Tutti, apparentemente, vogliamo la libertà: se qualche "oppressore" la minaccia o la vorrebbe limitare, reagiamo tempestivamente
e se necessario anche con la forza.
La storia dell'uomo è ricca di avvincenti battaglie, politiche, religiose, sociali, economiche che vedono l'eroe (il ribelle) sconfiggere l'oppressore e restituire la libertà al suo popolo.
Eppure, una volta ottenuta la tanto desiderata libertà si scopre che questa pesa come un macigno.
Finché c'è un "oppressore", questi è anche una guida: è vero che mi toglie la libertà, ma comunque mi dice che strada devo prendere, cosa devo fare e quale sarà il mio futuro. E' vero che sono in gabbia, ma lì dentro mi sento protetto e al sicuro.
Caduto l'oppressore, conquistata la libertà, l'animo è invaso da ansia ed insicurezza.
Ho mille possibilità davanti a me, quale scelgo ora? Dove vado? Cosa faccio?
Questa sensazione spiacevole e spesso intollerabile, ci predispone nuovamente a nuove sottomissioni: andiamo alla ricerca di nuovi "padroni" che possano ridarci sicurezza ed identità, oppure ci "droghiamo" con qualcosa (distrazioni, "oppi" e altre fughe).
Secondo voi, come si può sostenere in maniera sana il peso della libertà? Ci riuscite? (personalmente no ;D )
La libertà non è un fine, ma un mezzo.
Forse è l'unico autentico mezzo di cui disponiamo.
E in quanto puro mezzo... in realtà non esiste.
Ovvero, esiste nel momento in cui effettuo una scelta, ma solo come necessaria apertura affinché la scelta si compia. Ed io ne sia perciò responsabile.
Non perché io avrei potuto scegliere davvero diversamente...
Io, sono io proprio per questa supposta possibilità, che però non esiste.
La libertà è infatti incompatibile con la natura.
La pesantezza della libertà deriva dal fine per cui essa è un mezzo.
È il fine che è tanto difficile da raggiungere.
E questo fine è Dio.
Analizzando questa benedetta e supposta libertà, mi ritrovo a domandarmi quando sono davvero libero...
E allora potrei giungere alla conclusione che in effetti sono libero quando scelgo ciò che voglio in quanto lo devo perché questo sono.
Cioè libertà è la coincidenza di volere, dovere ed essere!
La ricerca della libertà non ha perciò come obiettivo la stessa libertà, ma il proprio essere.
E sono quando faccio ciò che devo!
Ma se faccio ciò che devo... io non ci sono più.
Salve ricercatore. Citandoti : "Caduto l'oppressore, conquistata la libertà, l'animo è invaso da ansia ed insicurezza.
Ho mille possibilità davanti a me, quale scelgo ora? Dove vado? Cosa faccio?".
La risposta circa la possibilità di poter gestire la libertà è stata fornita qui sopra da te stesso : E' la maturazione culturale che permette di contemperare diritti, doveri e facoltà. Ignoranza = incertezza = delega alla "vantata altrui sapienza".
Chi non sa che fare non può che mettersi a credere a ciò che gli viene raccontato da altri. Cioè non può che affidare ad altri la propria libertà. Saluti.
Citazione di: ricercatore il 04 Ottobre 2021, 12:59:37 PM
Tutti, apparentemente, vogliamo la libertà: se qualche "oppressore" la minaccia o la vorrebbe limitare, reagiamo tempestivamente
e se necessario anche con la forza.
La storia dell'uomo è ricca di avvincenti battaglie, politiche, religiose, sociali, economiche che vedono l'eroe (il ribelle) sconfiggere l'oppressore e restituire la libertà al suo popolo.
Eppure, una volta ottenuta la tanto desiderata libertà si scopre che questa pesa come un macigno.
Finché c'è un "oppressore", questi è anche una guida: è vero che mi toglie la libertà, ma comunque mi dice che strada devo prendere, cosa devo fare e quale sarà il mio futuro. E' vero che sono in gabbia, ma lì dentro mi sento protetto e al sicuro.
Caduto l'oppressore, conquistata la libertà, l'animo è invaso da ansia ed insicurezza.
Ho mille possibilità davanti a me, quale scelgo ora? Dove vado? Cosa faccio?
Questa sensazione spiacevole e spesso intollerabile, ci predispone nuovamente a nuove sottomissioni: andiamo alla ricerca di nuovi "padroni" che possano ridarci sicurezza ed identità, oppure ci "droghiamo" con qualcosa (distrazioni, "oppi" e altre fughe).
Secondo voi, come si può sostenere in maniera sana il peso della libertà? Ci riuscite? (personalmente no ;D )
Io ci riesco e nel difenderla, la libertà, ho perfino mostrato sempre una aggressività preventiva inopportuna.
Ho sempre dichiarato guerra preventiva a chi potenzialmente avrebbe potuto togliermela, senza pur avere alcuna prova che lo avrebbe fatto. Sono un anarchico non per ideologia, ma per istinto incontenibile.
Ne ho pagato le conseguenze, ma non mi sono mai pentito.
Citazione di: bobmax il 04 Ottobre 2021, 14:54:30 PM
La libertà non è un fine, ma un mezzo.
Forse è l'unico autentico mezzo di cui disponiamo.
E in quanto puro mezzo... in realtà non esiste.
Ovvero, esiste nel momento in cui effettuo una scelta, ma solo come necessaria apertura affinché la scelta si compia. Ed io ne sia perciò responsabile.
Non perché io avrei potuto scegliere davvero diversamente...
Io, sono io proprio per questa supposta possibilità, che però non esiste.
La libertà è infatti incompatibile con la natura.
La pesantezza della libertà deriva dal fine per cui essa è un mezzo.
È il fine che è tanto difficile da raggiungere.
E questo fine è Dio.
Analizzando questa benedetta e supposta libertà, mi ritrovo a domandarmi quando sono davvero libero...
E allora potrei giungere alla conclusione che in effetti sono libero quando scelgo ciò che voglio in quanto lo devo perché questo sono.
Cioè libertà è la coincidenza di volere, dovere ed essere!
La ricerca della libertà non ha perciò come obiettivo la stessa libertà, ma il proprio essere.
E sono quando faccio ciò che devo!
Ma se faccio ciò che devo... io non ci sono più.
Chiaro il tuo discorso, ma l'impressione che se ne ricava è che la libertà non svolga alcuna funzione.
Banalmente si dice che il mondo è bello perché è vario. Io ne sono profondamente convinto.
Non è importante la scelta fatta dal singolo in se', cioè in relazione al solo individuo. Infatti troppe sono le condizioni accidentali che la determinato. Ma la varietà accidentale di queste condizioni, attraverso l'individuo, garantisce una verità di scelte.
Per giungere a questa varietà è essenziale la libertà di scelta.
È lo stesso principio su cui si basa, su altro livello, la selezione naturale delle specie.
Se si fanno scelte diverse, perorate e portate avanti da diversi individui, fra queste vi sarà sempre quella adatta al contesto, contesto pure esso accidentale.
La libertà dell'individuo fa' si che l'umanità tenti sempre quasi tutte le soluzioni possibili, fra le quali probabilmente vi è quella giusta.
La libertà negli esseri viventi svolge la funzione che il caso ha fra gli esseri inanimati.
Non si può mai sapere quale faccia del dado uscirà, e l'umanità è un dado con tante faccie quanti sono gli uomini.
Il libero arbitrio ha un senso se non lo si riferisce funzionalmente, ma solo fattivamente all'individuo.
Il peso della libertà si sostiene inter pares assumendosi collettivamente la responsabilità delle decisioni.
Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2021, 20:41:38 PM
Il peso della libertà si sostiene inter pares assumendosi collettivamente la responsabilità delle decisioni.
Non c'era da dubitarne, da parte di una partigiana dell'egualitarismo collettivistico a tutti i costi ma a nessuna responsabilità.
Infatti "inter pares" e "collettivamente" (aaaah.....i gloriosi anni '70 !!) significa che tutti sarebbero responsabili finchè le cose vanno bene, e nessuno sarebbe colpevole nel caso andassero male. Saluti.
Il problema della libertà così come è stato posto è il problema di come dirigere la propria volontà per ottenere quei beni che riteniamo poterci rendere felici.
Tale problema può riguardare sia la questione di una possibile scarsità di beni, sia la questione dell'incapacità soggettiva a riconoscere i veri beni.
Affrontando il problema nel primo modo ci si illuderà che le riforme politico-sociali possano redimere la realtà e rendere disponibile ai più tali beni.
Nel secondo modo ci si illuderà che un chiarimento della propria interiorità tramite tecniche psicologiche più o meno profonde possa renderci capaci di riconoscere i veri beni dando quindi il via alla ricerca della propria felicità.
Ma molto presto appariranno le contraddizioni.
Ecco perché ho parlato di illusioni. Sia la realtà esteriore che quella interiore si ostinano a resistere al cambiamento (per motivi diversi).
Dalla stanchezza per questo scacco ecco la versione contemporanea della libertà come facoltà di negazione (opporre resistenza alle forze che ci vogliono dominare).
Ma anche questo approccio minimalista si rivela per lo più un'illusione: troppe relazioni, connessioni globali, per poter resistere alle infinite potenze che ci vogliono manipolare.
Così l'ultima mossa: accettazione di un totale assoggettamento esteriore ed interiore.
Tale mossa fa dell'uomo contemporaneo una specie di parodia del credente.
L'uomo contemporaneo, che è ateo perché la cultura cui ha "scelto" di assoggettarsi glielo impone e non perché le sue convinzioni interiori lo portino a escludere la religiosità, deride il credente e intanto adora il suo Signore, che è sempre il denaro, nella forma ottusa del lusso o nella forma più sottile del privilegio e del benessere.
Il male non è più un mistero, ma un problema, che il Signore di questo mondo può risolvere.
Per ora sono visibili i soli effetti collaterali: alienazione profonda e apocalisse ecologica.
Personalmente non ho particolari "mire" di "cose" , ovvio sono inserito nella societa' in quanto , per mangiare , scaldarmi ecc lavoro. Possiedo "cose" (auto , bicicletta , televisore , cpu ecc) che non ho mai sostituito per "sfizio" ma solo quando se ne presenta la necessita' , vita sociale limitata ad agonismo sportivo e poco altro anzi a ben pensarci null'altro. Situazione questa che mi fa sentire piuttosto libero e poco condizionabile dall'esterno. Il miei "oppressori" sono l'amore che provo a dire il vero per ben pochi "esseri" che mi accompagnano nel cammino e ( ovviamente) le esperienze vissute da = 0 a ....... ora. Mi ritengo peraltro un fortunato.
Si è liberi -solo- quando si sceglie il bene...
è questo un tema ricorrente del pensiero occidentale, mi vengono in mente Socrate, Platone, Sant'Agostino, ma davvero è un tema molto ricorrente. Si cerca di far coincidere libertà con bene, come anche nel Padre Nostro, liberaci dal male.
liberi di scegliere il bene, liberi di scegliere x...
il che è un paradosso solo se si immagina il bene come un'opzione tra le opzioni, come un qualcosa di preesistente.
E' chiaro che se qualcuno ci dice che la libertà, nella scelta tra x ed y, è scegliere sempre e sistematicamente y, ci sta prendendo in giro. Siano pure x ed y il bene e il male, sempre assurda la cosa rimane.
La possibilità ineliminabile di scegliere x integra la libertà per come comunemente intesa, quindi se la libertà è necessaria al bene, e il male è necessario alla libertà, il male è necessario al bene.
La questione della coincidenza tra bene e libertà dunque, torna molto di più se si immagina il bene come l'opzione che tra le opzioni attualmente disponibili non c'è, non esiste, o quantomeno non preesiste, e deve essere aggiunta/creata dallo scegliente.
Quindi la libertà che dovrebbe in teoria coincidere col bene è, tra x e y che sembrano le uniche opzioni che la situazione o il destino ci mette davanti, con un certo sforzo creativo o conoscitivo aggiungere anche l'opzione z, e poi scegliere z.
Contemplare la terzità del bene, rispetto alla dualità in generale delle opzioni.
In questo senso "si è liberi solo quando si sceglie il bene", può essere tradotto con "si è liberi solo quando si sceglie il divenire". In ogni situazione prevedibile, in ogni tentativo di progetto, Il bene è quello che manca, o quantomeno quello che mancava.
Del resto il bene secondo me è quello che fa incontrare la volontà con il suo appagamento, quindi con la sua limitazione e finitezza, viceversa il male è tutto quello che non appaga, e dunque che infinitizza, che slancia verso l'infinito, la volontà.
In questo senso il bene ha la stessa dignità e necessità del male, perché la volontà per essere e per sussistere ha bisogno avere in sé infinitudine quanto finitezza, tanto di essere a tratti felice quanto di non volere mai per troppo tempo la permanenza del voluto, quindi non può essere questo, il "vero" bene.
Il vero bene, la vera necessità prima ingiudicabile da ogni morale, il bene in quanto oggetto del desiderio e non in quanto giusto, per me è riflettere su cosa può essere terzo tra smettere di volere e volere all'infinito, quindi l'essere liberi di iniziare a volere altro, il volere la volontà dell'altro, il grande gioco delle volontà che si vogliono tra di loro.
Kobayashi ha posto correttamente il carattere polisemantico del concetto di libertà, ma piuttosto che trattare i molteplici aspetti singolarmente ha preferito allinearli secondo un suo teorema che conduce a conclusioni dalle quali mi sento esclusa. Il mio ateismo è stato un processo di liberazione dalla cultura cui ero assoggettata e il processo di maturazione culturale atea mi ha aiutato ad individuare il vitello d'oro Capitale senza sudditanza ideologica o psicologica alcuna.
Altra cosa è prendere atto della realtà evolutiva e fare di necessità, virtù. Concordo che la libertà sociopolitica è una chimera e che solo un cataclisma rivoluzionario potrebbe modificare lo "stato di cose presenti" incancrenite nello strapotere tentacolare del Capitale, unificante i due soli di dantesca memoria.
Resta però intonsa la libertà di pensiero e la lotta per il tempo di vita da liberare dai tentacoli materiali e ideologici della piovra capitalistica. Lotta che dura fin dall'alba delle società classiste e che ha permesso non sia del tutto cancellata ogni forma possibile di libertà. Liberazione non solo politica, ma pure mentale, fisica e culturale. A ciascuno la sua, da inventare ogni mattina al risveglio.
Citazione di: ricercatore il 04 Ottobre 2021, 12:59:37 PM
Finché c'è un "oppressore", questi è anche una guida: è vero che mi toglie la libertà, ma comunque mi dice che strada devo prendere, cosa devo fare e quale sarà il mio futuro. E' vero che sono in gabbia, ma lì dentro mi sento protetto e al sicuro.
Caduto l'oppressore, conquistata la libertà, l'animo è invaso da ansia ed insicurezza.
Ho mille possibilità davanti a me, quale scelgo ora? Dove vado? Cosa faccio?
Questa sensazione spiacevole e spesso intollerabile, ci predispone nuovamente a nuove sottomissioni: andiamo alla ricerca di nuovi "padroni" che possano ridarci sicurezza ed identità, oppure ci "droghiamo" con qualcosa (distrazioni, "oppi" e altre fughe).
Secondo voi, come si può sostenere in maniera sana il peso della libertà? Ci riuscite? (personalmente no ;D )
Forse il riferimento che fai all'ansia è il punto su cui riflettere.
Possiamo condiderare fisiologica , quindi normale, l'ansia da scelta, quando siamo chiamati ad esercitare libertà , ma normale se l'ansia dura poco, perché il suo protarsi nel tempo genera patologia. Diventa cioè insostenibile.
Se prendiamo per buono questo quadro , la libertà non è una facoltà che esercitiamo normalmente, ma in via eccezionale.
È pure vero che quando si parla di oppressori, non si può mai abbassare veramente la guardia, ma focalizzarsi sulla libertà dagli oppressori è fuorviante. Il termine stesso oppressione , lo sostituirei, per meglio generalizzarlo con routine.
La routine rende meglio conto della resistenza al cambiamento, in quanto per uscire da una routine occorre presa di coscienza e determinazione. Se tutto va' bene le nuove scelte diventano le nuove routine e l'ansia smette di svolgere la sua funzione.
Noi stessi siamo un accumulo di routine, ma siccome cambiamo, prima o poi da esse si esce.
Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa' cosa lascia, ma non sa' cosa trova.
Ma in effetti prendiamo coscienza della strada solita in concomitanza con la sopravvenuta esigenza di cambiarla.
Avviare una routine volontariamente, è come prendere un ansiolitico senza controindicazioni.
Un classico è mettersi alla guida dell'auto, da assumere lontano dagli ingorghi, ovviamente.😅
Salve niko. Citandoti : "Del resto il bene secondo me è quello che fa incontrare la volontà con il suo appagamento".
Interessantissimo teorema : quindi a parer tuo il bene, per sussistere, necessita della previa esistenza di una volontà (umana, credo e spero tu intenda) la cui (sempre previa) sussistenza permette un suo potenziale appagamento...............che tu chiami "bene".
Dimmi.........il tuo concetto risulta applicabile anche alla volontà di un sadico torturatore ?. Saluti.
Citazione di: viator il 05 Ottobre 2021, 16:47:05 PM
Salve niko. Citandoti : "Del resto il bene secondo me è quello che fa incontrare la volontà con il suo appagamento".
Interessantissimo teorema : quindi a parer tuo il bene, per sussistere, necessita della previa esistenza di una volontà (umana, credo e spero tu intenda) la cui (sempre previa) sussistenza permette un suo potenziale appagamento...............che tu chiami "bene".
Dimmi.........il tuo concetto risulta applicabile anche alla volontà di un sadico torturatore ?. Saluti.
certo, il bene è relativo, quindi può esistere il bene soggettivo e personale di tutti, anche dei sadici torturatori, come ho cercato di spiegare, l'etica, come discorso persuasivo intorno al volere, come indicazione circostanziata di cosa si dovrebbe volere, dipende dal destino stesso della volontà: in generale non siamo onnipotenti e non possiamo tutto, quindi la prima divisione evidente tra gli uomini e tra i loro possibili destini è quella secondo la saggezza, per cui in generale chi vuole quello che può, sarà tendenzialmente più felice, e più sereno, di chi vuole quello che non può.
Non tutti i voluti sono uguali, perché non tutti appagano realmente la volontà, e non tutti appagano realmente la volontà, perché non tutti corrispondono figurativamente e quantitativamente a ciò che un mondo fisico di possibilità e combinazioni limitate può offrire, come dire che proprio perché si è sempre in situazione, proprio perché nel mondo ci sono alcune cose e non altre, ci sono i cavalli sì e gli unicorni no, i leoni sì, e le chimere no, ai profila all'estremo orizzonte una differenza di destino tra chi vuole ciò che c'è, e chi vuole ciò che non c'è, e la posta in gioco sembra essere proprio la felicità, che abbiano ragione nella natura del loro volere gli uni, orientati ad accontentarsi del reale e dell'effettivamente presente, o gli altri, orientati a rischiare tutto per il sogno della creazione di ciò che avvertono come cosmicamente e naturalisticamente mancante, e quindi per il divenire in quanto tale.
Questa dicotomia intuitiva, immediata, però si complica appena consideriamo le potenzialità e la naturalezza dei desideri impossibili come ulteriore attivazione di un divenire necessario che non potrebbe nutrirsi di sola arte di accontentarsi e di solo possibile, e come realizzazione di fini propri della specie e del mondo in generale che vanno oltre il soggetto e l'individuo; la filosofia sarebbe inganno se fosse sola arte del possibile, e anche davanti all'esperienza dell'impossibile si può, anziché rinunciare, tentare di essere altro per potere altro, tentare la via della metamorfosi, quindi immensa è anche la dignità e la funzione del del male, se osservato nella sua essenza
de-ideologizzata e senza pregiudizi, come elemento infinitizzante e inappagato della volontà, come sogno di un bene che non c'è.
Oltre il bene e il male quindi, c'è solo un mondo fatto di volontà di cui si può essere solo piccolissima parte, piccolissima volontà tra le altre, volere oltre se stessi dunque, sussumere altre parti nel proprio sistema, è volere la volontà dell'altro, sia nel senso del massimo amore e servizio, che della massima seduzione e tirannia, e questa è la politica alla base dell'etica, la volontà non può autovolersi, ma non può nemmeno individuare nei suoi dintorni e nel suo vissuto nulla che non sia a sua volta in qualche misura volontà, non può individuare nessun oggetto esterno puro, nessun amore sincero per l'inorganico e per l'inerte, da cui il terzo elemento necessario a rompere il dilemma, che è volere la volontà dell'altro, la dimensione propriamente politica dell'etica.
Salve niko. Hai ragione. Essendo il "bene" concetto relativo ed esclusivamente umano............ovvio che la sua realizzazione, compimento, esistenza....sottenda costantemente la necessaria presenza di una volontà umana la quale muova al proprio possibile esaudimento. Hai saputo elegantemente evitare la presunta contraddizione che ti avevo appena fatto rilevare. Anche se qualcuno potrebbe dirti che tu (ma poi in teltà quasi tutti noi !) tendi a confondere il bene con il piacere e l'utilità. Saluti.
Citazione di: viator il 06 Ottobre 2021, 18:51:11 PM
Salve niko. Hai ragione. Essendo il "bene" concetto relativo ed esclusivamente umano............ovvio che la sua realizzazione, compimento, esistenza....sottenda costantemente la necessaria presenza di una volontà umana la quale muova al proprio possibile esaudimento. Hai saputo elegantemente evitare la presunta contraddizione che ti avevo appena fatto rilevare. Anche se qualcuno potrebbe dirti che tu (ma poi in teltà quasi tutti noi !) tendi a confondere il bene con il piacere e l'utilità. Saluti.
Io tendo a far corrispondere il bene con il voluto, con l'oggetto della volontà, se voglio la luna, la luna è un bene per me, a prescindere da quanto questo mio desiderio possa essere capriccioso o irrealizzabile, così come se voglio un panino al prosciutto, un panino al prosciutto è il bene per me in un dato attimo, insomma l'uomo in quanto animale complesso e razionale, spesso vuole cose che vanno al di là del semplice piacere fisico, e soffre per cose che vanno al di là del semplice dolore fisico, quindi piacere e dolore in senso fisico e animale sono aspetti di una realtà più complessa, che si può indicare genericamente come:
sofferenza=differenza/differimento tra desiderio e realtà,
felicità=corrispondenza esatta tra desiderio e realtà.
Come vedi sono due termini di uguaglianza o diseguaglianza così astratti che da una parte o dall'altra dell'uguale può starci veramente di tutto, ognuno ha il suo, sia di vissuto che di desiderato, l'utilità e il piacere entrano come parti nella questione del desiderio, della sofferenza e della felicità, ma non la esauriscono, anzi l'utilità in senso filosofico e psicologico è sempre un'intermedio: se io desidero qualcosa perché mi è utile, la desidero non in se stessa, ma come mezzo/veicolo per raggiungere qualche altra cosa ulteriore alla cosa desiderata meramente come mezzo, che il mezzo mi consentirà appunto di ottenere, quindi il vero termine dell'uguaglianza o della diseguaglianza è sempre oltre un rapporto di utilità, oggetto di una preferenza diretta e spontanea, e non strumentalmente mediata.
Citazione di: ricercatore il 04 Ottobre 2021, 12:59:37 PM
Eppure, una volta ottenuta la tanto desiderata libertà si scopre che questa pesa come un macigno.
Finché c'è un "oppressore", questi è anche una guida: è vero che mi toglie la libertà, ma comunque mi dice che strada devo prendere, cosa devo fare e quale sarà il mio futuro. E' vero che sono in gabbia, ma lì dentro mi sento protetto e al sicuro.
Caduto l'oppressore, conquistata la libertà, l'animo è invaso da ansia ed insicurezza.
Ho mille possibilità davanti a me, quale scelgo ora? Dove vado? Cosa faccio?
Questa sensazione spiacevole e spesso intollerabile, ci predispone nuovamente a nuove sottomissioni: andiamo alla ricerca di nuovi "padroni" che possano ridarci sicurezza ed identità, oppure ci "droghiamo" con qualcosa (distrazioni, "oppi" e altre fughe).
Secondo voi, come si può sostenere in maniera sana il peso della libertà? Ci riuscite? (personalmente no ;D )
Buongiorno a tutti ... Il peso della mia libertà sarebbe in ultima analisi determinato dalla mia volontà che non è capace di smettere di volere o di desiderare qualcosa o qualcuno. Il mio problema è pertanto dato dalla mia volontà a determinare in qualche misura il tempo non ancora manifestato (il futuro). Stanotte l'oppressore era una zanzara. Fatti i dovuti calcoli ho stabilito che se la zanzara fosse stata una sola zanzara (grande azzardo!!!) le sarebbe restata un'altra sola puntura, avendomi già punto tre volte (secondo me una zanzara non ti punge più di tre o quattro volte nell'arco di una notte). Ho deciso quindi di lasciarla fare e mi è andata bene, dato che non mi ha nemmeno punto per la quarta volta. In questo caso avrei sostenuto il peso della libertà non essendomi adoperato a perdere tempo nel cercare di ammazzarla. Stamattina l'ho intercettata casualmente e l'ho ammazzata e confesso che ero molto soddisfatto (il cielo mi perdoni!). Bene, l'oppressore è caduto, ma non è che per questo io mi senta pervaso dall'ansia o dall'insicurezza. Son certo infatti che prima o poi, anche oggi stesso, si farà vivo qualche nuovo oppressore ... Alla fine mi sento di dire che non sono io a indagare i fatti che mi opprimono, ma sono i fatti che indagano il mio senso di libertà
Salve niko. Vedo bene che il tuo concetto di bene si identifica con la tua personale soddisfazione. Ma non credo che il resto dell'umanità sia molto d'accordo con te (dal punto di vista concettuale ed astratto).....mentre ugualmente credo che larga parte dell'umanità sia perfettamente d'accordo con te a livello di prassi. Saluti.
Citazione di: viator il 11 Ottobre 2021, 11:47:01 AM
Salve niko. Vedo bene che il tuo concetto di bene si identifica con la tua personale soddisfazione. Ma non credo che il resto dell'umanità sia molto d'accordo con te (dal punto di vista concettuale ed astratto).....mentre ugualmente credo che larga parte dell'umanità sia perfettamente d'accordo con te a livello di prassi. Saluti.
Non è il mio bene personale, é il bene di chiunque in qualsiasi momento, che puo' coincidere, o contrastare, con il bene di chiunque altro.
Non c'e' scritto da nessuna parte che il bene per essere tale debba essere lo stesso per tutti, questo è solo un
pre-giudizio, sebbene sia socialmente, che filosoficamente, che politicamente molto radicato.
Io non penso il bene come uno, penso solo che se il mondo è uno allora non puo' che contenere indefinitamente il molteplice, al di la' del bene e del male come contenuto del mondo ci sono solo le miriadi di volonta' che si vogliono tra di loro, ma questo volersi tra di loro puo' essere interpretato sia nel segno dell' amore che segno del dominio, il mondo non è "buono" se non forse nel senso che il "male" in ultima analisi si risolve piu' nella tendenza all'asservimento che non alla distruzione.
Una discussione interessante. Mi soffermo solo sull'equazione proposta da Niko, ovvero sofferenza=differimento fra desiderio e realtà, felicità = corrispondenza fra desiderio e realtà. Ne ha già scritto Freud e sulla sua scia Melanie Klein. Cresciamo e maturiamo per la prima volta quando il desiderio del latte materno deve essere ritardato, perché il seno (l'oggetto in termini psicoanalitici) ha altro da fare ( tipo accudire un fratello o preparare la cena o andare in bagno). Attendere per vedere soddisfatto un bisogno e costruire le basi affinché quel bisogno sia soddisfatto, a livello storico, è stata la molla iniziale del capitalismo e della borghesia ( ma per Freud è un dato antropologico, mi prendo solo la libertà di interpretare storicamente una teoria psicoanalitica). Quello stesso capitalismo e quella stessa borghesia, che dopo una metamorfosi durata 50-100 anni, ora non matura più, perché la soddisfazione "deve" essere immediata. In questo pretende di essere libera e allo stesso tempo frammentata in mille bisogni, uno per ogni individuo, perché solo così la "grande macchina" può continuare a produrre e rifornire gli ingranaggi (cioè noi) delle parti di ricambio. Un desiderio di libertà così vasto da divenire una catena che ci sottomette tutti, dai turisti spaziali fini agli assuntori di colla.
Salve jacopus. Citandoti : "Un desiderio di libertà così vasto da divenire una catena che ci sottomette tutti, dai turisti spaziali fini agli assuntori di colla".
Scusa ma........a questo punto i bisogni dove sarebbero finiti? Nè il turismo spaziale nè l'assunzione di colle rappresentano la soddisfazione di un bisogno !. Vuoi che il capitalismo sia riuscito laddove il marxismo ha fallito ? (anche i marxisti-comunisti-egualitaristi hanno sempre predicato che l'umanità nuova avrebbe dovuto venir redenta dai bisogni attraverso la loro dottrina, per potersi dedicare a facoltà più elevate e progressiste).
Vuoi quindi - dicevo - che il capitalismo abbia fatto sparire i bisogni (producendo un esubero di beni il quale - pur essendo frutto di rapina e sfruttamento - consente la soddisfazione dei bisogni al loro almeno minimo e naturale livello)............sostituendoli con un infinito numero di facoltà individuali (purtroppo spesso del tutto dannose e scriteriate).......tra le quali figurano anche il turismo spaziale e la droga ?
Questa è appunto la libertà capitalistica, e la sua differenza con le utopie comuniste è molto semplice : da una parte la dittatura del denaro, senza il quale si risulta degli ESCLUSI ........ dall'altra la dittatura delle idee dominanti, senza le quali si risulta dei RECLUSI (i gulag insegnano). Saluti.
CitazioneNè il turismo spaziale nè l'assunzione di colle rappresentano la soddisfazione di un bisogno !.
Ma infatti, Viator, si parlava di desideri e non di bisogni. Il desiderio è un sentimento umano e culturale. Il bisogno afferisce più alla riproduzione biologica dell'uomo, nelle modalità più confortevoli possibili.
Inoltre credo che ormai conosci il mio pensiero. Per quanto attratto da Marx, ho sempre avuto la massima avversione per i regimi comunisti reali, perchè come noti anche tu, si impose un potere autoritario e per di più anche diseguale. Ma non ho alcuna remora ad affermare che il capitalismo attuale è altrettanto disdicevole, anche se mi permette di criticarlo apertamente (e magari di creare attraverso le critiche, nuovi flussi di denaro, come insegna Hollywood). Ho difficoltà a "scendere in campo". Non mi riconosco in verità rivelate e pragmaticamente ho l'attitudine a guardare cosa fanno gli "uomini" e non cosa "predicano".
Sul fatto che il capitalismo abbia fatto sparire i bisogni, può essere vero per circa uno/due miliardi di esseri umani, considerando fra i bisogni, essere nutriti, potersi vestire, avere una casa di proprietà allacciata ai servizi principali (acqua, riscaldamento, luce) e non doversi preoccupare della propria esistenza di giorno in giorno. Invece rispetto ai desideri, il capitalismo è una vera e propria macchina desiderante, che riesce a mascherare la propria irrazionalità puntando sull'infantilismo degli associati. Basti pensare al mondo dell'automobile per avere esempi a bizzeffe di quante assurdità ci propongono e di come riusciamo, nel nostro complesso di consumatori, a desiderarle.
Ciao a tutti ... letto più o meno quel che si dice ... direi pure, in seno a quel che intendo per libertà o meglio sensazione di libertà, che non ce l'ha mica ordinato il dottore di attaccarci come mosche a tutto ciò che noi siamo usi a chiamare "beni"(ivi compresi desideri e bisogni). Peso della libertà, fuga dalla libertà, ma "libertà" che si riferisce a cosa? Libertà di usare? di usare oggetti, idee, persone, animali, ovvero di usare tutto ciò che percepiamo ad libitum? Come ha detto già qualcuno sembra una strada ardua. Oppure si parla di una libertà che si riferisce ad una maggiore o minore libertà rispetto ad altri, senza sapere poi che quella libertà che noi magari prendiamo in esame è risultata da costrizioni che non prendiamo nemmeno in considerazione? Al di là delle cose che si fanno spontaneamente è difficile pensare che i prodotti dell'immaginazione siano scevri da costrizioni qualora li si voglia perseguire. Fintanto che vi è il problema del bisogno, del desiderio, della scelta, la libertà non esiste. E' certo invece che puoi dire finché vuoi di esserti preso la libertà di fare un giro nello spazio, o di esserti drogato oltre ogni limite
Salve jacopus. Citandoti : "Sul fatto che il capitalismo abbia fatto sparire i bisogni, può essere vero per circa uno/due miliardi di esseri umani, considerando fra i bisogni, essere nutriti, potersi vestire, avere una casa di proprietà allacciata ai servizi principali (acqua, riscaldamento, luce)................"
Sappiamo entrambi che tra noi due (e non solo tra noi due) esiste un problema : la traduzione dal viatorese all'italiano.Tu ed altri pensate che il viatorese sia uno strano ed esotico linguaggio richiedente traduttori esperti che oltretutto non esistono in circolazione; io invece penso che non esista il viatorese ma - per quanto riguarda i termini da me usati, solo l'italiano.
Infatti bisogni, per me e per la lingua italiana - sono unicamente quelli biologici (fisiologici) e consistono (mi ripeto in modo noiosissimo) in "ciò che va assolutamente fatto (ci viene presentato dalla natura e noi siamo costretti ad adempierlo) se si desidera poter sopravvivere".
Vestirsi, avere una casa di proprietà, l'allacciamento all'elettricità............non rappresentano bisogni, bensì necessità (ciò che è funzionale al raggiungimento di uno scopo (magari utlile, piacevole, confortevole), ma mai indispensabile alla stretta sopravvivenza).
I bisogni confinano con le necessità ma ne sono distinti, così come le necessità confinano con le facoltà ma ne sono distinte, mentre ancora le facoltà confinano con i desideri........poi ci sono le possibilità ed infine i sogni.
Tutti i sistemi sociali sono basati sulla creazione di strutture ed organizzazioni che permettano di soddisfare "automaticamente" tutti i bisogni (almeno salvo incidenti ed eccezioni dovuti non ai sistemi, ma alla pazzia ed alle difettosità di chi gestisce i sistemi).
Il problema nasce subito dopo, poichè - mentre i bisogni hanno carattere ed immanenza assoluti - le necessità risultano relative ed interpretabili in modo del tutto tra loro diverso. Saluti.