale eccetera, tenendo presente che tutte queste "divisioni", queste "determinazioni", sono arbitrarie convenzioni umane e non sono sé sussistenti dato che la realtà è una e una sola; certo, ma non qualcosa di indistinguibile, di ontologicamente univoco (la notte hegeliana!").
La "verità" è un concetto umano convenzionalmente stabilito per definizione, e anche la "realtà" lo é, ma non sono affatto o stesso identico concetto umano convenzionalmente stabilito per definizione (non sono sinonimi; se non -erroneamente, falsamente- nella "notte hegeliana"), bensì due fra loro ben diversi concetti umani, ciascuno dei quali convenzionalmente stabilito per definizione.
Non pretendo certo che "la" metafisica (ma non esiste un' unica metafisica! Qualsiasi metafisica) mi venga a dire cos' è un carciofo: per questo mi basta la botanica (e per molti scopi pratici, come l' utilizzarlo per la nostra alimentazione basta "e avanza" il semplice senso comune; a meno che non si tratti di un carciofo radioattivo o geneticamente modificato, nel qual caso sarebbe decisamente preferibile ricorrere alla scienza).
CONTINUA
Citazione di: donquixote il 14 Marzo 2017, 19:29:04 PM
CONTINUAZIONE
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PME partendo da questo concetto (del "tutto") si possono poi fare, utilizzando correttamente la logica e rispettando il significato delle parole, tutte le deduzioni che uno crede, che sono giudizi analitici a priori, senza dire nulla (di determinato) su come le realtà è e/o non è, su ciò che é/accade realmente e ciò che non é/non accade realmente (nella stessa identica maniera dei teoremi della matematica pura).
La matematica è un linguaggio, e si può fare metafisica anche utilizzando i numeri in maniera simbolica (vedi Pitagora) e mi risulta che il calcolo infinitesimale sia stato usato anche in metafisica, ma come dicevo sopra siccome la metafisica si occupa di verità incontrovertibili e universali non ti potrà mai dire cosa sarà "esattamente" un oggetto materiale (dato che questo nessuno può dirlo) ma potrà al massimo, attraverso le sue deduzioni e l'osservazione, darne una qualche descrizione e inserirlo in un determinato contesto. Certo la metafisica non potrà mai dire e non dirà mai che se il carciofo è adatto all'alimentazione umana questo esiste apposta per alimentare l'uomo. La metafisica usa il principio di ragione (nihil est sine ratione) e non certo il "principio di ragione sufficiente" ove la sufficienza o meno della ragione dell'esistenza di qualcosa (o di qualcuno) la decide l'uomo, e si limita ad affermare che se qualcosa (qualunque cosa) esiste una ragione c'è, perché se non ci fosse alcuna ragione semplicemente non esisterebbe. Diverso è conoscere tale (o tali) ragione poiché qui si entra sempre nel campo delle ipotesi umane e non si fa certo metafisica (qualcuno potrebbe dire che il carciofo, dato che è robusto e punge, è un'arma e anziché mangiarlo lo usa per proteggersi o aggredire gli altri).
CitazioneAnche la matematica pura si occupa di verità incontrovertibili e universali; ma si tratta di verità analitiche a priori che non dicono nulla di come è o non è la realtà (come anche quelle di una pretesa metafisica -ma in realtà si tratterebbe di un sistema assiomatico, logico- che pretendesse di fare discorsi dedotti da premesse arbitrariamente stabilite a priori).
Se la sufficienza o meno della ragione dell'esistenza di qualcosa (o di qualcuno) la decidesse arbitrariamente l'uomo (anche facendo della scienza e/o della metafisica), allora porrebbero benissimo esistere realmente gli ippogrifi, nonché innumerevoli donne bellissime disposte a compiacermi in ogni mio desiderio; ma purtroppo (o forse per fortuna, a ben vedere) così non è!
Non vedo come si possa sostenere che "se qualcosa (qualunque cosa) esiste una ragione c'è, perché se non ci fosse alcuna ragione semplicemente non esisterebbe": non è per niente autocontraddittorio pensare (ergo: è ben possibile che realmente sa) che qualcosa esista senza una ragione.
A parte il fatto che pretendendo una ragione per qualsiasi cosa esista (o accada) si cadrebbe inevitabilmente in un illogicissimo regresso all' infinito: e la ragione della ragione? E la ragione della ragione della ragione"? E così via all' infinito!
Citazione di: sgiombo il 13 Marzo 2017, 14:19:50 PMDissento completamente dalla tesi che tutto ciò che ho elencato (pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza) non è al di là del fisico ma è "fisico" a tutti gli effetti, che il "mentale" e lo "psicologico" sono fenomeni fisici, non metafisici. Io di fisico conosco il cervello con tutte le sue funzioni (nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chi li esperisce, in cui accadono in quanto immediatamente esperiti o indirettamente dedotti) e non pensiero, ragionamento, sentimenti, autocoscienza (che accadono nell' ambito di -i quali costituiscono- parte di un' esperienza fenomenica cosciente che credo -indimostrabilmente né constatabilmente in modo empirico- necessariamente coesistente con gli eventi neurofisiologici di un cero determinato cervello ma ne sono "altra cosa"). E questo anche se "all' orientale" chiamiamo enti ed eventi (fenomenici) mentali "materia fine" per distinguerla da enti ed eventi (parimenti fenomenici) "materiali grossolani" (questa differenza permane anche impiegando termini linguistici -vocaboli- diversi per significare ciò che non è fisico ovvero materiale).Per lo meno Hume (che conosco meglio) affermando che "nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu") parlava sia delle sensazioni fisiche o materiali che di quelle mentali (che non chiamava "metafisiche", ma non identificava con alcuna di quelle materiali o fisiche) indifferentemente.
È metafisico ciò che è universale; ciò che non si può applicare all'intero universo non può essere metafisico. Quindi metafisico è lo "spirituale", e non lo "psichico". La psiche è un attributo personale (dell'uomo ma anche, a mio avviso, degli animali e magari anche delle piante), ogni uomo ha la sua, unica e particolare, e tutto ciò che è più o meno riconducibile a sentimenti, carattere, personalità e cose di questo genere che sono caratteristiche particolari diverse da individuo ad individuo essendo parte di esso non possono che costituire parte della sua "materialità" particolare. La metafisica (o spiritualità), essendo "sovrumana" e universale, trascende ogni caratteristica particolare ed è invece identica per tutti gli uomini di ogni luogo e tempo, e di diverso da uomo a uomo c'è solo la sua interazione con lo "psichico" che determina la maggiore o minore comprensione di qualcuno rispetto ad altri o il diverso modo di esprimerne i principi e i concetti. Se la "psicologia" o la "psicanalisi", essendo scienze umane, si servono delle statistiche dei "casi" per affermare le proprie "verità", espresse sulla base appunto di una media "statistica", la metafisica, essendo una scienza sovrumana, non ha alcun bisogno di "statistiche" perché le proprie verità sono identiche per chiunque. Ogni testo, ogni frammento e ogni insegnamento metafisico, di qualsiasi epoca e di qualunque parte del mondo (dal Tao alle Upanisad, dal Sufismo alla Kabbalah, dalla Mistica di Meister Echkart all'esicaismo, dall'Ermetismo alle Enneadi, dall'Avesta ai racconti degli indiani d'America, dal Pitagorismo al Buddhismo zen) è sempre il medesimo, e quel che cambia è solo il modo di esprimerlo.
CitazioneMa non vedo come lo "spirituale" (-?- andrebbe definito!) possa essere applicabile al' intero universo e dunque (per la tua definizione) pure il "metafisico": una patata, che a quanto pare fa parte dell' intero universo, cos' ha mai di "spirituale"?
A meno che per "universo inteso nella sua interezza" intenda (lo consideri sinonimo di) "spirituale", nel qual caso proclameresti una mera tautologia!
Concordo che gli animali non umani, almeno i più anatomicamente ed etologicamente complessi, abbiano una psiche (un' esperienza fenomenica cosciente corrispondente al rispettivo sistema nervoso centrale); non credo proprio i vegetali (fatto che, per la mera cronaca, metterebbe in crisi i vegani).
Men che meno vedo come "tutto ciò che è più o meno riconducibile a sentimenti, carattere, personalità e cose di questo genere che sono caratteristiche particolari diverse da individuo ad individuo essendo parte di esso" non possano che costituire parte della sua "materialità" (particolare): "cose di questo genere" non rientrano affatto nella "res extensa", nell' ambito della sempre valida, a mio parere, distinzione cartesiana fra materia e pensiero.
Da "La metafisica (o spiritualità), essendo "sovrumana" e universale, trascende ogni caratteristica particolare" in poi non comprendo (metafisichese assai stretto!):
Ma non mi convince l' affermazione "Ogni testo, ogni frammento e ogni insegnamento metafisico, di qualsiasi epoca e di qualunque parte del mondo (dal Tao alle Upanisad, dal Sufismo alla Kabbalah, dalla Mistica di Meister Echkart all'esicaismo, dall'Ermetismo alle Enneadi, dall'Avesta ai racconti degli indiani d'America, dal Pitagorismo al Buddhismo zen)" possano essere "sempre il medesimo, e quel che cambia è solo il modo di esprimerlo": pur non conoscendo queste dottrine, dubito che siano identiche e anche solo compatibili fra loro (qualche esperto nel forum potrebbe dirimere il mio dubbio).
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PMMa in questo modo non si fa che dire che "tutto ciò che è reale è reale,qualsiasi cosa sia, dunque non si dice (non si conosce) alcunché (di determinato circa la realtà); infatti si tratta di giudizi analitici a priori. Inoltre non distinguendo fra i ben diversi modi di essere reale di ciò che uno può vedere da una parte e di ciò che uno può immaginare o pensare dall' altra (o i ben diversi sensi in cui se ne intende l' essere reale) si cade nella "notte hegeliana in cui tutte le vacche sembrano (ma invece non sono!) nere".
Non è la stessa cosa dire "tutto è reale" e "tutto ciò che è reale è reale" perchè nel secondo caso si presuppone una arbitraria identificazione di ciò che si può chiamare "reale", e questa può essere effettuata solo dall'uomo ed è sicuramente opinabile. Nel primo caso invece l'affermazione è incontestabile perché per contestarla bisognerebbe spiegare come si fa a dire che qualcosa è "irreale" ovvero "non esiste", dato che per dirlo bisogna pur sapere che cosa è quel qualcosa, e se non esiste (cioè se è "nulla") come si fa a sapere cosa è per poterne affermare la "non esistenza"?
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PMAppunto: se si pretende di dedurre ciò che è reale da (per usare le tue parole) "dati arbitrariamente assunti" a priori non si ottiene mai alcuna conoscenza circa la realtà; non si fa della metafisica ma della logica ("il tutto comprende qualsiasi realtà") o della matematica pura. Il fatto che si possano proporre giudizi analitici a priori errati e che di fatto molti ne esprimono di falsi non toglie che i giudizi analitici a priori corretti e veri non siano in ultima analisi che tautologie che non dicono nulla circa la realtà limitandosi ad esplicitare nozioni di già comprese nelle premesse, per quanto implicitamente. Non vedo come dall' affermazione "il tutto comprende qualsiasi realtà" si possano trarre (correttamente) infinite deduzioni (vere); e infatti quella che proponi come esempio ("anche se togli dal tutto una parte questo non cambia, ovvero non diminuisce") è palesemente errata e falsa. Non conosco il metafisichese, ma in italiano la "parte" è minore del "tutto" e il tutto può essere considerato come un "intero" nel qual si possono benissimo distinguere e considerate "parti" separatamente le une dalle altre e dal tutto stesso.
Se togli una parte dal tutto questo dovrebbe scindersi in un "quasi tutto" da una parte e la "parte" da quell'altra, sicchè il "tutto" non potrebbe più esistere, ma il tutto metafisico rimane invece sempre tale, perché una qualsiasi parte di questo tutto non potrebbe sussistere di per sé, non può essere "realmente" separata da questo tutto perché è da questo dipendente per la sua stessa esistenza (riesci a fare un esempio di "qualcosa" che sussista di per sé, ovvero che sia totalmente indipendente da aria, acqua, luce, tempo, spazio, forza di gravità eccetera?). Può esserci, e di fatto c'è, la possibilità di considerare qualcosa come una "parte" del tutto ma questa, ribadisco, non è "realtà" ma semplice convenzione umana che distingue l'universo in "enti" che esistono solo per lui, e senza l'uomo che li "pensa" come enti separati non potrebbero sussistere, così come di fatto esiste la mela o il carciofo solo perché l'uomo li separa arbitrariamente da tutto il resto della "natura" e decide di chiamarli così.
Tutta quella che tu definisci "conoscenza circa la realtà" è semplicemente una struttura mentale e schematica umana che "divide" la realtà in "pezzi" e li inserisce in schemi logici e tassonomici utili ai suoi scopi. Così come la struttura mentale umana ti spiegava le eclissi in un certo modo duemila anni fa adesso te le spiega in un altro modo, ma nessuno dei due modi è più "vero" dell'altro. Sono solo due modi (o due punti di vista) diversi di spiegare dei fenomeni separandoli idealmente da tutto il resto, ma questa è, per quanto indispensabile all'uomo, una mera arbitrarietà e non ha nulla a che fare con l'effettiva "realtà" che nel nostro mondo è il mero "divenire", o come direbbe Sari l'impermanenza.
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PMAnche usandolo come sostantivo (aggettivo sostantivato per la precisione), il "tutto" (= tutto ciò che é/accade realmente) non è affatto sinonimo di "infinito". Infatti per esempio per i monisti materialisti (quale io non sono) le teorie cosmologiche correnti (cui io non credo; ma non stiamo parlando di cose reali bensì di significati di termini verbali, di vocaboli) in italiano (non conoscendo io il metafisichese, ammesso e non concesso che tutti i metafisici "parlino la stessa lingua") affermano che "il tutto (sostantivo)" è spazialmente e temporalmente finito.
Se fosse come dici si verificherebbe una contraddizione insanabile con il significato della parola "tutto", perchè se il "tutto" è effettivamente tale non può non comprendere anche lo spazio e il tempo e non può essere delimitato da questi. Se lo fosse vorrebbe dire che spazio e tempo sono esterni e separati rispetto al tutto e quindi questo non potrebbe più essere definito tale. In ogni caso, come anche tu affermi, questa è una concezione materialistica che con la metafisica non ha nulla a che fare.
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PM"Non vi è nulla che non esiste" è vero nel senso che nulla di esistente non esiste (tautologia!); ma vi sono molte cose pensabili e di fatto pensate (per esempio i solti ippogrifi cui nell' immaginazione faccio continuamente fischiare le orecchie immaginarie) che non esistono realmente; e si può benissimo attribuire (erroneamente, falsamente) il predicato dell' esistenza a qualcosa che non esiste realmente ma solo è realmente pensato, immaginato, oltre che correttamente, veracemente il ben diverso predicato di "intendersi", di "essere pensato" o "immaginato". Infatti anche l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano ma realmente esistono o accadono sono tutt' altro ("sono" in tutt' atro senso) che l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano ma non esistono o accadono realmente ma solo sono pensate, immaginate (magari realmente). Confondendo i due ben diversi significati in cui può essere usato il verbo essere (esistere realmente ed essere oggetto di considerazione teorica, di pensiero; magari anche realmente) si fa della logica errata e falsa (e pretesa essere metafisica): non si distingue correttamente la realtà fra diversi "piani di esistenza", quello concreto, quello immaginario, quello concettuale, quello progettuale eccetera, tenendo presente che tutte queste "divisioni", queste "determinazioni", sono arbitrarie convenzioni umane e non sono sé sussistenti dato che la realtà è una e una sola; certo, ma non qualcosa di indistinguibile, di ontologicamente univoco (la notte hegeliana!"). La "verità" è un concetto umano convenzionalmente stabilito per definizione, e anche la "realtà" lo é, ma non sono affatto o stesso identico concetto umano convenzionalmente stabilito per definizione (non sono sinonimi; se non -erroneamente, falsamente- nella "notte hegeliana"), bensì due fra loro ben diversi concetti umani, ciascuno dei quali convenzionalmente stabilito per definizione. Non pretendo certo che "la" metafisica (ma non esiste un' unica metafisica! Qualsiasi metafisica) mi venga a dire cos' è un carciofo: per questo mi basta la botanica (e per molti scopi pratici, come l' utilizzarlo per la nostra alimentazione basta "e avanza" il semplice senso comune; a meno che non si tratti di un carciofo radioattivo o geneticamente modificato, nel qual caso sarebbe decisamente preferibile ricorrere alla scienza).
Come dicevo sopra in generale, l'ippogrifo esiste eccome, perché se non esistesse tu non potresti sapere che cos'è un ippogrifo e quindi non potresti mai affermare o meno la sua "esistenza". Che poi questo esista "su questa terra" oppure in un altro pianeta oppure solo come parto dell'immaginazione di qualcuno è tutt'altra questione che si riferisce appunto ai "piani di esistenza". Si può dire, metafisicamente, che "tutto esiste" come spiegato sopra, oppure che "nulla esiste" intendendo con "nulla" nulla di particolare, di determinato, dato che ogni definizione di qualcosa non è altro che una attribuzione che l'uomo assegna ad un "ente", a cominciare dal fatto di separarlo da altri "enti" e che è già di per sé una determinazione, una limitazione (l'antinomia kantiana fra il divisibile e l'indivisibile quindi fra semplice e complesso non ha alcun senso). Quindi, in "soldoni", l'unica verità basilare e incontrovertibile è che "solo il tutto esiste" perché se questo "tutto" lo si comincia a dividere in parti (assegnando ad alcune l'esistenza che si nega ad altre) si commette un'arbitrarietà che anche se può essere condivisa da tutti gli esseri umani rimane pur sempre un'arbitrio, una convenzione, e non una verità, dato che la medesima determinazione delle parti può non essere valida per le piante, i batteri, le montagne, le farfalle eccetera (supponendo che questi abbiano una "coscienza" e possano "pensare" come facciamo noi).
La metafisica si propone di affermare delle verità che anche un moscerino o un alieno venuto da chissà dove non potrebbe che condividere. E la metafisica che si occupa di definire le cose particolari (come ad esempio lo spazio, il tempo o il pensiero) non è affatto metafisica ma un'altra cosa (chiamala ontologia, o semiologia, o come vuoi tu), perché in metafisica nella "notte hegeliana" non c'è alcuna vacca, né nera e nemmeno di altri colori.
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:41:05 PMAnche la matematica pura si occupa di verità incontrovertibili e universali; ma si tratta di verità analitiche a priori che non dicono nulla di come è o non è la realtà (come anche quelle di una pretesa metafisica -ma in realtà si tratterebbe di un sistema assiomatico, logico- che pretendesse di fare discorsi dedotti da premesse arbitrariamente stabilite a priori). Se la sufficienza o meno della ragione dell'esistenza di qualcosa (o di qualcuno) la decidesse arbitrariamente l'uomo (anche facendo della scienza e/o della metafisica), allora porrebbero benissimo esistere realmente gli ippogrifi, nonché innumerevoli donne bellissime disposte a compiacermi in ogni mio desiderio; ma purtroppo (o forse per fortuna, a ben vedere) così non è! Non vedo come si possa sostenere che "se qualcosa (qualunque cosa) esiste una ragione c'è, perché se non ci fosse alcuna ragione semplicemente non esisterebbe": non è per niente autocontraddittorio pensare (ergo: è ben possibile che realmente sa) che qualcosa esista senza una ragione. A parte il fatto che pretendendo una ragione per qualsiasi cosa esista (o accada) si cadrebbe inevitabilmente in un illogicissimo regresso all' infinito: e la ragione della ragione? E la ragione della ragione della ragione"? E così via all' infinito!
Continui ad insistere sull'avverbio "realmente"; ma se con questo intendi qualcosa che si può vedere e toccare limiti il campo di esistenza alla materia mentre ad esempio la "vita" che non si può vedere e toccare ma che è alla base del divenire che tutti possiamo constatare non dovrebbe esistere. Ma se non esiste la vita allora vuol dire che tutto nell'universo è morto, anche se poi l'esperienza quotidiana ci insegna il contrario.
È sempre un problema definire ciò che "esiste" da ciò che "non esiste" se questa "esistenza" è delimitata da un certo tipo di cultura o di visione del mondo. Quando un innamorato afferma che per lui esiste solo "lei" credi che pensi davvero che tutto il resto non esista "realmente"? Eppure quando lo dice crede sicuramente in quel che dice, basta individuare il "senso" in cui lo dice. Mentre se si parla in accezione universale ogni "cosa" sicuramente esiste ed è sottomessa alle condizioni proprie della sua esistenza: il pensiero esiste nella mente e non si può vedere o toccare mentre l'albero esiste in forma materiale quindi nell'ambito di ciò che si può vedere e toccare. Il grattacielo esiste prima sul piano progettuale nella mente del progettista e poi potrà esistere anche sul piano materiale se la sua realizzazione si adeguerà alle condizioni che sulla terra, con le sue particolari leggi fisiche, gli consentono di mantenersi in piedi.
Per quanto riguarda il principio di ragione anche qui è una questione logica: se non ci fosse nessuna, ma proprio nessuna, ragione perché qualcosa esista questa cosa semplicemente non esisterebbe. Diverso è poi conoscere tale ragione o condividerla, e spesso anzi quasi sempre non la si conosce o se ne attribuisce una sbagliata alla presenza di un qualcosa, ma al di là del fatto che la si conosca o meno la logica afferma che se qualunque cosa (compreso un pensiero) esiste una ragione ci deve essere. Forse può confondere il fatto che probabilmente l'uomo fa molte cose "per niente" (o perlomeno non sa spiegare il perché lo fa), ma la natura non fa mai niente per niente, giusto perché non ha di meglio da fare. Se lo facesse contraddirebbe fra l'altro il famoso "rasoio di Ockam" che per quanto sia un principio sballato è comunque quello sul quale si basano gli scienziati per elaborare le loro spiegazioni e le loro teorie.
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:41:05 PMMa non vedo come lo "spirituale" (-?- andrebbe definito!) possa essere applicabile al' intero universo e dunque (per la tua definizione) pure il "metafisico": una patata, che a quanto pare fa parte dell' intero universo, cos' ha mai di "spirituale"? A meno che per "universo inteso nella sua interezza" intenda (lo consideri sinonimo di) "spirituale", nel qual caso proclameresti una mera tautologia! Concordo che gli animali non umani, almeno i più anatomicamente ed etologicamente complessi, abbiano una psiche (un' esperienza fenomenica cosciente corrispondente al rispettivo sistema nervoso centrale); non credo proprio i vegetali (fatto che, per la mera cronaca, metterebbe in crisi i vegani. Men che meno vedo come "tutto ciò che è più o meno riconducibile a sentimenti, carattere, personalità e cose di questo genere che sono caratteristiche particolari diverse da individuo ad individuo essendo parte di esso" non possano che costituire parte della sua "materialità" (particolare): "cose di questo genere" non rientrano affatto nella "res extensa", nell' ambito della sempre valida, a mio parere, distinzione cartesiana fra materia e pensiero. La metafisica (o spiritualità), essendo "sovrumana" e universale, trascende ogni caratteristica particolare" in poi non comprendo (metafisichese assai stretto!): Ma non mi convince l' affermazione "Ogni testo, ogni frammento e ogni insegnamento metafisico, di qualsiasi epoca e di qualunque parte del mondo (dal Tao alle Upanisad, dal Sufismo alla Kabbalah, dalla Mistica di Meister Echkart all'esicaismo, dall'Ermetismo alle Enneadi, dall'Avesta ai racconti degli indiani d'America, dal Pitagorismo al Buddhismo zen)" essere "sempre il medesimo, e quel che cambia è solo il modo di esprimerlo": pur non conoscendo queste dottrine, dubito che siano identiche e anche solo compatibili fra loro (qualche esperto nel forum potrebbe dirimere il mio dubbio).
Lo "spirito" della patata è un frammento dello spirito che anima tutto l'universo e consente alla patata di essere quello che è e, fra l'altro, di crescere come patata e non come cipolla o come carota (qualcuno potrà chiamarlo "natura" come Spinoza ma questo vocabolo è molto controverso e comunque nella sua accezione più comune è valido solo nel nostro mondo).
Perchè mai le piante non possono avere una "psiche"? pare che molti esperimenti abbiano dimostrato che la musica di Mozart aiuta le piante a crescere meglio mentre con il rock duro o l'heavy metal peggiorano. Se la psiche non rientra nella res extensa (materia grossolana) allora necessariamente rientra nella res cogitans (materia sottile), ma come sappiamo lo stesso Cartesio pensava che la res cogitans fosse anch'essa in qualche modo "materia", tanto che la cercava nella famosa "ghiandola pineale". Se ha sbagliato il luogo dove cercarla non ha però sbagliato a pensare che anche il pensiero fosse fatto di "materia" (d'altronde anche le "onde" luminose o sonore sono materiali).
Nel capoverso che dici di non comprendere affermo solo che i concetti metafisici, non essendo contestabili in alcun modo se non contraddicendosi, sono necessariamente compresi nello stesso modo da chiunque sia in grado di (abbia il talento per) farlo, di qualunque luogo e in qualunque tempo. Poi gli stessi concetti potranno essere espressi e comunicati in molti modi, apparentemente anche molto diversi tra loro, a seconda dei tempi, delle culture e degli uomini a cui sono destinate le spiegazioni di questi concetti, per cui i testi che ho citato contengono espressioni solo formalmente differenti dei medesimi concetti.
Citazione di: donquixote il 17 Marzo 2017, 17:53:27 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PMMa in questo modo non si fa che dire che "tutto ciò che è reale è reale,qualsiasi cosa sia, dunque non si dice (non si conosce) alcunché (di determinato circa la realtà); infatti si tratta di giudizi analitici a priori. Inoltre non distinguendo fra i ben diversi modi di essere reale di ciò che uno può vedere da una parte e di ciò che uno può immaginare o pensare dall' altra (o i ben diversi sensi in cui se ne intende l' essere reale) si cade nella "notte hegeliana in cui tutte le vacche sembrano (ma invece non sono!) nere".
Non è la stessa cosa dire "tutto è reale" e "tutto ciò che è reale è reale" perchè nel secondo caso si presuppone una arbitraria identificazione di ciò che si può chiamare "reale", e questa può essere effettuata solo dall'uomo ed è sicuramente opinabile. Nel primo caso invece l'affermazione è incontestabile perché per contestarla bisognerebbe spiegare come si fa a dire che qualcosa è "irreale" ovvero "non esiste", dato che per dirlo bisogna pur sapere che cosa è quel qualcosa, e se non esiste (cioè se è "nulla") come si fa a sapere cosa è per poterne affermare la "non esistenza"?
CitazioneMa dove starebbe mai la presunta arbitraria identificazione di ciò che si può chiamare reale?
Che cosa sia reale è ovviamente opinabile, ma non per questo tutto ciò che è reale, qualsiasi cosa sia, non è reale; né per questo siffatta affermazione non é una tautologia che non dice nulla circa ciò che è reale (lo lascia infatti alla più totale opinabilità).
Che gli ippogrifi non sono reali ovvero non esistono (ma solo vengono pensati, detti, scritti, dipinti, ecc.; anche realmente) ovviamente implica sapere di cosa si sta parlando (gli ippogrifi: per saperlo basta definirli, per esempio come "cavalli alati, ovvero con sei arti di cui due sono ali"); ma questo è ben lungi dal far sì che siano reali!
(Reale é casomai il pensiero degli ippogrifi; che è tutt' altra cosa che degli ippogrifi pretesi reali e dai cavalli effettivamente reali).
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PMAppunto: se si pretende di dedurre ciò che è reale da (per usare le tue parole) "dati arbitrariamente assunti" a priori non si ottiene mai alcuna conoscenza circa la realtà; non si fa della metafisica ma della logica ("il tutto comprende qualsiasi realtà") o della matematica pura. Il fatto che si possano proporre giudizi analitici a priori errati e che di fatto molti ne esprimono di falsi non toglie che i giudizi analitici a priori corretti e veri non siano in ultima analisi che tautologie che non dicono nulla circa la realtà limitandosi ad esplicitare nozioni di già comprese nelle premesse, per quanto implicitamente. Non vedo come dall' affermazione "il tutto comprende qualsiasi realtà" si possano trarre (correttamente) infinite deduzioni (vere); e infatti quella che proponi come esempio ("anche se togli dal tutto una parte questo non cambia, ovvero non diminuisce") è palesemente errata e falsa. Non conosco il metafisichese, ma in italiano la "parte" è minore del "tutto" e il tutto può essere considerato come un "intero" nel qual si possono benissimo distinguere e considerate "parti" separatamente le une dalle altre e dal tutto stesso.
Se togli una parte dal tutto questo dovrebbe scindersi in un "quasi tutto" da una parte e la "parte" da quell'altra, sicchè il "tutto" non potrebbe più esistere, ma il tutto metafisico rimane invece sempre tale, perché una qualsiasi parte di questo tutto non potrebbe sussistere di per sé, non può essere "realmente" separata da questo tutto perché è da questo dipendente per la sua stessa esistenza (riesci a fare un esempio di "qualcosa" che sussista di per sé, ovvero che sia totalmente indipendente da aria, acqua, luce, tempo, spazio, forza di gravità eccetera?). Può esserci, e di fatto c'è, la possibilità di considerare qualcosa come una "parte" del tutto ma questa, ribadisco, non è "realtà" ma semplice convenzione umana che distingue l'universo in "enti" che esistono solo per lui, e senza l'uomo che li "pensa" come enti separati non potrebbero sussistere, così come di fatto esiste la mela o il carciofo solo perché l'uomo li separa arbitrariamente da tutto il resto della "natura" e decide di chiamarli così.
Tutta quella che tu definisci "conoscenza circa la realtà" è semplicemente una struttura mentale e schematica umana che "divide" la realtà in "pezzi" e li inserisce in schemi logici e tassonomici utili ai suoi scopi. Così come la struttura mentale umana ti spiegava le eclissi in un certo modo duemila anni fa adesso te le spiega in un altro modo, ma nessuno dei due modi è più "vero" dell'altro. Sono solo due modi (o due punti di vista) diversi di spiegare dei fenomeni separandoli idealmente da tutto il resto, ma questa è, per quanto indispensabile all'uomo, una mera arbitrarietà e non ha nulla a che fare con l'effettiva "realtà" che nel nostro mondo è il mero "divenire", o come direbbe Sari l'impermanenza.
CitazioneNon so cosa sia il "tutto metafisico", ma se dal "tutto reale" si separa una parte quello continua ad esistere come insieme di parti separate.
Ma che c' entra la pretesa di qualcosa "che sia totalmente indipendente da aria, acqua, luce, tempo, spazio, forza di gravità eccetera"?
Se da tutto separi una patata (fatta di acqua e altro, soggiacente alla legge di gravità, ecc.) ottieni il tutto meno la patata.
Una mela reale (per esempio come la era quella che mi sono appena mangiato di gusto), un carciofo reale, ecc. possono essere considerati, pensati separatamente dal resto o meno ad libitum, ma non per questo non sono reali ovvero non potrebbero sussistere realmente!
Anche quando l' uomo non aveva loro dato i rispettivi nomi, mele, carciofi e un' infinità di altre cose sussistevano eccome!
La conoscenza della realtà è ovviamente opera umana; ma non per questo è arbitraria creazione della realtà ad libitum (questo è un delirio di onnipotenza che neanche il peggiore scientismo...).
E infatti la conoscenza odierna delle eclissi è molto più vera di quella dei tempi in cui dominava la teoria tolemaica (anche se questa, essendo comunque parzialmente, relativamente vera, in pratica -cioè per quelli che erano gli scopi partici di allora- funzionava); e nessuna delle due è una "mera arbitrarietà umana" (altrimenti arbitrariamente ci sarebbero centinaia di donne bellissime reali, realmente disposte a soddisfare ogni mia esigenza).
Che poi, come giustamente afferma il Sari, le cose reali divengano e siano impermanenti non le equipara affatto alle cose immaginarie e irreali (le quali fra l' altro possono invece anche essere pensate pure come permanenti e fisse: vedi Parmenide e Severino).
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PMAnche usandolo come sostantivo (aggettivo sostantivato per la precisione), il "tutto" (= tutto ciò che é/accade realmente) non è affatto sinonimo di "infinito". Infatti per esempio per i monisti materialisti (quale io non sono) le teorie cosmologiche correnti (cui io non credo; ma non stiamo parlando di cose reali bensì di significati di termini verbali, di vocaboli) in italiano (non conoscendo io il metafisichese, ammesso e non concesso che tutti i metafisici "parlino la stessa lingua") affermano che "il tutto (sostantivo)" è spazialmente e temporalmente finito.
Se fosse come dici si verificherebbe una contraddizione insanabile con il significato della parola "tutto", perchè se il "tutto" è effettivamente tale non può non comprendere anche lo spazio e il tempo e non può essere delimitato da questi. Se lo fosse vorrebbe dire che spazio e tempo sono esterni e separati rispetto al tutto e quindi questo non potrebbe più essere definito tale. In ogni caso, come anche tu affermi, questa è una concezione materialistica che con la metafisica non ha nulla a che fare.
CitazioneMa quale contraddizione?
Per le teorie cosmologiche correnti il tutto è esteso in un tempo e uno spazio (anzi: in uno spaziotempo) finito, oltre i limiti del quale non c' è alcunché e non affatto ulteriore spaziotempo.
Con la metafisica non ha nulla a che fare ma (come volevasi dimostrare), al contrario di quanto pretendevi di affermare, anche inteso come sostantivo il "tutto" (= tutto ciò che é/accade realmente) non è affatto sinonimo di "infinito", a invece può benissimo essere pensato come finito.
CONTINUA
Citazione di: donquixote il 17 Marzo 2017, 17:53:27 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:39:18 PM"Non vi è nulla che non esiste" è vero nel senso che nulla di esistente non esiste (tautologia!); ma vi sono molte cose pensabili e di fatto pensate (per esempio i solti ippogrifi cui nell' immaginazione faccio continuamente fischiare le orecchie immaginarie) che non esistono realmente; e si può benissimo attribuire (erroneamente, falsamente) il predicato dell' esistenza a qualcosa che non esiste realmente ma solo è realmente pensato, immaginato, oltre che correttamente, veracemente il ben diverso predicato di "intendersi", di "essere pensato" o "immaginato". Infatti anche l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano ma realmente esistono o accadono sono tutt' altro ("sono" in tutt' atro senso) che l'amore, la forza di gravità, la libertà e tutte le cose che non si vedono e non si toccano ma non esistono o accadono realmente ma solo sono pensate, immaginate (magari realmente). Confondendo i due ben diversi significati in cui può essere usato il verbo essere (esistere realmente ed essere oggetto di considerazione teorica, di pensiero; magari anche realmente) si fa della logica errata e falsa (e pretesa essere metafisica): non si distingue correttamente la realtà fra diversi "piani di esistenza", quello concreto, quello immaginario, quello concettuale, quello progettuale eccetera, tenendo presente che tutte queste "divisioni", queste "determinazioni", sono arbitrarie convenzioni umane e non sono sé sussistenti dato che la realtà è una e una sola; certo, ma non qualcosa di indistinguibile, di ontologicamente univoco (la notte hegeliana!"). La "verità" è un concetto umano convenzionalmente stabilito per definizione, e anche la "realtà" lo é, ma non sono affatto o stesso identico concetto umano convenzionalmente stabilito per definizione (non sono sinonimi; se non -erroneamente, falsamente- nella "notte hegeliana"), bensì due fra loro ben diversi concetti umani, ciascuno dei quali convenzionalmente stabilito per definizione. Non pretendo certo che "la" metafisica (ma non esiste un' unica metafisica! Qualsiasi metafisica) mi venga a dire cos' è un carciofo: per questo mi basta la botanica (e per molti scopi pratici, come l' utilizzarlo per la nostra alimentazione basta "e avanza" il semplice senso comune; a meno che non si tratti di un carciofo radioattivo o geneticamente modificato, nel qual caso sarebbe decisamente preferibile ricorrere alla scienza).
Come dicevo sopra in generale, l'ippogrifo esiste eccome, perché se non esistesse tu non potresti sapere che cos'è un ippogrifo e quindi non potresti mai affermare o meno la sua "esistenza". Che poi questo esista "su questa terra" oppure in un altro pianeta oppure solo come parto dell'immaginazione di qualcuno è tutt'altra questione che si riferisce appunto ai "piani di esistenza". Si può dire, metafisicamente, che "tutto esiste" come spiegato sopra, oppure che "nulla esiste" intendendo con "nulla" nulla di particolare, di determinato, dato che ogni definizione di qualcosa non è altro che una attribuzione che l'uomo assegna ad un "ente", a cominciare dal fatto di separarlo da altri "enti" e che è già di per sé una determinazione, una limitazione (l'antinomia kantiana fra il divisibile e l'indivisibile quindi fra semplice e complesso non ha alcun senso). Quindi, in "soldoni", l'unica verità basilare e incontrovertibile è che "solo il tutto esiste" perché se questo "tutto" lo si comincia a dividere in parti (assegnando ad alcune l'esistenza che si nega ad altre) si commette un'arbitrarietà che anche se può essere condivisa da tutti gli esseri umani rimane pur sempre un'arbitrio, una convenzione, e non una verità, dato che la medesima determinazione delle parti può non essere valida per le piante, i batteri, le montagne, le farfalle eccetera (supponendo che questi abbiano una "coscienza" e possano "pensare" come facciamo noi).
La metafisica si propone di affermare delle verità che anche un moscerino o un alieno venuto da chissà dove non potrebbe che condividere. E la metafisica che si occupa di definire le cose particolari (come ad esempio lo spazio, il tempo o il pensiero) non è affatto metafisica ma un'altra cosa (chiamala ontologia, o semiologia, o come vuoi tu), perché in metafisica nella "notte hegeliana" non c'è alcuna vacca, né nera e nemmeno di altri colori.
CitazioneMa come si fa a insistere a confondere il pensiero (magari reale) dell' ippogrifo (e di altre cose non reali ma solo immaginarie) con il cavallo reale (e altre cose reali) ? ! ? ! ? !
"Solo il tutto (inteso come tutto ciò che è reale) è reale" è una mera tautologia che non ci dà alcuna conoscenza circa ciò che è reale o meno (altro senso in italiano, non conoscendo il metafisichese, non so dare alla parola "tutto" in questa locuzione).
Agli sproloqui circa intero e parti e conoscenza come pretesa assegnazione ad libitum dell' esistenza reale alle cose (preteso frutto di convenzione arbitraria) ho di già risposto più sopra.
Se per la metafisica "non c'è alcuna vacca, né nera e nemmeno di altri colori", allora in quanto a conoscenza (della realtà) è messa anche peggio della n otte hegeliana in cui tutte le vacche (che per o meno si sa esistere) sembrano (erroneamente, falsamente) nere"!
Infatti con dei giudizi analitici apriori non si può conseguire alcuna conoscenza circa la realtà.
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:41:05 PMAnche la matematica pura si occupa di verità incontrovertibili e universali; ma si tratta di verità analitiche a priori che non dicono nulla di come è o non è la realtà (come anche quelle di una pretesa metafisica -ma in realtà si tratterebbe di un sistema assiomatico, logico- che pretendesse di fare discorsi dedotti da premesse arbitrariamente stabilite a priori). Se la sufficienza o meno della ragione dell'esistenza di qualcosa (o di qualcuno) la decidesse arbitrariamente l'uomo (anche facendo della scienza e/o della metafisica), allora porrebbero benissimo esistere realmente gli ippogrifi, nonché innumerevoli donne bellissime disposte a compiacermi in ogni mio desiderio; ma purtroppo (o forse per fortuna, a ben vedere) così non è! Non vedo come si possa sostenere che "se qualcosa (qualunque cosa) esiste una ragione c'è, perché se non ci fosse alcuna ragione semplicemente non esisterebbe": non è per niente autocontraddittorio pensare (ergo: è ben possibile che realmente sa) che qualcosa esista senza una ragione. A parte il fatto che pretendendo una ragione per qualsiasi cosa esista (o accada) si cadrebbe inevitabilmente in un illogicissimo regresso all' infinito: e la ragione della ragione? E la ragione della ragione della ragione"? E così via all' infinito!
Continui ad insistere sull'avverbio "realmente"; ma se con questo intendi qualcosa che si può vedere e toccare limiti il campo di esistenza alla materia mentre ad esempio la "vita" che non si può vedere e toccare ma che è alla base del divenire che tutti possiamo constatare non dovrebbe esistere. Ma se non esiste la vita allora vuol dire che tutto nell'universo è morto, anche se poi l'esperienza quotidiana ci insegna il contrario.
È sempre un problema definire ciò che "esiste" da ciò che "non esiste" se questa "esistenza" è delimitata da un certo tipo di cultura o di visione del mondo. Quando un innamorato afferma che per lui esiste solo "lei" credi che pensi davvero che tutto il resto non esista "realmente"? Eppure quando lo dice crede sicuramente in quel che dice, basta individuare il "senso" in cui lo dice. Mentre se si parla in accezione universale ogni "cosa" sicuramente esiste ed è sottomessa alle condizioni proprie della sua esistenza: il pensiero esiste nella mente e non si può vedere o toccare mentre l'albero esiste in forma materiale quindi nell'ambito di ciò che si può vedere e toccare. Il grattacielo esiste prima sul piano progettuale nella mente del progettista e poi potrà esistere anche sul piano materiale se la sua realizzazione si adeguerà alle condizioni che sulla terra, con le sue particolari leggi fisiche, gli consentono di mantenersi in piedi.
Per quanto riguarda il principio di ragione anche qui è una questione logica: se non ci fosse nessuna, ma proprio nessuna, ragione perché qualcosa esista questa cosa semplicemente non esisterebbe. Diverso è poi conoscere tale ragione o condividerla, e spesso anzi quasi sempre non la si conosce o se ne attribuisce una sbagliata alla presenza di un qualcosa, ma al di là del fatto che la si conosca o meno la logica afferma che se qualunque cosa (compreso un pensiero) esiste una ragione ci deve essere. Forse può confondere il fatto che probabilmente l'uomo fa molte cose "per niente" (o perlomeno non sa spiegare il perché lo fa), ma la natura non fa mai niente per niente, giusto perché non ha di meglio da fare. Se lo facesse contraddirebbe fra l'altro il famoso "rasoio di Ockam" che per quanto sia un principio sballato è comunque quello sul quale si basano gli scienziati per elaborare le loro spiegazioni e le loro teorie.
CitazioneMa quando mai per "reale" avrei inteso solo "qualcosa che si può vedere e toccare"?
Ho invece sempre negato a chiarissime lettere il monismo materialistico e (mi pare proprio contrariamente a te) l' identificazione di pensiero e cervello) ! ! !
La vita esiste eccome, cosa che mi sono sempre ben guardato dal negare, ma non è certo qualcosa di non naturale "che non si può vedere e toccare ma che è alla base del divenire che tutti possiamo constatare" secondo un superatissimo "vitalismo".
Ma che centrano i sogni e le infatuazioni degli innamorati ! ! !
(Lo sono stato anch' io ovviamente, ma sono vecchio, non sono un poeta o un artista, e comunque in questo forum mi interesso d' altro).
Se, come dici (in italiano, stavolta), "il pensiero esiste nella mente e non si può vedere o toccare mentre l'albero esiste in forma materiale", allora c' è una bella differenza fra gli ippogrifi che esistono solo nel pensiero ovvero nella mente e gli alberi che esistono anche realmente!
Resto sempre in paziente attesa di una dimostrazione (che oltre tutto non cada in un illogicissimo regresso all' infinito; e che non sia una mera tautologia: "dotato di ragione di esistere" = "esistente") che "Per quanto riguarda il principio di ragione anche qui è una questione logica: se non ci fosse nessuna, ma proprio nessuna, ragione perché qualcosa esista questa cosa semplicemente non esisterebbe".
Il rasoio di Ockam non è affatto un principio "sballato" ma un importante criterio di razionalità (per lo meno per come la intendo io), ma proprio non c' entra nulla con la pretesa che la natura non farebbe mai niente per niente giusto perché non ha di meglio da fare, cosa che anzi tende a negare (non bisogna ipotizzare alcunché che non sia necessario; e l' attribuzione di finalità alla natura è proprio una di queste cose da "radere"!).
Citazione di: sgiombo il 15 Marzo 2017, 14:41:05 PMMa non vedo come lo "spirituale" (-?- andrebbe definito!) possa essere applicabile al' intero universo e dunque (per la tua definizione) pure il "metafisico": una patata, che a quanto pare fa parte dell' intero universo, cos' ha mai di "spirituale"? A meno che per "universo inteso nella sua interezza" intenda (lo consideri sinonimo di) "spirituale", nel qual caso proclameresti una mera tautologia! Concordo che gli animali non umani, almeno i più anatomicamente ed etologicamente complessi, abbiano una psiche (un' esperienza fenomenica cosciente corrispondente al rispettivo sistema nervoso centrale); non credo proprio i vegetali (fatto che, per la mera cronaca, metterebbe in crisi i vegani. Men che meno vedo come "tutto ciò che è più o meno riconducibile a sentimenti, carattere, personalità e cose di questo genere che sono caratteristiche particolari diverse da individuo ad individuo essendo parte di esso" non possano che costituire parte della sua "materialità" (particolare): "cose di questo genere" non rientrano affatto nella "res extensa", nell' ambito della sempre valida, a mio parere, distinzione cartesiana fra materia e pensiero. La metafisica (o spiritualità), essendo "sovrumana" e universale, trascende ogni caratteristica particolare" in poi non comprendo (metafisichese assai stretto!): Ma non mi convince l' affermazione "Ogni testo, ogni frammento e ogni insegnamento metafisico, di qualsiasi epoca e di qualunque parte del mondo (dal Tao alle Upanisad, dal Sufismo alla Kabbalah, dalla Mistica di Meister Echkart all'esicaismo, dall'Ermetismo alle Enneadi, dall'Avesta ai racconti degli indiani d'America, dal Pitagorismo al Buddhismo zen)" essere "sempre il medesimo, e quel che cambia è solo il modo di esprimerlo": pur non conoscendo queste dottrine, dubito che siano identiche e anche solo compatibili fra loro (qualche esperto nel forum potrebbe dirimere il mio dubbio).
Lo "spirito" della patata è un frammento dello spirito che anima tutto l'universo e consente alla patata di essere quello che è e, fra l'altro, di crescere come patata e non come cipolla o come carota (qualcuno potrà chiamarlo "natura" come Spinoza ma questo vocabolo è molto controverso e comunque nella sua accezione più comune è valido solo nel nostro mondo).
Perchè mai le piante non possono avere una "psiche"? pare che molti esperimenti abbiano dimostrato che la musica di Mozart aiuta le piante a crescere meglio mentre con il rock duro o l'heavy metal peggiorano. Se la psiche non rientra nella res extensa (materia grossolana) allora necessariamente rientra nella res cogitans (materia sottile), ma come sappiamo lo stesso Cartesio pensava che la res cogitans fosse anch'essa in qualche modo "materia", tanto che la cercava nella famosa "ghiandola pineale". Se ha sbagliato il luogo dove cercarla non ha però sbagliato a pensare che anche il pensiero fosse fatto di "materia" (d'altronde anche le "onde" luminose o sonore sono materiali).
Nel capoverso che dici di non comprendere affermo solo che i concetti metafisici, non essendo contestabili in alcun modo se non contraddicendosi, sono necessariamente compresi nello stesso modo da chiunque sia in grado di (abbia il talento per) farlo, di qualunque luogo e in qualunque tempo. Poi gli stessi concetti potranno essere espressi e comunicati in molti modi, apparentemente anche molto diversi tra loro, a seconda dei tempi, delle culture e degli uomini a cui sono destinate le spiegazioni di questi concetti, per cui i testi che ho citato contengono espressioni solo formalmente differenti dei medesimi concetti.
CitazioneChe fa sì che la patata cresca come patata non come cipolla non è lo "spirito di patata" (?) ma l' interazione del suo genoma con l' ambiente.
Anche un terreno ben concimato e umidificato fa crescere le piante meglio di uno mal concimato e arido, ma non vedo come questi eventi fisico-chimici-biologici possano indurre a pensare che le piante abbiano una coscienza (poveri vegani! Costretti a morire di fame!).
Ti invito pacatamente rileggerti attentamente Cartesio: pensava che la res cogitans interagisse con la res extensa attraverso la ghiandola pineale, ma non identificava affatto la prima con la seconda ! ! !
Errava, ma non commetteva il ben peggiore errore di credere che il pensiero fosse fatto di materia.
Quelli che chiami "i concetti metafisici, non essendo contestabili in alcun modo se non contraddicendosi, sono necessariamente compresi nello stesso modo da chiunque sia in grado di (abbia il talento per) farlo, di qualunque luogo e in qualunque tempo" per il semplice fatto che sono giudizi analitici a priori (come quelli della logica o della matematica pura) che non danno alcuna conoscenza circa la realtà.