Vorrei riprendere e rilanciare questo tema che è stato toccato più volte in diversi luoghi di questo forum, per cercare di raccogliere le idee su alcuni punti che ritengo interessanti.
Comincio col citare un post che io stesso ho lasciato in questo topic (https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/tempo-del-sogno-e-del-rivivere/), ma che non ha avuto seguito.
CitazioneConcordo con Sariputra sul fatto che non è così consolatorio - almeno non per tutti - credere che la vita non finisca con la morte: ad esempio, proprio in questo forum un frequentatore ha affermato di sperare nell'inesistenza della reincarnazione, per il fatto che se in questa vita gli è andata abbastanza bene, non è detto che andrà così in quelle future...
Il punto chiave è quello che tocca Inverno quando accenna al "senso". Ci sono concezioni filosofiche che danno senso, che danno risposte alle domande fondamentali; e altre che non danno senso, che non ritengono importante il senso, che lo negano alla radice, e quindi non danno risposte alle domande fondamentali.
Per quanto mi riguarda, io respingo le concezioni che non danno senso, e abbraccio quelle che danno risposte alle domande fondamentali, proprio per la ragione che lo fanno.
Il postulato da cui parto è che tutto ciò che esiste deve avere un senso, non può non averlo. E per "senso" intendo non chissà che, ma semplicemente questo: ogni cosa deve avere una causa necessaria e sufficiente. Un requisito abbastanza ragionevole, considerato che corrisponde all'ambizione della scienza: spiegare le cause di tutti i fenomeni. Poi però la scienza - quella materialista e riduzionista, intendo - se ne "dimentica" quando si tratta di spiegare ad esempio la coscienza, o di spiegare il fenomeno dei fenomeni: l'esistenza dell'universo e delle leggi che lo governano.
La coscienza allora diventa un'illusione (perché se fosse reale, ci si troverebbe nell'imbarazzante problema di spiegare come faccia essa a sorgere dal nulla, in un universo dove nulla si crea e nulla si distrugge).
Quanto all'universo, invece, la richiesta di senso è solitamente bollata dal materialista come "priva di senso"...
Come? Un "richiesta di senso" sarebbe "priva di senso"?
E' più sensato dunque ritenere che l'universo, così com'è, "c'è perché c'è"? Magari anche sbucato dal nulla con l'esplosione del Big Bang?
Se allora la visione materialista è del tutto insensata (contraddicendo le proprie stesse premesse, che sono quelle di spiegare i fenomeni), la visione classica cristiana riguardò all'aldilà lo è altrettanto, anche se per motivi diversi e più articolati. Tale visione conduce a così tante illogicità (ne potremo anche discutere), che il credente può solo arrendersi e accettare di dover sospendere la propria capacità di giudizio di fronte all'imperscrutabilità del pensiero e della volontà divina...
Io credo invece che se abbiamo una mente è per usarla fino ai limiti estremi a cui essa può arrivare. E per fortuna esistono concezioni che si spingono oltre i limiti sopra citati, e che spiegano molto più estesamente noi stessi e l'universo. E per ciò che riguarda l'esistenza umana (per quanto io abbia esplorato) nessuna visione è tanto esauriente ed esplicativa quanto la dottrina del karma+reincarnazione, ed è per questo motivo che l'ho fatta mia: perché dà "senso".
Gli aspetti che mi piacerebbe approfondire con voi sono i seguenti:
1) Vi sono diverse formulazioni del concetto di "reincarnazione": io personalmente condivido la visione teosofica, che mi sembra al riguardo di una chiarezza esemplare e, unita alla dottrina del Karma, dotata di una grande forza esplicativa. Ma so che vi sono visioni diverse, come quella di una parte almeno del buddismo che negherebbe la reincarnazione di un io individuale.
2) Il confronto fra la dottrina del Karma+reincarnazione, e altre visioni filosofiche e religiose che a mio modo sono di vedere meno efficaci (o per nulla) nel dare un "senso" alle cose.
3) L'autorevolezza della dottrina del "Karma+reincarnazione". Per quanto ne so, non mi risulta vi sia mai stato un grande maestro spirituale che abbia espressamente negato questa dottrina, se non alcuni padri della Chiesa che, per motivi puramente "politici" (vedi il
Concilio di Costantinopoli II), la avversarono. Molti la hanno apertamente sostenuta, altri non ne hanno parlato o perché la davano per scontata oppure perché non era quello il punto centrale del loro insegnamento, più incentrato sul "qui e ora". Per quanto riguarda in particolare Gesù, le sue parole non sono esplicite né in positivo né in negativo, ma alcuni passi dei Vangeli si possono meglio interpretare alla luce della dottrina reincarnazione, piuttosto che alla luce della teologia cattolica (peraltro elaborata secoli dopo). Per chiarezza, parlo di "grandi maestri spirituali", individui riconosciuti come dotati di
eccezionali qualità psichiche e "metapsichiche" , non di 'semplici' filosofi e pensatori...Mi fermo qui, aspettando i vostri contributi.
Citazione di: Loris Bagnara il 15 Marzo 2018, 11:21:45 AMIl postulato da cui parto è che tutto ciò che esiste deve avere un senso, non può non averlo. E per "senso" intendo non chissà che, ma semplicemente questo: ogni cosa deve avere una causa necessaria e sufficiente.
In questo modo non hai fatto altro che creare una gabbia entro cui muoverti. Stabilire un postulato non è altro che un modo per esimersi dal confronto con la critica. Con la scusa che si tratta di un postulato, si stabilisce che non c'è da criticarlo, visto che i postulati non godono di dimostrazione. Quindi hai deciso di stabilire le coordinate di un sogno entro cui abitare.
Anche il confrontarsi con la critica è un sogno, ma è un sogno che almeno cerca di confrontarsi con altri modi di sognare.
A questo punto mi chiedo: è umanamente preferibile chiudersi un sogno unico, una gabbia chiusa, o esplorare più sogni, metterli a contatto, a confronto, esplorando le infinite possibili vie di armonizzazioni tra di loro e vivere così un'esistenza più arricchita?
In realtà questo è ciò che già l'universo fa da sempre: combinare le diversità per creare nuove diversità, combinare maschio e femmina, diversi DNA, diverse geografie, diversità di diversità, e così si vedono nascere novità inaspettate, che mai nessuno avrebbe saputo immaginare.
Sul fatto dell'autorevolezza non mi hai come alleato, in quanto è considerato un errore logico.
Sul punto 1 devo dire che volevo proprio rimandarti alla teosofia che ha la particolarità di essere accompagnato da un apparato scientifico (che secondo i complottisti ha provocato diverse morti per oltraggio alle accademie reali della scienza officiale).
Sto parlando delle varie Besant o di Steiner.
Purtroppo non mi sono ancora addentrato in quei territori, e sarò felice se mi vorrai dare qualche anticipazione.
Sul punto 2 devo dire che potremmo tirare in ballo l'intero pensiero filosofico occidentale, perchè se è vero che la scienza oggi e le sue idiozie riduzioniste prevalgono nei discorsi pubblici e privati, c'è stato un lunghissimo tempo in cui erano Dio e l'Uomo ad avere un significato centrale. Quindi ogni filosofo propone un senso.
Ora forse poichè non hai specificato, intendi riguardo il discorso sulla reincarnazione.
Abbiamo ragionato insieme in questo forum, sul tema della resurrezione dei corpi lato cristiano.
Abbiamo accertato come in effetti era un pensiero piuttosto diffuso nel mondo pre-filosofico.
E' normale che o è vero quello, e quindi che ogni corpo è immortale come l'anima. O solo l'anima è immortale.
Ma non vedo nel primo caso una mancanza di senso.
Anche se per parte mia, credo possa essere più interessante la seconda ipotesi, proprio perchè come dici, scioglie qualche nodo in più.
A proposito della reincarnazione in ambito buddista, in passato mi chiedevo spesso: "Se non c'è un'anima, come fa a rinascere qualcosa? Che cos'è che continua da una vita all'altra, se non c'è l'anima?".
(A dire il vero, la teoria della reincarnazione non appartiene al buddhismo, ma all'induismo. Nel buddhismo verrebbe considerata superstizione, perché non può essere dimostrata ed infatti si parla di rinascita).
Poi ho compreso che la rinascita la si puo' osservare direttamente in ogni momento;
non si necessita di aver bisogno di credere in una teoria che la riguardi.
La rinascita avviene continuamente in ciò che si fa.
Poiché non c'è alcun sé, non vi è nulla che deve rinascere come "essenza personale o come anima" e che sopravviva da una vita all'altra. Questa è una illusione che si costruisce proprio il sé per non scomparire.
E' il desiderio che rinasce, alla costante ricerca di qualcosa in cui assorbirsi o in cui trasformarsi.
Se siamo infelici o depressi, si cerca qualcosa in cui assorbirci e da cui trarre sensazioni piacevoli, con cui, per lo meno, allontanarci dalla situazione sgradevole che stiamo vivendo. Quella è la rinascita.
Quando siamo spaventati o insicuri, cerchiamo di fare qualcosa che ci liberi da quella sensazione, che ci dia sicurezza e fiducia.
Facciamo caso ai nostri gesti abituali.
Per esempio, quando la sera torniamo a casa, andiamo a prenderci qualcosa da mangiare in frigorifero. Assorbendoci nei piaceri del cibo, rinasciamo.
Quando ne abbiamo avuto abbastanza di quella nascita, ci siamo concessi tre panini al prosciutto, quattro hamburger e due pizze, non possiamo sopportare l'idea di rinascere in un'altra pizza. Allora, cerchiamo una nuova nascita nell'apparecchio televisivo, perché quando ci annoiamo, vogliamo rinascere da qualche altra parte.
C'è un'infinità di giocattoli nella nostra società. Ma nonostante le gratificazioni istantanee, tendiamo ad annoiarci di nuovo molto rapidamente. Più istantanea diventa la vita, più aumenta la noia. Quanta TV, quanto cibo, droghe, sesso e così via ci si può procurare senza stufarsi o annoiarsi? Quanto si può prendere prima di non voler più esistere, prima di volersi annullare? Questa è la rinascita di cui siamo testimoni. La rinascita è cercare di diventare qualcosa in questo stesso momento. Non siamo contenti, non siamo in pace con le cose così come sono. Vogliamo, pretendiamo che siano diverse; vogliamo qualcos'altro.
Per molte persone, il sonno è annullamento. Quando siamo addormentati, non dobbiamo essere alcunché ed il sé svanisce almeno per un po'.
Non dobbiamo compiere alcuno sforzo. Passare il tempo a rinascere diventa una noia, perciò abbiamo voglia di non esistere più. C'è il desiderio di non essere, di venire annullati e distrutti. Ma la fregatura è che non possiamo dormire sempre. Addormentarsi ha come conseguenza il doversi risvegliare, il che significa tornare nuovamente a cercare di diventare qualcosa. Per forza d'abitudine, cercheremo qualcosa da fare.
Che cos'è che passa dal frigorifero all'apparecchio televisivo? E' una persona? E' ciò che è l'anima, la vostra vera essenza, destinata a essere portata avanti per l'eternità? Oppure il desiderio? Non è per caso un vagare senza scopo, la solita ricerca di qualcosa da fare, di qualcosa in cui assorbirsi?
Come @bluemax dice la visione buddhista è che non c'è nessuna "sostanza" che passa da una vita all'altra. Può essere molto utile l'immagine del fiume o di una corrente: la continuità non implica che ci sia "qualcosa" che persiste. Per quanto ne so la versione buddhista è l'unica a non avere alcuna "sostanza". (più che "superstizione" parlerei di "visione erronea"...)
Riguardo al senso, il karma (buddhista e non) certamente "da senso" alle cose. Ad ogni modo "karma" è un termine che significa "azione", dunque strettamente parlando il "karma" non si riferisce alla retribuzione, al "frutto" (vipaka) dell'azione, alla sua conseguenza. Ma l'idea è che azioni che sono "giuste" generano un frutto positivo. Idem azioni "ingiuste" generano un frutto spiacevole. Se con la morte finisse la nostra esistenza questo "meccanismo" si bloccherebbe improvvisamente. In realtà si accetta che questo meccanismo non si rompa e che quindi vada avanti indefinitamente. Tuttavia nella maggior parte delle religioni indiane ogni vita ha un tempo limitato a dispozione e ciò vale anche nei migliori "paradisi". L'idea è che "non c'è scampo" dalle conseguenze delle nostre azioni e questo non è per niente visto come qualcosa di consolatorio nelle filosofie indiane. Ma è una "verità" (per chi la accetta come tale, ovviamente) che nemmeno la morte può liberarci dalle conseguenze delle nostre azioni. L'unico modo per "svincolarsi" dalla sofferenza è proprio quello di uscire dal ciclo, svincolarsi.
E nella maggior parte delle religioni indiane lo "svincolamento" è ottenuto tramite il risveglio (bodhi) che permette di capire "la realtà come è". Nell'induismo in genere l'obbiettivo è capire cosa è "il vero sé". Nel buddhismo il risveglio è descritto come la realizzazione che "tutte le cose sono senza sé". Chiaramente nel caso buddhista tutto il meccanismo di premi e punizioni che da un senso alla nostra esistenza in realtà si basa su una illusione: ovvero sull'illusione dell'"io/mio". Quindi dal punto di vista delle tutte le tradizioni che hanno come obbiettivo lo "svincolamento" è vero che c'è un "senso", ma tale senso a livello ultimo non ci soddisfa (e questo va contro il nostro intuito per il quale se troviamo "il senso della vita" diventiamo felici). E nel caso buddhista tale "senso" è dovuto, per così dire, ad una distorsione cognitiva che ci fa vedere un "io sostanziale" dietro alle azioni e alle loro conseguenze.
Se l'Io non sopravvive e si dissolve col corpo fisico dopo la morte, quale effettiva differenza c'è tra la reincarnazione ed il nulla?
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Marzo 2018, 12:20:41 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 15 Marzo 2018, 11:21:45 AMIl postulato da cui parto è che tutto ciò che esiste deve avere un senso, non può non averlo. E per "senso" intendo non chissà che, ma semplicemente questo: ogni cosa deve avere una causa necessaria e sufficiente.
In questo modo non hai fatto altro che creare una gabbia entro cui muoverti. Stabilire un postulato non è altro che un modo per esimersi dal confronto con la critica. Con la scusa che si tratta di un postulato, si stabilisce che non c'è da criticarlo, visto che i postulati non godono di dimostrazione. Quindi hai deciso di stabilire le coordinate di un sogno entro cui abitare.
Anche il confrontarsi con la critica è un sogno, ma è un sogno che almeno cerca di confrontarsi con altri modi di sognare.
A questo punto mi chiedo: è umanamente preferibile chiudersi un sogno unico, una gabbia chiusa, o esplorare più sogni, metterli a contatto, a confronto, esplorando le infinite possibili vie di armonizzazioni tra di loro e vivere così un'esistenza più arricchita?
In realtà questo è ciò che già l'universo fa da sempre: combinare le diversità per creare nuove diversità, combinare maschio e femmina, diversi DNA, diverse geografie, diversità di diversità, e così si vedono nascere novità inaspettate, che mai nessuno avrebbe saputo immaginare.
Non vi è possibilità alcuna di fare il benché minimo ragionamento si non si parte da qualche postulato.
Non esiste il pensiero assolutamente libero da premesse (indimostrabili) di qualche genere. Se qualcuno avesse dubbi i proposito, è bene che se lo tolga dalla testa.Nel caso specifico, il postulato che pongo è semplicemente quello della intelligibilità dei fenomeni, e del cosmo nel suo complesso. Direi che è il minimo indispensabile: meno di così, si può anche fare a meno di ragionare.Se non si postula che le cose abbiano un senso (che, come ho specificato, è la causa necessaria e sufficiente del loro esistere), allora il pensiero è già finito prima ancora di cominciare, poiché tutto può apparire così com'è semplicemente per caso, senza una ragione necessaria e sufficiente. A che pro pensarci su, allora?
Citazione di: green demetr il 15 Marzo 2018, 14:16:20 PM
Sul fatto dell'autorevolezza non mi hai come alleato, in quanto è considerato un errore logico.
Sul punto 1 devo dire che volevo proprio rimandarti alla teosofia che ha la particolarità di essere accompagnato da un apparato scientifico (che secondo i complottisti ha provocato diverse morti per oltraggio alle accademie reali della scienza officiale).
Sto parlando delle varie Besant o di Steiner.
Purtroppo non mi sono ancora addentrato in quei territori, e sarò felice se mi vorrai dare qualche anticipazione.
Sul punto 2 devo dire che potremmo tirare in ballo l'intero pensiero filosofico occidentale, perchè se è vero che la scienza oggi e le sue idiozie riduzioniste prevalgono nei discorsi pubblici e privati, c'è stato un lunghissimo tempo in cui erano Dio e l'Uomo ad avere un significato centrale. Quindi ogni filosofo propone un senso.
Ora forse poichè non hai specificato, intendi riguardo il discorso sulla reincarnazione.
Abbiamo ragionato insieme in questo forum, sul tema della resurrezione dei corpi lato cristiano.
Abbiamo accertato come in effetti era un pensiero piuttosto diffuso nel mondo pre-filosofico.
E' normale che o è vero quello, e quindi che ogni corpo è immortale come l'anima. O solo l'anima è immortale.
Ma non vedo nel primo caso una mancanza di senso.
Anche se per parte mia, credo possa essere più interessante la seconda ipotesi, proprio perchè come dici, scioglie qualche nodo in più.
Punto 3. Hai ragione nel dire che l'autorevolezza è un errore: non si dovrebbe mai seguire una dottrina solo perché viene da fonte autorevole.
Quel che intendevo dire, è che un consenso "qualificato" molto ampio su una certa dottrina, mi pare un punto a favore di quella dottrina.
Per questo chiedevo se conoscete grandi maestri spirituali che abbiano negato espressamente la dottrina del Karma+reincarnazione.
Punto 2. Intendevo proporre un confronto fra tre visioni: a) Karma+reincarnazione; b) visione cristiana; c) visione materialista.
Per la prima, l'anima è eterna e non creata (non ha principio né fine); per la seconda, l'anima è eterna e creata (ha un principio, ma non una fine); per la terza, l'anima non esiste.
La visione materialista e riduzionista non è in grado di spiegare il fenomeno della coscienza (ne abbiamo parlato in altri forum, ma potremo anche tornarci sopra).
Per la visione cristiana, la prima di un nutrita serie di obiezioni è la seguente: la creazione è incompatibile con l'esistenza di Dio, se si intende Dio come infinito e assoluto (altrimenti che Dio sarebbe?). "Creare" significa aggiungere qualcosa di nuovo a quel che già c'è, ma all'infinito non si può aggiungere nulla (altrimenti che infinito sarebbe?). L'unico concetto compatibile con Dio è quello di emanazione (vedi Cusano, Spinoza e altri); ma allora l'anima umana è della stessa sostanza di Dio e coeterna a Dio. Come vedete, ci siamo già avvicinati parecchio all'idea della reincarnazione. L'ultimo passo da compiere è il seguente: che ci sta a fare un'anima nell'eternità, se non per perfezionarsi? Precisamente questo è lo scopo del karma+reincarnazione.
Punto 1. L'idea di reincarnazione nella teosofia si basa su una concezione dell'essere umano articolato in diversi corpi, da quello materiale a quelli via via più sottili.
La paolina tripartizione in corpo/anima/spirito è una semplificazione efficace di questa idea, ma il catechismo cristiano l'ha poi abbandonata ritenendola troppo complessa per le masse, ed è rimasta la divisione anima/corpo.
Ora, lo spirito è la scintilla divina, il Sé; l'anima è la personalità incarnata in una specifica vita terrena; e il corpo è il veicolo.
L'anima fa esperienza attraverso il corpo e trasmette l'essenza di queste esperienze allo spirito, che è il principio che si reincarna di vita in vita (dal regno minerale al regno umano e super-umano). Corpo e anima sono perituri, lo spirito no.
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 11:43:18 AM
Se l'Io non sopravvive e si dissolve col corpo fisico dopo la morte, quale effettiva differenza c'è tra la reincarnazione ed il nulla?
L' IO o la sensazione di un sè, se vogliamo, non puo' sopravvivere semplicemente perchè non esiste. E' una errata percezione di una realtà inesistente.
Per quanto puoi andare a cercare questo "IO" non lo puoi mai trovare per il semplice fatto che non esiste.
Quindi non vi è nulla che DOVREBBE sopravvivere, come non vi è nulla che si dissolve se non l'errata percezione di noi stessi...
Il tuo IO non lo puoi trovare nel tuo corpo... non è nemmeno il tuo corpo. Ma non sono neppure i tuoi pensieri e neppure le tue sensazioni. Non sono i ricordi e quella sensazione granitica di un IO non è nemmeno l'insieme di tutto questo.
Non a caso dici la MIA anima... ma... MIA di chi ? :)
oppure puoi affermare i MIEI pensieri... (miei di chi ? )
il MIO oggetto (ma mio di chi ? )
e cosi' via...
quindi non c'è nulla che DOVREBBE sopravvivere perchè semplicemente non c'è :)
ciao :)
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 11:43:18 AM
Se l'Io non sopravvive e si dissolve col corpo fisico dopo la morte, quale effettiva differenza c'è tra la reincarnazione ed il nulla?
L'idea buddhista è che il
processo non si arresta alla morte. Ma "dietro" al "processo" non c'è alcuna "essenza" che si trasmette da una vita all'altra. In sostanza la "corrente mentale" continua dopo la morte, tuttavia inquesta corrente non c'è una cosa che persiste. Ergo tra una vita e l'altra non è vero che c'è un "Io" - inteso come essenza - che sopravvive alla morte (come sostiene la dottrine dell'"eternalismo") e allo stesso modo non c'è nessun "Io" che viene dissolto alla morte (come sostiene l'"annichilazionismo"). Quindi il desiderio di annullamento e il desiderio di persistenza sono entrambi dovuti ad una "visione errata", ovvero che ci sia qualcosa che "persiste". In realtà secondo i buddhisti
se ci fosse un'essenza allora questa non potrebbe mutare, cambiare e quindi il divenire sarebbe impossibile (la versione "greca" di questo è Parmenide: "l'essere è e non può non essere" - ovvero l'essere è immutabile). Dunque è proprio la "vacuità" - ovvero l'assenza di un "Io" - che permette il mutamento secondo il buddhismo. La forza "motrice" delle rinascite però è il
desiderio/brama/sete (trishna) e siccome anche la migliore "esistenza" che si può avere nel circolo delle rinascite (samsara) ha una durata limitata, ogni "esistenza" di questo tipo conduce inevitabilmente alla sofferenza. In effetti secondo il buddhismo c'è un desiderio che invece è "corretto": il desiderio della
cessazione della sofferenza. Ma siccome la sofferenza è intrinseca al samsara, la cessazione della sofferenza coincide con la cessazione del samsara (nota bene che non è un desiderio di annullamento perchè questo richiede che ci sia una "essenza", un "Io").
Ma perchè ogni rinascita ha una durata limitata? La risposta è: perchè è stata causata da determinate condizioni ed è mantenuta da determinate condizioni, come il fuoco viene innescato in determinate condizioni e continua finché le condizioni lo permettono. Una volta che le condizioni favorevoli mancano, il fuoco si spegne. Dunque per questo motivo tutto ciò che ha un inizio, finisce. Questa è la condizione di tutti i fenomeni condizionati (ovvero che dipendono da condizioni): una volta che le condizioni favorevoli alla loro continuazione finiscono, essi cessano. Quando si
realizza (realizzazione che non è una comprensione intellettuale)la mancanza di essenza e l'impermanenza di ogni fenomeno condizionato la mente comincia a fermare il processo e gradualmente la "sete" si estingue. Una volta che si è completamente estinta la sete (e di conseguenza si è liberi dalle condizionamenti) alla "morte fisica" non segue più una rinascita e la liberazione è avvenuta.
Ad ogni modo la differenza "sostanziale" tra l'idea della rinascita buddhista e la reincarnazione (nelle sue varie forme) è che per il buddhismo appunto c'è la continuità di un processo e non la persistenza di un'"anima", un "Io" o quant'altro di "fisso".
(comunque anche io sono molto perplesso su come l'informazione può trasmettersi in assenza di qualcosa di "fisso" che la "contiene"...)
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 12:04:34 PMNon vi è possibilità alcuna di fare il benché minimo ragionamento si non si parte da qualche postulato. Non esiste il pensiero assolutamente libero da premesse (indimostrabili) di qualche genere. Se qualcuno avesse dubbi i proposito, è bene che se lo tolga dalla testa. Nel caso specifico, il postulato che pongo è semplicemente quello della intelligibilità dei fenomeni, e del cosmo nel suo complesso. Direi che è il minimo indispensabile: meno di così, si può anche fare a meno di ragionare. Se non si postula che le cose abbiano un senso (che, come ho specificato, è la causa necessaria e sufficiente del loro esistere), allora il pensiero è già finito prima ancora di cominciare, poiché tutto può apparire così com'è semplicemente per caso, senza una ragione necessaria e sufficiente. A che pro pensarci su, allora?
Il problema è che ci sono moltissime
altre spiegazioni possibili del "perchè esistiamo". Per esempio stando all'attuale teoria cosmologica il nostro universo ha avuto un inizio. E l'inizio potrebbe essere casuale come pensano molti scienziati. Potrebbe essere ciclico come pensa una minoranza di scienziati ma anche se è ciclico non perforza c'è la rinascita. Dunque non per forza ci deve essere un "motivo morale" o qualcosa di simile per cui non esistiamo. Infatti empiricamente nell'analisi scientifica nessuna "risposta" alla domanda "perchè esistiamo?" - se non quello della causalità fisica - è stato trovato.
Si può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 11:43:18 AM
Se l'Io non sopravvive e si dissolve col corpo fisico dopo la morte, quale effettiva differenza c'è tra la reincarnazione ed il nulla?
Hai centrato il punto Suttree, e su questo risponda anche a Bluemax e Apeiron.
Se eliminiamo l'idea di una sopravvivenza individuale, e parliamo dell'io come di un'illusione alimentata da aggregati psichici etc, giungiamo ad una visione che ha ben poche differenze con la visione materialista e riduzionista dei nostri giorni.
Inoltre, se non vi è una sopravvivenza individuale, che senso ha parlare di liberazione dalla catena delle rinascite (come ha fatto Buddha)? Che senso hanno le pratiche, le virtù etc etc? E' la morte la grande liberatrice: basta attenderla, e l'individuo è libero.
Ancora,
se non vi è una sopravvivenza individuale, diventa del tutto casuale il genere di karma che mi ritrovo addosso, nel senso che non fui io a generarlo, ma fu un altro. Che giustizia c'è in questo?Infine, se non vi è una sopravvivenza individuale, che me ne frega se di me resteranno degli aggregati che andranno ad attaccarsi a qualcun altro dopo di me? Tanto non sarò io. E come io mi sono beccato gli aggregati lasciati da altri, così altri si beccheranno quelli lasciati da me.Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.
Intanto vi ringrazio per le risposte :) Nonostante mi affascinino, è molto difficile per me seguire questi discorsi, per la mia formazione strettamente scientifica (sono un asino filosofico :D)... mi mancano gli strumenti di base.
Di mio tendo a pensare che qualunque informazione perchè non vada dispersa necessiti di un supporto fisico. Mi piace immaginare il nostro cervello (o forse meglio l'intero corpo), come un decoder (con un mac andress unico) che riceva da un Hub e decodifichi la sua stretta ed unica porzione di segnale, da uno generale irradiato. Non quindi creatore, ma ricevitore di coscienza. Cosa sia poi questo Hub, vallo a sapere. Ora, se così fosse, quando il decoder si arrende al secondo principio della termodinamica, anche l'informazione si disperde. A meno che... oltre a ricevere possa (finchè funzioni) anche trasmettere verso la fonte.
Tutto altamente antiscientifico, so bene :)
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Allora non mi leggi attentamente, Apeiron ;) ! Non ho affatto parlato di spiegazioni religiose o teleologiche. Ho parlato di
intelligibilità: ossia, ogni cosa deve avere una
ragione necessaria e sufficiente che ne spieghi l'esistenza.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa
NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora
NON è intelligibile.
A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PM
Si può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile.
A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Citazione di: bluemax il 16 Marzo 2018, 12:42:38 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 11:43:18 AM
Se l'Io non sopravvive e si dissolve col corpo fisico dopo la morte, quale effettiva differenza c'è tra la reincarnazione ed il nulla?
L' IO o la sensazione di un sè, se vogliamo, non puo' sopravvivere semplicemente perchè non esiste. E' una errata percezione di una realtà inesistente.
Per quanto puoi andare a cercare questo "IO" non lo puoi mai trovare per il semplice fatto che non esiste.
Quindi non vi è nulla che DOVREBBE sopravvivere, come non vi è nulla che si dissolve se non l'errata percezione di noi stessi...
Il tuo IO non lo puoi trovare nel tuo corpo... non è nemmeno il tuo corpo. Ma non sono neppure i tuoi pensieri e neppure le tue sensazioni. Non sono i ricordi e quella sensazione granitica di un IO non è nemmeno l'insieme di tutto questo.
Non a caso dici la MIA anima... ma... MIA di chi ? :)
oppure puoi affermare i MIEI pensieri... (miei di chi ? )
il MIO oggetto (ma mio di chi ? )
e cosi' via...
quindi non c'è nulla che DOVREBBE sopravvivere perchè semplicemente non c'è :)
ciao :)
Nulla da eccepire (si fa per dire ;) ) purché non si voglia aggiungere che questa posizione sia supportata dalla scienza e dalla ragione, più delle altre.
Non è supportata dalla ragione, perché la
sensazione non esiste di per sé: occorre un
senziente. La
percezione non esiste di per sé: occorre un
percipiente. L'
illusione di sé non può esistere di per sé (scusate l'inevitabile
pastiche): occorre un
soggetto che si illude. Del resto è questo l'insegnamento del
cogito ergo sum: posso ingannarmi su tutto, ma non sul fatto di essere un soggetto che su tutti il resto si inganna. Un soggetto deve esistere. Che poi questo soggetto sia eterno o no, è ancora da discutere; ma perlomeno finché esiste la vita fisica, il soggetto (io-sono) deve esistere.
E allora se esiste, da dove scaturisce? Dal nulla, al momento della nascita (o del concepimento)? Ma
dal nulla non sorge nulla, lo dice la scienza (nulla si crea e nulla si distrugge)...
E poi perché dal nulla quel soggetto che sono io è tratto e proiettato proprio in quel corpo che è mio, e non in un altro (o in nessuno)? Dov'è il legame di
necessità fra
io-soggetto e
io-corpo? Se questo legame non sussiste, siamo allora nel puro
caos, nell'
inintelligibile.
Non è supportata dalla scienza, perché il
riduzionismo neurologico non ha dimostrato, e non lo potrà mai fare, che l'io-soggetto (io-sono) è
generato dai processi cerebrali. E'
correlato biunivocamente ai processi cerebrali, questo sì; ma generato, no.
Il riduzionismo si scontra con almeno una difficoltà colossale, che è la seguente: la mia identità (l'io-sono) è
stabile nel tempo, ma non esiste nulla nel corpo e nel cervello che sia stabile nel tempo, a cui poter agganciare la stabilità dell'io-sono. Non c'è bisogno di soffermarsi sul fatto che
il corpo materiale muta costantemente: si dice che il nostro corpo oggi non possegga più nemmeno una delle molecole che aveva sette anni fa... E allora,
di che corpo parliamo? Ecco, quel che chiamiamo il nostro corpo, quello sì che è un'
illusione, quello sì che
non esiste...
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:27:49 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile.
A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Infatti, concordo.
Ma, aggiungo, sia chiaro che la scienza non se la cava dicendo che esiste il vuoto quantistico e che questo può fluttuare generando entità di energia, spazio e tempo...
Perché esiste il vuoto quantistico?
Perché ha quelle precise leggi e non altre?
Perché l'esistente sottostà a delle leggi e non è semplicemente caos?
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:14:47 PM
Intanto vi ringrazio per le risposte :) Nonostante mi affascinino, è molto difficile per me seguire questi discorsi, per la mia formazione strettamente scientifica (sono un asino filosofico :D)... mi mancano gli strumenti di base.
Di mio tendo a pensare che qualunque informazione perchè non vada dispersa necessiti di un supporto fisico. Mi piace immaginare il nostro cervello (o forse meglio l'intero corpo), come un decoder (con un mac andress unico) che riceva da un Hub e decodifichi la sua stretta ed unica porzione di segnale, da uno generale irradiato. Non quindi creatore, ma ricevitore di coscienza. Cosa sia poi questo Hub, vallo a sapere. Ora, se così fosse, quando il decoder si arrende al secondo principio della termodinamica, anche l'informazione si disperde. A meno che... oltre a ricevere possa (finchè funzioni) anche trasmettere verso la fonte.
Tutto altamente antiscientifico, so bene :)
Condivido la tua metafora, e aggiungo: l'
HUB di dui parli è il nostro
Sé superiore, la scintilla divina (
monade), in contatto con la sorgente, il campo della
coscienza universale a cui attingono tutte le monadi...
L'errore comune, invece, è quello di identificarsi con il decoder...
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 16:39:31 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:27:49 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile. A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Infatti, concordo. Ma, aggiungo, sia chiaro che la scienza non se la cava dicendo che esiste il vuoto quantistico e che questo può fluttuare generando entità di energia, spazio e tempo... Perché esiste il vuoto quantistico? Perché ha quelle precise leggi e non altre? Perché l'esistente sottostà a delle leggi e non è semplicemente caos?
Ok, provo a spiegarmi meglio ;)
Non ho mai detto che secondo la cosmologia moderna l'universo viene dal "nulla" (anche se effettivamente il fisico Krauss lo ha detto). Semplicemente quello che volevo dire è che anche dire che "esistiamo per caso" è una possibile spiegazione. Semplicemente il nostro universo è "nato" e noi esistiamo come effetto dell'evoluzione naturale senza "tirare in ballo" un Creatore o il karma o quant'altro. Uno può non essere d'accordo con la visione "materialista", tuttavia bisogna riconoscere che dal punto di vista scientifico è ineccepibile. Come ho detto altrove non sono d'accordo con essa nemmeno io, però posso ben capire perchè pensatori di tutto rispetto abbracciano una visione di questo tipo.
cit Loris Bagnara
Allora non mi leggi attentamente, Apeiron (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ! Non ho affatto parlato di spiegazioni religiose o teleologiche. Ho parlato di intelligibilità: ossia, ogni cosa deve avere una ragione necessaria e sufficiente che ne spieghi l'esistenza.Secondo me invece il caso è una possibile spiegazione, validissima dal punto di vista scientifico. Se però cominciamo ad analizzare la dimensione dell'etica, per esempio, comincia secondo me a vacillare. ;)
Riguardo al buddhismo...
cit Loris Bagnara
Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.
E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.
Secondo le scritture buddhiste Buddha non ha trovato un "Sé superiore". Secondo il buddhismo le dottrine che parlano di un "Sé" contengono una traccia di quel desiderio di "persistenza" che mantiene in essere il samsara.
Una spiegazione della posizione della scuola Theravada la puoi trovare in questi due eccellenti post di @Sariputra: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18256/#msg18256, https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18257/#msg18257
Ad ogni modo Buddha nega anche l'esistenza di un "principio originatore di tutte le cose", ovvero di una "causa ontologica" di tutte le cose. In sostanza mentre l'advaita ritiene che Brahman sia "il Sole dell'esistenza" (ovvero la causa di tutto, così come il Sole rende luminose le nostre giornate e ci trasferisce il calore necessario alla vita) e che il nostro "vero Sé" sia Brahman, il buddhismo vede la posizione dell'advaita come dovuta ad un desiderio di "persistenza" molto "sottile". Nel buddhismo infatti la liberazione non è data dalla conoscenza del "vero Sé", bensì dalla completa estinzione del processo di identificazione. Inoltre come dicevo prima non c'è "causa prima" (di nessun tipo, nemmeno di quelle più "filosofiche").
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 12:04:34 PMNon vi è possibilità alcuna di fare il benché minimo ragionamento si non si parte da qualche postulato. Non esiste il pensiero assolutamente libero da premesse (indimostrabili) di qualche genere. Se qualcuno avesse dubbi i proposito, è bene che se lo tolga dalla testa.
Nel caso specifico, il postulato che pongo è semplicemente quello della intelligibilità dei fenomeni, e del cosmo nel suo complesso. Direi che è il minimo indispensabile: meno di così, si può anche fare a meno di ragionare.
Se non si postula che le cose abbiano un senso (che, come ho specificato, è la causa necessaria e sufficiente del loro esistere), allora il pensiero è già finito prima ancora di cominciare, poiché tutto può apparire così com'è semplicemente per caso, senza una ragione necessaria e sufficiente. A che pro pensarci su, allora?
Sono d'accordo sulla necessità di ipotizzzare dei postulati, ma a questo punto mi nasce un dubbio: che differenza c'è tra ipotizzare karma e reincarnazione, dando il via a tutti i ragionamenti e approfondimenti che ne conseguono, e ipotizzare che gli elefanti volano, dando il via a tutti i ragionamenti e approfondimenti che ne conseguono?
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 16:39:31 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:27:49 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile.
A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Infatti, concordo.
Ma, aggiungo, sia chiaro che la scienza non se la cava dicendo che esiste il vuoto quantistico e che questo può fluttuare generando entità di energia, spazio e tempo...
Perché esiste il vuoto quantistico?
Perché ha quelle precise leggi e non altre?
Perché l'esistente sottostà a delle leggi e non è semplicemente caos?
Esiste una netta distinzione fra ciò che non ha senso è ciò che ha senso , in quanto per passare dall'uno all'altro è necessario un percorso che non si chiuda su se stesso.
Sembrerebbe quindi che ciò che ha senso lo derivi da ciò che non ne ha , a meno che non si riguardi a quel percorso come a qualcosa di più di un semplice espediente logico.
Ma in che senso ciò che non ha senso non ce l'ha.😅
La fisica quantistica sembra volerci suggerire , anche dal punto di vista filosofico , che il cosiddetto spazio un senso ce l'ha. Non sarebbe corretto quindi identificare lo spazio con ciò che non è , aggiungendo magari a questo il termine vuoto.
Il fatto che la fisica quantistica ammetta l'esistenza del puro caos (non quindi qualcosa che semplicemente ci appare come caos ) è certamente una rivoluzione sorprendente.
L'unico modo che intravedo per dare senso al caos è quello di dare un diverso senso , fino a togliere senso , alle cosiddette leggi a cui l'esistente sottostà .Voglio intendere con ciò che caos e leggi hanno lo stesso padre e lo stesso diritto di esistere.Un parto gemellare in sostanza.
Se esistono le leggi allora esiste il caos.
Se l'esistenza del caos ci è sempre apparsa come problematica , altrettanto dovrebbe apparirci l'esistenza delle leggi.
Il dolore un senso ce l'ha ed è legato all'istinto di conservazione.
Esso ci allarma sul l'esistenza di un probabile problema che chiede una soluzione.
Se fuggire dal dolore significa risolvere il problema , bene.
Fuggire dal dolore in se' senza risolvere il problema invece , male.
Le filosofie orientali credo ci insegnino che a volte là soluzione è molto semplice , in quanto siamo stati noi stessi a mettere in moto la causa che ha portato al dolore , e quando abbiamo acquisito consapevolezza di ciò , non c'è niente di più facile del disfare ciò che noi stessi abbiamo fatto.
Una vita priva di dolori e quindi priva di problemi è un paradiso in terra , ed è ciò che dovremmo perseguire , anche se non sembra impresa tanto facile.
Non trovo altro da aggiungere a ciò se non quello che il fascino e l'autorevolezza di certi maestri sembri aggiungere , ciò che ha il senso di una empatia , che in se' non ha nulla di male , ovviamente.
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 00:32:02 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 12:04:34 PMNon vi è possibilità alcuna di fare il benché minimo ragionamento si non si parte da qualche postulato. Non esiste il pensiero assolutamente libero da premesse (indimostrabili) di qualche genere. Se qualcuno avesse dubbi i proposito, è bene che se lo tolga dalla testa.
Nel caso specifico, il postulato che pongo è semplicemente quello della intelligibilità dei fenomeni, e del cosmo nel suo complesso. Direi che è il minimo indispensabile: meno di così, si può anche fare a meno di ragionare.
Se non si postula che le cose abbiano un senso (che, come ho specificato, è la causa necessaria e sufficiente del loro esistere), allora il pensiero è già finito prima ancora di cominciare, poiché tutto può apparire così com'è semplicemente per caso, senza una ragione necessaria e sufficiente. A che pro pensarci su, allora?
Sono d'accordo sulla necessità di ipotizzzare dei postulati, ma a questo punto mi nasce un dubbio: che differenza c'è tra ipotizzare karma e reincarnazione, dando il via a tutti i ragionamenti e approfondimenti che ne conseguono, e ipotizzare che gli elefanti volano, dando il via a tutti i ragionamenti e approfondimenti che ne conseguono?
Mi vedo costretto a ripetere per la quarta volta, mi pare, questo concetto: quel che io postulo NON è karma+reincarnazione, ma è l'
intelligibilità del cosmo. In poche parole: l'esistenza di ogni
fenomeno deve avere una
ragione necessaria e sufficiente.
E' l'affermazione della validità assoluta del principio di
causalità, senza eccezioni.
Da questa premessa, ne deriva un
criterio razionale che ci consente di scegliere le
dottrine filosofiche che sono più
efficaci nel fornire ragioni necessarie e sufficienti ai fenomeni che sperimentiamo e al cosmo nel suo complesso. Spero sia chiaro, ora.
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 19:46:26 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 16:39:31 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:27:49 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile. A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Infatti, concordo. Ma, aggiungo, sia chiaro che la scienza non se la cava dicendo che esiste il vuoto quantistico e che questo può fluttuare generando entità di energia, spazio e tempo... Perché esiste il vuoto quantistico? Perché ha quelle precise leggi e non altre? Perché l'esistente sottostà a delle leggi e non è semplicemente caos?
Ok, provo a spiegarmi meglio ;)
Non ho mai detto che secondo la cosmologia moderna l'universo viene dal "nulla" (anche se effettivamente il fisico Krauss lo ha detto). Semplicemente quello che volevo dire è che anche dire che "esistiamo per caso" è una possibile spiegazione. Semplicemente il nostro universo è "nato" e noi esistiamo come effetto dell'evoluzione naturale senza "tirare in ballo" un Creatore o il karma o quant'altro. Uno può non essere d'accordo con la visione "materialista", tuttavia bisogna riconoscere che dal punto di vista scientifico è ineccepibile. Come ho detto altrove non sono d'accordo con essa nemmeno io, però posso ben capire perchè pensatori di tutto rispetto abbracciano una visione di questo tipo.
cit Loris Bagnara
Allora non mi leggi attentamente, Apeiron (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ! Non ho affatto parlato di spiegazioni religiose o teleologiche. Ho parlato di intelligibilità: ossia, ogni cosa deve avere una ragione necessaria e sufficiente che ne spieghi l'esistenza.
Secondo me invece il caso è una possibile spiegazione, validissima dal punto di vista scientifico. Se però cominciamo ad analizzare la dimensione dell'etica, per esempio, comincia secondo me a vacillare. ;)
Riguardo al buddhismo...
cit Loris Bagnara
Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.
E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.
Secondo le scritture buddhiste Buddha non ha trovato un "Sé superiore". Secondo il buddhismo le dottrine che parlano di un "Sé" contengono una traccia di quel desiderio di "persistenza" che mantiene in essere il samsara.
Una spiegazione della posizione della scuola Theravada la puoi trovare in questi due eccellenti post di @Sariputra: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18256/#msg18256, https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18257/#msg18257
Ad ogni modo Buddha nega anche l'esistenza di un "principio originatore di tutte le cose", ovvero di una "causa ontologica" di tutte le cose. In sostanza mentre l'advaita ritiene che Brahman sia "il Sole dell'esistenza" (ovvero la causa di tutto, così come il Sole rende luminose le nostre giornate e ci trasferisce il calore necessario alla vita) e che il nostro "vero Sé" sia Brahman, il buddhismo vede la posizione dell'advaita come dovuta ad un desiderio di "persistenza" molto "sottile". Nel buddhismo infatti la liberazione non è data dalla conoscenza del "vero Sé", bensì dalla completa estinzione del processo di identificazione. Inoltre come dicevo prima non c'è "causa prima" (di nessun tipo, nemmeno di quelle più "filosofiche").
Non sono affatto d'accordo: affermare che l'universo possa esistere "per caso" è eccepibilissimo proprio dal punto di vista scientifico, proprio in relazione alle premesse da cui parte la scienza. E' una soluzione di comodo per non sentirsi tenuti a fornire spiegazioni.
Innanzitutto il "
caso", a ben vedere, non è altro che un'
etichetta data ai fenomeni
non conosciamo esaurientemente, e che quindi noi approcciamo con alcuni strumenti matematici che ci consentono una conoscenza
approssimativa dei fenomeni in questione. Dunque, applicare all'universo l'etichetta del "caso" significa semplicemente riconoscere che non conosciamo esaurientemente l'universo. Bella spiegazione, no?
E poi il caso, operativamente, è legato all'approccio
matematico-probabilistico, ma la vedo veramente dura applicare questo approccio all'esistenza dell'universo. Quante sono le probabilità che l'universo esista? Qual è la popolazione statistica che esaminiamo per valutare le probabilità che l'universo esista, rispetto alla sua non esistenza? E' evidente che sono domande prive di senso, perché appunto è priva di senso l'etichetta di casualità applicata all'universo.
Aggiungo questo. La scienza afferma il
principio di causalità, e lo applica implacabilmente a tutti i fenomeni. Poi, giunta al fenomeno dei fenomeni, l'universo... be', qui no, qui se ne può anche fare a meno, qui basta invocare il caso, e magari anche un po' di fortuna... Dov'è la
coerenza? Se SI afferMA il principio di causalità, lo si deve fare
senza eccezionI, e poi trarne tutte le necessarie conseguenze logiche.
Postilla. Nemmeno la
meccanica quantistica può essere chiamata in causa per legittimare scientificamente il caso. una delle più brillanti interpretazioni della meccanica quantistica, quella di
David Bohm, afferma che sotto l'apparente causalità c'è l'
ordine implicito che non siamo in grado di percepire...
Postilla 2. In risposta all'ultimo messaggio di Iano. Sulla meccanica quantistica, vedi sopra. Sul rapporto fra caos e leggi, a mio avviso l'esistenza di leggi è più problematica del caos. Troverei più "naturale" l'esistenza del puro caos, che non un cosmo (etimologicamente: "ordine").
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 09:28:50 AMMi vedo costretto a ripetere per la quarta volta, mi pare, questo concetto: quel che io postulo NON è karma+reincarnazione, ma è l'intelligibilità del cosmo. In poche parole: l'esistenza di ogni fenomeno deve avere una ragione necessaria e sufficiente.
E' l'affermazione della validità assoluta del principio di causalità, senza eccezioni.
Da questa premessa, ne deriva un criterio razionale che ci consente di scegliere le dottrine filosofiche che sono più efficaci nel fornire ragioni necessarie e sufficienti ai fenomeni che sperimentiamo e al cosmo nel suo complesso. Spero sia chiaro, ora.
Non si tratta di intelligibilità neutrale: è un'intelligibilità intesa in un senso ben preciso: intelligibilità a certi schemi della mente umana.
Questo mi fa sorgere un'altra domanda. Un contadino, in base ai propri schemi, potrebbe sostenere che madre natura ha formato le mucche con lo scopo di essere munte da mani umane. Che differenza ci sarebbe tra l'intelligibilità postulata dal filosofo e questo tipo di intelligibilità postulata dal contadino? La risposta mi sembra non troppo difficile: il filosofo sottopone il proprio postulato a critica. Ma facendo questo non tarderà ad accorgersi che questa stessa critica non può fare a meno di essere dettata, guidata, proprio dalla stessa razionalità, dalla stessa intelligibilità che essa intende criticare.
Anche in questo caso il filosofo può fare la differenza: egli prende atto di questa situazione, prende atto del fatto che qualsiasi intelligibilità viene a risultare una gabbia, come ho già detto sopra, e allora porterà avanti tutti i ragionamenti con consapevolezza di questa inevitabile, dovuta, necessaria, modestia, umiltà.
Ciò è diverso da quello che invece hai scritto sopra.
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 12:04:34 PMNon vi è possibilità alcuna di fare il benché minimo ragionamento si non si parte da qualche postulato. Non esiste il pensiero assolutamente libero da premesse (indimostrabili) di qualche genere. Se qualcuno avesse dubbi i proposito, è bene che se lo tolga dalla testa.
Nel caso specifico, il postulato che pongo è semplicemente quello della intelligibilità dei fenomeni, e del cosmo nel suo complesso. Direi che è il minimo indispensabile: meno di così, si può anche fare a meno di ragionare.
Se non si postula che le cose abbiano un senso (che, come ho specificato, è la causa necessaria e sufficiente del loro esistere), allora il pensiero è già finito prima ancora di cominciare, poiché tutto può apparire così com'è semplicemente per caso, senza una ragione necessaria e sufficiente. A che pro pensarci su, allora?
In base a ciò che hai scritto, consegue che, visto che senza pretese non è possibile fare ragionamenti, allora facciamoli pure con le inevitabili pretese, altrimenti ci condanniamo a non pensare.
Questo mi fa tornare la barzelletta, che ho già citato in altre occasioni, sui carabinieri che cercarono le chiavi non sul posto in cui le avevano perse, ma in un altro in cui c'era più luce per poterle cercare.
Cioè, se un pensare mi mette di fronte dei problemi, che senso ha accantonare i problemi e tirare dritto, ritenendo che altrimenti diventa impossibile pensare? Non è ovvio che si tratterà di un pensare vigliacco, cieco, che pur di esistere ha preferito svignarsela dal confronto con le difficoltà? Diventa curioso immaginare cosa sarebbe successo se gli scienziati e pensatori di ogni tempo avessero adottato questo modo di procedere. La radice quadrata di un numero negativo è impossibile? E che problema c'è? Basta tirare dritto come se il problema non esistesse, altrimenti diventa impossibile fare matematica, far di conto. Le osservazioni fanno sospettare che sia la terra a girare intorno al sole? E che problema c'è? Basta ignorare la questione, altrimenti diventa impossibile pensare che l'uomo conti qualcosa in questo mondo.
Ma l'uomo, il filosofo, lo scienziato, non ha fatto così nella storia, ha preferito il coraggio, affrontare di petto le questioni perché è lì la chiave per progredire, non nel tirare dritto decidendo di ignorarle.
Chi ha detto che non partendo da postulati diventi impossibile il benché minimo ragionamento? La risposta è facile: può diventare impossibile un certo tipo di ragionamento, perché magari non si riesce ad immaginarne altri. Ecco che allora la difficoltà, piuttosto che venire vigliaccamente accantonata pur di salvaguardare la tradizione di un metodo di ragionamento fossilizzato, incapace di misurarsi con le difficoltà, viene assunta come preziosissimo strumento di arricchimento, crescita, avanzamento, superamento. È questo che da sempre la scienza si sforza di fare di fronte ai problemi che mettono in crisi i suoi fondamenti.
Quanto vale un ragionare che, di fronte alle difficoltà delle proprie premesse, sceglie la strada di ignorarle? Potrà ancora essere considerato un ragionare degno di questo nome? Che risultati ci si può aspettare da un ragionare che ha scelto di non misurarsi con sé stesso, con le difficoltà derivanti dalla propria stessa applicazione?
Ignorando le difficoltà critiche del tuo pensare, stai automaticamente cercando di salvare non il ragionare, ma il tuo ragionare, non il pensare, ma il tuo modo di pensare. Ma questo è il metodo scelto da sempre da coloro che non hanno saputo misurarsi con la necessità di aggiornarsi, progredire, evolversi: il metodo della forza, della prepotenza e dell'ignoranza.
A scanso di equivoci, vorrei precisare che non intendo accusarti di alcunché, visto che ho parlato di forza, prepotenza, ignoranza: intendo dire che certe vie di pensiero conducono a certi risultati senza che ci se ne accorga, senza che se ne abbia la minima intenzione. In questo senso magari tu gestirai con attenzione e prudenza questo modo ragionare, ma esso, di per sé, condurrà comunque altri, se non te, al criterio di usare forza, prepotenza e ignoranza, perchè è comunque esso ad indurre questo tipo di posizioni anche in chi non è predisposto a farlo.
Sia chiaro quindi che non intendo affatto tacciarti di prepotenza: ciò di cui sto parlando non sei tu, ma un metodo di pensiero. Non sto discutendo di persone, ma di modi di pensare.
Angelo, io non parlo di "scopi", parlo di "cause" (vedi il tuo esempio delle mucche e del contadino).
Non dico che le cose devono avere uno scopo: dico che devono avere una causa.
Detto questo, però, non dico quale causa debba avere. Ognuno troverà la sua soluzione.
Io mi limito a dire che non ci si può sottrarre dal trovare le cause (spiegazioni) dei fenomeni.
Mi limito a dire che non esiste il caso, ma solo cause.
Quanto al discorso sui postulati etc la cosa più semplice è sfidarti simpaticamente a un duello 8) :
tu mi porti una dottrina filosofica, o una visione del mondo, o una semplice concezione etc, quel che ti pare,
che NON parta da una qualche premessa non dimostrabile, e hai vinto.
D'accordo? ;)
È il concetto di causa a venir messo in discussione da sé stesso, perché, se voglio davvero adoperarlo in maniera completa, non posso evitare di chiedermi da cosa sia stato causato il mio ricorso al concetto di causa. Cioè, qualunque concetto io adoperi per comprendere il mondo, non posso fare a meno di ritrovarmi sempre, alla fine, io stesso parte di quel concetto e quindi quel concetto è inevitabilmente dipendente da me e inquinato dalla presenza, dentro di esso, di me che lo sto comprendendo. Viene fuori che, quando parlo del concetto di causa, in realtà non sto parlando del mondo, ma sto parlando di una mia invenzione, una mia fantasia per tentare di dominarlo e convincermi che esso esiste e non è una mia fantasia.
Possiamo entrare più in dettaglio nella questione del concetto di causa: esso non indica altro che una sequenza temporale di eventi. Se cerco "causa" nel vocabolario, esso mi rinvia al verbo "determinare", ma se poi cerco "determinare", il vocabolario mi dice "essere causa"; questo mi mostra che il concetto di causa non ha niente di chiaro, quindi assumerlo come postulato non significa solo assumere un principio che manca di basi dimostrative; significa assumere un principio che in realtà è privo di qualsiasi significato. Possiamo solo dire che nella nostra vita concreta osserviamo il ripetersi di certe sequenze e per ricordarci che certe sequenze vanno sempre a coppia ci siamo inventati un concetto che non è più chiaro del parlare di elefanti volanti. Per esempio, ogni volta che do un calcio ad un pallone, esso, non si sa per quale motivo, scappa via dai miei piedi. Il perché, il senso di questo susseguirsi di fenomeni, non l'ha mai saputo spiegare nessuno. Se chiedo lumi alla fisica, essa non farà altro che rinviarmi a modi più schematici di far riferimento ancora al concetto di causa, ma è pur sempre un riferimento che non viene mai radicalmente chiarito.
Così come più sopra hai criticato il concetto di "caso", quello di causa non è da meno, è pura fantasia umana, non meno fantasiosa di qualsiasi favola per bambini.
Lo stesso vale per il concetto di dimostrazione e per qualsiasi concetto.
La critica di tutto ciò, nonostante tutto, non abolisce affatto il pensare; essa mette soltanto in questione un certo modo ben preciso di pensare.
È come per le geometrie non euclidee: se ci si fosse bloccati a ritenere che senza il postulato di Euclide non sarebbe stata possibile alcuna geometria, non si sarebbe mai scoperto che possono esistere benissimo anche geometrie non euclidee.
Questo consente di comprendere anche il duello che mi proponi: cioè, mi stai dicendo "Se riuscirai a smontare i miei schemi a patto di mantenerti al loro interno, avrai vinto". Ma il problema è proprio questo: uno schema non può mai essere superato se ci s'impone come condizione di mantenersi all'interno di esso. Le geometrie non euclidee non si sarebbero mai potute scoprire se ci si fosse imposto che per smontarle lo si sarebbe dovuto fare mantenendosi comunque all'interno di quella euclidea. È come se tu mi dicessi "Se riuscirai a farmi uscire dalla mia gabbia, a patto di entrarci tu, allora avrai vinto". Ma in filosofia i passi avanti sono stati fatti proprio perché si è avuto il coraggio di non porre come condizione il mantenersi all'interno di un pensiero tradizionale, ma piuttosto esplorare vie alternative, a costo di sentirsi inizialmente spaesati, disorientati.
La ricetta che tu proponi è invece l'ideale per bloccarsi in un unico modo di pensare e autoimpedirsi di scoprirne altri.
Angelo, cerco di essere più chiaro possibile, perché tutto quello che hai scritto mi fa capire che non ci siamo ancora intesi.
I miei schemi, la mia gabbia etc non c'entrano assolutamente nulla. Quel che io penso non ha alcuna importanza.
Il problema che pongo invece è questo: se tu ritieni che si possa pensare facendo a meno di una premessa INDIMOSTRABILE,
ti invito a propormi un esempio, uno qualsiasi, di tua scelta,
Trovami un esempio di ragionamento che stia in piedi senza premesse indimostrabili, e hai vinto tu.
Io non ti sto invitando a entrare nella mia gabbia, ti sto invitando a vedere la TUA gabbia...
PS. Tutte le geometrie, sia quella euclidea che quelle non, partono da un postulato, quello delle rette parallele, di cui ciascuna geometria propone una diversa formulazione, tutte indimostrabili. Elimina il postulato, ed elimini pure tutta la geometria alla radice.
Io non ho dubbi di essere a mia volta nella mia gabbia ed è per questo che porto avanti ogni mia idea cercando di non dimenticare che si tratta solo di mie fantasie. Il problema mi nasce quando vedo che altri propongono le loro idee provando a ipotizzare che non si tratti di fantasie. In questi casi provo a far vedere, come ho fatto adesso, che anch'esse sono pura fantasia.
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 10:04:37 AM
Non sono affatto d'accordo: affermare che l'universo possa esistere "per caso" è eccepibilissimo proprio dal punto di vista scientifico, proprio in relazione alle premesse da cui parte la scienza. E' una soluzione di comodo per non sentirsi tenuti a fornire spiegazioni.
Innanzitutto il "caso", a ben vedere, non è altro che un'etichetta data ai fenomeni non conosciamo esaurientemente, e che quindi noi approcciamo con alcuni strumenti matematici che ci consentono una conoscenza approssimativa dei fenomeni in questione. Dunque, applicare all'universo l'etichetta del "caso" significa semplicemente riconoscere che non conosciamo esaurientemente l'universo. Bella spiegazione, no?
E poi il caso, operativamente, è legato all'approccio matematico-probabilistico, ma la vedo veramente dura applicare questo approccio all'esistenza dell'universo. Quante sono le probabilità che l'universo esista? Qual è la popolazione statistica che esaminiamo per valutare le probabilità che l'universo esista, rispetto alla sua non esistenza? E' evidente che sono domande prive di senso, perché appunto è priva di senso l'etichetta di casualità applicata all'universo.
Aggiungo questo. La scienza afferma il principio di causalità, e lo applica implacabilmente a tutti i fenomeni. Poi, giunta al fenomeno dei fenomeni, l'universo... be', qui no, qui se ne può anche fare a meno, qui basta invocare il caso, e magari anche un po' di fortuna... Dov'è la coerenza? Se SI afferMA il principio di causalità, lo si deve fare senza eccezionI, e poi trarne tutte le necessarie conseguenze logiche.
Postilla. Nemmeno la meccanica quantistica può essere chiamata in causa per legittimare scientificamente il caso. una delle più brillanti interpretazioni della meccanica quantistica, quella di David Bohm, afferma che sotto l'apparente causalità c'è l'ordine implicito che non siamo in grado di percepire...
Postilla 2. In risposta all'ultimo messaggio di Iano. Sulla meccanica quantistica, vedi sopra. Sul rapporto fra caos e leggi, a mio avviso l'esistenza di leggi è più problematica del caos. Troverei più "naturale" l'esistenza del puro caos, che non un cosmo (etimologicamente: "ordine").
In realtà l'interpretazione "standard" della meccanica quantistica dice che gli eventi quantistici sono appunto casuali, nel senso che sono "probabilistici". Ma il probabilismo non è contrario alla causalità: infatti, possiamo dire che il mio atto di misura
causa il fatto che trovo un risultato probabilistico. Non vedo niente di "logicamente" errato in tutto ciò. Analogamente, possiamo pensare che il nostro universo è in realtà nato probabilisticamente come una fluttuazione quantistica. Riguardo alla question della probabilità, possiamo pensare al multiverso e in tal caso il nostro "universo" è solo uno dei tanti esistenti e quindi l'argomento antropico diventa una tautologia.
Quando parlavo di "caso" in effetti mi riferivo ad un preciso "ordine", quello probabilistico. Perdona l'imprecisione linguistica :)
Non sto dicendo che le tue obiezioni non sono giuste (infatti io stesso sono contrario al "multiverso", per esempio) tuttavia se vogliamo fare una discussione filosofica dobbiamo o
dimostrare che certi ipotesi sono errate dal punto di vista logico. Se non riusciamo a farlo possiamo discutere la ragionevolezza di esse. Sinceramente preferisco discutere la "ragionevolezza", visto che nemmeno il solipsismo secondo me si può dimostrare errato. I tuoi argomenti infatti sembrano rivolti a far vedere i problemi della posizione per cui siamo frutti del puro caso (e con ciò sono d'accordo) ma non possono dimostrare che sia errata o incoerente.
P.S. Ho fatto una piccola modifica
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 12:54:28 PM
Io non ho dubbi di essere a mia volta nella mia gabbia ed è per questo che porto avanti ogni mia idea cercando di non dimenticare che si tratta solo di mie fantasie. Il problema mi nasce quando vedo che altri propongono le loro idee provando a ipotizzare che non si tratti di fantasie. In questi casi provo a far vedere, come ho fatto adesso, che anch'esse sono pura fantasia.
Lo
scetticismo radicale è un bel giochino, ma dopo un po' stufa, perché ti rendi conto che con quello non si costruisce nulla.
E poi anche lo scettico radicale nella realtà quotidiana si comporta come fan tutti, e cioè con quel
sano buon senso che
ti fa seguire il
principio di causalità. Perché lo scettico ha un bel dire a negarlo, ma se lo nega, e ad esempio tira dritto contro un muro,
si fa male anche se non ci crede...
È chiaro che lo scetticismo non può apparire costruttivo a chi ritiene che le costruzioni debbano esistere esclusivamente secondo certi criteri. Anche scoprire che la terra non era il centro dell'universo non dovette risultare per niente costruttivo, visto che minava alla radice la sensazione dell'uomo di essere qualcosa di importante. Poi però si vide che si poteva vivere lo stesso, per certi versi anche meglio, senza bisogno di ritenersi il centro dell'universo. Che senso ha stabilire in anticipo che esplorare modi di pensare diversi non possa essere costruttivo? Non serve ad altro che a precludersi la conoscenza prima ancora di averne fatto esperienza. Anche delle geometrie non euclidee si sarebbe potuto stabilire in anticipo che non avrebbero potuto avere niente di costruttivo.
Lo scettico sa di farsi male, ma non scambia questo male con ragione: farsi male non dimostra niente; la violenza, anche quella della natura contro noi umani, non è dimostrazione di alcunché, è solo violenza.
Figuriamoci se meriti di essere elevato a guida il "sano buonsenso": ogni epoca ha ritenuto buonsenso i propri modi di pensare, salvo poi scontrarsi con civiltà diverse, culture diverse, epoche storiche diverse.
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 10:04:37 AM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 19:46:26 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 16:39:31 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:27:49 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile. A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Infatti, concordo. Ma, aggiungo, sia chiaro che la scienza non se la cava dicendo che esiste il vuoto quantistico e che questo può fluttuare generando entità di energia, spazio e tempo... Perché esiste il vuoto quantistico? Perché ha quelle precise leggi e non altre? Perché l'esistente sottostà a delle leggi e non è semplicemente caos?
Ok, provo a spiegarmi meglio ;)
Non ho mai detto che secondo la cosmologia moderna l'universo viene dal "nulla" (anche se effettivamente il fisico Krauss lo ha detto). Semplicemente quello che volevo dire è che anche dire che "esistiamo per caso" è una possibile spiegazione. Semplicemente il nostro universo è "nato" e noi esistiamo come effetto dell'evoluzione naturale senza "tirare in ballo" un Creatore o il karma o quant'altro. Uno può non essere d'accordo con la visione "materialista", tuttavia bisogna riconoscere che dal punto di vista scientifico è ineccepibile. Come ho detto altrove non sono d'accordo con essa nemmeno io, però posso ben capire perchè pensatori di tutto rispetto abbracciano una visione di questo tipo.
cit Loris Bagnara
Allora non mi leggi attentamente, Apeiron (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) ! Non ho affatto parlato di spiegazioni religiose o teleologiche. Ho parlato di intelligibilità: ossia, ogni cosa deve avere una ragione necessaria e sufficiente che ne spieghi l'esistenza.
Secondo me invece il caso è una possibile spiegazione, validissima dal punto di vista scientifico. Se però cominciamo ad analizzare la dimensione dell'etica, per esempio, comincia secondo me a vacillare. ;)
Riguardo al buddhismo...
cit Loris Bagnara
Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.
E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.
Secondo le scritture buddhiste Buddha non ha trovato un "Sé superiore". Secondo il buddhismo le dottrine che parlano di un "Sé" contengono una traccia di quel desiderio di "persistenza" che mantiene in essere il samsara.
Una spiegazione della posizione della scuola Theravada la puoi trovare in questi due eccellenti post di @Sariputra: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18256/#msg18256, https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18257/#msg18257
Ad ogni modo Buddha nega anche l'esistenza di un "principio originatore di tutte le cose", ovvero di una "causa ontologica" di tutte le cose. In sostanza mentre l'advaita ritiene che Brahman sia "il Sole dell'esistenza" (ovvero la causa di tutto, così come il Sole rende luminose le nostre giornate e ci trasferisce il calore necessario alla vita) e che il nostro "vero Sé" sia Brahman, il buddhismo vede la posizione dell'advaita come dovuta ad un desiderio di "persistenza" molto "sottile". Nel buddhismo infatti la liberazione non è data dalla conoscenza del "vero Sé", bensì dalla completa estinzione del processo di identificazione. Inoltre come dicevo prima non c'è "causa prima" (di nessun tipo, nemmeno di quelle più "filosofiche").
Non sono affatto d'accordo: affermare che l'universo possa esistere "per caso" è eccepibilissimo proprio dal punto di vista scientifico, proprio in relazione alle premesse da cui parte la scienza. E' una soluzione di comodo per non sentirsi tenuti a fornire spiegazioni.
Innanzitutto il "caso", a ben vedere, non è altro che un'etichetta data ai fenomeni non conosciamo esaurientemente, e che quindi noi approcciamo con alcuni strumenti matematici che ci consentono una conoscenza approssimativa dei fenomeni in questione. Dunque, applicare all'universo l'etichetta del "caso" significa semplicemente riconoscere che non conosciamo esaurientemente l'universo. Bella spiegazione, no?
E poi il caso, operativamente, è legato all'approccio matematico-probabilistico, ma la vedo veramente dura applicare questo approccio all'esistenza dell'universo. Quante sono le probabilità che l'universo esista? Qual è la popolazione statistica che esaminiamo per valutare le probabilità che l'universo esista, rispetto alla sua non esistenza? E' evidente che sono domande prive di senso, perché appunto è priva di senso l'etichetta di casualità applicata all'universo.
Aggiungo questo. La scienza afferma il principio di causalità, e lo applica implacabilmente a tutti i fenomeni. Poi, giunta al fenomeno dei fenomeni, l'universo... be', qui no, qui se ne può anche fare a meno, qui basta invocare il caso, e magari anche un po' di fortuna... Dov'è la coerenza? Se SI afferMA il principio di causalità, lo si deve fare senza eccezionI, e poi trarne tutte le necessarie conseguenze logiche.
Postilla. Nemmeno la meccanica quantistica può essere chiamata in causa per legittimare scientificamente il caso. una delle più brillanti interpretazioni della meccanica quantistica, quella di David Bohm, afferma che sotto l'apparente causalità c'è l'ordine implicito che non siamo in grado di percepire...
Postilla 2. In risposta all'ultimo messaggio di Iano. Sulla meccanica quantistica, vedi sopra. Sul rapporto fra caos e leggi, a mio avviso l'esistenza di leggi è più problematica del caos. Troverei più "naturale" l'esistenza del puro caos, che non un cosmo (etimologicamente: "ordine").
Ma in effetti la nostra conoscenza è approssimativa , a partire dalle misure che sanzionano i fatti .E quindi?
Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno , al massimo possiamo dire che è approssimativa quanto basta , o quanto ce la facciamo bastare.
Dire che ciò deriva da un nostro limite , che magari si sposta sempre avanti, senza pur mai essere eliminato, vale come dichiarare l'esistenza di un processo che , al limite, ci conduce alla perfezione , senza poterla mai raggiungere. Un modo da un lato di riconoscere necessariamente i nostri limiti , e dal!altro di sentirsi parte in causa di una qualche perfezione.
Questo atteggiamento mentale comporta che ad ogni progresso della scienza , specie quando sembri comportare cambiamenti radicali di paradigma mentali , dobbiamo ammettere di aver sbagliato , intraprendendo un penoso ravvedimento.
Ma quante volte possiamo ripetere questa pantomima prima di stufarcene ?
Aggiungi a ciò che comunque troviamo utile usare ancora le vecchie teorie sbagliate , e capisci che il minimo comun denominatore di tutte le teorie è la loro utilità.
Questa utilità non avrebbe luogo se non esistesse un meccanismo di causa effetto , tanto che se non esistesse bisognerebbe inventarlo. Il meccanismo di causa ed effetto non garantisce però la conciliabilità a priori delle teorie che ne fanno uso.
Le teorie sono diverse tra loro fino al punto che alcune sembrano del tutto inconciliabili , e basta vedere quanto siano diverse le loro premesse , per mettere da parte la sorpresa che ciò sembra suscitare in noi.
Ognuna ci propone un diverso ordine fra le cose del mondo , e ogni cosa del mondo è essa stessa una teoria , è certamente quando queste diverse teorie si conciliano , quando cioè troviamo un ordine tra queste diverse proposte di ordine , il mondo appare in una unità meglio gestibile.
Una cosa è che ciò sia desiderabile dunque , altro è dare per scontato che alla fine le cose devono necessariamente prendere questa piega.
Partendo da qui capisco che vien da se' l'ipotizzare un ordine assoluto ,e cercare quest'ordine attraverso gli strumenti usati per trovare gli ordini parziali è naturale pure , ma anche potenzialmente fuorviante.
Ma non è una cosa che dovrebbe venire da se' , anche se fino a un certo punto ci è andata bene così.Ha ragione Angelo.
Quando la fisica quantistica propone il caso alla sua base , non sta buttando via i meccanismi di causa ed effetto, ma ne mette in luce il carattere strumentale l continuando a farne uso .
L'unica causa vera che ci interessa è quella che determina la nostra conoscenza , e quindi l'esistenza di un mondo assoluto, che però non potremo mai dimostrare , per quanto facciamo il tifo , ma i meccanismi con cui questa viene a determinarsi , che a priori sono relativi , compresi i meccanismi di causa ed effetto.
Gli ordini che intravediamo in questo supposto mondo non sono mai assoluti , ma relativi al nostro punto di vista e relativi sono anche gli strumenti con cui costruiamo questi ordini.
Questo non dovrebbe , vorrebbe , essere un disincentivo a una ricerca costruttiva , ma l'invito ad una ricerca consapevole , che ci responsabilizzi e che ci faccia sentire artefici e non vittime predestinate di una scienza assoluta e impersonale. Singolare che oggi la scienza reciti il ruolo di matrigna , che una volta era della natura che essa sembra aver dominato.
Se l'acquisizione di consapevolezza non fosse un processo continuo , potremmo semplificare dicendo che un punto di rottura nella storia della scienza sia l'acquisizione della consapevolezza dei suoi processi, con l'inevitabile messa in discussione degli strumenti usati in quei processi , compreso il determinismo.
Usare il determinismo con maggior consapevolezza , non certo ripudiarlo , è , come credo , la meta.
In fisica quantistica lo abbiamo già fatto , anche se ancora lo dobbiamo digerire.
Quando lo avremo digerito cambieremo da così a così, ammesso che l'evoluzione sia un processo discontinuo , ma almeno quello possiamo ancora pensarlo come continuo senza fare troppo danno.😄
Nota su Bohm: l'interpretazione della meccanica quantistica di Bohm "originale" - quella del 1952 - descrive un universo deterministico formato da particelle puntiformi che interagiscono non-localmente. La distinzione tra ordine implicito e ordine esplicito che dal punto di vista filosofico è piuttosto interessante l'ha introdotta molto più tardi su influenza probabilmente di Krishnamurti. Tuttavia tra i fisici l'interpretazione bohmiana è quella del 1952 (anzi negli ultimi vent'anni si è anche visto che non è necessario il "potenziale quantistico" e la realtà fisica della funzione d'onda, a differenza di quanto Bohm pensava).
La mia opinione sullo scetticismo...
Il punto è che un minimo di "fede" nell'intelligibilità delle cose è presente anche tra gli scienziati. Mentre la parola "dimostrazione" può avere senso a livello della matematica, della logica o di qualche discussione filosofica (es: dimostrare l'incoerenza di una posizione filosofica) nel caso della scienza ci sono un sacco di problemi ad usare tale parola (da qui le "polemiche" sulla demarcazione, sul verificazionismo, falsificazionismo e così via).
Per esempio uno scettico tout court potrebbe mettere in discussione che la Terra è "quasi sferica" dicendo che è possibile che ci sia un "Genio Maligno" che ci inganna. La scienza si limita a testare le ipotesi, a verificarle di volta in volta ecc. Rigorosamente dunque la scienza non arriva a "dimostrare" (o "scoprire") niente. A meno che non si ha un po' di "fede" nella scienza stessa. Per esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.
E qui dunque si mostra la problematicità dello "scetticismo": nel fatto che in realtà è preferibile prendere posizione a volte. Lo scetticismo estremo è in fin dei conti una fuga. Dunque dobbiamo essere pronti anche ad accettare certe posizioni piuttosto che altre dopo aver analizzato esse con la ragione. Ergo, il problema non è "prendere una posizione" quanto l'attaccamento alle posizioni. Attualmente ho certamente una mia "visione delle cose" e attualmente ritengo che la mia visione delle cose sia "migliore" rispetto a molte altre. Però cerco di tenere la mente aperta per accogliere una posizione che mi sembrerà migliore della mia. Rischio di finire nella gabbia dell'illusione? Sì. Tuttavia non posso non prendere posizioni. Fin dalle questioni più semplici come ad esempio gestire un normalissimo imprevisto e scegliere cosa scrivere su questo Forum (scrivo ciò che scrivo perchè credo che sia giusto scriverlo). Oppure quando scelgo una interpretazione della meccanica quantistica piuttosto che un'altra. Fino ad arrivare a decidere se credere per esempio l'universo è stato creato o meno. Non posso saperlo però posso confrontare le varie "visioni del mondo" che sono state esposte dai pensatori del passato e del presente e scegliere quella che mi sembra la migliore, cercando di mantenere per quanto possibile una mentalità aperta e disposta a cambiare idea. Sì anche questa è una forma di "scetticismo". Tuttavia è una forma di scetticismo che mi permette di dire che è preferibile pensare che noi possiamo sapere che esistono batteri e virus e che posso curare le malattie dovute ad essi con i farmaci opportuni. Mi permette di dire che è ragionevole pensare che la relatività generale è una più ragionevole descrizione della "gravità" della fisica newtoniana. Mi permette di dire che è più ragionevole pensare che domattina il Sole sorgerà ancora. Ma oltre a queste "cose scontate" questo mio scetticismo mi permette di interrogarmi e provare a dare per quanto possibile delle risposte anche su argomenti più spinosi come la natura dell'etica, su cosa è giusto e cosa non lo è, se ci sarà una continuazione dell'esistenza dopo la morte, se la matematica è solo convenzionale e così via. Questo scetticismo è vivo, attivo e aperto alla novità. Ovviamente ciò non toglie che tutto ciò che dico, tutte le mie risposte possono essere errate. A suo modo inoltre è coraggioso e produttivo. Invita alla ricerca. Se parto dall'idea che questa mia ricerca non mi porterà mai a nulla, non mi aiuterà in nessun modo a "uscire" dalla gabbia (o almeno in parte) che non potrò stabilire niente allora parto con un assioma. Così come è un assioma pensare che nessuno nella storia sia riuscito ad uscire dalla gabbia, almeno in parte. Assiomi che non condivido anche se posso rispettare. Motivo per cui il mio scetticismo in realtà è una ricerca.
Ovviamente è solo la mia opinione. Altri potranno non essere d'accordo.
Citazione di: iano il 17 Marzo 2018, 14:40:40 PMPer Iano
Possiamo stabilire ragionevolmente che una teoria è migliore di un'altra. Per esempio la relatività ci dà un'immagina migliore delle cose rispetto alla fisica newtoniana. Se non ammettiamo questo non ha nemmeno senso parlare di "evoluzione". Dunque la scienza ci permette di "uscire" in parte dalla gabbia della nostra "ignoranza". Uno scettico potrebbe dire che non posso dirlo con certezza. Io gli rispondo che lui è troppo pedante: ad un certo punto lo scetticismo deve essere abbandonato in parte. Ma tutti questi discorsi hanno come assioma di partenza che la realtà è per noi almeno parzialmente comprensibile. Se togliamo questo assioma non si può nemmeno parlare di "evouzione"
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:36:36 PMPer esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.
Lo scienziato non ha bisogno di aver fiducia nel microscopio, perché egli non va in cerca di verità ultime, né le chiede al suo microscopio. La scienza non cerca verità, cerca sperimentabilità. Se uno scienziato scopre un batterio attraverso il suo microscopio, il suo compito non è concludere che quel batterio esiste in senso ultimo, irriducibile, assoluto. Il suo compito è prendere nota che i risultati dati dal microscopio inducono a ritenere opportuno trattare quel batterio come presente, attivo, vivo, ecc., con tutte le caratteristiche proprie di quel batterio. Ma da qui a concludere che quel batterio esiste in un senso fondamentale e assoluto ne corre. Lo scienziato cerca esperimenti, applicabilità, verificabilità, falsificabilità, insomma cerca il pratico.
Qualcuno potrebbe chiedersi come si possono attribuire a quel batterio proprietà e capacità di alcun genere se si dubita della sua esistenza. Ma questo significa confondere filosofia e scienza. Esistere in senso scientifico non significa esistere in senso assoluto, significa semplicemente essere sperimentabile. Che poi questa sperimentabilità sia tutta un'illusione, non è affare della scienza; la scienza se ne può occupare solo se esistono ulteriori esperimenti in grado di introdurre chiarezze pratiche sulla questione. Ma niente che non sia sperimentabile.
La scienza non dice, strettamente parlando, che i globuli rossi esistono; dice che gli esperimenti forniscono certi risultati. Se vogliamo dire che esistono in senso scientifico, significa dire che riteniamo opportuno trattarli come esistenti, secondo ciò che nella nostra rude vita pratica significa trattare le cose come esistenti. Ma trattare le cose come esistenti non significa aver stabilito che esistono in senso fondamentale e assoluto. Sono due cose diverse.
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 15:51:38 PMCitazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:36:36 PMPer esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.
Lo scienziato non ha bisogno di aver fiducia nel microscopio, perché egli non va in cerca di verità ultime, né le chiede al suo microscopio. La scienza non cerca verità, cerca sperimentabilità. Se uno scienziato scopre un batterio attraverso il suo microscopio, il suo compito non è concludere che quel batterio esiste in senso ultimo, irriducibile, assoluto. Il suo compito è prendere nota che i risultati dati dal microscopio inducono a ritenere opportuno trattare quel batterio come presente, attivo, vivo, ecc., con tutte le caratteristiche proprie di quel batterio. Ma da qui a concludere che quel batterio esiste in un senso fondamentale e assoluto ne corre. Lo scienziato cerca esperimenti, applicabilità, verificabilità, falsificabilità, insomma cerca il pratico. Qualcuno potrebbe chiedersi come si possono attribuire a quel batterio proprietà e capacità di alcun genere se si dubita della sua esistenza. Ma questo significa confondere filosofia e scienza. Esistere in senso scientifico non significa esistere in senso assoluto, significa semplicemente essere sperimentabile. Che poi questa sperimentabilità sia tutta un'illusione, non è affare della scienza; la scienza se ne può occupare solo se esistono ulteriori esperimenti in grado di introdurre chiarezze pratiche sulla questione. Ma niente che non sia sperimentabile. La scienza non dice, strettamente parlando, che i globuli rossi esistono; dice che gli esperimenti forniscono certi risultati. Se vogliamo dire che esistono in senso scientifico, significa dire che riteniamo opportuno trattarli come esistenti, secondo ciò che nella nostra rude vita pratica significa trattare le cose come esistenti. Ma trattare le cose come esistenti non significa aver stabilito che esistono in senso fondamentale e assoluto. Sono due cose diverse.
No, purtroppo questo è il punto dolente ;D
I filosofi della scienza dicono quanto tu dici. Il medico è ben convinto che esistono globuli rossi ed esistono batteri. Il fisico è convinto che la Terra è quasi sferica e che la nostra conoscenza delle cose è maggiore di quella che aveva l'umanità millenni fa.
I medici sono convinti che ad esempio il nostro corpo è composto di cellule. In realtà sono proprio i filosofi della scienza a dire che la scienza non dimostra l'esistenza dei batteri. Il medico invece ne è ben convinto. Se non sei d'accordo, indicami una citazione di un
medico che dice che i batteri non esistono o che non è necessario avere fiducia dei microscopi.
Presentami una citazione di un fisico che crede che oggi non possiamo dire
ragionevolmente di comprendere meglio i fenomeni naturali di 3000 anni fa. Dopo ne riparliamo ;)
Ripeto ancora: "Ragionevole"
non implica "certo". "Convinto"
non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 16:02:06 PMRipeto ancora: "Ragionevole" non implica "certo". "Convinto" non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
Se precisi questo, allora siamo d'accordo. Il problema è che su questo non si fa mai chiarezza. Si confonde in continuazione il senso che le parole hanno in filosofia e il senso che hanno nella scienza.
Se in filosofia si parla dell'essere, non si può intendere che si stia parlando di un essere che potrebbe anche non essere. Parmenide su questo è stato chiaro: l'essere è, non ci sono discussioni. Dire con Parmenide che l'essere è significa che esso non può essere soggetto ad evidenza alcuna, perché qualsiasi evidenza è sempre soggetta a mille critiche, mille discussioni. Invece l'affermazione filosofica di base di Parmenide "l'essere è" non ammette alcuna critica, nessuna discussione: se è è, non sono ammessi discorsi di sorta secondo i quali l'essere potrebbe anche non essere. Se è è. In questo senso la filosofia dell'essere è più radicale, più fanatica, di qualsiasi religione, di qualsiasi fanatismo. Ciò avviene perché la filosofia, quanto a radicalità delle questioni, non ammette di essere seconda a nessuno. Appena si scopre una questione che risulta essere più radicale di un'altra, la filosofia se ne assume immediatamente l'incarico, direi perfino il monopolio, perché questo è il compito della filosofia: andare in continuazione al massimo di radicalità. In questo senso la convinzione, se intesa in senso filosofico, è una presa di posizione radicale. Naturalmente il filosofo non fa questo per pretese di potere, per superbia o per fanatismo personale; lo fa perché vuole vedere dove conduce questo metodo, cioè il metodo di andare in continuazione al massimo della radicalità che ci è possibile mettere in pratica col nostro riflettere.
Dire che uno scienziato è convinto che quel batterio esiste è in questo senso di un'ambiguità micidiale, che porta un mare di confusione. Anch'io, se vedo una pietra che mi sta cadendo sulla testa sono convintissimo che essa mi ucciderà se non mi tolgo di mezzo. Ma si tratta di una convinzione che non raggiunge la radicalità della filosofia. La filosofia è ancora più radicale dell'impulso a togliermi di mezzo, perché la filosofia è riflessione e la riflessione consente di indagare sull'essere oltre le sue conseguenze sul nostro corpo. La filosofia indaga sull'essere in merito alle sue implicazioni sulla riflessione stessa, sull'indagare stesso, per cui è in grado di oltrepassare i significati pratici dell'essere convinti, del ritenere un assunto qualsiasi in senso meramente pratico.
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:36:36 PM
Ergo, il problema non è "prendere una posizione" quanto l'attaccamento alle posizioni. [...] Se parto dall'idea che questa mia ricerca non mi porterà mai a nulla [...] che non potrò stabilire niente allora parto con un assioma. Così come è un assioma pensare che nessuno nella storia sia riuscito ad uscire dalla gabbia, almeno in parte. Assiomi che non condivido anche se posso rispettare. Motivo per cui il mio scetticismo in realtà è una ricerca.
Ovviamente è solo la mia opinione. Altri potranno non essere d'accordo.
Personalmente, concordo con questo approccio in stile "epistemologia buddista" ;)
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 16:20:40 PM
Ciò avviene perché la filosofia, quanto a radicalità delle questioni, non ammette di essere seconda a nessuno. Appena si scopre una questione che risulta essere più radicale di un'altra, la filosofia se ne assume immediatamente l'incarico, direi perfino il monopolio, perché questo è il compito della filosofia: andare in continuazione al massimo di radicalità.
Qui invece concordo solo se rimpiazziamo "filosofia" con "metafisica": parlare di radicalità filosofica nel XXI secolo, è una
gaffe da inguaribili nostalgici (e so che non lo sei...). :)
Sì, infatti intendo dire che, da come vedo impostati i discorsi e da come mi vedo dare le risposte, trovo in queste occasioni confermati i miei sospetti. Cioè, i miei interlocutori stanno adottando, con o senza consapevolezza, una filosofia di tipo metafisico.
Se vedo che il mio interlocutore difende la certezza delle sue affermazioni facendo appello a tutti i paletti che riesce ad individuare, allora mi diventa naturale ritenere che egli sta pensando in maniera metafisica.
Ad esempio, un appello al "sano buon senso", al di là delle apparenze è segno di un pensare metafisico, cioè un dare per scontate delle certezze che, in realtà, vanno ben oltre il semplice e pratico buon senso.
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 16:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 16:02:06 PMRipeto ancora: "Ragionevole" non implica "certo". "Convinto" non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
Se precisi questo, allora siamo d'accordo. Il problema è che su questo non si fa mai chiarezza. Si confonde in continuazione il senso che le parole hanno in filosofia e il senso che hanno nella scienza. Se in filosofia si parla dell'essere, non si può intendere che si stia parlando di un essere che potrebbe anche non essere. Parmenide su questo è stato chiaro: l'essere è, non ci sono discussioni. Dire con Parmenide che l'essere è significa che esso non può essere soggetto ad evidenza alcuna, perché qualsiasi evidenza è sempre soggetta a mille critiche, mille discussioni. Invece l'affermazione filosofica di base di Parmenide "l'essere è" non ammette alcuna critica, nessuna discussione: se è è, non sono ammessi discorsi di sorta secondo i quali l'essere potrebbe anche non essere. Se è è. In questo senso la filosofia dell'essere è più radicale, più fanatica, di qualsiasi religione, di qualsiasi fanatismo. Ciò avviene perché la filosofia, quanto a radicalità delle questioni, non ammette di essere seconda a nessuno. Appena si scopre una questione che risulta essere più radicale di un'altra, la filosofia se ne assume immediatamente l'incarico, direi perfino il monopolio, perché questo è il compito della filosofia: andare in continuazione al massimo di radicalità. In questo senso la convinzione, se intesa in senso filosofico, è una presa di posizione radicale. Naturalmente il filosofo non fa questo per pretese di potere, per superbia o per fanatismo personale; lo fa perché vuole vedere dove conduce questo metodo, cioè il metodo di andare in continuazione al massimo della radicalità che ci è possibile mettere in pratica col nostro riflettere. Dire che uno scienziato è convinto che quel batterio esiste è in questo senso di un'ambiguità micidiale, che porta un mare di confusione. Anch'io, se vedo una pietra che mi sta cadendo sulla testa sono convintissimo che essa mi ucciderà se non mi tolgo di mezzo. Ma si tratta di una convinzione che non raggiunge la radicalità della filosofia. La filosofia è ancora più radicale dell'impulso a togliermi di mezzo, perché la filosofia è riflessione e la riflessione consente di indagare sull'essere oltre le sue conseguenze sul nostro corpo. La filosofia indaga sull'essere in merito alle sue implicazioni sulla riflessione stessa, sull'indagare stesso, per cui è in grado di oltrepassare i significati pratici dell'essere convinti, del ritenere un assunto qualsiasi in senso meramente pratico.
Punti condivisibili :) come ho cercato dire, io sono sempre pronto a cambiare le mie idee se trovo qualcosa che mi sembra migliore. Ma se non trovo nulla di migliore e le obiezioni che mi vengono rivolte non mi sembrano sufficienti per farmi abbandonare le mie idee non le cambio ;)
La metafisica non è un male
per me. Non credo che porti a niente di male. Uno può credere nell'esistenza delle forme platoniche. Ciò non significa che sia un dogmatico e non voglia assolutamente mettersi in discussione.
A proposito di Parmenide... in realtà vorrei spezzare una lancia a suo favore se mi è concesso. Parmenide scoprì che da un lato c'è la realtà mutevole e dall'altro ci sono i concetti - che ci piaccia o no anche per parlare adesso stiamo utilizzando concetti. Detto questo Parmenide ha scoperto che i nostri concetti sono dopotutto "fissi" e il concetto più "semplice" è in fin dei conti quello di
essere. "L'essere è" appunto. Tuttavia Parmenide fu il primo a rendersi conto che la nostra capacità di comprendere è in fin dei conti basata su concetti che per loro natura sono fissi anche quando si devono riferire a qualcosa di mutevole. Dunque Parmenide enunciò il suo famosissimo aforisma: "
l'essere è e non può non è essere. Il non essere non è e non può essere". Dal mio punto di vista questa è un'intuizione geniale: visto che l'esperienza sensibile non è fissa allora non ha nemmeno senso prendersi la briga di stabilire dividere la realtà in "cose" e mantenere tale divisione in modo dogmatico.
Se ci pensiamo siamo molto bravi a dividere la realtà. Questo è il "monte Bianco", quello è il "monte Rosa". E siamo talmente bravi a farlo che finiamo per credere che queste divisioni siano nella realtà sensibile. E invece se analizziamo il monte Bianco e il monte Rosa vediamo che mutano, variano ecc. A ben vedere il "monte Bianco" di ieri non è il "monte Bianco" di oggi. Ma si somigliano molto. Anche io somiglio molto a "me" di ieri. Tuttavia qualcosa è cambiato, quindi non sono esattamente "me" di ieri. E dunque Parmenide, se non erro, arrivò a dire che possiamo solo avere
opinioni sulla realtà. Opinioni e non conoscenza certa. Ma secondo me nell'antichità probabilmente i filosofi erano poco interessati ad una conoscenza sterile, volevano arrivare ad un altro obbiettivo. Quale? Forse la pace interiore... Sì, così si spiega la "fuga" di Parmenide. Dogmatismo? No, non c'è il dogmatismo secondo me. Anzi dice precisamente quello che direbbe un Sesto Empirico o un Pirrone: è impossibile comprendere con concetti immutabili il mutevole... Parmenide comprese che possiamo solo aver conoscenza certa di ciò che è stabile e immutabile, ovvero "l'essere" - non certo di qualcosa di ambiguo come il nostro mondo.Vedo un'analogia con la filosofia indiana*. Solo chi
trema (e ha buonissime ragioni per farlo) davanti alla violenza, al flusso, a un mondo che come scrive Eraclito sembra dato alla guerra, può cercare un
rifugio stabile. L'Essere, la pace dell'essere. La fissità. Eraclito invece guardò allo stesso divenire e non si rifugiò nell'essere: vide conflitto e guerra. E arrivò a dire che i poeti erano folli proprio perchè si lamentavano della guerra, del flusso. Non a caso Nietzsche ebbe un altissimo rispetto per Eraclito e poco per Parmenide. Per quanto mi riguarda, mi sento più vicino a Parmenide.
Qualche tempo dopo arrivò Platone. Platone in fin dei conti era molto vicino a Parmenide: le cose in questo modo in continuo mutare non rimangono sé stesse ma nemmeno vengono completamente trasformate. "Essere" e "non Essere" non possono applicarsi alle cose in questo continuo flusso. Platone ebbe probabilmente un'intuizione: questo flusso in realtà è regolare. Le mele cadono dagli alberi, gli animali necessitano di acqua per vivere e non possono mangiare i sassi. Qualsiasi animale non può mangiare sassi. Ecco dunque che Platone ebbe questa intuizione: certo il divenire è qualcosa che non posso negare - non posso di certo ignorare che le mie concettualizzazioni non possono catturare una realtà in continuo fluire. Tuttavia... tuttavia i meli danno come frutto le mele e non le pere. Anche tra le più diverse mele c'è una fortissima somiglianza rispetto a ciascuna di esse e una pera. Ci deve essere qualcosa di comune. Cosa? ma certo, ciò che rende la mela una "mela". E cos'è? Cos'è? Cos'è che rende un cavallo un "cavallo"? Ebbene se tutti i cavalli si somigliano allora ci deve essere qualcosa che li renda tali. Ma il "cavallo" - ciò che rende un cavallo tale non può dipendere dall'esistenza di un cavallo particolare. Dove sono dunque le forme del cavallo, della mela? Ebbene non qui, quindi devono essere "là". Dopo di lui l'Accademia passò a Spesusippo il quale
rifiutò la teoria delle Forme. E anzi nel "Parmenide" Platone sembra quasi a tratti rifiutare la sua teoria. Vediamo un dogmatico o un ricercatore qui? Anche lui vedeva la realtà in continuo fluire, una realtà di conflitto. Ma a differenza di Eraclito anche Platone voleva la stabilità. E trovò le idee. Nuovamente Nietzsche fu estremamente critico nei riguardi di Platone. Nuovamente mi sento più vicino a Platone rispetto ad Eraclito (ciò non è vero per la filosofia politica. Il Platone politico non mi piace per niente anche se effettivamente se lo contestualizziamo al suo tempo probabilmente era quasi un "riformista". Si può discutere di ciò, ma non qui...).
Millenni dopo arrivò Nietzsche e cercò di distruggere la metafisica. Eppure... eppure i problemi di Parmenide e Platone sono ancora qua.
Che rapporto c'è tra concetti e realtà?
Cosa rende un cavallo tale? Perchè una mela è simile ad una mela e diversa da un'arancia?
Perchè le mele cadono dagli alberi e non vediamo mai che volano in cielo?
Possiamo avere una conoscenza adeguata delle cose?
I nostri concetti si riferiscono a qualcosa o no?
Qual è la natura delle cose?
Esiste un modo per trovare la pace interiore?
Desideriamo veramente la pace interiore o no?
Cos'è la giustizia?
Cos'è la felicità?
Perchè le mele cadono dagli alberi?
Perchè la matematica funziona?
...
Platone e Parmenide hanno cercato di rispondere ad alcune di queste domande e molte altre domande. Oggi sappiamo che hanno dato delle risposte. Si tratta di volerle accettare liberamente o rifiutarle con la stessa libertà. Si può essere attaccati a tale risposte e non voler dialogare (Platone scrisse dialoghi...). Si può negare che quelle domande abbiano un valore. Si può negare che quelle domande portino da qualche parte. Si può negare le risposte che i filosofi hanno dato. Nessuno impone nulla.
L'imposizione è ciò che dobbiamo evitare, l'attaccamento alle opinioni è da evitare. Ma è da evitare - per quanto mi riguarda - anche la convinzione che
non sia possibile riuscire a rispondere nel modo corretto a tali domande e così via...
Se provo a rispondere alla domanda "perchè la matematica funziona" chiaramente entro nella "meta-fisica" (vado oltre la "fisica"). Io sinceramente ci provo. Sbaglierò, ma preferisco sbagliare piuttosto di non provare ;)
*avevo scritto che Nietzsche aveva trovato una somiglianza tra Parmenide e la filosofia indiana. In realtà mi sbagliavo.
Chiedersi perché la matematica funziona sembra una domanda, ma in realtà afferma una certezza: la certezza che la matematica funziona.
Il problema dei modi di pensare metafisici consiste proprio nel fatto che danno per scontate certe cose, trascurando di interrogarsi riguardo ad esse.
Allo stesso modo, per quanto riguarda i cavalli, si dà per scontato che esista tra di loro qualcosa di simile, tant'è vero che riusciamo ad attribuire loro lo stesso nome di cavalli. Ma chi ha detto che tra un cavallo e un altro esista la benché minima somiglianza? Ora qualcuno mi dirà che, ad esempio, non sarà difficile notare che in una mandria di cavalli tutti hanno quattro zampe. Anche in questo caso ci sono verità che vengono date per scontate, senza interrogarsi su di esse.
Procedendo in questo modo, non è difficile notare che la domanda madre di tutte le domande non poste, e quindi date per scontate, riguarda noi soggetti pensanti. Ci si dimentica di interrogarci riguardo al nostro coinvolgimento in qualsiasi cosa diciamo e pensiamo.
Prendere in considerazione questo coinvolgimento dà la sensazione di rendere impossibile il pensiero, perché mette in questione tutto. In realtà mette in questione soltanto il modo di pensare metafisico.
Se vogliamo interrogarci con correttezza sulla matematica, dobbiamo tener conto che anzitutto noi siamo matematica: un essere umano che s'interroga sulla matematica è matematica che s'interroga sulla matematica. Noi siamo spazio e tempo: un essere umano che s'interroga su spazio e tempo è spazio e tempo che s'interroga su spazio e tempo.
Siamo coinvolti in qualsiasi cosa pensiamo, qualsiasi cosa su cui c'interroghiamo. È questa la trascuratezza fondamentale del pensare metafisico.
Una volta che prendiamo atto di questo, ne consegue l'impossibilità per qualsiasi discorso di giungere a conclusioni: qualsiasi discorso diventa infinito, perché un soggetto che s'interroga su sé stesso o sulla realtà, prendendo atto del proprio coinvolgimento, dovrà in continuazione prendere atto del proprio coinvolgimento anche nel prendere atto. In altre parole, ci è impossibile staccarci da noi stessi, il che è invece proprio ciò che la metafisica trascura, facendo finta che sia possibile oggettivare, trattare un discorso qualsiasi in modo oggettivo, cioè staccato dalla nostra soggettività.
Interrogarsi sul perché la matematica funziona significa presupporre che essa funzioni da sola, senza il nostro coinvolgimento. Ma pensare ciò è umanamente impossibile, perché appena lo pensiamo vi siamo già coinvolti, stiamo in realtà pensando noi stessi. Qualunque cosa pensiamo, non stiamo pensando quella cosa, ma l'immagine umana che di quella cosa ci siamo costruiti per renderla a noi stessi pensabile. Cioè, l'abbiamo immediatamente distorta e inquinata.
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 17:40:35 PMAd esempio, un appello al "sano buon senso", al di là delle apparenze è segno di un pensare metafisico, cioè un dare per scontate delle certezze che, in realtà, vanno ben oltre il semplice e pratico buon senso.
L'affermazione di cui sopra è di un'assurdità esemplare.
Il
buon senso a cui faccio appello è la stessa
ragionevolezza di cui ha parlato Apeiron qualche post fa (con cui concordo pienamente).
La stessa ragionevolezza che anche tu, Angelo, usi nella PRATICA quotidiana, non certo nella METAFISICA quotidiana.
L'esperienza PRATICA mi mostra tutti i giorni che il
principio di causalità vige implacabilmente: tutti i fenomeni sono causalmente legati l'uno all'altro, nella PRATICA.
Che poi i fenomeni siano
illusori,
non sostanziali, sono io il primo a dirlo, poiché sono convinto che tutto sia
maya, io come soggetto compreso. Ma ciò non toglie che questi fenomeni illusori si manifestino implacabilmente, nella PRATICA, connessi da
legami di causalità.
A quanto pare, sembri essere più tu quello interessato al problema metafisico della (in)sostanzialità delle cose, che io.CitazioneLo scienziato cerca esperimenti, applicabilità, verificabilità, falsificabilità, insomma cerca il pratico.
No, e l'ha già detto anche Apeiron. Quelli sono solo gli
strumenti che lo scienziato usa per raggiungere la (sua) verità.
Tutte le scienze fisiche si pongono come scopo la ricerca della verità (per come la intende lo scienziato, beninteso), ossia proprio le CAUSE dei fenomeni. Perfino le scienze non fisiche cercano le cause dei fenomeni: la psicologia cerca le cause dei blocchi psichici, la storia cerca le cause degli eventi storici etc. Tutta la nostra conoscenza si basa in PRATICA sull'applicazione del principio di causalità.Per non parlare della tecnologia. Prova a costruire in PRATICA un qualunque oggetto d'uso senza applicare il principio di causalità...Allora che faccio io?
Ragionevolmente estendo il principio di causalità anche a domini che non sono sperimentabili nella pratica (quelli che tu chiami
metafisica);
mi pare meno ragionevole fare il contrario.
Ma se tu trovi più ragionevole il contrario, fai pure. Io però continuerei a chiedermi perché un principio che funziona tanto bene nella PRATICA non dovrebbe più valere dove l'esperienza pratica non arriva...Per concludere, mettiamola così.Io sento il bisogno di
dare sempre una spiegazione a qualunque fenomeno (rigorosa applicazione del principio di causalità).
Tu, evidentemente,
no (ma non ho capito se
mai,
spesso, o solo
qualche volta...).
Detto questo, noto che la discussione si è involuta su quella che doveva solo essere la mia premessa logica.
Mi piacerebbe che si tornasse al focus di questo 3D.
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 20:16:08 PM...ciò non toglie che questi fenomeni illusori si manifestino implacabilmente, nella PRATICA, connessi da legami di causalità...
Se si tratta di fenomeni illusori, non ci sarà da dedurre che sia illusoria anche la loro implacabilità?
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:46:31 PM
Citazione di: iano il 17 Marzo 2018, 14:40:40 PMPer Iano
Possiamo stabilire ragionevolmente che una teoria è migliore di un'altra. Per esempio la relatività ci dà un'immagina migliore delle cose rispetto alla fisica newtoniana. Se non ammettiamo questo non ha nemmeno senso parlare di "evoluzione". Dunque la scienza ci permette di "uscire" in parte dalla gabbia della nostra "ignoranza". Uno scettico potrebbe dire che non posso dirlo con certezza. Io gli rispondo che lui è troppo pedante: ad un certo punto lo scetticismo deve essere abbandonato in parte. Ma tutti questi discorsi hanno come assioma di partenza che la realtà è per noi almeno parzialmente comprensibile. Se togliamo questo assioma non si può nemmeno parlare di "evouzione"
Non era un mio post.
Comunque nella mia ignoranza della filosofia da questa discussione deduco di essere uno scettico , ma soft , più o meno come te.
È' vero , come dici tu , che comunque una posizione va' presa.
Che la realtà sia una illusione o meno in fondo conta solo da un punto di vista psicologico.
Ma è' per fortuna nella natura dell'uomo prendere maledettamente sul serio anche un gioco e questo dovrebbe scongiurare comunque il rischio di un nostro disimpegno.
Pero' certamente se uno crede in ciò in cui è impegnato è meglio.
Per contrappasso però sarà meno elastrico.
Sono atteggiamenti diversi coi loro pro e contro , e quello che dobbiamo chiederci è quale atteggiamento sarebbe più utile nel contingente.
Sappiamo che finora ha pagato l'atteggiamento di chi ha preso posizioni forti.
Questo ci ha portato finora a vivere dentro una realtà certa per noi in senso letterale , perché quando credi ti immedesimi.
Tutto ciò è frutto della nostra evoluzione e nessuno vuole buttare il bambino con l'acqua sporca.
Perché se si tratta di una illusione , questa illusione ha avuto la sua funzione e che continua ad averla , e comunque non è pensabile che il senso di realtà che ho ricevuto in eredità io riesca a spazzarlo , se pure volessi , con un atto di volontà,perché non è stato un atto di volontà a crearlo.
Non si può abbandonare una strada che ci ha dato certezze per una che fosse pure migliore , ma che ancora non c'è di fatto.
Non è peccato però saggiare una possibile strada alternativa , partendo ad esempio dalla ipotesi molto semplice ed efficace che equipari il processo percettivo a quello scientifico, la natura delle illusioni del quale ultimo ormai ben conosciamo , barattando un po' di certezze con un equivalente in consapevolezza.
Succede in questo caso quello che succede quando si prova ad uscire dalle routine che presiedono ai processi umani.
I processi ne risultano rallentati e impacciati , ma potrebbero esserci altri vantaggi in cambio , considerando che le,routine possono essere delegate alle macchine , e questo in effetti è ciò che sta avvenendo. Quando si sarà' creato un nuovo senso di realtà, nato da nuove prese di posizioni , non sarà il nostro senso di realtà, ma dell'uomo che sarà.
Non è pensabile che la realtà in cui viviamo o crediamo di vivere , ci accompagni da sempre , come qualcosa di indipendente da noi , seppure mi piace pensare che ci sia qualcosa di indipendente da noi , dall'interazione col quale creiamo la realtà.
@Iano, mi riferivo ad una parte del tuo post.
Mi sembrava che tu dicevi che c'era l'evoluzione ma al tempo stesso una parte del tuo post mi sembrava che implicasse il contrario. Quindi ho frainteso, chiedo scusa.
Su quanto hai scritto adesso direi di essere d'accordo :)
@Angelo,
ci stiamo arenando di nuovo nel solito dibattito - che ancora penso sia dovuto in parte ad un equivoco :) direi però di non continuarlo, almeno in questo topic. Semmai facciamo un'altra volta!
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 20:39:34 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 20:16:08 PM...ciò non toglie che questi fenomeni illusori si manifestino implacabilmente, nella PRATICA, connessi da legami di causalità...
Se si tratta di fenomeni illusori, non ci sarà da dedurre che sia illusoria anche la loro implacabilità?
Non si deve dedurre nulla, basta OSSERVARE l'esperienza. Se
osservo l'esperienza, mi posso fare la
ragionevole opinione che al fenomeno A segua il fenomeno B. Così, se passa un treno, mi sposto dai binari, e non sto a disquisire sul fatto che la relazione fra il passaggio del treno e il mio presumibile schiacciamento possa essere più o meno illusorio...
Per chi è
dentro l'illusione (e noi siamo essere illusori dentro un mondo illusorio) l'illusione è del tutto
reale, nel senso che è imprescindibile (si pensi a
Matrix).
Questo mi dà l'occasione per tornare "a bomba". Mi piacerebbe discutere il concetto buddista della
rinascita, a cui ho accennato in un mio precedente post che qui cito:
CitazioneSe eliminiamo l'idea di una sopravvivenza individuale, e parliamo dell'io come di un'illusione alimentata da aggregati psichici etc, giungiamo ad una visione che ha ben poche differenze con la visione materialista e riduzionista dei nostri giorni.
Inoltre, se non vi è una sopravvivenza individuale, che senso ha parlare di liberazione dalla catena delle rinascite (come ha fatto Buddha)? Che senso hanno le pratiche, le virtù etc etc? E' la morte la grande liberatrice: basta attenderla, e l'individuo è libero.
Ancora, se non vi è una sopravvivenza individuale, diventa del tutto casuale il genere di karma che mi ritrovo addosso, nel senso che non fui io a generarlo, ma fu un altro. Che giustizia c'è in questo?
Infine, se non vi è una sopravvivenza individuale, che me ne frega se di me resteranno degli aggregati che andranno ad attaccarsi a qualcun altro dopo di me? Tanto non sarò io. E come io mi sono beccato gli aggregati lasciati da altri, così altri si beccheranno quelli lasciati da me.
Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.
E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.
Aggiungo, la tradizione riferisce del fatto che Budda stesso, illuminato, avrebbe ricordato tutte le sue innumerevoli vite precedenti... Ora, come avrebbe potuto ricordare le proprie vite precedenti, se non si fosse reincarnato? Quali vite avrebbe ricordato, Budda? Vite di altri?
E' chiaro che non ha senso.
Però la soluzione potrebbe proprio essere nel concetto di
illusione dentro l'illusione.
Il nostro Sé può anche essere inteso come illusione, ma è un'illusione che
perdura di vita in vita nella cornice dell'illusione più grande che è il cosmo e la sua evoluzione. Solo quando il Sé individuale si rende conto della propria illusorietà, allora la catena si spezza, l'illusione si rompe ed esce dalla ruota del samsara, per confluire nella sorgente sovra-individuale.
In questo articolo (in inglese) è esposto più o meno questo concetto.
http://reluctant-messenger.com/reincarnation-buddha.htm
L'illusione dell'io , come tutte le illusioni , ha la sua funzione.
Ogni uomo è una chance vitale in più per l'umanità in virtù di questa illusione.
Se questa illusione è così forte non mi sorprende che la si voglia conservare sotto forma di anima o spirito, a discriminare i quali non mi avventuro.
Se ciò serve a rafforzare questa illusione , bene.
Anche se personalmente sono convinto che l'amore reciproco che proviamo possa sanare ogni dubbio sull'io , fino a non farci temere la fine che farà.
Però intanto , guai a chi ce lo tocca.😄
Se la tradizione dice che qualcuno dice di aver ricordato vite precedenti si è liberi di crederlo , e applicare soggettivamente il principio di autorità non è peccato.
Possiamo provare amore perfino per i personaggi inventati di un libro , soffrendo e gioendo con loro , e anche questo mi sembra molto bello , e comunque i libri continuiamo a leggerli anche se sappiamo che finiscono. Nel tempo qualcosa di quei libri rimane, anche quando non ricordiamo più l'autore , né' la precisa trama , anche quando col tempo quindi l'io di ogni libro si perde nel nostro.
Non vorrei dare la sensazione di voler vietare certe discussioni. Per me non è affatto vietato ipotizzare reincarnazione, karma e quant'altro. In questo senso mi sento un grande estimatore di qualsiasi religione, qualsiasi spiritualità e perfino anche delle superstizioni più rozze che solitamente vengono considerate come punti molto bassi della cultura umana.
Trovo però fondamentalmente errato tentare di trovare ad una spiritualità qualsiasi delle basi di sostegno di tipo metafisico, cioè caratterizzate dall'attribuzione ad esse di qualità di certezza, assolutezza, oggettività. Fare questo significa sostituire sé stessi alle basi di una qualsiasi religione o spiritualità.
Le religioni reggono da millenni non perché possiedano delle basi di certezza, ma perché sono ricche di vita, di umanità e di spiritualità.
Quando in un discorso come quello sulla reincarnazione vedo che vengono introdotti dei puntelli di certezza, mi viene l'istinto alla critica non solo a causa del fatto che ogni certezza è criticabile, ma anche perché sento che cercare quei puntelli significa non rendersi conto della ricchezza e della profondità di ciò di cui si sta parlando, significa banalizzare il discorso e affidarne la consistenza a basi di certezza che non hanno niente di consistente.
Così, affidare la solidità di una spiritualità della reincarnazione a metodi di pensiero basati sulla fiducia nella causalità viene a significare per me svuotare, banalizzare il discorso sulla reincarnazione, privarlo della sua ricchezza di significati.
In fondo il meccanismo è questo: se si cercano puntelli, vuol dire che non si è capito quanto il discorso sia capace di essere valido da sé, senza bisogno di quei puntelli.
In altre parole, con un discorso leggermente diverso, si potrebbe dire che Dio non ha mai avuto bisogno di avvocati difensori e chiunque si sia cimentato nel difenderlo gli ha sempre reso un cattivissimo servizio, non ha fatto altro che creare difficoltà alla percezione della sua immensità.
Non c'è alcun bisogno di cercare di fondare la reincarnazione su certezze concettuali come la causalità. Pensare di difenderla in questo modo significa rendere ad essa un cattivissimo servizio, significa banalizzarla, non aver capito che essa non ha alcun bisogno di avvocati difensori.
@Loris Bagnara,
Cerco di dirti la mia. Ma se sei veramente curioso del Buddhismo ti consiglio di visitare questo sito https://www.canonepali.net/il-canone-pali/. Ci sono molti discorsi tradotti in Italiano. Non voglio sembrare "avverso" alla teosofia ma sappi che al centro del Buddhismo c'è la frase "ogni cosa è senza Sé" ("sabbe dhamma anatta"). Nonostante questa chiara affermazione, molti ritengono che ci sia un "vero Io" anche nel Buddhismo. E prendono parti di qualche discorso - spesso decontestualizzate - per dire che anche nel Buddhismo c'è un "vero Io". Adesso cerco di spiegarti a parole mie quanto ho capito io. Comunque ti consiglio veramente di leggerti i post di @Sariputra che ti avevo indicato se non lo hai già fatto.
non c'è alcuna "re-incarnazione" nel Buddhismo. Il processo di ri-nascita è dovuto all'illusione dell'identificazione. In sostanza l'idea è che la brama (tanha) fa in modo che sorga l'attaccamento e l'avversione alle forme materiali (rupa), alle sensazioni (vedana), alle percezioni (sanna), alle costruzioni mentali (sankhara) e infine alla cognizione (vinnana). Il processo è mantenuto in vita dalla brama, dall'identificarsi con questi aspetti della nostra esperienza.
Le rinascite non sono dovute all'esistenza di un "Sé" bensì sono dovute all'esistenza della brama. Ma qual è il problema?
Il problema è che secondo il Buddhismo vale la legge universale del Paticcasamuppada ("originazione dipendente") che afferma che ogni esperienza che possiamo avere è impermanente. Perchè è impermanente? Per il fatto che nasce (originazione) ed è mantenuta in essere da determinate condizioni (dipendente) e non appena le condizioni favorevoli cessano anche l'esperienza cessa. E siccome ogni rinascita è dovuta a questo processo di "originazione dipendente" allora ogni rinascita è impermanente. Un esempio lampante sono le malattie del nostro corpo: per restare in salute in fin dei conti dobbiamo stare molto attenti, dobbiamo mangiare in un certo modo, coprirci quando c'è freddo e così via, tuttavia per quanto possiamo stare attenti prima o poi il declino prende il sopravvento. Possiamo infatti stare attenti quanto vogliamo ma prima o poi purtroppo dobbiamo rassegnarci all'inevitabilità. La realtà è che siamo molto fragili. Senza andare a parare al "declino" possiamo pensare alle malattie, a quanti progetti possono fallire a causa di una inevitabile malattia. Questa realtà è inaccettabile per chi è attaccato al proprio corpo. Infatti noi vogliamo che il nostro corpo sia sempre sano, vogliamo non invecchiare, vogliamo stare bene e così via. E l'attaccamento conduce a dire "questo corpo è mio" o "questo corpo sono io". Ma se ciò fosse vero il nostro corpo dovrebbe sottostare alla nostra volontà. Non lo fa.
Ma finché ci identifichiamo con gli elementi della nostra esperienza e/o pensiamo che siano "nostri" non possiamo liberarci dalla sofferenza perchè rimane sempre un po' di "sete" o brama (tanha). E la nostra esperienza secondo il Buddhismo è composta dalle suguenti "parti": occhi e sensazioni visive, orecchie e sensazioni uditive, corpo e sensazioni tattili, naso e sensazioni olfattive, gusto e sensazioni gustative e infine mente e contenuti mentali. Da notare che per il Buddhismo (e credo anche per altre filosofie indiane) ci sono sei organi di senso con le relative sensazioni: il sesto organo di senso è la mente. Tuttavia anche la mente come il corpo è tutt'altro che permanente. Se pensiamo alla nostra esperienza quotidiana ci accorgiamo di come continua a mutare: pensiamo a quello o a questo, ragioniamo, ce la prendiamo contro il computer quando si blocca, ci arrabbiamo, siamo stanchi, siamo felici... e dunque anche i contenuti mentali causano attaccamento. Alcuni pensieri sono piacevoli, altri no. Altri sono neutri. Proviamo avversione per quelli che non ci piacciono. E finiamo per dire "questo pensiero è mio". Secondo il Buddhismo anche l'attaccamento alle idee ci porta ad una felicità illusoria. Non possiamo "trattenere" i contenuti piacevoli. La legge della originazione dipendente non ce lo permette. E la legge dell'originazione dipendente vale oggi, valeva nel passato e sarà valida nel futuro. Come puoi leggere qui https://www.canonepali.net/2016/09/sn-12-20-paccaya-sutta-condizioni-2/ (qui si parla del Dhamma ovvero della verità dell'insegnamento che rimane vera indipendentemente dalla presenza o meno di un Buddha. Un aspetto centrale (o forse l'aspetto centrale) del Dhamma è la legge dell'originazione dipendente...)
La soluzione? Non pensarci più in relazione alla nostra esperienza. Cosa significa? Non identificarci più né con la nostra esperienza né con qualcosa di diverso. Non siamo né il nostro corpo né altro dal nostro corpo, né la nostra mente né altro dalla nostra mente e così via. Infatti dire anche di essere altro da ciò che è impermanente e causa di sofferenza in realtà è una forma molto sottile di brama. Ci costruiamo un concetto di "Io" e cerchiamo di trattenerlo. No, secondo il Buddhismo la strada è diversa: smettere di dire "io sono questo". Mentre l'Advaita dice "non (sono) questo, non (sono) quello" (neti, neti) presupponendo che ci sia un Sé, il Buddhismo dice solo "non sono questo, non sono quello, questo non è mio, quello non è mio, non sono diverso da questo, non sono diverso da quello...". Eliminare dunque la tendenza all'identificazione con i componenti della nostra esperienza. Questo porta al distacco (viraga) e infine all'estinzione (nibbana). E l'estinzione, la cessazione dell'attività di costruire esperienze condizionate (e quindi impermanenti e quindi causa di sofferenza) è la cessazione della sofferenza e quindi la cessazione del ciclo del samsara. Ma il Nibbana non è mai spiegato come l'unione dell'Io con la Realtà come fanno alcune scuole induiste. No perchè anche pensarsi come identici alla Realtà probabilmente nasconde ancora brama. E quindi non conduce alla cessazione della brama. Solo l'estinzione della brama e della produzione di condizionamenti conduce alla cessazione della sofferenza. D'altronde la metafora che viene usata per dare l'idea del Nibbana è l'estinzione di una fiamma.
Ma se non c'è un Sé come è possibile che Buddha parlava di "vite precedenti"? Secondo il Buddhismo le nostre menti sono come dei fiumi. Così come i fiumi pur non avendo "stabilità" possono essere chiaramente distinti l'uno dall'altro allo stesso modo possono essere distinte le menti individuali. Il Buddhismo non nega la soggettività, anzi unita al processo di dis-identificazione c'è allo stesso tempo un esercizio di disciplina mentale, di costruire un "io empirico" molto ben sviluppato, pronto a lasciare andare gli attaccamenti. E questo "io empirico" saldo è dato dalla pratica spirituale e parte di essa è una dura disciplina etica. Il Buddhismo è molto etico. L'etica e la meditazione servono per "allegerire" la mente dal "peso" dovuto all'incomprensione (avijja o avidya), all'attaccamento e all'avversione. Il livello di "purezza" della mente è ciò che porta uno ad avere rinascite felici o infelici. Qui sta, volendo, l'"oggettivazione" dell'etica delle filosofie indiane e non solo del buddhismo. Più una persona ha una mente libera dagli influssi "maligni" più uno tende ad avere un "destino" migliore. Più uno ha una mente "schiava" degli influssi "maligni" (incomprensione, attaccamento e avversione) più tende ad avere un "destino" peggiore. Tuttavia se l'incomprensione non viene rimossa (che è alla base di ogni tipo di identificazione - "io sono questo" ,"io sono diverso da questo"...) la "purezza" della mente non viene mantenuta e quindi prima o poi uno ritorna "schiavo" di sé stesso, per così dire. Ma a differenza dell'induismo la liberazione non è la conoscenza di un "vero Io" bensì la cessazione dell'identificazione.
Ah un'altra cosa. Molto spesso il "buddhismo secolare" tende ad eliminare la parte "sovrannaturale" del buddhismo. Per esempio si negano le rinascite, il kamma, i Buddha passati e futuri, l'aspetto rinunciante, l'aspetto di "negazione del mondo" (per dirla alla Nietzsche). Tuttavia nessuna scrittura antica Theravada o Mahayana o di altre scuole porta a dire che Buddha non parlava di queste cose "controverse". Anzi queste scritture pullulano di elementi "sovrannaturali" e disturbanti. Si mette molto in luce la miseria dovuta alla sofferenza e al "ciclo". Per esempio: " E tutto ciò che qui è ancora formabile, sensibile, percettibile, concepibile, conoscibile, egli riguarda tali cose come cose impermanenti, dolorose, inferme, malate, tormentose....." (MN 64 https://www.canonepali.net/2015/05/mn-64-maha-malunkyovada-sutta-il-figlio-della-malunkya-2/). Di certo non è un messaggio molto "consolatorio" o "affermatrice della storia" (come è invece la filosofie di Nietzsche) ;) in realtà l'obbiettivo è proprio il distacco dalle cose impermanenti...
Comunque è anche vero che molti buddhisti mirano ad una migliore rinascita e non all'estinzione e quindi coltivano la virtù (sila) e il dono (dana). Inoltre c'è un aspetto molto importante che non ho sottolineato. Una parte molto importante nella purificazione della mente è l'esercizio della compassione, dell'amore (karuna, metta) ecc. E anche se la pratica della virtù secondo il Buddhismo non conduce alla liberazione/estinzione la facilita. Infatti secondo il Buddhismo compassione e saggezza (karuna e prajna) sono elementi che si rafforzano l'un l'altro. Un altro post molto interessante lo puoi trovare qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/msg16481/#msg16481
Addendum: ovviamente il Buddhismo non nega che ci siano piaceri nella vita. Anzi. Tuttavia ciò che nega è che questi piaceri portino ad una soddisfazione completa e che ci riparano dal "pericolo" del "declino". Inoltre come dicevo sembra anche abbastanza evidente la consapevolezza che il Nibbana non è cercato da tutti ma per molte persone l'obiettivo è un altro (tuttavia visto dai Buddhisti come "inferiore", per così dire).
Detto questo prima parlavo anche del "Buddhismo secolare" che tende ad eliminare il "sovrannaturale" e gli aspetti più "disturbanti". Questo movimento è nato per una proprietà molto attraente del Buddhismo per l'uomo moderno. Ovvero il non accettare "per fede cieca" i dogmi ma testarli nella propria esperienza. Effettivamente non è necessario credere nel Nibbana o nelle rinascite per praticare la moralità e la meditazione ;)
Ah, nel link che hai postato @Loris c'è scritto che chi dice che non c'è reincarnazione (o meglio: rinascita) dice che il Buddha è un bugiardo. Ciò è sbagliato per vari motivi per esempio: 1) il Buddha potrebbe essersi semplicemente sbagliato e aver interpretato male alcune sue esperienze 2) potrebbe essere stata una aggiunta successiva. Nella parola "bugiardo" inoltre c'è una connotazione di intenzionalità "maligna" che non è per niente necessaria. Ad ogni modo concordo che è ovvio che il Buddha dei "Nikaya/Agama"* (del Canone Pali e di altri scritti delle prime scuole buddhiste) parlava di rinascita e che sono i testi più vicini alla posizione del "Buddha storico". Tuttavia ciò non toglie che uno che non crede nelle rinascite, nel sovrannaturale o nel Nibbana possa trarre beneficio dalla pratica e che non possa vedere testando con la propria esperienza la veridicità (o meno) degli insegnamenti e delle dottrine esposte dalle varie scuole buddhiste.
*Agama o Nikaya sono le collezioni dei "discorsi" relativi al "primo Buddhismo"
Apeiron, ti ringrazio molto della tua approfondita spiegazione, ma forse sono di coccio io e continuo a non capire.
Premetto che anche il teosofo riconosce tranquillamente che tutto è impermamente, anche il sé personale.
E' vero che i contenuti della mente variano costantemente, ma quel che non varia è l'esperienza soggettiva dell'io-sono-io.
Con una metafora: pensiamo a una lavagna su cui si cancella e si riscrive continuamente. I contenuti cambiano, ma quel che resta è la lavagna.
Che poi è quel che si fa in meditazione: si cerca di "svuotare" la mente dei suoi contenuti, per cercare di avere esperienza della "lavagna".
Quel che voglio dire è che non si può pensare a "contenuti mentali" senza la "lavagna mentale" su cui sono scritti e che li unifica in una esperienza unitaria (benché impermanente e illusoria).
Detto questo, come dicevo all'inizio, non riesco ancora a capire quale sia il preciso significato di rinascita, rispetto a quello di reincarnazione.
Per essere diretti, la metto come segue.
Supponiamo che io non faccia nulla, in questa vita, per estinguere la mia brama, il mio attaccamento alle cose impermanenti.
A questo mio comportamento dovrebbe seguire, per il buddismo, una rinascita. Ma di cosa?
La domanda secca, a cui dovrebbe seguire una risposta secca, è la seguente:
mi ritroverò io, soggettivamente (benché illusoriamente), in una nuova futura esperienza corporea?
Se la risposta è sì, allora non vedo differenza fra rinascita e reincarnazione.
Se la risposta è no, allora parlare di "rinascita" è fuorviante, perché si tratterebbe del semplice processo di trasformazione continua di materia ed energia:
cioè, esattamente quel che afferma la scienza materialista e riduzionista.
Ma allora a che mi servirebbe essere buddista e praticare da buddista? Non posso restare semplicemente nichilista e materialista?
Se è vero che non sperimenterò più esperienze corporee (nemmeno illusorie) allora mi basterebbe attendere la morte: quando quella arriverà, sarò certamente libero dal samsara. Posso tranquillamente non fare nulla e attendere la fine: anzi, se è vero che la vita è sofferenza, allora la scelta giusta sarebbe paradossalmente quella di terminarla subito...
Apeiron, te la senti di darmi una risposta secca, sì o no? ::)
(P.S. Anche gli altri ovviamente, anzi...)
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Marzo 2018, 01:56:44 AM[...] Trovo però fondamentalmente errato tentare di trovare ad una spiritualità qualsiasi delle basi di sostegno di tipo metafisico, cioè caratterizzate dall'attribuzione ad esse di qualità di certezza, assolutezza, oggettività. Fare questo significa sostituire sé stessi alle basi di una qualsiasi religione o spiritualità. [...]
Non c'è alcun bisogno di cercare di fondare la reincarnazione su certezze concettuali come la causalità. Pensare di difenderla in questo modo significa rendere ad essa un cattivissimo servizio, significa banalizzarla, non aver capito che essa non ha alcun bisogno di avvocati difensori.
Credo che quando ci siamo messi a discutere sul principio di causalità, si sia perso il filo del discorso.
Proviamo a rimettere il discorso sul binario giusto.
Sono d'accordo con te Angelo, e infatti io
non voglio affatto fondare la certezza del karma+reincarnazione sul principio di causalità.
E' un po' il contrario: io vorrei
prendere in esame la dottrina del karma+reincarnazione per approfondire con voi se è vero (
come io credo)che è proprio questa la dottrina che è maggiormente in grado di fornire spiegazioni esaurienti e convincenti.Non voglio dimostrare la dottrina, voglio ricavarne spiegazioni; e sulla base delle spiegazioni che ne riesco a derivarne(messe a confronto con le spiegazioni derivanti da altre dottrine) posso poi giudicare la ragionevolezza dell'assumere come verala dottrina del karma+reincarnazione.Il mio richiamo al principio di causalità è ricollegato all'esigenza di senso (di spiegazioni) che io sento fortissima e imprescindibile.
La ri-nascita , nella concezione del Buddhismo delle origini, è un evento che vede all'opera tre forze che agiscono in perfetta interconnessione: la coscienza ( che chiameremo più correttamente, nella specifica terminologia buddhista vinnana...), l'agire ( detto kamma...) e la brama d'esistere ( che chiameremo tanha...). Ora, a differenza della concezione comune occidentale,la coscienza/vinnana non è qualcosa di unitario e statico, bensì viene vista come un flusso condizionato di elementi che insorgono , divengono e cessano.
Le dottrine del kamma e della rinascita appaiono come concezioni metafisiche , ma per il Buddha invece si trattava di un fatto verificabile, esperibile. Si affermava infatti che chiunque, concentrando la propria mente, era in grado di rammentare almeno una delle vite precedenti ( questo mi lascia perplesso sull'abbandono , da parte dell'uomo attuale, della coltivazione del raccoglimento interiore e della retta concentrazione, giusto per fare una verifica di questa affermazione... ;D ).
Il Kamma, che sottintende il processo della rinascita, non è un semplice meccanismo riduzionista di causa-effetto, ma qualcosa di molto più complesso che ha a che fare con i 'bisogni' generati dall'attaccamento alla catena del Paticcasamuppada (co-originazione interdipendente... della quale abbiamo già accennato in altro topic). Non si ha mai, nelle conseguenze generate dall'azione, un assoluto determinismo. Non c'è una corrispondenza biunivoca fra l'azione e il suo risultato futuro:
"Se uno dovesse affermare: 'Come costui compie un'azione, così, nello stesso modo, ne sperimenterà la conseguenza'- se questo fosse vero, non si avrebbe in alcun caso una vita santa, nè si potrebbe conoscere un'opportunità per arrestare il dolore" (Ang.3:110)
Secondo il Buddhismo la ri-nascita è condizionata , per l'appunto, da tre fattori:
"L'azione è il campo, la coscienza il seme e la brama l'umidità".
Il kamma determina il livello generale della successiva esistenza, il vinnana è legato alle aspirazioni e ai pensieri ( in particolare agli ultimi della propria esistenza...) e la tanha lega tutto il processo al dinamismo del paticcasamuppada.
La brama d'esistere/tanha inizia il processo di edificazione di una personalità, che ha luogo attraverso l'upadana ( l'attaccamento al piacere...). La tanha rappresenta la condizione di legame, di dipendenza al mondo e che ci costringe a tornare ad esso. Questo processo di accumulazione e di costruzione inizia con la nascita e si sviluppa per tutta la vita. La sperimentazione dell'azione del kamma è presente già in questo aggregato corporeo anche se spesso non ne notiamo subito gli effetti ( come quando si viene infettati da qualche virus ma i cui effetti, come lo scoppio di una malattia, si possono subire anche dopo parecchio tempo...).
Un errore d'interpretazione del kamma è dovuto al fatto che lo si vede come una semplice accumulazione di azioni, mentre in realtà dovremmo vederlo piuttosto come un'accumulazione di forze. Le azioni, infatti, non sono che risultati di forze, vale a dire delle intenzioni salutari o nocive che le sottendono. Queste accumulazioni rappresentano così gli aspetti etici e morali della formazione della personalità nella vita presente. E' in questo modo che la coscienza/vinnana viene a formarsi come una "personalità di rinascita", appunto come un 'seme' che cercherà nuova 'umidità' ( brama) per rinascere.
(Utilizzo i termini della vegetazione, perchè è proprio in questa 'calda umidità vincolante' che prende forma la concezione del samsara tipica di tutte le tradizioni filosofiche del sub-continente indiano....)
Bisogna sottolineare con forza l'importanza di tanha/brama nel processo di costruzione della personalità di rinascita che vinnana opera di continuo, questo perché la nostra cultura occidentale ha la tendenza innata di esteriorizzare ogni cosa e, se possibile, a trascurare e svalutare nel modo più completo la coscienza. Nel Buddhismo, al contrario, i processi coscienti erano considerati di fondamentale importanza. E' veramente difficile distinguere tra la vinnana e la tanha in quanto fattori di ri-nascita, poiché la seconda opera attraverso la prima ( questa fusione viene chiamataabhavatanha, 'brama di divenire'):
"Sradicata è la brama di divenire, distrutto il canale del divenire, ora non c'è più ritorno".(Sam. V 432).
Un altro termine con cui viene definito questo processo di ideazione e costruzione è chandaraga, 'ambizione e desiderio':
"...la coscienza si lega ad essi per ambizione e desiderio; dal momento che la coscienza è legata da ambizione e desiderio, ci si diletta in essa; deliziandosi in essa, si fa ritornare il passato" (Majj.III196).
Questo passo ci dà l'idea di come la coscienza/vinnana si attacca a determinate situazioni del passato e desidera ottenere di nuovo lo stesso tipo di sensazioni e quindi lo stesso tipo di "esistenza". Questo desiderio e ambizione ha lo scopo di legare la vinnana, ossia d'impegnare la coscienza per uno scopo ben determinato, ancorchè spesso inconscio: sognare una condizione futura desiderabile, di piacere. Si vengono così a costruire pensieri e immagini che potremmo definire come 'dinamicamente gravati' e in grado di spingere all'azione kammica ( cioè la ricerca intenzionale della soddisfazione di questa brama...).
Nel Samyutta N. troviamo un brano che dice:
"Se c'è desiderio, diletto e brama per il cibo materiale, per il contatto, per la volizione mentale e per la coscienza, allora lì si fissa e cresce la coscienza. Allora si ha la discesa del nome e forma, e ove c'è la discesa del nome e forma, crescono le attività. Ove crescono le attività, ci saranno ri-divenire e ri-produzione futuri. e quindi seguiranno nascita, vecchiaia e morte".
Il processo è simile a quello della pittura di un ritratto. Il pittore può creare il suo quadro solo se dispone dei colori e di una superficie su cui dipingere. Allo stesso modo noi ' costruiamo' la nostra vinnana/coscienza futura provando desiderio per questi quattro generi di 'cibo', ossia i generi di materiale adatti all'insorgere di una nuova personalità. La creazione, attraverso l'agire, è opera nostra, però troverà nuova forma solo se abbiamo tanha ( brama ).
In assenza di brama d'esistere cessa la costruzione...
Ora, lasciando da parte la dottrina buddhista, che ormai penso sia chiaro che per essa è il kamma stesso , e non altro, che viene a rinascere e quindi non si può parlare di reincarnazione ( Sari non muore qui e riappare là, dentro un altro corpo...ma il contenuto dinamicamente gravato della coscienza che muore determina l'insorgere della coscienza che nasce. Non c'è continuità di personalità, ma continuità di flusso kammico e perciò, esattamente, ri-nascita, ossia ri-apparire del kamma, sostenuto dalla brama d'esistere, che darà origine ad una nuova coscienza, gravata dal peso kammico che l'ha generata...) possiamo riflettere sul concetto di ri-nascita come una forma di spiritualità che ha il pregio di 'aprire' la prospettiva dell'esistenza. Ad esser onesti dovremmo dire che la rinascita, quale risultato del nostro agire etico, quasi si oppone alla visione del "carpe diem", di quel "cogli l'attimo' che ormai sembra diventato il mantra ossessivo dei nostri tempi spaesati; 'carpe diem' che sembra quasi tentare di formulare un nuovo tipo di etica spirituale liberata dalla paura del risultato delle proprie azioni. La visione kammica dell'esistenza invece impone una costante attenzione al nostro agire nel mondo in quanto, tutto ciò che facciamo e pensiamo, "darà frutti". Possono essere frutti sani o frutti bacati in ragione dell'etica stessa del nostro agire.
Il concetto è semplice: un albero di mele non darà mai come frutto dei fichi. Un azione malvagia non darà mai come frutto del bene. E cos'è un'"azione gravata di malvagità" se non un'azione che perpetua in noi un ri-nascere della malvagità stessa? Ecco che, seppur non accettiamo l'idea della rinascita kammica postmorte, considerandola una semplice speculazione metafisica, possiamo ben sperimentare, nel nostro attuale vissuto, nel nostro quotidiano agire e relazionarci con il 'mondo' ,costruito dalla nostra coscienza e dalla nostra brama, l'effetto dell'azione kammicamente gravata dall'intenzione. Una profonda consapevolezza dell'importanza del nostro agire, fisico e verbale, come qualcosa che non muore e si dissolve, ma che invece crea in continuazione stati salutari o nocivi in noi e in chi ci sta attorno e quindi crea 'mondi' di dolore, se l'agire è non salutare, o invece pianta semi di compassione e benevolenza, se la nostra attitudine è salutare, ci dono una grande prospettiva umana. Diventiamo artefici di un reale, possibile cambiamento. Il kamma quindi non è più un "fato" senza senso che ci grava sulle spalle, ma è la possibilità di uscire da un 'mondo' di sofferenza e, cosa ancor più importante, aiutare gli altri esseri senzienti, che soffrono per le nostre azioni, ad affrancarsene quanto più possibile.
Oscar Wilde diceva che "ognuno ha in sè inferno e paradiso". La visione del kamma direbbe che "ognuno ha in sé la possibilità di costruire la propria salvezza o la propria rovina"...
Citazione di: Sariputra il 19 Marzo 2018, 11:10:08 AMLe dottrine del kamma e della rinascita appaiono come concezioni metafisiche , ma per il Buddha invece si trattava di un fatto verificabile, esperibile. Si affermava infatti che chiunque, concentrando la propria mente, era in grado di rammentare almeno una delle vite precedenti ( questo mi lascia perplesso sull'abbandono , da parte dell'uomo attuale, della coltivazione del raccoglimento interiore e della retta concentrazione, giusto per fare una verifica di questa affermazione... ;D ).
[...]
Ora, lasciando da parte la dottrina buddhista, che ormai penso sia chiaro che per essa è il kamma stesso , e non altro, che viene a rinascere e quindi non si può parlare di reincarnazione ( Sari non muore qui e riappare là, dentro un altro corpo...ma il contenuto dinamicamente gravato della coscienza che muore determina l'insorgere della coscienza che nasce. Non c'è continuità di personalità, ma continuità di flusso kammico e perciò, esattamente, ri-nascita, ossia ri-apparire del kamma, sostenuto dalla brama d'esistere, che darà origine ad una nuova coscienza, gravata dal peso kammico che l'ha generata...) [...]
Sari, devi scusarmi, ma a me non riesce di mettere insieme
coerentemente le due affermazioni sopra evidenziate.
Se ricordo almeno una delle mie vite
precedenti, vuol dire che ho vissuto vite precedenti; ma allora, come ho vissuto vite precedenti, così è ragionevole aspettarsi di vivere vite
future. Questa è
reincarnazione. Non della
personalità che, siamo tutti d'accordo, è impermanente; ma del suo
supporto, quella "lavagna" di cui parlavo nel mio post precedente. Che poi è l'
Atman dell'induismo, la scintilla divina.
Però nella seconda affermazione sembri
negare questo, e dici che,
quando si muore qui, non si riappare là...Ma allora
che cosa si ricorda?
Se ricordo vite vissute da
me, è
reincarnazione.
Se ricordo vite vissute da
altri, allora si tratta di un qualche
processo che impianta
ricordi non miei nel mio cervello. La
scienza materialista moderna non ha grosse difficoltà ad accettare, in linea di principio, un concetto del genere.
I concetti del buddismo, allora, non sarebbero altro che una diversa formulazione dei moderni concetti scientifici di memoria genetica etc. A me sembra una conclusione molto deludente. Troppo deludente. C'è qualcosa che non torna.Per me il punto chiave è proprio nel concetto di
personalità, e nel fatto che negare la personalità (sul che siamo tutti d'accordo) non significa negare l'
individualità (la "lavagna").
Io amo la sintesi, e credo che a domande così dirette si debbano dare risposte dirette.Sari, riesci in a rispondere in una parola a questa domanda: dopo la morte, credi che riaprirai gli occhi, SI' O NO?(questa domanda vale per tutti...)
Anche se non credo di dare una spiegazione migliore del @Sari provo a rispondere anche io:
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AMApeiron, ti ringrazio molto della tua approfondita spiegazione, ma forse sono di coccio io e continuo a non capire.
Figurati! tranquillo che la mia comprensione è intuitiva. Per fare un paragone da prendere con le pinze è più o meno la comprensione che avevo quando ero al liceo della relatività rispetto a quella che ho oggi dopo cinque anni di università (e ancora ho dubbi ;D ).
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AM
Premetto che anche il teosofo riconosce tranquillamente che tutto è impermamente, anche il sé personale. E' vero che i contenuti della mente variano costantemente, ma quel che non varia è l'esperienza soggettiva dell'io-sono-io. Con una metafora: pensiamo a una lavagna su cui si cancella e si riscrive continuamente. I contenuti cambiano, ma quel che resta è la lavagna. Che poi è quel che si fa in meditazione: si cerca di "svuotare" la mente dei suoi contenuti, per cercare di avere esperienza della "lavagna". Quel che voglio dire è che non si può pensare a "contenuti mentali" senza la "lavagna mentale" su cui sono scritti e che li unifica in una esperienza unitaria (benché impermanente e illusoria).
In realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Comunque il problema della reincarnazione/rinascita è presente anche nella filosofia monista. Se a livello ultimo tutto è uno, cos'è che si reincarna? Direi un processo, no? Dunque da questo punto di vista monismo e Buddhismo non sono poi così diversi. Ne approfitto per dire che nonostante l'enfasi del Buddhismo sull'anatta sono convinto che ci siano molte somiglianze con filosofie affini. Tu parli di "lavagna". Il Buddhista ti direbbe che rischi di identificarti con la lavagna, dicendo "la lavagna sono io, la lavagna è mia" e siccome l'identificazione è "sintomo" di brama, attaccamento o avversione allora non ti "liberi". D'altro canto però l'"ortodossia" della scuola Theravada ha sempre sostenuto che "Nibbana" non è non-esistenza (come una minoranza di monaci di tale scuola negli ultimi decenni dice e come diceva l'antica scuola Sautrantika)* ma è il non-condizionato, il non-nato, il non-formato... Il problema è che con la concettualizzazione si rischia di crearsi una "falsa idea di Nibbana" e quindi invece di raggiungere il Nibbana si cerca inutilmente di raggiungere un concetto che non corrisponde a niente di reale**. Per spezzare una lancia a favore dell'induismo c'è da dire che molti indù dicono cose molte simili riguardo a Brahman (è "Nirguna", senza "attributi"). Ah, dimenticavo... Due differenze molto importanti: 1) Brahman è la "causa di tutto" mentre Nibbana non ha alcun ruolo di causa, non è un "principio" da cui deriva tutto 2) a livello relativo/convenzionale (o "illusorio") a differenza di Brahman non si manifesta come una Divinità Personale ("Saguna" Brahman).
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AM
Detto questo, come dicevo all'inizio, non riesco ancora a capire quale sia il preciso significato di rinascita, rispetto a quello di reincarnazione.
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AMPer essere diretti, la metto come segue. Supponiamo che io non faccia nulla, in questa vita, per estinguere la mia brama, il mio attaccamento alle cose impermanenti. A questo mio comportamento dovrebbe seguire, per il buddismo, una rinascita. Ma di cosa? La domanda secca, a cui dovrebbe seguire una risposta secca, è la seguente: mi ritroverò io, soggettivamente (benché illusoriamente), in una nuova futura esperienza corporea? Se la risposta è sì, allora non vedo differenza fra rinascita e reincarnazione. Se la risposta è no, allora parlare di "rinascita" è fuorviante, perché si tratterebbe del semplice processo di trasformazione continua di materia ed energia: cioè, esattamente quel che afferma la scienza materialista e riduzionista. Ma allora a che mi servirebbe essere buddista e praticare da buddista? Non posso restare semplicemente nichilista e materialista? Se è vero che non sperimenterò più esperienze corporee (nemmeno illusorie) allora mi basterebbe attendere la morte: quando quella arriverà, sarò certamente libero dal samsara. Posso tranquillamente non fare nulla e attendere la fine: anzi, se è vero che la vita è sofferenza, allora la scelta giusta sarebbe paradossalmente quella di terminarla subito... Apeiron, te la senti di darmi una risposta secca, sì o no? ::) (P.S. Anche gli altri ovviamente, anzi...)
Risposta secca: a livello
convenzionale ci sono esseri che rinascono. Es: https://www.canonepali.net/2015/06/an-10-176-cunda-kammaraputta-sutta-a-cunda-il-gioielliere/ "
Ha delle rette visioni: "C'è ciò che è dato, ciò che è offerto, ciò che è sacrificato. Ci sono dei frutti e dei risultati dalle buoni e dalle cattive azioni. Si ha questo mondo ed il mondo che segue. Si ha madre e padre. Ci sono degli esseri che rinascono; ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'." (sottolineatura mia) Come nell'Advaita (e da quanto dici nella teosofia) però a livello ultimo ciò non è più vero. Ergo se non fai niente per liberarti certamente rimani nel samsara. E se ti comporti male... i discorsi parlano da soli ::) detto questo una buona condotta, essere disposti a donare e a comportarsi bene produce buoni frutti es per il dono: https://www.canonepali.net/2015/06/an-7-49-dana-sutta-donare/ . Ma come dice il @Sari non è un rigido determinismo. Se uno si comporta bene si tende ad avere buoni frutti (e viceversa).
Tuttavia come dice giustamente il @Sari a un livello più avanzato della nostra analisi, secondo il Buddhismo non c'è alcun Sé individuale che passa da una vita all'altra. Ciò che ricorda di più, secondo me, il processo della rinascita sono le metamorfosi degli insetti. L'insetto per certi aspetti è sempre lo stesso, per altri no. Ovvero il Buddhismo ti dice che c'è una
continuità ma non c'è alcuna vera trasmigrazione perchè nessuna sostanza passa da una vita all'altra. Ma a livello "pratico" come dice la situazione sopra ci sono "esseri che rinascono". Le azioni malvagie tendono a dare cattivi frutti e inversamente le buone azioni tendono a dare buoni frutti. La moralità non è come si pensa oggi basata su semplici convenzioni, bensì ha una base ben più solida. Come dice il @Sari questa visione che mette in guardia sulle conseguenze delle nostre azioni (in positivo o in negativo) è ben contraria alla filosofia del "cogliere l'attimo" anche se il "buddhismo secolare" a volte fa pensare che il Buddhismo sia una filosofia solo del qui-ed-ora. La grossa differenza tra Epicureismo e Buddhismo è proprio data dal "moralismo", dall'ideale della rinuncia e della "trascendenza". Il "Buddhismo secolare" è in fin dei conti un misto tra Epicureismo e qualche aspetto del Buddhismo.
Comunque, come dicevo, se la Teosofia è monista non c'è nemmeno una vera "reincarnazione" nemmeno nella Teosofia, visto che a livello ultimo non ci sono "esseri individuali" (i quali esistono a livello del famoso "Velo di Maya").
Addendum: Riguardo alla domanda finale del tuo ultimo post, il Buddhismo crede che "riaprirai gli occhi". Tuttavia a livello ultimo non c'è una sostanza nel flusso del kamma. Ergo, si deve dire che "c'è una riapertura degli occhi". Ma come dicevo prima se nella Teosofia c'è il monismo anche nella Teosofia non c'è nessun "io" che riapre gli occhi visto che l'unico "io" è il Sé universale!
Sia nel Buddhismo che nell'Advaita non si può parlare di "re-incarnazione" perchè non c'è una sostanza individuale che si reincarna. In ambo i casi c'è una rinascita.
*riguardo alla "non-esistenza", chi propone tale "posizione" non parla di "annientamento" solo perchè non esiste alcun "io" che può essere annientato. Ma in fin dei conti per loro il non-condizionato è la semplice cessazione o assenza del condizionato. La tradizione Theravada rifiuta questa dottrina della "semplice assenza". Nelle scuole Mahayana ci sono ancora altre opinioni... ma direi che stavamo parlando di rinascita e quindi la questione del Nibbana la lascerei perdere adesso. Se vuol leggere il topic sul Buddhismo della sezione filosofia troverai una lunga discussione su ciò.
Scusate le molte modifiche...
**14:57 ho modificato questa frase. Oggi non è giornata, si vede :(
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?
Citazione di: Suttree il 19 Marzo 2018, 13:48:22 PM
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?
Provo io... ;)
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "
ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."
Comunque riguardo al Sé superiore come dicevo a @Loris... Per molti pensatori induisti l'unica cosa che non muore è il Principio Universale, Brahman - l'unica cosa che esiste veramente è proprio Brahman mentre la molteplicità è illusoria. Dunque anche in questo caso non c'è veramente "reincarnazione" ma solo "rinascita" degli "individui". Altri pensatori indiani invece dicevano (e dicono) che
ognuno di noi possiede un elemento indistruttibile (il nostro Sé). Solo ammettendo questo si può veramente parlare di "reincarnazione".
cit.L.Bagnara
Se ricordo almeno una delle mie vite precedenti, vuol dire che ho vissuto vite precedenti; ma allora, come ho vissuto vite precedenti, così è ragionevole aspettarsi di vivere vite future. Questa è reincarnazione. Non della personalità che, siamo tutti d'accordo, è impermanente; ma del suo supporto, quella "lavagna" di cui parlavo nel mio post precedente.
Se tiri via la "personalità" puoi affermare che quella "lavagna" è 'tua'? Il ricordarsi non significa che ci sia un'identità fissa e immutabile che possiede quei ricordi. Il termine 'reincarnazione' mi sembra supporre che ci sia qualcosa di 'fisso' che passa attraverso varie vite, "di carne in carne" per così dire. Mentre nella rinascita c'è qualcosa di nuovo che si viene a formare gravato del peso di ciò che lo ha preceduto ( visto che nulla si distrugge ma tutto si trasforma...). Infatti ri-nascere sottintende che c'è una nuova nascita di "qualcosa" (nella concezione buddhista dell'aggregato coscienza/frutto dell'azione/brama d'esistere, quindi di un 'processo' non di una individualità).
Ho riflettuto quest'oggi su come trovare un esempio concreto per meglio esemplificare 'sta teoria e...non mi è venuto in mente niente di meglio purtroppo che riprendere il tema del ciclo naturale della vegetazione. Ogni albero produce un seme che, quando cade nel terreno, e in presenza di favorevoli condizioni, germina e dà vita ad una nuova pianta.
Il vinnana/coscienza che si sostiene e trova nutrimento nella propria brama d'esistere, nel proprio ardente desiderio di durare e che così genera continuamente nuove azioni atte a soddisfare questo desiderio, è paragonabile all'albero che produce un nuovo seme. Seme che, in presenza delle condizioni adatte genera una nuova 'personalità' fittizia, un nuovo fantasma atto a soddisfare questa brama inesauribile. Se non c'è albero non può esserci seme che rinasce. Il processo di coscienza che tende sempre a rinascere genera la coscienza che rinasce. Rinasce nè uguale nè del tutto diversa dal processo che l'ha generata. Come il seme non è l'albero , ma nemmeno è del tutto diverso da questi.
cit.
Io amo la sintesi, e credo che a domande così dirette si debbano dare risposte dirette.
Sari, riesci in a rispondere in una parola a questa domanda: dopo la morte, credi che riaprirai gli occhi, SI' O NO?
NO, il Sari non riaprirà i suoi occhi, ma temo che il pocesso che ha generato il Sari proseguirà la sua attività e ancora cercherà l'umidità adatta per ri-nascere , per placare la sua sete...sempre se, nel frattempo, il fantasma Sari non realizzerà la Suprema Illuminazione... ;D ;D
Il fatto non mi consola per nulla...Questa mente, quando deve relazionarsi con L.Bagnara,,con Suttree, con Apeiron, ecc. usa un linguaggio che non può trascendere l'uso dei termini: io-tu-noi, ecc. Quindi non può sfuggire alle contraddizioni del linguaggio.
Quindi sicuramente questa identità ballerina mi seguirà come un ombra ogni volta che aprirò bocca per dire che è proprio una gran impicciona...Dovrei stare in silenzio? E' una bella domanda...che mi faccio spesso anch'"io" ( ma anche la domanda va e viene nella mia zucca vuota...) cit. da me stesso...
cit.Suttree:
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?
Proprio per la loro impermanenza e vacuità le cose possono esistere e divenire. Non è annichilimento perché , nella visione buddhista, vi è un elemento che non appare ma che trascende l'impermanenza, ed è l'elemento Nibbana/nirvana, ciò che non rinasce, che non diviene, che non brama nulla, ecc....l'"altra riva". Il Senza Nome...ciò che si 'tocca' quando l'incessante rinascita cessa...ed è "qui e ora"...la sua funzione è "dare pace"...
A volte possiamo 'gustarlo' nei brevi attimi in cui sappiamo e possiamo lasciar andare il nostro attaccamento a questo incessante divenire e cessiamo di identificarci con il nostro senso dell'io-mio...
cit:Apeiron:
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."
Caro Apeiron, sono stanco ormai, e Villa Sariputra ha bisogno di un nuovo patriarca. La paga è bassa, ma il paesaggio è ameno, le dolci colline ricoperte di vigneti rosso fuoco al tramonto, le botti piene, gli animali da accudire, le cipolle, ecc.. e le abitanti della Contea....non so se mi spiego ;)
Che ne dici?...
Posso finalmente salire la montagna?...
tutto quello detto da Sari è "accademicamente" vero...
Ultimamente stiamo discutendo una cosa fondamentale e molto interessante al centro dove vado a prendere lezioni di buddismo.
Tra gli aggregati che costituiscono l' "essere" vi sono le cinque coscienze sensoriali piu' la coscienza mentale.
Vero è che ogni coscienza è impermanente ed interdipendende da cause e fattori esterni. Ma è pur vero che esiste uno "SPERIMENTATORE" di tali esperienze. Un giudice se vogliamo, una sorta di "sacco" dove vanno a fire le "ESPERIENZE" o se vogliamo lo spettatore che vede il film proiettato sullo schermo. Se vogliamo la possiamo chiamare INDOLE che viene modificata da varie esperienze nel corso delle vite.
Tale indole è vero che è impermanente e dipendente dalle ESPERIENZE, quindi mutevole per fortuna altrimenti non potrebbe "evolvere". Ed è in tale INDOLE che sono "registrate" gli effetti delle nostre esperienze.
Come per quando ci svegliamo la mattina, il nostro carattere non è modificato dal sonno rispetto la giornata precedente, cosi' la rinascita nella vita futura non modifica sostanzialmente l' INDOLE precedente.
In definitiva la tesi secondo la quale non ESISTE uno sperimentatore non è prerogativa del BUDDISMO ma solo del buddismo Theravada altre scuole buddiste "ammettono" che esista una mente sottilissima (che potremmo chiamare Anima o Io o Sè o se vogliamo bagaglio di esperienze).
Si potrebbe obbiettare al fatto che se anche l'INDOLE (maturata di vita in vita) svanisce con la morte, non vi sarebbe alcun chè che possa andare nel nirvana. Dove nel nirvana esiste uno STATO PERMANENTE della mente che ha raggiunto il massimo stato esperenziale e non deve piu' passare da uno stato all'altro.
Praticamente la morte sarebbe simile al passaggio dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno dove ad ogni risveglio (ogni mattina) tutti i ricordi del giorno precedente svaniscono (in quanto materia) ma rimane l'indole intatta.
Bene... pare che per altre scuole buddiste sia questa INDOLE a passare di vita in vita.
(motivo per cui, alcuni bambini hanno l'indole di uccidere le formiche, altri di difenderle avendo avuto ad esempio medesima educazione e medesime esperienze)
scusate ho scritto di ultra fretta perchè sono a lavoro quindi perdonate orrori ortografici. Non ho riletto :D :D :D
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 12:41:22 PM
In realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Avete detto molte cose, tu Apeiron e Sariputra, che vanno digerite con calma: e allora "prendo tempo" rispondendo alla tua domanda di cui sopra.
La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente
QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che
solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in
profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il
Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO.
Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal
piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le
monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un
velo, o in altri termini si dotano di un
veicolo, di un
corpo per poter scendere più in
profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (
Lila) che serve al Sé universale per
fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi.
Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani
sempre più grossolani, dove vige la
dualità della contrapposizione (illusoria) fra
spirito e
materia, anche l
e monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani.Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire.Man mano che la monade
progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:
- il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
- il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).
E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo
accumulare esperienze per
costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo
discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la
vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso
ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla
Sorgente.
Ma - e qui è il
mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento
non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si
riversa nella sorgente, anche l'individualità
resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una
modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni.
Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la
vita terrena con le sue
sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il
faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso...
Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il
corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale
da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa...Alla domanda se l'essere
umano possa reincarnarsi in un
animale, la risposta del teosofo è
(come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre.P.S. Quel che ha appena scritto Bluemax mi torna molto bene... ;-)
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 19:03:31 PM
La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO.
Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi.
Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani.
Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire.
Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:
- il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
- il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).
E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente.
Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni.
Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso...
Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa...
Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre.
Molto interessante la tua esposizione.certo personalmente non posso fare a meno di chiedermi il motivo fondamentale di quest' "esame" a cui pare anche a me siamo sotto-posti...anche perché questo implica, sempre secondo me una condizione, che francamente non mi sembra particolarmente favorevole.ma forse questo sarebbe solo un problema secondario.Ad ogni modo l'interpretazione che ne do io dell'incarnazione e' che questa non può concepirsi come un banale reincarnarsi in un altro corpo, quale che sia, dopo la morte.Secondo me non vi sarebbe nessuna incarnazione, intesa appunto nel senso letterale del terminePer quanto si possa appunto presumere un "evoluzione" ,forse si può anche dire che questa andrebbe intesa in senso universale ma non strettamente individuale.L'individuo allora e' una -delle tante indefinite- forme,e che essendo tale,si esprime (o si manifesta) nella dimensione spazio-temporaleMi viene in mente l'idea della coagulazione, che e' pure della materia, fino a scendere a quella più grossolana, (discendente), mentre a salire (ascendente) vi sarebbe l'altra estremità dello Spirito. Questo dovrebbe far presumere che siano in realtà un unica e identica cosa.ossia sempre lo stesso Spirito indifferenziato e non manifesto..che si manifesta..che "scende" per appunto manifestarsi.questo in un certo senso mi pare lo riscontri anche la fisica moderna ma lo sapevano già molto prima di noi le "antiche" scienze sacre di tutti i tempiDetto questo (probabilmente in maniera un po confusa dati i miei ovvi limiti delle mie stesse possibilità :) ) allora ritengo che cio che si "reincarna" e' lo stesso SE di sempre (eterno-immutabile) in altre forme o in altre condizioni di manifestazione.Forse quando ti riferisci a quel faticoso studio e a quel dover sgobbare ,e' come se,in altre parole (le mie in questo caso),sarebbe appunto quel "salire" fino a ricongiungerci allo Spirito,o al SE' , come totale consapevolezza della nostra reale natura (la goccia che si ricongiunge all'oceano,nella quale non era in realtà mai separato...cio che lo separava era "semplicemente" la nostra stessa illusione di separazione)PS: credo sia interessante far notare come nella generale mentalità attuale (in verità a partire da qualche secolo indietro) si sia fatto esattamente il percorso all'inverso - cioè quello di concepire un IO separato e perciò a tutte le conseguenze che questa erronea concezione ha prodotto e ci ha condotto,oggi più che mai riscontrabili - ..e secondo me bisognerebbe proprio ripartire da questo, per poter cambiare veramente
Citazione di: Sariputra il 19 Marzo 2018, 17:28:49 PM
cit:Apeiron:
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."
Caro Apeiron, sono stanco ormai, e Villa Sariputra ha bisogno di un nuovo patriarca. La paga è bassa, ma il paesaggio è ameno, le dolci colline ricoperte di vigneti rosso fuoco al tramonto, le botti piene, gli animali da accudire, le cipolle, ecc.. e le abitanti della Contea....non so se mi spiego ;)
Che ne dici?...
Posso finalmente salire la montagna?...
Beh hai il mio via libera. Credo che sia giusto decidere di salire la montagna per concerdersi un buon riposo ;)
...
Tuttavia la Contea potrebbe finire nelle mani sbagliate ;D ... :( :( :(
Citazione di: bluemax il 19 Marzo 2018, 18:05:50 PMtutto quello detto da Sari è "accademicamente" vero... Ultimamente stiamo discutendo una cosa fondamentale e molto interessante al centro dove vado a prendere lezioni di buddismo. Tra gli aggregati che costituiscono l' "essere" vi sono le cinque coscienze sensoriali piu' la coscienza mentale. Vero è che ogni coscienza è impermanente ed interdipendende da cause e fattori esterni. Ma è pur vero che esiste uno "SPERIMENTATORE" di tali esperienze. Un giudice se vogliamo, una sorta di "sacco" dove vanno a fire le "ESPERIENZE" o se vogliamo lo spettatore che vede il film proiettato sullo schermo. Se vogliamo la possiamo chiamare INDOLE che viene modificata da varie esperienze nel corso delle vite. Tale indole è vero che è impermanente e dipendente dalle ESPERIENZE, quindi mutevole per fortuna altrimenti non potrebbe "evolvere". Ed è in tale INDOLE che sono "registrate" gli effetti delle nostre esperienze. Come per quando ci svegliamo la mattina, il nostro carattere non è modificato dal sonno rispetto la giornata precedente, cosi' la rinascita nella vita futura non modifica sostanzialmente l' INDOLE precedente. In definitiva la tesi secondo la quale non ESISTE uno sperimentatore non è prerogativa del BUDDISMO ma solo del buddismo Theravada altre scuole buddiste "ammettono" che esista una mente sottilissima (che potremmo chiamare Anima o Io o Sè o se vogliamo bagaglio di esperienze). Si potrebbe obbiettare al fatto che se anche l'INDOLE (maturata di vita in vita) svanisce con la morte, non vi sarebbe alcun chè che possa andare nel nirvana. Dove nel nirvana esiste uno STATO PERMANENTE della mente che ha raggiunto il massimo stato esperenziale e non deve piu' passare da uno stato all'altro. Praticamente la morte sarebbe simile al passaggio dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno dove ad ogni risveglio (ogni mattina) tutti i ricordi del giorno precedente svaniscono (in quanto materia) ma rimane l'indole intatta. Bene... pare che per altre scuole buddiste sia questa INDOLE a passare di vita in vita. (motivo per cui, alcuni bambini hanno l'indole di uccidere le formiche, altri di difenderle avendo avuto ad esempio medesima educazione e medesime esperienze) scusate ho scritto di ultra fretta perchè sono a lavoro quindi perdonate orrori ortografici. Non ho riletto :D :D :D
@bluemax,
sinceramente un linguaggio così "sostanzialista" mi sorprende anche da una scuola Mahayana. Più che una "Anima", credo che almeno per certe scuole del buddhismo Mahayana ci sia la convinzione che così come la "corrente mentale" non ha mai avuto inizio, allo stesso modo non avrà mai fine. La pratica serve per tirare via gli "inquinanti" lasciando una "corrente mentale"
pura, libera dall'afflizione. Tuttavia non ha una vera "identità" che
persiste ma semplicemente una continuità. In fin dei conti il buddhismo Mahayana si fonda sul concetto di "vacuità". Quindi è errato dire che nella corrente mentale persista un'Anima, un Soggetto o quant'altro. Semplicemente si ha un continuo flusso di "esperienze momentanee" senza alcun centro "unificatore".
Se ti va, potresti dare qualche informazione in più?
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 19:03:31 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 12:41:22 PMIn realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Avete detto molte cose, tu Apeiron e Sariputra, che vanno digerite con calma: e allora "prendo tempo" rispondendo alla tua domanda di cui sopra. La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO. Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi. Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani. Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire. Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:
- il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
- il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).
E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente. Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni. Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso... Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa... Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre. P.S. Quel che ha appena scritto Bluemax mi torna molto bene... ;-)
Grazie mille della spiegazione, interessante :D
Ma la "bocciatura" può prevede una sorta di "inferno temporaneo"?
Riguardo alla "reincarnazione" è in realtà più simile alla versione Buddhista di quanto pensi. In ambo i casi la rinascita è un processo del tutto illusorio. Comunque come dice il @Sari per il Buddhismo - a meno che non ci sia la Liberazione - @Apeiron non riaprirà gli occhi, strettamente parlando ma il "processo vitale" cercherà un'altra rinascita. L'essere che rinasce non è né uguale né diverso da @Apeiron. Bruco e farfalla non sono né uguali né diversi, tuttavia c'è ovviamente continuità. Tuttavia né il Buddhismo né la Teosofia - da quanto capisco - accettano che gli esseri individuali siano "totalmente reali". Dunque in realtà per entrambi non c'è re-incarnazione ma sono ri-nascita. In ultima analisi nessuno veramente rinasce, ma c'è la rinascita ecc
Riguardo alla Teosofia ritengo che la grossa differenza tra di essa e le religioni indiane sia il fatto che per la Teosofia la Storia ha dunque un fine.
Progredisce. C'è una freccia del tempo: prima ci sono minerali, poi piante ecc. Ma mi pare che nessuna delle religioni indiane sia d'accordo che su tale questione. Mi risulta che l'Induismo, il Buddhismo e lo Gianismo siano tutte concordi nel dire che il "progresso" sia completamente illusorio per il fatto che l'universo è ciclico. Anche se viene raggiunto il più alto dei "paradisi" comunque si regredisce se non ci si "risveglia" (forse ciò non è vero per qualche sottoscuola induista...). In sostanza l'idea è che se non ci libera dal ciclo samsarico non c'è "scampo" al regresso, al declino e alla sofferenza. E da qui si capisce la forte tendenza "rinunciante" della filosofia indiana. Inoltre il concetto di "progresso" mi sembra pure alieno nella Cina. Per esempio il Daoismo raccomanda di vivere senza "agende", nella "non-azione". E anche il Confucianesimo mira all'armonia nel qui ed ora... La visione del progresso è in realtà abramitica e occidentale. Platone per esempio raccomandava al "filosofo giusto" di governare e di non rinunciare al mondo (pur accettando apparentemente che c'era un ciclo di rinascite e che era necessario conoscere le "forme eterne" per "liberarsi"...), Aristotele parlava spesso di teleologia. Ovviamente, per esempio, il Cristianesimo ha una storia lineare che punta verso un momento ben preciso. Forse ci sono somiglianze maggiori tra Neoplatonismo e Teosofia. Dunque la Teosofia sembra una sorta di Advaita "ottimista".
Comunque sì, mi sembra proprio che la forte differenza con le religioni indiane sia questa idea di "progresso". Gli indiani vedono la storia come un ciclo dove in ultima analisi non si può trovare alcun "senso" o "progresso" (a parte quello, in ultima analisi insoddisfacente, dovuto al fatto che le azioni hanno conseguenze).
Mi sembra inoltre che ci sia una sorta di assunzione che ci sia una "riconciliazione universale" e che cioè tutti gli esseri si "liberino" (o "acquisicano l'illuminazione"). Su questo però ti chiederei conferma ;)
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 15:15:22 PM
Citazione di: Suttree il 19 Marzo 2018, 13:48:22 PM
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?
Provo io... ;)
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."
Comunque riguardo al Sé superiore come dicevo a @Loris... Per molti pensatori induisti l'unica cosa che non muore è il Principio Universale, Brahman - l'unica cosa che esiste veramente è proprio Brahman mentre la molteplicità è illusoria. Dunque anche in questo caso non c'è veramente "reincarnazione" ma solo "rinascita" degli "individui". Altri pensatori indiani invece dicevano (e dicono) che ognuno di noi possiede un elemento indistruttibile (il nostro Sé). Solo ammettendo questo si può veramente parlare di "reincarnazione".
Intanto ti ringrazio :) oddio scusami ma davvero non riesco a seguire... tu parli di processo, ma un processo è una trasformazione od un trasferimento, nel tempo, di materia o di un'informazione. Se facciamo l'analogia del sonno, come da te proposto, c'è continuità perchè il processo è mantenuto vivo e dinamico dalla fisicità del cervello che mi garantisce la sua continuità tra l'addormentarmi e lo svegliarmi.
Dici che il processo è mantenuto in piedi dalla sete (immagino del desiderio). Ma se con la totale dissoluzione della morte non c'è più nulla del soggetto che possa esercitare il desiderare, cosa significa in concreto ciò? Se invece come dici, secondo alcuni pensatori indiani, il Sè non si dissolve... allora il discorso cambia radicalmente.
Citazione di: Apeiron il 20 Marzo 2018, 13:26:26 PM@bluemax,
Se ti va, potresti dare qualche informazione in più?
In pausa pranzo mi sono concesso il lusso di scrivere qualcosa a riguardo (seppur di fretta ammetto :D :D quindi perdonami )
Beh... per la dottrina buddista, uno degli aspetti più interessanti (e, se vogliamo, più sconcertante per noi) è il concetto relativo al sé o anima individuale come altrettanto sconcertante, è la posizione buddhista circa il problema dell'esistenza di Dio, che viene, se non negata, messa tra numerose parentesi, almeno nella corrente Theravada.
A questo proposito, è da ricordare la storiella del Buddha e le sue tre risposte ai suoi discepoli che lo interrogavano circa l'esistenza di un Dio. ("No, non esiste", "Certo, Dio esiste", "A ciascuno di essi ho detto quello che egli desiderava sentirsi dire. Ma chi vuole trovare la risposta a tale interrogativo, non deve attenderla da altri, bensì cercarla in sé stesso".)
Resta comunque il fatto che tanto su Dio, quanto sull'anima individuale, Buddha non volle mai precisare la natura del suo intimo convincimento: si tratta, infatti, di due problemi certo importantissimi, ma di genere prettamente metafisico che sono stati solo SUCCESSIVAMENTE voluti essere affrontati dalla filosofia/religione buddista; mentre egli volle sempre rimanere sul terreno concreto della psicologia, della fenomenologia e dell'etica.
Cosa interessante è che la negazione dell'esistenza dell'anima (o se' o ego per intenderci), così come generalmente si intende questo concetto, non impedisce affatto ai seguaci del Theravada - così come a tutti gli altri seguaci del buddhismo, per non parlare dell'induismo - di credere alla dottrina della reincarnazione (che ricordo, per la verità, preferiscono definire "rinascita").
I buddhisti Theravada, sostengono che l'uomo "possiede" (notare le virgolette) NON un'anima simil occidentale, ma un gruppo di processi mentali sempre cangianti.
Gli Indù credono nella persistenza dopo la morte fisica di un elemento essenziale, o Atman, in ogni individuo. L'Atman si associa a un nuovo organismo fisico ed entra in esistenza terrena di nuovo, continuando così l'ascesa (o il declino) della personalità o indole se vogliamo che visse prima.
Queste idee richiamano il concetto di un'entità continua e presumibilmente PERMANENTE.
Al contrario, i buddhisti del ramo Theravada, non credono nella persistenza di un'entità od anima PERMANENTE.
Secondo questa corrente buddista vi è un flusso costante di azioni, di desideri, di effetti e reazioni, ma non un'anima persistente. Quando uno muore, gli effetti accumulati delle sue azioni pongono in movimento un'ulteriore corrente di eventi che portano a nuove conseguenze, una delle quali può essere la nascita terrena di un'altra personalità (o indole).
Se la prima personalità ha conquistato il distacco dai desideri sensuali, può avvenire la nascita in un altro 'piano', invece di una nuova nascita terrena. Ma questa personalità rinata si riallaccia alla precedente solo come la fiamma di una candela (prima che essa si estingua definitivamente) può accendere la fiamma di un'altra candela.
I buddhisti preferiscono il termine 'rinascita' a quello di 'reincarnazione' per mettere in rilievo questa distinzione.
Comunque sia le differenti scuole di buddhismo accettano concetti in qualche modo differenti di ciò che può persistere dopo la morte fisica, ma concordano nel credere che la condotta di una personalità può avere effetti sul comportamento, sull'organismo fisico e sugli eventi della vita di una successiva personalità.
In realtà, la credenza che la scuola Theravada neghi l'esistenza dell'anima individuale, è il risultato di una eccessiva semplificazione fatta nei secoli.
Alla base della meditazione buddhista vi sono due convinzioni fondamentali: che il corpo sia un'illusione creata dalla mente e che ogni cosa, compreso il corpo, sia una manifestazione del dharma, ossia delle forze e delle particelle subatomiche (che sono invisibili, ma non irreali).
Theravada e Mahayana differiscono riguardo alla "materia" di cui è composta la realtà: i seguaci del primo ritengono che i dharma siano reali, benché transitori; mentre quelli del secondo ritengano che essi esistano nella dimensione fenomenica, ma non in quella dell'Assoluto.
In altre parola il Theravada ritiene che non solo la realtà fenomenica, ma anche quella coscienziale, siano mera illusione, mentre il Mahayana ritiene che, nella dimensione trascendente, non esistano né l'Atman, né i dharma. Ecco perché quest'ultimo insegna che i quattro elementi universali (aria, acqua, terra e fuoco) sono "il vuoto".
Di conseguenza, anche la concezione del nirvana varia profondamente dall'uno all'altro: per il Theravada esso è l'estinzione del desiderio, del rancore, dell'illusione; per il Mahayana, esso è l'esperienza diretta della realtà cosmica, la luminosa comunione con il Tutto.
Il Buddhismo è l'unico nella storia del pensiero umano a negare l'esistenza di un'anima, Sé o Atman permanente. Secondo gli insegnamenti del Buddha, l'idea del sé è una credenza falsa e immaginaria, che non ha alcuna corrispondenza nella realtà, e che produce pensieri dannosi come "me" e "mio", desideri egoistici, brama, attaccamento, rancore, malvagità, presunzione, orgoglio, egoismo e altre forme di corruzione, impurità e problemi ma questo
Sé a cui si riferisce il Budda altro non è che la concezione di EGO e non invece al continum mentale che invece esiste ed è "personale" che passa di vita in vita.Tuttavia tali affermazioni vanno attribuite unicamente al Buddhismo Theravada, perché senza dubbio gli insegnamenti Mahayana e Vajrayana affermano che l'anima anche se cangiante, esiste.
Un famoso maestro diceva: «Se non esiste un Sé nel samsara, esiste un sé nel nirvana? Se non esiste alcun sé, che cosa entra nel nirvana?».
La credenza nell'anima è indubitabile anche nel Buddhismo Vajrayana. Ad esempio, nella grande liberazione attraverso l'udito nel bardo, una funzione celebrata dai tibetani per i loro morti (e descritta in versione popolare nel Libro Tibetano dei morti), l'anima viene guidata attraverso il bardo, o l'intervallo tra la morte e la nascita, nella speranza che possa liberarsi e non sia costretta a rinascere.
Il Buddha non ha mai dichiarato in maniera categorica che l'anima non esiste. Occasionalmente, ha parlato del pudgala, o del sé; altre volte ha nominato il non-sé; ma in altre circostanze non ha menzionato né il sé né il non-sé. Tutte le scuole buddhiste, compresa quella Theravada, accettano le cinquecento vite passate del Buddha Gautama. Lo stesso sé è passato attraverso tutte queste reincarnazioni. Il Buddha ha affermato chiaramente che in una di tali reincarnazioni il sé chiamato Sunetra era lui stesso.
Il concetto di anima o di sé viene nominato anche in importanti scriti Theravada. Gli argomenti discussi erano soprattutto la natura dell'anima e del mondo, la natura della virtù e i suoi risultati, l'esistenza di un altro mondo, e se l'anima e il mondo abbiano o meno una causa». L'Abhidharma descrive gli otto tipi di esseri illuminati come gli otto pudgala o sè. «i maestri ortodossi dovettero ammettere l'esistenza di tali brani, ma affermarono che in realtà non volessero dire ciò che dicevano».
La legge della continuità, nota ai più come rinascita, assicura la persistenza della coscienza DINAMICA dell'individuo con la morte del corpo fisico. Se tale non-coscienza non viene indirizzata verso mondi più elevati dallo sviluppo mirale e spirituale del soggetto, di solito si dice che rimane nella sfera dello spirito (pettivisaya) come spirito disincarnato, e di conseguenza rinasce come essere umano».
Il tutto è stato chiarito dicendo che il budda quando parlava di NON SE' era riferito al concetto illusorio di EGO (duale, immutabile, permanente ecc... ecc...) mentre quando parlava dell'anima o SE' si riferiva alla natura CANGIANTE ed IMPERMANENTE della coscienza o flusso esperenziale che passa di vita in vita e deve purificarsi.
Comprendere la natura del dharmna per raggiungere lo stato del Buddha non significa semplicemente capire gli insegnamenti del Buddha e diventare moralmente puri e liberi dalla sofferenza, come Gautama. Questa condizione è un prerequisito; l'espressione va oltre tale stadio preparatorio. Essa implica comprendere che la natura del dharma è il vuoto (cioè che il mondo fenomenico è una illusione), raggiungendo così l'illuminazione perfetta. Qui dharma si riferisce alle forze e alle particelle subatomiche che si manifestano come fenomeni, e NON AGLI INSEGNAMENTI DEL BUDDA come solitamente ci si vuol riferire con la parola DHARMA.
In realtà, secondo le dottrine Mahayana, è proprio l'incapacità di comprendere i concetti di dharmache impedisce ai seguaci Theravada di accedere alla saggezza superiore. Esistono due forme di liberazione: quella dal sé (EGO)e quella dal dharma. In altre parole, l'illuminato comprende che sia il proprio sé inteso come EGO, sia il mondo fenomenico sono illusioni, che nella Realtà Suprema il sé e i dharma che si manifestano come fenomeni non esistono.
Per aiutare i propri seguaci a comprendere l'illusione dell' EGO (diverso dal concetto di anima) nella dimensione trascendentale, il Buddha trasmise loro la dottrina del non-sé. A livello trascendentale il sé, così come qualsiasi altra realtà separata, non esiste, perché il Supremo Assoluto è indifferenziato. Ma il sé, come le altre entità separate, ESISTE a livello fenomenico. Secondo il Buddhismo Mahayana, l'incapacità dei Theravada di comprendere la saggezza superiore riguardante la realtà trascendentale li spinge a interpretare la dottrina del non-sé unicamente a livello fenomenico. Quindi, esso non colgono il fatto fondamentale che tale dottrina del non-sé è transitoria, in quanto il suo unico scopo è quello di aiutare i fedeli a liberarsi dal samsara.
Il Buddhismo Mahayana afferma che, sebbene i Theravada riescano a liberarsi dall'attaccamento al sé, non sono in grado di porre fine all'attaccamento al dharma. I Theravada comprendono che il sé è un'illusione, ma partono dal presupposto che i dharma siano entità reali, sebbene dotate unicamente di un'esistenza momentanea.
ciao :)
Citazione di: Apeiron il 20 Marzo 2018, 13:26:26 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 19:03:31 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 12:41:22 PMIn realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Avete detto molte cose, tu Apeiron e Sariputra, che vanno digerite con calma: e allora "prendo tempo" rispondendo alla tua domanda di cui sopra. La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO. Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi. Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani. Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire. Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:
- il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
- il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).
E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente. Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni. Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso... Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa... Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre. P.S. Quel che ha appena scritto Bluemax mi torna molto bene... ;-)
Grazie mille della spiegazione, interessante :D
Ma la "bocciatura" può prevede una sorta di "inferno temporaneo"?
Riguardo alla "reincarnazione" è in realtà più simile alla versione Buddhista di quanto pensi. In ambo i casi la rinascita è un processo del tutto illusorio. Comunque come dice il @Sari per il Buddhismo - a meno che non ci sia la Liberazione - @Apeiron non riaprirà gli occhi, strettamente parlando ma il "processo vitale" cercherà un'altra rinascita. L'essere che rinasce non è né uguale né diverso da @Apeiron. Bruco e farfalla non sono né uguali né diversi, tuttavia c'è ovviamente continuità. Tuttavia né il Buddhismo né la Teosofia - da quanto capisco - accettano che gli esseri individuali siano "totalmente reali". Dunque in realtà per entrambi non c'è re-incarnazione ma sono ri-nascita. In ultima analisi nessuno veramente rinasce, ma c'è la rinascita ecc
Riguardo alla Teosofia ritengo che la grossa differenza tra di essa e le religioni indiane sia il fatto che per la Teosofia la Storia ha dunque un fine. Progredisce. C'è una freccia del tempo: prima ci sono minerali, poi piante ecc. Ma mi pare che nessuna delle religioni indiane sia d'accordo che su tale questione. Mi risulta che l'Induismo, il Buddhismo e lo Gianismo siano tutte concordi nel dire che il "progresso" sia completamente illusorio per il fatto che l'universo è ciclico. Anche se viene raggiunto il più alto dei "paradisi" comunque si regredisce se non ci si "risveglia" (forse ciò non è vero per qualche sottoscuola induista...). In sostanza l'idea è che se non ci libera dal ciclo samsarico non c'è "scampo" al regresso, al declino e alla sofferenza. E da qui si capisce la forte tendenza "rinunciante" della filosofia indiana. Inoltre il concetto di "progresso" mi sembra pure alieno nella Cina. Per esempio il Daoismo raccomanda di vivere senza "agende", nella "non-azione". E anche il Confucianesimo mira all'armonia nel qui ed ora... La visione del progresso è in realtà abramitica e occidentale. Platone per esempio raccomandava al "filosofo giusto" di governare e di non rinunciare al mondo (pur accettando apparentemente che c'era un ciclo di rinascite e che era necessario conoscere le "forme eterne" per "liberarsi"...), Aristotele parlava spesso di teleologia. Ovviamente, per esempio, il Cristianesimo ha una storia lineare che punta verso un momento ben preciso. Forse ci sono somiglianze maggiori tra Neoplatonismo e Teosofia. Dunque la Teosofia sembra una sorta di Advaita "ottimista".
Comunque sì, mi sembra proprio che la forte differenza con le religioni indiane sia questa idea di "progresso". Gli indiani vedono la storia come un ciclo dove in ultima analisi non si può trovare alcun "senso" o "progresso" (a parte quello, in ultima analisi insoddisfacente, dovuto al fatto che le azioni hanno conseguenze).
Mi sembra inoltre che ci sia una sorta di assunzione che ci sia una "riconciliazione universale" e che cioè tutti gli esseri si "liberino" (o "acquisicano l'illuminazione"). Su questo però ti chiederei conferma ;)
Rispondo subito alla prima domanda: no, nella concezione teosofica non esiste l'inferno. Soltanto in casi di "anime" (uso questo termine improprio per semplicità) eccezionalmente malvagie esiste la possibilità di finire nell'Avitchi (di cui parla anche il buddismo, mi pare), ossia una condizione di estrema sofferenza psichica e spirituale, che si protrae per qualche vita (e nei periodi fra un'incarnazione e l'altra). La monade si distacca dal corpo causale dell'individuo, che quindi finisce per dissolversi completamente, a un certo punto. Si può dire che la monade abbandona un progetto umano evidentemente fallito.
Ma come regola non si si finisce in Avitchi. La faccio breve, ma in sintesi, dopo la morte fisica, l'individuo staziona per un periodo più o meno lungo nel piano astrale (altro termine estremamente ambiguo), dove un po' alla volta abbandona tutti gli attaccamenti al mondo terreno, e quindi può sperimentare anche molta sofferenza, a seconda di come ha vissuto. Poi l'individuo abbandona anche il veicolo astrale, che si dissolve, e passa ad un altro piano di esistenza, descritto come paradisiaco, dove sperimenta un mondo puramente soggettivo di pura beatitudine (devachan); poi, verrà il momento di passare a una nuova incarnazione, secondo un progetto di vita che è l'individuo stesso a stabilire prima di reincarnarsi. Questo, in estrema sintesi.
Andando avanti nel tuo post, sì, sono assolutamente d'accordo con te. Tu confermi la mia impressione che, al di là di alcune dispute più terminologiche che concettuali, teosofia e buddismo condividano un buon terreno in comune, e che si dica reincarnazione, o si dica rinascita, comunque entrambe le concezioni si riferiscono a un processo
sostanzialmente (ahi, altro termine infelice...) molto simile. Del resto, l'assoluta verità non la conosce nessuno (a parte Budda e pochi altri, che però non ci hanno detto tutto...) e quindi c'è spazio per visioni leggermente diverse, dove ciascuna pone l'accento più su un aspetto che su un altro. Forse può restarne soddisfatto anche Suttre, le cui perplessità comprendo e condivido perfettamente.
Andando ancora avanti nel tuo post, Apeiron, noto che hai molto acutamente individuato uno degli aspetti chiave che contraddistinguono la teosofia rispetto ad altri concezioni: il tema centrale dell'evoluzione, del progresso, che però non è da intendersi in senso banalmente lineare (come nella visione cristiana). In teosofia l'evoluzione non è né lineare né circolare. Se fosse circolare, come nell'induismo (e in Nietzsche), vi sarebbe l'eterno ritorno delle cose (che personalmente mi fa rabbrividire d'orrore...); l'immagine più appropriata è quella di una molla, una scala a chiocciola che ritorna su se stessa ma ad una quota superiore. Una scala però che non ha un inizio né una fine, perché l'esplorazione delle infinite possibilità del TUTTO non avrà mai fine. E inoltre questo movimento ascendente non è così regolare, ha cambiamenti di ritmo, alti e bassi ciclici, ci sono fasi di apparente regresso e altre di forte spinta evolutiva. E poi c'è il respiro di Brahma, l'emissione di un universo e il suo finale riassorbimento, per poi riemetterne un altro in seguito, e così via...
E, molto acutamente, hai rilevato anche il carattere ottimista e non rinunciante della teosofia (carattere che trovo splendido): la visione teosofica dà un senso e un valore ad ogni fase del ciclo evolutivo, anche alla vita terrena che sembra così "bistrattata" sia dal buddismo che dal cristianesimo. Trovo che la visione teosofica rappresenti un buon punto di equilibrio fra materialismo e spiritualismo estremizzati.
E infine, rispondo alla tua ultima domanda: esattamente, non c'è nessuno che non si salvi. Ci vorrà il suo tempo, ma neanche una goccia di Atman andrà perduta; anche l'ultima goccia di Atman ritornerà all'Oceano da cui si è separata. Del resto, se è vero che la sola realtà è l'UNO, vi potrà mai essere qualcosa che si separa da esso, qualcosa che esce dall'UNO? ::)
Ciao @Suttree,
Premessa "tanha" significa "sete" ma come ben dici è il desiderio (http://file:///C:/Users/Marco/AppData/Local/Temp/msohtmlclip1/01/clip_image001.gif)
Come ti dicevo, ammetto che la cosa non è chiara nemmeno a me. Il punto è che per il Buddhismo (ma non solo, come dicevo...) il Sé individuale non è una "sostanza" nemmeno
durante la vita. Ovvero anche adesso abbiamo una percezione distorta delle cose che ci fa credere che ci sia dentro di noi un "principio unificatore", qualche "sostanza" che renda me, me. Dunque la continuità tra una vita e l'altra non è vista in modo differente dalla continuità durante la vita stessa. Prima paragonavo la morte e la rinascita al sonno e al risveglio, tuttavia ovviamente la differenza è che il corpo è "vivo" in un caso e nell'altro non lo è (per definizione) . Tuttavia per il Buddhismo l'elemento "vinnana" (tradotto solitamente con "coscienza") non cessa come pesa il materialismo che lo vede come un fenomeno emergente, ma "si trasmette" altrove. L'elemento "vinnana" non è identificabile con una "sostanza" visto che è in realtà è una successione di "momenti". I post di @Sariputra di cui avevo messo il link in questa discussione, in una risposta a @Loris, lo spiegano molto meglio di quanto lo possa fare io. Ad ogni modo la differenza tra "me" e l'essere di una "mia vita futura" è vista come analoga alla differenza tra il "me" di oggi e il "me bambino". Quindi sì, c'è trasmissione dell'informazione tra una vita e un'altra, ma non ti saprei dire come. L'analogia, menzionata da @bluemax che alcuni Buddhisti utilizzano è quella di un fuoco che si spegne su una candela ma prima di estinguersi completamente passa ad un'altra candela. La nuova fiamma non è né uguale né diversa a quella precedente. Ma anche questa analogia è limitata perché in fin dei conti, come dice la citazione che trovi nella mia risposta a @bluemax qui sotto, niente cambia più rapidamente della mente.
Ad ogni modo lo stesso problema lo hanno le filosofie non-duali induiste e la Teosofia di Loris. In fin dei conti il loro "centro unificatore" è lo stesso per tutte le cose e, dunque, anche per loro anche
durante la vita la nostra convinzione che ci sia in noi qualcosa che ci renda "noi" è illusorio. Nel caso di tali filosofie monistiche tuttavia esiste una vera sostanza che è uguale per tutti. Il Buddhismo invece nega anche ciò. Non c'è niente di "sostanziale". La "Cessazione", la fine delle rinascite non può essere interpretata come l'unione con il "Principio Universale". Tuttavia la "Cessazione" non è un "semplice nulla" perchè vi è un elemento che non nasce e non muore nel Buddhismo, il Nibbana (come diceva @Sari in una sua risposta).
Spero di esserti stato utile, ma ricordati che sono solo un dilettante ;)
@bluemax,
grazie mille della tua risposta!
Credo che su ciò ci sia semplicemente una differenza di linguaggio tra "le mie fonti" e le tue. Nel Buddhismo Theravada, Nibbana è certamente la cessazione della sofferenza ma è anche un elemento non-nato, non-divenuto, non-formato - tuttavia anch'esso è vacuo, "senza Sé". Entrambe le correnti del Buddhismo parlano di un "Sé empirico" (o fenomenico o "convenzionale"). Negano però che ci sia un "vero Sé" sostanziale, un Atman. Ciò che può definire la nostra identità, ovvero ciò che rende me, me. Posso essere d'accordo che c'è un'anima... Ma dunque è mai stata fissa questa "corrente mentale" (
citta-santana)? Si può trovare una "identità" in essa. Beh, abbiamo dall'Anguttara Nikaya:
"
Monaci, la mente cambia rapidamente. Non vi è nulla di paragonabile in natura al rapido cambiamento della mente."
https://www.canonepali.net/2017/08/an-1-41-50-panihita-acchavaggo-pura/ Dunque in questo processo ci può essere qualcosa che rimane costante, qualcosa che dà un'identità?
Detto questo né il Buddhismo Theravada né il Buddhismo Mahayana negano la continuità della "corrente mentale" che può, volendo, essere considerata un'anima. Entrambi però concordano sul fatto che questa corrente è una successione di momenti, non c'è qualcosa che persiste (altrimenti si cadrebbe o nell'eternalismo o nell'estremo opposto). La rinascita sarebbe impossibile se non si trasmettesse da un corpo all'altro questa corrente, questa "anima". Tuttavia è una cosa che continua a mutare, è appunto più simile ad un fiume o ad una fiamma piuttosto che ad una roccia. E così come non c'è alcunché di solido nella fiamma e nel fiume, allo stesso modo non si può trovare una "sostanza" dentro questa corrente. Questo chiaramente vale per chi non ha ancora raggiunto il
risveglio. E qui c'è la differenza tra le due scuole (in realtà anche prima che la corrente Mahayana nascesse come movimento ben "identificabile" c'erano ben 18 scuole di Buddhismo, il Theravada è solo una di esse). Per il Theravada il completamente liberato (l'arhant) non è più soggetto al ciclo di rinascite. Non si può "classificare" né come esistente né come "non-esistente", es:
https://www.canonepali.net/2015/06/snp-5-6-upasiva-manava-puccha-le-domande-di-upasiva/ . Per il "veicolo" Mahayana (e il suo "sottoveicolo" Vajrayana) invece c'è ancora continuità del "flusso",
Inoltre come ben dici, i Theravada ("ortodossi") affermano che tutta l'esperienza possa essere ridotta in quattro "elementi":
mente(citta),
contenuti mentali (cetastika),
materia (rupa),
Nibbana. I primi tre "elementi" sono condizionati, sono soggetti alla generazione e alla distruzione. Nibbana invece è il non-condizionato. I Mahayana invece ritengono
impossibile trovare un termine nell'analisi dell'esperienza. Non esiste un livello "fondamentale", l'esperienza non può essere spiegata riducendola a determinati elementi. Ma ogni cosa è senza esistenza intrinseca (vacuità, sunyata). Ma nemmeno "sunyata" è una "realtà" a cui ci si può aggrappare, la vacuità è vuota. Non si può
trovare un "livello fondamentale" della realtà che può spiegare gli altri.
Infatti il Sutra del Cuore dice: "
La forma è vuota, la vacuità è forma, la vacuità non è altro che forma e la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuoti sensazioni, discriminazioni, fattori di composizione e coscienze. Similmente, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; sono privi di caratteristiche; non sono prodotti e non cessano; non sono contaminati e non sono privi di contaminazioni; non diminuiscono e non crescono. Perciò Shariputra, nella vacuità non c'è forma, né sensazione, né discriminazione, né fattore di composizione, né coscienza. Non c'è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non ci sono forme visive, né suoni, né odori, né sapori, né oggetti tangibili, né fenomeni; e neppure il costituente dell'occhio e così via, fino ad includere il costituente della mente e il costituente della coscienza mentale" (per il testo:
http://www.ghepelling.com/index.php?option=com_content&view=article&id=127&Itemid=597&lang=it )
Dunque il buddhismo
negal'anima? La nega se per "anima" pensiamo a qualcosa che
persiste, che ci dà un'identità fissa. "No" se per "anima" intendiamo la "corrente mentale". Buddha nega "Dio"? Beh dipende ;) Certamente nega l'esistenza di un "Dio Personale e creatore". Riguardo ad altre idee di "Dio"... Nega che ci sia un principio primo di tutte le cose, quindi non è nemmeno una filosofia monista come l'Advaita, la Teosofia o altro. Non vi è nemmeno un "principio" dinamico, come il
Dao dei Daoisti. Nel Theravada c'è però il
non-condizionato... (
https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-3-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-3/ ,
https://www.canonepali.net/2015/06/an-3-47-sankhata-sutta-condizionato/ e altri discorsi). Ma questo non-condizionato non crea niente, non è un "principio".
Riguardo alla dottrina Mahayana, come dici tu c'è questo "Assoluto" – credo che tu ti riferisci a "Tathata". Ma "Tathata", la "natura delle cose", è aldilà di ogni concettualizzazione (dal Sutra del Cuore, "non c'è occhio, forma..."). La parola "Assoluto" invece richiamo molti concetti, molti concetti di realtà "fisse".
@Loris,
Grazie per la risposta!
Da quanto ne so il buddhismo classico accetta vari "reami infernali" e l'Avicii è quello peggiore. Nel buddhismo però questi "inferni" però non sono eterni (ma il "soggiorno" in essi dura molto...). Anche per chi "cade" nei reami di "perdizione" c'è speranza. Idem per chi rinasce nel mondo animale. Dico "classico" perché oggi pare che si tende a vedere questi "reami" come stati mentali. Ad ogni modo l'idea è che chi compie azioni malvagie tende a soffrire per esse.
Quindi se uno "fallisce" la Teosofia dice che viene distrutto, che ad un certo punto non rinasce più?
Comunque il meccanismo della reincarnazione ricorda quello di Platone ne "la Repubblica": dopo un periodo di intermezzo è l'individuo che sceglie dove andare. La differenza però è che Platone non accetta il monismo.
Piccola correzione: per gli indiani (non solo indù) il tempo non è ciclico nel senso dell'Eterno Ritorno. Se ciò fosse vero la liberazione sarebbe impossibile. Somiglia più ad un'elica o ad una scala a chiocciola. Ma a differenza della teosofia, per gli indiani non c'è un "progresso". È un continuo ciclo di nascite e rinascite senza alcun vero "fine". Come ben dici è una visione piuttosto deprimente, tutt'altro che consolatoria. E infatti la contemplazione di tale "ciclicità" motiva alla liberazione. Al contempo però l'idea di ciclicità contiene un aspetto "positivo". Infatti si "trascende" la prospettiva di
questa vita e ci si sente parte di qualcosa di più grande. Si capisce la "piccolezza" e la transitorietà della realtà quotidiana e ciò dovrebbe condurre al "distacco". Inoltre questa contemplazione dovrebbe dare un incentivo alla compassione perché si diventa più consapevoli della propria sofferenza e si comprende che gli "altri" non sono in una situazione diversa da noi.
Detto questo, concordo con te che la prospettiva teosofica è, per certi versi, più "attraente". Pensare che ci sia un progresso certamente aiuta. Ma gli indiani, coloro che cercano la "liberazione" non accetterebbero mai una cosa simile, la vedrebbero come una credenza consolatoria, un attaccamento subdolo al samsara. La differenza è appunto che la "freccia nel tempo" mira a qualcosa nella teosofia, nelle religioni indiane invece a nulla. Per gli indiani dunque il "fine" è qualcosa che al massimo imponiamo a noi sulla freccia del tempo e il "fine" più alto è proprio la "fuga" dal ciclo.
Proprio questa differenza dà importanza alla vita "mondana". E qui mi sembra invece più simile al Cristianesimo: come nel Cristianesimo c'è un senso, un fine vero e proprio. E questo permette di lavorare e vivere nel mondo senza doverlo trascendere (almeno per ora). Ma a differenza sia delle religioni indiane che del Cristianesimo mi pare che la Teosofia non abbia una vera e propria "soteriologia", visto il suo ottimismo.
Riguardo infine all'Universalismo... Purtroppo mi pare una sorta di "predestinazione". Ovvero come "speranza" posso anche accettarla ma come "realtà di fatto" non credo ;)
Ciao Apeiron, grazie per la risposta :) che la coscienza non sia un prodotto del nostro cervello, ma che venga da esso ricevuta ne sono quasi convinto anch'io (più su facevo l'anologia con un decoder ricevente e forse trasmittente verso un Hub). La cosa che mi ha sempre fatto sbroccare è il pensiero che se fosse arrivato prima un altro spermatozoo al traguardo, sarei stato comunque qui? Fisicamente no certo, sarei diverso... sarei stato magari più alto, più intelligente, biondo (o magari bionda). Avrei avuto un'altra vita, altre esperienze e memorie... ma tutto questo conta poco o nulla. Sarei stato cosciente di me, come lo sono ora? Per farla breve: sarei nato e sarei presente a me stesso/a ora?
C'è da sempre qualcosa che non mi torna, ma non lo so spiegare... e sicuramente non mi son fatto capire :)
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:21:36 PMCiao Apeiron, grazie per la risposta :) che la coscienza non sia un prodotto del nostro cervello, ma che venga da esso ricevuta ne sono quasi convinto anch'io (più su facevo l'anologia con un decoder ricevente e forse trasmittente verso un Hub). La cosa che mi ha sempre fatto sbroccare è il pensiero che se fosse arrivato prima un altro spermatozoo al traguardo, sarei stato comunque qui? Fisicamente no certo, sarei diverso... sarei stato magari più alto, più intelligente, biondo (o magari bionda). Avrei avuto un'altra vita, altre esperienze e memorie... ma tutto questo conta poco o nulla. Sarei stato cosciente di me, come lo sono ora? Per farla breve: sarei nato e sarei presente a me stesso/a ora? C'è da sempre qualcosa che non mi torna, ma non lo so spiegare... e sicuramente non mi son fatto capire :)
Figurati :)
Tra l'altro ho scritto male la parte rivolta a te. Non so perchè ma a volte mi capita di scrivere in un'altra lingua ;D
Ad essere sincero, non capisco dove vuoi arrivare con queste domande. Vuoi sapere se saresti "te stesso" anche se un altro spermatozoo fosse arrivato prima?
Nel Buddhismo da quanto ho capito oltre a spermatozoo ed ovulo serve anche che la coscienza "scenda" nell'utero... Spero d'essermi fatto capire stavolta.
Ma non saprei cosa ti risponderebbe un Buddhista a questo tuo dubbio ;)...
Addendum: Forse ti direbbe questo: la "tua" coscienza sarebbbe "discesa" in un altro utero, forse.
Citazione di: Apeiron il 21 Marzo 2018, 19:29:10 PM
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:21:36 PMCiao Apeiron, grazie per la risposta :) che la coscienza non sia un prodotto del nostro cervello, ma che venga da esso ricevuta ne sono quasi convinto anch'io (più su facevo l'anologia con un decoder ricevente e forse trasmittente verso un Hub). La cosa che mi ha sempre fatto sbroccare è il pensiero che se fosse arrivato prima un altro spermatozoo al traguardo, sarei stato comunque qui? Fisicamente no certo, sarei diverso... sarei stato magari più alto, più intelligente, biondo (o magari bionda). Avrei avuto un'altra vita, altre esperienze e memorie... ma tutto questo conta poco o nulla. Sarei stato cosciente di me, come lo sono ora? Per farla breve: sarei nato e sarei presente a me stesso/a ora? C'è da sempre qualcosa che non mi torna, ma non lo so spiegare... e sicuramente non mi son fatto capire :)
Figurati :)
Tra l'altro ho scritto male la parte rivolta a te. Non so perchè ma a volte mi capita di scrivere in un'altra lingua ;D
Ad essere sincero, non capisco dove vuoi arrivare con queste domande. Vuoi sapere se saresti "te stesso" anche se un altro spermatozoo fosse arrivato prima?
Nel Buddhismo da quanto ho capito oltre a spermatozoo ed ovulo serve anche che la coscienza "scenda" nell'utero... Spero d'essermi fatto capire stavolta.
Ma non saprei cosa ti risponderebbe un Buddhista a questo tuo dubbio ;)...
Addendum: Forse ti direbbe questo: la "tua" coscienza sarebbbe "discesa" in un altro utero, forse.
Esatto: pur completamente diverso, sarei presente a me stesso come lo sono ora? Avrei coscienza di esistere? So che è difficile esprimere correttamente questi tarli di pensiero...
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:48:48 PMEsatto: pur completamente diverso, sarei presente a me stesso come lo sono ora? Avrei coscienza di esistere? So che è difficile esprimere correttamente questi tarli di pensiero...
Siccome di fatto sarebbe stata la stessa "corrente mentale" a "scendere" altrove, sarei orientato a risponderti "sì".
Ma come dicevo altrove, non ci si dovrebbe identificare nemmeno con la "corrente mentale" per il Buddhismo.
Citazione di: Apeiron il 21 Marzo 2018, 19:55:01 PM
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:48:48 PMEsatto: pur completamente diverso, sarei presente a me stesso come lo sono ora? Avrei coscienza di esistere? So che è difficile esprimere correttamente questi tarli di pensiero...
Siccome di fatto sarebbe stata la stessa "corrente mentale" a "scendere" altrove, sarei orientato a risponderti "sì".
Ma come dicevo altrove, non ci si dovrebbe identificare nemmeno con la "corrente mentale" per il Buddhismo.
Anche io propenderei per il si. Con buona pace delle correnti mentali buddiste e gravitazionali di Franco Battiato :)
Citazione di: Apeiron il 21 Marzo 2018, 19:04:07 PM@Loris,
Grazie per la risposta!
Da quanto ne so il buddhismo classico accetta vari "reami infernali" e l'Avicii è quello peggiore. Nel buddhismo però questi "inferni" però non sono eterni (ma il "soggiorno" in essi dura molto...). Anche per chi "cade" nei reami di "perdizione" c'è speranza. Idem per chi rinasce nel mondo animale. Dico "classico" perché oggi pare che si tende a vedere questi "reami" come stati mentali. Ad ogni modo l'idea è che chi compie azioni malvagie tende a soffrire per esse.
Quindi se uno "fallisce" la Teosofia dice che viene distrutto, che ad un certo punto non rinasce più?
[...]
Proprio questa differenza dà importanza alla vita "mondana". E qui mi sembra invece più simile al Cristianesimo: come nel Cristianesimo c'è un senso, un fine vero e proprio. E questo permette di lavorare e vivere nel mondo senza doverlo trascendere (almeno per ora). Ma a differenza sia delle religioni indiane che del Cristianesimo mi pare che la Teosofia non abbia una vera e propria "soteriologia", visto il suo ottimismo.
Riguardo infine all'Universalismo... Purtroppo mi pare una sorta di "predestinazione". Ovvero come "speranza" posso anche accettarla ma come "realtà di fatto" non credo ;)
Sulla questione del fallimento, direi questo. Ho parlato di una fondamentale tripartizione dell'essere umano: monade, corpo causale, corpo materiale-psichico. Il corpo materiale-psichico si dissolve al termine di ogni vita; il corpo causale è quello che garantisce la continuità di vita in vita (il "flusso" di cui parlavi tu); ma la sede "più vera" (non dico "assolutamente vera") dell'individualità è comunque la monade. Quindi, se diciamo che la monade si ritira da un individuo che ha evidentemente fallito nel suo ciclo di esistenze, non diciamo che l'individualità venga distrutta: diciamo che essa ritorna alla sorgente della coscienza assoluta, mentre quel che viene distrutto è il corpo causale con tutte le fallimentari esperienza accumulate. Insomma, è il veicolo che viene distrutto, non la coscienza, che semmai possiamo dire perda l'individualizzazione conquistata nel ciclo di vite. Ma non distrutta. Ritengo che in una visione monista non ci sia nulla che possa essere realmente distrutto.
Sul confronto col Cristianesimo, credo che la teosofia possa dare ancor più valore alla vita terrena. Faccio quest'esempio. Se un essere umano muore in giovanissima età, ancora infante, quale sarà il suo destino in ottica cristiana? Non ha compiuto nulla di male, quindi non si può mandarlo all'inferno. Ma non ha compiuto neanche nulla di bene, e dunque non sarebbe giusto mandarlo direttamente in paradiso, nei confronti di tutti gli altri che vivono una vita intera con tutti i rischi che ci sono di sbagliare e di cadere nel peccato... Dunque? Credo che il cristiano direbbe questo: l'infinita saggezza divina sa esattamente qual è il valore di quell'animuccia e quindi saprà destinarla dove merita, paradiso o inferno che sia. E il cristiano si ferma lì.
Ora, però, se Dio è in grado di giudicare un'anima senza che questa viva compiutamente una vita terrena, a che cosa serve appunto vivere la vita terrena? Non potrebbe Dio far così con tutte le anime che crea? Giudicarle appena create e destinarle dove meritano, senza far vivere ad esse un'inutile vita terrena che tanto non sposterebbe di una virgola l'infallibile giudizio divino già acquisito in partenza?
In questo la teosofia propone qualcosa di decisamente diverso: la vita terrena ha valore perché è proprio su questa arena che abbiamo costruito ciò che siamo ora, e che costruiremo il nostro futuro. E senza Salvatori (hai ragione: non c'è soteriologia nella teosofia): l'individuo è l'unico responsabile del proprio destino.
Aggiungo una riflessione. Come dicevo sopra, Dio avrebbe potuto fare a meno di creare l'inutile baraccone dell'universo, e avrebbe potuto creare direttamente le anime per popolare paradiso e inferno... Ma, un momento... Dio, infinito amore, saggezza e conoscenza, creerebbe un'anima ben sapendo che essa andrà direttamente all'inferno ("senza passare dal via", come si dice a Monopoly :( )? Che razza di giustizia sarebbe? Signore onnipotente, mi tiri fuori dal nulla e mi sbatti direttamente all'inferno, senza che nemmeno abbia fiatato? Ti ho forse chiesto io di venire al mondo? Non potevi lasciarmi dov'ero, che male almeno non stavo?
No, Dio non può compiere una
mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
No, Dio non può compiere una mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...
Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...
Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Immagino che un cristiano, ma non solo un cristiano, ti risponderebbe che Dio non vuole un esercito di schiavi cloni, ma esseri liberi. E che quindi necessariamente ti fa nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai. Dico necessariamente, perchè penso che l'onnipotenza di Dio sia ampiamente fraintesa.
Sull'animuccia del bimbo morto, immagino ti risponderebbe con le parole di Gesù: la casa di mio padre ha molte stanze. Se non ha fatto nè male nè bene perchè non ha potuto scegliere, ha comunque sperimentato la sua dose di dolore, come qualunque essere vivente. Starà ridendo, giocando con cani e gatti nel cortile :)
Citazione di: Suttree il 22 Marzo 2018, 08:36:42 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
No, Dio non può compiere una mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...
Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...
Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Immagino che un cristiano, ma non solo un cristiano, ti risponderebbe che Dio non vuole un esercito di schiavi cloni, ma esseri liberi. E che quindi necessariamente ti fa nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai. Dico necessariamente, perchè penso che l'onnipotenza di Dio sia ampiamente fraintesa.
Sull'animuccia del bimbo morto, immagino ti risponderebbe con le parole di Gesù: la casa di mio padre ha molte stanze. Se non ha fatto nè male nè bene perchè non ha potuto scegliere, ha comunque sperimentato la sua dose di dolore, come qualunque essere vivente. Starà ridendo, giocando con cani e gatti nel cortile :)
Sì Suttree, ma io ho anche detto che se davvero Dio è
onnisciente, conosce già tutto in partenza, e quindi non ha bisogno di farti "nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai". Lo sa già cosa combinerai. L'universo sarebbe solo un inutile baraccone, una farsa, una presa in giro.
E sul fatto dell'individuo che muore prematuramente, senza poter scegliere né in bene né in male, ha comunque
sofferto e quindi si
merita il paradiso, non sono poi molto d'accordo. Innanzitutto perché in molti casi non c'è neanche grande sofferenza in queste morti premature (pensa alle morti bianche); neanche paragonabile ai dolori che si può andare incontro in una lunga vita vissuta. E in secondo luogo, anche nei casi in cui c'è sofferenza, perché uno dovrebbe
guadagnarsi il paradiso eterno al prezzo di un po' di sofferenza? Direi che è quasi
regalato, il paradiso, in questo modo. Perché allora ad
alcuni il paradiso è quasi regalato, mentre
ad altri no?
Un altro paradossalmente potrebbe dire: Signore, perché non hai trattato così anche me? Il cristiano è costretto a rispondere che l'infinita saggezza di Dio conosce anche i meriti in potenza della anime, ma allora io ribatto nuovamente con l'obiezione che in questo modo si toglie valore alla vita vissuta, che non serve realmente più a nulla.E po è
deviante l'idea che sia la
sofferenza a renderti
meritorio del paradiso, come se fosse un
indennizzo pagato dall'assicurazione per un torto subito.
Ma quale indennizzo? L'individuo deve costruire se stesso per rendersi degno del "paradiso", è a questo che serve la vita vissuta.Per non parlare poi della grottesca idea della resurrezione dei corpi: con quale corpo va in paradiso, un individuo morto prematuramente' E uno con gravissime infermità?E' chiaro allora che non si va in paradiso con il corpo effettivamente posseduto in vita (e poi, quale corpo, di quale età?). si va con un corpo ideale.Ma allora, mi domando, perché parlare di resurrezione dei corpi? Non si tratta del corpo che possedemmo in vita. Si tratta di un altro corpo.
Citazione di: Loris Bagnara il 22 Marzo 2018, 09:54:56 AM
Citazione di: Suttree il 22 Marzo 2018, 08:36:42 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
No, Dio non può compiere una mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...
Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...
Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Immagino che un cristiano, ma non solo un cristiano, ti risponderebbe che Dio non vuole un esercito di schiavi cloni, ma esseri liberi. E che quindi necessariamente ti fa nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai. Dico necessariamente, perchè penso che l'onnipotenza di Dio sia ampiamente fraintesa.
Sull'animuccia del bimbo morto, immagino ti risponderebbe con le parole di Gesù: la casa di mio padre ha molte stanze. Se non ha fatto nè male nè bene perchè non ha potuto scegliere, ha comunque sperimentato la sua dose di dolore, come qualunque essere vivente. Starà ridendo, giocando con cani e gatti nel cortile :)
Sì Suttree, ma io ho anche detto che se davvero Dio è onnisciente, conosce già tutto in partenza, e quindi non ha bisogno di farti "nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai". Lo sa già cosa combinerai. L'universo sarebbe solo un inutile baraccone, una farsa, una presa in giro.
E sul fatto dell'individuo che muore prematuramente, senza poter scegliere né in bene né in male, ha comunque sofferto e quindi si merita il paradiso, non sono poi molto d'accordo. Innanzitutto perché in molti casi non c'è neanche grande sofferenza in queste morti premature (pensa alle morti bianche); neanche paragonabile ai dolori che si può andare incontro in una lunga vita vissuta. E in secondo luogo, anche nei casi in cui c'è sofferenza, perché uno dovrebbe guadagnarsi il paradiso eterno al prezzo di un po' di sofferenza? Direi che è quasi regalato, il paradiso, in questo modo. Perché allora ad alcuni il paradiso è quasi regalato, mentre ad altri no? Un altro paradossalmente potrebbe dire: Signore, perché non hai trattato così anche me? Il cristiano è costretto a rispondere che l'infinita saggezza di Dio conosce anche i meriti in potenza della anime, ma allora io ribatto nuovamente con l'obiezione che in questo modo si toglie valore alla vita vissuta, che non serve realmente più a nulla.
E po è deviante l'idea che sia la sofferenza a renderti meritorio del paradiso, come se fosse un indennizzo pagato dall'assicurazione per un torto subito.
Ma quale indennizzo? L'individuo deve costruire se stesso per rendersi degno del "paradiso", è a questo che serve la vita vissuta.
Per non parlare poi della grottesca idea della resurrezione dei corpi: con quale corpo va in paradiso, un individuo morto prematuramente' E uno con gravissime infermità?
E' chiaro allora che non si va in paradiso con il corpo effettivamente posseduto in vita (e poi, quale corpo, di quale età?). si va con un corpo ideale.
Ma allora, mi domando, perché parlare di resurrezione dei corpi? Non si tratta del corpo che possedemmo in vita. Si tratta di un altro corpo.
Ma Dio se davvero esiste non è onnisciente, nè onnipotente (se davvero è Logos, non può far si che 2+2=5 ad esempio, sarebbe negare la sua natura) come comunemente e umanamente intediamo questi due termini. Di ciò sono convinto. Quando si dice che l'uomo ha creato Dio è versissimo, ed ora il termine "Dio" è ancorato a millenni di tradizioni, dogmi, schemi mentali, che sicuramente son lontani dall'inquadrarlo.
O quando si dice: Dio è amore. Cosa vorrebbe dire? E prima di tutto allora, cos'è l'amore?
Io non so dirti nemmeno se Dio c'è per me, figurati se immagino, nel caso esista, quali possano essere i suoi criteri per differenziare sofferenza ed azione umana in un aldilà :) Non mi riferivo però ad un indennizzo, ovviamente. Ma semmai ad una conclusione per il fatto stesso di esser stati nell'immanente.
Sulla resurrezione dei corpi, davvero non saprei cosa dirti... non ha alcun significato per me.
Insomma, per farla breve, non so praticamente nulla, ed il poco che so è probabilmente sbagliato :D Però sento profondamente il mistero di un'esistenza che non riesco a ridurre a puro caso e ad una totale mancanza di senso. Potrei chiamare questo mistero e questo senso ultimo, Dio. Che poi vuol dire poco o nulla, ne sono cosciente.
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMIn questo la teosofia propone qualcosa di decisamente diverso: la vita terrena ha valore perché è proprio su questa arena che abbiamo costruito ciò che siamo ora, e che costruiremo il nostro futuro. E senza Salvatori (hai ragione: non c'è soteriologia nella teosofia): l'individuo è l'unico responsabile del proprio destino.
Se l'individuo è responsabile del proprio destino allora è responsabile di tutto.
Non lo ritengo né vero né possibile.
E' uno dei motivi fondamentali di mia contestazione delle religioni e dello stesso buddismo.
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMSul confronto col Cristianesimo, credo che la teosofia possa dare ancor più valore alla vita terrena. Faccio quest'esempio. Se un essere umano muore in giovanissima età, ancora infante, quale sarà il suo destino in ottica cristiana? Non ha compiuto nulla di male, quindi non si può mandarlo all'inferno. Ma non ha compiuto neanche nulla di bene, e dunque non sarebbe giusto mandarlo direttamente in paradiso, nei confronti di tutti gli altri che vivono una vita intera con tutti i rischi che ci sono di sbagliare e di cadere nel peccato... Dunque? Credo che il cristiano direbbe questo: l'infinita saggezza divina sa esattamente qual è il valore di quell'animuccia e quindi saprà destinarla dove merita, paradiso o inferno che sia. E il cristiano si ferma lì.
Pur volendo rimanere estraneo alla discussione (leggo con interesse solamente) queste generalizzazioni fanno male agli occhi, la santità fondata sulle opere è solo una corrente cristiana , altra corrente è la santità fondanta sull'essere, per cui sono le opere a essere santificate dall'essere in comunione con Dio. In questo caso, se la discriminante fosse semplicemente "il senso", nella seconda ipotesi il problema del bambino non si porrebbe, posto che andrebbe deciso come quando e perchè (e fino a quando) i bambini possano essere considerati santi, ed è li che comincia il "carrozzone" tutto umano e per niente divino :)
Ps. visto che edito per ortografia, mi accodo alla sacrosanta considerazione seguente di Paul!
Voglio rimanere anch'io distante dalla discussione,
ma attenzione alle interpretazioni sul bambino che muore appena nato o in tenera età, o al portatore di handicap, che qualcuno (inteso come persona generica) interpreta come oggi "paga" uno scotto di una vita precedente, tanto da seminare l'indifferenza fra coloro che vi credono che è appunto tipica di una certa cultura.
Il concetto giustificazionalista rischia non un circolo virtuoso, ma un circolo vizioso interpretativo che nelle società possono portare a non avere cura di coloro che ne hanno bisogno
Le caste degli intoccabili sono un esempio sociale.
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMInsomma, è il veicolo che viene distrutto, non la coscienza, che semmai possiamo dire perda l'individualizzazione conquistata nel ciclo di vite. Ma non distrutta. Ritengo che in una visione monista non ci sia nulla che possa essere realmente distrutto.
Cioa @Loris,
grazie per il chiarimento! Infatti non mi tornava molto la cosa ;) ad ogni modo nelle filosofie indiane, il "flusso" non si ferma mai a meno che (pensare a questo "stimola" il desiderio di uscire)....
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Sul confronto col Cristianesimo, credo che la teosofia possa dare ancor più valore alla vita terrena. Faccio quest'esempio. Se un essere umano muore in giovanissima età, ancora infante, quale sarà il suo destino in ottica cristiana?
Qui effettivamente sollevi un punto serio. Personalmente la vedo come una delle "aporie" della dottrina cristiana. Non saprei risponderti a questa domanda. Sarebbe interessante sentire il parere di qualcuno che conosce l'attuale posizione della Chiesa (sinceramente le "risposte" che conosco a tale dilemma non mi hanno mai convinto).
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Ora, però, se Dio è in grado di giudicare un'anima senza che questa viva compiutamente una vita terrena, a che cosa serve appunto vivere la vita terrena? Non potrebbe Dio far così con tutte le anime che crea?
Riguardo alla prima domanda, prova a vederla come una sorta di "apprendimento". Nel Cristianesimo imparare ad
amare è importante. E l'idea è che Dio ci
dona la vita (e la Grazia...) - questa vita terrena serve appunto a imparare gradualmente ad amare e la
fede può essere vista come un aiuto a riuscire ad amare. Purtroppo amare è molto difficile e talvolta richiede molta fatica e la
fede e la
speranza possono aiutarci a coltivare la virtù somma dell'
amore (agape). Forse il "senso" di questa vita terrena per il Cristianesimo è questo. Ovviamente è solo la mia opinione sulla cosa.
Ad ogni modo la frase "
Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. " (1 Gv, 20) fa ben capire come il Cristianesimo
non nega il valore dell'esistenza terrena e (in particolare) dei rapporti umani. Secondo me quella frase ci suggerisce che bisogna
prima imparare ad amare il prossimo che è "qui" e dopo si è pronti ad amare Dio. E parte di questo "apprendimento" è anche essere capaci di accettare il
dono. Riguardo alla seconda domanda. Ti risponderei con la prima. Di certo è un "mistero" ;)
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Ma, un momento... Dio, infinito amore, saggezza e conoscenza, creerebbe un'anima ben sapendo che essa andrà direttamente all'inferno ("senza passare dal via", come si dice a Monopoly :( )? Che razza di giustizia sarebbe? Signore onnipotente, mi tiri fuori dal nulla e mi sbatti direttamente all'inferno, senza che nemmeno abbia fiatato? Ti ho forse chiesto io di venire al mondo? Non potevi lasciarmi dov'ero, che male almeno non stavo? No, Dio non può compiere una mostruosità del genere.
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La "predestinazione" è una interpretazione minoritaria da quanto ne so (Calvino e pochi altri...). Sulla questione dell'Infero ti consiglio questo bellissimo articolo di Enzo Bianchi, (ex) priore del Monastero di Bose http://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-quotidiani/7304-inferno-quel-fuoco-acceso-dalla-nostra-liberta
Comunque sì concordo che la teosofia effettivamente dà importanza all'esistenza "presente" :)
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Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM
Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso.
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMDio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto... Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni... Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Potrebbe essere interessante un dialogo pacifico con un credente su questo tema, anche se in questo periodo non me la sento di partecipare ad un dibattito su di ciò su Internet (per quanto pacifico possa essere...).
Riguardo al mio riferimento sull'Universalismo o "salvezza per tutti", intendevo questo. Se
siamo già sicuri che la "salvezza" è assicurata allora non ci viene la spinta a "salvarci". Ovvero, la "salvezza universale" può essere interpretata come "
indipendentemente da come mi comporto, comunque il mio destino non cambia".
TI consiglio di leggere il mio dialogo con Eutidemo, qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/filosofia-e-vita-vissuta/ e questa mia riflessione https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/immortale-anch'io-no-!-tu-no-!!/msg17367/#msg17367
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 20:45:22 PMAnche io propenderei per il si. Con buona pace delle correnti mentali buddiste e gravitazionali di Franco Battiato :)
Il mio "sì" era dovuto più che altro all'osservazione che era la stessa "corrente mentale". Per un Buddhista però dire che saresti sempre "tu" sarebbe sbagliato, visto che in realtà non è possibile trovare una "identità" che permette di fare davvero questo confronto ;)
Comunque il motivo per cui, secondo i Buddhisti, è possibile parlare delle "proprie" vite è perchè le memorie si trasmettono in una determinata "corrente mentale". E inoltre è possibile distinguere le correnti mentali. Tuttavia non si può dire che da una vita all'altra passa sempre la stessa "coscienza", visto che ogni coscienza è momentanea e "sorge" a causa di determinate condizioni. Forse più corretto sarebbe dire che c'è una "serie" di coscienze momentanee, perchè il termine "corrente" può far sembrare che ci sia una "coscienza" che persiste e che "cambia". In realtà è questa "corrente" è un continuo sorgere e cessare di coscienze momentanee. Ad ogni modo, è possibile distinguere le varie "serie" di coscienze.
E, secondo il Buddhismo, non c'è alcun "io" - nessuna sostanza - che può essere trovato in esse.
Leggiti, se non lo hai già fatto questo post di @Sariputra https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18256/#msg18256 e il successivo.
Citazione di: InVerno il 22 Marzo 2018, 14:09:04 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMSul confronto col Cristianesimo, credo che la teosofia possa dare ancor più valore alla vita terrena. Faccio quest'esempio. Se un essere umano muore in giovanissima età, ancora infante, quale sarà il suo destino in ottica cristiana? Non ha compiuto nulla di male, quindi non si può mandarlo all'inferno. Ma non ha compiuto neanche nulla di bene, e dunque non sarebbe giusto mandarlo direttamente in paradiso, nei confronti di tutti gli altri che vivono una vita intera con tutti i rischi che ci sono di sbagliare e di cadere nel peccato... Dunque? Credo che il cristiano direbbe questo: l'infinita saggezza divina sa esattamente qual è il valore di quell'animuccia e quindi saprà destinarla dove merita, paradiso o inferno che sia. E il cristiano si ferma lì.
Pur volendo rimanere estraneo alla discussione (leggo con interesse solamente) queste generalizzazioni fanno male agli occhi, la santità fondata sulle opere è solo una corrente cristiana , altra corrente è la santità fondanta sull'essere, per cui sono le opere a essere santificate dall'essere in comunione con Dio. In questo caso, se la discriminante fosse semplicemente "il senso", nella seconda ipotesi il problema del bambino non si porrebbe, posto che andrebbe deciso come quando e perchè (e fino a quando) i bambini possano essere considerati santi, ed è li che comincia il "carrozzone" tutto umano e per niente divino :)
Ps. visto che edito per ortografia, mi accodo alla sacrosanta considerazione seguente di Paul!
Mi chiedo cosa significhino le espressioni "santità fondata sull'essere" (anziché sulle opere) e "essere in comunione con Dio".
Se non si tratta di opere, di atti, si dovrà trattare allora di uno stato interiore, di atteggiamenti, di pensieri, di emozioni... Ma anche così, non vedo quale stato interiore, quali atteggiamenti, quali pensieri, quali emozioni possa avere un bimbo di pochi mesi che muore, o un infelice gravemente menomato nelle facoltà cerebrali. Se individui del genere si trovano "in comunione con Dio", non è perché siano stati loro a porre Dio dentro il loro essere, ma perché è stato Dio a portarli a sé... E allora se Dio può far questo (e può farlo in quanto Dio) perché non fa così con tutti? Mi pare che i dubbi restino tutti...
Il concetto di un Dio che crea dal nulla, oltre ad essere di per sé un'assurdità logica, spalanca la porta ad altre difficoltà.
Questa, ad esempio.Nella concezione cristiana l'universo ha un inizio e una fine. Ha un tempo. In questo tempo saranno create un certo numero di anime umane. Non infinite. Vi saranno di conseguenza infinite anime NON create. Alla faccia del Dio buono e misericordioso, che ci dona la vita! Infinite anime NON create! E la Chiesa ci viene a dire che non bisogna usare il preservativo? (scusate la schiettezza).Per ripristinare l'immagine del Dio buono, misericordioso, dispensatore di vita, occorre ammettere che Dio crei TUTTE le infinite possibili anime: tutte quelle che andranno in paradiso e tutte quelle che andranno all'inferno.
Ma allora la creazione non è più un atto di volontà, è piuttosto una sorta di emanazione incontenibile a cui nemmeno Dio può opporsi.
A me piace spaccare il capello in quattro, ma so bene che nessun convinto cristiano accetterebbe di scendere sull'arena per rispondere direttamente a queste questioni: in genere, verrebbe evocato il solito polverone catechistico-teologico, in cui non si vede più un filo di luce, e ci si orienta solo con l'autorevole voce che scende dall'alto...
Citazione di: Loris Bagnara il 22 Marzo 2018, 22:54:40 PMMi chiedo cosa significhino le espressioni "santità fondata sull'essere" (anziché sulle opere) e "essere in comunione con Dio".
Non è il caso (per il topic) di fare un revival della protesta luterana, in ogni caso se vuoi approfondire ti posso assicurare che le fonti non manca no,per chiarire quelle espressioni bisogna innanzitutto stabilire se è Dio a "discendere" nelle anime, o le anime ad "ascendere" verso Dio. Non ci trovo nulla di incomprensibile a livello logico, ma non ho alcuna intenzione di schierarmi a riguardo, te lo segnalo per suggerirti spunti di approfondimento.
Al massimo ti posso segnalare che problematica simile (comune a tutte le "rivelate") si trova non solo per i bambini, ma anche per quelli che sono nati prima di poter ascoltare la novella, o in luoghi dove era assolutamente impossibile la ascoltassero e quindi non la rifiutarono mai (pensa a degli indigeni delle Fiji). Tutti argomenti che personalmente trovo stucchevoli, ma che è molto divertente veder dibattuti da spettatore(finchè non ci scappa il morto, come succedeva fino a qualche anno fa e succede ancora). Ti segnalo anche che le "monadi minerali" (per esempio) non è che siano gineprai logici di minor assurdità.. :) ma suppongo sia una questione di affinità linguistica e logica verso determinati concetti.
Citazione di: InVerno il 23 Marzo 2018, 16:49:10 PMTi segnalo anche che le "monadi minerali" (per esempio) non è che siano gineprai logici di minor assurdità.. :) ma suppongo sia una questione di affinità linguistica e logica verso determinati concetti.
Quando parlo di "assurdità", non mi riferisco a cose "difficili a credersi": mi riferisco a vere e proprie contraddizioni interne, di carattere logico-razionale, che emergono qualora si sviluppino fino in fondo le premesse teologiche. Un "Dio infinito" è incompatibile con il concetto di "creazione dal nulla" (come ho già illustrato). Dio non può essere al tempo stesso "infinito amore, onnisciente, onnipotente" (come molto filosofi hanno ampiamente dimostrato). La resurrezione dei corpi, pure, spalanca incongruenza irrisolvibili, come ho già illustrato. E molto altro.La monade minerale, invece, per quanto a prima vista difficile a credersi, è conseguente ad un principio molto semplice, che è quello dell'onnipresenza della vita. Non c'è nulla che non sia vivo, perché la vita non è un accidente fortuito che ad un certo punto sbuca dal nulla. L'UNO è vita e coscienza ab aeterno, e quando l'UNO si manifesta nel molteplice, la vita e la coscienza si manifestano in in ogni particella di materia del cosmo in evoluzione. E' uno dei principi fondamentali dell'esoterismo (non certo un'invenzione della teosofia).