Cosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?
La persona che vi pone tale domanda non ha intenzioni di uccidersi, non è depressa e non è triste, quindi tutti i motivi legati a varie problematiche esistenziali sono da escludere, dovreste solo dirle il motivo per cui, secondo voi, vale la pena di vivere la nostra esistenza.
Siamo nella sezione dedicata alla filosofia quindi vorrei che escludeste ogni riferimento religioso.
Grazie e sereno anno nuovo.
Un solo motivo?
Sarei incerto fra:
1) Lottare per la giustizia, per rendere il mondo migliore (nella mia personale accezione ciò significa: per il comunismo; che é anche di fatto lottare per cercare di salvare l' umanità dell' estinzione "prematura e di sua propria mano").
2) Capire quanto più possibile come é la realtà (in cui vivo) e in particolare come/cosa sono io.
3) Godere dei piaceri della vita (detti "alla rinfusa": piaceri del conoscere, piaceri della musica, piaceri della buona tavola, piaceri sessuali, piaceri della letteratura, dell' arte, dello sport -praticato e vissuto da spettatore- piaceri dell' amicizia, della buona compagnia, dell' amore, ecc.).
In fondo questo é l' ordine di importanza decrescente nel quale considero i maggiori motivi per i quali continuo a vivere volentieri e per i quali sarei disposto ad accettare dispiaceri e dolore (non oltre una determinata misura) pur di continuare a vivere.
Dunque, poiché mi chiedi un solo motivo, la risposta é la n° 1.
Buon anno anche a te e a tutti gli amici del forum ! ! !
Per me è necessario premettere delle osservazioni sul modo in cui è posta la domanda.
Anzitutto, se una persona mi fa questa domanda vuol dire che di motivi per vivere ne sta vedendo pochissimi o nessuno, senza che per questo debba essere depressa o a rischio di suicidio: può anche essere semplicemente un filosofo che ama filosofare. Potrebbe anche essere uno che abbia già in mente dei motivi e voglia confrontarli con i miei. Queste ipotesi però consentono di evidenziare delle caratteristiche nella domanda: in tal caso il filosofo mi avrebbe chiesto "Qual è secondo te il motivo principale per cui vivere?". Al confronto con questa formulazione, quella di Ivo tradisce un coinvolgimento personale, perché non parla di "vivere" in astratto, ma fa riferimento al proponente: un motivo per cui io dovrei vivere. Inoltre quel "dovrei" pone un'ombra nera: crea un contesto di dovere, mostrandosi allontanata da idee come la gratuità, la spontaneità, il piacere, l'immotivato. Insomma, se vivere dovesse essere un dovere, già questo sarebbe un motivo abbastanza consistente per non vivere. In questo senso la domanda, per come è posta, tradisce un coinvolgimento esistenziale negativo, nonostante poi Ivo desideri evitarlo.
C'è poi il riferimento al "dire": non è detto che il modo migliore per comunicare un motivo per vivere sia dirlo a parole. Si può fare filosofia anche con i fatti, come Diogene che per rispondere a chi negava il moto si mise a camminare. Poi ci sono le arti, c'è la vita, che in molti modi rinviano all'indicibile, ed è certo una soluzione importante per una domanda così grande. In questo senso il "dire" mi suona, riguardo alla risposta, come un "vattela a cercare" poiché, qualunque risposta venga data, l'ascoltatore si troverà rimandato a trovare da sé il senso di ciò che è stato detto.
Su questa linea, per me una risposta adatta a ciò che siamo oggi sarebbe non dire dire niente di astratto, eventualmente abbracciare quella persona, e dirle: "Vogliamo essere amici?". C'è il problema che magari io potrei risultare a quella persona non di aspetto o di modi così gradevoli, piacevoli: alla fine non tutti abbiamo il dovere di essere amici stretti di tutti. Nonostante questo, credo che l'eventuale abbraccio e la proposta di amicizia rimangano la risposta migliore, perché ritengo che oggi la filosofia abbia bisogno di rivoluzionare il proprio linguaggio a favore del fare, della concretezza, dell'umanità, del particolare, del qui e ora, e mi sembra che per molti versi lo stia già facendo.
Il fatto di rispondere con un'altra domanda potrebbe apparire come un'evasione dalla risposta, ma in realtà contiene la proposta di mettere in questione il linguaggio introdotto dalla domanda iniziale e proporre linguaggi diversi. L'eventuale rifiuto della mia risposta potrebbe anche essere sintomo di indisponibilità, non apertura ad adottare linguaggi diversi da quelli tradizionali. In questo senso la mia risposta significherebbe anche questo: oggi, se vogliamo trovare motivi per cui vivere, dobbiamo disporci a praticare linguaggi diversi da quelli tradizionali, altrimenti ci autocondanniamo a non trovarne o, peggio, trovarne di falsi.
Un altro senso del mio gesto sarebbe questo: finché cercheremo insieme motivi per vivere, ne avremo già trovati. Appena li cercheremo ognuno per conto proprio, oppure rinviandoci a vicenda al "veditela tu", in base al senso che nel messaggio precedente ho attribuito al dire a parole, automaticamente ci ritroveremo a corto di motivi.
Risponderei con alcune (meta)domande, per definire l'orizzonte di senso in cui la domanda principale si pone: per vivere deve esserci almeno un motivo? Questo motivo deve essere uguale per tutti? La ricerca di tale motivo può essere un motivo valido? Conosci già dei motivi per cui non dovresti vivere? In che modo il "dovere" può inficiare il "vivere" ponendo all'individuo la questione del suo "dover vivere"?
Rispondendo accuratamente a queste domande, secondo me, si è già (almeno) a metà strada...
La speranza. La speranza che i riflessi angelici dell'uomo riescano a dominare quelli demoniaci. Qui, sulla terra. E' cio' implica un duro lavoro terreno.
CitazioneCosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?
La Conoscenza. (Conosci te stesso)..anche se a me viene piuttosto da chiedermi il motivo per cui si nasce o sarebbe forse più corretto dire il perché si viene al mondo...Altre domande e considerazioni sparse:e' giusto decidere di mettere al mondo un bambino? (Sopratutto oggi?)- secondo me no!Casi estremi:In africa ci sono tre milioni di bambini che nemmeno nascono e già muoiono letteralmente di fame ogni anno...cosa passa per la testa dei loro genitori?Aforisma:Vero "gesto inconsulto" – come lo definiscono i superficiali – non è quello di togliersi la vita, ma quello di darla.(Giovanni Soriano)
Tutti noi abbiamo un istinto a favore della vita, abbiamo cioè un desiderio istintivo di vivere. Se però uno si fa una domanda del genere vuol dire che questo desiderio è compensato da esperienze di profonda sofferenza. Per me in tal caso è legittimo sospettare una sindrome depressiva (Visto che non sono richieste le spiegazioni spirituali).
Non credo abbia molto senso rispondere a tale domanda con una serie di argomenti, chi si fa questa domanda, e la esprime ad altri semplicemente sta chiedendo aiuto per una sofferenza grande che porta dentro e che dovrebbe essere invitato ad esternare.
Gli direi che non c'è nessun motivo per cui dovrebbe vivere.
Al contrario ci sono ottime ragioni per preferire la morte alla vita.
Ma dal momento che non ha intenzione di uccidersi, non sarà difficile trovare qualcosa di interessante da fare in attesa della fine: l'incanto dell'arte, il fascino della conoscenza, la bellezza della natura, etc.
Il punto non è trovare una buona ragione su cui basare la propria esistenza, ma è riuscire o meno a dare forza all'illusione che rende questa ragione così importante da essere, diciamo, il tema fondamentale della propria vita.
E questa capacità di illudersi temo abbia a che fare con un livello psico-biologico di base. Per cui o ce l'hai o non ce l'hai.
Se ce l'hai puoi anche esercitarti a fare il nichilista ma alla fine, concretamente, continuerai ad appassionarti a tante cose, continuerai ad avere un certo gusto per il gioco.
Se non ce l'hai, farai ogni sforzo per vivere l'incanto dell'ideale, ma alla fine dovrai ammettere che tutto è nient'altro che una tua disperata autosuggestione.
Ciò che ha scritto Kobayashi è un'occasione per evidenziare una situazione mentale in cui ci troviamo.
Gianni Vattimo in qualche occasione ha detto che noi ci possiamo definire, oltre che esseri "viventi", esseri "morenti". Corrisponde all'"essere per la morte" di Heidegger.
In questo modo di vedere si evidenziano le costrizioni a cui siamo soggetti, che Kobayashi ha espresso nelle ultime due frasi. Cioè, siamo costretti inesorabilmente a procedere ciascuno verso la propria morte, ma c'è anche una costrizione alla vita che c'impedisce di suicidarci; possiamo anche riferirci all'istinto di autoconservazione. In questo senso si potrebbe dire che siamo condannati non solo a morire, ma anche a vivere: non possiamo neanche andarcene da questa vita, perché l'istinto ci costringe a rimanerci, ad autoconservarci, per tutto il tempo che madre natura deciderà di tenere funzionante il nostro corpo. In ogni caso, che si tratti di costrizione a morire o di costrizione a vivere, trattandosi comunque di costrizione, il risultato finale è sempre negativo, cioè un risultato che non conduce ad apprezzare la vita come esperienza che meriti di essere vissuta.
Possiamo però tener presente che tutto ciò è solo una prospettiva, che in quanto tale non può pretendere di essere il senso della vita, l'unico o principale senso della vita. Quest'impostazione negativa che si fa sperimentare come costrizione non è altro che il risultato del pensare metafisico, cioè per idee universali, uguali per tutti. È infatti la metafisica a costringermi a pensare che una pietra sta lì e non posso permettermi di pensarla diversamente, perché è una verità oggettiva, uguale per tutti, stringente, costringente. Scopo della metafisica è proprio questo: giungere a verità costringenti; non ci sarà quindi da meravigliarci se un modo di pensare universalistico ci condurrà inevitabilmente a percepire come costrizione sia il vivere che il morire. Un filosofo esemplare di questo tipo di percezione è stato Emil Cioran: diversi titoli dei suoi libri sono tutto un programma: "Al culmine della disperazione", "Sommario di decomposizione", "La tentazione di esistere", "Sillogismi dell'amarezza", "L'inconveniente di essere nati", "Vacillamenti", "Squartamento", "L'agonia dell'Occidente".
Questo modo di pensare tipicamente occidentale, universalista, ci ha fatto perdere di vista il particolare, il locale, il qui e ora. In questo senso anche la domanda di partenza che è stata proposta si pone in questa prospettiva generalista, perché lascia pensare che si chieda un motivo per vivere che valga per tutti. A dire il vero, però, proprio quel tradire il coinvolgimento personale, contenuto nel parlare in prima persona, suggerisce di essere preso in parola: "un solo motivo per cui dovrei vivere" non è detto che vada cercato tra ragioni che debbano valere per tutti: può essere benissimo individuato come ragione che vale esclusivamente per quella persona. Che importa se vivo per un motivo che vale esclusivamente per me e non può essere applicato a nessun altro al mondo? Anche gli altri potranno trovare ciascuno il proprio. Al contrario di quanto possa sembrare a prima vista, questa può essere una via esplorativa estremamente arricchente, perché condurrà al piacere del confronto, di conoscere vie ispiratrici, libere dal binario implicito secondo cui il motivo per vivere debba essere individuato tra motivi di validità universale, o comunque condivisi. In questo senso torno a pensare all'abbraccio che ho proposto, con la proposta di amicizia: esso contiene anche l'invito a prendere in considerazione ciò che vale solo come particolare e magari non possiede nessuna validità di tipo universale. Questa caratteristica, piuttosto che un difetto, può rivelarsi un pregio.
In fondo è questo il messaggio degli artisti che spesso ci mette in crisi: perché si tratta di messaggi estremamente esclusivi. Quel certo artista ha dipinto un albero come solo esclusivamente lui può vederlo. Come può pretendere dunque che io lo capisca? Ma proprio questo è il messaggio grandissimo: quell'albero dipinto contiene l'incoraggiamento affinché anch'io a mia volta scopra il modo mio esclusivo di vedere l'albero, ogni cosa, e scopra che è infinitamente arricchente conoscere proprio ciò che non potrò fare mio, poiché appartiene alla sfera personalissima ed esclusiva di quell'artista. Non è detto che ciò che non condividiamo debba essere motivo di divisione e incomprensione: può essere, al contrario, la migliore via di arricchimento, proprio perché non è condiviso.
Gli direi, dopo avergli offerto un calice di buon prosecco: "Se pensi che ci debba essere un motivo...hai già un problema!".. ;D
Il senso della vita è semplicemente VIVERE, cercando quindi di conservarsi in vita nel migliore dei modi, di cercare sempre il proprio utile mettendolo al primo posto: sacrifici, rinunce, privazioni, anche per gli altri, anche per la società, anche per astrazioni come la "giustizia" (giustizia per chi poi? Abbasso le utopie!) sono solo asservimenti, idee pericolose che limitano la libertà e conducono la persona a fare sovente il proprio male. L'etica del sacrificio secondo me è un errore, la ragione mi porta a stabilire ciò che mi conviene e se per un ideale io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è da rigettare come cattiva e pericolosa. Il senso della vita è quindi essere sostanzialmente egoisti e anzi abbattere i condizionamenti sociali, morali,ideologici di ogni tipo, in nome dell'affermazione libera dell'Io. In questo senso bene=vita e tutto ciò che conserva la vita, male=morte e tutto ciò che mette a repentaglio la vita e la danneggia, la depriva.
Citazione di: Socrate78 il 30 Dicembre 2017, 12:45:14 PM... se per un ideale io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è da rigettare come cattiva e pericolosa...
Quindi secondo te il comportamento di Falcone e Borsellino fu un comportamento cattivo?
@Socrate.
Se si riduce il motivo per vivere alla propria soddisfazione egoistica, si avra' come conseguenza lo stato di guerra di tutti contro tutti. Inoltre se questo valore fosse davvero condiviso non si spiega perche' Ghandi, Mandela, Cristo, padre Kolbe, Falcone e tanti altri sono ricordati e venerati, mentre soggetti egoistici assoluti vengono di solito relegati nelle pagine di cronaca nera (non allego i soliti Hitler-Mussolini poiche' anche loro non erano egoisti in modo assoluto).
Questo ricorrente elogio dell'egoismo e' o un atteggiarsi per "epater le borgeois" o una regressione infantile-narcisistica, situazione che caratterizza in modo particolare gli italiani del Xxi secolo.
Salve. Naturalmente non esistono motivazioni per vivere. Si nasce e si continua a vivere anche in assenza di nostre soggettive motivazioni. Ciò in nome del principio di inerzia (nulla varia il proprio stato in mancanza di sollecitazioni (motivazioni??) esterne).
Se poi ciascuno sente o cerca di evocare proprie personali motivazioni NON PER CONTINARE A VIVERE, MA PER ASTENERSI DAL RINUNCIARE A VIVERE, questi sono affari particolari nostri.
In realtà alcuni di noi (tutto sommato una minoranza) sono ossessionati dalla ricerca di un SENSO (non MOTIVO) del nostro nascere e poi vivere.
Ma, naturalmente, essi cercano un senso umano di ciò.
Esiste solo il senso-scopo naturale che vuole la persistenza del mondo attraverso la sua continua trasformazione e la complicazione dei suoi componenti, poi quindi - nella stessa ottica ma spostandosi a livelli evoluti superiori - la sopravvivenza delle specie, la sopravvivenza degli individui, la riproduzione..................
A livello umano ed individuale, ecco che il senso-scopo precedente può personalizzarsi e quindi diventare la riproduzione individuale intesa come desiderio di una discendenza, della costruzione di ciò che ci sopravviva, (dalle piramidi alle utopie ideologiche) eccetera. Ecco a tal punto che il senso-scopo naturale è diventato il nostro MOTIVO per vivere, cioè ci siamo costruiti il senso umano che non esisteva in natura.
I più furbi di noi però pensano che si possa trovare una scorciatoia nel recuperare un senso-scopo-motivo di vita senza faticare troppo: basta abolire la morte. Abolendola resta un sacco di tempo per pensare in futuro con più comodo ad un qualsiasi motivo per vivere - stavolta in eterno.
E' tutto qui l'irresistibile fascino di una fede nell'immortalità. Salutoni a tutti.
Mi sembra alquanto facile da criticare il linguaggio esclusivo, a meno che sia stato usato solo per noncuranza: "Esiste solo...", "È tutto qui...". Questo significa scambiare una prospettiva per l'assoluto, considerare il proprio modo di vedere come l'unico valido, perdere di vista l'infinità varietà di modi in cui è possibile interpretare il mondo.
@Angelo Cannata: Ad essere sincero fino in fondo, io dentro di me non amo e non ho mai amato gli eroi e i sognatori. Sostanzialmente li ho sempre ritenuti persone che hanno ripudiato il naturale istinto di conservazione, l'istinto che guida il singolo verso la salute e il bene, per inseguire delle astrazioni che li spingono sovente verso una condotta lesiva dei propri interessi, quindi secondo me cattiva dal punto di vista del bene individuale. Ciò mi sembra molto stupido e anche innaturale, gli eroi in fondo sono vittime delle astrazioni della ragione che costruisce tutto un mondo di "valori" che può portare il singolo alla rovina e che tantissime volte nella storia ha prodotto anche effetti disastrosi nonostante le buone intenzioni. Ritengo molto più razionale, logico e naturale il comportamento egoista e calcolatore bollato come "cattivo", poiché è molto più efficace, nei fatti, a garantire il successo del singolo, anche a spese altrui. A dover scegliere tra i personaggi della storia, io sinceramente preferisco la personalità di Putin a quella di idealisti come Gandhi o Che Guevara!
Non c'è nulla di 'male' nel cercare un motivo o un senso alla propria esistenza. Non è una peculiare caratteristica umana pure questa? Certo, molti non credono sia uno sforzo necessario, ma in definitiva poi non finiscono per adeguarsi ai motivi che propongono e danno gli altri? Così invece che seguire il proprio motivo per vivere, finiscono per vivere per i motivi degli altri ( e spesso per il portafoglio degli altri... :( ). E' naturale per l'uomo porsi domande e interrogativi, come può essere normale per un gatto giocherellare con il topolino...Rinunciare a questo tratto distintivo del proprio essere uomo mi somiglia ad una sorta di autocastrazione. Se mi dicessero che non devo più pormi interrogativi e che devo semplicemente accettare i motivi che altri, potenti, scienziati, religiosi o altro hanno scelto essere i soli che val la pena di seguire...sarebbe forse il momento in cui mi sentirei menomato di una parte importante della mia umanità e della mia stessa vita.
Citazione di: Socrate78 il 30 Dicembre 2017, 18:01:50 PMRitengo molto più razionale, logico e naturale il comportamento egoista
Si tratterebbe di capire in base a quale criterio lo consideri razionale.
Non è razionalità di tipo naturale, poiché in natura anche tra gli animali esistono comportamenti di sacrificio di sé per il bene della maggioranza.
Non è razionalità socialmente condivisa, poiché i comportamenti della società mostrano con chiarezza che l'altruismo è molto apprezzato.
Non è razionalità per il proprio vantaggio, perché questo tipo di scelta non favorisce certo comportamenti altruisti verso di te: altre persone, costrette a scegliere tra salvare un altruista e salvare te, salverebbero l'altruista, il quale almeno garantirebbe maggiori probabilità di bene per la collettività.
Dunque, come fai a considerare l'egoismo razionale, una volta che non è il criterio adottato in natura, non è il criterio adottato dalle società e nemmeno favorisce la tua sopravvivenza.
Il concetto di "motivo" credo si leghi al concetto di scopo o fine.
Tutti concetti che sono di natura "finita". Una volta che si è giunti allo scopo o al fine, non ci sarebbe piu motivi per vivere. Per cui non credo ci sia una risposta filosofica a tale domanda se poniamo lo scopo (quindi il motivo) come qualcosa di esterno al vivere stesso.
Per cui il vivere sembra non avere motivazioni interne. Trova invece mille motivazioni relative al soggetto vivente.
Oppure cercando qualcosa di interno (come un motivo interno al vivere stesso) la sua valutazione risulterà incomprensibile esternamente.
Se dico, ad esempio, che vivo perchè mi piace vivere, e questo al di la di qualsiasi motivazione che potrebbe aiutare od ostacolare la mia piacevolezza, non ho esternato alcun motivo oggettivo che possa aiutare qualcuno (tanto meno a chi ha posto la domanda ) a cercare la mia stessa interna motivazione.
Aiutano sicuramente a comprendere le motivazioni interne i molteplici concetti soggettivi che ci siamo inventati, come il concetto di felicità o di gioia, o anche serenità ecc. Tutte queste diventerebbero meno comprensibili se però le legassimo agli scopi o ai fini oggettivi che la vita ci impone. Per cui se la serenità la legassimo alla necessità di una vita senza problemi, questi ultimi diventerebbero causa della non-serenità interna.
Mentre dovrebbe essere vero il contrario, è la serenità interna che dovrebbe rendere qualsiasi problema un non-problema. A limite alcun problema può ostacolare la serenità interna.
Ma la domanda comunque non avrebbe una risposta oggettiva. Se ti dicessi che il motivo per vivere è la serenità non ti avrei dato alcuna motivazione, cioè cose esterne al tuo essere che al limite puoi comprare al supermercato. Se bere ti rendesse sereno, la tua serenità sarebbe legata alla bottiglia. O se fossi sereno perche ti aspetta a casa qualcuno che ti ha preparato da mangiare, la tua serenità sarebbe legata a queste cose (e bisogna anche vedere se la tua serenità è dipendente piu dal cibo o a chi te lo sta preparando :o ).
Se invece vivessi sereno come una condizione del tuo essere, allora io credo che vivere avrebbe una sua motivazione interna, che al limite andrebbe ricercata in caso non fosse gia una presenza stabile nel tuo essere.
Socrate@.
Putin non e' Ghandi ma non credo neppure che sia puramente egoista. Certo per le sue attitudini da satrapo dovra' pagare un prezzo come tutta la comunita' russa. Se vogliamo possiamo considerare l'egoismo di Putin strutturato attraverso un dominio di tipo autoritario. Gli altri dovranno sottomettersi al suo potere da maschio alfa. In cio' Putin e' un degno esponente della cultura russa passata dal dominio violento degli zar al dominio violento del Pcus. Ammirarlo credo che nasconda un desiderio alienato di essere autoritario come lui. Effettivamente nelle societa' autoritarie, il principio "maschio alfa" si trasmette a cascata, fino al povero sottoproletario che si impone egoisticamente sui suoi figli.
Un motivo per vivere allora e' proprio questo. Togliere ossigeno a questa cultura totalitaria, proteiforme, mimetizzata nel radicalismo islamico, nel fascismo o nello scientismo elitario. Perche' credere che il piu' forte ha dei diritti sul piu' debole e' un retaggio di altre epoche di cui ci dimentichiamo spesso i fiumi di sangue che ha causato.
Con i suoi limiti e' stato il capitalismo e la classe borghese a sradicare quella cultura sostituendo il gioco a somma zero della rapina e della guerra con il gioco del commercio.
Non e' un traguardo lineare, come credevano i positivisti ottocenteschi, perche' ci sono forze immani, politiche, economiche e sociali che cercano e spesso riescono a spingere all'indietro la ruota della storia. Ma e' appunto quella speranza aperta dalle nostre doti empatiche, dal nostro senso di giustizia e di uguaglianza che appare nei bambini a tre/quattro anni di eta' e che e' in eterna lotta con le nostre parti piu' individualiste ed egoiste.
Ovviamente un sano homo sapiens non deve neppure sacrificarsi o giocare al buon ed eterno samaritano. L'egoismo e l'aggressivita' sono insostituibili molle del progresso umano ma esse andrebbero regolate all'interno di una societa' dove gli interessi dei molti andrebbero sempre mediati con le virtu' dei pochi (che indubbiamente esistono e vanno valorizzate anch'esse).
In ogni caso le persone totalmente egoiste, da un punto di vista strettamente psicologico sono fortemente disturbate e destinate ad una vita disatrosa o, in rari casi, ad un clamoroso successo.
@Angelo Cannata: Io ti chiedo però: l'etica e la razionalità morale è qualcosa che nasce da motivi idealistici o egoistici? Io propendo per la seconda ipotesi, mi riconosco in molte opinioni espresse da Nietzsche (il mio filosofo preferito) in merito all'origine egoistica della morale, come si legge nel testo "Umano troppo umano", quando dice: "Dove voi vedete le cose ideali, io vedo cose umane, ahi troppo umane...". Infatti l'atteggiamento individualista ed egoista viene condannato in nome dell'egoismo stesso, l'uomo elabora una serie di valori per influenzare il comportamento del singolo ed asservirlo alle esigenze dell'Ego o di gruppi sociali che intendono dominare la società: in questo senso il "buono" è colui che si presta ad essere un mezzo per le esigenze degli altri o di gruppi sociali, anche a scapito dei suoi interessi. Ora, onestamente, non ti suscita un senso di ribellione interna e di rifiuto questa cosa? Sostanzialmente è come voler manipolare il singolo per asservirlo al sistema, limitandolo nelle possibilità di ottenere vantaggi, benefici, in nome della tranquillità, della sicurezza altrui, ecc.
Mi sembra che i tuoi interrogativi ricadano nella stessa obiezione che ho fatto a viator. Cioè, la prospettiva presentata da te e da viator può anche funzionare, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta solo di una prospettiva, che come tale non può avanzare la pretesa di essere il solo modo possibile, né il migliore, di interpretare l'andamento delle cose. Così come erano umane le cose che Nietzsche criticava, non si può negare che erano anche umanissime, cioè discutibilissime, anche tutte le cose che sosteneva lui. La ribellione interna di cui parli può avere il sopravvento se non riesci a vedere prospettive alternative. Ma, da quando il mondo esiste, nessuno è mai stato in grado di dimostrare che la sua prospettiva fosse l'unica o la migliore. La scienza può sembrare sorprendente per il gran numero di meccanismi che riesce a spiegare, ma non si può dimenticare che proprio la scienza sa di essere limitatissima, per tanti versi perfino contraddittoria.
Facciamo un esempio che rientri in ciò che hai detto. Prendiamo Gesù. Potremmo considerare, come hai detto, che la società riuscì ad inculcargli un falso senso dell'altruismo e del sacrificio di sé, cosicché lo sfruttarono fin quando faceva comodo, quando non fece più comodo lo tolsero di mezzo con tanti saluti. Lo stesso si potrebbe dire di tanti altri. Il fatto è però che queste persone sono riuscite ad inoculare, inserire nelle menti, dei virus, dei sospetti, dei dubbi, che portano alla luce la possibilità di pensare ogni cosa in maniere diverse.
Ciò che trovo più interessante è che tutto ciò può essere di nuovo fatto rientrare nella prospettiva fisica, scientifica, naturalista, meccanicista, che mi sembra alla base di ciò che tu invece hai chiamato razionalità. Cioè è possibile anche pensare che il mondo, da quando esiste, non fa altro che criticare sé stesso, portando continuamente a sussistenza nuovi esseri portatori di nuove prospettive. Da questo punto di vista un personaggio come Gesù viene ad essere semplicemente un esempio di come il mondo naturale continui a suscitare esseri che tengono alta o rigenerano la critica che il mondo fa a sé stesso.
Se consideriamo le cose in questo modo, viene fuori che la tua prospettiva ha il difetto di essere statica, fissa, mentre invece l'universo ci risulta sì ingiusto, spietato, violento, ma anche mai contento di sé, sempre in struggimento di ricerca di nuovi modi di esistere.
Di conseguenza, la prospettiva che tu hai indicato contiene, sì, molte conferme nella nostra esperienza, ma è troppo piccola mentre, a dispetto di tale piccolezza, ventila la pretesa di essere l'unica o la più completa, quella che nelle cose va più a fondo.
Salve. Per Angelo: Sì, hai ragione. Non riesco sempre ad essere lessicalmente e razionalmente rigoroso. Io non elaboro preventivamente ciò che qui scrivo, tendo ad esprimermi di getto, impulsivamente.
Dovrei soffermarmi su ogni periodo premettendo, inserendo o concludendo con "....secondo me....". Facciamo cosi: per il futuro, anche se io dovessi insistere in tale mia "inandempienza", diamo per scontato che quello che scrivo rappresenta costantemente un mio personale punto di vista, parere, opinione....... Cordialità.
Anche per me se uno domanda questa cosa è perchè è depresso.
Dunque automaticamente la questione si sposterebbe su un altro campo semantico.
Difficile anche togliere la questione religiosa.
E comunque la frase: " solo un Dio ci può salvare" è quanto di più filosofico io possa immaginare.
Si vive per essere salvati. Ossia "conosci te stesso".
Alla fine sono d'accordo con molti altri utenti.
Se uno domanda questa cosa è perché è depresso? Assolutamente in disaccordo, ci si può porre questa domanda soltanto perché si è dotati di pensiero critico e di analisi, e il pensiero indaga, si chiede potenzialmente il motivo di tutto, del perché si è al mondo. Anche a me è capitato di farmi domande sul senso della vita, e non ero depresso, garantito, anzi, nei momenti della mia vita in cui ero più infelice per altri motivi (delusioni, problemi piccoli o più seri, ecc.) era proprio allora che ero meno disposto a interrogarmi su tali questioni, semplicemente perché ero concentrato sui miei problemi e non sui "massimi sistemi". Ma allora scusate, si dovrebbero annoverare tra i depressi quasi tutti i filosofi, visto che si sono arrovellati a ricercare il senso dell'esistenza e del mondo stesso, erano poi super-depressi Schopenhauer, Heidegger, Sartre? Tutti da curare con massicce dosi di Prozac, giusto? Ridurre tutto alla patologia mentale della depressione è offensivo, porta a considerare il pensatore come un disturbato mentale, chi è veramente depresso oltretutto non può nemmeno pensare in maniera analitica visto che la depressione porta anche a scadimento di concentrazione e di molte altre funzioni cognitive. La civiltà attuale ci vuole tutti falsamente felici per ridurci a robot, a macchine per la produzione e non sarà lontano il giorno in cui verrà distribuita a man bassa la pillola della felicità per rendere tutti dei bambocci sereni incapaci di pensiero.
Citazione di: Socrate78 il 31 Dicembre 2017, 13:08:27 PM
Se uno domanda questa cosa è perché è depresso? Assolutamente in disaccordo, ci si può porre questa domanda soltanto perché si è dotati di pensiero critico e di analisi, e il pensiero indaga, si chiede potenzialmente il motivo di tutto, del perché si è al mondo. Anche a me è capitato di farmi domande sul senso della vita, e non ero depresso, garantito, anzi, nei momenti della mia vita in cui ero più infelice per altri motivi (delusioni, problemi piccoli o più seri, ecc.) era proprio allora che ero meno disposto a interrogarmi su tali questioni, semplicemente perché ero concentrato sui miei problemi e non sui "massimi sistemi". Ma allora scusate, si dovrebbero annoverare tra i depressi quasi tutti i filosofi, visto che si sono arrovellati a ricercare il senso dell'esistenza e del mondo stesso, erano poi super-depressi Schopenhauer, Heidegger, Sartre? Tutti da curare con massicce dosi di Prozac, giusto? Ridurre tutto alla patologia mentale della depressione è offensivo, porta a considerare il pensatore come un disturbato mentale, chi è veramente depresso oltretutto non può nemmeno pensare in maniera analitica visto che la depressione porta anche a scadimento di concentrazione e di molte altre funzioni cognitive. La civiltà attuale ci vuole tutti falsamente felici per ridurci a robot, a macchine per la produzione e non sarà lontano il giorno in cui verrà distribuita a man bassa la pillola della felicità per rendere tutti dei bambocci sereni incapaci di pensiero.
Tralascio volutamente il problema se esista o meno un rapporto tra filosofia e depressione.
(che ovviamente è una questione assai più complessa, ma non escluderei che ci si possa pensare "localmente").
Forse ho capito male, ma la domanda che ci (si?) fa WebAmnistrator non è se la vita abbia un senso. Ma la motivazione del vivere stesso.
In fin dei conti la risposta alla sua domanda sarebbe benissimo potuta essere, che si vive proprio per trovare un senso alla vita.
Insomma, ripeto forse sono troppo capzioso, io ci trovo due problemi distinti.
Detto questo fatti i distinguo, sono con te quando parli dell'idiozia della felicità (a tutti i costi, o a prezzo del conformismo).
Superficialmente si potrebbe dire che un buon motivo per vivere è avere delle cose da fare. Ma si potrebbe obbiettare che il tenersi impegnati sia un sintomo di disagio, perché nasconde l'implicita volontà di non pensare.
Più profondamente non ppsso fare a meno di sentirmi immerso nella conflittualità fra Io e vita, dove emerge lo stato presente come eraclitea armonia di opposti. Perché Io e vita sono in conflitto? Cosa vogliono di diverso l'uno dall'altro? Beh, tanto per cominciare la vedono in modo differente sulla morte che per l'Io è ritorno nel nulla e per la vita è solo la fase di un ciclo. L'Io non vuol vedere l'altra faccia della medaglia, il Non-Io. La vita non vuole accettare che l'Io sia importante tanto quanto lei.
Buon anno
Sono d'accordo con Sariputra quando dice che porsi interrogativi del genere fa parte della natura dell'uomo. La metafisica non c'entra nulla con la domanda. Al limite, alla domanda può essere data poi una risposta metafisica.
Ma dover stare continuamente attenti al linguaggio che si utilizza per non incorrere nell'infrazione di "uso di concetti metafisici" mi sembra anche a me una specie di auto-castrazione.
Per non parlare poi del fatto che alla fine rimane talmente poco spazio consentito alla riflessione che l'elogio delle piccole cose che fa il presunto filosofo non-metafisico sembra essere semplicemente l'apologia della vita privata...
Sono d'accordo con Socrate78 quando si ribella all'idea che porsi interrogativi come quello oggetto di questo topic sia sintomo di depressione.
Di fatto la filosofia e ogni tradizione spirituale nascono da domande del genere.
Ma non solo l'uomo è legittimato a farsi delle domande del genere: l'uomo deve farsi domande del genere se non vuole tradire se stesso!
Certo, non manca all'essere umano la capacità di tradire ogni cosa (le proprie promesse, i patti con l'altro, i legami con la propria comunità): questo è del resto, secondo me, il vero motore di tutti i dubbi sulla possibilità di trovare delle buone ragioni per vivere.
Anche la morte non farebbe così paura se vivessimo nella convinzione che la fedeltà a certe alleanze è più importante della propria esistenza (o meglio, se fossimo convinti che la vita del singolo al di fuori della fedeltà a se stesso, all'altro e alla comunità, non vale nulla).
Che sia il tradimento, e non la violenza, l'esperienza che mette in crisi l'uomo e che lo costringe alla riflessione radicale su ogni forma di civiltà?
" Sappiamo
quello che siamo,
non quello che
possiamo essere."
( William Shakespeare)
BUON ANNO A TUTTI GLI UTENTI DI LOGOS
(https://preview.ibb.co/f3TDam/settembre_2017_006.jpg)
Per fortuna non c'è un motivo per cui si debba vivere.
Per la bellezza.. e anche perchè non c'è un buon motivo per morire.
Citazione di: baylham il 02 Gennaio 2018, 10:16:45 AMPer fortuna non c'è un motivo per cui si debba vivere.
Mi hai fatto ricordare una brevissima intervista ad Alberto Moravia, che anni fa si vide in TV. Mentre scendeva dalla macchina (o vi saliva, non ricordo; mi dispiace non essere più riuscito a trovarla in alcun modo) gli chiesero che senso avesse secondo lui la vita. Egli rispose qualcosa del genere: "Con tutti i mali che già nella vita ci sono, ci mancherebbe solo di aggiungere quest'altro, che essa debba avere un senso".
Citazione di: Socrate78 il 30 Dicembre 2017, 12:45:14 PM
Il senso della vita è semplicemente VIVERE, cercando quindi di conservarsi in vita nel migliore dei modi, di cercare sempre il proprio utile mettendolo al primo posto: sacrifici, rinunce, privazioni, anche per gli altri, anche per la società, anche per astrazioni come la "giustizia" (giustizia per chi poi? Abbasso le utopie!) sono solo asservimenti, idee pericolose che limitano la libertà e conducono la persona a fare sovente il proprio male. L'etica del sacrificio secondo me è un errore, la ragione mi porta a stabilire ciò che mi conviene e se per un ideale io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è da rigettare come cattiva e pericolosa. Il senso della vita è quindi essere sostanzialmente egoisti e anzi abbattere i condizionamenti sociali, morali,ideologici di ogni tipo, in nome dell'affermazione libera dell'Io. In questo senso bene=vita e tutto ciò che conserva la vita, male=morte e tutto ciò che mette a repentaglio la vita e la danneggia, la depriva.
CitazioneIL MIO DISSENSO NON POTREBBE ESSERE PIU' TOTALE E ASSOLUTO ! ! !
Le persone fanno sovente il proprio male perché hanno aspirazioni (la soddisfazione delle quali é bene, felicità, gioia, piacere, ecc., l' insoddisfazione delle quali é male, infelicità, tristezza, dolore , ecc.) almeno in parte reciprocamente incompatibili (non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca!) e solitamente (salvo casi di estrema sfortuna oggettiva, purtroppo reali) agiscono irrazionalmente o in maniera non sufficientemente razionale: calcolando male ciò che é effettivamente, realsticamente possibile fare, i mezzi a ciò necessari (e i "prezzi da pagare" per ottenere i beni che si sceglie di perseguire), o addirittura agendo d' istinto e sventatamente, senza riflettere, senza soppesare adeguatamente i pro e i contro delle proprie azioni, abbagliati da beni immediati i quali potrebbero rivelarsi in teoria previamente, in seguito a una valutazione razionale adeguata e anche "a lungo termine", e inesorabilmente di fatto a posteriori si rivelano effimeri e comunque più o meno di gran lunga superati dagli "effetti collaterali negativi" non calcolati e non previsti che necessariamente, oggettivamente comportano).
Sacrifici, rinunce, privazioni, anche per gli altri, anche per la società, anche per aspirazioni come quella alla giustizia (giustizia per quanti più senzienti possibile. Viva i progetti scientificamente fondati di progresso e di giustizia sociale!) possono essere in linea teorica, di principio e spessissimo in linea pratica, di fatto sono dunque, a considerare correttamente, realisticamente le cose (se si assume un giusto, corretto atteggiamento verso la vita e le sue reali caratteristiche oggettive, guardando in faccia la realtà ed evitando insoddisfabili e utopistiche pretese "assolute" e incondizionate di felicità e benessere) beni per lo meno relativi (beni non in quanto fini in se stessi, ma in quanto mezzi necessari, inevitabili per conseguire condizioni di felicità e benessere maggiori, una vita complessivamente buona ed evitare infelicità e malesseri maggiori, una vita complessivamente cattiva; e questo vale individualmente e socialmente, a proposito dell' umanità presente e di quella realmente e comunque potenzialmente futura).
L'etica del sacrificio secondo me è un il giusto, corretto approccio alla vita, foriero di felicità complessiva, la ragione mi porta a stabilire ciò che mi conviene e se per un ideale che sento sufficientemente forte, lottare per il qualere mi dà sufficiente soddisfazione io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è ottima e da perseguire ad ogni costo, anche a costo della vita:
L' autentica, reale beatitudine delle persone virtuose e magnanime (dei "santi") non sta in nessuna (insistente) "altra vita futura", come pretenderebbero le religioni, ma invece nella loro vita reale mentre é attualmente presente, anche nell' affrontare, se necessario, qualsiasi sacrificio, compreso, al limite, quello correntemente detto "estremo" o "supremo".
Perché, come ben sapevano gli antichi stoici (ma non solo; per esempio anche il cristiano Severino Boezio, che lo testimoniò con la sua gloriosa e felice morte),
"La virtù é premio a se stessa".
Il senso della vita è quindi essere sostanzialmente se stessi:
e dunque (fra l' altro) se si é magnanimi, altruisti, generosi (per dirlo alla maniera degli antichi stoici "virtuosi") lottare per abbattere i condizionamenti sociali, morali, ideologici di ogni tipo, in nome dell'affermazione libera della civiltà umana e del maggiore benessere possibile per il maggior numero possibile di umani e di senzienti (e solo se si é più o meno miserabilmente gretti e meschini -"viziosi"- perseguire il proprio vantaggio a scapito degli altri).
Citazione di: Socrate78 il 30 Dicembre 2017, 19:36:54 PM
@Angelo Cannata: Io ti chiedo però: l'etica e la razionalità morale è qualcosa che nasce da motivi idealistici o egoistici? Io propendo per la seconda ipotesi, mi riconosco in molte opinioni espresse da Nietzsche (il mio filosofo preferito) in merito all'origine egoistica della morale, come si legge nel testo "Umano troppo umano", quando dice: "Dove voi vedete le cose ideali, io vedo cose umane, ahi troppo umane...". Infatti l'atteggiamento individualista ed egoista viene condannato in nome dell'egoismo stesso, l'uomo elabora una serie di valori per influenzare il comportamento del singolo ed asservirlo alle esigenze dell'Ego o di gruppi sociali che intendono dominare la società: in questo senso il "buono" è colui che si presta ad essere un mezzo per le esigenze degli altri o di gruppi sociali, anche a scapito dei suoi interessi. Ora, onestamente, non ti suscita un senso di ribellione interna e di rifiuto questa cosa? Sostanzialmente è come voler manipolare il singolo per asservirlo al sistema, limitandolo nelle possibilità di ottenere vantaggi, benefici, in nome della tranquillità, della sicurezza altrui, ecc.
CitazioneQuesto significa confondere "felicità" con "egoismo" e infelicità" con "altruismo": concetti completamente diversi (e a mio modesto parere sintomatici di egoismo)!
Felici, appagati, contenti si può essere tanto se si é egoisti quanto se si é altruisti e infelici, scontenti inappagati si può essere tanto se si é altruisti quanto se si é egoisti.
Perché essere felici, appagati, contenti significa ottenere ciò che si desidera, mentre essere infelici, scontenti, inappagati significa non ottenere ciò che si desidera del tutto indipendentemente da che cosa sia o non sia l' oggetto del desiderio positivo o negativo stesso (che sia il bene proprio a spese di quello altrui o il bene altrui a spese del proprio o una qualche delle infinite "vie di mezzo" fra questi estremi).
Dunque chi é più o meno altruista. generoso e magnanimo é felice, appagato e contento nel fare in maggiore o minor misura il bene degli altri e infelice nel non riuscire a farlo, chi é più o meno egoista, gretto e meschino é felice, appagato e contento nel fare in maggiore o minor misura il bene proprio a scapito degli altri e infelice nel non riuscire a farlo.
Citazione di: Webmaster il 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PM
Cosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?
La persona che vi pone tale domanda non ha intenzioni di uccidersi, non è depressa e non è triste, quindi tutti i motivi legati a varie problematiche esistenziali sono da escludere, dovreste solo dirle il motivo per cui, secondo voi, vale la pena di vivere la nostra esistenza.
Siamo nella sezione dedicata alla filosofia quindi vorrei che escludeste ogni riferimento religioso.
Grazie e sereno anno nuovo.
Ciao Ivo, buon anno anche a te e a tutti gli utenti.
Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?Purtroppo una risposta netta e semplice a questa domanda, secondo me, non c'è. Non perché la domanda sia intrinsecamente difficile, o addirittura oltre alle nostre limitate capacità, bensì perché tale domanda deve prima essere spiegata agli altri, ma prima di tutto a se stessi.
Condivido l'approccio di Phil, che spinge a chiarirsi le idee su alcuni concetti e assunti accettati implicitamente ed inconsapevolmente ma che necessitano di un'analisi attenta:
Citazione di: Webmaster il 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PMRisponderei con alcune (meta)domande, per definire l'orizzonte di senso in cui la domanda principale si pone: per vivere deve esserci almeno un motivo? Questo motivo deve essere uguale per tutti? La ricerca di tale motivo può essere un motivo valido? Conosci già dei motivi per cui non dovresti vivere? In che modo il "dovere" può inficiare il "vivere" ponendo all'individuo la questione del suo "dover vivere"?
Rispondendo accuratamente a queste domande, secondo me, si è già (almeno) a metà strada...
Innanzitutto, noi diamo e cerchiamo motivi in una moltitudine di contesti di vita ordinaria e le risposte sono solitamente semplici e immediata. Esempio: il motivo del mio andare al panificio è che mi serve del pane. X ha uno scopo e tale scopo è il motivo di una sua data azione. Ma allora perché non è così banale chiedere "qual è un motivo per cui dovrei vivere?"? Penso perché il vivere è la precondizione di avere scopi e motivi particolari.
La differenza tra (A1) "Qual è il motivo per cui vai al panificio?" e (A2) "Qual è il motivo per cui dovrei vivere?" è in qualche modo simile alla differenza che c'è tra (B1) "Perché c'è un divano nuovo in casa mia?" e (B2) "Perché esiste un universo invece del nulla?". Spiegare un fatto, cercare motivi, presuppone l'esistenza di altri fatti che possono essere presi come motivi e spiegazioni. Ma (A2) e (B2) si vogliono innalzare sopra ogni cosa, quindi non abbiamo più nulla da utilizzare per rispondere. (Vedi: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-ce-qualcosa-anziche-il-nulla/msg12877/#msg12877)
Infatti se alla domanda di questo topic rispondessi "Un motivo per vivere è X", ci si potrebbe chiedere un motivo di tale scelta, e così via. La domanda, intesa nel senso metafisico, non ha risposta perché non è una domanda ben formulata. Voglio enfatizzare questa cosa: non significa che non ci sono motivi per vivere, significa che "X è un motivo per vivere" e "non ci sono motivi per vivere" sono entrambe due affermazioni senza senso.
Lasciando da parte l'approccio metafisico, cosa ci rimane? L'approccio umano, cioè intendere la domanda (come molti qui hanno già inteso) in questo modo:
Quali sono gli ideali per cui io vivo?Ecco, questa ovviamente è una domanda legittima che può avere infinite risposte. Ma ciò è normale, visto che questa domanda, al contrario di quella metafisica, va a sondare il senso morale ed estetico delle persone che quindi la risposta non può che essere estremamente personale.
Buon anno Webmaster :)
Personalmente: l'Eudaimonia, intesa come l'esistenza autentica (ovviamente, si dà il caso che non ho ancora trovato cosa voglia dire per me "esistenza autentica"...) :)
Citazione di: epicurus il 12 Gennaio 2018, 11:00:58 AM
Innanzitutto, noi diamo e cerchiamo motivi in una moltitudine di contesti di vita ordinaria e le risposte sono solitamente semplici e immediata. Esempio: il motivo del mio andare al panificio è che mi serve del pane. X ha uno scopo e tale scopo è il motivo di una sua data azione. Ma allora perché non è così banale chiedere "qual è un motivo per cui dovrei vivere?"? Penso perché il vivere è la precondizione di avere scopi e motivi particolari. La differenza tra (A1) "Qual è il motivo per cui vai al panificio?" e (A2) "Qual è il motivo per cui dovrei vivere?" è in qualche modo simile alla differenza che c'è tra (B1) "Perché c'è un divano nuovo in casa mia?" e (B2) "Perché esiste un universo invece del nulla?". Spiegare un fatto, cercare motivi, presuppone l'esistenza di altri fatti che possono essere presi come motivi e spiegazioni. Ma (A2) e (B2) si vogliono innalzare sopra ogni cosa, quindi non abbiamo più nulla da utilizzare per rispondere. (Vedi: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-ce-qualcosa-anziche-il-nulla/msg12877/#msg12877) Infatti se alla domanda di questo topic rispondessi "Un motivo per vivere è X", ci si potrebbe chiedere un motivo di tale scelta, e così via. La domanda, intesa nel senso metafisico, non ha risposta perché non è una domanda ben formulata..
Epicurus, quanto tempo e buon anno anche a te! :) Curiosità: secondo te (A2) e (B2) sono domande senza senso o sono enigmi impossibili da risolvere con la sola razionalità (che è diverso dal concetto di "ragionevolezza "! per esempio non ho mai trovato una dimostrazione per cui le altre persone sono coscienti - e quindi non posso a rigore crederlo "razionalmente" - ma ritengo ragionevole che lo siano ;) ) ? è lecito fare delle ipotesi di risposta a tali domande o non posso farlo?
Citazione di: Apeiron il 12 Gennaio 2018, 11:59:43 AM
Citazione di: epicurus il 12 Gennaio 2018, 11:00:58 AM
Innanzitutto, noi diamo e cerchiamo motivi in una moltitudine di contesti di vita ordinaria e le risposte sono solitamente semplici e immediata. Esempio: il motivo del mio andare al panificio è che mi serve del pane. X ha uno scopo e tale scopo è il motivo di una sua data azione. Ma allora perché non è così banale chiedere "qual è un motivo per cui dovrei vivere?"? Penso perché il vivere è la precondizione di avere scopi e motivi particolari. La differenza tra (A1) "Qual è il motivo per cui vai al panificio?" e (A2) "Qual è il motivo per cui dovrei vivere?" è in qualche modo simile alla differenza che c'è tra (B1) "Perché c'è un divano nuovo in casa mia?" e (B2) "Perché esiste un universo invece del nulla?". Spiegare un fatto, cercare motivi, presuppone l'esistenza di altri fatti che possono essere presi come motivi e spiegazioni. Ma (A2) e (B2) si vogliono innalzare sopra ogni cosa, quindi non abbiamo più nulla da utilizzare per rispondere. (Vedi: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-ce-qualcosa-anziche-il-nulla/msg12877/#msg12877) Infatti se alla domanda di questo topic rispondessi "Un motivo per vivere è X", ci si potrebbe chiedere un motivo di tale scelta, e così via. La domanda, intesa nel senso metafisico, non ha risposta perché non è una domanda ben formulata..
Epicurus, quanto tempo e buon anno anche a te! :) Curiosità: secondo te (A2) e (B2) sono domande senza senso o sono enigmi impossibili da risolvere con la sola razionalità (che è diverso dal concetto di "ragionevolezza "! per esempio non ho mai trovato una dimostrazione per cui le altre persone sono coscienti - e quindi non posso a rigore crederlo "razionalmente" - ma ritengo ragionevole che lo siano ;) ) ? è lecito fare delle ipotesi di risposta a tali domande o non posso farlo?
CitazioneIn attesa di quella di Epicurus (ben tornato anche da parte mia!) accenno a una risposta mia.
Secondo me si tratta di due questioni diverse.
Superare lo scetticismo assoluto (a mio parere conseguenza inevitabile di un razionalismo -o critica razionale- del tutto conseguente "fino in fondo", portato alle estreme conseguenze) per ammettere "ragionevolmente" un minimo di tesi indimostrate-indimostrabili senza credere le quali (o almeno senza che fosse come se si credessero le quali) non si agirebbe ma ci si abbandonerebbe alla passività più totale é un conto.
E' un modo di vivere e pensare coerentemente a come si vive (perché il razionalismo conseguente fino in fondo, venendo inevitabilmente a coincidere a mio parere con lo scetticismo, sarebbe incoerente -ovvero contraddittorio- con il perseguire attivamente qualsiasi scopo in qualsiasi circostanza attraverso determinati mezzi ritenuti efficaci: se lo si fa, allora per lo meno ci si comporta come se si credesse qualche verità indimostrabile).
Invece porsi il problema del senso (dello scopo, del "perché"?) circa qualcosa (come é la realtà in toto) che non é arbitrariamente voluto e realizzato da un soggetto cosciente di conoscenza e di azione intenzionale, soggettivamente deliberata (e magari di libero arbitrio) non ha senso.
Ha senso chiedersi perché, a quale scopo, con che senso qualcuno fa intenzionalmente qualcosa (qual' é la sua intenzione nel farlo, per l' appunto).
Ma perché, a quale scopo, con che senso é reale (accade realmente) qualcosa di non intenzionalmente, non deliberatamente "fatto", realizzato (=reso reale, da meramente intenzionale, immaginativo che fosse stato) non ha senso: é un indebito atteggiamento antropomorfo verso la realtà.
Inoltre, limitandoci a considerare ciò che non é deliberatamente, intenzionalmente (soggettivamente) realizzato, ma semplicemente é (oggettivamente) reale, spiegazione di qualcosa (ente o evento) può essere qualcos' altro (altrimenti tale ente o evento, essendo spiegazione di se stesso, autospiegandosi, non abbisogna di, non ha altre spiegazioni da esso diverse): per esempio di determinati enti-eventi naturali sono spiegazioni le leggi fisiche generali astratte universali e costanti del divenire naturale e i fatti particolari particolari concreti variabili e reciprocamente diversi che lo hanno preceduto "evolvendo in esso" secondo e leggi fisiche stesse.
Ma oltre al tutto, alla totalità del reale per definizione non é/accade reale/realmente alcunché (d' altro) che ne possa eventualmente costituire la spiegazione.
Dunque la realtà in toto può essere sensatamente considerata autospiegantesi o -ovvero?- senza spiegazione ad essa stessa ulteriore, da essa stessa diversa, ma non sensatamente spiegata (da alcunché di altro da essa diverso, ad essa ulteriore): sarebbe contraddittorio ovvero insensato pretendere di farlo.
@sgiombo, credo che hai frainteso quello che volevo dire. Visto l'equivoco, colgo l'occasione di usare questa mia risposta al tuo ultimo post per una volta per tutte dire qual è la mia posizione su meta-fisica ecc (quindi di fatto è una risposta che va oltre gli scopi del tuo post...). Non so se possa aiutare però visto che il termine "metafisica" è stato usato, beh a questo punto è "giusto" dare ad esso un significato non troppo ambiguo.
Allora se per metafisica l'attività di studio della realtà che parte dal presupposto che si possa avere una "teoria rigorosa" delle cose completamente dimostrata, inattaccabile ecc allora anche io sono d'accordo che questo tipo di "metafisica" è effettivamente dogmatica, oltre che probabilmente impossibile (via Goedel più che Wittgenstein e filosofi del linguaggio vari, postmordenisti ecc). Motivo per cui riguardo alla domanda: "è possibile dimostrare l'esistenza di altre coscienze oltre la mia?" non risponderei con un categorico e secco "NO!" ma con un "molto probabilmente no, ma onestamente non saprei".
Se invece per "metafisica" si intende l'attività (non dottrina, attenzione!) in cui si fanno ipotesi sulla realtà e se ne discute la ragionevolezza senza avere necessariamente la pretesa di "dimostrare tutto" allora in questo caso mi ritengo un "metafisico". Su questo credo si siano avuti molti equivoci, polemiche ecc in queste ultime settimane. Tutti questi equivoci secondo me nascono dal non saper distinguere la razionalità dalla ragionevolezza. Altri equivoci e altre polemiche sono nate probabilmente anche perchè a parole come "metafisica" si danno significati differenti. Oppure da incomprensioni completamente involontarie che nascono magari dal fatto di non esprimersi in modo chiaro... Secondo me almeno per questo tipo di "metafisica" è giusto ammetterlo. Mi sembra la cosa meno dogmatica che ci sia, però amen come ho detto altrove non mi va spiegare il motivo per cui ritengo che questa metafisica sia ammissibile (le domande ad Epicurus erano rivolte a sentire la sua opinione su questo tipo di metafisica non certo ad iniziare la discussione se è ammissibile o no. Se lui ritiene che non lo è, ok. Si dà il caso che per me invece è ammissibile...). Per esempio dico che l'universo è regolare anche se non è possibile dimostrare una tale affermazione ma considerando il successo della scienza non credo che la matematica "funzoni" per "puro caso". Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/The_Unreasonable_Effectiveness_of_Mathematics_in_the_Natural_Sciences
Come per esempio quest'ultimo caso. Non avevo intenzione di dire che il problema è lo stesso. Semplicemente volevo dire che secondo me chiedersi "la vita ha un senso?" oppure "perchè esiste qualcosa anziché il nulla?" sono certamente domande che non si riferiscono a nulla di empirico ma secondo me questo non ne invalida il senso. Per esempio* se il cristianesimo è vero entrambe hanno perfettamente senso e hanno anche una risposta almeno parziale (=visto che il "piano di Dio" in fin dei conti è conoscibile dall'uomo in minima parte. Ergo a rigore sono domande la cui risposta c'è ma trascende le nostre capacità). Se invece ad esempio Cioran (e altri anti-natalisti non religiosi contemporanei) ha ragione invece la prima o ha una risposta negativa o è insensata mentre la seconda o è un "imponderabile" (=questione irrisolta), o è un'insensatezza (=domanda senza senso).
Attualmente ritengo entrambe domande che hanno un senso (in particolare la seconda è legata all'Eudaimonia...) e hanno una risposta ma tale risposta "va oltre le nostre capacità". Si dà il caso poi che altrove ho già detto non ero d'accordo con il tuo spinozismo ;D
La domanda l'ho fatta più che altro per semplice curiosità sulla posizione di Epicuro ;) dire che tali domande sono senza senso è ben diverso da dire che non hanno una risposta o sono imponderabili!
*Ho citato il cristianesimo come titolo d'esempio.
Citazione di: Webmaster il 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PM
Cosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?
La persona che vi pone tale domanda non ha intenzioni di uccidersi, non è depressa e non è triste, quindi tutti i motivi legati a varie problematiche esistenziali sono da escludere, dovreste solo dirle il motivo per cui, secondo voi, vale la pena di vivere la nostra esistenza.
Siamo nella sezione dedicata alla filosofia quindi vorrei che escludeste ogni riferimento religioso.
Grazie e sereno anno nuovo.
A mio avviso esiste, umanamente parlando, un solo motivo per vivere che però diventano indefiniti, tanti quanti sono gli uomini; in altre parole ogni uomo ha un "suo" motivo particolare per vivere, diverso da tutti gli altri poichè ogni uomo è unico e irripetibile. Questo motivo è, come diceva Nietzsche riprendendo Pindaro, diventare ciò che si è, ovvero esprimere al massimo livello le proprie potenzialità creative attraverso quella che sempre Nietzsche chiama "volontà di potenza"; il termine potenza non deve essere infatti in questo caso assimilato a dominio o prevaricazione, ma appunto a potenzialità, a possibilità, da attualizzare nel mondo attraverso la propria volontà, e la sua realizzazione presuppone la preventiva ottemperanza al celeberrimo precetto delfico "conosci te stesso".
In conformità al principio di ragione (nihil est sine ratione) ogni ente presente nell'universo ha almeno una ragione per esserci (perchè, banalmente, se non ce ne fosse alcuna semplicemente non sarebbe) e questa è sempre interna all'ente stesso e dall'esterno si può solo ipotizzare senza mai esserne certi. Di conseguenza anche ogni uomo ha la sua particolare ragione per essere al mondo che può conoscere lui solo, e come ogni altro ente vi si deve adeguare per partecipare, pro quota, al processo creativo globale secondo il suo talento, la sua virtù, la sua "techné" particolare e unica.
Nei tempi attuali sono altre le esortazioni a cui gli uomini si conformano (o tentano di farlo): una è "diventa ciò che vuoi" solennemente sancita dalle moderne costituzioni liberali, che si interseca e si completa con "diventa ciò che puoi", motto principe dell'egoismo stirneriano; il desiderio e il potere di realizzarlo diventano quindi la ragione di vita della maggior parte dell'umanità, determinando una progressiva ipetrofia dell'ego di ognuno che confliggerà con quelli altrui causando una diminuzione di senso e di felicità nella vita di coloro, la grande maggioranza, che si troveranno schiacciati dai pochi che aumenteranno sempre più il loro potere sui molti a proprio esclusivo vantaggio. Ci troviamo quindi a fare i conti con una gran parte dell'umanità che se da un lato vive da "parassita" nel mondo in quanto non riesce a dare un senso al proprio esserci e si limita a consumare risorse senza fornire alcun contributo creativo, dall'altro è funzionale al "senso della vita" dei pochi che la sfruttano per alimentare quello che, sempre Nietzsche, chiamava "egoismo malato".
Per Don Quixote: a me sembra che se il motivo per vivere sia la stessa essenza e la ricerca di ciò che si è, si rischia la tautologia e anche la descrizione di un mondo immobile, dove ognuno fa quello che fa perchè è così: quindi se il daimon di tizio è violentare, la sua violenza è l'ottemperanza della sua ragione di essere?
X Apeiron
Veramente in questa discussione non ho usato il termine "metafisica", ho parlato d' altro.
Forse mi confondi con Angelo Cannata.
Sull' indimostrabilità dell' esistenza reale di altre esperienze coscienti oltre alla propria immediatamente esperita, vissuta, a mio parere si può averne certezza (dell' indimostrabilità, ovviamente, non dell' inesistenza di altre coscienze).
Infatti se fosse possibile dovrebbe trattarsi:
o di una prova empirica a posteriori (ma per definizione ciò di cui può aversi esperienza é (fa parte della) coscienza immediatamente esperita "in proprio" (da parte di ciascuno, se altri oltre a me –come credo ma non posso dimostrare ci sono realmente);
oppure di una dimostrazione logica (ma questa implicherebbe necessariamente l' impossibilità (l' impensabilità sensata) del contrario, della non realtà di alcunché di altro oltre alla propria coscienza immediatamente esperita, cosa che non é: può ben immaginarsi non contraddittoriamente, sensatamente che altre esperienze coscienti esistano (oltre che non ne esista alcuna); e anche che esistano cose in sé o noumena, letteralmente reali "oltre" ciò che si percepisce fenomenicamente, compresa la realtà fisica (oltre che quella psichica), cioè "metafisiche" (esistenza alla quale pure io credo, anche se non posso provarla).
Naturalmente potrei sbagliarmi, ma credo proprio che sulle altre considerazioni del tuo ultimo intervento (deismo, o meglio provvidenzialismo teistico, sia pure trascendentale) Epicurus dissenta più o meno come ne dissento io.
E non mi stupirei se e Epicurus, con Schlik, sostenesse anche che le domande senza risposta sono senza senso mentre tutte le domande sensate hanno una risposta empiricamente rilevabile, almeno in linea di principio se non di fatto (e su questo personalmente non sarei d' accordo).
Ma staremo a vedere.
@sgiombo,
non ti ho scambiato per nessuno, mi sono espresso male di nuovo io ;D
appunto so che non mi hai chiesto a riguardo della "metafisica" (e ho detto nel mio post che la mia risposta andava oltre le tue domande ;) ). Hai voluto distinguere il problema dello scetticismo da quello del "senso della vita", "del motivo per cui c'è qualcosa ecc". Ma Epicurus secondo me ha problematizzato la "metafisica".
Per essere più espliciti: sono due problemi diversi. Il problema dello scetticismo è un conto, quello del "senso della vita" un altro. Sul primo siamo d'accordo. Sul secondo pare di no ;)
Tuttavia entrambi sono problemi "meta-fisici", sui quali secondo me è lecito fare ipotesi. Se poi uno creda che ad esempio il problema dello scetticismo sia possibile fare ipotesi mentre sull'altro no è un'altra cosa. Così come è un'altra cosa ancora dire che è ragionevole pensare che lo scetticismo sia risolvibile mentre è irragionevole pensare ad un senso della vita.
In sostanza la mia domanda ad Epicurus è questa... giustamente non possiamo dire che il "senso della vita" sia risolvibile allo stesso modo del senso per cui si va al panificio (su cui concordo). Possiamo poi anche discutere secondo me se tutto l'universo è una simulazione al computer (come hanno fatto alcuni), possiamo discutere se le altre menti esistono o meno, possiamo discutere se l'universo è veramente regolare o no, se esiste la vita dopo la morte o meno ecc. Ergo la mia domanda è: è lecito fare le domande (A2) e (B2) oppure sono semplicemente senza senso?
L'analogia che solitamente uso è la seguente: se c'è un motivo per cui esiste qualcosa anziché il nulla è in fin dei conti una situazione simile alle opere di fantasia. Nel senso che quando uno scrittore scrive un libro nel quale c'è una "morale" il "senso" del libro può essere interpretato sia come la "trama" (ovvero cosa succede) sia il motivo per cui è stato scritto (ovvero la "morale" della storia). Nel primo caso la storia stessa deve avere un "fine", ovvero gli eventi avvengono in modo da avere una certa conclusione (si pensi a come si usano le profezie nel fantasy o nella fantascienza). Nel secondo caso invece il senso è dato da tutta la storia stessa (come ad esempio avviene nelle favole). Chiaramente un libro può avere entrambi questi tipi di senso, uno dei due o nessuno dei due. Secondo me la domanda "perchè esiste qualcosa anziché il nulla?" ha una risposta affermativa se l'analogia del libro che ho appena esposto si può applicare al "tutto" (come ad esempio avviene in molte religioni teistiche dove si parla di Provvidenza ecc). Dire ad esempio che non c'è il "senso" significa affermare che l'analogia di cui sopra non si applica al caso "reale". Oppure la domanda è un'insensatezza "illuminante": in questo caso anche se è "fuorviante" ritenere che si applichi l'analogia del libro possiamo comunque dire che per certi versi questa analogia ci comunica indirettamente qualcosa (sinceramente questa posizione mi pare trovarla in diversi artisti). Infine possiamo semplicemente dire che la domanda stessa è un semplice non-senso come "il bello è più alto del legno". Secondo me vale qualcosa di simile al'"insensatezza illuminante" nel senso che ovviamente l'universo non è un "libro" però la "morale" non è semplicemente una convenzione umana ;) Chiaramente per un cristiano il nostro mondo è molto simile ad una "storia che si sta scrivendo" visto che c'è Autore, morale, trama, profezie ecc (non a caso nascono i problemi tra onniscienza dell'Autore e il libero aribitrio....) - insomma è un po' come vivere (non leggere ma vivere) la storia de "Il Signore degli Anelli". Si può vedere anche https://it.wikipedia.org/wiki/Mito. Nelle "visioni del mondo" in cui c'è un senso della vita e della storia il mondo stesso è visto come un "mito" e noi viviamo la sua storia. Oggi invece la distinzione tra "mito" e realtà è molto più netta e marcata. Non a caso la "morale" e il "senso" sono parole che usiamo per descrivere opere di fantasia, non certo in genere la realtà. Personalmente sono orientato ad una posizione che è una "via di mezzo" delle due. Nel senso che la nostra vita non è come quella di Gandalf, Aragorn, Frodo ecc (personaggi del Signore degli Anelli) ma strettamente parlando cose come l'etica, i valori ecc si riferiscono a qualcosa di "reale" e non sono semplici "finzioni dell'intelletto". Ovviamente è solo la mia personalissima opinione ;)
Spero ora di essere stato chiaro, intendevo questo e certamente il mio intervento non aveva alcuna intenzione "maligna" LOL. Mi scuso per l'equivoco, sgiombo :) pensavo che bastasse dire che i due problemi sono diversi però entrambi (a loro modo) meta-fisici. Secondo me è lecito speculare su entrambi, secondo altri no ;) Volevo sentire l'opinione di Epicurus.
Meglio adesso? :)
Citazione di: Apeiron il 13 Gennaio 2018, 10:38:35 AMTuttavia entrambi sono problemi "meta-fisici", sui quali secondo me è lecito fare ipotesi. Se poi uno creda che ad esempio il problema dello scetticismo sia possibile fare ipotesi mentre sull'altro no è un'altra cosa. Così come è un'altra cosa ancora dire che è ragionevole pensare che lo scetticismo sia risolvibile mentre è irragionevole pensare ad un senso della vita.
CitazioneIl mio atteggiamento di fronte alla realtà é innanzitutto quello il più razionalista possibile: rendermi conto di cio che é certamente vero e dubitare di tutto il resto.
Ciò mi porta a rendermi conto dell' insuperabilità dello scetticismo: nessuna conoscenza circa la realtà é certa, qualsiasi affermazione circa la realtà é degna di dubbio (i giudizi analitici a priori sono certi, ma non sono conoscenze circa la realtà, nessuna informazione ci danno circa ciò che é reale o meno, limitandosi a dirci che da certe premesse sono ricavabili certe conseguenze; il carattere di conoscenza vera delle quali é però condizionato dalla verità delle premesse, la quale é incerta).
A questo punto, non essendo disposto a condannarmi alla passività pratica e cercando di essere complessivamente coerente (nella pratica e nella teoria) ripiego dal razionalismo assoluto o rigoroso a una più limitata "ragionevolezza"; cioé ad accettare per vere il minor numero possibile di tesi tali che se non altro, per lo meno, inevitabilmente vivo come se fossi certo della loro verità.
Fra queste non ci sono l' esistenza di Dio e provvidenza divina (che spiegherebbero lo scopo della mia vita e della realtà creata da Dio).
E non c' é -né ci può essere per un' impossibilità logica, perché pretendere di affermarlo sarebbe un giudizio analitico a priori scorretto, tale da ricavare indebitamente, contraddittoriamente conseguenze non deducibili dalle premesse- nulla che possa costituire una spiegazione complessiva della realtà in toto e che sia da essa (realtà in toto) diverso.
E infatti nessuna teismo dà (non potendola dare per un' impossibilità logica) una spiegazione della totalità del reale (Dio compreso) distinta da esso: Dio spiega il creato, ma Dio stesso chi lo spiega? Se si spiega da solo (autospiegazione), allora tanto vale dire che la realtà in toto si spiega da sola (autospiegazione) senza postulare un Dio inutile all' uomo, semplice orpello ridondante.
La domanda leibniziana (la B2 di Epicurus), se intesa "teisticamente" (c' é e -se c'é- qual' é una spiegazione della realtà di tutto ciò che è reale -l' universo- che sia distinta dalla totalità del reale stessa?) ha un' unica, certa risposta logicamente corretta, la risposta negativa (non c' é), per il semplice fatto che per definizione non può esserci qualcosa oltre la totalità di ciò che é, e dunque a maggior ragione non può esserci qualcosa oltre la totalità di ciò che é e che della totalità reale stessa possa essere (considerato) la spiegazione. Per seguirti nella metafora, ciò é analogo alla storia che "punta verso una spiegazione conclusiva; che però, contrariamente alla favola classica la cui morale e é intrinseca al racconto in toto, non spiega la totalità (se stessa come spiegazione di tutto il resto compresa).
Potrebbe aver senso intendendola in una spiegazione "panteistica" (spinoziana?): la realtà di tutto ciò che è reale -l' universo- non ha una spiegazione distinta dalla totalità del reale stessa; id est: o si spiega da sè, oppure non ha una spiegazione. Il primo di questi due casi (o meglio: modi di considerare la realtà) é analogo alla favola che ha una "morale intrinseca", da essa stessa considerata in toto non distinta.
Quella dell' etica mi sembra una questione ulteriore.
Anche secondo me cose come l'etica, i valori ecc. si riferiscono a qualcosa di "reale" e non sono semplici "finzioni dell'intelletto".
Ma non nel senso che siano dimostrabili (non é dimostrabile cosa é bene, da fare, e cosa é male, da evitare); ma nel senso che non "di diritto" ma comunque di fatto (salvo casi patologici, salvo eccezioni, come é di tutto ciò che é reale: la perfezione esistendo solo nel pensiero, e non nella realtà non meramente pensata ma effettiva) certi comportamenti sono universalmente avvertiti, per lo meno dagli uomini, come buoni, degni di essere praticati da se stessi e approvati negli altri, mentre certi altri comportamenti sono universalmente avvertiti come cattivi, tali da non essere praticati da se stessi e da non essere approvati approvati negli altri (sia pure in parte, per certi aspetti relativamente meno generali o più particolari, variabili relativamente alle diverse circostanze sociali storicamente e geograficamente diverse, mutevoli).
E ciò trova ottime spiegazioni (ma non dimostrazioni, non fondamenti epistemologici ma solo un inquadramento ordinato, coerente e ben comprensibile nel complessivo divenire naturale) nell' evoluzione biologica scientificamente intesa (correttamente e non ideologicamente deformata come forsennata lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza dei soli più adatti a un ambiente che muta continuamente, rendendo ben presto meno adatto ciò che prima era più adatto e più adatto ciò che prima era meno adatto).
@sgiombo,
personalmente la questione di "Dio" la vedo molto diversamente dal "tipico" modo in cui lo si vede. Per me è "legato" al "valore" della vita: in un certo senso è ciò che rende la vita "sensata" ;) il problema è che cercare di articolare cosa possa vuol dire questo "senso" è molto rischioso. Motivo per cui per me è quasi un "reminder" che faccio a me stesso, ovvero è legato al "mistero dell'esistenza". Ergo la domanda "perchè esiste qualcosa anziché il nulla?" secondo è sensata ma non può avere risposta - vige il "Nobile Silenzio" (sottolineo il termine "nobile"). Altri credono veramente che l'analogia della "storia" sia quasi da prendere alla lettera, io personalmente no. Però col tempo ho curiosamente imparato a rispettare quel tipo di visione della vita anche se la ritengo un "estremo". L'altro estremo è la visione "nichilista" - Nietzsche, Cioran & co. Personalmente preferisco una via di mezzo - il problema è che tra i due estremi sopracitati c'è moltissimo "spazio" e molta varietà! Quindi lungi da me credere che la mia sia l'unica via di mezzo :D Per dirla spinozisticamente "Dio" è ciò che "chiude" la realtà...
Per quanto riguarda la morale... ne abbiamo già discusso altrove e avevamo già visto che qui tra noi due c'è un profondo dissenso. Per me la "morale" è "qualcosa di reale" perchè si riferisce in particolar modo alla nostra mente. La morale la vedo come un esercizio di "purificazione" (per così dire, anche se il termine "purificazione" è un po' anacronistico...) della mente stessa. Questo è il fondamento "oggettivo" dell'etica (è oggettivo perchè avendo tutti noi una mente simile, ne segue che...). Ergo: l'etica e la matematica per me hanno lo stesso "grado" ontologico, qualunque esso sia. Secondo me la "legge morale" è tanto reale quanto la "legge di gravità" - entrambe sono regolarità relative a "qualcosa" che esiste. Il problema è che sono due tipi diversi di "regolarità"... l'Eudaimonia e la "virtù" sono il premio a sé stesse: significa che l'eudaimonia e la virtù sono qualcosa di reale, non sono "meri concetti". Per quanto riguarda la virtù non riesco a trovare una spiegazione "riduzionista" che mi convince pienamente. Nel senso che la spiegazione evolutiva è di per sé corretta ma la trovo incompleta.
Riguardo al razionalismo e allo spinozismo sono due visioni della realtà che rispetto perchè contrastano fondamentalismi, superstizioni ecc ma le ritengo incomplete. Spinoza l'ho sempre ritenuto molto affascinante e lo rispetto molto. Non sono d'accordo col suo "determinismo estremo" per cui tutto ciò che accade, accade per necessità. Ma lo considero davvero un grande :)
Aperion, Sgiombo, grazie del bentornato. :D
Vedo che ho aperto il vaso di pandora parlando di metafisica. ;D
Citazione di: Apeiron il 12 Gennaio 2018, 11:59:43 AM
Curiosità: secondo te (A2) e (B2) sono domande senza senso o sono enigmi impossibili da risolvere con la sola razionalità [...]? è lecito fare delle ipotesi di risposta a tali domande o non posso farlo?
In merito alla questione generale della metafisica, per non sviare troppo la discussione, qui dirò solo che, come in ogni dominio linguistico, ci sono questioni metafisiche senza senso (generate da un uso forviante o non corretto dei concetti) e altre che sono sensate.
Ho parlato di due interpretazioni della domanda "qual è il senso della vita?": un'interpretazione umana (espressione un po' infelice, lo ammetto) e un'interpretazione metafisica. La domanda umana è sensatissima: io vivo per rendere il prossimo più felice, io vivo per portare più giustizia, io vivo per la mia famiglia, io vivo per ottenere più potere, ecc... Rappresentano i nostri principi, i nostri scopi, le nostre massime priorità.
Dicevo, nel mio post precedente, che la domanda metafisica del senso della vita è problematica quanto la domanda "perché c'è qualcosa anziché niente?". In merito a ciò che mi chiedi ("sono senza senso o irrisolvibili?"), ormai dovrebbe essere chiaro che io li ritengo dei nonsense, frutto da un uso superficiale del linguaggio. Se queste domande vogliono tener conto di tutto (e così dovrebbero essere intese) allora sono senza senso perché non ci sono cose rimaste fuori che possono fungere da scopo/motivo/spiegazione/causa.
Non c'entra nulla se la questione è empirica o meno. La questione è proprio cosa si vorrebbe chiedere con quella domanda... non sono io che mi impongo e dico "no, non ci sono risposte a queste domande". Invece, io reputo che non siano delle domande vere e proprie, che non si sta chiedendo niente.
Prendiamo la riposta "Dio" che alcuni potrebbero dare ad entrambe le domande, come tu stesso suggerisci. Dio fa parte del tutto, come può essere una risposta legittima? E' come se un ateo rispondesse "Universo", ok, non sta rispondendo alle due domande di cui sopra, ma a qualcos'altro. Forse è un modo per dare importanza a Dio (o all'Universo), ricadendo nell'interpretazione umana della domanda del senso della vita, ma non è la risposta alla domanda metafisica: Dio fa parte della vita ed il mitologico senso della vita (se non fosse un nonsense) deve essere qualcosa d'altro rispetto anche a Dio.
Grazie @epicurus per aver esposto la tua opinione :)
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Prendiamo la riposta "Dio" che alcuni potrebbero dare ad entrambe le domande, come tu stesso suggerisci. Dio fa parte del tutto, come può essere una risposta legittima? E' come se un ateo rispondesse "Universo", ok, non sta rispondendo alle due domande di cui sopra, ma a qualcos'altro. Forse è un modo per dare importanza a Dio (o all'Universo), ricadendo nell'interpretazione umana della domanda del senso della vita, ma non è la risposta alla domanda metafisica: Dio fa parte della vita ed il mitologico senso della vita (se non fosse un nonsense) deve essere qualcosa d'altro rispetto anche a Dio.
Risposta di Apeiron:
Ottima osservazione, ci "mediterò" sopra :) Su questo tipo di questioni secondo me è un po' come dire "su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (Wittgenstein) - secondo me quel "ciò" è qualcosa di reale, col discorso di "Dio" dicevo questo (che è un po' diverso dal discorso dell'etica*). Per altri letteralmente la Storia è una sorta di mito, ma appunto non è la mia opinione.
*l'etica è qualcosa di diverso dal "senso dell'esistenza" (Wittgenstein non capì a quanto pare questa distinzione). Non a caso appunto dell'etica invece parlo - ma qui c'è un po' di "platonismo personale" ;)
Citazione di: Apeiron il 15 Gennaio 2018, 14:39:12 PMGrazie @epicurus per aver esposto la tua opinione :)
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Prendiamo la riposta "Dio" che alcuni potrebbero dare ad entrambe le domande, come tu stesso suggerisci. Dio fa parte del tutto, come può essere una risposta legittima? E' come se un ateo rispondesse "Universo", ok, non sta rispondendo alle due domande di cui sopra, ma a qualcos'altro. Forse è un modo per dare importanza a Dio (o all'Universo), ricadendo nell'interpretazione umana della domanda del senso della vita, ma non è la risposta alla domanda metafisica: Dio fa parte della vita ed il mitologico senso della vita (se non fosse un nonsense) deve essere qualcosa d'altro rispetto anche a Dio.
Risposta di Apeiron:
Ottima osservazione, ci "mediterò" sopra :)
Prego. ;)
Citazione di: Apeiron il 15 Gennaio 2018, 14:39:12 PMSu questo tipo di questioni secondo me è un po' come dire "su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (Wittgenstein) - secondo me quel "ciò" è qualcosa di reale, col discorso di "Dio" dicevo questo (che è un po' diverso dal discorso dell'etica*). Per altri letteralmente la Storia è una sorta di mito, ma appunto non è la mia opinione.
*l'etica è qualcosa di diverso dal "senso dell'esistenza" (Wittgenstein non capì a quanto pare questa distinzione). Non a caso appunto dell'etica invece parlo - ma qui c'è un po' di "platonismo personale" ;)
Il Wittgenstein del Trattato è molto diverso dal Wittgenstein successivo, quest'ultimo forse avrebbe visto come infelice quella sua, ormai famosa, espressione, o, comunque, sicuramente l'avrebbe intesa in modo molto differente. La stessa concezione dell'etica cambiò molto in Wittgenstein.
Comunque per quanto mi riguarda, tale proposizione è troppo severa e restrittiva. Mi pare legittimissimo il mio parlare sul senso della vita nella misura nella quale mostro come sia un nonsense. ;D
EPICURUS
Il Wittgenstein del Trattato è molto diverso dal Wittgenstein successivo, quest'ultimo forse avrebbe visto come infelice quella sua, ormai famosa, espressione, o, comunque, sicuramente l'avrebbe intesa in modo molto differente. La stessa concezione dell'etica cambiò molto in Wittgenstein.
Comunque per quanto mi riguarda, tale proposizione è troppo severa e restrittiva. Mi pare legittimissimo il mio parlare sul senso della vita nella misura nella quale mostro come sia un nonsense. (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)
APEIRON
Mi torna che la sua filosofia del linguaggio è radicalmente cambiata dopo il suo ritorno a Cambridge. Ma da quanto mi ricordo fino ad almeno il 1930 non credo che la sua opinione su religione ed etica fosse variata (ho letto la "Lezione sull'Etica" del 1929 e le Conversazioni con Schlick del 29-30. E da quanto ho capito non mi pare che la sua posizione sia cambiata di molto). A cosa ti riferisci? ;)
Ah ovviamente anche per me è "troppo restrittiva" ma a livello "ultimo" non posso che concordare. A livello "umano", no. In fin dei conti il discorso del "SIgnore degli Anelli" l'ho tirato fuori io ;D
Citazione di: Apeiron il 16 Gennaio 2018, 00:35:12 AM
EPICURUS
Il Wittgenstein del Trattato è molto diverso dal Wittgenstein successivo, quest'ultimo forse avrebbe visto come infelice quella sua, ormai famosa, espressione, o, comunque, sicuramente l'avrebbe intesa in modo molto differente. La stessa concezione dell'etica cambiò molto in Wittgenstein.
Comunque per quanto mi riguarda, tale proposizione è troppo severa e restrittiva. Mi pare legittimissimo il mio parlare sul senso della vita nella misura nella quale mostro come sia un nonsense. (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)
APEIRON
Mi torna che la sua filosofia del linguaggio è radicalmente cambiata dopo il suo ritorno a Cambridge. Ma da quanto mi ricordo fino ad almeno il 1930 non credo che la sua opinione su religione ed etica fosse variata (ho letto la "Lezione sull'Etica" del 1929 e le Conversazioni con Schlick del 29-30. E da quanto ho capito non mi pare che la sua posizione sia cambiata di molto). A cosa ti riferisci? ;)
Sintetizzando e semplificando, c'è il Wittgenstein del Tractatus (1921) e il Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche e Della Certezza (entrambi pubblicati postumi). Nella Lezione sull'Etica si è ancora vicini al primo Wittgenstein.
Il secondo Wittgenstein comprende: significato fondato sull'uso, somiglianza di famiglia, impossibilità del linguaggio privato, giochi linguistici, forme di vita, seguire la regola. Non entro nel dettaglio dell'interpretazione del secondo Wittgenstein riguardo ad etica e religione (perché è il topic sbagliato e perché potrebbe essere un lavoro troppo complicato per me), ma sicuramente avrebbe considerato i discorsi etici e religiosi sensati perché appartenenti a dei giochi linguistici e fondati in quando forme di vita.
Sì, conoscevo la differenza tra il primo e il secondo Wittgenstein (ho letto sia il "Tractatus" che "Sulla Certezza"). Però non pensavo che avesse cambiato idea su temi come etica, spiritualità ecc
Grazie dell'appunto! :) mi informerò sulla cosa!
Citazione di: Apeiron il 16 Gennaio 2018, 11:33:54 AM
Sì, conoscevo la differenza tra il primo e il secondo Wittgenstein (ho letto sia il "Tractatus" che "Sulla Certezza"). Però non pensavo che avesse cambiato idea su temi come etica, spiritualità ecc
Grazie dell'appunto! :) mi informerò sulla cosa!
Figurati, lieto di esser stato utile. ;)
Comunque, giusto per finire la questione: il testo definitivo da leggere è "Ricerche Filosofiche" (non tratta direttamente l'etica e la religione), ma uno molto più modesto ma anche più focalizzato sulla questione etico-religiosa è "Note sul Ramo d'oro di Frazer". :)