Io mi domandai spesso se mai si potesse assolvere Nietzsche dall'aver fatto un torto troppo grande ai cristiani con la sua terribile maledizione de L'Anticristo. Se nelle Sacre Scritture cristiane si racconta di Dio che mandò il diavolo da Giobbe, uomo giusto e soddisfatto, perché ne fosse messo alla prova, che dirne di F. W. Nietzsche e del suo libello contro il movimento cristiano? Concludere che Nietzsche fosse un falso maestro, o solo un oppositore che Dio stesso si era voluto procurare, dato che tanti troppi cristiani avevano davvero ricercato debolezza e insanità, più per gli altri che per sé, e allora avevano bisogno di subire una contrarietà e una smentita?
L'autore del libello lo presentava come un lavoro forse destinato solo ai prossimi venturi, pochissimi in ogni caso. Concludeva con l'appello alla trasvalutazione di tutti i valori, non senza aver ritenuto di aver emesso un giudizio eterno contro il Cristianesimo, colpevole di aver invertito il senso della storia. Non si può evitare di scorgere nel suo pensiero uno spostamento di significati. Mentre il Cristo è ciò che l'uomo non può realizzare da sé, una azione che spetta a Dio, perché ci sono degli eventi in cui è Lui che deve fare, non l'uomo, F. W. Nietzsche invece lo aveva scambiato per un rimedio mondano, senza pensare a quell'oltre che ne dava senso... Ma come replicare senza appurare quale fosse il fenomeno reale, effettivo, che si era parato innanzi al filologo e filosofo tedesco?
Goethe aveva decenni addietro affermato di non aver mai trovato qualcuno che gli spiegasse in cosa consistesse il cristianesimo. Penso che Schopenhauer non si fosse mai imbattuto in una preghiera cristiana ispirata; e Marx aveva conosciuto solo l'uso della religione cristiana per tenere a bada masse di diseredati. Che dire di Nietzsche?
Figlio di un pastore protestante e restato da presto orfano, aveva fatto esperienza della assurda passione per morte e debolezza diffusa tra gli ambienti cristiani, del moralismo giunto al suo estremo intollerabile. Io pensai che forse suo padre avrebbe voluto organizzare un grande congedo, quel che si dice volgarmente "mandare al diavolo". Come disse Paolo in una sua lettera (compresa nel cànone biblico) a proposito di un incestuoso: "questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore" (1Cor 5,5). Come Dio chiama il singolo a stargli davanti nella fede, così lo può ripudiare. Pensai che Nietzsche, incapace di questo còmpito, fosse stato costretto a una maledizione senza poter neppure capire chi veramente stava colpendo e cosa invece ne doveva rimanere fuori; semplicemente perché si era scontrato coi soli fraintendimenti. Per restare all'esempio biblico che ho fatto: l'espressione 'rovina della carne' non significa decadimento del corpo. Molti imputano a Paolo un dualismo che considera il corpo una cosa vile cui non badare tanto, ma nelle sue Lettere (comprese nella Bibbia) il linguaggio è adoperato diversamente: carne serve a indicare la condizione alienata del corpo quando si rifiuta Dio, concentrandosi solo sulla propria finitezza e non potendo vivere felicemente neppure la fisicità... Per questo quella 'rovina' è il portare alle estreme conseguenze questa alienazione fino a riaprirsi all'Infinito. Non cioè la strategia repressiva, tanto rimproverata ai cristiani, non il terrore cieco per il negativo come se questo fosse direttamente il male...
Nietzsche non riuscì ad accedere al vero contenuto della dottrina cristiana. Neanche con Socrate, Platone e il neoplatonismo arrivò a una comprensione. Così si può descrivere il dualismo platonico: chi vuole ottenere la saggezza deve volgersi alla realtà dell'anima e dello spirito, non cercarla nel proprio corpo e nella materia, che in questa ricerca gli sarebbero prigione e morte. Ciò significa che non si tratta di dualismo ontologico. F. W. Nietzsche pensò invece che il cristianesimo fosse un platonismo per il popolo ed entrambi una caduta verso la debolezza, una voluttà di morte, in particolare la fede cristiana aberrante e vile.
Che dire? Quale scrittore anticristiano, Nietzsche fu un falso maestro. Cos'altro si potrebbe pensare a fronte delle nefandezze uscite dalla sua penna contro la fede e religione di Cristo? Quale intellettuale, era uno che mancava non dico di conoscenze, ma proprio delle informazioni giuste. Per colpa, responsabilità? Si racconta che fosse un uomo sensibilissimo, assai isolato in società, alla fine avversato anche dall'unica persona rimastagli, sua sorella, che venuto lui meno si piccava di organizzare i suoi appunti su La volontà di potenza senza intenderne per davvero. Giudizi a parte, Nietzsche davvero non aveva capito in che cosa consistesse la fede in Cristo.
Resta il disastro di quella maledizione, e resta pure l'ingenuità dell'appello alla vitalità e alla forza. Non metto in dubbio: se ci sono tante religioni un motivo c'è e non esiste solo la necessità cristiana; il suo appello a una religiosità aristocratica, a un nuovo paganesimo, aveva un senso; la spiritualità del Così parlò Zarathustra è altissima e ha dato tanto e tanto potrà dare; ma è vero pure che gli eventi del XX° Secolo non hanno mostrato solo la fallacia dell'indirizzo marxista per le masse ma anche la insufficienza dell'ispirazione nietzschiana per coloro che avevano un potere sulle masse. Stalin da una parte, ma pure Mussolini e Hitler dall'altra.
Mauro Pastore
Per superare le ombre bisogna diventare DEI.
Per questo mentre la sua mente corrosa dalla nevrosi lentamente scivolava nella psicosi, riuscì negli ultimi attimi del suo pensare in grande, di poter diventare S.PAOLO, solo lui aveva capito che NOI SIAMO IL CRISTO.
E cosi il buon nice si firmava IL CRISTO.
Alta cosa è il cristianesimo, questa aberrazione contro-natura, moltiplicatore di ombre, di leggi contro l'uomo e contro gli DEI.
Ma quando MAI il cristo si è mai permesso di dire l'immondizia che ha creasto il cristianesimo.
ha talmente seppellito le coscienze di letame, che persino coloro che erano lontano dalle sue leggi fasciste, sono MORTI dall'odore nauseabondo delle sue masse deliranti e infami.
l'anticristo è quello che ci voleva, io non mi permetterei MAI di avvicinarlo a quell'opera di suprema CABALA che è il GIOBBE.
Nietzche è LUCE SOLARE, il GIOBBE è LUCE LUNARE, o forse LUCE NERA, come meglio si capisce da quel: " e la terra era vuota e desolata" che in ebraico vuol dire mille altre cose.
Un passo per volta, la BIBBIA è immensa...e immense sono le sue storie.
Ma Nice poco ne sapeva, forse si avvicinò troppo tardi allo Heine.
Di cui purtroppo non so ancora niente.
Ma se Nice ne capì la grandezza, è mio compito capirla anch'io.
Insomma la cosa a me non pare così netta.
Invece su Platone Nietzche ha sbagliato e non si è mai discolpato per esempio...sono due casi differenti Platone e Cristo.
Eppure il Cristo è fatto ad immagine di Platone.
Come dire Platone già conosceva il Cristo.
etc....sono mille le storie....approfondiamo caro amico
Citazione di: green demetr il 24 Settembre 2024, 14:35:44 PMPer superare le ombre bisogna diventare DEI.
Per questo mentre la sua mente corrosa dalla nevrosi lentamente scivolava nella psicosi, riuscì negli ultimi attimi del suo pensare in grande, di poter diventare S.PAOLO, solo lui aveva capito che NOI SIAMO IL CRISTO.
E cosi il buon nice si firmava IL CRISTO.
Alta cosa è il cristianesimo, questa aberrazione contro-natura, moltiplicatore di ombre, di leggi contro l'uomo e contro gli DEI.
Ma quando MAI il cristo si è mai permesso di dire l'immondizia che ha creasto il cristianesimo.
ha talmente seppellito le coscienze di letame, che persino coloro che erano lontano dalle sue leggi fasciste, sono MORTI dall'odore nauseabondo delle sue masse deliranti e infami.
l'anticristo è quello che ci voleva, io non mi permetterei MAI di avvicinarlo a quell'opera di suprema CABALA che è il GIOBBE.
Nietzche è LUCE SOLARE, il GIOBBE è LUCE LUNARE, o forse LUCE NERA, come meglio si capisce da quel: " e la terra era vuota e desolata" che in ebraico vuol dire mille altre cose.
Un passo per volta, la BIBBIA è immensa...e immense sono le sue storie.
Ma Nice poco ne sapeva, forse si avvicinò troppo tardi allo Heine.
Di cui purtroppo non so ancora niente.
Ma se Nice ne capì la grandezza, è mio compito capirla anch'io.
Insomma la cosa a me non pare così netta.
Invece su Platone Nietzche ha sbagliato e non si è mai discolpato per esempio...sono due casi differenti Platone e Cristo.
Eppure il Cristo è fatto ad immagine di Platone.
Come dire Platone già conosceva il Cristo.
etc....sono mille le storie....approfondiamo caro amico
Non bisogna mai dare giudizi basandosi sulle apparenze o lasciandosi ingannare da falsi rappresentanti. Io ti consiglierei di continuare i tuoi pensieri con una filosofia del disinganno. Il pensiero di Nietzsche è sprovvisto a riguardo ed egli non ne aveva tenuto nel dovuto conto.
Aggiungo pure: cerca di prendere le informazioni giuste sui dogmi cristiani. Anche tu, come Nietzsche, manchi proprio di un vero punto di partenza.
Sulla vostra acredine, non ne dico; mi limito a citarla; parla da sola. Non è buona cosa tanta veemenza nei giudizi. Dato che v'è in essi anche cecità, c'è da parte vostra qualcosa di criminoso nell'accomunare esempi veri con falsi e nel fraintendere i primi. Il rispetto per la religione è anche in Agenda ONU, da molti anni, e il cristianesimo è una religione.
Mauro Pastore
Citazione di: PhyroSphera il 27 Settembre 2024, 10:22:15 AMNon bisogna mai dare giudizi basandosi sulle apparenze o lasciandosi ingannare da falsi rappresentanti. Io ti consiglierei di continuare i tuoi pensieri con una filosofia del disinganno. Il pensiero di Nietzsche è sprovvisto a riguardo ed egli non ne aveva tenuto nel dovuto conto.
Aggiungo pure: cerca di prendere le informazioni giuste sui dogmi cristiani. Anche tu, come Nietzsche, manchi proprio di un vero punto di partenza.
Sulla vostra acredine, non ne dico; mi limito a citarla; parla da sola. Non è buona cosa tanta veemenza nei giudizi. Dato che v'è in essi anche cecità, c'è da parte vostra qualcosa di criminoso nell'accomunare esempi veri con falsi e nel fraintendere i primi. Il rispetto per la religione è anche in Agenda ONU, da molti anni, e il cristianesimo è una religione.
Mauro Pastore
Poteva aver senso la questione del non dare giudizi affrettolati, naturalmente io so poco o meglio niente del dogma, ho appena sbirciato il Barthes.(ma già lì...come mai non è stato tradotto in italiano la sua opera intera?), posso anche capire che tu non capisca l'acredine, il "serfo" è abituato al suo sistema di riferimenti, di dogmi e pregiudizi familiari e sociali.
Naturalmente in un discorso pubblico sensato, l'acredine porta male.
Ma questo del forum è un discorso pubblico da bar, se no sarebbe già stato chiuso da tempo.
Questo non vuol dire che non si possa ragionare al bar dei presupposti amici, amici anzitutto della discussione pubblica.
E' anche vero in senso privato, l'errore di Nietzche su Platone è veramente non all'altezza delle sue critiche sociali e sopratutto personali ed è dovuto all'acredine qui posta in gioco.
Quando poi però mi citi l'ONU come punto di riferimento mi dimostri però che ti manca uno sguardo d'orizzonte più largo.
Il rispetto delle religioni è semplicemente parte del piano più ampio dell'Islam per farsi prima rispettare e poi una volta acquisito per negare questo stesso rispetto alle altre religioni.
Il Papa è stato colto in un discorso di clamoroso relativismo dal mio maestro in questo senso.
Direi quindi che un cristianesimo morale dovrebbe essere riscoperto al più presto.
Naturalmente in termini di status quo, non vedo come ciò possa avvenire.
E quindi ti rimando a tutte le critiche rivoluzionarie del Nietzche.
Manca in te quindi una chiara visione d'insieme politica per poter capire che questa acritudine non deriva tanto dalla religione in sè, quanto dai frutti che quella stessa aveva piantato nei secoli nel sistema di abitudini, che Nietzche chiama appunto morale.
La morale nicciana, analizzata e fatta a pezzi, è tutt'altro da quella sostenuta da Platone che abita l'iperuranio.
La cosa strana che è sfuggita a Nietzche è che Socrate è una maschera negativa, in Platone la difesa dell'individuo naturale contro lo stato, ossia contro il tiranno, infatti coincide con quella dello stesso Nietzche.
Due autori una stessa meta, ora mi rimane da verificare che anche in Agostino sia così, strano perchè io ne avevo una idea diversa, ma come al solito io stesso sono stato educato a non porre attenzione su autori chiave contro il capitalismo (alias gli effetti nocivi che la società stessa si è procurata di darsi).
salve!
Citazione di: PhyroSphera il 27 Settembre 2024, 10:22:15 AMcerca di prendere le informazioni giuste sui dogmi cristiani.
La letteratura sulla costituzione di questi astrusi/stravaganti dogmi della croce è vasta.. e che ora NON è più monopolio della santa ekklesia !
Basterebbe approfondire la rocambolesca storia del 1.0 dogma di questa eccelsa religione redentrice.. quello della consustanzialità del primitivo "Duetto" divino di Nicea (325).
Quante lacerazioni (e relative sante randellate) ha causato, tra i vari primi patriarcati e/o tra i vari sapientoni greci, quelli stessi che sarebbero stati illuminati dal (futuro) terzo-dio..
Per nostra immensa fortuna non viviamo più in quel funesto periodo oscurantista.. Imposto (!) a suo tempo proprio dalla santa gerarchia catto-romana !
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Tu scrivi: manchi proprio di un vero punto di partenza.
E
quale sarebbe questo "fatidico" punto di partenza ?
Forse alludevi alle.. fantastiche lettere dell' auto-beatificatosi:
- esperto architetto dottrinario...(il Tarso) ?
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Tu scrivi: Sulla vostra acredine, non ne dico; mi limito a citarla; parla da sola.
Infatti ognuno ha (purtroppo) un proprio "vissuto" ! Prima di emettere sentenze bisognerebbe conoscere le cause.. e solo DOPO gli effetti !
Riporto di proposito un detto tratto dal testo del primo monoteismo _ il Pirke Aboth ( Detti dei Padri _ II, 4):
- NON giudicare il tuo prossimo senza esserti messo nei suoi panni !
come dire non emettere sentenze in merito ai pensieri e/o azioni di altri ! E poi chi sei tu, veramente?
Cos' riportava il famoso Hillel.......
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Tu scrivi: Dato che v'è in essi anche cecità,
c'è da parte vostra qualcosa di criminoso nell'accomunare esempi veri con falsi e nel fraintendere i primi...
Qualche esempio _ bitte ?
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Tu scrivi: Il rispetto per la religione è anche in Agenda ONU, da molti anni, e il cristianesimo è una religione.
E quando mai proprio il cristianesimo (una delle 3 nocive religioni mono-teiste) ha rispettato il pensiero altrui ?
Durante il "glorioso" (.. si fa per dire) periodo della chiesa Trionfante, bastava esternare una pur minima critica, non solo al baraccone dogmatico di questa religione salvifica.. ma al comportamento lussurioso della nefasta gerarchia catto-cristiana _ di certo il destino era segnato: si veniva arso VIVO !
Adesso questo clero-stregone "pretende" il rispetto !
Ma grazie ai nuovi tempi (eredi delle idee illuministe e al Modernismo) si può tranquillamente criticare/contstare aspramente le mega-Bufale spacciate come verità RI-velate così come il comportamento scandaloso della santa gerarchia.. SENZA alcun rischio !
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Citazione di: green demetr il 27 Settembre 2024, 16:00:55 PMManca in te quindi una chiara visione d'insieme politica per poter capire che questa acritudine non deriva tanto dalla religione in sè, quanto dai frutti che quella stessa aveva piantato nei secoli nel sistema di abitudini, che Nietzche chiama appunto morale.
Appunto.. dal plurisecolare scandaloso comportamento di quelli che si spacciavano come degni di officiare il culto liturgico !
Dei loro plurisecolari Abusi la massa dei credenti è letteralmente nauseata !
Come l' ultima vergogna universale della sposa del divin-redentore (termine inventato dal "paziente" di Tarso) della pedofilia !
Per secoli e secoli questa vergogna è stata "sapientemente occultata" _ fin quando questo maleodorante bubbone è scoppiato negli USA, Germania, Belgio..ecc..eccc..
E solo allora il mondo è venuto a conoscenza di questo ennesimo "frutto-marcio" partorito dalla santa e candida gerarchia romana !
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Citazione di: taurus il 29 Settembre 2024, 13:49:44 PMLa letteratura sulla costituzione di questi astrusi/stravaganti dogmi della croce è vasta.. e che ora NON è più monopolio della santa ekklesia !
Basterebbe approfondire la rocambolesca storia del 1.0 dogma di questa eccelsa religione redentrice.. quello della consustanzialità del primitivo "Duetto" divino di Nicea (325).
Quante lacerazioni (e relative sante randellate) ha causato, tra i vari primi patriarcati e/o tra i vari sapientoni greci, quelli stessi che sarebbero stati illuminati dal (futuro) terzo-dio..
Per nostra immensa fortuna non viviamo più in quel funesto periodo oscurantista.. Imposto (!) a suo tempo proprio dalla santa gerarchia catto-romana !
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Tu scrivi: manchi proprio di un vero punto di partenza.
E quale sarebbe questo "fatidico" punto di partenza ?
Forse alludevi alle.. fantastiche lettere dell' auto-beatificatosi:
- esperto architetto dottrinario...(il Tarso) ?
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Tu scrivi: Sulla vostra acredine, non ne dico; mi limito a citarla; parla da sola.
Infatti ognuno ha (purtroppo) un proprio "vissuto" ! Prima di emettere sentenze bisognerebbe conoscere le cause.. e solo DOPO gli effetti !
Riporto di proposito un detto tratto dal testo del primo monoteismo _ il Pirke Aboth ( Detti dei Padri _ II, 4):
- NON giudicare il tuo prossimo senza esserti messo nei suoi panni !
come dire non emettere sentenze in merito ai pensieri e/o azioni di altri ! E poi chi sei tu, veramente?
Cos' riportava il famoso Hillel.......
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Tu scrivi: Dato che v'è in essi anche cecità, c'è da parte vostra qualcosa di criminoso nell'accomunare esempi veri con falsi e nel fraintendere i primi...
Qualche esempio _ bitte ?
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Tu scrivi: Il rispetto per la religione è anche in Agenda ONU, da molti anni, e il cristianesimo è una religione.
E quando mai proprio il cristianesimo (una delle 3 nocive religioni mono-teiste) ha rispettato il pensiero altrui ?
Durante il "glorioso" (.. si fa per dire) periodo della chiesa Trionfante, bastava esternare una pur minima critica, non solo al baraccone dogmatico di questa religione salvifica.. ma al comportamento lussurioso della nefasta gerarchia catto-cristiana _ di certo il destino era segnato: si veniva arso VIVO !
Adesso questo clero-stregone "pretende" il rispetto !
Ma grazie ai nuovi tempi (eredi delle idee illuministe e al Modernismo) si può tranquillamente criticare/contstare aspramente le mega-Bufale spacciate come verità RI-velate così come il comportamento scandaloso della santa gerarchia.. SENZA alcun rischio !
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Non si tratta di fare la somma delle sciocchezze dette e dei torti fatti in nome di Cristo.
C'è da comprendere un vissuto collettivo non arbitrario.
A questo è adatta la considerazione archetipica. La religione è un fenomeno collettivo.
La fede ne è anche fuori, al di sopra.
Mauro Pastore
Citazione di: green demetr il 27 Settembre 2024, 16:00:55 PMPoteva aver senso la questione del non dare giudizi affrettolati, naturalmente io so poco o meglio niente del dogma, ho appena sbirciato il Barthes.(ma già lì...come mai non è stato tradotto in italiano la sua opera intera?), posso anche capire che tu non capisca l'acredine, il "serfo" è abituato al suo sistema di riferimenti, di dogmi e pregiudizi familiari e sociali.
Naturalmente in un discorso pubblico sensato, l'acredine porta male.
Ma questo del forum è un discorso pubblico da bar, se no sarebbe già stato chiuso da tempo.
Questo non vuol dire che non si possa ragionare al bar dei presupposti amici, amici anzitutto della discussione pubblica.
E' anche vero in senso privato, l'errore di Nietzche su Platone è veramente non all'altezza delle sue critiche sociali e sopratutto personali ed è dovuto all'acredine qui posta in gioco.
Quando poi però mi citi l'ONU come punto di riferimento mi dimostri però che ti manca uno sguardo d'orizzonte più largo.
Il rispetto delle religioni è semplicemente parte del piano più ampio dell'Islam per farsi prima rispettare e poi una volta acquisito per negare questo stesso rispetto alle altre religioni.
Il Papa è stato colto in un discorso di clamoroso relativismo dal mio maestro in questo senso.
Direi quindi che un cristianesimo morale dovrebbe essere riscoperto al più presto.
Naturalmente in termini di status quo, non vedo come ciò possa avvenire.
E quindi ti rimando a tutte le critiche rivoluzionarie del Nietzche.
Manca in te quindi una chiara visione d'insieme politica per poter capire che questa acritudine non deriva tanto dalla religione in sè, quanto dai frutti che quella stessa aveva piantato nei secoli nel sistema di abitudini, che Nietzche chiama appunto morale.
La morale nicciana, analizzata e fatta a pezzi, è tutt'altro da quella sostenuta da Platone che abita l'iperuranio.
La cosa strana che è sfuggita a Nietzche è che Socrate è una maschera negativa, in Platone la difesa dell'individuo naturale contro lo stato, ossia contro il tiranno, infatti coincide con quella dello stesso Nietzche.
Due autori una stessa meta, ora mi rimane da verificare che anche in Agostino sia così, strano perchè io ne avevo una idea diversa, ma come al solito io stesso sono stato educato a non porre attenzione su autori chiave contro il capitalismo (alias gli effetti nocivi che la società stessa si è procurata di darsi).
salve!
Il rispetto per la religione non serve a un piano islamico di dominio del mondo.
Se l'Occidente è in gran parte disamorato dell'Assoluto ovvero di Dio, non ha che provvedere a riprendere in mano la situazione dedicandosi alla fede.
La relatività della condizione umana ha bisogno del ricorso al Mistero e il passo compiuto dall'ONU è stato necessario e va difeso ed è anche accaduto nel luogo giusto. Certo non c'è molto potere nelle Nazioni Unite, ma è meglio che niente, anche perché il mondo è colmo di poteri soltanto apparenti o pressoché.
Non rispettare la religione, oltre che essere un torto, è anche una immane contrarietà alla saggezza. La religione impedisce il degenerare della prepotenza o la evita. Essa oltre ai poteri salvifici può albergare anche la possibilità dell'errore. Ma senza religione è peggio; ed esiste anche la spiritualità. Non tutto si risolve in riti e culti; anzi il più accade oltre, al di sopra di essi.
Mauro Pastore
Citazione di: PhyroSphera il 13 Ottobre 2024, 19:40:27 PMMauro Pastore
Eppure parrebbe davvero il contrario. Non si contano le guerre di religione combattute su questo martoriato pianeta.
Citazione di: Visechi il 13 Ottobre 2024, 21:11:00 PM Non si contano le guerre di religione combattute su questo martoriato pianeta.
Infatti... sempre e solo DA quando è sorto l' ottuso e supponente.. quanto malefico primo monoteismo !
Citazione di: PhyroSphera il 13 Ottobre 2024, 19:40:27 PMLa religione impedisce il degenerare della prepotenza
Semmai una volta.. quando il rozzo bipede abitava nelle caverne. Ma quando è diventata dominante.. la musica è cambiata !
In particolare con il nocivo mono-teismo.. il cui obiettivo era "piegare" TUTTI alla loro dottrina !
Basterebbe documentarsi con i testi del riconosciuto quanto autorevole storico delle religioni:
- Mircea Eliade !
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Citazione di: PhyroSphera il 13 Ottobre 2024, 19:40:27 PMMa senza religione è peggio; ed esiste anche la spiritualità.
Senza la religione.. il mondo sarebbe peggiore ?
Piuttosto sarebbe meglio distinguere TRA:
- religione (l' apparato degli stregoni) e
- religiosità _ che NON necessità dell' ausilio e/o del supporto dei menzionati... stregoni !
Citazione di: PhyroSphera il 13 Ottobre 2024, 19:40:27 PMMa senza religione è peggio; ed esiste anche la spiritualità. Non tutto si risolve in riti e culti; anzi il più accade oltre, al di sopra di essi.
Ma su questo siamo d'accordo.
La religione nella visione giudaica è quel movimento popolare che preserva le conoscenze spirituali a cui si dedicano i rabbini.
Il giudaismo poichè sempre attaccatto nei secoli ha dovuto di necessità fare virtù. Il suo stato di minoranza è ciò che lo ha sempre salvato, ed è ciò che ci consegna la più grande morale, da cui come taurus ci insegna, ma come per esempio anche il cardinale televisivo accerta, il cristianesimo COPIA praticamente tutto.
Il problema del cristianesimo (ieri) e l'islamismo (oggi) è che da religioni di minoranza diventano religioni UNIVERSALI (ossia della maggioranza), e come detto giustamente da Taurus, meri strumenti del potere che le innalza a tali (universali appunto).
Ora quando si parla di rispetto, a me sembra sempre una questione mafiosa, cosa dovrei rispettare? il fatto che sei violenza pura?
Allora io parlerei di ubbidienza.
E fa senso vedere che il cristianesimo che ha sempre combattuto l'islamismo, a RAGION VEDUTA, ora addirittura chieda il rispetto dello stesso.
Le frasi agghiaccianti del papa alla giornata della gioventù a rispettare questa religione che impone l'uccisione degli ebrei e degli occidentali (piccolo e grande diavolo rispettivamente) dovrebbe far ragionare che qui non c'è nulla di spirituale.
E le persone che usano la spiritualità per non vedere il MALE è dovuta al fatto che non sanno, non hanno capito che la SPIRITUALITA' è RAGIONE.
Ragione spirituale, intelligenza divina, non dabbenaggine sentimentale.
Ma in questa sezione religiosa non voglio infierire.
Quindi si alla religione (giusnaturalismo) si alla spiritualità (salvezza), ma CON RAGIONE.
Citazione di: PhyroSphera il 05 Agosto 2024, 19:02:22 PMCome disse Paolo in una sua lettera (compresa nel cànone biblico) a proposito di un incestuoso: "questo individuo sia dato
in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore"
(1Cor 5,5).
Infatti il Tarsiota si era auto-investito come giudice della comunità. Data la sua proverbiale megalomania.. (almeno così per gli autori e suoi correligionari !) incitava i suoi sostenitori di espellere il reo !
Questi era un exCane pagano e accusato di essere l' autore di un misfatto.
Ora ricorrere al "diavoletto" voleva significare... ricacciarlo nel mondo politeista, quello stesso considerato un super-bordello dai monoteisti.
Curioso che i baldanzosi monoteisti.. si permetto di giudicare il comportamento degli altri popoli _ quando nel loro sacro libro vengono riportate le più ineguagliabili schifezze del tempo antico.
E comunque per ritornare ad uno dei commenti" di quel passo postato.. SOLO quando il "cane" si sarebbe pentito.. poteva, al limite, sperare nel perdono del super-compassionevole iddio-Abramitico.
Così sentenziava il supposto giudice-dottrinario.
Del resto questo (pericoloso) traumatizzato.. in altri scritti minacciava di visitare le varie comunità armato di randello pronto a bastonare chi metteva in dubbio la sua "illuminata" dottrina (es. 1 Cor. cap. 4) !
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Citazione di: green demetr il 14 Ottobre 2024, 00:53:15 AMMa su questo siamo d'accordo.
La religione nella visione giudaica è quel movimento popolare che preserva le conoscenze spirituali a cui si dedicano i rabbini.
Il giudaismo poichè sempre attaccatto nei secoli ha dovuto di necessità fare virtù. Il suo stato di minoranza è ciò che lo ha sempre salvato, ed è ciò che ci consegna la più grande morale, da cui come taurus ci insegna, ma come per esempio anche il cardinale televisivo accerta, il cristianesimo COPIA praticamente tutto.
Il problema del cristianesimo (ieri) e l'islamismo (oggi) è che da religioni di minoranza diventano religioni UNIVERSALI (ossia della maggioranza), e come detto giustamente da Taurus, meri strumenti del potere che le innalza a tali (universali appunto).
Ora quando si parla di rispetto, a me sembra sempre una questione mafiosa, cosa dovrei rispettare? il fatto che sei violenza pura?
Allora io parlerei di ubbidienza.
E fa senso vedere che il cristianesimo che ha sempre combattuto l'islamismo, a RAGION VEDUTA, ora addirittura chieda il rispetto dello stesso.
Le frasi agghiaccianti del papa alla giornata della gioventù a rispettare questa religione che impone l'uccisione degli ebrei e degli occidentali (piccolo e grande diavolo rispettivamente) dovrebbe far ragionare che qui non c'è nulla di spirituale.
E le persone che usano la spiritualità per non vedere il MALE è dovuta al fatto che non sanno, non hanno capito che la SPIRITUALITA' è RAGIONE.
Ragione spirituale, intelligenza divina, non dabbenaggine sentimentale.
Ma in questa sezione religiosa non voglio infierire.
Quindi si alla religione (giusnaturalismo) si alla spiritualità (salvezza), ma CON RAGIONE.
Questa coincidenza che tu fai tra giusnaturalismo e religione non sta in piedi, innanzitutto per i monoteismi il cui àmbito è il soprannaturale, ma pure per i paganesimi, la cui ricerca di virtù non si fonda sui giudizi ma sulle stime.
A partire da questa coincidenza che tu cerchi di avvalorare non c'è da capire niente di sufficiente e tutti i ragionamenti risultano inadeguati. Difatti il quadro che tu componi è falso, al di sotto di una comprensione minima.
Innanzitutto bisogna capire in cosa consiste una fede religiosa; quindi notarne le opportunità nella realtà, distinguendo i falsi dai veri credenti, senza supporre che a un libro o un oggetto sacro ci si debba rapportare pedissequamente o passivamente.
Tu vai scrivendo che la religione islamica impone l'uccisione degli ebrei e degli occidentali, che il cristianesimo copia il giudaismo... Quest'ultima è una sciocchezza che può essere smentita con uno studio adeguato o con una osservazione perspicace; la prima è una calunnia che può essere evitata distinguendo l'àmbito propriamente religioso dalle scelte politiche terroriste praticate da alcuni musulmani o sedicenti tali. Avresti voglia di procedere nel còmpito?
In che senso, per restare al caso menzionato, il contrasto tra mondo occidentale e mondo arabo non occidentale è religioso? Le Crociate sarebbero state sostituite da un altro conflitto senza il dissidio tra cristianesimo e islam? Tra sponda meridionale e settentrionale del Mediterraneo e tra continenti europeo e asiatico vi era una conflittualità precedente a tali contrasti religiosi. Sappiamo delle guerre puniche, delle guerre tra greci e persiani. Su queste cose va riflettuto con attenzione.
Quanto alle tue ultime righe, tanto supponenti: esse presentano degli errori non di àmbito teologico ma antropologico ed anche psicologico.
Psicologicamente: pensiero e sentimento non sono nei rapporti che certi filosofastri dànno a vedere col prossimo. La sentimentalità può essere anche soggetta a critiche da parte della ragione, ma il sentimento è di primaria importanza e non è fatto per essere normato dall'intelletto. Si sa che la degenerazione della ragione dell'epoca dei Lumi provocò una forte reazione, la
Tempesta e lotta dei primi 'romantici'... Va di moda tra i filosofastri giudicarla come uno sproposito da squilibrati ma in realtà si trattava della giusta reazione psicosociale a una mortificazione di troppo.
Antropologicamente si può notare come istinto e ragione (psicofisicamente dunque) funzionano in un equilibrio, non secondo il prevalere della seconda sul primo. Quando questo accade, l'istinto preme e diventa primitivo e bisogna lasciarlo agire. L'antropologo si riferisce con questa osservazione al comportamento umano, non dell'uomo in qualità di semplice possessore di mente. Cioè si valuta l'agire umano rispetto al mondo naturale e a quello spirituale o, per meglio dire, civile e culturale.
Filosoficamente (e non solo) si può dire:
che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;
e che la sfera razionale agisce dopo senza sopprimere la forza emotiva e senza giudicarla, ma come compimento, realizzazione, dell'umanità.
Quel che di assolutamente importante la riflessione cristiana ha negli ultimi decenni messo in forte e adeguata evidenza è la necessità, da parte dell'uomo, di far riferimento a una Trascendenza per trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo. Per farla breve:
la scienza antropologica scopre che l'umano è un essere
aperto, che non ha regole determinate nella sua azione;
e la dottrina teologica nota che in questa
apertura è necessaria la inclusione di quel che le religioni, in particolare monoteiste, chiamano Dio, per dare senso e direzione giusta alla nostra vita.
In tal senso il Cristo è la manifestazione estrema, la rivelazione, del Dio che salva l'agire umano dal nonsenso. Quindi ragione e istinto possono entrare in un conflitto estremo, esiziale, risolvibile solo col ricorso all'Assoluto nella sua forma più vicina, per altro verso ancora più remota, alla nostra esistenza, cioè il Dio di Gesù Cristo.
Invece che snobbare e offendere la religione e la fede di Cristo, invece che sognare domini razionali inesistenti, dovreste riflettere sul dissidio che esiste, in voi, tra razionalità e istintualità; e riconoscere nelle dottrine teologiche, nei casi estremi quelle cristiane, un elemento insostituibile di salvezza.
Quegli intellettuali che cercano nella antropologia - esiste finanche quella medica ma il dissidio che ho detto è peggio di una malattia, cioè genera decadenza totale - la forza per rimediare ai guai della umanità attuale, possono trovare soltanto nella teologia una via al successo dei propri sforzi.
E' inutile da parte vostra concentrarvi sulla sentimentalità secondaria o di riflesso, sulla sua inadeguatezza eventuale; inutile accusare la dabbenaggine altrui, presunta o vera che fosse, mentre siete avviati verso un conflitto estremo, antropologico, tra ragione e istinto. Per tale conflitto accade, alla fine del percorso, una impossibilità di vivere; e per evitarne, bisogna ricorrere alla fede in Dio.
Il paganesimo si occupa solo della naturalità, della scintilla divina nell'uomo, quel che il cristianesimo definisce "a immagine e somiglianza di Dio"; e ciò vale quando bisogna affrontare le insidie del mondo con la conoscenza delle virtù (ciò lo dico anche per rispondere alle critiche antimonoteiste e filopagane che mi sono state insensibilmente mosse)... Senza negare questo, i monoteismi si occupano dei casi più imprevisti e per consentire all'umanità di continuare a stare al mondo, a vivere degnamente.
Tutto questo non lo ho scritto per rispondere solo a una persona e tantomeno per replicare a scopo di primeggiare con qualcuno. Non si trovano sui giornali, se non raramente o mai di questi tempi, discorsi così... La filosofia ne può partecipare e ne ha anche contribuito.
Si tratta di un argomento cruciale, ma soprattutto di affermazioni vitali salvifiche.
MAURO PASTORE
L'animale uomo agisce ed è agito in funzione di due moventi, istinto o emozione (che è assai più del semplice istinto) e ratio. Questi due moventi (tali sono, perché entrambi concorrono, spesso in disputa fra loro, a determinare l'agire umano) convivono all'interno della camera magmatica che offre loro ostello, in un equilibrio instabile e assai precario. Giacché siamo ANCHE e soprattutto animali di relatio, l'impegno che profondiamo quotidianamente, che altro non è che il vivere d'ogni giorno, è proprio cercare di mantenerli in equilibrio entro un range di compatibilità col mondo circostante.
La precarietà è praticamente la norma per l'essere umano, non un accidente, come mi pare tu voglia raccontarci. Fra l'altro, non capisco per quale motivo se l'istinto (continuerei a definirla sfera emotiva/sentimentale) dovesse essere soggiogato (utilizzi il verbo prevalere) dalla razionalità 'bisogna lasciarlo agire'. Perché mai e a qual fine... per recuperare un equilibrio 'rotto'? Direi che è assurdo. Né la psicologia né l'antropologia(?) – forse alludi alla psicologia sociale, che appunto dell'interazione fra individuo e sistemi antropici complessi si occupa – sosterrebbero una cosa simile.
Filosoficamente (e non solo) si può dire:
che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la e nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;
Il fatto che la sfera irrazionale preceda e motivi (non sempre) quella razionale attesta e testimonia semplicemente circa la nostra primigenia animalità. Da questa quasi tautologia non puoi dedurne o inferire che l'innegabile naturale tensione (non una necessità) dell'animale uomo verso la trascendenza sia necessitata dall'esigenza di "trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo". Questa è una forzatura indebita ove il necessitante è necessitato in maniera ideologica.
In poche parole: il paralogismo testé evidenziato espone l'ideologismo a base e fondamento dell'intera tua requisitoria. Poco dopo, infatti, scrivi in maniera spericolatamente assertiva che "la dottrina teologica nota..." la necessità di un'inclusione che solo una radicata ideologia (non fede) può notare, poiché indimostrata ed indimostrabile. Dio non è necessario per dare senso e direzione giusta alla nostra vita. Troppe biografie smentiscono categoricamente questa assurda pretesa ideologica. L'agire umano si "salva (e si danna) dal non senso" da sé, senza alcun bisogno di ricorrere ad entità soprannaturali, che nella tua algida esposizione appaiono (appare) come un tappabuchi voluto e preteso non da un sommovimento emozionale, ma da una ratio indagatrice che, seppur negandolo, tende ad escludere o tacitare il caos in cui e da cui siamo generati. Quel che tu pensi come 'impossibilità di vivere' (in chiusura del tuo intervento) che chiama Dio e la fede a garantirci dal Nulla entro cui saremmo destinati a sprofondare, è sempre e solo frutto del paralogismo che lo genera e che lo tiene in piedi.
Citazione di: Visechi il 20 Ottobre 2024, 22:41:24 PM Dio non è necessario per dare senso e direzione giusta alla nostra vita.
Questo semmai vale SOLO per il credente !
Infatti lui avverte il bisogno di ottenere la pienezza di vita, un traguardo alto e che corrisponderebbe al raggiungimento della (sedicente) "santità" !
Vedere quei petulanti passi della Torah:
_ il MIO popolo sia santo, perchè "io" (il santo-Abbà) sono santo. Ovviamente nel senso ebraico-giudaico.
Il furbacchione clero.. sin da quando eravamo piccini ci inculcava che:
- noi siamo stati creati da Dio
per uno scopo ben preciso e SE non viviamo per esso, la nostra effimera esistenza
non ha alcun senso _ peggio sarebbe una vita sprecata.
E quale sarebbe quel "sublime" scopo esistenziale
? Ovvio strisciare come vermi al suo cospetto, servirlo come gli incatenati schiavi.. e adularlo continuamente per averci creato ! - "Servire" nel senso biblico (!)
E comunque tutto è mirato per il fatidico DOPO !
Sin dalla comparsa dell' umanoide, il suo Grande inganno e/o la sua falsa illusione è stata la tanto falsa speranza dell'immortalità..
Il terrore psicologico del DOPO/del NULLA.. ha portato il ns. antenato a ricercare
in una fede l' illusoria possibilità di sopravvivenza del proprio "io".
Da qui la costruzione alquanto fittizia di immagini fantasmatiche di una (falsa) speranza, da parte degli scaltri... furbacchioni !!!
Ecco perchè in ogni dove sono sorti miti, religioni (salvifiche)..ecc..eccc.
per attenuare quell' atavico terrore.
Così da sempre sulla bocca dei ministri del culto ripetono questo mantra:
- già in "questa esistenza" prepararti per la vita eterna !
Ma conoscono quanto pontificano dai loro pulpiti ?
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Tu scrivi:
Troppe biografie smentiscono categoricamente questa assurda pretesa ideologicaCome non darti ragione ?
Lo stesso concetto lo ribadiva
il celeberrimo Canto egizio dell' Arpista (ben 4500 anni fa !)Ecco allora che prima o poi ti accorgerai che ogni religione non é confidare in Dio,
ma IN altri uomini che pretendono e/o asseriscono di conoscerlo e di poterti salvare (sic !)
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Citazione di: Visechi il 20 Ottobre 2024, 22:41:24 PML'animale uomo agisce ed è agito in funzione di due moventi, istinto o emozione (che è assai più del semplice istinto) e ratio. Questi due moventi (tali sono, perché entrambi concorrono, spesso in disputa fra loro, a determinare l'agire umano) convivono all'interno della camera magmatica che offre loro ostello, in un equilibrio instabile e assai precario. Giacché siamo ANCHE e soprattutto animali di relatio, l'impegno che profondiamo quotidianamente, che altro non è che il vivere d'ogni giorno, è proprio cercare di mantenerli in equilibrio entro un range di compatibilità col mondo circostante.
La precarietà è praticamente la norma per l'essere umano, non un accidente, come mi pare tu voglia raccontarci. Fra l'altro, non capisco per quale motivo se l'istinto (continuerei a definirla sfera emotiva/sentimentale) dovesse essere soggiogato (utilizzi il verbo prevalere) dalla razionalità 'bisogna lasciarlo agire'. Perché mai e a qual fine... per recuperare un equilibrio 'rotto'? Direi che è assurdo. Né la psicologia né l'antropologia(?) – forse alludi alla psicologia sociale, che appunto dell'interazione fra individuo e sistemi antropici complessi si occupa – sosterrebbero una cosa simile.
Filosoficamente (e non solo) si può dire:
che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la e nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;
Il fatto che la sfera irrazionale preceda e motivi (non sempre) quella razionale attesta e testimonia semplicemente circa la nostra primigenia animalità. Da questa quasi tautologia non puoi dedurne o inferire che l'innegabile naturale tensione (non una necessità) dell'animale uomo verso la trascendenza sia necessitata dall'esigenza di "trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo". Questa è una forzatura indebita ove il necessitante è necessitato in maniera ideologica.
In poche parole: il paralogismo testé evidenziato espone l'ideologismo a base e fondamento dell'intera tua requisitoria. Poco dopo, infatti, scrivi in maniera spericolatamente assertiva che "la dottrina teologica nota..." la necessità di un'inclusione che solo una radicata ideologia (non fede) può notare, poiché indimostrata ed indimostrabile. Dio non è necessario per dare senso e direzione giusta alla nostra vita. Troppe biografie smentiscono categoricamente questa assurda pretesa ideologica. L'agire umano si "salva (e si danna) dal non senso" da sé, senza alcun bisogno di ricorrere ad entità soprannaturali, che nella tua algida esposizione appaiono (appare) come un tappabuchi voluto e preteso non da un sommovimento emozionale, ma da una ratio indagatrice che, seppur negandolo, tende ad escludere o tacitare il caos in cui e da cui siamo generati. Quel che tu pensi come 'impossibilità di vivere' (in chiusura del tuo intervento) che chiama Dio e la fede a garantirci dal Nulla entro cui saremmo destinati a sprofondare, è sempre e solo frutto del paralogismo che lo genera e che lo tiene in piedi.
La tua replica non è commisurata al mio messaggio, giacché essa si basa su una riduzione psicologica: quel che la stessa psicologia riflettendo sui propri limiti rimproverò a Freud, cui E. Fromm imputò la costruzione di una falsa antropologia, un fittizio
Homo Psicologicus (che Freud ancora più assurdamente poi abbandonava per il ritorno alla prospettiva neurologica). Tutto quello che dici su razionale e irrazionale è smentito dalla scienza antropologica. Questa si può occupare di mente e corpo contemporaneamente, ovviamente senza entrare nello specifico, occupandosi genericamente di umanità.
La tua obiezione alla mia affermazione del bisogno dell'Assoluto ovvero di Dio, nei casi estremi del Dio cristiano, è dogmatica ma — a differenza delle analoghe affermazioni delle religioni — non è sostenibile perché il dogma ha senso quando è una inesplicabile traduzione di quanto offertoci dal Mistero, non per sostenere che la precarietà umana non è veramente tale, come fai tu.
Io non ho descritto una esistenza al riparo dal rischio, tutt'altro. I rapporti uomo-Dio non accadono deterministicamente e quindi io so bene delle difficoltà della vita; è la tua pretesa di autosufficienza umana che è un ottimismo di troppo.
Il ricorso sociologico che tu tenti è vano, difatti la possibile
decadenza umana (che non è una crisi psicologica) da me indicata accade proprio in quanto la relazione sociale è intrinsecamente insufficiente a una sicurezza.
Il fatto che la ricerca antropologica arriva sulla soglia della riflessione teologica e cristologica sulla salvezza non è in conflitto con l'osservazione di sociologi, psicologi, antropologi, i quali anzi sanno benissimo che la fede è in un modo o nell'altro necessaria alla vita — ammesso che costoro siano informati sui risultati raggiunti dalle loro scienze.
Sbagliando su antropologia (e teologia), tu mi imputi un paralogismo ma sei tu che lo commetti, occupandoti dell'elemento antropico come fosse quello psichico e attuando quel che in psicologia analitica viene detto
proiezione. Così da un errore passi a un altro.
Ultima cosa: la Trascendenza indicata dai monoteismi non salva per una naturale tensione. Si tratta di eventi non accadimenti naturali. Prova a riflettere meglio su quanto avevo ed ho scritto in questa discussione... E ugualmente direi a tanti come te. Si percepisce in voialtri supponenza e insufficiente rispetto per il pensiero. Pensare anche a Dio non significa essere infantili.
MAURO PASTORE
La tua replica non è commisurata al mio messaggio, giacché essa si basa su una riduzione psicologica:
Volendo ci si può anche astrarre dall'indagine psicologica (fraintendi, io alludo ad una psicologia delle masse, non ad un'analisi coinvolgente in modo esclusivo l'individuo, da qui il tuo equivocare).
Potremo 'limitarci', se vuoi, ad approcciare il tema rivolgendoci alla letteratura (Dostoevskij, Leopardi ti può aiutare, soprattutto se letto da Severino), oppure alla sociologia, ma anche l'esegesi di testi a carattere religioso tanto raccontano del fraintendimento di fondo che informa il tuo vagolare nell'erto cammino della comprensione umana, soprattutto in un campo nel quale ho la sensazione che ad accompagnare ogni tuo passo sia il dogmatismo ideologico, e non il buon senso o l'avvertita intelligenza.
Ma anche una più attenta lettura di quel che provi maldestramente a confutare – invero un tantino in modo spocchioso, ma non ce ne faremo un cruccio – ti potrebbe aiutare a comprendere che io sostengo che la precarietà, l'insicurezza e la sofferenza sono la cifra e il segno della vita dell'uomo, dacché fece la prima comparsa sulla terra (in grassetto così richiama la tua attenzione ed aiuta la comprensione). Non è dunque vero ed ammissibile attribuirmi un concetto che io mai ho espresso nei termini da te riportati: "non per sostenere che la precarietà umana non è veramente tale, come fai tu".
L'uomo è scaraventato fin dalla nascita e fin dai primordi in un ambiente ostile che ha dovuto addomesticare e piegare ai suoi bisogni. Non ha mai percepito l'ambiente naturale come un Eden, bensì come un teatro di scontro e guerra, conflitto che deflagra in tutta la sua sofferenza nell'intimo di ciascuno di noi. Nessuno è preservato dalla propria Notte oscura dell'anima. Il Polemos greco è la traduzione in versi tragici proprio di questa cruenta battaglia in cui il Male contende il cuore degli uomini.
"Mio Dio... perché?" È anche il titolo di una raccolta di brevi quanto profonde riflessioni dell'Abbè Pierre, il fondatore di Emmaus. È opportuno leggere con attenzione ed animo scevro da pregiudizi... si tratta di un cattolico morto non troppo tempo fa, alla veneranda età di 93 anni, quasi tutti dedicati ad inseguire un sogno... il suo sogno, concreto quanto astratto, vero e reale, quanto onirico e chimerico: combattere il Male (lui lo scriveva con l'iniziale maiuscola) e la povertà.
"Ho appreso di recente che sulla terra sarebbero vissuti circa ottanta miliardi di esseri umani. Hanno avuto un'esistenza dolorosa, hanno penato, sofferto... e per che cosa? Sì, Dio mio, perché?"
Si può subito notare che non esprime solo una domanda, afferma che hanno patito, che hanno sofferto; egli è certo che abbiano penato. Poi si rivolge al Padre definendolo 'mio'. L'Abbè Pierre era un innamorato del Padre e lo definisce 'mio'. Mio quanto può essere 'mio' per chiunque del Padre sia innamorato. Resta inteso che ci si può innamorare anche di un'illusione. A Lui si rivolge, a Lui domanda... credo non fosse insensato rivolgere a Lui, al Padre 'suo', la domanda... si chiede perché, per quale motivo abbiano sofferto. È così peregrino e stupido farlo?
Prosegue:
"Mio Dio, fino a quando durerà questa tragedia? Nei catechismi di tutte le religioni si dice che la vita ha un significato. Ma quanti uomini e donne, su decine di miliardi, hanno potuto scoprire tale significato? Quanti hanno potuto prendere coscienza di una vita spirituale, di una speranza? Quanti altri al contrario hanno vissuto come animali, nella paura, schiacciati dagli imperativi della sopravvivenza, nella precarietà, nel dolore della malattia? Quanti hanno avuto la fortuna di meditare sul significato dell'esistenza?".
L'Olocausto stesso, i genocidi, le tragedie umane attestano lo stato di precarietà in cui siamo immersi. Dove vedi ottimismo se non all'interno e nell'ambito dei tuoi fraintendimenti?
Questa precarietà è fortemente incisa a chiare lettere anche nel Libro più bello del mondo. Dio ha revocato il dono già una volta e più volte è intervenuto perché pentitosi della sua opera. Le tradizioni dei popoli arcaici attestano, a fortiori, questo stato di precarietà: l'intero paradigma del capro espiatorio ed il connesso meccanismo di vittimizzazione sono testimonianze preclare della percezione della precarietà della condizione umana.
Ed è proprio questo senso di insufficienza e di instabilità che inclinano l'uomo verso una trascendenza che offra riparo dall'abnorme che ci circonda. Non è una necessità (di una necessità non potresti farne a meno... invece), ma una propensione che è pretesa proprio dalla coscienza dell'autosufficienza (anche qui mostri di non aver capito ciò che ho scritto). Il richiamo della Trascendenza è niente di più che un appiglio cui l'uomo si aggrappa in assenza di certezze. Ma è un invocare che ancora una volta non disegna un orizzonte solido che garantista dal caos e dal Nulla.
Affermare che l'uomo si salva o si danna da sé non può indurti ad affermare che sosterrei l'autosufficienza dell'uomo. No! Non è così. L'uomo, dopo aver decretato la morte di Dio, dopo che la Shoa lo ha definitivamente inquisito e condannato si è ritrovato solo con sé stesso, a dover fare i conti con sé stesso e le sue determinazioni. Condannato a vivere ed a costruire sé stesso confidando in sé stesso. Deve assumere in sé l'improbo compito di riappropriarsi della sua libertà – per troppi secoli consegnata alle e nelle amorevoli mani di istituzioni (in special modo monoteiste) che hanno preteso e pretendono, ancora oggi, di attingere la propria autorità affondando mani e gomiti lordi di sangue entro una sacralità utile solo come alibi per gestire uno sporco potere di subornazione delle masse. La fatica di vivere è proprio l'immenso lavoro di ricostruire sé stessi come umanità (da qui la forza e l'importanza della relatio) cacciando i grandi inquisitori ancor oggi presenti ed urlanti. Oltre e dopo Dio c'è l'uomo... l'uomo solo che dispiega sé stesso e costruisce il senso della propria esistenza (ancorché fruibile e fittizio, almeno quanto quello che si fonda sulla fede di un Dio otiosus o absconditus) a prescindere dall'inganno della trascendenza cui l'animo umano spontaneamente tende, Siamo condannati a costruirci giorno per giorno, questo è l'impegno che attende ciascuno di noi. Solo così l'essenza dell'uomo si sostanzia, solo così l'agire e le opere assumono il significato che nutre di senso l'esistenza... seppur effimero (il senso).
Pensare anche a Dio non significa essere infantili.
Questa tua puntualizzazione, in assenza di accusa (almeno da parte mia – mai mi sognerei di sostenere o pensare un'idiozia simile) denuncia una excusatio non petita.
la fede è in un modo o nell'altro necessaria alla vita
Parrebbe che le scienze siano propense a sostenere proprio quel che ti affanni ad affermare tu, con grande enfasi ed un eccesso di spocchia. Ma ciò racconta solo della carenza innata dell'animale uomo e della sua tensione verso un approdo che consenta sicurezza e certezze. La fede in Dio offre la stessa stabilità che può conseguirsi in una fede priva di trascendenza (a te lascio immaginare quali e quante fedi che non attingono alla trascendenza possano esserci). Quel che il tuo ideologismo dogmatico non ti consente di vedere, o anche solo valutare come possibilità, è che l'utilizzo di un dio alla stregua di un farmaco (questo in soldoni proponi e, per certi versi, prometti) lo desacralizza, lo priva del ctonio, del luciferino, dell'ineffabile che impregna l'area del sacro entro cui neppure l'orma di un piede può essere impressa, è, in poche parole, un'offesa al dio.
Citazione di: PhyroSphera il 20 Ottobre 2024, 13:40:01 PMQuesta coincidenza che tu fai tra giusnaturalismo e religione non sta in piedi, innanzitutto per i monoteismi il cui àmbito è il soprannaturale, ma pure per i paganesimi, la cui ricerca di virtù non si fonda sui giudizi ma sulle stime.
A partire da questa coincidenza che tu cerchi di avvalorare non c'è da capire niente di sufficiente e tutti i ragionamenti risultano inadeguati. Difatti il quadro che tu componi è falso, al di sotto di una comprensione minima.
Innanzitutto bisogna capire in cosa consiste una fede religiosa; quindi notarne le opportunità nella realtà, distinguendo i falsi dai veri credenti, senza supporre che a un libro o un oggetto sacro ci si debba rapportare pedissequamente o passivamente.
Direi di ripartire dalla domanda cosa è una fede religiosa?
Sto facendo fatica a capire se stiamo facendo un discorso religioso di fede o antropologico (del sentimento umano, mi par di aver capito).
Io non ho fede, io ho la certezza che Dio esista, ed esiste in quanto indeterminatezza (non totalità).
Nella mia ricerca spirituale dell'infanzia ho notato che ad un certo punto c'è un muro, c'è un limita alle tecniche meditative per raggiungere Dio, e questo muro è il corpo stesso.
Non ho mai capito per esempio lo zen, quelle tecniche astruse per dimenticare di essere un io, per poter "sentire Dio" in una sorta di panteismo, che non mi appartiene.
L'io può tranquillamente sentire Dio, nella sua stessa meditazione, nel suo stesso sentirsi un onda sull'oceano, l'oceano SOPRA lo senti.
Non sono dunque un Cartesiano, uno di quelli che usa la ragione in maniera luciferina, per sostenere che l'io è sostanzialmente un automa.
Sono piuttosto un Pascaliano uno per cui il sentimento è tutto.
La spiritualità è anzitutto SENTIRE.
Ma se è sentire capisci bene che non può essere fede.
Superato il problema dell'approccio, rimane però la sostanza della religione.
Che sia per meditazione o per preghiera, a qualcosa, ad un oggetto dobbiamo riferirci.
Questo oggetto è la sapienza antica, che sia quella biblica o quella greca o quella cristiana per me poco importa.
L'importante è che sia antica, è che mi dia la sensazione di SENTIRE quello scarto abissale che divide storicamente la nostra triste contemporaneità a quei grandissimi tempi.
Per la gente che critica questa visione io manco mi ci soffermo, si tenessero le loro miserabili condizioni di servo.
La sapienza non può essere faccio degli esempi: quella dei libri magici degli egizi, dei mesopotamici o degli indiani.
La sapienza è quella misterica che nasce in egitto e si diffonde rielaborata come giudaismo, platonismo e gnosi varie (una di queste quella di qram è quella che darà vita poi alle prime comunità cristiane per esempio).
E' il progetto di Moraldi Luigi, lo trovi su wiki.
Per esempio in Matteo che è il primo che sto leggendo troviamo immediatamente riferimento ad Isaia. Non capisco dunque perchè neghi che il cristianesimo si basi sul giudaismo.Ma va bè non è quello che mi interessa dire, apriro 3d su quello per approfondimenti.
Ma certo lo sturm und drang, il romanticismo tedesco: è in cima alla mia ripresa di letture.
Qua non bisogna confondere: la ragione spirituale, NON é la ragione strumentale del modernismo che arriva dritto dritto nell'età contemporanea.
La ragione strumentale in fin dei conti è quella che si inventa Macchiavelli, il personaggio che più ha fatto male nella storia, studiato con cura da Hitler per esempio.
La ragione di cui parlo è ovviamente quella sapienziale quella che USA la capacità umana di SCOPRIRE (platonicamente parlando, gnosticament parlando) VIRTu'.
Sono le virtù che poi segnano il cammino umano, ne sono la stella polare, la strada che "salva".
Le virtù non sono qualcosa di gerarchico, non sono quelle che impongono un padrone ed uno schiavo.Non accetto perciò che tu le chiami "stime", manco fossero oggetti, miserabile denaro, far di conto, prezzare, e essere prezzolati.
Sono quelle che besnì scavano, che cadenzano il cammino spirituale, la verticalità di ciò che ci spinge verso l'ALTO.
Quello che affermo è che queste verità interiori sono completamente assenti nel mondo contemporaneo, che fa di tutto per ostacolarci nella lettura, nel pensare perchè tramite i libri noi le possiamo recuperare. (tapezzando le librerie di porcherie di ogni sorta di gusti e disgusti).
Chi mi ha formato non è stato tanto l'induismo e la meditazione, ma la lettura alle scuole medie di autori enormi come Orwel (la fattoria degli animali) Levi (se questo è un uomo) e poi AUTONOMAMENTE dostoevsky, kafka, poe, montale.
sono autori che ti fanno andare veramente a fondo, e lo fanno usando la razionalità del loro genio che ordina il caos della vita.
Lo rende armonia, e ritmo. Lo elevano.
non è durato uno sputo naturalmente, a vent'anni ero già alle prese con i bias sociali. troppi anni per superarli. e anche ora come allora che li superai, non resta che lo sconforto di vedere la dabbenaggine sentimentale degli stolti.
Il sentimentalismo non è il sentimento forse questo concetto va rafforzato nei miei interventi.
Sul giusnaturalismo la mia è più una scommessa, non ne so molto.
Il giusnaturalismo perchè avevo iniziato ad ascoltare Rosmini, di come la chiesa abbia un diritto della PERSONA, un indagare la giustizia dell'uomo in quanto SINGOLO, AUTO-DETERMINATO in quanto libero.
Non c'è bisogno dell'antropologia che è semplicemente la moda del momento.
non sono i cartelloni da guerre stellari alla fiera del libro di francoforte su harari a dire qualcosa di anche solo lontanamente vero.
la verità è da ricercare nel passato.
non negli scimpanzè, ma su queste cose mi sono stufato di scrivere.
ora voglio approfondire su cose mie.
Salve!
Su PLATONE.
Chiedo venia se non è inerente alla discussione in oggetto, però vorrei approfittare, non essendo a conoscenza di studi filosofici, chiedere a voi dotti in questa materia, se Platone, oltre che filosofo, era quello che oggi possiamo catalogare come "Mistico".
Mi spiego meglio! ho letto queste parole in un'opera spirituale!:
"Fu Platone a dire che l'unico vero Iddio, per quanto sconosciuto, dev'essere il -PURISSIMO AMORE-; quanto più egli si approfondiva in meditazioni intorno allo sconosciuto Iddio, tanto più si accentuava il calor del suo cuore, e quando egli si accorse che questo benefico calore aumentava, avendogli un medico osservato che doveva trattarsi di una malattia, egli scoppiò a ridere e disse: "Se questa è una malattia, non posso che augurarmi che essa si accresca nel mio cuore; imperocché essa mi procura un benessere incomparabilmente maggiore di qualsiasi stato di perfetta salute per quanto laudabile!"
Risulta qualcosa del genere nello studio sulle opere o la vita di Platone?
Citazione di: Kephas il 28 Ottobre 2024, 13:32:46 PMRisulta qualcosa del genere nello studio sulle opere o la vita di Platone?
Non so se vi sono dotti su Platone.
Provo a ragionare da quei pochi spunti che so, Platone per quel poco che ne so ebbe una conversione dopo il viaggio che effettuò in Egitto. Non ho mai letto niente al riguardo se e con quali scuole entrà in contatto.
Di certo tornato in Grecia aderì alle scuole pitagoriche e creò una scuola a partire dall'orfismo rivoluzionato in quel di Eleusi.
E' quindi un insegnamento esoterico.
E' risaputo che nei riti eleusini si usavano le droghe per ottenere stati mistici.
Se però mi parli di misticismo, io penso ad un Giovanni della Croce (per via della mia vecchia passione per Carmelo Bene).
Mi pare che il misticismo sia l'esatto contrario della gnosi.
Però visto che Moraldi legge i vangeli insieme ai detti dei padri della chiesa (che sono mistici, almeno quelli orientali), forse mi sbaglio.
E quindi forse nella gnosi si può trovare una sorta di ibridazione tra ragione e sostanzialmente la sua negazione (perchè mi pare questo sia il misticismo, però ripeto, sono alle prime armi).
Pensieri in divenire.
Di certo un testo come il Simposio è talmente criptico che bisogna conoscere quelli prima per capire almeno qualcosa.
Citazione di: PhyroSphera il 20 Ottobre 2024, 13:40:01 PMTu vai scrivendo che la religione islamica impone l'uccisione degli ebrei e degli occidentali, che il cristianesimo copia il giudaismo... Quest'ultima è una sciocchezza che può essere smentita con uno studio adeguato o con una osservazione perspicace; la prima è una calunnia che può essere evitata distinguendo l'àmbito propriamente religioso dalle scelte politiche terroriste praticate da alcuni musulmani o sedicenti tali.
Le scelte politiche dei "terroristi" sono teologicamente fondate altro che calunnie, ci sono hadith che spiegano chiaramente che cristiani ed ebrei non vedranno la venuta del Mahdi perchè saranno morti, non per mano di Dio e del suo giudizio, ma per mano degli islamici stessi. Tanti altri miti antichi stranamente premiano in maniera speciale la tribù che li ha generati o gli aderenti al credo, mandando all'inferno gli altri, la novità sciita è al massimo che l'uomo prende nelle mani l'opera di pulizia. Non c'è gran sorpresa nè esclusiva di uno o dell'altro, nessuno che copia e scoppiazza, è semplicemente l'infanzia dell'umanità che ragiona su stessa e fa ragionamenti infantili e banali, ma che ancora oggi vengono tenuti in alto riguardo.
Citazione di: InVerno il 29 Ottobre 2024, 22:04:41 PMLe scelte politiche dei "terroristi" sono teologicamente fondate altro che calunnie, ci sono hadith che spiegano chiaramente che cristiani ed ebrei non vedranno la venuta del Mahdi perchè saranno morti, non per mano di Dio e del suo giudizio, ma per mano degli islamici stessi. Tanti altri miti antichi stranamente premiano in maniera speciale la tribù che li ha generati o gli aderenti al credo, mandando all'inferno gli altri, la novità sciita è al massimo che l'uomo prende nelle mani l'opera di pulizia. Non c'è gran sorpresa nè esclusiva di uno o dell'altro, nessuno che copia e scoppiazza, è semplicemente l'infanzia dell'umanità che ragiona su stessa e fa ragionamenti infantili e banali, ma che ancora oggi vengono tenuti in alto riguardo.
Quanto danno può fare porre fede in uno scritto!
E' così grande il potere della fede in una descrizione della realtà, volendo assimilare a ciò uno scritto, che se la realtà non sembra corrispondervi, chi quella fede possiede, cercherà di raddrizzarla.
Quando ci renderemo conto di aver fatto della scrittura un idolo?
Citazione di: iano il 29 Ottobre 2024, 22:49:09 PMQuanto danno può fare porre fede in uno scritto!
E' così grande il potere della fede in una descrizione della realtà, volendo assimilare a ciò uno scritto, che se la realtà non sembra corrispondervi, chi quella fede possiede, cercherà di raddrizzarla.
Quando ci renderemo conto di aver fatto della scrittura un idolo?
Teoricamente cristianesimo ed ebraismo non sono "religioni del libro", poi gli zucconi abbondano da tutte le parti, ma solo l'Islam mette così tanta enfasi sulla perfezione e non equivocabilità del libro, stando alla dottrina dovrebbe essere un libro talmente chiaro e ben scritto da non lasciare adito ad interpretazioni, io che l'ho letto posso dire che, puranche considerando che non abbia capito nulla dei contenuti, la sola organizzazione del testo è talmente assurda e sconclusionata che non mi meraviglierei se si scoprisse che i papiri originali sono caduti per terra ai redattori e l'hanno in seguito rilegato a caso, se questo è il miglior tentativo di Dio di spiegarsi, ho paura che non ci capiremo mai. Detto ciò, a riguardo dell'accusa di copia, è teologicamente fondata anch'essa, ci sono parecchi passaggi che registrano, nel Corano stesso, che Maometto veniva accusato dai coevi di scoppiazzare i racconti. E' un miracolo che tante persone siano sopravvissute così a lungo su questo granello di sabbia nello spazio, credendo letteralmente vero che un uomo sia volato sulla luna con un cammello alato e l'abbia tagliata in due. E' veramente incredibile, che davanti ad una creduloneria tale, le stesse persone riescano a trovare la bocca dove mettere il cibo, e non abbiano creduto a qualcuno che gli ha raccontato che anticamente si mangiava dalle orecchie..
Citazione di: InVerno il 30 Ottobre 2024, 13:59:01 PMTeoricamente cristianesimo ed ebraismo non sono "religioni del libro", poi gli zucconi abbondano da tutte le parti, ma solo l'Islam mette così tanta enfasi sulla perfezione e non equivocabilità del libro,
[...]
E' un miracolo che tante persone siano sopravvissute così a lungo su questo granello di sabbia nello spazio, credendo letteralmente vero che un uomo sia volato sulla luna con un cammello alato e l'abbia tagliata in due. E' veramente incredibile, che davanti ad una creduloneria tale, le stesse persone riescano a trovare la bocca dove mettere il cibo, e non abbiano creduto a qualcuno che gli ha raccontato che anticamente si mangiava dalle orecchie..
Perché sostieni che cristianesimo ed ebraismo non sono "religioni del libro"? Poi che significa "teoricamente"? Entrambe attingono la propria presunta autorità proprio da un Libro. In ogni caso, non c'è fanatico più fanatico di un ebreo ortodosso e più idiota di un cristiano "dell'America profonda".
In tema di strampalate credenze, ebraismo e cristianesimo non scherzano: cfr il rapimento di Elia, l'ascesa in cielo della madonna e, soprattutto, la morte e resurrezione di un dio. Tutto assai verosimile.
Sono religioni che si sono sviluppate in un contesto dove la scrittura ed i libri erano fonti tradizionali e liturgiche di secondaria importanza. Non è un caso che il primo resoconto scritto degli eventi cristiani tardi mezzo secolo, i masoreti aspetteranno secoli per scrivere, avevano altri grilli per la testa. Interi attributi della forma scritta sono diacronici, per esempio il sopracitato concetto di "copia" puoi immaginare quanto fosse aleatorio in un mondo
dove era estremamente raro che due libri uguali si trovassero nella stessa stanza e nelle mani di qualcuno che sapeva leggere per poter controllare che fosse una copia. L'islamismo si manifesta quando la scrittura era culturalmente più centrale. Non è il problema di chi creda alle stramberie più assurde, noterai facilmente che le persone scelgono di credere quasi sempre la stramberia del posto dove sono nati e non fanno cernita tra quelle che gli sembrano più verosimili. E' il modo di relazionarsi, il fondamentalismo, che a qualsiasi testo o tradizioni si applichi, porta all'assurdo, quando pigli fischi per fiaschi, la dimensione e forma del fiasco non sono il problema...
Citazione di: InVerno il 31 Ottobre 2024, 22:16:31 PMSono religioni che si sono sviluppate in un contesto dove la scrittura ed i libri erano fonti tradizionali e liturgiche di secondaria importanza. Non è un caso che il primo resoconto scritto degli eventi cristiani tardi mezzo secolo, i masoreti aspetteranno secoli per scrivere, avevano altri grilli per la testa. Interi attributi della forma scritta sono diacronici, per esempio il sopracitato concetto di "copia" puoi immaginare quanto fosse aleatorio in un mondo
dove era estremamente raro che due libri uguali si trovassero nella stessa stanza e nelle mani di qualcuno che sapeva leggere per poter controllare che fosse una copia. L'islamismo si manifesta quando la scrittura era culturalmente più centrale. Non è il problema di chi creda alle stramberie più assurde, noterai facilmente che le persone scelgono di credere quasi sempre la stramberia del posto dove sono nati e non fanno cernita tra quelle che gli sembrano più verosimili. E' il modo di relazionarsi, il fondamentalismo, che a qualsiasi testo o tradizioni si applichi, porta all'assurdo, quando pigli fischi per fiaschi, la dimensione e forma del fiasco non sono il problema...
Adesso comprendo meglio ciò che intendi. In ogni caso, si definiscono "religioni del libro" tutte quel complesso di riti e credenze che fanno riferimento ad un testo scritto, assunto come fonte primaria, se non addirittura unica, di diritto, costume, etica e religione.
L'Islam dei primordi, in fase di espansione, anche cruenta, promise protezione ai popoli foranei la cui religione fosse derivata da un testo scritto: il Libro, appunto.
Citazione di: Visechi il 31 Ottobre 2024, 20:23:50 PMIn tema di strampalate credenze, ebraismo e cristianesimo non scherzano: cfr il rapimento di Elia, l'ascesa in cielo della madonna e, soprattutto, la morte e resurrezione di un dio. Tutto assai verosimile.
Si ma qui siamo ancora alle solite letture alla lettera.
Il libro è fonte di pensiero, non di supina accettazione del testo.
Tantomeno di mera riproduzione dei suoni a pappagallo.
Quello lo lascerai ai papiri magici egizi o agli inni vedici.
La questione è di andare in fondo al sè, non rimanere prigionieri di stereotipi preteschi.
Citazione di: InVerno il 31 Ottobre 2024, 22:16:31 PMquando pigli fischi per fiaschi, la dimensione e forma del fiasco non sono il problema...
Siamo d'accordo, però non puoi negare che le religioni considerino il testo quacosa di sacro, nè più nè meno che l'islam.
il problema sono i contenuti di quei testi, e della riflessione che ne consegue (vedi gli hadit che riflettono la stessa religione dell'odio e della conquista).
Bel altra cosa il Talmud che invece è quasi un testo giuridico che parla della comunità.
Per quanto riguarda la grandezza umanista e liberale del critianesimo non sto nemmeno neanche a parlarne.
Citazione di: green demetr il 01 Novembre 2024, 07:44:14 AMSiamo d'accordo, però non puoi negare che le religioni considerino il testo quacosa di sacro, nè più nè meno che l'islam.
il problema sono i contenuti di quei testi, e della riflessione che ne consegue (vedi gli hadit che riflettono la stessa religione dell'odio e della conquista).
Bel altra cosa il Talmud che invece è quasi un testo giuridico che parla della comunità.
Per quanto riguarda la grandezza umanista e liberale del critianesimo non sto nemmeno neanche a parlarne.
Guarda che la madonna dormiente, assunta in cielo è un dogma della chiesa cattolica. Poco da interpretare. La baggianata d'Elia è una narrazione che lascia pochi spazi a diverse interpretazioni. Che il testo debba essere interpretato in maniera allegorica dovresti provare a spiegarlo ad un ebreo ortodosso... rischi la lapidazione.
Quando si fruisce un opera artistica in "buona fede" subentra una condizione chiamata "sospensione dell'incredulità", quel tacito accordo tra autore e lettore per cui le cosidette "licenze poetiche" vengono accettate in virtù della loro funzione e del messaggio che conveiscono, e del canone\genere in cui si presentano. Sarebbe assurdo che un padre si rifiutasse di raccontare cappuccetto rosso alla figlia giustificandosi dicendo che "il lupo che parla non esiste", quello che accade invece è che sospende la sua incredulità e racconta una storia che nel suo genere (la favola) è totalmente razionale, come fosse veramente accaduta, per poter conveire il messaggio. Il concetto chiave è "sospensione", nel senso che l'incredulità, data come "status di base", viene temporaneamente sospeso, non superato, prima di affrontare la finzione in oggetto. Il fondamentalismo è l'esatto opposto, anziché sospendere il giudizio riguardo la credibilità della storia, vi raddoppia il carico, è il padre convinto della bontà della favola non tanto per il suo contenuto nobile, ma perchè il lupo è veramente esistito. Nota bene che se qualcuno si comportasse con qualsiasi altro libro come i religiosi si comportano con il loro "sacro", probabilmente verrebbe internato o isolato socialmente...
Citazione di: Visechi il 01 Novembre 2024, 08:46:15 AMChe il testo debba essere interpretato in maniera allegorica dovresti provare a spiegarlo ad un ebreo ortodosso... rischi la lapidazione.
:D Vero, però penso siamo d'accordo che a noi interessano le interpretazioni moderate, comunque il dogma pone problemi, me ne sto accorgendo avendo iniziato a leggere Matteo (sapevo che era il testo più difficile per certi versi, ne parlerò-parleremo a breve).
Citazione di: InVerno il 01 Novembre 2024, 09:53:09 AMQuando si fruisce un opera artistica in "buona fede" subentra una condizione chiamata "sospensione dell'incredulità", quel tacito accordo tra autore e lettore per cui le cosidette "licenze poetiche" vengono accettate in virtù della loro funzione e del messaggio che conveiscono, e del canone\genere in cui si presentano. Sarebbe assurdo che un padre si rifiutasse di raccontare cappuccetto rosso alla figlia giustificandosi dicendo che "il lupo che parla non esiste", quello che accade invece è che sospende la sua incredulità e racconta una storia che nel suo genere (la favola) è totalmente razionale, come fosse veramente accaduta, per poter conveire il messaggio. Il concetto chiave è "sospensione", nel senso che l'incredulità, data come "status di base", viene temporaneamente sospeso, non superato, prima di affrontare la finzione in oggetto. Il fondamentalismo è l'esatto opposto, anziché sospendere il giudizio riguardo la credibilità della storia, vi raddoppia il carico, è il padre convinto della bontà della favola non tanto per il suo contenuto nobile, ma perchè il lupo è veramente esistito. Nota bene che se qualcuno si comportasse con qualsiasi altro libro come i religiosi si comportano con il loro "sacro", probabilmente verrebbe internato o isolato socialmente...
Tutto vero e condivisibile, ma parlando della Bibbia, del Talmud o del Corano non stiamo certamente parlando di romanzi... per cui.
Citazione di: Visechi il 20 Ottobre 2024, 22:41:24 PML'animale uomo agisce ed è agito in funzione di due moventi, istinto o emozione (che è assai più del semplice istinto) e ratio. Questi due moventi (tali sono, perché entrambi concorrono, spesso in disputa fra loro, a determinare l'agire umano) convivono all'interno della camera magmatica che offre loro ostello, in un equilibrio instabile e assai precario. Giacché siamo ANCHE e soprattutto animali di relatio, l'impegno che profondiamo quotidianamente, che altro non è che il vivere d'ogni giorno, è proprio cercare di mantenerli in equilibrio entro un range di compatibilità col mondo circostante.
La precarietà è praticamente la norma per l'essere umano, non un accidente, come mi pare tu voglia raccontarci. Fra l'altro, non capisco per quale motivo se l'istinto (continuerei a definirla sfera emotiva/sentimentale) dovesse essere soggiogato (utilizzi il verbo prevalere) dalla razionalità 'bisogna lasciarlo agire'. Perché mai e a qual fine... per recuperare un equilibrio 'rotto'? Direi che è assurdo. Né la psicologia né l'antropologia(?) – forse alludi alla psicologia sociale, che appunto dell'interazione fra individuo e sistemi antropici complessi si occupa – sosterrebbero una cosa simile.
Filosoficamente (e non solo) si può dire:
che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la e nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;
Il fatto che la sfera irrazionale preceda e motivi (non sempre) quella razionale attesta e testimonia semplicemente circa la nostra primigenia animalità. Da questa quasi tautologia non puoi dedurne o inferire che l'innegabile naturale tensione (non una necessità) dell'animale uomo verso la trascendenza sia necessitata dall'esigenza di "trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo". Questa è una forzatura indebita ove il necessitante è necessitato in maniera ideologica.
In poche parole: il paralogismo testé evidenziato espone l'ideologismo a base e fondamento dell'intera tua requisitoria. Poco dopo, infatti, scrivi in maniera spericolatamente assertiva che "la dottrina teologica nota..." la necessità di un'inclusione che solo una radicata ideologia (non fede) può notare, poiché indimostrata ed indimostrabile. Dio non è necessario per dare senso e direzione giusta alla nostra vita. Troppe biografie smentiscono categoricamente questa assurda pretesa ideologica. L'agire umano si "salva (e si danna) dal non senso" da sé, senza alcun bisogno di ricorrere ad entità soprannaturali, che nella tua algida esposizione appaiono (appare) come un tappabuchi voluto e preteso non da un sommovimento emozionale, ma da una ratio indagatrice che, seppur negandolo, tende ad escludere o tacitare il caos in cui e da cui siamo generati. Quel che tu pensi come 'impossibilità di vivere' (in chiusura del tuo intervento) che chiama Dio e la fede a garantirci dal Nulla entro cui saremmo destinati a sprofondare, è sempre e solo frutto del paralogismo che lo genera e che lo tiene in piedi.
Te ne scrivo un'altra, di risposta.
Il lettore può prendere atto che tu non hai mai compreso cosa sia una prospettiva antropologica e una scienza antropologica. Non ti commisuri alle mie affermazioni. Io non avevo fatto ontologia col mio messaggio; non ho mai detto che la necessità di Dio imponga a tutti una religione o di affidarsi in un tempo specifico o da prima a Dio. L'Assoluto agisce sul relativo anche a prescindere dalle decisioni che provengono dalla sfera del relativo.
Dicevo, antropologicamente, di istinto mortificato che deve esser lasciato libero per compensazione. Non si tratta infatti di trovare un bandolo con la psicologia, ancor meno con la psicoterapia, se il dissidio riguarda la totalità psicofisica. L'istinto represso, in tal caso, ha bisogno di prendere il sopravvento. Ciò non significa una soluzione ai problemi della nostra vita; significa anche incapacità a continuare ad essere civili e ovviamente non c'è garanzia che si possa fare i primitivi senza morire. In definitiva se c'è una crisi antropologica totale c'è un'ambientalità che ne crea le condizioni perché l'uomo da sé non si mette nei guai fino a tal punto; per questo nel caso estremo il ricorso alle relazioni col mondo peggiora tutto. Allora cosa resta? L'ulteriorità. Lo scientista resta fisso a pensare le cose ultime senza riconoscere che sono un adito. Lo scienziato non nega né afferma qualcosa di ulteriore; il filosofo lo attesta metafisicamente, cioè in astratto pensa un Assoluto. Teologicamente si può riconoscere questa ulteriorità diversa dal nulla, dal vuoto, anzi colma di possibilità vitali. La trascendenza pensata così non ha nulla di insostenibile; i negatori della trascendenza intesa come una cosa separata sono allo stesso tempo quelli che la hanno affermata: come te.
Tu dici di un irrazionale retaggio della nostra presunta origine bestiale (perché non vuoi chiamarla così, se così credi?). La scienza e la filosofia autentiche parlano di un irrazionale
originario, non originale. Nella umanità non c'è alcun resto bestiale: lo nega la Teoria psicologica degli archetipi, la fisiologia che trova una incompatibilità di fondo tra umanità e non umanità... E l'antropologia basterebbe da sola a dimostrarlo, con la propria esistenza, possibilità; tanto che tu, con la tua prevenzione
evoluzionistica non ne vuoi proprio concepire. Studiare l'uomo non significa studiare un poco anche le bestie.
MAURO PASTORE
Citazione di: Visechi il 23 Ottobre 2024, 00:12:00 AMLa tua replica non è commisurata al mio messaggio, giacché essa si basa su una riduzione psicologica:
Volendo ci si può anche astrarre dall'indagine psicologica (fraintendi, io alludo ad una psicologia delle masse, non ad un'analisi coinvolgente in modo esclusivo l'individuo, da qui il tuo equivocare).
Potremo 'limitarci', se vuoi, ad approcciare il tema rivolgendoci alla letteratura (Dostoevskij, Leopardi ti può aiutare, soprattutto se letto da Severino), oppure alla sociologia, ma anche l'esegesi di testi a carattere religioso tanto raccontano del fraintendimento di fondo che informa il tuo vagolare nell'erto cammino della comprensione umana, soprattutto in un campo nel quale ho la sensazione che ad accompagnare ogni tuo passo sia il dogmatismo ideologico, e non il buon senso o l'avvertita intelligenza.
Ma anche una più attenta lettura di quel che provi maldestramente a confutare – invero un tantino in modo spocchioso, ma non ce ne faremo un cruccio – ti potrebbe aiutare a comprendere che io sostengo che la precarietà, l'insicurezza e la sofferenza sono la cifra e il segno della vita dell'uomo, dacché fece la prima comparsa sulla terra (in grassetto così richiama la tua attenzione ed aiuta la comprensione). Non è dunque vero ed ammissibile attribuirmi un concetto che io mai ho espresso nei termini da te riportati: "non per sostenere che la precarietà umana non è veramente tale, come fai tu".
L'uomo è scaraventato fin dalla nascita e fin dai primordi in un ambiente ostile che ha dovuto addomesticare e piegare ai suoi bisogni. Non ha mai percepito l'ambiente naturale come un Eden, bensì come un teatro di scontro e guerra, conflitto che deflagra in tutta la sua sofferenza nell'intimo di ciascuno di noi. Nessuno è preservato dalla propria Notte oscura dell'anima. Il Polemos greco è la traduzione in versi tragici proprio di questa cruenta battaglia in cui il Male contende il cuore degli uomini.
"Mio Dio... perché?" È anche il titolo di una raccolta di brevi quanto profonde riflessioni dell'Abbè Pierre, il fondatore di Emmaus. È opportuno leggere con attenzione ed animo scevro da pregiudizi... si tratta di un cattolico morto non troppo tempo fa, alla veneranda età di 93 anni, quasi tutti dedicati ad inseguire un sogno... il suo sogno, concreto quanto astratto, vero e reale, quanto onirico e chimerico: combattere il Male (lui lo scriveva con l'iniziale maiuscola) e la povertà.
"Ho appreso di recente che sulla terra sarebbero vissuti circa ottanta miliardi di esseri umani. Hanno avuto un'esistenza dolorosa, hanno penato, sofferto... e per che cosa? Sì, Dio mio, perché?"
Si può subito notare che non esprime solo una domanda, afferma che hanno patito, che hanno sofferto; egli è certo che abbiano penato. Poi si rivolge al Padre definendolo 'mio'. L'Abbè Pierre era un innamorato del Padre e lo definisce 'mio'. Mio quanto può essere 'mio' per chiunque del Padre sia innamorato. Resta inteso che ci si può innamorare anche di un'illusione. A Lui si rivolge, a Lui domanda... credo non fosse insensato rivolgere a Lui, al Padre 'suo', la domanda... si chiede perché, per quale motivo abbiano sofferto. È così peregrino e stupido farlo?
Prosegue:
"Mio Dio, fino a quando durerà questa tragedia? Nei catechismi di tutte le religioni si dice che la vita ha un significato. Ma quanti uomini e donne, su decine di miliardi, hanno potuto scoprire tale significato? Quanti hanno potuto prendere coscienza di una vita spirituale, di una speranza? Quanti altri al contrario hanno vissuto come animali, nella paura, schiacciati dagli imperativi della sopravvivenza, nella precarietà, nel dolore della malattia? Quanti hanno avuto la fortuna di meditare sul significato dell'esistenza?".
L'Olocausto stesso, i genocidi, le tragedie umane attestano lo stato di precarietà in cui siamo immersi. Dove vedi ottimismo se non all'interno e nell'ambito dei tuoi fraintendimenti?
Questa precarietà è fortemente incisa a chiare lettere anche nel Libro più bello del mondo. Dio ha revocato il dono già una volta e più volte è intervenuto perché pentitosi della sua opera. Le tradizioni dei popoli arcaici attestano, a fortiori, questo stato di precarietà: l'intero paradigma del capro espiatorio ed il connesso meccanismo di vittimizzazione sono testimonianze preclare della percezione della precarietà della condizione umana.
Ed è proprio questo senso di insufficienza e di instabilità che inclinano l'uomo verso una trascendenza che offra riparo dall'abnorme che ci circonda. Non è una necessità (di una necessità non potresti farne a meno... invece), ma una propensione che è pretesa proprio dalla coscienza dell'autosufficienza (anche qui mostri di non aver capito ciò che ho scritto). Il richiamo della Trascendenza è niente di più che un appiglio cui l'uomo si aggrappa in assenza di certezze. Ma è un invocare che ancora una volta non disegna un orizzonte solido che garantista dal caos e dal Nulla.
Affermare che l'uomo si salva o si danna da sé non può indurti ad affermare che sosterrei l'autosufficienza dell'uomo. No! Non è così. L'uomo, dopo aver decretato la morte di Dio, dopo che la Shoa lo ha definitivamente inquisito e condannato si è ritrovato solo con sé stesso, a dover fare i conti con sé stesso e le sue determinazioni. Condannato a vivere ed a costruire sé stesso confidando in sé stesso. Deve assumere in sé l'improbo compito di riappropriarsi della sua libertà – per troppi secoli consegnata alle e nelle amorevoli mani di istituzioni (in special modo monoteiste) che hanno preteso e pretendono, ancora oggi, di attingere la propria autorità affondando mani e gomiti lordi di sangue entro una sacralità utile solo come alibi per gestire uno sporco potere di subornazione delle masse. La fatica di vivere è proprio l'immenso lavoro di ricostruire sé stessi come umanità (da qui la forza e l'importanza della relatio) cacciando i grandi inquisitori ancor oggi presenti ed urlanti. Oltre e dopo Dio c'è l'uomo... l'uomo solo che dispiega sé stesso e costruisce il senso della propria esistenza (ancorché fruibile e fittizio, almeno quanto quello che si fonda sulla fede di un Dio otiosus o absconditus) a prescindere dall'inganno della trascendenza cui l'animo umano spontaneamente tende, Siamo condannati a costruirci giorno per giorno, questo è l'impegno che attende ciascuno di noi. Solo così l'essenza dell'uomo si sostanzia, solo così l'agire e le opere assumono il significato che nutre di senso l'esistenza... seppur effimero (il senso).
Pensare anche a Dio non significa essere infantili.
Questa tua puntualizzazione, in assenza di accusa (almeno da parte mia – mai mi sognerei di sostenere o pensare un'idiozia simile) denuncia una excusatio non petita.
la fede è in un modo o nell'altro necessaria alla vita
Parrebbe che le scienze siano propense a sostenere proprio quel che ti affanni ad affermare tu, con grande enfasi ed un eccesso di spocchia. Ma ciò racconta solo della carenza innata dell'animale uomo e della sua tensione verso un approdo che consenta sicurezza e certezze. La fede in Dio offre la stessa stabilità che può conseguirsi in una fede priva di trascendenza (a te lascio immaginare quali e quante fedi che non attingono alla trascendenza possano esserci). Quel che il tuo ideologismo dogmatico non ti consente di vedere, o anche solo valutare come possibilità, è che l'utilizzo di un dio alla stregua di un farmaco (questo in soldoni proponi e, per certi versi, prometti) lo desacralizza, lo priva del ctonio, del luciferino, dell'ineffabile che impregna l'area del sacro entro cui neppure l'orma di un piede può essere impressa, è, in poche parole, un'offesa al dio.
Senti, io ho detto che la crisi antropologica non è una malattia, perché tu scrivi che per me Dio è come un farmaco? Ho detto, fatto capire che l'affermazione dell' autosufficienza umana è una forma di disastroso ottimismo. La fede in Dio non nega le difficoltà del mondo, chi nega la necessità di questa fede non ha capito le reali difficoltà del mondo e si autodestina a una varietà di guai e disastri.
Inoltre tu dici di precarietà e fai l'esempio del capro espiatorio, cioè confondi la trasgressione della colpa e del delitto (di una falsa attribuzione e di una azione cieca e violenta) con le fatali difficoltà, che sono anche per la pura innocenza o l'ingiudicabilità. Il cristianesimo annuncia la crisi del meccanismo del capro espiatorio con l'esempio di Gesù di Nazareth e soprattutto la possibilità di una vita
al di là di questa negatività, con l'esempio della fede nel
nome di Cristo, cioè non nella vicenda di un messia umano.
Prova a fare ordine nei tuoi propositi filosofici e nelle tue conoscenze prima di lanciarti nelle tue incaute repliche. Dicendo di crisi antropologica e di rimedio teologico io faccio affermazioni vitali; non dovete abusare della critica. Questa ha i suoi limiti e voi forzandola diventate interlocutori assurdi.
MAURO PASTORE
Riguardo ai libri sacri...
Maometto diceva delle genti del Libro. Indubbiamente solo l'Islam è centrato sul libro, ma le moltitudini degli ebrei e dei cristiani pure ne fanno riferimento fortissimo.
I libri sacri dei monoteismi non sono prontuari. Al contrario, necessitano di previa o immantinente disposizione, altrimenti rimandano al lettore le proprie stesse mancanze.
La teologia cristiana dice di un evento Cristo. I Testamenti biblici ne sono in relazione. L'Islam invece si identifica nel Messaggio del Corano; ma si tratta di un significato riposto. L'ebraismo avvalora i propri testi sacri entro l'appartenenza all'Alleanza di Dio col suo popolo. Nel giudaismo questo può essere una varietà di genti e storie. Mi risulta che nel Medio Evo i kazaki fossero divenuti un tale popolo, ma senza confluire nella vicenda degli ebrei antichi (mi risulta che attualmente siano musulmani, altra vicenda). Ugualmente, i Testamenti biblici non implicano la confluenza nelle vicende che li rappresentavano. Per il Corano è uguale. V'è stato più di un Maometto (non è questione di omonimia), si sa che nell'Impero Ottomano nulla era lo stesso e nella odierna Turchia le donne accedono alle moschee.
Inutile prendere esempi cattivi giudicando le fedi; ci si confonde soltanto.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 05 Novembre 2024, 13:38:25 PMMAURO PASTORE
Te ne scrivo un'altra, di risposta.
Il lettore può prendere atto che tu non hai mai compreso cosa sia una prospettiva antropologica e una scienza antropologica. Non ti commisuri alle mie affermazioni. Io non avevo fatto ontologia col mio messaggio; non ho mai detto che la necessità di Dio imponga a tutti una religione o di affidarsi in un tempo specifico o da prima a Dio.Comprendo meglio il tuo equivoco, inemendabile temo. Continui a ragionare attraverso cliché obnubilanti. Confondi la tensione (vocazione, propensione, inclinazione, predisposizione ecc...) dell'animale uomo (che sia assimilabile alla bestia – colgo il tuo accento spregiativo - forse lo puoi pensare tu) verso la trascendenza – indubitabile – con l'alquanto vaga ed incerta "necessità di Dio". Ripeto: dovresti aggiornare i tuoi files mentali e magari ridurre lo spazio che destini al dogmatismo ideologico (neppure religioso, ma proprio di vero ideologismo si tratta) per consentirne un pochino anche ad altre discipline, forse, in apparenza, poco attinenti alla fede o alla religione. Leopardi, tanto per citarne uno fra i molti possibili (sorvoliamo su Nietzsche), è uno dei più mirabili esempi di tensione verso la trascendenza, senza che però questa sia mai approdata (neppure ispirata) alla vagheggiata "necessità di Dio". Si tratta di due piani di relazione con l'ulteriorità o trascendenza ben differenti. Questa tensione tipicamente umana, pare, è causa determinante della coscienza del vuoto e percezione del nulla che impregnano l'ulteriorità. Non è la trascendenza a rappresentare una risposta al nulla, è perfettamente il contrario: ne è causa. Da qui l'esigenza – stavolta sì – di dar requie all'angoscia che si genera. Guarda un po': il perfetto contrario di quel che semplicisticamente intendi tu. Per questa ragione non c'è fede che ponga al riparo dall'angoscia. Condizione ben testimoniata da Giovanni della Croce (neanche il suggerimento hai saputo cogliere) e tanti altri mistici e credenti. Neppure Dio e la fede in Dio sono talmente radicali da sradicare quel che rappresenta l'humus ove le nostre esistenze sono radicate. Ciascuno fornisce una risposta individuale – seppur vacillante - a questa angoscia che si fa largo nell'intimo con ciò che più gli si confà. C'è chi (probabilmente tu) riempie il vuoto aggrappandosi ad una inconscia menzogna, e compensa con la consolante idea di un Dio Padre; altri, forse più sinceri, negano a sé stessi la possibilità di adeguarsi al falso, anche se consolatorio. Cerca di capirlo, insistendo su un punto che mostri proprio di ignorare o fraintendere dimostri solo un atteggiamento, seppur risoluto, abbastanza infantile.L'Assoluto agisce sul relativo anche a prescindere dalle decisioni che provengono dalla sfera del relativo.
Dicevo, antropologicamente, di istinto mortificato che deve esser lasciato libero per compensazione. Non si tratta infatti di trovare un bandolo con la psicologia, ancor meno con la psicoterapia, se il dissidio riguarda la totalità psicofisica.Appunto! Psicologia e psicoterapia sono strumenti utili per approcciare il problema, per cercare di comprendere ragioni, genesi ed esiti di questa angoscia esistenziale originaria, non originale. Procedure più o meno valide, molto dipende dal professionista cui affidi la tua anima. Al più forniscono un sostegno, un aiuto, una cura palliativa, ma neppure loro, più sincere delle teologie (ne esistono diverse, con esiti differenti), pretendono di sradicare dall'uomo questa percezione angosciosa del nulla che si nutre dell'insensatezza del pieno senso e assurdo significato (apprezza le iperboli, ma tutte pregne di significato) che la morte iscrive fin dalla nascita nell'animo di ciascuno di noi. Vedi, quando parli e straparli "d'istinto represso", forse senza avvedertene, scadi nello psicologismo da quattro cents al chilo. Ed anche quando strafalcioni sui 'primitivi', alludendo in maniera smaccatamente arrogante, nonché ingenua, presumibilmente alle culture arcaiche, dimostri senza meno di avere una concezione dell'essere uomo spiccatamente meccanicistica, nonostante il tuo sproloquiare di Dio e deità. L'uomo è una 'macchina' (chissà che scandalo per chi non è abituato all'interdisciplinarietà) complessa, molto più complessa di quanto il tuo psicologismo o il tuo teologismo o antropologismo raffazzonati possano comprendere, spiegare e amare.Di ulteriore sprovveduto e disarmante strafalcione ci fai poco gradito dono quando in poche righe ricusi l'intera opera di tale René Girard (anche la lettura de "il codice della vendetta barbaricina", opera insigne di un mio insigne corregionale, potrebbe aiutarti ad inquadrare meglio il tema) scrivendo: "Inoltre tu dici di precarietà e fai l'esempio del capro espiatorio, cioè confondi la trasgressione della colpa e del delitto (di una falsa attribuzione e di una azione cieca e violenta". Qui proprio dimostri di ignorare, ed ignorando sragioni pretendendo di ragionare e di aver pure ragione. Il sacro, caro mio, non è ciò che tu fanciullescamente credi che sia. È sempre stato percepito come un qualcosa di separato (la più probabile origine etimologica del termine 'sacro'), intoccabile, inviolabile proprio perché è da sempre una camera magmatica di caos e violenza. Il rapporto alla deità è sempre stato condito dal terrore. Ti svelo un segreto: le potenze ctonie e luciferine del sacro abitano, impregnano ed intridono di sé la parte più arcaica (non primitiva) del sacro Libro dei Libri (la Bibbia). Rileggiti Mosè e il Dio del Roveto, il Deuteronomio etc... Il sacro e la deità non sono i trastulli piacevoli ove possa riposare l'animo dell'uomo, sono il recinto ove orma di piede non con-sacrato (votata al colloquio con il sacro) non può penetrare, perché sarebbe un sacri-legio ed esporrebbe il sacrilego alla furia violenta del Dio (neppure Mosè potè guardare il Dio del Roveto "faccia a faccia": «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere»). Il capro espiatorio, che tu da sempliciotto riduci ad "un'azione cieca e violenta", è, invece, un'azione che nelle comunità arcaiche si rendeva necessaria (stavolta sì che puoi parlare di necessità) per ripristinare un equilibrio violato da una trasgressione. Pur essendo un atto violento (non sempre, spesso si concludeva con l'allontanamento dalla comunità dell'innocente vittimizzato), aveva il precipuo scopo di sanare un'infrazione e dar sfogo alla violenza della comunità, incanalandola per esaurirla. Insomma, credo dovresti studiare prima di avventurarti in ambiti a te alieni.Che dire poi della perla: "La trascendenza pensata così non ha nulla di insostenibile; i negatori della trascendenza intesa come una cosa separata sono allo stesso tempo quelli che la hanno affermata: come te.". Rassegnato, sconsolato, avvilito non posso far altro che specificare, ancora una volta, che io sostengo ed affermo che l'uomo sente la trascendenza (leggiti e medita l'Infinito, il coro dei morti, l'intero Zibaldone di Leopardi, l'inno a Satana di Carducci e svariate centinaia di opere artistiche, anche figurative, se vuoi). Questo sentimento o emozione approssima l'uomo al vuoto, al nulla e all'insensatezza dell'esistenza. La trascendenza e ciò di cui è causa abitano da sempre e pro semper l'animo dell'uomo. Sartre te lo racconta nella trilogia del Rinvio e la cura dell'impegno, cura sempre fugace ed effimera quanto la fede in un Dio morto e risorto.
Citazione di: Visechi il 05 Novembre 2024, 19:34:44 PMTe ne scrivo un'altra, di risposta
Il testo che segue è assai lungo, perché tal Visechi è un... rappresentante tipico, non dico caratteristico; e mi premeva assai confutarne il dovuto.
Il testo di tal Visechi cui replico è visibile interamente a questo link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/il-diavolo-da-giobbe-e-l-anticristo-in-casa-nietzsche-oltre-le-troppe-ombre/msg93295/#msg93295
Il sito non recepiva la mia intera replica e ho dovuto ricorrere a questo stratagemma per ragioni di spazio.Innanzitutto una notazione: come tu vivisezioni il mio testo nel citarlo (senza rispetto per la forma della mia scrittura), così fai a pezzi il pensiero contenuto in esso e non puoi intenderlo. Assurdo che poi provi a criticarlo. Però metti in gioco delle dinamiche non stupide, le quali hanno un potere sociale politico... ma subculturale, anticulturale in fin dei conti.La tua obiezione, secondo cui non ci sarebbe alcun bisogno di Dio per vivere la trascendenza, sposta i termini del tuo discorso e fa sembrare che io volessi dire cose che non ho detto. Sei passato dal sostenere integralmente una posizione atea ad aggiungerci ambiguamente una non-teista, imputandomi una contrarietà al non-teismo che io non ho. Io infatti non ho mai detto che sia necessario a tutti in tutte le situazioni avere una concezione esplicita di Dio. Ho stimato tanto Eckhart che definiva Dio, anzi il suo apparire, un Nulla e non meritavo la tua replica da camaleonte dispettoso. Ho anche precisato che non penso che i tempi del nostro rapporto con Dio e i modi siano uguali per tutti... tu nel prenderne atto contraddittoriamente non me lo hai riconosciuto.Il fatto è che il tuo tenace ateismo è in antagonismo al teismo e porti avanti la tua competizione anche a fronte di discorsi vitalmente necessari, senza riguardo per ciò che veramente dice l'interlocutore per l'esistenza. Mi hai chiamato ignorante tanto ingiustamente e con una sequela di rimandi di cui non ho proprio bisogno. Ne capivo già; semmai tu li decontestualizzi. Così usi il non-teismo per abolire i discorsi teisti; ma la prospettiva non-teista non serve a questo scopo. Essa rappresenta una non esplicitezza dell'Assoluto, della Trascendenza, che vengono pensati senza ciò che la parola e l'idea di Dio significano. Questo significato verbale aggiunto non è infantile; infantile è chi, pensando che la trascendenza sia una strada che non porta da nessuna parte, scambia se stesso per l'assoluto. La tesi che tu sostieni sulla autonomia completa dell'uomo attesta questa tragica inversione.Dipendiamo dall'acqua e da altro di materiale per sussistere fisicamente, dallo spirito per continuare a vivere psichicamente; e non esiste solo questo innegabile piano naturale, ma anche le incognite del caso. I monoteismi a queste ultime riferiscono la propria ragione d'essere (da qui la metafora, che realmente significa delle coincidenze, delle neagatività, del diavolo). Il cristianesimo pensa la necessità dello spirito di Dio per controbilanciare situazioni altrimenti esiziali. Si pensa all'altra dimensione, a sostanza spirituale non a materia; senza negare alcuna scienza anzi trovando nelle scienze un indizio. La parola Dio serve a indicare, non a descrivere come un oggetto; a voialtri il suo vero utilizzo pare uno sproposito perché tendete a oggettivizzare l'Assoluto; e allora il mito politeista vi pare poca cosa o illusione, l'allegoria monoteista un modo per scambiare il nulla per l'essere. Inutile che andate citando i mistici, che il nulla lo menzionavano al rovescio; e non è giusto l'accanimento che avete nel chiamare ignorante chi non ha prevenzioni. Semplicemente il sentimento del mondo attesta che il mondo stesso non è tutto; si sente che c'è altro e ovviamente non si può trattare del nulla, che resta tale. Questa intuizione è spontanea ed il vostro ateismo non sorge da una originarietà, ma da un artificio (da moribondi). Non trovi che invece di fare tante illazioni contro di me potresti provare a studiare l'obiezione che la filosofia ha mosso contro il nichilismo, inteso come oblio dell'essere? Certo troveresti qualche scritto di E. Severino a far da padrone e partendo dal tuo fanatismo potresti innamorarti delle sue critiche anticristiane, su un Dio che non è veramente l'Essere e sulla necessità di intendere l'Essere quale superdio... Ma codesti pensieri di E. Severino sono validi nei confronti di un falso cristianesimo.Quanto alla tua partaccia sul capro espiatorio, al tuo tentativo di tacciarmi di ignoranza per screditare le mie menzioni antropologiche: il contesto sociale fondamentale della realtà considerata da R. Girard coi suoi studi sulla violenza sacrificale è criminologico, quindi i benefici descritti nella sua teoria sono i vantaggi che, per un verso soltanto, sono ottenuti col delitto... Diversa è la questione che verte sulla domanda: quale storia veramente è coinvolta da questa criminosità? A voler esser precisi e informati, si deve riconoscere che il mondo ritratto dalle tragedie classiche greche era quello dell'incertezza e abbandono della grecità, in particolare ellena. La violenza della vicenda di Edipo e delle altre raccontate da quel teatro proveniva dal di fuori, dal tradimento di una identità... Peraltro bisognerebbe pure capire che non è esistita e non esiste una sola grecità. Gli stessi elleni conoscevano pure altre condizioni. Nelle società dei pastori il capro espiatorio era l'animale che doveva soccombere perché pur non avendo fatto il prepotente come gli altri del gruppo si era sottratto dal destino proprio della sua specie, rendendosi una presenza nociva. E' ciò per cui il pastore è accettato anche nel còmpito di portare la morte, anche se non è una belva che ha tale officio per sua propria natura. Questo sfondo o retroterra culturale, background potremmo dire, io lo ho tratto da conoscenze ed esperienze dirette del mondo pastorale; tuttavia se ne potrebbe trovare letteratura che vi rimanda. Invece di screditarmi, va a cercare qualche branco di capre per qualche montagna... stando attento a non confondere un mondo per un altro. La pastorizia storicamente corrispondente agli esempi evangelici-biblici non era la stessa dei greci e neppure affine... ma il discorso biblico è allegorico. Va letto spiritualmente, senza intenderlo per un riferimento al piano naturale. Ad esempio: il simbolo dell'Agnello dei Vangeli non è comprensibile materialmente-zoologicamente; ma spiritualmente-psicologicamente! Ugualmente il simbolo del Crocifisso: non si tratta di pensare materialmente a dei legni e a una tortura, ma a una allegoria che rappresentando le difficoltà della vita allude alla presenza salvifica di Dio in esse...Facevo presente che questa funzione della religione cristiana, di offrire un orizzonte altro nei casi estremi, è riconosciuta positiva anche dalle scienze antropologiche, sociologiche, psicologiche... Se però tu citi le interpretazioni personali di Girard, allora dovresti studiarti la polemica che G. Vattimo istituì con lui, riguardo a ottimismo e pessimismo. A volte Girard, scommettendo troppo sulla prospettiva scientifica antropologica, cadeva nel pessimismo, in interrogativi che il credente non deve porsi (lui si rivolse anche alla fede, ma ritengo senza tanta consapevolezza). La sua descrizione dell'elemento demoniaco era tragica per via del fatto che non aveva soppesato abbastanza il valore delle affermazioni teologiche. Da una parte egli faceva bene a dire: nei Vangeli e nelle lettere paoline c'è una realtà antropologica ancora compromessa con la violenza... Dall'altra è facile capire che i Vangeli sono annunci, non indicazioni di un presente "tutto ok". Il significato teologico delle lettere paoline è altro e così pure la vera convivenza cristiana che quelle lettere ritraggono... Eccoti allora questo invito: studiatelo meglio Girard, ma non solo, studia meglio tutte le questioni che riguardano la sua scienza.Che senso ha che tu mentre mi tacci di pensare meccanicisticamente, poi sopravvaluti ed estendi oltremodo il funzionamento-macchina? Hai mai pensato di riflettere attentamente su certi risvolti che metti in campo con le tue repliche? L'interdisciplinarità, lo dice la parola stessa che contiene il prefisso "inter", non è una inesistente intradisciplinarità. Il fatto che domini la malasanità che deforma tutti i concetti non è una disconferma di questa distinzione. Non esiste alcun "uomo-macchina". Esistono funzionamenti del nostro corpo in analogia a quelli delle macchine, ma non sono neanche i fondamentali. I falsi fisiologi che stressano i corpi per fare esperimenti anziché esperienza tengono molto ad ottenere risultanti che fanno sembrare l'uomo una macchina. In realtà sono imitatori dei fisici, imitatori che non vogliono capire che una scienza quale la fisiologia è già di per sé logica, senza bisogno di fare cavie (peraltro finanche i sassi andrebbero rispettati e non lo sono abbastanza negli ambienti della scienza e della tecnica). I presunti dati che dimostrerebbero l'uomo-macchina sono tratti da condizioni artefatte che costringono i corpi a comportarsi come macchine. Anche qui, il rimando è dunque alla criminologia.Tu pensi esistente "l'uomo-macchina" e quindi vedi nelle dinamiche di repressione dell'istinto un meccanismo... Dovresti prendere coscienza delle tue proiezioni psicologiche invece di andar gettando discredito immotivato... Comunque ripeto: i rapporti tra istintualità e razionalità studiati dagli antropologi non sono dinamiche psicologiche, ma eventi fisiologici e psicologici. Insomma un'altra questione e il lettore avveduto saprà capire che voi sorvolate sui discorsi del prossimo senza intenderli e tentando di forzarne le dichiarazioni. Se tu senti un'affermazione, inutile fingere che sia vuota. Le affermazioni non sono semplici detti.Peraltro, tu attui uno sviamento nel riproporre la dimensione psicologica quale centrale (mostrando che con l'antropologia vuoi scherzarci, non prenderla sul serio).Il mondo è pieno di positivisti: antropologi che pensano che la scienza dell'uomo è la migliore perché è quella centrata su noi stessi... psicologi che pensano che la loro scienza è la migliore perché è centrata sulle premesse mentali... fisici assai accreditati che pensano che la loro scienza è la più scienza di tutte perché essa studia la "natura", la physis... Il fatto è che gli antichi greci parlavano dialetti e in realtà lo statuto della fisica non è veramente quello di studiare ciò che noi oggi intendiamo per "la natura". Esiste infatti anche la natura della mente, una naturalità delle pure energie psichiche, come potrebbero intuire vagamente i chimici se interpretassero i loro studi senza ulteriori illazioni (la chimica non è una fisica ammezzata)... Insomma l'uso che voialtri vorreste fare della psicologia non è proprio consono e neppure quello che vorreste fare di altre scienze, della fisica in particolare.Io dicevo di decadenza... Inutile mettersi a cambiare discorso e parlare di condizione naturale, esistenziale, di passaggi nella angoscia...
Sarebbe vero ma in un certo senso che evidentemente ti sfugge, altrimenti non ci sarebbe stato lo sproposito delle tue citazioni. Dicevo che una crisi antropologica, che appunto non è psicologica ma riguarda l'interezza del nostro essere, non potrebbe mai esser còmpito di medici e psicoterapeuti e lo stesso antropologo non saprebbe fare altro che dare la sua osservazione ultima (non una diagnosi) ma non risolutiva... A questo punto, dato che tale crisi accade proprio in una situazione socialmente irrecuperabile, il ricorso ad altro è l'unica via possibile. Questa via sarebbe, a detta di chi ha pregiudizi nei confronti di religione e spiritualità, la strada del cretino o del pazzo; eppure dicevo che sociologia, psicologia, antropologia sono concordi nel notare la utilità dei culti religiosi e delle attività spirituali... Per questo la teologia cristiana, nel considerare la Trascendenza e la funzione salvifica che - oltre la scienza e senza dipendere dalla filosofia - si può intuire in essa, è il giusto sèguito. Le bassezze e gli errori diffusi nelle religioni si ritrovano in forma peggiore anche fuori di esse.MAURO PASTORE
Come esordio mi preme compiere un tentativo, estremo e vano, ne son conscio, di farti notare la singolarità dei costanti inviti che, anche in modo indiretto, rivolgi ad un'immaginata platea di lettori, forse estasiata dal tuo eloquio. Appelli che, a mio parere, sono sufficientemente emblematici e sintomatici del tuo particolare approccio alle tematiche che volta per volta ti vedono impegnato (l'ho notato abbastanza spesso) e dello specioso e autoreferenziale modo di porti nei confronti non solo dell'interlocutore di turno, ma, ben più singolare, rispetto ad un auditorio che, stante il tuo atteggiarti a magister, presumi avvinto dal tuo argomentare. Insomma, singolare è che, nell'esprimere il tuo pensiero (più che lecito), non ti esimi dal montare in cattedra per riprendere e rampognare il discente: "Il lettore può prendere atto che..."; "il lettore avveduto saprà capire che..." e via appellando, richiamando ed invitando.
Che necessità hai di richiamare un immaginato auditorio a convenire con i tuoi fraintendimenti? Insicurezza? Probabile si tratti dall'avvertito scricchiolio di certezze indefettibili più volte espresse ma mai dimostrate, solo enunciate. In effetti, nel prosieguo del tuo ultimo intervento qualcosa ribolle e trans-pare.
Non siamo su un palcoscenico, attorniati da un pubblico avvinto che possa simpatizzare per l'uno o per l'altro. Non immaginarti neppure su un pulpito. Te lo faccio notare perché se dovessimo proseguire a concentrare la nostra attenzione sul rispettivo interlocutore, non faremmo troppi passi avanti nella comprensione della tematica testé affrontata. Discuteremmo di noi, non d'altro, e cadremmo in una noia mortale – almeno io -, mentre il tuo estasiato auditorio ben presto ci scanserebbe, con poco danno per me, ma grave nocumento all'ipertrofia dell'ego... tuo.
Orsù, dunque, compiamo un piccolo sforzo ed asteniamoci dal focalizzarci sulle nostre persone... argomenti!
Entriamo nel merito.
Rilevo che, pur con qualche timidezza, testimoniata dall'utilizzo del termine "esplicita", pian piano, forse, stai prendendo commiato da qualche indefettibile certezza per convenire con il buon senso e l'esperienza umana sul fatto che non sia "necessario possedere una concezione di Dio". L'esplicita trattiene qualche riserva che potrebbe rimettere pienamente in gioco l'irrinunciabile necessità. Rinuncia all'esplicita e il concetto lo ritengo condivisibile. Più avanti riproponi il concetto ("Essa rappresenta una non esplicitezza dell'Assoluto, della Trascendenza, che vengono pensati senza ciò che la parola e l'idea di Dio significano") che, per semplificare, provo a definire "esplicitazione di Dio". Insomma, parrebbe proprio che tu, conscio dell'incombente commiato, voglia comunque aggrapparti alla possibilità che la "concezione di Dio", pur non essendo presente alla coscienza, possa essere ben viva in forma "non esplicita". Un concetto che assimilerei a quello espresso da Mancuso e al suo "principio passione", cioè un'energia eccedente la mera fisicità della realtà, non riducibile e non riconducibile alla vita psichica dell'individuo. Non è chiaro, però, se aderisci o meno a questa prospettiva, giustamente da te definita "non teista", ma non importa scoprirlo. Se non altro hai almeno concesso la possibilità che la tensione umana verso la Trascendenza (che io confermo pienamente), possa prescindere in qualche misura dalla "necessità di Dio" - diversamente da quanto da te a più riprese sostenuto -, almeno in forma "esplicita". Un passo avanti, anche se non del tutto soddisfacente. Confermo e ribadisco che io sostengo che nessuno è sufficiente a sé stesso, non capisco perché continui ad insistere su un punto che non è da me messo in discussione – "La tesi che tu sostieni sulla autonomia completa dell'uomo attesta questa tragica inversione" -. Viceversa, io sarei dell'opinione che la innegabile e ben radicata tensione umana verso la Trascendenza approssimi il suo ospite a percepire il 'pieno senso del Nulla' e la 'proterva violenza del Vuoto', comunicandogli l'intero 'significato della Morte'.
(Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte...
Sola nel mondo eterna, a cui si volve/ Ogni creata cosa,/ In te, morte, si posa/ Nostra ignuda natura;/ Lieta no, ma sicura/ Dall'antico dolor.)
C'è chi sostiene, credo non senza ragione, che la percezione, se non la comprensione, dell'ulteriorità (l'Infinito ne è testimone) sia più appannaggio della poesia, cioè della nostra sfera emozionale che di quella razionale, cioè della filosofia.
La necessità di dar requie a quest'ansia, ben colta da Baudelaire e la sua ennui, ne La Nausea di Sartre, il Conatus essendi di Spinoza, l'Elan vital di Bergson (seppur in apparenza diversi nella loro enunciazione, riconducibili tutti alla medesima radice), rende necessaria una risposta. C'è chi, Al ver detraendo, abbraccia una fede (in Dio, ideologica etc...), chi, invece, Nulla al ver detraendo, non si consegna all'Illusione di Dio o di Marx. Sostengo che l'abbraccio divino non sia troppo diverso dall'abbraccio di Marx: entrambi escatologici, entrambi soteriologici, entrambi effimeri. È mia precisa opinione (questo solo posso darti, questo posso dirti) che entrambi (Marx, con i piedi per terra e Dio, con gli occhi volti al cielo) siano effetti diretti del nostro connaturato mal di vivere. Con la differenza che Marx non promette esistenze ultra mondane, non infetta l'umanità con una colpa originaria che andrebbe emendata, non racconta di un Dio crocifisso, non china il capo su un Golgota che non ha mantenuto la promessa del Regno (se vuoi ci intratteniamo su questi meravigliosi concetti).
Quel che tu definisci "spiritualità", alludendo ad un quid di realtà che sia oltre la nostra realtà e che sia pure teista, in altri contesti è definito "vita psichica": sempre un quid di realtà surreale che supera la nostra realtà, senza dei o divinità di sorta. Nessuno possiede la chiave che apre lo scrigno delle certezze, per cui la tua sicumera su questo campo è davvero fuori luogo. Io rinuncio fin dal principio a sostenere che le mie opinioni, il mio sentimento (unico mezzo che ho per collegarmi a questa metafisica priva di dei), siano l'unica vera verità possibile. È mio parere che "il sentimento del mondo attesti che il mondo stesso non sia tutto". Esiste un quid che si sottrae alle capacità speculative della scienza. La stessa – la scienza – poco può dirci sulle emozioni, sui loro perché, sulla loro genesi e sul loro immaginifico mondo. Si trastulla sui come: li descrive attraverso formule chimiche complesse ed algoritmi difficilmente decifrabili, ma senza neppure riuscire a definirli con esattezza; qualcosa le si sottrae. Poco o niente ci racconta sulla coscienza, sul suo emergere, sui suoi metafisici perché. Quel quid di realtà che rifiuta di soggiacere alle leggi che la scienza impone come metodo, riposano fra le misteriose braccia di un mondo che ritengo essere svuotato da divinità ultraterrene e ricolmo di misteri umani (troppo umani) e da byos sofisticato fino al punto da farci intravedere e connettere ad un'evanescente luce divina.
Oddio! Sul capro espiatorio compi un vero e proprio sacrilegio. Volendo ricusarne o anche solo sminuirne il peso antropologico (mah?), t'inerpichi, incespicando vistosamente, nel mondo della grecità e più specificamente della concezione tragica che il mondo classico greco aveva della vita.
Proviamo a far ordine in quel guazzabuglio di concetti mal espressi.
Il fondamento degli studi condotti da Girard non è sicuramente criminologico, bensì pienamente antropologico (mentre può essere in parte vero per quelli condotti da Pigliaru sul "Codice della vendetta barbaricina", un codice non scritto ma vincolante, nato per partenogenesi in un contesto - guarda un po' – socioculturale del mondo agro-pastorale sardo – insomma, proprio non insegni nulla). Cosa tu intenda con contesto sociale criminologico resta un mistero che varrebbe la pena di chiarire, almeno per fugare ogni dubbio sulla correttezza o meno delle tue assertive asserzioni.
Una rilettura da parte tua non guasterebbe.
Non mi dilungo oltre, c'è ben altro da commentare.
La grecità classica – poco rileva che ce ne fossero decine – non racconta la violenza, come vuoi credere tu. O perlomeno, pur essendo infarcita di violenza (Antigone, Edipo, Medea...), non è questa il fulcro e il punto focale della narrazione. La violenza è contorno, o meglio strumento per raccontare l'indecidibile genetico bordeggiare dell'animo umano conteso da forze centrifughe che tendono a dilaniarlo. Racconta il Pòlemos. Questa è la tragedia classica. Due opposte verità, entrambe sostenibili, non conciliabili: ethos vs nomos. In Antigone, per esempio, questa discrasia rappresenta il cuore pulsante dell'opera. La tragedia classica metteva in scena l'animo umano, il cuore dell'uomo in foggia di campo di battaglia, conteso da forze entrambe cogenti, non conciliabili. La violenza che cogli non è l'azione in sé, bensì la decisione (da l'etimo latino tagliare, separare operando un'azione violenta e risoluta) che determina l'azione.
Ma non intendo soffermarmi ulteriormente neppure su questo punto della tua pur sempre stimolante replica.
Ciò che veramente mi lascia stupefatto è lo scarno passaggio che fai sui legni di Cristo e sul simbolo allegorico (sic!) che l'iconica immagine rappresenta.
Innanzitutto, mostri chiaramente di far confusione fra simbolo e allegoria: l'uno non l'interpreti, perché se lo fai non è un simbolo, poiché questo non parla alla mente interpretativa, ma al profondo... Jung ti boccerebbe; l'altra, l'allegoria, devi interpretarla perché esprime il suo significato proprio perché parla alla conoscenza intellettiva dell'uomo e, quindi, alle sue capacità di analisi e decodifica. Due mondi distinti, come puoi ben vedere.
Andiamo oltre ed inoltriamoci nel campo dell'osceno (quel che non poteva essere mostrato sulla scena).
Non ti rendi conto che sminuire il Crocifisso ad allegoria che rappresenta le difficoltà della vita significa sminuirne, minarne, polverizzarne l'enorme portata spirituale? La grandissima innovazione di Gesù (una vera e propria rivoluzione teologica avvertita con la chiarezza dello scandalo dalla casta sacerdotale e dai farisei del tempo) è depositata ai piedi della croce e si esplica nella narrazione della Sua Passione, della Sua morte e della Sua risurrezione. La sua ignominiosa pretesa, la sua follia essoterica (ribadisco, essoterica), lo scandalo più blasfemo, ben enucleati da Paolo di Tarso, furono quelli di dichiararsi un Dio crocifisso, abbandonato ed abbandonate sé stesso sulla croce. In tal senso il Cristianesimo è davvero un'assurdità e il Dio Cristiano un'antinomia insanabile. Non puoi tu, cristiano, banalizzare il dolore patito da quel Cristo sulla croce ad un'allegoria della vita, ti macchi di blasfemia.
Ammetto che mi sono un pò perso nel leggere questa peraltro interessante discussione.
C'è, tra le tante :D una cosa che non mi è chiara e che tuttavia mi piacerebbe sapere. Puoi perdonarmi Visechi, se ti pongo una domanda leggermente o, forse, anche senza il leggermente 8) Off Topic?
Chiedo scusa anche perché è molto diretta ma, spero, non indelicata. Vado a bomba: sei agnostico o ateo?
Citazione di: Freedom il 18 Novembre 2024, 00:03:02 AMAmmetto che mi sono un pò perso nel leggere questa peraltro interessante discussione.
C'è, tra le tante :D una cosa che non mi è chiara e che tuttavia mi piacerebbe sapere. Puoi perdonarmi Visechi, se ti pongo una domanda leggermente o, forse, anche senza il leggermente 8) Off Topic?
Chiedo scusa anche perché è molto diretta ma, spero, non indelicata. Vado a bomba: sei agnostico o ateo?
Ateo, assolutamente ateo che però cerca di porsi nella prospettiva del sacro.
Citazione di: Visechi il 18 Novembre 2024, 14:42:10 PMAteo, assolutamente ateo che però cerca di porsi nella prospettiva del sacro.
Pensavo agnostico.
Consentimi una domanda un pò banale ma che spero possa aprire un ragionamento di più ampio respiro.
Che prove hai per dimostrare l'inesistenza di Dio?
Citazione di: Freedom il 18 Novembre 2024, 19:00:22 PMPensavo agnostico.
Consentimi una domanda un pò banale ma che spero possa aprire un ragionamento di più ampio respiro.
Che prove hai per dimostrare l'inesistenza di Dio?
Ovviamente nessuna prova. Non si è atei perché si possiedono prove sull'inesistenza di Dio, lo si è perché non si crede minimamente alla possibilità di una divinità trascendente, anche in foggia non teista... insomma, non possiedo un briciolo di fede che possa esserci un qualcosa di divino oltre e sovra la nostra miserrima realtà. Anche se non rifiuto di pormi nella prospettiva di uno che riponga fede nell'esistenza di un Dio
Citazione di: Visechi il 18 Novembre 2024, 19:20:54 PMOvviamente nessuna prova. Non si è atei perché si possiedono prove sull'inesistenza di Dio, lo si è perché non si crede minimamente alla possibilità di una divinità trascendente, anche in foggia non teista... insomma, non possiedo un briciolo di fede che possa esserci un qualcosa di divino oltre e sovra la nostra miserrima realtà. Anche se non rifiuto di pormi nella prospettiva di uno che riponga fede nell'esistenza di un Dio
Il tuo saperti mettere nei panni altrui dimostra buon senso, sensibilità e soprattutto desiderio di ascolto. Dunque capacità e volontà di dialogo. Vorrei quindi introdurre un elemento di riflessione.
Al quale non credo sia necessario (almeno per il momento) un proseguimento della discussione. Non lo dico per scortesia, ci mancherebbe! Lo dico per rispetto. Infatti diversi anni fa, ci siamo confrontati in profondità e, credo, esaustivamente, sull'argomento. Non so se te lo ricordi, io molto bene perchè fu una bellissima discussione, anche se, dal mio punto di vista, dispiacque non scalfire il tuo negare qualunque possibilità di esistenza del divino. Era l'altro Forum. Bei ricordi.
La riflessione a cui accennavo è la seguente: esiste una possibilità, tu pensi irrilevante, che Dio esista. Nel senso che non abbiamo la matematica certezza che Dio non esista. Tutto qua. 8)
Citazione di: Visechi il 16 Novembre 2024, 21:16:35 PMCome esordio mi preme compiere un tentativo, estremo e vano, ne son conscio, di farti notare la singolarità dei costanti inviti che, anche in modo indiretto, rivolgi ad un'immaginata platea di lettori, forse estasiata dal tuo eloquio. Appelli che, a mio parere, sono sufficientemente emblematici e sintomatici del tuo particolare approccio alle tematiche che volta per volta ti vedono impegnato (l'ho notato abbastanza spesso) e dello specioso e autoreferenziale modo di porti nei confronti non solo dell'interlocutore di turno, ma, ben più singolare, rispetto ad un auditorio che, stante il tuo atteggiarti a magister, presumi avvinto dal tuo argomentare. Insomma, singolare è che, nell'esprimere il tuo pensiero (più che lecito), non ti esimi dal montare in cattedra per riprendere e rampognare il discente: "Il lettore può prendere atto che..."; "il lettore avveduto saprà capire che..." e via appellando, richiamando ed invitando.
Che necessità hai di richiamare un immaginato auditorio a convenire con i tuoi fraintendimenti? Insicurezza? Probabile si tratti dall'avvertito scricchiolio di certezze indefettibili più volte espresse ma mai dimostrate, solo enunciate. In effetti, nel prosieguo del tuo ultimo intervento qualcosa ribolle e trans-pare.
Non siamo su un palcoscenico, attorniati da un pubblico avvinto che possa simpatizzare per l'uno o per l'altro. Non immaginarti neppure su un pulpito. Te lo faccio notare perché se dovessimo proseguire a concentrare la nostra attenzione sul rispettivo interlocutore, non faremmo troppi passi avanti nella comprensione della tematica testé affrontata. Discuteremmo di noi, non d'altro, e cadremmo in una noia mortale – almeno io -, mentre il tuo estasiato auditorio ben presto ci scanserebbe, con poco danno per me, ma grave nocumento all'ipertrofia dell'ego... tuo.
Orsù, dunque, compiamo un piccolo sforzo ed asteniamoci dal focalizzarci sulle nostre persone... argomenti!
Entriamo nel merito.
Stamattina non ho tempo sufficiente per leggere e rispondere a tutto.
Mi limito a una osservazione necessaria sul preambolo che Visechi ha fatto.
Non c'è mai stato da parte mia un discorso o una illusione di discorso
a tu per tu.
L'illusione del palcoscenico non è stata la mia. A parte questa continua
proiezione psicologica che Visechi fa - non dico che è patologica o malata - devo pure far notare, non a un palcoscenico ma alla comunità dei lettori (di solito ce ne sono sempre alcuni anche non scriventi), che la manifestazione di un pensiero non sempre rivela l'intimità del pensiero. Visechi non sa neanche se io qui scrivo col mio stile personale e neanche che rapporto c'è tra me e gli argomenti che tratto su questo forum.
Dunque
proiezioni e superficialità psicologiche... e mettersi a parlare di ipertrofia dell'ego mentre se ne è vittima è assurdo.
Io avevo specificato che lo scopo principale della mia risposta era mettere a nudo per gli altri qualcosa. Il Visechi finge che io non lo abbia indicato, che abbia scritto altro; è uno di quelli che non accetta le dichiarazioni. Al posto di occuparsi di filosofia potrebbe pentirsi della sua prepotenza e studiare la
Convenzione di Ginevra, per non andare oltre. Impari a rispettare le dichiarazioni degli interlocutori e la smetta di fingere a fare lo psicologo, e forse avrà qualche comprensione che adesso gli sfugge proprio.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 19 Novembre 2024, 08:07:15 AMStamattina non ho tempo sufficiente per leggere e rispondere a tutto.
Mi limito a una osservazione necessaria sul preambolo che Visechi ha fatto.
Non c'è mai stato da parte mia un discorso o una illusione di discorso a tu per tu.
L'illusione del palcoscenico non è stata la mia. A parte questa continua proiezione psicologica che Visechi fa - non dico che è patologica o malata - devo pure far notare, non a un palcoscenico ma alla comunità dei lettori (di solito ce ne sono sempre alcuni anche non scriventi), che la manifestazione di un pensiero non sempre rivela l'intimità del pensiero. Visechi non sa neanche se io qui scrivo col mio stile personale e neanche che rapporto c'è tra me e gli argomenti che tratto su questo forum.
Dunque proiezioni e superficialità psicologiche... e mettersi a parlare di ipertrofia dell'ego mentre se ne è vittima è assurdo.
Io avevo specificato che lo scopo principale della mia risposta era mettere a nudo per gli altri qualcosa. Il Visechi finge che io non lo abbia indicato, che abbia scritto altro; è uno di quelli che non accetta le dichiarazioni. Al posto di occuparsi di filosofia potrebbe pentirsi della sua prepotenza e studiare la Convenzione di Ginevra, per non andare oltre. Impari a rispettare le dichiarazioni degli interlocutori e la smetta di fingere a fare lo psicologo, e forse avrà qualche comprensione che adesso gli sfugge proprio.
MAURO PASTORE
E con ciò è stata appena officiata la liturgia della letargia. Il nostro letargico magister non rinuncia ad ammannire scipite leziose lezioncine. Bene! Non mi presto a fornirgli materiale che nutra oltre misura il suo ego.
Bye!
Citazione di: Visechi il 19 Novembre 2024, 08:31:13 AME con ciò è stata appena officiata la liturgia della letargia. Il nostro letargico magister non rinuncia ad ammannire scipite leziose lezioncine. Bene! Non mi presto a fornirgli materiale che nutra oltre misura il suo ego.
Bye!
Anche da parte mia non c'è intenzione di avviare un battibecco. Il dare del tu io non lo pratico soltanto in un
a tu per tu. In quel messaggio avevo usato il tu, ma non per un confronto personale. Non mi esprimevo proprio a livello personale.
MAURO PASTORE
Il testo cui replico è sopra su questo forum ed è quello del seguente link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/il-diavolo-da-giobbe-e-l-anticristo-in-casa-nietzsche-oltre-le-troppe-ombre/msg93574/#msg93574
Mi attardo ancora su una precisazione: io non ho focalizzato proprio alcuna persona né mostrato la mia persona nelle repliche attuate. Ripeto, scrivere anche col tu non significa per me dare confidenze personali. Detto questo, verrò al dunque nonostante il discorso di tal Visechi sia eticamente del tutto eccepibile (ne dirò alla fine). Di fatto la mia risposta non è accondiscendente e non assume la sua giustificazione della violenza del capro espiatorio. Io non ho da difendere il mondo che un certo ateismo disperatamente vuol sottrarre alle cronache o alle sentenze, comprese quelle dei veri Stati. Con il seguente testo ho da esporre dei contenuti molto seri, con opportune cautele generalizzabili e riferibili non solo a un pensatore ma a tanti. La fatica vale la pena, credo.
Io non ho cominciato a cambiare la mia posizione. Constato che sei tu ad aver assunto un briciolo di moderazione, a fare un po' di chiarezza al lettore sulla tua posizione. Lo hai fatto con tanta confusione sull'altrui però e mettendo a nudo dei fraintendimenti e ignoranze da parte tua sulla realtà religiosa e cristiana.
Attestare la significanza del non-teismo non significa essere in questa prospettiva. Ugualmente sul politeismo. Io mi muovo entro la prospettiva monoteista e cristiana. Tutte le diverse considerazioni del Mistero della Trascendenza sono buone, anche quella panteista, quella enoteista, anche i sistemi misti, purché non vadano oltre le proprie possibilità. Un credente nel Dio unico non deve fingere di avere tanta disponibilità verso le metafore del mito e verso la sola divinità; viceversa un iniziato al mito religioso non deve presumere di avere più di una manifestazione esteriore... e la presenza del divino nell'universo non va pensata se non come l'impressione di un mistero remoto. Il non-teismo è lo stare nella prospettiva del Mistero senza indagarne. Inutile dire che le combinazioni non le ho esplicitate tutte ma non ce ne è bisogno.
L'ateismo non va posto sullo stesso piano. Esso è disimpegno, ma può diventare disastrosa distrazione; è ignoranza, ma può tramutarsi in protervia. E' in ogni caso provvisorietà, per cui eleggerlo a sistema è un'azione perdente, ancor di più contrapporlo ai teismi e non-teismi. Assai semplicemente: prima o poi nella vita, anche alla fine, l'orizzonte ateo si riempie di misteriosità, svanisce. Il punto è questo: tale passaggio, abbandono fatale dell'ateismo, non sempre accade nei tempi giusti o dovuti.
Il Nulla, l'Infinito (Leopardi)... Innanzitutto nell'infinito leopardiano c'è l'idea di Dio; nella finzione di un oltre è contenuta l'idea di Dio. In italiano si dice anche nume. La psicologia della religione di Jung dice del numinoso; gli studi generali della religione anche (R. Otto). La "religione delle illusioni", la illusione poetica che rinfranca dalla disperazione e difficoltà della vita... Per il cinismo ateo, un'aporia, nel senso che il pessimismo leopardiano trovando sollievo nella estetica ovvero nella bellezza e nella invenzione e creatività, nei sogni poetici, si disintegra. Quella disperazione e negazione si rivelano senza vero oggetto. Il ragionamento: "non può esserci un Dio in tanta penuria e dolori" trova risposta nella stessa poesia, dacché quelle penurie e dolori sono svaniti con la bellezza della creatività. Si trova in un altro pensatore e poeta (oltre che notissimo e geniale autore di racconti), E. A. Poe, la risposta: Dio stesso è quel poeta, noi i personaggi, noi che creiamo entro una scena già inventata. Assolutisticamente non possiamo dirci creatori; relativisticamente sì. La illusione rinfrancante contraddice la negazione disperata; Dio riappare sulla scena.
La mistica ebraica, con la Cabala, dice "Ein Sof" e con ciò si può cominciare a decifrare l'idea contenuta nel sentimento dell'infinito. Ma anche il mistico Plotino ci diceva dell'Infinito oltre che dell'Uno e anche, nella Modernità, G. Bruno. Non accade logicamente, ma analogicamente. Non omologamente!!
Bada a quest'ultimo punto se vuoi capire qualcosa della religione e in particolare dei monoteismi e del cristianesimo. Il tuo approccio alla figura di Cristo, che considera blasfema l'interpretazione allegorica e spirituale del crocifisso, proviene non dagli ambienti cristiani ma dai loro paraggi, dove la iconografia è separata dalla iconologia e quindi l'icona vissuta fisicamente. Il corretto e unico approccio possibile è metafisico. Il personaggio storico di Gesù, in particolare di Gesù di Nazareth, ebbe una propria vicenda. Il racconto dice di un martirio e di pezzi di legno reali. Ebbene, tralasciando l'alternativa: sopravvissuto o passato a miglior vita direttamente, si può affermare che la sua missione era di rivelare Dio, non di descrivere i valori del cristianesimo con la sua sventura. Questa religione pratica un forte ricorso al negativo perché proclama la salvezza ultima (estrema, dicevo) e questa è necessaria solo in presenza della massima negatività. Non si basa su quest'ultima ma è un modo per il suo superamento - e questo non significa illudersi che non esista il limite, ma comprendere la presenza di Dio nei labirinti più critici della vicenda umana. In tal senso: allegoria. Non nel senso che Gesù è solo figura ideale.
Quanto alla psicologia e a Jung, esistono studi junghiani che si focalizzano sulla funzione allegorica dei simboli psichici. Negare questa possibilità e realtà della nostra mente significa tentare di ridurre tutto o accentrare tutto alla dimensione semiotica, del segno. Ma proprio questo Jung mostrò essere un pregiudizio, una ignoranza, una distrazione.
Tra i postjunghiani J. Hillman rimase alla dimensione del puro mito, perché quello era il suo campo di ricerca; ma c'è la psicologia complessa e quella transpersonale.
Tu confondi spirito e psiche. Io non dicevo di sola spiritualità, anche di spirito. La scienza psicologica considera al livello della supercoscienza la presenza di un non-psicologico che è coincidente con la dimensione culturale della spiritualità; quale presenza di ulteriorità alla psiche, non della stessa psiche. Si chiamano, queste così, teorie scientifiche di confine (nel nostro caso: psicologia transpersonale (Maslow, Assagioli) psicosintesi (Assagioli)...).
Sulla tragedia greca hai esposto delle astrazioni: ethos e nomos... Ben detto, ma solo se vogliamo ritrarre, in senso universale, anche qualsiasi altra tragedia. Io invece mi riferivo alla lettura antropologica di Girard della figura di Edipo; e mi riferivo alla vicenda esistenziale degli antichi greci, che io conosco; quindi stavo facendo dei riferimenti non astratti, storici ed esistenziali. Cosa aveva a che vedere Edipo (e anche gli altri personaggi tragici) con la vita dei greci elleni, quelli che si recavano nei teatri per vedere in scena le opere di Eschilo, Sofocle, Euripide? Si tratta di ritratti della grecità? Io dicevo di no, perché dovevo indicare da quale parte della storia si trova la prospettiva criminologica del capro espiatorio, o almeno da quale parte non si trova.
Il pastrocchio che commetti accomunando Leopardi, Baudelaire, Sartre, Spinoza, Bergson... forse in altra sede tu ne hai fatto riferimenti sensati, ma in questo discorso è solo come una macedonia riuscita male.
Tu dici di un quid, restando all'apparenza della mistica religiosa, cioè a un vuoto o nulla che si para innanzi e che invece è -aggiungo io- Dio... ma appunto lo definisci quid, cioè lo oggettualizzi. Riflettere autocriticamente su questo passaggio ti porterebbe a trovare il modo di accedere al divino, la divinità, Dio, evitando di porti in antagonismo senza valido motivo. Dio non è un oggetto, diceva il teorico del Pensiero Debole G. Vattimo, dopo essersi avvicinato alla tradizione cattolico-cristiana mostrandone la possibilità di coerenza oltre i falsi miti della modernità... Non tronco il discorso così, con la menzione di una filosofia che ebbe dei meriti solo in particolari contesti, ma che in altri sarebbe disastrosa e che ad oggi, nella versione che ci è rimasta del prof. Vattimo, risulta sorpassata nel vivo del dibattito filosofico, politico, culturale che riguarda questo dialogo. Faccio presente che io non dicevo di 'fondamento' a proposito degli studi di Girard, ma di contesto sociale fondamentale; è proprio diverso! La oggettualizzazione del contenuto della Trascendenza impedisce di decifrare il simbolo cristiano del Crocifisso, anche la relativa teologia. Se il non-teista buddhismo è un sistema per difendersi dalla illusorietà della realtà, il monoteista cristianesimo è un sistema per difendersi dagli inganni della esistenza. La dottrina cristiana non può essere compresa se si rifiuta una perdita dell'ingenuità; che non è quella dei miti greci e degli altri miti religiosi.
Col racconto evangelico della missione di Gesù e del tradimento di Giuda e della rabbia delle folle, ci troviamo di fronte a un caso di pertinenza criminologica. Certo, si sono fatte anche ipotesi, secondo cui Giuda voleva solo mettere alla prova Gesù, la folla gridando non voleva invitare alcuno a procedere e neppure farsi ragione, Gesù di Nazareth non aveva trovato niente di meglio che passare un guaio per concludere il proprio còmpito... Ma anche così, la questione resta di tipo criminologico. La meditazione di R. Girard su tale episodio biblico aveva innegabilmente uno sfondo criminologico; ma pure quella su Edipo, perché la violenza efferata, quandanche fosse frutto solo di circostanze sfortunatissime e inevitabili, è pur sempre argomento specifico della criminologia. Questa non sempre è parte attiva di un processo a qualcuno.
E' una esigenza universale la stigmatizzazione o condanna di ciò che agisce contro la logica della vita; e la logica della vita umana differisce da quella delle capre; neanche quest'ultima può sempre ammettere la fine violenta (per i particolari sui mondi pastorali, rimando al mio precedente messaggio). Gesù di Nazareth fu vittima di un tradimento ed accettò la sciagura senza ricusare Dio. La dottrina cristiana non ha mai affermato la bontà di questa evenienza, tanto che il crocifisso simboleggia oltre che la presenza di Dio anche l'opera del diavolo. Quest'ultima però rimane smentita, incompiuta; il divisore non riesce nella sua impresa.
Dio crocifisso non significa che il Nazareno, quale eroe divino finito in una inspiegabile ristrettezza, era irreale, incubo blasfemo nel suo rivolgersi ancora a Dio. Significa che Dio si fa carico delle sciagure umane. Lo significa quale dimostrazione non della bontà della sciagura ma di Dio che in esse è proteso ad aiutare le vittime. Dunque Dio, non l'uomo Gesù, si sacrifica sulla 'croce'; e Dio ovviamente non ne reca danno, ne resta esente.
La dottrina cristiana ortodossa nega che in Gesù Cristo vi sia una sola volontà. Ciò significa che si può fare considerazione separata dell'uomo Gesù e di Cristo Dio, distinguendo personaggio storico da figura teologica!! Non è una invenzione postmoderna.
Comunque: per capire la prospettiva monoteista entro il contesto aperto da tale dialogo, non l'Infinito ma l'Eterno è ciò che fa da giusto supporto filosofico. Nel caso del cristianesimo, l'iniziazione filosofico-mistica all'Eternità non fornisce gli strumenti per capire la fede cristiana, solo per descriverla filosoficamente; e ancor meno la tensione metafisica verso l'Infinito. Questa può servire per definire qualcosa. Insomma il primo passo è una ispirazione.
Non bisogna spingere la critica oltre il dovuto. Altrimenti si finisce col negare assieme alla spiritualità delle religioni anche le scienze e col mandare in fumo la stessa ragione filosofica. Bisogna prendere nella dovuta considerazione le tesi teiste (monoteiste, nella fattispecie), altrimenti si finisce in una totale contraddizione nello stesso procedere del discorso, rivolgendosi a una materia che non si vuol riconoscere. Cioè: come a dimostrare che in un armadio non ci sono abiti mentre li si sta muovendo con le mani.
MAURO PASTORE
Dio e il Diavolo così come dono visti e definiti sulla Terra sono una caricatura di un quid che ci sfugge completamente
Si può evitare la caricatura ma quel quid occhieggia sempre dentro e fuori la gente!
Vedo che non rinunci al tuo solo immaginato auditorio. Lo appelli, lo chiami in causa per offrirgli una delucidazione "sulla mia posizione" (presunzione grottesca), per rendere chiaro quel che chiaro proprio non ti è. In tutto questo motteggio da imbonitore, redarguisci, ammonisci e rimbrotti. Vabbè, transeat, ce ne faremo una ragione, non mi va di spendere troppe parole per insegnarti il dialogo e farti gustare il piacere del confronto. Spero comunque che alcuni messaggi riescano a scalfire l'involucro che hai eretto a protezione della tua vacillante tetragona sapienza e che il florilegio vaporoso di mal comprese casuali lezioni studentesche si apra al dubbio. Vedremo.
Noto che da subito non ti fai sfuggire l'occasione per compiere un peccato di presunzione quando sostieni con tracotante eccessiva enfasi che l'ateismo sia 'disimpegno che può sfociare in disastrosa distrazione", negando d'un sol fiato l'esperienza di decine di pensatori convintamente atei che hanno inciso tracce indelebili nella storia della cultura universale, ai quali certamente non puoi addebitare disimpegno e men che meno mancanza di profondità nell'analisi. Sostenere che sia ignoranza è un'altra delle tue perle di arroganza, ma la sciocchezza più evidente è la pretesa che l'ateismo sia un approdo provvisorio destinato a svanire come orizzonte esistenziale. Credi che certe sciocchezze, peraltro smentite dall'esperienza quotidiana che coinvolge tutti noi, meritino dei commenti o di essere confutate? Ho già scritto che sei autoreferenziale, ma qui più che altro mi pare che il tuo pensiero sia del tutto alieno dal confronto e conforto con e della realtà. Più spesso si è assistito all'abbandono fatale della fede, soprattutto dopo gli eventi cruenti del secolo breve.
In ragione delle tue poco accorte parole circa l'Infinito leopardiano, trova conforto la mia marcata e già evidenziata opinione che tu tenda a con-fondere Trascendenza (ribadisco, innegabile) con Dio. Non si tratta di sinonimi. È concepibile e percepibile una trascendenza che sia l'approdo speculativo, ma anche emozionale, della coscienza della finitudine e della limitatezza umane. Perciò ti scrissi, senza che tu abbia capito alcunché, che il dialogo con il proprio animo, col profondo (potrei inondarti di parole su questo tema), porta a lambire la percezione di un oltre, di una trascendenza che al suo fondo abissale non incontra alcun Dio (fattelo raccontare da Husserl), se non quando questo è posto e preteso dalla necessità di dar conforto per acquietare un animo che ribolle, un animo in tramestio. Nietzsche sosteneva che il cristianesimo e Dio stesso fossero la rivalsa e la risposta del risentimento dei deboli. Si tratta di una risposta pretesa dall'ansia, edificata da un'angoscia esistenziale, istituita da un male di vivere che ha impregnato di sé l'intera opera leopardiana (almeno dal 1819 – se insisti nel mostrarti ottuso ti inserisco i brani) e di cui l'Infinito è preclara testimonianza (vuoi la parafrasi del poema?). Sartre l'ha battezzato con il termine Nausea, cui diede un rimedio vitale come l'Impegno (l'uomo si edifica da sé, scaraventato nel mondo, nasce come una tabula rasa, da qui la necessità di edificarsi esistendo); Baudelaire con l'ennui e i suoi paradisi artificiali. Ma tu, ovviamente, limitato oltre che 'finito', non sei riuscito a capire nulla... non mi stupisco! Mentre faccio ammenda per Spinoza e Bergson: rileggendo mi son reso conto di essermi fatto prendere dalla fretta ed aver costruito un pastrocchio. L'elan vitale, il conatus essendi, come anche in buona misura la volontà di potenza di N., o l'arte di Shopi rappresentano delle vie di fuga, la cura alla percezione del non senso della vita.
In poche e conclusive parole, è nel fondo abissale dell'anima che si entra in contatto con il tramestio della trascendenza, dell'ulteriorità che ci abita. Questa percezione, questo lambire l'orizzonte degli eventi dell'oltre non ci collega ad una dimensione metafisica esogena, ontologicamente collocata e stabilmente ubicata all'esterno dell'essere; è l'essere stesso che sprofonda in sé stesso, come un astro in un buco nero. Dio o Marx (spero capisca l'allegoria di Marx... sii allergologo, una volta tanto) sono quel tanto che forniamo come risposte ultime e transeunti a questo richiamo abissale. Dio è l'ipostasi (credo inconscia) della percezione del Nulla (quello trovi oltre quell'oltre che ci abita); parimenti, Marx è l'idea (logica) che edifichiamo coscientemente per non udire la Nausea, l'ennui, la Noia, il Male di vivere che, se non calmierata, conduce alla follia. Perciò Dio o Marx (sii allergologo nel leggere Marx) hanno svolto un compito terapeutico come cura dal Male. Qui non hai torto. Ma si tratta di cure da farmacopea, entrambe. Volute e cercate o istituite dalla necessità espressa dal Nulla. Sono le illusioni (per tornare a Leopardi) che offrono riparo dal dolore che il non sense espresso dalla nullità di tutte le cose si trascina appresso, almeno fintanto che "Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte..."
A grandi linee (perdonami la semplificazione di un pensiero complesso), Mircea Eliade, con piena ragione, ha sostenuto che l'umanità è una storia di religione. Innegabile, almeno fintanto che la ratio non sopravvenne per inverare questo predominio, che in un mondo secolarizzato è oramai sfumato e reso labile come non mai. È un bene? Un Male? Non sta a me dirlo... ma quantomeno è vero. Colgo anch'io nel respiro del Nulla la caducità dell'esistenza umana e i rischi insiti in questa fase storica di transizione.
Per quanto riguarda Cristo con questo intervento, per certi versi apprezzabile, chiarisci meglio rendendo maggiormente condivisibile il tuo pensiero. L'unico approccio possibile, concordo, non può che essere metafisico. Può anche non esserci un approccio e ritenere la narrazione dei Vangeli e le successive (stupende) interpretazioni solo filosofiche per la e della mente. In ogni caso, da ateo convinto, ti riporto un brano, interamente pensato e scritto da me ed inserito in un breve racconto che non ricordo se ho pubblicato su questo forum.
Son due personaggi che s'incontrano dopo tanti anni. È lei che parla:
"Io, dentro di me, sento che il Logos, facendosi carne, ha patito sulla croce non solo come carne, ma anche come divinità. Gesù è un paradosso. Non puoi pensare di scindere la divinità dall'umanità di Gesù; è la sua stessa natura che non lo permette. Diversamente, la morte sulla croce e l'intera vita di Gesù, sarebbero solo una finzione, una bugia – forse pietosa – raccontata all'uomo, poiché la divinità non avrebbe partecipato al dolore e non sarebbe stata quindi partecipe delle afflizioni dell'umanità. L'incarnazione, invece, impone proprio questo. Dio si è fatto uomo, nella sua interezza: carne intrisa di gioia e dolore, certezze e dubbi. E' per questo motivo che ti ripeto che è Dio stesso che soffre. Anche il dubbio insinuatosi sulla croce, i cui segni sono rinvenibili nel Getsemani, sono la cifra di un'agonia spirituale che coinvolge la divinità in prima persona, e Gesù, in quanto uomo divino, non poté sottrarsi a questa agonia, la quale trovò il suo epilogo nell'agonia della carne divina sulla croce. Ritenere che la sofferenza abbia coinvolto solo la carne, lasciando intatta la natura divina, significa sostenere un'algida alterità di Dio rispetto alle vicende umane, ciò sarebbe in aperto contrasto e negherebbe di fatto la passione amorosa che dovette convincere Dio a dare sé stesso per riscattare la creazione dal peccato, e sarebbe un'indelicatezza rispetto al mio amore, che non posso concedere".
Il cristianesimo si compie o muore ai piedi di quei quattro legni. Questo ci dice la teologia del Dio crocifisso di Moltmann, teologia del mondo riformato, ben diversa da quella di Benedetto XVI, che si mantiene forzatamente coerente alla tradizione tracciata da Sanctae Romanae Ecclesiae.
Ancora una volta ribadisco con ancor maggior enfasi che la vicenda di Gesù nell'analisi girardiana non è incuneata entro un 'contesto sociale criminologico fondamentale'. No, nel modo più assoluto. L'ira popolare descritta nei Vangeli è il momento culminante della tensione che, privata di sfogo, rischia di esplodere in maniera incontrollata. Furia violenta che va incanalata affinché la deflagrante violenza accumulata trovi uno via d'uscita e pian piano sia ricondotta a livelli comunitariamente accettabili. È, per l'appunto, la giusta esposizione di un evento, noto all'intero universo umano, da collocarsi pienamente nell'ambito della vittimizzazione dell'innocente, ovverosia del paradigma del capro espiatorio. Aspetto ben colto anche dalla liturgia cristiana con la definizione di 'agnello di Dio'.
Sul 'pastrocchio' ti ho risposto facendo pubblica ammenda per la confusione creata.
Sulla tragedia greca, Edipo, Girard evito di cercare di comprendere pensieri espressi male. Non creare pastrocchi tu, ora.
Il quid di cui parlo non è oggettivato o oggettivabile, non essendo neppure definibile né collocabile. È semplicemente quel di più che, pur essendo un prodotto del bios, lo trascende, lo sopravanza e supera. Quel di più che i nostri sensi e il nostro sentimento fugacemente colgono in un baluginare indecifrato ma ben sentito e avvertito. Quel quid tu pare lo riempi di un contenuto impersonale, immateriale che chiami Dio (oggettivandolo). Io mi limito a definirlo 'vita psichica': immateriale e personale (in quanto prodotto del bios individuale). Il tuo Dio si regge appellandosi alla tua filosofia, come la mia 'vita psichica' si aggrappa agli incerti sostegni delle neuro scienze. Non vedo dei nel fondo dell'abisso emerso dai forni di Auschwitz, ancor meno lo scorgo appeso alla forca di Wiesel, non lo vedo nei drammi del dolore degli innocenti. Se credessi nel tuo Dio restituirei il biglietto d'ingresso, perché l'armonia del creato che questo deus absconditus ci offre è costruita sul pianto degli innocenti. Grazie a Dio, Dio non esiste. La sua inesistenza salva Dio dalle giuste bestemmie che l'intero creato dovrebbe tributargli.
Urla Giobbe, urla Auschwitz, urla la madre che perde il sorriso del proprio bimbo, urla una donna stuprata nel corpo e dilaniata nell'anima... Ma la vita continua sorda ai lamenti, sorda a quel che accade... perché quel che accade è proprio ciò che deve accadere, senza finzioni, senza orpelli, senza barocchismi stucchevoli che rendano meno greve la visione di chi piange nell'anima perché ha dissecato la fonte delle proprie lacrime, di chi non ha più voce per gridare ed esigere una mano tesa che si sporga in un gesto d'aiuto, cui è rimasto solo un flebile filo di voce per restituire a quel Dio sì tanto indifferente la responsabilità che si deve accollare: <Padre, Padre perché mi hai abbandonato?>. "
E si ode ancora l'eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>.
La profondità dell'urlo di protesta di Giobbe è tale da solcare il tempo e lo spazio, fino a congiungersi allo scoramento e al gemito di Gesù. Non vi è cesura fra i due eventi, solo un tratto di storia – dell'uomo – in assenza di Dio, costellato dal dolore, contrappuntato dal Male inconsulto che insorge bestiale a nutrire la vita. Non vi è cesura fra Giobbe, Gesù e le baracche di Auschwitz e Darkenau. Vi è continuità nel Male che s'insinua perfido nel cuore e prorompe dalla gola di madri che piangono figli, senza un perché, senza un motivo. Dio non ha mai fornito risposte, non vi è teofania che lo abbia giustificato. Quando, richiamato dall'urlo di Giobbe, fece udire la sua voce, non lo fece per svelare il mistero della vita e del Male, ma solo per accentuarli, per marcare una distanza incolmabile fra terra e cielo. Dio non è crudele, la crudeltà non trova ospitalità fra i suoi misteri. Dio parrebbe perseguire un progetto ineffabile, inconoscibile, intangibile ed inintelligibile, ma questo progetto dissemina la terra di vittime innocenti, le stesse vittime innocenti – i tanti bambini morti per caso, senza un perché - che indussero in un famoso personaggio di Dostoevskji un moto di ribellione, fino a rifiutare la coppa della vita, la cornucopia ricolma di tanti mali, fino ad infrangerla sul il pavimento per non volerne più cogliere i cocci, fino a restituire a Dio il biglietto d'ingresso nella mortifera Vita. L'Anima è ricettacolo di questa discrasia, e l'uomo avverte quest'antinomia presente nella vita, nella creazione. L'avverte in una visione tragica, che dilania, che accentua vieppiù la lacerazione dell'Origine. E non vi è sutura che possa redimerla. Chi soffre non è il corpo, è l'Anima. Quando l'Anima soffre, patisce l'intero corpo, patisce l'uomo nella sua interezza: mente, Anima, corpo."
Citazione di: Visechi il 20 Novembre 2024, 09:17:08 AMVedo che non rinunci al tuo solo immaginato auditorio. Lo appelli, lo chiami in causa per offrirgli una delucidazione "sulla mia posizione" (presunzione grottesca), per rendere chiaro quel che chiaro proprio non ti è. In tutto questo motteggio da imbonitore, redarguisci, ammonisci e rimbrotti. Vabbè, transeat, ce ne faremo una ragione, non mi va di spendere troppe parole per insegnarti il dialogo e farti gustare il piacere del confronto. Spero comunque che alcuni messaggi riescano a scalfire l'involucro che hai eretto a protezione della tua vacillante tetragona sapienza e che il florilegio vaporoso di mal comprese casuali lezioni studentesche si apra al dubbio. Vedremo.
Noto che da subito non ti fai sfuggire l'occasione per compiere un peccato di presunzione quando sostieni con tracotante eccessiva enfasi che l'ateismo sia 'disimpegno che può sfociare in disastrosa distrazione", negando d'un sol fiato l'esperienza di decine di pensatori convintamente atei che hanno inciso tracce indelebili nella storia della cultura universale, ai quali certamente non puoi addebitare disimpegno e men che meno mancanza di profondità nell'analisi. Sostenere che sia ignoranza è un'altra delle tue perle di arroganza, ma la sciocchezza più evidente è la pretesa che l'ateismo sia un approdo provvisorio destinato a svanire come orizzonte esistenziale. Credi che certe sciocchezze, peraltro smentite dall'esperienza quotidiana che coinvolge tutti noi, meritino dei commenti o di essere confutate? Ho già scritto che sei autoreferenziale, ma qui più che altro mi pare che il tuo pensiero sia del tutto alieno dal confronto e conforto con e della realtà. Più spesso si è assistito all'abbandono fatale della fede, soprattutto dopo gli eventi cruenti del secolo breve.
In ragione delle tue poco accorte parole circa l'Infinito leopardiano, trova conforto la mia marcata e già evidenziata opinione che tu tenda a con-fondere Trascendenza (ribadisco, innegabile) con Dio. Non si tratta di sinonimi. È concepibile e percepibile una trascendenza che sia l'approdo speculativo, ma anche emozionale, della coscienza della finitudine e della limitatezza umane. Perciò ti scrissi, senza che tu abbia capito alcunché, che il dialogo con il proprio animo, col profondo (potrei inondarti di parole su questo tema), porta a lambire la percezione di un oltre, di una trascendenza che al suo fondo abissale non incontra alcun Dio (fattelo raccontare da Husserl), se non quando questo è posto e preteso dalla necessità di dar conforto per acquietare un animo che ribolle, un animo in tramestio. Nietzsche sosteneva che il cristianesimo e Dio stesso fossero la rivalsa e la risposta del risentimento dei deboli. Si tratta di una risposta pretesa dall'ansia, edificata da un'angoscia esistenziale, istituita da un male di vivere che ha impregnato di sé l'intera opera leopardiana (almeno dal 1819 – se insisti nel mostrarti ottuso ti inserisco i brani) e di cui l'Infinito è preclara testimonianza (vuoi la parafrasi del poema?). Sartre l'ha battezzato con il termine Nausea, cui diede un rimedio vitale come l'Impegno (l'uomo si edifica da sé, scaraventato nel mondo, nasce come una tabula rasa, da qui la necessità di edificarsi esistendo); Baudelaire con l'ennui e i suoi paradisi artificiali. Ma tu, ovviamente, limitato oltre che 'finito', non sei riuscito a capire nulla... non mi stupisco! Mentre faccio ammenda per Spinoza e Bergson: rileggendo mi son reso conto di essermi fatto prendere dalla fretta ed aver costruito un pastrocchio. L'elan vitale, il conatus essendi, come anche in buona misura la volontà di potenza di N., o l'arte di Shopi rappresentano delle vie di fuga, la cura alla percezione del non senso della vita.
In poche e conclusive parole, è nel fondo abissale dell'anima che si entra in contatto con il tramestio della trascendenza, dell'ulteriorità che ci abita. Questa percezione, questo lambire l'orizzonte degli eventi dell'oltre non ci collega ad una dimensione metafisica esogena, ontologicamente collocata e stabilmente ubicata all'esterno dell'essere; è l'essere stesso che sprofonda in sé stesso, come un astro in un buco nero. Dio o Marx (spero capisca l'allegoria di Marx... sii allergologo, una volta tanto) sono quel tanto che forniamo come risposte ultime e transeunti a questo richiamo abissale. Dio è l'ipostasi (credo inconscia) della percezione del Nulla (quello trovi oltre quell'oltre che ci abita); parimenti, Marx è l'idea (logica) che edifichiamo coscientemente per non udire la Nausea, l'ennui, la Noia, il Male di vivere che, se non calmierata, conduce alla follia. Perciò Dio o Marx (sii allergologo nel leggere Marx) hanno svolto un compito terapeutico come cura dal Male. Qui non hai torto. Ma si tratta di cure da farmacopea, entrambe. Volute e cercate o istituite dalla necessità espressa dal Nulla. Sono le illusioni (per tornare a Leopardi) che offrono riparo dal dolore che il non sense espresso dalla nullità di tutte le cose si trascina appresso, almeno fintanto che "Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte..."
A grandi linee (perdonami la semplificazione di un pensiero complesso), Mircea Eliade, con piena ragione, ha sostenuto che l'umanità è una storia di religione. Innegabile, almeno fintanto che la ratio non sopravvenne per inverare questo predominio, che in un mondo secolarizzato è oramai sfumato e reso labile come non mai. È un bene? Un Male? Non sta a me dirlo... ma quantomeno è vero. Colgo anch'io nel respiro del Nulla la caducità dell'esistenza umana e i rischi insiti in questa fase storica di transizione.
Per quanto riguarda Cristo con questo intervento, per certi versi apprezzabile, chiarisci meglio rendendo maggiormente condivisibile il tuo pensiero. L'unico approccio possibile, concordo, non può che essere metafisico. Può anche non esserci un approccio e ritenere la narrazione dei Vangeli e le successive (stupende) interpretazioni solo filosofiche per la e della mente. In ogni caso, da ateo convinto, ti riporto un brano, interamente pensato e scritto da me ed inserito in un breve racconto che non ricordo se ho pubblicato su questo forum.
Son due personaggi che s'incontrano dopo tanti anni. È lei che parla:
"Io, dentro di me, sento che il Logos, facendosi carne, ha patito sulla croce non solo come carne, ma anche come divinità. Gesù è un paradosso. Non puoi pensare di scindere la divinità dall'umanità di Gesù; è la sua stessa natura che non lo permette. Diversamente, la morte sulla croce e l'intera vita di Gesù, sarebbero solo una finzione, una bugia – forse pietosa – raccontata all'uomo, poiché la divinità non avrebbe partecipato al dolore e non sarebbe stata quindi partecipe delle afflizioni dell'umanità. L'incarnazione, invece, impone proprio questo. Dio si è fatto uomo, nella sua interezza: carne intrisa di gioia e dolore, certezze e dubbi. E' per questo motivo che ti ripeto che è Dio stesso che soffre. Anche il dubbio insinuatosi sulla croce, i cui segni sono rinvenibili nel Getsemani, sono la cifra di un'agonia spirituale che coinvolge la divinità in prima persona, e Gesù, in quanto uomo divino, non poté sottrarsi a questa agonia, la quale trovò il suo epilogo nell'agonia della carne divina sulla croce. Ritenere che la sofferenza abbia coinvolto solo la carne, lasciando intatta la natura divina, significa sostenere un'algida alterità di Dio rispetto alle vicende umane, ciò sarebbe in aperto contrasto e negherebbe di fatto la passione amorosa che dovette convincere Dio a dare sé stesso per riscattare la creazione dal peccato, e sarebbe un'indelicatezza rispetto al mio amore, che non posso concedere".
Il cristianesimo si compie o muore ai piedi di quei quattro legni. Questo ci dice la teologia del Dio crocifisso di Moltmann, teologia del mondo riformato, ben diversa da quella di Benedetto XVI, che si mantiene forzatamente coerente alla tradizione tracciata da Sanctae Romanae Ecclesiae.
Ancora una volta ribadisco con ancor maggior enfasi che la vicenda di Gesù nell'analisi girardiana non è incuneata entro un 'contesto sociale criminologico fondamentale'. No, nel modo più assoluto. L'ira popolare descritta nei Vangeli è il momento culminante della tensione che, privata di sfogo, rischia di esplodere in maniera incontrollata. Furia violenta che va incanalata affinché la deflagrante violenza accumulata trovi uno via d'uscita e pian piano sia ricondotta a livelli comunitariamente accettabili. È, per l'appunto, la giusta esposizione di un evento, noto all'intero universo umano, da collocarsi pienamente nell'ambito della vittimizzazione dell'innocente, ovverosia del paradigma del capro espiatorio. Aspetto ben colto anche dalla liturgia cristiana con la definizione di 'agnello di Dio'.
Sul 'pastrocchio' ti ho risposto facendo pubblica ammenda per la confusione creata.
Sulla tragedia greca, Edipo, Girard evito di cercare di comprendere pensieri espressi male. Non creare pastrocchi tu, ora.
Il quid di cui parlo non è oggettivato o oggettivabile, non essendo neppure definibile né collocabile. È semplicemente quel di più che, pur essendo un prodotto del bios, lo trascende, lo sopravanza e supera. Quel di più che i nostri sensi e il nostro sentimento fugacemente colgono in un baluginare indecifrato ma ben sentito e avvertito. Quel quid tu pare lo riempi di un contenuto impersonale, immateriale che chiami Dio (oggettivandolo). Io mi limito a definirlo 'vita psichica': immateriale e personale (in quanto prodotto del bios individuale). Il tuo Dio si regge appellandosi alla tua filosofia, come la mia 'vita psichica' si aggrappa agli incerti sostegni delle neuro scienze. Non vedo dei nel fondo dell'abisso emerso dai forni di Auschwitz, ancor meno lo scorgo appeso alla forca di Wiesel, non lo vedo nei drammi del dolore degli innocenti. Se credessi nel tuo Dio restituirei il biglietto d'ingresso, perché l'armonia del creato che questo deus absconditus ci offre è costruita sul pianto degli innocenti. Grazie a Dio, Dio non esiste. La sua inesistenza salva Dio dalle giuste bestemmie che l'intero creato dovrebbe tributargli.
Urla Giobbe, urla Auschwitz, urla la madre che perde il sorriso del proprio bimbo, urla una donna stuprata nel corpo e dilaniata nell'anima... Ma la vita continua sorda ai lamenti, sorda a quel che accade... perché quel che accade è proprio ciò che deve accadere, senza finzioni, senza orpelli, senza barocchismi stucchevoli che rendano meno greve la visione di chi piange nell'anima perché ha dissecato la fonte delle proprie lacrime, di chi non ha più voce per gridare ed esigere una mano tesa che si sporga in un gesto d'aiuto, cui è rimasto solo un flebile filo di voce per restituire a quel Dio sì tanto indifferente la responsabilità che si deve accollare: <Padre, Padre perché mi hai abbandonato?>. "
E si ode ancora l'eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>.
La profondità dell'urlo di protesta di Giobbe è tale da solcare il tempo e lo spazio, fino a congiungersi allo scoramento e al gemito di Gesù. Non vi è cesura fra i due eventi, solo un tratto di storia – dell'uomo – in assenza di Dio, costellato dal dolore, contrappuntato dal Male inconsulto che insorge bestiale a nutrire la vita. Non vi è cesura fra Giobbe, Gesù e le baracche di Auschwitz e Darkenau. Vi è continuità nel Male che s'insinua perfido nel cuore e prorompe dalla gola di madri che piangono figli, senza un perché, senza un motivo. Dio non ha mai fornito risposte, non vi è teofania che lo abbia giustificato. Quando, richiamato dall'urlo di Giobbe, fece udire la sua voce, non lo fece per svelare il mistero della vita e del Male, ma solo per accentuarli, per marcare una distanza incolmabile fra terra e cielo. Dio non è crudele, la crudeltà non trova ospitalità fra i suoi misteri. Dio parrebbe perseguire un progetto ineffabile, inconoscibile, intangibile ed inintelligibile, ma questo progetto dissemina la terra di vittime innocenti, le stesse vittime innocenti – i tanti bambini morti per caso, senza un perché - che indussero in un famoso personaggio di Dostoevskji un moto di ribellione, fino a rifiutare la coppa della vita, la cornucopia ricolma di tanti mali, fino ad infrangerla sul il pavimento per non volerne più cogliere i cocci, fino a restituire a Dio il biglietto d'ingresso nella mortifera Vita. L'Anima è ricettacolo di questa discrasia, e l'uomo avverte quest'antinomia presente nella vita, nella creazione. L'avverte in una visione tragica, che dilania, che accentua vieppiù la lacerazione dell'Origine. E non vi è sutura che possa redimerla. Chi soffre non è il corpo, è l'Anima. Quando l'Anima soffre, patisce l'intero corpo, patisce l'uomo nella sua interezza: mente, Anima, corpo."
Quale preambolo etico, affermo innanzitutto che la vittimizzazione dell'innocente o è incubo, nel pensiero, o è crimine, nell'azione. Si tratta di un'ovvietà, un'autoevidenza, dice il filosofo.
Quale avvertenza estetica, metto in guardia il lettore dai fuochi d'artificio retorici oppostimi: si tratta di un sofisma e i sofismi sono pericolosi per gli ingenui e sprovveduti.
Io dicevo, a proposito di ateismo, di disimpegno nel còmpito prima o poi necessario verso l'Assoluto.
'Visechi' ha tentato di difendersi, alla mia critica contro l'oggettivazione del Mistero, dicendo che il suo
quid è un prodotto del
bios. Allora, così, nessuna Trascendenza, solo il trascendentale (che è diverso). Perché lui se ne vuol occupare e vuol insegnare agli altri che essa porta al Nulla? (Non si fa! - nel senso che non si "quaglia" così.)
Lui dice che io confondo Dio e trascendenza. Ma Dio è presente nel mondo e lo trascende! Jung notava: dire
il mondo è la mia rappresentazione può valere addirittura come sintesi del sistema filosofico di Schopenhauer, ribaltarne l'affermazione dicendo
"la mia rappresentazione è il mondo" invece è specchio di follia. Scambiare sé stessi per il Mistero e negare quest'ultimo, come fa tal Visechi, non è sbagliare sulle cose ma è pur sempre, specialmente a livello filosofico, una chiusura sbagliata. O uno si occupa della Trascendenza senza confonderla per una via verso il nulla, o lascia perdere. Wittgenstein, a riguardo, poteva insegnare qualcosa e bisognerebbe farla finita di voler assegnare ai sostenitori della
fede in qualcos'altro il ruolo di folli.
Su Dio, sofferenza, unione uomo-Dio, i teologi ne dicono e ne discutono, Moltmann compreso, ma costui a
distanza e senza poter raggiungere l'autentico pensiero greco antico sulla
apatia divina ma restando alle soglie dell'ellenismo, che era anche oltre i domini romani raggiunti dal ricorso forte al Gesù di Nazareth.
Se si accoglie il pensiero dell'
amor fati quale premessa, non quale approdo e per giunta tardivo, ecco che non c'è bisogno di rimproverare a Dio le sciagure del mondo. Questa è saggezza che possiamo fare, mentre quella del Libro di Giobbe è sapienza, di cui poter cogliere i frammenti. Nel primo caso, il cammino della virtù; nel secondo della santità. Se l'evento negativo è estremo, ci possono stare tutte e due anche, ma la prima diversamente. L'ateo ostinato si confina entro i termini della saggezza senza intenderne i limiti e ciò non basta per avere sicurezza anzi è incertezza assicurata.
Aggiungo: il ribadire dell'avversario contro l'affermazione del bisogno antropologico di Dio nella convinzione che sia un'angoscia travestita, il citare le inquietudini e dilemmi esistenzialisti, Leopardi, Baudelaire, Sartre... Per questi ultimi io consiglio di valutare e confrontarsi con
l'esistenzialismo positivo formulato da N. Abbagnano senza confondere piani terapeutici per dimostrazioni logico-filosofiche né ingannandosi o illudendosi di autentiche teorie scientifiche che confermino l'ufficio del negatore di Dio... Mentre per la prima insistenza io direi ai malcapitati di notare che l'ateismo aggressivo contro credenze religiose e fedi ad esse connesse coincide e si identifica con l'oblio dell'umano, nel suo aspetto e condotta numinosi. E' questa affermazione che è connotabile scientificamente, anzi è stato già fatto psicologicamente, ma pure antropologicamente e sociologicamente.
Chiudo, con l'impressione di aver interloquito con l'espressione non di un paradigma scientifico (nonostante le pretese dell'interlocutore) ma con un parametro tipico dell'insoddisfazione del mondo ipersecolarizzato.
MAURO PASTORE
Premetto che io non sono avversario di nessuno, perlomeno non mi sento tale: ("Aggiungo: il ribadire dell'avversario contro l'affermazione..."), che eccesso di sussiego: guarda che non ci legge nessuno!
Il tuo preambolo assomiglia tanto alla saggezza del 'senno del poi', che comunque non può porti al riparo dalla ben fondata accusa di aperta ignoranza sul tema della mimesi e del paradigma della vittimizzazione dell'innocente nelle comunità arcaiche. Ovvio che il medesimo processo in epoca coeva rappresenterebbe un obbrobrio etico inaccettabile, ma essendo l'etica e i valori di cui è testimone soggetti entrambi al divenire e al connesso mutar di forme, la contestualizzazione nel corretto ambito sociale ed il recupero antropologico (qui parrebbe dovremmo essere nel tuo campo d'interesse, ma dubito capisca qualcosa) del significato e del ruolo svolto nelle comunità dal processo vittimario e di mimesi potrebbero indurti a scrivere meno ovvietà e a meditare meglio, senza inutili barocchismi ed ampollosità, su quest'aspetto seminale del mondo arcaico.
Ti assicuro che non avverto nessuna necessità di difendermi da alcunché, tantomeno dai tuoi scritti ("'Visechi' ha tentato di difendersi"). "Ma Dio è presente nel mondo e lo trascende...": questa è fede e nei confronti della fede nulla può e deve essere opposto, sarebbe come opporre razionalità ad un innamoramento. Non c'è una ragione per cui ci si innamora di quella determinata persona, non esistono motivi razionali... solo emozione e fede. Che vuoi che possa opporre io alla tua sentimentale convinzione che Dio sia presente nel mondo (ad Auschwitz l'hanno più volte invocato) e che lo trascenda? Nulla, se non un semplice e per nulla animoso monito: quel che incontri tu non è rappresentativo della totalità delle esperienze umane. Evidente che qualsiasi altra esperienza in materia, anche di segno opposto, non può che essere una dichiarazione del soggetto che esperisce, ma ciò non coinvolge, e non può farlo, altri individui in tale dichiarazione. L'ateismo, a differenza della religione, non pretende d'imporre la propria visione del mondo a chi avverte altre urgenze e differenti chiamate.
"...così, nessuna Trascendenza, solo il trascendentale (che è diverso)" evito di dilungarmi llimitandomi ad invitarti a cercare una buona definizione del termine trascendenza, che non coincide con Dio. Di più non posso fare per aiutarti a colmare le lacune che emergono copiose e ampie. Non è un compito che intendo assumermi.
Per il resto bye.
Citazione di: Visechi il 25 Novembre 2024, 14:48:44 PMPremetto che io non sono avversario di nessuno, perlomeno non mi sento tale: ("Aggiungo: il ribadire dell'avversario contro l'affermazione..."), che eccesso di sussiego: guarda che non ci legge nessuno!
Il tuo preambolo assomiglia tanto alla saggezza del 'senno del poi', che comunque non può porti al riparo dalla ben fondata accusa di aperta ignoranza sul tema della mimesi e del paradigma della vittimizzazione dell'innocente nelle comunità arcaiche. Ovvio che il medesimo processo in epoca coeva rappresenterebbe un obbrobrio etico inaccettabile, ma essendo l'etica e i valori di cui è testimone soggetti entrambi al divenire e al connesso mutar di forme, la contestualizzazione nel corretto ambito sociale ed il recupero antropologico (qui parrebbe dovremmo essere nel tuo campo d'interesse, ma dubito capisca qualcosa) del significato e del ruolo svolto nelle comunità dal processo vittimario e di mimesi potrebbero indurti a scrivere meno ovvietà e a meditare meglio, senza inutili barocchismi ed ampollosità, su quest'aspetto seminale del mondo arcaico.
Ti assicuro che non avverto nessuna necessità di difendermi da alcunché, tantomeno dai tuoi scritti ("'Visechi' ha tentato di difendersi"). "Ma Dio è presente nel mondo e lo trascende...": questa è fede e nei confronti della fede nulla può e deve essere opposto, sarebbe come opporre razionalità ad un innamoramento. Non c'è una ragione per cui ci si innamora di quella determinata persona, non esistono motivi razionali... solo emozione e fede. Che vuoi che possa opporre io alla tua sentimentale convinzione che Dio sia presente nel mondo (ad Auschwitz l'hanno più volte invocato) e che lo trascenda? Nulla, se non un semplice e per nulla animoso monito: quel che incontri tu non è rappresentativo della totalità delle esperienze umane. Evidente che qualsiasi altra esperienza in materia, anche di segno opposto, non può che essere una dichiarazione del soggetto che esperisce, ma ciò non coinvolge, e non può farlo, altri individui in tale dichiarazione. L'ateismo, a differenza della religione, non pretende d'imporre la propria visione del mondo a chi avverte altre urgenze e differenti chiamate.
"...così, nessuna Trascendenza, solo il trascendentale (che è diverso)" evito di dilungarmi llimitandomi ad invitarti a cercare una buona definizione del termine trascendenza, che non coincide con Dio. Di più non posso fare per aiutarti a colmare le lacune che emergono copiose e ampie. Non è un compito che intendo assumermi.
Per il resto bye.
E' dogmatica l'affermazione: la trascendenza non coincide con Dio. C'è anche quella di Dio, che è trascendenza, se l'ateo dice no vuol forzare l'ateismo e sbaglia. Ma già ne avevo precisato a sufficienza.
Invece che salvare qualcosa del passato vittimario che tanto ami, potresti intendere un simbolismo biblico ove Dio è il protagonista o contemplare dei puri scherzi estetici privi di grazia - altrimenti, tu egli altri vi maledirete da soli o peggio.
Quanto alla presenza di Dio, tu stesso ne indichi ma la credi il Nulla. Una credenza meno che stupida, dato che non sai riconoscere il delitto. Il vostro scopo è quello di togliere il giudizio a un mondo passato e con ciò voi intendete attuare una
deregulation all'ordinamento sociale attuale che non fa altro che scagionare degli immani colpevoli: giustificare le masse comuniste che facevano la borghesia capro espiatorio, i nazisti che fecero lo stesso con gli ebrei... e fare un pianto troppo grosso non vi basta per essere sinceri. Ciò che andate dicendo e facendo è quel che è. Voi sapete di una questione morale e ve ne vergognate, vi rifugiate nell'incubo degli assassini perché ve ne siete legati... anche col vostro anticristianesimo. I valori cristiani hanno, tra il resto, una propria funzione anticrimine (l'ho scritto senza eleganza). Tutto sta a capirne le espressioni autentiche.
Una vostra forza è continuare a discorrere dopo aver inclinato verso una forma di minacciosità... ma è forza che va in rovina.
Controlla quanti lettori ci sono su questa discussione, invece di provare a fare condizionamenti psicologici coi tuoi 'non ci legge nessuno'. Se trovi uno zero, forse domani potrai trovare un 1...
Rientrare in una discussione veramente filosofica ti sarebbe possibile cominciando un ripensamento. Non fingerti sacro difensore delle vittime della Shoah. E' anche antifilosofico ma sei pure calunnioso ed offensivo e non sempre la filosofia usa la parola in questi casi. Dovevi pensarci prima.
MAURO PASTORE
E' dogmatica l'affermazione: la trascendenza non coincide con Dio. C'è anche quella di Dio, che è trascendenza, se l'ateo dice no vuol forzare l'ateismo e sbaglia. Ma già ne avevo precisato a sufficienza.
Ogni volta devo riprendere qualche tuo passaggio per rimarcare il fatto che, consapevolmente (e non ne capirei la ragione) o da ignorante (perciò ti scuso in anticipo) distorci il pensiero altrui. Eppure, il concetto, più volte espresso, non è così complesso: si può entrare in contatto con la trascendenza, immergersi addirittura nella trascendenza senza che nel suo fondo abissale s'incontri quel che i tuoi lapsus definiscono Dio. Si può entrare in contatto con Dio, ma ciò non autorizza l'arroganza di far coincidere la Trascendenza con Dio. Lascio a te il piacere di immaginare in quali e in quante circostanze ciò può avvenire.
Quanto alla presenza di Dio, tu stesso ne indichi ma la credi il Nulla.
Quanto alla presenza del Nulla, tu stesso ne indichi ma lo credi Dio. Funziona anche in questo modo.
Il resto del tuo sproloquio lo equiparo ad un delirio isterico di chi non avendo più argomenti di discussione (si nota) cerca di buttarla in caciara con accuse risibili ed attacchi personali.
Bene, io alla tua caciara non partecipo. Se hai qualcosa da scrivere, ben venga, diversamente puoi anche sbrodolarti nel tuo brodo un po' psicotico che soffre di manie di persecuzione e si immagina lettori attenti e plaudenti laddove proprio non ci sono.
Citazione di: PhyroSphera il 04 Dicembre 2024, 20:05:55 PMInvece che salvare qualcosa del passato vittimario che tanto ami, potresti intendere un simbolismo biblico ove Dio è il protagonista o contemplare dei puri scherzi estetici privi di grazia - altrimenti, tu egli altri vi maledirete da soli o peggio.
Qui su, 'tu egli altri', ovviamente sta per: tu e gli altri.
Adesso ci ho tolto pure l'errore nella scrittura, prova a ripensare quel che potresti.
Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 22:10:03 PME' dogmatica l'affermazione: la trascendenza non coincide con Dio. C'è anche quella di Dio, che è trascendenza, se l'ateo dice no vuol forzare l'ateismo e sbaglia. Ma già ne avevo precisato a sufficienza.
Ogni volta devo riprendere qualche tuo passaggio per rimarcare il fatto che, consapevolmente (e non ne capirei la ragione) o da ignorante (perciò ti scuso in anticipo) distorci il pensiero altrui. Eppure, il concetto, più volte espresso, non è così complesso: si può entrare in contatto con la trascendenza, immergersi addirittura nella trascendenza senza che nel suo fondo abissale s'incontri quel che i tuoi lapsus definiscono Dio. Si può entrare in contatto con Dio, ma ciò non autorizza l'arroganza di far coincidere la Trascendenza con Dio. Lascio a te il piacere di immaginare in quali e in quante circostanze ciò può avvenire.
Mentre mi chiami ignorante, attui un tentativo di affermazione che è impossibile, sia perché animato sempre dalla stessa contraddizione, sia perché di livello subculturale nella sua conclusione, che presenta ambiguamente l'assolutezza di un
oltre come se il Dio della fede non fosse proprio
quello lì; un livello il tuo incapace di interagire con le attestazioni corrette altrui. Te la vuoi cavare oscillando insostenibilmente tra semplice trascendenza e Trascendenza assoluta, illudendoti la menzione sia la stessa. Ma chi discute filosoficamente deve prendere in considerazione il dire altrui. Il tuo non è un dialogo, è un'azione puntualmente intromissiva, nel senso che intromette il relativo nella indicazione dell'Assoluto e un relativismo assoluto è insostenibile, autocontraddittorio. Io qui non sto conducendo un discorso egocentrico; tu ti poni contro lo stesso uso di una cultura definita ed è inutile che vai dicendo dei
miei lapsus. E' violento questo tuo modo di procedere: vuoi trascinare il confronto nella subculturalità appellandoti a errori mentali inesistenti.
Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 22:10:03 PME' dogmatica l'affermazione: la trascendenza non coincide con Dio. C'è anche quella di Dio, che è trascendenza, se l'ateo dice no vuol forzare l'ateismo e sbaglia. Ma già ne avevo precisato a sufficienza.
Quanto alla presenza di Dio, tu stesso ne indichi ma la credi il Nulla.
Quanto alla presenza del Nulla, tu stesso ne indichi ma lo credi Dio. Funziona anche in questo modo.
Il resto del tuo sproloquio lo equiparo ad un delirio isterico di chi non avendo più argomenti di discussione (si nota) cerca di buttarla in caciara con accuse risibili ed attacchi personali.
Bene, io alla tua caciara non partecipo. Se hai qualcosa da scrivere, ben venga, diversamente puoi anche sbrodolarti nel tuo brodo un po' psicotico che soffre di manie di persecuzione e si immagina lettori attenti e plaudenti laddove proprio non ci sono.
E' illogico fare come fai tu, parlare di 'presenza del nulla'. Il nulla infatti è assenza. Molto opportunamente Derrida, quale chiosatore della riflessione di Heidegger su
essere e tempo, diceva di:
essere quale presenza. La obiezione che ti facevo non è rovesciabile.
Poi dai lapsus inesistenti (un errore minimo di scrittura non sempre è un lapsus, per esempio) vai a inconsistenti equiparazioni a
deliri isterici, a definizioni evidentemente assurde di un "brodo un po' psicotico" e indicazioni disoneste di "manie di persecuzione", fino alla insistenza su inesistenti attacchi personali, avendoti io invece specificato il mio modo di usarti il
tu. Io non conosco la tua persona e non ne sto proprio ponendo in causa.
Poiché io, tra il resto, ho cercato di additare che il tuo discorso è allineato finanche sulla giustificazione di alcuni delitti, compresi quelli di Stalin e stalinisti,
voialtri tirate fuori la falsa patologia - neppure se tiraste fuori quella vera trovereste modo di sfuggire agli sbagli in cui puntualmente incappate, perché il patos o, alla greca, il
pathos, non è un problema, potrebbe essere una prospettiva di ricerca... e qui non si sta cercando clienti per una terapia, ancor meno falsa e ancor peggio se imposta (direttamente o indirettamente).
Se tu vuoi farne qualcosa dei tuoi messaggi qui, continua munendoti delle dovute comprensioni culturali, sul
simbolismo biblico, sui simboli religiosi, per i quali la psicologia di S. Freud e dei suoi seguaci proprio non è adatta. Mettersi a sindacare la menzione dell'Assoluto, della Trascendenza, di Dio, in questa
sede ed entro questo discorso significa reagire alla venuta del buio notturno aprendo un ombrello. Una cosa che non significa, insomma.
Perché l'Assoluto è dai credenti definito con la parola Dio? L'ultima ricerca sulla logica e il linguaggio attesta l'opportunità di questa parola immaginifica e misteriosa, ma per volgere a questo versante del confronto bisogna evitare di bloccarsi nel pregiudizio - e ovviamente evitare di bloccare pure gli altri.
MAURO PASTORE
"Mentre mi chiami ignorante, attui un tentativo di affermazione che è impossibile..."Non ti definisco o ritengo ignorante, rileggi con minor animosità. Io, in effetti, ritengo tu sia in malafede, proprio perché non penso che ciò che ti ho già scritto più volte possa da te essere frainteso fino a questo punto. Erigi barricate ricorrendo a concettualizzazioni e filosofemi cui oramai – ben si vede – sei profondamente affezionato; impastoi le tue – forse esistenti, ma non emergenti – capacità di analisi razionale e sensibilità emotiva, soffocandole sotto una coltre di dogmi che, sì, lo credo, ti affrancano dal terrore ma non fanno onore al verosimile, unica verità che ci è concessa.Il Nulla non è presenza, e ci mancherebbe altro, ma è proprio questa assoluta assenza di tutto che reperisci in quel fondo abissale trascendente che abita il nostro essere.
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Nient'altro che Nulla incontri. Ovverosia, spiegato a te che fingi di non capire, la Morte è la conclusione, la fine, la dissoluzione di tutto e l'eventuale e residuale speranza dovesse permanere, altro non sarebbe che l'ipostasi dell'indomito desio che Nulla finisca e tutto si rigeneri, resusciti – per dirla con caratteri cristiani -, perché l'animo, essendo un campo di battaglia, offre ostello all'un senso ed al suo opposto, al senso del Nulla, della Morte (tangibile ed innegabile), della dissoluzione ed alla Speranza, priva di fondamento, sostengo io, che la Morte possa essere solo un transito etc...
Noi ed ogni singola esistenza altro non sono che brevi interruzioni di essere che si interpongono fra due assoluti Nulla. Essendo, il nostro esistere, fondato sul Nulla, è Nulla anch'esso.Concordo: "un relativismo assoluto è auto contraddittorio", ma così è! Ed è la vita stessa ad essere pregna e ridondante di autocontradditorietà. L'esistenza è antinomica, ma lo è in misura uguale e contraria alla pretesa del cristianesimo che ha il suo fulcro nella risurrezione, nella morte di un Dio in croce (credo perché assurdo). Non puoi ricusare una filosofia perché autocontradditoria e poi sostenere le antinomie del cristianesimo, sarebbe autocontradditorio già l'atto stesso.Non cercare violenza in un contraddittorio, o meglio qualsiasi confronto dialettico reca con sé un nucleo decisorio, quindi violento; ogni asserzione è un po' anche un imporre; non è un porgere fra mille inchini e mielosi salamelecchi, ma è un esibire con determinazione, talvolta intransigente, talaltra indulgente. Non lagnarti di quel quid che è naturale ed insito in un confronto. Piuttosto, è ben diverso e assai stucchevole il tuo reiterato vano tentativo di personalizzare la discussione, di emarginare il dibattito impersonale per favorire l'accusa ad personam. Infatti, non ti esimi dall'individuare ed additare 'avversari', 'colui che si difende', nel tuo reiterato tentativo, appelli e richiami l'attenzione di un immaginario pubblico, che veda, legga, censuri e magari prenda pure posizione. Stai sereno, non ho alcuna intenzione o voglia di vincere il concorso di filosofia ove tu pare sia un assiduo frequentatore e partecipante. Ribadisco non ne ho voglia, non sono disponile a seguirti su questo versante... mi annoierei oltremisura.Speranzoso d'esser riuscito a rintuzzare o disincentivare definitivamente questa tua tendenza alla personalizzazione, proseguo rassicurandoti su un altro tema da te accennato ma, che se opportunamente sviluppato, si rivelerebbe assai proficuo ed interessante: il tema del Male."Poiché io, tra il resto, ho cercato di additare che il tuo discorso è allineato finanche sulla giustificazione di alcuni delitti, compresi quelli di Stalin e stalinisti, voialtri tirate fuori la falsa patologia..."Per quanto mi riguarda nessuna falsa e neppure verace patologia nel manifestarsi del Male nelle faccende umane. Il Male non è la patologia dell'esistenza ma è suo ingrediente originario e costitutivo. Il Male ha una sua natura, una sua consistenza e il suo esserci ascrive a Dio la piena responsabilità di aver voluto una creazione monca, difettata ab origine.Ma questo è davvero un altro delicato, complesso argomento che meriterebbe un thread dedicato e non può che essere affrontato nell'ambito di altra discussione.
Citazione di: Visechi il 27 Dicembre 2024, 20:38:37 PM"Mentre mi chiami ignorante, attui un tentativo di affermazione che è impossibile..."
Non ti definisco o ritengo ignorante, rileggi con minor animosità. Io, in effetti, ritengo tu sia in malafede, proprio perché non penso che ciò che ti ho già scritto più volte possa da te essere frainteso fino a questo punto. Erigi barricate ricorrendo a concettualizzazioni e filosofemi cui oramai – ben si vede – sei profondamente affezionato; impastoi le tue – forse esistenti, ma non emergenti – capacità di analisi razionale e sensibilità emotiva, soffocandole sotto una coltre di dogmi che, sì, lo credo, ti affrancano dal terrore ma non fanno onore al verosimile, unica verità che ci è concessa.
Il Nulla non è presenza, e ci mancherebbe altro, ma è proprio questa assoluta assenza di tutto che reperisci in quel fondo abissale trascendente che abita il nostro essere.
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Nient'altro che Nulla incontri. Ovverosia, spiegato a te che fingi di non capire, la Morte è la conclusione, la fine, la dissoluzione di tutto e l'eventuale e residuale speranza dovesse permanere, altro non sarebbe che l'ipostasi dell'indomito desio che Nulla finisca e tutto si rigeneri, resusciti – per dirla con caratteri cristiani -, perché l'animo, essendo un campo di battaglia, offre ostello all'un senso ed al suo opposto, al senso del Nulla, della Morte (tangibile ed innegabile), della dissoluzione ed alla Speranza, priva di fondamento, sostengo io, che la Morte possa essere solo un transito etc...
Noi ed ogni singola esistenza altro non sono che brevi interruzioni di essere che si interpongono fra due assoluti Nulla. Essendo, il nostro esistere, fondato sul Nulla, è Nulla anch'esso.
Concordo: "un relativismo assoluto è auto contraddittorio", ma così è! Ed è la vita stessa ad essere pregna e ridondante di autocontradditorietà. L'esistenza è antinomica, ma lo è in misura uguale e contraria alla pretesa del cristianesimo che ha il suo fulcro nella risurrezione, nella morte di un Dio in croce (credo perché assurdo). Non puoi ricusare una filosofia perché autocontradditoria e poi sostenere le antinomie del cristianesimo, sarebbe autocontradditorio già l'atto stesso.
Non cercare violenza in un contraddittorio, o meglio qualsiasi confronto dialettico reca con sé un nucleo decisorio, quindi violento; ogni asserzione è un po' anche un imporre; non è un porgere fra mille inchini e mielosi salamelecchi, ma è un esibire con determinazione, talvolta intransigente, talaltra indulgente. Non lagnarti di quel quid che è naturale ed insito in un confronto. Piuttosto, è ben diverso e assai stucchevole il tuo reiterato vano tentativo di personalizzare la discussione, di emarginare il dibattito impersonale per favorire l'accusa ad personam. Infatti, non ti esimi dall'individuare ed additare 'avversari', 'colui che si difende', nel tuo reiterato tentativo, appelli e richiami l'attenzione di un immaginario pubblico, che veda, legga, censuri e magari prenda pure posizione. Stai sereno, non ho alcuna intenzione o voglia di vincere il concorso di filosofia ove tu pare sia un assiduo frequentatore e partecipante. Ribadisco non ne ho voglia, non sono disponile a seguirti su questo versante... mi annoierei oltremisura.
Speranzoso d'esser riuscito a rintuzzare o disincentivare definitivamente questa tua tendenza alla personalizzazione, proseguo rassicurandoti su un altro tema da te accennato ma, che se opportunamente sviluppato, si rivelerebbe assai proficuo ed interessante: il tema del Male.
"Poiché io, tra il resto, ho cercato di additare che il tuo discorso è allineato finanche sulla giustificazione di alcuni delitti, compresi quelli di Stalin e stalinisti, voialtri tirate fuori la falsa patologia..."
Per quanto mi riguarda nessuna falsa e neppure verace patologia nel manifestarsi del Male nelle faccende umane. Il Male non è la patologia dell'esistenza ma è suo ingrediente originario e costitutivo. Il Male ha una sua natura, una sua consistenza e il suo esserci ascrive a Dio la piena responsabilità di aver voluto una creazione monca, difettata ab origine.
Ma questo è davvero un altro delicato, complesso argomento che meriterebbe un thread dedicato e non può che essere affrontato nell'ambito di altra discussione.
Questa risposta di "Visechi" insiste col vaneggiamento su riferimenti personali, in realtà inesistenti. Io continuo a scrivere, riconoscendo un valore esemplare alle risposte di Visechi, non per rivolgermi alla sua persona.
Non io personalizzo, noto semmai che Visechi ami la personificazione della morte. E' naturale che un nichilista estremo fino al canto ami in realtà una rappresentazione e non la morte stessa.
Come sempre, l'
ateo intollerante scantona assai. Alla mia protesta contro il suo inane oltre che importuno
patologizzare, ecco una specie di sermone sul male. Non è vera la compenetrazione fatale tra male e patologia. Chi ritiene l'universo in difetto e impossibile l'esistenza di Dio, sta vivendo oltre che un triste errore anche un suo patos. Distinguendoli, si scagiona il patos e si tramuta la passione smodata davanti alle nullità in una vertigine positiva, restando l'errore nudo... e se si vuol protrarlo, è scelta manifesta di non-vita! La filosofia non aiuta come il lettino di un terapeuta; essa può usare logiche penetranti che mettendo a nudo l'anima dell'interlocutore con sé stessa, gli impediscono di farsi vittima. Non si aiuta così a ristabilire condizioni, ma a rendere inattive opportunità maligne. Ciò è impossibile allo psicologo, il quale anzi ha uno strumento che, in assenza di altre prospettive e accentrando l'attenzione, può essere modo per una eutanasia. Questa non sempre è saggia. Il
suicidio razionale di cui disse Plotino è altra cosa, ma anche in tal caso ci vuole cautela: se la filosofia è aperta o discende direttamente dall'àmbito dell'Assoluto, essa è sicura (relativamente); altrimenti si rischia di fuggire il miracoloso o prodigioso per una morte ingiusta. Io comunque non sto suggerendo l'ipotesi di morte. Suicidio razionale può essere restare in nave per salvare quanta più gente possibile secondo il proprio còmpito di capitano; ma se si tratta di turisti non rispettosi della natura e pure criminali? Varrebbe la pena
sacrificarsi? A fronte del vaneggiamento ateo intollerante non vale essere disponibili, ma dare dei no. Non assecondare terminando il proprio tempo, ma smentire utilizzando il proprio e per il prossimo. Il natante affondi pure assieme a chi impreca sul fasciame marcio invece che imparare a nuotare. Certo non è il medico che può interessarsi di suicidi. Guarire da una malattia può essere motivo di passione per la vita ma non sempre; si registrano casi contrari, di persone paurose della vitalità. Lo stesso ateismo a oltranza è questo, paura per la vita in tutte le sue forme; e la malattia non è una volontà sbagliata, semmai può inibire il volere, il che è diverso. L'ateismo vale se episodico e non fondante.
L'interlocutore ateo trova ovvio che la morte sia fine di tutto, la vita un frammento di essere sospeso tra due nulla assoluti, l'essere stesso una nullità... nullità in confronto di cosa? Io consigliavo il non-teismo, in particolare ci sarebbe il buddhismo, per dire che non è il vero essere a valer nulla. Il termine di paragone della obiezione atea è un sogno irrealizzabile che fa apparire indegna la vita e la stessa sua Origine, sogno che sembra soltanto, bello. Ma se c'è direttamente un inganno, vale la prospettiva cristiana. Se tal sogno ha un suo potere esterno, che supera le umane capacità, vale la fede cristiana, il vivere assieme a Dio quando umanamente è impossibile altrimenti. Non è il caso dell'ateismo intollerante, che non è vittimario ma vittimizzante. La religiosità vale perché è una pratica concreta in contatto con l'Essere assoluto, che impedisce al negativo di trionfare tramite le parzialità del relativo.
L'interlocutore ateo pensa ovvio che la morte sia fine di tutto - nonostante Visechi avesse prima detto di risurrezione e rinascita, le negava poi - perché è materialista. La sua logica: "non lo vedi? non li vedi i cadaveri, le dissoluzioni, disintegrazioni?" In verità ciò che la vita è non può ridursi a ciò che un cadavere è. Questa mia affermazione non conferma il
dogma materialista, ma è nondimeno un empirismo. Però basta a quel poco che serve, quando serve. Dico cioè che l'esperienza della vita non induce a credere alla morte assoluta, anzi dimostra che qualcosa resta. Kant, campione del pensiero filosofico detto accademicamente contemporaneo, lui che l'empiria la praticava, la accettava e ne valutava i limiti, era un sostenitore dell'immortalità dell'anima. Certo, la scienza biologica arriva solo a un confine. Ma l'ermeneuta ci mette pochissimo per collegare l'osservazione biologica-scientifica dell'incommensurabilità corpo vivo - corpo morto all'affermazione della metafisica della morte.
Il pensiero contemporaneo ha affermato l'esigenza di una metafisica della nascita, per via di filosofe donne, più o meno femministe. Nulla da ridire all'intervento e alla sua sostanza, purché non lo si usi per rimuovere il fenomeno del morire (come purtroppo è stato disastrosamente fatto)... Questo è materico, cioè parziale, mentre il nostro essere è psicofisico... E non si fa a meno del pensiero dell'energia neanche per il regno minerale. I metafisici dicono di
essenze eterne. Non c'è dubbio che l'esistenza
precede l'essenza... ma gli esistenzialismi che negano
tout court l'essenzialismo non recano più minima saggezza sufficiente per filosofare. I testi di tal 'Visechi' in questa discussione sono questo: esistenzialismi-antiessenzialismi radicali fino alla non-filosofia; il loro potere sofistico, quando c'è, va neutralizzato (io l'ho fatto, nella fattispecie).
Visechi vorrebbe addirittura aprire un
thread apposito per dire di "creazione monca, difettata ab origine". Io gli avevo già fatto l'esempio del vero itinerario leopardiano: nella scoperta finale del potere consolatorio delle illusioni (poetiche), cade il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure la facoltà poetica. Per questo il Leopardi tragico dello Zibaldone non è filosofo; lo è quello sobrio e discreto dei
Pensieri; e il vero esito della sua poesia è ne
Il tramonto della luna: enigmaticamente. Invece il Dio poeta e il mondo sua scena poetica, con tutto quanto di ingiudicabile recato da tale visione, ciò vale come spunto concreto di riflessione. Se eleggiamo l'Assoluto come riferimento, come facevano i contemporanei di E. A. Poe, allora
è Dio il vero artista. Sennò,
Dio è un artista diverso da noi. Quindi:
Oserà la creatura rimproverare per davvero il suo Creatore? In che senso i lamenti atei sono sinceri?
Si dice che Leopardi fosse il poeta preferito dagli adolescenti, nei momenti di incomprensione della nuova vita adulta davanti a loro. I fascisti lo indicavano idolo dei comunisti atei, buoni solo a lamentarsi. Durante il Rinascimento erano noti
i piagnoni, ai tempi del Savonarola, ma erano soggetti alquanto diversi. Quando ero al Liceo era un poeta sotto attenta osservazione, oltre che dai preti moralisti, anche dal mondo malavitoso. Certi che si innamoravano dei suoi canti venivano sottoposti a degli scherzi: 'se a questo lo mettiamo con mezzo sedere da fuori in una piazza, resta pessimista?' Certo la poesia eleva: il malvivente può farsi con essa goliarda, ma assolutamente non si scambi questo esempio per un invito a non rispettare pudori e volontà di occultamenti - i vestiti sono anche questo, occultamenti. Comunque io scrivo a favore di chi ingannato e non sto avviando delle questioni senza fine contro chi a torto si illude.
MAURO PASTORE
Quasi disperavo e, disperando, stavo per abbandonare desolato questa discussione. Ma talvolta i miracoli si verificano proprio quando non te li aspetti più. Ero stanco dell'inutile Ping-pong intorno alla trascendenza, al trascendente ed al trascendentale. Opportunamente sollecitato, finalmente un intervento davvero pregevole, seminale e preannuncio (non mi smentire, non ti smentire) di una fertile chiacchierata. Confesso, stavo per rinunciare a leggere l'ultimo commento... mi sarei perso davvero qualcosa di apprezzabile e piacevole, al tempo stesso.
Non sono ironico!
Tralascio l'intera sezione riconducibile alla stenta polemica di "chi ce l'ha più lungo e duro", troppa noia. Per immergermi completamente nei pregevoli passaggi che riporto e commento:
"In verità ciò che la vita è non può ridursi a ciò che un cadavere è. Questa mia affermazione non conferma il dogma materialista, ma è nondimeno un empirismo. Però basta a quel poco che serve, quando serve. Dico cioè che l'esperienza della vita non induce a credere alla morte assoluta, anzi dimostra che qualcosa resta. Kant, campione del pensiero filosofico detto accademicamente contemporaneo, lui che l'empiria la praticava, la accettava e ne valutava i limiti, era un sostenitore dell'immortalità dell'anima. Certo, la scienza biologica arriva solo a un confine. Ma l'ermeneuta ci mette pochissimo per collegare l'osservazione biologica-scientifica dell'incommensurabilità corpo vivo - corpo morto all'affermazione della metafisica della morte."
Non mi interesso più di tanto di quel che poteva sostenere chicchessia sul tema in argomento, mi interessa molto di più ciò che hai da dirmi tu su questo tema. Scorgi nella morte i segni di una ulteriorità che io non vedo, essendo coinvolto nell'osservazione della dissoluzione della materia, unica sostanza che – a parer mio – la morte lascia emergere. Non trovo i segni dell'oltre, men che meno scorgo quel che con intelligenza emotiva (questa volta sì, porca miseria) sei riuscito ad esprimere tu. È il percorso di vita, l'intera esistenza che non autorizzerebbe a scolorire o cancellare l'oltre che compete all'essere, anche e soprattutto dopo la morte. Ti chiedo, a questo punto: se così è, avendo espresso questo piacevolissimo concetto, come puoi sostenere al medesimo tempo e nello stesso commento, solo poche righe prima, che "Suicidio razionale può essere restare in nave per salvare quanta più gente possibile secondo il proprio còmpito di capitano; ma se si tratta di turisti non rispettosi della natura e pure criminali? Varrebbe la pena sacrificarsi? A fronte del vaneggiamento ateo intollerante non vale essere disponibili, ma dare dei no."? Rabbia? Intolleranza rispetto al prossimo non credente? Quasi ti sfugge l'abominio di equiparare un ateo ad un criminale... anzi, proprio ti sfugge, senza il quasi. Tu intravedi nell'esistenza un qualcosa che proietta l'essenza in un dopo ultraterreno, cosa che per me è solo frutto della necessità di trovar conforto e acquietare l'angoscia esistenziale che coglie chiunque dovesse meditare sinceramente sull'esistenza e la sua vacuità. Questo diverso angolo visuale non autorizza nessuno dei due ad imputare all'altro deficienze o tendenze criminogene di sorta. Cosa ti spinge a farlo? Insicurezza? (Qui è sfuggita a me la scorrettezza di personalizzare).
Un pensatore, non troppo tempo fa, sosteneva che: "vi è soltanto un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo."
Chiudeva il suo saggio affermando: "Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice". È un po' la filosofia del viandante, che si concentra sul viaggio, non sulla meta, e trae gioia e le ragioni del suo camminare ogni volta non dal traguardo, ma dalla strada percorsa, che rappresenta anche il vero senso e la ragione di cui è impregnato l'inesausto suo 'errare' (leggilo pure nella sua doppia accezione). Il succo gustoso che puoi suggere dalla Vita, il senso e il significato che ne attingi e, al tempo stesso, le rendi sono tutti inscritti ed incisi in quell'unico segmento che è sospeso fra due totali assenze, due Nulla. La vita è un'escrescenza momentanea dell'assoluto Nulla. Ma tale consapevolezza, non è un viatico per immaginare un ateo che rinunci ad immaginare Sisifo felice.
"Non c'è dubbio che l'esistenza precede l'essenza... ma gli esistenzialismi che negano tout court l'essenzialismo non recano più minima saggezza sufficiente per filosofare. I testi di tal 'Visechi' in questa discussione sono questo: esistenzialismi-antiessenzialismi radicali fino alla non-filosofia; il loro potere sofistico, quando c'è, va neutralizzato (io l'ho fatto, nella fattispecie)."
Qui sbagli! La consapevolezza del fatto che l'esistenza precede l'essenza, tipica del pensiero di Sartre, non nega l'essenza, la quale prende forma e consistenza, colore e calore solo in virtù e dipendenza della particolare modalità di essere nel mondo. In sintesi, l'essenza si costruisce attraverso le esperienze ed in funzione delle scelte e del proprio impegno nella vita. È frutto di sé stessi. Siamo scaraventati nel mondo e costretti a vivere la vita. Perciò l'essenza ha più importanza dell'esistenza stessa, perché è frutto della libertà dell'essere, è un suo costrutto, un suo ordito, una sua architettura, e ciascuno è quel che ha determinato per sé stesso. È ciò, fra l'altro, che massimamente esalta l'etica della responsabilità; una ben diversa modalità di partecipare all'esistenza di quella proposta dal cristianesimo, che, delinea un percorso che già in partenza è gravato di una colpa d'origine, da qui l'esigenza del perdono, che svuota di consistenza e rilevanza la responsabilità e l'agire, che, manzonianamente (fai tesoro della critica gramsciana), è sempre determinato e 'voluto' dalla provvidenza. Due visioni, due modi di porsi di fronte all'esigenza di vivere... senza rinunce, nell'un caso come nell'altro. Con la differenza che nel primo caso la partecipazione è determinata in funzione della libertà personale, nell'altro caso si tratta di una determinazione esogena. Ed essendo tale, anodina e non pienamente partecipe delle vicende umane.
"Il termine di paragone della obiezione atea è un sogno irrealizzabile che fa apparire indegna la vita e la stessa sua Origine, sogno che sembra soltanto, bello. Ma se c'è direttamente un inganno, vale la prospettiva cristiana. Se tal sogno ha un suo potere esterno, che supera le umane capacità, vale la fede cristiana, il vivere assieme a Dio quando umanamente è impossibile altrimenti."
Non ti nascondo il mio apprezzamento per questo pensiero. Ma ciò non mi impedisce di rilevare, ancora una volta, una gradevolissima istanza dell'anima di trovar conforto; di desiderio di quietare quel che nel profondo ribolle. Non nutro dubbi che sia un abbraccio caldo e confortevole, quel che descrivi, ma ho sensate ed enormi riserve che si tratti di qualcosa di 'Vero' e non solo sognato. La tua pare la descrizione, piacevole – perché non riconoscerlo? -, di un desiderio. Poni la condizione che "ci sia un inganno', non ti sottrai, parrebbe, alla possibilità che abbaglio non sia. Subito dopo, senza cesura, compi un balzo che non è argomentato (non potrebbe esserlo), affermando che 'vale la fede cristiana'... ovviamente, solo se inganno ci fosse. Io sostengo che non c'è, tu sì: dimmi perché dovrebbe essere più credibile ciò che si sottrae pienamente e tenacemente all'esperienza a scapito di ciò che è più immediato?
"Io gli avevo già fatto l'esempio del vero itinerario leopardiano: nella scoperta finale del potere consolatorio delle illusioni (poetiche), cade il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure la facoltà poetica."
Pur cogliendo in maniera corretta il valore consolatorio che Leopardi attribuiva all'arte poetica, quindi all'arte tutta, e pur avendone registrato la funzione illusoria, ti perdi nel derivarne arbitrariamente ed in maniera incongruente l'esistenza di Dio. Non fare torto a te stesso. Questa correlazione probatoria dell'esistenza di Dio dalla scoperta della poesia, fa torto a tutto ciò che finora hai sostenuto: talvolta con spocchia, altre volte in maniera irrelata, oggi piacevolmente. Analogamente, la nozione del Male autorizzerebbe a far "cadere il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure il Male".
Inoltre, ti faccio notare che, nel tuo asmatico trasporto patrocinatore, non ti avvedi che con evidente chiarezza Leopardi, se di Leopardi vuoi trattare, parla di finzione, di illusione, di messinscena e mistificazione. Non puoi desumerne, dunque, un diverso itinerario se non quello del pessimismo o, quantomeno, della negazione di un oltre divino, che non nega o ricusa la Trascendenza, anzi arriva addirittura ad esaltarla (per carità, non torniamo su questa nenia, ho visto che non sei in condizione di uscire dalla confusione).
Citazione di: PhyroSphera il 05 Agosto 2024, 19:02:22 PMIo mi domandai spesso se mai si potesse assolvere Nietzsche dall'aver fatto un torto troppo grande ai cristiani con la sua terribile maledizione de L'Anticristo. Se nelle Sacre Scritture cristiane si racconta di Dio che mandò il diavolo da Giobbe, uomo giusto e soddisfatto, perché ne fosse messo alla prova, che dirne di F. W. Nietzsche e del suo libello contro il movimento cristiano? Concludere che Nietzsche fosse un falso maestro, o solo un oppositore che Dio stesso si era voluto procurare, dato che tanti troppi cristiani avevano davvero ricercato debolezza e insanità, più per gli altri che per sé, e allora avevano bisogno di subire una contrarietà e una smentita?
L'autore del libello lo presentava come un lavoro forse destinato solo ai prossimi venturi, pochissimi in ogni caso. Concludeva con l'appello alla trasvalutazione di tutti i valori, non senza aver ritenuto di aver emesso un giudizio eterno contro il Cristianesimo, colpevole di aver invertito il senso della storia. Non si può evitare di scorgere nel suo pensiero uno spostamento di significati. Mentre il Cristo è ciò che l'uomo non può realizzare da sé, una azione che spetta a Dio, perché ci sono degli eventi in cui è Lui che deve fare, non l'uomo, F. W. Nietzsche invece lo aveva scambiato per un rimedio mondano, senza pensare a quell'oltre che ne dava senso... Ma come replicare senza appurare quale fosse il fenomeno reale, effettivo, che si era parato innanzi al filologo e filosofo tedesco?
Goethe aveva decenni addietro affermato di non aver mai trovato qualcuno che gli spiegasse in cosa consistesse il cristianesimo. Penso che Schopenhauer non si fosse mai imbattuto in una preghiera cristiana ispirata; e Marx aveva conosciuto solo l'uso della religione cristiana per tenere a bada masse di diseredati. Che dire di Nietzsche?
Figlio di un pastore protestante e restato da presto orfano, aveva fatto esperienza della assurda passione per morte e debolezza diffusa tra gli ambienti cristiani, del moralismo giunto al suo estremo intollerabile. Io pensai che forse suo padre avrebbe voluto organizzare un grande congedo, quel che si dice volgarmente "mandare al diavolo". Come disse Paolo in una sua lettera (compresa nel cànone biblico) a proposito di un incestuoso: "questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore" (1Cor 5,5). Come Dio chiama il singolo a stargli davanti nella fede, così lo può ripudiare. Pensai che Nietzsche, incapace di questo còmpito, fosse stato costretto a una maledizione senza poter neppure capire chi veramente stava colpendo e cosa invece ne doveva rimanere fuori; semplicemente perché si era scontrato coi soli fraintendimenti. Per restare all'esempio biblico che ho fatto: l'espressione 'rovina della carne' non significa decadimento del corpo. Molti imputano a Paolo un dualismo che considera il corpo una cosa vile cui non badare tanto, ma nelle sue Lettere (comprese nella Bibbia) il linguaggio è adoperato diversamente: carne serve a indicare la condizione alienata del corpo quando si rifiuta Dio, concentrandosi solo sulla propria finitezza e non potendo vivere felicemente neppure la fisicità... Per questo quella 'rovina' è il portare alle estreme conseguenze questa alienazione fino a riaprirsi all'Infinito. Non cioè la strategia repressiva, tanto rimproverata ai cristiani, non il terrore cieco per il negativo come se questo fosse direttamente il male...
Nietzsche non riuscì ad accedere al vero contenuto della dottrina cristiana. Neanche con Socrate, Platone e il neoplatonismo arrivò a una comprensione. Così si può descrivere il dualismo platonico: chi vuole ottenere la saggezza deve volgersi alla realtà dell'anima e dello spirito, non cercarla nel proprio corpo e nella materia, che in questa ricerca gli sarebbero prigione e morte. Ciò significa che non si tratta di dualismo ontologico. F. W. Nietzsche pensò invece che il cristianesimo fosse un platonismo per il popolo ed entrambi una caduta verso la debolezza, una voluttà di morte, in particolare la fede cristiana aberrante e vile.
Che dire? Quale scrittore anticristiano, Nietzsche fu un falso maestro. Cos'altro si potrebbe pensare a fronte delle nefandezze uscite dalla sua penna contro la fede e religione di Cristo? Quale intellettuale, era uno che mancava non dico di conoscenze, ma proprio delle informazioni giuste. Per colpa, responsabilità? Si racconta che fosse un uomo sensibilissimo, assai isolato in società, alla fine avversato anche dall'unica persona rimastagli, sua sorella, che venuto lui meno si piccava di organizzare i suoi appunti su La volontà di potenza senza intenderne per davvero. Giudizi a parte, Nietzsche davvero non aveva capito in che cosa consistesse la fede in Cristo.
Resta il disastro di quella maledizione, e resta pure l'ingenuità dell'appello alla vitalità e alla forza. Non metto in dubbio: se ci sono tante religioni un motivo c'è e non esiste solo la necessità cristiana; il suo appello a una religiosità aristocratica, a un nuovo paganesimo, aveva un senso; la spiritualità del Così parlò Zarathustra è altissima e ha dato tanto e tanto potrà dare; ma è vero pure che gli eventi del XX° Secolo non hanno mostrato solo la fallacia dell'indirizzo marxista per le masse ma anche la insufficienza dell'ispirazione nietzschiana per coloro che avevano un potere sulle masse. Stalin da una parte, ma pure Mussolini e Hitler dall'altra.
Mauro Pastore
Nietzsche al contrario lo vedo, paradossalmente, come una figura in grado di dare uno scossone alle coscienze cristiane.
La sua critica al cristianesimo, complessa ed articolata, mette in risalto molte delle ipocrisie di questa religione (addirittura quelle stesse ipocrisie denunciate da Gesù).
Ad esempio, l'uso dell'umiltà come arma per sentirsi superiori agli altri.
Porgere l'altra guancia non perché sento un "noi", ma per dimostrare all'avversario di non volermi abbassare al suo livello.
L'idea del Paradiso come un traguardo personale ed egoistico da raggiungere, compiendo "buone azioni" così da accumulare punti per la beatitudine finale; aiuto l'altro non perché mi interessa di lui, ma perché mi interessa di me e della mia salvezza.
Il desiderio di vendetta soddisfatto dall'idea di vedere i malvagi bruciare all'Inferno.
L'idea di un Aldilà per fuggire da questa vita, sminuendo e non apprezzando così il suo valore.
E così via, penso siano molti gli spunti che la lettura dell'Anticristo possa suscitare nelle coscienze.
Il problema di Nietzsche sta nel fatto che per poter superare la Morale e la Legge come il suo superuomo avrebbe dovuto fare, bisogna prima aver raggiunto una maturità psicologica/spirituale tale da aver compreso che c'è altro oltre il proprio "Io" (chi lo chiama Dio, chi lo chiama Sé, chi lo chiama Inconscio, chi lo chiama Mistero,...).
Dal Codex Bezae:
Quando, quello stesso giorno, [Gesù] vide un uomo lavorare di sabato, gli disse: "Uomo! Se sai cosa stai facendo, sei benedetto! Ma se non lo sai sei maledetto e trasgressore della legge. "
Citazione di: ricercatore il 30 Dicembre 2024, 11:37:41 AMNietzsche al contrario lo vedo, paradossalmente, come una figura in grado di dare uno scossone alle coscienze cristiane.
La sua critica al cristianesimo, complessa ed articolata, mette in risalto molte delle ipocrisie di questa religione (addirittura quelle stesse ipocrisie denunciate da Gesù).
Ad esempio, l'uso dell'umiltà come arma per sentirsi superiori agli altri.
Porgere l'altra guancia non perché sento un "noi", ma per dimostrare all'avversario di non volermi abbassare al suo livello.
L'idea del Paradiso come un traguardo personale ed egoistico da raggiungere, compiendo "buone azioni" così da accumulare punti per la beatitudine finale; aiuto l'altro non perché mi interessa di lui, ma perché mi interessa di me e della mia salvezza.
Il desiderio di vendetta soddisfatto dall'idea di vedere i malvagi bruciare all'Inferno.
L'idea di un Aldilà per fuggire da questa vita, sminuendo e non apprezzando così il suo valore.
E così via, penso siano molti gli spunti che la lettura dell'Anticristo possa suscitare nelle coscienze.
Il problema di Nietzsche sta nel fatto che per poter superare la Morale e la Legge come il suo superuomo avrebbe dovuto fare, bisogna prima aver raggiunto una maturità psicologica/spirituale tale da aver compreso che c'è altro oltre il proprio "Io" (chi lo chiama Dio, chi lo chiama Sé, chi lo chiama Inconscio, chi lo chiama Mistero,...).
Dal Codex Bezae:
Quando, quello stesso giorno, [Gesù] vide un uomo lavorare di sabato, gli disse: "Uomo! Se sai cosa stai facendo, sei benedetto! Ma se non lo sai sei maledetto e trasgressore della legge. "
La tua replica manca di individuazione opportuna di religione e fede cristiane. Voglio dire: non è la coscienza cristiana che merita uno "scossone", ma la leggerezza di tanta parte della cristianità. Il fenomeno che tu descrivi non è cristiano e quei credenti in Cristo che accolgono gli errori che tu dici non vanno criticati per la loro fede ma per la corruzione del pensiero.
Bisogna andare oltre le idee positivistiche del secolo XIX, cui Nietzsche contraddittoriamente inclinò dopo aver fatto lui stesso critica del positivismo. In merito al superamento dell'
egocentrismo, si dovrebbe specificare in forza di quale principio. Assoluto, relativo? Collettivo, singolare? L'
ego può esser ricondotto ai propri limiti secondo varie modalità in riferimento a varie situazioni. Non esiste solo la integrazione nel collettivo, esiste anche il recupero della propria singolarità, non solo la psicologia degli archetipi ma pure quella umanistico-esistenziale.
Il superomismo nietzschiano è interpretabile
transpersonalmente, considerando l'essere umano quale vivente tra i viventi. Ciò ha una sua validità e anche i suoi limiti, infatti è un essenzialismo che se usato a sproposito conduce a negare la propria singolarità, come si nota nel cosiddetto
transumanesimo, ove il confine tra materia inerte e biologica, Io e altro, è occultato.
Non bisognerebbe dimenticare la tragica vicenda di Nietzsche durante e dopo la sua
svista anticristiana, è opportuno a riguardo considerare le
scoperte filosofiche di Kierkegaard senza confonderle con le piccolezze della sua condizione o le mediocrità della sua situazione. Entrambi ebbero una vita difficile, più ancora il danese ma per vicende difficili, mentre i guai dell'altro dipesero dalla sua pretesa eccessiva. La distinzione tra il Singolo e la Folla fatta da Kierkegaard e l'
affollarsi culturale, entusiastico, distratto, ingenuo, attorno al pensiero anticristiano di Nietzsche, la dicono lunga.
MAURO PASTORE
Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMQuasi disperavo e, disperando, stavo per abbandonare desolato questa discussione. Ma talvolta i miracoli si verificano proprio quando non te li aspetti più. Ero stanco dell'inutile Ping-pong intorno alla trascendenza, al trascendente ed al trascendentale. Opportunamente sollecitato, finalmente un intervento davvero pregevole, seminale e preannuncio (non mi smentire, non ti smentire) di una fertile chiacchierata. Confesso, stavo per rinunciare a leggere l'ultimo commento... mi sarei perso davvero qualcosa di apprezzabile e piacevole, al tempo stesso.
Non sono ironico!
Io scrivo con spirito militante, non trovando piacere nelle tue repliche ma nel replicarvi. Constato in esse una solenne superficialità, quindi delle interpretazioni sbagliate delle mie parole, cosa che è la norma in casi come questo (purtroppo), oltre che una grande attenzione al lato negativo dell'esistenza, condotta però anche fino all'ossessione e a continue illazioni.
Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMTralascio l'intera sezione riconducibile alla stenta polemica di "chi ce l'ha più lungo e duro", troppa noia. Per immergermi completamente nei pregevoli passaggi che riporto e commento:
"In verità ciò che la vita è non può ridursi a ciò che un cadavere è. Questa mia affermazione non conferma il dogma materialista, ma è nondimeno un empirismo. Però basta a quel poco che serve, quando serve. Dico cioè che l'esperienza della vita non induce a credere alla morte assoluta, anzi dimostra che qualcosa resta. Kant, campione del pensiero filosofico detto accademicamente contemporaneo, lui che l'empiria la praticava, la accettava e ne valutava i limiti, era un sostenitore dell'immortalità dell'anima. Certo, la scienza biologica arriva solo a un confine. Ma l'ermeneuta ci mette pochissimo per collegare l'osservazione biologica-scientifica dell'incommensurabilità corpo vivo - corpo morto all'affermazione della metafisica della morte."
Non mi interesso più di tanto di quel che poteva sostenere chicchessia sul tema in argomento, mi interessa molto di più ciò che hai da dirmi tu su questo tema. Scorgi nella morte i segni di una ulteriorità che io non vedo, essendo coinvolto nell'osservazione della dissoluzione della materia, unica sostanza che – a parer mio – la morte lascia emergere. Non trovo i segni dell'oltre, men che meno scorgo quel che con intelligenza emotiva (questa volta sì, porca miseria) sei riuscito ad esprimere tu. È il percorso di vita, l'intera esistenza che non autorizzerebbe a scolorire o cancellare l'oltre che compete all'essere, anche e soprattutto dopo la morte. Ti chiedo, a questo punto: se così è, avendo espresso questo piacevolissimo concetto, come puoi sostenere al medesimo tempo e nello stesso commento, solo poche righe prima, che "Suicidio razionale può essere restare in nave per salvare quanta più gente possibile secondo il proprio còmpito di capitano; ma se si tratta di turisti non rispettosi della natura e pure criminali? Varrebbe la pena sacrificarsi? A fronte del vaneggiamento ateo intollerante non vale essere disponibili, ma dare dei no."? Rabbia? Intolleranza rispetto al prossimo non credente? Quasi ti sfugge l'abominio di equiparare un ateo ad un criminale... anzi, proprio ti sfugge, senza il quasi. Tu intravedi nell'esistenza un qualcosa che proietta l'essenza in un dopo ultraterreno, cosa che per me è solo frutto della necessità di trovar conforto e acquietare l'angoscia esistenziale che coglie chiunque dovesse meditare sinceramente sull'esistenza e la sua vacuità. Questo diverso angolo visuale non autorizza nessuno dei due ad imputare all'altro deficienze o tendenze criminogene di sorta. Cosa ti spinge a farlo? Insicurezza? (Qui è sfuggita a me la scorrettezza di personalizzare).
Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel
percorso di vita, nell'
intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Se uno sceglie la via dell'intolleranza, se si mette a smentire comunicazioni necessarie per la vita, inutile domandarsi come mai riceva rifiuto e rabbia. Il potere dell'ateismo intollerante, insinuato nelle speranze socialiste, dal secolo XIX fino al XX ha fatto moltitudini di vittime, anche morti, ed attualmente resta ostacolo
mortifero. Le
lagne sono dentro anche ai sistemi sanitari degli Stati, per cui certe vitalità e ottimismi sono trattati da psicosi e la cittadinanza ne patisce, problema che si risolve smascherando e punendo gli intrusi, senza generare accanimento sulle vittime. L'insistenza di certe smentite atee a supporre indebitamente patologie, psichiche, fisiche, psicofisiche in chi si sta smentendo ha un versante delittuoso.
Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMUn pensatore, non troppo tempo fa, sosteneva che: "vi è soltanto un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo."
Chiudeva il suo saggio affermando: "Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice". È un po' la filosofia del viandante, che si concentra sul viaggio, non sulla meta, e trae gioia e le ragioni del suo camminare ogni volta non dal traguardo, ma dalla strada percorsa, che rappresenta anche il vero senso e la ragione di cui è impregnato l'inesausto suo 'errare' (leggilo pure nella sua doppia accezione). Il succo gustoso che puoi suggere dalla Vita, il senso e il significato che ne attingi e, al tempo stesso, le rendi sono tutti inscritti ed incisi in quell'unico segmento che è sospeso fra due totali assenze, due Nulla. La vita è un'escrescenza momentanea dell'assoluto Nulla. Ma tale consapevolezza, non è un viatico per immaginare un ateo che rinunci ad immaginare Sisifo felice.
"Non c'è dubbio che l'esistenza precede l'essenza... ma gli esistenzialismi che negano tout court l'essenzialismo non recano più minima saggezza sufficiente per filosofare. I testi di tal 'Visechi' in questa discussione sono questo: esistenzialismi-antiessenzialismi radicali fino alla non-filosofia; il loro potere sofistico, quando c'è, va neutralizzato (io l'ho fatto, nella fattispecie)."
Qui sbagli! La consapevolezza del fatto che l'esistenza precede l'essenza, tipica del pensiero di Sartre, non nega l'essenza, la quale prende forma e consistenza, colore e calore solo in virtù e dipendenza della particolare modalità di essere nel mondo. In sintesi, l'essenza si costruisce attraverso le esperienze ed in funzione delle scelte e del proprio impegno nella vita. È frutto di sé stessi. Siamo scaraventati nel mondo e costretti a vivere la vita. Perciò l'essenza ha più importanza dell'esistenza stessa, perché è frutto della libertà dell'essere, è un suo costrutto, un suo ordito, una sua architettura, e ciascuno è quel che ha determinato per sé stesso. È ciò, fra l'altro, che massimamente esalta l'etica della responsabilità; una ben diversa modalità di partecipare all'esistenza di quella proposta dal cristianesimo, che, delinea un percorso che già in partenza è gravato di una colpa d'origine, da qui l'esigenza del perdono, che svuota di consistenza e rilevanza la responsabilità e l'agire, che, manzonianamente (fai tesoro della critica gramsciana), è sempre determinato e 'voluto' dalla provvidenza. Due visioni, due modi di porsi di fronte all'esigenza di vivere... senza rinunce, nell'un caso come nell'altro. Con la differenza che nel primo caso la partecipazione è determinata in funzione della libertà personale, nell'altro caso si tratta di una determinazione esogena. Ed essendo tale, anodina e non pienamente partecipe delle vicende umane.
Che dire del
Sisifo di Camus? Il mito può essere rifatto, secondo una autentica poièsi, oppure se ne può fare una versione spuria. La
fatica di Sisifo quale immagine universale e esistenziale funziona se i sassi che si è condannati a lanciare dopo puntuali cadute sono i còmpiti della vita, ma in una visione da incubo. Fosse tragedia reale, allora non varrebbe la pena di vivere.
Io dicevo di metafisiche della morte, della nascita... ma il problema filosofico
par excellence diventa proprio il suicidio solamente per coloro che non hanno prospettive esistenziali libere: nella storia del Secolo XX risalta la vicenda di tanti ambienti sociali atei, illusi di costruire un mondo migliore senza Dio, che finirono a valutare con travaglio il proprio fine-vita. Non tutti vollero però essere coinvolgenti, si badi.
Su Sartre, io non ho bisogno delle tue lezioni. La interpretazione che tu ne dai si fonda su un'idea eccessiva della arbitrarietà. Invece il nostro esistere determina il nostro essere secondo un'Origine, con i nostri limiti e secondo natura non solo cultura. Nel senso che tu intendi, non siamo "scaraventati nel mondo", ma messi al mondo secondo un
ordine, cosmoantropologico; da cui tu esuli - ed esulandone è inutile costruire teorie sulla non esistenza di un'origine trascendente.
Quanto alla vera dottrina cristiana, non dice di colpe di partenza né attribuisce a tutti la
trasgressione di Adamo.
Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PM"Il termine di paragone della obiezione atea è un sogno irrealizzabile che fa apparire indegna la vita e la stessa sua Origine, sogno che sembra soltanto, bello. Ma se c'è direttamente un inganno, vale la prospettiva cristiana. Se tal sogno ha un suo potere esterno, che supera le umane capacità, vale la fede cristiana, il vivere assieme a Dio quando umanamente è impossibile altrimenti."
Non ti nascondo il mio apprezzamento per questo pensiero. Ma ciò non mi impedisce di rilevare, ancora una volta, una gradevolissima istanza dell'anima di trovar conforto; di desiderio di quietare quel che nel profondo ribolle. Non nutro dubbi che sia un abbraccio caldo e confortevole, quel che descrivi, ma ho sensate ed enormi riserve che si tratti di qualcosa di 'Vero' e non solo sognato. La tua pare la descrizione, piacevole – perché non riconoscerlo? -, di un desiderio. Poni la condizione che "ci sia un inganno', non ti sottrai, parrebbe, alla possibilità che abbaglio non sia. Subito dopo, senza cesura, compi un balzo che non è argomentato (non potrebbe esserlo), affermando che 'vale la fede cristiana'... ovviamente, solo se inganno ci fosse. Io sostengo che non c'è, tu sì: dimmi perché dovrebbe essere più credibile ciò che si sottrae pienamente e tenacemente all'esperienza a scapito di ciò che è più immediato?
"Io gli avevo già fatto l'esempio del vero itinerario leopardiano: nella scoperta finale del potere consolatorio delle illusioni (poetiche), cade il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure la facoltà poetica."
Pur cogliendo in maniera corretta il valore consolatorio che Leopardi attribuiva all'arte poetica, quindi all'arte tutta, e pur avendone registrato la funzione illusoria, ti perdi nel derivarne arbitrariamente ed in maniera incongruente l'esistenza di Dio. Non fare torto a te stesso. Questa correlazione probatoria dell'esistenza di Dio dalla scoperta della poesia, fa torto a tutto ciò che finora hai sostenuto: talvolta con spocchia, altre volte in maniera irrelata, oggi piacevolmente. Analogamente, la nozione del Male autorizzerebbe a far "cadere il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure il Male".
Inoltre, ti faccio notare che, nel tuo asmatico trasporto patrocinatore, non ti avvedi che con evidente chiarezza Leopardi, se di Leopardi vuoi trattare, parla di finzione, di illusione, di messinscena e mistificazione. Non puoi desumerne, dunque, un diverso itinerario se non quello del pessimismo o, quantomeno, della negazione di un oltre divino, che non nega o ricusa la Trascendenza, anzi arriva addirittura ad esaltarla (per carità, non torniamo su questa nenia, ho visto che non sei in condizione di uscire dalla confusione).
Tu parli di
abbracci consolatori cui il credente si abbandonerebbe, dici di non scorgere inganni da cui fuggire, cerchi argomenti per la fede... Innanzitutto è la
vostra concezione da incubo ad essere una illusione; la coltivate perché non avete capito fino a che punto il
negativo nel mondo può essere oltre le nostre forze e il nostro arbitrio e ci scherzate. Pensi
Sisifo senza scorgerne la saggezza del mito, che non dice dell'esistere ma di una via da non prendere per non finire nella inanità. La saggezza del mito allude a una trascendenza assoluta, al divino, invita a cogliere la bellezza divina dietro la natura, anche per contrasti, suscitando l'incubo per instillare prudenza e altre visioni serene. Sisifo non è immagine dell'Uno, di Dio stesso, ma un suo riflesso, di un suo terribile avviso. Ciò è utile a fronte di un universo in realtà imprevedibile in massima parte. Il ricorso alla fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano vale quando la saggezza del mito non basta. L'argomento? Non c'è un argomentare originario: chi ama la vita si trova a fronte, prima o poi, di un Mistero; e quel che è necessario fare, o lo si fa o è non-vita.
Non hai compreso il mio ragionamento circa la cosiddetta "religione delle illusioni" di Leopardi. Io non stavo derivandone l'esistenza di Dio, ma la confutazione dell'inesistenza di Dio. Se è bella la poesia a fronte dei guai del mondo, non c'è ragione di negare il Dio creatore.
Invece di supporre
asme dell'interlocutore, provate
voialtri a capire meglio i pericoli del mondo senza interferire su comunicazioni necessarie e senza attacchi indèbiti e mascherati alle prudenze o precauzioni necessarie.
Infine: non è opportuno accantonare i ragionamenti sbagliati su trascendenze, trascendentalità e non, prima di risolverli. Giocare con queste nozioni ateisticamente fino al nichilismo è contraddittorio, illogico, e l'intollerante che scantona non ha dalla sua né ragioni né sentimenti; lo prova l'abbandono degli stessi ragionamenti, da parte sua, mentre il suo compiacimento per l'incubo esistenziale dimostra un disamore per la vita, non la consapevolezza e difesa dal male.
MAURO PASTORE
Decido di bypassare a pié pari il tuo ulteriore tentativo di reiterare e tenere in vita la stucchevole e noiosissima querelle circa la lunghezza e durezza del pene. Non mi interessa.
Mi vorrei concentrare su altre sezioni del tuo ultimo commento per rilevare, dispiaciuto, la banalizzazione di un concetto in precedenza espresso piacevolmente, a parer mio prodromo, se intelligentemente sviluppato, di una fertile chiacchierata. Perché arretri?
Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Cercare nella morte l'assenza di segni utili e sufficienti a negare l'ulteriorità (magari così è anche più leggibile – questo hai voluto esprimere) e gioire trionfante avendo la conferma della loro assenza (esito del tutto scontato, essendo la morte muta, sebbene parli ai vivi... un paradosso che ti invito ad esaminare e sciogliere), banalizza proprio quella che tu pomposamente, ma dimostrando di non averne alcuna cognizione, chiami "metafisica della morte", che, caro mio, non osserva l'immobilità del cadavere e il disfacimento della morte, ma interroga l'esistenza, la Vita stessa al cospetto del cadavere, il cui messaggio muto ci perviene attraverso il corpo piagato che emerge glorioso dalle pieghe della sofferenza (immagino comprenda a chi o cosa alluda). Immagino anche che, nel tuo sperso vagolare fra gli ascosi ed erti pendii della metafisica, avrai avuto sentore del mastodontico corpus teologico che racconta del dolore. Metafisica – quella del dolore, della sofferenza e del patire umano – che parla alla Vita proprio della Morte, rappresentandone un annuncio, un barbaglio, una precognizione, come ben raccontano Natoli o Galimberti o Pareyson o Quinzio (Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo) o i testi della mistica cristiana o i tomi di antropologia post Olocausto. E parlare del dolore, di un'anima ferita, della sofferenza significa ascoltare, in "timore e tremore", anche il lamento che ancora oggi la croce scaglia sull'umanità; in definitiva, del Dio appeso ai legni. Intersecare la dimensione del sofferente, significa anche essere scaraventati nella dimensione abitata dal Male. E del Male, l'esistenza non può disinteressarsi, non può ignorarne il cupo ringhiare.
Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. Il dolore è un'esperienza di morte. L'essere nel mondo del Male riempie il pensiero e le riflessioni dell'uomo, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.
Il Male, infatti, interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga sé stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.
Con un orrido tratto di penna, ignorando chi o cosa in effetti parla della Morte alla Vita, nel tuo incerto vagolare, non reperisci alcuna traccia della metafisica del dolore, che si nutre di contenuto e significato attingendo linfa dai legni di Cristo. Hai così banalizzato l'intera metafisica della Morte, precludendoti di fatto la possibilità di affacciarti sul limine ove – appena sussurrato – si apre il dialogo fra Trascendenza (Dio è morto, non c'è più un'urgenza di riempire l'oltre con un Dio) ed immanenza. Dialogo che si genera dalla visione del cadavere, che, nella sua immobilità ed antinomia, dal fondo abissale ove è il Nulla assoluto, parla ai vivi, ma solo come testimonianza ultima del dolore. Non fu certo il Dio cristiano ad intridere di senso e di riflessione la visione della Morte. Fin dall'alba dell'umanità abbiamo offerto sepoltura ai nostri morti, non solo per sottrarne le spoglie mortali alla brama delle fiere, ma perché quei morti, nel loro immoto silenzio, hanno sempre parlato alla Vita.
Ateismo non sta ad indicare in maniera automatica e matematica assenza di spiritualità. Esiste questa eventualità, ma è appunto una possibilità, non una condizione automatica. Si tratta di una spiritualità diversa dalla tua. La spiritualità di un ateo non solleva lo sguardo verso il cielo in attesa di segni ultraterreni (chissà se sei in condizione di comprendere il linguaggio allegorico). È uno sguardo che "rimane fedele alla terra e non crede a quelli che parlano di sovraterrene speranze!". Se vuoi puoi anche immaginare uno sguardo disincantato rispetto alla promessa escatologica del cristianesimo, ma denso di stupore nel cogliere le meraviglie della vita. Te l'ho già spiegato, ma pare proprio che rifiuti pregiudizialmente questa verità. L'intolleranza della fede non concede campo alla possibilità di amare la vita per quella che è, ed accettarne il cammino, senza aver speranze in ordine alla meta. Ed è questa intolleranza che ti impedisce di comprendere il ragionamento intorno al Sisifo di Camus e fraintendere completamente Nietzsche. Intolleranza che, ancora una volta, non concede spazio e campo alla possibilità che l'esistenza di un ateo possa essere ricca e si realizzi interamente illuminata da un'etica che non ha necessità di attingere regole di comportamento da un Libro che è compendio di pensieri e volontà apologetiche umane, formatesi mille e mille anni addietro e sclerotizzatesi perché infarcite di dogmatica, validata e confermata ex cathedra da altri uomini. L'etica dell'ateo si forma e edifica attraverso un inesausto intenso colloquio con la storia e si radica in profondità nell'umana capacità di commozione ed empatia. È pronunciata e validata anno su anno, e non è scritta su tavole di pietra consegnate da entità ultraterrene. L'etica atea è endogena, guarda il cuore dell'uomo e da questo attinge consigli ed avvertimenti in merito alla giustizia e alla solidarietà, che riversa in testi scritti ove mano di Dio mai si è posata. Scrive che gli uomini nascono uguali, con uguali diritti e dignità, cosa inaudita per il popolo eletto, per esempio. Mai pronunciata dal Dio degli eserciti, il Dio geloso del Libro. Il tuo Dio, suppongo. È volontariamente accolta nell'animo di chi in essa si riconosce e non è imposta con i carri armati USA (vedasi Iraq) o sotto insegne crociate al canto di Osanna e Gloriae. È un'etica che alimenta il coraggio di vivere. Eroica. Il rispetto che esigi tu per la tua fede dovrebbe suggerirti maggior cautela e rispetto nei confronti di ciò che non comprendi e ricusi. So già che questi richiami non saranno sufficienti a scalfire la sicumera che mostri, proprio perché quel che scrivi è infarcito di quella stessa intolleranza che trasformò i perseguitati in aguzzini nel giro di un editto. Arroganza che ti nega la gnosi dell'intera dottrina del peccato che da sempre informa i testi cui il cristianesimo fa riferimento costante. La colpa e il peccato che diedero forma alla teologia dell'apostolo delle genti e che si riverberano nelle pagine di Agostino. Ma capisco, scrivi di "vera dottrina cristiana" lasciando così intendere che quella che ha mosso Crociate, dato la parola a Tommaso e Agostino, elevato al soglio di Pietro fior di delinquenti, quella lasci intendere non sia vera. Eppure, questa menzogna incardinata nella storia secolare dell'umanità è la stessa che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano". Insomma, davvero tanta confusione. I paralogismi espongono quel che sostieni alla fondata critica di far carta straccia di tutto ciò che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano" e di sacrificarlo sull'altare dell'Ego, impegnato com'è a dimostrare al vagheggiato auditorio di avercelo più lungo e duro del tuo interlocutore di turno. Ego che si nutre di blasfemia che celi sotto una coltre di sofismi filosofeggianti che nulla dicono di quel che anima e ribolle dentro ciascuno di noi.
Ebbene sì, ci son cascato anch'io nella personalizzazione.
Parli di ateismo criminale, alludendo al sangue versato in nome di malintese dottrine sociali imbevute di ateismo, ma nel tragitto che ti conduce ad additare e giudicare il prossimo tuo scordi il tanto sangue che intride storia e pianeta, versato in nome delle religioni, soprattutto la tua. Pecchi di ingenua arroganza, scordando di badare alla trave che ottunde la tua vista, che non vede e non legge che il Dio cristiano è il Dio degli eserciti. È colui che ha decretato sterminio ed olocausto di genti ed armenti per tener fede al Patto.
Io cerco di limitarmi solo a richiamare la tua attenzione – invero assai carente – sull'enorme quantità di guerre condotte per affermare il tuo credo, la tua visuale del mondo, la tua morale, che un filosofo da te citato e poco compreso, definiva morale del risentimento. Io, facendo cenno al sangue e al dolore cagionato per affermare nel mondo il tuo credo in un solo Dio,/ Padre onnipotente,/ creatore del cielo e della terra,/ di tutte le cose visibili e invisibili, e richiamando la tua cautela, sono ben conscio di dover addebitare il pianto delle vittime alla stoltezza umana e di non dover includere quella che, pur trovandomi del tutto scettico, reputo una meraviglia degna di assoluto rispetto, ovverosia la spiritualità che con tanto accanimento e poco acume difendi con in tuoi interventi in questo forum.
Citazione di: Visechi il 01 Gennaio 2025, 23:23:43 PMDecido di bypassare a pié pari il tuo ulteriore tentativo di reiterare e tenere in vita la stucchevole e noiosissima querelle circa la lunghezza e durezza del pene. Non mi interessa.
Mi vorrei concentrare su altre sezioni del tuo ultimo commento per rilevare, dispiaciuto, la banalizzazione di un concetto in precedenza espresso piacevolmente, a parer mio prodromo, se intelligentemente sviluppato, di una fertile chiacchierata. Perché arretri?
Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Cercare nella morte l'assenza di segni utili e sufficienti a negare l'ulteriorità (magari così è anche più leggibile – questo hai voluto esprimere) e gioire trionfante avendo la conferma della loro assenza (esito del tutto scontato, essendo la morte muta, sebbene parli ai vivi... un paradosso che ti invito ad esaminare e sciogliere), banalizza proprio quella che tu pomposamente, ma dimostrando di non averne alcuna cognizione, chiami "metafisica della morte", che, caro mio, non osserva l'immobilità del cadavere e il disfacimento della morte, ma interroga l'esistenza, la Vita stessa al cospetto del cadavere, il cui messaggio muto ci perviene attraverso il corpo piagato che emerge glorioso dalle pieghe della sofferenza (immagino comprenda a chi o cosa alluda). Immagino anche che, nel tuo sperso vagolare fra gli ascosi ed erti pendii della metafisica, avrai avuto sentore del mastodontico corpus teologico che racconta del dolore. Metafisica – quella del dolore, della sofferenza e del patire umano – che parla alla Vita proprio della Morte, rappresentandone un annuncio, un barbaglio, una precognizione, come ben raccontano Natoli o Galimberti o Pareyson o Quinzio (Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo) o i testi della mistica cristiana o i tomi di antropologia post Olocausto. E parlare del dolore, di un'anima ferita, della sofferenza significa ascoltare, in "timore e tremore", anche il lamento che ancora oggi la croce scaglia sull'umanità; in definitiva, del Dio appeso ai legni. Intersecare la dimensione del sofferente, significa anche essere scaraventati nella dimensione abitata dal Male. E del Male, l'esistenza non può disinteressarsi, non può ignorarne il cupo ringhiare.
Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. Il dolore è un'esperienza di morte. L'essere nel mondo del Male riempie il pensiero e le riflessioni dell'uomo, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.
Il Male, infatti, interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga sé stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.
Con un orrido tratto di penna, ignorando chi o cosa in effetti parla della Morte alla Vita, nel tuo incerto vagolare, non reperisci alcuna traccia della metafisica del dolore, che si nutre di contenuto e significato attingendo linfa dai legni di Cristo. Hai così banalizzato l'intera metafisica della Morte, precludendoti di fatto la possibilità di affacciarti sul limine ove – appena sussurrato – si apre il dialogo fra Trascendenza (Dio è morto, non c'è più un'urgenza di riempire l'oltre con un Dio) ed immanenza. Dialogo che si genera dalla visione del cadavere, che, nella sua immobilità ed antinomia, dal fondo abissale ove è il Nulla assoluto, parla ai vivi, ma solo come testimonianza ultima del dolore. Non fu certo il Dio cristiano ad intridere di senso e di riflessione la visione della Morte. Fin dall'alba dell'umanità abbiamo offerto sepoltura ai nostri morti, non solo per sottrarne le spoglie mortali alla brama delle fiere, ma perché quei morti, nel loro immoto silenzio, hanno sempre parlato alla Vita.
Ateismo non sta ad indicare in maniera automatica e matematica assenza di spiritualità. Esiste questa eventualità, ma è appunto una possibilità, non una condizione automatica. Si tratta di una spiritualità diversa dalla tua. La spiritualità di un ateo non solleva lo sguardo verso il cielo in attesa di segni ultraterreni (chissà se sei in condizione di comprendere il linguaggio allegorico). È uno sguardo che "rimane fedele alla terra e non crede a quelli che parlano di sovraterrene speranze!". Se vuoi puoi anche immaginare uno sguardo disincantato rispetto alla promessa escatologica del cristianesimo, ma denso di stupore nel cogliere le meraviglie della vita. Te l'ho già spiegato, ma pare proprio che rifiuti pregiudizialmente questa verità. L'intolleranza della fede non concede campo alla possibilità di amare la vita per quella che è, ed accettarne il cammino, senza aver speranze in ordine alla meta. Ed è questa intolleranza che ti impedisce di comprendere il ragionamento intorno al Sisifo di Camus e fraintendere completamente Nietzsche. Intolleranza che, ancora una volta, non concede spazio e campo alla possibilità che l'esistenza di un ateo possa essere ricca e si realizzi interamente illuminata da un'etica che non ha necessità di attingere regole di comportamento da un Libro che è compendio di pensieri e volontà apologetiche umane, formatesi mille e mille anni addietro e sclerotizzatesi perché infarcite di dogmatica, validata e confermata ex cathedra da altri uomini. L'etica dell'ateo si forma e edifica attraverso un inesausto intenso colloquio con la storia e si radica in profondità nell'umana capacità di commozione ed empatia. È pronunciata e validata anno su anno, e non è scritta su tavole di pietra consegnate da entità ultraterrene. L'etica atea è endogena, guarda il cuore dell'uomo e da questo attinge consigli ed avvertimenti in merito alla giustizia e alla solidarietà, che riversa in testi scritti ove mano di Dio mai si è posata. Scrive che gli uomini nascono uguali, con uguali diritti e dignità, cosa inaudita per il popolo eletto, per esempio. Mai pronunciata dal Dio degli eserciti, il Dio geloso del Libro. Il tuo Dio, suppongo. È volontariamente accolta nell'animo di chi in essa si riconosce e non è imposta con i carri armati USA (vedasi Iraq) o sotto insegne crociate al canto di Osanna e Gloriae. È un'etica che alimenta il coraggio di vivere. Eroica. Il rispetto che esigi tu per la tua fede dovrebbe suggerirti maggior cautela e rispetto nei confronti di ciò che non comprendi e ricusi. So già che questi richiami non saranno sufficienti a scalfire la sicumera che mostri, proprio perché quel che scrivi è infarcito di quella stessa intolleranza che trasformò i perseguitati in aguzzini nel giro di un editto. Arroganza che ti nega la gnosi dell'intera dottrina del peccato che da sempre informa i testi cui il cristianesimo fa riferimento costante. La colpa e il peccato che diedero forma alla teologia dell'apostolo delle genti e che si riverberano nelle pagine di Agostino. Ma capisco, scrivi di "vera dottrina cristiana" lasciando così intendere che quella che ha mosso Crociate, dato la parola a Tommaso e Agostino, elevato al soglio di Pietro fior di delinquenti, quella lasci intendere non sia vera. Eppure, questa menzogna incardinata nella storia secolare dell'umanità è la stessa che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano". Insomma, davvero tanta confusione. I paralogismi espongono quel che sostieni alla fondata critica di far carta straccia di tutto ciò che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano" e di sacrificarlo sull'altare dell'Ego, impegnato com'è a dimostrare al vagheggiato auditorio di avercelo più lungo e duro del tuo interlocutore di turno. Ego che si nutre di blasfemia che celi sotto una coltre di sofismi filosofeggianti che nulla dicono di quel che anima e ribolle dentro ciascuno di noi.
Ebbene sì, ci son cascato anch'io nella personalizzazione.
Parli di ateismo criminale, alludendo al sangue versato in nome di malintese dottrine sociali imbevute di ateismo, ma nel tragitto che ti conduce ad additare e giudicare il prossimo tuo scordi il tanto sangue che intride storia e pianeta, versato in nome delle religioni, soprattutto la tua. Pecchi di ingenua arroganza, scordando di badare alla trave che ottunde la tua vista, che non vede e non legge che il Dio cristiano è il Dio degli eserciti. È colui che ha decretato sterminio ed olocausto di genti ed armenti per tener fede al Patto.
Io cerco di limitarmi solo a richiamare la tua attenzione – invero assai carente – sull'enorme quantità di guerre condotte per affermare il tuo credo, la tua visuale del mondo, la tua morale, che un filosofo da te citato e poco compreso, definiva morale del risentimento. Io, facendo cenno al sangue e al dolore cagionato per affermare nel mondo il tuo credo in un solo Dio,/ Padre onnipotente,/ creatore del cielo e della terra,/ di tutte le cose visibili e invisibili, e richiamando la tua cautela, sono ben conscio di dover addebitare il pianto delle vittime alla stoltezza umana e di non dover includere quella che, pur trovandomi del tutto scettico, reputo una meraviglia degna di assoluto rispetto, ovverosia la spiritualità che con tanto accanimento e poco acume difendi con in tuoi interventi in questo forum.
Il Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "
io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono
proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
Metafisica del dolore, accanto a quelle di nascita, di morte? Il dolore non è un fenomeno-limite. Esso è un avviso che serve per vivere, non si presta ad essere affiancato a quegli altri due elementi per farci una metafisica di base. Se si ipostatizza il male, senza pensare alla
nuova vita (anche in questo mondo), negando il restare di qualcosa dopo la morte per ostinata distrazione, ci si sta compiacendo del lato negativo della esistenza. Inutile appellarsi all'esistere, in tal caso, se non per ammettere che il bisogno di pensarvi dipende dal dovervi scorgere anche la forza del positivo... Questa può esser negata, dagli atei, per un dispetto. nel caso specifico da odio per
il Dio degli eserciti. Qui si scorge ignoranza e confusione: la fede del
popolo eletto, che non è la mia, è altro dalla fede della
chiesa dei cristiani. Una fede collettiva, scambiata per individuale, lancia ombre sul senso, copre i significati. Nell'ebraismo si dice di una guerra per far prevalere Dio nella storia dei popoli, non di avidità di violenza; superando la violenza, entro una prospettiva che rimane assai terrena, tanto che l'aldilà è un regno di ombre comunitario. Lo
Sheol è diverso dall'Ade, anche dal
paradiso e inferno. Nel cristianesimo la salvezza non è quella per le opere terrene, dei popoli, ma la premessa per le giuste opere dei singoli; quindi la guerra è estrema, per non far prevalere il male nell'esistenza. Il Visechi crede nel male, e questo non è coraggio di accogliere il negativo che c'è, ma un lasciarsi ingannare e voler coinvolgere il prossimo in una
magia nera intellettuale. Non significa intendere Kant che criticava la teodicea filosofica - quella teologica è sempre stata al riparo dalle critiche e l'opera di Leibniz con essa è una teologia filosofica, non viceversa (Leibniz non era un laico cattolico, ma un protestante con un còmpito per le chiese, oltre che scienziato e filosofo anche teologo puro). Lo stesso appello a Nietzsche diventa spropositato, giacché la sua polemica in ultimo si accaniva sul senso dei valori, smentiva
ragionamenti alla moda e proponeva ragioni alternative, ma non costruiva falsi sillogismi né faceva dell'ateismo un fondamento. Esiste anche il Nietzsche politeista e le letture atee di sinistra non intendono l'interezza né il significato principale della sua
retorica. Questo lo scrivo non per competizione logica, a mo' di filosofi analitici usciti fuori di senno, ma per svelare certi meccanismi di suddetto tentativo di magia, scoprendone gli elementi. Difatti non c'è solo il vagheggiamento assurdo ma anche possibili inganni che restano attivi.
Io non stavo facendo una conferenza sulla spiritualità, dicendo di un Assoluto. Si pensa riguardo allo spirito, ma nel senso di sostanza spirituale, non di un'energia isolata che sarebbe un nulla. Si dice di altra dimensione con parole analogiche.
Quel che è sfavorevole oltre misura nel tipo di risposte ricevute a nome di 'Visechi' è una ostinata attenzione in una continua incomprensione, ostinate illazioni e proiezioni. Nella Bibbia si parla di ossessi e indemoniati, anche di branchi di porci non solo di società umane. Forse uno come il Visechi è mosso nella sua reiterata attenzione dagli scherzi dei porci, quelli che lasciano una salma adatta a rovinare l'incauto mangiatore?... sicché tanta disumanità si spiega con l'accoglimento di altre suggestioni, oltre a quelle di coincidenze ultime negative? Non è il caso di pensare solo ai porci, sia ben inteso. Invece che scambiare l'ateismo per una base stabile del pensiero, si potrebbe da parte sua provare a conoscere le opportunità religiose da un punto di vista culinario, facendosi appropriate domande: "Mi rende così indisponente coi veri filosofi l'arrosto di maiale? E il pollo al forno? L'ottundimento nel quale mi compiaccio, deriva dal maiale, dal pollo, dal vitello...?" E via dicendo così, senza star dietro ai credenti inutilmente.
MAURO PASTORE
Il Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
Lasciamo che l'eco delle lallazioni si sperda nell'etere o si diluisca inane fra i mille riveli tentacolari del web. Non curiamocene.
Ti rassicuro, non è mia intenzione di ipostatizzare il male ed ergerlo a feticcio cui tributare onori e gloria. Io non credo nel Male, credo, perché presente, nella sua esistenza e nel suo essere nel mondo (vorrei davvero vedere come potresti negarne l'esistenza). Son vieppiù convinto che un credente nel creatore di tutte le cose visibili ed invisibili debba arrendersi alla necessità che il Male sia frutto della volontà creatrice del creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (con buona pace dell'uomo settecentesco). Su questo argomento ti avevo preannunciato qualcosa. Se sei interessato a leggere, basta che segua il link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/la-fede-in-dio/135/
Ancora una volta fai riferimento a quel qualcosa che permarrebbe dopo ed oltre la morte fisica, ma di questo permanere o rinascere o essere post mortem non hai alcuna evidenza, se non quella resa disponibile dalla fede che sia così. Parimenti (meglio evidenziare, cerco di scongiurare i tuoi eccessivi fraintendimenti) e di contro, io sostengo che post mortem resta esclusivamente quel che hai saputo tessere in vita, ma non c'è metafisica in questo permanere, solo biochimica della memoria ed educazione sentimentale, per chi ovviamente ce l'ha. Per essere più chiari: dopo la morte resta esclusivamente un corpo che si decompone rilasciando gli elementi chimici che lo hanno costituito in vita e, cosa di unica vera rilevanza, il permanere negli affetti in Foggia di ricordo di quel che si è stati, oltre alla mirabilia delle opere d'ingegno, se ci sono. Tutto qui. Dicevo parimenti perché neppure io posso addurre prove di quel che tenacemente sostengo, se non un'evidenza non contrastata da mirabolanti altri accadimenti di segno contrario. Né io né tu possediamo le prove a sostegno di quanto affermiamo in merito al post mortem, ma ritengo assai più verosimile la mia tesi piuttosto che la tua, fondata com'è su argomentazioni teologiche radicate in una narrazione già di per sé assai dubbia e, ancora una volta, intrisa di fede. Se non altro quel che affermo io non ha necessità di piegare le ginocchia di fronte ad enti supposti reali, si accontenta semplicemente di osservare i dati forniti da scienza ed esperienza diretta: mai nessuno è tornato dall'aldilà per raccontarci cosa ci aspetta, e quall'unico a cui certa tradizione (non tutta, riconoscerai) attribuisce questa rinascita/resurrezione è anch'esso inserito in una narrazione resa dubbia dagli eccessivi interventi apologetici postumi. Avrai nozione, immagino, delle molteplici interpolazioni, errori e correzioni apportate nel corso dei secoli a quei testi da voi immersi nella fede ritenete sacri. Singolare concetto di sacertà, me ne darai atto. Mi dispiace che tu abbia ancora una volta sorvolato sul particolarissimo flusso dialettico che si genera al cospetto della morte. Potrei scriverti mille parole per farti capire, ma sarebbero vane. Mi affido, invece, al sentimento, alla poesia e rinuncio alla complessità per riportarti uno stralcio di una poesia che son certo sia ben nota anche a te. Lo faccio solo per semplificarti la comprensione, anche se non ci conto troppo:
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.Solo un breve stralcio, quel tanto che basta per trasmetterti in maniera forse più intelligibile che ciò che della Morte parla alla Vita, non è la mera contemplazione del corpo esamine, come hai inteso tu, ma la storia e la vita stessa di quel corpo oramai privo di vita. Ti lascio alla tua profonda - spero - meditazione al cospetto del corpo esamine di Napoleone.
Per quanto riguarda il Signore degli eserciti è un epiteto attribuito allo stesso Dio al quale tributi onore e nei cui confronti professi la tua fede, adesione interamente compresa in quel famoso credo istituito e compitato da mente e mano umana, pensavo fosse chiaro il riferimento al troppo cruento affermarsi della tua religione e confessione nel mondo, tanto da doverti suggerire di rinunciare al pulpito inadeguato al sermone pronunciato in ordine al tanto sangue versato dall'ateismo, perché quel pulpito su cui ti sei assiso galleggia sul sangue che l'affermazione nel pianeta della tua religione e confessione hanno preteso nei secoli. In poche parole: da quale pulpito arriva la predica. Tu, ignorando del tutto il mio richiamo, hai estrapolato l'epiteto per imbastirci intorno un non so che di stucchevole ed insignificante. Fede individuale o collettiva, sempre a quel Dio promosso nel mondo sotto la cruenta insegna della rosseggiante croce in campo bianco fai riferimento, e davanti a Lui chini il capo in una professione di fede che ti riporto integralmente:
Credo in un solo Dio,
Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato,
secondo le Scritture, è salito al cielo,
siede alla destra del Padre.E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.Credo la Chiesa,
una santa cattolica e apostolica.
Professo un solo Battesimo
per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà.
Amen.
Te l'ho riportato nella sua interezza ed ho rinunciato ad evidenziare i passaggi più controversi perché, essendo una professione di fede e come tale creduta vera a prescindere da ogni evidenza razionale (cui nell'ultimo post fai riferimento), è totalmente infarcita di assurdità, le quali fecero pronunciare ad un apologeta/esegeta la formula del Credo quia absurdum (adesso ti prego di evitarmi la notazione che Tertulliano visse ben prima della formulazione completa del credo Micene-costantinopolitano. Spero abbia compreso cosa intendo dire). Ti invito a leggerlo ed esaminarlo con estrema attenzione, evitando di salmodiarlo burocraticamente (impiegatiziamente mi piace di più, rende meglio il concetto) come solito nelle vostre cattedrali.
Prima di chiudere mi preme sottolineare ancora una volta la forte sensazione che tu di Nietzsche ne abbia compreso assai poco, sempre che ne abbia letto qualche stralcio. Anche su questo tema cercherò di agevolare la tua scarsa gnosi e mi produrrò – forse – in uno sforzo teso a chiarirti quel che della filosofia nicciana mi pare abbia totalmente frainteso... tanto per cambiare.
Per quanto riguarda la conclusione del tuo ultimo commento, mi pare tu straparli, forse in preda proprio a quella possessione demoniaca cui fai cenno. Ho deciso di non replicare per lasciarti crogiolare in quel fango che scalda la cotenna dei maiali.
Citazione di: Visechi il 09 Gennaio 2025, 12:17:45 PMIl Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
Lasciamo che l'eco delle lallazioni si sperda nell'etere o si diluisca inane fra i mille riveli tentacolari del web. Non curiamocene.
Ti rassicuro, non è mia intenzione di ipostatizzare il male ed ergerlo a feticcio cui tributare onori e gloria. Io non credo nel Male, credo, perché presente, nella sua esistenza e nel suo essere nel mondo (vorrei davvero vedere come potresti negarne l'esistenza). Son vieppiù convinto che un credente nel creatore di tutte le cose visibili ed invisibili debba arrendersi alla necessità che il Male sia frutto della volontà creatrice del creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (con buona pace dell'uomo settecentesco). Su questo argomento ti avevo preannunciato qualcosa. Se sei interessato a leggere, basta che segua il link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/la-fede-in-dio/135/
Ancora una volta fai riferimento a quel qualcosa che permarrebbe dopo ed oltre la morte fisica, ma di questo permanere o rinascere o essere post mortem non hai alcuna evidenza, se non quella resa disponibile dalla fede che sia così. Parimenti (meglio evidenziare, cerco di scongiurare i tuoi eccessivi fraintendimenti) e di contro, io sostengo che post mortem resta esclusivamente quel che hai saputo tessere in vita, ma non c'è metafisica in questo permanere, solo biochimica della memoria ed educazione sentimentale, per chi ovviamente ce l'ha. Per essere più chiari: dopo la morte resta esclusivamente un corpo che si decompone rilasciando gli elementi chimici che lo hanno costituito in vita e, cosa di unica vera rilevanza, il permanere negli affetti in Foggia di ricordo di quel che si è stati, oltre alla mirabilia delle opere d'ingegno, se ci sono. Tutto qui. Dicevo parimenti perché neppure io posso addurre prove di quel che tenacemente sostengo, se non un'evidenza non contrastata da mirabolanti altri accadimenti di segno contrario. Né io né tu possediamo le prove a sostegno di quanto affermiamo in merito al post mortem, ma ritengo assai più verosimile la mia tesi piuttosto che la tua, fondata com'è su argomentazioni teologiche radicate in una narrazione già di per sé assai dubbia e, ancora una volta, intrisa di fede. Se non altro quel che affermo io non ha necessità di piegare le ginocchia di fronte ad enti supposti reali, si accontenta semplicemente di osservare i dati forniti da scienza ed esperienza diretta: mai nessuno è tornato dall'aldilà per raccontarci cosa ci aspetta, e quall'unico a cui certa tradizione (non tutta, riconoscerai) attribuisce questa rinascita/resurrezione è anch'esso inserito in una narrazione resa dubbia dagli eccessivi interventi apologetici postumi. Avrai nozione, immagino, delle molteplici interpolazioni, errori e correzioni apportate nel corso dei secoli a quei testi da voi immersi nella fede ritenete sacri. Singolare concetto di sacertà, me ne darai atto. Mi dispiace che tu abbia ancora una volta sorvolato sul particolarissimo flusso dialettico che si genera al cospetto della morte. Potrei scriverti mille parole per farti capire, ma sarebbero vane. Mi affido, invece, al sentimento, alla poesia e rinuncio alla complessità per riportarti uno stralcio di una poesia che son certo sia ben nota anche a te. Lo faccio solo per semplificarti la comprensione, anche se non ci conto troppo:
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Solo un breve stralcio, quel tanto che basta per trasmetterti in maniera forse più intelligibile che ciò che della Morte parla alla Vita, non è la mera contemplazione del corpo esamine, come hai inteso tu, ma la storia e la vita stessa di quel corpo oramai privo di vita. Ti lascio alla tua profonda - spero - meditazione al cospetto del corpo esamine di Napoleone.
Per quanto riguarda il Signore degli eserciti è un epiteto attribuito allo stesso Dio al quale tributi onore e nei cui confronti professi la tua fede, adesione interamente compresa in quel famoso credo istituito e compitato da mente e mano umana, pensavo fosse chiaro il riferimento al troppo cruento affermarsi della tua religione e confessione nel mondo, tanto da doverti suggerire di rinunciare al pulpito inadeguato al sermone pronunciato in ordine al tanto sangue versato dall'ateismo, perché quel pulpito su cui ti sei assiso galleggia sul sangue che l'affermazione nel pianeta della tua religione e confessione hanno preteso nei secoli. In poche parole: da quale pulpito arriva la predica. Tu, ignorando del tutto il mio richiamo, hai estrapolato l'epiteto per imbastirci intorno un non so che di stucchevole ed insignificante. Fede individuale o collettiva, sempre a quel Dio promosso nel mondo sotto la cruenta insegna della rosseggiante croce in campo bianco fai riferimento, e davanti a Lui chini il capo in una professione di fede che ti riporto integralmente:
Credo in un solo Dio,
Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato,
secondo le Scritture, è salito al cielo,
siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa,
una santa cattolica e apostolica.
Professo un solo Battesimo
per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà.
Amen.
Te l'ho riportato nella sua interezza ed ho rinunciato ad evidenziare i passaggi più controversi perché, essendo una professione di fede e come tale creduta vera a prescindere da ogni evidenza razionale (cui nell'ultimo post fai riferimento), è totalmente infarcita di assurdità, le quali fecero pronunciare ad un apologeta/esegeta la formula del Credo quia absurdum (adesso ti prego di evitarmi la notazione che Tertulliano visse ben prima della formulazione completa del credo Micene-costantinopolitano. Spero abbia compreso cosa intendo dire). Ti invito a leggerlo ed esaminarlo con estrema attenzione, evitando di salmodiarlo burocraticamente (impiegatiziamente mi piace di più, rende meglio il concetto) come solito nelle vostre cattedrali.
Prima di chiudere mi preme sottolineare ancora una volta la forte sensazione che tu di Nietzsche ne abbia compreso assai poco, sempre che ne abbia letto qualche stralcio. Anche su questo tema cercherò di agevolare la tua scarsa gnosi e mi produrrò – forse – in uno sforzo teso a chiarirti quel che della filosofia nicciana mi pare abbia totalmente frainteso... tanto per cambiare.
Per quanto riguarda la conclusione del tuo ultimo commento, mi pare tu straparli, forse in preda proprio a quella possessione demoniaca cui fai cenno. Ho deciso di non replicare per lasciarti crogiolare in quel fango che scalda la cotenna dei maiali.
Il messaggio cui rispondo, non
replico, presenta degli errori di scrittura ma è pur sempre comprensibile con un po' di ovvio intùito. Trovo interessante mettere in luce qualcosa rispondendo, reiterando ma evidenziando aspetti diversi della questione oltre che aggiungere del nuovo, pur non essendoci reale interlocuzione con l'aspirante e fallimentare contendente.
Quanto a ciò su cui il Visechi converge, lui stesso non ne rispetta poi la verità, fingendo che non si era contraddetto né ammettendo che era stato poi corretto. Adesso lui dice di avere, anche lui, dogmi, poi se ne scorda seguitando ad affidarsi a ragionamenti a metà o sbagliati, seguitando ad offendere.
A livello empirico c'è l'evidenza, nel passaggio da corpo vivo a corpo morto, di una inspiegabile mancanza: tutto si trasforma, anche la vita, ma nel corpo morto non c'è vita.
Ciò mostra razionalmente, non scientificamente ma con eventuale apporto della ragione scientifica, l'esistenza di una
dimensione altra. L'aldilà religioso è vissuto col credere anche, che si fonda non sull'esperienza ma su un non esperire, spiegabile solo postulando un'
altra vita. Io non faccio a pugni con Kant.
I corpi dei defunti non attestano sempre il loro passato, meglio non intristire i lettori di versi funebri come invece fa Visechi. L'ateo supponente non comprende il mondo rifugiandosi nel nulla. Contemplare la morte di un moscerino, per esempio, e senza offendere la vita, potrebbe essere l'esperienza decisiva per questi atei.
Costoro devono rammentarsi dei milioni di morti fatti dai
diktat delle dittature atee, davvero in quanto tali, quindi comprendere l'estraneità al messaggio di Cristo delle violenze attuate dai fanatismi presenti tra i cristiani, infine valutare la storia dopo essersi fatta un po' di vera cultura sulla vera religione. Il Credo menzionato dal Visechi si chiama anche — e non a caso —
Simbolo. Provi lui e i suoi a rileggerlo così, come simbolo, prima di menzionarlo di nuovo. Tra l'altro non è l'unico Credo dei cristiani. Gli evangelici non lo accolgono tutti o sempre e la loro adozione di esso è affatto relativa, come quella del resto di tanti cattolici o ortodossi. Molti cristiani lo rifiutano proprio. I dogmi religiosi vanno intesi quali rappresentazioni che si avvalgono di forme che non sono esse stesse dogmi.
Non pensa mai il critico ostinato del
credo quia absurdum a
contestualizzare tale espressione? Essa si riferisce alla ragione che non accoglie Dio. Dal punto di vista esclusivamente mondano Dio è un'assurdità cui assentire e Tertulliano non era uno stupido, tantomeno da offendere.
Dispiace l'ennesima illazione, stavolta riguardo la mia presunta ignoranza, o peggio, su Nietzsche. Nonostante a volte io usi un po' di estetica tradizionale e solenne o stili espressivi datati, io ho una fortissima e ampia comprensione della attualità della sua opera, soprattutto profonda in virtù di una forte intuizione e conoscenza del suo mondo e della sua persona.
Su maiali e possessioni demoniache: io non mi riferivo a problemi con elementi estranei, quali il fango; ma al possibile comporre la stessa futura salma, da parte della bestia morente, per ingannare il mangiatore incauto. Inoltre il fatto che un ateo si esibisca in accanite unilaterali dissertazioni contro ragioni e sentimenti vitali non viene dalla sua esistenza umana ma — in un modo o nell'altro — da una negatività con potere ed effetto intromissivo, che possiamo nondimeno rifiutare di accogliere, lottando contro le falsità. Il linguaggio demonologico è oscuro e figurato perché indica qualcosa del mondo che è oscuro e incatalogabile e da menzionare anche a livello emotivo.
Perciò, attenzione agli inganni del mondo e a non prender per scemi quelli con una vera fede in Dio, perché il negativo nel mondo può essere incontrastabile senza la fede in Dio. Tantomeno è lecito fare gli gnorri e fingere gnosi dove c'è fede, negando gli studi scientifici sulla religione che indicano necessità e utilità dello stadio religioso dell'esistenza e cercando di metter beghe. Praticare una religione non garantisce dalle superstizioni, le quali sono però deleterie nel caso dei non credenti, non viceversa.
Sul problema del male, è evidente che giudicar male qualcosa serve a vivere non a negar l'Origine delle cose e i giudizi di Dio, su ciò che è male, sono manifestazioni di esigenze superiori e misteriose.
MAURO PASTORE
Che dire? Rilevo il tuo permanere... stagnare nella più completa confusione, tale da non consentirti di comprendere alcunché. Hai scritto un coagulo di sciocchezze che proprio non ho alcuna voglia di commentare.
Ad un'altra occasione, nella speranza che tu possa trovare o ritrovare (non so) un pochino di lucidità e serenità di giudizio.
Bye.
Citazione di: Visechi il 16 Gennaio 2025, 21:39:47 PMChe dire? Rilevo il tuo permanere... stagnare nella più completa confusione, tale da non consentirti di comprendere alcunché. Hai scritto un coagulo di sciocchezze che proprio non ho alcuna voglia di commentare.
Ad un'altra occasione, nella speranza che tu possa trovare o ritrovare (non so) un pochino di lucidità e serenità di giudizio.
Bye.
Non voglio proprio condividere la condizione esistenziale dell'ateo di professione né l'esistenzialismo sofistico che ne deriva, tantomeno il rovesciamento del biblico e cristiano
cupio dissolvi, rovesciamento che invece di disintegrare la falsità si accontenta del gioco delle apparenze mondane, confondendo la
noia esistenziale, da necessaria e provvisoria fase, a diagramma della vita stessa e suo falso recinto sacro.
In tal senso non voglio avere comprensione: non mi interessano le interpretazioni rovesciate della Bibbia, di Schopenhauer e di Sartre, ne capisco l'aberrazione e non voglio empatia. Ne ho denunciato qui tutta la reale inaccettabilità e svelato i meccanismi propagandistici, come lo schermo costruito con la letteratura (in specie, i versi di Leopardi).
Quel che amareggia sempre è il giudizio sulla mente, che si riceve nel procedere alle smentite e ai giusti riferimenti: adesso mi si è imputata scarsa anzi nessuna lucidità. In verità, dopo quanto ho prodotto nella discussione - per chi voglia davvero intendere o fare filosofia, non tentare sofismi antifilosofici - detta imputazione suona come il segno di una presenza inappropriata: chiusi nell'incubo di Sisifo, come lo è il fallimentare contendente, non ci si dovrebbe rapportare ma solo provare a rapportarsi a chi
conosce, consapevoli che il distratto autocompiacimento per il negativo e rifiuto del positivo, questi sì che sono privi di
lucidità e per nulla fatti per contraddire le istanze e ragioni vitali.
Constatare la funzione allegorica di un
crocifisso cristiano, questo già conduce a inquadrare l'insostenibilità dell'ateismo anticristiano, che nell'evocare il male interpreta il segno diabolico al rovescio: invece di cogliere, nella tradizionale raffigurazione cristiana del dramma esistenziale (non dell'esistenza), l'invito a oltrepassare, la si vuol pensare come uno specchio di un destino, godendo del lavoro - per giunta ignorandone l'incompiutezza! - di Satana, che pure è figurato nell'immagine tipica di
Gesù sulla croce (anche e soprattutto letteraria).
Il cristianesimo considera una morte apparente ma realmente incombente, tragica, che viene annullata per un fine-vita sereno; certo non abbonda la consapevolezza di ciò. "Gesù Cristo morto e risorto" oggi potrebbe esser detto:
l'uomo che realmente sopravvive o continua a vivere... Nella cronaca, una morte apparente, poi uno stare assieme alle potenze superiori per un abbandono felice della vita "terrena", il più tardi possibile. In ogni caso, tale segno, in Gesù di Nazareth, non era lo specchio della vita cristiana. Non è il caso di prender per matti gli appartenenti alla religione cristiana se raramente, in pochi, sanno tradurre in pensieri i propri sentimenti e se non sanno capire le vicende di chi
faceva da segno (esterno, senza
essere il segno). Certo il segno e quindi il
mezzo della Rivelazione attestò, attesta già un potere che sfugge alle convenzioni imperanti; ma la Rivelazione è solo tale, ora sempre e dovunque fosse, sia (non dico che è ovunque e sempre). Sognare di fare gli attaccabrighe immaginando suicidi anziché riconoscere significati e valori cristiani, questo è un delitto. Mostrare che la figura di Gesù vale per fede, questa è verità della dottrina cristiana da non attribuire alla critica contraria. Chi passasse in visione il confronto, accaduto in questa discussione, con tal Visechi, le cui obiezioni-aggressioni sono esemplificative, capirebbe perché ho fatto quest'ultimo quasi-sproloquio.
MAURO PASTORE