Nel sedicesimo capitolo del Fedone, nel dialogo tra Socrate e Cebete, per dimostrare che, così come dalla vita scaturisce la morte, allo stesso modo dalla morte scaturisce la vita, troviamo scritto:
----------------------------------------------------------------------------------
" Ed egli dimandò: - Or su, è alcuna cosa la quale sia cosí contraria all'esser vivo, come è il dormire al vegliare?
- Sí, - rispose.
- Quale?
- L'esser morto.
- E però si generano l'uno dall'altro, dacché son contrari?
Ed, essendo due, sono anche due i mutamenti o le generazioni, le quali sono nel mezzo?-
- Come no?
E Socrate: - Delle due coppie di contrarii, le quali ho citato ora, una te la dico io, con le generazioni sue; tu poi mi dirai l'altra.
Ecco: vegliare, e dormire; dal dormire nasce il vegliare, dal vegliare il dormire; e le generazioni, o i mutamenti, sono lo addormentarsi e lo svegliarsi.
Ti pare, o no?-
- Sí, - rispose.
- Ora parlami anche tu similmente della vita e della morte: non dici che esser morto è contrario a esser vivo?
- Io sí.-
- E che nasce l'uno dall'altro?-
- Sí.-
- Che è, adunque, quel che nasce dal vivo?-
Rispose: - Il morto.-
Ripigliò Socrate: - E dal morto?-
E l'altro: - Il vivo; di necessità s'ha a consentire.-
- Dunque, o Cebete, dai morti nascono i vivi.-
- A vedere è cosí!-
-----------------------------------------------------------------------------
***
Almeno secondo me, quello di Socrate era un "sofisma" della peggiore specie, in quanto l'alternanza tra il "vegliare" ed il "dormire" non presenta alcuna analogia con il "vivere" e con il "morire".
Ed infatti:
a)
L'alternanza tra il "vegliare" ed il "dormire" è un dato sperimentale, in quanto più volte sono state viste delle persone passare dallo stato di veglia allo stato di sonno, e dallo stato di sonno allo stato di veglia; però, sebbene siano state viste molte persone passare dallo stato di vita allo stato di morte, non è mai stato visto nessuno tornare dallo stato di morte allo stato di vita (miracoli a parte, almeno per chi ci crede).
b)
In ogni caso quello di veglia, quello di sonno, quello di ubriachezza, quello di ipnosi ecc. ecc., più che diversi e contrapposti "stati ontologici", più correttamente costituiscono soltanto diverse "modalità psichiche" di una persona "in stato di vita"; per cui, a mio parere, "omologarli" ad una "contrapposizione tra vita e morte", costituisce un "paralogismo" (cioè un errore logico di carattere sofistico).
***
Quindi, almeno secondo me, correttamente ragionando, già all'epoca, si sarebbe dovuto capire che Socrate stava facendo soltanto un abile "gioco di prestigio con le parole".
***
In ogni caso, oggi come oggi, il suo "pseudo-ragionamento" cozzerebbe eclatantemente con il "II Principio della Termodinamica", detto anche "Legge dell'Entropia"; per cui Socrate avrebbe benissimo potuto sacrificare un pollo ad Esculapio, trasformandolo in un buon brodino, ma, dal brodino, non sarebbe mai più riuscito a far tornare in vita il pollo! :)
Ciao Eutidemo. Sicuramente Socrate qui gioca con le parole, ma che vita e morte siano intrecciate è verissimo. Solo morendo diamo spazio alle nuove generazioni che mutando, cercheranno di adeguarsi ai mutamenti dell'ambiente. Giocando con il tuo esempio, il sacrificio del pollo ad Esculapio non farà tornare in vita il pollo, ma è uno dei tanti atti che generarono un nuovo tipo di vita, la vita culturale dell'uomo. In sostanza dietro quel brodo c'è la nascita dell'uomo post-litico.
Ciao Jacopus. :)
Non c'è alcun dubbio che la vita e la morte siano strettamente intrecciate.
***
Ed infatti, a parte le tue giustissime osservazioni, occorre anche considerare che:
a)
Gli esseri viventi si nutrono di altri esseri viventi dopo averli uccisi; cioè, in un certo senso, "si nutrono della morte"!
b)
Qualora non vengano divorati da altri esseri viventi (nel qual caso lo fanno tramite le loro feci), "i morti concimano il terreno con i loro cadaveri, facilitando la nascita delle piante".
***
Però Socrate, con il suo sofistico ragionamento (e con i successivi), non intende affatto sostenere questo, che è indubitabile, bensì intende sostenere "l'immortalità dell'anima individuale"; la qualcosa è molto differente, dal limitarsi a dire, giustamente, che la vita e la morte sono strettamente intrecciate.
***
Un cordiale saluto! :)
***
Si puo' sostenere che la morte renda possibile la vita in molti modi: la morte "fa spazio" alla vita, perche' senza la morte i vivi sarebbero ben presto in sovrannumero rispetto alle risorse ambientali presenti.
Gli animali si nutrono e si concimano gli uni degli altri, quindi: mors tua vita mea.
Inoltre, un essere civile e cosciente come l'uomo ama, tramanda, istruisce e preserva la vita, sua e dei suoi cari, e, per quanto possibile, anche in senso estetico ed eudaimonistico tale vita "se la gode", pradossalmente proprio perche' sa della morte, e del suo, e del loro, dover morire: la vita cosciente di morte, quindi la vita etica, religiosa e culturale in genere, e', banalmente, resa possibile, e necessaria, proprio dalla morte e dalla coscienza del dato di fatto della morte.
Purtroppo Socrate (e quindi Platone) nello specifico di questo suo discorso non pare alludere a nessuna di queste universalmente e anche "modernamente" condivisibili verita', ma solo e specificamente al fatto che, dopo la morte, si dischiuda per il defunto l'accesso ad una vita nuova, disincarnata e migliore; cosa condivisibile solo da chi, tra gli uomini, nutra speranze metafisiche e di vita utraterrena, e quindi non da tutti, e non per tutti.
Insomma questo, che sostanzialmente recita:
1 se ammettiamo che i vivi prima o poi diventano morti, verita' che e' a tutti evidente;
e se ammettiamo (2) che in natura, nell'umano pensiero e nell'esistenza in generale tutti i contrari si generino incessantemente tra di loro, il caldo dal freddo, la luce dal buio eccetera, il che era una teoria poetico naturalistica che andava per la maggiore ai tempi di Platone,
>> allora (3) in qualche recondito e non empiricamente evidente senso, i morti devono pur "diventare vivi", o meglio devono pur "generare i vivi", cioe' resuscitare, magari in un senso e in una dimensione spirituale, quantomeno per "chiudere il cerchio", della innegabile danza dei contrari, che, con "i vivi che diventano morti", e che generano i morti, cioe' con il punto iniziale del nostro ragionamento, sempre sembra iniziare.
In paratica, secondo Socrate/Platone sarebbe incoerente, ammettere il primo e il secondo punto, senza ammettere il terzo...
Questo, dicevo, e' solo uno tra i vari argomenti, Platonici, che dovrebbero convincerci dell'immortalita' dell'anima, ed e' universalmente considerato (chissa' perche' :D ) uno tra i piu' sofistici e tra i piu' deboli, insomma uno tra i peggiori.
Per la gioia pero' dei sostenitori dell'immortalita' dell'anima, nel testo stesso del Fedone, di argomenti simili in favore dell'immortalita' dell'anima ve ne sono di migliori, e di meritato maggior successo, anche tra i lontanissimi posteri.
A un livello piu' serio e profondo, io direi che e' vero semmai il contrario: la notte segue al giorno e poi di nuovo, dopo la notte, si rifa' giorno, e l'estate alla primavera, e poi al termine di un ciclo e' di nuovo primavera ma... non con altrettanta evidenza, alla nostra personale morte segue, o seguira' la nostra personale vita, cioe' una vita ultraterrena, e/o un ritorno ciclico a una vita terrena. La possibilita' del nulla assoluto, dell'oblio definitivo, c'e' sempre, ed e' sempre da considerare.
Insomma, l'irreversibile, la presenza di eventi senza ritorno, rompe ogni ciclicita' e ogni illusione, o impressione, di ciclicita'. Da cui il nesso, come diceva giustamente qualcuno, con la termodinamica.
Magari in questo dilemma contano non i dati esperibili e i fatti, ma il desiderio o la volonta': che cosa vogliamo, noi personalmente, dopo questa vita?
Che cosa vogliamo nella liberta' del desiderio, anche se non lo otteremo mai?
La sua identica ripetizione?
Una migliore?
Nessuna?
Una diversa ma non necessariamente migliore, magari per progredire e per imparare?
Le risposte a queste domande sono tutti tipi umani, caratteri; il tipo umano che ne vuole una migliore, il tipo umano che ne vuole una semplicemente diversa, il tipo umano che farebbe un altro giro di giostra in una vita identica a quella appena trascorsa, il tipo umano che non ne vuole nessuna, eccetera, il mio elenco non pretende di essere esaustivo.
Il confronto, qui come non mai, se ci interroghiamo su cosa ci sia dopo la morte, non e' tra tante possibili "verita' ", ma tra tanti possibili tipi umani/caratteri.
Dal loro intimo desiderio definiti.
Non esiste, solo il tipo umano che ne vuole una migliore, di vita dopo la morte; anche davanti alla innegabile realta' della morte, si puo' desiderare in altro modo, in modo piu' maturo.
Insomma, non e' vero che tutti vorrebbero una vita migliore, ma non tutti lo ammettono. Non e' vero, che siamo tutti cristiani.
Citazione di: niko il 05 Agosto 2024, 13:27:33 PMSi puo' sostenere che la morte renda possibile la vita in molti modi: la morte "fa spazio" alla vita, perche' senza la morte i vivi sarebbero ben presto in sovrannumero rispetto alle risorse ambientali presenti.
Gli animali si nutrono e si concimano gli uni degli altri, quindi: mors tua vita mea.
Inoltre, un essere civile e cosciente come l'uomo ama, tramanda, istruisce e preserva la vita, sua e dei suoi cari, e, per quanto possibile, anche in senso estetico ed eudaimonistico tale vita "se la gode", pradossalmente proprio perche' sa della morte, e del suo, e del loro, dover morire: la vita cosciente di morte, quindi la vita etica, religiosa e culturale in genere, e', banalmente, resa possibile, e necessaria, proprio dalla morte e dalla coscienza del dato di fatto della morte.
Purtroppo Socrate (e quindi Platone) nello specifico di questo suo discorso non pare alludere a nessuna di queste universalmente e anche "modernamente" condivisibili verita', ma solo e specificamente al fatto che, dopo la morte, si dischiuda per il defunto l'accesso ad una vita nuova, disincarnata e migliore; cosa condivisibile solo da chi, tra gli uomini, nutra speranze metafisiche e di vita utraterrena, e quindi non da tutti, e non per tutti.
Insomma questo, che sostanzialmente recita:
1 se ammettiamo che i vivi prima o poi diventano morti, verita' che e' a tutti evidente;
e se ammettiamo (2) che in natura, nell'umano pensiero e nell'esistenza in generale tutti i contrari si generino incessantemente tra di loro, il caldo dal freddo, la luce dal buio eccetera, il che era una teoria poetico naturalistica che andava per la maggiore ai tempi di Platone,
>> allora (3) in qualche recondito e non empiricamente evidente senso, i morti devono pur "diventare vivi", o meglio devono pur "generare i vivi", cioe' resuscitare, magari in un senso e in una dimensione spirituale, quantomeno per "chiudere il cerchio", della innegabile danza dei contrari, che, con "i vivi che diventano morti", e che generano i morti, cioe' con il punto iniziale del nostro ragionamento, sempre sembra iniziare.
In paratica, secondo Socrate/Platone sarebbe incoerente, ammettere il primo e il secondo punto, senza ammettere il terzo...
Questo, dicevo, e' solo uno tra i vari argomenti, Platonici, che dovrebbero convincerci dell'immortalita' dell'anima, ed e' universalmente considerato (chissa' perche' :D ) uno tra i piu' sofistici e tra i piu' deboli, insomma uno tra i peggiori.
Per la gioia pero' dei sostenitori dell'immortalita' dell'anima, nel testo stesso del Fedone, di argomenti simili in favore dell'immortalita' dell'anima ve ne sono di migliori, e di meritato maggior successo, anche tra i lontanissimi posteri.
A un livello piu' serio e profondo, io direi che e' vero semmai il contrario: la notte segue al giorno e poi di nuovo, dopo la notte, si rifa' giorno, e l'estate alla primavera, e poi al termine di un ciclo e' di nuovo primavera ma... non con altrettanta evidenza, alla nostra personale morte segue, o seguira' la nostra personale vita, cioe' una vita ultraterrena, e/o un ritorno ciclico a una vita terrena. La possibilita' del nulla assoluto, dell'oblio definitivo, c'e' sempre, ed e' sempre da considerare.
Insomma, l'irreversibile, la presenza di eventi senza ritorno, rompe ogni ciclicita' e ogni illusione, o impressione, di ciclicita'. Da cui il nesso, come diceva giustamente qualcuno, con la termodinamica.
Magari in questo dilemma contano non i dati esperibili e i fatti, ma il desiderio o la volonta': che cosa vogliamo, noi personalmente, dopo questa vita?
Che cosa vogliamo nella liberta' del desiderio, anche se non lo otteremo mai?
La sua identica ripetizione?
Una migliore?
Nessuna?
Una diversa ma non necessariamente migliore, magari per progredire e per imparare?
Le risposte a queste domande sono tutti tipi umani, caratteri; il tipo umano che ne vuole una migliore, il tipo umano che ne vuole una semplicemente diversa, il tipo umano che farebbe un altro giro di giostra in una vita identica a quella appena trascorsa, il tipo umano che non ne vuole nessuna, eccetera, il mio elenco non pretende di essere esaustivo.
Il confronto, qui come non mai, se ci interroghiamo su cosa ci sia dopo la morte, non e' tra tante possibili "verita' ", ma tra tanti possibili tipi umani/caratteri.
Dal loro intimo desiderio definiti.
Non esiste, solo il tipo umano che ne vuole una migliore, di vita dopo la morte; anche davanti alla innegabile realta' della morte, si puo' desiderare in altro modo, in modo piu' maturo.
Insomma, non e' vero che tutti vorrebbero una vita migliore, ma non tutti lo ammettono. Non e' vero, che siamo tutti cristiani.
Catullo, sebbene sia un poeta e non un filosofo, secondo me è molto più perspicuo del verboso e arzigigolato Socrate, quando molto semplicemente scrive: "Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!"
Ed infatti, almeno secondo me, e fino a prova contraria è proprio così! :(
Citazione di: niko il 05 Agosto 2024, 13:27:33 PMLe risposte a queste domande sono tutti tipi umani, caratteri; il tipo umano che ne vuole una migliore, il tipo umano che ne vuole una semplicemente diversa, il tipo umano che farebbe un altro giro di giostra in una vita identica a quella appena trascorsa, il tipo umano che non ne vuole nessuna, eccetera, il mio elenco non pretende di essere esaustivo.
Come dire che, se la strategia della vita è la diversità , essendo le molteplici individualità un modo di realizzarla, la coscienza dell'individualità però non la compromette, aggiungendo diversità culturale a quella biologica.
Parliamo di una molteplicità che insiste su uno spazio, quello terrestre, che è però una strategia limitata se non estesa anche sul tempo, che non sia cioè una diversità sempre da se diversa.
A pensarci bene su, come fanno Socrate e Platone, uno a questo meccanismo potrebbe pensare di sottrarsi, una volta presa coscienza di essere la rotellina di un ingranaggio, per quanto possa apparire in se virtuoso, se non fosse che non la sola coscienza a tutto ciò sovrintende.
La strategia delle individualità funziona nella misura in cui gli individui sono liberi di esprimersi, e ad ogni presa di coscienza di costrizione quindi l'individuo si ribella per sua natura, facendo senza volere il gioco della vita, creando ulteriore differenza culturale.
[88 Diels-Kranz ] La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.
Eraclito.
Citazione di: Lou il 05 Agosto 2024, 15:39:28 PM[88 Diels-Kranz ] La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.
Eraclito.
Ciò che non muta è il cambiamento.
Citazione di: iano il 05 Agosto 2024, 16:04:20 PMCiò che non muta è il cambiamento.
Esattamente il mutamento è ciò che permane.
Citazione di: Lou il 05 Agosto 2024, 16:16:29 PMEsattamente il mutamento è ciò che permane.
Il molteplice e il divenire fondano l'esistere.
Ma l'esistere non è l'Essere.
Ed è questo che facevano notare sia Eraclito sia Parmenide.
Che non erano affatto in contrapposizione, come invece spesso erroneamente interpretati.
Infatti entrambi affermavano l'Uno.
Parmenide facendo notare come l'Essere non potesse essere molteplice.
Eraclito mostrando l'unità sottostante ogni mutamento: vi è sempre e solo l'Uno
"
Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli, morienti la vita di questi"
Ciao Bobmax :)
Esatto!
L'"esistere" dell'"io individuale" (o dell'anima individuale, per chi preferisce tale terminologia) non va confuso con l'"Essere" del"Sè universale" (ovvero dell'anima universale, per chi preferisce tale terminologia).
***
Ed infatti il primo è soltanto un transeunte "epifenomeno" dell''"Essere", il quale, avendo un'inizio, non può che avere una fine, allorquando si riunisce all'UNO (cioè all'Essere, che è il comun denominatore di tutti gli "enti"); un pò come l'"onda", che è soltanto un transeunte "epifenomeno" del mare, la quale, avendo un'inizio, non può che avere una fine, allorquando, spumeggiando, rifluisce nel MARE.
***
Detto in sintesi:
- l'"io individuale" ad un certo punto, non può che "morire", perchè è "nato";
- il "Sè universale", invece, non può "morire" per il semplice fatto che non è mai "nato".
***
Ma stabilire i rapporti tra l'uno e l'altro, ammesso e non concesso che la mia Weltanschauung sia corrispondente alla realtà ontologica dell'"esistere" e dell'"essere", non è certo semplice; direi, anzi, che è un vero e proprio "mistero".
***
Un cordiale saluto! :)
***
P.S.
Quanto al frammento 62 di Eraclito, che, come suo solito, è alquanto criptico: "Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli, morienti la vita di questi", secondo me vuol dire che il nostro "SE' immortale", convive, per un certo tempo con il nostro "IO mortale"; ma che continua a vivere dopo la morte del nostro "IO mortale" (cioè individuale), il quale, morendo, torna a vivere in modo assoluto come "SE' immortale" (cioè universale).
Citazione di: bobmax il 05 Agosto 2024, 16:42:46 PMIl molteplice e il divenire fondano l'esistere.
Ma l'esistere non è l'Essere.
Ed è questo che facevano notare sia Eraclito sia Parmenide.
Che non erano affatto in contrapposizione, come invece spesso erroneamente interpretati.
Infatti entrambi affermavano l'Uno.
Parmenide facendo notare come l'Essere non potesse essere molteplice.
Eraclito mostrando l'unità sottostante ogni mutamento: vi è sempre e solo l'Uno
"Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli, morienti la vita di questi"
Sulla distinzione tra essere ed esistere negli autori che citi la trovo una operazione a posteriori, certamente non teorizzata in pieno dagli stessi ( o non consapevole a parlare con le nostre categorie odierne - scusa ma un tot una prospettiva genealogica ) sebbene sottesa, a mio modo di intendere,nel pensiero presocratico, in ogni caso è fonte di dibattito.
Sulla contrapposizione tra i due sono quasi in totale accordo, con i dovuti distinguo: il mutamento eracliteo non presenta gli stessi caratteri di quello parmenideo. Parlando di "Uno" sotteso diciamo con con Eraclito si sottoscrive una permanenza che è garante dell'impermanenza (perció parlavo di mutamento quale permanere) con Parmenide l'impermanenza pare qualcosa di effimero, trascurabile, come se non avesse nulla a che fare con la realtà.
La citazione finale è immensa, per ció che penso attualmente è il leit motiv che innerva accompagna la filosofia e la poesia da cui siamo nati.
P.s. La mia citazione precedente era per sottolineare come Platone ( non Socrate, o il Socrate di Platone, facciamo così ) rielabori il pensiero eracliteo ( a suo uso e consumo ? ) per sostenere altre tesi, estranee a mio pare, a chi scrisse quel frammento.
Citazione di: Eutidemo il 05 Agosto 2024, 17:16:05 PMMa stabilire i rapporti tra l'uno e l'altro, ammesso e non concesso che la mia Weltanschauung sia corrispondente alla realtà ontologica dell'"esistere" e dell'"essere", non è certo semplice; direi, anzi, che è un vero e proprio "mistero"
Un mistero da qualche parte bisogna piazzarlo, avendone facoltà, e io lo metterei qua.
L' ''essere'', che io preferisco chiamare ''la realtà che se ne sta dietro le quinte'', ammette sue rappresentazioni fornendo essenti recitanti.
Nessuno confonderebbe una recita con la realtà, però non è per verificare la falsità di una recita che noi vi assistiamo, ma per immedesimarci in essa nel breve tempo di una vita.
La recita si replica anche senza di noi, ma senza di noi il teatro chiude.
Sì, Eutidemo, come un'onda del mare.
Tuttavia la metafora può essere, secondo me, anche fuorviante.
Come d'altronde lo sono un po' tutte le metafore.
Perché il mare dà l'idea di un qualcosa di grande, immenso, in cui mi diluisco, scompaio, non sono più...
L'onda prima c'era e dopo non c'è più. Va beh è tornata a essere mare, ma a me, cioè all'onda, in sostanza che frega?
Sarei perciò più propenso a vederla diversamente.
Cioè che in realtà nessuno muore, per la semplice ragione che non c'è nessuno.
Nessuno nasce, nessuno muore.
E tu... sei.
Citazione di: Lou il 05 Agosto 2024, 17:40:04 PMSulla distinzione tra essere ed esistere negli autori che citi la trovo una operazione a posteriori, certamente non teorizzata in pieno dagli stessi ( o non consapevole a parlare con le nostre categorie odierne - scusa ma un tot una prospettiva genealogica ) sebbene sottesa, a mio modo di intendere,nel pensiero presocratico, in ogni caso è fonte di dibattito.
Sulla contrapposizione tra i due sono quasi in totale accordo, con i dovuti distinguo: il mutamento eracliteo non presenta gli stessi caratteri di quello parmenideo. Parlando di "Uno" sotteso diciamo con con Eraclito si sottoscrive una permanenza che è garante dell'impermanenza (perció parlavo di mutamento quale permanere) con Parmenide l'impermanenza pare qualcosa di effimero, trascurabile, come se non avesse nulla a che fare con la realtà.
La citazione finale è immensa, per ció che penso attualmente è il leit motiv che innerva accompagna la filosofia e la poesia da cui siamo nati.
P.s. La mia citazione precedente era per sottolineare come Platone ( non Socrate, o il Socrate di Platone, facciamo così ) rielabori il pensiero eracliteo ( a suo uso e consumo ? ) per sostenere altre tesi, estranee a mio pare, a chi scrisse quel frammento.
Sì, Lou, penso anch'io che vi siano sfumature diverse tra i due.
Ma ho l'impressione che ciò dipenda da una qual ritrosia, una esitazione a prendere davvero il toro per le corna.
Così Parmenide insiste sull'"essere è il non essere non è"
Mentre Eraclito osserva che "tutto diviene".
Ma cos'è che resta implicito in entrambi, sebbene non espresso?
Perché nella esistenza, l'essere è tale solo in quanto qualcosa diviene... Mentre il divenire necessita che qualcosa permanga...
E allora?
L'indicibile:
Essere = Nulla
D'altronde questi magnifici pensatori per quale motivo si sono messi a riflettere sul Fondamento?
Secondo me, per l'etica.
È l'etica che li sospinge.
Così almeno capita a me.
Ciao Bobmax. :)
Hai ragione: ed invero la metafora dell'onda e del mare, un po' come tutte le metafore, calza fino ad un certo punto. :-[
***
Ed in effetti nessuno muore, per la semplice ragione che, in realtà, non c'"è" nessuno; però, a mio avviso, tale assunto va un po' esplicitato (sebbene, in tal caso, il "linguaggio" risulti sempre e comunque inadeguato).
***
Cioè, secondo me, si potrebbe dire che ciascun "io individuale" è dotato dell'"esistere", in quanto, provvisoriamente si manifesta come un apparente "epifenomeno" dell'"Essere"; però, in realtà, a livello "noumenico", l'"io individuale" non "E'" niente, avendo la stessa sostanza dei sogni.
Per cui, più che morire, al risveglio "si dissolve"!
***
Quindi, in realtà, l'"io individuale" non nasce e non muore, se non, appunto, come il personaggio di un sogno, che si agita per un breve attimo sulla scena; e poi, quando il dormiente si sveglia, sparisce e torna nel suo unico '"uno".
***
Questa notte ho sognato di entrare in una mensa, piena di commensali, con i quali chiacchieravo; ma quando mi sono svegliato mi sono accorto che eravamo tutti "uno"! ???
***
Però mi rendo conto che anche le "similitudini", così come le "metafore", calzano fino ad un certo punto; e non sono mai in grado di esprimere in modo davvero puntuale ed esauriente ciò che si vorrebbe comunicare.
***
Un cordiale saluto! :)
***
Citazione di: Eutidemo il 06 Agosto 2024, 06:22:34 AMl'"io individuale" non "E'" niente, avendo la stessa sostanza dei sogni.
Il sogno è qualcosa, essendo fatto della nostra stessa sostanza, racchiuso nello spazio e nel tempo di una vita.
Ciao Iano. :)
Hai ragione!
Ed infatti anche le "similitudini", così come le "metafore", lasciano un po' il tempo che trovano, e calzano solo fino ad un certo punto; non sono mai in grado di esprimere in modo davvero puntuale ed esauriente ciò che si vorrebbe comunicare.
***
Però anche Shakespeare ebbe modo di osservare che: "Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d'un sogno è raccolta la nostra breve vita" (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I).
***
Un cordiale saluto! :)
Il sogno non riesce bene, dove eccelle la veglia appropriandosi indebitamente della realtà, ma essendo fatti della stessa sostanza, allo stesso modo sogni e realtà si possono raccontare, e come dietro al sogno ci siamo noi dietro la realtà c'è la vera realtà che non coincide mai col suo racconto, e non solo essa diviene, ma ne muta pure il racconto, perchè diviene chi la racconta.
Se noi nella nostra gravità passiamo, tendono a sopravviverci i sogni con il loro essere leggeri, e se è vero che sono parte di noi, ogni breve vita nasce e muore nello spazio e nel tempo di un lungo sogno.
Signor Shakespeare, ma mi facci il piacere!
Totò.
:)
Ciao Iano. :)
Fino ad un certo punto, "credo" di aver seguito -e di condividere- il "filo" del tuo ragionamento.
***
Ed infatti, anche secondo me, la "veglia", anche se si appropria indebitamente del titolo di "realtà", in effetti è anch'essa della stessa sostanza dei "sogni"; si tratta solo di un diverso "grado" di illusorietà (più costante e coerente) della esistenza del nostro "io individuale".
***
Vale a dire che, come dietro al sogno c'è il nostro "io individuale" della veglia, dietro ad entrambi c'è la vera realtà del nostro "sè universale"!
***
Però, sempre ammesso e non concesso che io abbia correttamente interpretato la prima parte del tuo "post", poi, però, non ho ben compreso il resto; quando pari di "racconto", "gravità" ecc.!
Che cosa intendevi dire?
***
Un cordiale saluto!
***
P.S.
Ora vado fuori città, per cui non credo di poter rispondere prima di un giorno o due.
Ciao Eutidemo. Con
''Il sogno non riesce bene, dove eccelle la veglia appropriandosi indebitamente della realtà,
Ciao Eutidemo, chiedo scusa per il messaggio precedente che non riesco a cancellare, ma rileggendomi non riesco a capirmi da solo, e allora cambiamo discorso, e ti lascio quindi con una riflessione:
La realtà è un sogno ad occhi aperti che non possiamo modificare, perchè quando ci svegliamo la nostra capacità di elaborare i sogni si addormenta.
E' come se la realtà che viviamo, un tempo l'avessimo sognata, e trovando il sogno così bello, lo avessimo fissato, per ritrovarlo sempre uguale ogni volta che ci svegliamo, come quell'amata la cui bellezza, pur invecchiando, ci è rimasta negli occhi.
Ciao Iano. :)
Ora ho capito che cosa volevi dire, e sono d'accordo con te quando scrivi che, in un certo senso, la realtà è come un sogno ad occhi aperti; che, però, non possiamo modificare come, invece, a volte è possibile fare "oniricamente" con la tecnica dei cosiddetti "sogni lucidi".
https://it.wikipedia.org/wiki/Sogno_lucido
***
Non sono invece d'accordo con te quando scrivi che la realtà è un "sogno" così bello, che lo abbiamo fissato, per ritrovarlo sempre uguale ogni volta che ci svegliamo (come quell'amata la cui bellezza, pur invecchiando, ci è rimasta negli occhi); ed infatti la "realtà fenomenica" del mondo che mi circonda, illusoria o meno che essa sia, più che un bel "sogno" a me sembra un orribile "incubo".
Dal quale spero di risvegliami il prima possibile!
***
Un cordiale saluto! :)
***
La fallacia si chiama falsa analogia, e dimostra come la logica possa essere ingannevole. E usata a tale scopo.
L'analogia vera nel frammento è tra lo stato logicamente contrapposto veglia-sonno e vita-morte. Ovvero due stati che non possono coesistere.
Su questo si innesta il trucco sofistico del divenire tra tali stati escludentesi.
Un pensatore moderno, degno di questo nome, si accorge subito che il processo veglia-sonno è reversibile, mentre quello vita-morte è irreversibile. Con conseguente collasso dell'analogia.
Confondere lo stato di una coppia logica con il divenire della stessa è un trucco da baraccone metafisico (non sequitur) che spesso è ricorso anche nelle varie "dimostrazioni" dell'esistenza dei numi.
D'altra parte non abbiamo alcun elemento per considerare certo che ciò che non appare più sia diventato un niente. Il divenire è trasformazione senza fine. Il corpo non diventa polvere (e qui si intende polvere come un quasi-niente che precede il niente), il corpo continua la sua avventura.
Il Se' invece sparisce. Non appare più. A questa assenza ci dobbiamo limitare. Che forme di memoria e coscienza differenti, non immaginabili ora, possano prendere il suo posto, questo non si può escludere se vogliamo essere rigorosi, immuni dall'opinione degli stolti.
Citazione di: Eutidemo il 07 Agosto 2024, 06:24:25 AMNon sono invece d'accordo con te quando scrivi che la realtà è un "sogno" così bello, che lo abbiamo fissato, per ritrovarlo sempre uguale ogni volta che ci svegliamo (come quell'amata la cui bellezza, pur invecchiando, ci è rimasta negli occhi); ed infatti la "realtà fenomenica" del mondo che mi circonda, illusoria o meno che essa sia, più che un bel "sogno" a me sembra un orribile "incubo".
Dal quale spero di risvegliami il prima possibile!
Mi spiace Eutidemo per questa tua disperazione.
Ognuno ha la propria storia di vita, con le sue esperienze. Chi più fortunate chi meno.
E io sono stato fortunato, molto.
Per cui dovrei starmene zitto.
Però ho comunque provato anch'io più volte la disperazione. Una angoscia, senza speranza che potesse mai finire. Sebbene poi una luce sia infine sempre comparsa.
Così vorrei dirti che il mistero dell'Essere c'è e pure... non c'è.
Il mistero è razionale, mai spirituale.
Voglio credere che tu sia stato certamente amato in questa vita.
Ecco, guarda quell'amore che hai ricevuto.
Lì non vi è alcun mistero.
Aggrappati a quell'amore.
Anche se sembra ormai passato, mero ricordo degno solo di nostalgia, non è così!
È la voce del Padre.
E tu chi saresti mai se non il figlio?
Citazione di: Ipazia il 07 Agosto 2024, 18:05:49 PMLa fallacia si chiama falsa analogia, e dimostra come la logica possa essere ingannevole. E usata a tale scopo.
L'analogia vera nel frammento è tra lo stato logicamente contrapposto veglia-sonno e vita-morte. Ovvero due stati che non possono coesistere.
Su questo si innesta il trucco sofistico del divenire tra tali stati escludentesi.
Un pensatore moderno, degno di questo nome, si accorge subito che il processo veglia-sonno è reversibile, mentre quello vita-morte è irreversibile. Con conseguente collasso dell'analogia.
Confondere lo stato di una coppia logica con il divenire della stessa è un trucco da baraccone metafisico (non sequitur) che spesso è ricorso anche nelle varie "dimostrazioni" dell'esistenza dei numi.
L'hai spiegato meglio di me!
Grazie e cordiali saluti! :)
Citazione di: Koba II il 07 Agosto 2024, 18:26:45 PMD'altra parte non abbiamo alcun elemento per considerare certo che ciò che non appare più sia diventato un niente. Il divenire è trasformazione senza fine. Il corpo non diventa polvere (e qui si intende polvere come un quasi-niente che precede il niente), il corpo continua la sua avventura.
Il Se' invece sparisce. Non appare più. A questa assenza ci dobbiamo limitare. Che forme di memoria e coscienza differenti, non immaginabili ora, possano prendere il suo posto, questo non si può escludere se vogliamo essere rigorosi, immuni dall'opinione degli stolti.
Che forme di memoria e di coscienza differenti, non immaginabili ora, possano prendere il posto di quelle mie, non si può certo escludere; quello che, invece, si può escludere con assoluta certezza, è che le mie personali e individuali forme di memoria e di coscienza possano sopravvivere alla morte del mio organismo psico-fisico, essendo ad esso strettamente ed intrinsecamente collegate e connesse.
L'ho verificato sperimentalmente durante le tre anestesie totali che ho dovuto subire, per cui non ci sono argomenti che potranno mai convincermi del contrario!
Ciao Bobmax. :)
Io non mi riferivo in particolare alle mie esperienze di vita, le quali, tutto sommato, non sono poi state troppo malvage; mi riferivo, invece, a quanto accade ed è sempre accaduto nel mondo!
***
In ogni caso io non sono affatto "disperato", in quanto, per fortuna, so che morirò presto; il che, più che una semplice "speranza", è per fortuna una "certezza".
Sarei davvero "disperato" se dovessi vivere in eterno in questo mondo di schifo!
***
Però devo riconoscere che la vita una cosa buona, anzi, ottima ce l'ha: prima o poi finisce! ;)
***
Così come devo riconoscere che anche Milano una cosa buona, anzi, ottima ce l'ha: il treno per Roma! ;)
(scherzo)
***
Quanto all'amore, certo che l'ho avuto; ma la gioia che mi ha dato è stata ampiamente compensata dal dolore che mi ha dato la sua perdita!
***
Quanto al discorso del "Padre e del figlio", io non credo assolutamente ad una divinità dalle caratteristiche "antropopatetiche"; per cui l'unico "padre" che avevo è ormai morto, e non ne avrò mai più un altro!
***
Un cordiale saluto! :)
***
Citazione di: Eutidemo il 08 Agosto 2024, 06:28:22 AMChe forme di memoria e di coscienza differenti, non immaginabili ora, possano prendere il posto di quelle mie, non si può certo escludere; quello che, invece, si può escludere con assoluta certezza, è che le mie personali e individuali forme di memoria e di coscienza possano sopravvivere alla morte del mio organismo psico-fisico, essendo ad esso strettamente ed intrinsecamente collegate e connesse.
L'ho verificato sperimentalmente durante le tre anestesie totali che ho dovuto subire, per cui non ci sono argomenti che potranno mai convincermi del contrario!
Durante una delle sei anestesie totali, che ho subito, ho invece fatto una esperienza che mi ha segnato, e che poi mi ha spinto decisamente nella ricerca.
Infatti ero rimasto memore di me stesso e, allo stesso tempo, mi sono ritrovato a vivere una situazione di vita in cui non ero io... bensì mio padre!
Ero mio padre, che si stava prendendo cura del proprio bambino.
E quel figlio, che tenevo in braccio, ero ancora io!
Ed era realtà, non era un sogno, ne sono certo.
Il Padre sei tu Eutidemo.
Non sei forse ancora tu all'origine di questo mondo?
Donde nasce questa compassione, questa sofferenza per il male, se non perché la creatura non è come dovrebbe essere?
La compassione è amore.
Dio ama se stesso.
Ciao Bobmax. :)
Se dicendo che il "Padre" sono io, Eutidemo, intendi dire che il mondo è una "solipsistica" creazione del mio fenomenico "io individuale", allora non sono affatto d'accordo con te; perchè il mio "io individuale", sia pure in senso improprio e metaforico, è "Padre" solo dei miei sogni notturni.
***
Se, invece, dicendo che il "Padre" è il mio noumenico "Sè impersonale", che trascende la mia "individualità", allora effettivamente l'intero mondo fenomenico è creato da lui; che, sia pure in senso improprio e metaforico, nè è il "Padre".
***
Quello, infatti (non "io"), è all'origine di questo mondo!
***
Quanto alla "sofferenza per il male", quella è una peculiarità del mio solo "io individuale", non certo del mio "Sè impersonale"; il quale, invece, si trova permanentemente in un cosidetto stato di "SAT CIT ANANDA" ("essere, coscienza e beatitudine") che è l'esperienza soggettiva della realtà immutabile, ultima e superiore, trascendente ed immanente al tempo stesso.
***
Un cordiale saluto! :)
***
Citazione di: Eutidemo il 08 Agosto 2024, 06:28:22 AMChe forme di memoria e di coscienza differenti, non immaginabili ora, possano prendere il posto di quelle mie, non si può certo escludere; quello che, invece, si può escludere con assoluta certezza, è che le mie personali e individuali forme di memoria e di coscienza possano sopravvivere alla morte del mio organismo psico-fisico, essendo ad esso strettamente ed intrinsecamente collegate e connesse.
L'ho verificato sperimentalmente durante le tre anestesie totali che ho dovuto subire, per cui non ci sono argomenti che potranno mai convincermi del contrario!
Io penso che se uno non crede che con la morte finisca tutto ma ha una posizione agnostica, in cui e' possibile anche l'eventualita' di una sopravvivenza del se' alla morte, e' abbastanza inutile che tu gli rispondi ribadendo che secondo te invece finisce tutto, senza argomentare e senza spiegare bene quali siano state le tue esperienze con le anestesie.
Se ci pensi, le anime dei defunti descritte per esempio da Dante, sono coscienti della loro vita animica all'inferno o in paradiso, e in piu', ricordano anche la loro vita terrena: le due cose non si escludono e non sono intrinsrcamente assurde o illogiche: come puo' esistere in vita uno stato della mia coscienza e conoscenza in cui io so sia la storia, che la matematica, in cui insmma so sia A che B, due nozioni qualsiasi non escludentisi tra di loro, da morto potrei trasformarmi in un essere spirituale che sa, o meglio "ricorda", della mia vita corporea precedente, e che in piu', nella sua individiale coscienza, sappia e viva altre, e inconcepibili e inimmagginabili nozioni o sensazioni.
Come un anima del paradiso o dell'inferno che puo' ricordare la sua vita sulla terra, e in piu' se si guarda intorno vede passare stuoli di angioletti o diavoletti, cioe' vede il paesaggio ad essa circostante, del paradiso o dell'inferno.
Non che uno ci debba credere, ma tutto questo era per dire che, tra il sapere o il vivere inimmagginabili e successive alla morte nozioni o visioni extracorporee, e poter insieme, ricordare o attingere nozioni corporee, non c'e', o non mi sembra ci sia (logica) contraddizione.
Io potrei anche concordare con l'affermazione che:
"ogni sia pur minima forma di coscienza e conoscenza richieda un corpo per darsi, e che essa si dissolva con il dissolversi del (relativo) corpo."
Cioe' in sintesi: l'anima disincarnata o astratta dal corpo, non esiste e non puo' esistere.
E al contempo
non concordare, invece, con l'affermazione che:
"Ogni corpo, ospitante o causante un'anima, sia intrinsecamente effimero".
La mia anima, potrebbe essere reinstaurata, alla possibilita' della coscienza, dal riformarsi ciclico e cosmico del mio corpo, cioe' attraversare serialita' intermittenti di assenza/presenza attraverso l'infinita', o comunque la vastota', dello spazio e del tempo. La mia individuale anima, non corrisponde al mio individuale corpo, ma esprime genericamente cosa succeda, nell'universo, per legge di natura, negli eventuali dintorni, o alla eventuale presenza, di un certo corpo.
Eterno ritorno, intuito o ammesso come possibile dagli atomisti antichi anche da molto prima di Nietzsche.
Ma anche senza scomodare l'eterno ritorno, bastano i testimoni di Geova: loro non credono nel paradiso o nell'inferno, credono solo che il loro dio (Geova) abbia il potere di reintegrarli nel loro corpo alla fine dei tempi: anche i giusti, quelli che saranno resuscitati, tra il momento della loro morte, e il giudizio finale, sono nell'incoscienza assoluta, come in un sonno senza sogni, mancando, appunto, l'integrita' del loro corpo. La pena, per i cattivi, e' di non essere giammai resuscitati, cioe' di rimanere nell'oblio e nel sonno senza sogni per sempre, a differenza dei giusti, che invece resuscitati saranno, il che definisce una religione per questo aspetto molto piu' mite e "buonista" di una che immaggini l'inferno come luogo di pena eterna.
E' indebito pensare che tutti quelli, tra gli uomini, che pensano che ci voglia necessariamente un corpo per avere sensazioni di qualche sorta e vivere, pensino anche che la vita individuale sia effimera.
Perche' ci sono stati, e ci sono, tanti uomini che hanno pensato forme di sopravvivenza e resurrezione del corpo, o di sostituzione e ricambio del corpo ai fini della continuazione e continuita' della stessa anima (tutte le teorie della rinascita/reincarnazione).
Invece adesso, si fa spesso la indebita associazione:
sei un materialista, che pensa che la vita possa derivare solo dal corpo > allora si suppone che pensi anche che non ci sia niente dopo la morte.
Oppure: sei uno spiritualista, che pensa sia pissibile vita e coscienza anche in assenza di corpo > allora si suppone anche che pensi che ci sia qualcosa dopo la morte, anche questa associazione di idee, superficiale e potenzialmente sbagliata.
La posizione di molti cristiani moderni, poi e' ancora piu' complessa perche' loro credono di andare in un al di la' spirituale in cui vi e' sopravvivenza del se' individuale dopo la morte, e poi di essere a un certo punto
anche reintegrati nel corpo (resurrezione della carne, che attualmente viene immagginata non cume escludente, la realta' dell'inferno o paradiso, ma come ulteriore, alla realta' dell'inferno e del paradiso).
Ciao Niko. :)
Te lo spiego subito quali sono state le mie esperienze con le anestesie: il mio "io individuale" e la mia personale "coscienza di esistere" si sono "provvisoriamente" dissolte nel "NULLA ASSOLUTO".
Pertanto, "a fortiori", ritengo che, con un'"iniezione letale", il mio "io individuale" e la mia personale "coscienza di esistere" si dissolveranno "permanentemente" nel "NULLA ASSOLUTO".
***
Al riguardo preciso che l'anestesia totale produce effetti analoghi al "collasso neurologico" (che pure ho subito), ma completamente diversi dallo "svenimento" e dal "sonno".
E mi spiego raccontandoti cosa mi è accaduto nella mia prima anestesia.
***
Mi portarono con una brandina a rotelle in sala operatoria, dopodichè mi fecero una iniezione e mi deposero sul tavolo operatorio, dove me ne fecero un'altra; però, stranamente, senza affatto operarmi, subito dopo mi rimisero sulla brandina a rotelle per riportarmi al reparto.
Quindi io chiesi: "Come mai non sono stato operato? Forse l'anestesia non ha fatto effetto?"
Al che l'infermiere si mise a ridere e mi rispose:
"Certo che ha fatto effetto! L'operazione è durata tre ore, e lei è stato appena risvegliato con un'iniezione di adrenalina!" :D
***
Dov'era la mia "anima individuale" nel frattempo?
Non posso escludere che, in quelle tre ore, se ne sia andata a spasso (chissà come e dove) per conto suo; ma quello di cui, per esperienza, sono pressochè certo, è che la cosa non mi ha riguardato affatto!
***
Un cordiale saluto! :)
***
L'anestesia per essere efficace deve usare potenti sostanze psico e neuro tossiche (l'efficacia del trattamento deve essere "assoluta") che possono spiegare tanto il vuoto nirvanico di Eutidemo che il Padre di bobmax.
Evidentemente nessuno dei due aveva particolari paturnie sessuali perché al risveglio accadono cose che voi umani ...
Citazione di: Ipazia il 09 Agosto 2024, 08:52:45 AML'anestesia per essere efficace deve usare potenti sostanze psico e neuro tossiche (l'efficacia del trattamento deve essere "assoluta") che possono spiegare tanto il vuoto nirvanico di Eutidemo che il Padre di bobmax.
Considerazione molto interessante.
Forse è il caso di precisare che non è chiudendo gli occhi che si passa dalla realtà al sogno, e viceversa, come ogni cieco può testimoniare.
Se non opponiamo il sogno alla realtà, considerandolo solo uno dei modi che abbiamo di viverla, come in effetti è, allora dovremo aspettarci che fra i diversi modi di viverla ci saranno sogni più o meno vividi, se abbiamo scelto uno di essi come unità di misura , per quanto possa considerarsi tale scelta conveniente.
Citazione di: Eutidemo il 09 Agosto 2024, 06:40:16 AMCiao Niko. :)
Te lo spiego subito quali sono state le mie esperienze con le anestesie: il mio "io individuale" e la mia personale "coscienza di esistere" si sono "provvisoriamente" dissolte nel "NULLA ASSOLUTO".
Pertanto, "a fortiori", ritengo che, con un'"iniezione letale", il mio "io individuale" e la mia personale "coscienza di esistere" si dissolveranno "permanentemente" nel "NULLA ASSOLUTO".
***
Al riguardo preciso che l'anestesia totale produce effetti analoghi al "collasso neurologico" (che pure ho subito), ma completamente diversi dallo "svenimento" e dal "sonno".
E mi spiego raccontandoti cosa mi è accaduto nella mia prima anestesia.
***
Mi portarono con una brandina a rotelle in sala operatoria, dopodichè mi fecero una iniezione e mi deposero sul tavolo operatorio, dove me ne fecero un'altra; però, stranamente, senza affatto operarmi, subito dopo mi rimisero sulla brandina a rotelle per riportarmi al reparto.
Quindi io chiesi: "Come mai non sono stato operato? Forse l'anestesia non ha fatto effetto?"
Al che l'infermiere si mise a ridere e mi rispose:
"Certo che ha fatto effetto! L'operazione è durata tre ore, e lei è stato appena risvegliato con un'iniezione di adrenalina!" :D
***
Dov'era la mia "anima individuale" nel frattempo?
Non posso escludere che, in quelle tre ore, se ne sia andata a spasso (chissà come e dove) per conto suo; ma quello di cui, per esperienza, sono pressochè certo, è che la cosa non mi ha riguardato affatto!
***
Un cordiale saluto! :)
***
Eh, infatti io ho fatto solo la
sedazione profonda nella vita, mai l'anestesia totale e come esperienza la sedazione mi e' sembrata identica a un breve periodo di sonno senza sogni, da cui poi mi sono fortunatamente risvegliato!
Quasi sempre, quantomeno da adulti, quando dormiamo ci accorgiamo di dormire; o meglio, quando ci risvegliamo da un sonno, ci accorgiamo di esserci appena risvegliati da esso! Potendo pero' a volte anche "sbagliare" nella nostra valutazione, perche' a volte sognamo, in maniera molto realistica, di risvegliarci da un sonno senza esserci affatto (davvero) risvegliati, o almeno, a me a volte capita.
Citazione di: niko il 09 Agosto 2024, 10:39:45 AMdi risvegliarci da un sonno senza esserci affatto (davvero) risvegliati, o almeno, a me a volte capita.
Confermo, e non è solo perchè ci abbiamo il sonno pesante Niko. :))
Citazione di: iano il 09 Agosto 2024, 09:14:14 AMConsiderazione molto interessante.
Forse è il caso di precisare che non è chiudendo gli occhi che si passa dalla realtà al sogno, e viceversa, come ogni cieco può testimoniare.
Se non opponiamo il sogno alla realtà, considerandolo solo uno dei modi che abbiamo di viverla, come in effetti è, allora dovremo aspettarci che fra i diversi modi di viverla ci saranno sogni più o meno vividi, se abbiamo scelto uno di essi come unità di misura , per quanto possa considerarsi tale scelta conveniente.
Cioè, chiudendo il discorso, quella che chiamiamo realtà è il sogno più lucido di cui disponiamo, per cui tanto più un sogno ci apparirà lucido tanto più tenderemo a promuoverlo a realtà, che resterà però una realtà soggettiva, mentre la realtà essendo intersoggettiva, è un sogno che facciamo tutti insieme, posto che altre specie animali ''sogneranno un altra realtà''.
Ma se il sogno lo costruiamo noi, essendo ciò deducibile dalla nostra capacità di pilotarli, sapendo di sognare, allora se la realtà è fatta dalla stessa sostanza dei sogni, anch'essa è una costruzione, mentre la vera realtà se ne sta dietro a tutti i nostri sogni, indipendentemente da come li facciamo, ad occhi aperti o a pugni chiusi.
Un sogno significativo che ho fatto ( temo di aververvelo raccontato, ma non ricordo, e nel caso scusatemi) è quello dove insoddisfatto delle immagini sfocate, e delle sensazioni tattili inesistente, sono riuscito ad acuirle, a scapito della trama del sogno che si è bloccata.
Cioè nel segno poi non è successo altro.
Un pò come se avessimo un solo jolly da giocarci, sulla evoluzione del sogno, o sulla sua lucidità.
Preciso che mi è successo una volta sola, e di recente.
Se a voi non è mai successo, la prossima volta che sognate, sapendo di sognare, provateci anche voi.
In particolare strisciavo le unghie sul vetro di un ristorante con una sensazione tattile notevole, e dal ristorante venivano luci con ''gran lucidità'' .
Nel prossimo sogno cercherò di entrare nel ristorante, per consumare una ''gustosa'' cena...a gratis. :)
No, dispero di riuscirci perchè ricordo un sogno da ragazzo al gusto di ghiacciolo.
Per la sensazione olfattiva, esperienza zero.
Per quanto riguarda l'udito, ho sentito una voce chiamarmi, quella di mia madre che non c'è più, da sveglio, ma con la netta sensazione che la voce venisse dall'interno.
D'altronde del come sia possibile sentire ciò che non viene detto la scienza ci dice come fare.
C'è un filmato su Youtube che non riesco a trovare.
Non credo sia saggio valutare le possibilità o le impossibilità aperte dalla morte basandoci su semplici esperienze personali (per quanto estreme).
L'anima, così come ce la immaginiamo, così come viene descritta dai luoghi comuni della tradizione, sembra una forma ben definita, ben delineata.
Invece il nostro Se', la nostra coscienza, lo sappiamo ormai abbastanza bene dopo più di un secolo di psicanalisi e neurobiologia, è una creatura in continua trasformazione, fatta di salti, di strati profondi, una creatura magmatica, diciamo così, non eterea.
Ora la domanda che mi pongo è la seguente: siamo sicuri che questa immagine del Se' più realistica vada nella direzione dell'ipotesi della più assoluta mortalità?
Lo diamo per scontato, come se fosse un ulteriore argomento a favore del materialismo, e invece potrebbe essere esattamente l'opposto.
Perché se la continuità dell'Io è solo apparente, anche l'ipotesi dell'immortalità va rivista, escludendo una durata indefinita di qualcosa di permanente, ma rileggendo il futuro del Se' come infinita trasformazione, per esempio.
Non giocherei il jolly del mistero sulla morte, perchè mi sembra autoreferenziale scommettere sull'io.
La salvezza dell'io temporale potrebbe stare nella sua indefinitezza spaziale. ma anche su questo non mi giocherei il jolly.
Questa indefinitezza semmai riposa sul fatto che osservandomi nello spazio e nel tempo, lo spazio e il tempo siano in effetti uno dei modi che ho di osservarmi, e ciò può dedursi logicamente partendo dall'assunto che l'osservatore non può osservarsi, per cui l'io di cui dico è il mio segnaposto nel gioco della realtà.
Il vero io è il giocatore che si immedesima nel suo gioco.
Ma chi le fa le regole del gioco?
Le faccio io, ma è la realtà che si presta al gioco.
C'è quindi una complicità fra l'io che osserva e la realtà che si lascia osservare.
E' certamente vero che non piò esistere una relazione se mancano gli oggetti da relazionare, però fermarsi a ciò mi sembra riduttivo.
Direi meglio che non può esistere oggetto privo di relazione, perchè se esistesse, cosa ci starebbe a fare qualcosa di cui nessuno potrebbe avere nozione, non potendovisi relazionare.
Qualcosa che giustifica un effetto , ma nella cui definizione sia implicito che potrebbe non avere alcun effetto?
Il vero essere è esibizionista, e il vero osservatore è un guardone, coinvolti in una indicibile relazione, perchè dicendola la si nega.
Noi non siamo l'io che diciamo.
Citazione di: Koba II il 09 Agosto 2024, 18:24:48 PM...Ora la domanda che mi pongo è la seguente: siamo sicuri che questa immagine del Se' più realistica vada nella direzione dell'ipotesi della più assoluta mortalità?
Lo diamo per scontato, come se fosse un ulteriore argomento a favore del materialismo, e invece potrebbe essere esattamente l'opposto.
Perché se la continuità dell'Io è solo apparente, anche l'ipotesi dell'immortalità va rivista, escludendo una durata indefinita di qualcosa di permanente, ma rileggendo il futuro del Se' come infinita trasformazione, per esempio.
L'infinita trasformazione è inscritta nelle leggi naturali ed è saggio prenderne atto anche in rapporto alla impermanenza della vita individuale, ricettacolo di ogni io, sè, pensiero, oggettivamente verificabile.
rieccoci all antico mistero, c'è una continuità dell essere dopo la morte fisica? Su queste cose si possono solo fare ipotesi plausibili, perchè nessuno di noi conosce direttamente l argomento. L'esperienza di Eutidemo, per quanto interessante, non è sufficente perchè quello stato di nulla era indotto dai farmaci, stato che è diverso dall esperienza che fanno le persone in coma ad esempio. Quindi per il gusto del dialogo si può dire che ci sono delle facoltà peculiari della psiche che non sono del tutto confinate nello spazio e nel tempo? è possibile nei sogni avere visioni del futuro ? pare di sì e solo l'ignoranza nega questi fatti che esistono e sono sempre esistiti. Ora questi fatti dimostrano che la psiche, o almeno in parte, non dipende da questi confini , ovvero dallo spazio e dal tempo. Allora la psiche non ha l obbligo di vivere solo nel tempo e nello spazio , e infatti non lo fa, e allora in questa misura la psiche non è soggetta a queste leggi e ciò singnifica una pratica continuazione della vita, una sorta di esistenza psitica al di la del tempo e dello spazio. Sicuramente la nostra psiche è intrecciata con il corpo in maniera indissolubile eppure non si trova un centro di comando nel cervello che indichi che in quel punto c'è l'io decisionale o l io osservatore. l'io appare come una camera evulsa, un aerostato dal quale giungono le immagini, le sensazioni e queste sensazioni ed immagini vengono da alcune aree della mia corteccia celebrale che comunica con il sistema nervoso centrale , al quale appartiene anche il cervello stesso. Io sono tutto questo, infinitamente libero , ma blindato entro me stesso nel tempo e nello spazio. Solo se davvero si scopriranno queste peculiari facoltà della psiche di tendere oltre il tempo e lo spazio allora si potrà dare ragione di queste congetture.
È solo un espediente evolutivo che permette agli organismi biologici di gestire, programmandola, la propria sopravvivenza. Nè più nè meno di un branco di lupi che conosce il percorso dei caprioli e organizza un agguato notturno: fuori dal tempo e dallo spazio immanente, prefigurandone uno futuro che ha buone probabilità di avverarsi.
La filosofia nasce dalla meraviglia: meraviglia che è nello stesso tempo stupore per l'essere e orrore per il divenire.
Le due cose vanno insieme.
E poiché la filosofia ricomincia da capo ogni volta, noi siamo chiamati a confrontarci con questa duplice esperienza.
Ma che cosa fa la filosofia? Separa le idee fondate, solide, dalle opinioni infondate.
Un'idea importante che andrebbe sviscerata è per esempio la continuità delle generazioni.
Limitarsi a dire: "tu sei tuo padre!", non ha alcun senso.
Ma che si senta di avere un legame con le generazioni che ci hanno preceduto, un legame non solo affettivo, ma nemmeno solo biologico, qualcosa che riguarda il compito di custodire e portare con sé la vita dei genitori e dei nonni etc., un compito che non è un dovere morale ma riguarda, oserei dire, la nostra stessa essenza, qualcosa di essenziale che siamo chiamati a realizzare, ebbene che tutto questo sia reale a me sembra evidente. Seppure la doxa ignobile vorrebbe ridurre tutto questo a sentimentalismo. Invece qui si tratta di ontologia.
Ecco come si vede anche qua, al di là delle chiacchiere, emerge la necessità di un discorso teoretico rigoroso.
Citazione di: Koba II il 10 Agosto 2024, 17:20:27 PMLa filosofia nasce dalla meraviglia: meraviglia che è nello stesso tempo stupore per l'essere e orrore per il divenire.
Le due cose vanno insieme.
E poiché la filosofia ricomincia da capo ogni volta, noi siamo chiamati a confrontarci con questa duplice esperienza.
Ma che cosa fa la filosofia? Separa le idee fondate, solide, dalle opinioni infondate.
Un'idea importante che andrebbe sviscerata è per esempio la continuità delle generazioni.
Limitarsi a dire: "tu sei tuo padre!", non ha alcun senso.
Ma che si senta di avere un legame con le generazioni che ci hanno preceduto, un legame non solo affettivo, ma nemmeno solo biologico, qualcosa che riguarda il compito di custodire e portare con sé la vita dei genitori e dei nonni etc., un compito che non è un dovere morale ma riguarda, oserei dire, la nostra stessa essenza, qualcosa di essenziale che siamo chiamati a realizzare, ebbene che tutto questo sia reale a me sembra evidente. Seppure la doxa ignobile vorrebbe ridurre tutto questo a sentimentalismo. Invece qui si tratta di ontologia.
Ecco come si vede anche qua, al di là delle chiacchiere, emerge la necessità di un discorso teoretico rigoroso.
La contrapposizione essere - divenire fa parte della esistenza.
Dove l'essere è ciò che permane mentre il divenire lo erode.
Nessuno dei due può però stare senza l'altro.
L'essere infatti è tale solo in quanto si oppone al divenire.
E il divenire è possibile solo se rapportato all'essere.
Qualcosa deve permanere affinché qualcos'altro divenga.
L'idea di un mondo dove il tempo si fermasse e quindi cessasse il divenire, come l'effetto di un maleficio in una fiaba, è totalmente assurdo. Perché niente può esistere senza divenire.
Tutto questo è relativo all'esistere.
Perché viceversa con Essere si intende ciò che permette l'esistere. E quindi il gioco essere (permanere se stesso) - divenire (diventare altro da sé).
Essere che perciò è a monte sia del divenire sia del permanere.
E che quindi non esiste: è.
L'amore può fare percepire l'Essere.
Quando si riesce ad intuire che l'altro, chiunque altro, non è che me stesso.
Vi sono mille occasioni per amare.
E l'amore del padre per il figlio, e viceversa, può forse essere una delle migliori occasioni per comprendere come l'amato non sia che te stesso.
Citazione di: Koba II il 10 Agosto 2024, 17:20:27 PMLa filosofia nasce dalla meraviglia: meraviglia che è nello stesso tempo stupore per l'essere e orrore per il divenire.
Le due cose vanno insieme.
E se uno ha orrore dell'essere, e stupore del divenire, allora costui e' fuori dalla filosofia?
I grandi filosofi, anche prescindendo un attimo dalle loro finalita' e consapevoli intenzioni, hanno lavorato per l'essere, o per il divenire del (loro) mondo?
Un Aristotele, ha fatto un Alessandro Magno.
Un Socrate, ha fatto un Platone.
La questione politica. Per la quale dobbiamo tutti un gallo ad Asclepio. Per non finire mai piu', ammazzati.
A pensarci bene magari questa contraddizione fra essere e divenire potrebbe non riguardare una realtà di cui in effetti sappiamo solo che riusciamo a sopravvivere in essa agendo in base a previsioni.
La realtà potrebbe essere un continuo in divenire, cioè un unico essere mai uguale a se stesso.
Non è così che la realtà ci appare in effetti, ma se questa apparenza non è gratuita, essendo funzionale alla nostra sopravvivenza, non è da un divenire casuale dell'essere che la si potrà trarre, ma da un divenire che ha caratteristiche che ciò consenta.
Questa caratteristica non è allora ovviamente il determinismo, avendo esso bisogno degli essenti, ma sono gli essenti insieme alle loro relazioni determinate a costituire l'apparenza che dall'essere traiamo insieme alle loro relazioni, e non in modo separato.
Se l'apparenza è deterministica deve derivare da un essere che sia coerente nel suo divenire.
In un essere continuo che diviene, che non è cioè mai uguale a se stesso nella forma, non vi è alcuna contraddizione
La contraddizione tra essere e divenire sorge quando ammettiamo la realtà degli essenti, cioè quando l'essere si fa moltitudine nell'apparenza, dove ogni elemento di questa moltitudine si fa causa, traducendo così noi nel determinismo la coerenza della realtà.
Il mistero sta nell'essere osservatori della realtà, cioè parte della realtà da essa separata, forse ancora con essa in continuità, ma presentandoci come rottura della sua coerenza, perchè in effetti non è un indifendibile confine che definisce l'essere, in quanto essendo unico non ha bisogno di un confine che lo definisca al fine di distinguerlo, ma la sua coerenza.
Se anche questo confine dell'unico essere si potesse pur ipotizzare, se entro esso esistessero due distinte coerenze, allora due sarebbero gli esseri.
Lo stesso io, o il modo in cui ci percepiamo, andrebbe meglio ridefinito come ciò che presenta una sua coerenza, piuttosto che come ciò che è costretto dentro un confine.
Un continuo coerente, per come lo immagino, non è deterministico ne casuale.
Non è deterministico perchè in esso non si possono isolare cause da effetti, ''essendo esso causa di se stesso'', ne può dirsi casuale, perchè l'essere è in quanto tale, e ciò che è in quanto tale non è casuale.
Traendo da esso degli essenti comprensivi delle loro relazioni, il risultato di tale operazione non è mai perfettamente determinato,
perché ha sempre un resto,
il caso.
Non solo quindi il mondo che ci appare non è la realtà, ma fra questo mondo e la realtà non c'è una perfetta corrispondenza, ma quanto basta alla nostra sopravvivenza.
Entro questa relativa corrispondenza stanno i limiti delle previsioni in base alle quali agiamo.
Non è il caso a rendere impossibile una completa previsione, ma sono i nostri limiti previsionali a ''produrre il caso'', e il libero arbitrio è tale perchè fa capo ad una coerenza distinta dalla realtà.
Negare il libero arbitrio significa non accettare la nostra separazione dal resto della realtà, se areazione non definita da un confine, ma determinata da una coerenza alternativa a quella del resto della realtà.
Dovrebbe essere ''sotto gli occhi di tutti'' che gli essenti cambiano, essendo a noi relativi nel nostro cambiamento, ma ciò non sembra essere nella misura in cui non prendiamo il virgolettato per un modo di dire.
Ciò che astraiamo dalla realtà tende nel tempo a consolidarsi nel mondo in cui viviamo che acquisisce perciò una inerzia a quel tempo proporzionale, e una evidenza proporzionale alla dimenticanza dell'astrazione.
Questa dimenticanza oggi non è più possibile, o meglio è più difficile che si verifichi, oppure continua diversamente a verificarsi, perchè le nostre astrazioni sono messe nero su bianco, e reggono almeno finché i nostri supporti digitali resistono alle ingiurie del tempo, e perchè ciò avvenga anch'essi, in analogia a noi, devono rinnovarsi figliando nuovi supporti che erediteranno l'informazione, non essendo eterno alcun supporto materiale.
Fra questi essenti posti in chiaro possiamo scegliere quali trattare, ma non possiamo farlo invece nella misura in cui in chiaro non sono.
Questa perdita di chiarezza, questo dover subire ''il risultato di un processo'' senza potervi più intervenire, ciò che porta all'evidenza di ciò che ci appare, si sta in effetti replicando, e anche questo inizia ad essere ''sotto gli occhi di tutti'' con un intelligenza artificiale, che inizia ad assumere come quella naturale, la caratteristica di sfuggire al nostro controllo cosciente, perché ''naturalmente'' non scegliamo di essere intelligenti, ma lo siamo naturalmente.
Questa ''nuova'' intelligenza a noi aliena non è dunque meno aliena di quella naturale, se non è la sua separatezza a renderla tale, e se consideriamo invece l'essere a noi coerente, cioè agente con noi in coerenza.
Allo stesso tempo essendo diffusa, non può dirsi soggettiva, come parimenti la nostra soggettività non ci esaurisce.
Se volevi ascoltare musica in qualità un tempo dovevi possedere il tuo CD personale, mentre oggi è possibile accedere a un supporto digitale condiviso.
Il CD è l'equivalente del DNA.
DNA che abbiamo imparato a riscrivere, essendoci impratichiti prima a scriverlo fuori di noi.
La nostra evoluzione è di fatto bloccata, se non accettiamo che ciò che in coerenza si evolve con noi, è nostra parte, perchè non osta a ciò la separazione fisica.
In parti che comunicano fra loro non c'è una vera separatezza finché restano in relazione, se non relativa alla difficoltà di comunicazione, per cui quando questa comunicazione migliora al sistema è consentito ancor più di diffondersi.
Abbiamo confuso ''la vicinanza di una costrizione limitare'' con il nostro essere essendo che essa ha agevolato fino a un certo punto la comunicazione delle parti del nostro essere sistema.
Citazione di: bobmax il 10 Agosto 2024, 18:30:45 PMLa contrapposizione essere - divenire fa parte della esistenza.
Dove l'essere è ciò che permane mentre il divenire lo erode.
Nessuno dei due può però stare senza l'altro.
L'essere infatti è tale solo in quanto si oppone al divenire.
E il divenire è possibile solo se rapportato all'essere.
Qualcosa deve permanere affinché qualcos'altro divenga.
L'idea di un mondo dove il tempo si fermasse e quindi cessasse il divenire, come l'effetto di un maleficio in una fiaba, è totalmente assurdo. Perché niente può esistere senza divenire.
Tutto questo è relativo all'esistere.
Perché viceversa con Essere si intende ciò che permette l'esistere. E quindi il gioco essere (permanere se stesso) - divenire (diventare altro da sé).
Essere che perciò è a monte sia del divenire sia del permanere.
E che quindi non esiste: è.
L'amore può fare percepire l'Essere.
Quando si riesce ad intuire che l'altro, chiunque altro, non è che me stesso.
Vi sono mille occasioni per amare.
E l'amore del padre per il figlio, e viceversa, può forse essere una delle migliori occasioni per comprendere come l'amato non sia che te stesso.
No, non è che con "Essere s'intende il fondamento dell'esistente". Sei tu che intendi l'Essere in questo modo. Non siamo di fronte ad un'evidenza. Dunque tale differenza, tra Essere ed esistenza non va semplicemente ribadita, ma argomentata.
Comunque sia, se l'Essere è il fondamento trascendente di ogni cosa che esiste (ma nel senso di una Causa efficiente? O piuttosto teleologicamente come ciò cui ogni essente mira?) è tutto fuorché il Nulla. È il Fondamento. Perché asserire che è uguale al Nulla, complicando ulteriormente la comprensione dell'argomento? Giocando sul fatto che non avendo l'esistenza come ogni normale essente allora è non esistente, quindi nulla?
L'amore non mi fa intuire che l'altro è me stesso. L'amore mi fa comprendere che l'altro, facendo parte del Tutto (ma senza in esso perdere le proprie differenze che lo rendono unico, senza affondare in un Uno indistinto), è legato a me.
Citazione di: niko il 10 Agosto 2024, 20:50:29 PME se uno ha orrore dell'essere, e stupore del divenire, allora costui e' fuori dalla filosofia?
I grandi filosofi, anche prescindendo un attimo dalle loro finalita' e consapevoli intenzioni, hanno lavorato per l'essere, o per il divenire del (loro) mondo?
Un Aristotele, ha fatto un Alessandro Magno.
Un Socrate, ha fatto un Platone.
La questione politica. Per la quale dobbiamo tutti un gallo ad Asclepio. Per non finire mai piu', ammazzati.
Sembri non vedere il legame profondo tra politica e metafisica.
Per Platone il politico deve essere filosofo perché solo il filosofo riesce a distinguere il vero ordine delle cose dalle opinioni interessate.
Il politico-filosofo trasforma radicalmente la città ispirato dal Bene la cui luce solo rende possibile la conoscenza della struttura della realtà, dei rapporti veri tra le cose.
Quindi: divenire, trasformazione del reale, prassi politica, ma possibile solo ponendo lo sguardo su ciò che permane, sull'essere eterno delle cose, o almeno su ciò che varrebbe la pena continuasse a permanere, su ciò che, al di là delle definizioni, rappresenta le perfezioni cui ispirarci affinché ci sia giustizia e nessuno venga ammazzato, gallo compreso.
Citazione di: Koba II il 11 Agosto 2024, 10:19:55 AMSembri non vedere il legame profondo tra politica e metafisica.
Per Platone il politico deve essere filosofo perché solo il filosofo riesce a distinguere il vero ordine delle cose dalle opinioni interessate.
Il politico-filosofo trasforma radicalmente la città ispirato dal Bene la cui luce solo rende possibile la conoscenza della struttura della realtà, dei rapporti veri tra le cose.
Quindi: divenire, trasformazione del reale, prassi politica, ma possibile solo ponendo lo sguardo su ciò che permane, sull'essere eterno delle cose, o almeno su ciò che varrebbe la pena continuasse a permanere, su ciò che, al di là delle definizioni, rappresenta le perfezioni cui ispirarci affinché ci sia giustizia e nessuno venga ammazzato, gallo compreso.
Platone ha creduto di reperire da elementi preesistenti l'uomo nuovo, ma invece lo ha creato.
E' questo, il legame tra metafisica e politica.
Citazione di: niko il 11 Agosto 2024, 13:06:01 PMPlatone ha creduto di reperire da elementi preesistenti l'uomo nuovo, ma invece lo ha creato.
E' questo, il legame tra metafisica e politica.
L'uomo nuovo lo costruisci solo superando il dominio di classe. Platone qualcosa aveva intuito, elogiando Sparta e la donna spartana. Ma i tempi non erano maturi e Aristotele chiuderà la discussione con la (sua) fenomenologia dello schiavo.
Transitata papale papapale nella religione del tarsiota, limitando la grazia all'oltretomba.
È questo il legame tra metafisica e politica.
(Anche oggi).
Citazione di: Ipazia il 11 Agosto 2024, 15:37:17 PML'uomo nuovo lo costruisci solo superando il dominio di classe. Platone qualcosa aveva intuito, elogiando Sparta e la donna spartana. Ma i tempi non erano maturi e Aristotele chiuderà la discussione con la (sua) fenomenologia dello schiavo.
Transitata papale papapale nella religione del tarsiota, limitando la grazia all'oltretomba.
È questo il legame tra metafisica e politica.
(Anche oggi).
La trasformazione antropologica operata dalla filosofia e' grande e innegabile anche a prescindere dai rapporti di classe.
A farne le spese, fu proprio il pensiero mitico religioso, che dalla filosofia fu marginalizzato.
L'assetto politico di buona parte del mondo ne' fu influenzato e sconvolto, dall'impero ellenistico in poi.
Usare la filosofia
per convincere l'eventuale interlocutore di una (dogmatica) verita' religiosa, fu un passaggio temporalmente molto successivo.
La filosofia, anche in epoca cristiana, non poteva morire, perche' serviva da strumento, in se' perfetto, di disputa e di conversione, oltre alla spada, al potere eccetera.
Citazione di: Koba II il 11 Agosto 2024, 10:18:56 AMNo, non è che con "Essere s'intende il fondamento dell'esistente". Sei tu che intendi l'Essere in questo modo. Non siamo di fronte ad un'evidenza. Dunque tale differenza, tra Essere ed esistenza non va semplicemente ribadita, ma argomentata.
Comunque sia, se l'Essere è il fondamento trascendente di ogni cosa che esiste (ma nel senso di una Causa efficiente? O piuttosto teleologicamente come ciò cui ogni essente mira?) è tutto fuorché il Nulla. È il Fondamento. Perché asserire che è uguale al Nulla, complicando ulteriormente la comprensione dell'argomento? Giocando sul fatto che non avendo l'esistenza come ogni normale essente allora è non esistente, quindi nulla?
L'amore non mi fa intuire che l'altro è me stesso. L'amore mi fa comprendere che l'altro, facendo parte del Tutto (ma senza in esso perdere le proprie differenze che lo rendono unico, senza affondare in un Uno indistinto), è legato a me.
L'Essere non può essere argomentato razionalmente. Proprio in quanto non vi è alcuna evidenza razionale dell'Essere.
L'evidenza razionale è peculiare dell'esistere.
Nulla significa soltanto non esistenza. È semplicemente una negazione, non è una affermazione.
Non vi è nessun "qualcosa" che sia nulla.
Cosificare il nulla è l'errore in cui si cade quando si confonde l'Essere con l'esistere.
E ciò avviene perché appiattiti sull'esistere.
Perché allora parlare dell'Essere?
Visto che non ha alcuna evidenza razionale?
Se ne deve parlare perché una evidenza ce l'ha, ed è la massima evidenza che si possa cogliere, tale da mettere in ombra qualsiasi altra, sebbene non sia razionale.
Questa evidenza compare quando finalmente hai davanti ciò che conta davvero.
E allora daresti tutto quello che hai pur di seguire quella che appare adesso l'unica autentica evidenza!
Può anche avvenire attraverso il legame con chi ami. Ma non in quanto legame tra esistenti.
Anzi, proprio nel dissolvimento di questo legame dovuto alla caducità dell'esistere!
È il Nulla, che è l'amato. Nulla che è sempre stato, è, e sarà.
E tu lo ami.
Citazione di: bobmax il 05 Agosto 2024, 21:08:25 PMSì, Lou, penso anch'io che vi siano sfumature diverse tra i due.
Ma ho l'impressione che ciò dipenda da una qual ritrosia, una esitazione a prendere davvero il toro per le corna.
Così Parmenide insiste sull'"essere è il non essere non è"
Mentre Eraclito osserva che "tutto diviene".
Ma cos'è che resta implicito in entrambi, sebbene non espresso?
Perché nella esistenza, l'essere è tale solo in quanto qualcosa diviene... Mentre il divenire necessita che qualcosa permanga...
E allora?
L'indicibile:
Essere = Nulla
D'altronde questi magnifici pensatori per quale motivo si sono messi a riflettere sul Fondamento?
Secondo me, per l'etica.
È l'etica che li sospinge.
Così almeno capita a me.
Certamente il divenire per Eraclito è ció che permane, altrimenti... non potrebbe "essere-divenire, alla stregua del Parmenide per cui l'essere è l'unico permanere di ogni divenire. Sono affini nella differenza.
Ora, ho una domanda: serve un permanere, un fondamento all'etica? Io son convinta che loro cercassero questo. Ma se in fondo non ci fosse? Torniamo all'essere=nulla, come hai anticipato?
Citazione di: Lou il 23 Settembre 2024, 21:24:35 PMCertamente il divenire per Eraclito è ció che permane, altrimenti... non potrebbe "essere-divenire, alla stregua del Parmenide per cui l'essere è l'unico permanere di ogni divenire. Sono affini nella differenza.
Ora, ho una domanda: serve un permanere, un fondamento all'etica? Io son convinta che loro cercassero questo. Ma se in fondo non ci fosse? Torniamo all'essere=nulla, come hai anticipato?
La tua domanda risveglia in me una questione ancora aperta con me stesso.
Direi che è "la" questione.
Risolta la quale è la pace, ne sono certo.
Perché per gran parte della mia vita l'etica del bene è stata accettata, quando lo è stata, sostanzialmente passivamente.
Più come conseguenza che come profondo convincimento.
I miei comportamenti etici, quando sono avvenuti, erano dovuti più che altro alla influenza dei consigli di chi mi voleva bene e pure a un mio sentire naturale, che mi faceva star male se mi comportavo diversamente.
Ma non vi era un profondo convincimento del valore assoluto dell'etica! Un valore che prescinde da ogni calcolo.
Solo dopo che ho cominciato ad andare all'inferno, l'etica si è manifestata sempre più come ciò che vale sopra ogni cosa.
E ciò che non abbisogna di nient'altro che non se stessa, non ha fondamento...
D'altronde l'Essere ha fondamento?
Perciò sì, Essere = Nulla
Però attenzione! È Nulla proprio per chi è esistenza. Cioè esserci, quindi separazione.
E la separazione è negazione, negazione di essere anche l'altro.
E la negazione cos'altro è se non: non essere?
Mentre l'Essere è Nulla solo in quanto negazione della negazione.
L'etica lo annuncia.
Proprio con il suo non aver fondamento.