Ognuno parla dei propri daimones. Questo è uno dei miei. La storia biblica di Gesù e quella sofoclea di Edipo parlano entrambi dell'uccisione del padre ma in una struttura narrativa diversa e che porta ad esiti diversi.
Edipo si muove su dei binari parzialmente obbligati. Inevitabile risolvere l'enigma, uccidere il padre, diventare re di Tebe, sposare sua madre. Ciò che resta nella disponibilità di Edipo è la ricerca della verità, nonostante i molteplici avvertimenti nel non farlo e la ricerca della verità avrà effetti ambivalenti. Edipo diverrà cieco, perderà il trono e diventerà un esiliato, ma il miasma che ammorbava la città scomparirà. Il sacrificio dell'uno salva la comunità, ma quell'uno è "uno di noi", attraversato dalla tragedia dell'uomo fatto di carne e ossa, con in più il desiderio insopprimibile della conoscenza. Dopo il riconoscimento della morte del padre, Edipo diventa saggio, da cieco accoglie la figura di Tiresia, colui che sa e che ha esperienza. Il focus è sul figlio.
La morte di Gesù (Dio) si muove sul focus del padre (anche se in modo ambiguo) ma non sul tema della ricerca dolorosa della conoscenza, perché la verità di fede è indiscutibile e nessuna ambivalenza è permessa. La morte del Dio ha lo scopo della "salvezza" oltre a quello del "sacrificio" (che condivide con Edipo).
A partire da questa differenza diventa possibile comprendere meglio l'uso psicoanalitico di Edipo. La lotta omicida fra figlio e padre è sempre necessaria per crescere e sostituire il padre con il figlio, nella naturale successione temporale. Certo affinché essa sia costruttiva deve essere sostituita da una lotta simbolizzata, dove entrambe le parti costruiscono un gioco all'insegna dell'accettazione delle parti.
L'omicidio di Gesù invece rappresenta una cesura definitiva e fondata sulla accettazione di un "Padre eterno" e indiscutibile, fondatore di tutte le cose.
Ecco allora che da un lato, assistiamo ad un mondo mutevole, tragico ed ambivalente, dove generazioni si susseguono a generazioni e regole a regole. Dall'altro, l'ipostatizzazione di un padre inamovibile, costruisce un fondamento stabile e straordinariamente efficace, in cambio della propria permanenza in uno stato di minorità. L'unico potere avviene non per acquisizione individuale ma per trasmissione mimetica dall'alto verso il basso e pertanto anche il padre umano adotterà lo stile della indiscutibilità.
In altre parole, il mito biblico potrebbe essere rappresentato come il mondo di Hobbes (sicurezza in cambio di perdita di libertà), mentre il mito sofocleo come il mondo di Freud (conoscenza in cambio di perdita di sicurezza).
Il cristianesimo è abitato da un'ambiguità di fondo: da una parte la teologia del Padre celeste lontano e inconoscibile, dall'altra l'Incarnazione, il divino cioè che scende nel mondo e rimane tra gli uomini anche dopo la morte di Gesù (nello Spirito).
La mistica speculativa del Duecento con l'idea della generazione del Verbo in ogni uomo, tramite uno specifico cammino incentrato sul distacco, "puntava" tutto sul lato dell'Incarnazione (un'incarnazione "diffusa", "democratica" e sempre possibile), mettendo in allarme le autorità ecclesiastiche interessate a conservare il monopolio della mediazione del divino.
La crisi attuale della metafisica e quindi anche della teologia tradizionale ci dovrebbe spingere ad una lettura del cristianesimo sbilanciata verso quelle esperienze, come la mistica speculativa o come la povertà francescana (povertà francescana intesa come strumento privilegiato di riproduzione della scena evangelica), capaci di esprimere ancora qualcosa di vivo, rispetto alla cultura morta del racconto dell'onnipotenza di un Dio lontano.
Questa eventuale lettura come si declina con il tema di Edipo?
A me sembra che manchi un attore: va bene la Legge e la lotta per la conoscenza e l'ordine simbolico del Padre. Ma non manca il desiderio?
Il racconto di Sofocle, a differenza di quello che dirà poi Freud, non parla di desiderio. Edipo non desidera Giocasta, per intenderci. Accetta l'onore di sposare la Regina. Tutto qua. La cosa riguarda la sua carriera. Poi, dagli eventi, sarà portato a ricostruire la verità con tutto ciò che ne consegue. Il tema è il destino e la conoscenza delle sue radici poste nel passato.
Ma il Vangelo sarebbe incomprensibile senza il tema del desiderio. Desiderio di vita vera, la quale non può che essere vita divina, la vita che sa incarnare lo Spirito.
Anche qui c'è lotta per la conoscenza, ma nel senso di un costruire la verità, di un incarnare la verità, di un aprire gli occhi sulla vita al di là della paura della morte e del potere, a proprio rischio e pericolo.
Che tanti uomini poi preferiscano rifiutare quello che il Vangelo mostra (al di là dell'ambiguità di fondo di cui si è detto all'inizio) per farsi condurre quindi dall'autorità lo aveva già mostrato Dostoevskij con la leggenda del Grande Inquisitore.
Va però notato che nel romanzo è Ivan Karamazov l'autore di quel racconto e che Ivan era un nichilista. La sua idea dell'uomo è che si tratti di una creatura troppo debole per essere capace di accettare la sfida della libertà.
Ma appunto questa sfida è il senso fondamentale del Vangelo.
Ovvio, il cristianesimo è un movimento religioso che dura da duemila anni. Le possibili letture e interpretazioni sono molteplici, compresa quella delle opere come prova della propria santità, oltre alla fede (ora et labora), oppure quella della elevazione dei diseredati, oppure quella della mistica del Dio absconditus. Ma quello che volevo sottolineare riguarda proprio il fondamento. Il senso del padre. Il senso del padre che organizza la società. E nelle religioni monoteistiche questo senso del padre è un senso dove non è possibile il conflitto, poichè il conflitto comporta la cacciata dall'Eden o la riduzione ad Angelo Maligno. Edipo viene anch'esso ridotto, cieco, esiliato, detronizzato, ma la sua figura non configura il "Male", bensì la tragicità del vivere umano. Una tragicità che sarà ulteriormente replicata da una delle sue figlie, Antigone.
Rispetto al desiderio, non credo che Edipo ne sia privo. Il suo desiderio, il suo daimon, è la conoscenza. Nello specifico conoscere quale sia la causa del miasma, che ha reso l'acqua di Tebe imbevibile, i campi aridi e le malattie diffuse fra i cittadini. Lo mettono ripetutamente in guardia nel non azzardare tale ricerca, ma Edipo, il risolutore degli enigmi, troverà la soluzione anche di questo mistero, ed insieme ad esso la sua caduta. Il messaggio che la tragedia greca ci trasmette è quindi quello della inevitabilità del passaggio generazionale, comprensivo di un certo grado di violenza. Senza quel passaggio, il panorama sociale si cristallizza. Ottimo per stabilizzare una società (vedi ad esempio Girard e il ruolo del capro espiatorio), ma a costo del proprio stato di minorità (fanciulli, gregge), che idealizza ed estetizza ciò che poi viene riprodotto nelle articolazioni sociali concrete, dove si ripetono i rapporti fondati sulla indiscutibilità del potere paterno. Il Grande Inquisitore è effettivamente un'ottimo banco di prova di quanto sto dicendo e il fatto che Gesù sia schierato nel partito opposto andrebbe meglio analizzato. E' probabile che possa esserci un esercizio del cristianesimo più giusto e più equo di quello declamato dal Grande Inquisitore, ma resta il fatto che esso appare minoritario e ancillare. Laddove si presenta, si presenta comunque in una veste caritatevole e di accettazione della struttura Grandinquisitoriale, come nel caso dei Francescani. In sostanza non è possibile una uccisione nè simbolica nè tantomeno reale di Dio e ciò congela il mondo e lo scinde inevitabilmente in una dimensione paranoide, dove il tragico viene espunto, anche se poi talvolta rientra dalla finestra (chi è senza peccato, scagli la prima pietra).
Il tema del parricidio è stato affrontato da Freud nel suo saggio riguardante Mosè e il monoteismo. È un tema fondamentale sia per l'antropologia che per la psicologia. In campo religioso l'autorità del padre non può e non deve essere discussa, perché è dal padre, che discende la conoscenza delle cose divine, ed è sempre il padre l'anello di trasmissione e garante delle tradizioni che le cose divine esigono. Tale legame lo si riscontra anche in ambito collettivo, ove qui a fungere da garante del particolare rapporto con il dio e della coesione della comunità è il patriarca. Il parricidio interviene quando un sovvertimento dell'ordine familiare o di quello sociale si annuncia come ineluttabile fato. La religione ebraica, secondo la tesi di Freud, invero contestatissima, sarebbe fondata proprio su un parricidio originario: quello di Mosè. Non sto a riportare le ragioni che seconda la tesi di Freud avrebbero convinto il popolo ad uccidere il Padre, ma senza questo atto violento oggi la religione ebraica, nelle forme a noi giunta, non sarebbe stata possibile. Il parricidio rappresenta l'indispensabile cesura fra una conformazione sociale e/o religiosa e quella subentrante.
Sebbene sia da inserire in una narrazione che richiama un trascorso originario mitico, esso, oltre ad essere indicativo di una cesura, rappresenta spesso l'atto di fondazione di molte civiltà. Oltre al parricidio manifesto, va registrato, infatti, anche quello mimetico, in cui la vittima dell'atto violento non è il padre, ma un consanguineo. La vicenda di Abele e Caino è da inquadrare nei miti di fondazione riconducibili ad un parricidio originario. La mimesi non si esaurisce con la sostituzione della vittima, ma è rilevabile, forse anche con indizi superiori, nel suo nascondimento: Romolo e Remo son protagonisti di un atto violento il cui esito è evidentemente la fondazione della città di Roma.
Per quanto riguarda il Vangelo letto con gli occhi di M. Recalcati che focalizza il messaggio di Gesù intorno al desiderio, passione che, secondo lui, informerebbe l'intera Bibbia, vi è da dire che non si tratta di una brama di possesso, ma un'adesione totale ai canoni religiosi espressi e testimoniati da Gesù (molto distante quindi dal pensiero orientale). Così è che anche la legge mosaica deve essere letta con un approccio non letterale ma più spirituale, ove lo stimolo all'incontro non sia la ragione e la facoltà di intellezione, ma quello dettato dallo spirito e smosso dal desiderio, in un contesto ove si esalta proprio la libertà dell'uomo. La vicenda del Grande Inquisitore è il paradigma dell'eterna lotta che si scatena nell'animo dell'uomo, conteso fra libertà che si esplica nell'angoscia e costrizione che induce sicurezza. Dostoevskij si limita a mostrare magnificamente il perimetro del campo di battaglia. Indica quali sono i poli estremi della corda tesa fra le due condizioni, ma non assume una posizione definita – almeno nel romanzo, poi è nota la sua feroce critica rivolta alla Chiesa -. Il racconto si chiude in maniera assolutamente enigmatica. Gesù non scioglie il dilemma, non risponde e si limita a baciare sulle grinzose labbra il vecchio Inquisitore. Le interpretazioni di quell'uscita di scena del nazareno sono variegate ma tutte insoddisfacenti. Noi non possiamo che limitarci a prendere atto di un'indecidibilità non risolvibile. Neppure il naturale fastidio che la figura dell'inquisitore suscita può essere assunto come indizio di una preferenza. La libertà è davvero un fardello di cui l'umanità difficilmente può farsi carico. L'episodio narrato da Dostoevskij, per quanto enigmatico, è un raggio di luce proiettato sul problema del male versus fede: Gesù ci dice che il messaggio evangelico può e deve essere accolto nello spirito solo nella più assoluta libertà. La deliberazione per il sì o per il no deve avvenire senza coartazione di sorta. Le tre tentazioni nel deserto sono respinte perché diversamente l'uomo non avrebbe potuto far a meno di genuflettersi davanti al Creatore. La sicurezza avrebbe sopravanzato la libertà, e questo non è il volere del Padre.
Citazione di: Jacopus il 19 Gennaio 2025, 17:46:35 PMOvvio, il cristianesimo è un movimento religioso che dura da duemila anni. Le possibili letture e interpretazioni sono molteplici, compresa quella delle opere come prova della propria santità, oltre alla fede (ora et labora), oppure quella della elevazione dei diseredati, oppure quella della mistica del Dio absconditus. Ma quello che volevo sottolineare riguarda proprio il fondamento. Il senso del padre. Il senso del padre che organizza la società. E nelle religioni monoteistiche questo senso del padre è un senso dove non è possibile il conflitto, poichè il conflitto comporta la cacciata dall'Eden o la riduzione ad Angelo Maligno. Edipo viene anch'esso ridotto, cieco, esiliato, detronizzato, ma la sua figura non configura il "Male", bensì la tragicità del vivere umano. Una tragicità che sarà ulteriormente replicata da una delle sue figlie, Antigone.
Io non ho proposto una delle tanti possibili interpretazioni del cristianesimo ma ho richiamato l'attenzione al suo cuore, che è indubitabilmente l'Incarnazione, per evidenziare come il superamento di ciò che dici, l'espressione dell'autorità sul modello di un Dio celeste onnipotente indiscutibile, è presente nel Vangelo stesso.
Nel Vangelo la vita viene prima della Legge, quindi prima di quel Dio inamovibile, o meglio, nel Vangelo si cerca di mostrare il vero volto di Dio.
Un Dio che vuole che l'uomo abbia la vita in abbondanza. Il che implica: non avere paura, non trattenersi, non essere ossessionati dalla propria sicurezza, dalla propria conservazione, ma piuttosto dare voce ai propri veri desideri.
Esattamente l'inverso di una società cristallizzata, appiattita sull'obbedienza al Padre celeste e ai suoi vicari terreni.
È questa la contraddizione che volevo segnalare: se il monoteismo giudaico-cristiano si presta a produrre comunità di fratelli impauriti dal Padre castrante, è all'interno di questo stesso monoteismo che c'è il suo superamento radicale poiché l'invito a usare i propri talenti, a farli fruttare, a non temere di perdere la propria vita, è tutt'altro che castrante, anzi si può dire che il rischio sia quello opposto di non tenere in debito conto i pericoli reali del mondo. Cioè ci sarebbe una specie di sbilanciamento verso l'anarchia piuttosto che verso la conservazione dello status quo.
Ottima argomentazione Koba. In effetti ogni mito, quando è ben strutturato permette molteplici letture. Gesù è in effetti una pietra d'inciampo rispetto ad una lettura di un Dio castrante. Ma non l'annulla. Ogni divinità per dare la vita deve morire, così come ogni padre. Molte religioni si contrappongono a questa legge e rendono il padre un superpadre. Il prezzo da pagare è quello di restare sempre figli. Gesù effettivamente muore, ma risorge e Dio nella sua lontananza non è apparentemente toccato dalla vicenda storica di Gesù. Del resto una religione che prefigura la morte della divinità firma la sua stessa fine. Ogni divinità inoltre si presta ad operazioni di alienazione, poiché pone al di fuori dell'umanità, ad un livello che comporta un continuo fuori/dentro, qualità, poteri, conoscenze che schiacciano l'uomo a polvere.
Però è anche vero quello che dici. Dipende dalla struttura sociale se Dio diventa emancipazione o schiavitù. Il rinascimento è stata una grande epoca vissuta anche e soprattutto all'insegna di Dio. Oggi il messaggio evangelico sarebbe dirompente se praticato fino in fondo e distruggerebbe con poco sforzo l'ideologia capitalista.
Mi viene da dire che Dio è una maschera, se dietro la maschera troviamo l'uomo nel suo desiderio di fratellanza, nel suo bisogno di perdonare e di accettare i propri lati mostruosi, allora anche Dio diventa emancipazione. Ma se la maschera di Dio diventa la bandiera per scindere il mondo in buoni e cattivi, se diventa l'effigie ultraterrena di un potere assoluto e irresponsabile perché intangibile e inesplicabile, allora questa maschera si replicherà nelle sue forme mondane, creando violenza e sofferenza, come la storia ci insegna da qualche millennio.
Se il personaggio letterario di Gesu' e' immediatamente il Padre (e padre di se stesso), allora l'"edipo" della vicenda cristica evangelica che in qualche modo uccide il Padre-Gesu' e' tutta l'umanita' peccatrice e teicida. Insomma il colpevole e' Roma, in quanto potere imperiale universale, e l'altro grande colpevole e' il sinedrio, in quanto potere locale ebraico. Ma il sinedrio e Roma, rappresentano tutta l'umanita', che, proprio in quanto peccatrice, non riconosce Gesu' e lo mette a morte.
Gli apostoli stessi fuggono e rinnegano.
La madonna rimane con il suo "stabat" ma appunto lei e' nata senza peccato.
Se vogliamo immagginarlo in una "trinita' di personaggi questo edipo teicida e' rappresentato da Giuda (che tradisce Gesu') Pilato (che non fa un bel nulla per salvarlo pur potendo) e Longino (che a quanto pare lo fa fuori fisicamente, o quantomeno, dimostra al di la' di ogni dubbio che Gesu' e' morto). Questi tre personggi singoli, comunque, rappresentano il fatto che tutta l'umanita' e' colpevole per la morte di Gesu', tutta l'umanita' e' teicida, tutta l'umanita' e' l'edipo assassino del "Padre" che e' Gesu'.
Del resto proprio come in Edipo il padre non e' riconosciuto: Gesu', che e' vero Padre, viene messo a morte, appunto da innocente, per il presunto crimine, di essersi proclamato falsamente, Padre.
La fede evangelica, e' credere innocente l'accusto, nel "caso giudiziario" Gesu', e dunque propendere per la tesi dell'errore giudiziario.
Comunque per me e' assolutamente possibile che Gesu' sia colpevole, perche' se non si crede alle favole di libero arbitrio e delle varie teodicee in generale, ecco che allora Dio, in quanto creatore e Padre, e' colpevole per il male esistenziale e morale dell'uomo.
Non c'e' nessun errore giudiziario, la condanna e' giusta. Se Dio e' padre, il padre deve espiare e pagare, per gli errori presenti nella creazione, e non la (innocente) creazione stessa.
Creare nell'uomo creato la, sia pur virtuale, possibilita' del male, e' male. La scusa che tale possibilita' e' solo e soltanto "latente", e si attiva, cioe' si concretizza, "solo" se l'uomo con il suo libero arbitrio sceglie il male, non regge. Il creatore, era abbastanza potente (e onnipotente) da non creare il male nemmeno come possibilita'. Se invece imperscrutabilmente lo ha fatto, io dico che e' colpevole. Lui. E non l'uomo.
Il Padre, meritevole di una punizione infinita, meritevole cioe' dell'inferno, facendosi uomo, si rende disponibile a una punizione finita, cioe si rende disponibile al giusto, e vendicativo, teicidio per mano umana, si dona ad esso e alla prospettiva di esso. Oltre la quale, cioe' scontata la quale, esaurita la punizione nel suo essere, finalmente, esauribile, puo' iniziare il concetto di una sua sua rinnovata "innocenza", innocenza del creatore come creatore, che tutti i suoi debiti, e non i nostri, per una creazione assolutamente imperfetta, li ha pagati sulla croce... e quindi puo' iniziare la responsabilizzazione, per il suo stesso male, e quindi forse la liberazione, dell'uomo; come liberazione prima di tutto dal risentimento, verso il fantasma, di un suo presunto, e inesistente, creatore intenzionale, antropomorfico e volontario.
Il creatore, colpevole, si dona spontaneamente al suo essere messo a morte dagli uomini, proprio perche' Il massimo atto d'amore possibile per gli uomini e' restituirli all'impersonalita' della natura e alla realta' della loro condizione increata (il creatore, se mai c'e' stato, e' morto...), cioe' alla loro prospettica verita', a partire dalla quale, possono salvarsi da soli.
Poi, se l'edipo e' la possibilita' di una libido oggettuale, e non narcisitica o polimorfa, a me piace anche pensare che Gesu' abbia compiuto l'edipo, intendo il suo personale edipo, risolto il suo complesso, un attimo prima di morire, portando con se', al cielo, con il suo ultimo sguardo, durante il suo ultimo respiro, una singola donna diversa da sua madre... e non le grandi folle, di eletti e di salvati, previste da un destino in fondo paternalistico e cialtrone.
Essere uomo, vuol dire che nell'attimo in cui muori, puoi guardare e vedere, cioe' eternizzare, un singolo volto, non una piu' o meno grande e bramosa folla, folla tra cui, quel singolo volto, semmai, ancora di piu' risalterebbe.
Morire alla fine per Una, una sola, e non per Tutti e' la piu' grande dimostrazione di umanita' che quello in teoria e sulla carta venuto a morire per Tutti, l'agnello espiatore dei problemi degli altri, poteva fare. Se l'ha fatto, se e' morto per una sola e non per pochi o tutti, in un ultimo atto di amore romantico e carnale, freudiano e oggettuale, e al diavolo tutti i grandi destini profetizzati e prescritti, si spiega pure perche' il male dalla terra, infine, non e' stato tolto.
Ho appena iniziato a leggere l'Edipo.
Prima di cadere in una nuova crisi.
C'è molto di più.
Di certo c'è molto di più che nella favoletta ridicola del cristianesimo.
Gesù non solo non si libera del padre, ma ne diventa addirittura l'idea stessa.
Non mera sostituzione, mantenimento dello status quo, come ogni uomo malvagio (e dunque normale, civile) fa, ma vero e proprio delirio di onnipotenza (i pazzi che credono di essere Napoleone non sono niente rispetto a questo straccione, almeno secondo Matteo, o questo borghese, almeno secondo Luca).
E' lui stesso a ESSERE Dio, salvo poi essere lui stesso crocifisso come un ladrone qualsiasi.
Al di là del pasticcio dell'ideologia cattolica, che pur di vendere le sue indulgenze, e oggi a essere pronta a inginoccharsi a Satana in persona (Babilonia etc...), ha pensato bene di spacciare per vera questa storiella, direi di ragionare in un altra maniera.
Si hai ragione Jacopus, l'Edipo e Cristo, sono la medesima cosa, figure allegoriche di un peniero sapienziale che interroga la verità.
Il parallelismo è lo stesso, in cambio della verità, sono disposti a farsi carico del peccato delle genti.
Non è quindi nel senso letterale, che lasciamo ai gonzi, nemmeno nel senso allegorico, che ci farebbe rimanere ai piedi di un mero parallelismo, quantomai corretto.
Direi di andare nella dimensione anagogica, ossia quella che permetta alle nostre anime di elevarsi al livello delle verità immortali.
Per poi portarle alla realtà diremmo oggi psicologica delle masse.
L'intento di purificazione alla tragedia e alla buona novella è evidente.
La dimensione mediale dell'allegoria diventa così ricerca spirituale, come un ripensamento della tradizione nobile-ebraica in chiave populista (gesù mangione e beone) nel caso della vasta letteratura epigrammatica nel caso del cristianesimo, e nella visione clamorosamente vertiginosa, opera singola di un pensatore, che mi mette i brividi, Sofocle.
Il tuo domandare (mi par di capire, sublimamente ossessivo) sul destino della ricerca individuale che si piega come agnello sacrificale per il bene comune.
Rispetto tantissimo questa visione, evidentemente cattolica, con il mio ormai ex-commilitone universitario, fervente cristiano, infatti dopo esserci interrogati su Kant, si finiva inevitabilmente su Girard.
Ma Girard caro Jacopus, non è forse figlio di quella filosofia del cattolicesimo, mentore dell'attuale stato di terrorismo intelletuale, e che sempre nella storia si è tramutato in terrorismo reale, che fa dell'individuo non solo l'agognata preda della massa, ma anche il suo più essenziale fondamento?
La massa schiavo, genuflessa meretrice di se stessa a se stessa, che tanto Nietzche disprezzava?
Ragioniamo se vi è qualcosa di liberale nel giudaismo? Direi di no.
La comunità prima di tutto.
Il cristianesimo la sua sorella impazzita è forse liberale? Ma quando mai?
Lasciamo perdere i benedetti dalla Von Der Layden e signori oscuri suoi burattinai, del sorellastra bafomettismo? Esattamente l'esatto opposto.
Il concetto di libertà è invece ciò che nutre la Grecia.
Dove con Grecia intendiamo anche la Sicilia, la Calabria e la Puglia.
Come si sono ridotti questi popoli?
Fa impressione.
E' davvero difficile far finta di nulla, ammiro tantissimo il mio maestro, che parla di popoli momentaneamente offesi.
Ecco che il destino individuale non è il sacrifico, ma il dovere morale, singolare che ognuno ha verso se stesso.
Edipo prima che verso il popolo ha un dovere verso se stesso.
E cioè verso la Verità.
Il vero cristianesimo non è quello collettivista, ma è quello individualista dei grandi mistici.
Lo preferisco in salsa dostoevskjana, ossia fino alla consunzione della ragione.
Le opere di Dostoevskj si pongono come testamento spirituale, ben più in alto di qualsiasi dottrina sociale della chiesa (che pure rispettp e apprezzo).
Nel suo disprezzo del popolo Leopardi fu chiaro, come può un popolo di infelici dirsi popolo felice?
Leopardi non sapeva dei signori del male.
Sofocle sì.
Ce lo dice nella folle scena del litigio fra Edipo e Tiresia.
La forza della verità (Edipo) contro la forza del male (Tiresia).
E' Edipo che salverà per la seconda volta Tebe, è la ragione che deve trionfare oggi e sempre.
Non il sacrificio.
Sono due modi di pensare differenti.
Per inciso anche nel Cristo, la lotta tra la verità, e la paura, non è questione del sacrificio, è questione della forza che dà la verità.
Il drammatico inseguirsi dei fatti tragici, è uguale a quello che infesta le tragedie di Platone.
Un demone mi impedisce di parlare.
Edipo e Cristo hanno sconfitto la Sfinge, e con essa la paura della morte.
Ma oggi chi sa leggere lo sforzo di Edipo (non certo Freud, la cui opera rimane capitale per l'occidente)?
Chi l'ha vista la verità nella scena con Tiresia?
Io, e solo io.
Perchè i signori del male, ovviamente dicono l'esatto opposto.
Non me ne stupisco affatto.
Ciao Jacopus. Ottima discussione.
A questo parallelismo ci sto pensando mentre scrivo, solito pasticcione che sono ;)
Ho appena finito di leggere il testo di Recalcati, "La legge del desiderio". Devo dire che alla fine il suo ottimismo è nauseante... La sua ossessione per il desiderio, come se questo desiderare fosse il fondamento dell'essere umano, e tutto il dolore della storia fosse solo un accidentale deviazione della Legge, che anziché rafforzare la spinta in avanti per l'errore dell'interprete finirebbe per soffocare tutti quanti, i quali per salvarsi sarebbero così costretti ad attingere alle illusioni disponibili, da scegliersi a seconda del proprio sintomo...
Certo il sogno rivela a volte il desiderio di una vita nuova. Quello che sta al centro di un racconto di Han Kang, "La vegetariana", è il sogno di una donna tra le più ordinarie. Sembrerebbe all'inizio solo il cambiamento di regime alimentare, ma è in realtà l'inizio di una metamorfosi verso forme di vita più semplici in cui non sia contemplata l'offesa, la violenza, la persecuzione, la necessità di dar conto continuamente di se stessi, del proprio esistere...
Dall'uomo all'animale fino al regno vegetale: la pace degli alberi. Finalmente alla fine la protagonista capisce di essere un albero, non la donna ordinaria sopportata dal marito, non la bambina che riceveva regolarmente i ceffoni del padre autoritario. Un albero che ha bisogno solo di acqua e dei raggi del sole. Abbandonarsi completamente al sogno e quindi morire di inedia in un ospedale psichiatrico con una diagnosi di anoressia e di schizofrenia (come Ellen West, se non ricordo male), abbandonarsi al sogno, dicevo, può essere la cosa giusta da fare... In fondo l'importante, come dice Recalcati, è assumersi la responsabilità del proprio desiderio.
Citazione di: Koba II il 01 Febbraio 2025, 13:33:04 PMl'inizio di una metamorfosi verso forme di vita più semplici in cui non sia contemplata l'offesa, la violenza, la persecuzione, la necessità di dar conto continuamente di se stessi, del proprio esistere...
Dall'uomo all'animale fino al regno vegetale: la pace degli alberi. Finalmente alla fine la protagonista capisce di essere un albero, non la donna ordinaria sopportata dal marito, non la bambina che riceveva regolarmente i ceffoni del padre autoritario. Un albero che ha bisogno solo di acqua e dei raggi del sole.
Dar conto alla Legge del Padre, della tirannia leggendo Platone.
Citazione di: Koba II il 01 Febbraio 2025, 13:33:04 PMIn fondo l'importante, come dice Recalcati, è assumersi la responsabilità del proprio desiderio.
Lettura assolutamente condivisibile, la cui chiusura è però incomprensibile.
E' come dire che l'importante è non-a, e poi dire che l'unica cosa importante è a.
Misteriose torsioni del pensiero.
Recalcati è il male assoluto, insieme alla pletora delle scienze psi-
Un demone mi impedisce di parlare, Eutifrone, dialogo numero 1 di Platone.
E niente non si capirà mai il resto.
Suvvia, esagerato, Recalcati non è affatto il male assoluto...
Beh, io continuo sul tema, più o meno...
Sul desiderio si contano un certo numero di teorie:
1) Si desidera ciò che ha l'altro (Girard). Il proprio desiderio è diretto verso una cosa non per le sue caratteristiche intrinseche ma perché è oggetto del desiderio di un altro (vedere come tra i bambini il giocattolo più desiderato è sempre quello usato da qualcun altro); alla base del desiderio ci sarebbe insomma l'imitazione; il che però comporta invidia, aggressività, conflitto.
2) Si desidera il desiderio dell'altro, cioè si desidera che l'altro mi guardi, mi rispetti, mi ammiri, mi riconosca (Hegel).
3) Si desidera ciò che è capace di suscitare il ricordo di qualcosa che si è perduto da sempre e che mai ritroveremo. Il desiderio come nostalgia di un oggetto primario mai recuperabile e sempre parzialmente riflesso nelle cose che suscitano desiderio. Quindi un desiderio destinato al fallimento ma che comunque alimenta la spinta verso il mondo.
4) Si desidera altro, cioè non si desidera l'Altro, non si desidera cioè ciò che ha o ciò che è l'altro, non si entra in relazione dialettica con l'Altro, ma si desidera tutt'altro, un'altra vita, un altro mondo etc.
Ora, come sottolinea Recalcati nel suo ottimo Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Antigone, per lo psicoanalista francese, incarna il simbolo del desiderio puro — un desiderio che sconfina nel desiderio di morte. Antigone rifiuta qualsiasi compromesso con le leggi della città, che impongono il divieto di sepoltura per i traditori, come suo fratello Polinice. Non fa alcun passo indietro, pur essendo pienamente consapevole delle conseguenze della sua trasgressione: la condanna a morte. A differenza del padre Edipo, che appare come un burattino in balia del destino, Antigone sa cosa l'attende, ma non può agire diversamente. Non è spinta da un cieco narcisismo nelle proprie convinzioni, ma dall'intolleranza verso l'idiozia della realtà.
L'esito di questa analisi del desiderio orientato verso la pulsione di morte e un godimento distruttivo sembra mettere in crisi la visione edificante del Padre come promotore del desiderio del figlio verso le cose del mondo. Separando il figlio dalla madre, imponendo la Legge che vieta la loro "fusione" e orientando il desiderio in una direzione costruttiva, il Padre sembra in realtà svolgere un ruolo ideologico: ingannare il figlio facendogli credere che la realtà abbia un senso e che valga la pena vivere. Il suo compito inconscio è dunque garantire la continuità di questo inganno, necessario affinché la vita e la civiltà possano esistere. Tuttavia, tale inganno si svela sia nell'eccesso mortifero del desiderio, come in Antigone, sia nella sua dissoluzione e perdita, come nello sguardo melanconico.
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM1) Si desidera ciò che ha l'altro (Girard).
Credo che fortemente connessa al desiderio sia la dinamica di assegnazione di valore (o di senso): se vedo l'altro che ha qualcosa, sospetto che quel qualcosa, a cui l'altro non rinuncia, che l'altro non abbandona, possa essere di valore, per questo lo desidero (non desideriamo gli scarti degli altri, ma ciò che pare essere di valore per gli altri).
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM2) Si desidera il desiderio dell'altro, cioè si desidera che l'altro mi guardi, mi rispetti, mi ammiri, mi riconosca (Hegel).
Parimenti, se l'altro mi desidera, allora mi convinco di avere un valore; anche stavolta è l'altro ad assegnare un valore, ma il fatto che il valore sia un mia "proprietà" non comporta la quiete del godimento appagato, bensì il desiderio di più valore, più riconoscimento altrui (v. la "fame di fama", il fenomeno dei
like sui
social, etc.).
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM3) Si desidera ciò che è capace di suscitare il ricordo di qualcosa che si è perduto da sempre e che mai ritroveremo. Il desiderio come nostalgia di un oggetto primario mai recuperabile e sempre parzialmente riflesso nelle cose che suscitano desiderio.
Qui il valore è nel passato per svalutazione del presente; se stessi meglio ora che in passato, non desidererei il ritorno dell'elemento che dava valore in passato (e al passato); tuttavia il riconoscimento di quel valore può animare sia la speranza per il futuro che il rimpianto, a seconda dell'indole e della situazione.
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM4) Si desidera altro, cioè non si desidera l'Altro, non si desidera cioè ciò che ha o ciò che è l'altro, non si entra in relazione dialettica con l'Altro, ma si desidera tutt'altro, un'altra vita, un altro mondo etc.
Quando il valore non ci arriva dagli altri (casi 1 e 2), né dal passato o dall'attesa/impegno per il futuro (3), allora lo immaginiamo altrove, in un mondo possibile, in un'utopia, in una mistica alchimia ancora ignota, perché (questo è forse il movente inconscio della dialettica desiderio/valore) il valore
deve esserci, affinché il desiderio si direzioni (desiderio che è essenzialmente pulsione vitale, all'azione volta al nutrimento, sia fisico che esistenziale).
Il Padre è colui che spinge, con l'esempio e con le norme, il Figlio al desiderio e al valore; l'
hybris di sostituirsi al padre, di diventare a propria volta padre, non è altro che lo sviluppo auto-
nomo della dialettica desiderio/valore, inevitabilmente decentrata dal ruolo dell'Altro.
Nel cristianesimo, è il Padre a
dover lasciar punire il Figlio, cioè se stesso, per il decentramento verso l'Altro, ossia l'umanità; l'auto-nomia del Figlio, tesa e manipolata dal desiderio dell'Altro e per il bene dell'Altro, finisce con il ristabilirsi della legge paterna: la resurrezione chiude la parantesi umana del dio e conferma la Legge sovra-umana del Padre, che dopo essersi "abbassato" a giocare con i figli, facendosi anch'egli Figlio (e, apparentemente "perdendo la partita"), ristabilisce i ruoli e, appunto, i
valori che ha voluto insegnare ed esemplificare con il farsi un (quasi) pari dei figli.
Seguendo Al di là del principio di piacere, dobbiamo ammettere, in base all'evidenza clinica su cui il testo freudiano si interroga, che il desiderio sconfina in una pulsione di morte. Il soggetto vuole il proprio male. Non c'è alcuna ricerca dell'omeostasi: non avviene una scarica seguita da un ritrovato equilibrio. Piuttosto, si persegue un eccesso, un'ottusa ripetizione, un dissolvimento. Qualcosa spinge contro la vita. È in questa direzione che troviamo la nozione di godimento di Lacan, così come quella di dépense (dispendio) di Bataille.
Se le cose stanno così, e cioè se accanto a una versione "costruttiva" del desiderio, a un edonismo progressista, vi è sempre anche una tendenza all'eccesso distruttivo, da questo punto di vista, cos'è il cristianesimo? Il cristianesimo inteso come esperienza, e non come favola teologica?
Sviluppiamo la seguente ipotesi: nel Vangelo, la vita viene prima della Legge. Dunque, su cosa si basa la vita evangelica, ossia la prassi di Gesù e dei suoi discepoli, di Francesco e dei suoi amici? Sulla devozione alla Legge? No, perché l'eccesso della gioia e della carità – come si vede in molti episodi evangelici – trascende sempre la Legge.
Si fonda piuttosto sul godimento di un altro mondo, già in questa vita, che comporta un consumo di sé volto a spezzare la logica dominante del mondo attuale: la logica dei bisogni, dei piaceri, la devozione ai decreti paterni, ai limiti, ai sani confini. Un eccesso che non si muove nella direzione dell'etica kantiana, ma piuttosto verso quella di De Sade, sostituendo però alla vocazione per la perversione sessuale e per l'omicidio quella per l'amicizia.
Citazione di: Koba II il 05 Febbraio 2025, 11:50:12 AMnel Vangelo, la vita viene prima della Legge. Dunque, su cosa si basa la vita evangelica, ossia la prassi di Gesù e dei suoi discepoli, di Francesco e dei suoi amici? Sulla devozione alla Legge? No, perché l'eccesso della gioia e della carità – come si vede in molti episodi evangelici – trascende sempre la Legge.
Può esserci davvero un "eccesso di carità"? Un "eccesso di gioia", cristianamente intesa? Oppure l'attitudine gioiosa (cristiana) e la carità non sono altro che applicazione (e rispetto) della Legge del Padre, come esemplificato dal Figlio («amatevi l'un l'altro come...» etc.)?
Perché la carità è buona e giusta? Perché lo dice la Legge del Padre (e la Parola del Figlio), non certo l'istinto o la cultura. Perché la gioia cristiana è "vera gioia" solo se si tiene alla larga da certi comportamenti, da certi godimenti non cristiani? Perché lo dice la Legge.
Ogni religione (e ogni spiritualità) è anzitutto Legge che guida e dà
valore (v. sopra) a un'esperienza; la vita viene prima della Legge solo come condizione di possibilità di applicazione della Legge, non come emendamento dalla Legge (per la legge umana, orizzontale, il discorso può invece anche essere differente).
È ovvio che carità e gioia sono già presenti nella Legge giudaica, nella tradizione biblica in generale, il punto però è che attraverso di esse, in una loro versione eccedente la Legge stessa, fino alla sua apparente trasgressione, si prova a dare forma a un mondo nuovo.
È tenendo presente questo tentativo più o meno allucinatorio che si comprendono le numerose esperienze mistico-ereticali cristiane, in cui accanto al sacrificio della propria vita per la Legge (un ascetismo kantiano, diciamo così) si possono individuare (questa è la mia ipotesi di lavoro) dei percorsi fatti di rinunce radicali che se è vero che prendono avvio dalla devozione per la Legge poi finiscono per trascenderla, soprattutto quando essa si presenta nelle sue declinazioni umane, come norme civili generate in ultimo dalla Parola. E la trascendono in un eccesso che è il godimento per il dissolvimento di questo mondo.
"la Legge è fatta per l'uomo, non l'uomo per la legge" si dice in Marco. Quindi la vita dell'uomo sovrasta la legge e, se si attiene ad essa, è per un auto limitarsi; un auto limitare la propria pulsione distruttiva. La legge è l'abito della convivenza sociale. È ciò che è esterno, fuori di me e che mi sento di trasgredire, di non rispettare, se questo abito confligge con il mio abito interiore.
Citazione di: Jacopus il 19 Gennaio 2025, 17:46:35 PMMa quello che volevo sottolineare riguarda proprio il fondamento. Il senso del padre. Il senso del padre che organizza la società. E nelle religioni monoteistiche questo senso del padre è un senso dove non è possibile il conflitto, poichè il conflitto comporta la cacciata dall'Eden o la riduzione ad Angelo Maligno.
Quindi sì che
è possibile il conflitto.
Quello che non piace è l'esito, il risultato inesorabile.
Anche se non tutti (vedi Giacobbe o il figliol prodigo) quelli che hanno litigato con Dio sono stati cacciati o ridotti... anzi!
Il Padre - che non è i nostri genitori effettivi terrestri - non è difficile da capire, è solo difficile da accettare.
Accettare il padre significa non crescere. Restare in uno stato di minorità che giustifica ogni altro stato di minorità. Dalla donna, al nero, all'animale, al comunista o al cattolico.
Qualche pensiero su Francesco d'Assisi e sulla sua trasgressione alla Legge del Padre.
In questa faccenda qualcosa non torna. Ammettiamo pure che il ragazzo si sia ammalato gravemente, che sia dovuto rimane a letto a lungo, tanto a lungo da doversi aiutare con un bastone per muoversi una volta alzato. E una bella mattina di sole, uscendo di casa, passeggiando fino ai prati e i campi che circondano Assisi, non sente più nulla.
Tommaso da Celano, l'unico biografo decente, dice che tutto quanto c'è di bello, i vigneti e la campagna curata, ora a lui "non dava più alcun diletto", e che da quel giorno "cominciò a disprezzare ciò che prima aveva ammirato ed amato".
Ecco il crollo melanconico e la verità del mondo che appare nuda, deserta, insapore, una volta ripulita da illusioni di avventure e scherzi e prosperità.
Dopodiché inizia la fase del tira e molla, della mania e del nulla, dell'eccitazione folle e dello svuotamento, fase che ogni alchimista che si rispetti conosce fin troppo bene: dall'ipnotica tristezza in un pomeriggio giallo d'inverno, arrotolato senza memoria in un fosso accanto alla strada volendo essere solo pietra, si risveglia al sogno della produzione dell'oro. Si alza a fatica e inizia a barcollare fino al proprio laboratorio.
Anche Francesco, nei giorni che precedono la spedizione di guerra verso Sud a cui avrebbe dovuto partecipare, fa un sogno da alchimista: la propria casa piena di armi di fattura pregiata, di metallo indistruttibile.
Sogno che Francesco interpreta come un buon auspicio per la spedizione militare, a cui però decide di non partecipare. Qualcosa non va. Fino a qualche giorno prima era entusiasta di questa avventura, ora lo annoia.
Allora cambia avventura. Si dà a quella religiosa. Perché? Ma perché perdendo ogni interesse per questo mondo, volendosi salvare dalla tristezza, non c'è nulla di più naturale che buttarsi in una materia che dichiara la realtà terrena bella che morta per corruzione, e rivela che un'altra vita è possibile.
E i suoi primi passi nella preghiera li compie in una grotta. Tommaso racconta che accompagnato da un amico si recava spesso in questa grotta vicino la città. L'amico resta fuori. Lui, dentro, sprofonda nell'oscurità materna della terra, in una beata regressione.
"Gioiva che nessuno sapesse che cosa facesse là dentro", scrive Tommaso. "Era in preda ad una vivissima agitazione", "pensieri di ogni specie si succedevano nella sua mente, turbandolo molto con la loro insistenza".
Fase maniacale, a quanto pare.
E gioiva del fatto che era il suo segreto. Che aveva un segreto, e che questo segreto era il suo tesoro nascosto.
Da qui in poi sarà un iperbolico viaggio verso l'impossibile.
Sì, va bene, questa vita fa schifo, i suoi commerci, l'ostilità delle persone, la violenza, tutto ciò che è terreno sembra essere l'opposto di ciò che ciascuno desidera veramente, ma allora, una volta abbandonato tutto, che cosa fare?
La domanda fatidica di ogni pellegrino dello spirito. Di ogni religioso, finito il tempo misterioso e sognante del noviziato.
Predicare? Andare nel deserto? Lavorare con i più poveri? Rifugiarsi in un monastero? Organizzare un nuovo ordine religioso?
Tutto è già stato fatto. Eppure qualcosa bisogna fare, non si può soltanto vivere, non ci si può fermare, che altrimenti la melanconia potrebbe tornare. Bisogna continuare a correre. Missione dopo missione, digiuno dopo digiuno.
Citazione di: Jacopus il 08 Febbraio 2025, 10:02:18 AMAccettare il padre significa non crescere.
Rispetto questa tua fede, ma per il cristianesimo è proprio il contrario: accettare il Padre per poter compiere (la vera e piena crescita) autenticamente la personale natura umana e divenire extra-umano per sempre... già in vita!
Citazione di: Koba II il 08 Febbraio 2025, 11:16:00 AMSì, va bene, questa vita fa schifo, i suoi commerci, l'ostilità delle persone, la violenza, tutto ciò che è terreno sembra essere l'opposto di ciò che ciascuno desidera veramente, ma allora, una volta abbandonato tutto, che cosa fare?
La domanda fatidica di ogni pellegrino dello spirito. Di ogni religioso, finito il tempo misterioso e sognante del noviziato.
Predicare? Andare nel deserto? Lavorare con i più poveri? Rifugiarsi in un monastero? Organizzare un nuovo ordine religioso?
Tutto è già stato fatto. Eppure qualcosa bisogna fare, non si può soltanto vivere, non ci si può fermare, che altrimenti la melanconia potrebbe tornare. Bisogna continuare a correre. Missione dopo missione, digiuno dopo digiuno.
Se tutto fosse già stato fatto, Gesù già sarebbe ritornato.
Finito il tempo del noviziato, ognuno deve percepire, incontrare la propria vocazione, che non è più far quel che si vuole o quel che personalmente si crede sia il da farsi, ma divenire il progetto di Dio su di lui.
Quindi concordo pienamente il tuo:
missiome dopo missione, digiuno dopo digiuno, ma la chiamata può essere anche di restare - con fede in quel segreto ormai rivelatosi - nel commercio, tra le persone, con la violenza.
Io credo che la creazione (questo bel capolavoro di mondo, in senso ironico) sia cosi' piena di errori e di orrori, di molti dei quali l'uomo, a parte favolette religiose, sul peccato originale, e' chiaramente e palesemente innocente (malattie, vecchiaia, cataclismi, incidenti, morti improvvise), mentre di altri e altrettanti e' se vogliamo e' in parte colpevole, ma con molte sociali e psicologiche giustificazioni (guerra, fame, oppressione eccetera) che l'unico Dio amabile, dal punto di vista, reale, e giustamente risentito, dell'uomo, l'unico Dio con cui l'uomo si possa riconciliare, sia un dio inesistente, o al limite senno' uno esistente, ma espiante la colpa della sua (folle, ed egoistica) creazione.
Chi non esiste, ed e' solo favola e leggenda, per definizione non ha colpa.
Anche, naturalmente, chi espia, la sua colpa, per definizione non ha, piu' da un certo momento in poi, colpa, per quanta ne possa avere avuta in passato.
Con il teicidio per mano umana, ovvero con l'umanita' che mette sotto processo Dio, nella figura di Gesu', e lo ammazza, in cui culmina, o almeno sembra culminare, l'Incarnazione come fatto storico, se si prescinde un attimo dalla resurrezione, si riconsegna Dio, alternativamente, o (direttamente) alla realta' della sua inesistenza, (l'accusa, al Cristo, per cui viene messo a morte, e' di essere un falso, messia e Figlio di Dio); o a una, finalmente, "rinnovata", esistenza espiante, proprio sulla croce, la "paterna", e in senso lato genitoriale, divina colpa (colpa della assurda e malevola creazione divina, remota nel tempo, e colpa della palese inerzia di dio fronte al male, attuale nel tempo).
Non vorrei sembrare ne' blasfemo ne' particolarmente pessimista o melanconico, ma, visto lo stato attuale del mondo, non sono io, che devo espiare davanti a dio. E' dio, che, se ha creato questa roba e la mantiene in essere, e tanto piu' se mi ha creato imperfetto avendo potuto, e non voluto, crearmi perfetto, deve espiare davanti a me. O in alternativa, se proprio non espia, deve, allora, evaporare in una pura leggenda, farsi dio/inesistente, e riconsegnarmi alla mia (effettiva) condizione increata.
A queste sole condizioni, lo posso amare. E quindi puo' avvenire una, appunto "riconciliazione". Tra di noi. Diversamente, no. Un Dio con ancora sulle spalle la colpa, della creazione, non e' amabile. Quantomeno, non a mio giudizio. Solo, semmai, temibile.
La morte di dio, in senso nietzscheano piuttosto che evangelico, soddisfa questo mio desiderio, di giusta espiazione, o se voglimo di vendetta.
Verso chi mi ha creato imperfetto, e destinato, temporaneamente o definitivamente che sia, alla sofferenza, pur potendo, fare diversamente. Un genitore onnipotente, a differenza di uno reale, che onnipotente non e', non ha scuse, per la mia sofferenza, per non avermi protetto da essa.
Esiste sicuramente un senso, nella vicenda dell'incarnazione, in cui Dio e' colpevole.
E questo, e' il riverbero dell'Edipo nella vicenda cristica, vicenda che poi, non e', in assoluto diversa da quella edipica, solo che per comprenderlo bisogna porre Dio/Cristo come un "padre" (Laio) e l'umanita' teicida (e con essa intendo ebrei, romani, tutti) direttamente come un, collettivo e massificato, figlio (Edipo). Che non riconosce il padre e lo ammazza, anche se il suo dire e fare esplicito assume, nella vicenda cristica, la forma del non riconoscere un "Figlio", e di ammazzarlo. Ma poi, quel Figlio verra' proclamato onnipotente, e partecipe della creazione, altrettanto come il Padre (il Verbo, l'Incarnazione, la Trinita', eccetera).
Asceso in cielo, nuovo genitore onnipotente, sedente alla destra del Padre, e tutto il solito corredo. Di poteri. E quindi, anche di colpe. Colpe, che sono tali quantomeno dal punto di vista di chi quei poteri non apprezza, o comunque, non tanto benevoli e "adeguati al compito", di togliere il male dal mondo, stima.
L'Edipo sta nel fatto, naturalmente, che tutto cio' era necessario.
E anche era necessario che subito dopo aver ammazzato il padre (e non, o comunque non solo, il figlio) questo "soggetto teicida collettivo", che poi siamo noi tutti, si pentisse, si strappasse i capelli, riproponesse ed innalzasse la girardiana "vittima" (sacrificale) come dio, eccetera eccetera. Ti penti, certo, quando scopri di aver ammazzato non uno di passaggio sulla strada, ma il padre. Tuo, padre. Ma ormai e', appunto, troppo tardi.
Citazione di: Duc in altum! il 08 Febbraio 2025, 14:52:42 PMSe tutto fosse già stato fatto, Gesù già sarebbe ritornato.
Finito il tempo del noviziato, ognuno deve percepire, incontrare la propria vocazione, che non è più far quel che si vuole o quel che personalmente si crede sia il da farsi, ma divenire il progetto di Dio su di lui.
Quindi concordo pienamente il tuo: missione dopo missione, digiuno dopo digiuno, ma la chiamata può essere anche di restare - con fede in quel segreto ormai rivelatosi - nel commercio, tra le persone, con la violenza.
Ma nessun cristiano sa con certezza se un proprio desiderio viene da Dio o dal Nemico.
"Sei dei nostri?", si chiedevano i monaci del deserto, esperti in questioni demoniache.
O, in termini psicoanalitici, nessuno può essere certo che una voce venga dall'inconscio, dalla propria singolarità, e non piuttosto dai maneggi compensatori del proprio Io – il traditore per eccellenza –, o dal sadismo di una morale esterna o di un Padre beffardo.
Così Francesco vive gli stessi dubbi di noi dilettanti.
Improvvisa. Si mette a fare il muratore, poi l'infermiere, quindi il predicatore vagabondo e via dicendo. E intanto si precisa lo stile di vita di questi "pezzenti". Ed entra in scena la tentazione dell'ascesi.
Infatti liberarsi dalla proprietà delle cose, dalle preoccupazioni materiali, a un certo punto non sembra più bastare.
Così come pregare un po', quando prima ci si limitava a biascicare qualche formula durante la messa della domenica, non sembra cosa sufficiente.
Di più, sempre di più.
Tommaso da Celano ci vorrebbe convincere che Francesco, ricevendo un segno dallo Spirito, arriva a concludere che la sua missione debba consistere nella predicazione: "infatti – scrive Tommaso – eran tutti caduti in profondo oblio del Signore e in torbida noncuranza dei suoi comandamenti".
Mentre dopo, grazie alla sua opera: "tutta la regione si mutò e divenne più ridente, perdendo il suo orrore".
Ma non è così. C'è sempre stato bisogno di piegare l'uomo allo spirito. Di umanizzare l'uomo, se così si può dire. Il punto non è questo.
Il problema è che non siamo capaci di vivere e mai lo saremo.
Manchiamo di qualcosa di fondamentale. E anche se arriviamo a capire che questo vuoto non si colmerà mai con i beni terreni, rimane il fatto della sua presenza e della necessità di inventarci un cammino – sempre illusorio – attraverso cui sanarci dal niente che ci abita.
Ecco perché la povertà arriva a trasformarsi da strumento di consapevolezza in un vero e proprio fine, qualcosa che ha valore di per sé, mentre il suo unico significato dovrebbe essere quello di mostrarci che senza beni terreni siamo più liberi e tranquilli. E a quel punto dovremmo allora iniziare a vivere, ma appunto, come ho detto, questo ci risulta semplicemente impossibile.
La tesi iniziale di questo topic, secondo cui la vicenda cristiana comporterebbe una certa staticità basata sul fatto che di fronte all'indiscutibilità della Legge del Padre non resta che la devozione, e quindi la permanenza nello status di figlio, può essere messa in discussione anche riflettendo sull'esperienza del mistico.
Il mistico, come abbiamo visto da qualche accenno sulla vita di Francesco d'Assisi, si imbatte a un certo punto nella chiamata, nell'irruzione dell'Altro. A cui segue una caduta dell'interesse per le cose del mondo. La rinuncia, almeno all'inizio, è completamente spontanea. Poi, in un secondo momento, diventa un metodo.
Metodo per che cosa? Per avvicinarsi a Dio, per farne "esperienza", per interagire con Lui, per viverne la presenza.
Il mistico dirà di se stesso: sono uno che cerca Dio, tutto qua, non molestatemi con i vostri dubbi teologici!
È questo il punto: qui non c'è devozione della Legge del Padre, ma piuttosto ricerca del senso che sta alla base di essa. C'è uno sforzo, a volte persino disumano, di decifrare la Parola di Dio, la sua volontà.
Ma il figlio che rimane per sempre tale non si interroga sul senso delle disposizioni paterne: si limita a eseguirle con la maggiore precisione possibile (come si vede nel fariseo, oggetto non a caso di un'intensa polemica evangelica).
L'ascetismo, che è la prima risposta naturale all'irruzione dell'Altro, può diventare però nel tempo una fuga e una soluzione completamente controproducente.
In pratica l'ascetismo anziché essere un indebolimento dell'Io in funzione di un abbandono al divino, può nascondere il suo opposto, ovvero il miraggio di un volontaristico controllo del cammino verso l'Altro. Che però, proprio a causa di questo rafforzamento dell'Io finisce per ritirarsi.
Nell'anoressia per esempio il digiuno diventa tecnica sopraffina per tenere a distanza di sicurezza l'Altro e per chiudersi in un godimento di cui si ha il pieno controllo.
Citazione di: Koba il 11 Febbraio 2025, 09:59:58 AMLa tesi iniziale di questo topic, secondo cui la vicenda cristiana comporterebbe una certa staticità basata sul fatto che di fronte all'indiscutibilità della Legge del Padre non resta che la devozione, e quindi la permanenza nello status di figlio, può essere messa in discussione anche riflettendo sull'esperienza del mistico.
Non c'è nessuna discussione: la creatura (il figlio) non può e non potrà mai divenire il Creatore (il Padre).
E' questo il cosidetto "peccato" delle origini (da cui derivano tutti gli altri "peccati"): illudersi di poter diventare o sostituirsi al Creatore.
Solo l'arrendersi ragionevolmente con fede (viste le nefaste alternative) a questo progetto divino, dona la serenità del cuore e la consapevolezza di essere un autentico umano e non una bestia.
Ma si può sempre - grazie alla fede - decidere di non arrendersi ed esistere nell'illusione...
Citazione di: Koba il 11 Febbraio 2025, 09:59:58 AML'ascetismo, che è la prima risposta naturale all'irruzione dell'Altro, può diventare però nel tempo una fuga e una soluzione completamente controproducente.
La "naturalità" della risposta, secondo me, sta nell'istintivo rifiuto della trascendenza, nel senso di non accettare che la divinità sia estranea alla cercabilità (e reperebilità)
nel mondo; e in questo il fenomeno dell'incarnazione "confonde", per così dire, ancora di più il credente che asseconda tale naturale avversione (anche come timore, vertigine, etc.) per l'eccedenza extra-mondana. Il voler incontrare, o addirittura rapportarsi a Dio, stando sulla terra, da vivi, è il rifiuto della divinità in quanto divina e al contempo dei limiti della propria umanità, nella speranza che l'umano possa incontrare il divino umanamente, con chiarezza e certezza, quasi fosse qualcuno difficile da trovare, ma pur sempre qualcuno, non un dio. La richiesta di Dio all'uomo (a quanto pare) è invece di avanzare nella vita terrena come Orfeo, senza "voltarsi" e pretendere di vederlo in volto; ma la natura dell'uomo è quella del Tommaso che "se non vede, non crede" e quindi, proprio come Orfeo a cui la legge sovra-umana impone di camminare con accanto Euridice ma senza guardarla, se invece vogliamo guardare, è il nostro stesso sguardo (a suo modo "libidico") a condannarci al fallimento (in questo senso Dio è un po' come "il gatto di Schrödinger").
Questo significa che, se per cercare Dio ci allontaniamo dal prossimo, percorrendo via ascetiche, creandoci un nostro mondo di solipsistica ricerca divina in questo mondo, un nostro mondo il cui l'altro umano è poco più che una comparsa da non calpestare, allora il messaggio di fratellanza del Dio cristiano (e della sua incarnazione) è maldestramente tradito ed è quindi presunzione sperare che, abbandonando gli altri, Dio si riveli e ci venga a "fare compagnia" placando la nostra sete di Alterità (il Dio che parlava in prima persona ai prescelti è Antico Testamento).
Per altre religioni, l'ascetismo può essere magari un percorso più "coerente" (v. sufi, induismo e altri), ma per il cristianesimo, dato il messaggio "filantropico" (etimologicamente) di Cristo, l'egocentrismo che ambisce al rapporto personale con Dio e vede eventualmente l'altro solo come poco più che un'"esca" per ingraziarselo, chiaramente si presenta come una forzatura (fallimentare) della volontà di Dio, la cui legge non è "Trovatemi nella solitudine!", in una sorta di "nascondino esistenziale", ma di altro tipo (almeno stando a quanto Cristo pare abbia detto).
[Rispondo a Duc e a Phil con lo stesso post, prima a Duc poi a Phil, più o meno...]
Come ha già spiegato Pio si entra nella vita, si diventa veramente umani, solo accettando il limite. Solo accettando un certo grado di castrazione. Non si può insomma avere tutto, non si può diventare come Dio.
Quindi si può andare in giro per il mondo proprio perché si riconosce l'esistenza della Legge.
Ma il fine di questo aggirarci per il mondo è la ricerca di ciò che abbiamo perso all'inizio. Ricerchiamo versioni minori di quell'Uno a cui abbiamo dovuto rinunciare.
Il senso delle cose non siamo noi a stabilirlo a tavolino, non è opera dell'Io. Quello che possiamo fare, qualsiasi sia la nostra fede sulla natura dell'Origine del senso, è accoglierlo. Che venga da Dio, dall'inconscio, dalla cultura, è lo stesso: trascende la vita reale.
Così cercare Dio è paradossale quanto cercare il senso delle cose della vita. Infatti cercando Dio non si cerca un oggetto reale, così come il senso della vita non è un aggregato di fenomeni.
Sono d'accordo sul fatto che il rifiuto di questa trascendenza porti al fallimento. E noto che tale fallimento è appunto analogo a quello di chi voglia possedere e controllare il mistero dell'arte. Anche qui, ci si può solo abbandonare alla creatività.
Ma l'ascetismo non implica necessariamente la separazione dagli altri per una vocazione esclusiva verso Dio. Se il mistico sceglie di isolarsi lo fa perché gli altri sembrano essere solo portatori di desideri mondani. Parlano di beni terreni e non capiscono come ci si possa rifugiare in una grotta a pregare perdendosi tutto ciò che il mondo può offrire. Da questo punto di vista la scelta più opportuna è la solitudine. Che nella storia di tanti santi si ribalta poi nella vita comunitaria, una volta trovati dei compagni di strada adatti.
Ma ammettiamo ora che il Padre sia in verità il nemico: il primo Padre innanzitutto, quello celeste, e poi a seguire tutti gli altri, creature più o meno inadeguate che ne hanno incarnato l'autorità, esercitando su di noi la loro sovranità tossica.
In effetti Laio, padre di Edipo, è la causa di tutta la tragedia familiare i cui effetti si faranno sentire fino alla terza generazione con Antigone e i suoi fratelli.
La colpa di Laio non è quella di avere abbandonato nella foresta il figlio neonato, condannandolo a morte (cosa che a quanto pare nella Grecia antica era una pratica legittima, un po' come per noi l'aborto), ma di averlo generato.
La maledizione si scatena nel momento in cui Laio si abbandona al desiderio sessuale per la moglie Giocasta, mettendola incinta.
Pur avendo avuto dagli dei, attraverso l'oracolo, il messaggio di non fare figli – secondo le parole di Eschilo: "non avere figli, salverai la patria", un'alternativa quindi: se vuoi essere un buon Re non devi fare figli – Laio, il lussurioso, responsabile qualche anno prima dello stupro del giovane figlio del suo amico e benefattore Pelope, non riuscendo a dominarsi si accoppia con Giocasta, che darà alla luce il piccolo Edipo.
Si può quindi presupporre che anche se il piano di Laio di sbarazzarsi per sempre del figlio fosse andato a buon fine, sarebbe stato comunque soggetto alla maledizione (ma in questo caso almeno il destino avrebbe colpito solo lui, non i suoi eredi che appunto non sarebbero mai esistiti).
Il peccato insomma era ormai stato commesso. Il classico peccato della tracotanza nei confronti degli dei. Non avere accettato i limiti.
Dunque Laio riesce nell'impresa di trasgredire per ben due volte la legge del Padre: per primo nei confronti degli dei, non volendo accettare l'imposizione degli dei a non generare, poi nei confronti del figlio, che una volta nato viene trafitto alle caviglie in modo che non sia in grado di camminare e poi abbandonato nella foresta per una morte certa.
In pratica Laio una volta commesso un crimine preferisce commetterne un secondo piuttosto che rischiare la vita (la minaccia dell'oracolo).
Ma se Freud può vedere nelle gesta di Edipo una verità nascosta (l'odio per il padre e l'amore incestuoso per la madre), noi possiamo vedere in Laio un complesso altrettanto inconscio: l'odio per il figlio che minaccia di prendersi ciò che gli appartiene, a cominciare dalla moglie.
Un complesso che precede cronologicamente quello di Edipo e che quindi ne influenza inevitabilmente le dinamiche.
La verità della Legge del Padre, che sul piano esplicito consiste in un equilibrio tra castrazione e iniziazione alla vita, è sul piano inconscio invece una minaccia di morte.
Il figlio si vedrebbe così costretto o a rinunciare alla vita, vivendo nell'ombra e nella sottomissione al Padre – e solo così mi spiego come ci si possa adattare alla vita meschina del lavoratore moderno – o a farsi largo nel mondo a bastonate (come fa appunto Edipo all'inizio della sua carriera).
Il problema non sta tanto nel fatto che alcune declinazioni del Padre siano più simili a Laio che al buon Dio. Il problema sta nella possibilità di un assorbimento inconsapevole della verità di fondo. Il figlio finisce per assomigliare al padre, sempre. Fisicamente certo, ma anche nella sua eventuale pazzia.
Così, è questa la conclusione: in ognuno di noi alberga il nemico, che è la parte selvaggia del Padre, unica eredità sicura per tutti i figli.
Una regola elementare di strategia militare è: cercare sempre di confondere il nemico. Usare ogni mezzo per creare subbuglio.
Ma se il nemico è dentro di noi, come dicevo sopra, che fare?
Il dott. Benway, noto per essere "un manipolatore e un coordinatore di sistemi simbolici, esperto di interrogatori, lavaggio del cervello e controllo" (W. Burroughs, Naked Lunch, p. 32), negli anni '50 proponeva tecniche che conducevano il soggetto a convincersi di avere qualcosa di spaventosamente sbagliato e di meritare quindi severe punizioni.
L'accettazione del controllo, delle varie manipolazioni del corpo, delle più diverse forme repressive – da una burocrazia misteriosa e complessa a perquisizioni tanto arbitrarie quanto invasive –, diventavano concretamente possibili tramite l'assioma della colpa.
Una colpa originaria che nasce – questo è il punto – dal convincimento di avere in sé un nemico. Qualcosa di oscuro da cui necessariamente difendersi.
La psicoanalisi, come scriveva Elvio Fachinelli, "dopo lo squarcio iniziale ha finito per basarsi sul presupposto di una necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare..." (E. Fachinelli, La mente estatica, p. 15).
"L'idea di un uomo che sempre deve difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno" (E. Fachinelli, p. 16).
Percezione generale di un pericolo, quindi ricerca di sicurezza, quindi accettazione del controllo.
Così possiamo dire che l'opera di ingegneria sociale del dott. Benway si basava su un luogo comune "deviante" che viene dalla psicoanalisi stessa: una rappresentazione della mente in cui al centro c'è la necessità della difesa anziché la spinta all'apertura, all'abbandono.
L'inizio politico di questo topic andrebbe così rimesso in discussione da queste conclusioni: non è soltanto il monoteismo a spingere verso una società regressiva e paurosa, ma anche la psicoanalisi, o almeno una sua versione, che è poi quella probabilmente maggioritaria.
Pensare alla psicoanalisi come ad uno strumento di repressione può cogliere una parte del messaggio psicoanalitico, ovvero quello classicamente freudiano, secondo cui il bambino perverso polimorfo va dotato di super-Io. In origine, secondo questa visuale, l'uomo è originariamente egoista e va disciplinato attraverso il senso del limite in modo che non giaccia con la propria madre e non uccida il padre, che simbolicamente rappresentano i limiti del vivere in società. A mio parere questa visione se completata da ciò che la psicoanalisi ha aggiunto in seguito, non ha nulla a che fare con la repressione.Anzi è il suo esatto contrario. Freud paragona spesso la psicoanalisi all'archeologia, ovvero ad un metodo di studio che tende a riscoprire ciò che è nascosto, nella convinzione che parte del nostro vero sè non è quello che mostriamo e che riteniamo sia la nostra identità. In questa ricerca del sommerso si esprime la famosa dichiarazione di F. secondo il quale "non si è piu padroni neppure in casa propria". Che questa logica possa essere usata da abili manipolatori è possibile, come del resto è avvenuto con Tommaso, con Hobbes, con Nietzsche, perfino con Cristo. Ma Freud è in realtà uno degli ultimi figli dell'illuminismo. Vuole rischiarare ciò che è oscuro, ciò che di noi, si appiattisce in cantina. Pensare di avere una modalità esclusivamente liberatoria e solare è un equivoco ancora più pericoloso di chi ammette di avere una natura ambivalente. Solo dalla ammissione dei nostri limiti e delle nostre contraddizioni può iniziare a nascere un mondo meno repressivo. Come puoi intuire in ogni caso, anche lo stesso cristianesimo invia messaggi che accolgono l'ambivalenza umana, ma alla fine c'è un padre che la supera quella ambivalenza e dice "io non sono ambivalente, perché sono oltre la vita e la morte".
Citazione di: Koba il 09 Febbraio 2025, 16:03:16 PMa quel punto dovremmo allora iniziare a vivere, ma appunto, come ho detto, questo ci risulta semplicemente impossibile.
Mi chiedevo, stante che sono d'accordo che la vita sia costellata da questi meccanismi compensatori, stante che la vita sia impossibile da vivere, eppure come dici tu con l'esempio dei digiuni, al cristiano viene chiesto di portare il regno dei cieli in terra.
Tramite grandi opere, non tramite semplici digiuni.
San Francesco forse è l'esempio limite, infatti invece che la ricchezza parla di povertà, o almeno cosi mi ha fatto credere la vulgata.
Tommaso mi ha detto che chi fa voto di povertà non è un cristiano, il cristiano è quello che fa voto di ricchezza per la società intera. E nel lavoro di arricchimento della società è lì che sta la massima adorazione.
Francesco invece porta l'adorazione ai piani poveri del mondo, alla feccia, al popolino. E' come se gli desse una possibilità, che però non meritano.
Dio non perdona il povero, perdona l'umile, l'ultimo, che si impegna nonostante tutto per la comunità.
Per l'altro.
Mi pare che il discorso cristiano, per come lo sto conoscendo, sia molto vicino a quello ebraico, putroppo come dice mastro NICCE, il cristianesimo storico si è dato esattamente nella sua forma opposta. Ossia arricchire chi già è ricco, e mandare alla fame il povero, con atti di misericordia pelosa.
Il cristianesimo deve ancora venire.
Lo dice anche questo professore.
Infatti stavo meditando di frequentare la chiesa.
Questo tempo sembra non dare altre scelta, se non quella di un arroccamento ad antiche visioni.
Ecco che allora che l'accettazione di questo ordine: aiuta gli altri, diventa semplicemente un dovere automatico da fare.
Nn importa più pensare ma solo agire.
A questa cosa ci devo pensare. ;)
Citazione di: Duc in altum! il 11 Febbraio 2025, 10:43:14 AMNon c'è nessuna discussione: la creatura (il figlio) non può e non potrà mai divenire il Creatore (il Padre).
E' questo il cosidetto "peccato" delle origini (da cui derivano tutti gli altri "peccati"): illudersi di poter diventare o sostituirsi al Creatore.
Nella Bibbia sta scritto "Ora Adamo è diventato come noi".
Credo che il demonio ti ha finora ingannato.
E ti scongiuro di rileggere la bibbia insieme a me.
(non quella ebraica, troppo complessa).
Io penso che proprio nelle contraddizioni logiche del cristianesimo, si possa trovare la figura universale di Laio, prescindendo anche un attimo da Edipo..
Questa cosa per me e' da molto tempo abbastaza chiara: per il cristianesimo, la perfezione e' sovrabbondanza di amore, percio' Dio, il dio cristiano, pur essendo gia' egli sommamente perfetto, puo' creare il mondo, dal nulla, senza che tale creazione sia, o risulti malvagia.
Ora, per me questa e' una patente assurdita', l'inizio del credo quia absurdum, cristiano, che poi non fa che svilupparsi in tutto il seguito della dottrina, perche' per me, perfezione e' autoconchiusione, compiutezza assoluta di cio' che (gia') c'e' e pura non-sovrabbondanza, quindi lo stadio iniziale cosmo cristiano, in cui ci sono solo Dio e il nulla, e' gia' di per se' perfetto, e non e' in assoluto migliorabile, tantoneno, migliorabile con un (intrinsecamente nefasto) atto di creazione. Il mio ragionamento e':
Se nel punto zero del tempo assumiano che ci siano solo Dio e il nulla >
allora, nel punto zero del tempo, possiamo esplicitare meglio dicendi che ci sono solo il sommo bene (che e' Dio stesso) e il nulla >
> allora l'unico oggetto possibile di creazione, stante la presenza gia' totale del bene, e' il male.
Una creazione originantesi dal sommo bene, non puo' che essere malvagia. Perche' la perfezione non e' sovrabbondanza, tanto meno di amore ??? , ma compiutezza e autocontenimento, in se stesso, di cio' che si dice perfetto.
Dio e' il Laio che non deve in alcun modo generare. E lo e' proprio perche' e' perfetto e originariamente "circondato" dal nulla. L'Edipo, di questo Laio, e' la creazione stessa. Il Cristo, viene disconosciuto e ucciso da mano umana, proprio perche' compare sulla terra come padre, e non gia', o comunque non solo, come figlio.
Per questo gli gnostici, anche cristiani (penso soprattutto a Basilide e Valentino), e in realta' anche i manichei, sono protesi a un recupero del valore etico dell'increato, e delle sue possibili reminiscienze presso gli esseri creati; e non riconoscono il dio creatore come dio, ma lo descrivono come arconte, anti dio o dio minore. Spesso rimarcando un parallelismo fin troppo "scisso" che l'ortodossia su tempi lunghi non avrebbe mai e poi mai potuto accettare, tra dio biblico veterotestamentario quale falso dio (concepito come arconte, quando non direttamente come diavolo) in quanto dio della creazione, e dio evangelico, quale vero dio, in quato dio dell'increato, insomma dio di un "giorno infinito" che ha caratteristiche molto piu' iperuraniche, (cioe' rispetto al sentimento umano del tempo retrospettive) che non paradisiache, cioe' prototipiche, e prospettive.
Quello che rende Laio il Dio, e' la verita' logica secondo cui, a partire dalla perfezione, e al limite dal nulla che alla perfezione si unisce e si accompagna (in principio: solo dio e il nulla - quindi solo dio) non si possa creare o aggiungere che il non perfetto, ovvero in un qualche senso e misura il male. E questo, proprio perche' la creazione non e' semplice emanazione, e quindi richiede l'innovativita' e l'autonomia autentica di quanto effettivamente creato (e non meramente ipostatizzato, o generato).
Il padre, questo padre rapito dalla ibris, che non avrebbe dovuto creare e che ha, inspiegabilmente e contro ogno logica creato, deve, a posterori, in un qualche modo e in qualche senso avere il problema di dover scontare e rimettere, ben pure, i suoi peccati, e non solo, o non manco per niente, i nostri.
La vicenda cristica, e dell'incarnazione, puo' dunque secondo me essere vista come la grande peripezia del Laio/Dio, e della "creazione" (o meglio: della massa gemente, e giustamente accusante il padre... di noialtri creati) Edipo. Che sul padre, pur non riconoscendolo, in qualche modo si vendica. E ne usurpa la sposa.
L'eliminazione del padre, fa segno al desiderio di ritorno dell'essere presuntamente "creato", ad una (rinnovata; o quantomeno riscoperta) condizione increata. Che dato il male del mondo, risulta complessivamente meno "ingiusta", e quindi piu' sopportabile. E anche oiu' responsabilizzante.
Eliminando "il padre", cioe', in senso fisico e cosmico, eliminando il punto zero del tempo, l'origine temporalmente fissata di tutto cio' che esiste, e' sempre anche l'immensita' del passato (e con essa la verita' possibile che, per essere qui e ora, noiatri abbiamo attraversato per intero un infinito) ad essere recuperata. E contrapponibile a tutte le ideologie dell'immensita' del futuro, e decantanti tali immensita'.
Cristianesimo "ufficiale", nel suo essere serioso e creazionista per primo, ma non certo da solo. In buona compagnia degli scientismi, dei malintesi socialismi, dei fideismi in genere, delle rimozioni incaute della realta' della morte eccetera.
Citazione di: green demetr il 26 Febbraio 2025, 22:58:51 PMNella Bibbia sta scritto "Ora Adamo è diventato come noi".
Credo che il demonio ti ha finora ingannato.
Credere di essere come il Creatore è l'inganno per eccellenza...
Citazione di: green demetr il 26 Febbraio 2025, 22:55:25 PMIl cristianesimo deve ancora venire.
Lo dice anche questo professore.
Infatti stavo meditando di frequentare la chiesa.
Be', se casomai dovessi incominciare, ti accorgeresti che ciò che è morto è la cristianità (anche se qualcuno non demorde ancora) e non il cristianesimo...
Citazione di: Duc in altum! il 28 Febbraio 2025, 19:21:09 PMCredere di essere come il Creatore è l'inganno per eccellenza...
E' Dio che parla, amico mio, vai a leggere la Bibbia.
Francamente stento a credere che siamo in un forum spiritualista.
Passo e chiudo abbandono la nave che affonda, vi lascio al vostro capitano.
Non argomentate, e non portate prove di quello che dite.
Citazione di: Duc in altum! il 28 Febbraio 2025, 19:25:07 PMBe', se casomai dovessi incominciare, ti accorgeresti che ciò che è morto è la cristianità (anche se qualcuno non demorde ancora) e non il cristianesimo...
Che significa di grazia? Se il cristianesimo deve ancora venire come fa ad esserci una cristianità?
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2025, 06:03:37 AMChe significa di grazia? Se il cristianesimo deve ancora venire come fa ad esserci una cristianità?
"Grazia" è Dio che sceglie di benedirci piuttosto che maledirci come meritiamo per via del nostro peccato. È la Sua benevolenza verso gli indegni.
"Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi (quindi mai nessuna creatura potrà sostituirsi al Creatore), è il dono di Dio." (Ef 2,8)
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La cristianità, ossia l'obbligo al cristianesimo è morto e sepolto (anche se qualcuno non demorde ancora): "fratelli e sorelle, non siamo più nella cristianità (realtà socio-politica che dà origine alla società cristiana), non più! Non viviamo più in un regime di cristianità perché la fede in Gesù (elemento fondante del cristianesimo: la Chiesa non è fondata da Gesù il Cristo, ma su Gesù il Cristo), non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginaa e ridicolizzata". (Papa Francesco, discorso alla curia romana, 21 dicembre 2019)Poi, lo sai benissimo come la penso, puoi anche credere che il cristianesimo debba ancora venire...Pace&Bene
Citazione di: Duc in altum! il 01 Marzo 2025, 14:40:34 PMPoi, lo sai benissimo come la penso, puoi anche credere che il cristianesimo debba ancora venire...
Pace&Bene
Pace e Bene anche a te amico.
Non so come la pensi, sono una persona assai distratta.
Probabilmente quando andrò più a fondo nel discorso cristiano distinguerò la tua posizione, ora non capisco.
Un papa che si è seduto su un trono vacante, Ratzinger anche da morto ha provato a proteggerci da questo anti-papa, da questo strumento del demonio.
Questo papa è corrotto fino al midollo da satana, il suo obiettivo detto apertamente fra l'altro: è quello di far salire i musulmani al potere.
Non mi stupisce affatto che abbia fatto un affermazione come quella che citi.
Di una gravità che non può avere perdono da alcun DIO, nè quello gnostico a cui questo papa crede, nè a quello vero ebraico.
Le preghieri dei cristiani che fanno per questo papa gli torneranno contro.
Chi prega per questo papa è destinato a perire nell'inferno più nero.
Questo perchè i fedeli non distinguono cristo dalla ferragni.
Questo papa è una figurina intercambiale con mille altre.
Non ha carisma, non ha fede, non ha niente.
Sul suo papato pesa l'incredibile scelta di stare con gli illuminati oscuri, quelli che hanno prodotto il 2020.
Grande è l'ignoranza, e va bene, ma l'immoralità per chi si dice cristiano è qualcosa di indicibile.
Questa è la mia opinione certo.
Citazione di: niko il 28 Febbraio 2025, 12:10:07 PMIo penso che proprio nelle contraddizioni logiche del cristianesimo, si possa trovare la figura universale di Laio, prescindendo anche un attimo da Edipo..
Questa volta la tua esposizione è stata meno lucida di altre volte.
Spero di aver capito.
Tu affermi che il peccato del Cristo sia quello di non essersi liberato come l'Edipo del padre.
In realtà l'Edipo non si è liberato del padre, per poterlo fare si deve accecare.
In Sofocle egli pecca di Ubris, di arroganza, in Freud pecca di carenza di personalità. Sono due edipi differenti, quello di Sofocle infinitamente più complesso.
In comune c'è però il peccato sessuale.
Il Cristo invece non pecca.
Il tuo discorso dunque si discosta abbastanza dalla discussione.
Ma è interessante comunque.
Tu dici che il Dio cristiano elimina il tempo.
Ma non mi pare che sia molto vero, già solo pensando alla dimensione di una salvezza da ottenere in vita. Senza tempo non ci sarebbe il tempo di ottenere questa salvezza.
Il tuo è un discorso che ragiona con lo gnosticismo, ma lo gnosticismo è una religione con scarse fonti, assai approssimativa.
E' lo gnosticismo che affermando che il mondo è una creazione di un Dio maligno, afferma automaticamente che senza questo mondo, saremmo in una condizione di increazione e dunque di atemporalità.
Il tempo infatti comincia col mondo.
E' vero che il cristianesimo fa un errore logico ponendo il Dio fuori dal tempo.
In realtà Dio è sì fuori dal tempo ma anche dentro.
Risulta evidente nella figura del cristo, che è figlio ma è consustanziale con lo spirito e Dio.
Cristo non è Dio, Cristo è contenuto nello Spirito, che è contunuto nel Dio.
In questo senso Cristo è uno e trino.
Me lo ha detto Tommaso.
Putroppo il credente contemporaneo si confonde con l'ignoranza dilagante delle masse.
L'individuo prima di appartenere a se stesso, appartiene alle masse.
E' questo l'errore della modernità, che non solo si rifiuta di accettarlo, ma addirittura ovviamente nelle figure degli illuminati oscuri (che sono gnostici non a caso) che usa questa ignoranza.
Non sanno gli illuminati che non hanno capito niente della vita.
E che finiranno nell'inferno.
Attento Nico ad avvicinarti al Nemico, a satana, il diavolo o come vogliamo chiamarlo.
Citazione di: Pio il 05 Febbraio 2025, 14:11:45 PMciò che è esterno, fuori di me e che mi sento di trasgredire, di non rispettare, se questo abito confligge con il mio abito interiore.
Ma questo abito interiore cosa è però?
La frase che la legge è per l'uomo nell'ebraismo è a dir poco ovvia.
Dobbiamo però ricordare che il cristianesimo era una setta, una delle tante apocalittiche, recenti studi dimostrano però senza ombra di dubbio che era una setta ebraica (ho appena scoperto che si dice giudaismo solo a partire dal pensiero ebraico medievale, che si dice appunto giudaico).
Anche nella sua evoluzione il cristianesimo parla a stretto contatto con l'erbaismo.
Sebbene Cacciari faccia parte degli illuminati, e dunque la sua visione sia gnostica, devo dire che disse bene quando distinse le due religioni per il messaggio che da privato (ebraismo) diventa universale (cristianesimo).
Questo è un problema non da poco, perchè mentre nell'ebraismo il singolo è qualcosa di sacro, nel cristianesimo c'è una vena satanica laddove non riconosce tale sacralità.
Naturalmente Cristo essendo ebreo, rispettava TOTALMENTE questa sacralità.
Il suo sacrificio individuale, come il sacrificio di Edipo che si esilia, è sempre per salvare ogni singolo individuo, come totalità.
E dunque il vestito sia nel cristianesimo che nell'ebraismo DEVE COINCIDERE con il vestito interiore nella tua metafora infelice.
Infelice perchè di nuovo si parla di vestiti, di ferragni etc...
La legge morale totale deve coincidere con quella individuale.
E dunque come dice kant deve rispettare la libertà.
in un periodo storico che ha visto SUCCEDERE il 2020 questo discorso è quanto mai lontanissimo dall'inverarsi.
Sarebbero questi i temi da dibattere oggi.
Ma è più difficile che mai. (l'antisemtismo dilagante imposto dai musulmani sarebbe anche sotto gli occhi di tutti).
L'Edipo si è accecato perchè noi tutti potessimo vedere, e invece di nuovo antemponiamo la legge di stato a quella dell'individuo.
Citazione di: Koba il 13 Febbraio 2025, 15:16:45 PML'inizio politico di questo topic andrebbe così rimesso in discussione da queste conclusioni: non è soltanto il monoteismo a spingere verso una società regressiva e paurosa, ma anche la psicoanalisi, o almeno una sua versione, che è poi quella probabilmente maggioritaria.
Hai perfettamente ragione.
Sia nella sua delclinazione post-freudiana (ossia che nega l'edipo) sia in quella originale freudiana.
E' quello che Fromm criticava a Freud.
Il punto è di carattere sociale però non piscanalitico, infatti il post-freudiano controlla, blocca, gela, mentre il freudiano difende, allontana, guarisce tramite la consapevolezza.
Il punto è che il sintomo permane. Ossia la gerarchia.
La gerarchia non è però di carattere psicanalitico, ma di carattere sociale.
Per questo Fromm e Adorno si separarono. Ma questo è un altro discorso.
Citazione di: Jacopus il 13 Febbraio 2025, 16:28:33 PM"io non sono ambivalente, perché sono oltre la vita e la morte"
Non c'è alcuna ambivalenza, l'ambivalenza è dovuta a meccanismi di propaganda che raggiungono l'inconscio. (maschio e femmina sono la stessa cosa bla bla bla)
Esattamente come in Burrounghs secondo Koba, non l'ho letto.
Infatti Cristo dice costantemente che la vera vita è al di là di questa.
Ma questo è esattamente il messaggio ebraico.
Dio è la vita. non è "oltre" essa.
Dietro questa frase naturalmente vi sta un progetto, che il nostro tempo, ancora banalmente gerarchico non può mettere in atto.
Ma sicuramente gioverebbe pensarlo come se fosse in atto.
Citazione di: Koba il 08 Febbraio 2025, 11:16:00 AMEcco il crollo melanconico e la verità del mondo che appare nuda, deserta, insapore, una volta ripulita da illusioni di avventure e scherzi e prosperità.
Questa meditazione tua ha messo in forma una delle mie troppe intuizioni, non mi appartengono nemmeno, o almeno non mi apparteneva fin quando non l'hai messa in forma tu.
La visione della melanchonia di durer naturalmente.
Sento che la mia intera esistenza (il pensiero di essa naturalmente) debba passare da quella visione.
Hai ragione la melanconia è il crollo del senso.
Contemplando la litografia sento una forza che pervade il pensatore.
Una forza che insieme lo disgusta e lo frena.
La figura umana ne esce deturpata, una maschera di sofferenza.
Come sappiamo Durer soffriva di depressione.
Ma la depressione è semplicemente un pensiero negativo.
La melanconia antica era qualcosa di diverso.
Qualcosa di strettamente legato all'universo alchemico, all'indagine dei sentimenti.
Del sentimento religioso.
Ossia a qualcosa che lo precede.
Qua torniamo dunque alla tua domanda di ripensare questa discussione.
Naturalmente mentre scrivo agisco, e questo agire è già di per se la maschera che viene messa alla melanconia.
Come se la melanconia ci precedesse, persino nel pensare.
Ricordando il malessere di questi mesi di profonda demotivazione.
Il pensiero che si pensa libero da ciò che lo precede.
E' questo che mi inchioda. In un tale malessere esistenziale che le tue accuse di pigrizia impallidiscono al confronto.
La via megalomane di S.Francesco per quanto eccezionale, per quanto vicino in fondo all'exemplum christi, rimane pur sempre una megalomania senza Dei.
In un contributo psicanalitico lacaniano si diceva che la megalomania per i greci era tutt'altro che una malattia, anzi era una suprema virtù.
Esattamente come la magnanimità lo è nel cristianesimo.
Per essere magnanimi bisogna essere megalomani.
Carmelo Bene venne condannato dalla psichiatria di megalomania.
Cermelo Bene disse di aver trovato più verita negli anni del manicomio che in qualsiasi altra età della sua esistenza.
La visione luciferina della legge, dello IUS romano, il diritto del più forte, la legge della giungla e tutte queste amenità, non possono ammettere il pensare in grande.
Ma pensare in grande non vuol dire essere arroganti, chi arroga è invece proprio la legge.
Ma se c'è qualcosa al di là delle maschere sociali, vi è appunto l'assenza del divino.
O meglio qualcosa che soffoca la ricerca del DIO.
Qualcosa che in fin dei conti cela la megalomania.
Ossia forse la domanda dovrebbe essere quando la megalomania è vera ricerca e quando è invece sintomo di qualcosa di malvagio.
Siamo dalle parti dell'alchimia allegorica, dalle parti dell'analisi dei sentimenti.
Nicce ci ha dato una grossa mano, siamo deboli, deboli che non riusciamo ad andare avanti.
E di nuovo come nei circoli infinite paranoici, siamo qui a dirci depressi.
La melanchonia ci domina.
Ci tocca domandarci, è una visione che non vuol andare via!
Mentre il mondo precipita nel fuoco del Nemico.
Spero di ridestarmi, il disprezzo che provo verso me stesso, sopratutto per tutto quello che avrei potuto e dovuto dare al futuro, sta raggiungendo dei picchi preoccupanti. E' l'ebraismo con la sua genealogia che bussa sempre più forte alla porta. Una visione lacaniana. Peccato che Lacan non ha capito assolutamente chi bussa alla parte. (il padre? ma il padre arriva MOOOOLTO dopo)
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2025, 21:32:47 PMQuesta meditazione tua ha messo in forma una delle mie troppe intuizioni, non mi appartengono nemmeno, o almeno non mi apparteneva fin quando non l'hai messa in forma tu.
La visione della melanchonia di durer naturalmente.
Sento che la mia intera esistenza (il pensiero di essa naturalmente) debba passare da quella visione.
Hai ragione la melanconia è il crollo del senso.
Contemplando la litografia sento una forza che pervade il pensatore.
Una forza che insieme lo disgusta e lo frena.
La figura umana ne esce deturpata, una maschera di sofferenza.
Come sappiamo Durer soffriva di depressione.
Ma la depressione è semplicemente un pensiero negativo.
La melanconia antica era qualcosa di diverso.
Qualcosa di strettamente legato all'universo alchemico, all'indagine dei sentimenti.
Del sentimento religioso.
Ossia a qualcosa che lo precede.
Qua torniamo dunque alla tua domanda di ripensare questa discussione.
Naturalmente mentre scrivo agisco, e questo agire è già di per se la maschera che viene messa alla melanconia.
Come se la melanconia ci precedesse, persino nel pensare.
Ricordando il malessere di questi mesi di profonda demotivazione.
Il pensiero che si pensa libero da ciò che lo precede.
E' questo che mi inchioda. In un tale malessere esistenziale che le tue accuse di pigrizia impallidiscono al confronto.
La via megalomane di S.Francesco per quanto eccezionale, per quanto vicino in fondo all'exemplum christi, rimane pur sempre una megalomania senza Dei.
In un contributo psicanalitico lacaniano si diceva che la megalomania per i greci era tutt'altro che una malattia, anzi era una suprema virtù.
Esattamente come la magnanimità lo è nel cristianesimo.
Per essere magnanimi bisogna essere megalomani.
Carmelo Bene venne condannato dalla psichiatria di megalomania.
Cermelo Bene disse di aver trovato più verita negli anni del manicomio che in qualsiasi altra età della sua esistenza.
La visione luciferina della legge, dello IUS romano, il diritto del più forte, la legge della giungla e tutte queste amenità, non possono ammettere il pensare in grande.
Ma pensare in grande non vuol dire essere arroganti, chi arroga è invece proprio la legge.
Ma se c'è qualcosa al di là delle maschere sociali, vi è appunto l'assenza del divino.
O meglio qualcosa che soffoca la ricerca del DIO.
Qualcosa che in fin dei conti cela la megalomania.
Ossia forse la domanda dovrebbe essere quando la megalomania è vera ricerca e quando è invece sintomo di qualcosa di malvagio.
Siamo dalle parti dell'alchimia allegorica, dalle parti dell'analisi dei sentimenti.
Nicce ci ha dato una grossa mano, siamo deboli, deboli che non riusciamo ad andare avanti.
E di nuovo come nei circoli infinite paranoici, siamo qui a dirci depressi.
La melanchonia ci domina.
Ci tocca domandarci, è una visione che non vuol andare via!
Mentre il mondo precipita nel fuoco del Nemico.
Spero di ridestarmi, il disprezzo che provo verso me stesso, sopratutto per tutto quello che avrei potuto e dovuto dare al futuro, sta raggiungendo dei picchi preoccupanti. E' l'ebraismo con la sua genealogia che bussa sempre più forte alla porta. Una visione lacaniana. Peccato che Lacan non ha capito assolutamente chi bussa alla parte. (il padre? ma il padre arriva MOOOOLTO dopo)
La melanconia è stata definita da una psicoanalista, Marie-Claude Lambotte, come una verità arrivata troppo presto.
Ogni melanconico avrà un ricordo dell'infanzia in cui questa verità si è presentata per la prima volta, sganciata da qualsiasi causa.
Per me: un pomeriggio d'autunno di ritorno da solo dai prati in cui noi bambini giocavamo, il giallo dell'erba, il giallo arancio del cielo, l'aria che si faceva fredda. La certezza che il mondo fosse un luogo gelido e sporco. Ecco, in un certo senso, nel mio piccolo, il tocco del male. E gli anni che sarebbero seguiti come reazione ad esso. Con periodi facili, quasi fossi in procinto di averla vinta definitivamente, e ricadute violente.
Il primo ricordo naturalmente non è la causa. Sulla causa della melanconia ci sono tanti modelli. A ognuno il suo. Ma non c'è guarigione, solo attente condotte reattive, una disciplinata compensazione tramite illusione.
Così come per il bambino melanconico è fondamentale tenere vivi i mondi fantastici che inventa, crescendo, diventato adulto, la stessa importanza viene assunta dalla creazione.
Creazione dell'opera: in generale, come archetipo, ecco appunto l'opera alchemica, la trasformazione in oro di ciò che è senza valore. Redenzione di frammenti di mondo.
Ma che cosa sono l'opera conoscitiva, l'opera artistica, l'opera religiosa, se non redenzione (sempre parziale) di un mondo gelido e sporco, completamente privo di senso?
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2025, 18:39:40 PMQuesta volta la tua esposizione è stata meno lucida di altre volte.
Spero di aver capito.
Tu affermi che il peccato del Cristo sia quello di non essersi liberato come l'Edipo del padre.
In realtà l'Edipo non si è liberato del padre, per poterlo fare si deve accecare.
In Sofocle egli pecca di Ubris, di arroganza, in Freud pecca di carenza di personalità. Sono due edipi differenti, quello di Sofocle infinitamente più complesso.
In comune c'è però il peccato sessuale.
Il Cristo invece non pecca.
Il tuo discorso dunque si discosta abbastanza dalla discussione.
Ma è interessante comunque.
Tu dici che il Dio cristiano elimina il tempo.
Ma non mi pare che sia molto vero, già solo pensando alla dimensione di una salvezza da ottenere in vita. Senza tempo non ci sarebbe il tempo di ottenere questa salvezza.
Il tuo è un discorso che ragiona con lo gnosticismo, ma lo gnosticismo è una religione con scarse fonti, assai approssimativa.
E' lo gnosticismo che affermando che il mondo è una creazione di un Dio maligno, afferma automaticamente che senza questo mondo, saremmo in una condizione di increazione e dunque di atemporalità.
Il tempo infatti comincia col mondo.
E' vero che il cristianesimo fa un errore logico ponendo il Dio fuori dal tempo.
In realtà Dio è sì fuori dal tempo ma anche dentro.
Risulta evidente nella figura del cristo, che è figlio ma è consustanziale con lo spirito e Dio.
Cristo non è Dio, Cristo è contenuto nello Spirito, che è contunuto nel Dio.
In questo senso Cristo è uno e trino.
Me lo ha detto Tommaso.
Putroppo il credente contemporaneo si confonde con l'ignoranza dilagante delle masse.
L'individuo prima di appartenere a se stesso, appartiene alle masse.
E' questo l'errore della modernità, che non solo si rifiuta di accettarlo, ma addirittura ovviamente nelle figure degli illuminati oscuri (che sono gnostici non a caso) che usa questa ignoranza.
Non sanno gli illuminati che non hanno capito niente della vita.
E che finiranno nell'inferno.
Attento Nico ad avvicinarti al Nemico, a satana, il diavolo o come vogliamo chiamarlo.
Se Dio crea il mondo dal nulla, (ex nihilo) ne consegue che in principio, ci sono solo Dio e il nulla.
Se Dio e' il sommo bene, e il nulla e' nulla, la cosa si puo' semplificare, dicendo che, in principio, (qualunque cosa di atemporale o temporale sia "il principio") c'e' solo il sommo bene, in quanto, ovviamente, c'e' solo Dio.
Sommo bene = Dio .
Quanto al termine "nulla", si toglie dall'equazione, e quindi risulta:
nullaSecondo logica, lo stato fisico, o se vogliamo cosmico,
iniziale, del mondo, o al limite del proggetto, divino, del mondo,
costituito dal:
[Sommo bene + nulla]
Insomma lo stadio fatidico di Dio che galleggia nel nulla e "contempla", nella sua mente divina, la mera possibilita' della creazione...
Non e' ulteriormente migliorabile.
Se lo fosse:
o il sommo bene non e' il sommo bene (possibile; ma contraddittorio con le premesse).
O il nulla non e' nulla (palesemente assurdo)
Se agisse in modo puramente logico, come un calcolatore o un computer, Dio dovrebbe decidere di non creare.
Dato lo stato nullo interamente occupato dal sommo bene, l'unico possibile oggetto di creazione e' il male. E questo, proprio perche' nella dottrina ufficiale delle tre principali religioni monoteistiche, quantomeno ad oggi, si vuole ribadore l'autonomia esistenziale, e quindi
differenziale, della divina creazione, prendendo congedo da tutte le visioni emanazionistiche o panteistiche.
Ma, secondo me, e credo anche secondo logica, la perfezione e' compiutezza e autocontenimento, e la perfezione deve poter essere predicabile di Dio in ogni "fase" o momento dello sviluppo cosmico e della sua stessa esistenza o sussistenza altrimenti, Dio non sarebbe perfetto (cioe' che, meramente a un certo punto di un ipotetico processo,
divenisse, perfetto, non
sarebbe, perfetto).
Insomma se Dio e' perfetto, anche lo stadio iniziale del mondo, e' gia' perfetto, e quindi, ne dovrebbe seguire che dio, se e' buono e proprio perche' e' buono,
non crea. Semmai
pondera, di creare, ma abborrisce e rifiuta la sua stessa intenzione o idea, in merito.
La prima forzatura assurda che tutte le religioni monoteiste o creazioniste, cristianesimo compreso, ci danno da intendere, e' che la perfezione non sia autocontenimento e compiutezza,
ma sovrabbondanza di amore. Tutto il resto, della loro assurdita', quantomeno dottrinaria e quantomeno attuale, da questa forzatura iniziale, segue,
Solo se perfezione e' sovrabbondanza di amore, solo se accettiamo tale, secondo me bizzarra, premessa, lo stadio iniziale del "pricipio" qualsiasi cosa il principio sia, che come abbiamo visto vale:
[Dio + nulla]
E quindi: [solo Dio]
E' ulteriormente migliorabile. E quindi una creazione che non sia creazione del male, insomma una creazione fatta dal padre buono come atto buono, e' possibile.
Ma chi ragiona in modo rigoroso, dal valore di dio, deduce il valore dell'increato, non della creazione. Da cui il mio interesse, per i pensatori gnostici e manichei.
Dio e' Laio, perche' eternamente nella condizione di non dover creare.
E questo rende la creazione, e con essa l'umanita', un Edipo, cioe' un errore, per superbia, di Dio. Far derivare il male, da un errore, per superbia,
dell'uomo, e' gia' di per se', una,
foglia di fico. Posta sugli errori del Padre. Eventualmente scontati dal Figlio, nel suo essere (anche) Padre.
Prima o poi, Edipo disconisce e ammazza Laio. Il teicidio e' patricidio. Ed e' l'atto umano per eccellenza.
Citazione di: Koba il 02 Marzo 2025, 11:58:04 AMMa che cosa sono l'opera conoscitiva, l'opera artistica, l'opera religiosa, se non redenzione (sempre parziale) di un mondo gelido e sporco, completamente privo di senso?
Si è quella parzialità che mi preoccupa, perchè nella melanchonia, non quella prescrittiva della "psicoscienzia", io sento quel gelo non tanto nel mondo, infatti come abbiamo già detto il mondo non ci appartiene in alcun modo, ma nell'agire verso questa cosa (redenzione? redenzione da che?).
Questa cosa per me è il senso del mondo, e cioè la stessa via de-siderante, che apre la visione del mondo, la prima acqua, all'essere vista, dall'altra dimensione, la seconda acqua.
Venga il regno dei Cieli, dicevi nei post dei mesi autunnali.
Ma come può avvenire se il gelo ci blocca quello sguardo, che richiede un agire.
Agire contemplativo, per mezzo dell'arte, non con l'arte.
Col pensiero e non col ricordo delle narrazioni.
A me è quello che è collassato. Il ricordo delle narrazioni non mi dice niente.
Sono molto preoccupato.
Citazione di: niko il 02 Marzo 2025, 12:09:52 PMPrima o poi, Edipo disconisce e ammazza Laio. Il teicidio e' patricidio. Ed e' l'atto umano per eccellenza.
Questo perchè la religione insiste ad essere letteraria e non trascendente.
Infatti Dio non è un ente, quale pazia fa dire questa cosa alle persone?
Quandomai qualcuno ha parlato con Dio?
Quandomai Dio ha dettato delle leggi?
L'incapacità astrattiva delle persone ha conseguenze gravi.
Perchè la religione invece che elevarle le rassicura.
Dio è ovviamente un nome, un nome qualsiasi, infatti nell'ebraismo per ricordarlo si dice che il tetragramma non vada pronunciato, che indica una trascendenza, una questione della conoscenza, una coscienza che si ferma prima di poterla toccare.
Il Dio invisibile, non c'è. L'invisibilità è la condizione dell'uomo, è l'uomo che è cieco.
Per questo l'Edipo si acceca.
Si è illuso di poter guardare.
Quando noi parliamo di Dio parliamo di una trascendenza, questa trascendenza si è intesa nelle grandi religioni monoteiste (cristianesimo ed ebraismo, non certo nell'islam dove dio è sostituito da maometto) come spirito.
Non l'uomo parla ma lo spirito.
E' lo spirito che fa intendere cosa è bene e cosa è male.
Ciò che sta in alto è bene, ciò che sta in basso è fondamentalmente niente.
Niente non nel senso ontologico, ma come qualcosa che non ci appartiene.
Il mondo terreno per l'appunto.
Il ricercatore spirituale, cerca non Dio, come ancora stancamente i preti si affrettano a correggere, ma lo spirito.
La voce di Dio.
Il LOGOS, precisano i greci.
Il Logos appartiene agli uomini o è invece la dimensione in cui meglio si confronta e si riconosce l'uomo?
Il logos è spirito. E lo spirito è il logos.
C'è sola nella tradizione ebraica (e in nicce) la domanda ma cosa muove questo spirito? questo vento?
La grande tradizione dei saggi ebraici dice il de-siderio (e nicce ovvio), ciò che spira, spira dall'alto.
Dal cielo.
Putroppo gli ebrei si fermano lì.
Non si accorgono che c'è un problema LA GERARCHIA.
E' per questo che NICCE fa paura, perchè lui la conosce, e la combatte.
Non esiste alcun Dio, alcun Demone, esiste la psiche umana.
Mai nessuno ha provato anche solo a esplorarla.
Nicce è andato ben oltre Freud, e ben oltre me.
Questa presunzione nell'ontologia. E nel rovescio di questa presunzione (il nulla).
E' la stessa medaglia della malattia che attanagli l'uomo da secoli.
Anni dopo Freud per altre vie, scopre l'inconscio.
Grande è stato lo spavento.
E io non sono più io?
Ma la gente continua a cullarsi nel suo assoggettamento, al dio, che sia quello buono ebraico e cristiano, o quello militare mussulmano o quello apocalittico della gnosi, non cambia niente, rimaniamo assoggettati.
Per questo mi sono rivolto alla filosofia.
Ma se niko un male, un demone socratico, ci impedisse di agire?
Rimaniamo nel mondo dei sogni, e torniamo polvere vivendo da polvere.
Sono affranto.
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2025, 18:17:02 PMQuesto papa è corrotto fino al midollo da satana, il suo obiettivo detto apertamente fra l'altro: è quello di far salire i musulmani al potere.
Chi prega per questo papa è destinato a perire nell'inferno più nero.
Questo perchè i fedeli non distinguono cristo dalla ferragni.
Questo papa non ha carisma, non ha fede, non ha niente.
Questa è la mia opinione certo.
Opinione fin quando non influisce sulle scelte e sulle azioni che ci determinano... allora diviene fede...
Edipo non sapeva che quell'uomo era suo padre e si senti in colpa dopo averlo saputo. Sono due casi completamente diversi e,secondo me,costruiti ad hoc per colpire, comunque, i Padri.
Quale padre umano quel tanto che basta sacrificherebbe suo figlio? Quale Dio chiederebbe a un essere umano di sacrificare il figlio(Abramo)o sacrificherebbe suo figlio,se l'avesse,quando,come Dio,potrebbe procedere molti modi diversi nei confronti dell'umanità? Io sacrificherei quelli che propongono e affermano questo genere di cose in nome di un Dio che non conoscono neanche!
Aggiungo: a me l'universo sembra una esagerazione imprendibile e spettacolare ,al punto che mi chiedo se non sia uno sbaglio della natura causato dal caos concentrato e superdenso del supposto Big Bang Attribuirlo a Dio secondo me è un azzardo perché,chi conosce bene la tradizione sa che la modestia, l'umiltà,il servizio e il servire, il fare del bene senza che si sappia e si veda sono lecose essenziali!Qualcuno di voi mi sa dire in che modo l'universo che ci appare sia modesto, umile,serva noi esseri umani,illumini e ci faccia bene senza che si veda?
Qualcuno ha scritto che all'inizio c'erano Dio e il Nulla,io direi che non esiste di più Nulla e Nullo per noi esseri umani di un universo che ci appare strapotente,stragrande,straspettacolare inarrivabile,imprendibile e irraggiungibile,una specie di supplizio di Tantalo che eccita gli astronomi e i cosmologi ma non sembra eccitsed affatto la gente!
Allora,seguendo la tradizione,io potrei dire che l'universo che ci appare sembra l'opera di Qualcuno che ama la megalomania,la magnificenza,la gloria,lo spettacolo e l'immagine di Sè subordinadovi tutto e tutti e tenendoli sotto.
Quel Qualcuno non è forse ben descritto nella tradizione?
Comunque, io ho scritto "apparente" perché da quel so , fino adesso APPARE e basta ,in un modo approssimativo e strumentale.
Citazione di: aurea il 19 Marzo 2025, 19:05:22 PMQuale Dio chiederebbe a un essere umano di sacrificare il figlio(Abramo)o sacrificherebbe suo figlio,se l'avesse,quando,come Dio,potrebbe procedere molti modi diversi nei confronti dell'umanità? Io sacrificherei quelli che propongono e affermano questo genere di cose in nome di un Dio che non conoscono neanche!
Io la Bibbia la leggo come favola allegorico, morale e spirituale.
E comunque nella storia il dissidio tra padre e figlio non penso sia stato sempre idilliaco, non interessandomi la cronaca nera, io mi concentro solo sulle questioni che portano ad un miglioramento dell'agire e del sentire umano.
Non per questo si può chiudere gli occhi su quello che moralmente possiamo chiamare il male, e che se vogliamo è il senso letterale.
Citazione di: aurea il 20 Marzo 2025, 16:21:32 PMComunque, io ho scritto "apparente" perché da quel so , fino adesso APPARE e basta ,in un modo approssimativo e strumentale.
Il problema dell'ontologia di Dio è un falso problema, perchè Dio viene prima nella morale e nello spirito.
Una volta che uno conosce la morale è difficile che non senta quello che sommariamente chiamiamo Dio.
Citazione di: Duc in altum! il 07 Marzo 2025, 19:46:00 PMOpinione fin quando non influisce sulle scelte e sulle azioni che ci determinano... allora diviene fede...
Sono stato caziato indirettamente, il papa può esprimere sue opinioni.
Non lo sapevo.
Solo quando parla ex cathedra ha valore di dogma.
A mio discapito ovviamente c'è la mia ignoranza.
Peccato che nessuno mi abbia corretto qui.
A ulteriore mio discapito questo errore lo fanno anche i cristiani più consumati, che evidentemente sono ignoranti come delle capre rigurdo la loro stessa fede....questo già lo sapevo...ma non ne vedevo ancora la dimensione di questa ignoranza.
Ovviamente per me che mi stavo quasi convincendo a frequentare i cattolici, mi ha stramazzato.
Ciò non toglie che mi interessa moltissimo il messaggio VERO cristiano.
Quello che faceva urlare di disperazione lo spirito impuro nella sinagoga di cafarnao, dove GESU' da ebreo sciammannato faceva HALAKA'.
Il mio secondo maestro parla di 1004 regole (!!!!) per rimanere puri.
Comincio a capire meglio. Che bello studiare. Salve!
PS. i teologi ce l'hanno su con noi filosofi.
indirettamente rispondo che sono d'accordo: Hegel ha sbagliato.
Quello su cui non sono d'accordo è quello che proprio nessuno riesce a vedere.
Ossia la differenza tra io e soggetto.
Siamo ancora in alto alto alto mare.
Sta cosa mi stramazza.
Pensavo fossero cose semplici....bah forse sono davvero un genio.
Un genio senza un soldo...e senza futuro sebbene!
Citazione di: aurea il 20 Marzo 2025, 16:21:32 PMQuel Qualcuno non è forse ben descritto nella tradizione?
Comunque, io ho scritto "apparente" perché da quel so , fino adesso APPARE e basta ,in un modo approssimativo e strumentale.
Per me Dio non coincide con Natura, per un cristiano sì.
Da una lezione di un teologo maestro del mio maestro ha detto che la questione principale che le nuove gnosi NEGANo è il seguente:
Che la natura VIENE TRASCESA.
L'ipotesi creazionista (dogma per un cristiano sebbene) a me non interessa molto, anche perchè io traduco differentemente.
Mi interessa molto, perchè questa cosa la so da quando avevo 8 anni, che la natura è OVVIAMENTE trascesa.
A mio avviso dai demoni.
Con mia somma sorpresa anche dai cristiani.
Loro quelli che hanno capito, io ho già capito da queste poche pellennate, dicono: lo spirito santo non è lo spirito del santo.
Il mio problema è proprio lo spirito dell'impurità.
Capisco benissimo la questione morale, anche se il cristiano parla di spiriti, e ci addita a noi filosofi come il male assoluto.
Ma io non ho problema a vedere il mondo trasceso da questi spiriti impuri.
Il fatto è che l'ebraismo e dunque ancor di più il cristianesimo ha un difetto che non capisco come possano non vederlo.
Ossia che è una redazione, sinistramente assimilabile a qualsiasi altra religione dove si parla di spiriti impuri. (l'avesta zen, il libro delle formule magiche egizio etc....dove io sono ancora molto ignorante).
Il filosofo non può esimersi a notare che la religione è sempre al servizio di un potere temporale.
Un potere gerarchico, detto in maniera sbagliata il problema del patriarcato.
Come è che la povera gente non è ancora stata liberata?
Mi pare che qui vi sia un profondo iato tra noi e loro (teologi).
Un vero peccato tuttavia.
A oresto per ulteriori approfondimenti e discussioni a questo punto.
Vado la lezione sta per iniziare (povero hegel!)