Da: La tragedia greca di F. Nietzsche
Racconta la favola antica, che il re Mida inseguì a lungo nella selva il savio Sileno, il compagno di Dioniso, senza poterlo prendere. Quando finalmente gli cadde nelle mani, gli domandò il re quale fosse per gli uomini la cosa migliore e la più eccellente di tutte. Il demone taceva, rigido e immoto; finché, sforzato dal re, ruppe in un riso sibilante con queste parole.
"Stirpe misera e caduca, figlia del caso e dell'ansia, perché mi costringi a dirti ciò che è per te il meno profittevole a udire? Ciò che è per te la cosa migliore di tutte, ti è affatto irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma, dopo questa impossibile, la cosa migliore per te, ecco, è morir subito."
Ci sono parecchie chiavi di lettura.....oltre a quella di Nietzsche
La nascita della tragedia è la tragedia della nascita.
Lo si capisce bene dal doppio movimento allucinatorio di separazione che anima questa nascita: la separazione dell'attore dal coro e dello spettatore dall'attore.
Ciao paul11
Con il bellissimo passo che tu riporti, Nietzsche, in sostanza, non fa che riecheggiare i vv. 1224-1237 della tragedia di Sofocle "EDIPO A COLONO"; i quali, tradotti un po' liberamente, suonano così: "La cosa migliore sarebbe non nascere affatto; però, se si è stati così sfortunati da venire al mondo, la cosa migliore è andarsene il prima possibile!"
***
Concezione, peraltro, condivisa, un tempo, anche da intere saggissime popolazioni, come quella dei Trausi; circa i quali Erodoto racconta: "Riguardo a chi nasce e a chi muore, i Trausi, si comportano nel modo seguente:
- seduti intorno al neonato, i parenti piangono, deplorando tutti i mali che egli dovra' soffrire una volta nato, enumerando tutte le miserie umane;
- invece lieti e scherzando seppelliscono che è morto, dicendo che, finalmente, liberato da tanti mali, egli è adesso completamente felice" (Erodoto - Storie - VI, 4, 2).
***
Il che, forse è un tantino esagerato, almeno secondo Leopardi, il quale scrisse: "Sola nel mondo eterna, a cui si volve ogni creata cosa, in te, morte, si posa nostra ignuda natura; lieta no, ma sicura dall'antico dolor, perchè d'esser beato nega ai mortali e nega a' morti il fato!" (CORO DEI MORTI NELLO STUDIO DI FEDERICO RUYSCH).
***
Quanto alle varie chiavi di lettura, oltre a quella di Nietzsche, sinceramente, non me ne viene in mente nessuna; perchè, una volta tanto, che lo si voglia condividere o meno, secondo me il concetto in sè è chiarissimo ed UNIVOCO!
***
E, personalmente, io lo condivido in pieno, in quanto sanzionato dalla stessa BIBBIA; la quale, a beneficio di chi non arrivi da solo ad afferrare una verità così ovvia, ci conferma che: "Il giorno della morte è sicuramente molto migliore del giorno della nascita." (Ecclesiaste 7).
***
Un saluto!
Qual'é la chiave di lettura volta di Nietzsche ?
Da un filosofo o da un saggio mi aspetterei la coerenza con quanto professa.
Poiché il suicidio è disponibile, ritengo che quanto sopra sia pessima filosofia e saggezza.
O pessima lettura di filosofia e saggezza di un filosofo ?
Interessante spunto, non ho idea di quale sia lo spunto di Nietzche. Essendo uno degli scritti non aforistici, il nostro dovrebbe poi farne una analisi interessante.
Il tema dell'impossibilità della domanda sulla vita, lo chiamerei così questo breve passaggio.
Come sappiamo il dionisiaco, come d'altronde l'apollineo, sono accomunati da una furia sconsiderata verso il proprio annichilimento, ognuno in cuor suo cerca la morte, benchè vivendo essa gli è preclusa.
E' dunque una riflessione sulla vita, e non sulla morte (capitolo suicidio incluso).
In particolare sull'impossibilità della vita a contenere il suo discorso violento.
La volontà di riportare nel nostro conforto questa impossibilità, cadiamo inevitabilmente nel fantasma paranoico.
Come dice il Sileno, non si può chiedere, ovvero non si può analizzare la condizione paranoica. (il vivere eterno).
Non esistono altre vie, che affrontare il nichilismo, dunque, e torniamo al centro del problema del novecento:
far fronte alla tempesta della vita.
Questo mi sovviene.
Citazione di: Ipazia il 28 Febbraio 2020, 08:57:41 AM
O pessima lettura di filosofia e saggezza di un filosofo ?
Aspetto la buona lettura.
Per il momento confermo il mio giudizio: se la vita è la cosa peggiore il suicidio è disponibile, un minimo di coerenza. Altrimenti sono parole al vento, scadente letteratura.
Citazione di: Ipazia il 28 Febbraio 2020, 07:09:36 AM
Qual'é la chiave di lettura volta di Nietzsche ?
Occorrerebbe capire l'economia interpretativa entro cui si muove Nietzsche e la proposta delle categorie interpretative del dionisiaco e dell'apollineo per la comprensione delle radici entro cui si articola la visione e il suono greco del mondo. La sentenza sapiente e la simbologia del Sileno giocano un ruolo importante nella visione e nell'approfondimento inedito della "grecità" proposta dal filosofo. Dopo di lui è la svolta: impossibile pensare alla grecità come solo simbolo di cultura luminosa, dove l'armonia e la bellezza regnano sovrane e permeano il tutto. La luminosità apollinea degli dei olimpici è la risposta alla profonda, vera e reale vena tragica e dolorosa dell'esistenza che sottende il pensiero e la cultura greca. Una risposta che è apparenza, sogno, illusione a una lacerazione originaria. E' su queste premesse e questo geniale ("saggi per profondità") equilibrio che dirà infatti " Apollo non poteva vivere senza Dioniso".
Se teniamo ferma la nostra fede nella Verità, è necessario fare tabula rasa di ogni "certezza" che diamo solitamente per scontata.
Potremmo così ritrovarci con una possibile chiave interpretativa radicalmente diversa.
È infatti sufficiente chiederci cosa si dovrebbe intendere con "Stirpe misera e caduca, figlia del caso e dell'ansia"
Non si intende forse l'io?
L'illusione dell'io?
Se così è, "morir subito" indica la fine dell'illusione.
Meglio sarebbe stato non illuderci mai di essere un io.
Ma poiché l'illusione c'è, la cosa migliore sarebbe lo svanire dell'illusione.
Ciao a tutti,
più che vere e proprie risposte, le mie vogliono essere considerazioni, riflessioni.
Niko
la tragedia greca è la taumaturgia della condizione umana
Eutidemo
ben ricordi passi di autori diversi che collocano la condizione umana similmente a Sileno.
Lo stesso Nietzsche pone l'esempio di Edipo e poi Oreste, in quanto i miti precostituirono
le avvisaglie per la nascita della tragedia greca.
Baylham
eppure Nietzsche mi pare coerente, se si percorre il suo filo logico argomentativo.
Dal punto di vista squisitamente filosofico invece ho punti di vista diversi.
Ipazia
per quanto possa essere in alcuni punti fondamentali diverso da come la penso,
sostengo che Nietzsche è da studiare, più che leggere, in modo possibilmente
distaccato; quindi è una lettura da fare o rifare in età matura, ma proprio per capire meglio
la profondità umana, che in fondo è la nostra.
Green
è vero, la sua è una riflessione sulla vita proprio grazie all'evocazione della morte.
Se nasce da una istanza prima psicologica, perché è una constatazione la condizione umana, fu poi
concettualizzata nei miti e Nietztche ritiene il greco antico capace di grande sofferenza e quindi capace in qualche modo di renderla cosciente. Per questo nascerà la tragedia in Grecia.
Lou
direi che la tua disamina è esatta sul modo in cui Nietzsche interpreta la grecità fra l'apollineo e il dionisiaco.
Allora aggiungerei:
l'apollineo rappresenta il sogno, il dionisiaco l'ebbrezza.
Il dionisiaco è tutto ciò che è legato alla natura, basta vedere come è rappresentato Sileno .
L'apollineo rappresenta la bellezza.
Nietzsche ritiene che la verità sta nella condizione umana e Sileno, Pan, Bacco non sono "belli"
esteticamente. Apollo rappresenta l'olimpo degli dei, ciò che l'uomo ha taumaturgicamente creato per stordire la propria coscienza di dolore, per poter sopportare la condizione di sofferenza cosciente.
E' quindi una falsità l'apollineo, per potere sopportare la realtà della condizione naturale umana.
L'arte è apollinea come imitazione, come rappresentazione, come trascendenza estetica affinché la bellezza potesse essere contemplata nel livello più alto, per lenire il dolore della realtà.
"La nascita della tragedia dallo spirito della musica ovvero Grecità e pessimismo" ed è il titolo corretto, fra i primi scritti di Nietzscheè del 1872, lo scrive a 28 anni di età.
Oltre che per lo scritto in sé, il mio interesse personale è capire la visione del mondo e filosofica di Nietzsche nel proseguio delle sue opere, come nella successiva "La filosofia ,
nell'epoca tragica dei Greci"quando porrà critiche sui filosofi che hanno costruito le fondamenta della cultura occidentale.
Bobmax
"Miserabile sesso di un giorno, figli del caso e fatica, ...."
"Elendes Eintagsgeschlecht, des Zufalls Kinder und der Mühsa..."l
questa è la traduzione dal tedesco che ritengo più congrua dell'incipit di Sileno.
E' crudele, quanto la cacciata di Adamo ed Eva dall'Eden,se posso permettermi un parallelo.
Forse, ma è una mia personale considerazione, Nietzsche cerca quell'eden perduto, quello stato adamitico in cui uomo e natura erano in perfetta armonia. Ben inteso, non in senso spirituale e tanto meno religioso, quanto come stato empirico, fattuale.
Sono d'acordo con te che l'incipit è potente e crudele quanto il "era meglio non nascere".
Personalmente,dal punto di vista filosofico, trovo irrazionale cominciare dalla natura.
Nietzsche accetta la natura come condizione umana e non accetta
la taumaturgia, quell'operare umano di una falsa costruzione divina, una forma esorcistica che cerchi di alleviare il dolore della condizione umana, spostando la bellezza nel divino e la bruttezza nella natura mortifera.
Così operando Nietzsche toglie il concetto logico e la morale e vi inserisce una mistica estetica come chiave di lettura, non sopporta l'intellettuale dell"ingenua illusione" poiché veicola su un livello antinaturale la bellezza e per contrasto immiserisce ulteriormente la possibilità nella propria esistenza naturale.
Riconosco che è potente il pensiero nietzscheano, ma riduttivo filosoficamente.
La natura stessa essendo vita, risponde a ben più superiori livelli universali.
Nietzsche compie una sorta di diktat: prendere o lasciare.
@paul
Come te propongo alcune considerazioni ulteriori rispetto alle tue, augurandomi che possa integrare e sviluppare quanto da me prima scritto e la prospettiva che hai messo in campo.
Da un punto di vista prettamente filosofico direi che il substrato da cui muove l'appellarsi alla sentenza del sapienza silena, ha una precisa valenza teoretica ed é una mossa, oltre che rilevante per la fondazione delle categorie estetiche di apollineo e dionisiaco, che nella architettura del pensiero nietzschiano mostra in nuce gli aspetti che ne seguiranno in merito ai suoi sviluppi.
L'attingere al tragico potrebbe essere affine a una visione enigmatica e, direi, eraclitea: luogo di passaggio e snodo necessario tra la sapienza proto-logica del mito e della poesia alla philosofia propriamente detta che a partire da Socrate e Platone prenderà quei contorni sostanziali di episteme, una ricerca estranea alla tragedia e al mito, sebbene ne erediti in parte tratti di continuità.
Il distico eracliteo "immortali mortali, mortali immortali, viventi la loro morte e morienti la loro vita", oltre a rappresentare il topos entro cui la poesia occidentale muove le sue corde e rielaborare la sapienzialità a cui hai invitato a riflessione, mostra quella scissione dell'uno all'interno di sè, quel dissidio che in fondo è vita. Che il saggio Sileno personifica, con la grazia sublime dell'uomo/animale e cultura/natura che gli son propri. Ma il sublime è orrendo e "inattuale" e tutti i passi che ci paiano esser mossi allontanandoci dal precipizio del dissidio che anima la vita, ecco che con con il Sileno, Eraclito, Nietzsche si gira il volto e quel precipizio è sempre lì, non ci siamo mai mossi, noi siamo sull'orlo ed è da quello sguardo solitario, di cui solo le bestie, il dio e...i filosofi, suggerì Nietzsche al peripateta, che l'enigma non è sciolto.
"La verità è brutta, abbiamo l'arte per non perire a causa della verità".
Sileno è immortale e non può che rispondere così ad un mortale della specie più infima schiava del mito della ricchezza, a cui non puó che consigliare l'oblio, assistito dal dono che il suo pupillo Dioniso ha donato agli umani.
Sileno è uno spirito della terra, di quella terra che FN ha contrapposto sempre più all'illusione della salvezza celeste, ma dal cui spirito di gravità ha cercato per tutta la vita una via d'uscita. Pure nell'apollineo che ritorna nel frammento tardo postato da Lou, quasi una vendetta postuma del maestro ripudiato Schopenauer. Senza rinunciare al dionisiaco (Ecce homo: Dioniso contro il Crocefisso).
Ma sono gli ultimi fuochi di una battaglia filosofica che torna alle origini elleniche del suo pensiero, consapevole di non aver raggiunto le cime che aveva intravisto Zarathustra, la cui conquista rimanda all'oltreuomo che egli sa di poter solo annunciare dalla terra di mezzo in cui la morte di Dio ha lasciato immondo spazio alle nefandezze dell' "ultimo uomo" e ai suoi vitelli d'oro. Erede moderno della figura di Mida: Eintagsgeschlecht, genere che vale non più di un giorno. Metafisicamente: una botta e via. Nullità.
Salve Ipazia. Citandoti : "Eintagsgeschlecht, genere che vale non più di un giorno. Metafisicamente: una botta e via.".
Che dire ? Personalmente mi inchino non a FN (che dal fondo della mia ignoranza - pari solo alla mia supponenza - ho sempre subodorato essere un "paragenialoide invasato culturale")....non a FN, dicevo, ma a te, trovando che la più sfrenata delle locomotive - messa di fronte alla tua capacità di sintesi - non possa che fare la figura della timida farfalletta. Complimenti sempre.
Ciao Lou,
sono ancora d'accordo sull'analisi in generale che fai di Nietzsche.
Inserirei delle considerazioni, riflessioni.
Nietzsche ha già una sua posizione ancor prima della " La nascita della tragedia ....".
Mi interesserebbe capire come matura il suo pensiero e non scarterei le sue vicende famigliari, protestanti praticanti e laureato in teologia(come Heidegger) e filologia. E' come se avesse rifiutato il tutto per andare nel contrario.
C'è spesso una profonda amarezza vissuta dietro un profondo scandagliare umano.
In lui la condizione umana, la tragedia, assume un paradigma metafisico, il pathos estetico sostituisce l'ontologia, il pessimismo di Schopenhauer e l'arte di Wagner(poi ripudiati) e il divenire eracliteo sono risaltati già in queste sue prime opere.
Nel nostro tempo il teatro è visto come spettacolo che può più o meno coinvolgerci e i nostri giudizi spesso sono concettuali; la tragedia greca nei tempi antichi, pur essendo rappresentazione, è vissuto evocativo, è empatico, istintivo/pulsionale. L'arte tragica greca è la perfetta sintesi fra la volontà dionisiaca e la rappresentazione apollinea.
Omero è tacciato come ingenuo illuso, sono accettati i miti che prefigurano la lotta umana contro il divino, come sottoposizione crudele nel Prometeo, Oreste, Edipo. C'è già un pre-giudizio che sarà posto nell'opera successiva "La filosofia nell'epoca tragica dei Greci".
Legge Schopenhauer per la prima volta nel '65, ne coglie subito l'enorme portata, come rivela in una lettera ad un suo collega: «da quando Schopenhauer ci ha tolto dagli occhi le bende dell'ottimismo, lo sguardo si è fatto più acuto. La vita è più interessante, sebbene più brutta».
Dal mio punto di vista.
Ma perché mai il pensiero è sofferenza, la consapevolezza il mezzo per aumentare la sofferenza?
Questo non capisco . Come se la ragione fosse un torto all'uomo posto dalla natura, se non si vuol più porlo alla teodicea divina. L'attimo animale è la dimenticanza, non c'è passato o futuro.
Meglio animali che umani?
Mi pare netta la dicotomia culturale sul perché della ragione umana.
ciao Ipazia,
Sileno indirizza la sua sentenza a tutta la stirpe umana.
Sono d'accordo che "la morte di dio" ha lasciato spazio ad una decadenza.
E qui penso che Nietzsche abbia fallito, più ancora di un "dio in vita".
E se tanto mi dà tanto......significherebbe che alcuni paradigmi nietzscheani
non sono filosoficamente pertinenti e deformano il suo pensiero.
E' solo un invito a riflettere la mia, non una sentenza.
Citazione di: paul11 il 29 Febbraio 2020, 00:57:49 AM
ciao Ipazia,
Sileno indirizza la sua sentenza a tutta la stirpe umana.
Sono d'accordo che "la morte di dio" ha lasciato spazio ad una decadenza.
E qui penso che Nietzsche abbia fallito, più ancora di un "dio in vita".
E se tanto mi dà tanto......significherebbe che alcuni paradigmi nietzscheani
non sono filosoficamente pertinenti e deformano il suo pensiero.
E' solo un invito a riflettere la mia, non una sentenza.
Anche Cristo ha fallito per circa tre secoli, ma poi ha regnato su una delle parti più evolute del pianeta per un millennio e mezzo senza rivali e anche oggi vive bene di rendita su quella storia.
I tempi dei rivolgimenti storici, per quanto accociati, durano ancora molte generazioni e nel loro succedersi si modificano anche le prospettive dei profeti, pur rimanendo essi punti di riferimento sempre fecondi nel divenire delle interpretazioni e attualizzazioni.
FN soffriva i pregiudizi del suo tempo, ma ne era consapevole e usava il suo martello, per come sapeva e poteva, per demolirli, con una abilità persuasiva certamente più potente delle sue intuizioni
costruens, che non sono così misere come la riduzione del suo pensiero all'opera giovanile trattata, ancor peggio se si vuole ridurre ingenuamente il maestro della maschera all'arcaico e archetipico Sileno.
Il contrasto fra il dio(nisiaco) e l'uomo-Mida è fondamento della tragedia: l'immortale contrasta con il mortale, chi sa contrasta con chi non sa (e insiste nel domandare), la vita naturale ed edonistica contrasta con la vita "culturale" da re e la sua avidità di beni materiali, etc. ne consegue che la figura dell'uomo, mortale, ignorante e avido (il "filisteo") non può che esser tragica. Forse anche l'oltre-uomo, colui che è "oltre" il coro, non potrebbe che esser anch'egli eroe tragico, che con la sua necessaria morte (e annesso amor fati) terrebbe in vita l'eterno ritorno, ovvero il percorso che porta al suo stesso coronamento "oltre" l'umanità deicida, ma non oltre la tragedia del vivere (l'esser-per-la-morte, come riformulerà qualcuno venuto dopo Nietzsche).
Citazione di: paul11 il 29 Febbraio 2020, 00:57:49 AM
Ciao Lou,
sono ancora d'accordo sull'analisi in generale che fai di Nietzsche.
Inserirei delle considerazioni, riflessioni.
Nietzsche ha già una sua posizione ancor prima della " La nascita della tragedia ....".
Mi interesserebbe capire come matura il suo pensiero e non scarterei le sue vicende famigliari, protestanti praticanti e laureato in teologia(come Heidegger) e filologia. E' come se avesse rifiutato il tutto per andare nel contrario.
C'è spesso una profonda amarezza vissuta dietro un profondo scandagliare umano.
In lui la condizione umana, la tragedia, assume un paradigma metafisico, il pathos estetico sostituisce l'ontologia, il pessimismo di Schopenhauer e l'arte di Wagner(poi ripudiati) e il divenire eracliteo sono risaltati già in queste sue prime opere.
Nel nostro tempo il teatro è visto come spettacolo che può più o meno coinvolgerci e i nostri giudizi spesso sono concettuali; la tragedia greca nei tempi antichi, pur essendo rappresentazione, è vissuto evocativo, è empatico, istintivo/pulsionale. L'arte tragica greca è la perfetta sintesi fra la volontà dionisiaca e la rappresentazione apollinea.
Omero è tacciato come ingenuo illuso, sono accettati i miti che prefigurano la lotta umana contro il divino, come sottoposizione crudele nel Prometeo, Oreste, Edipo. C'è già un pre-giudizio che sarà posto nell'opera successiva "La filosofia nell'epoca tragica dei Greci".
Legge Schopenhauer per la prima volta nel '65, ne coglie subito l'enorme portata, come rivela in una lettera ad un suo collega: «da quando Schopenhauer ci ha tolto dagli occhi le bende dell'ottimismo, lo sguardo si è fatto più acuto. La vita è più interessante, sebbene più brutta».
Ciao Paul, per quanto riguarda il punto che sollevi in merito a quanto la biografia di un pensatore ne influenzi un pensiero, è certamente un aspetto che meriterebbe un topic a sè. Da parte mia non so quanto il chi pensante posso determinare e in quale misura il modo e il cosa del pensare, tuttavia, faccio un esempio seguendo il tuo spunto: è sicuro che Dioniso è associato all'udito, al suono alla musica e Apollo ala vista, alle visive, alla luce. Ora potremmo dire che i problemi alla vista di Nietzsche possono aver influenzato il suo prediligere le arti sonore alle arti visive? La musica sulla pittura? Il ruolo e il fascino che il suono gioca attraverso gli scritti di Nietzsche e le arti ad esso associate sono preponderanti rispetti agli spazi riservati alle arti visive. Dal mio punto di vista su ste cose traballo, la trovo una prospettiva intrigante, ma non sono ancora riuscita a decidermi su quale misura le premesse corporee, il carattere e le vicende personali possano infuire sul "pensato". Riconosco che lo possano fare sullo stile complessiovo di un pensiero, ma solo elevando lo stile e la forma a sostanza troverei questi aspetti determinanti. In un certo qual modo nutro l'idea secondo cui i pensati e il pensiero siano in larga misura indipendenti dal pensante.
Citazione[/size]
Dal mio punto di vista.[/size]Ma perché mai il pensiero è sofferenza, la consapevolezza il mezzo per aumentare la sofferenza?Questo non capisco . Come se la ragione fosse un torto all'uomo posto dalla natura, se non si vuol più porlo alla teodicea divina. L'attimo animale è la dimenticanza, non c'è passato o futuro.Meglio animali che umani? Mi pare netta la dicotomia culturale sul perché della ragione umana.
[/size]
Comprendo, ma a mio parere, dire che con Socrate, che ovviamente è il primo grande gigante contro cui si confronta Nietzsche, si attua il primo grande tradimento dello spirito greco eroico nel suo pessimismo non è un rifiuto della figura dell' "uomo teoretico" in quanto tale, ma è un richiamo a come totalizzare nel teoretico, dimenticando la saggezza instintiva, creativa, emotiva, passionale, che è una delle posture esistenziali da cui si sprigiona pur l'arte, l'umano è trasfigurato in altro dall'animale uomo. E' questa dimenticanza che non ci può far essere uomini e acquisire consapevolezza. Io credo che quando scrisse che "poi arriverà un medico...", beh certo Freud e la psicanalisi, l'inconscio, l'enigma uomo ecco sono prefigurati in certa misura da aspetti che sono messi in luce negli scritti nietzschiani. Ovviamente dal mio punto di vista.
Ciao Ipazia
Non è mia intenzione ridurre l'intero pensiero di Nietzsche, che è costruito in fasi, al pensiero giovanile. Ma ciò che proviamo in gioventù, noi tutti umani, in qualche modo lo portiamo per tutta la vita, trasformandole durante il viatico dei diversi passaggi nelle maturità.
Già nella sua prima opera ci sono concetti, intuizioni, che delineano le future opere.
E il mio personale modo di pensare è capire perché, ma chiunque: pensatore, filosofo, politico, economista, religioso ,scienziato, scriva in un certo modo e su certi concetti e perché.
Nietzsche è conturbante e ha influito parecchio, piaccia o non piaccia, sui futuri pensatori, sull'estetica, sul modo di scrivere e approcciarsi, sulle interpretazioni.
Il suo schema è un approccio profondo, che solo testi sapienziali e saggi antichi riuscivano a descrivere dagli abissi. Identico approccio, ma sintesi completamente opposta. Sa descrivere
l'animo umano, ma non vuole saperne di anima in senso spirituale.
Il secondo aspetto è che il suo argomentare nasce dall'uomo, non si origina al di fuori costruendo dettami, imperativi, al contrario.
Paradossalmente è un ateo spirituale; questo è uno dei suoi segreti fascinatori.
Ciao Phil,
ritengo la sentenza di Sileno ancora più profonda , rispetto ad un re Mida qualunque.
Noi tutti, poveri o ricchi, potenti o sottoposti, siamo sicuri di una cosa da cui non possiamo sfuggire e lo vediamo quando scompare un nostro caro, un nostro amico, conoscente. Conosciamo la morte attraverso altrui morti, ed è una separazione incolmabile: non vediamo più i nostri affetti, non possiamo più parlare con loro.
Il Sileno in fonde dice "Tu dovrai morire, e pene, dolori, sofferenze superano gli attimi di gioia e felicità" Le infinite battaglie della vita, vinte o perse, finiscono con la guerra comunque persa
perché è già nella nascita il destino.
Ciao Lou,
Sono giuste le tue considerazioni sul visivo e uditivo e relazionate a Nietzsche.
Ma permettimi di dire che Nietzsche non conosceva bene le origini ancora più antiche delle tradizioni, o forse alla sua epoca non erano ancora state scoperte archeologicamente, divulgate e studiate sicuramente di più nei nostri tempi.
Ad esempio c'è più di un collegamento fra Apollo e Dioniso , ma soprattutto a Nietzsche sfugge una personalità mitica molto importante: Orfeo.
Nietzsche dice "misterioso" come a cicli l'apollineo e il dionisiaco, secondo alcune interpretazioni erano addirittura la stessa personalità, e Orfeo è ancora più legato alla tragedia attica,estrema sintesi del dorico apollineo e ditirambo dionisiaco.
Il vero culto antico greco era orfico, non l'Olimpo.(E molti filosofi post Nietzsche non si pigliano nemmeno la briga di controllare) Orfeo è il musico sciamano. Tutti nascono, muoiono sbranati (come Crono il titano faceva dei suoi figli), come nei misteri Eleusini che furono dionisiaci.
E' importante dirlo perché i filosofi moderni hanno poco o nulla affidabilità sulle interpretazioni della cultura antica, non hanno capito che la fascia che va dagli indiani vedici dell'attuale parte occidentale dell'India e passa per gli altipiani fino a toccare la penisola balcanica, da lì venne Orfeo, da lì venne la cultura iranica del zoroastrismo e vicino nella Siria attuale dal crocevia turco, venne l'ebraismo e lì vicino i quattro fiumi che formarono l'antico Eden, al tempo dell'età dell'oro greco, quando Crono (il tempo) dormiva.
Nietzsche non conosce bene la cultura antica, cosa che per me è fondamentale per capire la cultura umana
Citazione di: Phil il 29 Febbraio 2020, 11:14:41 AM
Forse anche l'oltre-uomo, colui che è "oltre" il coro, non potrebbe che esser anch'egli eroe tragico, che con la sua necessaria morte (e annesso amor fati) terrebbe in vita l'eterno ritorno, ovvero il percorso che porta al suo stesso coronamento "oltre" l'umanità deicida, ma non oltre la tragedia del vivere (l'esser-per-la-morte, come riformulerà qualcuno venuto dopo Nietzsche).
La tragedia del vivere mortale non è più tale se si supera la fase pietrificante della Medusa, cosa per cui già Epicuro aveva fornito la sua ricetta. L'oltreuomo prende pienamente possesso della sua condizione mortale senza restarne travolto fino alla necessità di surrogati sovrannaturali illusionali o sbornie nichilistiche. Prendere atto del destino mortale fino ad amarlo questa è la firma dell'oltreuomo; il progetto spirituale immanente, terreno (Erdgeist) su cui Nietzsche-Zarathustra spende la sua vita e lascia il suo contributo all'eterno ritorno delle generazioni umane in una fase cruciale della loro evoluzione.
Citazione di: Ipazia il 29 Febbraio 2020, 22:01:46 PM
La tragedia del vivere mortale non è più tale se si supera la fase pietrificante della Medusa, cosa per cui già Epicuro aveva fornito la sua ricetta. L'oltreuomo prende pienamente possesso della sua condizione mortale senza restarne travolto [...] Prendere atto del destino mortale fino ad amarlo questa è la firma dell'oltreuomo; il progetto spirituale immanente, terreno (Erdgeist) su cui Nietzsche-Zarathustra spende la sua vita
Non so se l'oltreuomo sia pensato da Nietzsche (che conosco poco) come immune alla condizione umana mortale, ma finché è pur sempre uomo, difficile che non ne sia "travolto" o trascinato (...
nolentem trahunt, direbbe Seneca); pensare ad una volontà di potenza che guardi con amore e voluttà anche il proprio esaurirsi è come pensare ad un Dioniso che guardi con amore e voluttà lo svuotarsi della sua giara di vino (e qui lascerei fuori i risvolti psicoanalitici, lacaniani, etc.). Si può fare buon viso a cattiva sorte, ma la "cattiveria" della sorte resta, così come una storia che termini con la morte del protagonista principale solitamente è una tragedia, anche se l'eroe dichiara di aver scelto la morte, di volerla (personalmente, per inciso, non penso affatto che la vita sia una tragedia, cerco solo di non uscire troppo dalle categorie del Sileno nietzschiano del topic).
P.s.
Credo che Nietzsche troverebbe nella tetra-ricetta epicurea un retrogusto troppo "apollineo": il (
eu)
daimon di Epicuro, lucido e ponderato, è troppo lontano da Dioniso, il piacere catastematico è troppo lontano dalla "verticalità epocale" dell'oltreuomo.
Non si tratta di pensare la condizione mortale come superabile ma di inserirla in un contesto filosofico che decongestioni l'elemento tragico (la Medusa pietrificante) in evento naturale, eternamente ritornante nella riproduzione generazionale, sgravato del pathos individuale "umano troppo umano" che conduce al vicolo cieco dell'illusionalità sovrannaturale, evolutivamente regressivo e infantilizzante.
Tale era la problematica esistenziale di Epicuro, Schopenhauer, Nietzsche, Marx, Freud,... e di ogni umano che non si accontenti di scorciatoie sovrannaturali. Posta l'inconsistenza metafisica dell'essere, nulla osta che al nichilistico "essere per la morte" - con eventuale recupero post mortem - si contrapponga un vitalistico "essere per la vita" che è il percorso filosofico che FN perseguirà per tutta la sua esistenza distaccandosi dal disincantato pessimismo antihegeliano e antispiritualista del suo primo ispiratore Schopenhauer e cercando nella natura la risposta.
Nella natura che è qui ed ora, Dasein, esserci: nel buon cibo, aria salubre e pensieri all'aperto diffidando dei pensieri al chiuso. Non una sistematica, ma un inesauribile percorso di suggerimenti al fine di gustare al meglio i doni di Dioniso nella sua veste reale di terra e natura. Rifuggendo da tutto ciò che converte il vino in aceto.
In tale percorso FN si divincola dalla biografia delle sue origini, producendo un discorso filosofico originale, al netto dei pregiudizi del suo tempo cui tutti dobbiamo pagare pegno restando, nella gran parte dei casi, al di qua dei loro confini.
Se l'esistenza fosse tragedia e la morte liberazione, la tragedia non sarebbe dell'uomo mortale ma degli immortali.
Ciao Lou,
questo non l'avevo letto precedentmente nel tuo post, per cui rispondo ora.
citaz. Lou
Comprendo, ma a mio parere, dire che con Socrate, che ovviamente è il primo grande gigante contro cui si confronta Nietzsche, si attua il primo grande tradimento dello spirito greco eroico nel suo pessimismo non è un rifiuto della figura dell' "uomo teoretico" in quanto tale, ma è un richiamo a come totalizzare nel teoretico, dimenticando la saggezza instintiva, creativa, emotiva, passionale, che è una delle posture esistenziali da cui si sprigiona pur l'arte, l'umano è trasfigurato in altro dall'animale uomo. E' questa dimenticanza che non ci può far essere uomini e acquisire consapevolezza. Io credo che quando scrisse che "poi arriverà un medico...", beh certo Freud e la psicanalisi, l'inconscio, l'enigma uomo ecco sono prefigurati in certa misura da aspetti che sono messi in luce negli scritti nietzschiani. Ovviamente dal mio punto di vista.
Il problema non è l'antitesi giocata ad arte da Nietzsche, il saggio è colui che guida i sentimenti e li doma dentro una morale. C'è una netta dicotomia, perché in Nietzsche non è la ragione che si fa una ragione della morte sublimandola, rimane in ciò che definisce istinto, nell'intuito.
Se è vero che le parole non esauriscono la ragione e forse ancor meno i sentimenti, nel senso che è improbo nella logica nel concetto raccogliere ciò che viene dalla psiche, dai sentimenti, è altrettanto vero che i sentimenti e l'intuizione devono essere guidati dalla ragione; per cui o pensiamo all'uomo "buona di natura", e così non è, oppure ciò che è terrore della psichè deve necessariamente sublimarsi in arte, e anche in concetti. C'è una dialettica, intima anche in noi stessi, se dobbiamo farci guidare dagli impulsi o trovare una ragionevole mediazione. A livello culturale accade che i concetti sono criticati e denunciati prima di tutto dall'arte che speso precede nuovi imbocchi culturali. Nei dialoghi socratici si parla eccome di sentimenti, ma la morale socratica è superiore all'impulso, c'è sempre una virtù che coniuga un sentimento. E' chiaro che si toglie la morale e la virtù, facciamo degli impulsi una autoreferenzialità morale. Nel senso che gli stessi impulsi diventano moralmente giustificati. Ma questo possiamo dirlo degli esseri viventi privi di ragione che seguono regole naturali, l'uomo può essere contro-natura con la sua ragione,pur essendone fisicamente facente parte.
Non intendo fare un'apologia di Socrate e denigrare Nietzsche, non è questo è il mio scopo.
Semmai è difficile equilibrare istinto/intuito, ragione / concetto.
Il "moralista" in termini denigratori è colui che relega i sentimenti in un ego, non segue una virtù, segue una sua colpa, un torto subito, che pesare agli altri. Il "moralista" non prova misericordia, pietas, ha costruito una morale ingessata nell'ego proprio per chiudere in cassaforte i propri sentimenti e poter giudicare dal suo ego gli altri.
Questo non corrisponde né a Socrate e neppure a Nietzsche.
Ma se il Silene indica la disciplina della terra, la regola della vita e morte, altrettanto l'uomo deve costruire una disciplina e non può venire dalla terra.
Ciao Ipazia e Phil
a mio parere dite entrambi cose giuste.
La vita per quanto sia crudele la sentenza di Sileno, per nostra fortuna non è proprio tragica, cerchiamo di ritagliarci dei sensi che non sono sovrannaturali, sono gli affetti, le nostre passioni, , la nostra vita sociale e solitari, insomma il nostro cercar di star bene. Nonostante vediamo morte, la vita sembra più forte nel chiamarci a proseguire. Lo stesso Nietzsche cerca una sua via.
Ammesso e non concesso, da parte mia, che il sovrannaturale sia un orpello illusorio, e per certi versi lo è per come può condizionare l'esistenza, e praticamente il nichilismo di Nietzsche, nel senso di uccidere la tradizione, apre a due strade: se è possibile accettare la vita per quella che è,
oppure si cade in una decadenza dove il tragico non essendo sublimato ad un livello superiore diventa vivere la tragedia nuda e cruda.
Il superuomo e l'eterno ritorno siamo sicuri che in fondo non siano altre illusioni per sublimare la tragedia? Quì propendo per quanto dice Phil.
Citazione di: Phil il 29 Febbraio 2020, 23:43:04 PM
Citazione di: Ipazia il 29 Febbraio 2020, 22:01:46 PM
La tragedia del vivere mortale non è più tale se si supera la fase pietrificante della Medusa, cosa per cui già Epicuro aveva fornito la sua ricetta. L'oltreuomo prende pienamente possesso della sua condizione mortale senza restarne travolto [...] Prendere atto del destino mortale fino ad amarlo questa è la firma dell'oltreuomo; il progetto spirituale immanente, terreno (Erdgeist) su cui Nietzsche-Zarathustra spende la sua vita
Non so se l'oltreuomo sia pensato da Nietzsche (che conosco poco) come immune alla condizione umana mortale, ma finché è pur sempre uomo, difficile che non ne sia "travolto" o trascinato (...nolentem trahunt, direbbe Seneca); pensare ad una volontà di potenza che guardi con amore e voluttà anche il proprio esaurirsi è come pensare ad un Dioniso che guardi con amore e voluttà lo svuotarsi della sua giara di vino (e qui lascerei fuori i risvolti psicoanalitici, lacaniani, etc.). Si può fare buon viso a cattiva sorte, ma la "cattiveria" della sorte resta, così come una storia che termini con la morte del protagonista principale solitamente è una tragedia, anche se l'eroe dichiara di aver scelto la morte, di volerla (personalmente, per inciso, non penso affatto che la vita sia una tragedia, cerco solo di non uscire troppo dalle categorie del Sileno nietzschiano del topic).
P.s.
Credo che Nietzsche troverebbe nella tetra-ricetta epicurea un retrogusto troppo "apollineo": il (eu)daimon di Epicuro, lucido e ponderato, è troppo lontano da Dioniso, il piacere catastematico è troppo lontano dalla "verticalità epocale" dell'oltreuomo.
Ho amato gli ultimi interventi di Ipazia con cui concordo vementemente.
Penso Ipazia si riferisca al "travolgimento" come il potere pietrificante della medusa.
Sull'esito mortale dell'uomo scrive pagine artisticamente elevate nel finale dello Zarathustra.
Dove il nostro eroe piange la fine non della vita, ma dell'amicizia.
Dunque il superuomo o meglio il suo profeta è pieno di emozioni e non ha problemi a tirarle fuori.
Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2020, 14:02:26 PM
Ciao Lou,
questo non l'avevo letto precedentmente nel tuo post, per cui rispondo ora.
citaz. Lou
Comprendo, ma a mio parere, dire che con Socrate, che ovviamente è il primo grande gigante contro cui si confronta Nietzsche, si attua il primo grande tradimento dello spirito greco eroico nel suo pessimismo non è un rifiuto della figura dell' "uomo teoretico" in quanto tale, ma è un richiamo a come totalizzare nel teoretico, dimenticando la saggezza instintiva, creativa, emotiva, passionale, che è una delle posture esistenziali da cui si sprigiona pur l'arte, l'umano è trasfigurato in altro dall'animale uomo. E' questa dimenticanza che non ci può far essere uomini e acquisire consapevolezza. Io credo che quando scrisse che "poi arriverà un medico...", beh certo Freud e la psicanalisi, l'inconscio, l'enigma uomo ecco sono prefigurati in certa misura da aspetti che sono messi in luce negli scritti nietzschiani. Ovviamente dal mio punto di vista.
Il problema non è l'antitesi giocata ad arte da Nietzsche, il saggio è colui che guida i sentimenti e li doma dentro una morale. C'è una netta dicotomia, perché in Nietzsche non è la ragione che si fa una ragione della morte sublimandola, rimane in ciò che definisce istinto, nell'intuito.
Se è vero che le parole non esauriscono la ragione e forse ancor meno i sentimenti, nel senso che è improbo nella logica nel concetto raccogliere ciò che viene dalla psiche, dai sentimenti, è altrettanto vero che i sentimenti e l'intuizione devono essere guidati dalla ragione; per cui o pensiamo all'uomo "buona di natura", e così non è, oppure ciò che è terrore della psichè deve necessariamente sublimarsi in arte, e anche in concetti. C'è una dialettica, intima anche in noi stessi, se dobbiamo farci guidare dagli impulsi o trovare una ragionevole mediazione. A livello culturale accade che i concetti sono criticati e denunciati prima di tutto dall'arte che speso precede nuovi imbocchi culturali. Nei dialoghi socratici si parla eccome di sentimenti, ma la morale socratica è superiore all'impulso, c'è sempre una virtù che coniuga un sentimento. E' chiaro che si toglie la morale e la virtù, facciamo degli impulsi una autoreferenzialità morale. Nel senso che gli stessi impulsi diventano moralmente giustificati. Ma questo possiamo dirlo degli esseri viventi privi di ragione che seguono regole naturali, l'uomo può essere contro-natura con la sua ragione,pur essendone fisicamente facente parte.
Non intendo fare un'apologia di Socrate e denigrare Nietzsche, non è questo è il mio scopo.
Semmai è difficile equilibrare istinto/intuito, ragione / concetto.
Il "moralista" in termini denigratori è colui che relega i sentimenti in un ego, non segue una virtù, segue una sua colpa, un torto subito, che pesare agli altri. Il "moralista" non prova misericordia, pietas, ha costruito una morale ingessata nell'ego proprio per chiudere in cassaforte i propri sentimenti e poter giudicare dal suo ego gli altri.
Questo non corrisponde né a Socrate e neppure a Nietzsche.
Ma se il Silene indica la disciplina della terra, la regola della vita e morte, altrettanto l'uomo deve costruire una disciplina e non può venire dalla terra.
Ciao Ipazia e Phil
a mio parere dite entrambi cose giuste.
La vita per quanto sia crudele la sentenza di Sileno, per nostra fortuna non è proprio tragica, cerchiamo di ritagliarci dei sensi che non sono sovrannaturali, sono gli affetti, le nostre passioni, , la nostra vita sociale e solitari, insomma il nostro cercar di star bene. Nonostante vediamo morte, la vita sembra più forte nel chiamarci a proseguire. Lo stesso Nietzsche cerca una sua via.
Ammesso e non concesso, da parte mia, che il sovrannaturale sia un orpello illusorio, e per certi versi lo è per come può condizionare l'esistenza, e praticamente il nichilismo di Nietzsche, nel senso di uccidere la tradizione, apre a due strade: se è possibile accettare la vita per quella che è,
oppure si cade in una decadenza dove il tragico non essendo sublimato ad un livello superiore diventa vivere la tragedia nuda e cruda.
Il superuomo e l'eterno ritorno siamo sicuri che in fondo non siano altre illusioni per sublimare la tragedia? Quì propendo per quanto dice Phil.
Non è qui mio compito quello di rispiegare nuovamente l'orizzonte di Nietzche, lo farò senz'altro in altre occasioni.
Solo per ricordare come già Ipazia in fin dei conti aveva già fatto, che la critica a Socrate (ed Euripide) è relativa alla grandezza del filosofare da cui erano partiti i pre-socratici.
In fin dei conti Socrate è uno sferzatore dei costumi della nobiltà, ma già in nuce l'epigono della morale borghese che arriva.
Egli porta la filosofia entro un paradigma pratico che dimentica il DIO.(cosa ovviamente sbagliata, in quanto Socrate credeva nel DIO).
Per quanto riguarda la morale Nietzche non è contro la saggezza della stessa, semplicemente ci ricorda come ogni morale deve avere ben in mente il suo obiettivo, se la morale nasce dal lago di sangue che la storia gli consegna, essa una volta sconfittolo, non deve ergersi a morale in sè, dimentica della sua utilità. E' inutile continuare a punire senza che vi sia colpa effettiva.
E invece come sempre l'ideologia colpisce sempre, in quanto diventa morale assoluta. Ecco dunque che non c'è più progresso.
Ciao Green,
si sta andando troppo in là sul pensiero di Nietzsche, e francamente non è mia intenzione farne un processo. Nietzsche è bravo a porre dei problemi fondamentali, è molto perspicace nell'indagine umana. E questo già nella sua prima opera ufficiale. Sarà nella seconda sulla "filosofia nell'epoca della tragedia greca" che aprirà una disamina cronologica dei filosofi.
Per quanto riguarda Platone, e quindi anche i dialoghi socratici, sono nella sua lettura di tutte le opere a cura di G.Reale e sono 2.000 pagine di studio. Andrei quindi piano a sintetizzare giudizi sia su Nietzsche , sia su Socrate. Socrate è forte e debole allo stesso tempo nella morale. Platone che era eracliteo, come Nietzsche, scelse come maestro in seguito Socrate proprio per la morale.
E' strano come origini uguali, poi scelte diverse ,creino divergenze. La morale di Socrate è forte
nella dialettica e retorica, è scarsa ontologicamente. Saranno Platone ed Aristotele a porne basi più forti.