Meister Eckhart sostiene che la cosa migliore per l'uomo sia distaccarsi da se stesso.
L'uomo veramente distaccato "obbliga" Dio a intervenire.
Laddove non vi è più la volontà dell'uomo, subentra necessariamente la volontà Dio.
E allora Dio dona tutto se stesso.
Cioè dona la Grazia.
Ma cosa significa distaccarsi da noi stessi?
Per Eckhart è la rinuncia alla propria volontà.
Ma come è possibile rinunciare alla nostra volontà?
Secondo me l'unica possibilità è nel riconoscerla come non davvero nostra. Cioè nel renderci conto che ciò vogliamo non esprime ciò che siamo veramente.
E così rinneghiamo questo nostro essere attuale, perché è in realtà un non essere.
Senza però sapere allora chi davvero noi siamo...
Ecco il distacco!, che chiama l'Essere alla esistenza.
Quale è il motore di questa trasformazione?
L'Amore. Che evolve aprendosi al mondo, lacerando la scorza della nostra individualità.
L'Amore governa ogni cosa, crea ogni cosa, nella sua ricerca dell'Essere.
E allora noi chi, cosa siamo?
Nulla e... Tutto.
Anche il Buddha aveva predicato la necessità di un distacco dalla volontà. La volontà dell "io voglio" sostenendo che non essendoci alcun io non può esserci nemmeno nessuna cosa che possa definire mio. Ma diceva anche " Prendete rifugio nell insola del sé" che è l interiorità.
Nota filologica sui "tre rifugi" nel buddismo: https://it.wikipedia.org/wiki/Triratna
Quando il Buddha aveva ottant'anni e sapeva che non sarebbe vissuto più a lungo, offrì ai suoi studenti la pratica "dell'isola del sé". Disse che in noi stessi c'è un'isola sicura alla quale si può tornare ogni volta che ci si sente spaventati, instabili o disperati. Torna a casa all'"isola del sé" che hai dentro, prendi rifugio in quell'isola e sarai al sicuro. L'isola del sé dista solo un respiro. Con la pratica della consapevolezza del respiro o del passo possiamo tornare immediatamente a casa nella nostra isola. Cit.
Secondo me state dicendo un sacco di sciocchezze logiche, come si fa a distaccarsi dalla volontà? Nemmeno un'isola deserta si può, perché si deve sopravvivere, quindi si deve VOLERE. Anche se io decidessi di non volere più, farei comunque una scelta, quindi non mi distaccherei mai dalla mia volontà pur credendo di averlo fatto! Quindi paradossalmente anche scegliere di non volere significa fare un atto di volontà. Oltretutto chi l'ha detto che non esiste alcun Io? Soltanto perché gli scienziati non sono riusciti a vedere e a percepire dove l'Io ha sede ciò non significa che esso non esista, anzi, l'esistenza dell'Io secondo me rappresenta una verità immediata di cui si ha certezza per intuizione, e la conoscenza per intuizione rappresenta un grado di verità superiore a quello che si ha per ragionamento mediato. A mio avviso l'Io coincide con l'anima, mentre invece è semmai l'EGO ad essere negativo, l'Ego è quella parte dell'Io in cui hanno sede i desideri più egoistici e meschini, quindi è l'EGO che bisogna semmai tenere a bada e tacitare, non l'Io che invece ci fa essere persone.
Salve Socrate78. Bravo.......finalmente un ragionamento solidamente sensato. I nostri due punti di vista sul mondo sono rigorosamente collocati.....uno a Polo Sud e l'altro al Polo Nord.
Ma sul tuo ultimo intervento.........mi pare ci siamo incontrati all'Equatore. Saluti.
Mi dispiace che alcune persone (talvolta i più) leggano senza reale attenzione quanto l'altro scrive..
Non è costruttivo per nessuno.
CitazioneSecondo me l'unica possibilità è nel riconoscerla come non davvero nostra. Cioè nel renderci conto che ciò vogliamo non esprime ciò che siamo veramente.
(bobmax)
Questa semplice frase letta con attenzione nullifica le obiezioni di alcune repliche.
Sul fatto che ciò che vogliamo non esprima ciò che siamo veramente, non sono per nulla d'accordo, anzi, analizzare ciò che desideriamo e vogliamo ritengo sia un ottimo mezzo per conoscere la nostra interiorità e quindi ciò che siamo. Evidentemente se io voglio il male degli altri e desidero la loro rovina, non posso esattamente affermare di ESSERE uno stinco di santo, oppure no? Allo stesso modo se io desidero il bene di un amico e sono disposto a sacrificarmi per lui, non posso dire di essere un meschino egoista o sbaglio? Se si dice che la nostra volontà non esprime ciò che siamo, allora la nostra essenza risulta inconoscibile, ma se è inconoscibile non possiamo nemmeno migliorarci e ciò non mi sembra affatto un gran risultato.
Citazione di: Alberto Knox il 11 Dicembre 2022, 17:43:23 PMCon la pratica della consapevolezza del respiro o del passo possiamo tornare immediatamente a casa nella nostra isola.
La meditazione sul respiro, anche quella «del passo» (
kin hin), è un buon viatico per prendere rifugio, almeno finché non si comprende che non c'è nessuno che debba rifugiarsi:
anatta, il non-sé, non ha nulla di mistico o di spirituale (bel
rebus per la stirpe occidentale giudaico-ellenica). Tuttavia, nel "mondo convenzionale" (v. Nagarjuna) bisogna parlare la lingua convenzionale per essere intesi, quindi tale consapevolezza è un po' come le vecchie pellicole "in negativo": se la esponi troppo, non ci si vede più nulla.
Socrate 78, Ciò che dici è vero ma dovresti tenere presente il contesto, ovvero l'essere giunti ad un determinato livello di conoscenza interiore; quel "chi siamo" è una domanda esistenziale non morale/sociale/politica;è giungere all'esperienza più immediata della coscienza di essere, non i tuoi pensieri, non il tuo bagaglio emozionale ma la radicale coscienza di essere esistenza, prima che qualunque intenzionalità si manifesti.
"Se si dice che la nostra volontà non esprime ciò che siamo, allora la nostra essenza risulta inconoscibile, ma se è inconoscibile non possiamo nemmeno migliorarci e ciò non mi sembra affatto un gran risultato." (Socrate78)
"allora" nulla.
Ciò che "miglioriamo" è strettamente legato alla consapevolezza della catena di causa ed effetto che forgia il nostro mondo interiore (pensieri/emozioni) e le nostre azioni..
Ciao vecchio Bob, immagino sia stata anche la critica di Kobayashy a farti aprire questo topic. Chissà, non ha importanza. Tempo fa eravamo d'accordo nel definire i protagonisti dell'ultimo racconto dei Dubliners "i morti" come fossero quelli che tu chiami, o il maestro chiama, "quelli che non vivono nell'essere". E siamo d'accordo. Se però la maschera, che in sottofondo è la protagonista del racconto, serve a vivere secondo la consuetudine dovrai ammettere che ci voglia un gran coraggio a dismettere questa maschera, roba da santi tanto per capirci. A meno che uno non intraprenda una vita da santo per sua scelta sarebbe quindi difficile che un individuo normale intraprenda la via che lo condurrebbe a vivere nel mondo di quelli che tu o il maestro considerate gli individui "esistenti", quelli cioè che vivono nell'essere. Ma noi, individui di oggi, non possiamo pure caricarci della responsabilità che abbiamo ereditato dai nostri padri, che quelle maschere ci trasmisero come corredo di vita. Cosa si dice in proposito? Come ci salviamo quando ci siamo resi conto che la nostra volontà non è proprio la nostra?
L'unico modo di non essere una volonta' e' essere un capo chino ad una logica di gregge e di pastoreggiamento di qualche tipo; l'unico modo di non essere una volonta' e' essere un voluto.
L'uomo, animale sociale per eccellenza, aime', ci riesce benissimo.
A farsi volere, dico.
Ad essere il voluto della volonta' di altri, e perduti, uomini.
Non a vivere la preesistenza logica dell'affermazione sulla negazione come fosse una preesistenza anche temporale.
Non a fare storia.
Non a cominciare adesso.
Non a farsi amare.
Sì, è necessario che vi sia sempre una volontà.
La rinuncia alla volontà propria comporta che si imponga un'altra volontà.
Ed è proprio l'avvento di questa "nuova" volontà a sancire la metamorfosi.
Dall'uomo mondano, che ama soprattutto se stesso, all'uomo spirituale che ama in quanto Uno...
Questa metamorfosi è lo scopo della vita.
Ritengo che sia possibile avvertire la volontà divina latente in noi, in particolari situazioni in cui ci ritroviamo a giocare tutto noi stessi.
In quei momenti compare il demone. E ci ritroviamo come scissi, il nostro io che osserva il demone prendere il sopravvento.
Quel demone allude al nostro autentico essere.
Citazione di: bobmax il 11 Dicembre 2022, 14:53:45 PMMeister Eckhart sostiene che la cosa migliore per l'uomo sia distaccarsi da se stesso.
L'uomo veramente distaccato "obbliga" Dio a intervenire.
Laddove non vi è più la volontà dell'uomo, subentra necessariamente la volontà Dio.
E allora Dio dona tutto se stesso.
Cioè dona la Grazia.
Ma cosa significa distaccarsi da noi stessi?
Per Eckhart è la rinuncia alla propria volontà.
Ma come è possibile rinunciare alla nostra volontà?
Secondo me l'unica possibilità è nel riconoscerla come non davvero nostra. Cioè nel renderci conto che ciò vogliamo non esprime ciò che siamo veramente.
E così rinneghiamo questo nostro essere attuale, perché è in realtà un non essere.
Senza però sapere allora chi davvero noi siamo...
Ecco il distacco!, che chiama l'Essere alla esistenza.
Quale è il motore di questa trasformazione?
L'Amore. Che evolve aprendosi al mondo, lacerando la scorza della nostra individualità.
L'Amore governa ogni cosa, crea ogni cosa, nella sua ricerca dell'Essere.
E allora noi chi, cosa siamo?
Nulla e... Tutto.
Intanto ti ringrazio per la chiarezza e per la sintesi.
Credo di aver compreso. Non saprei dire a che livello di profondità, probabilmente sono rimasto un pò in superficie. Però, a grandi linee, qualcosa mi pare di aver recepito. E mi sembra, sempre per quello che ho capito, condivisibile.
Rimane tuttavia un aspetto che non mi è chiaro: se il motore è l'amore come accendere il motore?
Citazione di: Freedom il 11 Dicembre 2022, 22:10:54 PMIntanto ti ringrazio per la chiarezza e per la sintesi.
Credo di aver compreso. Non saprei dire a che livello di profondità, probabilmente sono rimasto un pò in superficie. Però, a grandi linee, qualcosa mi pare di aver recepito. E mi sembra, sempre per quello che ho capito, condivisibile.
Rimane tuttavia un aspetto che non mi è chiaro: se il motore è l'amore come accendere il motore?
Questa tua osservazione è fondamentale!
Come accendere l'amore?
Secondo me qui bisogna considerare che il libero arbitrio "individuale" non esiste. Questa constatazione è presente pure nella mistica, sebbene a mio parere non sviluppata a sufficienza.
E allo stesso tempo... Sempre seguendo la mistica, ciò che vale sopra ogni cosa è la Compassione.
La compassione è la forma suprema dell'amore.
Chi accende la compassione?
A un certo punto sei colto dalla Compassione.
Avviene.
Allora per un verso non hai alcuna libertà individuale, e dall'altro sei colto dalla Compassione universale.
Sei in una morsa, che sembrerebbe senza speranza.
Ma proprio lì può avvenire il Distacco!
Che è la tua metamorfosi.
Dal non essere all'essere.
Dalla non libertà alla assoluta libertà.
Perché quell'amore, quella compassione, li hai accesi tu.
È il figliol prodigo che torna a casa.
Mancherebbe a questo punto di capire per quale motivo tu accendi il motore della compassione.
Ritengo che il motivo possa essere uno solo: il male.
Il male è ciò che, rifiutandolo, fa comparire la compassione.
Perché il tema del distacco viene trattato spesso insieme a temi teologici che descrivono Dio come il tutto e il mondo come il niente?
Perché distacco significa, in un senso più antropologico che spirituale, abbandono dello sforzo di avere il controllo su se stessi e sulle cose del mondo. Distacco è "abbandono", è "resa", è ricerca di una tregua rispetto a ciò che ci lega alla realtà.
Nell'esercizio del distacco non c'è nessun incremento conoscitivo, di verità. Cioè non si arriva alla scelta di questo esercizio tramite un percorso conoscitivo filosofico. Se ciò accade è perché alla fine l'esigenza di sopravvivere psicologicamente ad una vita dolorosa ha piegato il pathos "puro" della filosofia, la sua prerogativa di conoscenza disinteressata (sempre che poi tale prerogativa esista realmente...), ne ha fatto lo strumento dialettico per edificare una forma di vita che va contro la natura delle cose.
Inutile girarci attorno, tutti lo intuiscono (per poi percorrere la cultura filosofica e spirituale nel disperato tentativo di dimenticarsene): la vita è un fenomeno effimero, consiste nella progressiva perdita di pezzi, si conclude nella morte, si vivono anni di stupidità bilanciati da pochi istanti di bellezza e lucidità.
È pazzia ribellarsi a questo destino cercando di avere tutto, consumandosi nel tentativo di arraffare tutto, è altrettanto pazzia rinunciare a tutto per una felicità che sarebbe costretta a manifestarsi proprio a causa della rinuncia, aperture di senso miracolose che avverrebbero sotto il ricatto di un pensiero che nega ciò che c'è di più naturale nella vita.
Infatti il cristianesimo è pazzia (per quanto Duc in altom! si sforzi di rifilarci un'apologetica razionale sul modello del suo amato Ratzinger...).
Citazione di: Socrate78 il 11 Dicembre 2022, 19:07:11 PMSecondo me state dicendo un sacco di sciocchezze logiche, come si fa a distaccarsi dalla volontà? Nemmeno un'isola deserta si può, perché si deve sopravvivere, quindi si deve VOLERE. Anche se io decidessi di non volere più, farei comunque una scelta, quindi non mi distaccherei mai dalla mia volontà pur credendo di averlo fatto! Quindi paradossalmente anche scegliere di non volere significa fare un atto di volontà. Oltretutto chi l'ha detto che non esiste alcun Io? Soltanto perché gli scienziati non sono riusciti a vedere e a percepire dove l'Io ha sede ciò non significa che esso non esista, anzi, l'esistenza dell'Io secondo me rappresenta una verità immediata di cui si ha certezza per intuizione, e la conoscenza per intuizione rappresenta un grado di verità superiore a quello che si ha per ragionamento mediato. A mio avviso l'Io coincide con l'anima, mentre invece è semmai l'EGO ad essere negativo, l'Ego è quella parte dell'Io in cui hanno sede i desideri più egoistici e meschini, quindi è l'EGO che bisogna semmai tenere a bada e tacitare, non l'Io che invece ci fa essere persone.
Ok, dunque non sei libero di "volere" o "non volere".
Puoi solo "volere" e non puoi "non volere".
Quindi non sono libero davvero di scegliere: ho raggiunto il mio limite.
E' un po' come l'essere spontaneo o non spontaneo.
Anche quando non sono spontaneo in realtà sono spontaneo.
Non decido io: mi viene spotaneo non essere spontaneo.
Dunque in realtà mi è impossibile non essere spontaneo, come mi è impossibile non volere.
Per me è l'avere questa consapevolezza il vero Distacco.
Parentesi evoluzionistica.
Noi deriviamo dalle scimmie, a quanto pare.
Osservando gli animali vediamo come loro agiscano e basta, senza sapere cosa stanno facendo (mangiano, bevono, si riproducono, muoiono)
Anche noi eravamo così, agivamo senza sapere cosa stavamo facendo, passeggiavamo nel giardino dell'Eden così come oggi ancora passeggiano gatti, cani e uccellini.
Poi abbiamo mangiato la Mela proibita e ci siamo svegliati: ci siamo accorti di quello che stavamo facendo.
E abbiamo iniziato a "volere", senza più possibilità di "non volere".
Tuttavia la consapevolezza ci fa ritornare a passeggio con Dio nel giardino dell'Eden.
Dunque:
- senza coscienza (animali) -> non c'è libero arbitrio
- con la coscienza (uomini) -> pare esserci il libero arbitrio
- con la coscienza della coscienza (buddha) -> rimetto le cose a posto e mi rendo conto che non c'è libero arbitrio
Citazione di: Kobayashi il 13 Dicembre 2022, 10:06:20 AMPerché il tema del distacco viene trattato spesso insieme a temi teologici che descrivono Dio come il tutto e il mondo come il niente?
Perché distacco significa, in un senso più antropologico che spirituale, abbandono dello sforzo di avere il controllo su se stessi e sulle cose del mondo. Distacco è "abbandono", è "resa", è ricerca di una tregua rispetto a ciò che ci lega alla realtà.
Nell'esercizio del distacco non c'è nessun incremento conoscitivo, di verità. Cioè non si arriva alla scelta di questo esercizio tramite un percorso conoscitivo filosofico. Se ciò accade è perché alla fine l'esigenza di sopravvivere psicologicamente ad una vita dolorosa ha piegato il pathos "puro" della filosofia, la sua prerogativa di conoscenza disinteressata (sempre che poi tale prerogativa esista realmente...), ne ha fatto lo strumento dialettico per edificare una forma di vita che va contro la natura delle cose.
Inutile girarci attorno, tutti lo intuiscono (per poi percorrere la cultura filosofica e spirituale nel disperato tentativo di dimenticarsene): la vita è un fenomeno effimero, consiste nella progressiva perdita di pezzi, si conclude nella morte, si vivono anni di stupidità bilanciati da pochi istanti di bellezza e lucidità.
È pazzia ribellarsi a questo destino cercando di avere tutto, consumandosi nel tentativo di arraffare tutto, è altrettanto pazzia rinunciare a tutto per una felicità che sarebbe costretta a manifestarsi proprio a causa della rinuncia, aperture di senso miracolose che avverrebbero sotto il ricatto di un pensiero che nega ciò che c'è di più naturale nella vita.
Non è così.
Questa è la rassegnazione di chi non si è affatto distaccato.
E non si è distaccato perché convinto di conoscere la Verità. E la Verità è brutta...
È cioè la inevitabile conclusione a cui giunge la visione nichilista, che considera "verità" la interpretazione razionale della realtà.
Questa interpretazione razionale è logicamente ineccepibile. Ma soltanto a patto che non si guardino i presupposti della sua logica...
E i presupposti sono quel limite del comprensibile razionale che allude inevitabilmente al Nulla.
L'autentico distacco è slancio etico. Che in nome del Bene assoluto si affida a ciò che per la razionalità è banale nulla.
Il distacco non ha niente a che vedere con la sopravvivenza. Perché ciò che conta è, ed è soltanto, il Bene.
Ritengo che non possa esservi vero distacco senza essere stati all'inferno.
E comunque la consapevolezza del distacco può avvenire solo se presi dalla Compassione.
Cortesemente ove possibile sintetizzare il significato delle parole :
Verita' , Bene (assoluto) , Compassione.
Grazie
Senza essere troppo polemico o filosofico, non posso non fare osservare che, all'atto pratico, il
"rinunciare alla propria volonta' "
Significa:
"Consegnarsi alla volonta' dell'altro".
C'e' sempre qualcuno, in giro, disposto a predare, e a strumentalizzare, e a fare proprie, le volonta' che si sono fatte nulle.
Non c'e' proprio bisogno, di invocare Dio, per capire questo punto. Basta guardarsi in giro in qualsiasi ambiente e panorama umano.
Di qui la mia polemica, che vuole far emergere "semplicemente", la (quasi) assoluta sovrabbondanza di tutto il contesto religioso, ascetico, Eckarthiano e metafisico del discorso, laddove di esempi lampanti di volonta' dell'uno che, volenti o nolenti cedono alla volonta' dell'altro e vi si consegnano, ne e' gia' pieno lo scenario urbano, politico ed economico umano.
Schiavitu', amore, inganno, lavoro, politica, istruzione, fondazione.
E tutte le loro introversioni in forma di autodisciplina e autocontrollo: la grecizzante "enkrateia", laddove un corpo umano diventa sempre in un modo o nell'altro automa e servitore di una mente umana, che puo' ben essere la sua stessa, psicosomaticamente ad esso legata, in nome di un qualche, a volte anche molto mondano, "bene superiore".
Che ne e' dell' "utilita' ", del valore aggiunto ed eticizzabile di un Dio, laddove gia' in natura funziona perfettamente, per chi lo vuole e lo sa vedere, un meccanismo grande e terribile per cui gia' ogni vita puo' essere Dio, anzi Dea, all'altra?
Il fatto che ad una nullificazione interiore di volonta' attuata con sforzo non possa che conseguire un subentrare, "per grazia ricevuta" di una nuova volonta', divina che sia o no;
il fatto che chi NON e' una volonta' -attiva- in una data situazione allora e' nient'altro che un VOLUTO, nel migliore dei casi un ben-voluto, un oggetto di volonta' (il "servo" di Dio, o di chi per Lui), cosa dovrebbe suggerirci, se non il contrario esatto della premessa da cui il trend e' partito, e cioe' che noi non possiamo essere altro che volonta', e che l'essenza profonda del mondo, e dell'uomo, e della vita, e' -proprio- volonta' ?
Citazione di: niko il 13 Dicembre 2022, 15:21:26 PMnoi non possiamo essere altro che volonta', e che l'essenza profonda [...] dell'uomo, e della vita, e' -proprio- volonta'
Possiamo chiamarla «volontà», o «
intenzionalità» o «reattività cognitiva» o «metabolismo esistenziale» o altro, ma in fondo si tratta di "vitalità", nel senso della coincidenza fra l'esser vivi e il relazionarsi
attivamente a ciò che ci circonda (ciascuno con i suoi sensi, i suoi
imprinting, etc.). Se anche fossimo isolati in una bolla, ci relazioneremmo con l'interno della bolla e con ciò che eventualmente la trapassa (suoni, luci, etc.); che questa bolla sia il nostro corpo o un condominio o una realtà virtuale, non fa poi molta differenza.
Per «distacco», più che utopico "annullamento della propria volontà", forse ha senso parlare, come fanno più a oriente, di non-attaccamento, ossia un'aderenza senza prensione, un sentire sul palmo senza stringere la presa. Si tratta in fondo di educare la propria volontà, proprio come si ammestra un animale (interiore): con un metodo, con della pratica e per ottenere determinati risultati. C'è chi mira ad orientare la propria volontà verso una predefinita "santità" (o comunque sforzandosi di seguire canoni ben definiti), chi preferisce smorzare il desiderio che anima tale volontà (nel tentativo di assopire la sofferenza,
dukkah), chi preferisce non imbrigliare troppo la propria volontà, domandola quel minimo per essere socialmente compatibile.
Quale volontà decide per queste, o altre, "scelte di vita"? Quella dinamica ed "elaborante" che risulta dalla nostra costante interazione con il mondo e dalla eventuale riflessione che ne consegue, nella suddetta dialettica biunivoca interno/esterno.
Citazione di: atomista non pentito il 13 Dicembre 2022, 14:17:12 PMCortesemente ove possibile sintetizzare il significato delle parole :
Verita' , Bene (assoluto) , Compassione.
Grazie
La sintesi consiste nel giungere alla essenza.
Le parole, tutte le parole, hanno una loro essenza. Questa essenza è il loro significato.
Perciò ogni parola esprime la propria sintesi. Non è possibile sintetizzare oltre.
Semmai, se ne può forse fare l'analisi.
Diversa infatti è l'analisi.
Tramite la quale si studia ciò che era sintetico per approfondirne possibili caratteristiche, dipendenze, legami con altre parole.
Tuttavia di non di tutte le parole si può svolgere una effettiva analisi. Perché in alcune il significato non si relaziona ad alcunché se non a se stesso.
Una di queste parole è Verità, un'altra Bene, e un'altra ancora Amore.
Queste parole se ne stanno autosufficienti. Stelle che guidano il cammino. Rimandano una all'altra, in un gioco di specchi. Ma il loro significato se ne sta racchiuso nel nostro cuore.
Citazione di: Kobayashi il 13 Dicembre 2022, 10:06:20 AMInfatti il cristianesimo è pazzia (per quanto Duc in altom! si sforzi di rifilarci un'apologetica razionale sul modello del suo amato Ratzinger...).
«Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per chi crede è potenza, sapienza di Dio!» (1Cor 1,23-24) Stoltezza, scandalo o pazzia, "
niente di nuovo sotto il sole" ...diceva Qoelet!
Citazione di: Kobayashi il 13 Dicembre 2022, 10:06:20 AMNell'esercizio del distacco non c'è nessun incremento conoscitivo, di verità.
Ma anche no!
Più c'è un nostro "
abbandono dello sforzo di avere il controllo su se stessi e sulle cose del mondo" (di essere Dio, insomma!), maggiormente incontriamo noi stessi (l'originale essere umano voluto da Dio).
Dunque, sì che conosciamo (in senso biblico) la verità.
La Mela proibita del giardino dell'Eden non ha niente a che vedere con la consapevolezza, Adamo era consapevole anche prima del peccato infatti Dio gli disse: Puoi mangiare a sazietà di tutti i frutti del giardino, ma dell'albero che sta in mezzo al giardino quello non lo devi mangiare né lo devi toccare, perché nel giorno in cui ne mangerai certamente MORIRAI". Se Dio dice ad Adamo che sarebbe morto, egli doveva avere CONSAPEVOLEZZA del concetto di morte e sapeva che questa costituiva un male assoluto, non è così?
L'albero della conoscenza non è la consapevolezza, ma è un albero genealogico, un essere con cui Adamo non doveva accoppiarsi: nella Bibbia termini come "conoscere", "mangiare", indicano il rapporto sessuale generativo e non saperlo significa essere ignoranti del linguaggio biblico, anche se vedo che su questo tema tutti vogliono aprire becco.
Il peccato originale non ha niente a che vedere a mio avviso con la perdita dell'incoscienza, con il passare da animali ad uomini, ma fu ben altro, come ho spiegato in altri punti: fu un peccato di ibridazione della specie umana, Adamo si unì con un essere sub-umano (sua madre) e questo generò lo scadimento genetico dell'umanità e di conseguenza anche il decadimento morale, perché l'uomo non era più la specie pura e perfetta che Dio aveva progettato, ma divenne un errore e quell'errore ha un nome: CAINO.
Citazione di: Kobayashi il 13 Dicembre 2022, 10:06:20 AMPerché il tema del distacco viene trattato spesso insieme a temi teologici che descrivono Dio come il tutto e il mondo come il niente?
Perché distacco significa, in un senso più antropologico che spirituale, abbandono dello sforzo di avere il controllo su se stessi e sulle cose del mondo. Distacco è "abbandono", è "resa", è ricerca di una tregua rispetto a ciò che ci lega
Sino a qui mi ritrovo nella mia esperienza. Quante volte una mia strategia, una mia condotta, una mia convinzione ritenuta irrinunciabile; una volta abbandonata è stata foriera di nuovi e fecondi sviluppi?
E poi chei liberazione, che riposo!
@ bobmax
Alla fine lo dici tu stesso: proprio l'esperienza dell'inferno ti spinge al distacco.
Non quello che tu chiami slancio etico, ma un vissuto tragico, che può essere anche empatia profonda per la sofferenza della creatura che ci sta davanti. È il rifiuto estremo (senza dover arrivare al suicidio) al gioco della materia vivente, e a quello ancora più beffardo delle società umane.
Tutta la natura geme, e noi, animaletti consapevoli e contraddittori, qualsiasi cosa facciamo, con le migliori o le peggiori intenzioni, a volte con un miscuglio di entrambe, finiamo sempre per estendere, un pezzetto alla volta, il dominio della sofferenza.
Ecco allora il bisogno quasi fisico del distacco. Ma affinché funzioni, affinché non svanisca nel giro di poche ore, occorre un sostegno concettuale, ideologico, un'illusione ben strutturata.
La mia visione delle cose [quella che qui sto esprimendo, poi domani chissà...] è antitetica al nichilismo. Il nichilista, che crede che a dominare sia il nulla, è in fondo un ottimista... Il nulla infatti è innocente.
A dominare è invece il gioco della natura e degli uomini.
Leopardi che scriveva "tutto è nulla, anche il mio dolore è nulla" si sbagliava, purtroppo. Il fatto che ora il suo dolore sia nulla non significa che negli anni della sua breve vita non fosse tutto. Era tutto, ed era uno scherzo della natura e delle relazioni umane, in sostanza una duplice beffa, tutto qua.
Il nulla non merita tutta questa attenzione, il punto cruciale semmai è la non necessità di quel dolore e l'incapacità umana profonda di accettarne la gratuità.
Ci dimentichiamo spesso che il vero motore dell'evoluzione è il caso. Pensiamo all'evoluzione e ci concentriamo sull'adattamento, sulla selezione dell'ambiente, così che anche i caratteri orribili che emergono in una determinata specie possano essere accettati in quanto necessari alla sopravvivenza. Ma si tratta di una semplificazione addolcita della realtà. Molti caratteri sono indifferenti all'ambiente e sono emersi così senza un perché. Oppure la stessa funzione adattiva poteva essere risolta da caratteri completamente diversi.
@ Duc in altum!
Noto ora che proprio la citazione di Ratzinger in calce dei tuoi post conferma in modo sintomatico, diciamo così, la mia idea, anche se dovrebbe essere letta al contrario: per rifiutare la verità secondo cui homo sapiens è un prodotto casuale dell'evoluzione (appunto le mutazioni genetiche completamente casuali capaci di passare la selezione dell'ambiente, che è poi esattamente quello che è accaduto e continua ad accadere), allora rimaniamo legati all'idea di Dio, allora ci serve l'idea di Dio, perdendo la quale piomberemmo nella prospettiva disarmante del gioco insensato della natura.
@Kobayashi
Apprezzo molto questa tua lucidità nell'affrontare lo sguardo della Medusa. Perché esprimi le inevitabili conclusioni a cui deve necessariamente giungere il pensiero razionale di fronte al male.
E ritengo che queste fossero pure le conclusioni di Leopardi. Da grande logico che era, come lo sono tutti i grandi poeti.
Sì, la tensione è tale in Leopardi da farlo a tratti proiettare oltre il nulla nichilistico, che è nulla valoriale, verso, diciamo così, il Nulla/Essere.
Difatti, nel tuo pur ineccepibile ragionamento logico manca, a mio avviso, la percezione della arbitrarietà dei suoi presupposti.
Ed in questa arbitrarietà si cela la possibilità di rimettere tutto in discussione.
In particolare dai per scontato te stesso.
Cioè consideri te stesso una cosa tra le cose.
Inevitabile è allora l'orrore senza senso di fonte al male, che è certissimo.
Mentre, se cambi prospettiva su te stesso, quello stesso male diventa urgente domanda a te stesso!
Tu, proprio tu, sei chiamato in causa!
Perché vi è questo male?
Non è che magari ne sei proprio tu il responsabile?
Chi sei tu?
E se tu fossi davvero all'origine di tutte le cose?
Questo mondo dolente non si rivolge proprio a te?
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Riguardo alla citazione di Ratzinger, dipende se con Dio si intende un ente oppure il Bene assoluto.
Nel primo caso è proprio perdendo Dio che l'uomo ritrova se stesso.
" Prego Dio che mi liberi da Dio" invoca Meister Eckhart.
Ma nel secondo caso l'uomo rimane non essere.
Citazione di: bobmax il 21 Dicembre 2022, 09:39:03 AMRiguardo alla citazione di Ratzinger, dipende se con Dio si intende un ente oppure il Bene assoluto.
Nel primo caso è proprio perdendo Dio che l'uomo ritrova se stesso.
" Prego Dio che mi liberi da Dio" invoca Meister Eckhart.
Ma nel secondo caso l'uomo rimane non essere.
"Se incontri il Buddha per la strada uccidilo!"
Citazione di: bobmax il 21 Dicembre 2022, 09:39:03 AMDifatti, nel tuo pur ineccepibile ragionamento logico manca, a mio avviso, la percezione della arbitrarietà dei suoi presupposti.
Ed in questa arbitrarietà si cela la possibilità di rimettere tutto in discussione.
In particolare dai per scontato te stesso.
Cioè consideri te stesso una cosa tra le cose.
Inevitabile è allora l'orrore senza senso di fonte al male, che è certissimo.
Mentre, se cambi prospettiva su te stesso, quello stesso male diventa urgente domanda a te stesso!
Tu, proprio tu, sei chiamato in causa!
Perché vi è questo male?
Non è che magari ne sei proprio tu il responsabile?
Chi sei tu?
E se tu fossi davvero all'origine di tutte le cose?
Questo mondo dolente non si rivolge proprio a te?
Certo, l'arbitrarietà dei presupposti... Ma non è forse vero che ogni discorso filosofico è appunto basato sull'arbitrarietà di certi principi, e che la razionalità stessa che lega i vari argomenti è relativa, sia alla struttura del nostro intelletto che allo sviluppo della nostra cultura?
Perché dunque il pensiero paradossale che mi fa concludere, per esempio, che io sono l'origine di tutte le cose, nonostante l'evidenza contraria, dovrebbe essere immune da tale arbitrarietà?
Magari dietro a tale arbitrarietà si cela una strategia inconscia per venire a capo dell'unico vero problema filosofico, ovvero come riuscire a sopportare questo mondo senza le classiche vie di fuga illusorie basate sull'ottundimento. Ottundimento non dell'intelligenza, dal momento che anche l'abbandono nella scienza è una delle vie di fuga possibile, ma dello sguardo filosofico, della lucidità disillusa.
Se usciamo dal discorso teorico e diamo un'occhiata a come il distacco viene concretamente praticato, appare evidente, secondo me, il rapporto tra il distacco e il problema della contaminazione del male.
Prendiamo per esempio la figura del religioso in prima linea: il suo distacco gli consente di mischiarsi con la malattia, di sporcarsi le mani, di vivere la prossimità fisica con il male mantenendo la propria mente integra, resistente alla disperazione.
Lui parlerà di questa posa come di abbandono in Dio. Ma Dio può anche significare semplicemente, tolta tutta la retorica della Tradizione, mistero di una ragione sottile che sta dietro a questo "macello", il filo rosso sconosciuto del mistero del male.
Riducendo ai minimi termini i presunti interrogativi della retorica religiosa, arriviamo a capire che decidersi per la fede in Dio significa scegliere la necessità e rifiutare il caso, significa sforzarsi di credere che ci sia un perché, il quale poi, data la vastità del mistero, risulta impenetrabile alla piccola intelligenza degli uomini.
E il tema dell'umiltà? Perché l'uomo distaccato è anche umile?
Citazione di: Kobayashi il 22 Dicembre 2022, 08:19:17 AMCerto, l'arbitrarietà dei presupposti... Ma non è forse vero che ogni discorso filosofico è appunto basato sull'arbitrarietà di certi principi, e che la razionalità stessa che lega i vari argomenti è relativa, sia alla struttura del nostro intelletto che allo sviluppo della nostra cultura?
Perché dunque il pensiero paradossale che mi fa concludere, per esempio, che io sono l'origine di tutte le cose, nonostante l'evidenza contraria, dovrebbe essere immune da tale arbitrarietà?
Magari dietro a tale arbitrarietà si cela una strategia inconscia per venire a capo dell'unico vero problema filosofico, ovvero come riuscire a sopportare questo mondo senza le classiche vie di fuga illusorie basate sull'ottundimento. Ottundimento non dell'intelligenza, dal momento che anche l'abbandono nella scienza è una delle vie di fuga possibile, ma dello sguardo filosofico, della lucidità disillusa.
Se usciamo dal discorso teorico e diamo un'occhiata a come il distacco viene concretamente praticato, appare evidente, secondo me, il rapporto tra il distacco e il problema della contaminazione del male.
Prendiamo per esempio la figura del religioso in prima linea: il suo distacco gli consente di mischiarsi con la malattia, di sporcarsi le mani, di vivere la prossimità fisica con il male mantenendo la propria mente integra, resistente alla disperazione.
Lui parlerà di questa posa come di abbandono in Dio. Ma Dio può anche significare semplicemente, tolta tutta la retorica della Tradizione, mistero di una ragione sottile che sta dietro a questo "macello", il filo rosso sconosciuto del mistero del male.
Riducendo ai minimi termini i presunti interrogativi della retorica religiosa, arriviamo a capire che decidersi per la fede in Dio significa scegliere la necessità e rifiutare il caso, significa sforzarsi di credere che ci sia un perché, il quale poi, data la vastità del mistero, risulta impenetrabile alla piccola intelligenza degli uomini.
E il tema dell'umiltà? Perché l'uomo distaccato è anche umile?
Sì, l'arbitrarietà è inevitabile.
Se non lo fosse, se potessimo evitare di fissarli arbitrariamente, avremmo dei presupposti non arbitrari, cioè assolutamente veri.
Avremmo perciò la Verità!
Ma di fronte alla Verità potresti ancora tu esserci? Cioè come cosa tra le cose?
E invece ci sei...
Non sarà che ci sei, che esisti proprio per tirar fuori da te stesso la Verità?
Da quanto ho vissuto, l'idea del distacco non proviene da un ragionamento, piuttosto è il tentativo di descrivere una esperienza originaria.
Una descrizione sempre insufficiente, come sempre avviene quando cerchiamo di spiegare ciò che ci coinvolge in profondità.
Comunque non è un abbandono in Dio.
E non è il frutto di una decisione.
Il distacco è invece il possibile esito dell'amore.
Cioè il distacco può avvenire quando sei colto dalla compassione.
Che avviene, quando avviene. Prescinde da te.
Tu puoi solo volere la Verità.
Costi quello che costi.
Come stai facendo ora.
Senza aspettarti nulla.
Infatti il desiderio di Verità conduce all'inferno.
Almeno per quel che mi riguarda.
Perché vi è il male. Il male nel mondo, il male in me, il male che io stesso sono!
E così non posso che andare all'inferno. Perché così è giusto.
Questo giustezza del mio stare all'inferno è l'assoluto che si impone da sé.
E all'inferno Dio è certo!
Ma è perduto per sempre.
Questa è infine la "verità" del mio esserci al mondo.
Da cui non posso fuggire, perché vera.
Nel frattempo cresce però la consapevolezza della innocenza del mondo.
E più cresce e più può nascere la compassione.
Compassione per il mondo, che è innocente, ma non per me stesso.
Perché non la merito, io infatti non sono innocente.
Può qui avvenire il distacco.
Solo momentaneo, ma rivelatore.
L'umiltà dell' uomo distaccato deriva dal riconoscimento di essere un puro nulla.
Mentre la compassione per il mondo rimanda al Nulla fonte di ogni possibilità.
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PS
Penso che la legge di causa-effetto non abbia alcuna realtà.
Così come d'altronde lo spazio e il tempo.
Sono tutti doni effimeri del Caos.
Infatti solo il caso è libero.
Così come l'amore.
Che è senza perché, se non se stesso.