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LOGOS - Argomenti => Tematiche Spirituali => Discussione aperta da: bluemax il 26 Aprile 2017, 22:54:49 PM

Titolo: La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: bluemax il 26 Aprile 2017, 22:54:49 PM
Vorrei portarvi una riflessione che costituisce il fulcro del dibattito tra Gorampa (maggiore filosofo della scuola Sakya, che ha chiarificato il lavoro di Sakya Pandita) e Tsongkhapa (maggiore filosofo e fondatore della scuola Gelug). La questione riguarda il rapporto tra le due verità e se, effettivamente, vi siano due verità.
Per i profani, quello delle due verità è un argomento della riflessione di Nagarjuna, considerato da tutte le scuole Mahayana il principale filosofo buddhista. Nagarjuna parla della verità convenzionale, che è quella dei fenomeni come noi li percepiamo ordinariamente... e poi la verità ultima, che è il modo in cui i fenomeni effettivamente sono, ossia vuoti di esistenza intrinseca e indipendente.


Secondo Gorampa, le due verità sono totalmente separate: la verità convenzionale (quella che DISEGNA la realtà compresa la creazione di varie divinità) è esclusivamente frutto dell'ignoranza, mentre quella ultima della saggezza. Non vi è quindi alcuna unità tra le due verità e anzi, si può tranquillamente dire che quella convenzionale non è affatto una verità. Non vi è quindi soluzione di unità tra le due verità, ma soltanto assoluta separazione... e ne consegue che un Buddha, nel suo approcciarsi ai fenomeni, percepisce soltanto la verità ultima e non quella convenzionale.

All'opposto, Tsongkhapa opera una radicale difesa dello stato ontologico della verità convenzionale. Non è infatti la verità convenzionale ad essere falsa, ma la sua reificazione operata dall'ignoranza. Una sedia infatti esiste convenzionalmente, ed è proprio la sua esistenza convenzionale (e non assoluta) che lo rende vuoto di esistenza intrinseca. Una sedia ad esempio esiste convenzionalmente (è impermanente, insostenziale, dipendente ecc..) e proprio per il fatto di esistere in questo modo, è vuota di esistenza intrinseca.
Personalmente trovo più convincente la teoria di Tsongkhapa.

Per fortuna le neuroscienze ci vengono in aiuto nel constatare come la mente percepisce la realtà convenzionale differente da quella ultima.

Al momento della nascita, ogni neonato, non è che non è in grado di vedere come sostenevano in passato, ma la propria retina, quindi cervello è invaso da una moltitudine di COLORI provenienti dal mondo esterno.
Questi colori naturalmente sono quel che noi chiamiamo, SEDIA, TAVOLO, FIORE ecc... ecc...

Nel corso della crescita il cervello necessita di costruirsi cio' che vengono chiamate MAPPE MENTALI ossia i colori percepiti vengono raggruppati in forme, e le forme generano il mondo esterno.

Esiste quindi, secondo me naturalmente, una realtà CONVENZIONALE (raggruppamento di fenomeni che generano una certa funzione a cui diamo un nome, divinità, casistiche a cui associamo un volere ultraterreno ecc... ecc...) ma esiste anche una realtà ULTIMA che è quella che il bambino percepisce nel momento iniziale in cui si rapporta al mondo esterno.

Ogni cosa che la mente attribuisce al fenomeno con cui viene in contatto (bello, brutto, piacevole, spiacevole, mio, tuo ecc... ecc... ) sono pure illusioni mentali che la mente si crea ma che in realtà tale fenomeno non ha per sua natura ultima.

il concetto di BELLO BRUTTO BUONO CATTIVO ecc... ecc... non è altro che una espansione del proprio EGO (che non esiste ma anch'esso è una SENSAZIONE che nasce verso un anno di età in ogni essere umano necessaria per rapportarsi con il mondo esterno) sugli oggetti percepiti.

il classico e banale esempio puo' essere fatto con l'insegnamento in tenera età delle lettere dell'alfabeto.
Quando per la prima volta ci viene detto che la disposizione particolare di 4 righe formano la lettera "M" si crea nel cervello la MAPPA di quel segno che assume il valore di M.
Prima di tale insegnamento noi vedevamo (quando non sapevamo leggere) 4 linee senza alcun significato... dopo tale insegnamento non riusciamo piu' a vedere 4 linee ma vediamo ISTANTANEAMENTE la lettere "M".
Questo fenomeno avviene per OGNI oggetto con cui la mente viene in contatto tramite i sensi.

Non dimentichiamoci che la vacuità non è "solo" la mancanza di esistenza intrinseca di tutti i fenomeni, ma è anche il sorgere dipendente.
Se si esclude il sorgere dipendente, cioè che ogni fenomeno dipende da altro (cause e condizioni) per "esistere", si rischia di cadere nell'estremo del Nichilismo, dove si considera la vacuità come un nulla assoluto quindi, sempre secondo me, Tsongkhapa si è avvicinato maggiormente alla verità ultima... quella di un budda....  anche se il dibattito rimane...

ciao :)
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 27 Aprile 2017, 01:13:04 AM
Penso che dobbiamo aver chiaro che, per la filosofia buddhista, niente esiste in senso assoluto. Nemmeno l'elemento Nibbana è un assoluto, in quanto è proprio nella comprensione della vacuità ( o esistenza dipendente) di tutti i fenomeni che si realizza la Cessazione. Per questo Nagarjuna afferma: "I confini del Samsara sono i confini del Nibbana".. Nessun fenomeno manca della qualità di essere un evento che sorge dipendentemente. Tuttavia, istintivamente, tutte le cose ci appaiono come se esistessero indipendentemente le une dalle altre ( quella che si può definire come "esistenza convenzionale" dei fenomeni...). Se prendiamo, tanto per cambiare  :) , come esempio una montagna: eccola ergersi davanti a noi, maestosa e solenne, imponente, indipendente da qualsiasi condizione e concreta, ma se riflettiamo capiamo che deve la sua esistenza ad un'infinità di cause e condizioni e a innumerevoli particelle atomiche nemmeno visibili. E' solo l'unione di tutte queste 'parti', a loro volta dipendenti una dall'altra, a formare quella che noi designamo come 'montagna'. Ecco quindi che abbiamo la vacuità di esistenza indipendente ( o intrinseca) della designazione convenzionale 'montagna'. Non c'è un'entità 'montagna' che esista separata dalla cause, condizioni e componenti che sono la base della sua esistenza. Il buddhismo però non nega che queste cause, condizioni e componenti siano reali, ciò che non è reale è la designazione 'montagna'. O meglio...la montagna ha una esistenza convenzionale e stabilita da un giudizio di valore espresso dal soggetto che la percepisce istintivamente come "un qualcosa a sé"; così la montagna diventa 'alta' , 'antica', 'imponente', ecc.
Quando si afferma l'esistenza vuota dei fenomeni bisogna portarsi anche sul piano della vacuità stessa della mente che li percepisce. Infatti anche la mente, per il buddhismo, è vuota di esistenza indipendente. Ogni stato mentale sorge in dipendenza da numerosi momenti di coscienza e da svariati fattori mentali...
Dopo un'ora di meditazione, per es., la mente sembra possedere un'identità propria e indipendente, ma se la analizziamo vediamo che dipende da diversi singoli pensieri, sentimenti e percezioni, sperimentati in quell'ora , oltre che dall'oggetto di meditazione ( per es. il respiro). Persino la coscienza ( vinnana) , vista dal buddhismo come elemento che migra da una vita all'altra sino al raggiungimento della buddhità, non esiste in modo indipendente. Ossia anche la coscienza è soggetta al sorgere dipendente ( ed è abbastanza evidente se riflettiamo che non ci può essere coscienza senza oggetto della coscienza...). Quindi tutta la persona è dipendente, mente e corpo.
Ciò che viene negato dalla vacuità è pertanto qualsiasi cosa ci appaia come dotata di esistenza indipendente, intrinseca. La vacuità non è altro che l'assenza di ciò che si nega.
Ma perché non si può operare una dualità tra 'verità convenzionale' e 'verità ultima' ? Perché la vacuità è vacuita di esistenza intrinseca sia della fantomatica 'verità convenzionale' che della 'verità ultima'...
Anche il Nibbana, per il madhyamika, è vuoto. E perché è vuoto?  Perché, essendo cessazione, è vuoto di sofferenza data dalla vacuità dei dhamma concepiti come esistenti intrinsecamente ( la 'verità' del Nibbana non è altro che la terza Nobile verità, ossia la verità della cessazione del dolore...). Se esistesse qualcosa di più alto da realizzare che il Nibbana, ancora si dovrebbe definire vuoto di esistenza intrinseca. Questo serve per togliere dalla mente l'idea che il raggiungimento del Nibbana sia un eternalismo, un entrare in un 'paradiso' o cose simili e altresì togliere anche l'idea opposta che sia un semplice annichilimento. Il Nibbana è...cessazione del dolore, nient'altro...("Esaurita è la vita, non vi sarà più ri-essere").
Direi che Tsongkhapa è più in sintonia con le madhyamika-karika...
Il saggio chiama vacuità la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni. Ma egli aggiunge che anche questa vacuità è vuota dell'essere una vacuità esistente intrinsecamente. Questa vacuità della cosiddetta vacuità viene considerata la vacuità della vacuità. Buddha ha parlato di essa per neutralizzare la tendenza della mente ad apprendere la vacuità come intrinsecamente esistente.
( Guida alla Via di Mezzo- sesto capitolo del Madhyamakavatara di Chandrakirti-185-186)
Ciao  :)
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: InVerno il 27 Aprile 2017, 09:27:13 AM
Citazione di: bluemax il 26 Aprile 2017, 22:54:49 PMEsiste quindi, secondo me naturalmente, una realtà CONVENZIONALE (raggruppamento di fenomeni che generano una certa funzione a cui diamo un nome, divinità, casistiche a cui associamo un volere ultraterreno ecc... ecc...) ma esiste anche una realtà ULTIMA che è quella che il bambino percepisce nel momento iniziale in cui si rapporta al mondo esterno.
Perchè? Voglio dire, sotto quale aspetto si può considerare come "ultima" (accezione progressiva) la realtà percepita dal nascituro? Non è anche essa frutta di mappe mentali che a certi stimoli di luce legano una rappresentazione visiva (colore) ? In ogni caso a questo punto "ultima" ha un accezione digressiva, e la realtà "ultima" allora forse si riferisce ancora prima, alle percezioni nella pancia della madre. Mi pare un ragionamento a ritroso che porta poco distanti, se è solo questione di allontanarsi dalla percenzione convenzionale esiste sempre un momento "prima" o "dopo" dove la percezione era meno nitida e schiava delle codificazioni, anche in punto di morte probabilmente le mappe mentali vanno a farsi benedire. Ma soprattutto, fare questo distinguo tra realtà ultima e convenzionale, a che tipo di realtà appartiene? Ultima o convenzionale? A differenza degli animali siamo in grado di modulare suoni complessi e di concatenarli in parole, in seguito attribuirgli significato al solo scopo comunicativo. Non abbiamo motivo di chiamare un "albero" albero, e attriburgli una realtà convenzionata e codificata se non per indicare ad un amico che se continua a correre in quella direzione troverà un albero ove sbattere la faccia, l'uso della parola è una strumentalizzazione ancora più pesante e incisivo della "realtà ultima". A questo punto però ci dobbiamo rendere conto che un amico che ci allerta dell'esistenza di due realtà differenti come i saggi citati, è arrivato a un livello di stratificazione della codificazione, di grado decisamente superiore a qualsiasi sedia. Allora io rispondo: Realtà ultima e convenzionale? Questo è il più convenzionale dei distinguo, il più lontano (per livello di astrazione da essa) dalla realtà ultima in se. Se questi due saggi se ne fosse affrancati, non avrebbero forse dovuto stare innanzitutto zitti?
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: bluemax il 27 Aprile 2017, 11:10:41 AM
Citazione di: InVerno il 27 Aprile 2017, 09:27:13 AM
Citazione di: bluemax il 26 Aprile 2017, 22:54:49 PMEsiste quindi, secondo me naturalmente, una realtà CONVENZIONALE (raggruppamento di fenomeni che generano una certa funzione a cui diamo un nome, divinità, casistiche a cui associamo un volere ultraterreno ecc... ecc...) ma esiste anche una realtà ULTIMA che è quella che il bambino percepisce nel momento iniziale in cui si rapporta al mondo esterno.
Perchè? Voglio dire, sotto quale aspetto si può considerare come "ultima" (accezione progressiva) la realtà percepita dal nascituro? Non è anche essa frutta di mappe mentali che a certi stimoli di luce legano una rappresentazione visiva (colore) ? In ogni caso a questo punto "ultima" ha un accezione digressiva, e la realtà "ultima" allora forse si riferisce ancora prima, alle percezioni nella pancia della madre. Mi pare un ragionamento a ritroso che porta poco distanti, se è solo questione di allontanarsi dalla percenzione convenzionale esiste sempre un momento "prima" o "dopo" dove la percezione era meno nitida e schiava delle codificazioni, anche in punto di morte probabilmente le mappe mentali vanno a farsi benedire. Ma soprattutto, fare questo distinguo tra realtà ultima e convenzionale, a che tipo di realtà appartiene? Ultima o convenzionale? A differenza degli animali siamo in grado di modulare suoni complessi e di concatenarli in parole, in seguito attribuirgli significato al solo scopo comunicativo. Non abbiamo motivo di chiamare un "albero" albero, e attriburgli una realtà convenzionata e codificata se non per indicare ad un amico che se continua a correre in quella direzione troverà un albero ove sbattere la faccia, l'uso della parola è una strumentalizzazione ancora più pesante e incisivo della "realtà ultima". A questo punto però ci dobbiamo rendere conto che un amico che ci allerta dell'esistenza di due realtà differenti come i saggi citati, è arrivato a un livello di stratificazione della codificazione, di grado decisamente superiore a qualsiasi sedia. Allora io rispondo: Realtà ultima e convenzionale? Questo è il più convenzionale dei distinguo, il più lontano (per livello di astrazione da essa) dalla realtà ultima in se. Se questi due saggi se ne fosse affrancati, non avrebbero forse dovuto stare innanzitutto zitti?
Notevole... ed interessante... :) 
Solo sul fatto di "stare innanzitutto zitti" nutro perplessità... :) 
difficile che nel buddismo, sempre alla ricerca della verità, qualcuno si prenda l'onere del silenzio :)

comunque notevole riflessione, grazie :)
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: bluemax il 27 Aprile 2017, 11:13:08 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Aprile 2017, 01:13:04 AM
Penso che dobbiamo aver chiaro che, per la filosofia buddhista, niente esiste in senso assoluto. Nemmeno l'elemento Nibbana è un assoluto, in quanto è proprio nella comprensione della vacuità ( o esistenza dipendente) di tutti i fenomeni che si realizza la Cessazione. Per questo Nagarjuna afferma: "I confini del Samsara sono i confini del Nibbana".. Nessun fenomeno manca della qualità di essere un evento che sorge dipendentemente. Tuttavia, istintivamente, tutte le cose ci appaiono come se esistessero indipendentemente le une dalle altre ( quella che si può definire come "esistenza convenzionale" dei fenomeni...). Se prendiamo, tanto per cambiare  :) , come esempio una montagna: eccola ergersi davanti a noi, maestosa e solenne, imponente, indipendente da qualsiasi condizione e concreta, ma se riflettiamo capiamo che deve la sua esistenza ad un'infinità di cause e condizioni e a innumerevoli particelle atomiche nemmeno visibili. E' solo l'unione di tutte queste 'parti', a loro volta dipendenti una dall'altra, a formare quella che noi designamo come 'montagna'. Ecco quindi che abbiamo la vacuità di esistenza indipendente ( o intrinseca) della designazione convenzionale 'montagna'. Non c'è un'entità 'montagna' che esista separata dalla cause, condizioni e componenti che sono la base della sua esistenza. Il buddhismo però non nega che queste cause, condizioni e componenti siano reali, ciò che non è reale è la designazione 'montagna'. O meglio...la montagna ha una esistenza convenzionale e stabilita da un giudizio di valore espresso dal soggetto che la percepisce istintivamente come "un qualcosa a sé"; così la montagna diventa 'alta' , 'antica', 'imponente', ecc.
Quando si afferma l'esistenza vuota dei fenomeni bisogna portarsi anche sul piano della vacuità stessa della mente che li percepisce. Infatti anche la mente, per il buddhismo, è vuota di esistenza indipendente. Ogni stato mentale sorge in dipendenza da numerosi momenti di coscienza e da svariati fattori mentali...
Dopo un'ora di meditazione, per es., la mente sembra possedere un'identità propria e indipendente, ma se la analizziamo vediamo che dipende da diversi singoli pensieri, sentimenti e percezioni, sperimentati in quell'ora , oltre che dall'oggetto di meditazione ( per es. il respiro). Persino la coscienza ( vinnana) , vista dal buddhismo come elemento che migra da una vita all'altra sino al raggiungimento della buddhità, non esiste in modo indipendente. Ossia anche la coscienza è soggetta al sorgere dipendente ( ed è abbastanza evidente se riflettiamo che non ci può essere coscienza senza oggetto della coscienza...). Quindi tutta la persona è dipendente, mente e corpo.
Ciò che viene negato dalla vacuità è pertanto qualsiasi cosa ci appaia come dotata di esistenza indipendente, intrinseca. La vacuità non è altro che l'assenza di ciò che si nega.
Ma perché non si può operare una dualità tra 'verità convenzionale' e 'verità ultima' ? Perché la vacuità è vacuita di esistenza intrinseca sia della fantomatica 'verità convenzionale' che della 'verità ultima'...
Anche il Nibbana, per il madhyamika, è vuoto. E perché è vuoto?  Perché, essendo cessazione, è vuoto di sofferenza data dalla vacuità dei dhamma concepiti come esistenti intrinsecamente ( la 'verità' del Nibbana non è altro che la terza Nobile verità, ossia la verità della cessazione del dolore...). Se esistesse qualcosa di più alto da realizzare che il Nibbana, ancora si dovrebbe definire vuoto di esistenza intrinseca. Questo serve per togliere dalla mente l'idea che il raggiungimento del Nibbana sia un eternalismo, un entrare in un 'paradiso' o cose simili e altresì togliere anche l'idea opposta che sia un semplice annichilimento. Il Nibbana è...cessazione del dolore, nient'altro...("Esaurita è la vita, non vi sarà più ri-essere").
Direi che Tsongkhapa è più in sintonia con le madhyamika-karika...
Il saggio chiama vacuità la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni. Ma egli aggiunge che anche questa vacuità è vuota dell'essere una vacuità esistente intrinsecamente. Questa vacuità della cosiddetta vacuità viene considerata la vacuità della vacuità. Buddha ha parlato di essa per neutralizzare la tendenza della mente ad apprendere la vacuità come intrinsecamente esistente.
( Guida alla Via di Mezzo- sesto capitolo del Madhyamakavatara di Chandrakirti-185-186)
Ciao  :)

ti ringrazio molto del tuo apporto :) 
sopratutto quando fai riferimento a <<Guida alla Via di Mezzo- sesto capitolo del Madhyamakavatara di Chandrakirti-185-186>> 
devo dargli una lettura...

grazie :) 
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 27 Aprile 2017, 11:44:03 AM
@ Inverno scrive:
Se questi due saggi se ne fosse affrancati, non avrebbero forse dovuto stare innanzitutto zitti?


Concordo con te sul fatto che stare zitti è saggio, a prescindere...Qui forse ci troviamo di fronte ad una sorta di diatriba filosofica interna al linguaggio descrizionale usato dai due maestri buddhisti. Voglio dire: è possibile che ambedue , partendo da una medesima pratica , con medesimi frutti, all'atto pratico di doverla trasmettre con uno strumento inadeguato come il linguaggio, diano peso e significato diverso alle parole. Tuttavia ambedue possono esser stati ottimi maestri di Dhamma...e sicuramente lo erano.
In generale la speculazione buddhista tende a non avere una posizione assoluta, ma è profondamente dialettica e questo, nella storia, è stato anche all'origine delle divisioni interne che hanno dato inizio ai vari "veicoli". Il buddhismo più recente tende a superare queste divisioni, che sono più speculative che pratiche ( inerenti alla pratica meditativa).

 ...sotto quale aspetto si può considerare come "ultima" (accezione progressiva) la realtà percepita dal nascituro?..

Infatti non può essere considerata "realtà ultima" perché nel nascituro non vi è alcuna comprensione dell'intero processo di costruzione mentale, che richiede la consapevolezza dell'intera catena di produzione condizionata ( la famosa paticcasammupadha...). In generale usare termini come "realtà convenzionale" o "realtà ultima" è fuorviante nella pratica buddhista, essendo il termine stesso "realtà" vuoto di esistenza intrinseca o indipendente. Lo si usa normalmente per semplificare e rendere accessibile, ma è anche pericoloso, perché la mente tende a impadronirsi del termine e costruire il concetto che esistano due realtà...
Non so se bluemax vuole chiarire in che senso intendeva usarlo...

 Non abbiamo motivo di chiamare un "albero" albero, e attriburgli una realtà convenzionata e codificata se non per indicare ad un amico che se continua a correre in quella direzione troverà un albero ove sbattere la faccia, l'uso della parola è una strumentalizzazione ancora più pesante e incisivo della "realtà ultima".

Infatti se ci vai a sbattere contro ti accorgi immediatamente dell'esistenza dell'albero. Quando si parla di vacuità dell'albero non si mette in dubbio la sua esistenza ben concreta ( e dolorosa nel caso di andarci contro... :)), in questo il buddhismo è realista. Si parla della vacuità di esistenza indipendente, ossia che non c'è alcun albero come entità distinta dalle cause, condizioni e componenti che lo determinano ( ossia che non c'è alcun "albero" se non come designazione convenzionale).
La designazione è assolutamente necessaria...anche un Buddha deve usare termini convenzionali per spiegarsi...importante per il buddhismo è non prendere come "sostanziale" la designazione mentale stessa ( questa pratica serve per non "aggrapparsi" alla designazione mentale...).

Ciao :)

Scusa il grassetto ma non riesco a toglierlo, ho pasticciato un pò...
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: bluemax il 27 Aprile 2017, 16:27:32 PM
Credo invece che la realtà ultima possa essere vissuta o meglio, sperimentata, solo da una mente non inquinata dal proprio ego. In poche parole quella di un neonato.
Questa mente la possiamo ritrovare unicamente nel momento della rinascita appunto, dopo la sperimentazione del bardo dove viene purificata da ricordi, avversioni, attrazioni ecc... ecc...

Credo sia quasi impossibile per una mente che non sia quella di un neonato di percepire la realtà ultima invece di quella convenzionale.

Penso che la realtà ultima sia quella che ogni neonato sperimenta... e man mano che cresce la inquina facendola diventare realtà convenzionale. Necessita di vedere gli oggetti come realtà intrinseche, uniche, distinte da altri oggetti, spesso raggruppate per la loro funzione.
Un neonato vede una forma con un colore... sente un suono... ecc... ecc...
Un adulto invece vede un SUO bel bicchiere, sente una SUA BELLISSIMA musica, difende queste SUE e solo SUE bellezze creando avversione o attrazione...


Per un bambino ogni oggetto è neutro, privo di significato, ha soltanto una forma, un colore, ma non una funzione e tutte quelle QUALITA' illusorie che la mente inquinata associa ad ogni oggetto con cui viene in contatto.
La mente inquinata è duale, la mente di un neonato no. Non esiste il bene ed il male (degenerazione mentale che porta alla nascita di inutili divinità) ma esiste il fenomeno.

Un neonato favorisce la funzione primaria della mente che è quella di APPRENDERE (infatti si dice che la mente ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere conoscitiva).

Quindi... rimanendo in tema, penso che la mente del neonato sia in grado di percepire la realtà ultima... la mente di un adulto no (a meno di grandissimi sforzi o anni di meditazione sul concetto di vacuità, origine della sofferenza, morte e rinascita ecc... ecc...)

spero di essermi spiegato ma essendo a lavoro ho dovuto scrivere velocemente.


ciao :)
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 27 Aprile 2017, 17:05:19 PM
@bluemax
Capisco cosa intendi... però nel neonato può esserci percezione , ma non c'è ancora comprensione e neppure visione intuitiva  ( prajna). La sua mente è come un diamante puro , ma totalmente inconsapevole di esserlo. E' uno stato di in-nocenza ma pure di in-consapevolezza. Altrimenti, se non vi fosse questa comprensione, dovremmo dedurre che tutte le forme di vita che non sviluppano un pensiero fatto di designazioni convenzionali e soprattutto che non sviluppano un ego, sono nella buddhità...
Questa mente-di-neonato però porta in sè , ben radicata, l'innata tendenza a sviluppare questo ego, e questo processo di sviluppo serve per differenziarsi e poter meglio sopravvivere nell'ambiente in cui si trova gettata. Se non avesse in sé questa innata e potente sete di esistere (tanha) la coscienza non sarebbe di certo ri-nata, secondo la visione buddhista.
Hai ragione senz'altro quando dici che la mente del neonato e poi del bimbo percepisce in maniera più diretta che non quella, ormai compromessa dall'attaccamento ai concetti, dell'adulto. Percepisce soprattutto la Bellezza in modo più intenso e da questa percezione nasce la Meraviglia ( che poi è la stessa Bellezza e Meraviglia che, consapevolmente, percepisce la mente-di-buddha, ossia la mente sgombrata dagli ammassi e dalle macerie concettuali...). 
La comprensione è fondamentale , nel buddhismo, anche per stabilire un'etica ( cioè una necessità di prendersi cura del proprio e dell'altrui dolore...). Cosa che la pura percezione, come quella del neonato, non può certo realizzare. Se vediamo la 'realtà convenzionale' come un nemico e la 'realtà ultima' come una meta, operiamo sì un perverso dualismo che non ci porterà da nessuna parte.
Per prenderci cura del nostro e dell'altrui dolore dobbiamo prenderci cura proprio della 'realtà convenzionale', rimanendo consapevoli che non dobbiamo attaccarci ad essa per non far sorgere continuamente il senso dell'io-mio che, come giustamente osservi: "...difende queste SUE e solo SUE bellezze creando avversione o attrazione..."
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: bluemax il 27 Aprile 2017, 18:24:10 PM
Citazione di: Sariputra il 27 Aprile 2017, 17:05:19 PM
@bluemax
Capisco cosa intendi... però nel neonato può esserci percezione , ma non c'è ancora comprensione e neppure visione intuitiva  ( prajna). La sua mente è come un diamante puro , ma totalmente inconsapevole di esserlo. E' uno stato di in-nocenza ma pure di in-consapevolezza. Altrimenti, se non vi fosse questa comprensione, dovremmo dedurre che tutte le forme di vita che non sviluppano un pensiero fatto di designazioni convenzionali e soprattutto che non sviluppano un ego, sono nella buddhità...
Questa mente-di-neonato però porta in sè , ben radicata, l'innata tendenza a sviluppare questo ego, e questo processo di sviluppo serve per differenziarsi e poter meglio sopravvivere nell'ambiente in cui si trova gettata. Se non avesse in sé questa innata e potente sete di esistere (tanha) la coscienza non sarebbe di certo ri-nata, secondo la visione buddhista.
Hai ragione senz'altro quando dici che la mente del neonato e poi del bimbo percepisce in maniera più diretta che non quella, ormai compromessa dall'attaccamento ai concetti, dell'adulto. Percepisce soprattutto la Bellezza in modo più intenso e da questa percezione nasce la Meraviglia ( che poi è la stessa Bellezza e Meraviglia che, consapevolmente, percepisce la mente-di-buddha, ossia la mente sgombrata dagli ammassi e dalle macerie concettuali...).
La comprensione è fondamentale , nel buddhismo, anche per stabilire un'etica ( cioè una necessità di prendersi cura del proprio e dell'altrui dolore...). Cosa che la pura percezione, come quella del neonato, non può certo realizzare. Se vediamo la 'realtà convenzionale' come un nemico e la 'realtà ultima' come una meta, operiamo sì un perverso dualismo che non ci porterà da nessuna parte.
Per prenderci cura del nostro e dell'altrui dolore dobbiamo prenderci cura proprio della 'realtà convenzionale', rimanendo consapevoli che non dobbiamo attaccarci ad essa per non far sorgere continuamente il senso dell'io-mio che, come giustamente osservi: "...difende queste SUE e solo SUE bellezze creando avversione o attrazione..."

°_° non so come ringraziarti... sai perchè ?
Beh... nella tua risposta... ho trovato un'altra risposta ad una domanda che mi facevo da tempo... (che non centra nulla con la discussione attuale).
Quando affermi "Se non avesse in sé questa innata e potente sete di esistere (tanha) la coscienza non sarebbe di certo ri-nata, secondo la visione buddhista."

ho avuto una folgorazione :)
ti ringrazio... devo rileggermi alcuni testi ma quella frase mi ha dato una intuizione... :) ad un dubbio che mi portavo dietro da anni... 

ti ringrazio tanto :)
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Phil il 27 Aprile 2017, 18:31:48 PM
Citazione di: bluemax il 27 Aprile 2017, 16:27:32 PM
Penso che la realtà ultima sia quella che ogni neonato sperimenta... e man mano che cresce la inquina facendola diventare realtà convenzionale. Necessita di vedere gli oggetti come realtà intrinseche, uniche, distinte da altri oggetti, spesso raggruppate per la loro funzione.[...] La mente inquinata è duale, la mente di un neonato no. [...]
Un neonato favorisce la funzione primaria della mente che è quella di APPRENDERE (infatti si dice che la mente ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere conoscitiva).
Il punto archimedeo, secondo me, è proprio tale "apprendimento": iniziare ad apprendere, per il neo-nato (o ri-nato  ;D ) comporta inevitabilmente (ri)iniziare a discriminare (questo/quello), ad attaccarsi (piacevole/spiacevole), a desiderare (bene-buono/male-cattivo) e a illudersi (io/non-io), aprendo così le porte alla sofferenza, alla brama, all'ignoranza, al karma negativo etc. Più il neonato apprende (assorbendo la cultura in cui cresce) più muove i primi passi nella realtà convenzionale (forse eccezion fatta per i neonati che crescono in un monastero buddhista... ma ce ne sono? Non saprei  :) ).

La "realtà convenzionale" forse può servire da viatico, da indicazione per la "realtà ultima" (se c'è), proprio come risalendo lungo l'ombra possiamo ritrovare il corpo che la proietta; parimenti credo che il discorso convenzionale del buddhismo sia una sorta di punto di tangenza fra ombra e corpo, che invita a farsi superare per approdare (con la famosa zattera) ad un altro piano (passando dal bidimensionale ombroso dei dualismi convenzionali alla pienezza del vuoto tridimensionale...).
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: sgiombo il 27 Aprile 2017, 19:20:35 PM
Premetto innanzitutto che mi rendo conto che, che da ignorante crassissimo di filosofia orientale, potrei sparare delle gran cazzate (anzi, ho "ottime" probabilità di farlo).

Chiedo anticipatamente venia.

Ho trovato la discussione veramente interessante e mi sembra di poter fare qualche considerazione (probabilmente del tutto fuori luogo).

La realtà che sperimentiamo, se ho ben capito, può essere considerata "vacua" sostanzialmente in due sensi.

I - Nel senso che tutto diviene e nel suo divenire é condizionato da, o almeno in qualche modo correlato a, tutto il resto della realtà: niente é/accade indipendentemente dal resto della realtà, niente é "assoluto" ma tutto ciò che é o accade é o accade, o meglio diviene, secondo determinate relazioni con tutto il resto che ne limitano e "stabiliscono in qualche modo" le modalità del divenire stesso (e viceversa, in un rapporto di reciprocità "qualcosa"/"tutto").
Così anche la montagna più -letteralmente o almeno metaforicamente- granitica, o la galassia più duratura si formano per determinate cause e prima o poi si disfano per determinate cause, più o meno simili oppure diverse da quelle della loro formazione.
Nulla é "divino", dal momento che (per dirlo all' occidentale, con Eraclito) "panta rei".

II - Nel senso che ciò che si vive coscientemente ovvero si percepisce é di per sé un insieme-successione "indefinito" o "informe" o "grezzo" di sensazioni; nel senso che, almeno in linea di principio può essere preso in considerazione in infiniti modi diversi.
Che ci sia un albero (un magnifico cedro del Libano) é una considerazione (mia arbitraria) circa ciò che vedo nel bel giardino del mio vicino di casa; ma potrei (o qualcun altro potrebbe) anche altrettanto arbitrariamente (e "lecitamente", correttamente in linea di principio) considerare l' esistenza di due cose diverse come il suo tronco e le sue radici da una parte e i suoi rami e le sue foglie dall' altra; oppure quattro cose: foglie, rami, tronco e radici; oppure tot cose: ciascuna foglia, ciascun ramo, ecc,; oppure potrebbe considerare come un unica "cosa" tutti gli alberi del giardino, ecc., ecc., ecc.).
Secondo me a far preferire certe interpretazioni dei "dati sensitivi grezzi" é la maggiore o minore costanza del loro associarsi nel divenire.
Cioé ha molto più senso considerare un oggetto "sasso", che rotola compattamente, può essere compattamente spostato qua e là e usato per vari scopi come rompere il guscio di una noce o difendersi da un aggressore e solo applicandovi -fatto molto raro- una notevole forza può essere frantumato, piuttosto che considerare gli oggetti "i tre quarti che vedo a destra del sasso" oppure "il sasso unitamente all' albero vicino al quale si trova ora (ma non ieri e non domani); e questo anche se si tratta comunque in tutti e tre i casi e negli infiniti altri possibili in linea di principio di considerazioni soggettive, arbitrarie del "totale immediatamente esperito".
La visione del bimbo appena nato di cui parla Bluemax é indubbiamente molto più "approssimativa", "limitata", meno "sofisticata" di quella di un adulto; ma in un certo senso é molto più oggettiva o forse, per meglio dire, meno soggettiva, più limitata al darsi immediato e non interpretato della realtà.

Ci sarebbe secondo me un terzo modo di intendere la relatività o limitatezza (vacuità?) delle cose percepite, ed é il loro essere (costituiti da) nient' altro che meri fenomeni, mere apparenze sensibili, reali solo ed unicamente allorché e fintanto che accadono come percezioni: il magnifico cedro del Libano di cui sopra (costituito unicamente da determinati qualia visivi, per lo più verdi e marroni), se chiudo gli occhi non c' é, non esiste, non accade più; e se qualcosa ancora c' é o accade, a spiegare il fatto che se riapro gli occhi immancabilmente (salvo catastrofi naturali o artificiali) immediatamente l' albero c' é o accade di nuovo, allora questo "qualcosa" non é l' albero stesso (quei qualia visivi, che ovviamente quando non ci sono non possono essere), ma "altro (altre cose)".

Sono prontissimo a sentirmi dire che non ho capito una mazza, e ringrazio comunque per l' attenzione (non scrivo "cortese" per non copiare Garbino).
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 27 Aprile 2017, 23:03:12 PM
@ Sgiombo

Non hai "sparato delle gran cazzate", non temere...anzi.
Non aggiungerei molto ai punti I e II del tuo scritto. Il punto I, in particolare, è perfettamente compatibile con la visione buddhista.
Voglio solo aggiungere qualche riflessione , riesumata qua e là nella memoria, su cosa intendeva il primitivo pensiero buddhista sulla percezione.
Solitamente la scienza e il pensiero occidentale cercano di stabilire una differenziazione tra realtà materiale e psicologica. Esiste cioè , secondo questa concezione, un mondo materiale assolutamente indipendente dai nostri sensi. Tarando i sensi, per mezzo di appositi strumenti, si può accertare l'esistenza "oggettiva" di questo mondo fisico. Scoprire poi la natura fondamentale di questi oggetti materiali è un'altra storia, di diverso genere e, mi sembra, non ancora risolta, ma , ora come ora, noi siamo certi che quello che chiamiamo "mondo materiale" non sia una semplice illusione. Almeno questo è il "senso comune" attuale del pensiero occidentale. "Lì fuori" esiste qualcosa di indipendente da noi...
Il disegno di un oggetto rappresenterebbe, invece, un genere diverso di realtà. Si tratta di un oggetto materiale ma non del tutto indipendente da noi. La foto di Villa Sariputra non è Villa Sariputra , ma non è nemmeno del tutto indipendente da essa. E' cioè una realtà in 'relazione'.
L'immagine, che si forma nella mente, di Villa Sariputra, non è la Villa, ma non è nemmeno indipendente da questa. L'immagine percettiva è sicuramente una rappresentazione profondamente incompleta, una specie di trasposizione degli stimoli visivi ricevuti. La mente però dà per scontata una corretta corrispondenza. Siccome poi questi stimoli sensoriali li percepiamo, più o meno, tutti nello stesso modo abbiamo una corrispondenza tra le nostre immagini percettive e quelle altrui e creiamo il "mondo"...
Per il pensiero nostrano l'immagine è un fatto "cosciente", mentre i processi nervosi sono un fatto 'materiale'. Sono come due dimensioni inconciliabili. Un'immagine prodotta dalla memoria, dal sogno o dalla fantasia sarà ritenuta ancora più 'cosciente', dato che in questi casi non c'è stimolo nervoso ma si ritiene vi siano 'tracce' conservate o prodotte all'interno del sistema nervoso ( infatti di solito queste immagini sono meno chiare e dettagliate di quelle ottenute attraverso la percezione, anche se non sempre...).
Secondo il pensiero buddhista antico questa dicotomia tra 'realtà materiale' e immagini mentali è esagerata o addirittura falsa.
Siccome tutti i fenomeni vivono in relazione dipendente, pensano i buddhisti, anche il processo di percezione e immaginazione è una 'relazione' tra tre elementi principali condizionati e condizionantisi a vicenda: la forma-l'occhio-la coscienza. Ma non è solo la forma che, attraverso l'occhio, condiziona la formazione dell'immagine del mondo nella coscienza; anche la coscienza interagisce con la forma, determinandola . Per questo si afferma che il 'mondo' è (anche) un prodotto della coscienza. Il 'mondo' viene cioè visto come un processo dinamico in alcun modo esistente di per sé, ma sempre e solo in relazione e la coscienza è componente essenziale di questa relazione. Il 'mondo' diventa quindi un prodotto dei nostri sensi, dei nostri pensieri e, soprattutto, dei nostri desideri o paure. Noi costruiamo il 'mondo'. Questo però non vuol dire che noi e il mondo siamo irreali o una specie di illusione. Gli oggetti ci sono, ma la percezione che di essi noi abbiamo è parte essenziale e costituente. Il mondo va preso dannatamente sul serio. Per il buddhismo, tutte le nostre costruzioni di idee ( vale a dire percezioni e immagini) sono veri e propri processi, ed è enormemente difficile controllarle o rendersene indipendenti ( particolarmente in una mente adulta direi...). L'ottenere l'indipendenza da questo continuo processo di creazione, viene definito come Cessazione, Nibbana (Nirvana che significa letteralmente "estinzione" di questo incessante processo di creazione, visto alla fine come Dolore...), ossia la "distruzione del mondo" ( costruito dal soggetto ovviamente...). Per il Buddha ci si può giungere attraverso la meditazione e la comprensione ( panna o prajna in sanscrito). Per il buddhismo il soggetto ha un ruolo importante nella formazione dell'immagine e che l'immagine fa parte dell'oggetto. Non c'è una vera e propria scissione tra 'soggettivo' e 'oggettivo' in quanto , quelli che si potrebbero definire come processi esclusivamente mentali, sono anche proiettati come oggetti reali.
Riflettendo, per esempio, su un fatto 'reale' come la morte fisica noi occidentali diremmo che "la coscienza non può farci nulla, se non sparire ". Nel Buddhismo invece la morte fisica è (anche) proiettata e costruita dalla coscienza stessa che interviene nel processo essendone in relazione  e quindi deteminando la successiva ri-nascita ( o re-inizio del processo incessante di costruzione...).
Ciao  :)

P.S. Per questo, per semplificare, si parla di "realtà convenzionale" od ordinaria e di "realtà ultima". La prima come comune costruzione di un mondo fatto di processi percettivi che si danno come scontati per la coscienza che è, a questo livello, totalmente inconsapevole che ne è lei stessa uno degli attori ( ma non l'unico...) e la seconda, come il momento in cui si prende consapevolezza che si è semplicemente all'interno di un processo ( vuoto in sè) che agisce in dipendenza delle parti che lo costituiscono. Questa "visione" del processo ( che si potrebbe pensare come essa stessa una semplice costruzione come le altre...) non è importante in sè, ma lo diviene per lo scopo per cui è cercata, ossia per ottenere un "distacco" dall'attaccamento a questo processo di costruzione e così diminuire la carica dolorosa che lo stesso porta con sè.
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 28 Aprile 2017, 09:35:51 AM
Citazione di: Phil il 27 Aprile 2017, 18:31:48 PM
Citazione di: bluemax il 27 Aprile 2017, 16:27:32 PMPenso che la realtà ultima sia quella che ogni neonato sperimenta... e man mano che cresce la inquina facendola diventare realtà convenzionale. Necessita di vedere gli oggetti come realtà intrinseche, uniche, distinte da altri oggetti, spesso raggruppate per la loro funzione.[...] La mente inquinata è duale, la mente di un neonato no. [...] Un neonato favorisce la funzione primaria della mente che è quella di APPRENDERE (infatti si dice che la mente ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere conoscitiva).
Il punto archimedeo, secondo me, è proprio tale "apprendimento": iniziare ad apprendere, per il neo-nato (o ri-nato ;D ) comporta inevitabilmente (ri)iniziare a discriminare (questo/quello), ad attaccarsi (piacevole/spiacevole), a desiderare (bene-buono/male-cattivo) e a illudersi (io/non-io), aprendo così le porte alla sofferenza, alla brama, all'ignoranza, al karma negativo etc. Più il neonato apprende (assorbendo la cultura in cui cresce) più muove i primi passi nella realtà convenzionale (forse eccezion fatta per i neonati che crescono in un monastero buddhista... ma ce ne sono? Non saprei :) ). La "realtà convenzionale" forse può servire da viatico, da indicazione per la "realtà ultima" (se c'è), proprio come risalendo lungo l'ombra possiamo ritrovare il corpo che la proietta; parimenti credo che il discorso convenzionale del buddhismo sia una sorta di punto di tangenza fra ombra e corpo, che invita a farsi superare per approdare (con la famosa zattera) ad un altro piano (passando dal bidimensionale ombroso dei dualismi convenzionali alla pienezza del vuoto tridimensionale...).

Sul fatto che un bambino( e ancor di più un neonato) abbia una sorta di approccio più "vero" alla percezione di quella che viene definita come "realtà ultima" troviamo una interessante analogia nel pensiero cristiano, quando si parla della beatitudine dei piccoli perché "di loro è il Regno dei Cieli..." e "Se non tornerete come questi piccoli, non entrerete nel regno dei Cieli..."
Questi passi sono stati portati spesso come riflessione per delle analogie tra mistica cristiana e buddhista ritenendole alla fine come, ambedue, siano anti-cultura...ma è un altro discorso da fare.
Se il 'mondo' è (anche) un processo di costruzione mentale si potrebbe dire che nel neonato ci sono le solide fondamenta, ma l'edificio concettuale non è ancora stato costruito e perciò la vista del 'paesaggio', non limitata dall'imponente grattacielo che verrà costruito con gli anni e l'educazione, sia più "sgombra" e che così possa vedere 'più lontano'...
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: sgiombo il 28 Aprile 2017, 19:57:40 PM
@Sriputra

Beh sono proprio contento di aver fatto qualche considerazione non del tutto impertinente sul buddismo.
D' altra parte, anche da ignorantissimo in materia, trovo comunque abbastanza ovvio che il pensiero occidentale e l' orientale (nella presumibile varietà di entrambi), malgrado i limiti di comunicazione reciproca persistiti fino a un recente passato, in buona parte tendano a "sovrapporsi" o "intersecarsi" soprattutto quanto a problemi affrontati, ma in parte anche quanto a soluzioni tentate.
 
Si, concordo che il pensiero occidentale per lo più (quasi unanimemente) accredita come minimo un' intersoggettività al mondo (per me fenomenico, credo in netta minoranza risetto al pensiero occidentale) materiale naturale (la cartesiana "res cogitans" per così dire "correttamente percepita": non sogni e allucinazioni, oltre che non i fenomeni mentali).
Invece sui rapporti coscienza/materia o mente/cervello le opinioni sono molto più disparate, anche se mi sembra di rilevare una crescente tendenza (favorita dalle scoperte neuroscientifiche in genere poco o punto criticamente abbracciate, soprattutto fra gli scienziati ma anche da parte di non pochi filosofi) al prevalere di un monismo materialista che tende in vari modi a identificare (fra gli altri per riduzione, per emergenza o per sopravvenienza), secondo me a torto, la coscienza con determinati eventi neurofisiologici cerebrali (o al limite, in qualche variante particolarmente "radicale" di materialismo, a considerare il pensiero e la coscienza dei meri "epifenomeni" irrilevanti, per così dire "di mero accompagnamento inefficace e pleonastico" al cervello, o addirittura a negarne l' esistenza reale: "eliminativismo").
 
Quanto brevemente accenni sul buddismo ovviamente lo comprendo solo in minima parte.
Soprattutto mi risulta inverosimile la possibilità di annullare (attraverso al meditazione) la realtà (fenomenica, percepita?) per il fatto di non essere qualcosa di in sé, di indipendente dalle sensazioni coscienti stesse (cosa, quest' ultima che mi sembra invece di ben comprendere, e sulla quale concordo).
Ti ringrazio comunque per le delucidazioni.
Mannaggia alla vecchiaia: se fossi più giovane mi metterei d' impegno a cercare di conoscere un po' anche la filosofia orientale!
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: InVerno il 28 Aprile 2017, 21:37:47 PM
Citazione di: Sariputra il 27 Aprile 2017, 11:44:03 AM
@ Inverno scrive:
Se questi due saggi se ne fosse affrancati, non avrebbero forse dovuto stare innanzitutto zitti?


Concordo con te sul fatto che stare zitti è saggio, a prescindere...Qui forse ci troviamo di fronte ad una sorta di diatriba filosofica interna al linguaggio descrizionale usato dai due maestri buddhisti. Voglio dire: è possibile che ambedue , partendo da una medesima pratica , con medesimi frutti, all'atto pratico di doverla trasmettre con uno strumento inadeguato come il linguaggio, diano peso e significato diverso alle parole. Tuttavia ambedue possono esser stati ottimi maestri di Dhamma...e sicuramente lo erano.
In generale la speculazione buddhista tende a non avere una posizione assoluta, ma è profondamente dialettica e questo, nella storia, è stato anche all'origine delle divisioni interne che hanno dato inizio ai vari "veicoli". Il buddhismo più recente tende a superare queste divisioni, che sono più speculative che pratiche ( inerenti alla pratica meditativa).

...sotto quale aspetto si può considerare come "ultima" (accezione progressiva) la realtà percepita dal nascituro?..

Infatti non può essere considerata "realtà ultima" perché nel nascituro non vi è alcuna comprensione dell'intero processo di costruzione mentale, che richiede la consapevolezza dell'intera catena di produzione condizionata ( la famosa paticcasammupadha...). In generale usare termini come "realtà convenzionale" o "realtà ultima" è fuorviante nella pratica buddhista, essendo il termine stesso "realtà" vuoto di esistenza intrinseca o indipendente. Lo si usa normalmente per semplificare e rendere accessibile, ma è anche pericoloso, perché la mente tende a impadronirsi del termine e costruire il concetto che esistano due realtà...
Non so se bluemax vuole chiarire in che senso intendeva usarlo...

Non abbiamo motivo di chiamare un "albero" albero, e attriburgli una realtà convenzionata e codificata se non per indicare ad un amico che se continua a correre in quella direzione troverà un albero ove sbattere la faccia, l'uso della parola è una strumentalizzazione ancora più pesante e incisivo della "realtà ultima".

Infatti se ci vai a sbattere contro ti accorgi immediatamente dell'esistenza dell'albero. Quando si parla di vacuità dell'albero non si mette in dubbio la sua esistenza ben concreta ( e dolorosa nel caso di andarci contro... :)), in questo il buddhismo è realista. Si parla della vacuità di esistenza indipendente, ossia che non c'è alcun albero come entità distinta dalle cause, condizioni e componenti che lo determinano ( ossia che non c'è alcun "albero" se non come designazione convenzionale).
La designazione è assolutamente necessaria...anche un Buddha deve usare termini convenzionali per spiegarsi...importante per il buddhismo è non prendere come "sostanziale" la designazione mentale stessa ( questa pratica serve per non "aggrapparsi" alla designazione mentale...).

Ciao :)

Scusa il grassetto ma non riesco a toglierlo, ho pasticciato un pò...
Il tema della comunicabilità (e della validità del rapporto maestro-discepolo) rimane per me un grandissimo punto interrogativo riguardo ogni filosofia, orientale o meno. Sono sempre stato affascinato dall'idea ebraica della parola "incomunicabile", il tetragramma, penso si tratti di una geniale sublimazione di antiche usanze dove alcune parole erano proibite a certe caste (o addirittura di lingue ad hoc, usanza che si è tramandata anche in tempi più recenti) e privando delle parole si pensava di privare le persone del possesso di realtà in se, un idea geniale dal mio punto di vista che racconta di uomini che avavano maggior coscienza di che cosa fossero davvero le parole, anzichè ubriacarsi di esse. Aiuterebbe il giovane buddista se il nirvana si chiamasse yhqkfg e non potesse trasformarlo nel suo burattino? Penso che come gli ebraici prima o poi uscirebbe fuori una pronuncia. E' però vero tuttavia che le parole possono aprire strade, sopratutto quando esse sono ancorate alla realtà per metafora, come mi è capitato spesso di trovare nei testi orientali dove gli elementi naturali fungono da logica di fondo, da meccanismo chiarificatore. Ricordo anche di un mio amico che mi raccontò di vivere il suo corpo come uno scafandro, una metafora che mi colpì molto e che di colpo feci mia sotto forma di sensazione. L'idea di essere immersi in una profondità oscura, protetti da un guscio dotato solo di alcune piccole luci direzionali capaci di illuminare piccole macchie di roccia e corallo, mentre la vastità intorno rimane un inesplorata nebula di colori scuri e anime perse, suoni ovattati e incomprensibili lamenti..Come altro sarebbe stato possibile comunicare ciò, se non usando quella parola? Ma che cosa voleva comunicare lui? Ci adagiamo sulle parole come se fossero strumenti perfetti, invece sono quanto di più labile e arbitrario la nostra mente abbia mai creato, a tal punto che non ho idea di che cosa tu abbia realmente letto in questo momento.
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 28 Aprile 2017, 23:34:57 PM
@ InVerno scrive:

Il tema della comunicabilità (e della validità del rapporto maestro-discepolo) rimane per me un grandissimo punto interrogativo riguardo ogni filosofia, orientale o meno. Sono sempre stato affascinato dall'idea ebraica della parola "incomunicabile"...
Ci adagiamo sulle parole come se fossero strumenti perfetti, invece sono quanto di più labile e arbitrario la nostra mente abbia mai creato, a tal punto che non ho idea di che cosa tu abbia realmente letto in questo momento.

Concordo e aggiungo: non solo tu non hai idea di cosa io abbia realmente letto ma io stesso non so se ho realmente inteso cosa intendi veramente esprimere. E' un grosso problema l'uso del linguaggio, soprattutto nella comunicazione di esperienze 'spirituali' che in definitiva sono delle esperienze "assolutamente solitarie".
Sono talmente d'accordo che sono andato a ritrovare un passo dal sutra di Vimalakirti sull'argomento e sul rapporto maestro-discepolo:

Seicento anni dopo il nirvana del Buddha, ci fu un uomo che all'età di sessant'anni ( Hai capito Sgiombo? Non sei vecchio... ;D) uscì dal mondo. In pochissimo tempo recitò le Tre Ceste ( i tre canestri, o ceste, in cui si divide il canone Pali...nota del Sari ) e in seguito scrisse dei trattati su di esse. Quando ebbe concluso fece questa riflessione:"Nella legge del Buddha, che cosa c'è in più? C'è solo questo in più: la legge della meditazione. Io la praticherò e finchè non avrò ottenuto la Via il mio fianco non toccherà terra". Per questo motivo venne chiamato Monaco Fianco (Parsva). E allora ottene il frutto del santo. Acquisì un prodigioso talento nella parola e si distinse nelle discussioni.
C'era a quel tempo un monaco eretico chiamato Nitrito-di-Cavallo ( Asvaghosa), dotato di un'acuta intelligenza era in grado di spiegare chiaramente tutte le opere sacre e profane.Inoltre, anche lui, aveva un prodigioso talento nella parola che gli consentiva di confutare qualunque avversario in una discussione.
Sentì parlare di Monaco Fianco e lo interpellò:"Io posso confutare tutte le teorie in discussione. Se non riuscirò a confutare la teoria che voi sosterrete, mi dovrà essere mozzata la testa in segno di umiliazione".
Monaco fianco lo ascoltò discutere e si mantenne in silenzio senza dire nemmeno una parola.
Allora Nitrito-di-Cavallo lo considerò con disprezzo:" Quest'uomo, in realtà,ha una reputazione ben vana, egli non sa assolutamente nulla". E , accompagnato dai suoi discepoli, se ne andò.
Sulla strada, riflettè. Rivolgendosi ai suoi discepoli, disse loro:" Quell'uomo ha una saggezza molto profonda: sono io che ho subito l'umiliazione della sconfitta". I suoi discepoli gli dissero: "Cosa significa questo?" Egli rispose:" Ogni parola che ho pronunciato può essere confutata e io mi sono confutato da solo. Lui non ha detto nulla e non c'è stato nulla da confutare".
Allora ritornò da Monaco Fianco e gli disse." Sono io che ho subito l'umiliazione della sconfitta e non sono che uno stolto. Non so che farmene della testa di uno stolto come me. Mozzatela. Se voi non la mozzerete, dovrò farlo io stesso." Monaco fianco gli disse." Io non la mozzerò, ciò che bisogna fare è mozzare i vostri legami. Nei riguardi del mondo, la tonsura è come la morte. Non c'è differenza."
Nitrito-di-Cavallo abbassò la testa, ricevette la tonsura e divenne il discepolo di Monaco fianco.

Il rapporto maestro-discepolo (tipico dell'Oriente, ma che ha avuto le sue esperienze anche nel monachesimo cristiano, o nel sufismo, per es.) può essere un aiuto, ma non è necessariamente indispensabile ( lo stesso Monaco fianco del racconto raggiunge la saggezza senza essere discepolo di nessun maestro vivente...) e questo rapporto è così particolare che si è prestato e si presta a qualunque strumentalizzazione ed è un ottimo sistema per arricchire...i furbastri!  >:( ( penso sempre ad un certo Osho, quando entro in una libreria e, nella sezione 'spiritualità ed esoterismo", che non capisco perché mettano sempre insieme nell'angolo più introvabile del negozio, riempie con i suoi libri mezza sezione...e mi si materializza davanti l'immagine di una fila lunghissima di fiammeggianti Rolls Royce o Mercedes...mah!...).
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 29 Aprile 2017, 00:56:30 AM
@Sgiombo scrive:
Soprattutto mi risulta inverosimile la possibilità di annullare (attraverso al meditazione) la realtà (fenomenica, percepita?) per il fatto di non essere qualcosa di in sé, di indipendente dalle sensazioni coscienti stesse

Non si tratta di annullare la realtà ma di annullare l'attaccamento alla tempesta di percezioni sensoriali e stati mentali conseguenti che incessantemente sorgono e svaniscono nella mente e di cui la coscienza si 'nutre'.
La coscienza stessa , secondo la visione buddhista, è un nutrimento della sete d'esistere . La condizione della coscienza ( di sensazioni coscienti e di rappresentazioni mentali) viene  visualizzata in una similitudine:
Un criminale è colpito da cento lance tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, e vive per sperimentare il dolore.
Ogni giorno, in ogni momento,, la consapevolezza della coscienza ci apre a questo impatto con il mondo degli oggetti, nei quali la coscienza stessa proietta il suo desiderio intervenendo nel processo di costruzione mentale degli stessi ( realtà 'condizionata'). Questa dura e impressionante immagine della coscienza che ci mandano gli scritti filosofici buddhisti ricorda un tema ricorrente nelle opere di Kafka, quello della coscienza come 'punizione'. Quello di un senso di colpa strano, ignoto...un senso di colpa segreto e inafferrabile, apparentemente non dovuto a nessuna ragione morale, che è nell'uomo e si può dire come intrinseco al fatto stesso di esistere e, a causa del quale, viene impenetrabilmente 'punito', mentre, nel fondo del suo essere, egli accetta come giusta tale punizione (lo troviamo , a mio parere, in diverse opere di Kafka come Il processo, Il castello e N.ella colonia penale).
Il desiderio della coscienza ha lo stesso carattere di quello per le impressioni sensibili: ossia il desiderio di vivere, di sentirsi vivi nel costante incontro con il 'mondo'; 'mondo' presente alla coscienza.
In questa particolare visione buddhista la coscienza , essendo nutrimento della sete d'esistere, cresce, prolifera nella mente , incessantemente alimentata dal proprio desiderio di sensazioni. Possiamo immaginarla come un polipo che se ne sta in agguato, ma un polipo non di otto ma bensì di mille e più tentacoli, pronti ad aggrapparsi e ad afferrare ogni sensazione, emozione, stato mentale ogni volta se ne presenti l'occasione...( ovviamente è solo un'immagine descrittiva...).
Coscienza pronta poi a procreare una nuona generazione di esseri, ognuno dotato di un proprio apparato di tentacoli...pronti ad afferrare.  :(
Non hanno un'immagine "nobile" della coscienza , i pensatori buddhisti, come di solito la intendiamo noi che riteniamo la coscienza una cosa 'alta' e le impressioni sensoriali e i desideri una 'bassa' o 'materiale' ( almeno inconsciamente penso che la maggior parte di noi 'bianchi' la intenda  così...)...
Il problema qui è anche di interpretazione e traduzione . Ossia: cosa intendevano "esattamente" con il termine vinnana ( tradotto oggi da noi occidentali come 'coscienza') i primi pensatori buddhisti e il Buddha stesso?...Bella domanda... che ci ricollega al discorso fatto da InVerno...

P.S. auguri per il tuo nuovo stato di pensionato . Attenzione alle osterie però...di solito il vino è pessimo!  ;D
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: paul11 il 29 Aprile 2017, 01:18:02 AM
.....scusate.....
une delle particolarità di Gorampa è di focalizzarsi più sul soggetto,colui che è agente conoscitivo, che non sugli oggetti;Tsongkhapa focalizza gli oggetti.Tutti i filosofi buddisti tibetani sostengono che gli oggetti non siano in sè e per sè veritativi che viene definito convenzionale e coloro che vi credono ordinari. Questa ignoranza, il samsara, viene superato attraverso l'ìilluminazione(aryas=illuminati).
ll procedimento utilizzato è il tetralemma ,le quattro negazioni che Gorampa utilizza sull'esistenza.
Le difformità nei filosofi buddisti tibetani è il come utilizzare il tetralemma.
Gorampa utilizza una sua formula"Non esiste,non esiste nessuna esistenza,non esiste e non esiste, non c'è l'assenza di esistenza". Il primo procedimento è attraverso la logica e il ragionamento applicato seguendo ognuna delle negazioni, Poi si passa alla negazione di tutte e quattro, insieme, contemporaneamente per via meditativa.
....................e per ora mi fermo quì-

N,B Gorampa vive al tempo della scoperta dell'America al tempo di Colombo.
Ci tengo a indicarlo per far capire l'importanza della filosofia buddista, sottovalutata  e rivalutata solo ultimamente.
Non è così distante dalla logica dialettica basata sul confronto sillogistico attraverso il principio di non contraddizione e quindi con i "movimenti" logici delle negazioni
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: sgiombo il 29 Aprile 2017, 10:01:24 AM
Caro Sari, innanzitutto cercherò di seguire il saggio consiglio circa il vino di molte osterie (é meglio, almeno per me, impiegare il mio tempo libero in interminabili risposte e obiezioni a Maral, approfittando poco sportivamente del fatto che lui ne ha certamente meno per replicare; ma anche in questo una certa moderazione sarebbe comunque preferibile, se non altro perché la pazienza degli amici del forum ha un limite e rischio di scoraggiare chiunque a prendere in considerazione i miei troppo lunghi sproloqui; anche se esagerare col vino -anche col vino buono e con quello ottimo purtroppo!- é molto più dannoso per la salute che esagerare con le elucubrazioni metafisiche o epistemologiche).

Sul non attaccamento alla vita cosciente mi ritrovo in quella situazione contraddittoria cui altre volte ho accennato.
Sono ottimista e (almeno per ora; non faccio scongiuri perché me lo impedisce il mio razionalismo...) fortunato e mi sento attaccato alla vita e alle sensazioni (per lo più gradevoli, interessanti, "positive" che mi da); anche se mi propongo di seguire gli antichi stoici ed epicurei nel cercare di trovarmi pronto a rinunciare a ciò che é irraggiungibile e ad accontentarmi di ciò che mi posso permettere (e anche questo in fondo é "ottimismo").

Però non posso non considerare la coscienza e soprattutto l' autocoscienza un pericolo (di infelicità) cui trovo inammissibile esporre altri senza il loro ovviamente impossibile consenso "mettendoli al mondo", procreandoli.
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: Sariputra il 30 Aprile 2017, 10:26:22 AM
Citazione di: sgiombo il 29 Aprile 2017, 10:01:24 AMCaro Sari, innanzitutto cercherò di seguire il saggio consiglio circa il vino di molte osterie (é meglio, almeno per me, impiegare il mio tempo libero in interminabili risposte e obiezioni a Maral, approfittando poco sportivamente del fatto che lui ne ha certamente meno per replicare; ma anche in questo una certa moderazione sarebbe comunque preferibile, se non altro perché la pazienza degli amici del forum ha un limite e rischio di scoraggiare chiunque a prendere in considerazione i miei troppo lunghi sproloqui; anche se esagerare col vino -anche col vino buono e con quello ottimo purtroppo!- é molto più dannoso per la salute che esagerare con le elucubrazioni metafisiche o epistemologiche). Sul non attaccamento alla vita cosciente mi ritrovo in quella situazione contraddittoria cui altre volte ho accennato. Sono ottimista e (almeno per ora; non faccio scongiuri perché me lo impedisce il mio razionalismo...) fortunato e mi sento attaccato alla vita e alle sensazioni (per lo più gradevoli, interessanti, "positive" che mi da); anche se mi propongo di seguire gli antichi stoici ed epicurei nel cercare di trovarmi pronto a rinunciare a ciò che é irraggiungibile e ad accontentarmi di ciò che mi posso permettere (e anche questo in fondo é "ottimismo"). Però non posso non considerare la coscienza e soprattutto l' autocoscienza un pericolo (di infelicità) cui trovo inammissibile esporre altri senza il loro ovviamente impossibile consenso "mettendoli al mondo", procreandoli.

Si può essere relativamente ottimisti, per l'oggi ( e per noi stessi)...ma assolutamente pessimisti riguardo l'esistenza ( in generale e per tutti)... :)
In effetti, oggi è proprio una mervavigliosa giornata primaverile e mi accingo ad un'amena passeggiata nella natura, mi sento moderatamente bene e sono ottimista sul fatto che la giornata mi riserverà anche degli attimi di serenità e di godimento della bellezza, almeno lo spero e quindi sono ottimista. Sono però consapevole che questa stessa giornata passerà come un lampo e mi ritroverò, stasera, con dei ricordi e delle altre aspettative riguardo la giornata di domani. La stessa consapevolezza di questo inafferrabile passare di tutte le cose mi rende pessimista riguardo alla mia vita in senso generale e al valore dell'esistenza in senso 'ultimo'. E' chiaro che la natura non stabilisce dei valori e del tuo personale ottimismo o pessimismo non sa che farsene, ma l'uomo è un essere che giudica e stabilisce pertanto dei valori, giudizio che determina gran parte del suo necessario agire. E che giudizio , alla fine, si può dare dell'umano vivere, se persino la bellezza non la puoi trattenere che per brevi attimi?
Visto che questa discussione, aperta da bluemax, parla di concezioni filosofiche buddhiste, non si può negare che lo stesso dia , alla fine, un giudizio negativo dell'umano passare in questa vita. E non lo si può negare , come molti che si definiscono buddhisti fanno, se pensiamo che il fine ultimo a cui tende tutto il cammino spirituale e umano del buddhista è la "Cessazione" (Estinzione o Nirvana che dir si voglia), ossia "cessare" di vivere in questo continuo mutare e aggrapparsi della coscienza agli oggetti e alle impressioni sensoriali, che ci illudiamo ci rendano felici ( moderatamente ottimisti per l'oggi personale...) ma che non riescono mai ad appagare la sete d'esistere, vista come inestinguibile, l'arsura della vita stessa...
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: myfriend il 30 Aprile 2017, 11:42:14 AM
Citazione di: bluemax il 27 Aprile 2017, 16:27:32 PMCredo invece che la realtà ultima possa essere vissuta o meglio, sperimentata, solo da una mente non inquinata dal proprio ego. In poche parole quella di un neonato. Questa mente la possiamo ritrovare unicamente nel momento della rinascita appunto, dopo la sperimentazione del bardo dove viene purificata da ricordi, avversioni, attrazioni ecc... ecc... Credo sia quasi impossibile per una mente che non sia quella di un neonato di percepire la realtà ultima invece di quella convenzionale. Penso che la realtà ultima sia quella che ogni neonato sperimenta... e man mano che cresce la inquina facendola diventare realtà convenzionale. Necessita di vedere gli oggetti come realtà intrinseche, uniche, distinte da altri oggetti, spesso raggruppate per la loro funzione. Un neonato vede una forma con un colore... sente un suono... ecc... ecc... Un adulto invece vede un SUO bel bicchiere, sente una SUA BELLISSIMA musica, difende queste SUE e solo SUE bellezze creando avversione o attrazione... Per un bambino ogni oggetto è neutro, privo di significato, ha soltanto una forma, un colore, ma non una funzione e tutte quelle QUALITA' illusorie che la mente inquinata associa ad ogni oggetto con cui viene in contatto. La mente inquinata è duale, la mente di un neonato no. Non esiste il bene ed il male (degenerazione mentale che porta alla nascita di inutili divinità) ma esiste il fenomeno. Un neonato favorisce la funzione primaria della mente che è quella di APPRENDERE (infatti si dice che la mente ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere conoscitiva). Quindi... rimanendo in tema, penso che la mente del neonato sia in grado di percepire la realtà ultima... la mente di un adulto no (a meno di grandissimi sforzi o anni di meditazione sul concetto di vacuità, origine della sofferenza, morte e rinascita ecc... ecc...) spero di essermi spiegato ma essendo a lavoro ho dovuto scrivere velocemente. ciao :)

Il tuo discorso è un'ottima intuizione.
Ma c'è un punto che non hai considerato. E cioè il "cammino di crescita spirituale".
E' possibile, da adulti, percepire la "realtà ultima" e pensare ed agire relazionandosi alla "realtà ultima".
Ed è possibile farlo senza cancellare l'ego (cioè senza lobotomizzarsi la mente) e senza tornare al cervello primordiale del bambino.
Si può fare da adulti andando oltre l'ego, trascendendo l'ego.
Questo è proprio il senso del "cammino di crescita spirituale".

Ciascuno di noi è costituito da una "natura inferiore" (dotata di una "mente inferiore") e da una "natura superiore" (dotata di una "mente superiore"). L'ego è il prodotto della nostra "mente inferiore". Trascendere l'ego e andare oltre l'ego significa "pensare" e "agire" a partire dalla nostra "mente superiore".

Che cos'è il "cammino di crescita spirituale"?
Non solo noi dobbiamo scoprire che la "realtà convenzionale" è una "elaborazione" dei nostri sensi e della nostra "mente inferiore" (non uso il termine "illusione" perchè è totalmente inappropriato, ma uso il termine "elaborazione" che è molto più appropriato; cioè, i nostri sensi e la nostra "mente inferiore" elaborano la "realtà ultima" e creano, a partire da essa, la "realtà convenzionale" che è quella percepita dalla nostra "mente inferiore"), ma dobbiamo scoprire e capire perchè esiste la "realtà convenzionale", che senso ha e perchè noi siamo "intrappolati" in essa. E dobbiamo anche scoprire e capire com'è fatta la "realtà ultima", che senso ha, e come possiamo "pensare" e "agire" (con la nostra "mente superiore") all'interno della "realtà ultima".
Il "cammino di crescita spirituale" è proprio questo: arrivare a trovare le risposta a queste domande ed esserne "consapevoli", cioè sviluppare la nostra "mente superiore".

Noi siamo l'unica specie in grado di comprendere che esiste una "realtà convenzionale" e una "realtà ultima" (è la nostra "mente superiore" che ce lo fa comprendere). E quindi siamo chiamati a capire che senso ha la "realtà convenzionale" e come si interagise in essa, e che senso ha la "realtà ultima" e come si interagisce in essa.
E questo è proprio lo scopo del "cammino di crescita spirituale".

Che cos'è la "realtà ultima"? La "realtà ultima" è "il ciò che è per come oggettivamente è e non per come io lo percepisco e non per come io vorrei che fosse" (cioè è LA verità).
Ed è per questo che la scienza è uno strumento assolutamente necessario nel "cammino di crescita spirtuale", proprio perchè ci aiuta a sintonizzarci con "il ciò che è", cioè con LA verità.
E' la lampada che ci illumina il cammino e ci impedisce di cadere nella trappole della nostra mente, che è portata ad ingannarci.
E come si chiamano gli inganni della mente? Si chiamano "fedi". Le fedi sono costruzioni della nostra mente create dalla "mente inferiore" che  bloccano il "cammino di crescita spirituale".
Il "relativismo" è una di queste fedi.
Il "riduzionismo" è un'altra di queste fedi.
Esattamente come "l'individualismo" e come le "religioni istituzionalizzate".
Sono tutte "fedi" che bloccano e impediscono il "cammino di crescita spirituale". E le fedi nascono sempre dall'inconsapevolezza, cioè dalla nostra "mente inferiore" (o "natura inferiore") e impediscono alla "mente superiore" di "pensare" ed "agire".
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: giona2068 il 30 Aprile 2017, 14:43:42 PM
Citazione di: myfriend il 30 Aprile 2017, 11:42:14 AM
Citazione di: bluemax il 27 Aprile 2017, 16:27:32 PMCredo invece che la realtà ultima possa essere vissuta o meglio, sperimentata, solo da una mente non inquinata dal proprio ego. In poche parole quella di un neonato. Questa mente la possiamo ritrovare unicamente nel momento della rinascita appunto, dopo la sperimentazione del bardo dove viene purificata da ricordi, avversioni, attrazioni ecc... ecc... Credo sia quasi impossibile per una mente che non sia quella di un neonato di percepire la realtà ultima invece di quella convenzionale. Penso che la realtà ultima sia quella che ogni neonato sperimenta... e man mano che cresce la inquina facendola diventare realtà convenzionale. Necessita di vedere gli oggetti come realtà intrinseche, uniche, distinte da altri oggetti, spesso raggruppate per la loro funzione. Un neonato vede una forma con un colore... sente un suono... ecc... ecc... Un adulto invece vede un SUO bel bicchiere, sente una SUA BELLISSIMA musica, difende queste SUE e solo SUE bellezze creando avversione o attrazione... Per un bambino ogni oggetto è neutro, privo di significato, ha soltanto una forma, un colore, ma non una funzione e tutte quelle QUALITA' illusorie che la mente inquinata associa ad ogni oggetto con cui viene in contatto. La mente inquinata è duale, la mente di un neonato no. Non esiste il bene ed il male (degenerazione mentale che porta alla nascita di inutili divinità) ma esiste il fenomeno. Un neonato favorisce la funzione primaria della mente che è quella di APPRENDERE (infatti si dice che la mente ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere conoscitiva). Quindi... rimanendo in tema, penso che la mente del neonato sia in grado di percepire la realtà ultima... la mente di un adulto no (a meno di grandissimi sforzi o anni di meditazione sul concetto di vacuità, origine della sofferenza, morte e rinascita ecc... ecc...) spero di essermi spiegato ma essendo a lavoro ho dovuto scrivere velocemente. ciao :)

Il tuo discorso è un'ottima intuizione.
Ma c'è un punto che non hai considerato. E cioè il "cammino di crescita spirituale".
E' possibile, da adulti, percepire la "realtà ultima" e pensare ed agire relazionandosi alla "realtà ultima".
Ed è possibile farlo senza cancellare l'ego (cioè senza lobotomizzarsi la mente) e senza tornare al cervello primordiale del bambino.
Si può fare da adulti andando oltre l'ego, trascendendo l'ego.
Questo è proprio il senso del "cammino di crescita spirituale".

Ciascuno di noi è costituito da una "natura inferiore" (dotata di una "mente inferiore") e da una "natura superiore" (dotata di una "mente superiore"). L'ego è il prodotto della nostra "mente inferiore". Trascendere l'ego e andare oltre l'ego significa "pensare" e "agire" a partire dalla nostra "mente superiore".

Che cos'è il "cammino di crescita spirituale"?
Non solo noi dobbiamo scoprire che la "realtà convenzionale" è una "elaborazione" dei nostri sensi e della nostra "mente inferiore" (non uso il termine "illusione" perchè è totalmente inappropriato, ma uso il termine "elaborazione" che è molto più appropriato; cioè, i nostri sensi e la nostra "mente inferiore" elaborano la "realtà ultima" e creano, a partire da essa, la "realtà convenzionale" che è quella percepita dalla nostra "mente inferiore"), ma dobbiamo scoprire e capire perchè esiste la "realtà convenzionale", che senso ha e perchè noi siamo "intrappolati" in essa. E dobbiamo anche scoprire e capire com'è fatta la "realtà ultima", che senso ha, e come possiamo "pensare" e "agire" (con la nostra "mente superiore") all'interno della "realtà ultima".
Il "cammino di crescita spirituale" è proprio questo: arrivare a trovare le risposta a queste domande ed esserne "consapevoli", cioè sviluppare la nostra "mente superiore".

Noi siamo l'unica specie in grado di comprendere che esiste una "realtà convenzionale" e una "realtà ultima" (è la nostra "mente superiore" che ce lo fa comprendere). E quindi siamo chiamati a capire che senso ha la "realtà convenzionale" e come si interagise in essa, e che senso ha la "realtà ultima" e come si interagisce in essa.
E questo è proprio lo scopo del "cammino di crescita spirituale".

Che cos'è la "realtà ultima"? La "realtà ultima" è "il ciò che è per come oggettivamente è e non per come io lo percepisco e non per come io vorrei che fosse" (cioè è LA verità).
Ed è per questo che la scienza è uno strumento assolutamente necessario nel "cammino di crescita spirtuale", proprio perchè ci aiuta a sintonizzarci con "il ciò che è", cioè con LA verità.
E' la lampada che ci illumina il cammino e ci impedisce di cadere nella trappole della nostra mente, che è portata ad ingannarci.
E come si chiamano gli inganni della mente? Si chiamano "fedi". Le fedi sono costruzioni della nostra mente create dalla "mente inferiore" che  bloccano il "cammino di crescita spirituale".
Il "relativismo" è una di queste fedi.
Il "riduzionismo" è un'altra di queste fedi.
Esattamente come "l'individualismo" e come le "religioni istituzionalizzate".
Sono tutte "fedi" che bloccano e impediscono il "cammino di crescita spirituale". E le fedi nascono sempre dall'inconsapevolezza, cioè dalla nostra "mente inferiore" (o "natura inferiore") e impediscono alla "mente superiore" di "pensare" ed "agire".

Che coraggio! Hai l'ardire di parlare di crescita spirituale quando non sai neanche cosa sia! Confondi la crescita spirituale con la crescita della mente, cioè con la cultura che appartiene ala mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore (non intendo il miocardio, sia chiaro)!
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: anthonyi il 30 Aprile 2017, 16:14:56 PM
Citazione di: giona2068 il 30 Aprile 2017, 14:43:42 PM
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Che coraggio! Hai l'ardire di parlare di crescita spirituale quando non sai neanche cosa sia! Confondi la crescita spirituale con la crescita della mente, cioè con la cultura che appartiene ala mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore (non intendo il miocardio, sia chiaro)!


Non voglio entrare nella polemica, ma perché la crescita spirituale non dovrebbe essere crescita della mente, la spiritualità è parte della cultura e tale è stata nel corso della storia umana. Tu mi dirai: "Ma il Signore afferma di preferire gli umili". Certamente, il signore non vuole che la cultura sia fonte di orgoglio, nel qual caso non produrrebbe ne cultura ne spiritualità, ma apprezza una cultura umile più di ogni cosa.
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: giona2068 il 30 Aprile 2017, 16:42:32 PM
Citazione di: anthonyi il 30 Aprile 2017, 16:14:56 PM
Citazione di: giona2068 il 30 Aprile 2017, 14:43:42 PM
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Che coraggio! Hai l'ardire di parlare di crescita spirituale quando non sai neanche cosa sia! Confondi la crescita spirituale con la crescita della mente, cioè con la cultura che appartiene ala mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore (non intendo il miocardio, sia chiaro)!


Non voglio entrare nella polemica, ma perché la crescita spirituale non dovrebbe essere crescita della mente, la spiritualità è parte della cultura e tale è stata nel corso della storia umana. Tu mi dirai: "Ma il Signore afferma di preferire gli umili". Certamente, il signore non vuole che la cultura sia fonte di orgoglio, nel qual caso non produrrebbe ne cultura ne spiritualità, ma apprezza una cultura umile più di ogni cosa.

Come ho già detto nel post che riporto, la cultura religiosa o non appartiene alla mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore inteso come dimora dei sentimenti. In altri termini per crescere spiritualmente occorre staccarsi dal mondo, non come idea ma liberando il cuore da ciò di cui lo abbiamo riempito e che non sia il Signore Dio. Siamo come una bottiglia, anzi il nostro cuore lo è, più la bottiglia si svuota dall'aria più è possibile riempirla con l'acqua, anzi riempendola d'acqua si caccia l'aria. La mente in questo processo non c'entra o se c'entra fa solo da ricevitore di luce. Quando la luce rimane nella mente, cosa piuttosto difficile, perché se il cuore è pieno del mondo l'accoglierà difficilmente, la vita non cambia e di conseguenza non c'è crescita spirituale. Questo popolo mi adora con la bocca ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi adora, dice il Signore.
In ogni caso la cultura non è cosa cattiva se non prende il posto del Signore Dio ed anche i colti possono essere umili, anzi quasi sempre l'ignoranza è fonte di superbia. Gli umili non sono gli ignoranti o i poveracci come pensa il papa, ma sono quelli che hanno il timore del Signore Dio a prescindere dalla loro cultura. Infatti il timore del Signore Dio è il fondamento della sapienza, ma la cultura di per se non è sapienza bensì conoscenza che nulla ha che fare con la spiritualità. Vedi il popolo d'Israele, scribi, farisei e sommi sacerdoti ivi compreso Saul/Paolo.
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: anthonyi il 30 Aprile 2017, 19:24:59 PM
Citazione di: giona2068 il 30 Aprile 2017, 16:42:32 PM
Citazione di: anthonyi il 30 Aprile 2017, 16:14:56 PM
Citazione di: giona2068 il 30 Aprile 2017, 14:43:42 PM
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Che coraggio! Hai l'ardire di parlare di crescita spirituale quando non sai neanche cosa sia! Confondi la crescita spirituale con la crescita della mente, cioè con la cultura che appartiene ala mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore (non intendo il miocardio, sia chiaro)!


Non voglio entrare nella polemica, ma perché la crescita spirituale non dovrebbe essere crescita della mente, la spiritualità è parte della cultura e tale è stata nel corso della storia umana. Tu mi dirai: "Ma il Signore afferma di preferire gli umili". Certamente, il signore non vuole che la cultura sia fonte di orgoglio, nel qual caso non produrrebbe ne cultura ne spiritualità, ma apprezza una cultura umile più di ogni cosa.

Come ho già detto nel post che riporto, la cultura religiosa o non appartiene alla mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore inteso come dimora dei sentimenti. In altri termini per crescere spiritualmente occorre staccarsi dal mondo, non come idea ma liberando il cuore da ciò di cui lo abbiamo riempito e che non sia il Signore Dio. Siamo come una bottiglia, anzi il nostro cuore lo è, più la bottiglia si svuota dall'aria più è possibile riempirla con l'acqua, anzi riempendola d'acqua si caccia l'aria. La mente in questo processo non c'entra o se c'entra fa solo da ricevitore di luce. Quando la luce rimane nella mente, cosa piuttosto difficile, perché se il cuore è pieno del mondo l'accoglierà difficilmente, la vita non cambia e di conseguenza non c'è crescita spirituale. Questo popolo mi adora con la bocca ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi adora, dice il Signore.
In ogni caso la cultura non è cosa cattiva se non prende il posto del Signore Dio ed anche i colti possono essere umili, anzi quasi sempre l'ignoranza è fonte di superbia. Gli umili non sono gli ignoranti o i poveracci come pensa il papa, ma sono quelli che hanno il timore del Signore Dio a prescindere dalla loro cultura. Infatti il timore del Signore Dio è il fondamento della sapienza, ma la cultura di per se non è sapienza bensì conoscenza che nulla ha che fare con la spiritualità. Vedi il popolo d'Israele, scribi, farisei e sommi sacerdoti ivi compreso Saul/Paolo.

Io concordo con te che la spiritualità è insita nei sentimenti, ma i sentimenti sono frutto di un'educazione. Anche quando la spiritualità ti spinge a staccarti dal mondo (e non è detto che sia questa l'unica strada), questo lo puoi fare perché hai quelle forme di controllo, di te stesso, e del mondo che è in te, che sono frutto di un'acquisizione cognitiva ed affettiva. Ho cercato di spiegare al meglio come la penso, ma anche il nostro spiegare la spiritualità è questione di cultura.
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: myfriend il 30 Aprile 2017, 19:41:23 PM
@giona

Che coraggio! Hai l'ardire di parlare di crescita spirituale quando non sai neanche cosa sia! Confondi la crescita spirituale con la crescita della mente, cioè con la cultura che appartiene ala mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore (non intendo il miocardio, sia chiaro)!

Non ho mai parlato di cultura. La cultura in generale può essere un aiuto nel cammino di crescita spirituale. Anche se molto spesso la cultura di una civiltà è un impedimento perchè la nostra "mente inferiore" la trasforma in fedi che sono tutte di impedimento.
Non ho mai parlato di cultura. Ma di "consapevolezza".
Certo! PEr acquisire la Consapevolezza è necessario partire dalla "conoscenza". Ma la "conoscenza" è molto più della semplice "cultura". La "conoscenza" implica l'analisi e l'autoanalisi dell'esperienza e della cultura e richiede la "consacrazione alla verità".

La nostra "mente superiore" è la Consapevolezza.
La nostra "mente inferiore" è l'Inconsapevolezza.
E le fedi nascono tutte dalla nostra mente inferiore.
Titolo: Re:La realtà ultima dei fenomeni
Inserito da: giona2068 il 30 Aprile 2017, 20:12:51 PM
Citazione di: anthonyi il 30 Aprile 2017, 19:24:59 PM
Citazione di: giona2068 il 30 Aprile 2017, 16:42:32 PM
Citazione di: anthonyi il 30 Aprile 2017, 16:14:56 PM
Citazione di: giona2068 il 30 Aprile 2017, 14:43:42 PM
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Che coraggio! Hai l'ardire di parlare di crescita spirituale quando non sai neanche cosa sia! Confondi la crescita spirituale con la crescita della mente, cioè con la cultura che appartiene ala mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore (non intendo il miocardio, sia chiaro)!


Non voglio entrare nella polemica, ma perché la crescita spirituale non dovrebbe essere crescita della mente, la spiritualità è parte della cultura e tale è stata nel corso della storia umana. Tu mi dirai: "Ma il Signore afferma di preferire gli umili". Certamente, il signore non vuole che la cultura sia fonte di orgoglio, nel qual caso non produrrebbe ne cultura ne spiritualità, ma apprezza una cultura umile più di ogni cosa.

Come ho già detto nel post che riporto, la cultura religiosa o non appartiene alla mente mentre la crescita spirituale riguarda il cuore inteso come dimora dei sentimenti. In altri termini per crescere spiritualmente occorre staccarsi dal mondo, non come idea ma liberando il cuore da ciò di cui lo abbiamo riempito e che non sia il Signore Dio. Siamo come una bottiglia, anzi il nostro cuore lo è, più la bottiglia si svuota dall'aria più è possibile riempirla con l'acqua, anzi riempendola d'acqua si caccia l'aria. La mente in questo processo non c'entra o se c'entra fa solo da ricevitore di luce. Quando la luce rimane nella mente, cosa piuttosto difficile, perché se il cuore è pieno del mondo l'accoglierà difficilmente, la vita non cambia e di conseguenza non c'è crescita spirituale. Questo popolo mi adora con la bocca ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi adora, dice il Signore.
In ogni caso la cultura non è cosa cattiva se non prende il posto del Signore Dio ed anche i colti possono essere umili, anzi quasi sempre l'ignoranza è fonte di superbia. Gli umili non sono gli ignoranti o i poveracci come pensa il papa, ma sono quelli che hanno il timore del Signore Dio a prescindere dalla loro cultura. Infatti il timore del Signore Dio è il fondamento della sapienza, ma la cultura di per se non è sapienza bensì conoscenza che nulla ha che fare con la spiritualità. Vedi il popolo d'Israele, scribi, farisei e sommi sacerdoti ivi compreso Saul/Paolo.

Io concordo con te che la spiritualità è insita nei sentimenti, ma i sentimenti sono frutto di un'educazione. Anche quando la spiritualità ti spinge a staccarti dal mondo (e non è detto che sia questa l'unica strada), questo lo puoi fare perché hai quelle forme di controllo, di te stesso, e del mondo che è in te, che sono frutto di un'acquisizione cognitiva ed affettiva. Ho cercato di spiegare al meglio come la penso, ma anche il nostro spiegare la spiritualità è questione di cultura.

I sentimenti positivi sono il frutto di un'eduzione e la cultura in generale  è uno strumento che ci aiuta sia ritrovarli e oltretutto  a non perderli. Non dimentichiamo che i buoni sentimenti sono congeniti nell'uomo, quindi la cultura aiuta a non perderli. Per questo ho detto che la cultura non è cosa cattiva. In verità non c'è niente di cattivo, ivi compresa la cultura, nel mondo ma tutto dipende dall'uso che ne facciano e dalle finalità che  ci prefiggiamo usando ciò che il mondo offre. Detto con altri termini tutto è utile a condizione che non lo si metta al posto del Signore Dio il quale è vita, perdendo Lui perdiamo la vita/sentimenti (non la nostra capacità di vegetare).
La spiritualità non spinge a distacco dal mondo, unica via di spiritualità, ma ne è il frutto, a meno che non ci riferiamo alla ricerca della spiritualità stessa.