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LOGOS - Argomenti => Tematiche Spirituali => Discussione aperta da: Vittorio Sechi il 16 Giugno 2017, 22:30:39 PM

Titolo: Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 16 Giugno 2017, 22:30:39 PM
Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l'odore. Grosse come mosconi, all'inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all'altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare. Se non ci muovevamo abbastanza velocemente, ci pungevano... Erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c'è vita anche nella morte... Stavamo respirando morte, inalando la putredine dei cadaveri ormai gonfi che ci circondavano... L'odore traumatizzante della morte era dappertutto (cit. dal Web)

L'uomo folle, in un rigurgito di vita, piombò in mezzo alla piazza gremita e, piangente, urlò: "Dio è morto!".

In un sol corpo, dal freddo pungente della disperazione, Birkenau, Auschwitz e Dachau s'ersero e gli fecero eco: "Dio è morto!".

La notizia si propagò in un baleno e, percuotendo la terra, ridestò Sabra e Chatila dalla turpe visione del proprio obbrobrio. Anch'esse si unirono alla lugubre sinfonia: "Dio è morto!".

Come ubbidendo ad un ordine, il grumo di Vermicino si sciolse e il sangue non più rappreso, tornò a fluire per nutrire l'assetata terra: "Dio è morto!".

L'uomo folle, restato solo al centro dell'immensa piazza, cantò il suo destino: "non più un dio a cui affidare il nostro domani. L'uomo è solo e si carica sulle spalle la responsabilità di essere libero per costruire se stesso".
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: sgiombo il 17 Giugno 2017, 08:25:13 AM
...O anche per autodistruggersi.

Forse.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 17 Giugno 2017, 09:50:12 AM
Se Dio è morto, ammazzato dall'uomo, non vedo alcuna ragione perché l'uomo non debba ammazzare anche se stesso, come sta facendo in effetti dall'inizio della sua avventura disgraziata su questo pianeta. Sarebbe curioso non avere alcun riguardo nell'accoppare Dio e poi farsi scrupoli nell'accoppare i propri simili, che sono concretamente molto più fastidiosi di un Dio silenzioso e nascosto.
Hai voglia il paragone tra un Dio pacifico e che si fa i fatti suoi e i tuoi simili che ti ronzano attorno, ti si attaccano come zecche, e ti costringono continuamente a trovar compromessi esilaranti per poter  sopravvivere. Almeno, seppur immaginario, l'amore di un Dio è per sempre; ma c'è o c'é stato qualche poveraccio, su questa Terra, a cui l'amore sia durato più del tempo di una breve stagione?
Insomma , aver ammazzato Dio non sembra aver cambiato nulla dell'attitudine umana a crear rogne, semmai ha confuso ancor di più le carte, visto che adesso ogni cristo rivendica come vera e sacrosanta la propria personale e pruriginosa piccola rogna. Forse..."furono le mosche a farcelo capire"...che ormai era tempo di usare il DDT?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 17 Giugno 2017, 12:36:26 PM
Non è detto che l'abbiamo ammazzato apposta: può anche essere stata una conseguenza inevitabile, ma involontaria, imprevista, del semplice portare avanti la riflessione. Sarebbe stato meglio rinunciare a pensare per evitare che Dio ne venisse ucciso? Certo, ci sono anche modi di pensare presuntuosi, ma la sofferenza non mi sembra una presunzione.

Infatti è questo che in me ha ucciso Dio: il problema della teodicea. Nel mondo esistono violenze impressionanti, violenze che ti lasciano dentro segni che sono lacerazioni, ferite incancellabili, violenze che non possono non scandalizzare. Penso per esempio alla crudeltà (agli occhi di un essere umano) che si verifica nel mondo dei predatori. Sono rimasto profondamente impressionato da questo video di Youtube (vi avviso prima: chi è impressionabile rinunci a vederlo), in cui un babbuino divora un cucciolo di gazzella: mentre il cucciolo è ancora vivo gli strappa pezzi di carne e ad ogni lacerazione il cucciolo emette il suo lamento. È ovvio che il babbuino non è cattivo, è la natura, ma se questo mondo con questa natura l'ha creato qualcuno, questo qualcuno dev'essere una persona molto, molto cattiva. E questo è solo un esempio; ne esisterebbero altri milioni e miliardi da citare, come i cumuli di cadaveri dell'Olocausto, milioni di esempi che mi portano a concludere non che in questo mondo c'è il male, ma che questo mondo è il male. Il diavolo è questo mondo e ognuno di noi ne fa parte. Ma fosse solo questo, sarebbe sopportabile. Il problema è che sei lacerato ulteriormente perché in questo mondo che è il male sperimenti anche il bene, l'amore, momenti di felicità, di gioia; proprio questo ci rende ancora più insopportabile la consapevolezza dei perfidi mali sparsi nel mondo.

Da qui verrebbe una conclusione: non solo in questo mondo c'è talmente male che trovo impossibile pensarlo creato da un Dio buono, ma addirittura trovo impossibile concepire l'esistenza di questo mondo. La mente mi dice: no, non può essere, è impossibile che un mondo così esista o un Dio così esista. Di conseguenza, l'esistenza umana viene ad essere un vivere continuamente affiancati, aggrediti, da un mondo impossibile per la gravità dei suoi mali.

Trovo che la sola maniera di poter attraversare questo mondo è non pensare troppo a ciò; solo un po' di smemoratezza ci consente di sopravvivere. E allora ogni mattina ci carichiamo del nostro fardello di inevitabile memoria (del male che sappiamo) e necessaria smemoratezza (per non essere distrutti dal pessimismo), cerchiamo di coltivare in noi un ricordo forte delle cose buone, del bene, proviamo a dare la nostra parte di positività, costruttiva, quanto sia possibile, magari ricordandoci che le cose per molti aspetti sono sempre diverse da come noi pensiamo che stiano, e cerchiamo di andare avanti sostenendoci per mano a vicenda.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 17 Giugno 2017, 12:38:03 PM
Quando vedo quel video che ho citato immagino quel cucciolo chiedersi: "Perché sono nato?"
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 16:18:56 PM
Citazione di: Sariputra il 17 Giugno 2017, 09:50:12 AM
Se Dio è morto, ammazzato dall'uomo, non vedo alcuna ragione perché l'uomo non debba ammazzare anche se stesso, come sta facendo in effetti dall'inizio della sua avventura disgraziata su questo pianeta. Sarebbe curioso non avere alcun riguardo nell'accoppare Dio e poi farsi scrupoli nell'accoppare i propri simili, che sono concretamente molto più fastidiosi di un Dio silenzioso e nascosto.
Hai voglia il paragone tra un Dio pacifico e che si fa i fatti suoi e i tuoi simili che ti ronzano attorno, ti si attaccano come zecche, e ti costringono continuamente a trovar compromessi esilaranti per poter  sopravvivere. Almeno, seppur immaginario, l'amore di un Dio è per sempre; ma c'è o c'é stato qualche poveraccio, su questa Terra, a cui l'amore sia durato più del tempo di una breve stagione?
Insomma , aver ammazzato Dio non sembra aver cambiato nulla dell'attitudine umana a crear rogne, semmai ha confuso ancor di più le carte, visto che adesso ogni cristo rivendica come vera e sacrosanta la propria personale e pruriginosa piccola rogna. Forse..."furono le mosche a farcelo capire"...che ormai era tempo di usare il DDT?

Guarda che è la sofferenza gratuita a decretare la morte di Dio, non certo la volontà dell'uomo. Dopo gli obbrobri di Auschwitz l'intera teologia, cattolica e riformata, si è posta di fronte a questo dilemma. Non mi pare che l'Olocausto possa essere definito 'pruriginosa piccola rogna', ma se per te è così, transeat.
Nel fronte cristiano ci si chiese come la bontà divina poté aver permesso tale scempio senza intervenire. Come poté il Padre provvidente abbandonare la sua più bella creatura nelle fornaci dell'inferno. Evidente che qualcosa nella concezione cristiana del Dio infinitamente buono ha preso a scricchiolare.

La sofferenza dell'innocente è una gratuità obbrobriosa della creazione. Non è possibile eludere la domanda del suo perché.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Phil il 17 Giugno 2017, 17:26:45 PM
Interessante osservare come "dio è morto" venga (quasi) sempre inteso come "dio è stato ucciso": la sua morte viene intesa dunque come morte violenta, non "naturale"... e se fosse morto semplicemente di "vecchiaia"?
Impossibile: dio, in quanto tale, non può morire di vecchiaia... ma è forse più plausibile che muoia allora per mano di un mortale (che poi non riesce ad elaborarne totalmente il lutto)? 
Se è un dio immortale, non può morire (sebbene possa morire l'"amore" per lui); se è un dio mortale, allora può anche morire per "raggiunta scadenza", no?  ;)
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 17 Giugno 2017, 17:30:32 PM
Ogni anno assistiamo a decine di supernova, esplosioni che si protraggono per mesi per distanze di migliaia di anni luce eiettando materiale altamente radiattivo alla velocità della luce innescando reazioni termonucleari a catena disintegrando intere porzioni di spazio cosmico pari anche migliaia di volte il nostro sistema solare. Forse non ci abita nessuno li e Dio sta solo giocando all'artificiere in zone disabitate, ma se fosse il contrario e ci fossero anche solo lombrichi, l'olocausto non è esattamente il capo di imputazione più grave per il nostro Carissimo. Tuttavia, attiva i nostri meccanismi riflessivi\empatici. Evidentemente i nostri precetti morali che ci aiutano a sopravvivere come esseri sociali e locali, non hanno niente a che fare con realtà ultime o con significati intrinsechi alla materia. L'unica cosa che disturba di quel video è immaginarsi al posto della gazzella, sostuirsi e immaginare di vivere le sofferenze della gazzella, ma se non fosse per questo gioco di prospettive dove noi diventiamo il cucciolo, saremmo tranquillamente capaci di comportarci come il bonobo (casistica ampiamente documentata). Gran parte dello scandalo del video scompare se al posto della gazzella c'è un pesce, semplicemente perchè per noi è meno difficile empatizzare con un pesce. Questo non ci rende buoni, ne rende buono o cattivo Dio, le cose vanno semplicemente cosi.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 17 Giugno 2017, 17:38:27 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 16:18:56 PM
Citazione di: Sariputra il 17 Giugno 2017, 09:50:12 AMSe Dio è morto, ammazzato dall'uomo, non vedo alcuna ragione perché l'uomo non debba ammazzare anche se stesso, come sta facendo in effetti dall'inizio della sua avventura disgraziata su questo pianeta. Sarebbe curioso non avere alcun riguardo nell'accoppare Dio e poi farsi scrupoli nell'accoppare i propri simili, che sono concretamente molto più fastidiosi di un Dio silenzioso e nascosto. Hai voglia il paragone tra un Dio pacifico e che si fa i fatti suoi e i tuoi simili che ti ronzano attorno, ti si attaccano come zecche, e ti costringono continuamente a trovar compromessi esilaranti per poter sopravvivere. Almeno, seppur immaginario, l'amore di un Dio è per sempre; ma c'è o c'é stato qualche poveraccio, su questa Terra, a cui l'amore sia durato più del tempo di una breve stagione? Insomma , aver ammazzato Dio non sembra aver cambiato nulla dell'attitudine umana a crear rogne, semmai ha confuso ancor di più le carte, visto che adesso ogni cristo rivendica come vera e sacrosanta la propria personale e pruriginosa piccola rogna. Forse..."furono le mosche a farcelo capire"...che ormai era tempo di usare il DDT?
Guarda che è la sofferenza gratuita a decretare la morte di Dio, non certo la volontà dell'uomo. Dopo gli obbrobri di Auschwitz l'intera teologia, cattolica e riformata, si è posta di fronte a questo dilemma. Non mi pare che l'Olocausto possa essere definito 'pruriginosa piccola rogna', ma se per te è così, transeat. Nel fronte cristiano ci si chiese come la bontà divina poté aver permesso tale scempio senza intervenire. Come poté il Padre provvidente abbandonare la sua più bella creatura nelle fornaci dell'inferno. Evidente che qualcosa nella concezione cristiana del Dio infinitamente buono ha preso a scricchiolare. La sofferenza dell'innocente è una gratuità obbrobriosa della creazione. Non è possibile eludere la domanda del suo perché.

Ma Vittorio, ti risulta per caso che ci fu un tempo nel quale un qualche Dio intervenne in soccorso dell'"innocente"? Se il Dio di cui si è decretata la morte, cioè quello cristiano, non è intervenuto nemmeno per salvare il suo figliolo, perché stupirsi della sua latitanza ? Forse non è nel suo "stile"...o forse c'è dell'altro, che noi non riusciamo a concepire avendo una visione estremamente parziale di ciò che ci circonda. Si potrebbe obiettare, a coloro che necontestano l'operato, che è assai presuntuoso per l'argilla sollevarsi e chiedere conto all'abile vasaio del perché viene impastata in un certo modo, in quanto l'argilla non riesce ad immaginare la bellezza compiuta del vaso che è già nella mente dell'abile vasaio. L'argilla innocente cotta nel forno dell'odio umano potrebbe avere un destino, impastata nelle mani del vasaio, ben migliore di quella aguzzina che, soppesata e vista come troppo secca per poter essere lavorata, potrebbe venir gettata nel cesto delle cose inutili che l'Artigiano tiene sempre appresso...
Non si può eludere la domanda del perché del dolore innocente, ma la risposta potrebbe non aver trovato alcuna lingua mortale adatta a spiegarla...c'è sempre un uomo appeso su quella croce e quando amo...non riesco a farlo senza portare dentro anche un grande dolore.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
Mi pare proprio che non ci siamo.

La sofferenza denuncia e rende manifesta all'uomo la morte di Dio poiché, per il solo fatto di esserci ed essere anche una gratuità inessenziale, rende Dio inessenziale. Se il dolore ha una sua funzione, che è quella di avvertire circa un disequilibrio fisico o morale, la sofferenza – nella fattispecie quella degli innocenti di Sabra, Chatila, Auschwitz, Vermicino e i mille altri obbrobri che hanno insanguinato la terra rendendola inospitale, perlomeno in relazione alle vittime sacrificali – non ha alcuna funzione, né fisiologica, né morale. Anche la Morte è funzionale alla Vita. La sofferenza si presenta, invece, in tutta la sua torbida inutilità. Non ha e non può avere una funzione pedagogica, men che meno è utile ai fini della preservazione della Vita.

Con la sofferenza è stato inoculato nella Creazione un baco putrescente che ne offusca la bellezza e intorbida l'atto stesso compiuto da Dio, collocandolo così in un ambito fosco ed ambiguo.

Il diritto alla maledizione nei confronti di chi perpetrò simile ingiuria non può che essere riconosciuto a tutte le vittime che hanno patito ed avvertito nella viva carne la beffa di essere venute al mondo con l'unica funzione di rappresentare il balocco di un Dio ozioso.

Solo la morte preserva Dio dal dover rispondere delle nefandezze perpetrate a danno della sua più bella creatura.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 17 Giugno 2017, 23:53:36 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PMMi pare proprio che non ci siamo. La sofferenza denuncia e rende manifesta all'uomo la morte di Dio poiché, per il solo fatto di esserci ed essere anche una gratuità inessenziale, rende Dio inessenziale. Se il dolore ha una sua funzione, che è quella di avvertire circa un disequilibrio fisico o morale, la sofferenza – nella fattispecie quella degli innocenti di Sabra, Chatila, Auschwitz, Vermicino e i mille altri obbrobri che hanno insanguinato la terra rendendola inospitale, perlomeno in relazione alle vittime sacrificali – non ha alcuna funzione, né fisiologica, né morale. Anche la Morte è funzionale alla Vita. La sofferenza si presenta, invece, in tutta la sua torbida inutilità. Non ha e non può avere una funzione pedagogica, men che meno è utile ai fini della preservazione della Vita. Con la sofferenza è stato inoculato nella Creazione un baco putrescente che ne offusca la bellezza e intorbida l'atto stesso compiuto da Dio, collocandolo così in un ambito fosco ed ambiguo. Il diritto alla maledizione nei confronti di chi perpetrò simile ingiuria non può che essere riconosciuto a tutte le vittime che hanno patito ed avvertito nella viva carne la beffa di essere venute al mondo con l'unica funzione di rappresentare il balocco di un Dio ozioso. Solo la morte preserva Dio dal dover rispondere delle nefandezze perpetrate a danno della sua più bella creatura.

Beh...se il Dio cristiano non esiste non può certo morire e se invece esiste noi non abbiamo alcun potere per decretarne la morte. Al massimo , nel caso esista, possiamo decretare la morte della nostra fiducia in Lui, o della speranza riposta in Lui, o dell'amore che Gli riserviamo. Non vedo nemmeno come potremmo trascinare in giudizio Dio "a dover rispondere delle nefandezze perpetrate a danno della sua più bella creatura" ( questa "bellezza", detto tra noi, mi sembra la veda tu e qualche altro, ché a me questa "creatura" sembra tutt'altro che bella...) se non come mero esercizio filosofico o letterario. Mi sembra che , nel caso, ci sia una certa disparità di 'potenza' tra creatura e creatore che, ovviamente, avrebbe buon gioco a prenderci a sacrosante pedate nel culo ( per inciso , molto meritate, visto che gli orrori verso gli "innocenti di Sabra, Chatila, Auschwitz, Vermicino e i mille altri obbrobri che hanno insanguinato la terra rendendola inospitale" mi sembra siano stati perpetrati dalla "bella creatura" umana senza alcun aiuto del povero Dio, al quale si può imputare solo la tendenza  a"lasciar fare" per incapacità manifesta di preferire una all'altra delle sue creature, amando il carnefice allo stesso ugual modo della vittima, cosa che trovo "divina", visto che a noi decisamente non riesce...anche perchè ci sembra piuttosto "ingiusta"...). Vedi , provando con la fantasia ( che altro non possiamo fare...) a metterci nei panni di Dio, e quindi avendo una visione d'insieme assai più completa di quella limitata della creatura, potrebbe benissimo darsi il caso che quella che ci appare come vittima venga abbondantemente "pesata" nella bilancia  della giustizia divina , mentre quella che ci appare come carnefice abbia un limitato peso specifico ( non so se la metafora è chiara...) così che, alla fine, nell'insieme, le parti si capovolgano e ciò che era carnefice si risolva a dover esser vittima ( dell'incazzatura divina...perchè sembra che abbia anche Lui quel quarto d'ora che Gli girano...).
A parte gli scherzi, mi sembra che dovremmo chiederci perché l'essere umano non riesca ad uscire dalle proprie brame, dai propri odi e dalle proprie illusioni e anzi le ami, le coltivi , le giustifichi arrivando ad incolpare un Dio nascosto per il proprio dolore che viene generato da queste robuste radici che crescono in noi e di cui non vogliamo liberarci, temendo forse di perdere l'illusione di essere delle "belle creature"...
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Phil il 18 Giugno 2017, 00:07:09 AM
@Vittorio Sechi

Chiedo chiarimenti, per mettere a fuoco le tue considerazioni:
Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
La sofferenza denuncia e rende manifesta all'uomo la morte di Dio poiché, per il solo fatto di esserci ed essere anche una gratuità inessenziale, rende Dio inessenziale
Se la sofferenza è inessenziale, perché un dio sarebbe di conseguenza inessenziale? Dio può essere inteso anche diversamente da una mera giustificazione esistenziale della sofferenza (inversamente, i buddhisti affrontano la sofferenza senza implicare dio...).

Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
Se il dolore ha una sua funzione, che è quella di avvertire circa un disequilibrio fisico o morale, la sofferenza [...] non ha alcuna funzione, né fisiologica, né morale.
Se, parafrasando, il "dolore" è funzionale poiché avverte circa un disequilibrio fisico o morale, cosa si intende invece per "sofferenza" (priva di funzione)?

Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
La sofferenza si presenta, invece, in tutta la sua torbida inutilità. Non ha e non può avere una funzione pedagogica, men che meno è utile ai fini della preservazione della Vita.
Se la sofferenza è inutile, è inutile anche il suo opposto?
E qual'è il senso di coniugare la sofferenza con il criterio razionalistico di utilità?
D'altronde, non tutto ciò che "esiste" (nel senso più ampio e trasversale della parola) si basa su (o può essere spiegato con) l'utilità...

Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
Con la sofferenza è stato inoculato nella Creazione un baco putrescente che ne offusca la bellezza e intorbida l'atto stesso compiuto da Dio, collocandolo così in un ambito fosco ed ambiguo.
Con "Creazione" alludi al creazionismo (dio-creatore, uomo-creatura-prediletta, etc.), per poi rovesciare la gerarchia e giudicare tu stesso l'operato divino e persino tutto il senso della creazione, "balocco di un dio ozioso" (cit.)?
Quindi dio sarebbe una creatura molto potente (creatore) ma mortale (almeno metaforicamente e guardando dalla prospettiva umana), che per diletto ha messo in circolo la sofferenza, che si rivela proprio ciò che lo "uccide" (rendendolo "inessenziale")... insomma, un dio che per suicidarsi ha scelto come uscita di scena "la strada lunga"  ;D

Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
Il diritto alla maledizione nei confronti di chi perpetrò simile ingiuria non può che essere riconosciuto a tutte le vittime che hanno patito ed avvertito nella viva carne la beffa di essere venute al mondo con l'unica funzione di rappresentare il balocco di un Dio ozioso.
La maledizione stessa che senso ha, se la divinità che dovrebbe essere garante della maledizione dei colpevoli è connivente con essi (o almeno lo è rimasta prima di morire) essendo essi una manifestazione della sofferenza che dio ha "inoculato"(cit.) nella sua creazione/creatura?
La succitata "funzione" (cit.) richiama il suddetto criterio di utilità, entrambi squisitamente umani, ma sono davvero funzionali ad un discorso teo-logico?

Infine, mi incuriosisce la denotazione di "innocenti" (talvolta, ma qui non mi riferisco a te, abusata retoricamente in virtù del suo fascino religioso):
Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
innocenti di Sabra, Chatila, Auschwitz, Vermicino e i mille altri obbrobri che hanno insanguinato la terra rendendola inospitale
chi sono dunque i morti non innocenti? Quelli uccisi dalla pena di morte per le loro colpe? Quelli che muoiono dopo averne combinate di cotte e di crude (e chissà se ce n'era qualcuno anche a Auschwitz...)?
L'innocenza presuppone una potenziale colpa non posseduta, e la colpa chiama in causa un giudice e dei criteri di giudizio, inevitabilmente relativi e arbitrari... salvo credere nella perfezione del giudizio divino, ma se
Citazione di: Vittorio Sechi il 17 Giugno 2017, 22:25:26 PM
Solo la morte preserva Dio dal dover rispondere delle nefandezze perpetrate a danno della sua più bella creatura.
allora sembra che anche dio abbia rischiato di finire sul banco degli imputati, eppure chi lo può giudicare? Se dio era il giudice che ci attendeva nel post mortem, ora che è "morto" (già, da innocente anche lui o no?  ;) ) c'è un meta-dio che lo giudicherà?

P.s.
Mi scuso per la grandinata di domande, ma spero mi aiutino a capire meglio il tuo spunto di riflessione  :)
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 18 Giugno 2017, 08:55:34 AM
Citazione di: Phil il 17 Giugno 2017, 17:26:45 PMInteressante osservare come "dio è morto" venga (quasi) sempre inteso come "dio è stato ucciso": la sua morte viene intesa dunque come morte violenta, non "naturale"... e se fosse morto semplicemente di "vecchiaia"? Impossibile: dio, in quanto tale, non può morire di vecchiaia... ma è forse più plausibile che muoia allora per mano di un mortale (che poi non riesce ad elaborarne totalmente il lutto)? Se è un dio immortale, non può morire (sebbene possa morire l'"amore" per lui); se è un dio mortale, allora può anche morire per "raggiunta scadenza", no? ;)

" Dio è stato ucciso" esprime in maniera più potente l'odio che l'uomo manifesta verso il proprio destino, imputato ad un "creatore" che appare più un demiurgo che un padre amorevole; un essere come quello descritto da Platone nel Timeo per intenderci. Ma mi sembra una visione che abbia poco a che fare con quella cristiana, in cui prevale la com-partecipazione di Dio alle umane sofferenze. In questa visione le lunghe file di "innocenti" che aspettano di essere gasati fuori da una baracca di un campo di sterminio sono il Cristo stesso che aspetta di entrare...il Cristo stesso soffoca con il bimbo nel pozzo di Vermicino...è lo stesso Cristo che ci osserva attraverso gli occhi spenti di un bimbo nato cerebroleso, quasi a interrogarci: "E adesso...che fai?".
Follia? Certo! Tutto il Cristianesimo è pura follia, ma è inutile nasconderci che è proprio il fascino di questa follia che ha attratto molti uomini attraverso i secoli. Perché?...Forse c'è qualcosa che risponde, da qualche parte dentro di noi, a questa specie di filo rosso che lega l'agape alla sofferenza?...
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 09:53:06 AM
Può essere utile osservare che il problema della teodicea, pur essendo stato affrontato ormai da migliaia di anni (basti pensare come esempio al libro di Giobbe), non ha mai ricevuto risposte in grado di reggere alla critica. Dopo quanto si è riflettuto e meditato in così lungo tempo, sarà ben difficile apportare argomentazioni a cui non siano già state contrapposte obiezioni che le demoliscono. Lo stesso libro di Giobbe è tutto un dibattito, con i suoi amici che cercano di difendere Dio e Giobbe che demolisce una ad una le loro argomentazioni; e col libro di Giobbe siamo già intorno al sesto secolo avanti Cristo. Nel libro di Giobbe alla fine interviene Dio stesso, chiamando in causa la piccolezza di Giobbe, la sua incapacità strutturale a capire le cose infinite, grandi e misteriose di Dio; ma anche quest'autodifesa di Dio si demolisce in un attimo con qualche osservazione critica. Da prete sapevo benissimo che non c'era risposta al problema della teodicea e quindi non m'imbarcavo in argomentazioni che io stesso sapevo già demolite nel corso dei secoli. Giustificavo la mia fede con la mia libera scelta: pur sapendo che Dio è indifendibile, dicevo, a me stesso e agli altri, che tuttavia le esperienze d'amore ricevute da lui mi avevano fatto propendere per la scelta di credere in lui e seguirlo. D'altra parte, come per la questione sull'esistenza o meno di Dio non esistono argomentazioni resistenti né per stabilire che esiste, né per stabilire che non esiste, allo stesso modo per la teodicea non esistono argomentazioni resistenti: all'ateo, così come al credente, si può sempre rispondere che egli non ha possibilità di sapere se nella sua scelta sta perdendo di vista qualche elemento importante.

In questo senso non rispondo a tutte le argomentazioni di difesa di Dio qui presentate solo per non accendere polemiche infinite: ad ogni obiezione sarebbe sempre possibile infatti contrapporne sempre qualcun'altra, all'infinito. L'unica argomentazione a cui non si può contrapporre nulla è la libera scelta basata sull'esperienza: questa non può essere demolita perché non è un ragionamento, un'argomentazione, ma un'esperienza.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Phil il 18 Giugno 2017, 11:12:37 AM
Citazione di: Sariputra il 18 Giugno 2017, 08:55:34 AM
" Dio è stato ucciso" esprime in maniera più potente l'odio che l'uomo manifesta verso il proprio destino, imputato ad un "creatore" che appare più un demiurgo che un padre amorevole
Già, e l'odio è sempre un boomerang: l'uomo prova rancore verso un dio che egli stesso ha "ucciso" per aver permesso la sofferenza, e il risultato è aggiungere il "lutto divino" ai lutti umani... per cui ci risiamo (Cristo docet): la divinità funge da capro espiatorio per le colpe dell'uomo (contro l'uomo stesso stavolta...).
Sarebbe poi avvincente provare a declinare tutte le "morti di dio", quella di Nietzsche non è quella di Guccini, e magari ce ne sono altre...

Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 09:53:06 AM
L'unica argomentazione a cui non si può contrapporre nulla è la libera scelta basata sull'esperienza
E nemmeno: anche sul libero arbitrio il dibattito è ancora problematico (ma questo ci porterebbe off topic...).
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
Citazione di: Phil il 18 Giugno 2017, 11:12:37 AME nemmeno: anche sul libero arbitrio il dibattito è ancora problematico (ma questo ci porterebbe off topic...).
Si può discutere sulle idee che abbiamo riguardo al libero arbitrio e all'esperienza, ma non sull'azione in sé di compiere delle scelte e vivere delle esperienze. Azione in sé significa che io dico: "Voi discutete pure, nel frattempo io procedo nelle mie scelte". Esperienza in sé è come quando uno si scotta, esprime la sua esperienza dicendo "Ahi!" e ritrae la mano. Anche in questo caso, colui che ritrae la mano è come se dicesse "Voi discutete pure, nel frattempo io intanto salvo la mia mano".

Ciò avviene perché l'azione di compiere scelte e vivere esperienze è, appunto, azione, non è un'argomentazione. A un'argomentazione si può rispondere con un'altra argomentazione, ma a un'azione o un'esperienza non si può rispondere con un'argomentazione, perché mentre tu argomenti l'altro ha già portato a termine la sua azione o esperienza. Dopo che l'ha portata a termine si potrà discutere sulle idee che ci siamo fatti su quell'azione o esperienza, ma intanto azione ed esperienza sono ormai state portate a termine e continueranno anche in futuro ad essere portate a termine, perché, trattandosi di azioni pure, non attendono argomentazioni per essere portate a termine.

Ciò potrebbe sembrare fanatismo, ma lo sarebbe nel caso in cui l'agente rifiutasse in qualsiasi momento ogni confronto argomentativo; ma io posso benissimo portare avanti un'azione qualsiasi e poi rendermi disponibile a qualsiasi discussione. D'altra parte, agire senza attendere argomentazioni è per molti versi necessario all'esistenza, è la natura ad averci fatti così: hanno avuto e continuano ad avere successo nel mondo della natura quegli esseri che, riguardo a certe azioni, non hanno atteso argomentazioni di sorta. Questo dovrebbe farci riflettere sulla grande limitatezza dell'argomentare: a volte siamo tentati di pensare che trovando qualche argomentazione strategica, chissà, riusciremmo a risolvere tanti grandi problemi; ma la natura mostra che molti (non tutti) grandi problemi dell'esistenza sono stati risolti proprio grazie al mettere da parte qualsiasi argomentazione e agire subito.

In questo senso chi dica "Voi discutete pure, intanto io faccio la mia scelta di credere nel mio Dio e praticarne il culto" non può essere accusato su due piedi di fanatismo. Lo stesso vale riguardo al problema della teodicea: io ho scelto di essere ateo, ma so che non avrò mai argomentazioni definitive per chi è credente e quindi ha scelto di seguire Dio, pur sapendo lui stesso che il suo Dio non fornisce risposte valide al problema della teodicea.

Credo che la consapevolezza di tutto ciò sia importante per evitare di sprecare tempo in argomentazioni pro o contro Dio che ormai sono già state esplorate, dissezionate, criticate da millenni e sulle quali è ormai chiaro che nessuna di esse è in grado di apportare contributi definitivi, conclusivi al dibattito.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:49:40 AM
Da questo punto di vista, ciò che ho fatto sopra, utilizzando il video sul babbuino e riferendomi all'Olocausto, non è da considerare un argomentare, ma un fare appello alla sensibilità. Sapendo che l'argomentare non riesce ad essere per niente conclusivo, scelgo la via del confronto delle esperienze (io racconto le mie, tu racconti le tue) e del conseguente confronto delle sensibilità.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Phil il 18 Giugno 2017, 12:35:52 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
Si può discutere sulle idee che abbiamo riguardo al libero arbitrio e all'esperienza, ma non sull'azione in sé di compiere delle scelte e vivere delle esperienze.
Il ritrarre la mano dal fuoco non è una scelta della volontà, ma un gesto istintivo, ovvero non ponderato ma fisiologicamente automatico (almeno in gran parte dei casi). Il problema della libertà e dell'arbitrio nasce invece quando si sceglie con la ragione... ad esempio, si sceglie un atteggiamento del tipo
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
"Voi discutete pure, nel frattempo io procedo nelle mie scelte"
scelta più che lecita e condivisibile, ma sulla cui libertà è ancora aperto il "dibattito problematico" a cui accennavo (non si discute sul fatto che sia stata realmente compiuta una scelta, e di conseguenza un'azione, ma si può discutere molto sul perchè e con quanta libertà si sia scelto proprio in quel modo...).


Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
l'azione di compiere scelte e vivere esperienze è, appunto, azione, non è un'argomentazione. A un'argomentazione si può rispondere con un'altra argomentazione, ma a un'azione o un'esperienza non si può rispondere con un'argomentazione, [...] trattandosi di azioni pure, non attendono argomentazioni per essere portate a termine.
Sulla questione dell'argomentare, osserverei che c'è sempre un'argomentazione implicita alla base di una scelta ragionata (non istintiva); magari non è un'argomentazione esposta in un dibattito, magari è solo una riflessione interiore (inconscia o meno), un attimo di pausa riflessiva (e, in fondo, ragionare non è comunque argomentare nella solitudine della propria testa?).
Per cui, secondo me, rilevare come
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
agire senza attendere argomentazioni è per molti versi necessario all'esistenza, è la natura ad averci fatti così: [...] molti (non tutti) grandi problemi dell'esistenza sono stati risolti proprio grazie al mettere da parte qualsiasi argomentazione e agire subito
fraintende l'"agire subito" con il "non averci pensato", non aver argomentato/ragionato, ma spesso (lasciando fuori reazioni fisiologiche-istintive) si tratta solo di usare rapidamente argomentazioni, e loro conclusioni, già elaborate in passato e cognitivamente pronte per l'uso immediato.
Esempio banale: quando devo andare al lavoro non esito prima di partire sul ragionare quale sia la strada migliore, ma parto di volata (considerando che spesso sono persino in ritardo  ;D ), ma posso farlo solo perchè le prime volte ho invece ragionato su quale fosse il percorso più funzionale e ho trovato una soluzione apparentemente adeguata (e se qualcuno me la chiede, non a caso, saprei argomentarla...).

La nostra capacità mentale di ricombinare esperienze differenti, coniugando processi e soluzioni di casi separati, talvolta fa sembrare che agiamo senza ragionare di fronte ad un problema, quando invece si è trattato solo di trovare (o abbozzare) nel nostro "archivio mentale" una procedura rapidamente ragionata (e quindi argomentabile, rispondendo alla domanda "perché hai fatto proprio così e non cosà?").
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 13:08:41 PM
In effetti mi rendo conto di essermi espresso non molto chiaramente: quando dico che non è possibile argomentare contro l'esperienza non significa che non esista possibilità di discuterne, ma che non esiste possibilità di demolirla intellettivamente, perché essa in sé non è intelletto, anche se ne può essere accompagnata. Allo stesso modo, preferisco trascurare qualsiasi ragionamento, infinitesimale o meno, che preceda l'esperienza non perché esso non esista, ma perché non sarà mai comunque in grado di essere una giustificazione definitiva di tale esperienza.

A uno che dice "Ahi!" non posso controbattere niente, perché quella non è un'argomentazione, ma la narrazione di un'esperienza. Potrei dirgli che il suo "Ahi!" è illusorio, ma con ciò mostrerei di travisare il senso di quell'esclamazione: essa non intende affermare che sia metafisicamente certa l'esistenza di quel dolore, ma soltanto esprimere all'esterno una sensazione interna, noncurante del suo essere certa o dubbia.

Questo è ciò che intendo con indiscutibilità dell'esperienza: mi riferisco al fatto che essa viene narrata, non argomentata. Per lo stesso motivo non è possibile argomentare contro un romanzo: perché esso è un narrare, non un argomentare. Anche in questo caso, non sto dicendo che non sia possibile tentare di argomentare; dico che sarebbe comunque un argomentare che non potrà mai scalfire la validità di quel romanzo.

Il mio riferimento al babbuino e all'Olocausto è stato un dire "Ahi!".
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 18 Giugno 2017, 19:56:32 PM
Avrebbe avuto più senso nel forum di filosofia.
Perché è l'uomo occidentale , obeso  demiurgo di una civiltà artificiale , così lontano dalle ferocia e crudeltà della natura. Perché i lager , gli stermini di massa , nascono proprio dall'uomo senza dio, nel tempo dalla modernità della cultura , privo sempre più di etiche se non un egoismo utilitsristico.
Il demiurgo, l'onnipotente delirio di potenza, è umano.
E di propria mano e' la responsabilità
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 09:54:59 AM
Citazione di: paul11 il 18 Giugno 2017, 19:56:32 PMPerché i lager , gli stermini di massa , nascono proprio dall'uomo senza dio
Hitler si manifestò diverse volte favorevole alla religione e avverso all'ateismo. La questione delle sue credenze è complessa, ma prevedo che sarebbe facile per chiunque ribattere che la sua eventuale fede era ipocrita, che il dio di cui egli parlava non era il vero Dio, ecc. ecc. Ma questo tipo di obiezioni non apportano nulla alla discussione, perché questo avviene già all'interno stesso delle religioni: anche tra i credenti è possibile riscontrare, in caso di ipocrisia, l'accusa che ciò avviene perché si segue un dio personalizzato e non il vero Dio; oppure anche l'accusa verso se stessi, cioè un battersi il petto riconoscendosi peccatori anche in merito all'immagine che ci si è costruita di Dio. Il risultato è che è possibile sfruttare la contrapposizione tra Dio vero e déi falsi per sostenere qualsiasi argomentazione: chiunque può dire a chiunque "Tu ti comporti male perché segui un dio falso"; al dio falso può sottintendere contrapposto un Dio ritenuto vero, oppure l'ateismo.
Esistono anche ricerche scientifiche che hanno tentato di collegare certi comportamenti umani di generosità all'essere credenti o meno; ma i risultati di queste molteplici ricerche sono contraddittori, secondo alcune sono più generosi gli atei, secondo altre i credenti.

In considerazione di ciò, mi viene a risultare che il seguire o non seguire qualsiasi Dio, qualsiasi religione, non ha nulla a che vedere con il male praticato dalle persone. Semmai avviene che in secondo tempo il male viene collegato arbitrariamente, cioè senza alcuna motivazione fondata, seria, scientifica, critica, al credere o non credere in Dio.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 10:04:08 AM
Citazione di: InVerno il 17 Giugno 2017, 17:30:32 PM
...se non fosse per questo gioco di prospettive dove noi diventiamo il cucciolo, saremmo tranquillamente capaci di comportarci come il bonobo (casistica ampiamente documentata)...
Come essere umano io posso provare ad immettermi in diverse prospettive, tra cui anche una prospettiva puramente meccanicista, materialista, in cui tutto è indifferente. Qui si tratta di fare le proprie scelte: non ha importanza quale sia la natura ultima della realtà, ciò che conta è quale prospettiva si preferisce adottare. Io preferisco coltivare in me un modo di essere che sia sensibile alla sofferenza altrui e quindi tenda a fare qualcosa per toglierla o evitarla. Questa mia scelta non si basa su princìpi astratti, ma sulle esperienze che ho vissuto, la storia che mi ha formato. In questo senso non ho motivo di colpevolizzare chi si comporta diversamente: penso semplicemente che altri hanno avuto una storia che li ha formati diversa dalla mia.
Questo modo di pensare mi conduce anche a preferire il criterio di favorire nel mondo la vita del massimo numero possibile di esseri e della massima loro diversità; con la parola "possibile" intendo "nella misura in cui ciò non sia causa di sofferenza".
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 19 Giugno 2017, 11:00:09 AM
La sofferenza, quella che non ha alcuna finalità, se non l'unica di essere cagione di patimento e pianto, e che si getta nelle acque morte del Nulla, inquisisce Dio, nella veste riconosciutagli dalla tradizione ebraica e cristiana di essere il Creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili. Proprio per questa sua caratterizzazione di unico creatore di tutto ciò che c'è, Dio ha la precisa responsabilità di aver creato il Male, e di questa nefandezza deve farsi carico.
La morte di Dio non è altro che la presa di coscienza di questo dato di fatto, che non può essere scaricato sulle spalle della creazione.
 
Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. 
 
Il Male è un'esperienza di morte. Il suo essere nel mondo è una costante del pensiero e delle riflessioni dell'uomo, del suo pensare e riflettere, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.
 
Interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga se stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.
 
Per quanto ponga interrogativi, e per quanto sia a sua volta oggetto e scaturigine d'interrogazioni, è un mistero imperscrutabile, non offre un perché del suo apparire, non risponde agli accorati quesiti che l'uomo rivolge al proprio esistere, svuotato di senso e significato. 
 
La Vita stessa parla dell'innocenza esposta al male e resa sua vittima; così facendo, pone un quesito agghiacciante; perché suggerisce che il male non ha una sua intrinseca ragione sufficiente a fornirgli giustificazione e non sempre è espressione di una scelta umana. Quando aggredisce l'innocenza mordendone le carni attraverso la fame, le malattie, le carestie, le guerre e la potenza della natura pare voglia dirci che la sofferenza, il patimento, il pianto, il dolore impregnano la terra fin dalle origini. 
 
La memoria dell'uomo, la sua storia, ammonisce circa il fatto che si è sempre sofferto, patito, pianto, e non si rileva ragione alcuna che lasci presagire un'estinzione, o un'attenuazione della sua virulenza.
Credo che non vi sia un senso nel soffrire innocente, perlomeno un significato che l'uomo possa cogliere per giustificare il pianto di chi soffre. E se questo senso o significato dovesse riposare fra le braccia del Creatore, poco varrebbe intuirlo, non servirebbe a lenire il dolore che affligge e attanaglia il mondo. 'Il progetto di Diò – che guarda caso è anche il titolo di una profonda riflessione di Papa Giovanni Paolo II° - è un mistero. Questo mistero implica anche l'esistenza del male e del dolore. 
Sentire i morsi del serpente che insidia il calcagno dell'umanità rende la terra arida, desertificata, inospitale. Se il disegno superiore ha previsto il soffrire affinché attraverso il patire sia impartito alla creatura un insegnamento pedagogico finalizzato alla sua crescita, vedo nell'opera di Dio un'insanabile aberrazione. Il dolore non sempre è pedagogico, e quando lo è assolve il ruolo - mistificando e falsando il sentimento - di attenuare nel singolo, in colui che ne entra in contatto, quel senso di angoscia profonda che ci travolge ogni qualvolta si è investiti dal Male. 
Soprattutto la gratuità del dolore non è per niente pedagogica, ma, almeno in Giobbe, è un mistero cui piegarsi; nel Dostoevskij dei Karamazov, parte del disegno divino che, giacché prevede ed implica l'esistenza del male gratuito, è da rifiutare; nell'Idiota, invece, è beota rassegnazione; nella Grecia classica destino inalienabile cui si deve piegare anche la divinità. La visione tragica dell'esistenza, intesa come tensione esistenziale fra morte e vita, fra bene e male, ben presente nella Grecia classica, è istanza dell'esistenza stessa. Il Polemos greco non è il piegarsi all'invereconda protervia del male, ma presuppone una tensione costante, inestinguibile, irredimibile che neppure la croce ha potuto abolire dalla terra, rinviando la sua sconfitta ad un oltre escatologico, associando a questa promessa la speranza che 'così sia'; quanto, in definitiva, alimenta la fede dei cristiani. Resta solo da scegliere la via: credere o meno a questa promessa, nutrire una speranza ed una fede che <<è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.>> (Paolo di Tarso, Epistola agli Ebrei 11-1... anche se la lettera parrebbe non sia proprio di Paolo, ma fa pur sempre parte dei suoi insegnamenti.)
 
Dio, se esiste, forse ha crocifisso l'unigenito solo per redimere se stesso dalla grave colpa di aver gettato la sua più bella creatura (per soddisfare la curiosità di qualcuno, si tratta di una definizione direttamente tratta dalla Bibbia) all'interno di un'arena ove non è gladiatore ma sempre e solamente vittima. Nella croce ha così inteso incidere i segni della sua 'defensa'. Ma è davvero troppo il Male da Lui generato perché l'umanità si lasci blandire da una promessa di riscatto di là da venire. L'uomo non crede più all'ultimo giorno. Vede il male e in esso reperisce solo il non senso e l'assurdo della vita, non i segni di una promessa, che si svuota di significato se posta a confronto dell'originaria volontà divina che ha generato ciò da cui pretende di salvarla. 
 
Non vi è redenzione in Cristo, non vi può essere assoluzione per Dio. Il dolore del figlio è solo dolore che si somma a quello dell'umanità, e la somma di più dolori non assolve Dio dalle sue colpe.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 19 Giugno 2017, 16:00:51 PM
@ Vittori Sechi
Innanzi tutto complimenti per la qualità dello scritto e per il pathos impresso allo stesso...
E' curioso che, in assenza di contradditorio con dei credenti cristiani ( Duc credo che ormai ci abbia lasciati...), mi trovi , non a difendere, ma semplicemente a portare qualche riflessione sul tema ( visto che sono quello che ha avviato una vecchia discussione dal titolo "Ma Dio è buono o cattivo?..."e che verteva, più o meno, sullo stesso quesito). Spesso un simile atteggiamento , come il tuo o quello di Angelo Cannata, sembra il risultato di una sorta di "amore tradito" da parte di qualcuno in cui si riponeva fede o speranza, come un uomo tradito dalla donna che amava ( e che forse ama ancora?... ::)) e che invece di chiedersi il motivo per cui "se n'è andata", inveisce contro di lei e gli attribuisce tutti i mali possibili e immaginari...
Intanto bisognerebbe già porre dei paletti. Stiamo parlando della morte del Dio cristiano o della morte del concetto di Dio nel senso più ampio? Perché qui io ci vedo la tipica presunzione occidentale di ritenere che, l'unico concetto di Dio che si può e si deve ammazzare, e che valga la pena ammazzare, sia quello cristiano, l'unico che abbia veramente valore ( il tipico "razzismo spirituale" occidentale, che si somma a tutte le altre presunzioni tipiche...).Ma disponiamo di altre visioni eternalistiche di una divinità che non necessariamente è "solo amore", per es. di una dei fratelli in Abramo: l'Islam. In questa religione Dio è l'onnipotente, creatore del Tutto, del bene come del male. Il male però non è la causa ma il risultato. Questo risultato può avvenire a causa dell'uomo e del suo libero arbitrio, oppure di Satana sussurratore e dei suoi servi, oppure a causa di calamità, eventi naturali, malattie ,ecc. Ma questi eventi naturali non sono considerati "male", come invece mi sembra li tratteggi tu, bensì appaiono A NOI come male, ma in sé non sono né buoni né cattivi. Vengono cioè percepiti dal soggetto in questione come "male", ma non appaiono così ad una terza parte obiettiva. I musulmani imparano ad accettare tutto quello che gli porta il destino e dicono infatti: "Tutto viene da Allah". Tutto ciò che accade in natura avviene perché Dio (Allah) vuole che così accada, questo è quindi il modo migliore perché accada (in quella determinata maniera), senza porsi domande, o contestarlo dal punto di vista soggettivo. L'atto e il risultato dell'atto vengono quindi considerati pienamente motivati da Dio, che solo conosce il perché quel determinato atto naturale DEVE avvenire in quel modo. Questo, a mio modesto parere, è un atto di fede più completo di quello cristiano, in cui sembra quasi che la fede venga subordinata al fatto che gli eventi naturali debbano , alla fine, "soddisfarci personalmente" nel loro dispiegarsi. Il musulmano, come atto di fede, ritiene che le calamità naturali, le malattie e gli affanni del vivere non sono "male" , non c'è malvagità in essi, ma possono essere visti come "prove" e, in ogni caso, sono atti che hanno la loro motivazione in Dio, e quindi inconcepibile per noi.
Noi siamo portati a ritenere come "male" , per esempio, un bimbo nato handiccapato, per il musulmano invece questo è un fatto che ha la sua motivazione in Dio stesso e , all'uomo , sta la possibilità di interpretarlo come volontà che si manifesta in funzione di un determinato risultato che conosce Dio stesso, ma che l'uomo potrà intuire nel suo dispiegarsi e nella sua influenza sull'agire dei soggetti coinvolti ( cioè "nulla avviene per caso..."). Chiaro poi che, tutta la sofferenza provocata dall'uomo, che fa esercizio della libertà concessagli da Dio stesso (Auschwitz, Chabra e Chatila,le bombe al fosforo sopra Raqqa, gli sgozzamenti e decapitazioni, ecc.) non possono essere imputati ad Allah, che è per sua natura misericordioso, ma alla volontà malvagia della creatura umana.
Una cosa interessante, in questa visione, è il superamento del concetto di "male" , come invece lo si intende in senso cristiano o generico occidentale, come un problema di esperienza soggettiva, di frustrazione di ciò che intendiamo soggettivamente come "bene" ( ossia fondamentalmente il bene come "piacere", come qualcosa di piacevole). Se ogni atto trova la sua motivazione in Dio, e Dio non agisce in modo arbitrario e malevolo in quanto misericordioso, ne consegue che qualunque cosa mi succede "viene ed è voluta da Lui" e in quanto tale è per il mio, o l'altrui a mezzo mio, bene.
La sofferenza del vivere non è "male" ma dolore necessario ( il dolore in sé non è  né male nè bene). E qui certamente si comincia a sentire , nell'Islam, l'influenza dell'Oriente. Il "male" assume la forma del dolore, per es. nel Buddhismo, di qualcosa di difficile da sopportare, ma in sè , non essendoci un problema teistico del "male", è solo una manifestazione dei risultati dell'agire...
Spostando il focus dal concetto di "male" ( visione cristiana) a quello di "dolore", in tutte le sue sfumature, oggettive e soggettive, spostiamo, a mio parere, in un terreno meno contraddittorio la questione dell'umano soffrire...
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 19 Giugno 2017, 22:36:26 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 09:54:59 AM
Citazione di: paul11 il 18 Giugno 2017, 19:56:32 PMPerché i lager , gli stermini di massa , nascono proprio dall'uomo senza dio
Hitler si manifestò diverse volte favorevole alla religione e avverso all'ateismo. La questione delle sue credenze è complessa, ma prevedo che sarebbe facile per chiunque ribattere che la sua eventuale fede era ipocrita, che il dio di cui egli parlava non era il vero Dio, ecc. ecc. Ma questo tipo di obiezioni non apportano nulla alla discussione, perché questo avviene già all'interno stesso delle religioni: anche tra i credenti è possibile riscontrare, in caso di ipocrisia, l'accusa che ciò avviene perché si segue un dio personalizzato e non il vero Dio; oppure anche l'accusa verso se stessi, cioè un battersi il petto riconoscendosi peccatori anche in merito all'immagine che ci si è costruita di Dio. Il risultato è che è possibile sfruttare la contrapposizione tra Dio vero e déi falsi per sostenere qualsiasi argomentazione: chiunque può dire a chiunque "Tu ti comporti male perché segui un dio falso"; al dio falso può sottintendere contrapposto un Dio ritenuto vero, oppure l'ateismo.
Esistono anche ricerche scientifiche che hanno tentato di collegare certi comportamenti umani di generosità all'essere credenti o meno; ma i risultati di queste molteplici ricerche sono contraddittori, secondo alcune sono più generosi gli atei, secondo altre i credenti.

In considerazione di ciò, mi viene a risultare che il seguire o non seguire qualsiasi Dio, qualsiasi religione, non ha nulla a che vedere con il male praticato dalle persone. Semmai avviene che in secondo tempo il male viene collegato arbitrariamente, cioè senza alcuna motivazione fondata, seria, scientifica, critica, al credere o non credere in Dio.
ciao Angelo Cannata,
o non hai capito il concetto espresso nel mio post precedente, oppure stai prendendo una lente d'ingrandimento per analizzare un particolare perdendo di vista il quadro generale: perchè è solo l'occidente che pone il problema della morte di dio?
Dopo la morte di dio, l'uomo dell'occidente ha in mano il suo destino:: che bel destino! Oltre la crudeltà della natura ora c'è,come d'altra parte c' è sempre stata, una ferocia umana sui propri fratelli.Non c'è più il capro espiatore da crocifiggere . Ora chi mettiamo in croce?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 19 Giugno 2017, 22:58:31 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 19 Giugno 2017, 11:00:09 AM
La sofferenza, quella che non ha alcuna finalità, se non l'unica di essere cagione di patimento e pianto, e che si getta nelle acque morte del Nulla, inquisisce Dio, nella veste riconosciutagli dalla tradizione ebraica e cristiana di essere il Creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili. Proprio per questa sua caratterizzazione di unico creatore di tutto ciò che c'è, Dio ha la precisa responsabilità di aver creato il Male, e di questa nefandezza deve farsi carico.
La morte di Dio non è altro che la presa di coscienza di questo dato di fatto, che non può essere scaricato sulle spalle della creazione.

Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale.

Il Male è un'esperienza di morte. Il suo essere nel mondo è una costante del pensiero e delle riflessioni dell'uomo, del suo pensare e riflettere, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.

Interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga se stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.

Per quanto ponga interrogativi, e per quanto sia a sua volta oggetto e scaturigine d'interrogazioni, è un mistero imperscrutabile, non offre un perché del suo apparire, non risponde agli accorati quesiti che l'uomo rivolge al proprio esistere, svuotato di senso e significato.

La Vita stessa parla dell'innocenza esposta al male e resa sua vittima; così facendo, pone un quesito agghiacciante; perché suggerisce che il male non ha una sua intrinseca ragione sufficiente a fornirgli giustificazione e non sempre è espressione di una scelta umana. Quando aggredisce l'innocenza mordendone le carni attraverso la fame, le malattie, le carestie, le guerre e la potenza della natura pare voglia dirci che la sofferenza, il patimento, il pianto, il dolore impregnano la terra fin dalle origini.

La memoria dell'uomo, la sua storia, ammonisce circa il fatto che si è sempre sofferto, patito, pianto, e non si rileva ragione alcuna che lasci presagire un'estinzione, o un'attenuazione della sua virulenza.
Credo che non vi sia un senso nel soffrire innocente, perlomeno un significato che l'uomo possa cogliere per giustificare il pianto di chi soffre. E se questo senso o significato dovesse riposare fra le braccia del Creatore, poco varrebbe intuirlo, non servirebbe a lenire il dolore che affligge e attanaglia il mondo. 'Il progetto di Diò – che guarda caso è anche il titolo di una profonda riflessione di Papa Giovanni Paolo II° - è un mistero. Questo mistero implica anche l'esistenza del male e del dolore.
Sentire i morsi del serpente che insidia il calcagno dell'umanità rende la terra arida, desertificata, inospitale. Se il disegno superiore ha previsto il soffrire affinché attraverso il patire sia impartito alla creatura un insegnamento pedagogico finalizzato alla sua crescita, vedo nell'opera di Dio un'insanabile aberrazione. Il dolore non sempre è pedagogico, e quando lo è assolve il ruolo - mistificando e falsando il sentimento - di attenuare nel singolo, in colui che ne entra in contatto, quel senso di angoscia profonda che ci travolge ogni qualvolta si è investiti dal Male.
Soprattutto la gratuità del dolore non è per niente pedagogica, ma, almeno in Giobbe, è un mistero cui piegarsi; nel Dostoevskij dei Karamazov, parte del disegno divino che, giacché prevede ed implica l'esistenza del male gratuito, è da rifiutare; nell'Idiota, invece, è beota rassegnazione; nella Grecia classica destino inalienabile cui si deve piegare anche la divinità. La visione tragica dell'esistenza, intesa come tensione esistenziale fra morte e vita, fra bene e male, ben presente nella Grecia classica, è istanza dell'esistenza stessa. Il Polemos greco non è il piegarsi all'invereconda protervia del male, ma presuppone una tensione costante, inestinguibile, irredimibile che neppure la croce ha potuto abolire dalla terra, rinviando la sua sconfitta ad un oltre escatologico, associando a questa promessa la speranza che 'così sia'; quanto, in definitiva, alimenta la fede dei cristiani. Resta solo da scegliere la via: credere o meno a questa promessa, nutrire una speranza ed una fede che <<è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.>> (Paolo di Tarso, Epistola agli Ebrei 11-1... anche se la lettera parrebbe non sia proprio di Paolo, ma fa pur sempre parte dei suoi insegnamenti.)

Dio, se esiste, forse ha crocifisso l'unigenito solo per redimere se stesso dalla grave colpa di aver gettato la sua più bella creatura (per soddisfare la curiosità di qualcuno, si tratta di una definizione direttamente tratta dalla Bibbia) all'interno di un'arena ove non è gladiatore ma sempre e solamente vittima. Nella croce ha così inteso incidere i segni della sua 'defensa'. Ma è davvero troppo il Male da Lui generato perché l'umanità si lasci blandire da una promessa di riscatto di là da venire. L'uomo non crede più all'ultimo giorno. Vede il male e in esso reperisce solo il non senso e l'assurdo della vita, non i segni di una promessa, che si svuota di significato se posta a confronto dell'originaria volontà divina che ha generato ciò da cui pretende di salvarla.

Non vi è redenzione in Cristo, non vi può essere assoluzione per Dio. Il dolore del figlio è solo dolore che si somma a quello dell'umanità, e la somma di più dolori non assolve Dio dalle sue colpe.

Leggiti Genesi, sulla disobbedienza ,sul perchè l'uomo dovrà accettare la regola feroce e crudele della natura, e dell'assassinio di  Abele da parte del fratello Caino.
E già scritto la regola, l'ordine e il disordine.
Se tu sei in grado più di Giobbe di sapere l'imperscrutabile disegno divino.......
Il libero arbitrio è una regola fondamentale e sta già negli angeli disobbedienti che diventano demoni.la lotta fra creazione e distruzione, fra bene e male è inscritta in tutte le tradizioni religiose e spirituali.
Non si può che interpretare e scegliere.

Ma soprattutto vale la considerazione fatta precedentemente: perchè è l'uomo occidentale che decide che dio è morto?
Se dio è morto, che senso ha prendersela con un morte.Non è sparito il dolore ,la sofferenza, l'abominio nell'umanità dichiarandolo.
Questa è la contraddizione.Se dio è morto e sopravvivono gli effetti ,di chi è ora la colpa?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 00:10:15 AM
Ma quindi, a quanto sembra, tu interpreti la Bibbia in senso letterale, ritenendo che tutto ciò che vi è narrato si è verificato esattamente come è scritto?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 20 Giugno 2017, 01:20:06 AM
Direi che è ormai evidente che , Dio vivo o Dio morto, il problema è sempre quello: l'uomo stesso. Ma diciamoci la verità: qualcuno forse ne dubitava? C'era qualcuno che veramente credeva che, sbarazzandosi dell'idea di un Dio creatore, l'uomo sarebbe improvvisamente diventato qualcosa di diverso? Qualcosa di "buono"? Come si è servito dell'idea della presenza di un Dio, ora l'uomo si serve dell'idea della sua assenza ( e da bravo occidentale pretende di imporla a tutti...) per adempiere alla sua millenaria e principale occupazione: soddisfare il proprio egoismo e coltivare l' odio , quello che si potrebbe definire come l'"andazzo" consueto. E in effetti, purtroppo...l'andazzo  è sempre quello, come ben vediamo ogni giorno...
Il problema, evidentissimamente, non era Dio!... :(
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 20 Giugno 2017, 01:37:51 AM
ciao Angelo Cannata,

dio è morto, si avverte da i sensi, dlla putrefazione e dall'odore di  morte, si avverte da stermini: è solo il dio della tradizione ebraica cristiana?
Quando l'uomo occidentale ha dichiarato che dio è morto e perchè  e in quale coollocazione storico culturale?

Giobbe rientra in buon ordine sulle problematiche poste dalla teodicea.Quì siamo nella tradizione ebraica, hanno forse loro dichiarato che dio è morto?

Le spiritualità più tribali vivono all'interno della ferocia e crudeltà della natura: perchè credono e continuano a credere in "qualcosa" , anzi proprio perchè il mondo è crudele da consistenza la lor spiritualità.

Non è la morte, la ferocia, la crudeltà che hanno fatto tentennare religioni e spirtualità.Se il libro di Giobbe è dentro la Bibbia e non fuori, signiifca che è all'interno di una tradizione religiosa, è previsto che l'uomo tentenni dentro sofferenze  e dolore

E' stato un certo tipo di cultura, di filosofia e pensatori porsi il dio è morte questo non poteva che accadere nella cultura occidentale e cristiana: perchè?

Non mi tocca, non mi interessa da credente se qualcuno  ritene in sè e per sè che dio sia morto.Ma se l'imputato è stato giustiziato, ora i giudicanti devono darmi l'alternativa al puzzo attuale di morte, agli stermini avvenuti nella penisola slava,ecc.


Quindi, l'interpretazione è eminentemente nella cultura occidentale e frutto di una certa cultura filosofica.

Se poi vogliamo parlare delle cosmogonie spirituali, prima si dice ciò che scrivono .
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 01:41:10 AM
Citazione di: paul11 il 20 Giugno 2017, 01:37:51 AM
Non è la morte, la ferocia, la crudeltà che hanno fatto tentennare religioni e spirtualità.Se il libro di Giobbe è dentro la Bibbia e non fuori, signiifca che è all'interno di una tradizione religiosa, è previsto che l'uomo tentenni dentro sofferenze  e dolore
Questo non presta il fianco all'accusa di Marx contro la religione, di essere oppio dei popoli?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 01:41:43 AM
Citazione di: Sariputra il 20 Giugno 2017, 01:20:06 AM
C'era qualcuno che veramente credeva che, sbarazzandosi dell'idea di un Dio creatore, l'uomo sarebbe improvvisamente diventato qualcosa di diverso? Qualcosa di "buono"?
Non mi sembra che la morte di Dio, a cominciare da Nietzsche, sia stata ricercata con lo scopo di ottenere un uomo diverso, un modo di esistere diverso. Mi sembra che essa venga detta come un dato di fatto, addirittura indesiderato: come dire: non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di uccidere Dio, di sbarazzarci di lui, ma purtroppo il nostro cammino culturale ci ha condotto ad un mettere le cose in questione così radicale da farci risultare Dio incapace di resistere alle obiezioni umane. Noi non abbiamo fatto altro che ricercare, interrogarci, desiderare qualche comprensione. Che ci possiamo fare se in questa ricerca sono spuntate domande anche nei confronti di Dio e l'unica cosa che egli ha saputo fare è stata non rispondere? È come quando in classe si fa l'appello per vedere chi è presente: vieni chiamato non perché il professore ce l'ha con te, ma semplicemente perché si sta cercando di capire chi è presente e chi è assente. Che ci possiamo fare se, al momento di chiamare Dio, egli non ha dato alcun segno di presenza? "Dio, sto morendo!". Riposta: nessuna. Vuoi vedere che ora i cattivi siamo noi, rei di averlo invocato, rei di fare domande?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 20 Giugno 2017, 08:37:57 AM
Se un ordine naturale indica un disegno imperscrutabile   e questo è presente all'aborigeno che vive nella ferocia della natura quanto al post moderno uomo occidentale che vive nell'altrettanto ferocia delle organizzazioni umane

mi si indichi, la nuova verità e il rimedio al dolore e alla sofferenza,
mi si indica il nuovo Demiurgo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 20 Giugno 2017, 09:21:58 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 10:04:08 AM
Citazione di: InVerno il 17 Giugno 2017, 17:30:32 PM
...se non fosse per questo gioco di prospettive dove noi diventiamo il cucciolo, saremmo tranquillamente capaci di comportarci come il bonobo (casistica ampiamente documentata)...
Come essere umano io posso provare ad immettermi in diverse prospettive, tra cui anche una prospettiva puramente meccanicista, materialista, in cui tutto è indifferente. Qui si tratta di fare le proprie scelte: non ha importanza quale sia la natura ultima della realtà, ciò che conta è quale prospettiva si preferisce adottare. Io preferisco coltivare in me un modo di essere che sia sensibile alla sofferenza altrui e quindi tenda a fare qualcosa per toglierla o evitarla. Questa mia scelta non si basa su princìpi astratti, ma sulle esperienze che ho vissuto, la storia che mi ha formato. In questo senso non ho motivo di colpevolizzare chi si comporta diversamente: penso semplicemente che altri hanno avuto una storia che li ha formati diversa dalla mia.
Questo modo di pensare mi conduce anche a preferire il criterio di favorire nel mondo la vita del massimo numero possibile di esseri e della massima loro diversità; con la parola "possibile" intendo "nella misura in cui ciò non sia causa di sofferenza".
E siamo d'accordo, ma cosa significa questo relazionato a Dio e la sofferenza? Le mosche che vengono citate in questo topic mi fanno pensare immediatamente al "Signore delle Mosche" di Goldling, il "buon selvaggio", la testa di maiale, etc. Chi l'ha letto sa di cosa parlo e non mi dilungo. Il tuo intervento subito dopo si meraviglia di Dio che non fa nulla per la gazzella agonizzante.. ma il cameramen che ha fatto? Niente, ha guardato, non ha interrotto, ha rispettato l'equilibrio. Eppure era lui il "Dio" della situazione, osservando placido ciò che accadeva in una delle sue riserve, forse corroborato dall'idea che non doveva "interrompere la natura" ma rispettarla. Il problema della teodicea è teologicamente affascinante, Dio muore quando l'uomo pensa di poter essere più compassionevole di lui.. ma nel frattempo continua a comportarsi nella stessa identica maniera, creato a sua immagine e somiglianza, e non specifico chi ha creato chi, ci siamo creati "collaborativamente", siamo cresciuti insieme guardandoci allo specchio. Ora uno dei due è stufodel proprio riflesso.. Chissa come si sente Dio ora che non ha più un immagine di se, se è davvero un nostro riflesso, anche lui si sente solo come ci sentiamo noi senza di lui.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: baylham il 20 Giugno 2017, 09:22:40 AM
Dio non è morto perché non è mai esistito. 

Il dolore, la sofferenza, il male sono in parte necessari, fanno parte dell'evoluzione del nostro sistema biologico, di cui l'uomo come qualunque altro essere non ha alcuna colpa, è frutto del caso. L'ossessione di liberarci del dolore, della sofferenza, del male necessario è una dei più grandi errori umani. Si può solo agire umanamente sul dolore, sulla sofferenza, sul male che non è necessario, sul superfluo. Questo è il compito che un uomo può darsi, in primo luogo evitando di far soffrire inutilmente capri espiatori.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 20 Giugno 2017, 09:42:25 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 01:41:43 AM
Citazione di: Sariputra il 20 Giugno 2017, 01:20:06 AMC'era qualcuno che veramente credeva che, sbarazzandosi dell'idea di un Dio creatore, l'uomo sarebbe improvvisamente diventato qualcosa di diverso? Qualcosa di "buono"?
Non mi sembra che la morte di Dio, a cominciare da Nietzsche, sia stata ricercata con lo scopo di ottenere un uomo diverso, un modo di esistere diverso. Mi sembra che essa venga detta come un dato di fatto, addirittura indesiderato: come dire: non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di uccidere Dio, di sbarazzarci di lui, ma purtroppo il nostro cammino culturale ci ha condotto ad un mettere le cose in questione così radicale da farci risultare Dio incapace di resistere alle obiezioni umane. Noi non abbiamo fatto altro che ricercare, interrogarci, desiderare qualche comprensione. Che ci possiamo fare se in questa ricerca sono spuntate domande anche nei confronti di Dio e l'unica cosa che egli ha saputo fare è stata non rispondere? È come quando in classe si fa l'appello per vedere chi è presente: vieni chiamato non perché il professore ce l'ha con te, ma semplicemente perché si sta cercando di capire chi è presente e chi è assente. Che ci possiamo fare se, al momento di chiamare Dio, egli non ha dato alcun segno di presenza? "Dio, sto morendo!". Riposta: nessuna. Vuoi vedere che ora i cattivi siamo noi, rei di averlo invocato, rei di fare domande?

Ma veramente l'uomo pensava di sentire una potente voce venire dall'alto dei cieli che gli diceva: "Non temere per tutti gli accidenti che ti stanno capitando, mò ti spiego perché..."?  :)
Sarebbe semplice così ma, se io fossi Dio, creatore di questo pò pò di universo, non sarei probabilmente un tipo "semplice", e ovviamente sovrasterei le possibilità di comprensione umana in maniera così vertiginosa che non sarebbe possibile, in alcun modo, trovare un linguaggio comprensibile dall'uomo per rendere la complessità della trama e dell'ordito che vado "costruendo"...
Parabole per spiegare? Un buon sistema, con evidenti limiti legati all'interpretazione umana...
Credo che Nietzsche ( o altri pensatori), ma qui ci vorrebbero degli esperti del baffone, ritenessero che sbarazzarsi del concetto di Dio ( in particolare , ovviamente, ce l'avevano con quello cristiano...) aprisse la strada per un reale cambiamento, un ritorno alle origini o un superamento di valori ritenuti fasulli e castranti la volontà di godere dell'uomo, la realizzazione di un "uomo nuovo". Abbiamo visto che tragicamente si è avverato l'opposto, con la bestia umana che si è sentita ancor più libera di scorazzare nei campi del dolore ( anche se, oggettivamente, è impossibile capire quanta quantità di sofferenza sappiamo spartirci... :( ). Forse , da umani, si cercano delle risposte umane a cose che sovrastano infinitamente l'umano sentire?...
Tu stesso, che ti definisci spesso come un relativista, penso che concorderai che è relativa la possibilità di comprensione, da parte dell'uomo, di cose che non può contenere o immaginare.
Se sono un pesce che vive in due metri cubi d'acqua , vedendo solo le solite alghe di cui mi cibo, e mi venisse da immaginare di avere un Dio, probabilmente lo immaginerei come un grosso pesce, che vive in tanta acqua e con tante alghe. Ma come potrei immaginare che, oltre l'acqua, ci sono i monti, le vallate, l'aria e lo spazio infinito?...
In fin dei conti la fede non è il credere che, oltre la pozza d'acqua, ci sia qualcos'altro? L'uomo vuole risposte sul perché si trova nella pozza e maledice l'essere che ha immaginato lo costringa a bere l'acqua putrida, il quale però, avendo la visione dell'insieme e non solo della pozza, gli risponde solo "fidati, so quel che faccio..."
Alcuni affermano che, quando hanno cominciato a fidarsi...l'acqua della pozza stranamente non gli sembrava affatto putrida...
Saranno degli illusi?... :-\ :-\ :-\
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 10:19:13 AM
Citazione di: InVerno il 20 Giugno 2017, 09:21:58 AMma il cameramen che ha fatto? Niente
I limiti dell'uomo, chiamiamoli come vogliamo, eventualmente anche cattiveria, non offrono giustificazione al silenzio di Dio: sono due cose diverse. Ognuno deve prendersi le responsabilità proprie, non ci si può scusare dicendo che gli altri non sono migliori di noi. Dio deve prendersi le responsabilità sue, non giustificarsi col fatto che l'uomo è cattivo. L'eventuale cattiveria dell'uomo non può essere usata per giustificare il silenzio di Dio.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 10:29:22 AM
Citazione di: Sariputra il 20 Giugno 2017, 09:42:25 AMse io fossi Dio, creatore di questo pò pò di universo, non sarei probabilmente un tipo "semplice", e ovviamente sovrasterei le possibilità di comprensione umana in maniera così vertiginosa che non sarebbe possibile, in alcun modo, trovare un linguaggio comprensibile dall'uomo per rendere la complessità della trama e dell'ordito che vado "costruendo"...
Se Dio si rifugia nella sua grandezza misteriosa, irraggiungibile alla mente umana, che è la risposta con cui egli si difende alla fine del libro di Giobbe, gli si può obiettare come mai egli abbia creato un uomo con tutta questa distanza dalla comprensione di lui. Perché non creare un uomo in grado di comprenderlo? C'è da sospettare allora che abbia creato un uomo molto inferiore a lui proprio per nascondere le proprie incoerenze. Insomma, non è altro che lo stratagemma usato a volte dai politici adoperando un linguaggio di difficile comprensione, il "politichese", per scoraggiare la gente dal fare obiezioni, difendendosi sempre con l'idea "Sono cosa che tu non puoi capire". Se Dio ha creato l'uomo vuol dire che aveva intenzione di essere capito da qualcuno; che senso ha allora accusare l'uomo di essere incapace di comprenderlo?
A questo punto si potrebbe rispondere che non è che l'uomo non può capire Dio, ma è che l'uomo nel cercare di capire Dio intraprende vie sbagliate. Ma questo significherebbe che anche Gesù stesso, nel tentare di capire Dio, ha intrapreso vie sbagliate, visto che egli, non solo non è stato in grado di dare alcuna spiegazione al problema della teodicea, ma al riguardo ha protestato in prima persona contro Dio, chiedendogli come mai lo aveva abbandonato (dire che lì Gesù sta citando un Salmo non aggiunge nulla al problema in questione).

Citazione di: Sariputra il 20 Giugno 2017, 09:42:25 AM
Alcuni affermano che, quando hanno cominciato a fidarsi...l'acqua della pozza stranamente non gli sembrava affatto putrida...
Saranno degli illusi?...
Questo apre il sospetto che la religione sia oppio dei popoli, cioè abbia la funzione di accecare le menti umane in maniera che non si accorgano più del male contro cui dovrebbero lottare.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 20 Giugno 2017, 11:25:53 AM
Citazione di: baylham il 20 Giugno 2017, 09:22:40 AM
Dio non è morto perché non è mai esistito.

Il dolore, la sofferenza, il male sono in parte necessari, fanno parte dell'evoluzione del nostro sistema biologico, di cui l'uomo come qualunque altro essere non ha alcuna colpa, è frutto del caso. L'ossessione di liberarci del dolore, della sofferenza, del male necessario è una dei più grandi errori umani. Si può solo agire umanamente sul dolore, sulla sofferenza, sul male che non è necessario, sul superfluo. Questo è il compito che un uomo può darsi, in primo luogo evitando di far soffrire inutilmente capri espiatori.
posso non essere d'accordo, perchè non si capisce come esista un ordine naturale intellegibile e cosa serva esistere con tutto ciò che ne deriva: vale a dire mutano significati e sensi.

Ma è quanto meno una risposta e non un girare in giro............
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 11:40:23 AM
Che ci sia un ordine naturale è un'idea che ho visto in passato in Zichichi. Ma quale sarebbe quest'ordine naturale? In base a quale criterio sarebbe da considerare ordine, piuttosto che disordine? Vogliamo fare come quelli che vedono un ordine naturale nel fatto evidentissimo e inconfutabile che le mucche appaiono fatte apposta, in tutto e per tutto, affinché l'uomo possa mungerne comodamente il latte?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 20 Giugno 2017, 12:16:34 PM
Decretare la morte di Dio significa semplicemente statuire che Dio non è mai esistito. Perlomeno il Dio descritto nei testi sacri al cristianesimo e all'ebraismo. Significa prendere coscienza della sua inesistenza ab aeterno, cioè da sempre. È, a parer mio, proprio il Male a determinare questa presa di coscienza. 
Evidente che non leggo il testo immaginando che descriva fatti ed eventi verificatisi in maniera fattuale. La Bibbia utilizza un registro narrativo mitologico ed un linguaggio simbolico. Le lezioni di Mircea e di Girard ci hanno istruito circa l'evidenza che un mito non è mai una narrazione fantastica, fine a se stessa, quindi del tutto aliena alla realtà e ai fatti che racconta. Il mito è la modalità – surreale, forse - attraverso cui l'uomo esprime attraverso un metalinguaggio la percezione del mondo circostante. Ovverosia è il sentimento che si trasduce in narrazione. Non rileva alcunché, ai fini della validità del contenuto delle narrazioni, che gli eventi narrati siano fattuali – quindi veri e reali – oppure percepiti come tali. Ciò che rileva è la traccia lasciata sull'anima dall'avvenuta percezione. Il linguaggio simbolico (da symballein – mettere insieme) è, in questi casi, lo strumento metalinguistico necessario per tenere coesi eventi percepiti, sedimentatisi in sentimento e collocatisi nel profondo dell'anima, e la necessità di descrizione degli stessi, di fornire loro un perché. Non immagino certo di vedere, o gli Elohim forgiare l'uomo dal fango, ma è altrettanto evidente che la creazione sia percepita come un atto voluto da un Creatore.
Per quanto riguarda l'esserci del Male, credo sia utile un'attenta analisi del primo libro della bibbia, il Genesi, quello che qualcuno mi suggerisce di leggere.
Cosa troviamo in esso?
 
il Libro della Genesi c'informa che Dio, rivolgendosi all'uomo, l'ammonì: «ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Egli impartì alla propria Creatura un ordine perentorio: "non devi mangiar(ne)", riferendosi all'albero della conoscenza del Bene e del Male, perché l'uomo, cibandosi dei suoi frutti, ne sarebbe morto. Il conoscere assume qui le fosche connotazioni di una forza disgregante, che separa. Il mondano attrae e separa dal divino. Dio in origine passeggiava nel giardino dell'Eden, il che lascia ben intuire la prossimità e l'intelligenza fra Creatura e Creatore. La famosa e fantastica età aurea di cui tante culture sono impregnate.
 
Ad ogni buon conto, non credo possa essere confutato il fatto che tanto l'esistenza del Bene, rilevabile nel precedente emistichio, quanto quella del Male permeassero la Creazione fin dalle origini. Cibarsi dei frutti attinti dall'albero della conoscenza significa elevare la creatura al livello di Dio, cioè sostituire le determinazioni umane all'unica vera fonte di Verità. La disobbedienza di Adamo ed Eva si traduce così in un atto che afferma l'autonomia morale dell'uomo – creatura – rispetto al Creatore, per cui è l'uomo e non più Dio a stabilire in base alle proprie determinazioni, volta per volta, ciò che è bene e ciò che è male. Da ciò deriva che non fosse più necessario soggiacere al 'consiglio divino'.
 
Il peccato di superbia narrato in Genesi è la cifra della lacerazione che è venuta a prodursi fra terra cielo e uomo. Genesi narra non solo il mito della Creazione, ma anche quello della profonda frattura che da allora impregna il creato. L'atto di superbia si concreta nella presunzione di poter fare a meno di Dio ogni qualvolta si pone il dilemma di scegliere, di decidere per un verso o per un altro. Accedere alla superiore conoscenza del Bene e del Male, determinando così autonomamente il grado gerarchico da attribuire a ciascun 'valore' morale, significa violare il sacro (separato) ed entrare in contatto con un qualcosa che già esisteva, che già impregnava ed intrideva la Creazione, seppur forse non ancora operante. Diversamente Dio avrebbe impartito un ordine assurdo. La Creazione è opera divina, è evidente che entrambe le forze che la impregnano siano anch'esse opera divina. La Creazione, evidentemente, era "cosa molto buona" ma non certamente "perfetta", trattenendo in sé anche "cose non buone" o "cose meno buone".
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 20 Giugno 2017, 12:43:36 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 11:40:23 AM
Che ci sia un ordine naturale è un'idea che ho visto in passato in Zichichi. Ma quale sarebbe quest'ordine naturale? In base a quale criterio sarebbe da considerare ordine, piuttosto che disordine? Vogliamo fare come quelli che vedono un ordine naturale nel fatto evidentissimo e inconfutabile che le mucche appaiono fatte apposta, in tutto e per tutto, affinché l'uomo possa mungerne comodamente il latte?
e come fai a sequenziare una frase senza un ordine tuo.
come faremmo  a leggere i fenomeni fisici se non si ripresentassero in un ordine.
come faremmo a relazionarci con il mondo?
oppure il mondo gioca a carte scompigliando ogni giorno il mazzo?

dentro questo ordine sta l'interpretazione umana
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 13:58:39 PM
Questo non è altro che il primordiale dibattito tra metafisica e relativismo, dibattito insolubile, infinito, perché non esistono affermazioni a cui non sia possibile contrapporre obiezioni, e poi si potrà controbattere ancora a queste obiezioni, senza mai giungere a qualcosa di conclusivo.

Una volta che questo tipo di dibattito non riesce a portare a nulla, da parte mia preferisco dedicarmi all'attenzione non su come stanno le cose, ma verso la nostra umanità e le sensibilità che abbiamo, in altre parole verso la spiritualità.

Questo significa che quando l'altro mostra di non prendere atto, non accorgersi che potrei ribattere all'infinito a qualsiasi sua risposta, allo stesso modo come lui potrebbe fare con ciò che dico io, non mi rimane che abbandonare quel tipo di discorso. Possiamo continuare a parlare, a dialogare, ma solo se vedo che si intraprende qualche linea diversa, altrimenti l'esperienza mi dice che è solo spreco di tempo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 20 Giugno 2017, 15:01:16 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 01:41:43 AM
Citazione di: Sariputra il 20 Giugno 2017, 01:20:06 AM
C'era qualcuno che veramente credeva che, sbarazzandosi dell'idea di un Dio creatore, l'uomo sarebbe improvvisamente diventato qualcosa di diverso? Qualcosa di "buono"?
Non mi sembra che la morte di Dio, a cominciare da Nietzsche, sia stata ricercata con lo scopo di ottenere un uomo diverso, un modo di esistere diverso. Mi sembra che essa venga detta come un dato di fatto, addirittura indesiderato: come dire: non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di uccidere Dio, di sbarazzarci di lui, ma purtroppo il nostro cammino culturale ci ha condotto ad un mettere le cose in questione così radicale da farci risultare Dio incapace di resistere alle obiezioni umane. Noi non abbiamo fatto altro che ricercare, interrogarci, desiderare qualche comprensione. Che ci possiamo fare se in questa ricerca sono spuntate domande anche nei confronti di Dio e l'unica cosa che egli ha saputo fare è stata non rispondere? È come quando in classe si fa l'appello per vedere chi è presente: vieni chiamato non perché il professore ce l'ha con te, ma semplicemente perché si sta cercando di capire chi è presente e chi è assente. Che ci possiamo fare se, al momento di chiamare Dio, egli non ha dato alcun segno di presenza? "Dio, sto morendo!". Riposta: nessuna. Vuoi vedere che ora i cattivi siamo noi, rei di averlo invocato, rei di fare domande?
Le risposte ci sono. Ce le hai sotto gli occhi.
Il punto non è l'assenza di risposte.
Il punto è l'incapacità di vederle.

Per vedere le risposte occorre uscire dai canoni classici della filosofia e occorre cominciare a pensare in modo olistico.
Ad esempio: il lupo che mangia la pecora.
Agli occhi di un "moralista" questa è una scena crudele. E uno si chiede: dov'è dio?
Ma...ad uno sguardo più attento scopri che i carnivori servono a mantenere in piedi l'ecosistema. Senza i carnivori, gli erbivori si moltiplicherebbero riducendo a un deserto l'abitat. Con questo si estinguerebbero e la vita stessa sarebbe in pericolo.
Ciò che tu giudichi come "violento" e "sanguinario" (il lupo o qualunque altro predatore), in realtà è fondamentale per mantenere "l'ordine invisibile delle cose".
I carnivori mantengono "l'ordine" e, con questo ordine, preservano la vita e fanno in modo che la vita possa proseguire.
Proprio quell' "ordine" che tu non riesci a vedere.

E una risposta già l'abbiamo scoperta: "l'ordine". E ad essa si accompagna "l'intelligenza". Poichè per esistere un "ordine" deve esistere una "intelligenza" che lo ha concepito.
Scavando scavando tutte le risposte arrivano.
Certo! Occorre uscire dai canoni del "dio biblico". Il "dio biblico" è semplicemente una lettura che l'homo ne ha dato. Oggi... nel 2017, abbiamo conoscenze diverse e esperienze diverse rispetto agli uomini di 2mila, 10mila o 20mila anni fa. E possiamo vedere le risposte che cerchi sia attorno a noi che dentro di noi.

Ma mio caro Angelo....se non ti guardi in giro e se non cerchi di comprendere ciò che è sotto i tuoi occhi, difficilmente riuscirai a vedere le risposte che cerchi e che sono tutte intorno a te e sotto il tuo naso. Anche in questo momento.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: baylham il 20 Giugno 2017, 15:30:37 PM
"CIPA è l'acronimo di Congenital Insensitivity to Pain with Anhidrosis (in italiano insensibilità congenita al dolore con anidrosi[1]).

Si tratta di una patologia congenita molto rara del sistema nervoso caratterizzata fondamentalmente da assenza tattile e anidrosi (assenza della sudorazione) e quindi impossibilità di avvertire il dolore, il calore e il freddo.
Diagnosticata in età precoce, questa malattia comporta evidenti difficoltà da parte del soggetto di regolare i propri comportamenti e può portare il soggetto a contrarre traumi o malattie che vengono però riconosciuti con difficoltà a causa proprio della mancanza di dolore. Il soggetto deve essere sottoposto a particolari cure e attenzioni per evitare ferite interne che degenerino fino alla morte senza possibilità di intervenire. Il sistema nervoso è privo di nervi sensoriali, per questo non sente né il caldo né il freddo, ma comunque il soggetto possiede tutto il resto del sistema nervoso e può camminare e svolgere qualsiasi attività."

Voce tratta da Wikipedia

La necessità del dolore è chiara: se non ci fosse il dolore non saremmo qui come specie a discuterne.
Se le gazzelle gioissero ad essere divorate, fatte a pezzi, semplicemente le gazzelle sarebbero già scomparse dalla scena animale. Questa è la necessità, l'ordine, generato dal caso.
Questo ordine non piace? Cerco di migliorarlo, a partire dalla conoscenza delle sue regole, quelle che posso comprendere e su cui posso agire.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: sgiombo il 20 Giugno 2017, 21:14:18 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 20 Giugno 2017, 12:16:34 PM
Il peccato di superbia narrato in Genesi è la cifra della lacerazione che è venuta a prodursi fra terra cielo e uomo. Genesi narra non solo il mito della Creazione, ma anche quello della profonda frattura che da allora impregna il creato. L'atto di superbia si concreta nella presunzione di poter fare a meno di Dio ogni qualvolta si pone il dilemma di scegliere, di decidere per un verso o per un altro. Accedere alla superiore conoscenza del Bene e del Male, determinando così autonomamente il grado gerarchico da attribuire a ciascun 'valore' morale, significa violare il sacro (separato) ed entrare in contatto con un qualcosa che già esisteva, che già impregnava ed intrideva la Creazione, seppur forse non ancora operante. Diversamente Dio avrebbe impartito un ordine assurdo. La Creazione è opera divina, è evidente che entrambe le forze che la impregnano siano anch'esse opera divina. La Creazione, evidentemente, era "cosa molto buona" ma non certamente "perfetta", trattenendo in sé anche "cose non buone" o "cose meno buone".

Citazione
Citazione(NON E' UNA CITAZIONE MA UNA DOMANDA CHE MI VIENE SPONTANEA)

Ma (domando ai credenti e seguaci più o meno "ortodossi" delle religioni del Libro; e non ho capito se Vittorio lo sia) questo é conciliabile con la dottrina per lo meno di qualcuna delle varie religioni e chiese 
dei "discendenti spirituali di Abramo"?

Da quanto insegnatomi da bambino non mi parrebbe, per lo meno nel caso della Chiesa Cattolica.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: sgiombo il 20 Giugno 2017, 21:25:26 PM
Citazione di: myfriend il 20 Giugno 2017, 15:01:16 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 01:41:43 AM
Citazione di: Sariputra il 20 Giugno 2017, 01:20:06 AM
C'era qualcuno che veramente credeva che, sbarazzandosi dell'idea di un Dio creatore, l'uomo sarebbe improvvisamente diventato qualcosa di diverso? Qualcosa di "buono"?
Non mi sembra che la morte di Dio, a cominciare da Nietzsche, sia stata ricercata con lo scopo di ottenere un uomo diverso, un modo di esistere diverso. Mi sembra che essa venga detta come un dato di fatto, addirittura indesiderato: come dire: non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di uccidere Dio, di sbarazzarci di lui, ma purtroppo il nostro cammino culturale ci ha condotto ad un mettere le cose in questione così radicale da farci risultare Dio incapace di resistere alle obiezioni umane. Noi non abbiamo fatto altro che ricercare, interrogarci, desiderare qualche comprensione. Che ci possiamo fare se in questa ricerca sono spuntate domande anche nei confronti di Dio e l'unica cosa che egli ha saputo fare è stata non rispondere? È come quando in classe si fa l'appello per vedere chi è presente: vieni chiamato non perché il professore ce l'ha con te, ma semplicemente perché si sta cercando di capire chi è presente e chi è assente. Che ci possiamo fare se, al momento di chiamare Dio, egli non ha dato alcun segno di presenza? "Dio, sto morendo!". Riposta: nessuna. Vuoi vedere che ora i cattivi siamo noi, rei di averlo invocato, rei di fare domande?
Le risposte ci sono. Ce le hai sotto gli occhi.
Il punto non è l'assenza di risposte.
Il punto è l'incapacità di vederle.

Per vedere le risposte occorre uscire dai canoni classici della filosofia e occorre cominciare a pensare in modo olistico.
Ad esempio: il lupo che mangia la pecora.
Agli occhi di un "moralista" questa è una scena crudele. E uno si chiede: dov'è dio?
Ma...ad uno sguardo più attento scopri che i carnivori servono a mantenere in piedi l'ecosistema. Senza i carnivori, gli erbivori si moltiplicherebbero riducendo a un deserto l'abitat. Con questo si estinguerebbero e la vita stessa sarebbe in pericolo.
Ciò che tu giudichi come "violento" e "sanguinario" (il lupo o qualunque altro predatore), in realtà è fondamentale per mantenere "l'ordine invisibile delle cose".
I carnivori mantengono "l'ordine" e, con questo ordine, preservano la vita e fanno in modo che la vita possa proseguire.
Proprio quell' "ordine" che tu non riesci a vedere.
CitazioneBella consolazione per quelle tantissime creature che fanno una fine più o meno simile a quella del capriolo del filmato linkato da AngeloCannata ! ! !

E una risposta già l'abbiamo scoperta: "l'ordine". E ad essa si accompagna "l'intelligenza". Poichè per esistere un "ordine" deve esistere una "intelligenza" che lo ha concepito.
Scavando scavando tutte le risposte arrivano.
CitazioneNon trovo affatto cogente la conclusione.: perché mai la natura non potrebbe divenire ordinatamente (cioé puramente e semplicemente secondo modalità o "leggi" universali e costanti; implicanti fra l' altro anche quantità mostruose di immeritato dolore) senza alcuna "intelligenza" (se non di chi lo scoprisse o credesse di scoprirlo, non certo della natura stessa)?

Certo! Occorre uscire dai canoni del "dio biblico". Il "dio biblico" è semplicemente una lettura che l'homo ne ha dato. Oggi... nel 2017, abbiamo conoscenze diverse e esperienze diverse rispetto agli uomini di 2mila, 10mila o 20mila anni fa. E possiamo vedere le risposte che cerchi sia attorno a noi che dentro di noi.

Ma mio caro Angelo....se non ti guardi in giro e se non cerchi di comprendere ciò che è sotto i tuoi occhi, difficilmente riuscirai a vedere le risposte che cerchi e che sono tutte intorno a te e sotto il tuo naso. Anche in questo momento.
Citazione(Ammesso e non concesso da parte mia) Ripeto: Bella consolazione per quelle tantissime creature che fanno una fine più o meno simile a quella del capriolo del filmato linkato da AngeloCannata ! ! !
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 20 Giugno 2017, 21:33:46 PM
Mi limito a riportare le parole scritte sul Libro. Il Male non è un qualcosa che fa la sua comparsa a seguito della caduta, bensì era presente nella creazione ben prima. Diversamente le parole che la tradizione attribuisce a Dio non avrebbero alcun significato, poiché Egli impartisce un ordine perentorio di divieto: "dei frutti dell'albero della conoscenza del bene e del MALE non devi mangiare". Mi sembra sensato dedurre che chi scrisse Genesi, varie tradizioni sovrapposte, immaginasse che il male non fosse opera dell'uomo.  
Fra le altre cose, anche la lettura del libro di Giobbe non fa che confermare questa impostazione.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: sgiombo il 20 Giugno 2017, 21:45:35 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 20 Giugno 2017, 21:33:46 PM
Mi limito a riportare le parole scritte sul Libro. Il Male non è un qualcosa che fa la sua comparsa a seguito della caduta, bensì era presente nella creazione ben prima. Diversamente le parole che la tradizione attribuisce a Dio non avrebbero alcun significato, poiché Egli impartisce un ordine perentorio di divieto: "dei frutti dell'albero della conoscenza del bene e del MALE non devi mangiare". Mi sembra sensato dedurre che chi scrisse Genesi, varie tradizioni sovrapposte, immaginasse che il male non fosse opera dell'uomo.  
Fra le altre cose, anche la lettura del libro di Giobbe non fa che confermare questa impostazione.
CitazioneL' avevo già capito (e lo ritengo decisamente interessante).

Ma quel che mi chiedevo (per un mio interesse culturale) era se questa lettura sia compatibile con qualche ortodossia religiosa ed eventualmente ecllesiastica (o ti ritieni -per intenderci- un "libero pensatore religioso eretico" per così dire?)
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 21 Giugno 2017, 00:16:32 AM
Citazione di: Vittorio Sechi il 20 Giugno 2017, 12:16:34 PM
Decretare la morte di Dio significa semplicemente statuire che Dio non è mai esistito. Perlomeno il Dio descritto nei testi sacri al cristianesimo e all'ebraismo. Significa prendere coscienza della sua inesistenza ab aeterno, cioè da sempre. È, a parer mio, proprio il Male a determinare questa presa di coscienza.
Evidente che non leggo il testo immaginando che descriva fatti ed eventi verificatisi in maniera fattuale. La Bibbia utilizza un registro narrativo mitologico ed un linguaggio simbolico. Le lezioni di Mircea e di Girard ci hanno istruito circa l'evidenza che un mito non è mai una narrazione fantastica, fine a se stessa, quindi del tutto aliena alla realtà e ai fatti che racconta. Il mito è la modalità – surreale, forse - attraverso cui l'uomo esprime attraverso un metalinguaggio la percezione del mondo circostante. Ovverosia è il sentimento che si trasduce in narrazione. Non rileva alcunché, ai fini della validità del contenuto delle narrazioni, che gli eventi narrati siano fattuali – quindi veri e reali – oppure percepiti come tali. Ciò che rileva è la traccia lasciata sull'anima dall'avvenuta percezione. Il linguaggio simbolico (da symballein – mettere insieme) è, in questi casi, lo strumento metalinguistico necessario per tenere coesi eventi percepiti, sedimentatisi in sentimento e collocatisi nel profondo dell'anima, e la necessità di descrizione degli stessi, di fornire loro un perché. Non immagino certo di vedere, o gli Elohim forgiare l'uomo dal fango, ma è altrettanto evidente che la creazione sia percepita come un atto voluto da un Creatore.
Per quanto riguarda l'esserci del Male, credo sia utile un'attenta analisi del primo libro della bibbia, il Genesi, quello che qualcuno mi suggerisce di leggere.
Cosa troviamo in esso?

il Libro della Genesi c'informa che Dio, rivolgendosi all'uomo, l'ammonì: «ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Egli impartì alla propria Creatura un ordine perentorio: "non devi mangiar(ne)", riferendosi all'albero della conoscenza del Bene e del Male, perché l'uomo, cibandosi dei suoi frutti, ne sarebbe morto. Il conoscere assume qui le fosche connotazioni di una forza disgregante, che separa. Il mondano attrae e separa dal divino. Dio in origine passeggiava nel giardino dell'Eden, il che lascia ben intuire la prossimità e l'intelligenza fra Creatura e Creatore. La famosa e fantastica età aurea di cui tante culture sono impregnate.

Ad ogni buon conto, non credo possa essere confutato il fatto che tanto l'esistenza del Bene, rilevabile nel precedente emistichio, quanto quella del Male permeassero la Creazione fin dalle origini. Cibarsi dei frutti attinti dall'albero della conoscenza significa elevare la creatura al livello di Dio, cioè sostituire le determinazioni umane all'unica vera fonte di Verità. La disobbedienza di Adamo ed Eva si traduce così in un atto che afferma l'autonomia morale dell'uomo – creatura – rispetto al Creatore, per cui è l'uomo e non più Dio a stabilire in base alle proprie determinazioni, volta per volta, ciò che è bene e ciò che è male. Da ciò deriva che non fosse più necessario soggiacere al 'consiglio divino'.

Il peccato di superbia narrato in Genesi è la cifra della lacerazione che è venuta a prodursi fra terra cielo e uomo. Genesi narra non solo il mito della Creazione, ma anche quello della profonda frattura che da allora impregna il creato. L'atto di superbia si concreta nella presunzione di poter fare a meno di Dio ogni qualvolta si pone il dilemma di scegliere, di decidere per un verso o per un altro. Accedere alla superiore conoscenza del Bene e del Male, determinando così autonomamente il grado gerarchico da attribuire a ciascun 'valore' morale, significa violare il sacro (separato) ed entrare in contatto con un qualcosa che già esisteva, che già impregnava ed intrideva la Creazione, seppur forse non ancora operante. Diversamente Dio avrebbe impartito un ordine assurdo. La Creazione è opera divina, è evidente che entrambe le forze che la impregnano siano anch'esse opera divina. La Creazione, evidentemente, era "cosa molto buona" ma non certamente "perfetta", trattenendo in sé anche "cose non buone" o "cose meno buone".
ciao Vittorio Sechi,
finalmente!
Non sei così distante dalla mia interpretazione e da ciò che conosco.
A dimostrazione che comunque avere dei punti di riferimento, in questo caso almeno una traccia di un testo sacro, possiamo almeno tentare di confrontare interpretazioni,e questo a mio parere è fondamentale per eventuali approfondimenti.

Giusto, il male è preesistente, gli Elohim conoscevano l'ordine naturale che non può conoscere il bene e il male e quindi non può avere un'etica, una morale, ma l'uomo ha un linguaggio "a immagine e somiglianza " degli Elohim, quindi ha un cervello abbastanza potente e strutturato per utilizzare i linguaggi e darà ad Adamo la possiblità di dare un nome a ciascuno essere naturale, il che significa padroneggiare la natura.
Gli Elohim sono troppo potenti rispetto al genere umano da loro creato manipolandolo geneticamente, perchè nel DNA umano c'è la parte dell'intelligenza dell'Elohim, da temerlo.Ma temono che quell'essere molto natura terrestre e poco della natura "divina" non sia capace a padroneggiare la natura stessa, temono, detto in parole povere, che abbia abbastanza potere da poterla alterare.
Per questo ordineranno a tutti gli Elohim di non trasmettere loro conoscenze. ma gli "angeli caduti" e il "serpente tentatore", così come l'invaghirsi delle femmine umane, farà decader e il dna umano nello spirito e quindi nei costumi, tanto che sarà il diluvio universale, presente in troppe tradizioni per non essere stato fattuale,
Il problema è che l'uomo è potente, ma non sa utilizzare "bene" il suo potere.E' ora un essere dotato di un linguaggio, può comunicare, può conoscere, ha una sfera della volontà e quindi è dotato di libero arbitrio, quindi può scegliere.
Ora se hai capito il male è dentro l'essere umano, ma può scegliere.La natura non ha il potere della volontà, risponde alla semplice necessità di voler vivere, di sopravvivere, quindi non ha una morale o etica.

Indirettamente Sgiombo utilizza il termine consolazione. che è un'importante chiave di lettura.

Giobbe 29:25
Quando andavo da loro, mi sedevo come capo;
ero come un re tra le sue schiere,
come un consolatore in mezzo agli afflitti.


Giovanni 16:7
Eppure, io vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò.

Ad un certo punto della storia dell'umanità compare questa figura, Gesù che è continuità (essendo ebreo della tribù di Giuda) della tradizione, ma nello stesso tempo è discontinuità poiche muta il linguaggio del messaggio, si presenta come il Consolatore finale dell'umanità e utilizza la Misericordia. Ed è questo che mi fa esser cristiano. Perchè gli Elohim, e lo Yahweh è uno di loro, non avrebbero mai dovuto creare un essere autoconsapevole per renderlo schiavo alle proprie esigenze,Avere una coscienza significa porsi il perchè del dolore e della sofferenza e del bene e del male. Gesù indica con la  parola la strada e  si rende nella pratica agnello sacrificale. Mostra all'umanità il sacrifico, ma anche la consolazione.

Ma si sappia che la trimurti e quindi la figura del male come distruttore è dentro la tradizione vedico indiana, che il demiurgo dello gnosticismo è l'artefice demoniaco. 
Chissà se ora ho creato più confusione che costruzione? E' importante rifletterci.Non ho verità assolute, non ho questa presunzione, ma alcune cose, confrontando le scelte antiche di più tradizioni, dentro i test i sacri religiosi che trasmettono saperi, storia ,statuti di popoli come per gli ebrei,emergono contraddizioni e verità

Non penso che Gesù fosse un Elohim, era qualcosa di ancora  più potente.................e sia davvero venuto a soccorrere e dare un senso al dolore dell'umanità le cui grida arrivarono  Lassù.
 Noi non veniamo dal niente per finire nel niente, per questo indico che c'è un ordine nella natura che va al di là della legge termodinamica del nulla si crea e nulla si distrugge e tutto si trasforma.Se c'è un ordine intellegibile all'uomo, c'è un signficato, c'è un smbolo, ci sono percorsi diisenso
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 21 Giugno 2017, 00:46:33 AM
È un po' lungo, me ne rendo conto.

Il Male, nell'ambito della fede cristiana ed ebraica, è percepito come parte essenziale del disegno divino. La 'crudeltà' della Natura è priva di colpa. La Natura e la Creazione sono innocenti. Il Male nel suo accadere assume le connotazioni negative che noi gli attribuiamo solo quando interseca la nostra esistenza, la nostra vita, ammorbandola e piegandola fra spasmi e gemiti. Il Male è dunque colpevole solo quando entra in relazione con l'uomo. La caduta di un fulmine in un territorio disabitato non è scaturigine di dolore, di sofferenza; diversamente se dovesse colpire e uccidere un bambino, noi ravviseremmo in questo accadere, in questa manifestazione della Natura, gli estremi per dolerci, per individuare una colpa, ancorché astratta. E se il Male è relatio, è anche corretto porsi il perché del suo manifestarsi in forme così crudeli e dolorose.

La concezione dell'esistenza che non si rivolge ad un Theos, quindi atea, imputerebbe questo accadere alla consequenzialità del verificarsi d'eventi casuali, senza rinvenire colpe da parte di alcuno. Viceversa, quando il Male si abbatte con forza e durezza con inondazioni, terremoti, fulmini, un credente, cioè una persona che poggi la propria fede sull'azione di un Dio Creatore, non può che rivolgere a Lui e solo a Lui le proprie domande e suppliche; può così piegarsi di fronte alla percezione di un ineffabile disegno superiore (Giobbe docet), oppure rifiutare di far parte di un disegno che prevede lo scatenarsi della furia di Dio a suo danno o a danno dell'umanità cui appartiene, e restituire al Creatore il biglietto d'ingresso, come racconta Dostoevskij. Io, per quel che mi riguarda, credo che non sia possibile accettare che il disegno di Dio, per quanto misterioso, possa implicare il patire e il dolore dell'innocente. Quando il Male si accanisce nei confronti dell'innocenza, assume le coloriture fosche di una forza inutile, gratuita, totalmente ed insensatamente crudele, che non è possibile accettare in forza di un misterioso progetto divino, che, pertanto, è da rifiutare.

Con il Male si rifiuta Dio stesso, si diventa atei.  

La sapienza dei Greci sapeva cogliere la tragicità della vita. Eraclito l'oscuro, qualche secolo prima di Cristo, scriveva (Frammento 8 nella versione di G. Colli):
«Dell'arco, invero, il nome è vita, ma l'opera è morte»

Assolutamente incomprensibile; eppure in esso v'è tanta saggezza e racconta con quale sagacia la sapienza antica intuisse e percepisse la crudeltà della vita. Arco e vita in greco antico avevano il medesimo suono, sono termini omofonici. L'arco è l'attributo principale del dio Apollo. Il frammento ci dice che la Vita è violenza, e il risultato di questa violenza è l'annientamento, il disfacimento, la Morte. Ci racconta anche che la violenza della vita scaturisce dall'azione di scoccare la freccia da parte del dio Apollo. La violenza della vita che genera la morte è dunque determinazione della divinità.

La vita e la morte sono consanguinee, collaterali, si compenetrano vicendevolmente. Per perpetuare se stessa, la vita ha necessità di generare la morte, la quale a sua volta è fattrice di vita. Il mezzo attraverso il quale entrambe si nutrono a vicenda è appunto la violenza, che è innocente fintanto che non interseca l'esistenza dell'uomo, fatalmente (da Fato) colpevole allorquando s'insinua nella vita degli uomini. Nell'Iliade, Agamennone per giustificare davanti ad Achille il sopruso perpetrato a suo danno d'avergli sottratto Briselide, l'amata preda di guerra, attribuisce la colpa alla divinità che gli ottuse la mente... l'uomo non ha colpa alcuna: Agamennone non fu cagione diretta dell'ira di Achille.

Eraclito, frammento [53 Diels-Kranz ]
«Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.»

Polemos, è dunque Padre e re. Da questa percezione nasce la visione tragica della vita, la dialettica inesausta che si quieta nella morte.

La vita non è stasi, non è quiete, la Natura smentisce quest'insipida visione. Ove rilevi lo splendore della natura, puoi cogliere anche il germe della dissoluzione, è come se nel medesimo istante in cui percepisci la meraviglia della Creazione, la dissoluzione, il disfacimento, la putredine bussino alla porta della coscienza per irrompere e scompaginare il tenue acquerello che ti sei creato. Quando un occhio coglie la meraviglia e la bellezza della vita, l'altro indugia sull'orrore e lo sfacelo della morte incipiente. Anche un semplice fiore al culmine dell'infiorescenza suggerisce che in quella meraviglia è instillata la morte. La vita di ciascuno di noi dovrebbe avvertire in ordine all'incontestabile fatto che vivere è approssimarsi alla morte, tanto da far dire a qualcuno che vivere è rotolare fra le braccia della morte. Allora l'esistenza è disputa, dissidio, dia-logo, Polemos.

La morte non è più un accadere ineluttabile, ma è un'entità ontologica che s'intreccia alla vita, che con essa procede e da essa è evocata.

Perché la Bibbia? Perché in essa, più che in ogni altro libro, è reso manifesto questo conflitto. L'uomo, come Dio – in ciò è possibile recuperare il significato d'immagine e somiglianza, che si riflettono nell'uomo -, è dissidio interiore, lacerazione, frattura, scissione. È Polemos. Per averne conferma basta solo guardarsi intorno, guardarsi dentro, osservare e leggere la letteratura d'ogni tempo e d'ogni latitudine. Dukkha, la Trimurti induista, ove Shiva assume il ruolo del distruttore, Zoroastro, l'Islam, il giudaismo, la poesia maledetta, la letteratura dell'Ottocento, quella contemporanea, la stessa Gita è una lunga descrizione allegorica di un evento cruento...Polemos. Insomma è possibile svariare fra e su mille diverse coloriture. Di questo stato di cose, non v'è colpa d'attribuire all'uomo, né alla Creazione; perlomeno non v'è colpa tale da meritare una sofferenza che originariamente non pertiene loro, essendo voluta e pretesa dal Creatore (chiunque Egli sia), nella Creazione instillata e lasciata prosperare.

Perché la Bibbia? Dicevo poco sopra che la Bibbia è disseminata delle tracce della germinazione del Male, soprattutto se letta alla luce della passione di Cristo. Qui si tratta d'aver cognizione di racconti ritenuti storici, non di mitologia. Il Padre che sulla croce abbandona il Figlio, patendo di quest'abbandono e soffrendo in sé, nell'anima, le trafitture inflitte alla carne del Figlio, è lo stesso Padre che ad Auschwitz abbandona gli altri suoi figli, patendo e soffrendo di questo storico abbandono, intuendo (dall'etimo sentire o guardare dentro, nell'intimo, nel profondo) le trafitture che avviliscono carne ed anima degli innocenti – gli agnelli della storia –, epigoni dell'unigenito in croce, immolati ad onorare funestamente una Creazione monca, difettata, viziata dal Male originario che in Dio non può essere che costitutivo. Solo così si può spiegare lo scandalo del Dio in croce: sofferente, morente. Il Padre abbandona il Figlio sofferente sulla croce, ma ad essere abbandonato è il Padre stesso; il Figlio è abbandonato, al tempo stesso è colui che abbandona. Sulla croce si consuma la dilaniante tragedia di Dio, il Polemos divino: Egli vive nel presente storico della crocifissione il proprio eterno inferno a-temporale, sempre presente, sempre vivo; allo stesso modo, noi, nella nostra finitudine, nel corso della nostra limitata e finita esistenza, viviamo l'eco di quel dilaniante eterno inferno: viviamo il nostro limitato e finito inferno.
Dio entra nella storia dell'uomo.

La teologia della croce insegna che il Dio sofferente sulla croce è lo stesso che patisce il dolore dei tanti altri suoi figli abbandonati nei lager, nelle camere di tortura, per le strade di San Paolo, nelle più oscure pieghe di una Creazione che geme e soffre. Sulla croce si consuma il tragico paradosso dell'ateismo di Dio: Egli si allontana e separa da se stesso, abbracciando il male mondano.

Lo scandalo del Dio crocifisso è anche lo scandalo dell'aporia di un Dio ateo: quanto di più inconcepibile ed incomprensibile per il giudaismo e per l'islamismo, e quanto di più alieno dalla filosofia orientale del 'Tutto' che lambisce il panteismo. In questo scandalo, come giustamente lo definì Paolo di Tarso, espresso nel doloroso urlo di scoramento del Figlio, si raggruma il Male del mondo; il Male ontologico e metafisico di Dio si fa ontico, divenendo un tutt'uno con quello reale, concreto, visibile, palpabile, innegabile della creazione, della natura, del mondo, dell'uomo sofferenti. Il Dio crocifisso si contrappone all'atarassico Dio di Tommaso e Agostino. Egli soffrì e soffre sulla croce eretta quotidianamente dalla storia. Da qui il nascondimento, se non addirittura la "morte di Dio". Evento, quest'ultimo, resosi manifesto nel crogiuolo di urla, dolore e gemiti eruttati dall'Olocausto – la Shoah – che espone nuda e cruda la banalità del male nella sua essenzialità più diafana e pura: senza infingimenti, senza incrostazioni.

La morte di Dio non affaccia la Creazione sulle plaghe ove imperano la disperazione e il nichilismo più cupo... non necessariamente, ciò è solo una possibilità, ma non l'unica. S'apre e si offre ad una nuova e più responsabile modalità d'interrogare l'esistenza, il vivere, il quotidiano, il contingente. Dopo ed oltre la 'morte di Diò c'è il finito dell'umana dimensione. Una modalità inusitata per l'umanità, almeno nel suo rappresentarsi in una forma ancora tutta da esplorare e non ancora compiutamente immaginata: nuova nel suo proporsi, nuova nel suo imporsi. Siamo ormai orfani di certezze che la classicità greca voleva depositate fra le braccia del Superno Fato e da cui attingeva, nelle eccelse inviolate vette dell'Olimpo, nella bizzarria degli dei; orfani di certezze tributate e attinte dall'imperante monocorde revelatio ecclesiastica; orfani ed erranti nella storia; orfani di Dio incediamo, irrompiamo, siamo scaraventati entro un'area resa sgombra di false verità universali, noumeniche, immarcescibili, immutabili; in essa incediamo esitanti e perplessi, timorosi e incerti con passo ateo; area ove germogliano paradossalmente spiritualità e religiosità che non si sporgono a lambire o violare suadenti ipostasi collocate in un oltre escatologico, in un aldilà impregnato di speranza. Religiosità e spiritualità che interrogano non più oscure divinità, ma la finitudine e la limitatezza dell'uomo non più inscritte e de-finite in e da una deità distante, distratta e lontana dalla croce dell'uomo e dalla sua sofferenza, sebbene anch'essa sofferente.

Spirito, religiosità e trascendenza che interrogano la responsabilità dell'uomo, suscitandola, appellandola, pretendendola, coltivandola senza che vi siano più vane preghiere rivolte a colui che è morto suicida (<<Dio non è morto, si è suicidato>> E. Cioran).

Una responsabilità nuova che non svela il mistero del dolore e non lo dissipa, ma che almeno è libera di piegare le proprie ginocchia non per osannare i cieli in un'ipostasi d'illusione di certezza, di speranza e di redenzione, ma solo s'inchina sotto il peso dell'immane fatica di vivere. Un vivere impregnato di paure che affondano le loro radici nell'ombra oscura dell'ignoto da esplorare, e da qui emergendo per violare, per spostare un sospiro oltre quel tratto di matita che è limine e luogo privilegiato di reciproca osservazione e ammiccamento fra oscurità dell'ignoto e parvula luce del già svelato; limine che è anche varco d'ingresso di una fioca luce d'intuizione che rischiara quell'ulteriorità che sta' oltre la soglia: una trascendenza che sposta i suoi confini senza che la propria incommensurabile ampiezza patisca arretramenti, riduzioni o compressioni di sorta. Ci sarà sempre tanto, troppo da conoscere e mai potremo percorrere fino in fondo i cammini dell'anima, tanto è profondo il suo Logos; questo ci suggerisce l'antica sapienza dell'oscuro Eraclito... teniamolo sempre bene a mente.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 21 Giugno 2017, 09:27:33 AM
ciao Vittorio Sechi,
a mio parere hai fatto un passo indietro rispetto al tuo post precedente.
Proprio perchè il male è neutrale nell'ordine della natura, il male viene da sempre imputato dalla stessa umanità come implicita nella propria "doppiezza":siamo noi angeli e demoni e fa parte della nostra natura che è in parte nell'ordine naturale e in parte nel sacro.

L'errore dell'ateo è l'incoerenza, ma già nella teoria prima ancora delle pratiche.
Non si può fondare nessuna etica e morale togliendo il "sacro", se finisce il sacro delle religioni, se finisce l afilosfia e teologia, rimane la scienza e l'uom rientra allora nel SOLO ordine naturale.

Ed è per questo che nel primo post di questa discussione avevo scritto che forse sarebbe stato meglio porlo nel forum di filosofia, perchè quì si entra nella filosofia di Nietzsche ,di Heidegger, come concezione dell'esistenza fuori dall'ordine del sacro, spariscono i riferimenti eterni e si accetta il divenire come spazio temporale in cui l'uomo esiste.
Ma Nietzsche è l'unico coerente perchè accetta la crudeltà e la ferocia, accetta il divenire, ma sa che non esiste un rimedio al dolore ae alla sofferenza: non risolve il problema accettando il solo ordine naturale.

Il padre che abbandona il Figlio sulla croce è una fesseria moderna.
Gesù sa benissimo quale sarà il suo destino, ma da umano ,in quanto ha scelto le spoglie mortali per immedesimarsi nella carne dell'umanità che subisce dolore e sofferenza, vive fra la paura che richiede il coraggio di accettare il proprio destino mortale della carne


la modernità imputa a dio come nuovo capro espiatorio, la propria doppiezza di creatore del male: questo è il delirio culturale del presente.
se la mettiamo sul religioso/filosofico  i passaggi sono chiari.
Prima c'è un dio che da obblighi, perchè conosce la natura umana che può generare il male
Dopo arriva il messaggio di Gesù, che riconosce oltre alla doppiezza umana, la condizione della sofferenza del vivere umano

Infine arriva il delirio di onnipotenza umana: toglie la propria colpa dicendo che il male è dio, quindi l'umanità dichiara la sua innocenza uccidendo dio, il nuovo capro espiatorio.ora l'umanità ritene di essersi tolta il fardello del la scelta fra il bene e il male e ogni volta stermina e poi piange imputando  alle sue mani sporche di sangue ad un dio che continuamente muore e fa rivivere  nascondendosi come Caino dalla colpa di uccidere il proprio fratello .
 Questo umanità dentro questa cultura  è destinata a estinguersi
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 10:57:47 AM
Citazione di: Vittorio Sechi il 20 Giugno 2017, 21:33:46 PM
Mi limito a riportare le parole scritte sul Libro. Il Male non è un qualcosa che fa la sua comparsa a seguito della caduta, bensì era presente nella creazione ben prima. Diversamente le parole che la tradizione attribuisce a Dio non avrebbero alcun significato, poiché Egli impartisce un ordine perentorio di divieto: "dei frutti dell'albero della conoscenza del bene e del MALE non devi mangiare". Mi sembra sensato dedurre che chi scrisse Genesi, varie tradizioni sovrapposte, immaginasse che il male non fosse opera dell'uomo.  
Fra le altre cose, anche la lettura del libro di Giobbe non fa che confermare questa impostazione.
Questa è una interpretazione errata.
Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.
Il male c'era, ma solo in uno stato "potenziale", cioè "non espresso" o "non manifesto".
Fu proprio il gesto di mangiare il frutto dell'albero e l'aspirazione a "essere come dio" - con la conseguente "caduta" - che rese l'homo consapevole della propria individualità e, con questo, rese manifesto il MALE che prima era solo in uno stato potenziale e non espresso.

Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 11:14:58 AM
Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 10:57:47 AM

Questa è una interpretazione errata.
Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.
Il male c'era, ma solo in uno stato "potenziale", cioè "non espresso" o "non manifesto".
Fu proprio il gesto di mangiare il frutto dell'albero e l'aspirazione a "essere come dio" - con la conseguente "caduta" - che rese l'homo consapevole della propria individualità e, con questo, rese manifesto il MALE che prima era solo in uno stato potenziale e non espresso.

Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.
Anche questa mi viene a risultare una lettura della Bibbia errata: nessuna attenzione al contesto letterario, nessuna attenzione al contesto storico, nessuna analisi del linguaggio usato, della terminologia: la Bibbia trattata come se fosse una lista princìpi filosofici.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 11:20:30 AM
@sgiombo e @cannata

"L'ordine" o "equilibrio" non è affatto consolatorio e nemmeno vuole esserlo.
L'ho detto e lo ripeto: se non ci fossero i carnivori la vita si estinguerebbe. I carnivori servono a mantenere "l'equilibrio" nell' "ordine invisibile delle cose". E questo equilibrio ha fatto in modo che la vita si sia tramandata per più di 3miliardi di anni.

Il "pietismo" per la fine della gazzella fissa l'attenzione su un punto - la gazzella e la sua fine - e perde di vista la maestosità del contesto.

Ogni istante cellule del nostro corpo muoiono e altre ne nascono.
Ogni istante il tuo corpo uccide migliaia di batteri che lo insidiano.
Il ciclo di "nascita" e "morte" è il motore della vita. E "nascita" e "morte" sono solo apparenti perchè nell'universo "nulla si crea e nulla si distgrugge ma tutto si trasforma". E' il primo principio della termodinamica.

Se non metti insieme tutte queste cose e ti focalizzi solo su un punto - la gazzella che muore - ti sfugge il quadro complessivo e rischi di prendere fischi per fiaschi.

La natura potrebbe giungere all'equilibrio in modo casuale?
Il caso è il rifugio di coloro che non si fanno domande. O, in altre parole, è il rifugio dell'ignoranza.

E' impossibile che dal caso nascano "equilibrio" e "ordine".
Dal caso nasce il caos.
E invece noi osserviamo che "ordine" ed "equilibrio" impregnano la materia a tutti i livelli: dal microcosmo al macrocosmo, dal regno inanimato al regno animato, dal mondo visibile al mondo invisibile. Ad ogni livello della materia c'è "ordine" ed "equilibrio".
E solo un "pensiero debole e semplice" può affermare che tutto questo ordine ed equilibrio si siano generati casualmente.
C'è una intelligenza dietro le quinte. E questa intelligenza, intrinseca nella materia, è il motore di tutte le cose: quelle visibili e quelle invisibili.

Fai una prova: prendi un po' di colori e gettali contro una tela. E poi vediamo quante probabilità hai che con un lancio di colori venga fuori La Gioconda.  :D
Il "caso" che genera ordine ed equilibrio è una sciocchezza. Che nessuno scienziato serio ha mai preso in condiserazione.
Dal caso, infatti, nasce il caos. Non l'ordine e l'equilibrio.  ;)
Ordine ed equilibrio sono manifestazioni di UNA intelligenza che è insita in tutte le cose.

E ti dirò di più: il "caso" nella Realtà non esiste.
Fammi un solo esempio di una cosa in natura che accada "per caso". Non esiste.
Dietro a ogni evento e dietro a ogni Realtà c'è un processo logico e intelligente (o più processi logici e intelligenti che interagiscono tra loro). Ogni cosa è frutto di processi logici e intelligenti.
Spesso noi non li vediamo o non li percepiamo. Spesso non siamo in grado di ricostruire le sequenze dei processi logici che hanno portato ad un evento. Perchè queste sequenza sono spesso lunghe e si basano su eventi che non conosciamo e non abbiamo visto. Ed è per questo che diciamo che una cosa è accaduta "per caso".
E' per questo che il "caso" è la giustificazione di chi ignora.  :D
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 11:26:42 AM
Sulla questione dell'ordine in natura ho già risposto in un messaggio precedente di questa discussione.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 11:35:22 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 11:26:42 AM
Sulla questione dell'ordine in natura ho già risposto in un messaggio precedente di questa discussione.
Ok. Nessuno vuole portare avanti dibattiti inutili e sterili.
Voglio però ribadire una cosa: concentrarsi su un solo punto - la fine della gazzella - senza tenere in consideraione tutto il contesto, non ti aiuta granchè a comprendere la Realtà e "l'ordine invisibile delle cose". Ammesso e non concesso che tu sia interessato a comprenderlo davvero.
Ogni particolare - compresa la morte della gazzella - trova la sua spiegazione nel "contesto".
Se ignori il contesto, ogni particolare ti apparirà "crudele" e "privo di senso" o, come sostiene qualcuno, "casuale".
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: baylham il 21 Giugno 2017, 12:01:50 PM
Citazione di: paul11 il 21 Giugno 2017, 00:16:32 AM
Giusto, il male è preesistente, gli Elohim conoscevano l'ordine naturale che non può conoscere il bene e il male e quindi non può avere un'etica, una morale, ma l'uomo ha un linguaggio "a immagine e somiglianza " degli Elohim, quindi ha un cervello abbastanza potente e strutturato per utilizzare i linguaggi e darà ad Adamo la possiblità di dare un nome a ciascuno essere naturale, il che significa padroneggiare la natura.
Gli Elohim sono troppo potenti rispetto al genere umano da loro creato manipolandolo geneticamente, perchè nel DNA umano c'è la parte dell'intelligenza dell'Elohim, da temerlo.Ma temono che quell'essere molto natura terrestre e poco della natura "divina" non sia capace a padroneggiare la natura stessa, temono, detto in parole povere, che abbia abbastanza potere da poterla alterare.
Per questo ordineranno a tutti gli Elohim di non trasmettere loro conoscenze. ma gli "angeli caduti" e il "serpente tentatore", così come l'invaghirsi delle femmine umane, farà decader e il dna umano nello spirito e quindi nei costumi, tanto che sarà il diluvio universale, presente in troppe tradizioni per non essere stato fattuale,

Se ritieni queste cose come vere non capisco come fai ad attribuire la responsabilità della nascita del male all'uomo.
Se gli Elohim sono dei creatori pasticcioni, evidentemente non conoscevano l'ordine naturale di cui facevano parte. 

La morale non si fonda sul sacro perché non ha alcun fondamento esterno, l'ateismo o  il teismo è del tutto irrilevante in questo senso. Che un ateo possa attribuire la responsabilità del male a Dio è logicamente assurdo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 21 Giugno 2017, 12:58:40 PM
Citazione di: baylham il 21 Giugno 2017, 12:01:50 PM
Citazione di: paul11 il 21 Giugno 2017, 00:16:32 AM
Giusto, il male è preesistente, gli Elohim conoscevano l'ordine naturale che non può conoscere il bene e il male e quindi non può avere un'etica, una morale, ma l'uomo ha un linguaggio "a immagine e somiglianza " degli Elohim, quindi ha un cervello abbastanza potente e strutturato per utilizzare i linguaggi e darà ad Adamo la possiblità di dare un nome a ciascuno essere naturale, il che significa padroneggiare la natura.
Gli Elohim sono troppo potenti rispetto al genere umano da loro creato manipolandolo geneticamente, perchè nel DNA umano c'è la parte dell'intelligenza dell'Elohim, da temerlo.Ma temono che quell'essere molto natura terrestre e poco della natura "divina" non sia capace a padroneggiare la natura stessa, temono, detto in parole povere, che abbia abbastanza potere da poterla alterare.
Per questo ordineranno a tutti gli Elohim di non trasmettere loro conoscenze. ma gli "angeli caduti" e il "serpente tentatore", così come l'invaghirsi delle femmine umane, farà decader e il dna umano nello spirito e quindi nei costumi, tanto che sarà il diluvio universale, presente in troppe tradizioni per non essere stato fattuale,

Se ritieni queste cose come vere non capisco come fai ad attribuire la responsabilità della nascita del male all'uomo.
Se gli Elohim sono dei creatori pasticcioni, evidentemente non conoscevano l'ordine naturale di cui facevano parte.

La morale non si fonda sul sacro perché non ha alcun fondamento esterno, l'ateismo o  il teismo è del tutto irrilevante in questo senso. Che un ateo possa attribuire la responsabilità del male a Dio è logicamente assurdo.
Gli Elohim non sono Dio.

Oggi noi siamo in grado di manipolare il DNA e lo facciamo tranquillamente con vegetali e animali .
Significa che non ci vuole chissà quale tecnologia interplanetaria per arrivare ai segreti della biologia

Ti sfugge il significato della venuta di Gesù, che non è un Elohim, che anzi sarà inquisito dalla sua stessa genia ebraica per aver scelto un messaggio diverso.

Non esiste un Creatore dell'universo che parteggia per un popolo a danno di altri:ma ragioniamoci.........non è che vi voglia molta logica a capire soprattutto leggendo il testo sumerico-accadico
Tutto il Vecchio Testamento è la costituzione statuaria di un popolo in cui un "dio" protegge un popolo  fa un patto e gli promette un terra promessa.Questo è un Dio universale?

Gesù parteggia per un popolo? Il messaggio è universale e doveva farsi carne per soffrire da uomo, per temere il destino da uomo, per essere lui capro espiatorio come agnello sacrificale, per far vedere all'umanità intera il potente messaggio che è oltre gli umani e il pianeta Terra.
Non bisogna disperare insegna, non può cambiare gli ordini costituiti, ma insegna la via agli umani di cui il fondamento è l'amore.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 13:03:20 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 11:14:58 AM
Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 10:57:47 AM

Questa è una interpretazione errata.
Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.
Il male c'era, ma solo in uno stato "potenziale", cioè "non espresso" o "non manifesto".
Fu proprio il gesto di mangiare il frutto dell'albero e l'aspirazione a "essere come dio" - con la conseguente "caduta" - che rese l'homo consapevole della propria individualità e, con questo, rese manifesto il MALE che prima era solo in uno stato potenziale e non espresso.

Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.
Anche questa mi viene a risultare una lettura della Bibbia errata: nessuna attenzione al contesto letterario, nessuna attenzione al contesto storico, nessuna analisi del linguaggio usato, della terminologia: la Bibbia trattata come se fosse una lista princìpi filosofici.
E quale sarebbe, dunque, la giusta interpretazione?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 14:42:16 PM
Nel contesto di quella narrazione "bene e male" è da considerare un'espressione "polare", cioè si indicano gli estremi, i poli di una cosa per indicare tutta quella cosa; un'altra espressione polare che si trova proprio in quella narrazione è "cielo e terra". Ne consegue che conoscenza del bene e del male non ha niente a che vedere con una conoscenza di tipo morale, ma significa più semplicemente "conoscenza di tutto": quello era l'albero della conoscenza di tutto.

Allo stesso modo, quando viene detto che Dio creò il cielo e la terra, non è da intendere che Dio, tanto per cominciare, creò il cielo, che sta sopra, e la terra, che sta sotto, ma che Dio creò tutto.

In quei racconti non esiste alcuna informazione riguardo a un presunto male potenziale, né viene detto che con quel frutto l'uomo sia divenuto consapevole della propria individualità.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 15:59:41 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 14:42:16 PMNel contesto di quella narrazione "bene e male" è da considerare un'espressione "polare", cioè si indicano gli estremi, i poli di una cosa per indicare tutta quella cosa; un'altra espressione polare che si trova proprio in quella narrazione è "cielo e terra". Ne consegue che conoscenza del bene e del male non ha niente a che vedere con una conoscenza di tipo morale, ma significa più semplicemente "conoscenza di tutto": quello era l'albero della conoscenza di tutto. Allo stesso modo, quando viene detto che Dio creò il cielo e la terra, non è da intendere che Dio, tanto per cominciare, creò il cielo, che sta sopra, e la terra, che sta sotto, ma che Dio creò tutto. In quei racconti non esiste alcuna informazione riguardo a un presunto male potenziale, né viene detto che con quel frutto l'uomo sia divenuto consapevole della propria individualità.

Non sono d'accordo. La tua è una visione troppo semplicistica che ignora un elemento fondamentale: la cronologia degli avvenimenti.
E' vero che con "cielo e terra" l'autore del libro della Genesi voleva intendere che "dio creò tutto". Ma l'autore del libro della Genesi inserisce la creazione di questo "tutto" all'interno di una cronologia. Le cose avvengono, infatti, in 6 giorni.
Il cielo fu creato nel secondo giorno, la terra nel terzo. E l'homo fu creato nel sesto giorno.
L'autore del libro della Genesi, quindi, sviluppa la creazione del "tutto" nell'arco di 6 giorni. Ciò significa che l'autore aveva in mente, nel suo racconto, un concetto di "creazione in tempi successivi" o di "evoluzione".

Di fatto, l'autore del libro della Genesi è il primo ad aver formulato una "teoria dell'evoluzione" (anche se concepiva l'evoluzione come intervento diretto di dio con la sua opera creativa diretta).
Questo è del tutto evidente leggendo il racconto. Se, infatti, l'autore (o gli autori) non avessero avuto in mente un modello "evolutivo" avrebbero collocato la creazione del "tutto" in un solo momento o in un solo giorno.

E ora arriviamo all'homo.
L'homo viene creato il sesto giorno, cioè alla fine del "processo evolutivo" pensato dall'autore.
Secondo l'autore, l'homo era al principio un essere del tutto privo di individualità (il termine esatto è "autocoscienza") in completa armonia col "tutto" e privo del concetto di "separazione dal tutto". Infatti, esattamente come tutti gli altri animali, all'inizio l'homo non si accorge di essere "nudo" e vive in perfetta armonia col "tutto" nell'Eden.
Secondo l'autore, però, a un certo punto della "evoluzione" l'homo sviluppa l'autocoscienza (è questo il significato del racconto del serpente, dell'albero della conoscenza del bene e del male e di Adamo ed Eva che mangiano il frutto).
Attraverso l'acquisizione (o lo sviluppo) dell'autocoscienza l'homo si scopre "individuo" separato dal "tutto". E ciò è rappresentato nel racconto dal fatto che Adamo ed Eva scoprono di essere "nudi".

La "caduta", quindi, è il racconto allegorico utilizzato dall'autore per spiegare il momento in cui l'homo, al contrario di tutti gli altri esseri viventi, sviluppa "l'autocoscienza". Con l'acquisto dell'autocoscienza, l'homo perde il "giardino dell'eden" (cioè quello stato di armonia col "tutto" in cui l'homo era privo di conflitti interiori ed era privo del concetto di separazione dal tutto) e diventa artefice o fautore del proprio destino (nel bene e nel male). Diventa "come dio", cioè creatore e artefice del proprio destino attraverso il "libero arbitrio" che è diretta conseguenza dell'aver acquisito "l'autocoscienza". Questo è il senso dell'aver mangiato il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Cioè "mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male" è la descrizione allegorica del momento in cui l'homo acquisisce l'autocoscienza e "diventa come dio". E' infatti da quel momento che si sviluppa la storia dell'homo e si sviluppa nel contrasto tra il bene e il male che esso stesso produce (da quel momento, infatti, si sviluppa il primo contrasto tra bene e male con l'allegoria del racconto di Caino ed Abele).

Come vedi....l'autore del libro della Genesi aveva una visione un po' più articolata di quello che tu pensi. O di quello che pensa la chiesa cattolica.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 16:26:03 PM
Ciò che ho detto sul testo non è opinione mia, né della Chiesa Cattolica: è analisi del testo. Se vogliamo lavorare sul testo, ok, se vogliamo procedere per illazioni, come questa che ti sei inventato, riguardo al trattarsi di opinioni mie o della Chiesa, allora la discussione non è più di mio interesse.

"Evoluzione" non significa "creazione in tempi successivi": non possiamo inventarci i significati delle parole a nostro piacimento; ancor meno è possibile individuare nel testo un "teoria dell'evoluzione": una cosa non si trova nel testo per il semplice fatto che tu dici che c'è: bisogna analizzare il testo e fornire prove testuali di ciò che s'intende sostenere. Le prove testuali non possono essere certo costituite da una deformazione del significato delle parole, come hai fatto con la parola "evoluzione".

Il resto che hai detto ricade nella critica che ho appena fatto: l'idea che l'uomo fosse del tutto privo di individualità non diventa presente nel testo solo perché dici che c'è: bisogna fornire le prove testuali. Lo stesso vale per quanto hai scritto riguardo all'autocoscienza.

Alla fine dici "come vedi", come se ciò che hai scritto fosse chiaro e dimostrato, ma nel testo non è possibile trovare alcun elemento di ciò che hai scritto, sempre tenendo presente che un concetto non diventa presente nel testo solo perché lo dici tu: deve dirlo l'analisi del testo, e ciò che hai fatto non è analisi del testo.

Analisi del testo significa analisi grammaticale, del significato di ogni singola parola, dell'articolazione dei significati nelle frasi, della struttura della narrazione, del suo genere letterario, il tutto effettuato con correttezza, avendo massimo rispetto del significato delle parole e delle frasi e sforzandosi al massimo di astenersi dall'appiccicare al testo le proprie idee personali.

In quale punto del testo si parla dell'individualità dell'uomo o della sua autocoscienza? L'hai riferito all'accorgersi di essere nudo, ma accorgersi di essere nudo e autocoscienza sono due cose diverse. Hai scritto "è questo il significato del racconto del serpente": ma un racconto non assume il significato che vuoi tu solo perché lo dici tu: il significato del racconto va ricavato analizzando il testo con dettaglio, massimo rispetto di esso, correttezza di procedure.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 16:47:06 PM
@cannata

Il termine "evoluzione" non va confuso con la teoria dell'evoluzione di Darwin. Significa semplicemente, come ho già detto, che l'autore ha inquadrato la creazione in "tempi successivi". Cioè come un processo che si è sviluppato in "giorni" successivi o "fasi" successive. E questo inquadra la creazione all'interno di un quadro "evolutivo" dove l'elemento successivo viene creato DOPO l'elemento precedente. Questo significa la parola "evoluzione".
Questo c'è nel racconto...mica me lo sono inventato.
E ho detto che se l'autore non aveva in mente un "quadro evolutivo" avrebbe collocato tutta la creazione in un solo momento o in un solo giorno.

Per quanto riguarda l'homo, il fatto di NON concepirsi "nudo" (esattamente come avviene per tutti gli altri animali) prima di aver mangiato la famosa mela e il fatto di concepirsi "nudo" DOPO aver mangiato la famosa mela, va interpretato come l'acquisizione dell'autocoscienza e, quindi, dell'individualità e quindi della separazione dall'armonia dell'Eden.
Tu come lo spieghi altrimenti?
Che significato avrebbe per te il fatto di accorgersi di essere "nudo"?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: sgiombo il 21 Giugno 2017, 16:48:07 PM
Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 11:20:30 AM
@sgiombo e @cannata

"L'ordine" o "equilibrio" non è affatto consolatorio e nemmeno vuole esserlo.
L'ho detto e lo ripeto: se non ci fossero i carnivori la vita si estinguerebbe. I carnivori servono a mantenere "l'equilibrio" nell' "ordine invisibile delle cose". E questo equilibrio ha fatto in modo che la vita si sia tramandata per più di 3miliardi di anni.

Il "pietismo" per la fine della gazzella fissa l'attenzione su un punto - la gazzella e la sua fine - e perde di vista la maestosità del contesto.

Ogni istante cellule del nostro corpo muoiono e altre ne nascono.
Ogni istante il tuo corpo uccide migliaia di batteri che lo insidiano.
Il ciclo di "nascita" e "morte" è il motore della vita. E "nascita" e "morte" sono solo apparenti perchè nell'universo "nulla si crea e nulla si distgrugge ma tutto si trasforma". E' il primo principio della termodinamica.

Se non metti insieme tutte queste cose e ti focalizzi solo su un punto - la gazzella che muore - ti sfugge il quadro complessivo e rischi di prendere fischi per fiaschi.

La natura potrebbe giungere all'equilibrio in modo casuale?
Il caso è il rifugio di coloro che non si fanno domande. O, in altre parole, è il rifugio dell'ignoranza.

E' impossibile che dal caso nascano "equilibrio" e "ordine".
Dal caso nasce il caos.
E invece noi osserviamo che "ordine" ed "equilibrio" impregnano la materia a tutti i livelli: dal microcosmo al macrocosmo, dal regno inanimato al regno animato, dal mondo visibile al mondo invisibile. Ad ogni livello della materia c'è "ordine" ed "equilibrio".
E solo un "pensiero debole e semplice" può affermare che tutto questo ordine ed equilibrio si siano generati casualmente.
C'è una intelligenza dietro le quinte. E questa intelligenza, intrinseca nella materia, è il motore di tutte le cose: quelle visibili e quelle invisibili.

Fai una prova: prendi un po' di colori e gettali contro una tela. E poi vediamo quante probabilità hai che con un lancio di colori venga fuori La Gioconda.  :D
Il "caso" che genera ordine ed equilibrio è una sciocchezza. Che nessuno scienziato serio ha mai preso in condiserazione.
Dal caso, infatti, nasce il caos. Non l'ordine e l'equilibrio.  ;)
Ordine ed equilibrio sono manifestazioni di UNA intelligenza che è insita in tutte le cose.

E ti dirò di più: il "caso" nella Realtà non esiste.
Fammi un solo esempio di una cosa in natura che accada "per caso". Non esiste.
Dietro a ogni evento e dietro a ogni Realtà c'è un processo logico e intelligente (o più processi logici e intelligenti che interagiscono tra loro). Ogni cosa è frutto di processi logici e intelligenti.
Spesso noi non li vediamo o non li percepiamo. Spesso non siamo in grado di ricostruire le sequenze dei processi logici che hanno portato ad un evento. Perchè queste sequenza sono spesso lunghe e si basano su eventi che non conosciamo e non abbiamo visto. Ed è per questo che diciamo che una cosa è accaduta "per caso".
E' per questo che il "caso" è la giustificazione di chi ignora.  :D
CitazioneChe non ci sarebbe vita senza morte né morte senza vita, che la morte non é il contrario della vita ma della nascita (entrambe inevitabilmente facendo parte della vita) e che il conrario della vita sia invece la non-vita o "mineralità" sono perfettamente d' accordo.

Ma ciò comporta inevitabilmente anche dolore immeritato e il fatto che comporti pure felicità non scalfisce minimamente la orrenda e ripugnante realtà del dolore.

Quanto a presunti "disegni intelligenti" in natura (che se -ammesso e non concesso- ci fossero, sarebbero oltre che "intelligenti", sicuramente anche crudelissimi) ti lascio volentieri a questa fede, per parte mia seguendo la scienza biologica per la quale la vita si é evoluta e si evolve in ultima analisi (e attraverso meccanismi molto complessi comprendenti "deriva genetica", "selezione sessuale", "effetto del fondatore", "exattazione" ed altro) per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 17:11:26 PM
@sgiombo

La "crudeltà" è una categoria del pensiero umano che appartiene all'homo e ha senso solo quando è applicata al suo livello evolutivo. Ma che non appartiene agli stadi evolutivi precedenti al nostro dove ciò che regna è l'intelligenza dell'"equilibrio".
Quindi ha perfettamente senso affermare che un homo che uccide un animale o un altro homo è "crudele".
Ma non ha alcun senso affermare che il leone che mangia la gazzella è "crudele". O che la gazzella che mangia l'erba è "crudele" nei confronti dell'erba. Il leone fa il leone. E la gazzella fa la gazzella. Non possono fare diversamente. Si chiama "equilibrio". O, se preferisci, "intelligenza dell'equilibrio".

Per quanto riguarda l'evoluzione che avverrebbe per "mutazioni casuali" di DNA è del tutto evidente che non conosci gli studi di Cairns e successivi.
E se non li conosci è come cercare di spiegare le equazioni di primo e secondo grado a chi non conosce l'algebra. La scienza si evolve. E mentre non è mai stato dimostrato con prove di laboratorio che l'evolzuione si basa su mutazioni casuali di DNA (questo è un dogma di fede), è stato invece provato da Cairns e successivi il contrario e cioè che le mutazioni di DNA non sono affatto casuali ma seguono un processo intelligente dove la "casualità" è una tecnica usata dall'organismo all'interno di un processo adattativo intelligente.
E sai come ha fatto Cairns a scoprirlo? Creando dei batteri con il gene della metabolizzazione del lattosio alterato e inefficente e inserendo questi batteri in soluzioni contenenti solo lattosio. Invece di morire, i batteri hanno cominciato a innescare mutazioni casuali solo del gene difettoso (quello preposto alla digestione del lattosio) fino a trovare un gene "buono" in grado di produrre un enzima che digerisse il lattosio. Dopo che lo hanno trovato, i batteri hanno scartato tutte le prove andate male e hanno tenuto solo la nuova versione di gene capace di digerire il lattosio e lo hanno utilizzato per sostituire il gene difettoso. E grazie a questo sono sopravvissuti e si sono sviluppati.  ;)
Quindi ti invito ad aggiornarti sugli studi della biologia evoluzionista. Se non conosci le nuove scoperte (come ad esempio "l'ipermutazione somatica") di che stiamo parlando? Dell'aria fritta....
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 17:28:37 PM
Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 16:47:06 PMTu come lo spieghi altrimenti?
Dici che il termine "evoluzione" non va confuso con la teoria di Darwin, però è proprio questo che era sottinteso quando hai scritto

l'autore del libro della Genesi è il primo ad aver formulato una "teoria dell'evoluzione"

Oltre a Darwin, a chi altri vogliamo fare riferimento per parlare di evoluzione come "teoria"?
Che la creazione avvenga in tempi successivi non implica un'idea di evoluzione: se uno la mattina fa colazione e il mezzogiorno pranzo, ciò non significa che tra colazione e pranzo ci sia un'evoluzione: c'è semplicemente un susseguirsi. Se Dio il primo giorno crea la luce e il secondo giorno il firmamento, in cosa consisterebbe l'evoluzione tra questi due momenti?

Quanto alla nudità, che l'uomo prima di aver mangiato il frutto (non la mela) non si concepisse nudo non si trova nel testo. Genesi 2,25 dice che erano nudi, ma non ne provavano vergogna. L'osservazione, da parte del testo, che, nonostante l'essere nudi non provassero vergogna, implica che essi fossero consapevoli di essere nudi; altrimenti non ci sarebbe stato alcun motivo di porre i due elementi nella stessa frase. In questo senso, da un punto di vista letterale, il testo è contraddittorio: in 3,7 dice che si aprirono i loro occhi, ma nulla in ciò che precede consente di concludere che prima i loro occhi fossero chiusi o incapaci di vedere. Ne consegue che l'apertura degli occhi va intesa come sguardo, modo di valutare le cose. Questo senso del testo si accorda con la sottolineatura espressa da 2,25: pur essendo nudi, non ne provavano vergogna. Vuol dire che l'essere nudi non era valutato come motivo di vergogna. In 3,7 si accorgono di essere nudi, ma 2,25 impedisce di dedurre che prima non se ne accorgessero, altrimenti non ci sarebbe stato motivo di far osservare che prima non provavano vergogna. Dunque, riguardo alla nudità, il testo conduce ad intendere che ciò che cambia, dopo aver mangiato il frutto, è la valutazione in merito all'essere nudi: prima non provavano vergogna, dopo si costruiscono cinture con foglie di fico.
In tutto questo, il testo non fornisce alcun elemento che induca ad intendere la valutazione sull'essere nudi come autocoscienza nei confronti del mondo circostante, sorgere dell'individualità, della separazione. Il testo dice solo che prima non si vergognavano, dopo si coprono. La questione che sta al centro, evidenziata dal testo, non è l'essere nudi, che il testo costringe a valutare come immutato, quindi privo di importanza, ma il sopravvenire della vergogna. Se quindi vogliamo indagare sul messaggio del testo, in merito a quest'aspetto, l'indagine va semmai compiuta sul senso del sopravvenire della vergogna a seguito dell'aver mangiato dell'albero della conoscenza di tutto.

Qui avrei altro da dire, sempre basandomi sul testo, poiché il testo non consente di considerare tale vergogna come originata da una colpa umana, ma ciò significherebbe dilungarmi troppo e andare fuori tema.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 17:44:20 PM
@cannata

Ti stai un po' arrampicando sugli specchi.

Se dopo aver mangiato il frutto "si aprirono i loro occhi e si accorsero di essere nudi" è del tutto evidente che prima di mangiare il frutto i loro occhi erano chiusi e incapaci di vedere. Questa è logica.
E cosa significa che prima i loro occhi erano chiusi? Che non avevano l'autocoscienza e l'individualità. Cioè non si concepivano come individui separati.

Non c'è nessuna colpa e nessun peccato. Il testo dell'autore è allegorico e non sta raccontando una "colpa" o un "peccato". Sta semplicemente raccontando l'acquisizione dell'autocoscienza e dell'individualità.
Che vuoi che ti dica? A me sembra tutto molto chiaro.
Il fatto che qualcuno abbia voluto leggere in questo racconto il famoso "peccato originale" e, con questo, imputare all'homo una colpa, la ritengo una interpretazione stravagante figlia di una cultura (quella ebraica e di Paolo del I secolo) tutta imperniata sul "peccato" e sulla "colpa" da redimere. Che, però, non c'entra proprio nulla con quello che l'autore del Libro della Genesi voleva dire.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 17:56:21 PM
Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 17:44:20 PM
...è del tutto evidente che prima di mangiare il frutto i loro occhi erano chiusi e incapaci di vedere
??

Prova un po' a rileggere il racconto tenendo presente che Adamo ed Eva sono ciechi e acquisteranno la vista solo nell'ultimo versetto; prova ad immaginare questi due ciechi intenti a portare a termine le azioni che ho evidenziato in neretto:

9 Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. 10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. 11 Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro 12 e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice. 13 Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese d'Etiopia. 14 Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate.
15 Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
16 Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17 ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».
18 Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». 19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. 21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. 23 Allora l'uomo disse:
«Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall'uomo è stata tolta».
24 Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. 25 Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.

3,1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6 Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 17:59:03 PM
Non ho parole.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 18:06:10 PM
Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 17:44:20 PM
E cosa significa che prima i loro occhi erano chiusi? Che non avevano l'autocoscienza e l'individualità. Cioè non si concepivano come individui separati.
Come ho detto sopra, va dimostrato analizzando il testo, non semplicemente dicendolo. Nel testo non c'è.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 18:11:14 PM
Il testo, che ho riportato, rende impossibile ritenere che esso intenda trasmettere l'idea che prima di aver mangiato i loro occhi fossero chiusi.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 18:29:20 PM
@cannata

Esattamente.
Se tu leggi attentamente il racconto ti accorgi che prima di mangiare il frutto, dio stabilisce e l'homo esegue. L'homo appare come una specie di "burattino" nel giardino dell'Eden. Un essere privo di autocoscienza e individualità, privo della capacità di decidere autonomamente. Appare, cioè, in piena armonia col giardino dell'Eden, privo di qualunque propria autonoma volontà, privo del libero arbitrio. Dio stabilisce e l'homo esegue in perfetta armonia con l'Eden. Proprio come un "burattino" o come "animale inconsapevole di sè e della propria autonoma volontà".

Nel racconto, il gesto del mangiare il frutto è il primo gesto espressione della libera volontà dell'homo. E' il passaggio dalla inconsapevolezza alla consapevolezza di sè. Del proprio POTERE decisionale. E' il momento in cui l'homo dice: "Questa cosa la decido io e la faccio io. La scelgo io. Questo gesto è frutto della mia volontà".
E' il momento in cui l'homo si differenzia dalle altre specie animali. E' il momento in cui nasce l'autocoscienza e la consapevolezza della propria individualità e, con esse, il libero arbitrio e la consapevolezza del proprio POTERE decisionale. E' il momento in cui l'homo, grazie all''autocoscienza e al POTERE che ne deriva, diventa artefice del proprio destino. Diventa "come dio".

Mangiare il frutto è il racconto del momento che segna la nascita dell'homo sapiens. Cioè quello che siamo. "Animali" particolari, dotati di autocoscienza, consapevoli della nostra individualità e dotati di libero arbitrio e del POTERE di decidere. Esattamente come dice l'autore del Libro della Genesi, siamo diventati "come dio".

In questo non c'è alcun peccato. Nè, tantomeno, l'autore vuole porre l'accento sulla "colpa".
L'autore usa un racconto allegorico per segnare il momento del distacco da una realtà in cui eravamo privi di autocoscienza e privi di POTERE decisionale (il giardino dell'Eden).
Questo è quello che pensa l'autore.

Secondo l'autore la storia evolutiva dell'homo è contraddistinta da un PRIMA e da un DOPO.

PRIMA eravamo "burattini in piena armonia con l'Eden", esseri inconsapevoli di noi stessi (non ci accorgiamo di essere nudi). DOPO l'homo ha acquisito la consapevolezza di sè e della propria individualità e del proprio POTERE decisionale (ci accorgiamo di essere nudi).

Questa è la visione dell'autore e la sua narrazione dell'evoluzione umana.
L'autore certo non sapeva che l'homo discende dalla scimmia e di certo non sapeva che l'autocoscienza ce l'abbiamo grazie al nostro patrimonio genetico.
Il racconto dell'Eden è una lettura allegorica dell'evolzuione dell'homo figlia delle conoscenze che poteva avere un anonimo autore 600 o 700 anni prima di Cristo.

Tutto molto coerente. Tutto logico.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 21 Giugno 2017, 18:56:12 PM
chiedo scusa , anche se temo che creerò confusione.

E' vero che in Genesi non appare il male nella creazione.
il serpente in ebraico nacash e in sanscrito nagas, rappresenta l'inclinazione umana istintiva-
lo yetzer hara in ebraico è la natura materiale umana.

quello che indossano Adamo ed Eva ,Adam  e Chawàh in ebraico, non è una cintura di foglie è una "pelle" di protezione.
Tov we-rà  è il bene e il male, quando Adamo assaggia la mela diventa ke- elohim che non è il signore bensì "somigliante al giudice".

Allora l'interpretazione è che l'uomo ascoltando i suoi istinti e non gli obblighi dell' elohim disobbedendo diventa giudice, ma non signore.

La ruach è tradotta in spirito e la nefesh in anima.
ma se chiedete agli eruditi ebrei il significato rimane letterale di soffio=ruach  e respiro.= nefesh
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Giugno 2017, 19:05:33 PM
@myfriend

Prima Adamo ed Eva ciechi, ora Adamo ed Eva burattini. Proviamo a leggere il testo.

Di tutte le cose create Dio dice alla fine che era cosa buona (sei volte nel testo). Dopo aver creato l'uomo e la donna non gli basta dire "buona": sente bisogno di dire "molto buona" e la cosa è comprensibile: l'altissimo concetto che il testo ha di uomo e donna, rispetto al resto del creato, è confermato dal comando di soggiogare la terra e dominarla. Come si concilia questo col fatto che l'uomo e la donna non erano altro che due burattini, privi di volontà propria?

Poi dà il divieto riguardante l'albero: un divieto dato a due burattini?

Poi affida all'uomo il compito di stabilire il nome di ogni animale. Un burattino a cui viene affidata la responsabilità di stabilire come si deve chiamare ogni animale?

Poi Adamo non accetta che Dio gli dia gli animali come compagnia, pretende un aiuto che gli sia simile. Questo sarebbe il comportamento di un burattino che non fa altro che eseguire ciò che Dio stabilisce?

Poi Dio ubbidisce a questo burattino (abbiamo quindi l'opposto di ciò che hai detto) e gli fa la donna. L'uomo stabilisce che questa creatura si chiamerà "donna": ti sembra anche questo un comportamento da burattino?

Ho avuto la pazienza di seguirti fino ad ora, ma le ultime che hai sparato sono davvero troppo grosse; mi permetto di usare questo linguaggio perché un testo nobile, sacro e antico come quello della Bibbia non merita di essere oggetto di un trattamento così ridicolo: Adamo ed Eva ciechi, Adamo ed Eva burattini privi di autocoscienza e individualità e, quel che più conta, senza alcun esame serio del testo. Per me diventa un dovere di coscienza non risponderti più: significherebbe rendermi complice di questo spreco di tempo in ridicolizzazioni del testo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 19:41:46 PM
@cannata

l'altissimo concetto che il testo ha di uomo e donna, rispetto al resto del creato, è confermato dal comando di soggiogare la terra e dominarla. Come si concilia questo col fatto che l'uomo e la donna non erano altro che due burattini, privi di volontà propria?

Hai detto bene: "il comando di soggiogare la terra". Di comando si tratta.
Nella prima parte del racconto, come ti ho già detto, dio comanda e l'homo esegue. E' in questo senso che ho parlato di "burattini". Nella prima parte del racconto non si evince una volontà autonoma dell'homo, ma l'homo si limita a fare ciò che dio ha comandato.

Poi dà il divieto riguardante l'albero: un divieto dato a due burattini?
Poi affida all'uomo il compito di stabilire il nome di ogni animale. Un burattino a cui viene affidata la responsabilità di stabilire come si deve chiamare ogni animale?
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.

Dio comanda, dio vieta, dio affida all'uomo il compito di stabilire il nome di ogni animale, dio plasmò con la costola una donna.
Se tu leggi attentamente la prima parte del racconto appare evidente che è tutto segnato dall'iniziativa di dio. Dio comanda, dio vieta, dio stabilisce, dio affida etc etc.
L'homo appare privo di volontà propria e si limita ad eseguire gli ordini.
Questa è l'armonia dell'Eden. Un dio che dispone ed un homo che esegue le disposizioni. In questo senso ho detto che l'autore, nella prima parte del racconto, dipinge l'homo come un "burattino".
Questo è del tutto evidente nel testo. Se non riesci a comprenderlo è semplicemente perchè non vuoi comprenderlo. Perchè nel testo appare chiaramente.

Il primo vero gesto in cui emerge la volontà autonoma dell'homo è proprio quando l'homo mangia il frutto dall'albero.

Ed è per questo che quel gesto, per l'autore, segna il passaggio da un PRIMA, in cui l'homo e inconsapevole di sè, della propria individualità e del proprio autonomo potere decisionale, a un DOPO in cui l'homo acquisisce consapevolezza di sè, della propria individualità e del proprio autonomo potere decisionale e diventa "come dio". Non è più esecutore degli ordini e disposizioni di dio, ma diventa artefice del proprio destino (nel bene e nel male). Diventa "come dio" e perde l'Eden in cui viveva tranquillo e beato nella sua inconsapevolezza di sè. L'Eden era una specie di "utero materno" dal quale l'homo esce quando acquisisce la consapevolezza di sè e diventa l'artefice del proprio destino.


PRIMA di quel gesto l'homo non si era accorto di essere "nudo". DOPO quel gesto l'homo si è accorto di essere "nudo". Questa è la chiave con cui interpretare ciò che l'autore intende dirci con questo racconto.
Come ti ho già detto, con questo racconto allegorico, l'autore descrive quella che era la sua visione della nascita dell'homo, in base alle sue conoscenze di uomo che ha vissuto 600/700 anni prima di Cristo.

In quanto al "sacro" non scherziamo, per favore.
La bibbia è un insieme di libri scritti da uomini che volevano raccontarci la loro visione delle cose usando le tecniche letterarie in uso 700, 600, 500 anni prima di Cristo.
E l'autore della Genesi ci sta raccontando la creazione secondo quello che era il suo punto di vista e le sue conoscenze di uomo che ha vissuto in un periodo collocato all'incirca 600 anni prima di Cristo. Un autore umano che ci parla usando categorie umane e pensieri umani. Idee e pensieri che erano in voga 600 anni prima di Cristo. Secondo quelle che erano le conoscenze e il mondo di allora.

P.S. Va sottolineato che nell'ebraismo principale, Adamo che mangia il frutto dell'albero non è visto come "peccato". Il "peccato originale" e la cancellazione di quel peccato sono una concezione di Paolo. Per gli ebrei il concetto di peccato nasce come disobbedienza alla legge di Mosè. E' Paolo (e il suo cristianesimo che lui si è inventato) che vide nelle vicende di Adamo ed Eva il "peccato originale". Ma sappiamo bene che Paolo, con la sua teologia, non ne ha azzeccata neanche una.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 21 Giugno 2017, 20:41:36 PM
Ho dato una veloce scorsa ai vari interventi. Mi riprometto di intervenire più nel dettaglio appena mi sarà possibile. Mi son chiesto: ma siamo certi che stiamo parlando del medesimo testo sacro?
Non per altro, ho letto interpretazioni assolutamente arbitrarie che non tengono nel minimo conto quanto si trova scritto su quel libro.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 21 Giugno 2017, 20:49:53 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 21 Giugno 2017, 20:41:36 PM
Ho dato una veloce scorsa ai vari interventi. Mi riprometto di intervenire più nel dettaglio appena mi sarà possibile. Mi son chiesto: ma siamo certi che stiamo parlando del medesimo testo sacro?
Non per altro, ho letto interpretazioni assolutamente arbitrarie che non tengono nel minimo conto quanto si trova scritto su quel libro.
O forse sei tu che non l'hai mai letto con attenzione o che non lo hai capito.
Per toglierci ogni dubbio rimango in attesa della tua "corretta" interpretazione.  :D
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 21 Giugno 2017, 20:58:54 PM
non ho dubbi che sia come dici... Però il testo in commento è definito Bibbia, non new age for all.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 22 Giugno 2017, 00:02:10 AM
Paul11: il male viene da sempre imputato dalla stessa umanità come implicita nella propria "doppiezza"

Nel mio discorso sul Male non si imputa Dio perché ne abbia fatto ampio utilizzo, bensì per la sola colpa di averlo creato. Diversamente l'attributo di creatore di tutte le cose 'visibili ed invisibili', rinvenibile nella copiosa letteratura veterotestamentaria e dottrinale, perderebbe di significato e presumibilmente staremmo a confrontarci intorno all'opera di due creatori contrapposti. Manicheismo, gnosticismo, zoroastrismo... Scegliete voi. Qui si parla dell'unico creatore di cui alla narrazione biblica.

Paul11: Non si può fondare nessuna etica e morale togliendo il "sacro", se finisce il sacro delle religioni, se finisce l afilosfia e teologia, rimane la scienza e l'uom rientra allora nel SOLO ordine naturale.

Questa perentoria affermazione è alquanto singolare. Il sacro non attiene all'etica, attiene alla percezione del terrifico, insito nella Natura, che sedimentasi in sentimento ha trovato uno sbocco narrativo nel mito, prima, nella religio, in seguito. Letture consigliate: Eliade Mircea, Girard, Galimberti, fra i tanti.

Paul11: Il padre che abbandona il Figlio sulla croce è una fesseria moderna.

Secondo la dottrina di Sancta Catholica Apostolica Romana Ecclesia
il Logos, fattosi carne, acquisisce la doppia natura divina ed umana. Su questo argomento si sono espressi alcuni Concili – Efeso, Calcedonia, Costantinopoli -, adversus haereses (Ireneo, santo e uno dei Padri della Chiesa) – docetismo, arianesimo, monofisismo etc... - decretando indiscutibilmente e dogmaticamente a favore della natura teandrica - due nature distinte in un'unica persona -. Il Simbolo niceo-costantinopolitano, recitato nel corso della messa ed accettato da gran parte delle confessioni cristiane, afferma: [...]Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create (visibili ed invisibili)...

Pochi dubbi. Il cristianesimo, perlomeno le confessioni maggioritarie, crede indiscutibilmente alla natura teandrica di Gesù, pena l'anatema (sentenza che assume il valore di maledizione).
Non ve la prendete con me che sono ateo.

Paul11: la modernità imputa a dio come nuovo capro espiatorio, la propria doppiezza di creatore del male: questo è il delirio culturale del presente.

Il capro espiatorio ha molto a che vedere con il sacro e con la sacralizzazione o purificazione dei luoghi o delle comunità. È un meccanismo, ben noto agli antropologi, di trasduzione di una colpa insorta nei confronti della divinità (René Girard – il capo espiatorio). Nulla a che fare con il modernismo, a cui non frega una cippa lippa.

Myfriend: Questa è una interpretazione errata. Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.

Rileggi attentamente, senza sofismi o partigianeria, il testo di Genesi, capitolo due, versetti 16-17. Te li trascrivo, temo che il tuo testo li abbia persi:
"(16)Il Signore diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, (17) ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti".
Qualcuno piantò quell'albero nell'Eden, non certo io. Non prendetevela con me. Chi piantò quell'albero è anche colui che, stando al testo e, per i credenti, anche alla realtà che il simbolismo mitico traduce in grafia e dizione, creò il Male. Ribadisco quanto sopra. Dio non è imputato per il largo ed arbitrario utilizzo del Male (leggasi Giobbe, fra i tanti altri), bensì per averlo creato.

Myfriend: Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.

Appunto! Non farlo. Non c'è alcuna necessità di riscriverla. Va bene il testo già esistente. Questo stiamo provando a mettere in controluce per leggerlo in filigrana.

"Le radici del male"

L'intera fatica di Dio, resa concreta e manifesta da e nella Creazione, è contrappuntata dall'aggettivo <<buona>>. L'intero Creato è <<cosa buona>>. Solo in seguito, con la comparsa dell'uomo, appare l'espressione <<cosa molto buona>>. Tale differenza di linguaggio, rilevabile nel I Capitolo della Genesi, offre la misura dell'atto più eccelso dell'intera opera creatrice di Dio. Solo con la creazione dell'uomo si giunge al culmine della fatica divina. L'uomo rappresenta, infatti, il fastigio del processo creativo.
Solo in tale occasione il Libro della Genesi si esprime in termini di somiglianza ed immagine del Creatore. Somiglianza non uguaglianza, dunque. L'uomo è posto all'apice del creato, e ciò per espressa volontà di Dio, poiché fu Dio stesso che adunò tutte le creature viventi, le condusse al cospetto dell'uomo affinché questi imponesse loro un nome. Chiaro simbolo dell'estensione della signoria di quest'ultimo sull'intero creato – attribuire un nome a cose, persone o animali significava prenderne possesso -. I capitoli I e II del Libro Sacro narrano con sufficiente chiarezza questa determinazione originaria della volontà di Dio: un'opera definita <<buona>> sottoposta alla signoria di un'altra creatura considerata <<molto buona>>. In ciò è ravvisabile anche la scaturigine dell'ordinamento cosmologico che d'allora informa il creato.
In ogni caso, entrambe le definizioni - <<buona>> e <<molto buona>> - lasciano ben intendere che non si tratta di creature perfette – somiglianza, non uguaglianza -, mancando appunto dei crismi di questa suprema qualificazione
Somiglianza, per quanto o per quel che non è coincidenza o uguaglianza, significa eccedenza o assenza (in questo caso è evidente si tratti esclusivamente di "mancanza"). Somiglianza è dunque anche dissomiglianza.
Ritenere che nello slabbro prodotto dal "mancare" dell'una - creatura - rispetto all'altro - Creatore - s'insinuino l'angoscia, il conflitto, il male e il dolore, equivale a dire che Dio, essendo sempre uguale a se stesso, non possa essere anche Male. È, infatti, più corretto inferire che la dissomiglianza sia la scaturigine del trabocco del Male, e, quindi, ne rappresenti l'esperienza che la coscienza ne fa, circostanza che, appunto, nell'uomo si traduce in una perdita di senso e significato, entrambi – senso e significato – invece ben presenti a Dio.
<<La dissomiglianza invece secondo Pascal apre alla doppiezza metafisica della natura, che non conosce acquietamento possibile, ma, al contrario, comporta conflitto, disperazione, agonia fino alla fine del mondo. Doppia è la natura: originaria e corrotta, integra e decaduta. L'una e l'altra convivono nell'uomo; che perciò non è né angelo né bestia, ma non è neppure "mai se stesso, essendo piuttosto un impasto di entrambi – un centauro, un mostro, anzi «le plus prodigeux objet de la nature" (Givone – Storia del Nulla)

La Creazione è un atto imperfetto, che reca in sé i germi della corruzione. Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. Il peccato e il Male, che già adombravano la Luce divina, sarebbero rimasti relegati nel cantuccio a loro destinato, avrebbero, cioè, riguardato solo gli angeli ribelli; l'uomo non avrebbe ceduto alla tentazione.


[il resto ad un altro momento]
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 22 Giugno 2017, 01:05:58 AM
Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. 

Cosa significa essere "perfetti"? Per esserlo bisognerebbe essere Dio stesso, che è l'unico perfetto. Ma Dio non intendeva creare altri se stessi, voleva di fronte una creatura, un "amico" e voleva per prima cosa, crearla libera. Voleva cioè essere liberamente amato e non voleva un essere che amasse senza comprensione del "valore" di questa libertà d'amare. Ma , per essere "libero", bisogna liberamente operare scelte e, per operare una scelta, devi logicamente disporre di più opzioni.  In questo senso il male è semplicemente la scelta, libera, dell'opzione di non-amare Dio.Si potrebbe quasi dire che il dolore appare necessario per far maturare l'amore. Come il mango ha bisogno di una scorza per maturare e, quando è pronto per essere gustato, bisogna pelarlo dalla buccia, così l'amore per maturare sembra necessitare della scorza del dolore e da questa deve essere "liberato" per poter essere gustato. Il dolore che ci interroga e che spesso ci annienta,  nella sua manifestazione come "danno", spesso è anche fonte di profondo cambiamento e di ricerca di un significato. E' il dolore che interroga Siddhartha e lo spinge alla ricerca di una via di liberazione, che non è annientamento del dolore ma comprensione e non attaccamento a tutti quei fattori mentali che ci spingono a perpetuarlo. Nei monoteismi abramitici il dolore fisico non sembra aver molta importanza, non c'è quella "debolezza decadente" dell'uomo moderno, quella ipersensibilità a tutto ciò che può esserci di "danno". Era un mondo diverso, un vissuto più aspro, meno "molle" e spaventato; la morte non era nascosta, camuffata e relegata lontano, era consuetudine ordinaria. Molte delle cose che, alla nostra sensibilità attuale, appaiono come sofferenza erano semplicemente quotidianità. Anche il dolore, la sofferenza, come ogni cosa è mutato , si è trasformato, ha assunto colori e toni diversi, soggetto come tutto all'impermanenza, che ne è anche la causa profonda.
Se non credo in un Dio creatore è logicamente assurdo imputargli alcunché, come giustamente ha scritto baylham.
Se invece credo dovrei almeno interrogarmi se, il dolore che ho percepito in me e che ho visto nell'altro,sia servito o meno a cambiarmi e se questo cambiamento mi ha aperto ad una dimensione di maggior sensibilità ed empatia verso l'altro, quindi d'amore. Se è così, perché maledire la scorza che è stata necessaria per far maturare questo prezioso frutto?  Se il mondo fosse un'unica perla che valore avrebbe? Ma invece...che meraviglia quando, da una conchiglia piena di fango, pescata nell'abisso, troviamo una piccola luminosa perla. e tanto più grande sarà la bellezza quanto più ne comprendiamo la "fragilità" e il suo passare...
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: paul11 il 22 Giugno 2017, 01:37:52 AM
Citazione di: Vittorio Sechi il 22 Giugno 2017, 00:02:10 AM
Paul11: il male viene da sempre imputato dalla stessa umanità come implicita nella propria "doppiezza"

Nel mio discorso sul Male non si imputa Dio perché ne abbia fatto ampio utilizzo, bensì per la sola colpa di averlo creato. Diversamente l'attributo di creatore di tutte le cose 'visibili ed invisibili', rinvenibile nella copiosa letteratura veterotestamentaria e dottrinale, perderebbe di significato e presumibilmente staremmo a confrontarci intorno all'opera di due creatori contrapposti. Manicheismo, gnosticismo, zoroastrismo... Scegliete voi. Qui si parla dell'unico creatore di cui alla narrazione biblica.

Paul11: Non si può fondare nessuna etica e morale togliendo il "sacro", se finisce il sacro delle religioni, se finisce l afilosfia e teologia, rimane la scienza e l'uom rientra allora nel SOLO ordine naturale.

Questa perentoria affermazione è alquanto singolare. Il sacro non attiene all'etica, attiene alla percezione del terrifico, insito nella Natura, che sedimentasi in sentimento ha trovato uno sbocco narrativo nel mito, prima, nella religio, in seguito. Letture consigliate: Eliade Mircea, Girard, Galimberti, fra i tanti.

Paul11: Il padre che abbandona il Figlio sulla croce è una fesseria moderna.

Secondo la dottrina di Sancta Catholica Apostolica Romana Ecclesia
il Logos, fattosi carne, acquisisce la doppia natura divina ed umana. Su questo argomento si sono espressi alcuni Concili – Efeso, Calcedonia, Costantinopoli -, adversus haereses (Ireneo, santo e uno dei Padri della Chiesa) – docetismo, arianesimo, monofisismo etc... - decretando indiscutibilmente e dogmaticamente a favore della natura teandrica - due nature distinte in un'unica persona -. Il Simbolo niceo-costantinopolitano, recitato nel corso della messa ed accettato da gran parte delle confessioni cristiane, afferma: [...]Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create (visibili ed invisibili)...

Pochi dubbi. Il cristianesimo, perlomeno le confessioni maggioritarie, crede indiscutibilmente alla natura teandrica di Gesù, pena l'anatema (sentenza che assume il valore di maledizione).
Non ve la prendete con me che sono ateo.

Paul11: la modernità imputa a dio come nuovo capro espiatorio, la propria doppiezza di creatore del male: questo è il delirio culturale del presente.

Il capro espiatorio ha molto a che vedere con il sacro e con la sacralizzazione o purificazione dei luoghi o delle comunità. È un meccanismo, ben noto agli antropologi, di trasduzione di una colpa insorta nei confronti della divinità (René Girard – il capo espiatorio). Nulla a che fare con il modernismo, a cui non frega una cippa lippa.

Myfriend: Questa è una interpretazione errata. Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.

Rileggi attentamente, senza sofismi o partigianeria, il testo di Genesi, capitolo due, versetti 16-17. Te li trascrivo, temo che il tuo testo li abbia persi:
"(16)Il Signore diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, (17) ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti".
Qualcuno piantò quell'albero nell'Eden, non certo io. Non prendetevela con me. Chi piantò quell'albero è anche colui che, stando al testo e, per i credenti, anche alla realtà che il simbolismo mitico traduce in grafia e dizione, creò il Male. Ribadisco quanto sopra. Dio non è imputato per il largo ed arbitrario utilizzo del Male (leggasi Giobbe, fra i tanti altri), bensì per averlo creato.

Myfriend: Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.

Appunto! Non farlo. Non c'è alcuna necessità di riscriverla. Va bene il testo già esistente. Questo stiamo provando a mettere in controluce per leggerlo in filigrana.

"Le radici del male"

L'intera fatica di Dio, resa concreta e manifesta da e nella Creazione, è contrappuntata dall'aggettivo <<buona>>. L'intero Creato è <<cosa buona>>. Solo in seguito, con la comparsa dell'uomo, appare l'espressione <<cosa molto buona>>. Tale differenza di linguaggio, rilevabile nel I Capitolo della Genesi, offre la misura dell'atto più eccelso dell'intera opera creatrice di Dio. Solo con la creazione dell'uomo si giunge al culmine della fatica divina. L'uomo rappresenta, infatti, il fastigio del processo creativo.
Solo in tale occasione il Libro della Genesi si esprime in termini di somiglianza ed immagine del Creatore. Somiglianza non uguaglianza, dunque. L'uomo è posto all'apice del creato, e ciò per espressa volontà di Dio, poiché fu Dio stesso che adunò tutte le creature viventi, le condusse al cospetto dell'uomo affinché questi imponesse loro un nome. Chiaro simbolo dell'estensione della signoria di quest'ultimo sull'intero creato – attribuire un nome a cose, persone o animali significava prenderne possesso -. I capitoli I e II del Libro Sacro narrano con sufficiente chiarezza questa determinazione originaria della volontà di Dio: un'opera definita <<buona>> sottoposta alla signoria di un'altra creatura considerata <<molto buona>>. In ciò è ravvisabile anche la scaturigine dell'ordinamento cosmologico che d'allora informa il creato.
In ogni caso, entrambe le definizioni - <<buona>> e <<molto buona>> - lasciano ben intendere che non si tratta di creature perfette – somiglianza, non uguaglianza -, mancando appunto dei crismi di questa suprema qualificazione
Somiglianza, per quanto o per quel che non è coincidenza o uguaglianza, significa eccedenza o assenza (in questo caso è evidente si tratti esclusivamente di "mancanza"). Somiglianza è dunque anche dissomiglianza.
Ritenere che nello slabbro prodotto dal "mancare" dell'una - creatura - rispetto all'altro - Creatore - s'insinuino l'angoscia, il conflitto, il male e il dolore, equivale a dire che Dio, essendo sempre uguale a se stesso, non possa essere anche Male. È, infatti, più corretto inferire che la dissomiglianza sia la scaturigine del trabocco del Male, e, quindi, ne rappresenti l'esperienza che la coscienza ne fa, circostanza che, appunto, nell'uomo si traduce in una perdita di senso e significato, entrambi – senso e significato – invece ben presenti a Dio.
<<La dissomiglianza invece secondo Pascal apre alla doppiezza metafisica della natura, che non conosce acquietamento possibile, ma, al contrario, comporta conflitto, disperazione, agonia fino alla fine del mondo. Doppia è la natura: originaria e corrotta, integra e decaduta. L'una e l'altra convivono nell'uomo; che perciò non è né angelo né bestia, ma non è neppure "mai se stesso, essendo piuttosto un impasto di entrambi – un centauro, un mostro, anzi «le plus prodigeux objet de la nature" (Givone – Storia del Nulla)

La Creazione è un atto imperfetto, che reca in sé i germi della corruzione. Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. Il peccato e il Male, che già adombravano la Luce divina, sarebbero rimasti relegati nel cantuccio a loro destinato, avrebbero, cioè, riguardato solo gli angeli ribelli; l'uomo non avrebbe ceduto alla tentazione.


[il resto ad un altro momento]
ciao Vittorio Sechi,
non è possible risolvere il problema del male,semplicemente "è".Questo non dipende dal credere o non credere in Dio, per questo all'inizio della discussione la relazione male con il Dio è morto è un'aporia,  e per questo alla fine Giobbe che rappresenta l'uomo onesto, probo, deve fare di necessità virtù:accettare ,diremmo noi perchè questa è la vita.
Non pensare che non me lo sia posto io stesso, sono convinto che tutti quanti ce lo siamo posti come umani e non una sola volta nella vita.
E'come dire che ci possono essere diversi universi diverse vite, ma perchè mai proprio questa condizione umana " che cosa ho fatto per vivere in mezzo a ferocia e crudeltà, ignominia, dolore e sofferenza.Ma ci sono anche attimi di gioia e di felicità.


Dimostrami su cosa si possa fondare un etica condivisa di una comunità: puoi solo imporre la forza, la costrizione, l'obbligo.la sanzione
Perchè alla fine lo Stato sulla base del diritto si regge sul monopolio delle armi e la legge viene imposta, con una pena con una sanzione alla disobbedienza.L'albero del bene e del male dimostra che l'uomo finisce per tendere alla sua inclinazione animale.
Non pensare che da giovane anarchico abbia pensato anch'io alla "legge morale dentro di noi" e non un'imposizne esterna.
purtroppo non regge , perchè un uomo è una testa e una mente diversa dalle altre. un'etica ha la necessità non solo che sia accettata dal singolo e seguita nei comportamenti ,ma che venga condivisa.Sono il primo io ad augurarmi un utopico mondo in cui gli uomini siano in pace  e amore
e nel loro intimo una felice spiritualità condivisa ,priva di leggi esterne ed obblighi, ma di rispetto e fratellanza: ma non funziona così il mondo perchè è anche in noi che alberga il male.se non ci fosse il male ,non avremmo bisogno di etica

Non hai capito quello che ho scritto: il Padre non abbandona il Figlio poichè quest'ultimo sapeva già il suo destino sapeva il suo compito, la sua missione sulla terra. Tutto fu già profetizzato prima della venuta di Gesù, che compie le profezie.

Ho letto le scienze antiche, perchè le religioni sono trasmissioni "cristallizzate" di antiche conoscenze.
L'antropologo al massimo può fare correlazioni del tempo storico, del tipo di civiltà ,di ambiente, di contesti in cui una scrittura è nata o riveduta..
Ve ne sono pochi degni di questo. ma quando l'antropologo esce dalla su disciplina dice spesso fesserie.

Il sistema di relazione della comunità in rapporto con la divinità è dato dal destino. Si leggevano i segni nel cielo, nelle stagioni, che mostravano un dio adirato ono in funzione delel clamità dell'abbondanza o scarsità il capro espiatorio è colui che si prende la colpa di tutti e si sacrifca per di nuovo riappacificarsi con Dio.
Dire che il male è esterno all'uomo e creato da Dio è volergli  addebitare  le nostre  colpe nel tempo in cui l'uomo ha ucciso Dio e si  è ripreso il destino,

Quello che filosofi ma anche teologi scrivono dalla modernità alla contemporaneità, sono molto spesso, mi spiace dirlo, un sacco di fesserie.
Tutti, si sta dimenticando che se esiste una parusia e una escatologia è proprio perchè dall'uomo a Dio sappiamo che questa esistenza è il "fio", il destino mortale in divenire.Ma adatto che non credo che veniamo dal niente e spariamo nel niente.........anche il male deve avere un senso,come ogni granello di sabbia.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: sgiombo il 22 Giugno 2017, 07:48:47 AM
Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 17:11:26 PM
@sgiombo

La "crudeltà" è una categoria del pensiero umano che appartiene all'homo e ha senso solo quando è applicata al suo livello evolutivo. Ma che non appartiene agli stadi evolutivi precedenti al nostro dove ciò che regna è l'intelligenza dell'"equilibrio".
Quindi ha perfettamente senso affermare che un homo che uccide un animale o un altro homo è "crudele".
Ma non ha alcun senso affermare che il leone che mangia la gazzella è "crudele". O che la gazzella che mangia l'erba è "crudele" nei confronti dell'erba. Il leone fa il leone. E la gazzella fa la gazzella. Non possono fare diversamente. Si chiama "equilibrio". O, se preferisci, "intelligenza dell'equilibrio".

Per quanto riguarda l'evoluzione che avverrebbe per "mutazioni casuali" di DNA è del tutto evidente che non conosci gli studi di Cairns e successivi.
E se non li conosci è come cercare di spiegare le equazioni di primo e secondo grado a chi non conosce l'algebra. La scienza si evolve. E mentre non è mai stato dimostrato con prove di laboratorio che l'evolzuione si basa su mutazioni casuali di DNA (questo è un dogma di fede), è stato invece provato da Cairns e successivi il contrario e cioè che le mutazioni di DNA non sono affatto casuali ma seguono un processo intelligente dove la "casualità" è una tecnica usata dall'organismo all'interno di un processo adattativo intelligente.
E sai come ha fatto Cairns a scoprirlo? Creando dei batteri con il gene della metabolizzazione del lattosio alterato e inefficente e inserendo questi batteri in soluzioni contenenti solo lattosio. Invece di morire, i batteri hanno cominciato a innescare mutazioni casuali solo del gene difettoso (quello preposto alla digestione del lattosio) fino a trovare un gene "buono" in grado di produrre un enzima che digerisse il lattosio. Dopo che lo hanno trovato, i batteri hanno scartato tutte le prove andate male e hanno tenuto solo la nuova versione di gene capace di digerire il lattosio e lo hanno utilizzato per sostituire il gene difettoso. E grazie a questo sono sopravvissuti e si sono sviluppati.  ;)
Quindi ti invito ad aggiornarti sugli studi della biologia evoluzionista. Se non conosci le nuove scoperte (come ad esempio "l'ipermutazione somatica") di che stiamo parlando? Dell'aria fritta....
CitazioneGrazie per l' invito, ma lo rispedisco al mittente.

Infatti ma hai scritto solo colossali sciocchezze indicative di grande ignoranza e superficialità (tue; circostanza non nuova) sulle mutazioni genetiche in alcuni batteri come escherichia coli (sempre casuali "qualitativamete", anche se in certe circostanze determinatamente si intensificano "quantitativamente", aumentando la loro frequenza, meccanismo biologico comparso per precedenti mutazioni genetiche altrettanto casuali e preservatosi, in quanto adattativo, per selezione naturale), che rientrano invece perfettamente nella biologia scientifica evoluzionistica.

Inoltre confondi la crudeltà che é propria (anche) di tantissimi animali e piante con la responsabilità etica per le proprie azioni (in particolare per quelle crudeli) che é propria unicamente dell' uomo.
Il fatto che il leone non sia eticamente condannabile, contrariamente all' assassino, non rende affatto gentile o amorevole il trattamento che riserva alle sue prede.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 22 Giugno 2017, 10:06:38 AM
Citazione di: Vittorio Sechi il 21 Giugno 2017, 20:58:54 PM
non ho dubbi che sia come dici... Però il testo in commento è definito Bibbia, non new age for all.
Sei tu, mi sembra, che hai detto che dal testo della Genesi si evince che, esistendo l'albero della conoscenza del bene e del male, si deduce che il male esistesse prima della comparsa dell'homo.
Leggendo il testo, invece, appare chiaro che l'autore fa sorgere il male DOPO la "caduta" (vedi storia di Caino e Abele).
L'idea che il male fosse pre-esistente alla "caduta" è una tua invenzione che non trova riscontro nel testo.

Se questa è la tua interpretazione "corretta", stiamo freschi.  :D
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 22 Giugno 2017, 10:10:52 AM
@sgiombo

Mi spiace per te, ma l'esperimento di Cairns dimostra che le mutazioni casuali del DNA riguardano SOLO il "gene difettoso" e sono indirizzate a rimpiazzare il "gene difettoso" con un gene buono.
Quindi la "mutazione casuale" è una tecnica usata dall'organismo e indotta dall'organismo al fine di produrre un "gene buono" col quale rimpiazzare il gene difettoso. La "mutazione casuale" è, quindi, una tecnica usata dall'organismo all'interno di un processo intelligente. E il processo intelligente è proprio quello che riguarda la sostituzione del "gene difettoso" con un "gene buono".

Le "mutazioni incontrollate", che l'organismo cerca di evitare in ogni modo con vari sistemi di controllo (soprattutto durante la fase di copiatura del DNA), portano a malattie e disfunzioni, non certo all'evoluzione. Sono le "mutazioni controllate" che portano all'evoluzione.
Come sempre, caro sgiombo, hai toppato.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: sgiombo il 22 Giugno 2017, 20:59:45 PM
Citazione di: myfriend il 22 Giugno 2017, 10:10:52 AM
@sgiombo

Mi spiace per te, ma l'esperimento di Cairns dimostra che le mutazioni casuali del DNA riguardano SOLO il "gene difettoso" e sono indirizzate a rimpiazzare il "gene difettoso" con un gene buono.
Quindi la "mutazione casuale" è una tecnica usata dall'organismo e indotta dall'organismo al fine di produrre un "gene buono" col quale rimpiazzare il gene difettoso. La "mutazione casuale" è, quindi, una tecnica usata dall'organismo all'interno di un processo intelligente. E il processo intelligente è proprio quello che riguarda la sostituzione del "gene difettoso" con un "gene buono".

Le "mutazioni incontrollate", che l'organismo cerca di evitare in ogni modo con vari sistemi di controllo (soprattutto durante la fase di copiatura del DNA), portano a malattie e disfunzioni, non certo all'evoluzione. Sono le "mutazioni controllate" che portano all'evoluzione.
Come sempre, caro sgiombo, hai toppato.
CitazioneMi spiace per te ma queste tue affermazioni (non di Cairns), fra l' alro esplicitamente finalistiche (sic!) sono solo strafalcioni antiscientifici.

Le mutazioni di escherichia coli in condizioni ambientali svantaggiose, in seguito a un adattamento genomicamente condizionato casuale "premiato" dalla selezione naturale, (e non affatto indotte finalisticamente e intelligenemente dall'organismo come un mezzo "tecnico" per ottenere suoi presunti scopi) aumentano notevolmente di frequenza ma sono del tutto causali; l' aumento della frequenza di mutazioni indiscriminate e casuali, e NON AFFATTO FINALIZZATE aumenta ovviamente la probabilità che ne compaia una "buona per la sopravvivenza" (adattiva), cosa che ha dunque ottime probabilità di verificarsi e perciò spessissimo accade.
In questo processo afinalistico l' organismo batterico non può evitare in alcun modo le mutazioni svantaggiose nel processo di replicazione del DNA, ma semplicemente queste sono eliminate "a posteriori" dalla selezione naturale.
Tutto qui: mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, e nessun "finalismo"!
In generale e nel caso particolare in questione la stragrande maggioranza delle mutazioni, che sono casuali, sono svantaggiose e vanno perdute; persistono e si diffondono quelle pochissime che DEL TUTTO CASUALMENTE sono adattative.

Come quasi sempre (nessuno é perfetto, nemmeno in negativo) hai toppato tu, e alla grande!

P.S.: Non ho tempo né voglia di replicare al tuo prevedibilissimo insistere nel propalare sciocchezze antiscientifiche (anche perché non c' é peggior sordo di chi non vuole -o non può, per suoi propri limiti culturali- sentire), e perciò non opporrò ulteriori repliche del tutto inutili allo scopo di farti capire.
Non é che ripetendo ad libitum strafalcioni antiscientifici questi diventino scienza!
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 22 Giugno 2017, 23:04:33 PM
Nel mio passato ho avuto la possibilità di conoscere personaggi che nel loro campo erano studiosi di fama internazionale. Di altri grandi personaggi invece mi hanno parlato amici miei, che hanno avuto la possibilità di incontrarli di presenza. C'è una caratteristica che quasi sempre connota questi personaggi, per come li ho conosciuti e per come me ne hanno parlato: una straordinaria modestia e umiltà. La cosa è comprensibile: quanto più uno studioso si addentra in un campo, tanto più tocca con mano quanto quel campo sia sterminato, immenso, costringendoti a sentirti piccolo piccolo.

Al contrario, ci sono i turisti dei vari campi di studio, assetati di conoscenza, ma privi di metodo, autodidatti. Questa sete di conoscenza è ovviamente da elogiare e si entusiasma facilmente per le scoperte compiute attraverso la lettura di qualche libro. Mancando però un maestro che ti dia un metodo, che spenga certi entusiasmi che sono fuochi di paglia rivolti verso direzioni sbagliate, che indirizzi verso gli orizzonti che invece meritano l'impiego di energie, speranze, lavoro, mancando questo è facile che si faccia strada la presunzione, si fanno strada modi di parlare falsi: un'ipotesi diventa una certezza, un sospetto diventa un dato di fatto e così nasce il modo di parlare che chiamo "da bar", in cui, nei casi più esasperati, si fa a gara non solo a chi riesce a far passare per certezza la baggianata più grossa, ma perfino a convincere se stessi che non è una baggianata, ma una certezza scontata.

Altro che la modestia e umiltà dei grandi maestri; sono due poli completamente opposti. Questi che ho chiamato turisti sono spesso semplicemente i giovani, gli adolescenti, che giustamente hanno bisogno di speranze, entusiasmi, estremismi. In questo senso il maestro è spesso colui che ti smorza gli entusiasmi, ti toglie le speranze, ti riporta con i piedi per terra, insomma ti uccide Dio. Ma, come ho detto, il maestro poi è anche colui che ti guida agli entusiasmi più solidi, alle gioie robuste che poi saranno in grado di resistere alla persecuzione e alla morte.

Mi sembra che in questo senso un grande uccisore di Dio sia stato Gesù. Ci sono tanti aspetti nella religione cattolica, ma anche nei Vangeli stessi, che mostrano che la risurrezione di Gesù non può essere compresa, non può essere oggetto di culto se non strettamente legata alla sua morte. Gesù risorto è uno che porta ancora con sé la morte: a Tommaso dice di toccargli le ferite; la sua ascensione è una sconfitta perché quel modo di essere presente in tutto il mondo è troppo inquinato di assenza; da sempre i cristiani hanno adottato spontaneamente il crocifisso, non il risorto, come simbolo della loro religione. Insomma, per me, nella mia prospettiva di ateo ex credente, la risurrezione di Gesù non è un trionfo, una fanfara perepé perepé, ma contiene piuttosto la spiritualità profonda dei grandi maestri cui ho accennato sopra, gente severa, persone che ti spengono senza pietà certi entusiasmi fuochi di paglia, al punto da farti stare male, ma ti aprono anche vie di conoscenza che ti fanno toccare nell'intimo bellezza, robustezza e profondità.

Allora, sempre dal punto di vista dell'ateo che adesso sono, penso che Dio è morto perché Gesù l'ha ucciso, proprio attraverso il suo modo tutto particolare di essere risorto, una risurrezione tutta intrisa di morte, perché si è data la missione di guidare al meglio di cosa significa che siamo umani; è pur sempre risurrezione, non è caduta unilaterale nel pessimismo, ma è un ottimismo da persone adulte che sanno essere modeste, non da adolescenti arroganti. Allora dico "Benvenuta, morte di Dio".

Questa diventa la risposta di Gesù al problema della teodicea: nel mondo c'è il male perché purtroppo non abbiamo ancora ucciso del tutto Dio; Dio non si uccide semplicemente facendosi atei, bisogna stanarlo in tanti altri angoli in cui ancora persiste e chissà se ci sarà mai una sua morte totale. Gesù ha fatto la sua parte, gli ha assestato i suoi colpi, ma c'è ancora un enormità di lavoro da fare, che non sappiamo se mai finirà, perché l'intero universo è tutto avvelenato di divinità in ogni suo atomo, non siamo solo noi ad avere l'incarico di uccidere Dio, ma l'intero universo.

Questo può far capire anche perché io non veda di buon occhio la gioia come ideale massimo, addirittura eterno, di vita, come ha proposto Freedom nell'altra discussione: perché mi sa di fanfara perepé perepé, nonostante sia ovvio che non si riduce a questo.

Ho usato in questo messaggio un linguaggio più letterario, spirituale, allusivo, soggettivo, ma d'altra parte è con questo linguaggio che questa discussione era iniziata, e con quest'argomento.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 22 Giugno 2017, 23:10:28 PM
Dimenticavo: per me il paradiso è invece poter conoscere grandi maestri e maestre. Il resto viene dopo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 22 Giugno 2017, 23:50:45 PM
@A.Cannata scrive:

nel mondo c'è il male perché purtroppo non abbiamo ancora ucciso del tutto Dio; Dio non si uccide semplicemente facendosi atei, bisogna stanarlo in tanti altri angoli in cui ancora persiste e chissà se ci sarà mai una sua morte totale. Gesù ha fatto la sua parte, gli ha assestato i suoi colpi, ma c'è ancora un enormità di lavoro da fare, che non sappiamo se mai finirà, perché l'intero universo è tutto avvelenato di divinità in ogni suo atomo, non siamo solo noi ad avere l'incarico di uccidere Dio, ma l'intero universo.

E che è? L'Home page di un sito satanico?  ??? Sono parole che trasudano odio verso Dio ( odio verso qualcosa che si ritiene inesistente...).
Ma davvero ritieni che l'idea di un Dio sia la causa di ogni male? Non trovi assurda questa posizione ? Se Dio non esiste, è quindi una creatura del pensiero umano, ergo tutto il male imputato a Dio non può essere che male da imputare all'uomo che l'ha concepito. A meno che...tu, in fondo, non ritenga che invece esiste, ma lo odi perché ha creato un mondo che non ti soddisfa, e non vuoi che esista e quindi deve essere "combattuto" e distrutto ( un ideale satanico cioè...).
Sei forse un maestro di spiritualità "nera" ?... :-\
Mah!...perplessità...

Citazione di: Angelo Cannata il 22 Giugno 2017, 23:10:28 PMDimenticavo: per me il paradiso è invece poter conoscere grandi maestri e maestre. Il resto viene dopo.


Oddio...il mondo è sempre stato pieno di gente che desiderava "ammaestrare", e quasi tutti ne traevano giovamento "personale" ... :( Io sono rimasto ancora alle ultime parole di Siddhartha al fido Ananda: "Sii luce a te stesso, Ananda, non avere altra luce..." pertanto...tutto sommato...'ste 27 vergini che dicono aspettino nel Paradiso...se proprio soffrono di solitudine...potrei anche sacrificarmi...anche se...non conosco perfettamente i testi, ma...è scritto per caso che età hanno?... :-[ :-[ :-[   
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 00:30:07 AM
Da relativista quale sono, il mio ateismo non si pone nei termini di esistenza o non esistenza di Dio. Per me il verbo esistere, se considerato da un punto di vista fondamentale, è privo di significato. Per questo motivo non ho alcun interesse alla questione se Dio esiste o meno. Il mio ateismo è esistenziale, cioè riguarda il comportamento concreto: io scelgo di non relazionarmi con Dio con il tipo di relazione che hanno i credenti, cioè rivolgersi a lui, ascoltarlo, meditarlo. Poi, che Dio esista o non esista sono affari suoi o di chi se ne voglia occupare.

Riguardo all'odio verso Dio, non penso di averne, anzi, attribuisco grande importanza alle esperienze che ho vissuto da credente e ho totale stima delle esperienze che vivono i credenti. Uccidere Dio per me non significa far sparire le religioni: non sono certo uno dell'Isis o un crociato. Uccidere Dio per me significa vivere un processo di crescita che non si fa scrupolo di eliminare dalla propria esistenza tutti quegli aspetti che hanno a che fare con la divinità e che al momento riconosco non costruttivi. In questo senso, qualsiasi credente ha il dovere di uccidere in se stesso tutti quegli aspetti falsi, sbagliati che fanno parte della sua fede: ogni fede è sempre inquinata da qualche idea sbagliata su Dio. La differenza tra me e un credente è che il credente lavora tutti i giorni per eliminare dalla sua vita preconcetti errati su Dio, déi falsi, come per esempio l'amore per le ricchezze, l'egoismo, mentre io invece ho scelto eliminare direttamente ogni mio rivolgermi a Dio. Ma il credente, ogni credente, rimane per me una fonte di spiritualità da cui ho da imparare, così come egli ha da imparare da me: tutti abbiamo da imparare da tutti. Non per nulla ho detto che per me il paradiso è avere grandi maestri, e spesso sono io che devo accorgermi dei grandi maestri che mi trovo accanto, che magari non hanno nomi altisonanti, ma hanno molto da insegnarmi.

Come vedi, il mio uccidere Dio è tutt'altro che odio. Però se la metti sul piano di dibattere se Dio esiste o non esiste, non ci capiamo più: la mia spiritualità, anzi, mi permetto di dire la spiritualità, in quanto vita interiore e quindi vita interiore di tutti, di chiunque, si pone su piani diversi, altrimenti non sarebbe vita interiore di chiunque.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 23 Giugno 2017, 08:42:39 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 00:30:07 AMDa relativista quale sono, il mio ateismo non si pone nei termini di esistenza o non esistenza di Dio. Per me il verbo esistere, se considerato da un punto di vista fondamentale, è privo di significato. Per questo motivo non ho alcun interesse alla questione se Dio esiste o meno. Il mio ateismo è esistenziale, cioè riguarda il comportamento concreto: io scelgo di non relazionarmi con Dio con il tipo di relazione che hanno i credenti, cioè rivolgersi a lui, ascoltarlo, meditarlo. Poi, che Dio esista o non esista sono affari suoi o di chi se ne voglia occupare. Riguardo all'odio verso Dio, non penso di averne, anzi, attribuisco grande importanza alle esperienze che ho vissuto da credente e ho totale stima delle esperienze che vivono i credenti. Uccidere Dio per me non significa far sparire le religioni: non sono certo uno dell'Isis o un crociato. Uccidere Dio per me significa vivere un processo di crescita che non si fa scrupolo di eliminare dalla propria esistenza tutti quegli aspetti che hanno a che fare con la divinità e che al momento riconosco non costruttivi. In questo senso, qualsiasi credente ha il dovere di uccidere in se stesso tutti quegli aspetti falsi, sbagliati che fanno parte della sua fede: ogni fede è sempre inquinata da qualche idea sbagliata su Dio. La differenza tra me e un credente è che il credente lavora tutti i giorni per eliminare dalla sua vita preconcetti errati su Dio, déi falsi, come per esempio l'amore per le ricchezze, l'egoismo, mentre io invece ho scelto eliminare direttamente ogni mio rivolgermi a Dio. Ma il credente, ogni credente, rimane per me una fonte di spiritualità da cui ho da imparare, così come egli ha da imparare da me: tutti abbiamo da imparare da tutti. Non per nulla ho detto che per me il paradiso è avere grandi maestri, e spesso sono io che devo accorgermi dei grandi maestri che mi trovo accanto, che magari non hanno nomi altisonanti, ma hanno molto da insegnarmi. Come vedi, il mio uccidere Dio è tutt'altro che odio. Però se la metti sul piano di dibattere se Dio esiste o non esiste, non ci capiamo più: la mia spiritualità, anzi, mi permetto di dire la spiritualità, in quanto vita interiore e quindi vita interiore di tutti, di chiunque, si pone su piani diversi, altrimenti non sarebbe vita interiore di chiunque.

A parer mio, definire la spiritualità semplicemente come"vita interiore" è troppo generico. La nostra vita interiore è composta di innumerevoli elementi, spessissimo contrastanti e in opposizione uno all'altro. Se arriva una persona e ti chiede:"Maestro,cos'è la vita spirituale?" e come risposta riceve:"E' la tua vita interiore" questo non solo non lo aiuta, ma è , oltre che enigmatica, una definizione carica di ambiguità. Se questa persona, per es., ha il cuore gravido di odio potrebbe intendere che quell'odio costituisce parte della sua vita spirituale e quindi ritenersi giustificato a proseguire su una via piena di odio. Un Hitler stesso, rientrerebbe nei canoni di un essere pieno di vita interiore. In realtà la denizione di spiritualità come "vita interiore" significa tutto, e quindi logicamente anche niente... 
Questa "vita interiore" dovrebbe almeno definire l'obiettivo che si pone, perché è l'obiettivo che la qualifica. Un generico termine come "cammino", ancora, secondo me, non definisce nulla. Infatti si può tranquillamente camminare in tutte le direzioni, anche contrarie una all'altra. Il passare di maestro in maestro, di esperienza in esperienza,  di insegnamento in insegnamento, lungi dal far maturare la cosiddetta "vita interiore" ottiene invece di rendere sempre più fragile la propria volontà, perché la mente comincia a perdere "fiducia" in ogni cosa, e questo non fa progredire, se non illusoriamente, la vita spirituale.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 10:40:42 AM
La definizione di spiritualità come vita interiore è la definizione oggettiva che emerge dai vocabolari. Il lavoro che porto avanti nel mio sito dimostra che questa definizione è utilissima e se ne possono ricavare orientamenti positivi e cammini specifici, senza rimanere impantanati nei classici dibattiti filosofici tra metafisica e relativismo, che sono inconcludenti e infiniti. Si tratta di seguire metodi seri nel trattare la spiritualità, cosa che a tutt'oggi, a livello mondiale, non è stata mai compiuta; in questo senso il mio lavoro si può definire a pieno titolo pionieristico, anche con tutti i problemi e difetti che ciò comporta; mi dispiace soltanto di essere al momento solo in questa ricerca, mentre essa meriterebbe invece di essere portata avanti con l'impiego sistematico, metodico, delle migliori intelligenze, per esempio rendendola campo di ricerca e studio nelle università. Io sto facendo quello che posso.

Hai detto bene:

Citazione di: Sariputra il 23 Giugno 2017, 08:42:39 AMSe questa persona, per es., ha il cuore gravido di odio potrebbe intendere che quell'odio costituisce parte della sua vita spirituale e quindi ritenersi giustificato a proseguire su una via piena di odio. Un Hitler stesso, rientrerebbe nei canoni di un essere pieno di vita interiore.

La definizione della spiritualità come vita interiore è una definizione neutrale, applicabile a tutti gli esseri, non solo umani, del mondo e come tale non è legata ad alcuna morale. Vita interiore non significa vita morale. Perciò sì, anche l'odio è vita spirituale, anche Hitler era pieno di vita interiore. In questo modo si spazzano via tutte le polemiche che nascerebbero nel pretendere di far dipendere la vita spirituale dalla morale, polemiche che sarebbero tutte riconducibili al solito dibattitto tra metafisica e relativismo. Inoltre la spiritualità non viene ad essere alcunché verso cui guidare o convertire le persone, visto che ogni essere di questo mondo ha già una sua spiritualità. Quindi niente battaglie di conquista, niente guerre di religione, niente dibattiti filosofici.

Hai detto un'altra ottima cosa accostando spiritualità e cammino: quest'accostamento non fornisce orientamenti, ma è già una precisazione della definizione "vita interiore": la vita umana si svolge nel tempo e quindi è ragionevole intendere la vita interiore come cammino. Da qui si può andare ancora oltre, precisando che cammino può anche significare progetto: chi voglia coltivare in sé una vita spirituale può riconoscere opportuno lavorare ad un progetto ben organizzato.

Tu stesso poi ti sei addentrato ulteriormente nell'indagine, toccando il problema della pluralità dei maestri: ci sono vantaggi e svantaggi: seguire un solo maestro consente di assorbire bene e profondamente un metodo, ma contiene il rischio di creare una mentalità poco aperta, poco consapevole del fatto che in questo mondo è possibile seguire molti tipi di spiritualità, tutti validi e seri. Un buon bilanciamento riguardo al numero di maestri da seguire può essere ottimamente parte del progetto del proprio cammino.

Tu stesso dunque hai dimostrato che la definizione di spiritualità come "vita interiore" non è affatto vuota, poiché tu stesso hai già avviato nel tuo messaggio alcuni approfondimenti consequenziali riguardo ad essa, che non sono di poco conto, perché aprono la strada ad un mare di approfondimenti ulteriori.

A mio parere tu risenti semplicemente della confusione che tuttora regna a livello mondiale sul termine spiritualità, nel momento in cui lamenti il problema del suo essere slegata da una morale. Il cammino che io sto portando avanti mostra che la spiritualità riesce ad essere un tipo di studio meritevole, fruttuoso, ricchissimo di esperienze, senza alcun bisogno di identificarsi in partenza con una morale. Si tratta poi, tra l'altro, di avere sempre chiara la distinzione tra la spiritualità e le spiritualità. Nel mondo è esistito da sempre un lavoro infinito riguardo alle spiritualità, ma nessuno finora si è dedicato con serietà e metodo a lavorare sulla spiritualità, al singolare.

Per comprendere meglio la questione, si può fare un confronto con la psicologia: la psicologia non è vincolata ad una morale; se lo psicologo tenta di aiutare l'omicida a guarire dai suoi istinti micidiali, non lo fa in base a qualche morale, ma partendo da presupposti completamente differenti, per esempio dall'ipotesi che l'omicida si comporti da omicida perché ci sono state o ci sono nella sua vita esperienze che lo hanno disturbato o lo disturbano. Lo psicologo cerca di individuare questi disturbi e può riuscire a guarire l'omicida, ma la motivazione originaria dello psicologo non è stata quella di indurre l'omicida a fare il bene piuttosto che il male, cioè una motivazione di ordine morale; la motivazione originaria è stata quella di tentare di liberare l'omicida da fattori che possono essere qualificati come disturbi. In questo modo la psicologia, pur non assumendo alcuna morale a proprio fondamento, riesce a farsi apprezzare anche da chi ha scelto di vincolarsi a esigenze morali.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 23 Giugno 2017, 14:48:47 PM
@A.Cannata

La definizione di spiritualità che dà Wikipedia è:
 termine che riguarda, a grandi linee, tutto ciò che ha a che fare con lo spirito, ha svariate accezioni ed interpretazioni. Il suo significato più semplice è il concetto che oltre alla materia tangibile esista un livello spirituale di esistenza, dal quale la materia tragga vita, intelligenza o almeno lo scopo di esistere; tuttavia può arrivare ad includere la fede in poteri soprannaturali (come nella religione), ma sempre con l'accento posto sul valore personale dell'esperienza. L'attribuzione di spiritualità a una persona non implica necessariamente che quella persona pratichi una religione o creda, in generale, all'esistenza dello spirito; in questo caso la spiritualità è vista piuttosto un "modo d'essere" che evidenzi scarso attaccamento alla materialità.
 Pongo l'accento sul finale: " un "modo d'essere" che evidenzi scarso attaccamento alla materialità". Questo è un linguaggio coerente ad ogni forma di spiritualità che si proponga come obiettivo un miglioramento dell'uomo ( una spiritualità che non si ponga questo obiettivo , non è a rigor di termini una forma di spiritualità. Per es., tu citi lo psicanalista e attribuisci al suo lavoro una valenza 'spirituale'. In realtà lo psicanalista sta facendo psicanaiisi...è il suo lavoro , e si fa pagare profumatamente per quello...Penso che non si debba gettare nel calderone di tutto e di più. Non tutto ciò che ha a che fare con l'attività della mente è "spiritualità" ma ciò che forma un "modo d'essere", una visione esistenziale che vada "oltre la materia" e che produca pertanto un disincanto verso di questa. Se non c'è spirito che cerca di elevarsi/liberarsi/comprendere mi sembra però che si concordi ( come per es. nel buddhismo) sulla necessità di liberarsi dall'attaccamento ( è un tratto comune a tutte le grandi esperienze spirituali apparse, a Oriente come a Occidente). Credo che la terminologia sia importante per definire con chiarezza ciò che s'intende. Non mi stupisce pertanto che tu scriva che "sei l'unico" che la intenda in maniera diversa . Credo che, umanamente, sia difficile digerire il fatto che l'odio e l'amore abbiano, nella tua visione, uguale non-valore. Si prova una sorta di naturale e istintiva ( quindi non morale, ma che ha a che fare con qualcosa di più profondo dell'educazione o del condizionamento impartito...) repulsione. Se la "vita interiore" dello stupratore , non essendoci alcuna morale o etica, ha lo stesso valore di quella di uno che magari la sacrifica per aiutare dei migranti dai narcos ( come, per es., i più di quaranta sacerdoti ammazzati dai narcotrafficanti in Messico negli ultimi dieci anni, perché davano fastidio ai loro traffici di esseri umani...) capirai che non si vede alcuna ragione per abbracciare una visione come quella che proponi, che rasenta veramente, a mio a parere, le forme più sottili e insidiose di narcisismo intellettuale, ossia quell'attitudine di ritenere come "importanti" tutte le emozioni, sensazioni, riflessioni e stati mentali che la mente produce e dissolve di continuo. Non è che l'etica  sia mera 'imposizione', ma è anche necessaria proprio per controbilanciare questa pericolosa deriva che, nelle persone sensibili e intelligenti, si manifesta portando a rafforzare l'ego e non a indebolirlo. Indebolire lo spazio dell'ego non è un fatto 'morale', ma semplicemente la necessità di liberare uno spazio, perché la qualità profonda della mente possa emergere e manifestarsi nel concreto, in atti concreti, in un amore concreto.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 16:46:50 PM
Questa tua osservazione, come anche la descrizione che ne dà Wikipedia, è senza dubbio legata alle vicissitudini della parola spiritualità. Ho fatto notare proprio agli estensori di Wikipedia che la descrizione di spiritualità ivi contenuta contiene un'evidente contraddizione: a un certo punto si trova scritto

per spiritualità si intende la ricerca di Dio all'interno di sé

mentre altre affermazioni presenti in quella voce, per esempio

L'attribuzione di spiritualità a una persona non implica necessariamente che quella persona pratichi una religione o creda, in generale, all'esistenza dello spirito

escludono le necessità di un riferimento a Dio. A tutt'oggi non hanno corretto quella contraddizione.

Queste confusioni sono un risultato del fatto che la parola spiritualità è nata all'interno della religione cattolica, come spiego in dettaglio in un mio articolo. In questo senso, nella sua origine "spiritualità" significa senza ombra di dubbio vita del cattolico nello Spirito Santo. Il fatto è che, da oltre un secolo, tra gli stessi cattolici si è sempre più fatta strada l'idea che in realtà la parola spiritualità può essere intesa in un senso più vasto, arrivando ad includere la semplice vita interiore di chiunque, anche degli atei, senza alcun necessario riferimento allo Spirito Santo. È il caso di far notare che il filosofo Pierre Hadot ha effettuato i suoi studi sui filosofi classici dimostrando che nelle origini la filosofia non era un freddo disquisire, ma un vero e proprio esercizio di spiritualità, impegnativo di tutta la persona. In questo senso, se la parola spiritualità è nata nel cattolicesimo, il concetto di spiritualità e di esercizio spirituale è precedente al cattolicesimo, essendo nato nel contesto vitale dei primi filosofi greci. Questa è la condizione storica in cui oggi si trova la parola spiritualità: per un verso tutt'ora ancorata alla sua origine cattolica, per altri versi intesa sempre più come generica vita interiore.

Il lavoro che io sto facendo si pone in questa situazione storica e cerca di valorizzare l'orientamento che oggi esiste anche tra gli stessi cattolici ad intendere la spiritualità semplicemente come vita interiore. Tanto per citare un esempio di questa tendenza, il 12 giugno scorso c'è stato un convegno a Roma su "Laicità e spiritualità" in cui è intervenuto anche il cardinale Gianfranco Ravasi, il quale si è espresso in questi termini: "La laicità è uno spazio dove tutti si ritrovano, sia credenti, sia non credenti. Il cristianesimo è una religione fondata da un laico; Gesù di Nazareth, infatti, non era Sacerdote, anzi apparteneva alla tribù di Giuda, che è una tribù laica. La spiritualità, invece, è spesso associata a un qualcosa di etereo, impalpabile, inconsistente. Bisogna considerarla come una categoria sì religiosa, ma anche culturale, strumentale a una conoscenza polimorfica".

Potrei citarti decine di altri siti internet italiani e da tutto il mondo che testimoniano il farsi strada di quest'orientamento; forse sono anche centinaia, ma non mi sembra, purtroppo è un orientamento che stenta ancora a farsi strada. In realtà prevedo che tutto il mio lavoro un giorno sarà rimpiazzato da quello di esperti e ricercatori che finalmente si convinceranno che la spiritualità, intesa in senso svincolato dal credere in qualcosa, merita ricerche serie. A quel punto non avrò altro da fare che eliminare tutto e mettermi da parte. Al presente però questo lavoro sistematico non esiste in alcuna parte del mondo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 17:28:26 PM
Citazione di: Sariputra il 23 Giugno 2017, 14:48:47 PM
Pongo l'accento sul finale: " un "modo d'essere" che evidenzi scarso attaccamento alla materialità".
Dopo quanto ho detto, quest'affermazione è da considerare di parte, poiché esclude dal raggio della spiritualità chi non intenda credere ad alcunché oltre la materia, mentre invece la spiritualità come semplice vita interiore è un fenomeno già presente in ogni persona sin dalla sua nascita, indipendentemente dalle sue scelte filosofiche o di fede.
Citazione di: Sariputra il 23 Giugno 2017, 14:48:47 PM
Questo è un linguaggio coerente ad ogni forma di spiritualità che si proponga come obiettivo un miglioramento dell'uomo
In base a quanto ho detto, una spiritualità può proporsi quest'obiettivo, ma la spiritualità no, perché una spiritualità può significare qualsiasi spiritualità anche legata a scelte filosofiche o di fede, mentre la spiritualità non dipende da alcuna scelta.
Citazione di: Sariputra il 23 Giugno 2017, 14:48:47 PMCredo che, umanamente, sia difficile digerire il fatto che l'odio e l'amore abbiano, nella tua visione, uguale non-valore.
Spiritualità significa vita interiore, non significa adesione a dei valori, altrimenti dovremmo concludere che ha una vita interiore solo chi aderisce a certi valori, il che non è sostenibile.
Citazione di: Sariputra il 23 Giugno 2017, 14:48:47 PMcapirai che non si vede alcuna ragione per abbracciare una visione come quella che proponi
La spiritualità come vita interiore non è una visione delle cose, del mondo, dell'esistenza, non è una filosofia, non è un modo di interpretare la vita; essa è piuttosto un fenomeno presente in ogni persona. In questo senso la spiritualità non è qualcosa da abbracciare o non abbracciare, ma qualcosa che è dentro ognuno di noi, la cui esistenza è dimostrabile addirittura scientificamente: basta guardare il tracciato di un elettroencefalogramma: se non è piatto, allora quella è già spiritualità, perché vuol dire che in quel cervello c'è dell'attività neuronale.
Citazione di: Sariputra il 23 Giugno 2017, 14:48:47 PMNon è che l'etica  sia mera 'imposizione', ma è anche necessaria proprio per controbilanciare questa pericolosa deriva
La spiritualità non esclude alcuna etica, ma neanche vi si lega. Nel momento in cui vi si lega non è più la spiritualità, ma una spiritualità, non per questo meno rispettabile.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 23 Giugno 2017, 18:21:58 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 16:46:50 PM
Questa tua osservazione, come anche la descrizione che ne dà Wikipedia, è senza dubbio legata alle vicissitudini della parola spiritualità. Ho fatto notare proprio agli estensori di Wikipedia che la descrizione di spiritualità ivi contenuta contiene un'evidente contraddizione: a un certo punto si trova scritto

per spiritualità si intende la ricerca di Dio all'interno di sé

mentre altre affermazioni presenti in quella voce, per esempio

L'attribuzione di spiritualità a una persona non implica necessariamente che quella persona pratichi una religione o creda, in generale, all'esistenza dello spirito

escludono le necessità di un riferimento a Dio. A tutt'oggi non hanno corretto quella contraddizione.

Queste confusioni sono un risultato del fatto che la parola spiritualità è nata all'interno della religione cattolica, come spiego in dettaglio in un mio articolo. In questo senso, nella sua origine "spiritualità" significa senza ombra di dubbio vita del cattolico nello Spirito Santo. Il fatto è che, da oltre un secolo, tra gli stessi cattolici si è sempre più fatta strada l'idea che in realtà la parola spiritualità può essere intesa in un senso più vasto, arrivando ad includere la semplice vita interiore di chiunque, anche degli atei, senza alcun necessario riferimento allo Spirito Santo. È il caso di far notare che il filosofo Pierre Hadot ha effettuato i suoi studi sui filosofi classici dimostrando che nelle origini la filosofia non era un freddo disquisire, ma un vero e proprio esercizio di spiritualità, impegnativo di tutta la persona. In questo senso, se la parola spiritualità è nata nel cattolicesimo, il concetto di spiritualità e di esercizio spirituale è precedente al cattolicesimo, essendo nato nel contesto vitale dei primi filosofi greci. Questa è la condizione storica in cui oggi si trova la parola spiritualità: per un verso tutt'ora ancorata alla sua origine cattolica, per altri versi intesa sempre più come generica vita interiore.

Il lavoro che io sto facendo si pone in questa situazione storica e cerca di valorizzare l'orientamento che oggi esiste anche tra gli stessi cattolici ad intendere la spiritualità semplicemente come vita interiore. Tanto per citare un esempio di questa tendenza, il 12 giugno scorso c'è stato un convegno a Roma su "Laicità e spiritualità" in cui è intervenuto anche il cardinale Gianfranco Ravasi, il quale si è espresso in questi termini: "La laicità è uno spazio dove tutti si ritrovano, sia credenti, sia non credenti. Il cristianesimo è una religione fondata da un laico; Gesù di Nazareth, infatti, non era Sacerdote, anzi apparteneva alla tribù di Giuda, che è una tribù laica. La spiritualità, invece, è spesso associata a un qualcosa di etereo, impalpabile, inconsistente. Bisogna considerarla come una categoria sì religiosa, ma anche culturale, strumentale a una conoscenza polimorfica".

Potrei citarti decine di altri siti internet italiani e da tutto il mondo che testimoniano il farsi strada di quest'orientamento; forse sono anche centinaia, ma non mi sembra, purtroppo è un orientamento che stenta ancora a farsi strada. In realtà prevedo che tutto il mio lavoro un giorno sarà rimpiazzato da quello di esperti e ricercatori che finalmente si convinceranno che la spiritualità, intesa in senso svincolato dal credere in qualcosa, merita ricerche serie. A quel punto non avrò altro da fare che eliminare tutto e mettermi da parte. Al presente però questo lavoro sistematico non esiste in alcuna parte del mondo.
Caro Cannata,  alias maestro di spiritualità  che  non hai ancora capito cosa sia la spiritualità e ti ritieni  guida spirituale, almeno secondo il tuo profilo,  ti consiglio di far riposare quella testa che  produce idee a riguardo di un argomento che interessa  il cuore degli esseri umani e non la mente.
La cosa è molto più semplice di quello che dici con le tue elucubrazioni mentali che penso leggerai solo tu  o pochi altri.
La spiritualità è il contrario del materialismo. 
Il materialista crede di essere materia e confida, spera ed adora le cose materiali, mentre la persona spirituale o la spiritualità nella quale vive consiste nel credere che non siamo carne ma anima e per questo  si confida nello Spirito del  Signore Dio, si spera in Lui e si adora solo Lui,  vivendo staccato dalle cose del mondo. 
Se preferisci  la persona spirituale è in questo mondo ma non è di questo mondo.
Lascia perdere  le teorie di persone che parlano di idee anche se queste idee procedono da esseri socialmente colti, da religiosi  con galloni ,ma che di spiritualità non hanno niente ecc...,perché sono materialisti e come tali di spiritualità non sano niente come te.  
Tu sei uno di loro. 
Il fatto che questo post ti crei irritazione è la prova che quello che è scritto è verità!!
Non fare che su di te si realizzi il versetto di Ap 2 - I falsi religiosi, li ho messi alla prova e li ho trovati bugiardi - chiacchieroni!!!
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 23 Giugno 2017, 20:32:55 PM
@A.Cannata
Non prendo le tue obiezioni punto per punto, ma mi concentro ancora su questa che, a mio avviso, è il nucleo che le riassume:

La spiritualità come vita interiore non è una visione delle cose, del mondo, dell'esistenza, non è una filosofia, non è un modo di interpretare la vita; essa è piuttosto un fenomeno presente in ogni persona. In questo senso la spiritualità non è qualcosa da abbracciare o non abbracciare, ma qualcosa che è dentro ognuno di noi, la cui esistenza è dimostrabile addirittura scientificamente: basta guardare il tracciato di un elettroencefalogramma: se non è piatto, allora quella è già spiritualità, perché vuol dire che in quel cervello c'è dell'attività neuronale.

L'attività neuronale, misurabile con appositi strumenti, è indicatore della presenza di "spiritualità" nella mente? L'attività neuronale è quello che è: attività neuronale scientificamente misurabile ( ce l'hanno anche le galline una certa attività neuronale e cosa dire dei poveri dementi, la cui attività neuronale è totalmente sconvolta, devono ritenersi "spiritualmente sconvolti"?...). Quindi ripropongo la mia obiezione: ricondurre la spiritualità a semplice definizione di attività mentale omnicomprensiva, scientificamente misurabile, mi  risulta chiamarsi  "materialismo" e non definisce nulla di cos'è in concreto la spiritualità e che cosa la definisce e delimita rispetto a ciò che non lo è. 
Infatti prima dici che la spiritualità non è questo e non è quello dei prodotti dell'attività mentale e poi invece definisci che tutta l'attività mentale è spiritualità. Necessariamente lo sono anche i primi , e quindi : moralità, etica, visione delle cose, del mondo, dell'esistenza, ecc. Altrimenti  dove possiamo trovare la paternità di questo?
Quale sarebbe a questo punto la differenza rispetto alla definizione di "attività mentale"? Appare , a questo punto, del tutto  indifferente definirsi come "maestro di spiritualità" invece che "maestro di attività mentale" o "maestro di stati mentali" piuttosto che "maestro di attività neuronale". Ma , nel momento in cui ti proponi come "maestro di spiritualità", manifestando interesse per la spiritualità, devi dare una definizione specifica  di cosa intendi con questo.  Cosa che finora non mi sembra tu abbia fatto. Capisco che stai facendo uno sforzo per uscire dai limiti del linguaggio, ma usando il linguaggio non puoi farlo. Possiamo trovare altre strade?... :-\
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 22:24:47 PM
Penso che il linguaggio ci dia ancora molte risorse da poter sfruttare.

Per quanto riguarda il restringimento del campo, rispetto ad una definizione di spiritualità che, essendo troppo vasta, può significare giustamente tutto e niente, io trovo come ottimo criterio la scelta personale. Ci poniamo cioè la domanda: tutto può essere considerato spiritualità, ma noi a quali parti di questo tutto siamo interessati e seguendo quali criteri?

Posta la domanda, è possibile procedere per restringimenti successivi.

Anzitutto io preferisco lasciare da parte il fatto che anche le microvibrazioni degli atomi di una pietra si possano considerare spiritualità, cioè moto interiore della pietra, a causa del fatto che non intravedo quest'aspetto della spiritualità come fruttuoso per la mia ricerca. Quindi preferisco restringere la mia attenzione alla vita interiore degli esseri animali. Dico questo anche perché l'edizione dell'anno scorso della manifestazione "Torino spiritualità" è stata dedicata interamente agli animali. In questo senso non è tanto difficile riscontrare persone disposte a ritenere che anche un cane, per esempio, possa essere ritenuto avente una vita spirituale, pur secondo le sue capacità. Ovviamente questo farebbe rinascere la domanda su cosa si intenda per vita spirituale, ma qui per ora lasciamo stare e proseguiamo col nostro restringimento del campo. A questo punto decido di restringere ancora e di occuparmi soltanto della spiritualità umana.

Queste operazioni di restringimento hanno il vantaggio di tagliare in partenza qualsiasi dibattito infinito riguardo, per esempio, alla possibilità di riferire la parola spiritualità alla vita interiore di un cane: io non lo escludo, ma trovo questa via di ricerca troppo difficile da intraprendere, rispetto ai risultati che fa prevedere. Ognuno resta libero di indagare su questo campo, i risultati saranno poi da valutare in base alla serietà dei metodi adottati e alla validità dei risultati raggiunti.

Dunque, spessissimo, quando io parlo di spiritualità, intendo riferirmi alla spiritualità umana.

A questo punto diventano da precisare i criteri: anche la medicina, la psicologia, la filosofia ecc. si occupano di fenomeni che avvengono dentro l'uomo e che quindi possiamo chiamare vita interiore. Di quali fenomeni interiori la spiritualità umana intende occuparsi?

A questo punto per me il criterio non è poi tanto difficile, basta semplicemente esaminare di chi è figlia la spiritualità: essa è figlia delle religioni e della filosofia, in base a ciò che ho evidenziato nei miei messaggi precedenti. Questo mi conduce ad individuare questa definizione: mi interesserò dei fenomeni interni della vita umana che hanno a che fare con l'attitudine umana ad attribuire alle esperienze interiori significati, sensi, che coinvolgono l'intera esistenza. In questo senso la spiritualità viene ad essere quasi la stessa cosa di religioni e filosofie, ma essa compie un'operazione di comune denominatore: visto che nel mondo esistono molte religioni e molte filosofie, la spiritualità intende occuparsi della possibilità di approfondire quegli aspetti della vita interiore che sono condivisibili, quanto alla ricerca di senso, da tutte le religioni e tutte le filosofie. Dunque, appena vedo che qualche aspetto fa parte della scelta specifica di una religione o di una filosofia, allora devo concludere che quell'aspetto può essere considerato parte, semmai, di una spiritualità, ma non della spiritualità.

A questo punto il lavoro può sembrare pressoché impossibile, una volta che è difficilissimo muoversi tra i sensi, i significati delle esperienze umane, senza parteggiare per questa o quest'altra filosofia, questa o quest'altra religione. Io risolvo questo problema semplicemente ammettendo i miei condizionamenti e quindi considerando che la mia ricerca sarebbe da confrontare con i risultati di chi porta in sé condizionamenti diversi dai miei (non esistono persone senza condizionamenti). Quindi ammetto senza problemi che il mio modo di trattare la spiritualità è condizionato dal mio passato di cattolico, relativista e poi ateo. In questo contesto faccio ugualmente lo sforzo di approfondire ciò che mi può risultare condivisibile da chiunque.

Inoltre, a differenza delle filosofie e religioni, la spiritualità intende occuparsi non tanto della ricerca del senso, ma delle esperienze oggetto di questa ricerca. Cioè, da un punto di vista spirituale, non m'interessa approfondire, ad esempio, il perché del dolore, del male: questo lo fanno filosofie e religioni; m'interessa approfondire che cosa sono nell'uomo queste esperienze, cosa producono in lui, quali dinamiche innescano nell'intrecciarsi con altre esperienze. In questo la spiritualità non si identifica con filosofie e religioni, però si mantiene senza dubbio in dialogo con esse.

Quanto all'accusa di materialismo, credo che sarebbe valida se io escludessi l'esistenza di realtà non materiali, ma io non la escludo; piuttosto, non me ne occupo perché la trovo troppo difficile da indagare con metodi efficaci, seri, capaci di pervenire a risultati apprezzabili e condivisibili.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 24 Giugno 2017, 00:16:30 AM
per  Cannata


Ma come fai a dire così tante sciocchezze in poche righe?
Prima cosa,  o prima sciocchezza,  abbinare la spiritualità alla filosofia è come mettere assieme il sacro e il profano!
La spiritualità appartiene al cuore mentre la filosofia appartiene alla mente che ha la stessa  radice della parola mentire!
Ma la cosa più incredibile perché assurda è che dici di essere approdato all'ateismo e pensi di poter parlare di spiritualità. Credimi, ne ho sentite tante ma questa le supera tutte! Toglimi una curiosità, ma tu distingui le persone spirituali da quelle spiritate?
Le prime credono nel Signore Dio, le seconde si affidano a satana o sono da lui prese.
Cos'è poi questa storia del dolore  che misceli con la spiritualità ?
Per tua conoscenza il dolore è un fatto fisico, mentre la sofferenza è psicospirituale!
Insomma nel tuo stringi stringi non vedo  la guida spirituale, forse sei una guida per spiritati senza saperlo!
Da quando ti ho conosciuto tramite questo Forum, ho percepito che in verità sei solo  in cerca di visibilità per soddisfare chissà quale repressione, ti ho lasciato stare perché credevo che qualcosa di buono potesse venir fuori, ma  scrivendo  sciocchezze finirai, anzi sei finito, per essere additato come l'ambizioso che vorrebbe ma non riesce.
Contento tu, contenti tutti.


P:S

Fai attenzione : La spiritualità non è sinonimo di qualcosa di non tangibile, esempio pensiero.  Dalle tue elucubrazioni  immateriale e spirituale sembrano sinonimi!
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Sariputra il 24 Giugno 2017, 08:52:34 AM
@A.Cannata scrive:

Io risolvo questo problema semplicemente ammettendo i miei condizionamenti e quindi considerando che la mia ricerca sarebbe da confrontare con i risultati di chi porta in sé condizionamenti diversi dai miei (non esistono persone senza condizionamenti). Quindi ammetto senza problemi che il mio modo di trattare la spiritualità è condizionato dal mio passato di cattolico, relativista e poi ateo. In questo contesto faccio ugualmente lo sforzo di approfondire ciò che mi può risultare condivisibile da chiunque.

Messa così appare una cosa terribilmente asettica e fredda, quando invece la spiritualità, per me, è un vissuto che parte dalle viscere stesse e che investe l'intera persona, che lo interroga, lo fa disperare e dubitare ma anche raccogliere piccole lucciole di bellezza tra le mani. Per il mio temperamento non riesco proprio a concepirla in maniera così esangue, sterile, una cosa non da vivere ma da collezionare, quasi come fanciulli che confrontano i loro album di figurine per constatare ciò che hanno in comune e ciò che invece manca...senza un reale obiettivo, in quanto ritengo già a priori che ogni obiettivo sia privo di valore, in quanto "condizionamento"...
Come figlio di una contadina ho succhiato dalla tetta di mia mamma il senso della semina in funzione del raccolto e non certo quello di far collezione di sementi... 
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 24 Giugno 2017, 09:27:09 AM
Citazione di: Sariputra il 24 Giugno 2017, 08:52:34 AMMessa così appare una cosa terribilmente asettica e fredda
Lo trovo normale, logico: proviamo a confrontare la letteratura con una poesia di Giovanni Pascoli: al confronto la letteratura è asettica e fredda; lo stesso avviene se confrontiamo la musica con un brano di Mozart: la musica in astratto sarà inevitabilmente insapore. Lo stesso vale per il rapporto tra la spiritualità da una parte e le spiritualità, oppure una spiritualità dall'altra. Cioè, trovo normale che la materia generale non possa mai avere la pregnanza, il calore della singola esperienza particolare.
Nonostante ciò, io ho in questo una pretesa tutta mia: ritengo che la spiritualità, intesa come insieme di tutte le spiritualità, oppure come approfondimento di ciò che vi è di comune tra esse, sia in grado di far vivere una vera e calda esperienza spirituale. Probabilmente questa mia pretesa deriva dal fatto che il mio modo di trattare la spiritualità non è poi così neutrale, ma molto personalizzato e anche di parte; la neutralità è più un ideale che un dato di fatto.
Al di là di ciò, questa asetticità ha un vantaggio: consentirebbe alla spiritualità di diventare materia scolastica e credo che sarebbe un gran bene per gli studenti di ogni ordine e grado. Se è vero che ogni studente ha una sua vita interiore, perché non offrirgli una guida a sapersi muovere tra le possibilità esistenti, quindi a sapersi districare tra le proposte religiose, filosofiche, e particolarmente a saper considerare con occhio critico le proposte di pseudospiritualità, cioè quelle che sconfinano nella magia, la superstizione, l'impostura, il fanatismo? L'età dello studente è l'età in cui si fanno le scelte più grandi, quelle che determineranno l'impostazione dell'intera esistenza, perché non offrirgli metodologie orientative alla vita, piuttosto che semplicemente alle facoltà universitarie da scegliere, come si fa oggi?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 24 Giugno 2017, 10:58:46 AM
@cannata

Nel mio passato ho avuto la possibilità di conoscere personaggi che nel loro campo erano studiosi di fama internazionale. Di altri grandi personaggi invece mi hanno parlato amici miei, che hanno avuto la possibilità di incontrarli di presenza. C'è una caratteristica che quasi sempre connota questi personaggi, per come li ho conosciuti e per come me ne hanno parlato: una straordinaria modestia e umiltà. La cosa è comprensibile: quanto più uno studioso si addentra in un campo, tanto più tocca con mano quanto quel campo sia sterminato, immenso, costringendoti a sentirti piccolo piccolo.

Non so quali maestri tu abbia conosciuto o sentito.
Io, ad esempio, faccio riferimento a studiosi del calibro di Max Planck e Albert Einstein, i padri della fisica moderna.
A proposito della "morte di dio", Planck diceva:

"Avendo consacrato tutta la mia vita alla Scienza più razionale possibile, lo studio della materia, posso dirvi almeno questo a proposito delle mie ricerche sull'atomo: la materia come tale non esiste! Tutta la materia non esiste che in virtù di una forza che fa vibrare le particelle e mantiene questo minuscolo sistema solare dell'atomo. Possiamo supporre al di sotto di questa forza l'esistenza di uno Spirito Intelligente e cosciente. Questo Spirito è la ragione di ogni materia."

E non sto qui a citare Albert Einstein per non crearti ulteriore imbarazzo.

Sai qual è il tuo problema? Il tuo problema è che sei ancora - e troppo - condizionato dalla visione di dio del cattolicesimo (che poi è la visione di dio di Paolo). Ma Paolo era un uomo che è vissuto 2000 anni fa ed è vissuto in una cultura che separava dio dal creato e che concepiva dio come un "poliziotto dei cieli" pronto a scatenare la sua ira vendicativa sui peccatori. Il pensiero dell'homo, nel frattempo, si è evoluto. Forse i tuoi "maestri" te l'hanno nascosto.  :D

Dio non è affatto morto. Nemmeno la concezione cattolica (quella di Paolo) di dio è morta. E nemmeno quella ebraica e mussulmana.
Ma la vera novità è che oltre alle concezioni di dio delle religioni tradizionali ancora molto diffuse (cristianesimo, ebraismo, islam), si è fatta strada nel corso del 20mo secolo una concezione di dio più matura: quella di scienziati come Planck e Einstein. Veri maestri spirituali.
Essi hanno introdotto un nuovo concetto di "spiritualità" che ti sfugge completamente: comprendere l'invisibile ordine delle cose nel quale dio - in quanto Mente cosmica cosciente e intelligente - svolge il ruolo centrale attorno al quale tutto ruota e di cui, ogni cosa, è manifestazione. Un concetto di "spiritualità" che vede nelle scienze (biologia, fisica, geologia, psicologia, etologia, astronomia etc) l'unico e vero strumento di ricerca. Poichè solo le scienze ci introducono alla comprensione dell' "invisibile ordine delle cose".


Forse dovresti aggiornare l'elenco dei tuoi maestri.  ;)
Sei totalmente fuori strada ed ho come l'impressione che non ci stai capendo nulla. Sarà forse colpa dei tuoi "maestri"?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 24 Giugno 2017, 11:07:26 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Giugno 2017, 09:27:09 AM
Citazione di: Sariputra il 24 Giugno 2017, 08:52:34 AMMessa così appare una cosa terribilmente asettica e fredda
Lo trovo normale, logico: proviamo a confrontare la letteratura con una poesia di Giovanni Pascoli: al confronto la letteratura è asettica e fredda; lo stesso avviene se confrontiamo la musica con un brano di Mozart: la musica in astratto sarà inevitabilmente insapore. Lo stesso vale per il rapporto tra la spiritualità da una parte e le spiritualità, oppure una spiritualità dall'altra. Cioè, trovo normale che la materia generale non possa mai avere la pregnanza, il calore della singola esperienza particolare.
Nonostante ciò, io ho in questo una pretesa tutta mia: ritengo che la spiritualità, intesa come insieme di tutte le spiritualità, oppure come approfondimento di ciò che vi è di comune tra esse, sia in grado di far vivere una vera e calda esperienza spirituale. Probabilmente questa mia pretesa deriva dal fatto che il mio modo di trattare la spiritualità non è poi così neutrale, ma molto personalizzato e anche di parte; la neutralità è più un ideale che un dato di fatto.
Al di là di ciò, questa asetticità ha un vantaggio: consentirebbe alla spiritualità di diventare materia scolastica e credo che sarebbe un gran bene per gli studenti di ogni ordine e grado. Se è vero che ogni studente ha una sua vita interiore, perché non offrirgli una guida a sapersi muovere tra le possibilità esistenti, quindi a sapersi districare tra le proposte religiose, filosofiche, e particolarmente a saper considerare con occhio critico le proposte di pseudospiritualità, cioè quelle che sconfinano nella magia, la superstizione, l'impostura, il fanatismo? L'età dello studente è l'età in cui si fanno le scelte più grandi, quelle che determineranno l'impostazione dell'intera esistenza, perché non offrirgli metodologie orientative alla vita, piuttosto che semplicemente alle facoltà universitarie da scegliere, come si fa oggi?
Certo che se i maestri di spiritualità fossero  i Cannata di turno meglio sarebbe lasciare gli studenti il balia delle loro idee sperando che qualcuno imbrocchi la strada giusta.
Purtroppo quando ci erigiamo a modello da seguire inventando un concetto di spiritualità tutto personale e  nel contempo avulso dalla verità abbiamo la certezza di dire le più grandi sciocchezze!!!!
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Giugno 2017, 09:27:09 AM
Citazione di: Sariputra il 24 Giugno 2017, 08:52:34 AMMessa così appare una cosa terribilmente asettica e fredda
Lo trovo normale, logico: proviamo a confrontare la letteratura con una poesia di Giovanni Pascoli: al confronto la letteratura è asettica e fredda; lo stesso avviene se confrontiamo la musica con un brano di Mozart: la musica in astratto sarà inevitabilmente insapore. Lo stesso vale per il rapporto tra la spiritualità da una parte e le spiritualità, oppure una spiritualità dall'altra. Cioè, trovo normale che la materia generale non possa mai avere la pregnanza, il calore della singola esperienza particolare.
Nonostante ciò, io ho in questo una pretesa tutta mia: ritengo che la spiritualità, intesa come insieme di tutte le spiritualità, oppure come approfondimento di ciò che vi è di comune tra esse, sia in grado di far vivere una vera e calda esperienza spirituale. Probabilmente questa mia pretesa deriva dal fatto che il mio modo di trattare la spiritualità non è poi così neutrale, ma molto personalizzato e anche di parte; la neutralità è più un ideale che un dato di fatto.
Al di là di ciò, questa asetticità ha un vantaggio: consentirebbe alla spiritualità di diventare materia scolastica e credo che sarebbe un gran bene per gli studenti di ogni ordine e grado. Se è vero che ogni studente ha una sua vita interiore, perché non offrirgli una guida a sapersi muovere tra le possibilità esistenti, quindi a sapersi districare tra le proposte religiose, filosofiche, e particolarmente a saper considerare con occhio critico le proposte di pseudospiritualità, cioè quelle che sconfinano nella magia, la superstizione, l'impostura, il fanatismo? L'età dello studente è l'età in cui si fanno le scelte più grandi, quelle che determineranno l'impostazione dell'intera esistenza, perché non offrirgli metodologie orientative alla vita, piuttosto che semplicemente alle facoltà universitarie da scegliere, come si fa oggi?

Penso, ma (e lo dico senza ironia) io non sono un maestro di spiritualità, che un percorso spirituale serio e fruttuoso abbia come base imprescindibile la destrutturalizzazione della propria mente; a cominciare dal concetto di bene e male, da liquefare il più presto possibile. Mangiare la mela non è un atto senza ritorno, si ci può mettere le dita in gola e vomitarla. Suppongo questa affermazione vada dritta dritta a centrare l'idea di una visione olistica del mondo, e che appunto per questo venga velocemente archiviata come tale da chi voglia rigettarla. Credo, che l'unica "scuola di spiritualità" possa essere fatta solamente da ore di tempo libero, e "maestri" capaci di prendere le nostre vitree certezze mondane e mandarle in frantumi, anzichè condensarne di altre.Perchè i vetri, seppur asettici, tagliano, ed è meglio che tornino la sabbia che erano, capaci di scorrere da un estremo all'altro della clessidra del nostro tempo. Suppongo, come mi disse un guru indiano, la mente non debba comportarsi diversamente da un pugno, e debba potersi stringere ed aprire a nostro piacimento a seconda delle necessità, perchè non siamo tutti cosi fortunati da poter vivere un esistenza olistica e le pressioni del mondo reale ci costringono a stringere il pugno per portare a casa il pane, che spesso e volentieri era offerto ai maestri, purchè si prestassero unicamente all'opera di puro spirito. Penso che una spiritualità autentica non abbia alcun bisogno di guardarsi dalla superstizione e dall'impostura, perchè sono strumenti per soverchiare l'altro, e la spiritualità vera debba essere un moto entro se stessi, senza necessità alcuna di turlupinare l'altro ne di agire. Penso che i più grandi maestri spirituali siano morti ignoti al mondo e a tutti, non abbiano scritto libri o avuto discepoli, aperto scuole o dottrine, penso abbiano semplicemente respirato il mondo ed espirato se stessi in esso. Tutti gli altri, furono solo dei ben mascherati narcisisti.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 15:32:14 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PMPenso, ma (e lo dico senza ironia) io non sono un maestro di spiritualità, che un percorso spirituale serio e fruttuoso abbia come base imprescindibile la destrutturalizzazione della propria mente; a cominciare dal concetto di bene e male, da liquefare il più presto possibile. Mangiare la mela non è un atto senza ritorno, si ci può mettere le dita in gola e vomitarla.
Sono d'accordo, ma comprenderai che qualsiasi persona ha bisogno di intravedere prima qualcosa di positivo per poi avere la forza e il coraggio di distruggere. L'esperienza mi dice che le persone, o almeno molte persone, pur sapendo che i loro punti di riferimento sono solo escrementi, se l'alternativa è il nulla preferiscono appoggiarsi agli escrementi piuttosto che al nulla; ovviamente è un atteggiamento sbagliato, ma purtroppo mi pare che da un punto di vista psicologico succeda questo in molte persone. È inutile tentare di togliere gli escrementi che hanno in casa, anche se loro stessi sanno che sono escrementi, se prima non riesci a far almeno intravedere loro alternative positive, incoraggianti, consistenti, capaci di fare da sostegno.
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PMCredo, che l'unica "scuola di spiritualità" possa essere fatta solamente da ore di tempo libero
Più che ore direi anni e dovrebbe trattarsi di scuola a tempo pieno; purtroppo non esistono scuole di vita di questo tipo in ambito laico.
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PMnon siamo tutti cosi fortunati da poter vivere un esistenza olistica
L'olismo può essere considerato una spiritualità, ma non la spiritualità, perché se diciamo "la spiritualità", con tale espressione dobbiamo intendere ciò che è comune a tutte le spiritualità, altrimenti non si tratta più della spiritualità, ma di una spiritualità.
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PMPenso che una spiritualità autentica non abbia alcun bisogno di guardarsi dalla superstizione e dall'impostura, perchè sono strumenti per soverchiare l'altro, e la spiritualità vera debba essere un moto entro se stessi, senza necessità alcuna di turlupinare l'altro ne di agire.
Dipende dal grado di avanzamento raggiunto: per me può essere facile proteggermi attraverso il mio senso critico, ma un ragazzino senza esperienza può essere reso facilmente oggetto di raggiri; eppure anche quella del ragazzino è spiritualità autentica; solo che non è avanzata.

Mi dai occasione di una precisazione in relazione a quanto ho già detto riguardo al fatto che è la nostra scelta di restringimento del campo a chiarire il significato di spiritualità. Prima di quest'operazione di restringimento del campo, tutto è spiritualità e quindi non esistono spiritualità false. Man mano però che decidiamo di interessarci solo della spiritualità umana intesa come cammino, e quindi aperta alla ricerca sincera, seria, critica, allora sì, da quel punto di vista certe spiritualità possono essere considerate imposture.

Ciò può chiarire anche il fatto che io, da un punto di vista antropologico, ho anche grande stima delle superstizioni, per il fatto che solitamente esse non nascono a caso, ma in realtà nascondono bisogni profondi dell'animo umano e quindi sono uno strumento preziosissimo per comprendere come è fatto il nostro intimo, quali sono i nostri istinti primordiali, le nostre paure recondite, quali strategie il nostro istinto tenta di adottare per reagire a certi problemi. Da questo punto  di vista anche la falsità e l'impostura possono essere oggetto di interesse serio, in quanto strategie a cui in certi casi l'istinto umano (e non solo umano: anche tra gli animali esistono l'inganno e l'ingiustizia come arma) ricorre in mancanza di alternative che esso riesca ad apprezzare come migliori e valide.
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PMPenso che i più grandi maestri spirituali siano morti ignoti al mondo e a tutti, non abbiano scritto libri o avuto discepoli, aperto scuole o dottrine, penso abbiano semplicemente respirato il mondo ed espirato se stessi in esso. Tutti gli altri, furono solo dei ben mascherati narcisisti.
Mi pare che qui tu abbia fatto come Gesù, il quale spesso non poteva essere compreso perché si serviva di un linguaggio esasperato, tirato come un elastico non solo fino al limite di spezzarsi, ma proprio fino a spezzarsi. Cioè, alla lettera ciò che hai scritto significa che solo i maestri sconosciuti sono stati i veri grandi, mentre tutti quelli conosciuti furono narcisisti. Ne consegue che Buddha, Gandhi, Gesù, Eckart, Socrate, furono solo dei narcisisti. Comunque, penso di capire che in questo caso non ci sia da attenersi in senso troppo stretto alle parole esatte che hai scritto, quindi sono d'accordo: i grandi maestri non sono solo quelli famosi.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 25 Giugno 2017, 16:08:08 PM
Non lo so, non mi sono mai posto come "maestro", ma in virtù di una maggiore propensione alla riflessione è capitato di esser visto, non dico come maestro, ma perlomeno come qualcuno da cui imparare qualcosa. E anche solo il riflesso dello sguardo degli altri mi ha trasformato, ho sentito il "pugno stringersi", e mi sono sentito inesorabilmente allontanare da quello stato che ogni tanto ho lontanamente avvertito, sono tornato "individuo", ho avvertito di nuovo la struttura razionale del mondo. Ho come l'impressione che se il mio principio fosse stato quello di mantenere il mio contatto con il mondo inalterato, avrei dovuto allontanare chiunque avesse avuto voglia di imparare. Egoisticamente pongo i miei limiti personali a limiti umani, probabile sia esistito qualcuno capace di tenere in equilibrio queste due pulsioni, essere maestro senza perdere la propria maestria, usare il vuoto del vaso come utile del pieno, come insegna il tao. Perlomeno mi rendo conto di quanto tutto ciò sia arduo, perlomeno diffido costantemente. La mia impressione persiste, chiunque pensi che la propria parola possa essere insegnamento per un altro, agita in me i più forti dubbi riguardo all'autenticità dei suoi fondamenti, non ho mai visto nessuno con i miei occhi mantenersi inalterato mentre parla, divide, discerne, istruisce, costruisce..parole. Ho ancora qualche tempo da vivere e viaggi da intraprendere, forse cambierò idea in futuro.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 16:44:43 PM
Uno dei motivi per cui ho deciso di presentarmi come maestro di spiritualità è stato proprio quello di correggere l'idea solitamente che ci si fa quando si pensa a questo concetto.

Spesso l'immagine che viene in mente, pensando a "maestro di spiritualità" è quella di uno con la barba, abbastanza impassibile, sempre composto, calmo, che ha una risposta per qualsiasi problema e non sbaglia mai, non ha incertezze, non ha dubbi, ha tutto da insegnare e niente da imparare perché ormai ha imparato tutto.

Proviamo a considerare con occhio critico questo aspetti che ho elencato.

Già è molto criticabile la parola "uno", per il suo essere sia maschile, sia singolare. Percepisco tuttora molto maschilismo nel mondo della spiritualità, abitualmente pensata come un mondo di conquiste, per gente capace di sopportare grandi sforzi interiori, privazioni, per levarsi al di sopra della materialità, della carne, del sesso. Ma perché il maestro di spiritualità non dovrebbe poter essere pensato come una donna, quindi senza barba, magari con un marito, con cui ha quindi i suoi normali rapporti sessuali, insieme a cui deve risolvere i problemi materialissimi della sopravvivenza, del pensare ai figli, del prendersi un raffreddore, il piacere di passare una serata in pizzeria con gli amici, maestra in team insieme ad altri maestri con cui collaborare? Se riflettiamo su queste cose, ci rendiamo conto che l'immagine tradizionale a cui la nostra mente si lega pensando al "maestro di spiritualità" è strapiena di falsità, deformazioni, idee completamente sbagliate. Sono idee buone solo per prendere in giro gli sprovveduti disposti ad andare dietro questi romanticismi pieni di falsità e distruttività.

Poi ci s'immagina il maestro come uno impassibile, composto, calmo. Riguardo a questo amo ricordare a me stesso che il mio principale maestro di spiritualità rimane Gesù, il quale in molti momenti si dimostrò tutt'altro che calmo e composto e si guadagnò perfino la nomea di amante del bere e banchettare.

Poi ci s'immagina il maestro praticamente come un dio, uno che sa tutto, sa come salvare il mondo e soprattutto sa come accusarlo. Anche questo mi sembra profondamente errato e distruttivo. Se il maestro è un essere umano, questo essere non può fare a meno di avere debolezze, incoerenze, dubbi, errori, momenti in cui non sa cosa rispondere. Un vero maestro deve avere momenti, occasioni in cui non sa cosa dire, cosa rispondere, altrimenti è certo che è un presuntuoso, uno che inganna se stesso in continuazione inventandosi risposte pur di non ammettere con se stesso che egli è un essere umano.

Poi c'è il fatto che, in quanto ex prete, di fatto sono stato guida di tantissime persone, seguendole sia in gruppo sia singolarmente, e per molti versi lo faccio ancora.

C'è poi una funzione utile a me: ricordare a me stesso che sono un maestro mi è occasione di richiamo ad evitare di cedere all'abbassamento del livello del dialogo, all'istinto a cercare di avere l'ultima parola, ad apparire come colui che aveva ragione; mi ricorda che ho sempre qualcos'altro di superiore da ricercare nella mia esistenza.

Perché dovrei temere il pensiero che la mia parola possa essere insegnamento per altri, perché dovrei escludere questa possibilità? Il vero problema non è questo. Il vero problema è pensare che le proprie parole siano sempre e solo insegnamento per gli altri, mentre invece esse possono anche essere errate, o possono essere semplicemente parola amichevole, scherzo, battuta; e poi pensare di avere solo da insegnare e non da imparare. Ma se io tengo presente che le mie parole possono anche non essere di ammaestramento e che anch'io imparo dagli altri, qual è il problema di ammettere che in alcune occasioni possa avvenire che altri imparino qualcosa da me?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 16:54:53 PM
Scusa se mi permetto. Ho la sensazione che quanto da te descritto rappresenti un modo stereotipato tutto tuo di intendere la spiritualità e di concepire anche i presunti 'maestri'.

Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 16:59:45 PM
Sì, ciò che ho cercato di fare è stato proprio presentare una maniera stereotipata e mostrarne i difetti. Per il resto è ovvio che uno stereotipo non è detto che sia diffuso in tutti. Il mio scopo principale non era stabilire come oggi viene concepito il maestro, ma usare delle immagini errate, non m'importa molto se e quanto siano realmente presenti e diffuse nella mentalità delle persone, da usare come pretesto per far capire il modo in cui io intendo l'essere maestro.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 17:02:26 PM
Per quanto riguarda il modo di intendere la spiritualità, che dici "tutto mio", vorrei saperne i dettagli, perché il mio interesse è parlare della spiritualità proprio in un modo che non sia mio, ma piuttosto fondato sulla vera situazione storica in cui oggi la spiritualità si trova.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 17:07:20 PM
C'è più spiritualità nella produzione filosofica di Nietzsche o in quella letteraria di Leopardi di quanta ne potresti trovare in mille 'maestri' di spiritualità.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 17:18:53 PM
Infatti per me anche Nietzsche e Leopardi possono essere considerati a tutti gli effetti maestri di spiritualità. Non esiste una lista ufficiale di quali siano le persone che possono essere considerate maestri di spiritualità. Tutto dipende dal tipo di discorso che si vuole portare avanti. Se mi trovo in un discorso che intende limitarsi alla spiritualità delle religioni, non prenderò in considerazione Leopardi come maestro di una religione; ma se intraprendo un discorso di spiritualità intesa come esperienza interiore che la letteratura è in grado di creare dentro di noi, allora Leopardi va considerato di diritto un maestro di spiritualità.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 17:26:37 PM
Sovente non c'è alcuna attinenza fra spiritualità e religione, la quale troppo spesso si preoccupa eccessivamente di formalizzare la gestualità simbolica del rito, ponendo in subordine quel che attiene a quell'oltre che trascende il  nostro essere materia.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 17:32:04 PM
Questa fu esattamente la critica che Gesù rivolse duemila anni fa al fariseismo, che si preoccupava di come bisognava rispettare le più minuziose norme del culto, solo che Gesù non pose come alternativa il trascendere la materia, ma un modo diverso di vivere sia la materia sia quanto può essere pensato come trascendente; infatti egli mostrava che i farisei, con le loro preoccupazioni per le minuzie, trascuravano proprio la materia, l'uomo fatto di carne e ossa, il povero, il malato; che poi ciò implichi un rapporto con il trascendente è facile da accettare, tutto dipende da come si intenderà il trascendente.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 17:40:00 PM
Non hai compreso cosa intendevo con 'oltre che trascende la materia'. Intendo dire che non tutto nell'uomo si limita alla materia e ciò che la trascende è appunto il campo della spiritualità, che non ha alcuna necessità di rivolgersi ad un Dio per poter essere tale.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 17:46:04 PM
Da ateo sono d'accordissimo con questo, ma la spiritualità (non parlo di una o qualche spiritualità) non può sposare una concezione particolaristica riguardo al modo o alla possibilità di trascendere la materia. Anche quella dei materialisti è spiritualità, benché essa non sia la spiritualità, ma una spiritualità. La spiritualità dev'essere un campo di ricerca in grado di essere valido, condivisibile, accettabile sia per chi è materialista, sia per chi ritiene che esistano realtà che trascendono la materia. Per questo dicevo che dipende da cosa s'intende per trascendere.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 25 Giugno 2017, 17:47:03 PM
Maestro di spiritualità? 
L'albero si riconosce dai frutti!
Se  Cannata fosse un maestro di spiritualità - luce del mondo e sale  della terra - non scriverebbe tanti sermoni ai quali non crede neanche lui. Il maestro di spiritualità, donna o uomo che sia, è ricercato ed anche calunniato perché è la luce che infastidisce le tenebre,
 parla di ciò che vive e vive di ciò che parla e il suo vivere in Pace è il segno che è veritiero
In maestro di spiritualità non cerca di convincere altri della sua "professione" e non la scrive sul profilo.
Il maestro di spiritualità è il  Santo Vangelo Vivente e non cerca visibilità perché le sue opere parlano, non ha bisogno di visibilità.
Il maestro di spiritualità non parla delle sue idee, il Signore Dio parla nella sua bocca e per questo è sapiente intelligente ed ha sempre la giusta risposta. Non è sapiente perché lui lo e ma perché il suo Spirito è Spirito di Sapienza.
Chi si da da solo il titolo di guida spirituale  nel contempo  dichiara di essere sapiente , ma non lo è, è un lupo vestito di agnello che inganna innanzitutto se stesso perché gli ingannatori fanno una brutta fine.
La guida spirituale non può dichiarare di essere ateo perché il Signore è in lui non rinnega se stesso.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 25 Giugno 2017, 17:47:39 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 16:44:43 PM
Uno dei motivi per cui ho deciso di presentarmi come maestro di spiritualità è stato proprio quello di correggere l'idea solitamente che ci si fa quando si pensa a questo concetto.

Spesso l'immagine che viene in mente, pensando a "maestro di spiritualità" è quella di uno con la barba, abbastanza impassibile, sempre composto, calmo, che ha una risposta per qualsiasi problema e non sbaglia mai, non ha incertezze, non ha dubbi, ha tutto da insegnare e niente da imparare perché ormai ha imparato tutto.

Proviamo a considerare con occhio critico questo aspetti che ho elencato.

Già è molto criticabile la parola "uno", per il suo essere sia maschile, sia singolare. Percepisco tuttora molto maschilismo nel mondo della spiritualità, abitualmente pensata come un mondo di conquiste, per gente capace di sopportare grandi sforzi interiori, privazioni, per levarsi al di sopra della materialità, della carne, del sesso. Ma perché il maestro di spiritualità non dovrebbe poter essere pensato come una donna, quindi senza barba, magari con un marito, con cui ha quindi i suoi normali rapporti sessuali, insieme a cui deve risolvere i problemi materialissimi della sopravvivenza, del pensare ai figli, del prendersi un raffreddore, il piacere di passare una serata in pizzeria con gli amici, maestra in team insieme ad altri maestri con cui collaborare? Se riflettiamo su queste cose, ci rendiamo conto che l'immagine tradizionale a cui la nostra mente si lega pensando al "maestro di spiritualità" è strapiena di falsità, deformazioni, idee completamente sbagliate. Sono idee buone solo per prendere in giro gli sprovveduti disposti ad andare dietro questi romanticismi pieni di falsità e distruttività.

Poi ci s'immagina il maestro come uno impassibile, composto, calmo. Riguardo a questo amo ricordare a me stesso che il mio principale maestro di spiritualità rimane Gesù, il quale in molti momenti si dimostrò tutt'altro che calmo e composto e si guadagnò perfino la nomea di amante del bere e banchettare.

Poi ci s'immagina il maestro praticamente come un dio, uno che sa tutto, sa come salvare il mondo e soprattutto sa come accusarlo. Anche questo mi sembra profondamente errato e distruttivo. Se il maestro è un essere umano, questo essere non può fare a meno di avere debolezze, incoerenze, dubbi, errori, momenti in cui non sa cosa rispondere. Un vero maestro deve avere momenti, occasioni in cui non sa cosa dire, cosa rispondere, altrimenti è certo che è un presuntuoso, uno che inganna se stesso in continuazione inventandosi risposte pur di non ammettere con se stesso che egli è un essere umano.

Poi c'è il fatto che, in quanto ex prete, di fatto sono stato guida di tantissime persone, seguendole sia in gruppo sia singolarmente, e per molti versi lo faccio ancora.

C'è poi una funzione utile a me: ricordare a me stesso che sono un maestro mi è occasione di richiamo ad evitare di cedere all'abbassamento del livello del dialogo, all'istinto a cercare di avere l'ultima parola, ad apparire come colui che aveva ragione; mi ricorda che ho sempre qualcos'altro di superiore da ricercare nella mia esistenza.

Perché dovrei temere il pensiero che la mia parola possa essere insegnamento per altri, perché dovrei escludere questa possibilità? Il vero problema non è questo. Il vero problema è pensare che le proprie parole siano sempre e solo insegnamento per gli altri, mentre invece esse possono anche essere errate, o possono essere semplicemente parola amichevole, scherzo, battuta; e poi pensare di avere solo da insegnare e non da imparare. Ma se io tengo presente che le mie parole possono anche non essere di ammaestramento e che anch'io imparo dagli altri, qual è il problema di ammettere che in alcune occasioni possa avvenire che altri imparino qualcosa da me?
Penso che la calma e la serenità facciano parte di uno stereotipo, ma diffiderei di chi non le possiede allo stesso tempo. Ci sono diversi modi di "maneggiare" questi stati d'animo. Diffido per esempio di chi non sa ridere, ridere col cuore, non sguaiatamente o per colpa di una banale contraddizione, ma ridere come una musica apotropaica per allontanare le illusioni. Anche qui, si vede chi sa ridere e rimanere impassibile allo stesso tempo, chi lascia tremare le proprie corde vocali e chi invece è rapito dalla risata stessa. Ci sono tanti segni sensuali che possono infonderci fiducia e "farci credere" nelle altre persone. Ma le parole, la maledette parole, sono l'unico strumento per comunicare, e non c'è n'è una che valga la pena di esser detta.. Wittgenstein...un piccolo spiraglio di luce l'ho trovato nei canti diplofonici, sono andato a sentirli, c'è del vero, qualcosa di incredibile attraversa i suoni armonici. Ridere e musicare, forse sono due tipi di comunicazione non viziati..ma non vogliono dire niente, non insegnano niente, nessuno può essere un maestro e discepolo di una risata o di un fischio, eppure ci si guarda negli occhi e sembra di essersi intesi al livello più profondo... finchè non si parla, allora si scopre di essere stati sempre in disaccordo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 17:53:16 PM
Citazione di: giona2068 il 25 Giugno 2017, 17:47:03 PM
Maestro di spiritualità?
L'albero si riconosce dai frutti!
Se  Cannata fosse un maestro di spiritualità - luce del mondo e sale  della terra - non scriverebbe tanti sermoni ai quali non crede neanche lui. Il maestro di spiritualità, donna o uomo che sia, è ricercato ed anche calunniato perché è la luce che infastidisce le tenebre,
parla di ciò che vive e vive di ciò che parla e il suo vivere in Pace è il segno che è veritiero
In maestro di spiritualità non cerca di convincere altri della sua "professione" e non la scrive sul profilo.
Il maestro di spiritualità è il  Santo Vangelo Vivente e non cerca visibilità perché le sue opere parlano, non ha bisogno di visibilità.
Il maestro di spiritualità non parla delle sue idee, il Signore Dio parla nella sua bocca e per questo è sapiente intelligente ed ha sempre la giusta risposta. Non è sapiente perché lui lo e ma perché il suo Spirito è Spirito di Sapienza.
Chi si da da solo il titolo di guida spirituale  nel contempo  dichiara di essere sapiente , ma non lo è, è un lupo vestito di agnello che inganna innanzitutto se stesso perché gli ingannatori fanno una brutta fine.
La guida spirituale non può dichiarare di essere ateo perché il Signore è in lui non rinnega se stesso.


Ecco, per esempio, questo mi sembra un evidente coacervo di luoghi comuni. Strali lanciati senza né capo né coda. Un insieme di brodose frasi fatte attinte acriticamente a destra e a manca. Che dicono tutto senza aver contenuto.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 17:58:46 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 17:47:39 PMPenso che la calma e la serenità facciano parte di uno stereotipo, ma diffiderei di chi non le possiede allo stesso tempo. Ci sono diversi modi di "maneggiare" questi stati d'animo. Diffido per esempio di chi non sa ridere, ridere col cuore, non sguaiatamente o per colpa di una banale contraddizione, ma ridere come una musica apotropaica per allontanare le illusioni. Anche qui, si vede chi sa ridere e rimanere impassibile allo stesso tempo, chi lascia tremare le proprie corde vocali e chi invece è rapito dalla risata stessa. Ci sono tanti segni sensuali che possono infonderci fiducia e "farci credere" nelle altre persone. Ma le parole, la maledette parole, sono l'unico strumento per comunicare, e non c'è n'è una che valga la pena di esser detta.. Wittgenstein...un piccolo spiraglio di luce l'ho trovato nei canti diplofonici, sono andato a sentirli, c'è del vero, qualcosa di incredibile attraversa i suoni armonici. Ridere e musicare, forse sono due tipi di comunicazione non viziati..ma non vogliono dire niente, non insegnano niente, nessuno può essere un maestro e discepolo di una risata o di un fischio, eppure ci si guarda negli occhi e sembra di essersi intesi al livello più profondo... finchè non si parla, allora si scopre di essere stati sempre in disaccordo.
Tutti questi che hai detto sono a mio parere aspetti apprezzabili di spiritualità, ma non possono essere considerati requisiti connaturati alla spiritualità al singolare.

Per esempio, in merito alle parole, ci può essere chi ritiene che esse sono uno strumento validissimo di esperienza spirituale (si pensi a come vengono sfruttate nella letteratura e nella musica, le quali possono essere considerate sorgenti validissime di spiritualità); non per questo è da biasimare chi invece consideri che le parole non sono altro che inganni e quindi ci si debba rivolgere, tutte le volte che è possibile, ad altri mezzi espressivi. Entrambe queste posizioni, diametralmente opposte, sono spiritualità e non è detto che per il fatto che risultano opposte debbano considerarsi in guerra l'una con l'altra: sono ricchezze che la nostra umanità è in grado di coltivare e non è detto che uno debba coltivare in sé tutte le ricchezze spirituali possibili in questo mondo; anzi, ciò è proprio umanamente impossibile, per cui ognuno sceglierà il tipo di spiritualità che preferisce coltivare.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 25 Giugno 2017, 18:09:05 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 17:53:16 PM
Citazione di: giona2068 il 25 Giugno 2017, 17:47:03 PM
Maestro di spiritualità?
L'albero si riconosce dai frutti!
Se  Cannata fosse un maestro di spiritualità - luce del mondo e sale  della terra - non scriverebbe tanti sermoni ai quali non crede neanche lui. Il maestro di spiritualità, donna o uomo che sia, è ricercato ed anche calunniato perché è la luce che infastidisce le tenebre,
parla di ciò che vive e vive di ciò che parla e il suo vivere in Pace è il segno che è veritiero
In maestro di spiritualità non cerca di convincere altri della sua "professione" e non la scrive sul profilo.
Il maestro di spiritualità è il  Santo Vangelo Vivente e non cerca visibilità perché le sue opere parlano, non ha bisogno di visibilità.
Il maestro di spiritualità non parla delle sue idee, il Signore Dio parla nella sua bocca e per questo è sapiente intelligente ed ha sempre la giusta risposta. Non è sapiente perché lui lo e ma perché il suo Spirito è Spirito di Sapienza.
Chi si da da solo il titolo di guida spirituale  nel contempo  dichiara di essere sapiente , ma non lo è, è un lupo vestito di agnello che inganna innanzitutto se stesso perché gli ingannatori fanno una brutta fine.
La guida spirituale non può dichiarare di essere ateo perché il Signore è in lui non rinnega se stesso.


Ecco, per esempio, questo mi sembra un evidente coacervo di luoghi comuni. Strali lanciati senza né capo né coda. Un insieme di brodose frasi fatte attinte acriticamente a destra e a manca. Che dicono tutto senza aver contenuto.
Grazie del consiglio, ma se tu la spiegazione  di maestro di spirtualità non fatta di brodose frasi, postala!
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 18:18:17 PM
In primo luogo confondi constatazione con consiglio. Nella mia frase non c'è alcun consiglio. Secondo aspetto, non ho alcuna spiegazione preconfezionata di cosa possa essere la spiritualità e francamente non m'interessa neppure confezionarne una che restringerebbe l'esperienza con il mondo della trascendenza entro uno spazio recinto con spesse mura, mentre credo che la spiritualità sia un qualcosa che scarti di lato e poco avvezza a farsi inscatolare per essere esposta in una teca alla vista dei curiosi.
Tutto qui.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 25 Giugno 2017, 18:30:31 PM
Citazione di: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 18:18:17 PM
In primo luogo confondi constatazione con consiglio. Nella mia frase non c'è alcun consiglio. Secondo aspetto, non ho alcuna spiegazione preconfezionata di cosa possa essere la spiritualità e francamente non m'interessa neppure confezionarne una che restringerebbe l'esperienza con il mondo della trascendenza entro uno spazio recinto con spesse mura, mentre credo che la spiritualità sia un qualcosa che scarti di lato e poco avvezza a farsi inscatolare per essere esposta in una teca alla vista dei curiosi.
Tutto qui.


Pensa tu!
Fino a quando non ci  hai  "illuminato" con le tue parole, io credevo che la spiritualità fosse qualcosa di vissuto e che può essere testimoniata da di ha fatto un percorso spirituale!
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 22:26:53 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PM
... i più grandi maestri spirituali ...
Ecco un ottimo esempio di persone che per me sono senza dubbio grandi, grandissimi maestri di spiritualità, gente da cui io ho tutto da imparare:


Toscana, parrocchia organizza la festa di fine Ramadan: "L'umanità è apertura"
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 25 Giugno 2017, 23:05:21 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 22:26:53 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PM
... i più grandi maestri spirituali ...
Ecco un ottimo esempio di persone che per me sono senza dubbio grandi, grandissimi maestri di spiritualità, gente da cui io ho tutto da imparare:


Toscana, parrocchia organizza la festa di fine Ramadan: "L'umanità è apertura"
Ho letto l'evento organizzato da una parrocchia per condividere con  musulmani una serata o forse più. E' una cosa molto bella, molto utile e molto ricca di speranza per un mondo migliore, ma non è un evento spirituale bensì un evento sociale o al massimo umano.
 La spiritualità è tutt'altra cosa e oltretutto è una cosa individuale,  volendo condivisibile, perché riguarda il cuore dell'uomo.  Se poi si vuole giocare con i termini lo si faccia pure, ma la spiritualità rimane il contrario del materialismo.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 26 Giugno 2017, 11:20:03 AM
Citazione di: Vittorio Sechi il 25 Giugno 2017, 17:53:16 PM
Citazione di: giona2068 il 25 Giugno 2017, 17:47:03 PM
Maestro di spiritualità?
L'albero si riconosce dai frutti!
Se  Cannata fosse un maestro di spiritualità - luce del mondo e sale  della terra - non scriverebbe tanti sermoni ai quali non crede neanche lui. Il maestro di spiritualità, donna o uomo che sia, è ricercato ed anche calunniato perché è la luce che infastidisce le tenebre,
parla di ciò che vive e vive di ciò che parla e il suo vivere in Pace è il segno che è veritiero
In maestro di spiritualità non cerca di convincere altri della sua "professione" e non la scrive sul profilo.
Il maestro di spiritualità è il  Santo Vangelo Vivente e non cerca visibilità perché le sue opere parlano, non ha bisogno di visibilità.
Il maestro di spiritualità non parla delle sue idee, il Signore Dio parla nella sua bocca e per questo è sapiente intelligente ed ha sempre la giusta risposta. Non è sapiente perché lui lo e ma perché il suo Spirito è Spirito di Sapienza.
Chi si da da solo il titolo di guida spirituale  nel contempo  dichiara di essere sapiente , ma non lo è, è un lupo vestito di agnello che inganna innanzitutto se stesso perché gli ingannatori fanno una brutta fine.
La guida spirituale non può dichiarare di essere ateo perché il Signore è in lui non rinnega se stesso.


Ecco, per esempio, questo mi sembra un evidente coacervo di luoghi comuni. Strali lanciati senza né capo né coda. Un insieme di brodose frasi fatte attinte acriticamente a destra e a manca. Che dicono tutto senza aver contenuto.
Lo dico io che le parole portano solo disaccordo..la dottrina è lessico, ancor più se Dio è morto, è solo lessico e ritualità conseguente. Esistono migliaia di lingue che non hanno niente a che fare con le nazioni. Giona parla una lingua diversa dalla tua per questo le sue parole ti risultano vuote, conosci la pronuncia di quello che ha scritto e lo sai vocalizzare per via della grammatica comune, ma questo non assicura che tu sappia cogliere il significato di ciò che ha scritto, ammetti tu stesso di non riuscirci. E' controintuitivo semplicemente perchè credete di parlare la stessa lingua "italiano". L'incomunicabilità è cosi radicale che lui evidenzia parole con la maiuscola, a indicare concetti giganteschi per lui, e tu in quegli stessi concetti da lui evidenziati vedi il vuoto, come se leggessi una lingua straniera. Chi come Cannata conosce entrambe le sponde, potrebbe adirittura avere l'ardire di una traduzione da una lingua all'altra, ma comunque finchè non ci sarà uno sforzo linguistico tra voi rimarrà un incomunicabilità semantica, è inutile battibeccare. Anche la ripetizione, il mantra, anche di suoni sbrodolosi, è una forma di spiritualità, rafforzativa e non esplorativa\creativa.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 26 Giugno 2017, 11:29:17 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 22:26:53 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PM
... i più grandi maestri spirituali ...
Ecco un ottimo esempio di persone che per me sono senza dubbio grandi, grandissimi maestri di spiritualità, gente da cui io ho tutto da imparare:


Toscana, parrocchia organizza la festa di fine Ramadan: "L'umanità è apertura"
Posto che non conosco i dettagli dell'evento ne chi lo organizza, posto che credo fermamente che il dialogo inter-culturale\religioso sia uno dei temi più importanti del nostro secolo e ha finora conseguito ottimi frutti in chi vi ha aderito (anche se poi arrivano le accuse di sincretismo). C'è una parte di me che diffida...Ho visto anche Scola spingere per il riconoscimento delle feste mussulmane .. ho come l'impressione che a volte (ancora, non è un accusa a questo particolare evento) il riconoscimento dei  mussulmani serva per riabilitare i cattolici. Riportiamo Dio nella cultura, la parrocchia precisa la decideremo dopo (e spero sia la mia).. questo però lo vedo più in un politicante come Scola che nel parroco di provincia. Non è vero come dice Giona che è solo un inziativa sociale, nell'esplorare il credo dell'altro per forza di cose c'è un accrescimento spirituale.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: myfriend il 26 Giugno 2017, 11:46:16 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 22:26:53 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PM
... i più grandi maestri spirituali ...
Ecco un ottimo esempio di persone che per me sono senza dubbio grandi, grandissimi maestri di spiritualità, gente da cui io ho tutto da imparare:


Toscana, parrocchia organizza la festa di fine Ramadan: "L'umanità è apertura"
Ehhhh caro Cannata, di certo le idee confuse non ti mancano.
Hai parlato degli scontri tra Gesù e i farisei per rimarcare che la "sostanza" è più importante della "forma" e poi che fai? Citi un evento - cioè una forma - e, in base all'evento - cioè alla "forma" - dai patenti di "spiritualità" a destra e a manca. Cioè esattamente quello che facevano i farisei.

Di per sè un evento non dice nulla. E' solo una "forma". Quello che conta è la "sostanza" - o le "intenzioni" - di chi ha organizzato e partecipato a quell'evento. Perchè la vera spirituaità non si occupa delle forme e della esteriorità, ma si occupa della "sostanza", cioè delle "intenzioni" che stanno dietro alla forma, a un evento, a un gesto.
E quali erano, dunque, le "intenzioni" che stavano dietro a quel gesto? Non lo sappiamo. Nessuno sa quali sono le vere intenzioni che si nascondono nel cuore di uomini e donne che hanno organizzato e partecipato a quell'evento.

Voleva essere un "segno tangibile di accoglienza"? Bene.
Ma di per sè un gesto di accoglienza non ci dice nulla sulla "spiritualità" nè di chi accoglie nè di chi è accolto.
Un gesto è solo un gesto.
Ma nella "spiritualità" quello che conta sono le "intenzioni" che stanno dietro a quel gesto. Sia le "intenzioni" di chi accoglie, sia quelle di chi è "accolto".
E perchè, per la "spiritualità", sono più importanti le "intenzioni" dei "gesti" e della "forma"? Perchè sono le "intenzioni" che rivelano la "visione del mondo" e non i "gesti". E la "spiritualità" si occupa primariamente proprio della "visione del mondo" e solo secondariamente anche dei "gesti" e della "forma".
Il "buonismo" - che è solo attenzione verso la "forma" - è solo ipocrisia e sa molto di fariseismo. E non ha nulla a che vedere con la spiritualità.  ;)
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 26 Giugno 2017, 13:14:09 PM
Citazione di: InVerno il 26 Giugno 2017, 11:20:03 AMLo dico io che le parole portano solo disaccordo
Non mi sembra che le parole siano tanto peggiori di altre forme di comunicazione: dipende da come vengono trattate. Esse sono uno strumento comunicativo come tanti altri e ogni strumento ha i suoi limiti, non esistono strumenti in grado di garantire l'intesa. D'altra parte, si può perfino tener presente che ciò che è sofferenza del non intendersi, per certi versi, è anche un fattore di creazione di contenuti nuovi: se tutti ci intendessimo sempre al 100%, sarebbe molto più ridotta la possibilità di pervenire a contenuti nuovi, perché le idee circolerebbero in forme molto meno esposte alla possibilità del nuovo.

Queste dinamiche dell'intendersi e non intendersi possono essere applicate perfino all'intendersi con se stessi: cioè, meno male che spesso il nostro "pensare di aver pensato effettivamente ciò che pensiamo di aver pensato" è inesatto, illusorio, ingannatorio, altrimenti anche nel nostro cervello le idee sarebbero molto meno aperte al rinnovamento.

Detto in termini più universali, non diventa altro che un'apologia del male: certo bene si crea solo grazie al male. Tuttavia, da esseri umani possiamo darne una valutazione umana: non è detto che, se ciò spesso crea progresso, sia il modo ideale di progredire.
Questo mi dà occasione di rispondere anche a ciò che avevi scritto in precedenza:
Citazione di: InVerno il 17 Giugno 2017, 17:30:32 PML'unica cosa che disturba di quel video è immaginarsi al posto della gazzella, sostituirsi e immaginare di vivere le sofferenze della gazzella, ma se non fosse per questo gioco di prospettive dove noi diventiamo il cucciolo, saremmo tranquillamente capaci di comportarci come il bonobo (casistica ampiamente documentata). Gran parte dello scandalo del video scompare se al posto della gazzella c'è un pesce, semplicemente perché per noi è meno difficile empatizzare con un pesce. Questo non ci rende buoni, ne rende buono o cattivo Dio, le cose vanno semplicemente cosi.
Sì, le cose vanno semplicemente così, ma, se vogliamo considerare tutto da un punto di vista neutrale, non è che le regole dell'universo abbiano diritto di esistere più delle mie: nell'universo non esistono diritti, esistono solo meccanismi. E allora, se io sono un essere umano, perché non dovrei portare avanti la mia prospettiva umana? Sì, la gazzella divorata è solo "una cosa che va così", ma perché io non dovrei portare avanti il mio provare dolore, il mio vedermi al posto della gazzella? In questo senso io faccio una mia riflessione che arriva all'umanesimo proprio partendo dal materialismo: sì, l'universo è fatto solo di meccanismi che vanno avanti senza diritti di nessuno, senza morale, senza criteri di giustizia. Ma a me sembra che in tutto questo sia anche presente nell'universo un continuo criticare se stesso, sotto forma di esplorazione di meccanismi, dinamiche, dimensioni sempre nuove. In questo senso, io che critico l'universo, cioè critico la sua freddezza nel lasciare che la gazzella sia divorata, non sono altro che una parte di quest'universo che critica se stesso. E allora perché non farla questa parte? Se io, nella mia prospettiva di umano, vedo che si possono tentare vie diverse di organizzazione dell'esistenza, meno crudeli, meno ingiuste, dovrei astenermi da questa ricerca solo perché tanto l'universo è quello che è? Ma anch'io sono quello che sono! E allora, se ogni parte dell'universo porta avanti il suo essere quello che è, perché io dovrei astenermi dal portare avanti quello che io sono, quindi le mie sensibilità umane?
La simpatia suscitata dal capriolo è pur sempre un'arma di affermazione di sé, al pari dei crudeli denti del leone che spezzano la schiena del bufalo; ma, se a me umano le armi della simpatia risultano migliori, perché meno violente, di quelle usate dal leone, perché non adoperarsi per favorirle? Se tanto vale tanto, tutto vale tutto, un fiore con la sua bellezza non sta facendo altro che aggredire l'ambiente per invaderlo, perché non scegliere ciò che a noi umani appare meno violento? Se la morte di Dio mi risulta una forma di progresso verso la non violenza, a causa del fatto che Dio, alla richiesta di dar conto di essa, risponde col silenzio e in questo modo propone un modello di esistenza ambiguo, disonesto, irresponsabile, visto che Dio è anche il modello dei suoi seguaci, colui da cui bisogna prendere esempio, perché non portarla avanti, o per lo meno discuterne?
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: giona2068 il 26 Giugno 2017, 16:55:48 PM
Citazione di: InVerno il 26 Giugno 2017, 11:29:17 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Giugno 2017, 22:26:53 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2017, 14:13:29 PM
... i più grandi maestri spirituali ...
Ecco un ottimo esempio di persone che per me sono senza dubbio grandi, grandissimi maestri di spiritualità, gente da cui io ho tutto da imparare:


Toscana, parrocchia organizza la festa di fine Ramadan: "L'umanità è apertura"
Posto che non conosco i dettagli dell'evento ne chi lo organizza, posto che credo fermamente che il dialogo inter-culturale\religioso sia uno dei temi più importanti del nostro secolo e ha finora conseguito ottimi frutti in chi vi ha aderito (anche se poi arrivano le accuse di sincretismo). C'è una parte di me che diffida...Ho visto anche Scola spingere per il riconoscimento delle feste mussulmane .. ho come l'impressione che a volte (ancora, non è un accusa a questo particolare evento) il riconoscimento dei  mussulmani serva per riabilitare i cattolici. Riportiamo Dio nella cultura, la parrocchia precisa la decideremo dopo (e spero sia la mia).. questo però lo vedo più in un politicante come Scola che nel parroco di provincia. Non è vero come dice Giona che è solo un inziativa sociale, nell'esplorare il credo dell'altro per forza di cose c'è un accrescimento spirituale.
Come principio  è vero che esplorare il credo dell'altro è un accrescimento spirituale, ma  il fanatismo in circolazione mi fa pensare che nessuno sia disposto ad accogliere la benché minima parte di quello che ascolta.
Per conferma guarda quello che avviene  in questo ed altri forum, tutti vogliono l'ultima parola! Eppure siano fra appartenenti alla stessa religione!
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: InVerno il 27 Giugno 2017, 20:51:52 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Giugno 2017, 13:14:09 PM
Citazione di: InVerno il 26 Giugno 2017, 11:20:03 AMLo dico io che le parole portano solo disaccordo
Non mi sembra che le parole siano tanto peggiori di altre forme di comunicazione: dipende da come vengono trattate. Esse sono uno strumento comunicativo come tanti altri e ogni strumento ha i suoi limiti, non esistono strumenti in grado di garantire l'intesa. D'altra parte, si può perfino tener presente che ciò che è sofferenza del non intendersi, per certi versi, è anche un fattore di creazione di contenuti nuovi: se tutti ci intendessimo sempre al 100%, sarebbe molto più ridotta la possibilità di pervenire a contenuti nuovi, perché le idee circolerebbero in forme molto meno esposte alla possibilità del nuovo.

Queste dinamiche dell'intendersi e non intendersi possono essere applicate perfino all'intendersi con se stessi: cioè, meno male che spesso il nostro "pensare di aver pensato effettivamente ciò che pensiamo di aver pensato" è inesatto, illusorio, ingannatorio, altrimenti anche nel nostro cervello le idee sarebbero molto meno aperte al rinnovamento.

Detto in termini più universali, non diventa altro che un'apologia del male: certo bene si crea solo grazie al male. Tuttavia, da esseri umani possiamo darne una valutazione umana: non è detto che, se ciò spesso crea progresso, sia il modo ideale di progredire.
Questo mi dà occasione di rispondere anche a ciò che avevi scritto in precedenza:
Citazione di: InVerno il 17 Giugno 2017, 17:30:32 PML'unica cosa che disturba di quel video è immaginarsi al posto della gazzella, sostituirsi e immaginare di vivere le sofferenze della gazzella, ma se non fosse per questo gioco di prospettive dove noi diventiamo il cucciolo, saremmo tranquillamente capaci di comportarci come il bonobo (casistica ampiamente documentata). Gran parte dello scandalo del video scompare se al posto della gazzella c'è un pesce, semplicemente perché per noi è meno difficile empatizzare con un pesce. Questo non ci rende buoni, ne rende buono o cattivo Dio, le cose vanno semplicemente cosi.
Sì, le cose vanno semplicemente così, ma, se vogliamo considerare tutto da un punto di vista neutrale, non è che le regole dell'universo abbiano diritto di esistere più delle mie: nell'universo non esistono diritti, esistono solo meccanismi. E allora, se io sono un essere umano, perché non dovrei portare avanti la mia prospettiva umana? Sì, la gazzella divorata è solo "una cosa che va così", ma perché io non dovrei portare avanti il mio provare dolore, il mio vedermi al posto della gazzella? In questo senso io faccio una mia riflessione che arriva all'umanesimo proprio partendo dal materialismo: sì, l'universo è fatto solo di meccanismi che vanno avanti senza diritti di nessuno, senza morale, senza criteri di giustizia. Ma a me sembra che in tutto questo sia anche presente nell'universo un continuo criticare se stesso, sotto forma di esplorazione di meccanismi, dinamiche, dimensioni sempre nuove. In questo senso, io che critico l'universo, cioè critico la sua freddezza nel lasciare che la gazzella sia divorata, non sono altro che una parte di quest'universo che critica se stesso. E allora perché non farla questa parte? Se io, nella mia prospettiva di umano, vedo che si possono tentare vie diverse di organizzazione dell'esistenza, meno crudeli, meno ingiuste, dovrei astenermi da questa ricerca solo perché tanto l'universo è quello che è? Ma anch'io sono quello che sono! E allora, se ogni parte dell'universo porta avanti il suo essere quello che è, perché io dovrei astenermi dal portare avanti quello che io sono, quindi le mie sensibilità umane?
La simpatia suscitata dal capriolo è pur sempre un'arma di affermazione di sé, al pari dei crudeli denti del leone che spezzano la schiena del bufalo; ma, se a me umano le armi della simpatia risultano migliori, perché meno violente, di quelle usate dal leone, perché non adoperarsi per favorirle? Se tanto vale tanto, tutto vale tutto, un fiore con la sua bellezza non sta facendo altro che aggredire l'ambiente per invaderlo, perché non scegliere ciò che a noi umani appare meno violento? Se la morte di Dio mi risulta una forma di progresso verso la non violenza, a causa del fatto che Dio, alla richiesta di dar conto di essa, risponde col silenzio e in questo modo propone un modello di esistenza ambiguo, disonesto, irresponsabile, visto che Dio è anche il modello dei suoi seguaci, colui da cui bisogna prendere esempio, perché non portarla avanti, o per lo meno discuterne?
E' interessante l'idea di considerarsi una parte autocritica dell'universo, se questo sia però d'ostacolo al nostro cammino spirituale o meno io non ho risposta,non per gli altri, ne ho una per me. Penso che l'empatia verso il soccombente sia una sorta di lusso nutritivo, non innato nella nostra indole ma dipendente dalla nostra attuale posizione nella catena alimentare. In tempi remoti l'affinità umana andava non al soccombente ma al vincitore, le divinità erano rappresentate dal predatore non dalla preda, passerà molto tempo prima che Bambi farà piangere i telespettatori che vedranno in esso un figlio braccato dalle ingiustizie. La nostra relativa tranquillità nutrizionale ci concede il lusso di immolarci al suo posto, ma era più umano l'uomo che dormiva nella pelle di leone per assorbirne la forza e la vitalità, o l'uomo che si strugge immedesimandosi nella preda del leone, e decide quindi di mangiare solo insalata per evitare il male nel mondo?
Quale dei due esercita la critica più legittima e fondata, quale dei due è più in sintonia con il contesto? Credo nessuno dei due, credo si tratti in ogni caso di superfetazioni illusorie e accessorie, non per questo inutili o non valevoli di analisi, ma comunque non centrali nell'idea di un cammino spirituale. Ciò che è certo è che il "male" ha cambiato sponda "recentemente", prima il male era la preda che riusciva a fuggire, non quella divorata, e allora non posso chiamarlo "male", forse al massimo "ciò che mi fa soffrire" o "ciò che va a mio svantaggio", entrambe le cose di relativa poca importanza all'interno di un cammino spirituale, che mi sembrava avessimo concordato dovesse inanzitutto destrutturare e chiarificare la propria visione sul mondo, epurando per primi gli interessi di parte e personali.
Se è vero come credo, che l'atto dello spogliarsi degli accessori e delle verità, stia alla base di un cammino spirituale fruttuoso, anche l'empatia, o come meglio l'avrebbe chiamata Goethe nel suo afflato universale "affinità elettiva" purtroppo deve essere abbandonata, e questo insegna che un cammino spirituale radicale è fondamentalmente un percorso solitario e asociale, come hanno sempre dimostrato gli asceti stereotipati. E mi costa ammetterlo, perchè per ora come  te, preferisco "essere umano" e guardare al bene degli altri, anzichè allontanarmi con il mio spirito.
Titolo: Re:Furono le mosche a farcelo capire
Inserito da: Angelo Cannata il 28 Giugno 2017, 01:40:10 AM
Citazione di: InVerno il 27 Giugno 2017, 20:51:52 PMCiò che è certo è che il "male" ha cambiato sponda "recentemente", prima il male era la preda che riusciva a fuggire, non quella divorata, e allora non posso chiamarlo "male", forse al massimo "ciò che mi fa soffrire" o "ciò che va a mio svantaggio", entrambe le cose di relativa poca importanza all'interno di un cammino spirituale, che mi sembrava avessimo concordato dovesse inanzitutto destrutturare e chiarificare la propria visione sul mondo, epurando per primi gli interessi di parte e personali.
Io credo che la spiritualità debba essere essenzialmente storica, imparando così dal fallimento, secondo me, della filosofia nelle sue pretese di pervenire a verità, risultati meta storici. Cioè, se stabiliamo che la spiritualità debba basarsi su elementi oggettivi, allora quella non è più spiritualità, ma una ben precisa filosofia.
Spiritualità storica significa in questo discorso spiritualità soggettiva della collettività di un'epoca storica. Cioè, c'è la soggettività mia, la tua, ma c'è anche la soggettività dell'insieme degli esseri che in certo momento storico si trovano ad abitare sul pianeta terra. In questo senso, spiritualità significa puntare su ciò che in un periodo storico si trova abbastanza condiviso da tutti. Quindi condivido l'idea che immedesimarsi nella vittima non è un bene oggettivo, ma, se oggi questa sensibilità è, grosso modo, condivisa a livello planetario, allora possiamo considerarla come parte della spiritualità mondiale di oggi. Sta poi a ognuno selezionare dalla spiritualità mondiale oggi diffusa, condivisa, sentita, ciò che secondo lui è più meritevole di essere seguito e coltivato.
In questo senso, già la definizione stessa di spiritualità che si trova nei vocabolari non fa che rappresentare ciò che in un certo periodo storico è ritenuto spiritualità: i vocabolari infatti sono storici, riflettono il periodo storico in cui sono stati prodotti. Lo stesso vale per ciò che in un periodo storico si preferisce considerare valore meritevole di essere seguito.