Apro questo thread per cercare di discutere sulla veridicità o falsità della dottrina materialistica, cioè di quella posizione secondo cui l'unica realtà esistente è la materia e quindi l'uomo sarebbe il proprio corpo, non esistendo una dimensione spirituale. Questa posizione è sostenibile oppure no? Apparentemente è corretta, poiché effettivamente se cambia la struttura biochimica del cervello (materia) cambiano e si modificano anche le sensazioni, i pensieri o il modo di pensare. Tuttavia esiste un'aporia di non poco conto. Il corpo (e anche il cervello con le sue sinapsi) infatti cambia in continuazione, in ogni istante, ma ciò che non cambia è l'autocoscienza, cioè quel sentimento che mi porta a dire di essere sempre IO in ogni circostanza, anche con un corpo mutato. Quindi da dove deriva l'autocoscienza? Non può, almeno a mio parere, essere riferita al corpo, poiché questo muta e se noi fossimo il nostro corpo, se esso esaurisse tutto il nostro essere, allora dovremmo anche sentirci qualcosa di diverso di volta in volta. Non vi pare? Di conseguenza il corpo è lo strumento con cui l'energia spirituale si esprime, il corpo con i suoi stati può condizionare questo livello energetico, ma la fisicità non esaurisce tutto il mio essere. O no?
Come saprai tutte le cellule del nostro organismo vivono e muoiono, per cui alla fine della nostra vita le cellule del piede o del cuore si saranno rigenerante migliaia di volte. Anche per questo motivo dobbiamo mangiare cibi ricchi di proteine.
L'unico organo che non compie questa operazione è il cervello e il sistema nervoso in generale, che rimane cellularmente pressapoco lo stesso dalla nascita alla morte ed è questo il motivo principale che da continuità alla nostra identità.
Però come ben sottolinei il cervello è un organo altamente dinamico. I neuroni tendono a creare sempre nuovi cablaggi. Ma è vero anche il contrario.
Uso una metafora per spiegarmi. Immaginate un viaggiatore abituato a fare sempre la stessa strada da Genova a Milano. Più volte la percorrerà più si sentirà sicuro e confortato dall'idea di continuare quella via. Esistono anche altre strade e qualche volta il nostro viaggiatore potrebbe scegliere una nuova via (nuova sinapsi), ma il consolidamento di quella via richiede che sia frequentata con costanza. È per questo motivo che conserviamo brutte abitudini o idee ancora peggiori, perché da un lato siamo programmati per "copiare" comportamenti appresi e dall'altro perché la ripetizione del comportamento ci rinforza proprio in quel processo essenziale del consolidamento dell'identità.
Immagina ora che il viaggiatore di prima debba anche sostenere le valutazioni di altri viaggiatori, chi dice che la strada che fa è troppo lunga e quindi che lui è stupido, chi lo ritiene troppo lento o troppo veloce e cosí via. Il viaggiatore allora viene condizionato anche neuronalmente da queste valutazioni esterne e da questo mix esterno/interno nasce la struttura identitaria, ovvero la capacità di sentirsi "unico", un "soggetto" irripetibile e dotato di una propria autoriflessivita'.
Se anche riuscissimo a dimostrare che lo spirito possa ridursi alla materia , non potremo comunque dimostrare che la materia esaurisca il mondo.
Quello che possiamo dire è che di questo mondo in qualche modo percepiamo la materia e lo spirito , ma dire che essi , seppure fossero irriducibili , esauriscano il mondo, significa dire che non ci sono cose al mondo che noi in qualche modo non possiamo percepire.
Una posizione antropocentrica dunque , che vale quel che vale , e di solito poco.
Il materialismo quindi perde in partenza , senza neanche ci sia bisogno di tirare in ballo uno spirito ad esso riducibile o meno.
Gli atomi di una sostanza chimica sono identici , quindi sostituirli con altri identici non può modificare la nostra identità , e fino a un certo punto anche modificarne là quantità e la disposizione, che sembrano fattori più significativi inerenti alla materia.
A quanto pare il senso di identità non ha a che fare con una costanza , ma con una mutazione che entro certi limiti risulta conservativa , e di cui abbiamo coscienza.
Però è anche vero che questa identità può essere persa , per accidente o per gioco , senza che una costanza materiale osti a ciò.
Ora però riflettiamo anche su un altro aspetto (etico) del materialismo, secondo me poco (se non per nulla) considerato. Se si riduce tutto a semplice materia, cioè a risultato di mere reazioni chimiche, anche i pensieri, i sentimenti, tutto, l'uomo che cosa diventa? Viene reificato, diventa un mero oggetto tra gli oggetti, una macchina, magari ben congegnata, ma pur sempre una macchina risultato di reazioni chimiche. Anche il sentimento più nobile diventerebbe una fredda reazione chimica tra atomi e scadrebbe a mera illusione. Se quindi non esiste una realtà oltre la materia, diventa almeno dal mio punto di vista legittimo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, poiché verrebbe meno il concetto stesso di dignità dell'essere umano e i valori morali stessi sarebbero illusori. O non vi sembra corretto?
Materialismo non è riducibile ad un'unica concezione della realtà. Esso va da una concezione meccanicistica e pandeterministica a una metafisica immanentistica che considera livelli diversi della realtà tra mondo inanimato, animato e animato senziente, autocosciente e trascendentale.
Questo ampio spettro metafisico si riverbera anche nel differente concezione sulla vexata quaestio libero arbitrio, con valutazioni diverse sul grado di libertà che il background naturale, ovvero materiale, permette.
Tutto ciò che ha che fare con la psiche, pur essendo immanente, ovvero avendo una genesi "materiale", dà origine a realtà immateriali quali il comportamento umano razionale, la cui ontologia trascende il livello fisico-chimico-biologico e pone materialisti e spiritualisti sullo stesso piano della responsabilità etica.
Prima di avventurarsi sul materialismo, bisognerebbe chiarirsi sulla semantica di materia e materiale (attribuito).
Citazione di: Socrate78 il 02 Maggio 2019, 19:21:48 PM
Se si riduce tutto a semplice materia [...] Anche il sentimento più nobile diventerebbe una fredda reazione chimica tra atomi e scadrebbe a mera illusione.
Secondo me, non sarebbe mera illusione, ma mero vissuto; come tutti gli altri d'altronde. Se scoprissi che la gioia è l'
esperienza corporea (innescata da
input esterni) della stimolazione di alcune parti del cervello, secrezione di sostanze, etc. ciò non renderebbe illusoria la mia esperienza diretta della gioia, perché non sarebbe illusorio né il sentire tale emozione né "ciò" che si sentirebbe; proprio come il processo materiale-fisiologico del dolore fisico, non lo rende esperienza/vissuto illusoria/o.
Citazione di: Socrate78 il 02 Maggio 2019, 19:21:48 PM
Se quindi non esiste una realtà oltre la materia, diventa almeno dal mio punto di vista legittimo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, poiché verrebbe meno il concetto stesso di dignità dell'essere umano e i valori morali stessi sarebbero illusori.
Anche loro, come il «sentimento più nobile» di cui sopra, non sarebbero «illusori» (almeno non nel senso di inesistenti), bensì, appunto, materiali (per quanto si tratterebbe di un materia piuttosto difficile da studiare). Anche questo forum su cui stiamo scrivendo è materiale (
server, antenne, processori, codici binari e altri elementi materiali che non vediamo), tuttavia, pur consapevoli di ciò, non possiamo ritenere che sia un'illusione né ciò che si presenta sullo schermo né la nostra interazione con esso: è solo l'ultimo anello percepibile di una catena materiale che origina lontano dai nostri occhi.
Gli stessi concetti di «legittimo», «dignità», «sfruttamento», etc. potrebbero avere una loro presenza materiale nel nostro "sistema operativo" neurologico.
Citazione di: Ipazia il 02 Maggio 2019, 22:14:24 PM
Tutto ciò che ha che fare con la psiche, pur essendo immanente, ovvero avendo una genesi "materiale", dà origine a realtà immateriali quali il comportamento umano razionale
In che senso il «comportamento umano razionale» è una «realtà immateriale»? Intendi che la razionalità è immateriale?
Se così fosse, si (ri)proporrebbe l'atavico (falso) problema di come l'immateriale (razionalità) interagisca con il materiale (corpo fisico "abitato" dalla razionalità); di
escamotage metafisici se ne possono trovare già nei libri o anche approntare (parimenti infalsificabili) con un avveduto fai-da-te.
Se invece ti riferisci ad altro, allora non ho capito cosa intendi per realtà immateriale del comportamento umano razionale.
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 01:17:52 AM
Citazione di: Ipazia il 02 Maggio 2019, 22:14:24 PM
Tutto ciò che ha che fare con la psiche, pur essendo immanente, ovvero avendo una genesi "materiale", dà origine a realtà immateriali quali il comportamento umano razionale
In che senso il «comportamento umano razionale» è una «realtà immateriale»? Intendi che la razionalità è immateriale?
Se così fosse, si (ri)proporrebbe l'atavico (falso) problema di come l'immateriale (razionalità) interagisca con il materiale (corpo fisico "abitato" dalla razionalità); di escamotage metafisici se ne possono trovare già nei libri o anche approntare (parimenti infalsificabili) con un avveduto fai-da-te.
Se invece ti riferisci ad altro, allora non ho capito cosa intendi per realtà immateriale del comportamento umano razionale.
Intendo l'esistenza di uno stadio evolutivo della materia che si immaterializza. Una specie di salto quantistico che potremmo chiamare salto evolutivo. Un salto che ha come nucleo la psiche e le sue funzioni, che so essere correlate alla fisiologia cerebrale umana, ma che funziona in maniera totalmente diversa producendo non oggetti biochimici, ma pensieri, i quali a loro volta producono oggetti immateriali che si materializzano in oggetti materiali.
Il (falso) problema di come l'immateriale interagisca col materiale è tutto in carico al materialismo meccanicistico e in tale sede non risolvibile ne fisicamente ne metafisicamente. Invece nel materialismo evolutivo si risolve tranquillamente per via empirica considerando l'universo degli oggetti immateriali (la cultura) che a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali creati non dall'evoluzione naturale, basata su processi fisico-chimico-biologici al cui apice troviamo l'ereditarietà genetica, ma dall'evoluzione dell'ingegno umano. Il tutto dialetticamente (feedback, retroazione) inteso.
La creazione di IA potrebbe essere un quarto stadio evolutivo con cui abbiamo già iniziato dialetticamente a confrontarci (materia, vita, vita intelligente, AI). Che tutto ciò sia immanente e spigabile a partire dalla materia non è in discussione, ma ...
CitazioneAnche questo forum su cui stiamo scrivendo è materiale (server, antenne, processori, codici binari e altri elementi materiali che non vediamo), tuttavia, pur consapevoli di ciò, non possiamo ritenere che sia un'illusione né ciò che si presenta sullo schermo né la nostra interazione con esso: è solo l'ultimo anello percepibile di una catena materiale che origina lontano dai nostri occhi.
... il risultato immateriale di questo processo è fatto dei concetti che in esso si scambiano, che non sono risolvibili, se non metafisicamente (al momento delle conoscenze positive attuali) in ...
CitazioneGli stessi concetti di «legittimo», «dignità», «sfruttamento», etc. potrebbero avere una loro presenza materiale nel nostro "sistema operativo" neurologico.
..., mentre è assodato fisicamente/empiricamente che sono correlati alle condizioni "materiali" dell'esistenza umana, ente/concetto che sta a metà strada tra materiale (sopravvivenza) e immateriale (cultura del vivere, etica,...)
.
Pensiero del mattino, emerso spontaneamente e acerbo.
Condivido molti argomenti degli ultimi due interventi di Baylham e Ipazia. Esiste però una dimensione della vita che è necessariamente immateriale e che interroga i fondamenti della vita e del suo senso ed è a partire da qui che sono nate infatti le religioni: perché siamo nati? Perché dobbiamo morire? Cosa o chi ha creato l'universo? Nessuna visione materiale, neppure quella "corretta" di Ipazia, è in grado di rispondere.
Inoltre, se usata bene, ovvero senza diventare un patrimonio di parassiti ecclesiastici, un continente di immaterialita' è un prezioso contenitore di significati, paragonabile alla coesistenza fra conscio e inconscio.
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 08:20:19 AM
Esiste però una dimensione della vita che è necessariamente immateriale e che interroga i fondamenti della vita e del suo senso ed è a partire da qui che sono nate infatti le religioni: perché siamo nati? Perché dobbiamo morire? Cosa o chi ha creato l'universo? Nessuna visione materiale, neppure quella "corretta" di Ipazia, è in grado di rispondere.
Tantomeno le religioni che possono solo limitarsi a postulare ipotesi, generalmente meno resistenti ad una critica accurata delle tesi materialistiche e/o realistiche. "Perchè" è l'espressione logica di un concetto semanticamente assai ambiguo che percorre tutto lo spettro della causalità aristotelica. Il materialismo esclude la
causa finale a priori da questo "perchè", ma, un materialismo evolutivo ("trascendentale") la individua
a posteriori nella capacità di un'intelligenza autocosciente di adeguare la realtà ai propri bisogni e desideri. Sul "Perchè", inteso come
causa prima efficiente di "Tutto", direi, parafrasando Pascal, che il silenzio che avvolge questa domanda mi riempie di sgomento :o Ma vivo bene lo stesso ;D
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 07:24:40 AM
Intendo l'esistenza di uno stadio evolutivo della materia che si immaterializza. Una specie di salto quantistico che potremmo chiamare salto evolutivo. Un salto che ha come nucleo la psiche e le sue funzioni, che so essere correlate alla fisiologia cerebrale umana, ma che funziona in maniera totalmente diversa producendo non oggetti biochimici, ma pensieri, i quali a loro volta producono oggetti immateriali che si materializzano in oggetti materiali.
Intendi che i pensieri non sono materiali? Secondo me, da profano in materia (in entrambi i sensi), si potrebbe trattare di una materialità "sottile e sfuggente", ma pur sempre materiale: un pensiero sarebbe materiale se fosse "allocato" nel mio cervello (ciò che occupa uno spazio in un determinato tempo è materiale, giusto?) anche se non potrei prenderlo e appoggiarlo sul tavolo.
Lo stesso ritengo sia possibile per idee, intuizioni, scelte, concetti, etc.
Chiaramente è solo una mia "scommessa", non ho certezze empiriche in merito; come credo tu non ne abbia per «la materia che si immaterializza» con una «specie di salto quantistico» (per quanto devo ammettere che la mia scommessa, non scomodando né la quantistica né l'immateriale post-religioso, sia decisamente scialba e sciatta).
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 07:24:40 AM
Il (falso) problema di come l'immateriale interagisca col materiale è tutto in carico al materialismo meccanicistico e in tale sede non risolvibile ne fisicamente ne metafisicamente. Invece nel materialismo evolutivo si risolve tranquillamente per via empirica considerando l'universo degli oggetti immateriali (la cultura) che a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali
Anche qui, non scommetterei che la cultura sia immateriale: il suo propagarsi di bocca in orecchio è materiale (fonetico-cerebrale), il suo essere vista, emulata e introiettata è materiale (visivo-psicologico), etc. la sua stessa formalizzazione concettuale in regole
pensate e
memorizzate, potrebbe essere materiale (mnemonico-cerebrale, vedi sopra).
Quel «per via empirica» (cit.), secondo me, non «risolve» il rapporto fra materiale e immateriale: se fosse una spiegazione basata solo sulla constatazione, non sarebbe una buona spiegazione, ma rischierebbe di essere solo un'interpretazione; giusto?
Forse la "via empirica" suggerisce piuttosto che l'immateriale non ci sia (tautologia?); tutelando così la famigerata "chiusura causale del mondo fisico" che, altrimenti, esigerebbe una spiegazione di come ci sia uno spiffero-
pneuma d'immaterialità a penetrare tale chiusura (l'immateriale non è evidente, al netto dei miti e delle tradizioni culturali, e l'onere della prova di esistenza spetterebbe solitamente a chi l'afferma).
Detto altrimenti, (pre)supporre un rapporto causa/effetto che coinvolga pacificamente immateriale e materiale, non è gesto teoretico che si possa basare sulla mera osservazione solo di una parte (il materiale), perché desterebbe il sospetto che l'altra parte (l'immateriale) sia una
spiegazione interpretazione
ad hoc, un
escamotage (non lo uso in modo offensivo) per non lasciare in sospeso il tentativo di spiegare l'evento.
a Phil
citazione :
Forse la "via empirica" suggerisce piuttosto che l'immateriale non ci sia (tautologia?); tutelando così la famigerata "chiusura causale del mondo fisico" che, altrimenti, esigerebbe una spiegazione di come ci sia uno spiffero-pneuma d'immaterialità a penetrare tale chiusura (l'immateriale non è evidente, al netto dei miti e delle tradizioni culturali, e l'onere della prova di esistenza spetterebbe solitamente a chi l'afferma)
Si, mille volte si. L'immateriale non esiste, è così difficile accettarlo ?
Da dove viene questa cosa dell'immateriale -crostificatosi per millenni- se non dalla imparziale ed incompleta conoscenza del reale.
L'immateriale, l'hai detto tu, è persino tautologico non bastasse la ragione, eppure bisogna spendere milioni di parole.
Uno potrebbe pensare che è inutile discutere con l'"immaterialismo", ma si sbaglierebbe e di grosso perchè ha fatto più morti lui che le armi; lo dico perchè si ammazzavano a mani nude quando in giro per il sabbione non trovavano pietre da tirarsi addosso.
La coscienza, la mente, i pensieri, tutto riferito a Dio, tutto riferito ad una realtà che non sia questa, tutto posposto al dopo che tanto qua sulla terra ti facciamo a pezzi ma non conta, poi troverai Dio, le quaranta vergini, la liberazione dalla rinascita, e la piena felicità del tuo misero Io che si ricongiunge con l' Essere Supremo ed i Santi ed i Beati.
Perchè è lecito sbeffeggiare il materialismo e le sue conclusioni e non è lecito sbeffeggiare questo mucchio di sciocchezze ? Perchè se dico "Dio non esiste ed è una solenne panzana\truffa" rischio il linciaggio mentre altre dichiarazioni che fanno il paio con l' islamismo più becero ignorante ed oppressivo (ma forse sono solo "compagni che sbagliano", bisogna comprenderli) vengono prese come cose così, che si possono dire tranquillamente, che tanto io ho la fede e quindi tu non puoi contestare la mia fede.
A socrate
citazione :
Di conseguenza il corpo è lo strumento con cui l'energia spirituale si esprime, il corpo con i suoi stati può condizionare questo livello energetico, ma la fisicità non esaurisce tutto il mio essere. O no?
No.
I livelli energetici non esistono ( santoni pranoterapeuti e fotografi di auree esclusi) e per autocoscienza bisognerebbe sapere cosa intendi per dare una risposta.
L' "energia spirituale" è stata mai misurata, e l'unico metro di misura è la convinzione con cui una persona (non tu) dichiara le assurdità più risibili. Più sono assurde e più energia spirituale c'è.
La fisicità esaurisce tutto il tuo essere, dal momento del concepimento in poi.
Citazione di: odradek il 03 Maggio 2019, 14:46:56 PMLa coscienza, la mente, i pensieri, tutto riferito a Dio, tutto riferito ad una realtà che non sia questa
Perché riferito a Dio? La realtà sarebbe comunque questa, la nostra realtà, comprendente anche un livello immateriale. Non somiglia a Dio l'idea che la realtà consista in un Principio Unico, la materia? In entrambi i casi stiamo cercando di "farci" una ragione di determinati fenomeni, senza riscontri incontrovertibili, quindi le nostre spiegazioni rimangono in parte nel campo del mito. L'idea che i pensieri e i loro contenuti occupino uno spazio nel cervello a me non sembra meno fantasiosa e audace dell'altra. ;)
Non sono affatto sicuro che esista un'unica realtà, sono fortemente convinto che non esista un'"unica materia", la materia, come non esista lo spirito, l'essere, l'uno, Dio, l'assoluto.
Supponiamo che la realtà sia formata da un'"unica materia" allora questa "unica materia" sarebbe oltre che inaccessibile, inconoscibile, incapace di spiegare la differenza, la pluralità degli enti esistenti.
a Menandro
riferito a Dio perchè è la "causa ultima" più gettonata.
citazione :
L'idea che i pensieri e i loro contenuti occupino uno spazio nel cervello a me non sembra meno fantasiosa e audace dell'altra.
Benissimo, questa almeno è una novità, finalmente, grazie a materia. ;D
citazione :
La realtà sarebbe comunque questa, la nostra realtà, comprendente anche un livello immateriale.
Apri con una affermazione non dimostrata e assunta come effettiva : dove sta il livello immateriale della nostra realtà
La nostra realtà non comprende un livello immateriale. Da dove lo ricavi o deduci questo livello immateriale della realtà ? Come lo esperisci ?
Pensieri e loro contenuti, non stanno in Dio (od in una causa ultima) e non stanno nel cervello.
Mi sento sempre a disagio nelle domande dirette ma qui la curiosità è più forte della discrezione;
Quindi, dove secondo te ?
a Baylham :
Non sono affatto sicuro che esista un'unica realtà, sono fortemente convinto che non esista un'"unica materia", la materia, come non esista lo spirito, l'essere, l'uno, Dio, l'assoluto.
Supponiamo che la realtà sia formata da un'"unica materia" allora questa "unica materia" sarebbe oltre che inaccessibile, inconoscibile, incapace di spiegare la differenza, la pluralità degli enti esistenti.
Si ma esporre le convinzioni è solo l'inizio, bisognerebbe anche non dico dimostrarle che le dimostrazioni funzionano solo in matematica e nella teologia tommasea ( con presupposti altamente farlocchi) ma almeno supportarle, o dare qualche indicazione.
CitazioneL'idea che i pensieri e i loro contenuti occupino uno spazio nel cervello a me non sembra meno fantasiosa e audace dell'altra
In realtà più gli studi neuroscientifici procedono e meno questa ipotesi risulta fantasiosa. Sono stati individuati circuiti cerebrali dell'empatia, per non parlare di aree come quelle di wernike o di broca o dell'amigdala che regolano nostre specifiche capacità. E' perfino individuabile l'area critica che ci rende depressi o euforici o innamorati. Mi spiace dirlo ma si tratta sempre e solo di neurotrasmettitori che fanno comunicare aree del SNC a seguito della relazione con l'ambiente.
Ma il punto non sta in questo. L'uomo ha bisogno di sognare, di pensarsi al centro o anche lateralmente a misteri.
Quindi finché si viveva in epoche oscurantiste e che di quella oscurità alcuni si servivano, ben venga l'immortale motto di Kant, che spiega in una frase cos'è l'Illuminismo.
E questa frase resterà lungo tutta la mia vita, la mia bussola. Ma non può l'uomo conservarsi una parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio? Qual'e' il costo di desacralizzare ogni cosa? In fondo Socrate non ha tutti i torti quando accosta questa desacralizzazione con l'oggettivazione di tutti noi, strumentalizzanti o strumentalizzabili. Possiamo conservare un dominio del sacro e nello stesso mantenere il principio moderno di ottenere la verità come sfida umana e laica?
Se è tutto così material/ razionale perché continuiamo a sognare, ad ascoltare musica, a fantasticare sopra libri d'avventura o fantascienza? Eppure, al solito ci si divide in due squadre: i razionalisti puri e gli spiritualisti puri, ma in questo mondo ciò che è puro ha di solito una faccia nascosta di violenza terribile. Lo sappiamo tutti ma ce ne dimentichiamo. Questo bisognerebbe anche indagare. La rimozione della constatazione che la purezza e' spesso causa di violenza.
a Jacopus :
citazione :
Ma il punto non sta in questo. L'uomo ha bisogno di sognare, di pensarsi al centro o anche lateralmente a misteri.
Ecco finalmente una cosa concreta, riferita all'uomo ed alle sue necessità, ai suoi bisogni, ed anche al suo "spirito"; su questo piano il termine "spirito" è perfettamente utilizzabile, da credenti e non.
citazione :
Quindi finché si viveva in epoche oscurantiste e che di quella oscurità alcuni si servivano, ben venga l'immortale motto di Kant, che spiega in una frase cos'è l'Illuminismo.
Sempre meglio :) . Da Kant si parte, e da lì si ragiona, da Kant in poi. La filosofia "moderna" nasce con Kant. Kant "è" Robespierre.
citazione : Ma non può l'uomo conservarsi una parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio? Qual'e' il costo di desacralizzare ogni cosa? In fondo Socrate non ha tutti i torti quando accosta questa desacralizzazione con l'oggettivazione di tutti noi, strumentalizzanti o strumentalizzabili. Possiamo conservare un dominio del sacro e nello stesso mantenere il principio moderno di ottenere la verità come sfida umana e laica?
Si, l'uomo può conservarsi una parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio, e forse anche "deve" ma questa è una mia fisima e non so se proprio "debba", diciamo che senza diventa poca cosa, il mistero è dentro di noi.
Socrate ha perfettamente ragione (ma non per i motivi che sostiene lui ;) ), la desacralizzazione è coincisa con l' oggettivazione di tutti noi, strumentalizzanti e strumentalizzabili.
Quella che però lui chiama desacralizzazione io la chiamo disumanizzazione da cui la desacralizzazione.
Devi prima "disumanizzare" , se no, non è possibile "desacralizzare", l'operazione non riuscirebbe. Gli atei non hanno demolito la religione, non avrebbero mai potuto riuscirci, la religione l'hanno demolita gli uomini, anche i religiosi.
Possiamo sì conservare un dominio del sacro, in fondo al nostro cuore\mente\dovedicemenandro ;) , la dove prendiamo le nostre "vere" decisioni, ma non possiamo sventagliarlo come una "cosa" normativa che valga per gli "altri".
citazione: Se è tutto così material/ razionale perché continuiamo a sognare, ad ascoltare musica, a fantasticare sopra libri d'avventura o fantascienza?
Umani, siamo umani, c'è chi dice troppo e chi dice troppo poco. Oscilliamo tra il sacer ed il sanctus.
citazione : ma in questo mondo ciò che è puro ha di solito una faccia nascosta di violenza terribile. Lo sappiamo tutti ma ce ne dimentichiamo.
chapeau, parole "sante". Io sostituirei "purezza" con un altra parola che per adesso non ho trovato, perchè "purezza" è una gran bella parola.
Esiste purezza anche senza la sottostante violenza ( esercitata solitamente sui "non puri") ed ancora oggi mi pare sia un buon obiettivo raggiungere un certo grado di purezza
citazione:
La rimozione della purezza come causa della violenza.
Non so, è l'unica cosa del tuo discorso che mi convince poco. Ma forse perchè "purezza" è un termine poco umano, però, è così bello, rinunciare al concetto di "purezza", mi è difficilissimo.
Citazione di: odradek il 03 Maggio 2019, 16:16:33 PMLa nostra realtà non comprende un livello immateriale. Da dove lo ricavi o deduci questo livello immateriale della realtà ? Come lo esperisci ? Pensieri e loro contenuti, non stanno in Dio (od in una causa ultima) e non stanno nel cervello. Mi sento sempre a disagio nelle domande dirette ma qui la curiosità è più forte della discrezione; Quindi, dove secondo te ?
Anche questa è una affermazione non dimostrata e assunta come effettiva. Finché non abbiamo questa dimostrazione, stiamo confrontando dei miti (tutti problematici sul piano razionale): uno è che quella parte della nostra esperienza che consiste nei pensieri e nei loro contenuti sia una creazione del nostro sistema nervoso, un altro che sia il risultato dell'interazione fra il nostro sistema nervoso e un livello immateriale di questa stessa mondanissima realtà. Proprio non ti piace? :D
@Jacopus
Va bene, ma empatia, depressione, euforia e innamoramento sono emozioni: che l'innamoramento sia una specie di sindrome biochimica mi sembra verosimile, anch'io lo vedo così. Per il resto del tuo intervento sono d'accordo con te.
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 13:23:59 PM
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 07:24:40 AM
Intendo l'esistenza di uno stadio evolutivo della materia che si immaterializza. Una specie di salto quantistico che potremmo chiamare salto evolutivo. Un salto che ha come nucleo la psiche e le sue funzioni, che so essere correlate alla fisiologia cerebrale umana, ma che funziona in maniera totalmente diversa producendo non oggetti biochimici, ma pensieri, i quali a loro volta producono oggetti immateriali che si materializzano in oggetti materiali.
Intendi che i pensieri non sono materiali? Secondo me, da profano in materia (in entrambi i sensi), si potrebbe trattare di una materialità "sottile e sfuggente", ma pur sempre materiale: un pensiero sarebbe materiale se fosse "allocato" nel mio cervello (ciò che occupa uno spazio in un determinato tempo è materiale, giusto?) anche se non potrei prenderlo e appoggiarlo sul tavolo.
Lo stesso ritengo sia possibile per idee, intuizioni, scelte, concetti, etc.
Chiaramente è solo una mia "scommessa", non ho certezze empiriche in merito; come credo tu non ne abbia per «la materia che si immaterializza» con una «specie di salto quantistico» (per quanto devo ammettere che la mia scommessa, non scomodando né la quantistica né l'immateriale post-religioso, sia decisamente scialba e sciatta).
Anche la mia è una scommessa visto che la materia (intesa in senso immateriale ;D come ricerca) è tanto
complessa e controversa. La mia posizione, su cui ho ricamato un pochino, è di tipo emergentista.
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 13:23:59 PM
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 07:24:40 AM
Il (falso) problema di come l'immateriale interagisca col materiale è tutto in carico al materialismo meccanicistico e in tale sede non risolvibile ne fisicamente ne metafisicamente. Invece nel materialismo evolutivo si risolve tranquillamente per via empirica considerando l'universo degli oggetti immateriali (la cultura) che a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali
Anche qui, non scommetterei che la cultura sia immateriale: il suo propagarsi di bocca in orecchio è materiale (fonetico-cerebrale), il suo essere vista, emulata e introiettata è materiale (visivo-psicologico), etc. la sua stessa formalizzazione concettuale in regole pensate e memorizzate, potrebbe essere materiale (mnemonico-cerebrale, vedi sopra).
Quel «per via empirica» (cit.), secondo me, non «risolve» il rapporto fra materiale e immateriale: se fosse una spiegazione basata solo sulla constatazione, non sarebbe una buona spiegazione, ma rischierebbe di essere solo un'interpretazione; giusto?
Forse la "via empirica" suggerisce piuttosto che l'immateriale non ci sia (tautologia?); tutelando così la famigerata "chiusura causale del mondo fisico" che, altrimenti, esigerebbe una spiegazione di come ci sia uno spiffero-pneuma d'immaterialità a penetrare tale chiusura (l'immateriale non è evidente, al netto dei miti e delle tradizioni culturali, e l'onere della prova di esistenza spetterebbe solitamente a chi l'afferma).
Nel caso della cultura il medium non è il messaggio. "Panta rei" rimane tale, scritto in un papiro o in un tablet, e non è nè il papiro nè il tablet. Direi che siamo in un campo di conoscenza in cui l'aforisma di Nietzsche su fatti e interpretazioni regge ancora bene. La chiusura causale non vale se la mente è una proprietà emergente immateriale. L'immateriale non penetra: trascende. L'immateriale, dalla mia prospettiva, è evidente in tutti i fatti culturali, artistici, etici, ideologici. La matematica stessa è un ente immateriale. Gli oggetti immateriali popolano il mondo ed hanno pure un prezzo (brevetti, copyright)
Citazione
Detto altrimenti, (pre)supporre un rapporto causa/effetto che coinvolga pacificamente immateriale e materiale, non è gesto teoretico che si possa basare sulla mera osservazione solo di una parte (il materiale), perché desterebbe il sospetto che l'altra parte (l'immateriale) sia una spiegazione interpretazione ad hoc, un escamotage (non lo uso in modo offensivo) per non lasciare in sospeso il tentativo di spiegare l'evento.
L'evento è facilmente spiegabile (come da qualche spiegazione nel link, ma c'ero arrivata anche da sola). L'oggetto mentale immateriale "progetto" agisce sul materiale, ad es. una casa,
non direttamente, ma attraverso il materiale (materie prime, lavoro). Anche il lavoro, nella sua parte cognitiva, ha caratteristiche di immaterialità (formazione, studio, invenzione sul campo,...)
a Menandro :
si, ho riflettuto bene su quello che hai scritto e sono totalmente d'accordo con te; è raro che mi capiti ma non trovo nulla da obiettare, semplicemente hai ragione.
So riconoscere quando ho torto.
@Odradek: Ricorda che io crederò sempre in Dio, nell'al di là, nell'anima, in Cristo, sono sicuro che la vita non sia solo questa qui che viviamo e che tra l'altro è piuttosto breve, non è nulla se paragonata al lasso di tempo di millenni o di ere. Ma tu che cosa ne sai, come fai a dimostrare che Dio non esiste e che siamo solo un mucchio di cellule che un giorno con la morte marciranno in putrefazione? Come fai a dirlo se non si sa nemmeno se il mondo che vedi, che tocchi, sia reale davvero così come tu e io lo vediamo (perché è così per molti aspetti....), quindi come fai a dire che non esiste nessuna realtà diversa da questa? Secondo alcune teorie della fisica quantistica anche la solidità della materia stessa sarebbe il frutto di un inganno dei sensi, poiché il cervello percepirebbe come solido e consistente ciò che invece è solo una successione ravvicinata di onde di energia. Io sono convinto dell'esistenza del trascendente, e non sto nemmeno a dirti perché ci credo, ma tu non hai rispetto per chi crede dicendo nel post con cui hai esordito che si tratta di un mucchio di sciocchezze , se per te si tratta di deliri e di idiozie sarà una tua opinione ma non puoi dirlo con certezza. La ragione umana è limitata, non è in grado secondo me di concepire tutta una realtà superiore e trascendente che io credo esista invece. Ribadisco con il mio concetto che se siamo ridotti a materia il nostro stesso valore viene svilito, perché allora l'amore che cosa sarebbe? Sarebbe una molecola come l'ossitocina o la dopamina, che di per sé sono solo una successione di atomi dal valore assolutamente neutro, né buono né cattivo. Io credo che siamo molto di più, e che il nostro cervello sia come un semplice mezzo, una specie di decoder di cui l'anima si serve, allo stesso modo come il televisore che trasmette il programma, ma il programma (software/anima) continua a esistere anche senza di esso, anche quando è rotto, quindi ritengo che ci sia una continuazione dell'esistenza anche dopo la morte del corpo, un'esistenza puramente immateriale.
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
CitazioneL'idea che i pensieri e i loro contenuti occupino uno spazio nel cervello a me non sembra meno fantasiosa e audace dell'altra
In realtà più gli studi neuroscientifici procedono e meno questa ipotesi risulta fantasiosa. Sono stati individuati circuiti cerebrali dell'empatia, per non parlare di aree come quelle di wernike o di broca o dell'amigdala che regolano nostre specifiche capacità. E' perfino individuabile l'area critica che ci rende depressi o euforici o innamorati. Mi spiace dirlo ma si tratta sempre e solo di neurotrasmettitori che fanno comunicare aree del SNC a seguito della relazione con l'ambiente.
Ma il punto non sta in questo...
Direi invece che il punto è proprio questo e se devo essere sincera faccio pure il tifo per le neuroscienze, come per tutto ciò che è scientifico e scientificizza. Ma anche per le neuroscienze vale il principio che spetta a chi afferma dimostrare. La teoria ormonale spiega l'innamoramento, lo correla abbastanza bene all'età biologica, ma non spiega di chi mi innamoro o il mio grado empatico o anempatico. Che ci sia, insieme a tutti gli altri campi della fisica, un
campo emozionale che va a catturare a distanza i doppietti umani spaiati entangled tra loro ? Ebbene lo dimostrino. Che il mio gusto estetico, i miei hobby, le mie scelte di vita siano chiuse in una scatola deterministica denominata "chiusura causale" ? Lo dimostrino.
Nel frattempo mi tengo la mia "illusione" trascendentale e cerco di giocarmela al meglio chiamando in causa anche lo
spirituale evocato da odradek. Per confrontare (ma anche satanicamente confondere) le altrui semantiche esistenziali.
a Socrate :
già altrove ho scritto che ero d'accordo con te.
Ed anche qui, sono d'accordo con te, non posso dire nulla con certezza, e più ci penso più mi convinco che abbiate ragione. Non serve parlare, non serve discorrere, non serve confrontarsi, perchè nulla può essere dimostrato, e tutto è dicibile e tutto è confutabile perchè quel che dici tu val quel che dico io o quel che dice chiunque altro.
Quindi si, dio esiste, esiste l'anima, esistono i diavoli l'inferno il purgatorio e qualsiasi altro ente ciascuno di noi possa inventarsi per il divertimento di qualche ora, ed esiste tutto quello che uno può immaginarsi.
Esistono anche gli imbecilli (di sicuro qui soltanto io, e forse altri in giro per il mondo, se non fosse una assunzione azzardata e non dimostrata, quindi di imbecille è certo ci sia soltanto io), e solo ora, parlando con voi e con te, mi rendo conto di aver sempre fatto parte di quella razza.
Perdonatemi tutti per il fastido, ma d'altronde perdonare cosa, cosa è successo, e dove è successo,resta il fatto che ora
io vedo la luce, ora io credo, anzi non vedo la luce, come faccio a dire che sono sicuro di vederla,e come faccio a dire che esisto, che enorme presunzione e ammissione azzardata, però ora credo in qualcosa, anzi no, non credo e credo, però son d'accordo con tutti, questo l'ho capito, sono d'accordo con tutti. Randomicamente, quando sentirò l'urgenza di esternare un flatus filosofico ve lo esporrò, così per divertimento, siamo qua per questo ;D
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
Nel caso della cultura il medium non è il messaggio. "Panta rei" rimane tale, scritto in un papiro o in un tablet, e non è nè il papiro nè il tablet.
Eppure il messaggio può essere davvero immateriale? «Panta rei» non è sempre, di volta in volta, materia (input visivo o fonetico o altro) che innesca la mia area cerebrale linguistica che gli attribuisce un senso, etc.?
Nel più intimo dei casi, «panta rei» è un pensiero, ma se i pensieri sono immateriali si ritorna alle problematiche cui accennavo...
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
La chiusura causale non vale se la mente è una proprietà emergente immateriale. L'immateriale non penetra: trascende.
Il che dà un nome alla relazione fra materia e immateriale: emergenza. Resta il problema di
come studiare tale emergenza a cavallo fra materia e immateriale (e se c'è di mezzo persino la trascendenza, non sarà uno studio facile). Certo, anche le neuroscienze asservite al materialismo hanno davanti una "salita" da affrontare non indifferente, ma quantomeno è epistemologicamente percorribile ed empiricamente sperimentabile... fattore non da poco, secondo me.
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
L'immateriale, dalla mia prospettiva, è evidente in tutti i fatti culturali, artistici, etici, ideologici. La matematica stessa è un ente immateriale.
Con «immateriale» intendi «astratto»? Se è astratto, è sempre tale
per un cervello che la pensa e... ci risiamo: i pensieri sembrano avere spazio e tempo (come i fatti culturali, artistici, etc. e le
interpretazioni che essi innescano) quindi, nel mio piccolo, potrei ancora scommettere che possano essere materiali, senza bisogno di immaterialità supplementare.
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
Gli oggetti immateriali popolano il mondo ed hanno pure un prezzo (brevetti, copyright)
Brevetti e copyright sono astratti o immateriali? Non dipendono, di volta in volta, dalla materia con/in cui si presentano? Senza materia ne resterebbe solo il
pensiero, perlopiù mnemonico, e... di nuovo, vedi sopra.
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PML'oggetto mentale immateriale "progetto" agisce sul materiale, ad es. una casa, non direttamente, ma attraverso il materiale (materie prime, lavoro).
L'«oggetto mentale» è «immateriale» come è "immateriale" un ricordo o un pensiero? Anche qui, il suo avere uno spazio e un tempo, mi fa pensare che possa essere materiale (sarà ormai chiaro che per «materiale» non intendo solo esterno al corpo, tangibile con le mie mani, etc.).
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PML'oggetto
Anche il lavoro, nella sua parte cognitiva, ha caratteristiche di immaterialità (formazione, studio, invenzione sul campo,...)
Mi sembrano tutte attività materiali (in senso empirico e cerebrale); in che senso la formazione è immateriale? Non si tratta di
ascoltare lezioni,
leggere libri,
pensarne i contenuti, etc.? Dov'è che viene meno la materia (grigia o altra)?
Citazione di: odradek il 03 Maggio 2019, 16:16:33 PM
a Baylham :
Non sono affatto sicuro che esista un'unica realtà, sono fortemente convinto che non esista un'"unica materia", la materia, come non esista lo spirito, l'essere, l'uno, Dio, l'assoluto.
Supponiamo che la realtà sia formata da un'"unica materia" allora questa "unica materia" sarebbe oltre che inaccessibile, inconoscibile, incapace di spiegare la differenza, la pluralità degli enti esistenti.
Si ma esporre le convinzioni è solo l'inizio, bisognerebbe anche non dico dimostrarle che le dimostrazioni funzionano solo in matematica e nella teologia tommasea ( con presupposti altamente farlocchi) ma almeno supportarle, o dare qualche indicazione.
Supponiamo un laboratorio, uno scienziato e uno strumento inventato per rilevare la materia. Se tutte le cose, gli enti, partecipano, sono composti della stessa materia, allora lo strumento non può rilevare alcuna differenza, non può rilevare la materia. Se rileva qualcosa, allora questo qualcosa non è la materia.
Ma poiché la realtà manifesta differenze, cose, enti, allora la materia non può spiegare queste differenze, pluralità.
a Baylhan
citazione :
Supponiamo un laboratorio, uno scienziato e uno strumento inventato per rilevare la materia. Se tutte le cose, gli enti, partecipano, sono composti della stessa materia, allora lo strumento non può rilevare alcuna differenza, non può rilevare la materia. Se rileva qualcosa, allora questo qualcosa non è la materia.
Ma poiché la realtà manifesta differenze, cose, enti, allora la materia non può spiegare queste differenze, pluralità.
Effettivamente una sola materia non può spiegare tutto. Se ho uno strumento fatto di materia non potrò certo conoscere la materia con quello strumento, sarebbe come dire conoscere la mente attraverso la mente.
Si , penso sia una ipotesi accettabilissima; esistono differenze e possiamo ipotizzare per ogni differenza (o per ogni "classe" di differenze , non conosco il termine filosofico esatto e quindi uso classe) un particolare tipo di materia; questa materiache potrebbe essere identificata da uno strumento costituito da una materia differente da quella osservabile in quanto l'osservazione non sarebbe altrimenti possibile.
Si, a me sembra tutto logico, e penso di poter essere d'accordo.
@phil
a tutte le obiezioni si può rispondere che l'immateriale è sempre veicolato da oggetti materiali, come avevo già detto, ma nel processo rimane sempre un residuo di imponderabilità, incalcolabilità, che caricherei sulla componente immateriale della mente. Sulla differenza, similitudine e sovrapponibilità tra "immateriale" e "astratto" ci devo riflettere. Ma sospetto si riduca ad una questione grammaticale, non sostanziale.
Come avevo già detto all'inizio la semantica di "materia" e "materiale" è dirimente in questa discussione e si intreccia col carattere deterministico della "materia" comunque intesa. Se poi chiamiamo in causa Parmenide e Spinoza finisce che anche Dio, tra i suoi tuttologici infiniti attributi, comprende anche la materia, per cui, metafisicamente, un teista te la gira come vuole.
Pertanto mi preoccupa poco che l'emergenza trascendentale possa essere un piano inclinato verso letture trascendenti della realtà cui non è il caso di fornire troppi assist. Anche il riduzionismo fisicalistico glieli fornisce. Probabilmente di più. Si tratta quindi di capire quale "interpretazione", quale metafisica immanente, sia più capace di dare ragione della realtà, compresa la parte "spirituale" che non poco peso ha nella gestione delle relazioni umane.
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 07:24:40 AM
Citaz. da Phil:
In che senso il «comportamento umano razionale» è una «realtà immateriale»? Intendi che la razionalità è immateriale?
Se così fosse, si (ri)proporrebbe l'atavico (falso) problema di come l'immateriale (razionalità) interagisca con il materiale (corpo fisico "abitato" dalla razionalità); di escamotage metafisici se ne possono trovare già nei libri o anche approntare (parimenti infalsificabili) con un avveduto fai-da-te.
Se invece ti riferisci ad altro, allora non ho capito cosa intendi per realtà immateriale del comportamento umano razionale.
Ipazia:Intendo l'esistenza di uno stadio evolutivo della materia che si immaterializza. Una specie di salto quantistico che potremmo chiamare salto evolutivo. Un salto che ha come nucleo la psiche e le sue funzioni, che so essere correlate alla fisiologia cerebrale umana, ma che funziona in maniera totalmente diversa producendo non oggetti biochimici, ma pensieri, i quali a loro volta producono oggetti immateriali che si materializzano in oggetti materiali.
CitazioneSgiombo:
Ma questo comportarebbe la violazione della chiusura causale del mondo fisico (mi scuso per l' ennesima ripetizione di un mio vecchio, ma credo sempre pimpante, cavallo di battaglia).
A meno di veri e propri "miracoli" la fisiologia cerebrale può "produrre" unicamente eventi fisologici o biochimici mentre i pensieri non possono produrre alcun oggetto immateriale che si materializzi in alcun oggetto materiale (== letteralmente "telepatia", "telecinesi", "telepoiesi").
Ipazia:
Il (falso) problema di come l'immateriale interagisca col materiale è tutto in carico al materialismo meccanicistico e in tale sede non risolvibile ne fisicamente ne metafisicamente. Invece nel materialismo evolutivo si risolve tranquillamente per via empirica considerando l'universo degli oggetti immateriali (la cultura) che a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali creati non dall'evoluzione naturale, basata su processi fisico-chimico-biologici al cui apice troviamo l'ereditarietà genetica, ma dall'evoluzione dell'ingegno umano. Il tutto dialetticamente (feedback, retroazione) inteso.
CitazioneSgiombo:
Il problema di come l' immateriale interagisca col materiale é tutto interno a qualsiasi accezione naturalistica (e non soprannaturalistica) del materiale: o questo diviene unicamente secondo quelle modalità universali e costanti che sono le leggi di natura (immediatamente fisiche o "perfettamente" riducibili alle leggi fisiche), oppure subisce inteferenze non-naturali (che renderebbero impossibile la sua conoscenza scientifica: qualsiasi verifica sperimentale di qualsiasi ipotesi potendo benissimo essere nient' altro che effetto di interferenza soprannaturale, anziché di causazione naturale secondo le leggi fifiche).
Pertanto la cultura non può violare la natura (umana ed extraumana) e necessariamente, ineludibilmente diviene conformemente alle inderogabili regole universali e costanti di essa.
E a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali creati dall'evoluzione dell'ingegno umano unicamente in quanto sviluppo creativo ma coerente (non contraddittorio) dell' evoluzione naturale, basato uniocamente su processi fisico-chimico-biologici (al cui interno, in posizione del tutto "paritaria a qualsiasi altro aspetto della materia," troviamo l'ereditarietà genetica).
CitazioneIpazia:
Gli stessi concetti di «legittimo», «dignità», «sfruttamento», etc. potrebbero avere una loro presenza materiale nel nostro "sistema operativo" neurologico.
..., mentre è assodato fisicamente/empiricamente che sono correlati alle condizioni "materiali" dell'esistenza umana, ente/concetto che sta a metà strada tra materiale (sopravvivenza) e immateriale (cultura del vivere, etica,...)
Citazione
Sgiombo:
Nel nostro "sistema operativo" neurologico non si trova altro che neuroni e altre cellule, sinapsi, assoni, eccitazioni e inibizioni trans - sinaprtiche e potenziali d' azione, ecc.: tutt' altre cose che i concetti di «legittimo», «dignità», «sfruttamento», etc. che non vi possono avere alcuna presenza materiale, avnedola invece nella esperienza cosciente di chi li pensa (ovvero in cui accadono come pensieri), "accanto" ai "sistemi operativi" neurologici, cui è assodato fisicamente/empiricamente che sono correlati (=/= vi si identificano!).
Non credo ad alcuna sopravvivenza umana "ultraterrena": l' esistenza umana é sia materiale sia mentale, ma comunque naturale, finita, mortale!
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 19:21:05 PM
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
Ipazia:
La chiusura causale non vale se la mente è una proprietà emergente immateriale. L'immateriale non penetra: trascende.
Phil:
Il che dà un nome alla relazione fra materia e immateriale: emergenza. Resta il problema di come studiare tale emergenza a cavallo fra materia e immateriale (e se c'è di mezzo persino la trascendenza, non sarà uno studio facile). Certo, anche le neuroscienze asservite al materialismo hanno davanti una "salita" da affrontare non indifferente, ma quantomeno è epistemologicamente percorribile ed empiricamente sperimentabile... fattore non da poco, secondo me.
Citazione
Sgiombo:
Percorrendo la "via" dello studio di neuroni, sinapsi, potenziali d' azione, ecc. che si trovano ad esempio nel mio cervello osservato da te o nel tuo osservato da me, non si arriverà mai ai pensieri e alla cosicenza (quale é la mia in corrispondenza necessaria col mio cervello osservato da te o la tua in corrispondenza necessaria col tuo cervello osservato da me).
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
Ipazia:
L'immateriale, dalla mia prospettiva, è evidente in tutti i fatti culturali, artistici, etici, ideologici. La matematica stessa è un ente immateriale.
Phil:
Con «immateriale» intendi «astratto»? Se è astratto, è sempre tale per un cervello che la pensa e... ci risiamo: i pensieri sembrano avere spazio e tempo (come i fatti culturali, artistici, etc. e le interpretazioni che essi innescano) quindi, nel mio piccolo, potrei ancora scommettere che possano essere materiali, senza bisogno di immaterialità supplementare.
CitazioneSgiombo:
Spazio (estensione) ce l' hanno i processi neurofisiologici cerebrali (per esempio miei nella tua esperenza cosciente), non affatto i pensieri (per esempio i miei nella tua cosienza; o viceversa).
Citazione di: sgiombo il 03 Maggio 2019, 23:16:22 PM
Spazio (estensione) ce l' hanno i processi neurofisiologici cerebrali (per esempio miei nella tua esperenza cosciente), non affatto i pensieri (per esempio i miei nella tua cosienza; o viceversa).
Sento (per quanto i sensi possano ingannare) che i (miei) pensieri hanno un loro spazio di "residenza", quello contenuto nel cranio, proprio come i processi neurofisiologici; certo, non posso fare l'esperimento di asportarmi il cervello e poi controllare dove sento i pensieri o se sia ancora in grado di pensare... per questo, riguardo la materialità dei pensieri, parlavo di «scommessa» priva di certezze empiriche.
Parimenti la scienza "scommette" che chi osserva le reazioni di un cervello abbia a sua volta un cervello che funzioni in modo approssimativamente simile, sorvolando quindi sul discorso mio cervello/tua coscienza e tuo cervello/mia coscienza.
Osservando l'interno del cranio non si vedono i pensieri così come osservando l'interno di un computer non si vedono i programmi, che pure stanno funzionando in quel momento; sappiamo già che i programmi sono materiali e funzionano grazie all'interazione materiale fra le componenti materiali interne del computer. La differenza cruciale nel parallelismo con la mente/coscienza/pensiero è che, nel caso del computer, il monitor che rende
visibili i programmi è una periferica
esterna, osservabile da tutti, mentre la mente/coscienza/pensiero non può essere "mostrata" agli altri, nel suo essere esperita
internamente in prima persona.
Almeno, questa è la tesi su cui scommetterei i miei quattro spicci di fiducia.
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 23:58:00 PM
Citazione di: sgiombo il 03 Maggio 2019, 23:16:22 PM
Spazio (estensione) ce l' hanno i processi neurofisiologici cerebrali (per esempio miei nella tua esperenza cosciente), non affatto i pensieri (per esempio i miei nella tua cosienza; o viceversa).
Sento (per quanto i sensi possano ingannare) che i (miei) pensieri hanno un loro spazio di "residenza", quello contenuto nel cranio, proprio come i processi neurofisiologici; certo, non posso fare l'esperimento di asportarmi il cervello e poi controllare dove sento i pensieri o se sia ancora in grado di pensare... per questo, riguardo la materialità dei pensieri, parlavo di «scommessa» priva di certezze empiriche.
Parimenti la scienza "scommette" che chi osserva le reazioni di un cervello abbia a sua volta un cervello che funzioni in modo approssimativamente simile, sorvolando quindi sul discorso mio cervello/tua coscienza e tuo cervello/mia coscienza.
Osservando l'interno del cranio non si vedono i pensieri così come osservando l'interno di un computer non si vedono i programmi, che pure stanno funzionando in quel momento; sappiamo già che i programmi sono materiali e funzionano grazie all'interazione materiale fra le componenti materiali interne del computer. La differenza cruciale nel parallelismo con la mente/coscienza/pensiero è che, nel caso del computer, il monitor che rende visibili i programmi è una periferica esterna, osservabile da tutti, mentre la mente/coscienza/pensiero non può essere "mostrata" agli altri, nel suo essere esperita internamente in prima persona.
Almeno, questa è la tesi su cui scommetterei i miei quattro spicci di fiducia.
Citazione
Risposta di Sgiombo:
Innanzitutto correggo un banale lapsus:
Spazio (estensione) ce l' hanno i processi neurofisiologici cerebrali (per esempio miei nella tua esperienza cosciente), non affatto i pensieri (per esempio i miei nella mia coscienza; o viceversa).
Questo tuo "sentire" che i (tuoi) pensieri hanno un loro spazio di "residenza", quello contenuto nel cranio, proprio come i processi neurofisiologici é infatti proprio un inganno (un pensiero, un predicato errato, falso).
Ma non della tua sensibilità (che, se fosse, sarebbe la tua sensibilità interiore, mentale: non percepisci i tuoi pensieri -contrariamente ai cervelli- con uno o più dei tuoi cinque o sei sensi corporei, ma invece li avverti "internamente", semplicemente ne sei cosciente, accadono nell' ambito della tua esperienza cosciente).
Infatti le sensazioni, se realmente accadono, sono eventi reali (coscienti; materiali: percezioni dei cinque o sei sensi corporei; oppure mentali: percezioni di pensieri, immaginazioni, sentimenti, ecc.); di per sé non sono conoscenza della realtà (di qualche cosa di reale differente da ad essi, esistente-accadente oltre ad essi e indipendentemente da essi), ma mera realtà.
La conoscenza (falsa, nel caso della tua della presunta sede intracranica dei tuoi pensieri) é altro che un insieme - successione di percezioni coscienti "grezze" (non teoricamente considerate, non pensate): é un insieme - successione di (percezioni coscienti mentali costituente da) pensieri, predicati circa la realtà (circa enti ed eventi reali diversi, altri rispetto ai pensieri, ai predicati stessi).
Tu percepisci mentalmente il predicato: <<i (miei) pensieri hanno un loro spazio di "residenza", quello contenuto nel cranio, proprio come i processi neurofisiologici>> (e non il fatto reale -inesistente- costituito dai tuoi pensieri nel tuo cranio insieme al tuo cervello).
Ma é un predicato falso, non conforme alla realtà (è un mero pregiudizio "di senso comune" pre-scientifco e pre-filosofico; un po' come il "sentire" da parte di molti, che Dio esiste, che la vita ha un senso, che la morte non é definitiva cessazione della vita ma le soprraviveremo, ecc).
Infatti perché fosse vero (verificato empiricamente) che senti i tuoi pensieri ubicati nel tuo cranio dovresti potere aprire al tua scatola cranica e compiere opportune osservazioni atte a trovarveli, fra un neurone, una sinapsi un potenziale d' azione e l' altro. Ovviamente questo ti sarebbe di fatto impossibile ma, stando a quanto le scienze neurologiche ci insegnano (grazie ad osservazioni autoptiche e in vivo, a stimolazioni con microelettrodi e magnetiche transcraniche e all' imaging diagnostico neurologico), puoi stare certo che se qualcuno lo facesse non vi troverebbe affatto i tuoi pensieri (e le altre tue esperienze coscienti, anche le sensazioni materiali, comprese quelle di cervelli contenenti solo e unicamente neuroni, assoni, sinapsi et similia), ma per l' appunto vi troverebbe solo e unicamente siffatte "cose materiali": questa é certezza scientifica e non affatto «scommessa» priva di certezze empiriche.
Le quali cose materiali (potenziali d' azione, ecc.) necessariamente devono accadere nel tuo cervello mentre tu pensi i tuoi pensieri, ma con questi ultimi non si identificano affatto, essendo tali cose materiali ben altre diverse sensazioni (appunto materiali) nell' ambito (almeno potenzialmente == purché si facessero le opportune osservazioni di certo le si troverebbero) delle esperienze coscienti** di chi ti osservasse; mentre i tuoi pensieri accadono nell' ambito dalla tua, di esperienza cosciente* (accanto ai cervelli degli altri, o anche tuo allo specchio o tramite imaging neurologico, e a tante altre cose, materiali e mentali): ecco dove "si trovano" realmente i tuoi pensieri, nella tua esperienza cosciente! E non nel tuo cervello, che a sua volta si trova, almeno in potenza, in altre esperienze coscienti ben diverse dalla tua: quelle di osservatori del tuo cervello (al limite nella tua attraverso uno specchio o l' imaging neurologico: ma sarebbe comunque una roba roseo-grigiastra molliccia umidiccia, gelatinosa, ben diversa dai tuoi pensieri, sentimenti e altre esperienze coscienti)!
Dunque se la senza scommette di trovare pensieri (e altre esperienze coscienti, anche materiali) nei cervelli, allora la sua scommessa é persa in partenza, perché non potrà mai trovarvi altro che neuroni, sinapsi, assoni, potenziali d' azione, ecc.; a loro volta costituiti da cellule, membrane, molecole, atomi particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc,: tutt' altro che pensieri!
Anche il paragone coi computer é illuminante.
Infatti le elaborazioni dei computer (intese come hardware e software in azione osservati "aprendo la macchina", e come output manifestati sullo schermo) hanno bisogno per essere conosciuti di un utente umano cosciente, mentre nel cervello non c' é alcun "omuncolo" a leggere nessuno schermo.
Citazione di: sgiombo il 03 Maggio 2019, 23:06:54 PM
Il problema di come l' immateriale interagisca col materiale é tutto interno a qualsiasi accezione naturalistica (e non soprannaturalistica) del materiale:...
Fin qui d'accordo. La realtà è perfettamente spiegabile nella sua immanenza, lasciandola al riparo da questioni cui nessuno, e tantomeno le religioni e le filosofie idealistiche, sa dare una risposta incontrovertibile.
Citazione di: sgiombo
... o questo diviene unicamente secondo quelle modalità universali e costanti che sono le leggi di natura (immediatamente fisiche o "perfettamente" riducibili alle leggi fisiche), oppure subisce inteferenze non-naturali (che renderebbero impossibile la sua conoscenza scientifica: qualsiasi verifica sperimentale di qualsiasi ipotesi potendo benissimo essere nient' altro che effetto di interferenza soprannaturale, anziché di causazione naturale secondo le leggi fisiche)
Su questo invece dissento. Noi delle "modalità universali e costanti" sappiamo una piccola parte e continuiamo a scoprirne di nuove. La questione è epistemologica, non ontologica: senza scomodare il sovrannaturale, ci sono emergenze
naturali che non siamo in grado di ricondurre a formule chimiche, fisiche o matematiche. Questo accade anche nella parte chiarificata del sapere laddove si è costretti a ricorrere a leggi probabilistiche e statistiche, ad algoritmi, perchè nessuna formula deterministica ci permette di trattare quello specifico fenomeno in tutto il suo spettro fenomenologico.
Apeiron rammentava che deterministico significa data una condizione iniziale poter calcolare con certezza la condizione finale. Molto in natura, inclusa la parte psichica di Ipazia, sfugge a questa definizione. Perfino ad Ipazia stessa che ne ha una vaga conoscenza.
Citazione di: sgiombo
Pertanto la cultura non può violare la natura (umana ed extraumana) e necessariamente, ineludibilmente diviene conformemente alle inderogabili regole universali e costanti di essa.
La cui prima regola universale e costante è che ci sono ambiti naturali in cui non c'è nulla di regolare e costante e nel caso ci sia non lo conosciamo (per fortuna, altrimenti i poteri forti che comandano la ricerca avrebbero già vinto prima di scendere in campo). Per cui la tua affermazione non va al di là ad un atto di fede, come opportunamente spiega il tuo Hume. Estendere il campo della regolarità e costanza dei fenomeni è la mission della scienza, e in essa io ripongo la mia fede, ma quando quello che si crede di sapere si fissa in postulati assoluti la fede si converte in ideologia, in ismo.
Citazione di: sgiombo
E a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali creati dall'evoluzione dell'ingegno umano unicamente in quanto sviluppo creativo ma coerente (non contraddittorio) dell' evoluzione naturale, basato uniocamente su processi fisico-chimico-biologici (al cui interno, in posizione del tutto "paritaria a qualsiasi altro aspetto della materia," troviamo l'ereditarietà genetica).
fisico-chimico-biologici e ... intellettivi, capaci di intervenire intellettivamente su di essi
creando l'artificiale e le regole di convivenza civile. Natura ? Certamente. Ma natura allargata: natura umana.
Volendo farci della metafisica sopra: dialettica uomo-natura. Su cui i Maestri del pensiero hanno detto cose pregevoli che vale sempre la pena di leggere e rileggere, adeguando le loro riflessioni all'etologia umana del proprio tempo.
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Ma non può l'uomo conservarsi una parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio?
Potrebbe conservarsela, ma pur non volendo, è inevitabile che tale zona d'ombra abbia sempre un passo di vantaggio nel cammino dell'uomo; è sempre indicata dalla domanda «perché?»: qualunque conoscenza ottenuta non è definitiva, basta chiedersene il perché e la ricerca, inevitabilmente, continua verso «la parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio». Inoltre, non escluderei che anche all'interno del suo dominio, ci siano piccole zone d'ombra o ancora illuminate solo fiocamente.
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Qual'e' il costo di desacralizzare ogni cosa?
Il costo che paghiamo è quello dell'incanto, del mistero, dell'inquietante (in senso etimologico); ciò che otteniamo in cambio sono spiegazioni e fruibilità di procedure manipolative del reale. Non è detto che sia un baratto vantaggioso per tutti.
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Possiamo conservare un dominio del sacro e nello stesso mantenere il principio moderno di ottenere la verità come sfida umana e laica?
Se manteniamo il sacro nello "scrigno dell'infalsificabile", quindi metafisico, sarà abbastanza al riparo da ogni laica indagine sul vero; al sacro toccherebbe però "sacrificarsi" a rinunciare alla custodia del vero, per lasciarsi custodire dell'inverificabile (compromesso dignitoso, direi).
I due livelli possono coesistere nell'uomo, come dimostrano molti scienziati che hanno loro ipotesi non-scientifiche sul sacro.
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Se è tutto così material/ razionale perché continuiamo a sognare, ad ascoltare musica, a fantasticare sopra libri d'avventura o fantascienza?
Perché, secondo me, oltre a essere razionali, siamo spontaneamente simbolici, edonistici e "sognatori"... in una parola «estetici».
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Eppure, al solito ci si divide in due squadre: i razionalisti puri e gli spiritualisti puri, ma in questo mondo ciò che è puro ha di solito una faccia nascosta di violenza terribile.
L'uomo contamina da sempre la razionalità con l'estetica; questa può prevaricare sino a diventare spiritualismo, remando talvolta (ma non sempre) contro la ragione; tuttavia non credo che, inversamente, la ragione possa meccanizzarsi al tal punto da ridurre l'umano all'an-estetico.
Ciò non toglie che la dimensione estetica potrebbe avere una sua spiegazione razionale e materiale (v. neuroestetica); tornando all'esempio del dolore: sapere come esso funzioni fisiologicamente/materialmente, non lo rende un
vissuto meno spiacevole, e lo stesso vale per il piacere di ascoltare musica, leggere, etc.
Sulla violenza: il «puro» può diventare (e storicamente lo è diventato più di una volta) un pensiero forte ed escludente, che vuole "purificare"/rimuovere il differente, imponendosi come pensiero unico. Il valore s(c)ommesso del pensiero debole, plurale e contaminato (quindi non puro) è invece proprio il tendere alla non violenza, con lo sfidante effetto collaterale di dover fronteggiare equilibri precari e dinamici, senza mai riposarsi in "puro" equilibrio.
P.s.
@sgiomboIl mio
sentire i pensieri nella testa è una
percezione localizzata, non un mero atto linguistico non pronunciato ad alta voce. Posso sbagliarmi, tuttavia, fino a prova contraria, mi fido della mia percezione.
Il parallelismo fra computer (
case, in inglese, per essere esatti) e cranio ha senso finché non si mischiano i due piani del paragone; la differenza fra un
output a una periferica esterna (computer/video) e un
output che resta interno (cervello/cervello) non prevede l'ingerenza di "omuncoli" o simili, ma è proprio ciò che differenzia i due piani del parallelismo e spiegherebbe come mai aprendo il cranio non si vedono i pensieri (l'
output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive).
La scommessa sulla plausibilità di questo parallelismo è chiaramente mia personale, la scienza seria "gioca" a ben altri "giochi".
Sgiombo:
Il problema di come l' immateriale interagisca col materiale é tutto interno a qualsiasi accezione naturalistica (e non soprannaturalistica) del materiale:...
Ipazia:
Fin qui d'accordo. La realtà è perfettamente spiegabile nella sua immanenza, lasciandola al riparo da questioni cui nessuno, e tantomeno le religioni e le filosofie idealistiche, sa dare una risposta incontrovertibile.
Sgiombo:
Ma non é spiegabile dalle filosofie monistiche materialistiche (che non hanno come uniche alternative religioni e filosofie monistiche idealistiche), né da quelle dualistiche interazionistiche (fra le quali -se posso permettermi senza pretese presuntuosamente saccenti l' apprezzamento- mi sembra tu tenda ad oscillare).
Sgiombo:
... o questo diviene unicamente secondo quelle modalità universali e costanti che sono le leggi di natura (immediatamente fisiche o "perfettamente" riducibili alle leggi fisiche), oppure subisce inteferenze non-naturali (che renderebbero impossibile la sua conoscenza scientifica: qualsiasi verifica sperimentale di qualsiasi ipotesi potendo benissimo essere nient' altro che effetto di interferenza soprannaturale, anziché di causazione naturale secondo le leggi fisiche)
Ipazia:
Su questo invece dissento. Noi delle "modalità universali e costanti" sappiamo una piccola parte e continuiamo a scoprirne di nuove. La questione è epistemologica, non ontologica: senza scomodare il sovrannaturale, ci sono emergenze naturali che non siamo in grado di ricondurre a formule chimiche, fisiche o matematiche. Questo accade anche nella parte chiarificata del sapere laddove si è costretti a ricorrere a leggi probabilistiche e statistiche, ad algoritmi, perchè nessuna formula deterministica ci permette di trattare quello specifico fenomeno in tutto il suo spettro fenomenologico.
Apeiron rammentava che deterministico significa data una condizione iniziale poter calcolare con certezza la condizione finale. Molto in natura, inclusa la parte psichica di Ipazia, sfugge a questa definizione. Perfino ad Ipazia stessa che ne ha una vaga conoscenza.
Sgiombo:
Ma é una premessa indispensabile, una conditio sine qua non della conoscenza (conoscibilità) scientifica del mondo fenomenico materiale (indimostrabile: Hume!) il suo divenire ordinato == inderogabilmente secondo inviolabili modalità generali astratte (astraibili dal pensiero scientificamente conoscente) universali e cosanti ("meccanicistiche" o deterministiche "forti" o per lo meno "probabilistiche" ovvero deterministiche-indeterministiche a piacimento "deboli".
Sicuramente non un mutare disordinato o caotico ovvero indeterministico "forte".
Il naturale ignoto, se la conoscenza scientifica é possibile, non può che essere deterministico per lo meno debole, o se si preferisce per lo meno indeterministico debole, senza deroghe (== eventi sopra- o preter- -naturali == miracoli), ovvero integralmente naturale.
Non bisogna confondere determinismo (forte oppure debole == indeterminismo debole) ontologico (cioè proprio della realtà) e indeterminismo (forte oppure debole) gnoseologico o epistemico (cioè proprio della conoscenza che può aversi e in molti casi di fatto si ha della realtà): é questo il caso, fra l' altro della parte psichica di Ipazia (della quale, per l' appunto essa stessa ha una conoscenza vaga, limitata).
Sgiombo:
Pertanto la cultura non può violare la natura (umana ed extraumana) e necessariamente, ineludibilmente diviene conformemente alle inderogabili regole universali e costanti di essa.
Ipazia:
La cui prima regola universale e costante è che ci sono ambiti naturali in cui non c'è nulla di regolare e costante e nel caso ci sia non lo conosciamo (per fortuna, altrimenti i poteri forti che comandano la ricerca avrebbero già vinto prima di scendere in campo). Per cui la tua affermazione non va al di là ad un atto di fede, come opportunamente spiega il tuo Hume. Estendere il campo della regolarità e costanza dei fenomeni è la mission della scienza, e in essa io ripongo la mia fede, ma quando quello che si crede di sapere si fissa in postulati assoluti la fede si converte in ideologia, in ismo.
Sgiombo:
Se ci sono ambiti naturali in cui non c'è nulla di regolare e costante (e non in cui tutto é regolare e costante anche se non ne conosciamo le regolarità e la costanza), i quali non sono assolutamente trascendenti, non comunicanti, ininfluenti rispetto al resto della realtà naturale stessa, allora quest' ultima non é scientificamente conoscibile (muta caoticamente nel suo complesso).
Ma certo che la mia credenza nelle verità scientifiche, esattamente come quella di chiunque altro, é in ultima analisi un atto di fede: infatti, come ci ha insegnato il grande David Hume, le verità scientifiche non sono in alcun modo provabili essere vere (né logicamente, né empiricamente; ma casomai, come "a mo' di corollario a Hume", ci ha insegnato il relativamente piccolo Karl Popper, sono empiricamente provabili essere false).
Il compito (amo la mia meravigliosa lingua italiana!) della scienza non é un' impossibile (divina!) Estensione del campo della regolarità e costanza dei fenomeni, ma invece, una volta assunta indimostrabilmente (con un atto di fede) la regolarità e costanza del divenire dei fenomeni materiali, ottenerne ed estenderne per quanto possibile (limitatamente) la conoscenza delle modalità universali e costanti del suo divenire stesse.
E in questa regolarità e costanza del divenire dei fenomeni materiali noi tutti che crediamo alla scienza riponiamo la nostra fede, ma quando quello che si crede di sapere si fissa in postulati assoluti, acriticamente assunti, la fede si converte in ideologia irrazionalistica.
Sgiombo:
E a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali creati dall'evoluzione dell'ingegno umano unicamente in quanto sviluppo creativo ma coerente (non contraddittorio) dell' evoluzione naturale, basato uniocamente su processi fisico-chimico-biologici (al cui interno, in posizione del tutto "paritaria a qualsiasi altro aspetto della materia," troviamo l'ereditarietà genetica).
Ipazia:
fisico-chimico-biologici e ... intellettivi, capaci di intervenire intellettivamente su di essi creando l'artificiale e le regole di convivenza civile. Natura ? Certamente. Ma natura allargata: natura umana.
Volendo farci della metafisica sopra: dialettica uomo-natura. Su cui i Maestri del pensiero hanno detto cose pregevoli che vale sempre la pena di leggere e rileggere, adeguando le loro riflessioni all'etologia umana del proprio tempo.
Sgiombo:
La natura allargata o sviluppata nella natura umana non si autocontraddice assurdamente, non contraddice assurdamente se stessa in quanto natura tout court o "natura in generale", genericamente intesa; con la quale é in relazioni che possiamo, volendo, anche chiamare "dialettiche" (anche se a me, contrariamente a quei nostri grandi maestri non piace, ritenendola con Sebastiano Timpanaro un residuo di idealismo non rovesciabile in alcun modo in senso razionalistico e naturalistico).
Phil:
Il mio sentire i pensieri nella testa è una percezione localizzata, non un mero atto linguistico non pronunciato ad alta voce. Posso sbagliarmi, tuttavia, fino a prova contraria, mi fido della mia percezione.
Sgiombo:
Se le parole con le quali parliamo hanno un senso, gli unici modi che hai per ottenere percezioni localizzate (di ciò che realmente c' é e accade) nella tua testa sono uno specchio e qualcuno che ti scopra chirurgicamente la volta cranica, oppure indirettamente l' imaging diagnostico (o al limite l' elettroencefalogramma o altri più moderni e sofisticati modi di rilevare le attività elettriche cerebrali).
Non credo proprio che ti sia mai successo e che in tali modi vi abbia scorto i tuoi pensieri.
Che ciò che realmente vi si trova e vi diviene sia costituito dai tuoi pensieri é invece un tuo pensiero (errato, falso: puoi percepirvi, e dunque vi possono essere-accadere, soltanto cose ben diverse come una roba roseogrigiastra molliccia, viscida e gelatinosa, flussi variabili di sangue e consumi variabili di glucosio e ossigeno, correnti elettriche, ecc.: nessun pensiero!).
Phil:
Il parallelismo fra computer (case, in inglese, per essere esatti) e cranio ha senso finché non si mischiano i due piani del paragone; la differenza fra un output a una periferica esterna (computer/video) e un output che resta interno (cervello/cervello) non prevede l'ingerenza di "omuncoli" o simili, ma è proprio ciò che differenzia i due piani del parallelismo e spiegherebbe come mai aprendo il cranio non si vedono i pensieri (l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive).
La scommessa sulla plausibilità di questo parallelismo è chiaramente mia personale, la scienza seria "gioca" a ben altri "giochi".
Sgiombo:
"Output che resta interno" é una perfetta contraddizione in termini.
Infatti alla frase (o meglio: alla sequenza di caratteri tipografici) "l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive" non vedo come possa mai attribuirsi un senso.
Tutto ciò che é materiale naturale (e non soprannaturale o trascendente) se é fisicamente alla portata dei nostri organi di senso (magari "potenziati" da strumenti e artifizi più o meno sofisticati) é osservabile (o per o meno indirettamente deducibile da quanto osservato).
Solo cose come le pretese "anime soprannaturali", i "demoni" o gli "dei" non lo sono.
Scoprendo il cranio non vi si vedono i pensieri (e ingenerale i "contenuti coscienti", la coscienza* che esperisce ovvero vive il "titolare" del cervello che unicamente vi si può vedere, per il semplice fatto non ci sono. Vi sono e vi si vedono solo cellule, assoni, potenziali d' azione, ecc. dai quali si può dedurre solo l' esistenza di cellule, membrane, molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.
Infatti non é la coscienza* ad essere nel cervello, come vorrebbe il senso comune, ma invece sono i cervelli ad essere nelle coscienze** (di chi li percepisce, diverse alle coscienze* dei "titolari" dei cervelli stessi).
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
Se le parole con le quali parliamo hanno un senso, gli unici modi che hai per ottenere percezioni localizzate (di ciò che realmente c' é e accade) nella tua testa sono uno specchio e qualcuno che ti scopra chirurgicamente la volta cranica, oppure indirettamente l' imaging diagnostico (o al limite l' elettroencefalogramma o altri più moderni e sofisticati modi di rilevare le attività elettriche cerebrali).
Intendi che quando
sento il mal di testa (o, dopo un po' di lavoro "mentale", mi
sento mentalmente stanco) e lo localizzo nella testa, mi inganno?
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
"Output che resta interno" é una perfetta contraddizione in termini.
Infatti alla frase (o meglio: alla sequenza di caratteri tipografici) "l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive" non vedo come possa mai attribuirsi un senso.
Provo a spiegarmi con un esempio (restando nel parallelismo): un sensore interno al
case rileva che la temperatura del processore inizia a farsi critica (
input), quindi (
output) aumenta la velocità di rotazione della sua ventola per raffreddarlo. Il tutto accade dentro il
case, dentro il "sistema" di cui il video è solo la periferica esterna che ne rende visibile parte del contenuto (il video potrebbe mostrare indicatori per il controllo della temperatura, la velocità delle ventole, avvisi di rischio, etc.).
Giocando ancora metaforicamente con
input/
output: se leggo una frase (
input) il mio cervello le dà un senso, la associa a ricordi, etc. (
output) e ciò avviene all'interno del mio sistema cerebrale.
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 01:17:52 AM
Gli stessi concetti di «legittimo», «dignità», «sfruttamento», etc. potrebbero avere una loro presenza materiale nel nostro "sistema operativo" neurologico.
Ciao Phil
Ed è probabilmente così, ma il "problema" sta a parer mio da un'altra parte...
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
O per meglio dire c'è anche chi pensa che questo riferimento possa essere se stesso (ad esempio
l'utilitarismo lo pensa), ma c'è anche chi pensa che questo riferimento debba essere "altro-da-sè".
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
saluti
Citazione di: Phil il 04 Maggio 2019, 15:57:45 PM
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
Se le parole con le quali parliamo hanno un senso, gli unici modi che hai per ottenere percezioni localizzate (di ciò che realmente c' é e accade) nella tua testa sono uno specchio e qualcuno che ti scopra chirurgicamente la volta cranica, oppure indirettamente l' imaging diagnostico (o al limite l' elettroencefalogramma o altri più moderni e sofisticati modi di rilevare le attività elettriche cerebrali).
Intendi che quando sento il mal di testa (o, dopo un po' di lavoro "mentale", mi sento mentalmente stanco) e lo localizzo nella testa, mi inganno?
Citazione
Beh, la sensazione di mal di testa é una cosa (che sente come esperienza materiale: proviene dalla stimolazione delle numerose terminazioni sensitive delle meningi), la sensazione di stanchezza un' altra cosa (anzi varie altre cose: stanchezza muscolare o mentale?), la (pretesa, falsa) sensazione dei pensieri nella propria testa una terza cosa.
Con le parole che citi intendo che quando affermi di percepire i tuoi pensieri nel tuo cranio dici che:
o hai un specchio davanti e la calotta cranica asportata e invece di vedere il tuo cervello vedi (o meglio: credi falsamente di vedervi) i tuoi pensieri;
o stai osservando il tuo encefalogramma o più fini rilevazioni della attività elettrica del tuo cervello e invece di vedervi registrazioni di correnti elettriche vedi (o meglio: credi falsamente di vedervi) i tuoi pensieri;
o stai osservando la fRM o la PET del tuo encefalo e invece di vedervi il flusso del sangue e/o il consumo di glucosio e/o di ossigeno nelle varie parti del tuo cervello vedi (o meglio: credi falsamente di vedervi) i tuoi pensieri;
o al limite ti tocchi il cervello (avendo la calotta cranica asportata; pratica decisamente sconsigliabile!) e vi avverti (o meglio: credi falsamente di avvertirvi) sensazioni tattili costituenti (?) i tuoi pensieri.
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
"Output che resta interno" é una perfetta contraddizione in termini.
Infatti alla frase (o meglio: alla sequenza di caratteri tipografici) "l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive" non vedo come possa mai attribuirsi un senso.
Provo a spiegarmi con un esempio (restando nel parallelismo): un sensore interno al case rileva che la temperatura del processore inizia a farsi critica (input), quindi (output) aumenta la velocità di rotazione della sua ventola per raffreddarlo. Il tutto accade dentro il case, dentro il "sistema" di cui il video è solo la periferica esterna che ne rende visibile parte del contenuto (il video potrebbe mostrare indicatori per il controllo della temperatura, la velocità delle ventole, avvisi di rischio, etc.).
Giocando ancora metaforicamente con input/output: se leggo una frase (input) il mio cervello le dà un senso, la associa a ricordi, etc. (output) e ciò avviene all'interno del mio sistema cerebrale.
Citazione
Se leggi una frase il tuo cervello semplicemente presenta determinate attività neuronali (principalmente, soprattutto e comunque per lo meno nelle aree visive dell' lobo occipitale e del linguaggio -di Wernicke- del lobo temporale: nessun pensiero sensato, ricordo, ecc. vi accade
Nessun omuncolo vi legge, come sullo schermo di un computer, alcun pensiero linguistico sensato, ricordo, ecc.: queste cose accadono casomai nell' ambito della tua esperienza cosciente*, e non nel tuo cervello che normalmente (per lo più potenzialmente; o indirettamente) si trova in altre esperienze coscienti** diverse dalla tua* (di osservatori); e comunque é tutt' altra cosa che pensieri sensati, ricordi, ecc..
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
Chiaramente non è un sistema chiuso e isolato: l'apprendimento, l'influenza di esperienze dirette, l'interazione con altri, etc. modificano il sistema.
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
Oggettività e moralità risultano per me incompatibili, poiché la prima si ritiene, in generale, assoluta e indipendente dal soggetto (che si limiterebbe a constatarla, con le inevitabili deformazioni "prospettiche"), mentre la seconda, almeno nel (mio) pensiero laico, è puramente arbitraria, convenzionale e soggettiva (per quanto sia culturalmente canonizzata in regole comunemente accettate).
La differenza di base è quella del fondamento: difficile che l'oggettività e la moralità abbiano un fondamento comune, perché la prima si basa sui fatti (Tizio colpisce Caio), la seconda sulla loro valutazione (non è giusto / non è bene che Tizio abbia colpito Caio).
Quindi, secondo me, si può dire che «i valori morali sono mera illusione» (cit.) solo se ci si aspettava che potessero essere oggettivi; non sono invece un'illusione nel momento in cui regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo)oggettività concordata e condivisa (l'oggettività autentica dovrebbe essere eventualmente condivisa, ma non concordata).
Fra la soggettività individuale e l'"oggettività del reale", c'è inevitabilmente la mediazione alterante di una convenzione contingente (linguaggio, cultura, etc.).
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
saluti
Se esiste una realtà-altra fittizia ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera falsificazione.
saluti
Citazione di: Phil il 04 Maggio 2019, 20:23:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
Chiaramente non è un sistema chiuso e isolato: l'apprendimento, l'influenza di esperienze dirette, l'interazione con altri, etc. modificano il sistema.
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
Oggettività e moralità risultano per me incompatibili, poiché la prima si ritiene, in generale, assoluta e indipendente dal soggetto (che si limiterebbe a constatarla, con le inevitabili deformazioni "prospettiche"), mentre la seconda, almeno nel (mio) pensiero laico, è puramente arbitraria, convenzionale e soggettiva (per quanto sia culturalmente canonizzata in regole comunemente accettate).
La differenza di base è quella del fondamento: difficile che l'oggettività e la moralità abbiano un fondamento comune, perché la prima si basa sui fatti (Tizio colpisce Caio), la seconda sulla loro valutazione (non è giusto / non è bene che Tizio abbia colpito Caio).
Quindi, secondo me, si può dire che «i valori morali sono mera illusione» (cit.) solo se ci si aspettava che potessero essere oggettivi; non sono invece un'illusione nel momento in cui regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo)oggettività concordata e condivisa (l'oggettività autentica dovrebbe essere eventualmente condivisa, ma non concordata).
Fra la soggettività individuale e l'"oggettività del reale", c'è inevitabilmente la mediazione alterante di una convenzione contingente (linguaggio, cultura, etc.).
Concordo pienamente sulla chiarificazione finale (sull'illusione) . Meno sulla prima parte (arbitrarietà) che mi pare finisca col rendere fiacca la moralità laica e la sua capacità di individuare una gradazione nei valori su cui costituire l'impalcatura etica intersoggettivamente intesa.
Ciao Phil
Mah guarda, secondo me una oggettività "pura" non esiste nemmeno nell'ambito delle scienze
cosidette "esatte", quindi figuriamoci in materia di moralità...
Però i valori morali sono assunti, diciamo, "come se" fossero oggettivi; e questo è
facilmente riscontrabile nella legge (che dal valore morale deriva), "uguale per tutti" proprio
in quanto assunta in maniera "ab-soluta" (cioè sciolta dall'interpretazione individuale).
E dunque sono sostanzialmente d'accordo con la tua risposta, con il distinguo però
rappresentato proprio dalla "finzione" con cui viene velata la (almeno presunta) natura
convenzionale del valore morale.
Che ne sarebbe del valore morale laddove emergesse chiaramente tale natura? Credi forse
che non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza
che fonda la moralità? E che fine fa la "autorità" nel senso classico in un tal quadro
(e forse sarebbe già il caso di dire che fine ha fatto...)?
Naturalmente non ho la benchè minima intenzione di intavolare un discorso "razionale"
sulla difesa dei valori morali tradizionali. La questione è infatti prettamente politica,
perchè riguarda direttamente la "decisione" come atto di una scelta coscienziale (e, in
fondo, profondamente irrazionale).
Allo stesso modo ritengo però che chiunque si illuda di fare un ragionamento razionale su queste
tematiche si inganni di brutto. Perchè, come in un circolo vizioso, la convenzione ha pur sempre
bisogno di fondarsi su un qualcosa cui si attribuisce una "qualità" (mentre la convenzione è
per sua stessa natura quantitativa).
Pensi che l'uomo è o sarà mai capace di accettare che la storia millenaria del suo pensiero
finisca nell'accettazione razionale (perchè questo è l'unico esito possibile, cioè l'unico esito
razionale) della volontà di potenza?
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
sono sostanzialmente d'accordo con la tua risposta, con il distinguo però rappresentato proprio dalla "finzione" con cui viene velata la (almeno presunta) natura convenzionale del valore morale.
Concordo che la natura convenzionale della morale sia
opportunamente (tra)vestita da "assoluto", per mano degli "stilisti della rettitudine" (gli addetti alla giustizia); anche se è un vestito che, con il logorio dei secoli (e del potere secolare), sta diventando sempre più trasparente...
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Che ne sarebbe del valore morale laddove emergesse chiaramente tale natura?
Perderebbe di fascino e di assolutezza, tuttavia, non verrebbe intaccata la sua necessità sociale.
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Credi forse che non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza che fonda la moralità?
Più che la volontà di potenza (troppo epica ed individuale, per come la ricordo), direi banalmente la necessità antropologica della convivenza sociale (e di una cultura aggregante e identitaria).
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
E che fine fa la "autorità" nel senso classico in un tal quadro (e forse sarebbe già il caso di dire che fine ha fatto...)?
Sarebbe costituita da legislatori rappresentanti del volere/valore popolare; come, a quanto pare, già è.
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
la convenzione ha pur sempre bisogno di fondarsi su un qualcosa cui si attribuisce una "qualità" (mentre la convenzione è per sua stessa natura quantitativa).
La qualità della convenzione è la sua funzionalità pragmatica; di generazione in generazione, le convenzioni si perpetuano con adattamenti agli eventi e ai tempi che mutano; adattandosi, proprio come gli uomini, le convenzioni sopravvivono (anche le lingue, non a caso, hanno un loro aspetto diacronico, per poter aderire meglio ai cambiamenti della realtà di cui devono saper parlare).
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Pensi che l'uomo è o sarà mai capace di accettare che la storia millenaria del suo pensiero finisca nell'accettazione razionale (perchè questo è l'unico esito possibile, cioè l'unico esito razionale) della volontà di potenza?
Non sono sicuro sia l'unico esito possibile, né l'unico razionale; ma forse dipende da come si declina il concetto di «volontà di potenza» (vaghe reminiscenze, ma non sono esperto di Nietzsche).
Phil:
Oggettività e moralità risultano per me incompatibili, poiché la prima si ritiene, in generale, assoluta e indipendente dal soggetto (che si limiterebbe a constatarla, con le inevitabili deformazioni "prospettiche"), mentre la seconda, almeno nel (mio) pensiero laico, è puramente arbitraria, convenzionale e soggettiva (per quanto sia culturalmente canonizzata in regole comunemente accettate).
La differenza di base è quella del fondamento: difficile che l'oggettività e la moralità abbiano un fondamento comune, perché la prima si basa sui fatti (Tizio colpisce Caio), la seconda sulla loro valutazione (non è giusto / non è bene che Tizio abbia colpito Caio).
Quindi, secondo me, si può dire che «i valori morali sono mera illusione» (cit.) solo se ci si aspettava che potessero essere oggettivi; non sono invece un'illusione nel momento in cui regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo)oggettività concordata e condivisa (l'oggettività autentica dovrebbe essere eventualmente condivisa, ma non concordata).
Fra la soggettività individuale e l'"oggettività del reale", c'è inevitabilmente la mediazione alterante di una convenzione contingente (linguaggio, cultura, etc.).
Sgiombo:
Espongo le mie convinzioni dissenzienti, in questo caso senza pretendere di addurre argomentazioni apodittiche in quanto non si tratta di una questione semplice, logicamente risolvibile con un' algoritmo lineare, costituito da qualche passo deduttivo o induttivo e/o da immediatamente chiarissimi dati empirici.
Quelle in fatto di etica, esattamente come quelle in fatto di estetica, o sono semplicistiche intuizioni pregiudiziali scarsamente meditate (di solito proclamate sotto forma di slogan ad effetto tipo "Se Dio é morto tutto é permesso" o "senza religione -o in alternativa meno popolare senza metafisica- non c' é morale"; generalmente senza precisare che si tratta della "propria" religione o metafisica), oppure sono convinzioni che maturano in seguito a molteplici e approfondite osservazioni, letture, riflessioni.
E questo per il fatto, rilevato da David Hume, che dall' "essere" (ontologia: religiosa, metafisica o meno) non é possibile inferire in alcun modo il "dover essere" o il "dover fare", "dover agire" (etica).
Concordo dunque che i valori morali "non hanno un fondamento oggettivo" nel senso che non li si può provare (né logicamente né empiricamente).
Ma dissento dalla considerazione che non sono invece un'illusione [unicamente] nel momento in cui [e per il fatto che] regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo) oggettività concordata e condivisa" attraverso "una convenzione contingente".
Anche se possono essere e di solito di fatto sono convenzionalmente "tradotti in leggi e in altre più informali "regole di condotta condivise", indipendentemente da ciò sono comunque di fatto nelle loro caratteristiche più generali astratte universalmente constatabili universalmente presenti nell' umanità (e in qualche embrionale misura in altre specie animali) come tendenze o potenzialità comportamentali (compreso il comportamento consistente nel valutare il comportamento proprio e altrui; fatto ottimamente spiegabile, comprensibile nel suo naturale realizzarsi dalla scienza naturale della biologia, e in particolare dall' evoluzione delle specie viventi).
Universalmente constatabili tuttavia in quanto "concretamente declinate" e integrate da altre caratteristiche più particolari concrete le quali sono variabili nei diversi contesti sociali, storicamente e geograficamente (fatto ottimamente spiegabile, comprensibile nel suo culturale realizzarsi dalla scienza umana del materialismo storico, e in particolare dalla relazione dialettica fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione).
L' analogia con l' estetica mi sembra particolarmente illuminante.
Anche che la cupola di Santa Maria del Fiore del Brunelleschi o la Pietà di Michelangelo o il canone di Pachelbel sono dei sommi capolavori nei rispettivi ambiti artistici non lo si può in alcun modo dimostrare, ma nessuno che non sia gravemente psicopatico può non rendersi conto, non avvertire, non godere la loro sublime bellezza, qualsiasi sia la sua cultura di appartenenza; e anche se vi sono sia tantissime altre opere d' arte universalmente apprezzate in maniera "indiscutibile" (sia pure in diversi gradi a seconda delle diverse culture), sia altre "minori" (che spesso vanno a inflazionare l' ormai per me screditatissimo insieme dei "patrimoni dell' umanità UNESCO" accanto anche a vere e proprie indegne "ciofeghe": opere d' arte, sia pure per lo più "minori", messe insieme a "cani e porci"), sia ancor più tante grandemente apprezzate solo nell' ambito di talune culture e molto meno presso tante altre.
Citazione di: Ipazia il 04 Maggio 2019, 21:03:27 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
saluti
Ipazia:
Se esiste una realtà-altra fittizia ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera falsificazione.
saluti
CitazioneSgiombo:
Inoltre dall' "essere" (ontologia) non si può in alcun modo ricavare alcun "dover essere" (etica) - Hume.
Ma malgrado non siano razionalmente provabili (dimostrabili logicamente, né leggibili empiricamente su alcuna "tavola della legge" scritta da alcuna pretesa "entità reale altra" che pretenda di "dare loro oggettività"), tuttavia i valori etici sono ben reali ed empiricamente constatabili (esattamente come i valori estetici).
E per quanto non dimostrabili, tuttavia compresibilissimi, spiegati "perfettamente" (significato delle virgolette: inappuntabilmente per quanto umanamente possibile) dall' evoluzione biologica e dal rapporto dialettico fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione.
[quote author=
0xdeadbeef date=1557000962 link=topic=1553.msg32670#msg32670]
Ciao Phil
E dunque sono sostanzialmente d'accordo con la tua risposta, con il distinguo però
rappresentato proprio dalla "finzione" con cui viene velata la (almeno presunta) natura
convenzionale del valore morale.
Che ne sarebbe del valore morale laddove emergesse chiaramente tale natura? Credi forse
che non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza
che fonda la moralità? E che fine fa la "autorità" nel senso classico in un tal quadro
(e forse sarebbe già il caso di dire che fine ha fatto...)?
Citazione
Per quel che mi riguarda rispondo:
Certamente no ! ! !
Severino Boezio ha affrontato serenamente l' ingiusta condanna a morte non perché la religione fondava oggettivamente la moralità (cosa in cui pur credeva, ma che ritenne in tale circostanza suprema irrilevante), ma invece perché sentiva di fatto (pur senza poterlo dimostrare), alla maniera degli Stoici, che "la virtù é premio a se stessa".
E dunque il virtuoso la segue non per la gretta e meschina aspirazione al paradiso o per la gretta e meschina paura dell' inferno, ma invece perche é proprio premio a se stessa: "anche se per assurdo -parole di Severino Boezio- la vita cessasse con la morte corporea, il virtuoso seguirebbe comunque la virtù, come fine a se stessa".
Spero non mi ripeterai per l' ennesima volta che con la secolarizzazione (o "morte di Dio") tendono ad imporsi le peggiori violazioni dell' etica.
In questo caso comunque non ti ripeterei per l' ennesima volta che violazioni dell' etica ci sono sempre state "alla grande" anche quando "Dio era ben vivo e vegeto" (quesi nessuno non credeva alla sua esistenza.
Infatti:
violazione dell' etica =/= inesistenza reale dell' etica (di fatto: non provabile ma "perfettamente" spiegabile, comprensibilissima).
Per il semplice fatto che sono convinto che una tesi falsa non diventa meno falsa a forza di ripeterla e una vera non diventa meno vera se non comtinuamente ripetuta, e che non ho voglia di perdere tempo a ripetere all' infinio le stesse obiezioni alle stesse affermazioni.
Saluti.
Citazione di: Phil il 04 Maggio 2019, 23:13:24 PMPiù che la volontà di potenza (troppo epica ed individuale, per come la ricordo), direi banalmente la necessità antropologica della convivenza sociale (e di una cultura aggregante e identitaria).
Sarebbe costituita da legislatori rappresentanti del volere/valore popolare; come, a quanto pare, già è.
Ciao Phil
Trovo che il tuo punto di vista possegga certamente delle buone ragioni, ma che altrettanto
certamente sia permeato da grande (eccessivo...) ottimismo.
Che la "necessità antropologica della convivenza sociale" abbia un fondamento, diciamo, "tangibile"
nell'istinto di conservazione della specie è un qualcosa su cui si può essere d'accordo. Ma non
si può nel medesimo tempo dimenticare che nella "specie umana" vi sia stato, vi sia e
presumibilmente vi sarà sempre più marcata una "individuazione" (come nei secoli è venuta emergendo,
(dall'antica "tribù", passando dalla negazione ockhamiana degli "universali" e dalla "monade" di
Leibniz fino al moderno "individulalismo" - che vediamo ultimamente accompagnarsi ad una inquietante
ripresa del concetto di identità etnica - mascherata da "culturale").
In parole povere, la storia dell'uomo dimostra inequivocabilmente che il concetto di istinto di
conservazione della specie è più facilmente applicabile agli animali (che non mi risulta siano,
almeno all'interno della stessa specie, usi a massacrarsi l'un l'altro...).
Quanto all'"autorità", che nella tua visione sarebbe perpetrata da "legislatori rappresentanti
del volere/valore popolare, mi limito a ricordarti la attualissima e profonda crisi in cui
versa la particolare forma politica della democrazia, oggi sempre più sostituita da una presunta
competenza "tecnica" (e sto chiaramente parlando dei paesi tradizionalmente a vocazione democratica...).
saluti
Citazione di: Ipazia il 04 Maggio 2019, 21:17:52 PM
Concordo pienamente sulla chiarificazione finale (sull'illusione) . Meno sulla prima parte (arbitrarietà) che mi pare finisca col rendere fiacca la moralità laica e la sua capacità di individuare una gradazione nei valori su cui costituire l'impalcatura etica intersoggettivamente intesa.
Ciao Ipazia
Probabilmente (anzi certamente...) mi ripeto, ma la tua "moralità laica", il tuo "ethos", è
filosoficamente il medesimo di quello della religione tradizionale.
Lo è magari non sotto l'aspetto qualitativo (migliore, peggiore...), ma sicuramente sotto
l'aspetto teoretico è identico (diciamo che almeno così a me pare).
Quanto la religione tradizionale, hai infatti bisogno di riferire quel "sistema operativo
neurologico" di cui si parlava ad un riferimento "altro", cioè che non è se stesso.
Ovviamente la tua intelligenza ti fa intuire questo "rischio", ed infatti cerchi un modo
affinchè esso, il "sistema operativo neurologico", possa riferirsi a se stesso, ma il
risultato cui pervieni e a parer mio assolutamente insoddisfacente.
Sei infatti costretta a teorizzare la "naturale" bontà dell'essere umano, in maniera del
tutto analoga a quella di certa filosofia anglosassone (in particolare la teoria morale
di A.Smith, che è a fondamento del liberalismo politico).
Con tutto quel che ne consegue, naturalmente (coerentemente dovresti ad esempio pervenire
al sostenere quello che negli USA viene chiamato "anarcoliberismo").
saluti
Come innumerevoli volte precedenti 0x ha deformato la mia concezione dell'ethos a suo uso e consumo. Ma forse non ha alternativa a quell'interpretazione partendo dal suo manicheismo. Invece Phil ha posto la questione etica nella corretta prospettiva storico-evolutiva, che corregge, allargando la prospettiva, l'impostazione relativista dura del gusto soggettivo arbitrario. Contro cui si schiera pure sgiombo.
La questione etica è la questione par excellence non solo dell'attualità filosofica, ma pure della pratica antropologica dopo il venir meno degli inadeguati e contraddittori paletti religiosi. Chiamare in causa la volontà di potenza in questo contesto è una ciofeca sociodarwinista, considerando che essa è un problema e non certo la soluzione della questione etica.
Citazione di: 0xdeadbeef il 05 Maggio 2019, 11:12:07 AM
Trovo che il tuo punto di vista possegga certamente delle buone ragioni, ma che altrettanto
certamente sia permeato da grande (eccessivo...) ottimismo.
L'ottimismo sarebbe valutativo; mi sembra che il mio post sia invece piuttosto descrittivo. In che senso ti risulto ottimista? Lo chiedo perché non mi percepisco come tale e il modo in cui vengo letto è un
feedback importante.
Citazione di: 0xdeadbeef il 05 Maggio 2019, 11:12:07 AM
Ma non
si può nel medesimo tempo dimenticare che nella "specie umana" vi sia stato, vi sia e
presumibilmente vi sarà sempre più marcata una "individuazione" (come nei secoli è venuta emergendo,
(dall'antica "tribù", passando dalla negazione ockhamiana degli "universali" e dalla "monade" di
Leibniz fino al moderno "individulalismo" - che vediamo ultimamente accompagnarsi ad una inquietante
ripresa del concetto di identità etnica - mascherata da "culturale").
Tale "individuazione" è sempre e comunque contestualizzata in un
habitat sociale, che in quanto tale, per la sua coesione, necessita di un'etica (e di leggi) condivisa.
L'identità et(n)ico-culturale fa da contrappunto al (presunto) individualismo monadico, nel senso che il singolo ha comunque bisogno, per sopravvivere (anche psicologicamente, l'
homo sapiens è animale da branco, non solitario), del contesto che lo identifica (e nella cui morale spesso si identifica).
Citazione di: 0xdeadbeef il 05 Maggio 2019, 11:12:07 AM
Quanto all'"autorità", che nella tua visione sarebbe perpetrata da "legislatori rappresentanti
del volere/valore popolare, mi limito a ricordarti la attualissima e profonda crisi in cui
versa la particolare forma politica della democrazia, oggi sempre più sostituita da una presunta
competenza "tecnica" (e sto chiaramente parlando dei paesi tradizionalmente a vocazione democratica...).
Nel rilevare che la demo-crazia sia in atto, non intendevo
valutarla come in
ottima salute (che sia questo il
qui pro quo che ti ha fatto pensare ad un mio implicito ottimismo?).
Talvolta si tende a leggere (anche) fra le righe, senza preventivare che fra le righe ci possano essere solo, banalmente, spazi bianchi.
ad Oxdeadbeef Parte 1
citazione :
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
Le "cose" sono riferite a se stesse o stanno in relazione ad altre. Il sistema operativo neurologico si riferisce alla realtà che esperisce nei limiti delle sue funzionalità
citazione :
Però i valori morali sono assunti, diciamo, "come se" fossero oggettivi; e questo è
facilmente riscontrabile nella legge (che dal valore morale deriva), "uguale per tutti" proprio
in quanto assunta in maniera "ab-soluta" (cioè sciolta dall'interpretazione individuale).
sono assunti "come se". Ma non sono affatto oggettivi. Le leggi derivavano dai valori morali ai bei tempi in cui le leggi le facevano i preti, cosa di cui anche io ho una immensa nostalgia.
citazione :
se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
La "realtà altra" è relativa alla funzionalità che hanno di tenere coesa la società. I valori morali non sono illusione, sono sovrastruttura, e cambiano con i tempi.
citazione :
Mah guarda, secondo me una oggettività "pura" non esiste nemmeno nell'ambito delle scienze
cosidette "esatte",
Secondo te rimane secondo te e basta; non è che uno possa sostenere tesi con il secondo me. Non è un argomentazione il "secondo me".
citazione:
Credi forseche non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza
che fonda la moralità?
La volontà di potenza che fonda la moralità non l'avevo davvero mai sentita; la volontà di potenza distrugge morali, non ne crea.
citazione :
Naturalmente non ho la benchè minima intenzione di intavolare un discorso "razionale"
sulla difesa dei valori morali tradizionali. La questione è infatti prettamente politica,
perchè riguarda direttamente la "decisione" come atto di una scelta coscienziale (e, in
fondo, profondamente irrazionale)
Non potresti intavolare un discorso razionale sulla difesa dei valori morali tradizionali, sarebbe un impresa oltre ogni senso del ridicolo. I valori morali non sono una decisione politica, e le scelte coscenziali non sono profondamente irrazionali.
citazione:
Pensi che l'uomo è o sarà mai capace di accettare che la storia millenaria del suo pensiero
finisca nell'accettazione razionale (perchè questo è l'unico esito possibile, cioè l'unico esito
razionale) della volontà di potenza?
Non lo so cosa farà l'uomo ma la storia millenaria del pensiero non è certo quella che dici tu. Accettare una "accettazione" tua non è lo scopo dell'uomo
citazione :
Allo stesso modo ritengo però che chiunque si illuda di fare un ragionamento razionale su queste
tematiche si inganni di brutto. Perchè, come in un circolo vizioso, la convenzione
quindi i valori morali sono convenzione. Giustissimo.
ad Oaxdeadbeef Parte 2
citazione:
Che la "necessità antropologica della convivenza sociale" abbia un fondamento, diciamo, "tangibile"
nell'istinto di conservazione della specie è un qualcosa su cui si può essere d'accordo.
Si può essere d'accordo perchè ogni tanto anche Ipazia ha qualche "scivolatina". La scivolatina consiste nello statuire (ma probabilmente era una "scorciatoia\necessità" dialettica più che un pensiero meditato a lungo) un principio di conservazione della specie.
L' "istinto di conservazione della specie" infatti non esiste. Esiste il proprio istinto di conservazione.
La specie (concetto scivoloso anche in biologia) è un taxon, una categorizzazione culturale. Quindi non può possedere alcun tipo di istinto.
citazione:
Probabilmente (anzi certamente...) mi ripeto, ma la tua "moralità laica", il tuo "ethos", è
filosoficamente il medesimo di quello della religione tradizionale.
Lo spero tanto per lei...non uccidere non rubare non mentire non se lo è inventato l'antico testamento.
citazione:
Quanto la religione tradizionale, hai infatti bisogno di riferire quel "sistema operativo
neurologico" di cui si parlava ad un riferimento "altro", cioè che non è se stesso.
No, la religione si riferisce ad altro; Il sistema operativo neurologico si riferisce alla realtà che esperisce nei limiti delle sue funzionalità e non ad altro.
citazione :
Sei infatti costretta a teorizzare la "naturale" bontà dell'essere umano
no, l'essere umano è buono tanto quanto un alce un bue od un leone. E' buono quando gli conviene e cattivo quando gli serve, o viceversa, non fa differenza.
citazione:
in maniera del
tutto analoga a quella di certa filosofia anglosassone (in particolare la teoria morale
di A.Smith, che è a fondamento del liberalismo politico).
Con tutto quel che ne consegue, naturalmente (coerentemente dovresti ad esempio pervenire
al sostenere quello che negli USA viene chiamato "anarcoliberismo")
Quindi sei entrato nella testa di Ipazia, gli hai messo le tue considerazioni, e poi gli hai pure suggerito le conseguenze (speciose e non giustificate ) che consisterebbero nel "giungere" all'anarcoliberismo, da cui, in un successivo passaggio "dialettico" (le virgolette non esprimono abbastanza il discredito che gli vorrei assegnare) eliminando l'anarco, l'avresti equiparata alla peggio reazionaria destra americana. Mah..
citazione:
In parole povere, la storia dell'uomo dimostra inequivocabilmente che il concetto di istinto di
conservazione della specie è più facilmente applicabile agli animali (che non mi risulta siano,
almeno all'interno della stessa specie, usi a massacrarsi l'un l'altro...).
Ancora; l'istinto di conservazione della specie è una cosa inesistente, non esiste.
E invece si, si massacrano eccome, ma senza volontà, si massacrano per istinto, quando lo devono fare. La competizione intraspecifica è mortale, solo che non usano armi.
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PMPerò i valori morali sono assunti, diciamo, "come se" fossero oggettivi; e questo è facilmente riscontrabile nella legge (che dal valore morale deriva), "uguale per tutti" proprio in quanto assunta in maniera "ab-soluta" (cioè sciolta dall'interpretazione individuale).
Scusa, ma il discorso sulla morale viene sviluppato già in diversi topic; forse si può restare più vicini allo spunto iniziale conservando la struttura di questo tuo pensiero. In un'ottica materialista "monista" o si nega la mente o il rapporto cervello-mente è visto come creazione/produzione della seconda da parte del primo, quindi come un rapporto di causa-effetto. Ma sempre in quest'ottica il rapporto di causa-effetto è un prodotto della mente, che viene qui presupposto come immutabile, indipendente dell'esistenza di questo o quel cervello. Quindi da un punto di vista materialista sarebbe più coerente su questo tema sostituire alla solidità del rapporto causa-effetto un approccio più dubitativo-probabilistico.
Citazione di: Ipazia il 05 Maggio 2019, 13:02:36 PM
la questione etica nella corretta prospettiva storico-evolutiva, che corregge, allargando la prospettiva, l'impostazione relativista dura del gusto soggettivo arbitrario.
La questione etica, per elevarsi al di sopra della
morbidezza del "gusto soggettivo arbitrario", avrebbe bisogno di un fondamento forte (soprattutto se vuole essere un'etica forte); se il fondamento non può (più) essere quello
teologico (e quello meta-fisico pone problemi logici di autoreferenza), rimane in gioco il piano fisico.
A tal proposito è forse significativo notare che le prime istruzioni che vengono inculcate nei bambini (cuccioli di uomo non
inculturati) sono quelle a fondamento delle società: non bisogna essere violenti (il bambino tende ad aggredire alcuni dei suoi simili), non si ruba (il bambino tende ad appropriarsi di ciò che vuole, non ha il concetto di proprietà privata), non si mente (il bambino tende a dire solo ciò che gli conviene / gli piace), etc. Al cucciolo di uomo vanno dunque impartite le regole della convivenza "civile" perché,
naturalmente, egli non le possiede (ciò che possiede è invece una serie di istinti volti all'autosussistenza: cercare il seno-nutrimento, aggrapparsi per non cadere, etc.).
Se questi precetti "universali" (e forse anche altri) fondano la vita sociale e la morale globalmente praticata, bisogna tuttavia osservare che la riflessione morale dà per scontate queste basi e diventa invece problema (filosofico) su ben altre questioni, non certo ristrette al (né risolvibili con) "quieto vivere, senza omicidi, furti, stupri e menzogne... o almeno ci si prova".
Ad esempio, di fronte a una questione etica (immigrati, diritti lgbt, pena di morte, alzarsi per far sedere un anziano sul bus, etc.), su cosa si
fondano la morale/i valori che ci fanno giudicare «questo è giusto/quello è sbagliato»?
A partire da questa domanda, ineludibile se si vuol parlare filosoficamente di morale, il problema centrale di ogni morale post-religiosa è (secondo me) sempre quello del fondamento.
P.s.
Per dare il buon esempio, non svicolo della domanda: la mia risposta è alla prima riga, rigorosamente fra virgolette poiché allude a discorsi lunghi e discutibili (come già ben sa
Ipazia, una di quelli con cui ho tentato in passato di spiegarmi sulla questione).
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2019, 15:13:32 PM
Citazione di: Ipazia il 05 Maggio 2019, 13:02:36 PM
la questione etica nella corretta prospettiva storico-evolutiva, che corregge, allargando la prospettiva, l'impostazione relativista dura del gusto soggettivo arbitrario.
La questione etica, per elevarsi al di sopra della morbidezza del "gusto soggettivo arbitrario", avrebbe bisogno di un fondamento forte (soprattutto se vuole essere un'etica forte); se il fondamento non può (più) essere quello teologico (e quello meta-fisico pone problemi logici di autoreferenza), rimane in gioco il piano fisico.
A tal proposito è forse significativo notare che le prime istruzioni che vengono inculcate nei bambini (cuccioli di uomo non inculturati) sono quelle a fondamento delle società: non bisogna essere violenti (il bambino tende ad aggredire alcuni dei suoi simili), non si ruba (il bambino tende ad appropriarsi di ciò che vuole, non ha il concetto di proprietà privata), non si mente (il bambino tende a dire solo ciò che gli conviene / gli piace), etc. Al cucciolo di uomo vanno dunque impartite le regole della convivenza "civile" perché, naturalmente, egli non le possiede (ciò che possiede è invece una serie di istinti volti all'autosussistenza: cercare il seno-nutrimento, aggrapparsi per non cadere, etc.).
Se questi precetti "universali" (e forse anche altri) fondano la vita sociale e la morale globalmente praticata, bisogna tuttavia osservare che la riflessione morale dà per scontate queste basi e diventa invece problema (filosofico) su ben altre questioni, non certo ristrette al (né risolvibili con) "quieto vivere, senza omicidi, furti, stupri e menzogne... o almeno ci si prova".
Ad esempio, di fronte a una questione etica (immigrati, diritti lgbt, pena di morte, alzarsi per far sedere un anziano sul bus, etc.), su cosa si fondano la morale/i valori che ci fanno giudicare «questo è giusto/quello è sbagliato»?
A partire da questa domanda, ineludibile se si vuol parlare filosoficamente di morale, il problema centrale di ogni morale post-religiosa è (secondo me) sempre quello del fondamento.
P.s.
Per dare il buon esempio, non svicolo della domanda: la mia risposta è alla prima riga, rigorosamente fra virgolette poiché allude a discorsi lunghi e discutibili (come già ben sa Ipazia, una di quelli con cui ho tentato in passato di spiegarmi sulla questione).
Spiegazione che passando dalla difesa del piano "metafisico" del
relativismo etico non sfocia nel farwest in cui ci vorrebbero collocare i teisti, dell'
etica relativistica.
Questo mi fa piacere. Accorciato le distanze sui fondamentali "umanistici" (vita umana, socialità, cure parentali socializzanti,...) certo non è facile, neppure a partire da questi fondamentali reali, realizzare una griglia di comportamenti "kosher" validi in tutte le situazioni. Non lo è neppure in casa teista viste le legnate che continuano a darsi tra loro. Quindi non resta che il lumicino della filosofia etica, col suo bilancino epistemico frutto delle (ine)narrabili vicende della storia umana ad aiutarci, di volta in volta, a trovare la quadra. Provvisoria e intersoggettiva, ma sensibile alle gradazioni valoriali di cui è costituito il prodotto storico
civiltà.
Citazione di: Ipazia il 02 Maggio 2019, 22:14:24 PM
Materialismo non è riducibile ad un'unica concezione della realtà. Esso va da una concezione meccanicistica e pandeterministica a una metafisica immanentistica che considera livelli diversi della realtà tra mondo inanimato, animato e animato senziente, autocosciente e trascendentale.
Questo ampio spettro metafisico si riverbera anche nel differente concezione sulla vexata quaestio libero arbitrio, con valutazioni diverse sul grado di libertà che il background naturale, ovvero materiale, permette.
Tutto ciò che ha che fare con la psiche, pur essendo immanente, ovvero avendo una genesi "materiale", dà origine a realtà immateriali quali il comportamento umano razionale, la cui ontologia trascende il livello fisico-chimico-biologico e pone materialisti e spiritualisti sullo stesso piano della responsabilità etica.
Prima di avventurarsi sul materialismo, bisognerebbe chiarirsi sulla semantica di materia e materiale (attribuito).
CARLO
I tuoi sono degli ingannevoli giochi di parole. Nella sua accezione propria, "metafisica" (= "oltre la fisica") indica una realtà ALTRA dalla realtà fisica (materiale) e non riducibile a questa, sebbene le DUE realtà siano concepite come potenzialmente complementari ad un'unità superiore ultima. Quindi "materiale" significa "fisico"; e l'autocoscienza non è una proprietà delle entità fisiche, ma appartiene alla realtà metafisica (mente, psiche, anima, spirito) che trascende la realtà fisica. Il corpo è materiale-fisico, lo spirito è immateriale-metafisico.
CARLO
I tuoi sono degli ingannevoli giochi di parole. Nella sua accezione propria, "metafisica" (= "oltre la fisica") indica una realtà ALTRA dalla realtà fisica (materiale) e non riducibile a questa, sebbene le DUE realtà siano concepite come potenzialmente complementari ad un'unità superiore ultima. Quindi "materiale" significa "fisico"; e l'autocoscienza non è una proprietà delle entità fisiche, ma appartiene alla realtà metafisica (mente, psiche, anima, spirito) che trascende la realtà fisica. Il corpo è materiale-fisico, lo spirito è immateriale-metafisico.
Eugenio
Fai corrispondere la realtà metafisica con mente, psiche, anima e spirito.
Ammesso che esistano mente e psiche (oggetto ancora di dibattito), l'anima e lo spirito che base metafisica hanno ?
Ci sono schiere di metafisici che non prendono minimamente in considerazione l'anima e lo spirito.
Anima e spirito sono invenzioni o concetti appartenenti alla metafisica religiosa o pseudoreligiosa e non alla metafisica tutta.
Citazione di: odradek il 05 Maggio 2019, 18:01:04 PM
CARLO
I tuoi sono degli ingannevoli giochi di parole. Nella sua accezione propria, "metafisica" (= "oltre la fisica") indica una realtà ALTRA dalla realtà fisica (materiale) e non riducibile a questa, sebbene le DUE realtà siano concepite come potenzialmente complementari ad un'unità superiore ultima. Quindi "materiale" significa "fisico"; e l'autocoscienza non è una proprietà delle entità fisiche, ma appartiene alla realtà metafisica (mente, psiche, anima, spirito) che trascende la realtà fisica. Il corpo è materiale-fisico, lo spirito è immateriale-metafisico.
Eugenio
Fai corrispondere la realtà metafisica con mente, psiche, anima e spirito.
Ammesso che esistano mente e psiche (oggetto ancora di dibattito), l'anima e lo spirito che base metafisica hanno ?
CARLO
Che vuoi dire con "base metafisica"?
EUGENIO
Ci sono schiere di metafisici che non prendono minimamente in considerazione l'anima e lo spirito.CARLOE cosa prendono in considerazione? Dove collocano anima e spirito? Tra gli oggetti fisici?EUGENIOAnima e spirito sono invenzioni o concetti appartenenti alla metafisica religiosa o pseudoreligiosa e non alla metafisica tutta.CARLO
Se l'anima (o psiche) non appartiene alla fisica, a cos'altro può appartenere se non alla metafisica?
Ciao Phil
Beh, mi sembri ottimista per i motivi che ho descritto a seguito di quella affermazione,
naturalmente (e cioè che la "necessità della convivenza sociale" è molto più verificabile
negli animali che nell'essere umano).
Proseguendo, per così dire, nella mia personale "narrazione del mondo" io vedo infatti
individualità dove tu vedi socialità; vedo utilità dove tu vedi etica; e vedo "contratti"
dove tu vedi leggi...
Insomma: vedo queste cose dopo aver visto (o per meglio dire "saputo di"...) nefandezze
inenarrabili ed impensabili nel regno animale.
Quanto al richiamo che ho fatto alla democrazia, volevo dire (onestamente non era molto
chiaro...) che il tuo riferirti a "legislatori rappresentanti del volere/valore popolare"
quali continuatori del concetto di "autorità" nell'emersione della natura convenzionale
del valore morale, si scontra con la attuale tendenza al declino proprio di quel tipo
di autorità (cioè dell'autorità che risiede nell'essere espressione di una "maggioranza").
Il sempre più pervasivo potere "tecnico" è infatti null'altro che l'espressione di un
"razionalismo" che, rifiutando il principio di convenzionalità (cos'è, in fondo, una "convenzione"
se non l'accordo fra tutti o almeno fra il maggior numero di persone?), ripropone una
visione dell'autorità fondata proprio su una "legittimità" da ricercarsi, appunto, NON
nella "convenzione" espressa da un voto, ma su una presunta "competenza"....
E dunque, cercando di tornare un pò sull'argomento originario della discussione, ecco allora
che si ripropone il problema di una legittimità che il "sistema operativo neurologico"
non può riferire a se stesso (pena la perdita di credibilità, ovviamente, perchè emergerebbe
troppo chiaramente che la "radice causale" è l'utile particolare), ma deve riferire ad una
realtà-altra ove poter acquisire "oggettività" (una oggettività che, come dicevo, non può
essere altro che mera finzione).
In definitiva, parafrasando Severino io penso che la modernità "ricostituisca" tale
oggettività (cioè tale finzione di oggettività) nell'uso improprio e strumentale dei principi
scientifici, "piegati" a vantaggio della volontà di potenza dominante ed usati artatamente per
coprirne la "vera" natura.
Sono convinto che, se coerentemente sviluppato, il materialismo non possa portare che all'
affermazione della volontà di potenza ("la natura è matrigna", come diceva Leopardi).
E forse è davvero questa la verità ultima...
saluti
a Carlo
Dai per scontata l'esistenza dell'anima, con tutto il peso (storico ed ideologico) che si porta dietro.
Se invece mi parli di psiche allora il discorso si fa psicologico ; allora si discute in termini di archetipo, di mundus di animus e di anima, ma è una terminologia appartenente alla psicologia junghiana, che è sempre cento volte meglio e cento volte più esplicativa di quella freudiana, e che possiamo anche considerare come (quasi, perchè altri la potrebbero pensare diversamente) indispensabile per capire l' "animo umano" e le sue espressioni, patologiche o meno, (e quelle artistiche sopratutto) ma farne un concetto fondativo metafisico mi sembra un passo azzardato.
All'interno del corpus Junghiano è un concetto imprescindibile e funzionale, fuori un po meno.
Citazione di: Phil il 05 Maggio 2019, 15:13:32 PM
A tal proposito è forse significativo notare che le prime istruzioni che vengono inculcate nei bambini (cuccioli di uomo non inculturati) sono quelle a fondamento delle società: non bisogna essere violenti (il bambino tende ad aggredire alcuni dei suoi simili), non si ruba (il bambino tende ad appropriarsi di ciò che vuole, non ha il concetto di proprietà privata), non si mente (il bambino tende a dire solo ciò che gli conviene / gli piace), etc. Al cucciolo di uomo vanno dunque impartite le regole della convivenza "civile" perché, naturalmente, egli non le possiede (ciò che possiede è invece una serie di istinti volti all'autosussistenza: cercare il seno-nutrimento, aggrapparsi per non cadere, etc.).
Ma se
Al cucciolo di uomo si possono impartire le regole della convivenza "civile" perché, naturalmente, egli non le possiede, allora egli naturalmente deve necessariamente possedere la predisposizione ad acquisirle.Il cucciolo d' uomo nasce che non sa nulla e non sa fare nulla che ecceda lo strettamente indispensabile alla sua sopravvivenza (come piangere, succhiare la tetta, respirare, evacuare, sudare, ecc.).
Nemmeno sa parlare, per esempio.
Eppure l' evoluzione biologica l' ha fatto tale da avere la potenziale capacità di imparare a parlare, a camminare e a fare tutto ciò che riesce a fare col passare del tempo grazie al suo proprio ingegno e agli insegnamenti degli uomini adulti o comunque più sviluppati).
Compreso sentire gli imperativi etici e adempiervi o meno, comportarsi eticamente o meno e valutare in senso etico il proprio e l' altrui comportamento.
Ma l' evoluzione biologica l' ha fatto anche tale da avere la potenziale capacità di imparare a erogare un pluslavoro (oltre quello necessario per sopravvivere e riprodursi), e conseguentemente fra l' altro, per esempio, pure a creare opere d' arte.
La natura (biologica) ha fatto l' uomo tale da sviluppare sulla natura stessa (senza ovviamente impossibilmente superarla; divinamente, soprannaturalmente, per l' appunto) la cultura, la storia umana come sviluppo coerente ma peculiare, "creativo" della storia naturale.
E questo spiega come mai, al pari dell' estetica, anche l' etica presenta caratteri generalissimi universali e costanti e caratteri relativamente più particolari, relativamente meno universali e costanti, in varia misura socialmente condizionati e storicamente transeunti.
Citazione di: odradek il 05 Maggio 2019, 13:48:10 PM
La volontà di potenza che fonda la moralità non l'avevo davvero mai sentita; la volontà di potenza distrugge morali, non ne crea.
Ecco, ora l'hai sentita. La volontà di potenza crea morali perchè lo dico io (ricorda che io sono
l'oltreuomo che dice: "così dev'essere").
Hai mai sentito nulla di più nietzscheiano?
saluti
(PS. Per la disperazione di chi legge non ci sarà una "parte 2"...)
Citazione di: odradek il 05 Maggio 2019, 19:06:04 PM
a Carlo
Dai per scontata l'esistenza dell'anima, con tutto il peso (storico ed ideologico) che si porta dietro.
Se invece mi parli di psiche allora il discorso si fa psicologico ; allora si discute in termini di archetipo, di mundus di animus e di anima, ma è una terminologia appartenente alla psicologia junghiana, che è sempre cento volte meglio e cento volte più esplicativa di quella freudiana, e che possiamo anche considerare come (quasi, perchè altri la potrebbero pensare diversamente) indispensabile per capire l' "animo umano" e le sue espressioni, patologiche o meno, (e quelle artistiche sopratutto) ma farne un concetto fondativo metafisico mi sembra un passo azzardato.
All'interno del corpus Junghiano è un concetto imprescindibile e funzionale, fuori un po meno.
CARLO
Non farti confondere dai nomi: anima, psiche e mente sono tre nomi diversi per indicare una medesima entità: la sede dell'Io (coscienza) e dell'inconscio.
Altra cosa è "Anima", con la "A" maiuscola, coniato da Jung, che si contrappone ad "Animus".