https://it.wikipedia.org/wiki/Il_crollo_della_mente_bicamerale_e_l'origine_della_coscienza
Premessa: la teoria che espongo non mi convince del tutto, la espongo solo perchè la ritengo interessante e credo che abbia dei meriti.
Secondo lo psicologo Julian Jaynes nell'antichità gli esseri umani non erano coscienti. La loro mente era "bicamerale" perchè in sostanza era costituita da due parti. Una era la parte "che dava ordini" mentre la seconda era la parte "che riceveva". Secondo Jaynes nell'antichità la "voce della coscienza" veniva sentita esattamente come una voce esterna e quindi l'uomo antico pensava di "ricevere comandi da un'entità esterna a lui". Il residuo di questa epoca si ritroverebbe oggi nei pazienti affetti da allucinazioni uditive (guarda a caso una delle allucinazioni uditive frequenti sarebbe quella di "comando" in cui il paziente dice di aver ricevuto l'ordine di una entità superiore per agire...). La sua conclusione era che quando si legge negli scritti antichi della "voce degli dei" quello che gli antichi sentivano era una voce. Da qui Jaynes che era ateo finì per dire che le religioni e gli dei erano frutto di "allucinazioni". Ora questa era la sua conclusione. Un credente può semplicemente dire che Dio comunicava con gli uomini antichi in quel modo e oggi in un altro (tant'è che oggi pochi credenti dicono che Dio si manifesta con una vera e propria voce...).
In sostanza il suo argomento è che noi oggi siamo coscienti per il fatto che sappiamo di pensare i nostri pensieri mentre allora la gente interpretava i propri pensieri come voci esterne. Dal 1000a.c. in poi tale mente sarebbe stata "sostituita" da quella odierna. A mio giudizio questa teoria ha un merito: quella di spiegare la superstizione degli spiriti e dei demoni (ad esempio oggi uno schizofrenico lo si cura con la medicina, una volta lo si pensava "posseduto" ecc). D'altronde se una persona sente voci quello che pensa è che in qualche modo tale voce sia "esterna" e non "interna". La cosa interessante è che spiega benissimo il fatto che più si va avanti nella storia meno si crede che:
1) il linguaggio divino e umano siano identici;
2) spiriti e demoni siano reali (ma semplicemente siano "proprietà della nostra mente");
3) l'eventuale elemento "sovrannaturale" (o meglio "sovrumano") sia "comprensibile" dall'uomo.
Tant'è che nell'antichità si credeva letteralmente nell'animismo ossia che tutto avesse un'anima identica a quella umana (perfino i sassi, le montagne ecc). Con questo però a differenza di Jaynes non voglio dire che "tutto ciò che dicevano gli antichi era allucinazione" ma che la loro percezione del mondo e del sé era diversa e quindi certi concetti che a noi sembrano assurdi in realtà lo sembrano solo perchè qualcosa in noi è cambiato.
N.B.: Ad oggi NON è accettata come teoria scientifica (è una "speculazione" scientifica al massimo) e a mio giudizio NON inficia la validità delle religioni. Solamente spiega come alcuni "dettagli" di minore importanza delle religioni oggi siano considerati superstizione e non fede! Riporto l'idea solo perchè l'ho scoperta di recente e l'ho trovata affascinante.
Citazione di: Apeiron il 19 Dicembre 2016, 14:00:11 PM
N.B.: Ad oggi NON è accettata come teoria scientifica (è una "speculazione" scientifica al massimo) e a mio giudizio NON inficia la validità delle religioni. Solamente spiega come alcuni "dettagli" di minore importanza delle religioni oggi siano considerati superstizione e non fede! Riporto l'idea solo perchè l'ho scoperta di recente e l'ho trovata affascinante.
Capisco che non vuoi farti saltare addosso, ma in realtà le inficia alla grande...E' una speculazione molto interessante, sai mica a cosa si riferisce quel 1.000 a.c.? non so se poi nel testo originale si sostenga che quella mentalità venga "sostituita" con un cambio repentino, mi sembra poco plausibile? Detto questo, noto che l'autore è morto nel 97, due anni dopo la scoperta di Gobekli Tepe, probabilmente se ne avesse saputo avrebbe anticipato questo "cambio" di parecchi anni!. Sempre che divinità antropomorfe dominanti stiano a significare il raggiungimento di un unità cognitiva..(per questo chiedo numi riguardo al 1.000ac)
Citazione di: Apeiron il 19 Dicembre 2016, 14:00:11 PM...spiega come...
Una teoria non si valuta in base a quante e quali cose riesce a spiegare: se così fosse, io potrei inventarmi di punto in bianco l'esistenza di un fantasma che gestisce i comportamenti della natura, o dell'uomo, e il fatto è che la gente ci casca davvero, perché la gente non capisce ciò che ci ha svelato Popper, cioè il falsificazionismo: una teoria non si valuta in base a quanti fatti la confermano, ma in base a quanti fatti abbiamo a disposizione per poterla dimostrare falsa. Quanti fatti abbiamo a disposizione per poter dimostrare falsa la teoria che hai riferito? Nessuno, quindi la teoria vale zero. Quanti fatti abbiamo a disposizione per dimostrare come falsa, per esempio, l'idea che il sangue contenga globuli rossi? Moltissimi: si può vedere al microscopio se per caso non è vero che esistono, li si può far interagire, li si può curare o aggredire e vedere cosa succede; ne consegue che l'idea che il sangue contenga globuli rossi è di una validità e serietà immensa, proprio perché abbiamo a disposizione migliaia di modi per poterla smentire.
Citazione di: InVerno il 19 Dicembre 2016, 16:33:22 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Dicembre 2016, 14:00:11 PMN.B.: Ad oggi NON è accettata come teoria scientifica (è una "speculazione" scientifica al massimo) e a mio giudizio NON inficia la validità delle religioni. Solamente spiega come alcuni "dettagli" di minore importanza delle religioni oggi siano considerati superstizione e non fede! Riporto l'idea solo perchè l'ho scoperta di recente e l'ho trovata affascinante.
Capisco che non vuoi farti saltare addosso, ma in realtà le inficia alla grande...E' una speculazione molto interessante, sai mica a cosa si riferisce quel 1.000 a.c.? non so se poi nel testo originale si sostenga che quella mentalità venga "sostituita" con un cambio repentino, mi sembra poco plausibile? Detto questo, noto che l'autore è morto nel 97, due anni dopo la scoperta di Gobekli Tepe, probabilmente se ne avesse saputo avrebbe anticipato questo "cambio" di parecchi anni!. Sempre che divinità antropomorfe dominanti stiano a significare il raggiungimento di un unità cognitiva..(per questo chiedo numi riguardo al 1.000ac)
In realtà non so perchè si parli del 1000 a.c, forse si riferisce alla datazione dei testi nei quali si comincia a vedere introspezione.
Detto questo inficia solo una interpretazione un po' superstiziosa della religione.Voglio dire se tiri via l'interpretazione letterale della "voce di Dio" ad esempio puoi benissimo dire che siccome gli autori dei testi volevano farsi capire hanno usato quel linguaggio. Oppure puoi dire che Dio
ora comunica in modo diverso con noi e comunicava allora in quel modo siccome allora era più "credibile" in quel modo. Puoi "aggirare" il problema in questo modo. Ad esempio puoi essere buddista senza pensare che Mara parlasse veramente al Buddha e puoi essere cristiano in modo simile.
se mastichi l'inglese ti consiglio questo articolo
https://en.wikipedia.org/wiki/Bicameralism_(psychology) dove si spiega di più.
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Dicembre 2016, 17:20:20 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Dicembre 2016, 14:00:11 PM...spiega come...
Una teoria non si valuta in base a quante e quali cose riesce a spiegare: se così fosse, io potrei inventarmi di punto in bianco l'esistenza di un fantasma che gestisce i comportamenti della natura, o dell'uomo, e il fatto è che la gente ci casca davvero, perché la gente non capisce ciò che ci ha svelato Popper, cioè il falsificazionismo: una teoria non si valuta in base a quanti fatti la confermano, ma in base a quanti fatti abbiamo a disposizione per poterla dimostrare falsa. Quanti fatti abbiamo a disposizione per poter dimostrare falsa la teoria che hai riferito? Nessuno, quindi la teoria vale zero. Quanti fatti abbiamo a disposizione per dimostrare come falsa, per esempio, l'idea che il sangue contenga globuli rossi? Moltissimi: si può vedere al microscopio se per caso non è vero che esistono, li si può far interagire, li si può curare o aggredire e vedere cosa succede; ne consegue che l'idea che il sangue contenga globuli rossi è di una validità e serietà immensa, proprio perché abbiamo a disposizione migliaia di modi per poterla smentire.
Chiaro ma una teoria che
oggi non è falsificabile domani potrebbe esserlo se si trova un modo per falsificarla. E sinceramente questa teoria non parla di "altri mondi", quindi posso pensare che una sua versione migliore potrà essere falsificabile. Da quello che ho capito il problema di questa teoria è che nessuno l'ha veramente formulata bene.
N.B. La mia conoscenza di questa "teoria" si basa su Wikipedia, fonte che so che ha i suoi problemi. Però in linea di massima l'idea mi pare interessante.
P.S. Detto questo non ho aperto il thread per discutere la scientificità di questa speculazione oppure il suo rapporto con la religione (il mio tentativo di dire "non falsifica la religione" era proprio per evitare un tale dibattito...). Semplicemente volevo sentire un vostro parere su questa originale (?) idea. Volevo proporre cioè una riflessione sulla coscienza e su come credete che questa speculazione si accordi (o non accordi...) con la vostra concezione della stessa.
Ipotesi strampalata sulla mente. Il linguaggio è pensiero e parola, il parlante non aveva dubbi su chi fosse l'autore del pensiero.
Una volta inventato il linguaggio l'uomo ha immaginato la sua relazione con Dio in termini verbali perché Dio è fatto ad immagine e somiglianza dell'uomo. Il comando indica l'asimmetria del potere nella relazione, analoga a quello tra genitore e figlio o tra signore e servo.
I sogni sono un forma preferenziale di rapporto con Dio.
Citazione di: baylham il 19 Dicembre 2016, 19:26:08 PMIpotesi strampalata sulla mente. Il linguaggio è pensiero e parola, il parlante non aveva dubbi su chi fosse l'autore del pensiero. Una volta inventato il linguaggio l'uomo ha immaginato la sua relazione con Dio in termini verbali perché Dio è fatto ad immagine e somiglianza dell'uomo. Il comando indica l'asimmetria del potere nella relazione, analoga a quello tra genitore e figlio o tra signore e servo. I sogni sono un forma preferenziale di rapporto con Dio.
Vedi una delle cose che non ho mai capito della coscienza è perchè si ha la sensazione di "sentire i propri pensieri". Ad esempio quando sono stressato a volte i pensieri mi sembrano avere un tono più forte. Quindi in realtà è come se avessimo una vera e propria "voce interiore" che magari all'inzio era scambiata per "esterna" (ecco magari non dagli uomini del 1000a.c ma dai primati).
Detto questo la cosa che non mi convince di questa ipotesi è che mi sembra che il linguaggio che necessiti di un certo grado di coscienza mentre l'autore dice il contrario (altrimenti più che un linguaggio si avrebbero "suoni indistinti"). La domanda che potremo fargli è: come sono nati i concetti e il simbolismo nella sua ipotesi?
La teoria che presenti si basa su un presupposto strettamente fisiologico (e questo la rende orecchiabile nel contesto pseudo scientifico a cui fa riferimento), ma è totalmente arbitraria e quindi, come giustamente dice Angelo Cannata non vale nulla. Se fa riferimento a un contesto scientifico di significato dovrebbe infatti essere supportabile da prove scientifiche, non da intuizioni ad hoc del tipo se gli antichi prima del 1000 a.C. sentivano voci avevano una mente divisa, così tutto si spiega. Non vedo nemmeno come potrebbe essere verificabile un'idea del genere. Vale quanto affermare che prima del 1000 a.C. le pietre emettevano vibrazioni sonore che gli antichi percepivano come ordini dall'Alto (la qual cosa spiegherebbe egregiamente ad esempio il decalogo ricevuto da Mosé sul Monte Sinai). E' evidente che con affermazioni di questo genere si può spiegare tutto e il contrario di tutto, esattamente come con un'intuizione mistica del tutto soggettiva, salvo che qui l'autore non la intende presentare come intuizione mistica, ma vuole supportarla con una parvenza di scientificità oggettiva che tiene conto del modo di pensare e di sentire attuale. Ed è proprio questo modo di pensare attuale su cui gioca per conferire alla sua soluzione ad hoc una accattivante credibilità.
Citazione di: maral il 19 Dicembre 2016, 20:14:59 PMLa teoria che presenti si basa su un presupposto strettamente fisiologico (e questo la rende orecchiabile nel contesto pseudo scientifico a cui fa riferimento), ma è totalmente arbitraria e quindi, come giustamente dice Angelo Cannata non vale nulla. Se fa riferimento a un contesto scientifico di significato dovrebbe infatti essere supportabile da prove scientifiche, non da intuizioni ad hoc del tipo se gli antichi prima del 1000 a.C. sentivano voci avevano una mente divisa, così tutto si spiega. Non vedo nemmeno come potrebbe essere verificabile un'idea del genere. Vale quanto affermare che prima del 1000 a.C. le pietre emettevano vibrazioni sonore che gli antichi percepivano come ordini dall'Alto (la qual cosa spiegherebbe egregiamente ad esempio il decalogo ricevuto da Mosé sul Monte Sinai). E' evidente che con affermazioni di questo genere si può spiegare tutto e il contrario di tutto, esattamente come con un'intuizione mistica del tutto soggettiva, salvo che qui l'autore non la intende presentare come intuizione mistica, ma vuole supportarla con una parvenza di scientificità oggettiva che tiene conto del modo di pensare e di sentire attuale. Ed è proprio questo modo di pensare attuale su cui gioca per conferire alla sua soluzione ad hoc una accattivante credibilità.
Ok capisco.
Sul discorso della scientificità (perdonate la banalità dell'esempio) anche il pensiero di un Democrito allora non avrebbe valore visto che la sua intuizione sull'esistenza di "grani" della materia non ha valore (ok, so che è il classico esempio.) però oggi riconosciamo che lui e Platone avevano "intuito" qualcosa di giusto quando parlavano di atomi. Non sto dicendo che ha ragione, sto solo dicendo che magari la sua teoria ha qualcosa di buono quindi secondo me visto che l'idea che lui propone è abbastanza forte credo che sia giusto prenderla in considerazione.
Come ho già detto una delle possibili obiezioni è che lui afferma che il linguaggio precede la coscienza mentre per me è il contrario. Però eh se vuoi capire l'origine di credenze di spiriti che oggi stanno scomparendo questa "teoria" spiega la cosa automaticamente.
Discorso diverso se qualcuno più esperto di me abbia affossato completamente la sua teoria con argomentazioni più forti (tra l'altro questa speculazione ha influenzato gente come Dennet che non mi sembra un credulone...).
Personalmente volevo sentire argomentazioni a favore o contrarie all'idea e non alla scientificità dell'idea (cosa che ho già messo in chiaro io...). Se ci serve la scientificità di tutto per discutere allora dovremmo evitare di fare discussioni di metafisica, di epistemologia ecc.
Apeiron, perdonami, ma come si fa ad argomentare pro o contro una teoria del genere? su che basi oltre un certo modo di sentire collettivo stimolato da qualche riferimento neurologico che oggi va tanto di moda? Certo non si parla di folletti che abitano nel cervello, ma solo perché nel contesto attuale l'ipotesi dei folletti non funziona più. Per credere abbiamo bisogno che si parli di neuroni ed emisferi cerebrali, non di spiriti, ma il risultato è esattamente lo stesso. Poi da qualsiasi cosa si possono trovare spunti, qualsiasi "narrazione" ha qualcosa di vero nel suo modo di significare, ma che cosa? Il punto è che siamo letteralmente sommersi dalle teorie pseudo scientifiche più strampalate che assomigliano alle favolette per i bambini ma con tante pretese in più su come stanno le cose e che trovano magari pure un Dennett che ci crede, solo perché invece di parlare di Cappuccetto Rosso che incontra il Lupo si fanno vaghi riferimenti alla neurofisiologia.
Se l'ipotesi in questione fa appello a qualcosa di scientifico deve essere valutabile in questi termini, non basta che si proponga una soluzione ad hoc, perché allora qualsiasi favola o leggenda va ugualmente bene. Tutto quello che si può dire è questa idea mi piace oppure no e giustamente tu sollevi un'obiezione sulla base del tuo modo di sentire e credere alla precedenza della coscienza sul linguaggio. Ma a parte i gusti personali mi chiedo in che modo si potrebbe mai dimostrare la validità o meno di un'ipotesi simile. Poi è evidente che sotto qualsiasi favola un fondo di verità c'è sempre e se la si vuole interpretare nei significati sociali e psicologici che esprime e da cui viene espressa va bene, ma sicuramente no se la si prende alla lettera pensando in essa di trovarvi il vero e oggettivo motivo per cui tremila anni fa si dice si sentisse la voce divina, mentre oggi non la si sente più. Che sia perché oggi sentire le voci lo si può vedere appropriato solo per una mente schizofrenica? Chissà, magari un giorno una sorta di follia collettiva, ci farà identificare pure la parte del cervello dove risiede Dio (ops, dimenticavo che qualcuno pensa già di averla identificata ;) )
Citazione di: maral il 19 Dicembre 2016, 22:29:23 PMApeiron, perdonami, ma come si fa ad argomentare pro o contro una teoria del genere? su che basi oltre un certo modo di sentire collettivo stimolato da qualche riferimento neurologico che oggi va tanto di moda? Certo non si parla di folletti che abitano nel cervello, ma solo perché nel contesto attuale l'ipotesi dei folletti non funziona più. Per credere abbiamo bisogno che si parli di neuroni ed emisferi cerebrali, non di spiriti, ma il risultato è esattamente lo stesso. Poi da qualsiasi cosa si possono trovare spunti, qualsiasi "narrazione" ha qualcosa di vero nel suo modo di significare, ma che cosa? Il punto è che siamo letteralmente sommersi dalle teorie pseudo scientifiche più strampalate che assomigliano alle favolette per i bambini ma con tante pretese in più su come stanno le cose e che trovano magari pure un Dennett che ci crede, solo perché invece di parlare di Cappuccetto Rosso che incontra il Lupo si fanno vaghi riferimenti alla neurofisiologia. Se l'ipotesi in questione fa appello a qualcosa di scientifico deve essere valutabile in questi termini, non basta che si proponga una soluzione ad hoc, perché allora qualsiasi favola o leggenda va ugualmente bene. Tutto quello che si può dire è questa idea mi piace oppure no e giustamente tu sollevi un'obiezione sulla base del tuo modo di sentire e credere alla precedenza della coscienza sul linguaggio. Ma a parte i gusti personali mi chiedo in che modo si potrebbe mai dimostrare la validità di un'ipotesi simile. Poi è evidente che sotto qualsiasi favola un fondo di verità c'è sempre e se la si vuole interpretare nei significati sociali e psicologici che esprime e da cui viene espressa va bene, ma sicuramente no se la si prende alla lettera pensando in essa di trovarvi il vero e oggettivo motivo per cui tremila anni fa si dice si sentisse la voce divina, mentre oggi non la si sente più. Che sia perché oggi sentire le voci lo si può vedere appropriato solo per una mente schizofrenica? Chissà, magari un giorno una sorta di follia collettiva, ci farà identificare pure la parte del cervello dove risiede Dio (ops, dimenticavo che qualcuno pensa già di averla identificata ;) )
Guarda da come tu, Angelo Cannata e baylham avete reagito mi viene da pensare che ho preso uno di quei classici granchi che prende uno quando vede una speculazione apparentemente potente ma che in realtà è totalmente infondata (modo complesso per dire che mi sono auto-suggestionato ;D ). D'altronde "
nulla è così difficile come non auto-ingannarsi" (Wittgenstein). In sostanza non escludo di aver fatto una figuraccia ;D in tal caso chiedo perdono e spero di essere più attento la prossima volta.
Ti dico perchè la pensavo interessante: noi prendiamo la nostra auto-consapevolezza come "scontata" e pensiamo d'istinto che i "primi uomini" (perdona il termine) fossero uguali in questo aspetto a noi. Qui invece abbiamo davanti l'unica (? magari qui ne sai più di me...) speculazione di una evoluzione della consapevolezza di sé. Personalmente la vedo dura che diventerà scienza perchè come dici tu testarla è un po' difficile. Detto questo ritengo questa speculazione tra le altre cose "troppo semplice" come spiegazione della nascita della consapevolezza di sé.
Sai per caso se ci sono "speculazioni" alternative su questo argomento?
Per conto mio Apeiron ha specificato ben precisamente che si tratti di una speculazione e non di una teoria, non capisco la "gogna" riguardo qualcosa che non ha mai detto (non so invece cosa abbia sostenuto a riguardo l'autore). O forse davvero cerca di difenderla come teoria? non si capisce. In ogni caso anche le speculazioni sono utili, non per trovare la verità, ma per immagire percorsi da seguire e in caso verificare (o dare spunti ad altri). A volte una teoria emerge dalle prove, a volte le prove vengono cercate dopo una speculazione. Basta non aver fretta di credere e prendere le cose per quelle che sono, e solo per quello che sono. Il tizio certamente aveva fantasia da vendere per riuscire a collegare questa idea coi testi, per quello ero interessato a come fosse arrivato a 1000ac :)
Forse è il caso di specificare anche un altro criterio che riguarda la ricerca umana. Sappiamo tutti che anche dalle fantasie più assurde possono venire fuori scoperte importantissime. Questa però è un'eccezione, non è una regola. Ne consegue che il fatto che ciò possa accadere non comporta che la miglior cosa da fare sia dedicarsi alle fantasie più assurde. È purtroppo una questione di limitatezza del nostro essere umani: se vivessimo in eterno, potremmo permetterci di dedicarci a tutte le fantasie che vogliamo: anche se la scoperta importantissima venisse fuori soltanto alla miliardesima fantasia, ciò non sarebbe affatto un problema, considerato che saremmo del tutto indifferenti al tempo. Il fatto è che la nostra vita è breve e non possiamo permetterci di dedicarci a ciò che si profila all'orizzonte come troppo poco produttivo. Ciò significa che, se per fare una certa scoperta sarà necessario aver percorso con la mente una certa precisa fantasia, purtroppo siamo condannati, come genere umano, a non poter fare mai tale scoperta, visto che non possiamo permetterci di dedicarci a tutte le fantasie possibili di questo mondo. Possiamo solo sperare di poter arrivare alle stesse scoperte per altre vie facenti parte di quelle che riconosciamo produttive, oppure che, come è già accaduto, si dia il puro caso che qualcuno azzecchi la fantasia giusta che ci voleva per fare una determinata scoperta. Questa prospettiva seduce alcune menti, esattamente come seduce quanti si dedicano al gioco del lotto. Tutto dipende da quanto è prezioso per noi il tempo della nostra vita e, di conseguenza, in che modo scegliamo di spenderlo in relazione alle leggi della probabilità.
Citazione di: Apeiron il 19 Dicembre 2016, 19:45:04 PM
Vedi una delle cose che non ho mai capito della coscienza è perchè si ha la sensazione di "sentire i propri pensieri". Ad esempio quando sono stressato a volte i pensieri mi sembrano avere un tono più forte. Quindi in realtà è come se avessimo una vera e propria "voce interiore" che magari all'inzio era scambiata per "esterna" (ecco magari non dagli uomini del 1000a.c ma dai primati).
Da un punto di vista logico per considerare la voce della coscienza come esterna bisogna già avere il senso di interno, di proprio.
Invece è molto più interessante come base esplicativa la teoria freudiana, che introduce la distinzione tra Es, Io e Super Io. L'Es e il Super Io sono sicuramente fuori del controllo dell'Io, esterni in questo senso. Nella teoria dei sistemi, cibernetica, lo stesso Io perde la natura di interno ed esterno e diventa parte di un circuito più ampio.
Apeiron, l'ipotesi è interessante, ma, secondo me non è interessante per il fenomeno che vorrebbe spiegare, ma per il significato che dà al fenomeno, significato che può aiutarci a capire non come erano i primi uomini (e chi potrà mai dircelo! uno psicologo dei giorni nostri forse? con una conoscenza psicologica che non riesce nemmeno a dare ragione di ciò che siamo noi, uomini attuali, concretamente ed effettivamente!), ma i contesti che determinano i nostri pensieri e la nostra credulità. Credulità che, a dispetto dell'affermarsi delle cosiddette "scienze oggettive", è diventata enorme, basta suggestionare con un certo linguaggio para scientifico e subito lo si trova eccitante, soprattutto per chi brancola tra le "scienze umane" e vorrebbe tanto farne una sorta di fisica ma non può. Si sono cancellati i miti per tradurli in favolette per bambini a cui credere.
Chissà, magari tra tremila anni qualche psicologo del futuro formulerà qualche suggestiva ipotesi di come doveva essere combinato il nostro cervello per farci pensare in questo modo, o magari (speriamo) non nutrirà più finalmente pretese di questo genere.
Che poi dalle ipotesi apparentemente più strampalate saltino fuori descrizioni indubitabili che dettano il significato comune e condiviso delle nostre esistenze è certamente vero, ma questo non ha nulla a che fare con l'adeguamento dell'intelletto alla realtà delle cose.
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Dicembre 2016, 01:35:01 AM
Forse è il caso di specificare anche un altro criterio che riguarda la ricerca umana. Sappiamo tutti che anche dalle fantasie più assurde possono venire fuori scoperte importantissime. Questa però è un'eccezione, non è una regola. Ne consegue che il fatto che ciò possa accadere non comporta che la miglior cosa da fare sia dedicarsi alle fantasie più assurde. È purtroppo una questione di limitatezza del nostro essere umani: se vivessimo in eterno, potremmo permetterci di dedicarci a tutte le fantasie che vogliamo: anche se la scoperta importantissima venisse fuori soltanto alla miliardesima fantasia, ciò non sarebbe affatto un problema, considerato che saremmo del tutto indifferenti al tempo. Il fatto è che la nostra vita è breve e non possiamo permetterci di dedicarci a ciò che si profila all'orizzonte come troppo poco produttivo. Ciò significa che, se per fare una certa scoperta sarà necessario aver percorso con la mente una certa precisa fantasia, purtroppo siamo condannati, come genere umano, a non poter fare mai tale scoperta, visto che non possiamo permetterci di dedicarci a tutte le fantasie possibili di questo mondo. Possiamo solo sperare di poter arrivare alle stesse scoperte per altre vie facenti parte di quelle che riconosciamo produttive, oppure che, come è già accaduto, si dia il puro caso che qualcuno azzecchi la fantasia giusta che ci voleva per fare una determinata scoperta. Questa prospettiva seduce alcune menti, esattamente come seduce quanti si dedicano al gioco del lotto. Tutto dipende da quanto è prezioso per noi il tempo della nostra vita e, di conseguenza, in che modo scegliamo di spenderlo in relazione alle leggi della probabilità.
CitazioneMa limitarsi a seguire le via più battute perché ritenute (ancora) "produttive" (di conosenza) perché lo sono state in passato può essere insufficiente di fronte a problemi "di grande portata" che potrebbero richiedere, per essere risolti, profonde rivoluzioni scientifiche.
Per questo spesso gli autori delle scoperte più rivoluzionarie sono goivani, la cui mente non é ancora abituata a "percorre le solite strade" già battutissime e che non hanno portato a nulla di buono, ed é più libera di esplorarne di nuove.
Il paragone con i giocatori del lotto mi sembra calzante solo in riferimento a ipotesi deisamente "stramalate" (tipo UFO o "scie chimiche") di fatto scarsamente o per nulla fondate scientificamente più che "inusuali" od originali (ma non contraddicenti le basi più profonde e generali (in larga misura "filosofiche") della scienza nota e al presente non falsificate empiricamente.
In realtà ogni ipotesi per risolvere un problema scientifico é di per sé "gratuita" e necessitante di verifica empirica; ed é difficile se non impossibile stabilire a priori confronti quantitativi di "gratuità" fra di esse.
Le ipotesi che si sottomettono alla verfica empirica sono tutte a priori infondate (e il maggiore o minore "intuito" o "fiuto" che può guidare chi le propone é decisamente qualcosa di non razionale, non calcolabile, non basato su ragionamenti).
La differenza principale col giocatore d' azzardo é che questo irrazionalmente perde i suoi soldi nella speranza di fatto vana (probabilitsticamente infima) di arricchirsi mentre lavorando (e magari lottando per cambiare "lo stato di cose presente" -Marx e e Engels, l' Ideologia tedesca-) avrebbe molte più possibilità di vivere sufficientemente bene (comunque, per iniqua e miserabile che sia la società in cui vive: pochissimo é pur sempre più di "praticamente zero"), mentre il ricercatore non può sapere a priori (calcolare) quanto (im-) probabili siano le ipotesi che la sua fantasia gli propone e fra di esse quali siano le meno improbabili (o più probabili).
L'argomento è molto interessante a mio avviso perchè pone il focus su una questione che è si estremamente difficile da studiare (impossibile?) ma di assoluta importanza. Andiamo in giro per il mondo, troviamo reperti, misuriamo i centrimetri cubici di cervello e la forma del cranio.. ma effettivamente non sappiamo cosa ci sia stato dentro e le sue caratteristiche, a partire dalla neuroplasticità e oltre. Perchè i Neanderthal avevano un cervello più grande ma "meno funzionante?" Per rispondere a questa domanda ci sono decine di speculazioni, non è esattamente un unicum cercare di speculare su questo tipo di cose, e non lo trovo ne contropoduttivo ne una perdita di tempo, in fin dei conti aiuta a mantenere il focus sulla domanda. Porsi domande e speculare a riguardo cose non scientifiche (posto siano prese per quello che sono) aiuta a delimitare per contrasto i limiti della scienza attuale stessa, "questo è oltre, questo è dentro - ecco il limite". Essere coscienti dei nostri limiti, aiuta a studiarli. Poi se uno vuole scienza riguardo alle tematiche divine ci sono brain scan aiosa. Questo tipo di esercizio è diverso. Mancano le risorse umane per sviluppare tutto? Se davvero non esiste modo scientifico per studiare determinati lidi, penso che il buon scienziato nemmeno si ci metta e quindi non "sprechi energie" .
Sicuramente è una speculazione molto discutibile, però c'è un elemento interessante su cui si sta lavorando dai tempi di Freud: la separazione della funzione agente dall'io cosciente. Trovo quindi questa teoria una valida provocazione a chi ritiene, spesso per buon senso, di essere colui che decide le proprie azioni. Nella mia filosofia si ha addirittura l'identificazione dell'io con la coscienza intesa come la sola percezione.
Citazione di: Apeiron il 19 Dicembre 2016, 14:00:11 PM
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_crollo_della_mente_bicamerale_e_l'origine_della_coscienza
Premessa: la teoria che espongo non mi convince del tutto, la espongo solo perchè la ritengo interessante e credo che abbia dei meriti.
Secondo lo psicologo Julian Jaynes nell'antichità gli esseri umani non erano coscienti. La loro mente era "bicamerale" perchè in sostanza era costituita da due parti. Una era la parte "che dava ordini" mentre la seconda era la parte "che riceveva". Secondo Jaynes nell'antichità la "voce della coscienza" veniva sentita esattamente come una voce esterna e quindi l'uomo antico pensava di "ricevere comandi da un'entità esterna a lui". Il residuo di questa epoca si ritroverebbe oggi nei pazienti affetti da allucinazioni uditive (guarda a caso una delle allucinazioni uditive frequenti sarebbe quella di "comando" in cui il paziente dice di aver ricevuto l'ordine di una entità superiore per agire...). La sua conclusione era che quando si legge negli scritti antichi della "voce degli dei" quello che gli antichi sentivano era una voce. Da qui Jaynes che era ateo finì per dire che le religioni e gli dei erano frutto di "allucinazioni". Ora questa era la sua conclusione. Un credente può semplicemente dire che Dio comunicava con gli uomini antichi in quel modo e oggi in un altro (tant'è che oggi pochi credenti dicono che Dio si manifesta con una vera e propria voce...).
In sostanza il suo argomento è che noi oggi siamo coscienti per il fatto che sappiamo di pensare i nostri pensieri mentre allora la gente interpretava i propri pensieri come voci esterne. Dal 1000a.c. in poi tale mente sarebbe stata "sostituita" da quella odierna. A mio giudizio questa teoria ha un merito: quella di spiegare la superstizione degli spiriti e dei demoni (ad esempio oggi uno schizofrenico lo si cura con la medicina, una volta lo si pensava "posseduto" ecc). D'altronde se una persona sente voci quello che pensa è che in qualche modo tale voce sia "esterna" e non "interna". La cosa interessante è che spiega benissimo il fatto che più si va avanti nella storia meno si crede che:
1) il linguaggio divino e umano siano identici;
2) spiriti e demoni siano reali (ma semplicemente siano "proprietà della nostra mente");
3) l'eventuale elemento "sovrannaturale" (o meglio "sovrumano") sia "comprensibile" dall'uomo.
Tant'è che nell'antichità si credeva letteralmente nell'animismo ossia che tutto avesse un'anima identica a quella umana (perfino i sassi, le montagne ecc). Con questo però a differenza di Jaynes non voglio dire che "tutto ciò che dicevano gli antichi era allucinazione" ma che la loro percezione del mondo e del sé era diversa e quindi certi concetti che a noi sembrano assurdi in realtà lo sembrano solo perchè qualcosa in noi è cambiato.
N.B.: Ad oggi NON è accettata come teoria scientifica (è una "speculazione" scientifica al massimo) e a mio giudizio NON inficia la validità delle religioni. Solamente spiega come alcuni "dettagli" di minore importanza delle religioni oggi siano considerati superstizione e non fede! Riporto l'idea solo perchè l'ho scoperta di recente e l'ho trovata affascinante.
...e facciamo questo esercizio.....
penso che l'uomo acquisisce una coscienza nel momento in cui organi linguistici nel cervello permettono di relazionare grazie alla corteccia cerebrale.Quindi ci vuole l'area del Broca e del Wernicke, e la modulazione della laringe comandata dal cervello per il fonema
Anche gli animali capiscono il comando , ovviamente sarà un gesto o un tipo di suono.Quindi si tratta di capire cosa intenda l'autore per comando e perchè l'anno mille. L'autore pensa che color oche hanno scritto libri sapienziali o i Veda che sono anteriori al 2.000 a.C. fossero dei brontosauri? Il Buddha, Lao Tsè, Confucio sono del sesto secolo avanti Cristo. In quattro secoli da un quasi animale si evolve un essere spirituale?Anche sotto ipnosi ,togliendo la coscienza vigile è possible comandare.Infatti Dio comunica spesso nel sonno, ma io penso per altri motivi.Francamente ha diversi buchi questa teoria
Citazione di: InVerno il 19 Dicembre 2016, 23:37:51 PMPer conto mio Apeiron ha specificato ben precisamente che si tratti di una speculazione e non di una teoria, non capisco la "gogna" riguardo qualcosa che non ha mai detto (non so invece cosa abbia sostenuto a riguardo l'autore). O forse davvero cerca di difenderla come teoria? non si capisce. In ogni caso anche le speculazioni sono utili, non per trovare la verità, ma per immagire percorsi da seguire e in caso verificare (o dare spunti ad altri). A volte una teoria emerge dalle prove, a volte le prove vengono cercate dopo una speculazione. Basta non aver fretta di credere e prendere le cose per quelle che sono, e solo per quello che sono. Il tizio certamente aveva fantasia da vendere per riuscire a collegare questa idea coi testi, per quello ero interessato a come fosse arrivato a 1000ac :)
Non voglio difendere quella speculazione ma semmai usarla come "punto di partenza". L'autore da quanto ho capito era convinto di aver risolto l'"enigma" che si era posto. La questione del 1000a.c mi sembra una cavolata anche a me (per ragioni simili a quanto dette da paul11 nel messaggio precedente a questo). Quello che volevo dire è che magari c'è stato veramente un periodo nel quale gli uomini avevano una coscienza di sé poco sviluppata e perciò non avevano ben chiaro il confine tra "sé" e "l'altro" (non a caso Buddha voleva
superare questa consapevolezza). Un'animale certamente ha un certo grado di "coscienza di sé" ma secondo me quello che manca lì è l'auto-consapevolezza, la capacità di "riflettersi". Voglio dire: un animale non è in grado di discernere coscientemente le distinzioni, motivo per cui in un certo senso tale consapevolezza è solo istintuale. L'autore voleva dire, credo, che quando è emersa la capacità di pensare e di "dialogare con sé stessi" i primi uomini erano "confusi" da questa abilità e
spesso la scambiavano per la "voce di un altro". Quindi magari non nel 1000a.c. ma ad esempio ai tempi degli australopitechi (vi prego non prendete troppo sul serio quello che sto dicendo). Tra le altre cose ad esempio è anche interessante lo stesso concetto di "ispirazione dell'opera artistica", la quale a volte sembra venire dall'inconscio. Quindi come dice:
Citazione di: pepe98 il 20 Dicembre 2016, 11:10:37 AMSicuramente è una speculazione molto discutibile, però c'è un elemento interessante su cui si sta lavorando dai tempi di Freud: la separazione della funzione agente dall'io cosciente. Trovo quindi questa teoria una valida provocazione a chi ritiene, spesso per buon senso, di essere colui che decide le proprie azioni.
magari una volta l'incoscio era più "esteso" di quanto sia il nostro e quindi magari effettivamente scambiavano le loro stesse azioni per quelle di "spiriti".
Ma ripeto quello che volevo fare era dare uno spunto di riflessione sulla stessa consapevolezza di sé, non sono venuto qui a dire "ehi guardate ho risolto l'emergenza della coscienza". Però quello che lui ha notato è che le opere passate denotavano un grado di introspezione molto minore di quello odierno e da qui lui ha detto che l'introspezione è "comparsa" attorno al 1000a.c (da quanto ho capito io). Un'obiezione che gli si può fare è semplicemente: non è stato magari un processo grauduale?
Altra riflessione: i greci parlano del "logos" di tutte le cose. Una sorta di discorso di tutte le cose. Il cristianesimo idem. Magari veramente allora credevano letteralmente in un "logos così umano". Oggi ad esempio anche io vedo una "intelligenza" nella natura tuttavia non la vedo così antropomorfa come la vedevano loro. Però ecco non mi "da fastidio" parlare di leggi della fisica, di "logos" ecc anche se
so di non prendere in modo letterale queste parole. Ma forse una volta letteralmente erano più inclini a pensarla così perchè avevano una mente diversa. D'altronde solo una mente
letterale poteve pensare in questo modo.
In sostanza l'obiettivo del thread, ripeto, era proporre una riflessione sulla questione se è o non è cambiata la nostra coscienza nella storia e ho proposto questa
speculazione per vedere quello che ne pensate, tutto qua. Sinceramente a me ha fatto pensare proprio se anni fa la coscienza era diversa da quella odierna.
Citazione di: Apeiron il 20 Dicembre 2016, 14:53:15 PMCitazione di: InVerno il 19 Dicembre 2016, 23:37:51 PMPer conto mio Apeiron ha specificato ben precisamente che si tratti di una speculazione e non di una teoria, non capisco la "gogna" riguardo qualcosa che non ha mai detto (non so invece cosa abbia sostenuto a riguardo l'autore). O forse davvero cerca di difenderla come teoria? non si capisce. In ogni caso anche le speculazioni sono utili, non per trovare la verità, ma per immagire percorsi da seguire e in caso verificare (o dare spunti ad altri). A volte una teoria emerge dalle prove, a volte le prove vengono cercate dopo una speculazione. Basta non aver fretta di credere e prendere le cose per quelle che sono, e solo per quello che sono. Il tizio certamente aveva fantasia da vendere per riuscire a collegare questa idea coi testi, per quello ero interessato a come fosse arrivato a 1000ac :)
Non voglio difendere quella speculazione ma semmai usarla come "punto di partenza". L'autore da quanto ho capito era convinto di aver risolto l'"enigma" che si era posto. La questione del 1000a.c mi sembra una cavolata anche a me (per ragioni simili a quanto dette da paul11 nel messaggio precedente a questo). Quello che volevo dire è che magari c'è stato veramente un periodo nel quale gli uomini avevano una coscienza di sé poco sviluppata e perciò non avevano ben chiaro il confine tra "sé" e "l'altro" (non a caso Buddha voleva superare questa consapevolezza). Un'animale certamente ha un certo grado di "coscienza di sé" ma secondo me quello che manca lì è l'auto-consapevolezza, la capacità di "riflettersi". Voglio dire: un animale non è in grado di discernere coscientemente le distinzioni, motivo per cui in un certo senso tale consapevolezza è solo istintuale. L'autore voleva dire, credo, che quando è emersa la capacità di pensare e di "dialogare con sé stessi" i primi uomini erano "confusi" da questa abilità e spesso la scambiavano per la "voce di un altro". Quindi magari non nel 1000a.c. ma ad esempio ai tempi degli australopitechi (vi prego non prendete troppo sul serio quello che sto dicendo). Tra le altre cose ad esempio è anche interessante lo stesso concetto di "ispirazione dell'opera artistica", la quale a volte sembra venire dall'inconscio. Quindi come dice: Citazione di: pepe98 il 20 Dicembre 2016, 11:10:37 AMSicuramente è una speculazione molto discutibile, però c'è un elemento interessante su cui si sta lavorando dai tempi di Freud: la separazione della funzione agente dall'io cosciente. Trovo quindi questa teoria una valida provocazione a chi ritiene, spesso per buon senso, di essere colui che decide le proprie azioni.
magari una volta l'incoscio era più "esteso" di quanto sia il nostro e quindi magari effettivamente scambiavano le loro stesse azioni per quelle di "spiriti". Ma ripeto quello che volevo fare era dare uno spunto di riflessione sulla stessa consapevolezza di sé, non sono venuto qui a dire "ehi guardate ho risolto l'emergenza della coscienza". Però quello che lui ha notato è che le opere passate denotavano un grado di introspezione molto minore di quello odierno e da qui lui ha detto che l'introspezione è "comparsa" attorno al 1000a.c (da quanto ho capito io). Un'obiezione che gli si può fare è semplicemente: non è stato magari un processo grauduale? Altra riflessione: i greci parlano del "logos" di tutte le cose. Una sorta di discorso di tutte le cose. Il cristianesimo idem. Magari veramente allora credevano letteralmente in un "logos così umano". Oggi ad esempio anche io vedo una "intelligenza" nella natura tuttavia non la vedo così antropomorfa come la vedevano loro. Però ecco non mi "da fastidio" parlare di leggi della fisica, di "logos" ecc anche se so di non prendere in modo letterale queste parole. Ma forse una volta letteralmente erano più inclini a pensarla così perchè avevano una mente diversa. D'altronde solo una mente letterale poteve pensare in questo modo. In sostanza l'obiettivo del thread, ripeto, era proporre una riflessione sulla questione se è o non è cambiata la nostra coscienza nella storia e ho proposto questa speculazione per vedere quello che ne pensate, tutto qua. Sinceramente a me ha fatto pensare proprio se anni fa la coscienza era diversa da quella odierna.
...potrebbe anche essere.....
Ma ci sono elementi che si scontrano in maniera evidente e arrivano proprio dai libri vedici indiani quando parlano dei ciicli (yuga) dalla Bibbia e dai testi degli ebrei come il Talmud.
La Bibbia, non voglio fare citazioni, dopo il diluvio dice che l'uomo vivrà al massimo fino a 120 anni, quando sappiamo che proprio fino a Noè e il proverbiale Matusalemme ,vivevano per secoli. Il Talmud ,se non ricordo male, quello della tradizione orale, praticamente dice la stessa cosa; che l'umanità decade invece di evolversi.
Questi concetti dei libri "sacri" sono esattamente opposti ai concetti antropologici di evoluzionismo biologico e di progresso.
E francamente ,dati i tempi attuali, qualche riflessione sul livello evolutivo e di saggezza dell'umanità attuale, me lo porrei.
Citazione di: paul11 il 20 Dicembre 2016, 11:53:17 AM
...e facciamo questo esercizio.....
penso che l'uomo acquisisce una coscienza nel momento in cui organi linguistici nel cervello permettono di relazionare grazie alla corteccia cerebrale.Quindi ci vuole l'area del Broca e del Wernicke, e la modulazione della laringe comandata dal cervello per il fonema
Anche gli animali capiscono il comando , ovviamente sarà un gesto o un tipo di suono.
Quindi si tratta di capire cosa intenda l'autore per comando e perchè l'anno mille. L'autore pensa che color oche hanno scritto libri sapienziali o i Veda che sono anteriori al 2.000 a.C. fossero dei brontosauri? Il Buddha, Lao Tsè, Confucio sono del sesto secolo avanti Cristo. In quattro secoli da un quasi animale si evolve un essere spirituale?
Anche sotto ipnosi ,togliendo la coscienza vigile è possible comandare.
Infatti Dio comunica spesso nel sonno, ma io penso per altri motivi.
Francamente ha diversi buchi questa teoria
CitazionePremesso che ritengo che le coscienze altrui non siano dimostrabili con assoluta certezza (che il solipsismo non sia razionalmente ma solo fideisticamente superabile), si può a mio parere attribuire del tutto ragionevolmente una coscienza (esperienza fenomenica per lo meno esteriore) a tantissimi animali (il mio gatto mi sente arrivare, mi vede e mi sa riconoscere, e infatti quando arrivo a casa corre a farmi effusioni varie), oltre all' uomo (gli altri uomini) che ce ne parla linguisticamente (ce la descrive), dandoci certamente una molto maggiore affidabilità nella sua esistenza.
Secondo me ciò che distingue l' uomo da tutti gli altri animali é l' autocoscienza (non la coscienza); e ritengo che questa necessiti effettivamente del linguaggio e dunque delle aree cerebrali di Broca e Wernike); e che fosse di molto antecedente l' anno 1000 a.C; fra l' altro gli eroi omerici parlano -anche- in prima persona).
Citazione di: paul11 il 20 Dicembre 2016, 16:28:18 PMCitazione di: Apeiron il 20 Dicembre 2016, 14:53:15 PMCitazione di: InVerno il 19 Dicembre 2016, 23:37:51 PMPer conto mio Apeiron ha specificato ben precisamente che si tratti di una speculazione e non di una teoria, non capisco la "gogna" riguardo qualcosa che non ha mai detto (non so invece cosa abbia sostenuto a riguardo l'autore). O forse davvero cerca di difenderla come teoria? non si capisce. In ogni caso anche le speculazioni sono utili, non per trovare la verità, ma per immagire percorsi da seguire e in caso verificare (o dare spunti ad altri). A volte una teoria emerge dalle prove, a volte le prove vengono cercate dopo una speculazione. Basta non aver fretta di credere e prendere le cose per quelle che sono, e solo per quello che sono. Il tizio certamente aveva fantasia da vendere per riuscire a collegare questa idea coi testi, per quello ero interessato a come fosse arrivato a 1000ac :)
Non voglio difendere quella speculazione ma semmai usarla come "punto di partenza". L'autore da quanto ho capito era convinto di aver risolto l'"enigma" che si era posto. La questione del 1000a.c mi sembra una cavolata anche a me (per ragioni simili a quanto dette da paul11 nel messaggio precedente a questo). Quello che volevo dire è che magari c'è stato veramente un periodo nel quale gli uomini avevano una coscienza di sé poco sviluppata e perciò non avevano ben chiaro il confine tra "sé" e "l'altro" (non a caso Buddha voleva superare questa consapevolezza). Un'animale certamente ha un certo grado di "coscienza di sé" ma secondo me quello che manca lì è l'auto-consapevolezza, la capacità di "riflettersi". Voglio dire: un animale non è in grado di discernere coscientemente le distinzioni, motivo per cui in un certo senso tale consapevolezza è solo istintuale. L'autore voleva dire, credo, che quando è emersa la capacità di pensare e di "dialogare con sé stessi" i primi uomini erano "confusi" da questa abilità e spesso la scambiavano per la "voce di un altro". Quindi magari non nel 1000a.c. ma ad esempio ai tempi degli australopitechi (vi prego non prendete troppo sul serio quello che sto dicendo). Tra le altre cose ad esempio è anche interessante lo stesso concetto di "ispirazione dell'opera artistica", la quale a volte sembra venire dall'inconscio. Quindi come dice: Citazione di: pepe98 il 20 Dicembre 2016, 11:10:37 AMSicuramente è una speculazione molto discutibile, però c'è un elemento interessante su cui si sta lavorando dai tempi di Freud: la separazione della funzione agente dall'io cosciente. Trovo quindi questa teoria una valida provocazione a chi ritiene, spesso per buon senso, di essere colui che decide le proprie azioni.
magari una volta l'incoscio era più "esteso" di quanto sia il nostro e quindi magari effettivamente scambiavano le loro stesse azioni per quelle di "spiriti". Ma ripeto quello che volevo fare era dare uno spunto di riflessione sulla stessa consapevolezza di sé, non sono venuto qui a dire "ehi guardate ho risolto l'emergenza della coscienza". Però quello che lui ha notato è che le opere passate denotavano un grado di introspezione molto minore di quello odierno e da qui lui ha detto che l'introspezione è "comparsa" attorno al 1000a.c (da quanto ho capito io). Un'obiezione che gli si può fare è semplicemente: non è stato magari un processo grauduale? Altra riflessione: i greci parlano del "logos" di tutte le cose. Una sorta di discorso di tutte le cose. Il cristianesimo idem. Magari veramente allora credevano letteralmente in un "logos così umano". Oggi ad esempio anche io vedo una "intelligenza" nella natura tuttavia non la vedo così antropomorfa come la vedevano loro. Però ecco non mi "da fastidio" parlare di leggi della fisica, di "logos" ecc anche se so di non prendere in modo letterale queste parole. Ma forse una volta letteralmente erano più inclini a pensarla così perchè avevano una mente diversa. D'altronde solo una mente letterale poteve pensare in questo modo. In sostanza l'obiettivo del thread, ripeto, era proporre una riflessione sulla questione se è o non è cambiata la nostra coscienza nella storia e ho proposto questa speculazione per vedere quello che ne pensate, tutto qua. Sinceramente a me ha fatto pensare proprio se anni fa la coscienza era diversa da quella odierna.
...potrebbe anche essere..... Ma ci sono elementi che si scontrano in maniera evidente e arrivano proprio dai libri vedici indiani quando parlano dei ciicli (yuga) dalla Bibbia e dai testi degli ebrei come il Talmud. La Bibbia, non voglio fare citazioni, dopo il diluvio dice che l'uomo vivrà al massimo fino a 120 anni, quando sappiamo che proprio fino a Noè e il proverbiale Matusalemme ,vivevano per secoli. Il Talmud ,se non ricordo male, quello della tradizione orale, praticamente dice la stessa cosa; che l'umanità decade invece di evolversi. Questi concetti dei libri "sacri" sono esattamente opposti ai concetti antropologici di evoluzionismo biologico e di progresso. E francamente ,dati i tempi attuali, qualche riflessione sul livello evolutivo e di saggezza dell'umanità attuale, me lo porrei.
Il Buddha afferma che l'umanità una volta viveva
secoli. A quanto pare il mito di una umanità più longeva era estremamente diffuso. Detto questo la Bibbia parla anche della terra piatta.
Ma la cosa interessante è che in effetti se leggi ad esempio un testo antico e uno moderno vedi tantissima differenza nell'introspezione.
Citazione di: maral il 20 Dicembre 2016, 09:47:41 AMApeiron, l'ipotesi è interessante, ma, secondo me non è interessante per il fenomeno che vorrebbe spiegare, ma per il significato che dà al fenomeno, significato che può aiutarci a capire non come erano i primi uomini (e chi potrà mai dircelo! uno psicologo dei giorni nostri forse? con una conoscenza psicologica che non riesce nemmeno a dare ragione di ciò che siamo noi, uomini attuali, concretamente ed effettivamente!), ma i contesti che determinano i nostri pensieri e la nostra credulità. Credulità che, a dispetto dell'affermarsi delle cosiddette "scienze oggettive", è diventata enorme, basta suggestionare con un certo linguaggio para scientifico e subito lo si trova eccitante, soprattutto per chi brancola tra le "scienze umane" e vorrebbe tanto farne una sorta di fisica ma non può. Si sono cancellati i miti per tradurli in favolette per bambini a cui credere. Chissà, magari tra tremila anni qualche psicologo del futuro formulerà qualche suggestiva ipotesi di come doveva essere combinato il nostro cervello per farci pensare in questo modo, o magari (speriamo) non nutrirà più finalmente pretese di questo genere. Che poi dalle ipotesi apparentemente più strampalate saltino fuori descrizioni indubitabili che dettano il significato comune e condiviso delle nostre esistenze è certamente vero, ma questo non ha nulla a che fare con l'adeguamento dell'intelletto alla realtà delle cose.
Concordo quasi con te su tutto. Però uno studio scientifico sull'origine di linguaggio e auto-coscienza lo farei :)
CitazioneConcordo quasi con te su tutto. Però uno studio scientifico sull'origine di linguaggio e auto-coscienza lo farei :)
D'accordo. ma il problema che resta nascosto in uno studio scientifico così impostato è un riduzionismo fisiologico del tutto arbitrario (a cui peraltro l'autore, mi pare non avendo letto il suo testo, allude solo senza dare né poter dare riscontro alcuno, come in una sorta di garanzia a priori, basta il "nome"). Uno studio scientifico serio a mio parere non dovrebbe prendere in considerazione tanto la struttura cerebrale per dimostrarne una presupposta e del tutto irreale primitiva inadeguatezza (bene o male quegli antichi esseri umani vivevano, probabilmente tra momenti di serenità e disperazione, proprio come noi che pensiamo impropriamente di possedere un'autocoscienza ben più dirimente tra "interno" ed "esterno"), quanto soprattutto il contesto sociale che determinava il senso in cui a quel tempo si viveva, senso dettato da quello che facevano, dalle loro pratiche quotidiane, così diverse dalle nostre.
Peraltro in certi ambiti e almeno fino a pochi secoli fa, udire voci non era per nulla considerato sintomo di un disadattamento psichico per di più di natura organica, semmai, almeno nell'ambito della cultura cristiana occidentale, indice di possessione demoniaca (come il caso di Giovanna d'Arco evidenzia, strega per gli Inglesi, santa ed eroina nazionale per i Francesi, ma certamente schizofrenica per un neuro psicologo attuale che magari ritiene, dall'alto delle sue impersonali competenze, di avere la visione oggettiva e reale del caso pur non potendolo di sicuro verificare in alcun modo).
L'argomento autocoscienza è qualcosa di estremamente complesso che coinvolge in modo determinante il significato vissuto del mondo in cui si trova nel contesto relazionale e culturale da cui è espresso, non la struttura cerebrale, per quanto certamente il modo di scaricare dei neuroni sarà in qualche modo influenzato (e in modo diverso per ogni soggetto) da questo contesto per comprendere il quale occorrerebbe una scienza ben diversa da quella che misura l'attività neuronale nel cervello, sperando che nell'elettro encefalogramma si possa trovare la chiave di volta perfettamente verificabile e universalmente riproducibile dell'autocoscienza. Per di più qui, nell'ipotesi in oggetto, anche queste mappature mancano del tutto, ce ne è solo la suggestiva evocazione che colpisce come una sorta di nuova e indubitabile mitologia.
Trovo davvero sintomatico che quanto più i disturbi mentali aumentano proprio nei tempi attuali caratterizzati da una grande oggettività razionale di visione (ormai più del 50% delle persone nei paesi occidentali fa uso abituale di psicofarmaci), tanto più li si voglia andare a cercare nei tempi antichi.
Citazione di: maral il 20 Dicembre 2016, 22:05:19 PMCitazioneConcordo quasi con te su tutto. Però uno studio scientifico sull'origine di linguaggio e auto-coscienza lo farei :)
D'accordo. ma il problema che resta nascosto in uno studio scientifico così impostato è un riduzionismo fisiologico del tutto arbitrario (a cui peraltro l'autore, mi pare non avendo letto il suo testo, allude solo senza dare né poter dare riscontro alcuno, come in una sorta di garanzia a priori, basta il "nome"). Uno studio scientifico serio a mio parere non dovrebbe prendere in considerazione tanto la struttura cerebrale per dimostrarne una presupposta e del tutto irreale primitiva inadeguatezza (bene o male quegli antichi esseri umani vivevano, probabilmente tra momenti di serenità e disperazione, proprio come noi che pensiamo impropriamente di possedere un'autocoscienza ben più dirimente tra "interno" ed "esterno"), quanto soprattutto il contesto sociale che determinava il senso in cui a quel tempo si viveva, senso dettato da quello che facevano, dalle loro pratiche quotidiane, così diverse dalle nostre. Peraltro in certi ambiti e almeno fino a pochi secoli fa, udire voci non era per nulla considerato sintomo di un disadattamento psichico per di più di natura organica, semmai, almeno nell'ambito della cultura cristiana occidentale, indice di possessione demoniaca (come il caso di Giovanna d'Arco evidenzia, strega per gli Inglesi, santa ed eroina nazionale per i Francesi, ma certamente schizofrenica per un neuro psicologo attuale che magari ritiene, dall'alto delle sue impersonali competenze, di avere la visione oggettiva e reale del caso pur non potendolo di sicuro verificare in alcun modo). L'argomento autocoscienza è qualcosa di estremamente complesso che coinvolge in modo determinante il significato vissuto del mondo in cui si trova nel contesto relazionale e culturale da cui è espresso, non la struttura cerebrale, per quanto certamente il modo di scaricare dei neuroni sarà in qualche modo influenzato (e in modo diverso per ogni soggetto) da questo contesto per comprendere il quale occorrerebbe una scienza ben diversa da quella che misura l'attività neuronale nel cervello, sperando che nell'elettro encefalogramma si possa trovare la chiave di volta perfettamente verificabile e universalmente riproducibile dell'autocoscienza. Per di più qui, nell'ipotesi in oggetto, anche queste mappature mancano del tutto, ce ne è solo la suggestiva evocazione che colpisce come una sorta di nuova e indubitabile mitologia. Trovo davvero sintomatico che quanto più i disturbi mentali aumentano proprio nei tempi attuali caratterizzati da una grande oggettività razionale di visione (ormai più del 50% delle persone nei paesi occidentali fa uso abituale di psicofarmaci), tanto più li si voglia andare a cercare nei tempi antichi.
Su questo non faccio obiezioni, totalmente d'accordo ;)
Eppure civiltà antiche avevano astronomie e calcoli matematici evoluti, tant'è che credevano alla ciclicità tipica non di una linearità per orizzonte di una terra piatta,ma di meccanismi come orologi o i cicli planetari meccanizzati come negli orologi, quindi come rotelle di diverso diametro.I cicli vedici sono esemplari e basati sul ciclo precessionale
del sole costruiscono cicli lunghi e sottocicli più brevi. Ma non c'è un'evoluzione a forma ellittica, descrivono periodi ciclici di crisi di civiltà o di evoluzione.La mentalità, se così si può dire, di una linea di progresso sempre tendente all'alto tipico della tecnica è endemica della nostra cultura occidentale.
Sono d'accordo che l'uomo è autocosciente, Ma non saprei se gli animali abbiano una coscienza, forse. Si tratterebbe di definire meglio il termine coscienza che è ambiguo linguisticamente.
Qualunque essere dotato di autonomia motoria necessariamente per sopravvivere, perchè cerca cibo ed è dentro una catena alimentare dove ha nemici, deve avere un' apparato di "sorveglianza", quindi nervoso che lo allerti e dall'altra che lo aiuti a cercare il cibo.
L'autoconsapevolezza umana ha necessità di un'autoproiezione, la riflessione di se stessi è la capacità di uscire fuori dal proprio corpo mentalmente per autoosservarsi, per autodescriversi, quindi l'autocoscienza è trascendenza, nel senso che linguisticamente ha capacità di astrarsi.In fondo arte e spiritualità hanno denominatori comuni.
Ecco, cosa distingue un robot, un automa programmato con sensori ambientali, un animale mammifero(es. una scimmia) e un umano?
Penso che la complessità psichica sia tipica di una complessità mentale,come dire che tanto è alto l'emerso e tanto lo è l'immerso.Per questo non credo ad una separazione "evolutiva" fra un umano prima più psichico che poi diverrà poi più razionale, penso che le due cose siano correlate.Semmai sono i linguaggi che mutano
CitazioneSecondo lo psicologo Julian Jaynes nell'antichità gli esseri umani non erano coscienti. La loro mente era "bicamerale" perchè in sostanza era costituita da due parti.
secondo me già da questo ne deduco che questa teoria e' una balla colossale!poi prosegue pure dicendo che la mente sia qualcosa che possa "spezzettarsi" in parti,come se fosse qualcosa di misurabile.tutte queste teorie che svalutano a priori le diverse umanità che ci hanno preceduto..essendo noi gli eccelsi e i predestinati giunti finalmente alla meta conclusiva del suo percorso "evolutivo" !!..e se invece fosse vero esattamente il contrario..in fondo anche questa può essere un altra ipotesi da valutare..e da dissidente quale sono ne avanzo qualcuna in merito;intanto bisognerebbe sin dall'inizio provare a non riportare la nostra stessa dimensione e il nostro stesso identico modo di concepire...e' più probabile secondo me che l'umanità era sicuramente più aperta nel percepire cose che noi oggi manco riusciamo più solo ad immaginare,perché loro avevano senz'altro una sensibilità e una maniera di percepire che andava ben oltre il solo ambito sensibile e "materiale" del termine (che mi pare sia ormai l'unico a cui ci si rifa sempre e solo riferimento) e questo lo si potrebbe già riscontrare con un attento esame ad un periodo storico relativamente più vicino a noi quale il medioevo.quindi il nostro rimanda sempre ad un riferimento "storico" e percio limitato,più o meno in senso cronologico,e a partire da certi dati a disposizione,prima dei quali non si avrebbero "informazioni" per "analizzare" i fatti! (pero appunto solo secondo i nostri criteri) di nessun tipo basati sempre sul medesimo criterio..che e' il nostro attuale ma non e' detto che sia appunto l'unico o che abbia reale valenza,perché così che a un certo punto e' stato deciso.
Cit. Apeiron
Quello che volevo dire è che magari c'è stato veramente un periodo nel quale gli uomini avevano una coscienza di sé poco sviluppata e perciò non avevano ben chiaro il confine tra "sé" e "l'altro"
e oggi siamo sicuri di conoscere il confine tra io e altro? O forse ció che facciano è identificarci sempre più con una sola parte dell'io, sparandoci dal resto dell'io?
Che sia stato indetto, nell'antichità, un referendum abrogativo per decidere se restare con il sistema "mente bicamerale" oppure quello " mente monocamerale" ? Ovviamente ha prevalso quest'ultimo inducendo alle dimissioni re Preferiscoesserdue IX. Poi riciclatosi e tornato sul trono col nome Mivabenancheuno I ...
Scusa Apeiron ma un pò ci sta... ;D ;D ;D
Citazione di: Sariputra il 21 Dicembre 2016, 08:28:16 AM
Che sia stato indetto, nell'antichità, un referendum abrogativo per decidere se restare con il sistema "mente bicamerale" oppure quello " mente monocamerale" ? Ovviamente ha prevalso quest'ultimo inducendo alle dimissioni re Preferiscoesserdue IX. Poi riciclatosi e tornato sul trono col nome Mivabenancheuno I ...
Scusa Apeiron ma un pò ci sta... ;D ;D ;D
Forse la sequenza reale è opposta: da uno a due. Infatti i due emisferi cerebrali hanno funzioni differenziate.
Citazione di: acquario69 il 21 Dicembre 2016, 04:05:20 AM
CitazioneSecondo lo psicologo Julian Jaynes nell'antichità gli esseri umani non erano coscienti. La loro mente era "bicamerale" perchè in sostanza era costituita da due parti.
tutte queste teorie che svalutano a priori le diverse umanità che ci hanno preceduto..essendo noi gli eccelsi e i predestinati giunti finalmente alla meta conclusiva del suo percorso "evolutivo" !!..
e se invece fosse vero esattamente il contrario..in fondo anche questa può essere un altra ipotesi da valutare..e da dissidente quale sono ne avanzo qualcuna in merito;
https://en.wikipedia.org/wiki/Flynn_effect
Citazione di: InVerno il 21 Dicembre 2016, 11:09:58 AM
https://en.wikipedia.org/wiki/Flynn_effect
sul link da te riportato (e sarebbe stato meglio se almeno qualche parola di tuo l'avresti spesa nel merito) ci sarebbero un mucchio di varianti da considerare che sarebbe come entrare in un ginepraio.forse può esserci qualcosa di vero se si mettono a conto gli ultimi decenni e non millenni o se non addirittura centinaia di migliaia di anni,su cui non credo sia possibile avere riferimenti di questo tipo e che appunto sono circoscritti...ed anche all'interno dello stesso parametro preso in considerazioneio sono nato nel 69 percio secondo questa teoria allora dovrei essere situato più o meno all'apice di questa presunta traiettoria..o no?! ::) di sicuro pero credo si possa dire una cosa e che dovrebbe coincidere da quanto e' stato descritto da flynn,e cioè che dal 2000 in poi questa presunta tendenza (circoscritta come detto sopra) volge al ribasso e anche in maniera molto evidente.qui dove vivo io li chiamano generazione "millenium" e di recente ho letto che in america vengono invece denominati nello stesso senso "snowflake" cioè fiocchi di neve...insomma una generazione a partire dal 2000 inconsistente,virtuale..io avrei pure dato un termine a tale situazione che e' passata dallo stato liquido (descritta da Z.Bauman) a quello successivo,ossia gassoso attuale.PS: abbiamo la lingua più bella del mondo,di cui dovremmo esserne orgogliosi..quindi perché riportare link o magari in altri casi frasi o parole in inglese..una lingua non nostra e che non ci appartiene e che infatti ci stanno inculcando al pari della neolingua di orwell !
Scusa non ho commentato perchè Wikipedia di fatto è già un commento più che qualcosa di tecnico, e linko in inglese perchè ci sono 10 volte le informazioni che nella wiki italiana (cosi come nel video TED linkato)...
Guarda, sfondi una porta aperta riguardo alla rivalutazione dei "trogloditi preistorici", è uno dei temi che mi ha sempre appassionato perchè già negli studi non mi capacitavo di come si potessero definire trogloditi persone che tutto sommato fisicamente erano uguali a noi e sono sempre rimasto affascinato da tutto ciò che negasse questa visione pessimistica (ma positivista?). Già onestamente non capivo come si potesse definire trogloditi i Neanderthal, e le scoperte archeologiche poi ci hanno confermato che erano molto più intelligenti di quanto pensavamo a inizio secolo. Però bisogna prendere le cose con le dovute misure e con cautela. Ho citato Goebekli Tepe a inizio topic perchè è esattamente quella scoperta che ha sconvolto la nostra stima riguardo le abilità "trogloditiche" dei nostri antenati, e che rende per esempio totalmente implausibili date alla 1.000ac. Nel 9.000ac, ancora raccoglitori-cacciatori i trogloditi sono stati capaci di erigere strutture monumentali e di passare dalle divinità animali alle divinità antroporfe al punto di concepire qualcosa di simile alla resurrezione, di avere un senso di comunità espanso a gruppi di grandi dimensioni e di avere conoscenze tecnologiche-artistiche di elevata raffinatezza (alla faccia di quelli che ancora non si capacitano delle piramidi e chiamano gli alieni). Il sito, oltre ad essere un ottimo candidato per la "cacciata dall'Eden" (a questo punto l'unico visto che gli altri a confronto impallidiscono) è un trionfo delle abilità umane e delle capacità cognitive dei trogloditi e la sua successiva sepoltura volontaria spiega il "senso di colpa" che l'uomo ha provato nel fare questo passaggio fondamentale, mentre distruggeva il territorio circostante tramite una forma di protodesertificazione agricolturale. Tutte speculazioni ovviamente, ma con un certo fondamento. Onestamente penso che al giorno d'oggi, la nostra reputazione riguardo ai "trogloditi" sia migliorata molto ed è destinata a migliorare ulteriormente, ma sempre con le dovutissime misure. Eventuali speculazioni riguardo a persone vissute trentordici secoli per esempio, non solo solamente antiscientifiche e antibiologiche, ma sono quel tipo di "speculazione gratuita" che non sopporto, perchè è portata semplicemente da quella corrente del "si stava meglio quando si stava peggio" che è insopportabile. perchè non tiene conto di quante sofferenze e di quanta morte e dolore e stupidità ci fosse solamente perchè ciò che sopravvive al tempo sono libri e monumenti. E' il classico auto inganno umano dell'indoramento dei ricordi. E' ovvio che ci fossero persone che per le loro qualità sono state riverite e servite a tal punto che hanno avuto i mezzi per raggiungere un età forse tripla o più rispetto alla media, e queste persone siano state mitizzate, però la cosa finisce li ed è giusto cosi. Se vogliamo fare come le popolazioni di Goebekli e ricoprire tutto di terra per la vergogna di cosa siamo diventati siamo liberi di farlo, ma la storia non va mai indietro, va sempre avanti, e per quanta terra puoi buttare questo non cambierà mai, con buona pace di tutti i tentativi luddisti mai riusciti nella storia del mondo. O si affronta il futuro, o si spreca il proprio tempo.
Citazione di: Sariputra il 21 Dicembre 2016, 08:28:16 AMChe sia stato indetto, nell'antichità, un referendum abrogativo per decidere se restare con il sistema "mente bicamerale" oppure quello " mente monocamerale" ? Ovviamente ha prevalso quest'ultimo inducendo alle dimissioni re Preferiscoesserdue IX. Poi riciclatosi e tornato sul trono col nome Mivabenancheuno I ... Scusa Apeiron ma un pò ci sta... ;D ;D ;D
Ahahahahahah ;D ci sta!
Citazione di: pepe98 il 21 Dicembre 2016, 07:53:59 AMCit. Apeiron Quello che volevo dire è che magari c'è stato veramente un periodo nel quale gli uomini avevano una coscienza di sé poco sviluppata e perciò non avevano ben chiaro il confine tra "sé" e "l'altro" e oggi siamo sicuri di conoscere il confine tra io e altro? O forse ció che facciano è identificarci sempre più con una sola parte dell'io, sparandoci dal resto dell'io?
Ci si può dilungare molto però certamente noi abbiamo più consapevolezza di essere individui degli animali. Quindi l'evoluzione ha portato anche a questo. Non ho mica detto che l'inonscio è scomparso, si è solo "ridotto"...
Citazione di: paul11 il 20 Dicembre 2016, 22:29:23 PMEppure civiltà antiche avevano astronomie e calcoli matematici evoluti, tant'è che credevano alla ciclicità tipica non di una linearità per orizzonte di una terra piatta,ma di meccanismi come orologi o i cicli planetari meccanizzati come negli orologi, quindi come rotelle di diverso diametro.I cicli vedici sono esemplari e basati sul ciclo precessionale del sole costruiscono cicli lunghi e sottocicli più brevi. Ma non c'è un'evoluzione a forma ellittica, descrivono periodi ciclici di crisi di civiltà o di evoluzione.La mentalità, se così si può dire, di una linea di progresso sempre tendente all'alto tipico della tecnica è endemica della nostra cultura occidentale. Sono d'accordo che l'uomo è autocosciente, Ma non saprei se gli animali abbiano una coscienza, forse. Si tratterebbe di definire meglio il termine coscienza che è ambiguo linguisticamente. Qualunque essere dotato di autonomia motoria necessariamente per sopravvivere, perchè cerca cibo ed è dentro una catena alimentare dove ha nemici, deve avere un' apparato di "sorveglianza", quindi nervoso che lo allerti e dall'altra che lo aiuti a cercare il cibo. L'autoconsapevolezza umana ha necessità di un'autoproiezione, la riflessione di se stessi è la capacità di uscire fuori dal proprio corpo mentalmente per autoosservarsi, per autodescriversi, quindi l'autocoscienza è trascendenza, nel senso che linguisticamente ha capacità di astrarsi.In fondo arte e spiritualità hanno denominatori comuni. Ecco, cosa distingue un robot, un automa programmato con sensori ambientali, un animale mammifero(es. una scimmia) e un umano? Penso che la complessità psichica sia tipica di una complessità mentale,come dire che tanto è alto l'emerso e tanto lo è l'immerso.Per questo non credo ad una separazione "evolutiva" fra un umano prima più psichico che poi diverrà poi più razionale, penso che le due cose siano correlate.Semmai sono i linguaggi che mutano
L'autore definisce l'autocoscienza come capacità di introspezione e non l'intelligenza. Quello che lui ha notato è che più vai avanti nel tempo più si nota introspezione nei testi, cosa che secondo me è vera. Poi eh noto anche che è un po' difficile che un giorno l'uomo si svegli e dica "le voci che sento sono mie e non degli dei", così come trovo un po' difficile che sia successo in un preciso momento storico. Personalmente credo che linguaggio e auto-coscienza si siano sviluppati insieme perchè il primo necessita del pensiero concettuale e la seconda necessita di un modo di esprimere i concetti. In una sorta di progresso ci credo.
Citazione di: acquario69 il 21 Dicembre 2016, 04:05:20 AMCitazioneSecondo lo psicologo Julian Jaynes nell'antichità gli esseri umani non erano coscienti. La loro mente era "bicamerale" perchè in sostanza era costituita da due parti.
secondo me già da questo ne deduco che questa teoria e' una balla colossale! poi prosegue pure dicendo che la mente sia qualcosa che possa "spezzettarsi" in parti,come se fosse qualcosa di misurabile. tutte queste teorie che svalutano a priori le diverse umanità che ci hanno preceduto..essendo noi gli eccelsi e i predestinati giunti finalmente alla meta conclusiva del suo percorso "evolutivo" !!.. e se invece fosse vero esattamente il contrario..in fondo anche questa può essere un altra ipotesi da valutare..e da dissidente quale sono ne avanzo qualcuna in merito; intanto bisognerebbe sin dall'inizio provare a non riportare la nostra stessa dimensione e il nostro stesso identico modo di concepire...e' più probabile secondo me che l'umanità era sicuramente più aperta nel percepire cose che noi oggi manco riusciamo più solo ad immaginare,perché loro avevano senz'altro una sensibilità e una maniera di percepire che andava ben oltre il solo ambito sensibile e "materiale" del termine (che mi pare sia ormai l'unico a cui ci si rifa sempre e solo riferimento) e questo lo si potrebbe già riscontrare con un attento esame ad un periodo storico relativamente più vicino a noi quale il medioevo. quindi il nostro rimanda sempre ad un riferimento "storico" e percio limitato,più o meno in senso cronologico,e a partire da certi dati a disposizione,prima dei quali non si avrebbero "informazioni" per "analizzare" i fatti! (pero appunto solo secondo i nostri criteri) di nessun tipo basati sempre sul medesimo criterio..che e' il nostro attuale ma non e' detto che sia appunto l'unico o che abbia reale valenza,perché così che a un certo punto e' stato deciso.
Guarda allora l'umanità era certamente più pronta a leggere in chiavi diverse la realtà. Ritengo difficile che oggi si possa formare una religione che non sia uno "spin-off" di quelle già esistenti, per esempio. Oggi infatti siamo fin troppo razionali e questo da un lato è una cosa positiva perchè ci libera dalla superstizione ma dall'altro è una cosa negativa perchè la sola indagine razionale chiude la porta ad altri tipi di indagine (ma questo è un problema molto recente, nato nell'illuminismo). Ad esempio a priori oggi siamo convinti che la realtà sia quella che si presenta ad un'analisi scientifica senza accorgerci che in realtà poniamo un assioma arbitrario. Forse è anche dovuto al fatto che oggi siamo anche ansiosi e maniaci del controllo e appunto la razionalità è un metodo di controllo.
Citazione di: acquario69 il 21 Dicembre 2016, 13:11:36 PM
PS: abbiamo la lingua più bella del mondo,di cui dovremmo esserne orgogliosi..quindi perché riportare link o magari in altri casi frasi o parole in inglese..una lingua non nostra e che non ci appartiene e che infatti ci stanno inculcando al pari della neolingua di orwell !
CitazioneAnche se credo che tutte le lingue del mondo siano belle e non ve ne sia una migliore delle altre, sono fortemente d' accordo con il resto.
Non se ne può più dell' inglese usato ad ogni occasione in tutte le salse come presunta lingua da "razza superiore" al posto della nostra lingua italiana, come se questa fosse per poveri trogloditi (...di quelli presunti privi di autocoscienza o addirittura di coscienza)!
Segnalo l' ultima infamia in proposito di cui sono venuto a conoscenza: con mia grande vergogna e sdegno il comune della mia amata città natale ha fatto accendere in questi giorni in una piazza del centro una grande scritta luminosa "Merry Christmas" credendo di apparire più internazionale e invece dimostrando tutto il suo ridicolo provincialismo, la sua sudditanza all' imperialismo dominante e il suo "complesso autorazzistico di inferiorità"!
Per fortuna pare dalle lettere ai giornali locali che non pochi miei concittadini non lobotomizzati si siano alquanto poco ..."nataliziamente" incazzati.
In merito al discorso sul QI penso che sia fondamentalmente sballato quando si intende riferirlo a una sorta di intelligenza assoluta (oggettiva e uguale per tutti nel suo significato funzionale). La misura del QI è una valutazione che già di per sé risente di una impostazione culturale specifica, lo stesso concetto di andare a valutare separatamente un' "intelligenza fluida" contrapposta a una "intelligenza cristallizzata" è il risultato di un modo di pensare del tutto attuale e contingente che si traduce anche neila valutazione e definizione quantificata dei risultati osservati e quindi dei loro andamenti con giudizi di validazione oggettiva che lasciano il tempo che trovano.
Il modo di risolvere i problemi resta sempre legato ai mezzi che si usano e ai modi in cui si usano nei contesti che li propongono. Chi utilizza abitualmente una vanga ha un suo modo intelligente di risolvere i problemi, assai diverso dal razionalismo astratto di chi usa un computer con un accesso a informazioni di tipo diverso che in modo diverso condizionano il suo modo di ragionare, di pensare e di vedere il mondo e pure il modo di scaricare delle sue sinapsi, oltre ai punteggi che ottiene nei test formulati da una psicologia che può avere senso solo nei tempi presenti. Detto questo è certamente vero che il mondo di una volta non era una sorta di Eden felice abitato da individui super intelligenti e lieti contadini e contadinelle in felice armonia con la "natura", direi piuttosto che oggi ci troviamo su un piano di comprensione diverso (che comprende anche la favola arcadica del passato, mai vissuto da chi viveva in quel passato) con limiti diversi e proprio sulla diversità di questi limiti varrebbe la pena di ragionare per tentare di capire cosa diventiamo, senza pretese di superiorità o di inferiorità di immaginazione nostalgica.
Per quanto riguarda l'autocoscienza, ossia la visione delineata della propria forma individuale di appartenenza (sia fisica - il mio corpo - che psichica - la mia anima che lo presenta nel suo eterno significare -) risente anch'essa enormemente delle visioni culturali varianti nei tempi e nei luoghi (oggi meno per quanto riguarda i luoghi, data la potenza globalizzante del modello culturale che viviamo e le continue suggestioni che produce ovunque). L'autocoscienza di uomini che vivevano in un villaggio isolato praticando la caccia, la raccolta o un'agricoltura di sussistenza, era dettata fondamentalmente dalla partecipazione attiva alla vita relazionale della loro comunità ristretta, nel bene e nel male, e, in tale ambito comunitario molto forte, la coscienza di sé stessi come individui a sé stanti si presentava molto più incerta ed evanescente, mentre assai più forte era il senso di una forma collettiva sovrastante che poteva anche esprimersi in manifestazioni che oggi, alla luce della nostra cultura separante e atomizzante, definiamo (con pretese panoramiche oggettive) allucinatorie. Queste esperienze erano invece il risultato di un necessario adattamento ai significati con cui si presentava l'esistenza nelle prassi relazionali in cui trovava espressione e non il sintomo di un doppio cervello diviso (idea, tra l'altro, assai individualistica nella sua oggettualità). L'autocoscienza, con tutta la interessantissima riflessione sulla propria interiorità personale maturante che l'accompagna, è comunque una costruzione artificialmente derivata nel corso di un paio centinaia di millenni e non un dato originario, organicamente rintracciabile, prefissato a priori come qualcosa di stabile nell'essere umano.
Poco tempo fa, feci delle ricerche sull'origine della personalità giuridica e dell'interesse economico.
Ebbene scoprii che l'interesse economico, come affitto del terreno per le colture, era già,con mia sorpresa , nel codice di Hammurabi dei babilonesi che ha regnato fra il 1792 e il 1795 a,C.
E' accertato che già prima i Sumeri conoscessero la matematica sessagesimale, algoritmi, tabelle per la risoluzione di equazioni di terzo grado, i principi del teorema di Pitagora.
L'uomo razionale storicamente si vuole dargli origine con la filosofia greca.
Quì nasce la sistematizzazione linguistica con i suoi principi logici predicativ e proposizionali
Ancora adesso ingegneri cercano di capire come si siano costruite le piramidi egizie,con le più varie teorie.
Ci fa comodo e superiori a dirci che noi siamo razionali e dentro il progresso,trattando altre culture come selvagge e retrograde.Non penso affatto che la cultura orientale non avendo la sistematizzazione occidentale che ha fatto da trampolino per la tecnica costruendo teoremi, leggi e le relative applicazioni sia per questo deducibile che le altre culture essendo relativamente a un livello tecnico più basso lo siano anche come autocoscienza.
Citazione di: paul11 il 21 Dicembre 2016, 23:28:07 PMPoco tempo fa, feci delle ricerche sull'origine della personalità giuridica e dell'interesse economico. Ebbene scoprii che l'interesse economico, come affitto del terreno per le colture, era già,con mia sorpresa , nel codice di Hammurabi dei babilonesi che ha regnato fra il 1792 e il 1795 a,C. E' accertato che già prima i Sumeri conoscessero la matematica sessagesimale, algoritmi, tabelle per la risoluzione di equazioni di terzo grado, i principi del teorema di Pitagora. L'uomo razionale storicamente si vuole dargli origine con la filosofia greca. Quì nasce la sistematizzazione linguistica con i suoi principi logici predicativ e proposizionali Ancora adesso ingegneri cercano di capire come si siano costruite le piramidi egizie,con le più varie teorie. Ci fa comodo e superiori a dirci che noi siamo razionali e dentro il progresso,trattando altre culture come selvagge e retrograde.Non penso affatto che la cultura orientale non avendo la sistematizzazione occidentale che ha fatto da trampolino per la tecnica costruendo teoremi, leggi e le relative applicazioni sia per questo deducibile che le altre culture essendo relativamente a un livello tecnico più basso lo siano anche come autocoscienza.
Un certo progresso secondo me lo vedi anche nelle culture orientali. Ad esempio nel buddismo theravada una volta si tendeva a leggere letteralmente che c'era Mara che parlava al Buddha, oggi si è capito che non è un dettaglio importante della dottrina. Allo stesso modo oggi in occidente non "parliamo più on gli spiriti". Ciò perchè ci relazioniamo in modo diverso con la nostra spiritualità rispetto al passato.
Come però ho già detto intelligenza e razionalità sono certamente progredite forse anche perchè abbiamo un senso dell'io sviluppato. I dubbi mi permangono sul fatto che un tale scenario sia un effettivo progresso in senso "etico"...
Citazione di: maral il 21 Dicembre 2016, 20:50:25 PMIn merito al discorso sul QI penso che sia fondamentalmente sballato quando si intende riferirlo a una sorta di intelligenza assoluta (oggettiva e uguale per tutti nel suo significato funzionale). La misura del QI è una valutazione che già di per sé risente di una impostazione culturale specifica, lo stesso concetto di andare a valutare separatamente un' "intelligenza fluida" contrapposta a una "intelligenza cristallizzata" è il risultato di un modo di pensare del tutto attuale e contingente che si traduce anche neila valutazione e definizione quantificata dei risultati osservati e quindi dei loro andamenti con giudizi di validazione oggettiva che lasciano il tempo che trovano. Il modo di risolvere i problemi resta sempre legato ai mezzi che si usano e ai modi in cui si usano nei contesti che li propongono. Chi utilizza abitualmente una vanga ha un suo modo intelligente di risolvere i problemi, assai diverso dal razionalismo astratto di chi usa un computer con un accesso a informazioni di tipo diverso che in modo diverso condizionano il suo modo di ragionare, di pensare e di vedere il mondo e pure il modo di scaricare delle sue sinapsi, oltre ai punteggi che ottiene nei test formulati da una psicologia che può avere senso solo nei tempi presenti. Detto questo è certamente vero che il mondo di una volta non era una sorta di Eden felice abitato da individui super intelligenti e lieti contadini e contadinelle in felice armonia con la "natura", direi piuttosto che oggi ci troviamo su un piano di comprensione diverso (che comprende anche la favola arcadica del passato, mai vissuto da chi viveva in quel passato) con limiti diversi e proprio sulla diversità di questi limiti varrebbe la pena di ragionare per tentare di capire cosa diventiamo, senza pretese di superiorità o di inferiorità di immaginazione nostalgica. Per quanto riguarda l'autocoscienza, ossia la visione delineata della propria forma individuale di appartenenza (sia fisica - il mio corpo - che psichica - la mia anima che lo presenta nel suo eterno significare -) risente anch'essa enormemente delle visioni culturali varianti nei tempi e nei luoghi (oggi meno per quanto riguarda i luoghi, data la potenza globalizzante del modello culturale che viviamo e le continue suggestioni che produce ovunque). L'autocoscienza di uomini che vivevano in un villaggio isolato praticando la caccia, la raccolta o un'agricoltura di sussistenza, era dettata fondamentalmente dalla partecipazione attiva alla vita relazionale della loro comunità ristretta, nel bene e nel male, e, in tale ambito comunitario molto forte, la coscienza di sé stessi come individui a sé stanti si presentava molto più incerta ed evanescente, mentre assai più forte era il senso di una forma collettiva sovrastante che poteva anche esprimersi in manifestazioni che oggi, alla luce della nostra cultura separante e atomizzante, definiamo (con pretese panoramiche oggettive) allucinatorie. Queste esperienze erano invece il risultato di un necessario adattamento ai significati con cui si presentava l'esistenza nelle prassi relazionali in cui trovava espressione e non il sintomo di un doppio cervello diviso (idea, tra l'altro, assai individualistica nella sua oggettualità). L'autocoscienza, con tutta la interessantissima riflessione sulla propria interiorità personale maturante che l'accompagna, è comunque una costruzione artificialmente derivata nel corso di un paio centinaia di millenni e non un dato originario, organicamente rintracciabile, prefissato a priori come qualcosa di stabile nell'essere umano.
Sulla questione pratica-evoluzione della mente credo che si possa anche pensare che si siano influenzate in modo reciproco. Cioè che un certo tipo di mente tende a fare certe attività e che certe attività tendono a plasmare la mente. Motivo per cui, senza credermi superiore (!), ritengo che la nostra mente funzioni in modo diverso da quella di altre civiltà sia per cambiamenti interni che esterni. D'altronde noi tutti siamo inseriti in un contesto sociale e questo ci plasma con riti, abitudini, modi di pensare, attività fisiche ecc. In sostanza l'errore grande della teoria della mente bicamerale è che perde di vista il fatto che mente e pragmatica sono molto connesse e quindi anche i modi di esprimersi condizionano la mente.
Credo che il limite della teoria bicamerale sia nel presupporre un mutamento strutturale della mente nel tempo senza spiegare perché questo mutamento sarebbe avvenuto. A parte il fatto che situazioni di voci interiori, spesso imperative, ma non sempre, sono documentate anche nelle popolazioni umane moderne, per cui in effetti si potrebbe dire che il mutamento strutturale non c'è stato.
Ipotizzando che ci fosse stato mi sembra difficile possa essere un mutamento di tipo evoluzionistico perché non ci sono i tempi né le ragioni. Potrebbe certamente essere l'effetto dell'evoluzione culturale, ad esempio una crescita dei contenuti e quindi delle voci culturali nella seconda camera ha reso sempre meno rilevante la voce derivante dalla prima camera. Questa spiegazione particolare aiuterebbe anche a spiegare perché sono soprattutto gli individui dotati di cultura ad avere poca fede.
Citazione di: anthonyi il 26 Dicembre 2016, 10:53:47 AMCredo che il limite della teoria bicamerale sia nel presupporre un mutamento strutturale della mente nel tempo senza spiegare perché questo mutamento sarebbe avvenuto. A parte il fatto che situazioni di voci interiori, spesso imperative, ma non sempre, sono documentate anche nelle popolazioni umane moderne, per cui in effetti si potrebbe dire che il mutamento strutturale non c'è stato. Ipotizzando che ci fosse stato mi sembra difficile possa essere un mutamento di tipo evoluzionistico perché non ci sono i tempi né le ragioni. Potrebbe certamente essere l'effetto dell'evoluzione culturale, ad esempio una crescita dei contenuti e quindi delle voci culturali nella seconda camera ha reso sempre meno rilevante la voce derivante dalla prima camera. Questa spiegazione particolare aiuterebbe anche a spiegare perché sono soprattutto gli individui dotati di cultura ad avere poca fede.
Sì l'autore non spiega affatto il "miracolo" per cui le "voci" sono sparite all'improvviso... Detto questo è interessante quanto dici della relazione cultura-fede. D'altro canto da sempre la cultura è "malvista" da molti credenti come una sorta di "auto-inganno".
Leggo nei post precedenti moltissime imprecisioni e deformazioni sul pensiero di J. Jaynes, tanto che ritengo che
quasi nessuno abbia letto il libro o abbia preso informazioni rabberciate da wikipedia od altro.
Eppure lo spessore dello studioso dovrebbe indurre a giudizi piu' cauti sulle sue presunte doti di ciarlatano
o spregiatore delle civilta' antiche. Insieme alla "Rinascita del tempo" del fisico Lee Smolin, ritengo "l'origine
della coscienza" uno dei migliori libri di divulgazione degli ultimi anni.
Jaynes e' stato cattedratico in psicologia a Yale ed Harvard, aveva continui rapporti con Skinner,Quine, Dennett ecc.
insomma apparteneva al mainstream della psicologia americana. La sua teoria e' cosi' clamorosa che e' stata ricusata
dall'ortodossia, ma negli anni molte delle sue intuizioni sono state avvalorate da ricerche piu' recenti.
https://www.ted.com/talks/mariano_sigman_your_words_may_predict_your_future_mental_health?language=it
Dato l'enorme mole di materiale contenuto nel suo prezioso libro, che spazia dalla psicologia alla storia,
dall'antropologia alla semiotica e alla linguistica mi piacerebbe confrontarmi con chi conosce il libro perche' non
mi e' possibile in poche frasi riassumere la sua posizione che offre eccitanti spunti anche in chiave filosofica,
con la demolizione del concetto di atomismo logico di Bertrand Russell.
Rimarchevoli le prime 100 pagine del libro, in cui qualifica il nostro concetto di coscienza per esclusione.
Per chi volesse approfondire linko una pagina della sua fondazione (in inglese)
http://www.julianjaynes.org/supporting-evidence_ancient-texts.php
Citazione di: filofisico il 04 Gennaio 2017, 21:35:25 PMLeggo nei post precedenti moltissime imprecisioni e deformazioni sul pensiero di J. Jaynes, tanto che ritengo che quasi nessuno abbia letto il libro o abbia preso informazioni rabberciate da wikipedia od altro. Eppure lo spessore dello studioso dovrebbe indurre a giudizi piu' cauti sulle sue presunte doti di ciarlatano o spregiatore delle civilta' antiche. Insieme alla "Rinascita del tempo" del fisico Lee Smolin, ritengo "l'origine della coscienza" uno dei migliori libri di divulgazione degli ultimi anni. Jaynes e' stato cattedratico in psicologia a Yale ed Harvard, aveva continui rapporti con Skinner,Quine, Dennett ecc. insomma apparteneva al mainstream della psicologia americana. La sua teoria e' cosi' clamorosa che e' stata ricusata dall'ortodossia, ma negli anni molte delle sue intuizioni sono state avvalorate da ricerche piu' recenti. https://www.ted.com/talks/mariano_sigman_your_words_may_predict_your_future_mental_health?language=it Dato l'enorme mole di materiale contenuto nel suo prezioso libro, che spazia dalla psicologia alla storia, dall'antropologia alla semiotica e alla linguistica mi piacerebbe confrontarmi con chi conosce il libro perche' non mi e' possibile in poche frasi riassumere la sua posizione che offre eccitanti spunti anche in chiave filosofica, con la demolizione del concetto di atomismo logico di Bertrand Russell. Rimarchevoli le prime 100 pagine del libro, in cui qualifica il nostro concetto di coscienza per esclusione. Per chi volesse approfondire linko una pagina della sua fondazione (in inglese) http://www.julianjaynes.org/supporting-evidence_ancient-texts.php
Grazie della segnalazione :) in effetti avevo scritto di non saperne molto dell'argomento. Però l'idea di base mi pareva di averla capita. Felice di sbagliarmi se sono caduto in errore!
Qui sotto c'e' dell'altro materiale che chiarisce brillantemente i principali temi del libro in questione,
certamente molto meglio di quello che avrei potuto fare io.
https://grafemi.wordpress.com/2012/09/21/il-crollo-della-mente-bicamerale-julian-jaynes/
buona lettura...
Citazione di: filofisico il 05 Gennaio 2017, 22:32:37 PM
Qui sotto c'e' dell'altro materiale che chiarisce brillantemente i principali temi del libro in questione,
certamente molto meglio di quello che avrei potuto fare io.
https://grafemi.wordpress.com/2012/09/21/il-crollo-della-mente-bicamerale-julian-jaynes/
buona lettura...
L'autore ha abbastanza ragione sull'analisi storica, non sulla deduzione finale di una mente bicamerale.
Come ho già fatto presente anche nel forum spiritualità, fino ad un certo punto della storia delle civltà. l'errore anche di molti traduttori del testo originario è il non seguirlo letteralmente.
E' avvenuto nella cultura indiana, nella cultura sumerico trasposta da quella ebraica, nella Grecia antica pre filosfica( a cui Omero ancora appartiene).
Il fatto che l'autore se ne sia accorto ,da una parte m ifa piacere perchè avalla lamia stessa interpretazione.
Il problema fondamentale è questo: fino ad un certo punto della storia,ribadisco, il linguaggio deve essere. tradotto il più vicino possible al testo originario e non con il pensiero dell'uomo tipico occidentale del giorno d'oggi, poi arriva la "prima" spiritualizzazione del pensiero e il linguaggio si sposta nei simboli e quì avviene il fatto importante, la realtà del mondo è anche quella degli dei e sono i miti a rappresentare la coscienza umana.
E' con la filosofia che avviene il secondo salto linguistico della spiritualità/metafisica, l'uomo esplora il mondo-se stesso introietta la coscienza che prima era esternalizzata negli dei e nei miti.
Non è quindi la struttura fisica del cervello il risultato, ma il rapporto uomo-coscienza-linguaggio che storicamente ha mutato le civiltà, per cui prima il linguaggio è descrittivo della realtà, poi coscienza-simbolo esteriore, infine coscienza interiore-metafora.
Citazione di: paul11 il 05 Gennaio 2017, 23:29:34 PM
Citazione di: filofisico il 05 Gennaio 2017, 22:32:37 PM
Q
L'autore ha abbastanza ragione sull'analisi storica, non sulla deduzione finale di una mente bicamerale.
Come ho già fatto presente anche nel forum spiritualità, fino ad un certo punto della storia delle civltà. l'errore anche di molti traduttori del testo originario è il non seguirlo letteralmente.
E' avvenuto nella cultura indiana, nella cultura sumerico trasposta da quella ebraica, nella Grecia antica pre filosfica( a cui Omero ancora appartiene).
Il fatto che l'autore se ne sia accorto ,da una parte m ifa piacere perchè avalla lamia stessa interpretazione.
Il problema fondamentale è questo: fino ad un certo punto della storia,ribadisco, il linguaggio deve essere. tradotto il più vicino possible al testo originario e non con il pensiero dell'uomo tipico occidentale del giorno d'oggi, poi arriva la "prima" spiritualizzazione del pensiero e il linguaggio si sposta nei simboli e quì avviene il fatto importante, la realtà del mondo è anche quella degli dei e sono i miti a rappresentare la coscienza umana.
E' con la filosofia che avviene il secondo salto linguistico della spiritualità/metafisica, l'uomo esplora il mondo-se stesso introietta la coscienza che prima era esternalizzata negli dei e nei miti.
Non è quindi la struttura fisica del cervello il risultato, ma il rapporto uomo-coscienza-linguaggio che storicamente ha mutato le civiltà, per cui prima il linguaggio è descrittivo della realtà, poi coscienza-simbolo esteriore, infine coscienza interiore-metafora.
In questa tua conclusione non vedo contraddizioni con il pensiero di Jaynes, il cervello e' in ogni caso altamente plastico, essendo
il sistema nervoso il primo presidio per rispondere alle pressioni evolutive biologiche.
E' chiaro che le tesi dell'autore si inseriscono
in un contesto darwiniano. Interessante invece l'importanza della scrittura rispetto alla parola nelle concause del crollo della mente bicamerale;
la voce e' ancora gesto, denotativa direbbe De Saussurre, mentre l'alfabeto e' connotativo, crea foreste di simboli e gli spazi mentali nei quali
l'uomo moderno crea i suoi spazi interiori. Parafrasando il celebre incipit di Descartes forse Jaynes si potrebbe semplificare dicendo:
Scrivo quindi sono.
Citazione di: filofisico il 06 Gennaio 2017, 14:55:54 PM
Citazione di: paul11 il 05 Gennaio 2017, 23:29:34 PM
Non è quindi la struttura fisica del cervello il risultato, ma il rapporto uomo-coscienza-linguaggio che storicamente ha mutato le civiltà, per cui prima il linguaggio è descrittivo della realtà, poi coscienza-simbolo esteriore, infine coscienza interiore-metafora.
In questa tua conclusione non vedo contraddizioni con il pensiero di Jaynes
E' chiaro che le tesi dell'autore si inseriscono
in un contesto darwiniano. Interessante invece l'importanza della scrittura rispetto alla parola nelle concause del crollo della mente bicamerale;
la voce e' ancora gesto, denotativa direbbe De Saussurre, mentre l'alfabeto e' connotativo, crea foreste di simboli e gli spazi mentali nei quali
l'uomo moderno crea i suoi spazi interiori. Parafrasando il celebre incipit di Descartes forse Jaynes si potrebbe semplificare dicendo:
Scrivo quindi sono.
CitazioneIl linguaggio (come mezzo di comunicazione interpersonale; e anche il pensiero linguistico, il linguaggio come modo di pensare), anche solo parlato ("detto e sentito"), cioé prima dell' invenzione della scrittura, é già simbolico: una parola anche solo detta o sentita e non scritta può sia denotare oggetti (enti ed eventi) concreti - materiali, sia connotarli e inoltre può connotare (ed eventualmente denotare) concetti astratti e altre esperienze mentali, oltre che connotare oggetti concreti fantastici, inesistenti (privi di denotazione reale).
Anche prima dell' invenzione della scrittura gli uomini conoscevano e pensavano concetti astratti e concetti di stati mentali, raccontavano ricordi, sogni (a occhi chiusi e a occhi aperti), fantasie, inventavano miti (e magari mentivano anche di proposito); e dunque avevano tutti i "mezzi mentali" necessari per essere autocoscienti (coscienti lo sono sempre stati, al pari -si può ragionevolmente presumere- di molte altre specie animali, purché dotate di sistemi nervosi sufficientemente sviluppati e complessi).
Secondo me la parafrasi cartesiana calzante sarebbe "parlo, dunque sono" (che non é poi molto diversa dall' originario "cogito": Cartesio, per lo meno quando meditava di metafisica, pensava linguisticamente, cioé "parlava con se stesso innanzitutto e con gli altri").
Ho molte perplessità sulla teoria dell'evoluzione, perchè se studiamo un "meccanismo" non basta scomporne ne parti, gli insiemi funzionali, bisogna necessariamente conoscerne il progetto. Aristotele aveva intuito e capito qualcosa, coniando il termine entelachia, un finalismo evolutivo, ma ancora manca la fase di progettazione;:perchè si costruisce un meccanismo funzionante in una certa maniera e finalizzato ad uno scopo.
Ma rischio di andare o.t.
La parola inplica e sforza la memoria se non esiste la scrittura.
Dicono che oggi abbiamo superato anche la scrittura, essendo nel tempo delle immagini-
La scrittura deve essere mediata dal segno-significante e persino dall'interpretante non essendoci il passaggio diretto della parola-
La tradizione ebraica sacralizza il testo scritto, per cui tutto deve essere riscritto perfettamente uguale.
La tradizione induista passa oralmente e mnemonicamente da millenni interi testi sacri(così sono stati "scoperti" brani vedici anche del Mahabharata
Trovo, e quì lo dico brevemente, che la tradizione talmudica ebraica abbia dato alcune risposte contrapposte al modo comune di pensare, che non ci sia stato nemmeno a livello genetico una progressione, ma regressione dell'uomo e si riferisce all'epoca prediluviana e prima della torre di Babele che fanno da spartiacque al decadimento dell'umanità. La stessa cosa dice il kali-yuga vedico,segnato dal progresso materiale e decadenza spirituale
X Sgiombo( e tutti)
Dal libro dell'autore cito testualmente (pag 539)
-una versione debole della teoria asserirebbe che la coscienza si fonda sul linguaggio, ma invece che
essere un fenomeno cosi' recente, ebbe inizio proprio con il sorgere del linguaggio,forse anche prima
della civilizzazione,diciamo 12000 anni A.C,pressappoco con l'inizio della mentalita' bicamerale
di udire le voci.Entrambi i sistemi mentali (mente bicamerale e coscienza) sarebbero potuti procedere
assieme fino all'abbandono della mente bicamerale................Questa e' una posizione estremente
debole,poiche' potrebbe spiegare quasi tutto, ed e' pressoche' inconfutabile (N.B metodo popperiano,
posizione mi pare accostabile all'intervento di Sgiombio).
La versione forte e' di maggior interesse ed e' quella enunciata nell'introdurre il concetto di mente bicamerale.Essa stabilisce una data sorprendentemente vicina per l'ingresso nel mondo di questa
straordinaria privatezza di eventi non manifesti che chiamiamo coscienza..........la data e' all'incirca
il 1000 A.C. questa datazione puo' essere individuata nelle testimonianze provenienti dalla
Mesopotamia, dove il disgregarsi della mente bicamerale e' ben evidente.Esso fu dovuto alle
caotiche disfunzioni sociali,alla sovrappopolazione e probabilmente al successo della scrittura
nel rimpiazzare le modalita' orali di comando (indebolimento delle voci allucinatorie dell'emisfero
destro). questa disgregazione diede origine a molte pratiche che ora chiameremmo religiose, che furono sforzi per reintegrare le voci perdute degli dei.-
Le precisazioni di Sgiombo,condivisibili in quanto da me malamente interpretata la suddetta teoria, non inficiano il ruolo
portante della scrittura nella genesi della coscienza "moderna".
Altro punto di estremo interesse, che qualifica la ricerca jaynesiana come assolutamente eccentrica, e' il concetto di
autocoscienza come precipua caratteristica dell'uomo rispetto alle altre specie viventi.
Cio' viene recisamente negato all'autore:-Quando ci poniamo la domanda "che cosa e' la coscienza?" diventiamo
coscienti della coscienza.E la maggior parte di noi ritiene che proprio questa coscienza della coscienza
sia la coscienza. MA NON E' COSI'.-(pag 37 ib)
Ho riflettuto a lungo sul fatto che Jaynes ricusasse l'autocoscienza come caratteristica eminentemente umana, poi piu'
avanti nel libro ho trovato la soluzione:- La metafora e' il fondamento costitutivo del linguaggio(pag 70 ib).......
Se capire una cosa significa pervenire ad una metafora che ce la renda familiare, possiamo vedere che nel
comprendere la coscienza ci sara' SEMPRE una DIFFICOLTA'. dovrebbe essere immediatamente chiaro
che nella nostra esperienza immediata non c'e' e non puo' esserci alcunche' di simile all'esperienza immediata stessa.
Si puo' dire percio' che in un certo senso noi non saremo mai in grado di capire la coscienza nello stesso modo in cui
possiamo capire le cose di cui siamo coscienti.-
Questo potrebbe definirsi forse "il problema difficile" di Chalmers, ma mentre in Chalmers non approda a niente,
https://it.wikipedia.org/wiki/David_Chalmers
In Jaynes mi trasmette una strana sensazione di pace interiore,di appagamento
Citazione di: filofisico il 06 Gennaio 2017, 23:20:12 PM
X Sgiombo( e tutti)
Dal libro dell'autore cito testualmente (pag 539)
-una versione debole della teoria asserirebbe che la coscienza si fonda sul linguaggio, ma invece che
essere un fenomeno cosi' recente, ebbe inizio proprio con il sorgere del linguaggio,forse anche prima
della civilizzazione,diciamo 12000 anni A.C,pressappoco con l'inizio della mentalita' bicamerale
di udire le voci.Entrambi i sistemi mentali (mente bicamerale e coscienza) sarebbero potuti procedere
assieme fino all'abbandono della mente bicamerale................Questa e' una posizione estremente
debole,poiche' potrebbe spiegare quasi tutto, ed e' pressoche' inconfutabile (N.B metodo popperiano,
posizione mi pare accostabile all'intervento di Sgiombio).
La versione forte e' di maggior interesse ed e' quella enunciata nell'introdurre il concetto di mente bicamerale.Essa stabilisce una data sorprendentemente vicina per l'ingresso nel mondo di questa
straordinaria privatezza di eventi non manifesti che chiamiamo coscienza..........la data e' all'incirca
il 1000 A.C. questa datazione puo' essere individuata nelle testimonianze provenienti dalla
Mesopotamia, dove il disgregarsi della mente bicamerale e' ben evidente.Esso fu dovuto alle
caotiche disfunzioni sociali,alla sovrappopolazione e probabilmente al successo della scrittura
nel rimpiazzare le modalita' orali di comando (indebolimento delle voci allucinatorie dell'emisfero
destro). questa disgregazione diede origine a molte pratiche che ora chiameremmo religiose, che furono sforzi per reintegrare le voci perdute degli dei.-
Le precisazioni di Sgiombo,condivisibili in quanto da me malamente interpretata la suddetta teoria, non inficiano il ruolo
portante della scrittura nella genesi della coscienza "moderna".
Altro punto di estremo interesse, che qualifica la ricerca jaynesiana come assolutamente eccentrica, e' il concetto di
autocoscienza come precipua caratteristica dell'uomo rispetto alle altre specie viventi.
Cio' viene recisamente negato all'autore:-Quando ci poniamo la domanda "che cosa e' la coscienza?" diventiamo
coscienti della coscienza.E la maggior parte di noi ritiene che proprio questa coscienza della coscienza
sia la coscienza. MA NON E' COSI'.-(pag 37 ib)
Ho riflettuto a lungo sul fatto che Jaynes ricusasse l'autocoscienza come caratteristica eminentemente umana, poi piu'
avanti nel libro ho trovato la soluzione:- La metafora e' il fondamento costitutivo del linguaggio(pag 70 ib).......
Se capire una cosa significa pervenire ad una metafora che ce la renda familiare, possiamo vedere che nel
comprendere la coscienza ci sara' SEMPRE una DIFFICOLTA'. dovrebbe essere immediatamente chiaro
che nella nostra esperienza immediata non c'e' e non puo' esserci alcunche' di simile all'esperienza immediata stessa.
Si puo' dire percio' che in un certo senso noi non saremo mai in grado di capire la coscienza nello stesso modo in cui
possiamo capire le cose di cui siamo coscienti.-
Questo potrebbe definirsi forse "il problema difficile" di Chalmers, ma mentre in Chalmers non approda a niente,
https://it.wikipedia.org/wiki/David_Chalmers
In Jaynes mi trasmette una strana sensazione di pace interiore,di appagamento
CitazioneE' ovviamente impossibile criticare in due a parole un libro di centinaia di pagine.
Quel che posso dire (anche avendo letto l' intervento di Paolo Zardi da te linkato in un precedente intervento) è che questa teoria mi fa la netta impressione di una serie di fantasiose ipotesi "in libera uscita a briglia sciolta dall' immaginazione", anche se con pretese "prove documentali" (un po' come le elucubrazioni sulle "scie chimiche nel cielo").
Fra l' altro, salvo che in quest' ultimo tuo intervento, mi sembra che da parte di chi illustra questa teoria (compreso Paolo Zardi) si faccia una costante confusione fra coscienza (che per me è ragionevolissimo pensare sia posseduta anche da molte altre specie animali) ed autocoscienza (che per me, contrariamente a Jaines, che qui dici negarlo recisamente, è esclusivamente umana e probabilmente richiede, come conditio sine qua, non elevate capacità di pensiero astratto che per lo meno sono alla base del linguaggio e che dal linguaggio sono potentemente favorite e sviluppate).
Non sono nemmeno d' accordo che la metafora (una metafora, fra le tante altre possibili) sia da identificarsi con la comprensione di un problema; per me una metafora al massimo può costituire un aiuto nella comprensione o un tentativo di "adombrare" (e non realmente spiegare) ciò che si intende comunicare a chi non sia dotato dei mezzi teorici necessari per comprenderlo realmente (una autentica, reale spiegazione – comprensione di un problema per me richiede una serie di argomentazioni più o meno astratte costituenti un discorso logico inferenziale).
ll "problema difficile di Chalmers è tutt' altra cosa, cioè quello del nesso o relazione fra l' esperienza cosciente da una parte e il cervello dall' altra.
Chalmemers non lo risolve (almeno non soddisfacentemente per me; proponendo comunque un' ipotesi panpsichistica a mio avviso poco convincente e non sufficientemente esplicativa), ma ha l' immenso merito di riconoscerlo di rendersene conto, al contrario di pressocché tutti i neurofisiologi e gran parte dei filosofi della mente che credono che l' individuare e il definire sempre meglio, con crescente precisione e completezza, i correlati neurofisiologici della coscienza (con i quali indebitamente, erroneamente tendono ad identificarla, mentre di si tratta di ben diverse "cose"!) risolva tutti i problemi (molti del "problema difficile" nemmeno si rendono conto).
Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.
Citazione di: maral il 07 Gennaio 2017, 13:11:00 PM
Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.
CitazioneA me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire).
Secondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 10:26:58 AM
A me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire)
.
Ma la relatività del moto che regge la metafora dell'esempio, può essere mai pensata e compresa se non attraverso metafore? non è che il concetto astratto della relatività del moto non sia in fondo altro che ciò che lega e si pensa sottostare a tanti diversi accadere che appaiono metaforicamente legati l'uno all'altro e che alla fine, proprio per considerarli tutti insieme li leghiamo in quel solo principio di significare metaforico che è la relatività del moto?
CitazioneSecondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che
Citazionea ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.
Il problema è che il soggetto che conosce non può conoscere, proprio per quanto si è detto, l' "intero" di se stesso, per questo il se stesso che vede in oggetto, nella propria prospettiva, non è lui che conosce determinando la prospettiva in cui si vede. Al massimo se lo immagina, lo vuole così per recuperare la sua unità che sente necessaria. Ciò che non può vedere è proprio il se stesso che sta vedendo, ossia il punto di partenza che lo determina. Può vederlo come riflesso di ciò che gli altri vedono e gli raccontano di lui, ma ciò che gli altri vedono è pur sempre lui che lo vede nella sua parzialità visiva, dunque l'immagine che ho di me, non sono io, proprio perché per vederla io non sono quell'immagine, quell'oggetto in cui mi identifico, anche se mi metto davanti a uno specchio che sembra dirmi questo sei proprio tu.
Citazione di: paul11 il 06 Gennaio 2017, 21:59:24 PM
Ho molte perplessità sulla teoria dell'evoluzione, perchè se studiamo un "meccanismo" non basta scomporne ne parti, gli insiemi funzionali, bisogna necessariamente conoscerne il progetto. Aristotele aveva intuito e capito qualcosa, coniando il termine entelachia, un finalismo evolutivo, ma ancora manca la fase di progettazione;:perchè si costruisce un meccanismo funzionante in una certa maniera e finalizzato ad uno scopo.
Ma rischio di andare o.t.
La parola inplica e sforza la memoria se non esiste la scrittura.
Dicono che oggi abbiamo superato anche la scrittura, essendo nel tempo delle immagini-
La scrittura deve essere mediata dal segno-significante e persino dall'interpretante non essendoci il passaggio diretto della parola-
La tradizione ebraica sacralizza il testo scritto, per cui tutto deve essere riscritto perfettamente uguale.
La tradizione induista passa oralmente e mnemonicamente da millenni interi testi sacri(così sono stati "scoperti" brani vedici anche del Mahabharata
Trovo, e quì lo dico brevemente, che la tradizione talmudica ebraica abbia dato alcune risposte contrapposte al modo comune di pensare, che non ci sia stato nemmeno a livello genetico una progressione, ma regressione dell'uomo e si riferisce all'epoca prediluviana e prima della torre di Babele che fanno da spartiacque al decadimento dell'umanità. La stessa cosa dice il kali-yuga vedico,segnato dal progresso materiale e decadenza spirituale
Non rischi di andare off topic, con Jaynes e' quasi impossibile vista la vastita' di argomentazioni e l'incrocio spericolato
tra molteplici discipline che rende, a mio giudizio, difficile il controllo del tessuto argomentativo del libro.
Nel capitolo "Auspici della scienza", si esprime in questi termini che io traslo secondo tradizione talmudica:
-In Gran Bretagna,a partire dal seicento, lo studio della cosidetta storia naturale era comunemente la gioia consolatrice
di individuare in natura le perfezioni di un creatore benevolo.......ma l'annuncio congiunto per opera di due uomini
formatisi in quello stesso ambiente,Darwin e Wallace,entrambi naturalisti dilettanti di gran livello, che era stata l'evoluzione
e non l'intelligenza divina a creare l'intera natura,fu come un cataclisma.......Il CASO,freddo e non calcolatore,dando ad
alcuni la capacita' di sopravvivere meglio in questa lotta per la vita......ha foggiato questa specie umana dalla materia.
quando si combino' con il materialismo tedesco(huxley), la teoria dell'evoluzione per selezione naturale fu il cupo rintocco
funebre per quella tradizione che aveva nobilitato l'uomo facendone la deliberata creazione delle grandezze possenti, che
risaliva direttamente sino alle remote profondita'inconsce dell'epoca bicamerale.
Questa teoria diceva in poche parole che non c'e' alcuna autorizzazione esterna,guardate bene,non c'e' nulla.Quel che dobbiamo
fare deve venire da noi stessi.......dobbiamo divenire la nostra stessa autorizzazione -pag 520
Fin qui niente di nuovo, su Darwin il dibattito e' sempre infuocato, invece qualche pagina piu' indietro c'e' forse un contributo
piu' interessante:
-Noi talvolta pensiamo,e ci piace pensare, che le due imprese piu' grandi che hanno influito sull'umanita', la religione e la scienza,
sono sempre state avversarie storiche e ci attirano in direzioni opposte.Ma questo e' clamorosamente erroneo.Non la religione
e la scienza, ma la chiesa e la scienza furono ostili l'una all'altra.E fu rivalita' non conflitto.Tanto la chiesa quanto la scienza
furono religiose;erano due giganti che si combattevano muovendosi sullo stesso terreno..........
Per comprendere correttamente la rivoluzione scientifica dovremmo sempre ricordare che il suo impulso piu' possente fu
la ricerca instancabile della divinita' nascosta.In questi termini essa e' una discendente diretta del crollo della mente bicamerale-pag 516
E poi prosegue citando Newton,Locke e john Ray.Anche oggi e' cosi', Einstein non ha esclamato contro la fisica quantistica
la famosa invettiva "Dio non gioca a dadi con l'universo!" oppure Godel non ha tentato di dimostrare matematicamente
l'esistenza di Dio? Sembra che la teoria dell'evoluzione non RIESCA ad essere compresa fino alle sue ultime conseguenze,
E' intellettualizzata e catalogata in un angolo della coscienza, ma sembra che la nostra mente non la possa accettare.
E quindi si va dal mondo ologramma di Bohm, ai multimondi di Green, tutto va bene purche' ci sia una spiegazione Esterna.
Quindi quello che dici e' quello che pensano quasi tutti.
Certo mi si puo' dire che anche il darwinismo e' una religione,una rappresentazione, ma per me si tratta di scegliere il male
minore, dato che e' suffragato da migliaia e migliaia di verifiche e di osservazioni, che tutte le altre rappresentazioni si sognano.
In merito all'altra questione da te tratteggiata con la presunta decadenza del genere umano, come testimoniato da antichi libri
di saggezza,anche qui l'autore ha parole derimenti la questione:
-......() E' questa,io penso,ancora un'altra caratteristica della forma religiosa ch tali movimenti hanno raccolto, nel vuoto causato
dal venir meno della certezza ecclesiastica: quella di una presunta CADUTA dell'uomo.
Questa idea strana,e secondo me falsa, di un innocenza perduta assume il suo contrassegno proprio nel crollo della mente bicamerale
come prima grande narratizzazione cosciente dell'umanita'. Ed ecco il canto dei Salmi assiri, il lamento degli inni ebraici, il mito
dell'Eden..........Io interpreto questa ipotetica caduta dell'uomo, come il tentativo di uomini da poco coscienti di narratizzare
cio' che era a loro accaduto, la perdita delle voci e delle assicurazioni divine in un caos di orientamenti umani ed egoismi
iniviuali.questo tema di una certezza e splendori perduti noi lo vediamo non solo affermato da tutte le religioni storiche, ma anche nelle
tradizioni non religiose.La troviamo a partire dalla teoria dell'anamnesi nei dialoghi platonici,secondo cui ogni cosa nuova e' in realta'
solo il ricordo di un mondo migliore perduto, sino ai lamenti di Rousseau per la corruzione dell'uomo naturale da parte degli artifici
della civilta'.E lo si riconosce anche negli scientismi moderni, nell'assunto di Marx di una perduta "infanzia sociale del'umanita'"....
o nell'accento posto da Freud sul profondo radicamento delle nevrosi nella civilta'e di terribili azioni e desideri nel nostro passato
razziale ed individuale, e nell'affermazione implicita di una piu' antica innocenza,del tutto vaga.........-pag 527-28
Orbene,secondo Jaynes, sembra che dal trapasso della mente bicamerale alla coscienza,datata ormai 3000 e piu' anni fa,
l'uomo non ha ancora superato lo shock della "scoperta" della soggettivita',imprigionato come si sente in un corpo
destinato all'annichilimento, volgendosi con Nostalgia ai tempi in cui le sue azioni erano dettate dall'oggettivita'
garantita dalle voci.
Citazione di: maral il 07 Gennaio 2017, 13:11:00 PM
Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.
Anche io la penso cosi', ho appuntato nel libro una frase che cosi' recita: piu' sei cosciente e piu' sei lontano dalla realta'
Citazione di: maral il 08 Gennaio 2017, 13:18:49 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 10:26:58 AM
A me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire)
.
Ma la relatività del moto che regge la metafora dell'esempio, può essere mai pensata e compresa se non attraverso metafore? non è che il concetto astratto della relatività del moto non sia in fondo altro che ciò che lega e si pensa sottostare a tanti diversi accadere che appaiono metaforicamente legati l'uno all'altro e che alla fine, proprio per considerarli tutti insieme li leghiamo in quel solo principio di significare metaforico che è la relatività del moto?
CitazioneLa relatività del moto è un concetto astratto.
E come tutti i concetti astratti non può essere pensata se non per l' appunto astraendo caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti (nella fattispecie ai moti relativi fra terra, sole, "stelle fisse", ai moti relativi fra treno sul primo binario, treno sul secondo binario, stazione e binari e a un' infinità di altri casi concreti).
Invece le metafore sono sostituzioni di termini proprio con termini figurati, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini.
La sussunzione mediante astrazione sotto una legge generale di un caso particolare ne costituisce la spiegazione o comprensione, mentre una (o più) metafora, sostituendo i casi concreti da spiegare con casi figurati attraverso una trasposizione simbolica di immagini costituisce un possibile ausilio alla spiegazione - comprensione.
CitazioneSecondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che
Citazionea ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.
Il problema è che il soggetto che conosce non può conoscere, proprio per quanto si è detto, l' "intero" di se stesso, per questo il se stesso che vede in oggetto, nella propria prospettiva, non è lui che conosce determinando la prospettiva in cui si vede. Al massimo se lo immagina, lo vuole così per recuperare la sua unità che sente necessaria. Ciò che non può vedere è proprio il se stesso che sta vedendo, ossia il punto di partenza che lo determina. Può vederlo come riflesso di ciò che gli altri vedono e gli raccontano di lui, ma ciò che gli altri vedono è pur sempre lui che lo vede nella sua parzialità visiva, dunque l'immagine che ho di me, non sono io, proprio perché per vederla io non sono quell'immagine, quell'oggetto in cui mi identifico, anche se mi metto davanti a uno specchio che sembra dirmi questo sei proprio tu.
CitazioneVeramente parlavo di autocoscienza, cioè di coscienza del soggetto (in quanto oggetto di coscienza) da parte del soggetto stesso di coscienza (coscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso), e non di conoscenza del soggetto (in quanto oggetto di conoscenza) da parte del soggetto di conoscenza (conoscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso); ma mi sembra che ci sia un' evidente analogia fra i due casi.
Sull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa- da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).
Qualcosa si può conoscere anche solo in parte, evitando (fra l' altro) di cadere nel regresso all' infinito per il quale la conoscenza di tale "qualcosa" non implica (e per essere "totale" dovrebbe implicare anche) tale "qualcosa in quanto conosciuto", ovvero la conoscenza di tale "qualcosa", nonché la conoscenza della conoscenza di tale "qualcosa", ecc.
Per quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.
Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.
E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.
Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").
La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.
_________________
* Immediatamente, direttamente, "dall' interno".
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 20:51:11 PM
[/size]
CitazioneLa relatività del moto è un concetto astratto.
E come tutti i concetti astratti non può essere pensata se non per l' appunto astraendo caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti (nella fattispecie ai moti relativi fra terra, sole, "stelle fisse", ai moti relativi fra treno sul primo binario, treno sul secondo binario, stazione e binari e a un' infinità di altri casi concreti).
Invece le metafore sono sostituzioni di termini proprio con termini figurati, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini.
La sussunzione mediante astrazione sotto una legge generale di un caso particolare ne costituisce la spiegazione o comprensione, mentre una (o più) metafora, sostituendo i casi concreti da spiegare con casi figurati attraverso una trasposizione simbolica di immagini costituisce un possibile ausilio alla spiegazione - comprensione.
Appunto perché nel concetto astratto consiste in "una astrazione di caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti", sostengo che esso ha alla base una serie di metafore che evidenziano proprio quegli aspetti comuni che poi il pensiero astratto separa considerandolo in sé. Questo significa che si parte dalle metafore dei significati, non dagli oggetti in sé esperiti, ma dagli oggetti che, esperiti come significati, presentano nel loro modo di significare qualcosa di comune che li rende l'uno metafora dell'altro, ossia il significato dell'uno allude a quello dell'altro. Le metafore sono fondamentali perché stanno alla base di ogni conoscenza possibile che sempre articola tra loro dei significati, non delle cose.
CitazioneVeramente parlavo di autocoscienza, cioè di coscienza del soggetto (in quanto oggetto di coscienza) da parte del soggetto stesso di coscienza (coscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso), e non di conoscenza del soggetto (in quanto oggetto di conoscenza) da parte del soggetto di conoscenza (conoscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso); ma mi sembra che ci sia un' evidente analogia fra i due casi.
Non so se ho capito bene, ma anch'io parlavo di autocoscienza nel primo senso in cui la presenti. Il fatto che sia del "soggetto sesso" è una "scoperta a posteriori del soggetto stesso che si vede in oggetto e si identifica in quell'immagine che vede e dice quello sono io.
CitazioneSull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa- da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).
Non deve esserlo perché non può esserlo, ma non essendolo (non essendo noi onniscienti e non potendo collocarci fuori da noi stessi) la conoscenza umana, sempre parziale, è infinitamente problematica (e proprio per questo non potrà mai essere definitiva in merito a nulla). Il problema è che se è parziale essa non conosce cosa sta oltre il parziale che conosce e quindi non può nemmeno sapere quanto ciò che sta fuori da quello che conosce determina ciò che conosce (e neppure se lo determina o no). La conoscenza parziale è in quanto tale sempre errata, l'unico modo per correggerla è delimitarla entro quello che si presume sia il suo ambito, ossia contestualizzarla in un contesto che si definisce per via provvisoria, poiché ovviamente anche questo contesto, per quanto lo si voglia formalmente chiudere, è sempre solo parzialmente chiuso. La conoscenza umana è un'opera infinita, dobbiamo rassegnarci a questo.
CitazionePer quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.
Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.
E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.
Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").
La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.
E' che in realtà non vi è alcun interno o esterno, quindi non vi è una conoscenza immediata dell'interno o dell'esterno, perché questo presupporrebbe un io originario che separa interno ed esterno e che in realtà non è per nulla originario, ma è solo una costruzione fenomenologica più o meno unitaria, a posteriori.
Tu dici, quello che sento internamente lo sento io e nessun altro, mentre quello che vedo fuori lo vediamo io e gli altri, quindi questo dimostra che quello che sento internamente sono proprio e solo io e sentendolo posso conoscermi e raffigurarmi per quello che sono. Ma questo vale solo quando quell'io c'è e si ritiene autore dei suoi pensieri, sentimenti, emozioni (che comunque non potrà mai comprendere per intero) come se accadessero dentro un involucro che lo nasconde al mondo di fuori. In realtà non c'è alcun involucro, quei pensieri, sentimenti, emozioni sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare.
Maral:CitazioneMaral:
Appunto perché nel concetto astratto consiste in "una astrazione di caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti", sostengo che esso ha alla base una serie di metafore che evidenziano proprio quegli aspetti comuni che poi il pensiero astratto separa considerandolo in sé. Questo significa che si parte dalle metafore dei significati, non dagli oggetti in sé esperiti, ma dagli oggetti che, esperiti come significati, presentano nel loro modo di significare qualcosa di comune che li rende l'uno metafora dell'altro, ossia il significato dell'uno allude a quello dell'altro. Le metafore sono fondamentali perché stanno alla base di ogni conoscenza possibile che sempre articola tra loro dei significati, non delle cose.
Sgiombo:
Astrarre caratteristiche generali da particolari casi concreti non significa proporre metafore: una metafora può essere la sostituzione di un singolo caso concreto a un' altro singolo caso concreto che presenta analogie (e magari dai due singoli casi concreti è astraibile una caratteristica generale), mentre l' astrazione passa dai particolari concreti al generale ad essi comune.
Qui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
Sgiombo:
Sull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa- da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).
Maral:
Non deve esserlo perché non può esserlo, ma non essendolo (non essendo noi onniscienti e non potendo collocarci fuori da noi stessi) la conoscenza umana, sempre parziale, è infinitamente problematica (e proprio per questo non potrà mai essere definitiva in merito a nulla). Il problema è che se è parziale essa non conosce cosa sta oltre il parziale che conosce e quindi non può nemmeno sapere quanto ciò che sta fuori da quello che conosce determina ciò che conosce (e neppure se lo determina o no). La conoscenza parziale è in quanto tale sempre errata, l'unico modo per correggerla è delimitarla entro quello che si presume sia il suo ambito, ossia contestualizzarla in un contesto che si definisce per via provvisoria, poiché ovviamente anche questo contesto, per quanto lo si voglia formalmente chiudere, è sempre solo parzialmente chiuso. La conoscenza umana è un'opera infinita, dobbiamo rassegnarci a questo.
Sgiombo:
Tutto ciò che è umano è problematico, ma niente di ciò che è umano è infinito, nemmeno la problematicità del suo sapere.
La conoscenza comunque non può mai essere certa, il dubbio scettico non è mai superabile razionalmente.
Se una conoscenza è parziale per definizione non è conoscenza di tutto (il reale; né di tutto lo scibile). Ma non per questo non è conoscenza.
Che la conoscenza umana sia sempre inevitabilmente limitata e in linea di principio ulteriormente estendibile non mi sembra una cosa a cui "rassegnarsi", ma casomai di cui essere contenti (per mia fortuna sono ottimista).
Poi non vedo alcunché di problematico o imbarazzante nell' ovvio possibile (ma non necessario) regresso all' infinito circa la limitatezza delle conoscenze di fatto, la quale è possibile oggetto di ulteriore conoscenza, la quale è possibile oggetto di ulteriore conoscenza, ecc.
Sgiombo:
Per quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.
Maral:
E' che in realtà non vi è alcun interno o esterno, quindi non vi è una conoscenza immediata dell'interno o dell'esterno, perché questo presupporrebbe un io originario che separa interno ed esterno e che in realtà non è per nulla originario, ma è solo una costruzione fenomenologica più o meno unitaria, a posteriori.
Tu dici, quello che sento internamente lo sento io e nessun altro, mentre quello che vedo fuori lo vediamo io e gli altri, quindi questo dimostra che quello che sento internamente sono proprio e solo io e sentendolo posso conoscermi e raffigurarmi per quello che sono. Ma questo vale solo quando quell'io c'è e si ritiene autore dei suoi pensieri, sentimenti, emozioni (che comunque non potrà mai comprendere per intero) come se accadessero dentro un involucro che lo nasconde al mondo di fuori. In realtà non c'è alcun involucro, quei pensieri, sentimenti, emozioni sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare.
Sgiombo:
Infatti l' esistenza di un soggetto (e di oggetti) delle sensazioni fenomeniche coscienti non è dimostrabile; ciò che è indubitabile (se accade) è solo l' esperienza fenomenica cosciente.
Ma se esistono (cioè per chi arbitrariamente, indimostrabilmente decida di crederlo, rifiutando lo scetticismo radicale e anche il più limitato solipsismo, che altrimenti non avrebbe alcun senso stare qui a discutere sul nulla di conoscibile), allora tutte le persone considerate comunemente sane di mente per lo meno agiscono come se esistessero esse stesse in quanto soggetti di sensazioni fenomeniche coscienti e come se per lo meno in determinati casi (non quelli dei sogni e delle allucinazioni) esistessero anche oggetti di sensazioni fenomeniche coscienti, da loro come soggetti distinti nel caso di sensazioni esterne ovvero esteriori (materiali) oppure costituiti da loro stessi nel caso di sensazioni interne ovvero interiori (mentali).
Non comprendo che cosa possa significare l' affermazione che pensieri, sentimenti, emozioni che comunque non potranno mai comprendere per intero; e che sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare.
Per me, se è vero un minimo di premesse indimostrabili né mostrabili ma credibili del tutto arbitrariamente, letteralmente per fede (e di fatto credute da tutti coloro che vengono comunemente ritenuti sani di mente; se, ecc.: vedi sopra), io esisto come soggetto di sensazioni di oggetti di esse esistenti come cose in sé, che nel caso siano cose in sé da me diverse mi si manifestano fenomenicamente "dall' esterno di me" come sensazioni materiali, nel caso con me (con miei modi di essere e divenire) si identifichino mi si manifestano fenomenicamente "dall' interno di me" come sensazioni mentali.
Dato che il dibattito si sta concentrando sul concetto di metafora e linguaggio allego la posizione dell'Autore in maniera
piu' compiuta, entrando nel corpus pricipale della sua ricerca.
Parliamo della matafora.La proprieta' piu' affascinante del linguaggio e' la sua capacita' di fare metafore......la metafora non
e' infatti un mero arzigogolo linguistico marginale,come viene cosi' spesso svilita nei vecchi manuali scolastici di
composizione:essa e' il fondamento costitutivo del linguaggio.Io intendo qui la metafora nel suo senso piu' generale:
l'uso di un termine proprio di una cosa per descriverne un'altra in conseguenza di una qualche somiglianza esistente
tra loro o fra le loro relazioni con altre cose.In una M. sono sempre presenti due cose; la cosa che deve essere descritta
che chiamero' metaferendo e la cosa o relazione usata per delucidarla, che chiamero' metaferente. Una M. e' sempre un
metaferente noto che opera su un metaferendo meno noto.
E' proprio grazie all'uso della M. che il linguaggio cresce.E' questo il modo principale in cui si forma il vocabolario di
una lingua.La grandiosa e vigorosa funzione della M. e' quella di generare nuove componenti della lingua secondo
il bisogno, a mano a mano che la cultura umana si fa piu' complessa. Uno sguardo casuale al'etimologia di parole comuni
in un dizionario dimostrera' questa asserzione.
Il corpo umano e' un metaferente particolarmente fecondo,che crea una quantita' di distinzioni in precedenza inesprimibili.
Testa (esercito,pagina, letto,chiodo,spillo)-occhio(ago, ciclone,forbici) fronte(edificio,battaglia, testo con traduzione) ecc.......
Tutte queste M. concrete accrescono enormemente le ns capacita' di percepire il mondo che ci circonda e di comprenderlo
e creano letteralmente nuovi oggetti. Insomma, il linguaggio e' un organo di percezione e non semplicemente un mezzo
di comunicazione.
Tale e' il linguaggio che si muove sincronicamente(senza riferimento al tempo) nello spazio del mondo per descriverlo e
percepirlo in modo sempre piu' definitivo.
Ma il linguaggio si muove anche in un modo diverso e piu' importante, diacronicamente, ossia nel tempo e dietro le ns
esperienze sulla base di strutture aptiche (innate) nel ns sistema nervoso, per creare concetti astratti i cui referenti
non sono osservabili tranne che in senso metaforico.E anche questi sono generati da M.
Queste M. sono visibili solo con l'occhio della mente.Nelle astrazioni concernenti i rapporti umani, la pelle diventa un
metareferente di particolare importanza. Noi entriamo o restiamo "in contatto" con altri che possono essere di pelle dura,
oppure aver i nervi a fior di pelle.
I concetti della scienza sono tutti di questo genere, concetti astratti generati da metafore concrete................
All'alba dei tempi il linguaggio e i suoi referenti salirono dal concreto all'astratto attraverso i gradini della metafora,
o addirittura crearono l'astratto sulle basi della metafora........
Le parole astratte sono antiche monete le cui immagini concrete sono state logorate dall 'uso nel continuo scambio
del discorso.
Poiche', nella ns breve vita noi abbracciamo cosi' poco della vastita' della storia, abbiamo troppo spesso la tendenza
a ritenere il linguaggio solido come un dizionario anziche' vederlo come il mare inquieto e prorompente di Metafore
che esso e' in realta'. Se consideriamo i mutamenti lessicali che hanno avuto luogo nel corso degli ultimi 2-3 millenni,
e sulla base dei risultati ottenuti, cerchiamo di prevedere quale sara' la situazione fra vari millenni, ci imbatteremmo
in un interessante paradosso.
Se infatti riusciremo mai a pervenire a una lingua che abbia il potere di esprimere qualsiasi cosa, la metafora non sara'
piu' possibile.In tal caso io non potro' dire che il mio amore e' una rosa rossa, poiche' la parola amore si sara'
frantumata in migliaia di termini esprimenti le sue mille e mille sfumature, e l'applicazione ogni volta del termine corretto
lascera' la rosa metaforicamente morta.
Il lessico del linguaggio e' quindi una serie finita di termini che ,grazie alla metafora, puo' estendersi a coprire una serie
infinita di circostanze,creando addirittura circostanze nuove. (La coscienza non potrebbe essere appunto una nuova
creazione?) (estratti da pag 70 a pag 75).
La mente cosciente soggettiva e' un analogo di quello che e' chiamato il mondo reale.Essa e' costruita con un
vocabolario o campo lessicale i cui termini sono tutte metafore o analoghi del comportamento nel mondo
fisico. La sua realta' e' dello stesso ordine della matematica.Essa ci consente di abbreviare dei processi di
comportamento e di pervenire a decisioni piu' soddisfacenti. Come la matematica, la mente cosciente soggettiva
piu' che una cosa o un serbatoio, e' un operatore, ed e' intimamente connessa alla volizione e alla decisione.(pag 78)
,
Citazione di: filofisico il 08 Gennaio 2017, 14:17:59 PM
Citazione di: paul11 il 06 Gennaio 2017, 21:59:24 PM
Ho molte perplessità sulla teoria dell'evoluzione, perchè se studiamo un "meccanismo" non basta scomporne ne parti, gli insiemi funzionali, bisogna necessariamente conoscerne il progetto. Aristotele aveva intuito e capito qualcosa, coniando il termine entelachia, un finalismo evolutivo, ma ancora manca la fase di progettazione;:perchè si costruisce un meccanismo funzionante in una certa maniera e finalizzato ad uno scopo.
Ma rischio di andare o.t.
La parola inplica e sforza la memoria se non esiste la scrittura.
Dicono che oggi abbiamo superato anche la scrittura, essendo nel tempo delle immagini-
La scrittura deve essere mediata dal segno-significante e persino dall'interpretante non essendoci il passaggio diretto della parola-
La tradizione ebraica sacralizza il testo scritto, per cui tutto deve essere riscritto perfettamente uguale.
La tradizione induista passa oralmente e mnemonicamente da millenni interi testi sacri(così sono stati "scoperti" brani vedici anche del Mahabharata
Trovo, e quì lo dico brevemente, che la tradizione talmudica ebraica abbia dato alcune risposte contrapposte al modo comune di pensare, che non ci sia stato nemmeno a livello genetico una progressione, ma regressione dell'uomo e si riferisce all'epoca prediluviana e prima della torre di Babele che fanno da spartiacque al decadimento dell'umanità. La stessa cosa dice il kali-yuga vedico,segnato dal progresso materiale e decadenza spirituale
Non rischi di andare off topic, con Jaynes e' quasi impossibile vista la vastita' di argomentazioni e l'incrocio spericolato
tra molteplici discipline che rende, a mio giudizio, difficile il controllo del tessuto argomentativo del libro.
Nel capitolo "Auspici della scienza", si esprime in questi termini che io traslo secondo tradizione talmudica:
-In Gran Bretagna,a partire dal seicento, lo studio della cosidetta storia naturale era comunemente la gioia consolatrice
di individuare in natura le perfezioni di un creatore benevolo.......ma l'annuncio congiunto per opera di due uomini
formatisi in quello stesso ambiente,Darwin e Wallace,entrambi naturalisti dilettanti di gran livello, che era stata l'evoluzione
e non l'intelligenza divina a creare l'intera natura,fu come un cataclisma.......Il CASO,freddo e non calcolatore,dando ad
alcuni la capacita' di sopravvivere meglio in questa lotta per la vita......ha foggiato questa specie umana dalla materia.
quando si combino' con il materialismo tedesco(huxley), la teoria dell'evoluzione per selezione naturale fu il cupo rintocco
funebre per quella tradizione che aveva nobilitato l'uomo facendone la deliberata creazione delle grandezze possenti, che
risaliva direttamente sino alle remote profondita'inconsce dell'epoca bicamerale.
Questa teoria diceva in poche parole che non c'e' alcuna autorizzazione esterna,guardate bene,non c'e' nulla.Quel che dobbiamo
fare deve venire da noi stessi.......dobbiamo divenire la nostra stessa autorizzazione -pag 520
Fin qui niente di nuovo, su Darwin il dibattito e' sempre infuocato, invece qualche pagina piu' indietro c'e' forse un contributo
piu' interessante:
-Noi talvolta pensiamo,e ci piace pensare, che le due imprese piu' grandi che hanno influito sull'umanita', la religione e la scienza,
sono sempre state avversarie storiche e ci attirano in direzioni opposte.Ma questo e' clamorosamente erroneo.Non la religione
e la scienza, ma la chiesa e la scienza furono ostili l'una all'altra.E fu rivalita' non conflitto.Tanto la chiesa quanto la scienza
furono religiose;erano due giganti che si combattevano muovendosi sullo stesso terreno..........
Per comprendere correttamente la rivoluzione scientifica dovremmo sempre ricordare che il suo impulso piu' possente fu
la ricerca instancabile della divinita' nascosta.In questi termini essa e' una discendente diretta del crollo della mente bicamerale-pag 516
E poi prosegue citando Newton,Locke e john Ray.Anche oggi e' cosi', Einstein non ha esclamato contro la fisica quantistica
la famosa invettiva "Dio non gioca a dadi con l'universo!" oppure Godel non ha tentato di dimostrare matematicamente
l'esistenza di Dio? Sembra che la teoria dell'evoluzione non RIESCA ad essere compresa fino alle sue ultime conseguenze,
E' intellettualizzata e catalogata in un angolo della coscienza, ma sembra che la nostra mente non la possa accettare.
E quindi si va dal mondo ologramma di Bohm, ai multimondi di Green, tutto va bene purche' ci sia una spiegazione Esterna.
Quindi quello che dici e' quello che pensano quasi tutti.
Certo mi si puo' dire che anche il darwinismo e' una religione,una rappresentazione, ma per me si tratta di scegliere il male
minore, dato che e' suffragato da migliaia e migliaia di verifiche e di osservazioni, che tutte le altre rappresentazioni si sognano.
In merito all'altra questione da te tratteggiata con la presunta decadenza del genere umano, come testimoniato da antichi libri
di saggezza,anche qui l'autore ha parole derimenti la questione:
-......() E' questa,io penso,ancora un'altra caratteristica della forma religiosa ch tali movimenti hanno raccolto, nel vuoto causato
dal venir meno della certezza ecclesiastica: quella di una presunta CADUTA dell'uomo.
Questa idea strana,e secondo me falsa, di un innocenza perduta assume il suo contrassegno proprio nel crollo della mente bicamerale
come prima grande narratizzazione cosciente dell'umanita'. Ed ecco il canto dei Salmi assiri, il lamento degli inni ebraici, il mito
dell'Eden..........Io interpreto questa ipotetica caduta dell'uomo, come il tentativo di uomini da poco coscienti di narratizzare
cio' che era a loro accaduto, la perdita delle voci e delle assicurazioni divine in un caos di orientamenti umani ed egoismi
iniviuali.questo tema di una certezza e splendori perduti noi lo vediamo non solo affermato da tutte le religioni storiche, ma anche nelle
tradizioni non religiose.La troviamo a partire dalla teoria dell'anamnesi nei dialoghi platonici,secondo cui ogni cosa nuova e' in realta'
solo il ricordo di un mondo migliore perduto, sino ai lamenti di Rousseau per la corruzione dell'uomo naturale da parte degli artifici
della civilta'.E lo si riconosce anche negli scientismi moderni, nell'assunto di Marx di una perduta "infanzia sociale del'umanita'"....
o nell'accento posto da Freud sul profondo radicamento delle nevrosi nella civilta'e di terribili azioni e desideri nel nostro passato
razziale ed individuale, e nell'affermazione implicita di una piu' antica innocenza,del tutto vaga.........-pag 527-28
Orbene,secondo Jaynes, sembra che dal trapasso della mente bicamerale alla coscienza,datata ormai 3000 e piu' anni fa,
l'uomo non ha ancora superato lo shock della "scoperta" della soggettivita',imprigionato come si sente in un corpo
destinato all'annichilimento, volgendosi con Nostalgia ai tempi in cui le sue azioni erano dettate dall'oggettivita'
garantita dalle voci.
La tematica è vasta, troppo vasta, comunque....
All'inizio c'era solo scienza che comprendeva tutto e no scienza contro spirito.
all'inizio non c'era soggetto ed oggetto, perchè il cielo e la terra erano uniti, non c'era divisone fra natura e spirito;
all'inizio non c'erano i sacerdoti per come li intendiamo noi oggi, c'erano i saggi, i sapienti che conoscevano la scienza e la tramandavano.Quando natura e spirito si divisero si divise anche la propria autocoscienza e si divisero i guerrieri dai sacerdoti, la natura dallo spirito ognuno con la sua arte e la sua sapienza
all'inizio tuttti gli antichi testi uniscono in un unico corpus, come la Torà Tanack, come il corpus dei libri ariani , i Veda, l'intera conoscenza i primordi delle future spirituali. i primordi dei futuri codici coem Hammurabi.
E se ti dicessi che gli Elohim erano telepatici? E se ti dicessi che che ci furono più Adami, più esperimenti genetici fra un pitecantropo(homo erectus) e pochi geni significativi di quegli Elohim la cui gestazione fu affidata ad una dea ,la Grande Madre? E se dicessi che gli angeli caduti e i giganti rappresentano il tratto di unione che non doveva accadere fra gli Elohim e il genere umano?
E se dicessi che la metafora complica l'interpretazione invece di semplificarla, quando il concreto e l'astratto erano uniti dal "reale"? E se dicessi che fu il capo degli Elohim a decidere che le conoscenze non dovevano essere trasmesse all'uomo dagl angeli caduti e che non dovevano concupire le donne umane e generare i giganti?
E se dicessi che furono gli Elohim a sapere del diluvio universale e che doveva estinguersi l'umanità poichè decadeva? E se invece un Elohim trasgredì il suo capo e aiutò gli umani (Noè, ma in altre tradizioni il racconto simile prende altri nomi).
E se poi venne "qualcuno" ancora più potente degli Elhoim che non dovevano creare un essere senziente con coscienza per farlo loro schiavo?perchè questa è una legge universale non solo del pianeta Terra?
E se tutto questo divenne essoterismo ed esoterismo,perchè di nuovo pochi dovevano sapere?
Io conosco un'altra storia ,non solo quello che racconta l'attuale storia e scienza, priva di un origine di un fine. di un progetto.
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2017, 18:45:32 PM
Astrarre caratteristiche generali da particolari casi concreti non significa proporre metafore: una metafora può essere la sostituzione di un singolo caso concreto a un' altro singolo caso concreto che presenta analogie (e magari dai due singoli casi concreti è astraibile una caratteristica generale), mentre l' astrazione passa dai particolari concreti al generale ad essi comune.
Infatti non ho detto che astrarre significhi costruire metafore, ma che a partire dalle metafore che mostrano delle analogie tra casi concreti, è possibile "astrarre" quelle analogie. In altre parole dico che il pensiero astratto si basa sul pensiero metaforico, non che è il pensiero metaforico.
CitazioneQui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
Lo so, questa polemica è vecchia tra noi, ma magari un giorno riusciremo a capirci, chissà. Non c'è nessun "Monte Cervino" e nemmeno nessuna "montagna" se non nei significati che questi termini riflettono nell'ambito di una conoscenza solo umana. Per un albero che cresce sulla montagna, per uno stambecco che scende a balzi da essa, non c'è proprio nessuna montagna reale in oggetto, c'è solo nell'essere umano che interpreta il significato delle sue prassi, interpreta quello che vede e quello che fa e dice questa è una montagna e quest'altra una pianura. E non è che per questo un essere umano che vede come da fuori una montagna abbia più ragione dello stambecco che solo vive sulla montagna e la sente solo nel vivere. Certo che c'è qualcosa, questo qualcosa che accade noi la sogniamo come una montagna, lo stambecco la sogna (nel nostro sogno umano del sogno di uno stambecco), come un puro vivere accadendo; è il nostro vivere accadendo (ma non il suo) che produce sogni significanti montagne e significanti stambecchi, sogni che non possiamo scegliere nel loro significare, poiché noi stessi siamo in questi sogni, non sopra di essi a poter vedere come stanno le cose in realtà.
Ed è per questo che nulla di definitivo potrà mai essere detto riguardo al mondo, al reale, perché pure essendo sempre in esso significa sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirlo.
Ed è chiaro che questo è una pena per chi vorrebbe definire una volta per tutte come stanno le cose, mentre è una gioia per chi sente l'immensa potenza vitale di questo gioco che non finisce mai, il gioco della conoscenza di cui anche la nostra diatriba infinita, in un certo senso, fa parte.
Citazione di: maral il 10 Gennaio 2017, 10:18:45 AM
Infatti non ho detto che astrarre significhi costruire metafore, ma che a partire dalle metafore che mostrano delle analogie tra casi concreti, è possibile "astrarre" quelle analogie. In altre parole dico che il pensiero astratto si basa sul pensiero metaforico, non che è il pensiero metaforico.
CitazioneL' astrazione é distinzione di caratteristiche comuni a più casi particolari concreti, la metafora é l' impiego di uno o più casi particolari concreti, solitamente a scopo esplicatoivo al posto di uno o più altri, diversi casi (comunque sempre) particolari concreti.
Esporre metafore é una cosa, operare astrazioni un' altra. La metafora non esce dai particolari concreti, mentre l' atrazione attinge al generale.
Se intendi dire questo sono d' accordo.
CitazioneQui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
Lo so, questa polemica è vecchia tra noi, ma magari un giorno riusciremo a capirci, chissà. Non c'è nessun "Monte Cervino" e nemmeno nessuna "montagna" se non nei significati che questi termini riflettono nell'ambito di una conoscenza solo umana. Per un albero che cresce sulla montagna, per uno stambecco che scende a balzi da essa, non c'è proprio nessuna montagna reale in oggetto, c'è solo nell'essere umano che interpreta il significato delle sue prassi, interpreta quello che vede e quello che fa e dice questa è una montagna e quest'altra una pianura. E non è che per questo un essere umano che vede come da fuori una montagna abbia più ragione dello stambecco che solo vive sulla montagna e la sente solo nel vivere. Certo che c'è qualcosa, questo qualcosa che accade noi la sogniamo come una montagna, lo stambecco la sogna (nel nostro sogno umano del sogno di uno stambecco), come un puro vivere accadendo; è il nostro vivere accadendo (ma non il suo) che produce sogni significanti montagne e significanti stambecchi, sogni che non possiamo scegliere nel loro significare, poiché noi stessi siamo in questi sogni, non sopra di essi a poter vedere come stanno le cose in realtà.
Ed è per questo che nulla di definitivo potrà mai essere detto riguardo al mondo, al reale, perché pure essendo sempre in esso significa sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirlo.
Ed è chiaro che questo è una pena per chi vorrebbe definire una volta per tutte come stanno le cose, mentre è una gioia per chi sente l'immensa potenza vitale di questo gioco che non finisce mai, il gioco della conoscenza di cui anche la nostra diatriba infinita, in un certo senso, fa parte.
CitazioneIn barba all' eventuale ignoranza dell' albero e dello stambecco (che infatti "scende a balzi da essa", e non "dal nulla"!) la montagna c' é (e c' era anche prima e dopo dell' albero e dello stambecco).
Nell' essere umano, eventualmente, c' é in più il pensiero, la conoscenza (dell' esistenza) della montagna.
Circa il mondo, il reale, che pure essendo sempre in esso significerebbe sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirl, qiesto per me é arabo.
Ma non mi procura alcuna pena, anche se ho ben viva dentro me (relativamente appagata; come tutto é limitato e relativo in noi esseri umani) l' apirazione a comprendere quanto meglio possibile (senza alcun delirio di onniscenza) come stanno le cose.
http://www.lastampa.it/2017/01/10/blogs/il-villaggio-quasi-globale/il-per-cento-degli-italiani-analfabeta-legge-guarda-ascolta-ma-non-capisce-MDZVIPwxMmX7V4LOUuAEUO/pagina.html
Articolo interessante, o forse impressionante. Sara' solo ignoranza oppure c'e' dietro altro.?
L'aumento della complessita' e le interazioni sociali ci portano ad un analfabetismo funzionale.
Chissa', la butto la' come provocazione intellettuale, se fosse vivo Jaynes direbbbe che saremmo di fronte ad una sorta di
vestigia di mente bicamerale,La sostituzione del messaggio da letterale ad iconico operato dalle tecnologie elettroniche,
corrisponde al periodo in cui la coscienza emerse dal caos dovuto alla caduta degli Dei, sostituiti dagli idoli, oracoli,sibille
profeti ecc. Il messaggio iconico, l'immagine, e' l'antico metodo oggettivo presente nelle popolazioni precoscienti sempre
alla ricerca dell'autorizzazione. L'uomo moderno,ipertecnologico,sembra assomigliare all'eroe omerico,che come uno
zombi aspettava le voci per agire a comando. Chissa' se troveremo mai un punto d 'equilibrio nella nostra doppia natura?
Avremo ancora tempo per cambiare?
Citazione di: sgiombo il 10 Gennaio 2017, 11:31:59 AM
In barba all' eventuale ignoranza dell' albero e dello stambecco (che infatti "scende a balzi da essa", e non "dal nulla"!) la montagna c' é (e c' era anche prima e dopo dell' albero e dello stambecco).
Nell' essere umano, eventualmente, c' é in più il pensiero, la conoscenza (dell' esistenza) della montagna.
A mia volta non ho mai detto che lo stambecco scenda dal nulla o che per lui la montagna sia nulla (cosa anche questa che potrebbe essere solo per un essere umano). Ho detto solo che la montagna appare tale (montagna) solo nel significato che ad essa (qualsiasi cosa sia), in quanto esseri umani, le diamo e in cui le specificazioni che siamo in grado di attribuirle sono il risultato di un modo di sentire e di dare significato a questo sentire e non di una natura in sé della cosa. Posso anche immaginare che per lo stambecco la montagna sia proprio quello scendere e salire a balzi, lo faccio per analogia (e dunque secondo metafora), perché mi sembra che quello che accade mentre accade è la prima sensazione che anche noi umani abbiamo delle cose, prima di renderci conto, secondo il nostro intendimento umano, di cosa sono e quindi di identificarle con questo o quel significato e prima di attribuire a quel significato la valenza di una cosa.
P.S. noto Sgiombo che da utente anziano, ormai sei diventato storico! Diamine, come ci si sente a essere ormai passati alla storia? :)
Citazione di: maral il 12 Gennaio 2017, 10:20:03 AM
Citazione di: sgiombo il 10 Gennaio 2017, 11:31:59 AM
In barba all' eventuale ignoranza dell' albero e dello stambecco (che infatti "scende a balzi da essa", e non "dal nulla"!) la montagna c' é (e c' era anche prima e dopo dell' albero e dello stambecco).
Nell' essere umano, eventualmente, c' é in più il pensiero, la conoscenza (dell' esistenza) della montagna.
A mia volta non ho mai detto che lo stambecco scenda dal nulla o che per lui la montagna sia nulla (cosa anche questa che potrebbe essere solo per un essere umano). Ho detto solo che la montagna appare tale (montagna) solo nel significato che ad essa (qualsiasi cosa sia), in quanto esseri umani, le diamo e in cui le specificazioni che siamo in grado di attribuirle sono il risultato di un modo di sentire e di dare significato a questo sentire e non di una natura in sé della cosa. Posso anche immaginare che per lo stambecco la montagna sia proprio quello scendere e salire a balzi, lo faccio per analogia (e dunque secondo metafora), perché mi sembra che quello che accade mentre accade è la prima sensazione che anche noi umani abbiamo delle cose, prima di renderci conto, secondo il nostro intendimento umano, di cosa sono e quindi di identificarle con questo o quel significato e prima di attribuire a quel significato la valenza di una cosa.
P.S. noto Sgiombo che da utente anziano, ormai sei diventato storico! Diamine, come ci si sente a essere ormai passati alla storia? :)
CitazioneCaspita, non me n' ero accorto!
Soprattutto di solito si passa alla storia post mortem (sarà che dal momento che all' attimo della morte non ne seguono altri, per il defunto ovviamente, come da te sostenuto e da me negato nella discussione su "cose che non si dovrebbero leggere", mi sembra di essere tutt' ora vivo?).
(Resta, come penso immaginavi, il mio totale dissenso su realtà - pensiero della realtà - significato dei pensieri - conoscenza della realtà.